Tutti i Santi A 14

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2   Tutti i Santi Anno A SOLENNITA’ SOLENNITA’ DI DI TUTTI TUTTI I SANTI  SANTI LECTIO - ANNO A Prima lettura: Apocalisse 7,2-!"-# Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le iante, !nc"é non avremo imresso il sigillo sulla #ronte dei servi del nostro Dio$. E udii il numero di coloro c"e #urono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, rovenienti da ogni tri%& dei !gli d’'sraele. Doo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, c"e nessuno oteva contare, di ogni na(ione, tri%&, oolo e lingua.  T utti stavano in iedi davanti al trono e davanti all’Agnell o, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di alma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «)a salve((a aartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello$. E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli an(iani e ai quattro esseri viventi, e si inc"inarono con la #accia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen* )ode, gloria, saien(a, a(ione di gra(ie, onore, oten(a e #or(a al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen$. +no degli an(iani allora si rivolse a me e disse: «uesti, c"e sono vestiti di %ianco, c"i sono e da dove vengono-$. Gli risosi: «Signore mio, tu lo sai$. E lui: «Sono quelli c"e vengono dalla grande tri%ola(ione e c"e "anno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello$. D avv ero il san t o è m er ce r ara, com e qu al cu n o v a p es si m is t i cam ente dice n do ?  L a p ri m a l et tur a ri sp o n d e a b b at t en d o stati st i ch e t en d en t i al ri b asso . D o po l as o l en n e sceno gr a acel es te(cf. cap . 4) e l a m i g li o r e com p r ensi o n edel s en s o del l avi t a e del l ast o ri a g ra zi e al l ' i nt erv en t o d el l'A g n el lo(cf. ca p . 5), i n i zi a la p rog ressi v a apert u r a dei set te si g i l l i ch e ren d ev ano n o r ai n ac cessi b i l e i l l i b ro(cf. ca p . 6). L ast o ri a è str i at a d i san gu e e d i s o er en za, m a n on a data ad u n cieco d es ti n o d i m ort e. C ol oro che st an n odal l a p ar t e d i D i oe d el l' A g n el l on o n s o n o ri sp ar m iati dal l a so er en za e n ep p u re dall a mo r te sica, son o p erò ri sp arm i at i d al l a d istruzio n e t o tal e e d al l' an n i en t am en t o . L a loro vi t a n on cad e n el l' o b l i o , p erch é a cco l t a e tr as g u r at a. T r e t ap p escan d i sc o noil b r an o : i l si g i l l oim p r ess o al gru p p o d ei 144.000(vv. 2-4), i l g ru p po i n tern az i o n al e d ei sal v at i ( v v. 9-12) e lal o roi d en t ità( v v. 13 - 14). A l l'i n i zi o v i en e ritardatol'i n t er ven to p u n i t i vo d ei4 an gel i , p erp er m etter e a un q u i n t o d is eg narei l n u merod eg l i el et t i . R i el ab o r an d o u n ascenadel p r o fet a E zechi el e ( cf . Ez8-10), l'au t o r e

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Lectio divina

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proclama la salvezza che raggiunge il resto di Israele, computato in 144.000, cioè 12.000 pertribù (elencate nei vv. 5-8, tralasciati dal testo liturgico). Il numero, più qualitativo chequantitativo, viene dal prodotto di 12 (numero delle tribù di Israele), per 12 (numero degliapostoli, continuatori dell'antico popolo ma anche fondamento del nuovo), per 1.000(numero di grandezza divina); esso designa una grande quantità di salvati provenienti dalgiudaismo. (Per alcuni autori — per esempio Prigent — si tratterebbe dei cristiani nellaloro totalità; Ap 14,3 ripropone il numero e parla di «i redenti della terra»).Distinto dal precedente si pone un altro gruppo, questa volta internazionale,

