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tutti pazzi per Brahms 4 sinfonie 4 concerti 1 weekend Sala Verdi del Conservatorio via Conservatorio 12, Milano 26 e 27 ottobre 2019 LaFil - Filarmonica di Milano Daniele Gatti direttore

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tutti pazzi per Brahms4 sinfonie

4 concerti1 weekend

Sala Verdi del Conservatorio via Conservatorio 12, Milano

26 e 27 ottobre 2019

LaFil - Filarmonica di Milano

Daniele Gatti direttore

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Sabato 26 ottobre 2019ore 17

Johannes Brahms (Amburgo 1833 - Vienna 1897)

Trio in mi bemolle maggiore per violino, corno e pianoforte op. 40I. Andante II. Scherzo. Allegro e Trio. Molto meno allegro III. Adagio mesto IV. Finale. Allegro con brio

Frank Peter Zimmermann violinoNatalino Ricciardo cornoEnrico Pace pianoforte

Tragische Ouvertüre in re minore op. 81

Sinfonia n. 1 in do minore op. 68I. Un poco sostenuto - Allegro II. Andante sostenuto III. Un poco allegretto e graziosoIV. Adagio - Allegro non troppo, ma con brio

ore 20.30

Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 - Vienna 1827)

Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 61I. Allegro ma non troppo II. Larghetto III. Rondò. Allegro

Frank Peter Zimmermann violino

Johannes Brahms Sinfonia n. 3 in fa maggiore op. 90I. Allegro con brio II. Andante III. Poco allegretto IV. Allegro

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Domenica 27 ottobre 2019ore 17.30

Robert Schumann (Zwickau 1810 - Endenich 1856)

Concerto in la minore per violoncello e orchestra op. 129I. Non troppo allegro II. Adagio III. Molto vivace

Jan Vogler violoncello

Johannes Brahms (Amburgo 1833 - Vienna 1897)

Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73I. Allegro non troppo II. Adagio non troppo III. Allegretto grazioso (Quasi andantino) - Presto ma non assaiIV. Allegro con spirito

ore 20.30

Johannes Brahms Variazioni per orchestra su un tema di Haydn op. 56a

Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98I. Allegro non troppo II. Andante moderato III. Allegro giocosoIV. Allegro energico

IN COLLABORAZIONE CON CON IL SOSTEGNO DI

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La variazione: il nuovo che nasce dal passato

Bach, Beethoven, Brahms: le “tre grandi B” della tradizione musicale

tedesca, quasi uno slogan della storiografia classica. Se l’essere eredi

di un simile patrimonio è di per certo un onore e una responsabilità,

nell’Ottocento che aveva inventato in arte l’imperativo dell’originalità,

poteva anche essere frainteso come anacronismo. Era questa la

posizione ambigua che la figura di Brahms occupava nel suo secolo

e, all’insegna di tale duplice prospettiva, veniva interpretata dai

contemporanei: un antidoto al wagnerismo per gli ammiratori, un

restauratore con le spalle al futuro per i detrattori. Solo nel 1933, a

cento anni dalla nascita, questi stereotipi venivano ribaltati dal saggio

di Schönberg Brahms, il progressivo, che riconosceva al compositore

una modernità fino ad allora insospettata, rivelata dall’intima logica del

comporre. La carica innovativa della musica di Brahms non nasceva

dall’ansia di aggiornare il proprio il linguaggio ma dalla preoccupazione

di perseguire per “nuove vie” il Bello, come valore assoluto e

atemporale, quello stesso che egli ammirava nella tradizione passata

e che sentiva il dovere di conservare. Laddove Wagner teorizzava sulla

necessità storica del Musikdrama (l’opera totale nella fusione delle

arti) e Berlioz e Liszt facevano proseliti con i nuovi generi della musica

La carica innovativa della musica di Brahms nasceva dalla preoccupazione di perseguire per “nuove vie” il Bello, come valore assoluto e atemporale

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a programma (cioè legata a un contenuto extra-musicale), Brahms

rifuggiva dalle commistioni con altri linguaggi e coltivava la sua “musica

assoluta” ripercorrendo generi e forme della tradizione. La sinfonia era

l’ultimo genere cui approdava con grande cautela e scrupolo, dopo aver

affinato la propria penna nella scrittura pianistica e cameristica e nel

genere delle variazioni orchestrali.

“Che si ricordi degli inizi delle Sinfonie di Beethoven. Che cerchi di

fare qualcosa del genere. Cominciare è la cosa principale; quando si

è cominciato, la fine si presenta da se stessa”. Così Schumann incitava

Brahms a cimentarsi nel genere che Beethoven aveva elevato al

sublime e sul quale sembrava aver detto l’ultima parola. E proprio

per questo “cominciare” non era cosa semplice. Sentire quel “gigante

camminare alle spalle” aveva inibito le generazioni successive non

solo dal confronto ma anche dal semplice epigonismo. Wagner aveva

sancito la fine della sinfonia dopo l’apice beethoveniano e si era fatto

carico del suo superamento hegeliano nell’unione con la parola e

l’azione drammatica. Dopo la “Renana”, la Terza Sinfonia di Schumann

(1850), il silenzio sembrava essere calato sul genere a vantaggio del

nuovo poema sinfonico. Sarebbe stato proprio Brahms a inaugurare una

“seconda età della sinfonia” nel 1876, lo stesso anno del primo Festival

wagneriano a Bayreuth.

La Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 fu l’esordio tanto atteso, frutto di una

gestazione durata più di vent’anni, passata al vaglio di un perfezionismo

incontentabile. Salutata da Hans von Bülow come la “Decima”, la Sinfonia

contiene espliciti richiami al maestro di Bonn che testimoniano una

riflessione profonda sull’eredità beethoveniana, non solo per assimilarla

ma anche per emanciparsene. Un’introduzione (Un poco sostenuto)

apre drammaticamente il sipario con tutta l’orchestra sulla scansione

dei timpani, accumulando tensione fino a sfociare nell’Allegro. Non

solo: vengono presentati sinteticamente, come un titolo, i materiali

fondamentali di cui si costituirà l’intero movimento: due semplici motivi,

uno cromatico e l’altro ad intervalli più ampi, sovrapposti, combinati ed

elaborati con quella tecnica di “variazione-sviluppo”, che Schönberg

individuò quale cifra dell’originalità brahmsiana. Infatti, se la forma

sembra rispettare a livello macroscopico e architettonico la struttura

classica, al suo interno viene rivitalizzata da una fraseologia del tutto

nuova. Ricorrendo alle tecniche della variazione e del contrappunto,

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unità minime, spesso semplici intervalli, vengono accostate, ampliate,

continuamente trasformate, dando vita a un discorso che scorre logico

e ininterrotto, quella cosiddetta “prosa musicale” cui era approdato

anche Wagner partendo da presupposti estetici totalmente diversi. È

così che anche la citazione del celeberrimo ritmo del “destino che batte

alla porta” della Quinta Sinfonia si costruisce gradualmente, apparendo

prima in versione melodica ai fiati, poi coagulandosi nell’ostinato vero

e proprio. Nella coda il movimento (Meno allegro) ritorna alla solennità

dell’introduzione e si conclude pacificato in do maggiore. L’Andante

sostenuto riporta in un contesto orchestrale tutta l’esperienza del

Brahms cameristico: un movimento intimo, quasi liederistico, con

numerosi assolo che intrecciano le voci degli strumenti. La continuità

melodica scaturisce dall’accostamento sapiente di frammenti

asimmetrici e sospensioni. Nel Un poco allegretto e grazioso il carattere

a tratti popolareggiante è dato dalla sonorità prevalente dei fiati, mentre

il finale (Allegro non troppo ma con brio), un movimento complesso tra

forma-sonata e rondò, torna ad essere drammatico nell’introduzione

punteggiata dal pizzicato degli archi. Sarà il richiamo del corno a segnare

la svolta. Il travestimento del Tema della Gioia dalla Nona Sinfonia, così

palese che se ne “accorgerebbe anche un asino”, è l’ennesimo omaggio

che Brahms sente di dover rendere al gigante beethoveniano nel

raccoglierne il testimone.

Dopo solo un anno, nel 1877, sulle sponde del lago di Wörth vide

la luce la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73. Detta la “pastorale” di

Brahms per il carattere lirico ed elegiaco, a tratti bucolico nell’uso degli

strumenti a fiato, l’opera mette a fuoco la giovane identità sinfonica

di un compositore già maturo e consapevole. “Provate per un mese

a martellarvi le orecchie con Berlioz, Liszt e Wagner: a quel punto

vi sembrerà un miracolo”. Tutto comincia con un motto di tre note,

un’oscillazione dei violoncelli e dei contrabbassi, cui rispondono corni

e fagotti, quindi flauti e clarinetti. È un materiale sufficiente perché la

tecnica brahmsiana di variazione-sviluppo ne possa trarre fuori una

sinfonia. Quella che parrebbe un’introduzione è invece già il primo

tema, mentre il secondo è una sorta di valzer intonato liricamente dai

violoncelli e dalle viole. Con sapienza contrappuntistica il compositore

combina i motivi, alternandoli, sovrapponendoli, riempendo l’uno

con l’altro. Nella scrittura densa e distillata di Brahms ogni nota

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assume un alto peso specifico e i motivi sono polifunzionali, tanto

tematici quanto di accompagnamento tanto da far parlare di “melodie

autoaccompagnate”. In questo lavorio tematico pervasivo, Brahms

sfuma i segni di articolazione della forma: la ripresa non è più la catarsi

beethoveniana, esibita nell’affermazione perentoria della tonalità di

impianto e nel ritorno del primo tema, ma viene quasi occultata da un

momento preliminare di sospensione, in cui tutto si allenta e si rilassa. La

forma non è il fine della composizione ma è un mezzo del compositore

per rendere intellegibile la bellezza musicale (Schönberg). E così è per

Brahms che, nel guardare alla tradizione, la padroneggia senza rigidità,

in un perfetto equilibrio di tecnica e genuinità di ispirazione. Come

l’Adagio non troppo, costituito da tre sezioni simmetriche, risulta dalla

sovrapposizione di due modelli formali (scherzo e variazioni), così anche

il terzo movimento (Allegretto grazioso – Presto ma non assai) si permette

il lusso di avere ben due trii, a loro volta variazioni del tema principale,

quello dal carattere popolaresco esposto dagli oboi all’inizio. Solo una

velatura in minore increspa quel clima di serenità, reso magistralmente

da un’orchestrazione delicata e sfumata. L’Allegro con spirito finale si

apre con il motto del primo movimento alterato ritmicamente, in una

integrazione ciclica dell’intera Sinfonia che era già stata sperimentata da

Beethoven. Nello sviluppo seppur breve di questo movimento in forma-

sonata, Brahms fa sfoggio della sua dimestichezza con le tecniche

fiamminghe. La Sinfonia si conclude con un tripudio quasi barocco degli

ottoni e di tutta l’orchestra con loro.

Nel 1883, l’anno della morte di Wagner, Brahms otteneva il suo più

grande successo con la Sinfonia n. 3 in fa maggiore op. 90, acclamata

tanto dal pubblico che dalla critica. Clara Schumann ne era entusiasta:

“Che opera! Che poesia! Tutti i movimenti scaturiscono come da una

colata unica, da un battito del cuore, ogni movimento un gioiello”.

