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Analisi, valutazioni e proposte per rendere credibile il percorso che il mondo dell’energia dovrà fare verso uno sviluppo sostenibile

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LA GIUSTATRANSIZIONEENERGETICA

Analisi, valutazioni e proposte per rendere credibile il percorsoche il mondo dell’energia dovrà fare verso uno sviluppo sostenibile

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SOMMARIO

La transizione energetica _______________________________________________ 3

Settore Elettrico ______________________________________________________ 7

Fonti rinnovabili elettriche _______________________________________________ 9

Servizi pubblici locali e risorse idriche _____________________________________ 11

Settore Energia ______________________________________________________ 14

Per un rilancio della contrattazione e delle relazioni industriali __________________ 15

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LA TRANSIZIONE ENERGETICA

La produzione e il consumo di energia rappresentano i due terzi delle emissioni antropiche annuali a livello

globale. La transizione energetica dalle fonti fossili a quelle rinnovabili è pertanto essenziale per mantenere la

promessa dell'accordo di Parigi. Con il Green Deal, inoltre, l’Europa si propone di avere un ruolo guida verso gli

obiettivi di neutralità climatica delle attività industriali e, più in generale di quelle antropiche, a livello mondiale,

garantendo allo stesso tempo la sostenibilità economica e sociale della transizione.

Con il 2020 il nuovo decennio si apriva di slancio rispetto a queste prospettive di trasformazione, ma negli ultimi

mesi ci siamo trovati di fronte a una catastrofe di proporzioni globali inaspettata e ad altissimo impatto che ha

colpito duramente anche l'Italia.

Gli stravolgimenti dovuti al Covid-19, hanno messo a nudo le vulnerabilità del sistema energetico globale

destabilizzandolo. Ne sono la prova evidente la velocità e l'entità senza precedenti del calo della domanda di

energia con la conseguente instabilità dei prezzi e le implicazioni geopolitiche.

Questa crisi può tuttavia rappresentare una opportunità storica di guidare il mondo verso una direzione

sostenibile. La sfida oggi è riuscire a programmare una ricostruzione che sia rapida, ma anche duratura,

preparando il sistema industriale alla riduzione dei rischi e delle perdite economiche derivanti dall’inquinamento,

dai cambiamenti climatici e dall’impatto che questi hanno e avranno su molti settori.

Le ripercussioni della pandemia sul sistema energetico richiamano la necessità di resilienza nelle infrastrutture

fisiche e digitali del nostro Paese, ma anche nelle politiche di transizione energetica, di alleggerimento del

sistema burocratico e nei meccanismi di cooperazione internazionale.

L’uscita graduale da un sistema energetico in parte dipendente dal carbone (la cosiddetta “phase-out”), prevista

per il 2025, e una conseguente crescita dell’utilizzo delle energie rinnovabili, pongono diverse sfide all’Italia

rispetto alle quali dovrà trovarsi preparata.

È necessario definire una strategia integrata che, come per altro evidenziato sia dal PNIEC che dal PNRR,

recepisca le linee guida del Green Deal e favorisca il raggiungimento dell’obiettivo di abbattimento delle emissioni

in atmosfera attraverso una transizione equa che tuteli ambiente e lavoratori.

Occorre che le risorse economiche messe a disposizione dalla Comunità Europea, attraverso il Recovery Fund,

vengano utilizzate per la riconversione energetica e per la crescita occupazionale del Paese, considerando un

piano di sviluppo nel breve, medio e lungo termine.

Le risorse messe a disposizione dalla UE per fronteggiare la crisi economica e sociale e consentire la ripresa

sono pari a 750 miliardi, di questi all’Italia sono destinati 209 miliardi, 80 a fondo perduto ed il resto a basso tasso

di interesse legati agli investimenti da restituire tra il 2026 e il 2058. Tali risorse sono un buon inizio, se, saranno

destinate a politiche anticicliche in termini di investimenti e sviluppo, volte a ridurre al minimo il gap

infrastrutturale e, gli squilibri sociali e territoriali esistenti nel nostro Paese.

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È fondamentale che la transizione energetica, la ripresa economica e occupazionale sia il più possibile omogenea

in tutte le aree del Paese, con particolare attenzione alle realtà critiche, o i grandi poli industriali dismessi o da

riconvertire, favorendo lo sviluppo di progetti innovativi, anche per attrarre potenziali investimenti esteri.

Vi è la necessità quindi di un programma di investimenti che guardi con attenzione al Sud, il cui rilancio costituisce

una grande opportunità nazionale per sostenere le filiere produttive strategiche rafforzando infrastrutture sociali

e infrastrutture per la mobilità materiali e immateriali, attivando scelte che sono determinanti per favorire un

rilancio economico e occupazionale.

Il Settore energetico è il cardine della progressiva decarbonizzazione. Guardare alle risorse rinnovabili non è

sufficiente: è necessario un piano di riqualificazione e riprogettazione dei processi industriali, che diminuiscano

l’utilizzo delle risorse fossili in esaurimento e le sostituiscano con risorse non inquinanti e sviluppino sistemi

integrati di immagazzinamento dell’energia prodotta dalle fonti discontinue.

In tale quadro si collocano anche i progetti di cattura, stoccaggio e successivo riutilizzo dell’anidride carbonica

in unità geologiche profonde in esaurimento o dismesse (previa messa in sicurezza), quali i giacimenti esausti o

le gallerie minerarie in disuso. Il successivo riutilizzo della CO2, quali la fissazione con microalghe o la

mineralizzazione per fissaggio di inerti (di cui occorre un passaggio alla scala industriale), oppure la produzione

di idrogeno (idrogeno blu, a basse emissioni). A questa tecnologia si affianca la produzione di idrogeno tramite

elettrolisi, utilizzando energia prodotta con fonti rinnovabili, che vede azzeramento delle emissioni di anidride

carbonica in atmosfera (idrogeno verde).