impossibile a quantificarsi perché «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare». Alcuneprecisazioni valgono per una loro prima identificazione (cf. v. 9: stanno in piedi, perchésono vivi come l'Agnello con il quale sono posti in relazione (gli stanno davanti),indossano vesti bianche (colore che li accomuna al mondo del divino e in modo particolarealla risurrezione di Cristo) e reggono delle palme (segno che condividono con Lui lavittoria sul male e godono della pienezza della vita); in seguito saranno identificati conmaggior precisione. Di loro viene riferito il canto celebrativo che accomuna Dio e Agnello,segno evidente di una perfetta comunione esistente tra i due esseri, cui viene attribuito ilmerito della salvezza. Alla celebrazione si associa praticamente tutta la corte celeste in unadossologia che comprende 7 titoli (numero della pienezza). Infine, l'espediente delladomanda del vegliardo, elemento tipico del genere letterario apocalittico, favorisce lapiena decodificazione dei salvati: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e chehanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (v. 14). I salvati sono

pertanto coloro che traggono origine (ieri, oggi e sempre) dalla morte redentrice di Gesù(la « grande tribolazione»). Sono i santi che partecipano ora alla liturgia celeste, condividendouna vita di piena comunione, dopo aver partecipato, durante la vita mortale, alla passionedi Cristo.

Seco$%a lettura: # &io'a$$i (,#-(

Carissimi, vedete quale grande amore ci "a dato il adre er essere

c"iamati !gli di Dio, e lo siamo realmente* er questo il mondo non ciconosce: erc"é non "a conosciuto lui. /arissimi, noi !n d’ora siamo !glidi Dio, ma ciò c"e saremo non 0 stato ancora rivelato. Saiamo eròc"e quando egli si sar1 mani#estato, noi saremo simili a lui, erc"é lovedremo cos2 come egli 0. /"iunque "a questa seran(a in lui, uri!case stesso, come egli 0 uro.

La santità è amore. La lettera che celebra l'amore di Dio e dell'uomo ci propone la fonte

dell'amore e, di conseguenza, la fonte della santità.

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I vv. 1-2 sono il canto entusiastico della comunità che si scopre già fin d'ora figlia delPadre che sta nei cieli:«quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e losiamo realmente!». Il testo non parla di Cristo, ma di lui hanno trattato i due capitoliprecedenti e non si dà amore del Padre se non in Cristo. Il legame a lui stacca e isola lacomunità dal mondo, qui inteso come la realtà negativa che si oppone a Dio; il mondo èprincipio di non-amore, di non-santità. Esiste quindi una incompatibilità radicale, perché icredenti sono abilitati ad una dignità di figli che li nobilita. L'amore divino è realtà chepreviene e che investe l'uomo, recandogli un dono inatteso e impensabile. Dio è sorgentedell'amore e quindi di ogni santità che è nell'uomo il riflesso di Dio. Se i vv. 1-2 suscitano ealimentano la nostalgia della santità, ad un impegno personalizzato sollecita il versettosuccessivo.Infatti, proprio alla possibilità di rendere efficace tale riflesso, pensa il v. 3 che completa

il quadro indicando l'impegno della comunità per rispondere al dono divino. Così dallacontemplazione stupita ed ammirata di quello che Dio è e fa, si passa alla collaborazionedell'uomo che accoglie responsabilmente il dono. Uno strumento privilegiato diaccoglienza è la continua purificazione, atteggiamento di conversione necessario perlasciarsi invadere da Dio: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro» (v. 3). Al gloriarsi della propria dignità di figli ricevuta in dono, seguel'adeguamento che è lo sforzo continuo fatto di piccole trasformazioni. Conversione èl'imperativo affidato all'uomo, dopo che gli è stato comunicato l'indicativo (realtà) dellasua condizione di figlio: «purificare se stesso» vuole dire rendersi pronti alla sequela di

Cristo, andare con lui incontro al Padre. Adottato questo principio di vita, si capisce ilseguito, non registrato dalla lettura odierna, del cristiano che non pecca, ovviamenteperché si sviluppa in lui quel «germe divino» (v. 9) che è il principio di santità, la vitastessa di Dio, che lo rende figlio nel Figlio.

