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Talassemie intermedie / Dolore del bambino / Insonnia in età evolutiva / Consenso del minore / RGE Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria Vol. 15 | n. 3 | luglio-settembre 2014 Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro 15.3

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Talassemie intermedie / Doloredel bambino / Insonnia in età evolutiva/ Consenso del minore / RGE

Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di PediatriaVol. 15 | n. 3 | luglio-settembre 2014

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Direttore Scientifico

Luciana IndinnimeoProfessore Aggregato di PediatriaDipartimento di Pediatria e NPIUniversità di Roma “Sapienza”e-mail: [email protected]

Comitato Editoriale

Maria Elisabetta Di CosimoDante FerraraPietro FerraraLuciana IndinnimeoRocco RussoAnnamaria StaianoPier Angelo TovoRenato VitielloUfficio Editoriale

David FratiIl Pensiero Scientifico Editore via S. Giovanni Valdarno, 8 - 00138 Romae-mail: [email protected]

Direttore Responsabile

Luca De FioreISSN 2385-0736

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 311

del 5 maggio 2000

Progetto grafico e impaginazione

Chiara Caproni immagini&immagine - RomaStampa

Arti Grafiche Trisvia delle Case Rosse, 23 - 00131 RomaFinito di stampare nel mese di ottobre 2014

Società Italiana di Pediatria

via Libero Temolo, 4 - 20126 Milanotel. 02.45498282, fax 06.45498199cell. 340.4244544e-mail: [email protected]

Presidente

Giovanni CorselloVice Presidenti

Luigi GrecoAlberto VillaniPast President

Alberto G. UgazioTesoriere

Rino AgostinianiConsiglieri

Fabio CardinaleAntonio CorreraLiviana Da DaltDomenico MinasiAndrea PessionConsiglieri junior

Massimo BarbagalloElvira VerduciDelegato Sezioni Regionali SIP

Valerio FlaccoDelegato Consulta Nazionale

Costantino RomagnoliDelegato Conferenza Gruppi di Studio

Gian Paolo Salvioli

Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di Pediatria

In copertina “Portrait of Jeanne Kéfer”

Fernand Khnopff, 1885, olio su tela. J. Paul Getty Museum, Los Angeles.

All’interno (pag. 100) ‘Al parco; con l’aquilone

e l’arcobaleno’, Pietro, 4 anni pennarello su carta, 21x30 cm

(pag. 111) ‘Senza titolo’ (part.), Eleonora, 2 anni, tempera su carta, 30x21 cm

(pag. 115) ‘La notte dei mostri’ Bernardo, 8 anni, pastelli su carta, 58x21 cm

(pag 126) ‘Il serpente piumato’, Giacomo, 8 annipennarello su carta, 30x21 cm

(pag. 132) elaborazione da ‘Mostri’, Pietro, 4 anni, pastello su carta, 21x30 cm

Il belga Fernand-Edmond Jean Marie Khnopff (1858-1921), pittore, scultore e fotografo, fu un ritrattista richiestissimo dalle famiglie più facoltose del Nord Europa a partire dal 1880 (nel 1900 gli fu commissionato addirittura da parte dell’Imperatore Francesco Giuseppe I un ritratto della figlia Elisabetta). Nato in una famiglia benestante della nobiltà decaduta, era figlio di un magistrato molto in vista a Bruxelles. Come in questo celebre ritratto della piccola Jeanne, figlia di 5 anni del pianista e compositore Gustave Kéfer (anche lui ritratto da Khnopff qualche tempo prima), posizionava di frequenza le sue modelle davanti a porte chiuse, accentuando il carattere meditativo dei dipinti e alludendo in questo modo al movimento simbolista dei “Les XX” di cui era un entusiasta esponente. Qui Jeanne appare piccola e solitaria, circondata da rettangoli e quadrati che forse simboleggiano il tentativo di porre ordine nel mondo da parte della bambina. Il quadro ebbe uno straordinario successo di critica e pubblico e fu esposto in numerose mostre in giro per l’Europa. Per approfondimenti http://goo.gl/HLR72L

Rivista ufficiale di Formazione continua

della Società Italiana di Pediatria

Vol. 15 | n. 3 | luglio-settembre 2014

[EditorialE]Il nuovo Direttore scientifico Giovanni Corsello; Luciana Indinnimeo

È necessario essere attenti e vigili alle continue evoluzioni di questo settore, con spirito critico, valutando costi e benefici senza pregiudizi né interessi di parte > 98

[tutto su/1]

I disordini ereditari dell’emoglobina: problemi emergentiGiovanni Amendola, Rosanna Di Concilio, Giovanna d’Urzo, Maria Amendolara, Anna Maria Aurino, Lucia Esposito, Lucia Amato, Carmelina Romano, Michela Grosso

Un approfondimento sui nuovi approcci clinici e terapeutici alle talassemie intermedie e sulle problematiche cliniche e laboratoristiche determinate dai flussi migratori > 100

[colpo d’occhio]

Il dolore del bambino: nuovo o vecchio problema?Maria Giuliano, Franca Benini

Il dolore pediatrico è un problema clinico che richiede adeguate conoscenze e competenze. Tuttora viene sottovalutato e persiste una situazione di limitata attenzione al problema sia a livello territoriale che ospedaliero > 108

[caso clinico]

Il dolore somatoforme Angela Pirrone, Roberto Pillon, Egidio Barbi

Una ragazza di 16 anni lamenta da due anni dolori intermittenti alle spalle e al rachide cervicale che interferiscono con le sue attività quotidiane > 111

[rEfErEnzE]

La Legge 38/2010. Cosa cambia per il pediatra e a che punto siamo? Franca Benini, Maria Giuliano

Formazione, informazione, monitoraggio rappresentano certamente strumenti importanti, ma devono integrarsi con uno stimolo continuo per gli operatori sanitari di motivazione e professionalità e con decisioni organizzative e programmatorie ad hoc > 123

[tutto su/2]

Il paziente minorenne, l’informazione ed il consenso: personalità e diritti in fieri Pasquale Giuseppe Macrì

La Costituzione ha rovesciato le concezioni che assoggettavano i figli ad un potere assoluto ed incontrollato, affermando il diritto del minore ad un pieno sviluppo della sua personalità > 126

[tutto su/3]

Tutto quello che desideravi sapere sul reflusso gastroesofageo ma che non hai mai osato chiedere! Dario Ummarino, Felice Crocetto, Eleonora Giannetti

Il management del lattante e quello del bambino con RGE seguono indicazioni differenti > 132

[Quiz] Test di autovalutazione > 139

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D a questo numero, il Direttore di Area Pediatrica è Luciana Indinnimeo, prestigioso

docente di Pediatria di “Sapienza” – Università di Roma e Past President della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica. Già componente del comitato di redazione della rivista, sostituisce Alberto E. Tozzi, che ha rassegnato le dimissione per ragioni personali. Il Consiglio Direttivo della SIP ha ritenuto in modo unanime che la sua esperienza e le sue competenze contribuiranno a rendere Area Pediatrica, rivista che giunge a tutti i circa 10.000 soci SIP, sempre più in linea con le esigenze di una formazione generalista rivolta a tutti i pediatri, ma fondata sulle basi solide delle evidenze scientifiche. Nel solco di quanto realizzato in questi primi numeri della nuova rivista ora edita dal Pensiero Scientifico, siamo certi che Area Pediatrica continuerà a crescere e interagire con le altre riviste della società (Pediatria, Prospettive in Pediatria, Italian Journal of Pediatrics) per offrire un panorama formativo ampio e differenziato, ma allo stesso tempo sinergico e integrato.

Buon lavoro a Luciana e a tutto il ricco e prestigioso comitato editoriale.

Giovanni CorselloPresidente SIP

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[ editoriale ]

Il nuovo Direttore scientifico È necessario essere vigili e attenti alle continue evoluzioni di questo settore, con spirito critico, valutando costi e benefici senza pregiudizi né interessi di parte.

È per me un grande onore avere ricevuto la responsabilità scientifica di Area Pediatrica. De-sidero pertanto innanzitutto ringraziare il Pre-

sidente della Società Italiana di Pediatria Prof. Giovanni Corsello e il Consiglio Direttivo SIP. Sono altresì consa-pevole che sarà impegnativo mantenere l’attuale profilo di Area Pediatrica e continuare il lavoro pregevole fino ad ora svolto dai Direttori che si sono succeduti e che hanno portato la rivista a risultati eccellenti. In questo primo editoriale desidero presentare alcuni principi ai quali si ispirerà la mia attività editoriale, in parte già presenti nella precedente esperienza di Presidente della Società Italiana di Allergologia ed Immunologia Pediatrica.