La sostituzione in misura via via crescente delle fonti fossili con risorse sostenibili, quindi può essere intesa come

una riconversione degli impianti industriali, che vede la produzione di energia passare, ad esempio, dal carbone

al gas naturale, o la realizzazione di sistemi di recupero delle emissioni per successivi trattamenti e riutilizzi.

La sostenibilità e la ecocompatibilità della progettazione, e realizzazione degli interventi devono prevedere la

minimizzazione degli impatti e il riutilizzo di suoli, incentivando le bonifiche per il riutilizzo per scopi industriali,

o per la compensazione degli impatti ambientali attraverso rimboschimento o azioni similari.

È necessario, per questo, sostenere ed incentivare la collaborazione con Istituti di ricerca ed università, utilizzare

imprese italiane ad altissima specializzazione come la SOGIN, al fine di garantire lo sviluppo della innovazione

tecnologica su ogni aspetto dei processi energetici.

La strategia dell’Unione Europea espressa dal Green Deal prevede che il sistema energetico europeo sia integrato

con l’utilizzo dell’idrogeno. Tale intento è basato su tre assi principali:

1. Maggiore circolarità del sistema energetico, utilizzando principalmente lo strumento dell’efficienza, gli

scarti, i reflui e le fonti locali.

2. Elettrificazione diretta dei settori di uso finale dell’energia, privilegiando le FER (trasporto e mobilità,

climatizzazione e calore/freddo).

3. Promozione di combustibili puliti: idrogeno sostenibile, biometano, biocarburanti.

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A tali fine riteniamo necessario che l’Italia resti all’interno del processo di decarbonizzazione avviato dall’Unione

Europea con il Climate Law, che prevede una riduzione del 50-55% delle emissioni per il 2030 e il raggiungimento

della neutralità climatica nel 2050. Per questo scopo sarà importante attuare gli indirizzi programmatici del

PNIEC 2019, relativamente alle tematiche evidenziate dalla fase di transizione energetica, che deve dare risposte

anche alle conseguenze sociali che essa determina, non facendo pagare il prezzo delle trasformazioni in atto ai

lavoratori, alle loro famiglie, o ai territori.

Occorre governare gli effetti socioeconomici della transizione, spesso sottovalutati, insieme alle necessità

ambientali. È previsto che entro il 2025 l’Italia abbandonerà la produzione elettrica da carbone (circa il 13% della

produzione), mentre il gas naturale sarà determinante come combustibile della transizione. L’ulteriore proroga

di adozione del PITESAI a febbraio 2021, non solo metterà a repentaglio il settore estrattivo in Italia, ma, farà

aumentare la nostra dipendenza energetica con il conseguente aumento dei costi energetici nel Paese.

In questo quadro l’efficienza energetica e le rinnovabili giocheranno un ruolo decisivo, poiché queste ultime

dovrebbero coprire, al 2030, il 55% dei consumi elettrici e il 30% dei consumi energetici primari, mentre

l’efficienza energetica è fissata al 30%.

Dopo l’approvazione del PNIEC e del Climate Law della UE non è praticabile una ulteriore anticipazione delle

scadenze nazionali in modo avulso dal contesto europeo e mondiale e senza la definizione di nuove misure

sostitutive e integrative. Questo perché la transizione energetica richiede un insieme di interventi strutturali che

occorre attuare in tempi certi, non solo per consentire l’uscita definitiva dal carbone, ma anche per consolidare

il nuovo modello energetico nazionale, (efficienza, rinnovabili, decentramento territoriale, innovazione

tecnologica).

Gli interventi di infrastrutturazione sono resi necessari anche per il ruolo di combustibile sostitutivo che il metano

assumerà progressivamente, (anche miscelato ai gas rinnovabili), insieme alle fonti rinnovabili. In tal senso il

metano non va considerato solo come riserva e backup delle fonti rinnovabili.

Ciò richiede la soluzione dei problemi legati alla diversificazione di approvvigionamento del gas e a quelli di

maggiore flessibilità di sistema, anche in relazione all’uso del GNL, sia come punti di immissione in rete che in

qualità di carburante alternativo nei trasporti. Occorre accelerare gli investimenti sulle reti elettriche per

consolidare il sistema di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica in tutta Italia, per potenziare lo scambio

Nord-Sud e per collocare in rete tutta la produzione rinnovabile.

L’urgenza degli investimenti riguarda anche la tutela della continuità del servizio ricorrentemente minacciato da

eventi climatici estremi e dalla necessità di ripristinare elevati livelli del servizio nei territori. Il Sindacato

evidenzia, a tal proposito, il ritardo complessivo del paese nell’approntamento, nel comparto energetico, di misure

di adattamento al cambiamento climatico.

In tale contesto anche la riduzione del costo dell’energia resta un problema vitale per il Paese, in particolare per

il settore industriale e manifatturiero, la cui soluzione va perseguita, attraverso le politiche dell’efficientamento,

di riduzione del carico di oneri impropri e la diminuzione dell’importazione energetica.

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Dovrebbero, inoltre, essere introdotte misure efficaci per agevolare interventi sui processi industriali volti alla

sostituzione di cariche di origine fossile con cariche rinnovabili e alla cattura e recupero della CO2 prodotta.

Occorrono pertanto strumenti di fiscalità premianti per quei processi che migliorano l’efficienza energetica e

l’impronta di carbonio, rendendo le industrie più competitive perché meno esposte a rischi futuri.

Questi interventi richiedono un’accelerazione nel processo di realizzazione delle infrastrutture di rete e degli

accumuli mediante consistenti investimenti pubblici e privati.