)a$*elo: +atteo ,#-#2a

 

In quel temo, vedendo le #olle, Ges& sal2 sul monte: si ose a sederee si avvicinarono a lui i suoi disceoli. Si mise a arlare e insegnava lorodicendo: «3eati i overi in sirito, erc"é di essi 0 il regno dei cieli. 3eatiquelli c"e sono nel ianto, erc"é saranno consolati. 3eati i miti, erc"éavranno in eredit1 la terra. 3eati quelli c"e "anno #ame e sete dellagiusti(ia, erc"é saranno sa(iati. 3eati i misericordiosi, erc"étroveranno misericordia. 3eati i uri di cuore, erc"é vedranno Dio.3eati gli oeratori di ace, erc"é saranno c"iamati !gli di Dio. 3eati ierseguitati er la giusti(ia, erc"é di essi 0 il regno dei cieli. 3eati voiquando vi insulteranno, vi erseguiteranno e, mentendo, diranno ogni

sorta di male contro di voi er causa mia. 4allegratevi ed esultate,erc"é grande 0 la vostra ricomensa nei cieli$.

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Ese*esiIl brano delle beatitudini elettrizza la odierna liturgia della parola. Esso inaugura il

discorso del monte, il primo dei cinque grandi discorsi che strutturano il vangelo diMatteo. È la prima parte del primo discorso, cioè l'intonazione di tutte le parole di Gesù. Sicomprende subito l'importanza attribuita dall'evangelista a questo proclama, chiamatosenza troppa enfasi lamagna charta, del cristianesimo. Lo potremmo quindi intendere comeil suo manifesto, la sua carta costituzionale. E come in ogni stato la Costituzione èl'elemento sorgivo e strutturante delle varie componenti, una stella polare cui fare sempreriferimento, così il brano delle beatitudini caratterizza lo statuto cristiano. Il richiamo adesso dovrà essere continuo e costante per non smarrire mai la bussola della propriaidentità. L'evangelista Matteo prepara il lettore con una concentrazione di particolari: è

sulla montagna che Gesù presenta il suo pensiero, esattamente come Mosè aveva ricevuto ledisposizioni divine sul monte Sinai; Gesùsi pone a sedere assumendo l'atteggiamentodell'autorità che legifera; attorno stail gruppo dei discepoli che non ricevono unainformazione o una comunicazione, ma un insegnamento che dovrà poi trasformarsi invita vissuta (cf. Mt 5,1.2).Se già la presentazione era solenne, l'impressione di maestosa autorevolezza promana

ora dal messaggio, ritmato da una serie di «beati». Il termine 'felice' 'beato' (makàrios ingreco, da cui il nome proprio Macario e il termine 'macarismo' per indicare la beatitudineo

felicità) si trova 50 volte nel NT, ma collegato in forma litania compare solo nel nostro brano e nel passo parallelo di Luca che crea il contrasto tra 4 beatitudini e 4 guai (cf. Lc6,20-26). Proclamando le beatitudini, Gesù riprende in parte lo stile dell'AT: sono dichiaratifelici gli uomini che vivono secondo le regole dettate dalla sapienza (cf. Sir 25,7-10); neisalmi è proclamato beato l'uomo che teme (= ama) il Signore, dimostrando tale amore conl'osservanza della sua volontà espressa nella sua legge (cf. Sal 128,1; 1,1). Difficilmente sitrovano due beatitudini insieme e mai sono ad esse associati i guai come nellacombinazione di Luca.Nel giudaismo di poco anteriore a Gesù è dato trovare, come nel nostro caso, la

presenza di una sequenza di beatitudini e anche la loro combinazione con i 'guai': questi sispiegano forse per la viva speranza dei tempi ultimi. Sempre in tale contesto si incontra ildiscorso diretto («voi»), sconosciuto all'AT e presente in Mt 5,11. A differenza dell'AT, nonci sono frasi secondarie che specificano le beatitudini.Pur con qualche somiglianza letteraria con l'AT e con il giudaismo, possiamo affermare

l'originalità della presentazione di Matteo. Troviamo infatti due gruppi di quattro beatitudini che si corrispondono anche nel numero delle parole. Nel primo gruppo sipresenta per lo più una condizione di sofferenza, nel secondo un determinatocomportamento. I vv. 11-12 sono diversi: in essi compare il discorso diretto e forse sono

una rielaborazione redazionale in forma di beatitudine di un detto di Gesù. Dobbiamosenz'altro riconoscerela novità assoluta e senza precedenti del contenuto. Diversamente dalla

