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11 Ottobre 1962 CONCILIO VATICANO II

...centinaia

di guerre nel

mondo con

armamenti

sempre più costosi

Comunismo e anticomunismo LA PACE … e la giustizia?

DUE GUERRE

MONDIALI

IL dio

PETROLIO

E LE NUOVE

GUERRE

LA FEDE

LA CUSTODIA

DEL CREATO

LA CH

IESA D

EL

GR

EMB

IULE

FAMIGLIA DIVORZIO

CONTROLLO DELLE NASCITE

PAESI RICCHI E PAESI POVERI:

LA FAME E LA SETE

LAICITA’ E LAICI

EVANGELIZZAZIONE E NUOVA

EVANGELIZZAZIONE

LE COMUNICA-

ZIONI SOCIALI

DIALO

GO

ECU

MEN

ICO

E

INTE

RRELIG

IOSO

I PRETI

OPERAI

11 Ottobre 2012

SOMMARIO

Tu ami tutte le tue creature, Signore 1-2

La Quaresima nella storia 3

Alla ricerca della “boccata d’aria” 4

“Quel che il Signore esige da noi” 5

L’universo, divina creazione 6-7

Che cosa è la fede 7

Quella porticina d’oro spalancata su un sogno 8

S ono le parole con le quali la liturgia

apre la celebrazione eucaristica delle Cene-ri: vogliamo lasciarci guidare da esse in una rilettura del percorso Quaresimale che ci ap-prestiamo a vivere.

La prima cosa che la liturgia ci mette da-vanti, dobbiamo am-metterlo, non è quella che ci viene in mente

(Continua a pagina 2)

Tu ami tutte le tue creature,

Signore, e nulla disprezzi di ciò che hai creato

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quando parliamo di Quaresima: noi pensiamo subito alla penitenza, alle rinunce, forse (dico forse) a una confessione in più. Troppo spesso rischiamo di vivere questo tempo con animo cupo, come una tassa da pagare per arrivare alla Pasqua. È per questo che la li-turgia ci smentisce fin dall’inizio: al centro della Quaresima c’è, come sempre, l’amore di Dio. Come sentiremo ripetere negli scritti profetici che leggeremo lungo queste dome-niche, si tratta di un momento favorevole (2 Cor 6,2), un dono di Dio che ci permette di riscoprire la sua misericordia e ce ne fa par-tecipi.

Vista in quest’ottica, la penitenza quaresi-male non rimane una mor-tificazione fine a se stes-sa, ma si apre all’amore del prossimo, come ci in-segna il papa. Nel messag-gio per la Quaresima di quest’anno Benedetto XVI sottolinea come essa sia il tempo opportuno in cui guardare al rapporto tra il nostro credere e il nostro operare: “la celebrazione della Quaresima, nel con-testo dell’Anno della Fe-de, ci offre una preziosa occasione per meditare sul rapporto tra fede e carità”. Dalla nostra fede nel Dio che ci ama, dice il papa, non può che scatu-rire la spinta ad amare: “Quando noi lascia-mo spazio all’amore di Dio, siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprir-ci al suo amore significa lasciare che Egli vi-va in noi e ci porti ad amare con Lui, in Lui e come Lui; solo allora la nostra fede diventa veramente «operosa per mezzo della cari-tà» (Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12)”.

La Quaresima è allora un tempo per diventa-re simili a Dio, per imparare come Lui ad amare tutto e non disprezzare nulla di quello che ha creato. Come concretizzare nella no-stra vita comunitaria e personale questa in-dicazione? Una via semplice può essere quel-la di seguire i tre pilastri che indica il Vange-lo del Mercoledì delle Ceneri (Mt 6, 1-6.16-18): digiuno, preghiera ed elemosina.

Solo qualche domenica fa abbiamo letto l’in-no alla carità di Paolo: potrebbe diventare la traccia del nostro digiuno di quest’anno (cfr. 1 Cor 13, specie i versetti da 4 a 6). Se il di-

giuno del corpo è certamente una forma di disciplina che aiuta la preghiera, tuttavia ad esso deve accompagnarsi il digiuno dalle cat-tive azioni che spesso la Parola di Dio richia-ma. Sono chiamato ad astenermi non tanto dal cibo del corpo, quanto da quello che nu-tre il mio orgoglio, la mia realizzazione per-sonale a danno dell’altro, il mio desiderio di rivalsa.