La sinfonia era l’ultimo genere cui Brahms approdava con grande cautela e scrupolo, dopo aver affinato la propria penna nella scrittura pianistica e cameristica e nel genere delle variazioni orchestrali

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Difatti i quattro movimenti della Sinfonia sono legati ciclicamente da

un motto di tre note, dal carattere anche in questo caso polifunzionale:

spunto melodico, basso di accompagnamento, tessuto connettivo

della composizione. L’Allegro con brio è “un’alba che sorge” con tre

poderosi accordi iniziali, fa-la bemolle-fa, in cui si cela il motto “Frei

Aber Froh” (libero ma felice). Da qui i due temi, il primo poderoso e

appassionato, il secondo tenero affidato a clarinetto e viola, gli strumenti

scelti da Brahms come destinatari della musica da camera dello

stesso periodo. “Il secondo [movimento] è puro idillio”: l’Andante, con

un tema malinconico attraversato e trasformato dalla variazione, e in

cui rimangono protagonisti i fiati, i legni soprattutto. Il terzo movimento

(Poco allegretto), “una perla grigia, bagnata di lacrime malinconiche”,

prolunga il momento della riflessione lirica dell’Andante. Il celeberrimo

motivo, all’origine di tante citazioni, incede in un clima meditativo,

interrotto dal carattere di danza del Trio. Lo “slancio appassionato”

dell’Allegro finale si apre insolitamente in minore, misteriosamente, con

gli archi e i fagotti sottovoce all’unisono, prima di rivelare il suo carattere

epico. Alla fine, a chiudere il cerchio, torna il motto iniziale e Brahms

sceglie di concludere con una dissolvenza delicata.

A coronamento di un tale curriculum compositivo, tra il 1884 e il 1885

Brahms compose la Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98, la sua ultima,

in cui sembra aver trovato la quadratura del cerchio, conciliando la

struttura formale con un instancabile lavoro di cesello sui dettagli,

ossia “la ferrea costruzione, con il desiderio di canto”, come osserva

Giacomo Manzoni. In questo caso il nucleo motivico è costituito da

una catena di terze discendenti e quindi ascendenti, nascosta in un

primo tema costruito come di consueto per parentesi e accostamenti.

Una sorta di fanfara introduce il secondo tema ai violoncelli, mentre il

primo si fa accompagnamento. Anche in questo movimento, la ripresa

è camuffata da un momento di rarefazione, in cui il materiale prima

fluido sembra cristallizzarsi in un allargamento estremo dei valori. Il

tema per esteso si riascolterà solo nella coda. Nell’Andante moderato,

tutto nasce dall’espansione progressiva del motivo arcaico dei fiati

sul pizzicato degli archi. La stessa idea espansa diventerà secondo

tema ai violoncelli, impreziosito dal ricamo dei violini. È una musica

stratificata e densa, costruita prima di tutto in orizzontale, in cui il

principio di trasformazione motivica sostituisce quello della dialettica

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tonale, a garanzia di una costruzione formale graduale ma rigorosa.

La scorrevolezza nasconde la ferrea logica da cui scaturisce. L’Allegro

giocoso è una robusta danza dal carattere popolare che incontrava il

gusto dei tempi ed era spesso richiesta come bis. L’Allegro energico e

appassionato è non solo la conclusione degna della Sinfonia, maestosa

e monumentale, ma anche la sintesi del dettato musicale di Brahms.

Se la variazione è il principio costruttore di tutte e quattro le sinfonie,

solo in questo movimento il compositore adotta esplicitamente la

forma del tema e variazioni, nella sua versione barocca di ciaccona,

ovvero di variazioni su un basso ostinato. Il tema è ricavato dalla cantata

bachiana “Nach dir, Herr, verlanget mich” (A te, Signore, mi spinge il

desiderio) e si presenta tanto alle voci superiori che al basso. Mantiene

la stessa tonalità, tutt’al più cambiando modo, ma nessuna modulazione

intercorre fino alla coda. Anche la fraseologia si mantiene regolare e

costante. Il percorso narrativo che accompagna il tema nelle variazioni

è insieme un percorso orchestrale: prima i fiati lo annunciano, quindi

gli archi pizzicati, gli arabeschi dei legni, gli ottoni e infine gli archi nella

loro pienezza di suono. Nella sezione centrale, il tempo si allarga e gli

strumenti si intrecciano in una rassegna di assoli.

La variazione brahmsiana non è solo una tecnica compositiva ma un

atteggiamento che ben spiega il ruolo del compositore nella storia: la

conservazione di ciò che è noto non contraddice la comparsa del nuovo.

Nulla si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma, incessantemente.

Erede degno della tradizione proprio nel merito di averla innovata.

Maria Grazia Campisi Laureata in Discipline storiche, critiche e analitiche della musica al Conservatorio “G. Verdi” di Milano

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Brahms - Trio in mi bemolle maggiore

per violino, corno e pianoforte op. 40

Il Trio per corno, violino e pianoforte op. 40 s’inscrive nel novero delle

composizioni cameristiche che, nell’inaugurare un archetipo, ne

rappresentano anche il più riuscito compimento. Prima del 1865, Brahms

si era già cimentato con il più canonico organico per violino, violoncello

e pianoforte: come noto, tuttavia, il compositore tendeva a distruggere

le pagine non ritenute all’altezza delle sue capacità, sicché ad oggi

sopravvive un solo trio giovanile (op. 8), due risalenti agli anni Ottanta

(n. 2 e n. 3 op. 87) e un Trio in la maggiore di dubbia attribuzione.