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prospettiva della letteratura sapienziale che additava una salvezza futura e terrena. Gesùannuncia una salvezza presente e senza restrizioni: tutti hanno accesso alla felicità, acondizione che siano legati a lui. Sganciati da lui, le beatitudini non hanno senso. È lui adinserire coloro che lo seguono nella condizione di cittadini del regno, di figli di Dio.Le beatitudini sono piccole frasi che si intrecciano come una litania per proclamare una

felicità davvero strana: «Beati i poveri in spirito... beati gli afflitti...». Dopo averle ascoltate,non sarà difficile essere presi da unoshock. Proclamare la felicità dei poveri, degli affamati,dei perseguitati sembra una evidente e sconcertante falsità che cozza contro la piùelementare esperienza. Sarebbe come dichiarare che la loro disgrazia vale una benedizione: da qui alla mistificazione il passo è breve, perché sembra una buonasoluzione per mantenere le cose allo stato di fissità, senza tentarne un miglioramento.L'accusa di conservatorismo arriva subito e facilmente. Si potrebbe aggiungere pure lavolontà di sottrarre l'uomo alle responsabilità e agli impegni che lo ancorano al presente.Così, ad una prima reazione, il proclama delle beatitudini diventa il manifesto di unamortificante sclerosi che certo non onora Dio e che impoverisce l'uomo. Sotto la bandieradi un sublime ideale si fa passare un ordine invertito di valori umani.Che cosa possiamo rispondere?Lebeatitudini sono proclamate da Gesù che annuncia solo quello che vive. Sarebbe

sorprendente che un uomo che tutti riconoscono di una inimitabile coerenza abbia iniziatola sua predicazione (così in Matteo) con un clamorosobluff. Le beatitudini sono il prismache rinfrange non solo l'attitudine, ma anche i veri atteggiamenti di Lui.

La prima cosa da sapere e da imparare consiste nella convinzione che la felicità attingeal mondo interiore. La felicità nasce dall'anima stessa; non si trova per strada, non sicompra né si vende. Essa è un'attitudine interiore che risveglia un comportamento visibile.Le beatitudini sono un appello a cambiare vita e prima ancora a modificare sensibilmentela propria mentalità. E questo avviene orientandosi verso Dio: ecco la realtà del «regno deicieli» che apre la prima e la più importante delle beatitudini; ecco il passivo divino «sarannoconsolati» che andrebbe reso meglio «Dio li consolerà», mostrando anche nella traduzioneche la fonte della consolazione è Dio stesso. Così di seguito, tutto rimanda a Dio.La forza sta tutta qui: Gesù annuncia quello che egli vive. In lui si riscontra identità tra

messaggio e messaggero, tra il dire, l'agire e l'essere. Il segreto dell'efficacia della suamissione sta nella totale identificazione col messaggio che annuncia: egli proclama la'buona novella' non solo con quello che dice o fa, ma con quello che è. Ed egli è in perfettacomunione con il Padre, di cui esegue pienamente la volontà. Allora anche le difficoltà (odisgrazie) che accompagnano e segnano inesorabilmente la vita di ogni uomo, assumonoun significato diverso prendono senso perché integrate in una vita che parte da Dio e che aLui arriva. Questa è la santità.

+e%itaio$e

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Nella celebrazione di tutti i santi la Chiesa ascolta la promessa di Dio che la chiama apartecipare della sua stessa santità, e ricorda, che tale è la vocazione di ogni battezzato. Sela liturgia ci fa fare oggi memoria di tutti i santi nel loro insieme, non è tanto per lapreoccupazione di dimenticarne qualcuno, o per integrare il numero di coloro chevengono ricordati nelle singole celebrazioni durante l'anno liturgico, quanto per affermareil carattere universale della chiamata alla santità. I santi sono come «primizie per Dio e perl'Agnello» (Ap 14,4): in essi è già santificato l'intero genere umano insieme a tutta lacreazione. Il brano dell'Apocalisse che oggi viene proclamato, tratto dal capitolo settimo,afferma che il loro numero è sterminato: secondo la simbologia biblicacentoquarantaquattromila non in-dica un limite, ma una pienezza e una totalità. Finché ilsigillo di Dio non è impresso sulla loro fronte la terra e il mare non possono esseredevastati, come a indicare che la loro vita diviene sacramento di salvezza e di redenzioneper il cosmo intero.Se la liturgia ci offre di contemplare la loro vita e il loro destino, non è tanto per offrirci