Riguardo la preghiera, in quest’anno l’Arci-vescovo ha voluto legare la Quaresima ad un momento specifico del nostro percorso basa-to sulla veglia Pasquale, la liturgia della Pa-rola. Sia dunque la Parola il cibo che sazia quella fame stimolata dal digiuno: “per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane,

ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3; cfr. anche Lc 4,4). L’invito è a sfruttare al massimo tutti i momenti che la vita di comunità ci offre: non solo la messa domenicale, ma anche le catechesi liturgiche e i momenti di ritiro, per riscoprire come Dio ci parla, nutre la no-stra vita e ci fornisce con la sua Parola indirizzi con-creti per il nostro agire di ogni giorno.

Tutto questo, pur essendo già dono anche per gli al-tri, non può rimanere pri-vo di applicazione prati-

ca, come ci dice il papa: ecco il richiamo all’elemosina. Ordinariamente il frutto del nostro digiuno è ciò che viene messo a dispo-sizione di chi ne ha bisogno, secondo una pratica che lodevolmente mai si è esaurita nella Chiesa. Siamo allora chiamati a fare lo stesso anche con il digiuno del cuore che ab-biamo tratto dalla lettera ai Corinzi, secondo quanto ci ha detto Gesù stesso: “Date piutto-sto in elemosina quel che c'è dentro, ed ec-co, tutto per voi sarà puro” (Lc 11, 41). Il digiuno del mio orgoglio si dovrebbe tradurre in un dono di stima per il mio prossimo!

Ci aspetta un tempo di quaranta giorni, in-sieme tempo di prova e momento favorevo-le: il Signore ci conceda di viverlo in pienez-za, con la gioia di chi si sente amato, e per questo diventa tramite di quell’amore che ci è stato donato.

Don Francesco Micunco

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Tu ami tutte le tue creature, Signore, e nulla disprezzi di ciò che hai creato

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Quaresima e anno liturgico. L’anno liturgico celebra l’opera della salvez-za compiuta da Gesù Cristo nel memoriale del relativo mistero immesso nel tempo degli uomini.

La Chiesa, mediante la liturgia, continua ad attuare l’azione salvifica di Gesù, rendendola presente nell’oggi e nell’umanità.

L’anno liturgico si svolge nella celebrazione della Pasqua domenicale ed annuale; il dono della salvezza viene offerto e comunicato nei diversi aspetti sacramentali dell’anno liturgi-co, che rivela il mistero della passione, mor-te, resurrezione ed ascensione di Cristo.

La Quaresima è il tempo di conversione nel quale il cristiano vive il mistero della Pasqua di risurrezione, prima e più importante so-lennità dei cristiani.

Origine della Quaresima. Non si conosce con certezza dove e come sia stato istituito questo periodo di tempo che per i cristiani è dedicato alla preparazione della Pasqua. Il suo sviluppo è stato lento e complesso.

Fino al II secolo la celebrazio-ne della Pasqua era preceduta da uno o due giorni di digiuno, riservato in modo particolare ai Catecumeni e poi al Mini-stro del Battesimo ed ai fede-li. La natura del digiuno era ascetica e di meditazione reli-giosa.

Nel III secolo a Roma la domenica precedente la Pasqua era detta “Domenica di Passione” e nel mercoledì e venerdì della stessa setti-mana non si celebrava l’Eucarestia.

La pratica del digiuno era certamente osser-vata solo dalla Chiesa di Alessandria.

Secondo la testimonianza di Socrate nel quarto secolo era consuetudine prepararsi per tre settimane alla Pasqua: in quei giorni si proclamava il Vangelo di Giovanni, lettura giustificata dal fatto che esso è ricco di brani che si riferiscono alla prossimità della Pasqua e alla presenza di Gesù a Gerusalemme. Ver-so la fine del quarto secolo la preparazione divenne a scopo penitenziale e lunga sei set-timane.

Coloro che desideravano riconciliarsi con Dio e con i fratelli iniziavano il loro cammino di purificazione la prima domenica (in seguito tale prassi fu anticipata al mercoledì prece-dente) e lo concludevano la mattina del Gio-vedì santo, giorno in cui si otteneva il perdo-no. In tal modo il tempo della conversione durava quaranta giorni.

Da ciò il termine latino Quadragesima.

I penitenti si sottoponevano all’imposizione delle ceneri, utilizzavano un modesto abito di sacco in segno di pentimento e di impegno per il futuro.

Verso la fine del IV secolo si giunge ad antici-pare i riti penitenziali nei giorni del mercole-dì e del venerdì precedenti la prima domeni-ca di quaresima, rito poi esteso a tutti i cri-stiani; iniziano, così, a delinearsi le tappe

del catecumenato in prepara-zione del battesimo pasquale celebrato nella solenne veglia del Sabato Santo, a completa-mento della riconciliazione del Giovedì santo.