Gli aiuti che verranno dai Governi nel prossimo futuro dovranno privilegiare il supporto agli investimenti ad alta

intensità di capitale per tecnologie industriali sostenibili e a bassa intensità di carbonio.

Il sostegno pubblico, inoltre, non può essere concepito soltanto in base all’efficacia nel breve periodo, ma deve

essere finalizzato a creare le condizioni per realizzare infrastrutture e progetti industriali di rilievo che possano

risolvere problemi strutturali del Paese (come la realizzazione di nuovi impianti di recupero e riciclo dei rifiuti e

di impianti per la produzione di biocarburanti per la mobilità e l’uso industriale), aiutare la conversione

dell’industria tradizionale e pesante a tecnologie a minor impatto di carbonio, promuovere la riqualificazione

verde di siti brownfield di interesse nazionale.

In tal senso, un cambio di passo concreto e sostenibile nel lungo termine è rappresentato dalla transizione verso

un modello economico – e quindi anche energetico – che metta al centro un’ottica di circolarità delle produzioni,

risparmiando le risorse naturali e recuperando la maggior quantità possibile di materiali post-consumo,

riducendo anche la nostra dipendenza per l’approvvigionamento di materie prime.

La circolarità dell’economia richiama l’attenzione anche sull’utilizzo delle biomasse, per la produzione di

bioplastiche con abbattimento di impatto ambientale, quindi di nuovi polimeri che riducano il problema del fine

vita, e per la produzione di bioerbicidi e biofertilizzanti per l’agricoltura.

Occorre inoltre promuovere lo sviluppo di progetti sulla intercettazione e il ricircolo della frazione organica del

rifiuto con sacchi biodegradabili e compostabili per evitare l’utilizzo delle discariche), ciò al fine di considerare il

rifiuto come risorsa da utilizzare e su cui investire.

Un’economia circolare ed energetica, in altre parole, basata sul riuso e riciclo delle risorse (attraverso la

produzione di biocarburanti e di biocombustibili, liquidi e gassosi, da sottoprodotti, rifiuti e materie prime seconde;

riutilizzo e riciclo delle batterie; riutilizzi interni al sito industriale delle acque di produzione non re iniettabili,

ecc.), sull’estensione della vita dei prodotti.

Infine, occorre privilegiare partnership tra aziende energetiche e associazioni del mondo agricolo nell’ambito

della produzione di biometano per la valorizzazione degli scarti agricoli e di allevamento; implementare il water

reuse per la valorizzazione delle biomasse delle acque reflue industriali trattate e delle acque di falda bonificate

ai fini del loro utilizzo nei siti industriali; e sviluppare e collegare le imprese energetiche alla filiera della frazione

organica dei rifiuti solidi urbani e degli used cooking oil (Confindustria Energia, 2020).

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Settore Elettrico

Sono trascorsi venti anni dalla liberalizzazione del sistema elettrico del Paese e dalla privatizzazione di larga

parte delle Aziende del Settore. Un periodo nel quale sono state attuate importanti innovazioni nella regolazione

del sistema, nella introduzione di nuove tecnologie, nelle forme produttive e nelle tecniche di gestione delle

aziende. Rilevanti sono stati gli effetti sul capitale umano, sulla quantità e sui profili professionali dei lavoratori.

Il Settore elettrico, in particolare la generazione tradizionale, è stato investito da una “crisi epocale” frutto della

contemporaneità di alcuni fattori strutturali: la diminuzione della domanda elettrica nel Paese; la riduzione del

prezzo dell’energia elettrica per effetto dei meccanismi della borsa elettrica (che privilegiano le FER incentivate);

la riduzione sensibile dei costi di installazione delle FER che ha favorito la loro espansione; infine i costi del

vettore gas sensibilmente più alti della media Europea. Ciò ha provocato una drastica riduzione delle ore di

funzionamento delle centrali termiche con la conseguente chiusura, o messa in stato di conservazione di un gran

numero di impianti.

Si può oggi affermare comunque, che la situazione legata alla generazione termica, è sensibilmente più stabile

rispetto agli anni passati, fermo restando l’incertezza legata alla transizione energetica, per tempi e modalità,

dettati dal PNIEC.

La decisione presa dagli organismi internazionali, dalla Commissione Europea e di conseguenza dal governo

italiano, di invertire il senso di marcia rispetto ai vettori che dovranno sostenere il fabbisogno di energia è una

decisione essenziale, non più rinviabile, la cui attuazione richiede decisioni coerenti, sostenibili e praticabili.

In altre parole, bisogna uscire dagli annunci e dalle suggestioni, senza innescare guerre dogmatiche sul vettore

di turno, ma analizzare nel loro complesso i costi e i benefici delle scelte che si fanno nel tempo, considerando

l’emergenza climatica.

Se le scelte fatte privilegiano giustamente lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili rispetto

ai combustibili fossili, nella pratica non bisogna mai perdere di vista i risultati in termini di emissioni che si

possono ottenere a parità di investimenti e tempistiche.

Altro elemento che bisogna sempre considerare è la correlazione dei vari interventi che si mettono in campo.

Cioè di come l’uno possa aiutare l’altro e non inficiarlo.

Per esempio, quando nell’ambito della transizione energetica parliamo di decarbonizzazione, elettrificazione dei

consumi e dei trasporti, sostenibilità e ambiente, occorre tener presente che sono obiettivi raggiungibili solo se

supportati da strategie industriali e adeguati investimenti per uno straordinario ammodernamento e

potenziamento della Rete elettrica.

La rete elettrica italiana è il sistema nervoso del complesso organismo che è il nostro Paese. Gran parte del

futuro energetico che ci attende passa attraverso il suo efficientamento e ammodernamento.