dei modelli da imitare, quanto per condurci a riconoscere la multiforme grazia con cui Diovisita e trasfigura la nostra storia. «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, eall'Agnello» (Ap 7,10), grida la moltitudine immensa. La santità dei redenti ètestimonianza non delle loro virtù o delle loro qualità, ma dell'essere stati salvatidall'amore di Dio, che ci rende realmente suoi figli chiamandoci sin d'ora a quellasomiglianza con il suo volto che si attuerà in modo pieno e definitivo quando «egli si saràmanifestato e noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (cfr. 1Gv 3,1-2).

Nella loro esemplarità, i santi non esigono una memoria ripetitiva di ciò che hanno fatto evissuto, che spessoè inimitabile avendo il sapore dell'unicità, o comunque rimane legato a contesti storici edecclesiali che non sono più i nostri; piuttosto la loro testimonianza deve suscitare neicredenti lo stupore e la gratitudine per quanto il Signore ha compiuto nel passato, e l'attesaconfidente che torni a operarlo nell'oggi della vita personale e della storia del mondo, percondurli a un futuro di compimento.Anche il brano evangelico mette in luce come sia l'agire di Dio a rivelarsi nel volto dei

 beati. Le beatitudini, prima ancora che essere descrizione di un modo di essere dell'uomo

davanti a Dio, sono rivelazione di come Dio si rapporti con gli uomini e manifesti in loro la bellezza della sua opera. Il genere letterario della beatitudine non è esclusivo del NuovoTestamento; è molto frequente nel Primo Testamento, in particolare la letteraturasapienziale è zeppa di beatitudini. Tuttavia, nella maggior parte dei casi le beatitudini cheleggiamo nelle Scritture sante sono articolate in due parti; c'è dapprima l'annuncio dellagioia, espressa con il termine «beato/beati», al quale segue una seconda parte che descrivela situazione o l'atteggiamento che vengono proclamati tali. Invece, le beatitudini che Gesùproclama dall'alto del monte non sono in due, ma in tre parti. Dopo l'annuncio della beatitudine, vengono descritti i suoi destinatari - i poveri, gli afflitti, i miti, gli affamati di

giustizia... -; infine c'è una terza parte, quella fondamentale, nella quale Gesù mostra sucosa si fonda la loro gioia. E questa terza parte, introdotta da un perché, fa sempreriferimento a un'azione di Dio, che viene promessa ed è certa, perché Dio sicuramente la

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compirà. Dietro tutti i passivi che ritmano il testo possiamo facilmente intravedere comesia Dio il soggetto di ogni azione: beati i poveri in spirito, perché a loro Dio donerà il suoregno; beati gli afflitti, perché Dio li consolerà; beati i miti, perché proprio a costoro Diolascerà in eredità la terra; beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché Dio lisazierà... Appare evidente che la ragione della beatitudine non riposa nelle condizioniesistenziali che l'uomo vive, o nei possibili atteggiamenti che è invitato ad assumere. Anzi,queste situazioni sono tutt'altro che benedette; sono condizioni di povertà, di indigenza,addirittura di persecuzione. La motivazione della gioia sta nel fatto che Dio si colloca dallaloro parte, prende le loro difese, custodirà e riscatterà il loro diritto ingiustamente offeso;agirà, anzi già agisce in loro favore. Le beatitudini di Gesù sono quindi anzitutto unarivelazione di Dio, narrano il suo modo di agire nella storia, proclamano un amore che, perquanto universale, è comunque attraversato da una predilezione, che raggiunge tutticoloro che hanno bisogno di qualcuno che si curvi sul loro bisogno, prenda le loro difese,si faccia carico del loro diritto ingiustamente offeso, sazi il loro giusto desiderio di vita. Dicostoro è il regno dei cieli, e il regno è questo curvarsi di Dio sul bisogno dell'uomo.La gioia si fonda dunque sul terzo elemento, che descrive ciò che Dio certamente farà. Si