In questo cammino di conver-sione si affiancavano i sempli-ci fedeli con animo disposto verso una leale e sentita par-tecipazione.

Nel VI secolo tutta la settima-na precedente la prima dome-nica di Quaresima era dedica-ta alla celebrazione della Pa-squa e assume la definizione di Quinquagesima perché ca-de cinquanta giorni prima di Pasqua.

Tra il VI e VII si protrasse il tempo pasquale di due altre settimane e si ritenne in seguito che tale lungo periodo fos-se nocivo all’intensità delle celebrazioni pa-squali.

La celebrazione della Quaresima ai no-stri giorni. La Costituzione conciliare del Vaticano II sul-la liturgia, Sacrosanctum Concilium, ai nu-meri 109 e 110, nell’ambito della riforma della liturgia, regolamenta la Quaresima de-finendone la natura e il carattere penitenzia-le e battesimale, nonché l’aspetto comunita-rio, liturgico e di tempo.

Mariella Loglisci

La Quaresima nella storia 3

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Elezioni politiche 2013:

Alla ricerca della “boccata d’aria” L a crisi, la risposta della politica, le elezio-

ni politiche, gli “animali politici” che si risvegliano, il girotondo di facce vecchie (tante) e nuove (???), il malcontento da de-fault, la battaglia elettorale ed il toto-alleanze... Il solito vortice. La Politica... Una prima definizione di "politica" (dal greco πολιτικος, politikós) è stata formulata da Aristotele, il quale nel termine racchiudeva tutte quelle attività mi-rate all'amministrazione della città, la "polis" appunto, per il bene di tutti. Ed era uno spa-zio aperto a cui tutti i cittadini partecipava-no. Altre definizioni si basano su aspetti pe-culiari della politica. Una mi sta particolar-mente simpatica: -la politica non è che aspi-razione al potere e monopolio legittimo dell'uso della forza- Max Weber (lungimirante se qui si parlasse della forza dei Mass Media o delle banche...). Definizioni a parte, è fondamentale capire che fa politi-ca anche solo l’individuo che manifesta una posizione nei confronti di una questione pub-blica (a livello cittadino, nazionale o interna-zionale) e scende in piazza per protestare, fa politica chi si informa sul giornale dei fatti quotidiani e si interroga su cosa succederà domani, senza vivere in una bolla di sapo-ne... Senza insomma pensare ai fatti suoi per tutta una vita e mettere ripetutamente (almeno per 10 legislature) casuali crocette sulla scheda elettorale, salvo poi svegliarsi e piagnucolare quando le cose non vanno bene, irreversibilmente ormai... Nella nostra politi-ca, ci sono i soliti volti noti (si legga vecchi) al potere, al massimo traslati in questo o quell’altro partitino o movimento creato ap-positamente per indurre confusione nell’e-lettorato e fare delle elezioni una bella par-tita di Risiko. Sempre i soliti, gli stessi vecchi volti: in un Paese normale avere “vecchi” al potere dovrebbe voler dire che abbiamo gen-te navigata, esperta e saggia ma qui in realtà è ben diverso; i “nostri” sono navigati nell’a-ver combinato guai (pluridecorati in materia) ed esperti nel trovare di contrabbando il co-raggio di farsi ancora vedere in giro!!! Che popolo indulgente siamo con chi ogni giorno ci dimostra con comportamenti infantili, Val-zer di alleanze, giochi di parole e mezzucci di dozzina, che qui la politica è diventata l’arte di fare i propri interessi e farsi un ma-re di soldi con un mare di agevolazioni (altro che Weber!!!). I dati sono disponibili ormai ovunque ed a chiunque (basta digitare su qualsiasi motore di ricerca “Spese politici italiani” e buona lettura). Ma lo abbiamo permesso noi, con le nostre bolle di sapone, no? Io sono un giovane (beh, quasi 33 anni... Ma sì, giovane). Tra le tante definizioni, gio-vane è qualcuno “che presenta caratteristi-che o qualità della giovinezza (p.e. la spon-taneità, la freschezza); proprio di una nuova generazione”. Spontaneità, freschezza. Qua-lità in contrasto con ciò che è vecchio ed esausto... Lo scenario politico italiano è vec-chio ed esausto, schiacciato da decenni di ideali falsi andati a male, dal succedersi di “violentatori della cosa pubblica”. Puzza. Ed ora la situazione è molto pesante. Me ne ac-corgo parlando con gli amici, me ne accorgo quando scrivo progetti con i miei colleghi. Tutto è grigio, plumbeo, apatico. “Sentirsi cadere le braccia” è il termine giusto (dalla nostra tradizione popolare) per descrivere