La salute ha un enorme valore umano e socioeco-nomico e noi medici pediatri abbiamo il compito primario di curare e tutelare il benessere fisico e mentale dei nostri piccoli assistiti e delle loro famiglie. Il benessere sociale, che completa la triade costitutiva del moderno concetto di salute, è affidato in prima istanza ad altre istituzioni sociali ma coinvolge anche il medico e/o il pediatra.

La tutela e la promozione del benessere fisico e men-tale del bambino e dell’adolescente sono obiettivi dei pe-diatri, al pari della diagnosi e della cura delle malattie. I pediatri hanno una responsabilità sociale ‒ talvolta anche economica ‒ che non sempre è agevole sostenere, ma che ormai fa parte integrante della nostra professione. È un ruolo per il quale dobbiamo essere sempre più consapevoli e preparati.

È quindi necessario avere gli strumenti per influire sui comportamenti e convincere le famiglie dei nostri piccoli pazienti ad avere comportamenti idonei al corretto svi-luppo dell’individuo, contrastando talvolta pregiudizi e/o disinformazione. A tale scopo i contenuti della nostra pro-fessione devono avere solide basi scientifiche utilizzando i criteri dell’Evidence Based Medicine per contribuire alla

gestione più efficace ed efficiente di patologie di grande rilievo clinico ed epidemiologico.

Contemporaneamente bisogna essere consapevoli che la Scienza si esprime in termini di probabilità e che l’essere umano è un sistema complesso: pertanto le decisioni ultime su una particolare procedura clinica o su un programma terapeutico devono essere prese dal medico, discutendo le varie opzioni con i pazienti alla luce delle scelte disponibili, dei bisogni e delle condizioni del paziente stesso.

Fare il medico richiede quindi lo sviluppo di capacità tecniche e comunicative in grado di consentire l’applica-zione di concetti spesso di difficile divulgazione. I nostri obiettivi di salute non saranno facilmente raggiunti senza curare la comunicazione medico-bambino-famiglia. Gli strumenti e le pratiche comunicative devono far parte della formazione del pediatra di oggi e saranno oggetto di particolare interesse nel mio impegno editoriale.

I moderni strumenti telematici consentono di comunicare dati scientifici e informazioni professionali e devono essere inseriti nel nostro bagaglio professionale. È quindi necessario essere attenti e vigili alle continue evoluzioni di questo settore, con spirito critico, valutando costi e benefici senza pregiudizi né interessi di parte.

Anche la condivisione medico-medico di contenuti rappresenta un importante obiettivo della mia attività editoriale. Lo scopo di Area Pediatrica è la Formazione Continua del pediatra, intesa come capitale di conoscenza per aumentare giorno dopo giorno le capacità di gestire i problemi di salute dei nostri bambini. Insieme al Comi-tato di Redazione lavoreremo in questa direzione.

Resto in attesa di vostri commenti e suggerimenti al seguente indirizzo mail: [email protected]

Un caro salutoLuciana Indinnimeo

caso clinico Titolo articolo anche lungo

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[ tutto su ]

I disordini ereditari dell’emoglobina: problemi emergentiUn approfondimento sui nuovi approcci clinici e terapeutici alle talassemie intermedie e sulle problematiche cliniche e laboratoristiche determinate dai flussi migratori.

Giovanni Amendola1

Rosanna Di Concilio1

Giovanna d’Urzo1

Maria Amendolara1

Anna Maria Aurino1

Lucia Esposito1

Lucia Amato1

Carmelina Romano1

Michela Grosso2

1 U.O.C. Pediatria-TIN, Ospedale di Nocera Inferiore (SA)2 Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

C on l’espressione “disordini ere- ditari dell’emoglobina” si fa riferimento a un gruppo numeroso di malattie, in-

cludenti le emoglobinopatie, in cui è presente un’alterazione strutturale dell’emoglobina (Hb) e le talassemie, condizioni morbose caratteriz-zate da difetti della sintesi (ridotta o assente) di una o più catene globiniche. Questi disordini, trasmessi con meccanismo autosomico recessi-vo, costituiscono le malattie monogeniche più diffuse al mondo. La sintomatologia clinica è estremamente eterogenea: nel caso di varianti strutturali (ad esempio HbS, HbC, etc.) essa dipenderà dalle proprietà fisiche dell’Hb ab-norme, mentre nel caso delle talassemie la fisiopatologia è determinata dal grado di sbilanciamento del rappor-to α/β delle catene globiniche che, in condizioni nor-mali, è uguale a 1. Scopo di questo lavoro non è una descrizione sistematica di questi disordini, già oggetto di ampia trattazione1 ma un approfondimento di due argomenti emergenti in questo campo: i nuovi approc-ci clinici e terapeutici delle talassemie intermedie e le problematiche cliniche e laboratoristiche determinate dalla massiccia recente immigrazione da Paesi extraco-munitari in cui questi disordini sono ampiamente diffusi.

Novità in tema di talassemia intermedia

Con il termine di talassemia intermedia (TI) ci si riferisce a quelle forme di talassemia con una

necessità occasionale di emotrasfusioni, il cui quadro clinico è più severo di quello dei semplici portatori talassemici, ma meno grave di quello della talassemia maior (TM). Negli ultimi anni per questa categoria di pazienti è stato proposto il termine di “talassemie non-trasfusione-dipendenti” (o NTDT, “non-transfusion-

dependent thalassemia”), per sottolineare un aspetto fondamentale del quadro clinico, e cioè la non necessità per la sopravvivenza di un regolare regime trasfusionale, a differenza dei soggetti affetti da TM2. Nell’ambito delle NTDT vengono distinte tre entità cliniche: β-talassemia intermedia, α-talassemia in-termedia e HbE/β-talassemia. Delle ultime due si accennerà brevemente nella seconda parte di questa trattazione: ci si soffermerà adesso sulle forme β. L’elemento fisiopa-tologico fondamentale, come in tutte le β-talassemie, è la ridotta sintesi delle catene β-globiniche e l’eccesso di catene α (rapporto

α/β>1): queste ultime hanno un effetto lesivo diretto sulle cellule con conseguente morte intramidollare dei progenitori eritroidi (“eritropoiesi inefficace”), che rap-presenta l’elemento patogenetico fondamentale delle β-talassemie, e che è quasi del tutto assente invece nelle α-talassemie. A ciò si aggiunge la distruzione pe-riferica (emolisi) degli eritrociti a morfologia distorta da parte del sistema reticolo-endoteliale, soprattutto splenico: entrambi questi meccanismi determinano una condizione di anemia di grado variabile, che è il sintomo distintivo di queste affezioni morbose. Anche se la definizione di TI è puramente clinica, sono ben conosciuti da tempo alcuni meccanismi molecolari, con effetto migliorativo sul fenotipo ematologico delle β-talassemie e coinvolti nel determinismo delle TI. Essi sono essenzialmente tre:

· eterozigosi composta o omozigosi per mutazioni β-talassemiche lievi, che interessano per lo più il promotore del gene β, riducendo la sua trascrizione;

· coeredità di α-talassemia, che, riducendo lo sbi-lanciamento globinico, attenua il quadro clinico;

· coeredità di determinanti genetici, come ad esem-pio mutazioni puntiformi a carico dei promotori

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dei geni globinici fetali o, come dimostrato più recentemente3, non associati al locus dei geni β glo-binici, che, aumentando la produzione delle catene gamma-globiniche, riducono lo sbilanciamento globinico e attenuano il quadro clinico.

Diagnosi di TI

A differenza delle TM, in cui per la diagnosi può essere sufficiente lo studio del fenotipo clini-

co ed ematologico del probando ed eventualmente dei genitori (entrambi portatori obbligati di β-talassemia) e in cui lo studio molecolare delle mutazioni talassemi-che è necessario solo ai fini di una diagnosi prenatale, l’estrema variabilità dei dati clinici e laboratoristici delle TI rende indispensabile in questi pazienti, oltre alle valutazioni succitate, un’accurata analisi molecolare dei geni globinici.