ancora a questa speranza, che è tale perché ha la forza di trasformare anche il nostropresente consentendoci di rileggerlo nella luce del futuro di Dio. Infatti, questo 'beati'proclamato da Gesù non è un semplice augurio, o una benedizione per il futuro, neppuresemplicemente una promessa. È piuttosto una constatazione nel presente: siete beati ora,nell'oggi della vostra vita, anche se il fondamento di questa felicità riposa nel futuro, ma si

tratta del futuro di Dio, non del futuro dell'uomo. Affermare che è il futuro di Dio non si-gnifica solo riconoscere che è un futuro certo, perché Dio è fedele alla sua parola e attua lasua promessa; significa anche riconoscere che è un futuro capace di dare un significatodiverso a ciò che ora sto vivendo. È un futuro indisponibile per la mia libertà e per la miapossibilità, non sono io a poterlo progettare o costruire con le mie mani o con la miafantasia, ma viene da Dio, mi è donato, ed è pertanto in grado di dare un senso diverso almio presente. Benedetto XVI afferma nella sua enciclicaSpes salvi che il messaggiocristiano non è solo 'informativo', ma 'performativo'. Ciò significa - spiega il papa - che «ilVangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una

comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, èstata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (n.3). I santi sono coloro che hanno saputo scommettere tutta la propria esistenza su questofuturo di Dio e nella speranza hanno ricevuto il dono di una vita nuova, che la loro libertàha saputo accogliere e far fruttificare.Le beatitudini che proclama Gesù sono otto, ma esse non delineano otto figure diverse

di uomini e di donne, ma disegnano un'unica figura, una sola personalità spirituale, ununico modo di essere e di agire. Potremmo dire che questa unica personalità è Gesù Cristo,al quale il discepolo del Regno deve diventare sempre più simile. Il vero uomo delle

 beatitudini è Gesù Cristo. Ciò significa anche che l'unica personalità o figura spirituale chele beatitudini ci descrivono è quella del povero in spirito, di cui ci parla la prima beatitudine. È la prima non perché all'inizio di una serie, ma perché è la beatitudine

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fondamentale, e tutte le altre che seguono esplicitano vari aspetti in cui l'essere poveri inspirito si manifesta più concretamente. I poveri in spirito sono poveridavanti a Dio,vivendo la loro po-vertà nella dipendenza da Dio, attendendo tutto dalle sue mani e dalsuo dono. Non sperano solo qualcosa, ma sperano Lui. Povero in spirito è Gesù chenell'evangelo di Matteo può dire: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio» (11,27). Povero èchi sa di dover ricevere tutto dalle mani di Dio e riconosce che la propria vita dipendedalle relazione con il Padre. Il santo «è colui che ha misurato nella povertà sua la smisuratadistanza che lo separa dalla santità di Dio. E di fronte ad essa sente la propria indigenza, ilproprio limite e tende sempre la mano vuota affinché Dio, come cantiamo a proposito diMaria, la riempia dei suoi beni» (C. Massa).

Pre*.iere e /acco$ti

La santità è sempre giovane

«Cari amici, la Chiesa oggi guarda a voi con fiducia e attende che diventiate il popolodelle beatitudini”. “Beati voi, afferma il papa, se sarete come Gesù poveri in spirito, buonie misericordiosi; se saprete cercare ciò che è giusto e retto; se sarete puri di cuore, operatoridi pace, amanti e servitori dei poveri. Beati voi!”. E’ questo il cammino percorrendo ilquale, dice il papa vecchio ma ancora giovane, si può conquistare la gioia, “quella vera!”, etrovare la felicità. Un cammino da percorrere ora, subito, con tutto l’entusiasmo che ètipico degli anni giovanili: “Non aspettate di avere più anni per avventurarvi sulla via

della santità! La santità è sempre giovane, così come eterna è la giovinezza di Dio.Comunicate a tutti la bellezza dell'incontro con Dio che dà senso alla vostra vita. Nellaricerca della giustizia, nella promozione della pace, nell'impegno di fratellanza e disolidarietà non siate secondi a nessuno!”.“Quello che voi erediterete”, continua il papa in quelle che sono parole sempre attuali,