una mancanza di forza, di una scintilla per rimettersi in moto. Appunto. La crisi ci mo-stra come in 20 anni di politica italiana siano stati combinati disastri su disastri, alla mag-gioranza così come all’opposizione. Una co-struzione così debole che al primo vento di crisi (peraltro pesantissimo) tutto crolla. In altri Paesi hanno lavorato al benessere da prima e più seriamente (ad es. Germania) e la crisi li ha fatti oscillare molto, molto meno sebbene rischino ancora. Si poteva fare mol-to di più in passato, quindi. Ed ora le alter-native, almeno qui, sono pietose. I politici hanno deluso... Ma non la Politica! Servireb-be una “boccata d’aria”. A me, così come ai giovani come me (ma credo proprio a tutti gli italiani) riaccenderebbe speranze anzitutto vedere volti nuovi, seri e competenti che non si dimostrino marionette dei soliti intramon-tabili vecchi (nani e/o baffuti) o del potere delle banche, o che non manifestino i sinto-mi di ambigui squadrismi ideologici... La Po-litica attuale necessita di tanta credibilità e di tanta forza per cambiare. Ritengo che l’a-genda politica debba avere innanzitutto co-me primo punto il rinnovamento del pensie-ro, del linguaggio, degli ideali che spingono l’uomo al servizio della politica e non il contrario: freschezza, serietà, semplicità ed efficacia. Non si deve solo parlar bene, si deve arrivare a tutti e coinvolgere tutti perché tutti siano più responsabili, sennò che senso ha? E farlo seriamente, evitando di candidare gentaglia varia ed eventuale (ve lo immaginate “Il trota” Ministro della Cultura? Beh, lo abbiamo scampato per miracolo...). Solo con un terreno così stabile alla base si può passare a trattare i temi attuali più deli-cati e scottanti. L’occupazione, ad esempio: un individuo, giovane o no, che non lavora, non esprime se stesso, non si sente parte di nulla e passa le sue giornate a contare i so-spiri verso il basso; l’occupazione è sia fine che mezzo per rilanciare l’economia: se non guadagno non spenderò mai, pur volendo! Non sono un esperto, ma sono sicuro che un cambiamento di testa e di cultura può indur-re una migliore ossigenazione di tutti i tessu-ti sociali; dotarci di un comune senso politico aiuterebbe perlomeno a creare i presupposti per una rinascita vera. Immagino che con una “nuova testa” non ci sarebbe nemmeno il problema dell’evasione fiscale... È plausibile che già questo basti a far tremare le vene ed i polsi dei neo-eletti per tutta una legislatu-ra. Un’ultima riflessione: magari a noi giova-ni, freschi e spontanei per definizione, servi-rebbero i nostri stessi volti riflessi nello spec-chio della Politica: cioè diventare noi stessi -ora- il nuovo volto della politica. Serve un punto di rottura con il vecchio che forse solo un giovane ha la forza di osare. Magari un politico di professione, all’inizio della sua carriera, vuole davvero cambiare il mondo. Poi, entrato nel sistema (o entrato il sistema in lui), perde la “voglia di cambiamento”, assieme ai buoni propositi ed all’entusiasmo. Servirebbe non farsi assorbire... La profezia dell’anno è che servono giovani anime per spezzare l’incantesimo lanciato sull’Italia, che ci obbliga a essere governati da singolari fenomeni da baraccone: ma si farebbero da parte questi pesi morti a favore di una bella boccata d’aria? Buone elezioni!

Simone Scintilla

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I l 25 gennaio nella chiesa evangelica battista si è