Caso clinico 1

V .R., una ragazza di 12 anni, venne inviata alla nostra osserva-

zione per anemia e ittero; l’anamnesi personale non era significativa; l’esa-me clinico mostrava buone condizio-

ni generali con pallore delle mucose, subittero scle-rale, ittero cutaneo intenso e marcata splenomegalia. I risultati delle indagini ematochimiche mostravano: Hb=9,7 gr/dl, MCV=66 fl, reticolociti=136000 (V.N. 40000-80000), eritroblasti=rari, ferritina=52 ng/ml, aptoglobina=assente, bilirubina totale=4,37 mg/dl (di-retta=0,15), LDH=587 U/L (V.N.<500). L’esame al mi-croscopio dello striscio ematico periferico mostrava mar-cata anisopoichilocitosi eritrocitaria con cellule a bersa-glio (Fig. 1). L’analisi dell’Hb mostrava il quadro tipico di portatore di β-talassemia (HbA2=6,5%+HbF=4,8) (Nota 1). Si procedeva allo studio dei genitori: il feno-tipo ematologico della madre era perfettamente nor-male; il padre era un classico portatore di β-talassemia (Hb=11,1; MCV=62; bilirubina tot.=2,6, Dir.=0,33; ferri-tina=200; HbA2=7% +HbF=1,3%). Lo studio molecolare

dei geni globinici mostrò che la madre era eterozigote per il triplo α (ααα/αα), con 5 geni α invece di 4; il padre era ete-rozigote per la mutazione β-talassemica β039; la probanda presentava entrambe le mutazioni, con conseguente più marcato sbilanciamento delle catene globiniche (rapporto α/β>1), rispettivamente per au-mento del numeratore e diminuzione del denominatore. Questo meccanismo mo-lecolare è causa non infrequente di TI4: anche nella casistica degli autori sono inclusi, infatti, ben 15 pazienti apparte-

Figura 1. Striscio periferico di un soggetto affetto da beta-talassemia intermedia. L’esame dello striscio periferico mostra una marcata anisopoichilocitosi delle emazie, ipocromia eritrocitaria, con cellule a bersaglio e qualche schistocita.

Nota 1Nell’ambito dei disordini ereditari dell’Hb una questione essenziale è l’individuazione dei portatori di tali anomalie. Anche in que-sto caso ci limiteremo ai punti fondamentali, rimandando il lettore ad altre trattazioni1,2,3 per un maggior approfondimento. Per quanto attiene i portatori di β-talassemia, le caratteristiche peculiari del fenotipo e-matologico di questi soggetti sono costituite dalla microcitosi ed ipocromia delle emazie (di qui il termine, di per sé fuorviante, di “microcitemie” che tuttora si continua ad usare per questi disordini). Vanno però sot-tolineati alcuni punti:

· microcitosi e ipocromia delle emazie ca-ratterizzano anche altre condizioni mor-bose, in particolare la carenza di ferro, che è estremamente diffusa nel mondo, molto più delle talassemie;

· la sideropenia può coesistere con lo sta-to di portatore di talassemia: ciò deter-mina, nel caso delle β-talassemie, per ragioni non chiare, una riduzione dei

livelli di HbA2 che, come esaminere-mo dopo, è l’elemento cardine per la diagnosi di portatore di β-talassemia; da qui l’importanza di valutare sem-pre, insieme agli altri esami, il bilancio del ferro (sideremia, transferrinemia e ferritinemia) e, nel caso di carenza di ferro (sideremia e ferritina bassa e tran-sferrina elevata), rivalutare il soggetto dopo aver ripristinato i depositi di ferro dell’organismo;

· i valori di MCV, o volume globulare me-dio delle emazie, variano in rapporto all’età: elevati alla nascita, si riducono poi rapidamente, raggiungendo i va-lori più bassi intorno ai 6 mesi di vita e riprendendo poi a crescere progres-sivamente fino a raggiungere i valori dell’adulto a 18 anni, senza variazioni nei due sessi4;

· i valori dell’MCV tendono ad abbassarsi in condizione di infiammazione: è buo-na norma pertanto valutare il fenotipo ematologico del soggetto, soprattutto

in età pediatrica, dopo almeno 2 setti-mane dalla fine di un processo infiam-matorio intercorrente4: ciò consente anche di avere risultati attendibili del bilancio del ferro del soggetto, poi-ché l’infiammazione determina di per sé abbassamento della sideremia, con valori aumentati della ferritina e valori di transferrinemia normali o diminuiti. I portatori di β-talassemia presentano uno solo dei due geni β-globinici mu-tato; sono clinicamente sani, tutt’al più lievemente pallidi e subitterici. Il fenotipo ematologico è per lo più ca-ratterizzato da lieve eritrocitosi, lieve anemia, microcitosi e ipocromia. L’e-same dello striscio periferico mostra modesta anisopoichilocitosi, cellule a bersaglio e punteggiatura basofila. Come si è accennato in precedenza, l’esame fondamentale è il dosaggio dell’HbA2 (preferibilmente mediante metodica sensibile ed accurata, quale l‘HPLC o cromatografia liquida ad alta

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nenti a 7 nuclei familiari diversi; più rari, e con quadro clinico più severo, sono i casi descritti in letteratura di TI dovuti all’interazione di β-talassemia eterozigote con omozigosi per il triplo α (ααα/ααα) o eterozigosi per il quadruplo α (αααα/αα). Per spiegare l’iperbili-rubinemia indiretta fu effettuata l’indagine molecolare per la sindrome di Gilbert. Questa evidenziò che la probanda era omozigote per una variante A(TA)7/TAA del promotore del gene UGT1A1, responsabile della sin-tesi dell’enzima uridin-difosfato-glicuroniltransferasi, che determina una ridotta trascrizione del gene con conseguente riduzione della attività enzimatica. Questa condizione, molto diffusa nella popolazione generale, causa un incremento dei livelli di iperbilirubinemia indiretta5 e rappresenta nei pazienti affetti da talasse-mia o da altre anemie emolitiche croniche, un fattore di rischio aggiuntivo di una temibile complicanza, la litiasi biliare.

Complicanze delle TI

Il sovraccarico di ferro con i suoi effetti le- sivi su organi e apparati rappresenta la complicanza

più grave delle talassemie. La valutazione, pertanto, della sua entità e distribuzione nell’organismo assu-me un ruolo fondamentale nel follow-up di questi pazienti. Essa viene solitamente effettuata mediante determinazioni seriate dei livelli sierici della ferritina, con le note limitazioni dovute ai suoi valori falsamente elevati in caso di infiammazione o malattia epatica. Negli ultimi anni l’introduzione di nuove modalità di applicazione della risonanza magnetica nucleare ha consentito una precisa valutazione della distribuzione e dell’entità del ferro corporeo e la possibilità di con-trolli nel tempo6. Nelle TM il sovraccarico marziale è conseguenza inevitabile del regime trasfusionale cronico cui questi pazienti sono sottoposti e che mira alla soppressione dell’eritropoiesi inefficace severa, tipica di questo disordine7; il ferro introdotto con le trasfusioni si accumula progressivamente e aumenta

L’estrema variabilità dei dati clinici e laboratoristici delle TI rende indispensabile un’accurata analisi molecolare dei geni globinici.

pressione): i portatori “classici” pre-senteranno valori aumentati di HbA2 (>3,3%, fino al 7%) e valori normali o lievemente aumentati di HbF (1>5%).

Va tenuto però presente che esistono anche varianti più rare:

· portatori di deltabeta-talassemia: in questi soggetti è presente una delezio-ne che coinvolge i due geni delta e beta sullo stesso cromosoma: questi soggetti, oltre alle caratteristiche del fenotipo e-matologico precedentemente descritte, presenteranno, all’analisi del profilo e-moglobinico, valori normali o lievemente ridotti di HbA2 e valori aumentati di HbF ( in genere compresi tra 5 e 15%);

· portatori con HbA2 normali: questi sog-getti presentano il fenotipo ematologico dei portatori classici, ma valori di HbA2 normali, in quanto hanno ereditato mu-tazioni sia del gene delta che del gene beta: la mutazione del gene delta può essere presente sullo stesso cromosoma o sul cromosoma opposto;

· portatori silenti: questi soggetti han-no mutazioni localizzate per lo più nel promotore del gene β; presentano un fenotipo ematologico normale o solo lieve microcitosi e ipocromia, con valori di HbA2 normali o “bordeline”5.