L’idea di sostituire il violoncello con il corno, ottone dalla tipica sonorità

pastosa e “romantica”, nacque probabilmente durante le passeggiate

del trentunenne Brahms tra i sentieri dello Schwarzwald attorno a

Baden-Baden, dove il compositore si era da poco trasferito. Anche la

predilezione per il «Waldhorn», il corno naturale, in luogo dell’ormai

più diffuso «Ventilhorn», corno a pistoni, rispose ad una precisa

scelta timbrica, che tuttavia destò qualche perplessità nel pubblico

in occasione delle prime a Zurigo e Baden-Baden, entrambe con il

compositore al pianoforte.

L’originalità della composizione non si limita alla strumentazione, ma

investe anche aspetti formali. Unico lavoro cameristico di Brahms a

non presentare la forma-sonata in apertura, nel primo movimento si

alternano due sezioni: un Andante in mi bemolle maggiore in 2/4 e un

Poco più animato in 9/8. Il successivo Scherzo in mi bemolle maggiore,

aperto da un icastico gesto pianistico in ottave, presenta un Trio (Molto

meno allegro) in la bemolle minore assai contrastante. Segue un

Adagio “mesto”, secondo l’indicazione autografa nel manoscritto, in cui

trapela l’afflizione del compositore per la perdita della madre, occorsa

durante la stesura dell’opera. Il Finale (Allegro con brio in 6/8) è invece

caratterizzato da un’atmosfera di levità e brillantezza.

Brahms - Tragische Ouvertüre in re minore op. 81

Entrambe le Ouverture brahmsiane, “Accademica” e “Tragica”, videro

la luce nel 1880, ossia tra la stesura della Seconda e della Terza

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Sinfonia. Mentre la prima può essere considerata composizione

d’occasione, scritta come ringraziamento all’Università di Breslavia per

il conferimento della laurea honoris causa, la seconda si caratterizza

attraverso uno stile austero, oscillando tra echi beethoveniani (si

pensi al Coriolano) e allusioni al “tragico” in senso schilleriano, come

insanabile conflitto tra natura sensibile e autonomia morale (per altro,

all’anno successivo risale Nänie per coro e orchestra op. 82 su versi dello

stesso Schiller). Movimento sinfonico in forma-sonata e al contempo

rivisitazione romantica dell’ouverture (che nell’Ottocento non assolve più

a mera funzione introduttiva all’opera), l’op. 81 rivela una forte tendenza

alla narratività, nonostante gli affanni del compositore a smentire ogni

istanza programmatica.

Silvia Del Zoppo

Dottorato di Ricerca in Musicologia Università degli Studi di Milano e Ruprecht-Karls-Universität Heidelberg

Beethoven - Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 61

Prima del Concerto in re maggiore la produzione musicale di Beethoven

non lascia grande spazio alla scrittura per violino. La stesura di questa

composizione, avvenuta nel 1806, si inserisce in un periodo positivo per

l’attività artistica beethoveniana: contemporanei dell’op. 61 sono infatti la

Quarta Sinfonia, i Quartetti op. 59 e il Quarto concerto per pianoforte

e orchestra.

La composizione, suddivisa nei tradizionali tre movimenti, Allegro

ma non troppo, Larghetto e Rondò, venne eseguita per la prima volta

nel dicembre 1806: solista fu il celebre violinista Franz Clement che

era anche dedicatario dell’opera. Il Concerto tuttavia non riscosse il

successo sperato, forse perché considerato poco brillante in termini di

sfoggio tecnico: lo stesso Beethoven curò una versione per pianoforte e

orchestra dell’op. 61 improntata a uno stile brillante e virtuosistico al fine

di favorirne la diffusione editoriale.

Il Concerto per violino si allontana dai toni eroici lasciando spazio a una

musicalità che tende a coinvolgere espressivamente l’ascoltatore.

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Il primo movimento si apre con una sezione che svolge allo stesso

tempo due funzioni, quella introduttiva e quella di presentazione

del materiale tematico: il violino solo dispiega il suo canto al termine

dell’introduzione senza creare contrapposizioni con l’orchestra che,

invece, sostiene e punteggia la parte del solista nell’articolazione

della melodia. Il carattere della parte solistica è lirico ed espressivo

e allo stesso tempo non completamente estraneo alla componente

virtuosistica.

Il secondo movimento, Larghetto, è scritto nella forma romanza con

variazioni ed è caratterizzato da trasformazioni espressive mutevoli: il

violino viene valorizzato nelle sue potenzialità timbriche e coloristiche.

L’ultimo movimento attacca vivacemente ridestando l’ascoltatore dalla

quiete del secondo movimento: il tema del Rondò, allo stesso tempo

energico e grazioso, presiede il piacevole dialogo tra l’orchestra dai toni

vivaci e leggeri e il solista fino alla chiusura del Concerto che avviene in

un clima di serenità ed equilibrio.

Schumann - Concerto in la minore per violoncello e orchestra op. 129

La composizione del Concerto in la minore per violoncello e orchestra

coincise con un periodo di importanti cambiamenti nella vita di

Schumann: nel 1850 riuscì ad ottenere l’incarico di Musikdirektor per

l’orchestra di Düsseldorf e, nell’ottobre dello stesso anno, nel giro di

pochissimi giorni, terminò la bozza del Concerto in un clima di fervore

compositivo.

La stesura dell’op. 129 fu accompagnata dalla produzione di un altro

lavoro sinfonico importante, la Terza Sinfonia, a testimonianza di un

ritrovato entusiasmo artistico.

Se la destinazione orchestrale dell’op. 129 può essere correlata al nuovo

ruolo assunto e alla possibilità di avere a disposizione un’orchestra, non

è possibile delineare con altrettanta sicurezza il perché della scelta del

violoncello come strumento solista: si tratta infatti del primo esempio

importante di concerto per violoncello del secolo. Si può ipotizzare che

la ricerca della novità o il bisogno di una svolta rispetto al panorama

predominante siano alla base delle scelte di Schumann.