conclusa una straordinaria settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che ci ha riempito il cuore di gioia, perché ci ha consentito di percepire l’ecumenismo co-me esperienza vissuta, rea-le, concreta e non come cammino intellettuale o co-me evento da celebrare solo una volta l’anno (come erro-neamente viene interpretato, talvolta anche nella nostra comunità). L’argomento centra-le della riflessione ecumenica di quest’anno è la domanda su «quello che il Signore esige da noi» contenuta in un passo biblico del profeta Michea (cap. 6, vv.6-8) , il quale do-po aver esortato il popolo a “camminare” in pellegrinaggio verso la montagna del Signore per conoscere la sua volontà, rivela la tripli-ce risposta: «praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio». E’ significativo che a suggerire la via di questo cammino da fare insieme verso il re-gno di Dio e a preparare i materiali della set-timana di preghiera sia stato lo Student Chri-stian Movement of India, un’organizzazione ecumenica di studenti universitari, giunta al suo centenario di attività, impegnata a tra-durre in azione concreta la fede cristiana, attraverso il discernimento critico dei segni della nostra storia. E’ risaputo che in India il sistema delle caste divide la società e crea un’ingiusta discriminazione delle classi più basse, i cosiddetti Dalits (denominati anche ‘intoccabili’, perché ritenuti ‘contaminati’), socialmente emarginati, sfruttati e soggioga-ti. Fra i Dalits l’80% è oggetto di pesante persecuzione (sempre più spesso anche di martirio) a causa dell’adesione alla fede cri-stiana, come è accaduto di recente a Sarah, una donna e mamma dalit, protagonista di una dolorosa vicenda e di una toccante esemplare testimonianza, sulla quale abbia-mo riflettuto insieme ai “fratelli separati” nella accogliente chiesa avventista, all’inizio del nostro pellegrinaggio di preghiera. Duran-te le meditazioni quotidiane nelle diverse chiese (cattoliche protestanti ortodosse), la metafora del “cammino” del profeta Michea

- allusiva al carattere ‘dinamico’ della fede dei cristiani nel Dio incarnato, “in azione” nella storia dell’umanità - è stata varia-mente declinata in temati-che di grande richiamo alla Sacra Scrittura (Camminare in dialogo, Camminare come corpo di Cristo, Camminare verso la libertà, Camminare come figli della terra, Cam-minare oltre le barriere,

Camminare nella solidarietà, Camminare in-sieme nella celebrazione). Una singolare esperienza abbiamo vissuto nello spazio, al-tamente sacralizzato dalle icone, della chie-sa russa in corso Benedetto Croce, dove la celebrazione del Vespri ortodossi guidata dal nuovo rettore, Andrey Boytsov, ci ha restitui-to in modo tangibile il senso del Camminare come amici di Gesù. Molto seguita nella af-follata Basilica di San Nicola la preghiera ecumenica alla presenza dell’arcivescovo, mons. Francesco Cacucci, domenica 20 gen-naio: dalla illuminante omelia dell’arcivesco-vo sul brano evangelico di Giovanni (4, 4-26) all’intervento del pastore luterano Helmuth Schwalbe sul camminare verso la libertà (impostato su un ampia’ base, citando Paolo e Lutero, sant’Agostino e persino Sant’Igna-zio di Loyola fino a illustri protagonisti del pensiero moderno), la diversità è emersa co-me ’dono’ di Dio e l’Ecumenismo come even-to centrale nella storia della salvezza nel no-stro tempo, segno di amore e di speranza. Nel solco di queste intuizioni le numerose preghiere di lode e di rendimento di grazie si sono alternate agli inni di diverse lingue (comprese l’ebraico e l’aramaico) nella straordinaria interpretazione dei cantori del-la corale ecumenica. Particolarmente effica-ce in questa direzione è stata, sempre nella Basilica, la liturgia copta del Battesimo di Cristo dove la danza delle donne in bianco, inneggianti al ritmo della musica a percussio-ne suonata dal pope, ci induceva a ringrazia-re e lodare il Signore con il salmista, “per aver mutato il nostro lamento in danza”.

Mariella Buonsante

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

“Quel che il Signore esige da noi” (Michea 6, 6-8)

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I l titolo a questo scritto non è mio ma di un eminente scienziato nel campo della fisica,