In conclusione, la diagnosi di portatore di β-talassemia è nella maggior parte dei casi abbastanza agevole: è nostra ferma convinzione che sia compito dell’operatore sanitario coinvolto - e soprattutto di noi pediatri – estendere poi l’analisi a tutto il nucleo familiare, in modo da poter indivi-duare eventuali coppie a rischio (genitori entrambi portatori) e fornire così un’in-formazione completa ed esaustiva, anche con l’aiuto di esperti. Nei casi atipici o con fenotipi ematologici e genetici comples-si, non trattati in queste brevi annotazioni (α-talassemia, altre emoglobinopatie etc.), sarà utile indirizzare questi soggetti a Cen-tri regionali di II livello, presenti in tutto il territorio nazionale.

Bibliografia1. Dacie J. The Haemolytic Anaemias,

volume 2, 3rd ed. Edinburgh: Churchill Livingstone, 1988.

2. Weatherall DJ, Clegg JB. The Thalassaemia syndromes, 4th ed. Oxford: Blackwell Science, 2001.

3. Orkin SH, Nathan DG, Ginsburg D, Look AT, Fisher DE; Lux SE. Nathan and Oski’s Hematology of Infancy and Childhood, 7th ed. Philadelphia: Saunders Elsevier, 2009.

4. Dallmann PR, Siimes MA. Percentile curves for hemoglobin and red cell volume in infancy and childhood. J Pediatr 1979;94:26-31.

5. Rosatelli MR, Faà V, Meloni A, Fiorenza F, Galanello R, Gasperini D, et al. A promoter mutation, C>T at position -92, leading to silent β-thalassaemia. Br J Haematol 1995; 90:483-5.

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nel plasma, con conseguente incremento della parte non legata alla transferrina e danno a carico soprat-tutto di fegato, cuore e ghiandole endocrine. Questo meccanismo patologico s’instaura non solo nelle TM ma anche in altri disordini ematologici che richiedono un regime trasfusionale cronico, come altre forme di emoglobinopatie, anemie congenite, mielodisplasie e così via. Nelle TI il sovraccarico di ferro è conseguenza soprattutto dell’aumentato assorbimento intestinale di questo ione, dovuto a sua volta ai livelli bassi dell’epci-dina, associati all’eritropoiesi inefficace presente in questi pazienti. Negli ultimi anni è stato chiarito il ruolo chiave di quest’ormone nel metabolismo del fer-ro, il suo meccanismo di azione mediante il legame con il recettore specifico, la ferroportina, e i meccanismi di controllo della sua sintesi. Questi studi hanno aperto interessanti prospettive terapeutiche sia delle TI che di altre anemie, come le anemie diseritropoietiche congenite, in cui il sovraccarico di ferro si realizza con lo stesso meccanismo delle TI o dell’emocromatosi ereditaria, in cui difetti a carico di alcuni geni determi-nano un deficit di sintesi dell’epcidina e conseguente sovraccarico di ferro8. Oltre alle ben note complicanze comuni a tutte le anemie emolitiche croniche (litiasi biliare, ulcere agli arti inferiori, crisi aplastiche, crisi i-peremolitiche), studi recenti9 hanno mostrato che que-sti pazienti possono presentare un numero elevato di complicanze, spesso con una frequenza più elevata dei soggetti trasfusione-dipendenti: in particolare, danno epatico severo fino allo sviluppo di epatocarcinoma, danno tubulare renale, danni ossei, splenomegalie marcate e sviluppo di masse emopoietiche pseudo-tumorali conseguenti all’eritropoiesi extramidollare, ipercoagulabilità dovuta ad alterazioni piastriniche e alla presenza in circolo di eritrociti anomali, e causa di fenomeni ischemici cerebrali silenti, trombosi venose e ipertensione polmonare severa fino allo sviluppo di insufficienza cardiaca destra.

Terapia delle TI

TrasfusioniOccasionalmente questi pazienti possono richiedere tra-sfusioni (ad esempio per anemizzazioni acute o stato di gravidanza). L’attento controllo dei donatori e lo scre-ening per HIV e HCV hanno notevolmente ridotto la possibilità della trasmissione di queste malattie virali, con un approccio più liberale verso tale trattamento.

Chelanti del ferroDopo la desferoxamina, utilizzabile solo per via parente-rale, sono stati introdotti nella terapia del sovraccarico di ferro due nuovi chelanti orali del ferro: il deferiprone e il deferasirox. L’uso di quest’ultimo è stato recentemente approvato dall’EMA per il sovraccarico epatico di ferro nei pazienti con TI10.

SplenectomiaNegli ultimi anni si è progressivamente diffusa una maggiore cautela nel proporre tale procedura a pazienti con TI. Oltre alla ben nota maggiore suscettibilità degli splenectomizzati alle infezioni sistemiche ‒ rischio in parte ridotto dalle vaccinazioni e da un’attenta profilassi antibiotica ‒ si è osservato, in seguito a splenectomia, un peggioramento dello stato di ipercoagulabilità, con un rischio aumentato di eventi trombotici e vascolari9. Oggi l’intervento di splenectomia dovrebbe essere proposto:

1) in caso d’ipersplenismo, per la comparsa di leuco-penia e/o piastrinopenia e/o peggioramento dell’a-nemia;

2) in caso di splenomegalie enormi, per il pericolo di rottura splenica.

Immigrazione e disordini ereditari dell’emoglobina

L’Italia è stata negli ultimi millenni la me- ta d’immigrazione di numerose popolazioni che,

Nelle TI il sovraccarico di ferro è conseguenza soprattutto dell ’aumentato assorbimento intestinale di questo ione, dovuto a sua volta ai livelli bassi dell ’epcidina.

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attirate dalla salubrità del clima e dalla fertilità del suolo, vi si sono stabilmente fermate. Questi popoli si sono col tempo fusi tra loro, apportando oltre al proprio bagaglio culturale e linguistico, anche il loro specifico corredo ge-netico e, conseguentemente, i disordini morbosi ad esso collegati. In particolare ricordiamo la conquista “araba” della Sicilia, avvenuta nel IX secolo dopo Cristo. Furo-no questi invasori provenienti dall’Africa settentrionale e dalle regioni sub-sahariane dell’Africa equatoriale a portare i geni dell’HbS e dell’HbC in Sicilia e, attraverso le razzie perpetrate per secoli, nelle altre regioni costiere dell’Italia meridionale. Tutto ciò determinò l’abbandono di questi territori, lo sviluppo di acquitrini e paludi e il conseguente diffondersi della malaria. Numerosi studi epidemiologici, pur in assenza di chiare evidenze speri-mentali, hanno dimostrato lo stretto legame tra la diffu-sione dei disordini ereditari dell’Hb e di altre malattie ematologiche ereditarie e la malaria, in quanto i portato-ri di questi geni alterati sono più resistenti all’infezione malarica11. In realtà, la malaria era già presente in alcune zone, soprattutto del Meridione: in questo caso agivano però altri fattori, operanti soprattutto dal II secolo a. C. in poi nelle regioni dell’Italia meridionale, e cioè il diffondersi dei latifondi e dell’allevamento nomade del bestiame. Naturalmente la caduta dell’Impero roma-no e le invasioni barbariche accentuarono ed estesero queste calamità. Ai giorni nostri abbiamo assistito a un altro fenomeno epocale con l’arrivo nel nostro Paese di un numero enorme di immigrati, provenienti perlopiù dalle regioni sub-sahariane dell’Africa equatoriale, dai paesi del bacino del Mediterraneo e dal Sud-Est asiatico. Questo flusso migratorio ha determinato la comparsa di malattie “nuove” a cui la nostra classe medica era

poco avvezza: ad esempio l’anemia a cellule falciformi, con un numero crescente di pazienti pediatrici affetti. Recentemente il Gruppo di lavoro del Globulo Rosso dell’Associazione Italiana di Ematologia-Oncologia Pe-diatrica ha sentito la necessità di approntare delle Linee guida per la diagnosi e terapia dell’anemia a cellule fal-ciformi in età pediatrica12. Nel nostro Centro seguiamo attualmente due pazienti, una bambina senegalese di 3 anni affetta da omozigosi S e una ragazza di 10 anni, o-riginaria del Ghana, affetta da doppia eterozigosi SC. Va inoltre considerato un altro aspetto dell’immigrazione rappresentato dai matrimoni misti: ciò può creare nuove problematiche cliniche e laboratoristiche, soprattutto in aree come l’agro nocerino-sarnese (che è il territorio di riferimento dell’Ospedale degli autori), dove il nume-ro di portatori italiani di disordini ereditari dell’Hb è elevato. (Nota 2).