Se non saremo coerenti investendo in modo straordinario la generazione rinnovabile e diffusa, l’elettrificazione

dei trasporti e dei consumi domestici, ma anche la sicurezza del servizio rimarranno solo accattivanti argomenti

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da convegno, mentre anche gli sforzi compiuti nella direzione della digitalizzazione verranno in gran parte

dispersi.

È in atto una importante decisione sulla costituzione di un unico soggetto industriale per lo sviluppo della fibra

ottica; in tal senso abbiamo sostenuto la necessità di rafforzare e consolidare i soggetti industriali che oggi

garantiscono un servizio essenziale, senza il quale anche il futuro digitale italiano è impraticabile.

Sulla scia di questa iniziativa è necessario unificare la gestione della rete elettrica italiana di trasmissione e

trasporto e di parte della distribuzione, per tutelare gli interessi generali espressi dalla neutralità di funzione

(imparzialità di accesso) e per l’importanza strategica della infrastruttura per la sicurezza del Paese. Una

gestione unificata che garantisca i necessari investimenti economici atti a sviluppare una rete attiva e resiliente

e assicuri in tutto il territorio un servizio adeguato, pronto a tutte le evenienze, supportato dal necessario

personale correttamente dislocato e adeguatamente organizzato anche ad intervenire in casi di eventi naturali

violenti ormai sempre più frequenti.

L’articolo 177 del Codice Appalti, che obbliga Enel e le grandi multiutility che operano anche nei settori della

distribuzione del gas a esternalizzare almeno l’80% delle attività avute in concessione, va esattamente nella

direzione opposta. Questo provvedimento frammenta pericolosamente la capacità industriale delle imprese che

negli anni hanno accompagnato l’evoluzione tecnologica e una sempre maggior richiesta di sicurezza energetica

e continuità del servizio. L’attuazione del 177 porta a depauperare la quantità e la qualità di investimenti, le

capacità professionali, le qualità del servizio e, cosa non meno importante, mette a repentaglio migliaia di posti

di lavoro qualificati.

Senza investimenti straordinari accompagnati da consolidate capacità professionali, nuove assunzioni e una

gestione da parte di imprese con dimensioni adeguate alla sfida che abbiamo di fronte, molti degli obiettivi

contenuti nei piani per la transizione energetica, rimarranno pie illusioni.

Parallelamente, sia nel campo della generazione che della rete, si devono rendere agibili ed esigibili in tempi

certi le autorizzazioni: per la diffusione e l’istallazione degli impianti di energia rinnovabile e degli impianti di

produzione e accumulo necessari alla transizione energetica; per la realizzazione e il rifacimento delle reti

elettriche.

Oggi tutto l’aspetto autorizzativo non è governato da una regia unica di sistema, ma è lasciato alla mercé di una

moltitudine di pareri di diversi soggetti istituzionali, ciascuno dei quali ne può interdire la realizzazione e tutto

ciò genera quell’incertezza autorizzativa che tanto avversa e scoraggia gli investimenti. In tale quadro è urgente

un intervento strutturale, sia sul piano amministrativo che su quello professionale, questi aspetti sono tra loro

interconnessi.

Come già colto dal decreto semplificazioni, infatti, il rispetto delle tempistiche definite per l’utilizzo dei fondi è

incompatibile con le procedure burocratiche attuali: la semplificazione e la velocizzazione delle pratiche

autorizzative diventa una priorità, così come il monitoraggio e controllo dell’effettiva realizzazione delle opere al

fine di garantire l’obiettivo sull’occupazione.

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La nuova commissione di valutazione prevista dal PNRR dovrà, altresì, essere composta da personale qualificato

ed altamente professionalizzato dati gli aspetti fortemente innovativi dei progetti garantendo la loro valutazione

con giudizio critico ed efficace, nonché la tempestività nella risposta.

Ne consegue, quindi, la necessità di un adeguamento dell’offerta formativa, che tenga conto delle esigenze di

mercato legate al cambio produttivo in atto e della nuova articolazione delle modalità di lavoro; la riqualificazione

delle professionalità passa attraverso l’aumento di competenze legate ai temi del marcato produttivo e diventa

garanzia per l’occupazione.

Fonti rinnovabili elettriche

Le Energie Rinnovabili non sono solo l’eolico e il fotovoltaico come spesso appare nell’immaginario collettivo. Non

va infatti sottovalutato, il ruolo che svolge la produzione da energia idroelettrica, che rappresenta almeno la metà

dell’energia rinnovabile attualmente prodotta. E ciò avviene senza incentivi (e quindi senza oneri in bolletta) al

contrario dei 200 miliardi di euro che i clienti italiani stanno ancora pagando per lo sviluppo di eolico e

fotovoltaico. Va ricordato che l’energia idroelettrica è programmabile, contrariamente alle due fonti sopracitate.

Infine, questa fonte produce energia subito disponibile che non necessita quindi di altri impianti per adeguare la

frequenza di rete come i compensatori asincroni che, va ricordato, sono motori.

Il decreto sulle concessioni idroelettriche, nato con l’obbiettivo di dare risorse economiche alle regioni, così come

formulato può di mettere a forte rischio il mantenimento in sicurezza di questi impianti complessi che

strutturalmente richiedono adeguati e programmati investimenti.

Purtroppo, prevale l’incertezza autorizzativa e la diversità di comportamenti tra le diverse Regioni che non sono

delineati da una griglia di regole comuni tali da permettere lo sviluppo di concessioni certe a garanzia degli

investimenti per il miglioramento degli impianti, lo sviluppo del territorio e la salvaguardia occupazionale.

L’assenza di regole comuni non potrà che causare depauperamento di conoscenza professionali e di consolidate

esperienze industriali. Questo in un settore che, al contrario, necessita di azioni di consolidamento che consentano

gli interventi per il mantenimento e lo sviluppo di questo indispensabile vettore per la transizione energetica del

Paese.