L’ultimo periodo della vita del compositore fu il più travagliato della sua

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biografia e la stesura del Concerto op. 129 rappresenta un’eccezione in

anni contrassegnati dall’aggravarsi di disturbi psichici già manifestati in

precedenza culminati nel tentativo di suicidio nel 1854.

Schumann non ebbe la possibilità di ascoltare il suo Concerto: la

pubblicazione infatti avvenne solo nel 1854 e la prima esecuzione

postuma nel 1860. In una lettera all’editore Breitkopf & Härtel del

3 novembre 1853 Schumann definì il Concerto un pezzo «sereno»

ma il desiderio che fosse così contrasta con l’intervento, all’interno

del discorso musicale, di sezioni dal carattere più nostalgico, a tratti

umbratile.

La composizione, strutturata in tre movimenti (Non troppo allegro,

Adagio, Molto Vivace) che si susseguono senza soluzione di continuità,

supera gli schemi del passato: all’esposizione strutturata del

materiale e alla sua tradizionale elaborazione si sostituisce l’utilizzo

di idee melodiche giustapposte in periodi connotati da un ampio

fraseggio musicale in un continuo cangiare espressivo che sfrutta le

caratteristiche di estensione e cantabilità del violoncello. L’assenza

di tratti marcatamente virtuosistici corrobora l’idea di una svolta

rispetto al concerto solistico tradizionalmente inteso lasciando spazio

alla ricchezza inventiva schumanniana contraddistinta da un fluire

iridescente di stati d’animo.

Laura Zanoli

Laureata in Musicologia Università degli Studi Milano Diplomata in composizione al Conservatorio “G. Verdi” di Milano

Brahms - Variazioni per orchestra su un tema di Haydn op. 56a

Le Variazioni su tema di Haydn op. 56a, composte nel 1873,

rappresentano un approccio all’orchestra che segue le esperienze

del Concerto in re miore per pianoforte e orchestra, le due Serenate e

il Deutsches Requiem e anticipa di circa tre anni la pubblicazione della

Prima Sinfonia. Vi appare manifesto il confronto tra scrittura orchestrale e

scrittura pianistica, irrinunciabile per un compositore come Brahms:

l’op. 56a nasce infatti come orchestrazione dell’omonimo lavoro per due

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pianoforti, cronologicamente precedente (nonostante il numero d’opera

56b), e rappresenta dunque uno degli inconsueti casi di trascrizione

dal pianoforte all’orchestra. Significativo pare anche la scelta del tema

con variazioni, sperimentato da Brahms sin dalla gioventù – si pensi alle

Variazioni su tema di Schumann op. 9, di Händel op. 24, di Paganini op. 35,

le due serie di Variazioni op. 21 e quelle a quattro mani op. 23: una forma

fino a quel momento trattata al pianoforte e mai in senso orchestrale,

cifra di un atteggiamento compositivo alternativo ai contrasti della

forma-sonata. Inoltre, nonostante la dubbia paternità del tema, che

moderni studi tendono a sottrarre a Haydn in favore del suo allievo

Pleyel, l’impiego del tema del Corale di S. Antonio della Feldparthie n. 6

Hob.II.46 è sintomatico del profondo interesse di Brahms per il passato,

ravvisabile non solo nel suo repertorio di pianista, ma coltivato anche

attraverso la collezione e lo studio di manoscritti e edizioni rare. Non

stupisce perciò che l’architettura delle otto variazioni densamente

polifoniche con finale in forma di passacaglia (autentica anticipazione

della Quarta Sinfonia) si eriga, alla maniera barocca, su un basso

invariato che, nelle parole dello stesso Brahms, funge da «vera guida, e

anche controllo della fantasia».

Silvia Del Zoppo

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Daniele Gatti direttore

Diplomato in composizione e direzione d’orchestra al Conservatorio

Giuseppe Verdi di Milano, Daniele Gatti è Direttore musicale del Teatro

dell’Opera di Roma e dell’Orchestra Mozart. È inoltre Consulente artistico

della Mahler Chamber Orchestra (MCO).

È stato Direttore principale della Royal Concertgebouw Orchestra (RCO) di

Amsterdam e precedentemente ha ricoperto ruoli di prestigio presso altre

importanti realtà musicali come Accademia Nazionale di Santa Cecilia,

Royal Philharmonic Orchestra, Orchestre National de France, Royal Opera

House di Londra, Teatro Comunale di Bologna, Opernhaus di Zurigo. I

Berliner Philharmoniker, i Wiener Philharmoniker, la Symphonieorchester

des Bayerischen Rundfunks e l’Orchestra Filarmonica della Scala sono

solo alcune delle rinomate istituzioni sinfoniche con cui collabora.

Tra le numerose e rilevanti nuove produzioni che ha diretto si

ricordano Falstaff con la regia di Robert Carsen (a Londra, a Milano

e ad Amsterdam); Parsifal con la regia di Stefan Herheim, con cui ha

inaugurato l’edizione 2008 del Festival di Bayreuth (uno dei pochi

direttori d’orchestra italiani a essere invitato al festival wagneriano);

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Parsifal con la regia di François Girard alla Metropolitan Opera di New

York; quattro opere al Festival di Salisburgo (Elektra, La bohème, Die

Meistersinger von Nürnberg, Il trovatore).

A coronamento delle celebrazioni per l’anno verdiano, nel 2013, ha

inaugurato con La traviata la stagione del Teatro alla Scala, dove ha

anche diretto il Don Carlo per l’apertura della stagione nel 2008, e titoli

quali Lohengrin, Lulu, Die Meistersinger von Nürnberg, Falstaff e Wozzeck.