Caso clinico 2

Venne inviata alla nostra osservazione una bambina di 3 anni per il riscontro di anemia; l’a-

namnesi personale non era significativa: in particolare non era mai stata trasfusa. All’esame obiettivo la pazien-te era in buone condizioni generali; la cute e le mucose erano pallide; era presente marcata splenomegalia. I risultati degli esami praticati mostravano: Hb=8,1 gr/dl, MCV=45 fl, reticolociti=146.000, eritroblasti=assenti, ferritina=90, LDH=711, bilirubinemia totale=1,58 mg/dl (bil. diretta=0,18), aptoglobina=assente. La morfologia eritrocitaria all’esame dello striscio periferico mostrava una marcata frammentazione delle emazie, con presen-

Nota 2Per quanto riguarda le emoglobinopa-tie1,2,3, limitandoci a quelle più frequenti, e in particolare l’HbS e l’HbC, va sottolineato che i portatori di tali emoglobine abnormi hanno un esame emocromocitometrico del tutto normale: l’osservazione dello striscio periferico (troppo spesso trascurato) è del tutto normale nei portatori di HbS, mentre mostrerà la presenza di emazie a bersaglio nel caso dei portatori di HbC. La presenza di una variante può essere definita dalla valutazione dell’assetto emoglobinico che può essere effettuata mediante tecniche elettroforetiche o metodiche più sensibi-li ed accurate, quali l’HPLC. Nei portatori sarà così possibile dimostrare la presenza di un’emoglobina abnorme, in una per-

centuale di circa il 40%: nel caso dell’HbS, essa eluisce subito dopo l’HbA2, i cui va-lori sono ai limiti superiori della norma o lievemente superiori alla norma e nel caso dell’HbC co-eluisce con l’HbA2. È da no-tare che queste percentuali diminuiscono se il soggetto in esame è anche portatore di α-talassemia. Quando sospettare uno stato di portatore di un’emoglobina ab-norme, visto che il fenotipo ematologico è normale? Un elemento di cui tenere conto è la provenienza del soggetto in esame dai Paesi dell’Africa equatoriale sub-sahariana (Senegal, Nigeria, Guinea etc.), dove il nu-mero di portatori di queste emoglobino-patie è elevatissimo (fino al 15-20% della popolazione). Occorre sottolineare che, indipendentemente dall’etnia, la possibile

presenza di una variante dell’emoglobina deve essere comunque ricercata nei casi in cui il partner è un portatore di un altro difetto dell’emoglobina.

Bibliografia1. Dacie J. The Haemolytic Anaemias,

volume 2, 3rd ed. Edinburgh: Churchill Livingstone, 1988.

2. Weatherall DJ, Clegg JB. The Thalassaemia syndromes, 4th ed. Oxford: Blackwell Science, 2001.

3. Orkin SH, Nathan DG, Ginsburg D, Look AT, Fisher DE; Lux SE. Nathan and Oski’s Hematology of Infancy and Childhood, 7th ed. Philadelphia, PA: Saunders Elsevier, 2009.

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za di schistociti, dacriociti, ellissociti e numerose cellule a “bersaglio” (Fig. 2). Per quanto riguarda i genitori, il padre, 37 anni, originario dell’agro nocerino-sarnese, con esame clinico negativo, mo-strava una lieve ipocromia e microcitosi delle emazie (Fig. 3) e il seguente fe-notipo ematologico: Hb=15,3, MCV=75, reticolociti=59000, eritroblasti=assenti, bilirubinemia totale, aptoglobina e LDH=nella norma, ferritina=75. La ma-dre, 30 anni, di origine thailandese, rife-riva di essere stata trasfusa varie volte da piccola, soprattutto in occasione di even-ti febbrili intercorrenti; l’esame clinico mostrava buone condizioni generali con marcata epatosplenomegalia. La morfo-logia eritrocitaria mostrava marcata ani-sopoichilocitosi con presenza di cellule a “bersaglio” e microsferociti (Fig. 4). Il fenotipo ematologico era il seguente: Hb=11,2, MCV=60, reticolociti=163000, eritroblasti=presenti, ferritina=582, bili-rubinemia totale e LDH=nella norma, aptoglobina= lievemente ridotta.

L’analisi cromatografica fu estesa a tutti i componenti del nucleo familiare:

· nella probanda era presente il seguente profilo emoglobinico: HbA+Hb anomala, che co-eluiva con l’HbA2 (17%), +HbF (2,8%) + piccola banda iperveloce, verosimil-mente Hb Bart (4,2%);

· nel padre: HbA+HbA2 (2,8%)+HbF (0,3%);

· nella madre: banda anomala, che co-migrava nella posizione di HbA2, +HbF (3,6%) + piccola ban-da iperveloce, verosimilmente Hb Bart, (1,6%), in assenza di HbA.

È necessario individuare eventuali fenotipi atipici soprattutto nelle popolazioni di immigrati e poter diagnosticare più precocemente i pazienti affetti da talassemia intermedia.

Figura 2. Striscio periferico di un soggetto affetto da HbH. L’esame dello striscio periferico mostra la presenza di numerosi eritrociti a morfologia distorta, con marcata ipocromia, numerosi schistociti e cellule a bersaglio.

Figura 3. Striscio periferico di un portatore silente di alfa-talassemia. L’esame dello striscio mostra una lieve ipocromia e microcitosi delle emazie.

Figura 4. Striscio periferico di un soggetto affetto da HbE/beta-talassemia. L’esame dello striscio periferico mostra una spiccata anisopoichilocitosi degli eritrociti, con presenza di schistociti, cellule a bersaglio e microsferociti.

A questo punto si rendeva indispensa-bile l’approfondimento molecolare:

· il padre risultò portatore della delezio-ne di un singolo gene α (αα/-α-3.7);

· la madre era eterozigote composta HbE/β0-talassemia; era inoltre por-tatrice della delezione di 2 geni α (αα/--SEA) e omozigote per la mu-tazione del promotore del gene Gg in posizione -158 (C-->T) che, in condi-zione di stress eritropoietico, stimola la produzione di HbF13;

· la probanda presentava la delezione di 3 geni α (--SEA/-α-3.7) e inoltre era portatrice di HbE e del polimorfismo -158 Gg. A questo punto era possibile la dia-

gnosi clinica definitiva:

· il padre era un portatore silente di α talassemia, una condizione molto frequente, con fenotipo ematologico normale o solo lieve microcitosi e i-pocromia eritrocitaria;

· la madre era affetta da talassemia in-termedia: il fenotipo ematologico era attenuato dalla coeredità dei difetti a carico dei geni α e g, che riducevano lo sbilanciamento delle catene globiniche α/β;

· la probanda era affetta da Emoglobina H (o HbH).

Il quadro clinico ed ematologico di que-sta malattia è determinato dalla delezione e/o inattivazione di 3 geni α; i pazienti presentano un’anemia emolitica cronica di moderata intensità con microcitosi ed ipocromia spiccata e, allo striscio, una mar-cata frammentazione delle emazie. All’e-lettroforesi dell’Hb è presente, in quantità variabile dall’1 al 40%, una banda anomala

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a migrazione veloce, denominata HbH, formata da tetra-meri di catene β (β4); alla nascita, e successivamente solo in piccole tracce, è ben evidente un’altra emoglobina ano-mala, anch’essa a migrazione veloce, l’Hb Bart formata da tetrameri di catene g (g4). Nella nostra probanda mancava l’HbH e ciò viene spiegato con l’instabilità dell’HbE e dei relativi tetrameri1. Il decorso clinico e le complicanze sono quelli tipici di tutte le anemie emolitiche croniche. La terapia è solo di supporto: trasfusioni, se necessario; sple-nectomia, solo in presenza di ipersplenismo; eliminazione di agenti ossidanti (soprattutto farmaci), che accentuano la gravità dell’emolisi. L’HbE è verosimilmente la variante globinica più frequente nel mondo ed è estremamente diffusa nelle popolazioni del Sud-Est asiatico. Essa è ca-ratterizzata dalla sostituzione dell’acido glutammico con la lisina in posizione 26 della catena β-globinica e presenta una mobilità elettroforetica simile a quella dell’HbA2. Gli omozigoti per l’HbE sono microcitici, minimamente ane-mici e asintomatici, un fenotipo simile ai portatori classici di β-talassemia. I portatori di HbE, che hanno un livello di questa variante intorno al 30%, presentano lo stesso feno-tipo ematologico, ma ancora più attenuato. La microcitosi è legata alla natura talassemica dell’HbE, che si comporta come una mutazione β-talassemica lieve. L’importanza di questa variante emoglobinica risiede nel fatto che l’etero-zigosi composta HbE/β-talassemia determina un quadro di anemia variabile, che va da una forma lieve di talassemia

ad una forma severa trasfusione-dipendente14, costituendo un problema sanitario di enorme importanza nei Paesi in cui questi disordini ematologici sono diffusi.