Nel settore idroelettrico, va considerata come strategica la possibilità dell’accumulo delle acque nei bacini e nei

serbatoi associata ad un più attento sviluppo e utilizzo del pompaggio, come ipotizzato dal PNIEC. Serbatoi e

Bacini nei quali andrebbe sviluppato un attento e puntuale lavoro di sghiaiamento per consentire di aumentarne

l’attuale capacità e riportarli tendenzialmente alla capacità di origine.

Questo approccio consentirebbe di non sprecare la risorsa idrica e renderla fruibile alle comunità locali nei

periodi di siccità, sempre più frequenti a causa del surriscaldamento climatico. Questi bacini per l’accumulo di

acqua, il pompaggio, uniti allo sghiaiamento e alla realizzazione di nuovi invasi, aiuterebbero a sopperire alla

carenza di neve e ghiaccio che solitamente rappresentano le riserve d’acqua e sono indispensabili per gli

acquedotti e l’irrigazione della pianura, evitando di mettere in crisi il settore agricolo.

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Fra le rinnovabili programmabili, sottolineiamo che la geotermia fornisce un importante contributo al paniere

elettrico del paese. Ma questa è inspiegabilmente oggetto di interventi regolatori senza che al pari venga definito

un adeguato quadro remuneratorio. Del tanto atteso e più volte annunciato decreto FER 2 non si ha ancora notizia.

Infine, rileviamo che anche l’energia prodotta da impianti a Biomasse solide, da annoverare anch’esse fra le

programmabili, non ha avuto dal PNIEC l’adeguato riconoscimento necessario alla promozione di un suo eventuale

sviluppo. Importanti progetti di riconversione, assolutamente compatibili con l’obiettivo della decarbonizzazione

rischiano così di rimanere sulla carta quando invece per una corretta transizione verso la decarbonizzazione

serve uno sviluppo equilibrato di tutte le tipologie di produzione elettrica a basso impatto ambientale.

In generale, rispetto alle Fer, andrebbe anche aperta una riflessione più ampia sul contributo che potrebbero

dare, come in precedenza indicato, tante altre tecnologie a partire da vari tipi di produzione allo stoccaggio di

energia dagli impianti di pompaggio idro e dallo sviluppo dei sistemi Power to gas per l’accumulo di idrogeno e

biometano. Ciò allo scopo di flessibilizzare il sistema energetico con l’apporto di elettricità. Idrogeno e biometano

che dovranno contribuire alla decarbonizzazione del paese e determinare le condizioni per una miglior

programmabilità delle reti. Per questa attività il regolatore non ha previsto alcuna remunerazione al contrario di

quanto avviene per lo stoccaggio del gas naturale necessario per la sicurezza energetica del Paese.

Ciò detto, sottolineiamo ancora una volta che, il miglior sviluppo delle energie rinnovabili è strettamente connesso

agli investimenti per la riprogettazione delle infrastrutture di rete assolutamente indispensabili per rendere

fruibile la generazione diffusa. Dobbiamo perciò evidenziare che per troppo tempo, in Italia, la rete MT e bt è stata

trascurata al punto tale che oggi ci si ritrova con una rete estremamente obsoleta e si rende quantomai

necessario un grande intervento di rifacimento soprattutto per concretizzare quel grande progetto di sviluppo

delle Smart Grid e delle Smart City che fino ad oggi è stato solo enunciato. Naturalmente questo sviluppo

infrastrutturale va supportato da progetti che lo incentivino.

In Italia abbiamo bisogno di una rete elettrica “moderna”, questo tema è ineludibile se si vuol portare a

compimento l’uscita dal carbone e il progressivo ingresso delle rinnovabili.

Uscita che dovrà essere supportata da precisi impegni nella produzione di energia elettrica e che potrà avvenire

solo attraverso l’utilizzo del gas naturale quale vettore sostitutivo “di transizione”.

Come previsto dallo stesso PNIEC, e richiesto da Terna, per garantire il sostentamento del sistema elettrico

nazionale occorre attivare 4 GW di potenza regolabile con impianti di nuova concezione, cioè a minor impatto

ambientale e maggiore flessibilità per coprire le oscillazioni di domanda di energia rese più frequenti proprio

dalla discontinuità di eolico e fotovoltaico.

A tal proposito riteniamo che la scelta debba ricadere sulla costruzione e messa in avviamento di impianti a “ciclo

combinato” in quanto, rispetto a quelli a ciclo aperto, sono dotati di maggior efficienza e quindi minori emissioni

di co2 per megawatt prodotto, oltre a garantire maggior occupazione sia nella fase di costruzione che in quella

di esercizio e manutenzione.

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Servizi pubblici locali e risorse idriche

Il rilancio degli investimenti pubblici, a partire dalle aziende multiutility partecipate, può costituire un importante

fattore di sviluppo nazionale e territoriale, di buona occupazione e di qualità dei servizi erogati ai cittadini. Vanno

definite forme di “governance” che consentano alla proprietà una reale capacità di indirizzo strategico

dell’impresa e il mantenimento della maggioranza pubblica di controllo nel capitale azionario, in una gestione

industriale dei servizi.

La crisi attraversata da diverse multiutility locali, prevalentemente nel Mezzogiorno, evidenzia la difficoltà dei

territori a mantenere efficiente un sistema costituito da società di piccole entità e, come più volte ribadito, fatte

salve quelle esperienze che negli anni si sono consolidate per la capacità di gestione di qualità e di continuità del

servizio erogato. Tali esperienze nelle dimensioni definite devono favorire la qualità del servizio, il contenimento

delle tariffe, la competitività nel radicamento e il presidio territoriale sia nella fase gestionale che in quella di

programmazione e controllo.

Servono, certo, anche interventi normativi sul Teso Unico delle partecipate orientati a risolvere le questioni

industriali (gestione), cioè a favorire la crescita dimensionale delle imprese attraverso l’aggregazione dei gruppi

industriali per la gestione dei servizi a rete.