Più recenti sono Pelléas et Mélisande al Maggio Musicale Fiorentino,

Tristan und Isolde al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi e

l’inaugurazione della stagione 2016/17 del Teatro dell’Opera di Roma

con lo stesso titolo wagneriano.

Nel 2016 ha avuto inizio un ciclo triennale di concerti dal titolo “RCO

meets Europe”, che ha coinvolto i 28 paesi dell’Unione Europea

comprendendo il progetto “Side by Side”, grazie al quale alcuni musicisti

delle orchestre giovanili locali hanno partecipato all’esecuzione

del primo brano in programma, accanto ai professori della Royal

Concertgebouw Orchestra e sotto la direzione di Gatti, rendendo

così possibile uno scambio umano e musicale di natura straordinaria.

L’appuntamento italiano è stato all’Auditorium del Lingotto di Torino.

Nel 2017 ha diretto la RCO in una produzione lirica: Salome alla Nationale

Opera di Amsterdam. Nella stagione 2017/18 ha diretto i Berliner

Philharmoniker alla Philharmonie di Berlino, l’Orchestra e il Coro del

Teatro alla Scala a Milano con la Seconda Sinfonia di Mahler, la Royal

Concertgebouw Orchestra in Europa, Corea del Sud, Giappone e alla

Carnegie Hall di New York, appuntamenti che si sono aggiunti a quelli in

cartellone ad Amsterdam. Ha inaugurato, inoltre, la stagione del Teatro

dell’Opera di Roma con La damnation de Faust, è stato in tournée con

la Mahler Chamber Orchestra e ha diretto l’Orchestra dell’Accademia

Nazionale di Santa Cecilia a Roma, la Symphonieorchester des

Bayerischen Rundfunks a Monaco, la Filarmonica della Scala a Milano

e la Philharmonia Orchestra di Londra. Nel dicembre 2018 ha diretto

Rigoletto per l’apertura di stagione del Teatro dell’Opera di Roma.

Il 2019 lo vede sul podio dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di

Santa Cecilia (dove tornerà nel 2020), della Filarmonica della Scala,

dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, della Staatskapelle

Dresden, della Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks e

dell’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia. A dicembre aprirà la nuova

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stagione dell’Opera di Roma dirigendo Les vêpres siciliennes, teatro nel

quale il prossimo anno dirigerà anche I Capuleti e i Montecchi, The Rake’s

Progress e Oedipus Rex. Nel 2020 tornerà alla Scala per dirigere Pelléas

et Mélisande e sarà alla guida dell’Orchestre national de France

e dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.

Daniele Gatti è stato insignito, quale miglior direttore per il 2015,

del Premio “Franco Abbiati” della critica musicale italiana e nel

2016 ha ricevuto l’onorificenza di Chevalier de la Légion d’honneur

della Repubblica Francese per la sua attività di Direttore musicale

dell’Orchestre National de France.

Per Sony Classical si ricordano le incisioni con l’Orchestre National de

France dedicate a Debussy e Stravinskij e il DVD del Parsifal andato in

scena alla Metropolitan Opera di New York. Per l’etichetta RCO Live ha

inciso la Symphonie fantastique di Berlioz, la Seconda Sinfonia di Mahler,

Le sacre du printemps di Stravinskij abbinato al Prélude à l’après-midi d’un

faune e a La mer di Debussy e il DVD della Salome di Strauss andata in

scena alla Nationale Opera di Amsterdam.

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LaFil-Filarmonica di Milano

LaFil-Filarmonica di Milano è una realtà nuova e unica nell’ambito

musicale italiano. Un’unicità data dall’incontro tra musicisti di grande

fama ed esperienza e una squadra di giovani che rappresentano le

eccellenze del nostro futuro musicale.

Al progetto partecipano le prime parti di istituzioni come il Teatro alla

Scala, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra Sinfonica

Nazionale della Rai, la Gewandhausorchester, i Berliner Philharmoniker, i

Wiener Philharmoniker, l’Orchestre National de France, il Teatro Regio di

Torino, il Teatro dell’opera di Roma e la St. Paul Chamber Orchestra

di New York.

Per l’inaugurazione dell’orchestra a Milano nel maggio 2019 è salito sul

podio Daniele Gatti che ha diretto l’integrale delle Sinfonie di Robert

Schumann. Durante la residenza estiva a Sestri Levante Marco Seco ha

guidato LaFil in un ciclo dedicato a Beethoven e Mendelssohn.

VIOLINI ICarlo Maria Parazzoli Accademia Nazionale di Santa CeciliaStefano Ferrario Orchestra Haydn di BolzanoChiara Borghese Nicola BossoneNicola BruzzoSebastian Canellis-OlierPaolo ChiesaCarolina CaprioliAn EunsaemRebecca InnocentiTeona KazishviliIlaria LanzoniLorenzo Rovati Anaïs Soucaille

VIOLINI IIMargherita Miramonti Teatro La Fenice di VeneziaNatalia SagmeisterTonkünstler-Orchester, ViennaIlze ĀbolaFjorela AsqeriSamuele BianchiMichela D’AmicoPier Francesco GalliLucia GazzanoRuben GiulianiShaady MuccioloMichele Pierattelli Andrea Ranieri Martina RicciardoVeronica Schifano

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VIOLE Dov Scheindlin Met, Metropolitan Opera HouseRoberto Tarenzi Quartetto BorcianiAlfonso BossoneClaudia ChelliSalvatore D’AmatoDaniele GrecoLaura Hernandez GarciaRuggero MastrolorenziAntonietta PappalardoMilos RakicMarcello Salvioni

VIOLONCELLICharles Hervet Guest Umberto AleandriValentina CangeroValerio CassanoLuigi ColasantoAlessandro ForneroMarco Mauro MoruzziCamilla Patria Caterina Vannini