Conclusioni

Questa trattazione non ha la pretesa di essere esaustiva dei due argomenti scelti dagli auto-

ri, ma vuole solo essere di stimolo perché i medici curanti e soprattutto i pediatri approfondiscano la conoscenza di questi disordini morbosi, in modo da individuare e-ventuali fenotipi atipici soprattutto nelle popolazioni di immigrati e diagnosticare più precocemente i pazienti affetti da talassemia intermedia, in modo da avviarli a un corretto follow-up e agli appropriati trattamenti terapeutici .

Bibliografia1. Weatherall DJ, Clegg JB. The

Thalassaemia syndromes, 4th ed. Oxford: Blackwell Science, 2001.

2. Musallam KM, Rivella S,Vichinsky E, Rachmilewitz EA. Non-transfusion-dependent thalassemias. Haematologica 2013; 98: 833-44.

3. Danjou F, Anni F, Galanello R. Beta thalassemia: from genotype to phenotype. Haematologica 2011; 96: 1573-4.

4. Bianco I, Lerone M, Foglietta E, Deidda I, Cappabianca MP, Morlupi L, et al. Phenotypes of individuals with a ß thal classical allele associated either with a ß thal silent allele or with α globin gene triplicate. Haematologica 1997; 82:513-25.

5. Sampietro M, Iolascon A. Molecular pathology of Crigler-Najjar type I and II and Gilbert’s syndromes. Haematologica 1999; 84: 150-7.

6. Palmieri F, di Salvo G, Perrotta S, Ragozzino A. Improved T2* assessment

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7. Piomelli S, Hart D, Graziano J, Grant G, Karpatkin M, McCarthy K. Current strategies in the management of Cooley’s anemia. Ann N Y Acad Sci 1985; 445:256-67.

8. Fung E, Nemeth E. Manipulation of the hepcidin pathway for therapeutic purposes. Haematologica 2013; 98:1667-76.

9. Musallam KM, Sankaran VG, Cappellini MD, Duca L, Nathan DG, Taher AT. Fetal hemoglobin levels and morbidity in untransfused patients with beta-thalassemia intermedia. Blood 2012; 119:364-7.

10. Taher AT, Porter J, Viprakasit V, Kattamis A, Chuncharunee S, Sutcharitchan P et al. Deferasirox reduces iron overload significantly in non-transfusion-dependent thalassemia: 1- year result from a prospective, randomized, double-blind,

placebo-controlled study. Blood 2012; 120:970-7.

11. Weatherall DJ. The inherited deseases of hemoglobin are an emerging global health burden. Blood 2010;115:4331-6.

12. Colombatti R, Perrotta S, Samperi P, Casale M, Masera N, Palazzi G et al. on behalf of the Italian Association of Pediatric Hematology-Oncology (AIEOP) Sickle Cell Disease Working Group. Orphanet J Rare Dis 2013; 8:169.

13. Grosso M, Amendolara M, Rescigno G, Danise P, Todisco N, Izzo P, et al. Delayed decline of gamma-globin expression in infant age associated with the presence of (G)gamma-158 (C-->T) polymorphism. Int J Lab Hematol 2008; 30:191-5.

14. Fucharoen S, Ketvichit P, Pootrakul P, Siritanaratkul N, Piankijagum A,Wasi P. Clinical Manifestation of ß-Thalassemia/Hemoglobin E Disease. J Pediatr Hematol Oncol 2000; 22:553-7.

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

Ringraziamenti Gli autori ringraziano il dottor Renato Vitiello per la revisione critica del manoscritto e il personale infermieristico del Day Hospital di Onco-Ematologia Pediatrica dell’Ospedale di Nocera Inferiore (Maria D’Amato, Antonia D’ Auria, Anella Bello e Ida Tortora) che, con grandissima dedizione e professionalità, si dedica alla cura di questi pazienti.

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Maria Giuliano1

Franca Benini21 Board Progetto

Ministeriale NienteMale Junior

Pediatra di famiglia, Napoli

2 Responsabile del Centro Regionale Veneto

di Terapia del Dolore e Cure Palliative PediatricheDipartimento di Pediatria,

Università di Padova,Coordinatore

del Progetto Ministeriale NienteMale Junior

I l dolore è un sintomo frequente in corso di malattia: spesso è un segnale d’allarme per porre un sospetto diagnostico.

Esso può essere un fattore sensibile nell’indicare evoluzioni positive o negative del decorso della malattia, innegabile presenza in corso di molteplici procedure diagnostiche e/o terapeutiche e costante riflesso di paura e ansia per tutto quello che la malattia comporta.

È un sintomo trasversale, che indipendentemente dalla patologia e dall’età del bambino, mina in maniera importante l’integrità fisica e psichica del paziente e angoscia e preoccupa i suoi familiari con un notevole impatto sulla qualità della vita.

È un sintomo frequente: riguarda il 60% degli accessi in Pronto Soccorso; è il sintomo d’esordio nel 60% dei bambini oncologici, è costante presenza nelle patologie reumatiche e nelle patologie ricorrenti. È appannaggio del 100% nelle diagnostiche invasive, e riguarda il 70-80% dei bambini che vanno incontro a un intervento chirurgico1. In questi ultimi anni sono stati fatti progressi importanti sia riguardo la valutazione del dolore nelle diverse età pediatriche, sia nell’approccio terapeutico, farmacologico e non. Le conoscenze raggiunte sono a tutt’oggi tali e tante da poter assicurare un corretto ed efficace approccio antalgico nella maggior parte delle situazioni. Anche a livello legislativo/normativo, in Italia sono stati fatti notevoli progressi nell’ambito del dolore pediatrico: la Legge 38, emanata il 9 marzo 2010, pone delle indicazioni del tutto innovative: la Terapia del Dolore (TD) e le Cure Palliative Pediatriche (CPP) sono definite come diritto alla salute del bambino2,3. Tuttavia, nonostante la disponibilità di strumenti e la possibilità concreta di dare adeguata risposta, moltissime sono tuttora le conferme che la gestione del dolore pediatrico è lontana dalle reali possibilità e che perdura una situazione di limitata attenzione al problema.

Vedianche

. . .PAGG. 111

& 123

Con questo numero comincia un percorso formativo dedicato alla Terapia del Dolore e alle Cure Palliative Pediatriche a cura di Franca Benini della Clinica Pediatrica dell’Università di Padova. Questo approfondimento vuole accrescere nel lettore le conoscenze di base su problemi clinici spesso sottovalutati, per soddisfare importanti bisogni di salute non sempre affrontati con attenzione.

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colpo d’occhio Il dolore del bambino:nuovo o vecchio problema?

60%degli accessi al Pronto soccorso

Il doloreè costante presenzanelle patologie reumatiche e nelle patologie ricorrenti

60%dei sintomi d’esordio nei bambini oncologici

100%nelle diagnosi invasive

70–80%degli interventi chirurgici

Sempre nell’ambito del progetto “NienteMale Junior” (febbraio 2013) è stata posta la domanda: “In caso di dolore severo (>7) quale tipo di farmaco general-mente utilizzi?”: il 53,62% dei PdF propone l’associazione paracetamolo+codeina (attualmente non disponibile per i bambini al di sotto dei 12 anni), il 31,64% ibuprofene, il 4,83 % tramadolo e solo lo 0,72% propone l’utilizzo di un oppioide (morfina). Questi dati confermano che anche per un dolore severo (FLACC/WB/Numerica >7) molti pediatri escludono l’utilizzo dei farmaci oppioidi: farmaci che possono avere invece, in queste situazioni, indicazione e utilizzo corretto.