“è un mondo che ha un disperato bisogno di un rinnovato senso di fratellanza e disolidarietà umana. È un mondo che necessita di essere toccato e guarito dalla bellezza edalla ricchezza dell'amore di Dio. Il mondo odierno ha bisogno di testimoni diquell'amore. Ha bisogno che voi siate il sale della terra e la luce del mondo. (…) Nei

momenti difficili della storia della Chiesa il dovere della santità diviene ancor più urgente.E la santità non è questione di età. La santità è vivere nello Spirito Santo”.Una scelta di vita, una scelta che dà senso, una scelta per vivere e testimoniare ciò che

ogni cristiano sa: “Solo Cristo è la ‘pietra angolare’ su cui è possibile costruire saldamentel'edificio della propria esistenza. Solo Cristo, conosciuto, contemplato e amato, è l'amicofedele che non delude”.(Giovanni Paolo II, a Toronto, nella la GMG 2002).

Ciò che ho scritto di noi

Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugiaè la mia nostalgia cresciuta sul ramo inaccessibile

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è la mia sete tirata su dal pozzo dei miei sogniè il disegno tracciato su un raggio di soleciò che ho scritto di noi è tutta veritàè la tua graziacesta colma di frutti rovesciata sull'erbaè la tua assenzaquando divento l'ultima luce all'ultimo angolo della viaè la mia gelosiaquando corro di notte fra i treni con gli occhi bendatiè la mia felicitàfiume soleggiato che irrompe sulle digheciò che ho scritto di noiè tutta una bugiaciò che ho scritto di noi è tutta verità.(Nazim Hikmet)

Le beatitudini bibliche

Fra i dieci gruppi in cui si possono distribuire e raccogliere le diverse beatitudini bibliche, uno solo riguarda il possesso dei beni materiali. È la beatitudine di un padre che,per merito della fecondità della moglie, si trova provvisto di un certo numero di figli, sanie robusti, e che, perciò, passa onorato e riverito tra la gente della sua città. Ma altre

 beatitudini di ordine materiale non esistono. Né i ricchi, né i potenti, dominatori, eroi, né,molto meno, i gaudenti, fecero parte, direttamente, per le beatitudini bibliche, del numerodei beati. Anche la ricchezza, certamente, rientrò nella visione biblica antico-testamentaria,tra i beni desiderabili per la vita di ogni uomo. La povertà e l'indigenza non ebbero mai buona accoglienza. A differenza, però, delle beatitudini sia egiziane che greche, le beatitudini bibliche non credettero mai che la ricchezza, da sola, bastasse a dare felicità. Eneppure, quindi, la gloria, la potenza, il prestigio.Anche questi, certamente, apparvero e furono stimati beni altamente desiderabili. Ma

non vennero ritenuti affatto costitutivi della felicità umana. Furono cioè dei beni

integrativi, ma non costitutivi.Servendoci, quindi, di questa distinzione fra beni costitutivi e beni integrativi, l'unicogrande bene costitutivo non fu, in realtà, secondo nove dei dieci gruppi di beatitudini, cheDio; ovvero, meglio, il possesso, da parte dell'uomo, di tutti gli atteggiamenti più genuini eautentici verso la realtà divina: la fede in un unico Dio (gruppo I); piena confidenza esperanza nella sua azione salvifica (II); rispetto profondo, timore e amore (III); umileconfessione delle proprie colpe e desiderio di perdono (IV); stima e attiva partecipazioneall'incremento del culto e la liturgia del tempio (V); attento sguardo sapienziale e attentoascolto alla presenza di Dio nel mondo e nella storia (VI); stima della Legge come riflesso e

testimonianza della manifestazione dell'azione salvifica di Dio (VII); rispettoso

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comportamento verso l'ordine della giustizia (VIII); e, infine, umile accettazione anche diuna qualche menomazione fisica, di uno stato di sofferenza (X).Siamo, quindi, come si vede, di fronte a un complesso di atteggiamenti religiosi, per i

quali l'uomo, consapevole delle sue incapacità, limitatezze, non si chiude orgogliosamentein se stesso, ma riconosce che solo in Dio trova la sua completezza.(A. MATTIOLI,Beatitudini e felicità nella Bibbia d'Israele, Prato, 1992, 542s.).

Il paese della felicità

Se la felicità si trovasse anche solo nel paese più lontano e il viaggio per raggiungerlocomportasse i più grandi rischi e potesse essere intrapreso solo a prezzo dei peggiorisacrifici, partiremmo comunque subito.