In materia di Servizi Pubblici Locali, e per quanto ci riguarda specialmente del servizio idrico integrato, siamo

fermamente contrari alla iniziativa di legge, in discussione con carattere di urgenza in Parlamento, che cancella

le positive esperienze degli ultimi decenni che hanno consentito lo sviluppo dei servizi a rete in una gestione a

carattere industriale. La legge di fatto trasforma tutte le Società in aziende speciali a dimensioni metropolitana

/provinciale.

L’applicazione dell’art 177 comma 1 del “Codice degli Appalti”, analogamente al settore elettrico, determina anche

in questo settore l’obbligo a tutte le aziende che eserciscono servizi a rete (gas - energia elettrica) per

affidamento diretto di appaltare a gara pubblica almeno l’80% del valore della gestione affidata. Tale situazione

aggraverebbe le difficoltà per i territori colpiti da gravi calamità naturali.

Altro tema di rilievo è il disegno di Legge Daga sulla riforma del servizio idrico integrato, che ci farebbe tornare

ad un modello antecedente alla Legge Galli del 94, alle municipalizzate con una incapacità gestionale dei Comuni

(dimostrata negli anni) già dissestati dai loro bilanci. Inoltre, si stima che l’operazione avrebbe un costo

complessivo di circa 15 miliardi e metterebbe in discussione, la posizione di 40.000 addetti del settore.

Peraltro, le reti in generale (infrastrutture) ed in particolare quelle dell’acqua e del gas sono componenti

fondamentali per una giusta transizione, ma anche per assicurare agli utenti finali la continuità del servizio, la

salubrità ed economicità di beni primari.

Occorre in tal senso favorire il processo di digitalizzazione non solo delle reti elettriche, ma anche di quelle

idriche e gas, nell’ottica di una maggiore efficienza e della sostenibilità ambientale.

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Il Consiglio Europeo ha ricordato all’Italia in diverse occasioni, ed in particolare a luglio 2019 e a febbraio e maggio

2020, di dare priorità alla sostenibilità ambientale, agli investimenti e alla crescita della produttività, anche

attraverso la gestione delle aziende partecipate della Pubblica Amministrazione.

Inoltre, il Consiglio stigmatizza una situazione (a noi nota da anni) in Italia di deficit infrastrutturale nell’ambito

della gestione delle acque e dei rifiuti, in particolare nelle regioni meridionali.

Bisogna trovare gli strumenti: si stanzino le risorse, si assicurino i finanziamenti necessari, si pensi a meccanismi

normativi che favoriscano gli investimenti, consapevoli però del fatto che l’unica strada per realizzarli è affidarsi

alle imprese che gestiscono questi servizi. È altresì necessario attivare una revisione normativa che favorisca i

processi di aggregazione societaria, oggi resi difficili dalla normativa in vigore.

La ripresa delle gare per la concessione degli ambiti di gestione del gas, ferme ormai da anni e la valorizzazione

delle buone pratiche, come Acquedotto Pugliese e Abbanoa in Sardegna nella gestione degli ATO, possono dare

impulso a un rilancio di settori, bloccati ormai da troppo tempo da pastoie normative e burocratiche.

Al Sud in particolare vengono fatti insufficienti investimenti efficaci nelle infrastrutture idriche a fronte di

persistenti rischi di scarsità di acqua e di siccità. Il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Commissione

Europea per un’economia a zero emissioni è collegato al tema dell’efficienza energetica e alla diminuzione della

dispersione delle risorse.

L’ammodernamento della rete idrica nazionale, con la definizione di perimetri di responsabilità a livello regionale

coordinati a livello centrale, non è più procrastinabile al fine di minimizzare le dispersioni non in linea con la

media europea (48% vs 23%). Le condotte di adduzione, obsolete (posa eseguita da 30 a 50 anni fa) e prive di

manutenzione, vengono rinnovate a ritmo troppo lento (da stime sarebbero necessari 250 anni per ultimare la

sostituzione dei tubi), mentre gli investimenti sono ben al di sotto della media europea (32-34€ vs 100€).

Il sistema di captazione, trasporto e distribuzione, trattamento e riutilizzo è da ridisegnare per aumentarne

l’efficienza e diminuirne gli sprechi (e il dissesto idrogeologico conseguente), con l’obiettivo della media europea

in linea con i tempi di investimento definiti dalle linee guida sull’utilizzo dei Recovery Fund.

Poco si è fatto anche in relazione ai cambiamenti climatici in atto: nessuna politica di preparazione e di risposta

ad eventi estremi che investiranno il Paese con sempre maggiore frequenza (rafforzare le infrastrutture di

raccolta della risorsa idrica per una gestione razionale). Nonostante gli sforzi fatti e la nomina di un commissario

straordinario, ci sono ancora molti agglomerati urbani non conformi alla direttiva sulle acque reflue urbane; di

ciò risentono 28 milioni di abitanti che vivono principalmente nel Mezzogiorno.

Dal 2012 al 2018 si è registrato un miglioramento complessivo delle conformità del 15% a livello nazionale, ma

nelle regioni meridionali il tasso varia dal 25% della Puglia al 3% della Calabria.

Uno dei motivi del "deficit di attuazione" nella fornitura di infrastrutture ambientali adeguate in Italia e, in

particolare, nel Sud è da ricercare nella complessa struttura di governance esistente. La responsabilità della

politica e della legislazione ambientale è divisa tra il governo centrale e altri livelli (comprese le regioni e i

comuni), con una conseguente frammentazione delle responsabilità, scarso coordinamento e mancanza di

sinergie, il che aumenta il rischio di corruzione.