I farmaci che i PdF utilizzano maggiormente nella pratica clinica per la gestione del dolore sono paracetamolo e ibuprofene. Analizzando i dati relativi alle modalità di utilizzo del paracetamolo, si evidenzia però che persi-stono problemi relativamente alla scelta del dosaggio (dati 2013). Il paracetamolo viene sempre usato ad un dosaggio antalgico corretto solo dal 13,5 % dei pediatri, mai o quasi mai invece dal 44% dei professionisti.

Il farmaco utilizzato per trattare un dolore grave nell’ambulatorio del PdF

Utilizzo del paracetamoloa dosaggio analgesico

Nell’ambito del progetto “NienteMale Junior” (http://goo.gl/CsEZYP) è stata svolta un’indagine per valutare le modalità di assessment del dolore da parte dei pediatri di famiglia (PdF). L’indagine è stata condotta attraverso la somministrazione via web (http://www.fimp.org/questionari/dolore.aspx) di un questionario rigorosamente anonimo, a domande chiuse. Il questiona-rio è stato inviato a 4900 PdF iscritti alla FIMP nel giugno 2011 e poi risomministrato a distanza di 20 mesi (feb-braio 2013), dopo un percorso formativo abilitativo di tre giornate (format Ministeriale “NienteMale Junior”). L’indagine eseguita dopo la formazione ha evidenziato una maggior consapevolezza di scarsa valutazione del sintomo dolore in età pediatrica (53% contro il 47% nella valutazione del 2011), ma soprattutto ha messo in luce un significativo incremento della misurazione del dolore e della registrazione del dato in cartella (dal 58 % al 74 %). Significativo l’incremento registrato dell’utilizzo routinario di scale algometriche validate scelte in base all’età del paziente (dal 10% del primo questionario al 43%).

Rilevazione del dolore nell’ambulatorio del pediatria di famiglia

Marzo 2011 Febbraio 2013

Valutazionedel dolore 47,35% 53%

Misurazione del dolore 58,2% 74%

Scala validata 9,8% 42,68%

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0colpo d’occhio Il dolore del bambino:nuovo o vecchio problema?

Un dato che ci deve far pensare è quello relativo alla spesa per i farmaci analgesici nell’anno 2012 in Italia messo a disposizione dal Ministero della Salute.5 I dati evidenziano un enorme squilibrio della spesa dei farmaci analgesici per i minori (0–18 anni) rispetto alla popolazione totale. La spesa per i farmaci analgesici infatti, rappresenta meno dello 0,6 % di tutta la spesa totale e questo nonostante la popolazione pediatrica rappresenti il 17% della popolazione italiana (dati ISTAT 2012). Tale fenomeno non è giustificabile sulla base della diversa epidemio-logia e prevalenza del dolore in ambito pediatrico rispetto all’adulto: ma probabilmente trova motivazione almeno in parte nella paura e/o diffidenza nell’utilizzo di farmaci analgesici in questa fascia d’età.

Anche a livello ospedaliero permangono dei problemi. Lo studio PIPER del 2012 ha infatti evidenziato che su 500 pazienti giunti in Pronto Soccorso (PS) per dolore, il 68,6 % non riceve alcuna terapia analgesica e che al momento della dimissione nel 33% dei casi non viene prescritta alcuna terapia analgesi-ca a domicilio. Solo nel 26% dei PS pediatrici il dolore in triage viene sempre valutato, ma l’utilizzo di scale algometriche validate si li-mita a poco meno della metà delle strutture (47%) e la registrazione del dato in cartella clinica viene effettuata nel 57% dei triage.4,5

La gestione del dolore a livello ospedaliero

Spesa per farmaci analgesici nei pazienti da 0 a 18 anni

Somministrazione di farmaci in DEA PIPER 2012 (500 pazienti)

Inizio in: n. %

Triage 20 4

PS 116 24

OBI 13 3

Prescritti a domicilio:

No 162 33

Sì 323 67

Rilevazione del dolore in ambito ospedaliero – Gruppo di studio Piper, 2012. (Fonte: Istat 2012)

Farmaci Spesa totale (euro)

Spesa per pazienti pediatrici (euro)

% spesa per pazienti pediatrici sul totale (euro)

Oppioidi forti 77.794.392 92.535 0,12%

Oppioidi deboli 47.801.473 78.579 0,16%

Non oppioidi 519.259.559 827.175 0,16%

Questi dati evidenziano che nonostante la disponibilità di strumenti e la possibilità concreta di dare adeguata ri-

sposta, sono moltissime tuttora le conferme che la gestione del dolore pediatrico è lontana dalle reali possibilità e che perdura una situazione di limitata attenzione al problema sia a livello territoriale che ospedaliero. Molteplici e reali le motivazioni di questa situazione: alcune criticità tuttavia giocano un ruolo fon-damentale nel rallentare il cambiamento.

· Il dolore in ambito pediatrico è un problema clinico che ri-chiede conoscenze e competenze adeguate: competenze e conoscenze che tuttora sono carenti. Nei curricula formativi universitari infatti lo spazio riservato al problema dolore pe-diatrico è limitato.

· Il dolore viene sottovalutato/giustificato perché ritenuto non pericoloso per il paziente e perché non di rado viene riconosciuta al dolore una funzione educativa e di crescita.

· Persiste la paura dell’uso dei farmaci analgesici condizionata probabilmente sia dal timore di eventuali problemi legali in caso d’insorgenza di effetti imprevisti (l’80% dei farmaci analgesici in pediatria è off label) che dalla scarsa dimesti-chezza nell’uso di talune molecole (soprattutto gli oppioidi).

In tutte queste criticità la formazione gioca un ruolo strategico ed essenziale per colmare il gap che si registra fra conoscenza scientifica disponibile e comportamento clinico. Molto si sta lavorando nella formazione, ma a questa debbono integrarsi scelte organizzative e programmatiche specifiche che permettano ai professionisti formati di dare risposte competenti e professionali a questo frequente, “vecchio e nuovo” problema .

La popolazione pediatrica

è il 17% della popolazione

italiana.

Bibliografia 1. Il dolore nel bambino: strumenti pratici di valutazione e terapia. www.salute.gov.it 2. Legge 15 marzo 2010 N° 38: “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” www.parlamento.it/parlam/leggi/10038l.htm 3. Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 15 marzo 2010 N° 38: “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” – Anno 2012 www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?id=1992 4. Ferrante P, Cuttini M, Zangardi T, Tomasello C, Messi G, Pirozzi N, Losacco V, Piga S, Benini F and the PIPER Study Group. Pain management policies and practices in pediatric emergency care: a nationwide survey of Italian hospitals. BMC Pediatrics 2013;13:139 DOI:10.1186/1471-2431-13-139 5. Relazione al Parlamento “Area Farmaceutica Cruscotto NSIS” del Ministero della Salute. http://goo.gl/oTIhHH

pain management policies and practices in pediatric emergency care: a nationwide survay of italian hospitals

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(P. Ferrante, M. Cuttini, T. Zangardi, C. Tomasello, G. Messi, N. Pirozzi, V. Losacco, S. Piga, F. Benini for the PIPER Study Group.)

Both a triage and ERNeither at triage nor ER

[caso clinico]

Il dolore somatoforme Una ragazza di 16 anni lamenta da due anni dolori intermittenti alle spalle e al rachide cervicale che interferiscono con le sue attività quotidiane.