Perché sarebbe in ogni caso più facile raggiungerla là che non nell'unico posto dove sitrova davvero, il posto che è più vicino del paese più vicino eppure è più lontano del paesepiù lontano, perché questo posto non si trova fuori, ma dentro di noi.(Thorkild Hansen)

Perché dovrei aiutare soprattutto i deboli?

Friedrich Nietzsche ha rimproverato al cristianesimo di glorificare la dimensione delladebolezza e di condannare la dimensione della forza. Il cristianesimo sarebbe diventato,

quindi, una religione dei gretti, nella quale la forza non ha posto e dalla quale lepersonalità forti si sentono respinte. Anche se Nietzsche esagera nella sua critica alcristianesimo, ha sottolineato tuttavia un aspetto importante: il cristianesimo non puòdiventare una religione della debolezza, altrimenti alla lunga non può dispiegare nessunaforza in questo mondo.San Benedetto lo sapeva. Ammonisce l’abate a trattare i confratelli in modo tale che i

forti vengano sollecitati e i deboli non vengano umiliati. Questa è per me una regolafondamentale e saggia. I forti hanno bisogno di una sfida per crescere e mettere i loropunti forti al servizio della comunità. Una comunità che glorifichi i deboli può togliere il

respiro anche ai forti. In questo modo danneggerebbe se stessa. C’è bisogno di un buonequilibrio fra forti e deboli. Entrambi dovrebbero essere sfidati e dovrebbero poter viverenella comunità in modo tale da crescere in essa.(Anselm GRÜN,Il libro delle risposte, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2008, 145).

Posso vivere basandomi sui valori e tuttavia avere successo?

I valori ci conferiscono valore e dignità. La vita di chi fa attenzione ai valori nella suasfera personale acquisterà valore. Chi non si orienta più ai valori perde il rispetto per sestesso e per gli altri. La sua vita avrà sempre meno valore. Lo tirerà giù. La parola “valore”

viene dal latinovalere, che significa “essere forte e sano”. I valori ci danno, quindi, unaforza interiore. Rendono sana la nostra vita. Se costruisco sui valori, quello che creo con la

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mia vita avrà un fondamento solido. Non crollerà con facilità, come si può osservare con lepersone che costruiscono la loro casa di vita sulla sabbia delle loro illusioni o delleimmagini ingannevoli. Alla lunga può resistere solo chi costruisce la sua casa su un terrenosolido. E tale terreno solido sono i valori o gli atteggiamenti fondati sui valori, le virtù notefin dall’antichità: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, e gli atteggiamenti cristianicome la fede, la speranza e la carità. Solo che rende giustizia alla propria essenza e chirimane fedele con coraggio a quello che è importante per lui, chi accetta la propriadimensione e non segue continuamente esigenze smisurate, solo chi è saggio e valutacorrettamente la situazione concreta, potrà vivere bene a lungo. E a lungo termine avràanche successo nella vita.(Anselm GRÜN,Il libro delle risposte, San paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2008, 149).

Preghiera

Signore Gesù Cristo,custodisci questi giovani nel tuo amore.Fa' che odano la tua vocee credano a ciò che tu dici,poiché tu solo hai parole di vita eterna.Insegna loro come professare la propria fede,come donare il proprio amore,come comunicare la propria speranza agli altri.

Rendili testimoni convincenti del tuo Vangelo,in un mondo che ha tanto bisognodella tua grazia che salva.Fa' di loro il nuovo popolo delle Beatitudini,perché siano sale della terra e luce del mondoall'inizio del terzo millennio cristiano.Maria, Madre della Chiesa, proteggi e guidaquesti giovani uomini e giovani donnedel ventunesimo secolo.

Tienili tutti stretti al tuo materno cuore. Amen.(Preghiera del Papa, al termine della Giornata della Gioventù diToronto).

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio,ci siamo serviti di:-Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 1997-1998; 2002-2003; 2005-2006.

-COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA,La voce, il volto, la casa e le strade.Tempo ordinario – Parte seconda,Milano, Vita e Pensiero, 2010.

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-La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.- C.M. MARTINI,Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo,San Paolo, 2009.- @lleluia 3/C. Animazione liturgica e messalino,Leumann, Elle Di Ci Multimedia, 2009.