un siciliano di Trapani, il Professore Antonino Zichichi, membro, tra le altre, della Pontifi-cia Accademia delle Scienze. La forza dei suoi occhi è straordinaria: piccolo di statura, la sua voce è chiara e suadente quando espri-me la sua fede granitica e adamantina. Ha sempre dichiarato, con assoluta certezza, che non esistono contrasti tra scienza e fede e che l’Universo l’ha creato Dio. Dalla notte dei tempi l’uomo non ha mai cessato di farsi do-mande, di chiedersi chi sia, da dove venga, il perché, anche in relazione a tutto ciò che lo circonda. Non si può vivere senza conoscere, pensare, giudicare la realtà in cui viviamo, sarebbe come il cieco che vuole percorrere un cammino senza conoscere il percorso. Poi, col passare del tempo, l’uomo ha cercato di spiegarsi la realtà che lo circonda con il mito. Il mito racconta una storia sacra, riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle origini. È, dunque, sempre il racconto di una “creazione”: si narra come qualcosa sia stata prodotta, come sia cominciata ad essere. Dobbiamo arrivare al pensiero greco, ad Ari-stotele (384/383-322 a.C.) per avvicinarsi alla verità. Nelle opere di metafisica o filosofia prima - come il grande intellettuale la chia-ma - vengono trattati i principi supremi del reale quindi di ciò che è “primo per natura”. È appunto in una di queste opere il “succo” della prova di greco negli esami di maturità del Liceo classico di quest’anno. È una frase veramente lapidaria: «Non il caso ma la fina-lità regna nelle opere della natura». E con questa espressione siamo già sulla “strada maestra”. Ed il maestro è S. Tommaso d’A-quino (1225-1274). La Summa Theologiae è come una cattedrale slanciata verso il cielo. Il primo tema, il primo movimento gigantesco della Summa Theologiae è quello che descri-ve il sorgere dell’Universo da Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra. Tutto l’Uni-verso, gli abissi stellari, il nostro mondo, l’u-manità, la vita, la storia, l’uomo. È l’ “exitus a Deo”, la “partenza da Dio”. In modo simile l’Universo creato non può fuggire dal suo Creatore e Signore: esso continua a gravitare verso di Lui. Il fine a cui l’Universo tende, e nell’Universo l’umanità e ogni uomo, è Dio per rendergli gloria eternamente. Dio resterà per sempre il focolare, il seno accogliente di tutto l’Universo, particolarmente dell’uomo il quale è attratto da Dio verso Dio, con l’attra-zione suprema della bellezza, della verità, dell’amore. È il “redditus ad Deum”, il “ritorno a Dio”. Bellissima visione, stupenda realtà, sintesi teologica del “dottore angeli-co” canonizzato dalla Chiesa, nella vita e nel pensiero. L’Universo è divina creazione. È davvero un atto di fede e di amore. C’è una composizione di Metastasio (1698-1782) sem-plice, genuina, sentita, che io, pur nella mia

pochezza, definirei quasi una preghiera: «Ovunque il guardo io giro eterno Dio, ti ve-do nell’opre Tue T’ammiro, Ti riconosco in me. La terra, il mar le sfere parlan del Tuo potere: Tu sei per tutto, e noi tutti viviamo in Te» (Arie XXVI). “Ti riconosco in me”... L’uomo è il capolavoro della creazione; solo egli ha la capacità di “pensare, sentire, ama-re”. Ho sempre pensato che la vita di ogni uomo si svolge tra due parentesi, più o meno distanti tra loro, in un determinato momento della storia dell’umanità. È tra queste paren-tesi che si gioca la partita di ciascuno di noi. La lotta spirituale è essenziale: si tratta del combattimento per opporre resistenza al ma-le, perché ogni nostra piccola vittoria è solo un piccolissimo riflesso della vittoria pasqua-le di Cristo. La vita, pur con tutti i suoi pro-blemi è bella “e santo l’avvenir” (G. Carduc-ci, Il canto dell’amore, 1877). La creazione è il dono munifico dell’Amore di Dio alle sue creature. Ma anche Dio vuole essere amato da noi, perché la prima esigenza dell’amore è la reciprocità. È vero che Egli è misericordia infinita ma le creature devono cercare di non lasciarsi tentare dalle mille lusinghe che ci circondano. Nella volta della Cappella Sisti-na, il grande Michelangelo Buonarroti (1475-1564) ci ha lasciato la Bibbia in immagini: è qualcosa di poderoso e ineffabile che costò al grande artista addirittura malesseri fisici, quasi dolorosa gestazione nell’ansia della riu-scita. Non ci sono parole adeguate per espri-mere l’immagine della separazione della luce dalle tenebre. E Giorgio Vasari (1511-1574) definisce quella “Luce” destinata a illuminare il mondo. Anche il Concilio Vaticano II fu una “luce nuo-va” nella Chiesa. L’indimenticabile Papa “buono” pare che avesse nel cuore questo sogno sin dalla giovinezza: voleva più com-prensione e vicinanza, più amore tra il Vati-cano e le chiese sparse in tutto il mondo. Si rammaricava molto di questo e voleva dare una svolta nuova a tutta la storia della Chie-sa. Il discorso della Concilio conteneva tutto sia la grande visione mistica sia l’amore otti-mistico della terra e degli uomini, il senso della Chiesa visibile e della Chiesa invisibile e la loro confluenza escatologica con tutto il genere umano. Tutta la realtà umana veniva inserita in una visione cristiana: Cristo si po-neva al centro dell’universo e della storia de-gli uomini. La seconda metà del XX secolo ci ha regalato dei pontefici straordinari tutti intenti ad attuare il messaggio del “Concilio Vaticano II”: Paolo VI che volle assumere questo nome in onore dell’apostolo delle gen-ti e indicava l’intenzione di percorrere una via nuova e una vasta programmazione della fede nel dialogo con tutti gli uomini di buona volontà. La linea di Giovanni XXIII veniva an-cora una volta perseguita. Poi Giovanni Paolo I, passato lieve e scomparso come il tragitto