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A ciò si aggiunge l'incapacità dei piccoli comuni di spendere i fondi pubblici assegnati dal Fondo Europeo di

Sviluppo Regionale e dal Fondo Nazionale di Coesione e Sviluppo. Inoltre, i progetti ambientali sono spesso troppo

piccoli per sfruttare le economie di scala e i comuni non dispongono delle capacità o delle competenze tecniche

necessarie per la loro progettazione e realizzazione. Per i motivi illustrati le procedure di gara procedono a rilento

o sono annullate.

La capacità di investimento delle singole imprese è spesso condizionata dalla frammentazione nella gestione del

servizio e anche in conseguenza del continuo ricorso alle gare al massimo ribasso.

Gli appalti di servizi sono inoltre aggiudicati in modo incoerente nelle varie regioni e secondo modalità spesso in

violazione della legge. L'entità del "deficit di attuazione" nell'Italia meridionale è tale da scoraggiare gli

investimenti privati. Anche le risorse derivanti dalle tariffe idriche e destinate alle infrastrutture sono inferiori al

Sud (131 EUR per abitante) rispetto alla media nazionale (166 EUR per abitante) nel periodo 2016-2019 (ARERA,

2018).

L'incapacità di gestire adeguatamente i rifiuti e le acque reflue comporta il rilascio di sostanze nocive nel suolo,

nelle acque sotterranee e nelle acque superficiali con conseguenze sull'ambiente e sulla salute.

Attualmente l'Italia è oggetto di sanzioni pecuniarie per le discariche non conformi, la gestione inadeguata dei

rifiuti in Campania in passato e il trattamento delle acque reflue urbane. Dal 2015 a oggi l'importo delle ammende

ha raggiunto 500 milioni di EUR, (25 milioni solo per il mancato trattamento delle acque reflue urbane).

Il fatto che l'Italia abbia avuto a disposizione anni per affrontare questi problemi, già segnalati dalla Commissione,

e che non l'abbia fatto prima che le ammende fossero comminate, è all'origine di ulteriori interrogativi in merito

alla governance e alla rendicontabilità delle autorità competenti.

Il principale intervento adottato è stato la nomina di commissari straordinari per la gestione delle emergenze

acqua e rifiuti e la sospensione della gestione ordinaria. I risultati sono stati tuttavia scarsi, in quanto continuano

a sussistere violazioni persistenti, in particolare per le acque reflue urbane. Nel 2019 il governo ha sostituito i

commissari straordinari con commissari unici (decreto fiscale), ma è troppo presto per valutarne l'impatto.

Gli investimenti necessari per conformarsi alle disposizioni in materia di trattamento delle acque reflue urbane

sono stati stimati dall'OCSE (2020) a 215 milioni di EUR fino al 2030 per l'Italia nel suo complesso. Nel quadro del

piano Juncker la BEI ha fornito 200 milioni di EUR per ridurre le perdite e migliorare la qualità delle acque erogate

dall'acquedotto pugliese che si snoda tra la Campania e la Puglia.

Esiste inoltre un Piano nazionale di interventi nel settore idrico, la cui prima fase (Piano stralcio) è stata approvata

nel settembre 2019.

In conclusione, la mancanza di adeguate infrastrutture ambientali per la gestione dei rifiuti e il trattamento delle

acque reflue in Calabria, Campania e Sicilia evidenzia problemi di governance connessi alle modalità di gestione

e solleva diverse preoccupazioni, tra i quali i danni ambientali causati, i rischi per la salute e l'igiene e i mancati

guadagni dovuti alle ammende pagate alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, oltre alle opportunità perse in

termini di posti di lavoro verdi e di entrate.

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Andrebbe anche aperto un capitolo particolare in merito al trattamento complessivo dei rifiuti che oltre ad una

sempre più spinta raccolta differenziata ci porterà ad un riciclo dei materiali sempre più ampio. Ciò deve

prevedere, una moderna rete di termovalorizzatori necessari ad intercettare quello scarto naturale di rifiuto

indifferenziato non riciclabile che non può più continuare ad alimentare le discariche che restano per l’ambiente

vere e proprie “bombe ecologiche a tempo”. Naturalmente questa rete di termovalorizzatori dovrà essere

analizzata e sviluppata sul territorio sulla base delle effettive esigenze complessive, quindi discussa e

programmata con le amministrazioni locali attraverso le loro associazioni.

Settore Energia

Nella prospettiva della transizione verso la decarbonizzazione un contributo importante sarà quello del settore

gas e delle sue infrastrutture.

La transizione energetica sfida l’Italia ad attrezzarsi affinché il Paese, anche grazie alla sua collocazione

geopolitica, possa giocare un ruolo strategico in chiave green nel Mediterraneo attraverso l’utilizzo di bio

carburanti, idrogeno e rinnovabili prodotti, con fotovoltaico ed eolico, nei paesi sud mediterraneo, candidandosi

in tal modo al ruolo di hub energetico europeo.

La rete gas nazionale deve essere estesa anche alla Regione Autonoma della Sardegna, accelerando la

realizzazione del progetto di metanizzazione, che dovrà svilupparsi prevedendo la realizzazione della dorsale

principale per la connessione alla rete esistente e le derivazioni secondarie, insieme ad un sistema di

infrastrutturazione con depositi costieri, rigassificatori, centrali a gas e reti cittadine. Questo consentirà di

riequilibrare il mix di fonti energetiche agendo su sostenibilità ed economicità.

La disponibilità crescente di fuel flexibility rappresentata da idrogeno, GNL e biometano, insieme ai gas di sintesi

a basso contenuto di Co2 consentirà l’utilizzo delle infrastrutture del metano contribuendo a raggiungere gli

obiettivi nazionali fissati al 2030 e al 2050. Mentre il potenziale di biogas è stimato in 8Mc al 2030, si ritiene di

poter utilizzare idrogeno da immettere nella rete del metano fino al 23% nel 2050.