CONTRABBASSIMaria KrykovMahler Chamber OrchestraDaniele De AngelisTommaso FioriniRiccardo MazzoniMichele SchiavoneEdoardo TeaniMauro Tedesco

FLAUTIAndrea Oliva AccademiaNazionale di Santa CeciliaLorenzo Scilla OTTAVINOViola Brambilla

OBOILuca Vignali Teatro dell’Opera di RomaAlberto Grisafi CLARINETTIAron Chiesa Sinfonieorchester BaselLorenzo Dainelli FAGOTTIFrancesco Bossone AccademiaNazionale di Santa CeciliaNicolas Chimienti CONTROFAGOTTOAlessandro Battaglini Mahler Chamber Orchestra CORNINatalino Ricciardo Teatro Regio di TorinoEmanuele Urso Guest Achille FaitDaniele L’Abbate TROMBEFabiano Cudiz Teatro La Fenice di Venezia,già prima trombaNiccolò Ricciardo TROMBONIAndrea Maccagnan Teatro Comunale di BolognaAntonio SabettaErik Pignotti BASSOTUBA Francesco Porta TIMPANIBiagio Zoli Orchestra Nazionale della RAI PERCUSSIONIMatteo Savio

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Frank Peter Zimmermann violino

Nato a Duisburg nel 1965, Frank Peter Zimmermann ha iniziato

a suonare il violino a 5 anni, dando il suo primo concerto con

orchestra a 10. Ha studiato con Valery Gradov, Saschko Gawriloff e

Herman Krebbers. Considerato tra i più importanti violinisti della sua

generazione, ha suonato con tutte le maggiori orchestre del mondo

collaborando con direttori d’orchestra di primo piano. I suoi numerosi

impegni concertistici lo portano in tutte le più importanti sedi di concerti

e festival musicali internazionali in Europa, Stati Uniti, Asia, Sud America

e Australia.

Tra gli impegni della stagione 2019/20 si segnalano i concerti con i

Berliner Philharmoniker e la Swedish Radio Symphony Orchestra diretti

da Daniel Harding, Tonhalle Orchester Zürich e Christoph von Dohnanyi,

NDR Elbphilharmonie Orchester e Alan Gilbert, Orchestre de Paris e

Lahav Shani, Wiener Symphoniker e François-Xavier Roth, Bamberger

Symphoniker e Jakub Hrůša, Helsinki Philharmonic Orchestra e Susanna

Mälkki e Shanghai Symphony e Hong Kong Philharmonic Orchestra

diretti da Long Yu. Con Martin Helmchen è stato protagonista del ciclo

“Beethoven Sonatas” con concerti a Bruxelles e Madrid, e ai festival di

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Bad Kissingen, Rheingau e Schleswig-Holstein.

Appassionato camerista ha formato con Antoine Tamestit e Christian

Poltéra il Trio Zimmermann che si esibisce in tutti i maggiori centri

musicali e festival europei. Si dedica anche con particolare attenzione

al repertorio contemporaneo con prime esecuzioni mondiali di Magnus

Lindberg, Matthias Pintscher, Brett Dean e Augusta Read Thomas.

Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra cui il Premio

dell’Accademia Chigiana di Siena.

Frank Peter Zimmermann ha una discografia molto ampia che ha

meritato premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Le più recenti uscite

includono i Concerti per violino di Bach (Berliner Barock Solisten),

Šostakovič (NDR Elbphilharmonie Orchester e Alan Gilbert) e Mozart

(Kammerorchester des Bayerischen Rundfunks).

Suona il violino Antonio Stradivari “Lady Inchiquin” del 1711 per gentile

concessione della Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf,

“Kunst im Landesbesitz”.

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Jan Vogler violoncello

La brillante carriera di Jan Vogler lo ha portato a collaborare con

rinomati direttori e orchestre di fama internazionale in tutto il mondo.

In qualità di solista ricordiamo i concerti con la New York Philharmonic

a New York e a Dresda per l’inaugurazione della ricostruita Dresdner

Frauenkirche nel 2005, con le orchestre sinfoniche di Chicago, Boston,

Pittsburgh e Montreal, Orchestra del Teatro Mariinskij, Sächsische

Staatskapelle Dresden, City of Birmingham Symphony Orchestra,

Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, Wiener Symphoniker,

Münchner Philharmoniker e The Knights in collaborazione con direttori

quali Andris Nelsons, Fabio Luisi, Sir Antonio Pappano, Valery Gergiev,

Thomas Hengelbrock, Manfred Honeck e Kent Nagano.

Nella stagione 2019/20 Jan Vogler ha in programma concerti con la

London Philharmonic Orchestra e Vladimir Jurowski, WDR Symphony

Orchestra e Christian Macelaru, Orchestra della Komische Oper Berlin

e Alondra de la Parra. Con la BBC Philharmonic Orchestra e Omer Meir

Wellber sarà protagonista di una tournée in Inghilterra e Germania con i

Concerti di Schnittke e Dvořák.

Accanto al repertorio classico, si dedica al dialogo con compositori e

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artisti contemporanei: è stato protagonista di prime mondiali di opere di

Tigran Mansurian, John Harbison, Udo Zimmermann, Wolfgang Rihm,

Jörg Widman, Nico Muhly, Sven Helbig e Zhou-Long; con l’attore Bill

Murray ha dato vita al progetto “Bill Murray, Jan Vogler & Friends - New

Worlds” nel quale hanno esplorato l’inaspettato rapporto tra letteratura

e musica.

Dal 2008 è direttore del Dresden Musik Festival e, dal 2001, direttore

artistico del Moritzburg Festival.