(Continua a pagina 7)

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L’universo, divina creazione

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“ La fede è il fondamento delle cose che si sperano e la prova di quelle che non si ve-

dono” (Ebrei 11, 1)

Essa, infatti, rende possibile l’accesso a quel-la parte della realtà, che sfugge ai nostri sen-si: il mistero di Dio. La fede o, meglio, l’atto di fede è il libero e totale abbandono a Dio, che si svela e ci parla per mezzo di Gesù. È radicata su una persona storica, Gesù, real-mente vissuta e di cui abbiamo documenti solidi, tra i quali i Vangeli, scritti proprio con l’intento di comunicare la fede. Chi crede, anche con l’ausilio dei catechismi e della mediazione del Magistero della Chie-sa, che afferma, insegna ed interpreta la san-ta vita di Gesù, conosce bene la nascita del Signore, i Suoi insegnamenti, la Sua morte, resurrezione e gloria nei cieli, i valori cristia-ni, lo stile di vita cristiana. Ci addentriamo così nella scoperta e nella conoscenza del Mistero di Dio, perché ci mettiamo in un rap-porto vivo con Cristo che salva: è il percorso mistagogico “con gli occhi dell’Eucarestia e con lo sguardo della solidarietà, che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assolu-ta” (Caritas in veritate). Il credente è colui che ha incontrato Cristo, Lo ama, Lo segue volontariamente, ricalca gioiosamente i Suoi passi in un discepolato che dura per tutta la vita: “Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo”.

Questa è la nostra fede, che non si ferma nel-la sfera religiosa, ma pervade il modo di esse-re dell’uomo: il credente è il testimone di Cristo, perché esprime nella vita quanto ha ricevuto attraverso la fede e la liturgia, per-ciò aiuta il prossimo e lo soccorre, quando ha bisogno. La fede è un dono, che riceviamo tutti, con il Battesimo, da Dio, che ci gratifi-ca e ci immette in un nuovo ordine di idee e

di vita. È bello sapere che è sempre Dio a muoversi per pri-mo alla ricerca di noi; è Dio Amo-re che scopre

noi e lo fa continuamente, perché ci ama ed accorre sempre in nostro aiuto. Egli non co-stringe la nostra libertà ad un sì obbligato; vuole un’adesione personale, partecipe e vo-lontaria. Il Signore “sta alla nostra porta e bussa”, cioè interpella la nostra libertà per entrare nella nostra storia. Quale meraviglio-sa avventura la fede! Da vivere in comunione con gli altri: ho creduto e per questo tendo la mano verso di te.

All’inizio della Quaresima, si avverta la ne-cessità di mettere in campo una parola forte: CONVERSIONE. Vale a dire un cambio di rotta, l’acquisizione di responsabilità personale e sociale. Ogni cristiano diventi responsabile, di fronte alla comunità dei credenti e ad ogni uomo, innanzitutto della qualità della propria fede personale. “Si crede come si vive e, inversamente, si vive come si crede” (Magrassi).

L’anno della fede sia un’occasione per vivere in modo creativo nel presente e per costruire un futuro migliore per sé e per gli altri: que-sta è la fede.

Gabriella Ceccarelli Pondrelli

La pagina della fede

Che cosa è la fede 7

di una stella nel cielo. Poi Giovanni Paolo II che, con i suoi pellegrinaggi sulle vie del mondo, ha tanto lavorato catturando il cuore di tutti. Ora Papa Benedetto XVI guida la Chiesa con la sua parola saggia e illuminata, dando il suo specifico apporto. È il ruolo in senso pieno del titolo del soglio di Pietro che si accentua e che si esplica con l’indizione dell’anno della Fede (11 ottobre 2011). Nella lettera di introduzione auspica che “dall’incontro con Gesù risorto la Fede possa essere riscoperta nella sua integrità ed in tut-to il suo splendore”, quindi un dono di fede da riscoprire, da coltivare, da testimoniare.

Con queste magnifiche premesse la “barca di Pietro” continua il suo percorso: tra procelle e bonacce, bonacce e procelle verso la realiz-zazione del “Regno di Dio”. Da piccole crea-ture, ma credenti, sappiamo che dalla Fede nasce la speranza, quel lumicino che arde nel nostro cuore anche nel nero più nero. Ed è la Speranza che porta alla carità, all’amore a Dio e ai fratelli. Allora col poverello d’Assisi, dal profondo del cuore diciamo: «Altissimu onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictio-ne» (Cantico delle Creature, vv. 1-2).