Gli sviluppi di questa ipotesi restano legati alla evoluzione dei costi di produzione dell’idrogeno e delle tecnologie

di stoccaggio e trasporto attualmente piuttosto elevati. Le prospettive di medio e lungo periodo prevedono una

riduzione dei costi lasciando sperare che in alcuni casi sarà raggiunta la competitività entro il 2030 (elettrolisi da

FV ed eolico).

L’avvenuta chiusura dei siti energetici, in particolare delle raffinerie, apre la possibilità della loro riconversione.

Per questo si deve intensificare il processo già avviato di trasformazione tecnologica che punta a sostituire

progressivamente i carburanti tradizionali con quelli alternativi, ampliando l’esperienza delle bioraffinerie

destinate a coprire il fabbisogno crescente di biocarburanti e di idrogeno.

Si tratta di un passaggio chiave che permetterebbe l’integrazione delle fonti rinnovabili anche nel settore dei

trasporti, in particolare dei biocarburanti di seconda e terza generazione (fino al 21% dei consumi del settore nel

2030), contribuendo in modo decisivo allo sviluppo di una mobilità sostenibile di merci e persone.

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La sostituzione graduale dei carburanti petroliferi dovrebbe avvenire con una programmazione che consenta

l’utilizzo degli impianti di produzione nazionali riducendo le importazioni. In tale quadro l'obiettivo di accrescere

la sicurezza energetica del paese riguarda sia il sistema elettrico che il gas, e considerando la sua specificità,

include lo stesso settore della raffinazione, la cui salvaguardia produttiva, con la sua capacità di innovazione,

costituisce una tutela del sistema industriale nazionale, che evita la formazione di nuove dipendenze energetiche

di tipo tecnologico dannose per la nostra autonomia e per le ricadute ambientali.

La dipendenza energetica italiana era al 76% del 2017, nonostante la riduzione degli ultimi anni resta ancora la

più alta in Europa rappresentando un pesante vincolo per l’economia nazionale. Anche per questo per il 2030 si

pone un obiettivo di riduzione al 65%.

Per un rilancio della contrattazione e delle relazioni industriali

La gestione di questa trasformazione epocale va accompagnata nella logica della Transizione Giusta: sia nella

valorizzazione della componente lavoro che per la ricaduta sulle comunità locali, in particolare per le periferie

rurali e montane del Paese, che spesso subiscono gli effetti negativi di questi processi.

Se sono stimabili gli effetti della decarbonizzazione in termini di perdita di posti di lavoro, risulta più difficile

stimare quale sarà la creazione di nuovi posti di lavoro per gestire la transizione energetica giusta che si

sovrappone agli effetti della digitalizzazione: il rischio di provocare uscite traumatiche di masse di lavoratori dal

ciclo produttivo è alto, con tutte le conseguenze per le casse statali a causa degli ammortizzatori sociali da

adottare.

Riteniamo, invece, richiamando la Dichiarazione del Centenario dell’ILO-OIL che queste trasformazioni debbano

essere “umano centriche” e non “tecnocentriche”.

Per questo motivo si renderà necessario promuovere un deciso cambio culturale per le maestranze, per le parti

datoriali e per le comunità locali. Transizione Energetica e Digitalizzazione avranno un effetto dirompente su usi

e consuetudini decennali.

La formazione dei lavoratori sarà il tema centrale dei prossimi anni per renderli occupabili nei nuovi contesti

lavorativi e quindi decentemente remunerabili. Al contempo si dovrà evitare un dumping con i lavoratori a bassa

professionalità e ad alto tasso di sostituzione, un’area in cui i diritti vengono compressi per ragioni di sostenibilità

dei costi.

Per garantire a tutti i soggetti la Giusta Transizione la strada da percorrere è quella della contrattazione collettiva

(aziendale, di filiera, nazionale e sovranazionale) che dovrà trattare il tema dei nuovi diritti e nuove tutele

necessari ad affrontare la transizione energetica e la digitalizzazione e dovrà sviluppare anche una nuova idea

che oltre a garantire un salario adeguato si orienti verso un lavoro “distribuito” per allargare/garantire

l’occupazione (meno orario, oppure più persone occupate al raggiungimento di certi obiettivi ecc.).

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Così come riteniamo che gli utili derivanti dalla transizione energetica e dalla digitalizzazione debbano servire

non solo a ristorare gli azionisti, ma anche a sostenere le comunità locali sui cui territori insistono impianti e siti

produttivi.

Come parti sociali che rappresentano i lavoratori occupati nel settore, non possiamo non richiamare il Governo e

le imprese a un dialogo per condividere una strategia industriale ed energetica di lungo termine che metta al

centro la responsabilità verso il territorio e la comunità.

Allo stesso tempo, le grandi innovazioni che stanno investendo il settore energetico non possono prescindere

dall’apporto di figure professionali preparate e di lavoratori coinvolti nei processi di cambiamento.

È necessario quindi dare centralità alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, alla riconversione

delle competenze, alla sicurezza anche dal punto di vista sanitario. Queste modalità devono essere parte

integrante del piano strategico da realizzare per creare un volano per l’economia e per l’occupazione del sistema

Paese.

Noi crediamo che il piano di recupero post pandemia non debba svilupparsi pensando alle chiusure, ma debba

puntare, impegnando i fondi europei messi a disposizione, alla modifica organica dell’economia nazionale

attraverso l’ammodernamento strutturale delle imprese italiane per la ripresa generale del “sistema Italia” ma

soprattutto del tasso occupazionale, con l’obiettivo dello sviluppo di un apparato industriale/economico a

emissioni zero nel 2050. Solo in questo contesto si potrà parlare di transizione equa che punti all’inclusione e alla

cancellazione delle disuguaglianze.