Nel 2006 ha ricevuto il Premio Europeo per la Cultura, nel 2011 il

Premio Erich-Kästner per la tolleranza, l’umanità e la comprensione

internazionale e, nel 2018, il Premio Europeo per la Cultura TAURUS

quale direttore del Festival musicale di Dresda.

In ambito discografico Jan Vogler ha al suo attivo circa 20 CD per

l’etichetta Sony Classical tra cui ricordiamo le Suites per violoncello

solo di Bach e Concerto di Dvořák con la New York Philharmonic e

David Robertson. La sua più recente registrazione è “Songbook” in

collaborazione con il chitarrista finlandese Ismo Eskelinen.

Jan Vogler suona il violoncello Stradivari “Ex Castelbarco/Fau” del 1707.

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Enrico Pace pianoforte

Nato a Rimini, Enrico Pace ha studiato pianoforte al Conservatorio di

Pesaro con Franco Scala e all’Accademia Pianistica “Incontri con il

Maestro” di Imola. In seguito suo prezioso mentore è stato il didatta

belga Jacques de Tiège. Parallelamente si è dedicato anche agli studi di

composizione e direzione d’orchestra. Nel 1987 ha vinto il primo premio

al concorso internazionale “Yamaha” di Stresa e nel 1989 ha meritato il

primo premio al concorso internazionale “Franz Liszt” di Utrecht.

Da allora si è esibito in recital e in concerto nelle maggiori città

europee (Monaco di Baviera, Amsterdam, Utrecht, Dublino, Firenze,

Milano, Roma) ed è ospite regolare di numerosi festival quali Lucerna,

Salisburgo, Edimburgo, La Roque d’Anthéron, Rheingau e il Festival

pianistico di Brescia e Bergamo.

Molto apprezzato come solista, si esibisce con orchestre quali

Royal Orchestra del Concertgebouw, Filarmonica di Monaco, BBC

Philharmonic Orchestra, Orchestra Nazionale di Santa Cecilia di Roma,

MDR-Sinfonieorchester di Lipsia, Camerata Salzburg, Orchestra

Filarmonica di Varsavia collaborando con direttori quali Roberto Benzi,

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Gianandrea Noseda, Zoltán Kocsis, Kazimirz Kord, Mark Elder, Lawrence

Foster, Janos Fürst, David Robertson, Vassily Sinaisky, Stanislav

Skrowaczewski, Bruno Weil, Walter Weller e Antoni Wit.

Agli impegni solistici affianca un’intensa attività cameristica; ha

collaborato con il Quartetto Prometeo, il Quartetto Keller, la cornista

Marie Luise Neunecker la violinista Liza Fertschman, la clarinettista

Sharom Kam, il violoncellista Daniel Müller Schott e il baritono Matthias

Goerne, ospite dei festival cameristici di Delft, Risør, Kuhmo, Stresa e

Moritzburg.

Forma stabilmente un duo pianistico con Igor Roma. Dal 1997 suona in

duo con Frank Peter Zimmermann con concerti in Europa, Stati Uniti,

Estremo Oriente e Sud America. Per Sony Classical hanno inciso la

Sonata n. 2 di Busoni, le Sei Sonate per violino e pianoforte BWV 1014-

1019 di Bach e un CD dedicato a Hindemith.

Dal 2006 collabora stabilmente con Leonidas Kavakos con concerti

nelle principali città d’Europa e degli Stati Uniti. Il loro progetto di

esecuzione integrale delle Sonate di Beethoven, registrato per Decca,

ha meritato il Premio “Franco Abbiati” della Critica Musicale Italiana.

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Natalino Ricciardo corno

Natalino Riccardo si è diplomato al Conservatorio “Paganini” di Genova

con il massimo dei voti sotto la guida di Antonino Virtuoso.

Ha vinto i concorsi di primo corno al Teatro “San Carlo” di Napoli,

Orchestra RAI di Torino, Teatro ”Carlo Felice” di Genova.

Dopo le collaborazioni con l’Orchestra Giovanile Italiana, il Teatro

“San Carlo” di Napoli, l’Orchestra RAI di Torino e il Teatro “Carlo Felice”

di Genova, ha ricoperto il ruolo di primo corno presso l’Orchestre

de la Suisse Romande, Orchestra da Camera di Losanna, Orchestra

della Svizzera Italiana, Orchestra di “Santa Cecilia” a Roma, Sinfonietta

Cracovia, “La Fenice” a Venezia, Orchestra da Camera di Mantova.

Da più di trent’anni collabora come primo corno con il Teatro alla Scala

e con la Filarmonica della Scala. Invitato da Daniele Gatti, la prossima

estate sarà all’Accademia Chigiana come preparatore degli ottoni

dell’Orchestra Giovanile Italiana, e poi al Festival di Tsinandali in Georgia,

invitato da Gianandrea Noseda, come coach della sezione corni della

Pan-Caucasian Youth Orchestra. Attualmente è primo corno del Teatro

Regio di Torino, docente al Conservatorio di Torino e, da quest’anno,

anche al Conservatorio della Svizzera Italiana.

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È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video, anche con il cellulare.Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione. Si raccomanda di:• disattivare le suonerie dei telefoni e ogni altro apparecchio con dispositivi acustici• evitare colpi di tosse e fruscii del programma• non lasciare la sala fino al congedo dell’artistaIl programma è pubblicato sul nostro sito web il venerdi precedente il concerto.

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Paolo Arcà

CONSIGLIO DIRETTIVO

Ilaria Borletti Buitoni presidente, Francesca Moncada di Paternò vice presidente, Filippo Annunziata, Marco Bisceglia, Liliana Konigsman comitato esecutivoLodovico Barassi, Mario Bassani, Anna Calabro, Gianluigi Chiodaroli, Marco Magnifico Fracaro, Maria Majno, consiglieri

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