Ester senior

(Continua da pagina 6)

Page 8: Tu ami tutte le tue creature, Signore, e nulla disprezzi ... · Tu ami tutte le tue creature, Signore 1-2 La Quaresima ... quest·anno Benedetto XVI ... divenne a scopo penitenziale

Il rinnovato appuntamento annuale di pre-ghiera ecumenica delle chiese cristiane è no-tizia ancora più bella perché non “scontata”; il cammino verso l’unità visibile non è facile, il cuore talvolta s’infiamma e arde ma in altri momenti si appanna, insidiato dalla resisten-za al nuovo e al vero e dallo scoraggiamento. Se però, come mi pare sia accaduto quest’an-no, gli incontri sono molto “partecipati” per numero e “spiritualmente” ricchi, grazie alla cura degli organizzatori e alla scelta dei temi di riflessione, la notizia che cristiani di tutto il mondo si impegnino a camminare verso l’u-nità si rivela una notizia più che bella, bellis-sima. Il tutto in un’atmosfera di festa che è difficile restituire a chi non ha potuto parte-ciparvi, ma che devo richiamare perché è ci-fra distintiva degli incontri con comunità “altre”, rese poi una sola dalla Parola spezza-ta insieme e dalla preghiera. Una festa senza doni, intesi come offerte rituali o sigilli mate-riali di amicizia, ma celebrata da persone-dono, persone cioè consapevoli di diventare ognuna dono per l’altro perché tutti, con pari dignità, fratelli in Cristo. Perciò abbiamo lo-dato Dio che ci ha donato molte culture, lin-gue, tradizioni religiose e che ci ispira il pro-posito di utilizzarle non più come barriere ma come legami di amicizia verso l’unità. Il Coro ecumenico diocesano è per Don Angelo Romi-ta un esempio visibile del “miracolo” ecume-nico in corso nella storia: nacque tanti anni fa ma da allora ha sempre operato, con fatica settimanale nell’arco dell’intero anno e senza cedimenti nel tempo: chi l’avrebbe dato per certo al suo nascere? Festa, quindi, nell’ascolto della Parola, nella preghiera, nelle riflessioni guidate, nei canti. E anche qualche suggestione personale, quel-

le che poi condividi in amicizia, come si fa al risveglio da un bel sogno… Nella Chiesa di San Marco, familiare e bella nella sua derivazione architettonica da un’an-tica masseria pugliese, notavo spalancata la porticina d’oro del Tabernacolo, all’evidenza vuoto. Ne avvertivo il peso, come di assenza insostenibile. Proprio allora il celebrante ac-cendeva in tutti la consapevolezza che Gesù era con noi, fra i banchi, e anche Lui interce-deva per l’unità dei figli di Dio: non più un’assenza ma il segno che il Signore quella porticina aveva aperto dall’interno per scen-dere tra noi, vicino ad ognuno e rendersi a tutti visibile nel desiderio comune di parteci-pare a un unico Corpo. Mi è sembrato tanto Regale il mio Signore che sceglieva di lasciare il Tabernacolo per stare con tutti: un Signore che ancora una volta “viene” ad incontrare l’uomo e chiede a noi di sostenerlo in quella fatica di un’ora soltanto, per insegnarci a ce-lebrare insieme, a fare festa con vino vera-mente nuovo. Pensieri molto lontani da rigori teologici o liturgici perché del tutto personali e senza pretesa alcuna, che però rivelano il bisogno del credente d’infanzia spirituale e di immagini semplici, come quella della grande Croce all’interno della Chiesa Evangelica: do-po aver ascoltato le parole di Don Vito Marzi-liano e del Pastore R. Lattanzio, la Croce ci è sembrata immagine felice dell’agognata unità perché racchiude, nella linea di perimetro dell’esistenza umana di Cristo, tante pietre, ognuna diversa dall’altra nel colore e nella forma ma tutte necessarie per formare e fer-mare nella diversità l’unico Corpo di Cristo, l’unica Chiesa.

Gabriella Violante

La bella notizia

Quella porticina d’oro spalancata su un sogno...

La “mia” settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

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Anche in questo numero, la carta usata per stampare “Voce nel Vento” è prodotta con il 100% di carta rici-clata, sbiancata senza acidi. Questo piccolo gesto vuole dimostrare consapevolezza ed attenzione ai problemi ambientali.