Angela Pirrone1

Roberto Pillon1

Egidio Barbi2

1 Scuola di Specializzazione in Pediatria – IRCCS “Burlo Garofolo”, Università di Trieste2 Direttore S.C. Pediatria d’urgenza e Pronto soccorso pediatrico – IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste

IL CASo DI CLAUDIA. Claudia ha 16

anni e da due anni lamenta dei dolo-

ri intermittenti alle spalle e al rachide

cervicale, che interferiscono con le sue

attività quotidiane, impedendole di

andare a scuola e di fare sport; questi

dolori rispondono solo parzialmente al paracetamolo e ad altri farmaci anti-infiam-matori. La ragazza si presenta in ambulatorio insieme alla mamma, che porta con sé un nutrito pacco di esami e referti. Nel tentativo di dare una spiegazione al sintomo sono già stati eseguiti una radiografia del rachide ed alcuni esami ematici (emocromo, indici di flogosi, ANA), risultati negativi. La ragazza è stata inoltre valutata da un reumatologo e da un ortopedico che non hanno riscontrato anomalie organiche alla base del disturbo. A seguito di una sierologia dubbia per Borrelia,

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Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

è stato consultato un secondo reumatologo, che nel sospetto di una malattia di Lyme ha consigliato terapia antibiotica, senza però alcun beneficio. La ragazza è arrivata infine all’attenzione di un Centro per la terapia del dolore, dove l’anestesista, nel dubbio se av-viare terapia con oppiodi o con agopuntura, l’ha a sua volta inviata al pediatra per una rivalutazione. In tutto questo iter la famiglia ha abbandonato il medico curante perché – parole della mamma – “non ci capiva e non ci ha preso sul serio”. “Dottore, speria-

mo che finalmente lei capisca”, aggiunge la mamma di Claudia. L’esame obiettivo non evidenzia nulla di significativo: le condizioni generali della ragazza sono buone, lo stato nutrizionale normale, non vi sono tratti rigidi della colonna vertebrale, la percussione del rachide non evoca dolore in punti elettivi, non vi è una significativa contrattura dello sternocleidomastoideo, non vi sono deficit neurologici periferici. Nulla da segnalare per il resto a cuore, torace e addome. Duran-te il colloquio con Claudia, ragazza carina,

intelligente e seriamente preoccupata per la sua salute, ci riferisce che frequenta un Istituto d’arte che la impegna molto: “Sono sempre stanca, è una scuola molto difficile e ho paura di non farcela”, aggiunge infine. Il papà è poco presente in casa essendo spesso all’estero per lavoro. La mamma, persona piuttosto apprensiva, soffre di colon irritabile “molto importante”, diagnosi a cui è giunta dopo indagini estese e ripetute che hanno escluso celiachia e malattie infiammatorie croniche intestinali.

Ci sono elementi anamnestici e obiettivi che possono orientare la diagnosi?

Il dolore somatoforme

A lcuni bambini ‒ con maggiore frequenza in età adolescenziale, raramente sotto i 10–12 anni ‒ si presentano all’attenzione del pediatra a causa

di disturbi di natura dolorosa, che a seguito di accerta-menti diagnostici non vengono inquadrati all’interno di una patologia organica che ne possa spiegare l’origine. Di solito si tratta di dolori addominali, cefalea, sintomi inte-stinali ed astenia. L’esclusione di una “organicità”, insieme al riscontro di alcune caratteristiche tipiche della storia, del bambino e della famiglia, devono orientare il pediatra verso la diagnosi di un possibile problema funzionale.1

Di fatto dolori e sintomi di natura funzionale sono discretamente frequenti, spesso transitori e possono essere considerati in qualche modo parte di una risposta del bambino ad alcuni processi adattativi o momenti parti-colari della vita scolastica o sociale.2,3 Altre volte invece questi sintomi persistono o si ripetono fino a cronicizzarsi andando ad impattare sulla qualità di vita del bambino, li-mitando le sue normali attività, creando un circolo vizioso in cui il sintomo si rafforza (ad esempio per la difficoltà a rientrare a scuola dopo un’assenza protratta) e generando preoccupazione nel paziente e nella famiglia fino a strut-turarsi in una condizione vera e propria di “malattia”.4

Nel dolore somatoforme, a differenza di altre condi-zioni, quali il “malingering” e il disturbo fittizio, il bam-bino non simula, non finge, ma sperimenta veramente il dolore e molto spesso ne è seriamente preoccupato.5

In termini formali la diagnosi di dolore somatoforme andrebbe posta basandosi sui criteri del DSM V, ma in sostanza i criteri previsti mal si adattano alla diagnosi in età pediatrica, prevedendo, tra l’altro, disturbi della sfera sessuale e lunga durata dei sintomi. Di fatto in letteratura questi criteri sono ritenuti non applicabili all’età pedia-trica e si riconosce il bisogno di una definizione opera-

tiva più stringente ed adeguata.6 Nonostante i progressi delle neuroscienze in questo campo, non è ancora stato formulato un modello biologico che spieghi in modo soddisfacente come “mente e corpo” interagiscano nel generare il sintomo somatico di natura non organica; sicuramente un ruolo importante è svolto dal sistema di modulazione del dolore. Molteplici invece sembrano essere le interpretazioni psicologiche e psichiatriche alla base di questo tipo di disturbo.7

Dolore somatoforme, quando pensarci?Alla diagnosi si giunge in genere dopo aver escluso le possibili patologie organiche poste in diagnosi differen-ziale; tuttavia ci sono alcuni elementi utili da tenere in considerazione nel sospetto e nella conferma diagnostica:

· le lamentele fisiche e la ripercussione che queste hanno sull’attività quotidiana sono incongruenti e sproporzionate rispetto a quanto ci si dovrebbe aspettare dalla storia, dall’esame fisico e dai reperti di laboratorio;

· il sintomo non rispetta le regole anatomiche e fi-siopatologiche, vi è una sostanziale sproporzione tra la possibile/ipotetica diagnosi ed il grado di compromissione funzionale ( “il bambino che ar-riva in carrozzella”);

· il sintomo è raccontato spesso in maniera vaga, un po’ incongruente, con sintomi “migranti” la cui entità è difficile da quantificare e la storia difficile da ricostruire;

· c’è una relazione temporale con un evento stres-sante (lutto, separazioni, conflitti familiari);

· è presente difficoltà o ansia da prestazione scolasti-ca, sovraccarico di attività extrascolastiche, proble-mi di relazione con i coetanei; quest’ultimo aspetto in alcuni casi può rappresentare sia la causa che la conseguenza del disturbo stesso per l’inevitabile assenza da scuola con conseguenze negative dal punto di vista sociale e relazionale;4A

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· anamnesi familiare positiva per disturbi psichiatrici (ansia, depressione, somatizzazione);

· riscontro di rinforzo familiare del sintomo; i geni-tori hanno spesso un atteggiamento ansioso e iper-protettivo nei confronti del figlio. Spesso emerge dalla storia clinica che la famiglia ha già consultato numerosi specialisti, senza che nessuno riscontrasse alcuna patologia organica;

· presenza in famiglia di disturbi “funzionali”, con una modalità di relazione e comunicazione condivisa in cui il sintomo fisico assume una valenza comunica-tiva come mezzo di espressione di un disagio.

Nel caso di Claudia quali erano gli elementi di sospetto?

· La scarsa risposta del dolore ai farmaci analgesici;

· l’assenza di dolorabilità o di una minima limi-tazione funzionale all’esame obiettivo della sede corporea coinvolta;

· il “pacco” di esami portato dalla mamma, a testi-monianza di numerose indagini svolte senza che venisse riscontrata alcuna patologia organica;

· il fenomeno del “doctor shopping”: la famiglia ha girato diversi specialisti ed ha abbandonato il me-dico curante, per mancanza di una diagnosi;

· la presenza di fattori stressanti nella vita della ra-gazza (la scuola difficile e impegnativa, la scarsa presenza del padre in casa);

· il carattere ansioso e apprensivo della mamma con tendenza ad un atteggiamento iperprotettivo nei confronti della figlia con un conseguente rinforzo familiare del sintomo.

Come agire?

Dopo esser giunti alla diagnosi di disturbo funzionale si pone il problema della comunicazione

della diagnosi alla famiglia. Non è sufficiente dire che gli accertamenti effettuati sono negativi e rassicurare sull’as-senza di malattia organica. Nella maggior parte dei casi i genitori e il bambino sono profondamente convinti che il sintomo tragga origine da una condizione puramente medica e sono concentrati ad individuare gli accertamenti diagnostici necessari al fine di dimostrare la presenza di malattia e poterle dare un nome.

Il pediatra dopo aver escluso una malattia fisica spesso ritiene di aver chiuso il problema proponendo una visita psichiatrica. In questo modo viene trasmesso implicitamen-

te alla famiglia il messaggio che il disturbo del bambino non tragga origine dal corpo, ma dalla sua mente. Questo atteggiamento rischia di generare sconforto, incertezza e la sensazione di non essere stati capiti. La famiglia e il bam-bino raramente hanno consapevolezza dei conflitti e dei disagi emotivi che sono alla base del disturbo somatoforme e l’essere rinviati a un approfondimento psichiatrico può essere interpretato come una negazione della malattia da parte del medico causando frustrazione e percezione di non esser creduti. Tale dinamica rischia di portare la famiglia ad abbandonare il medico, ricorrendo a nuovi specialisti, col risultato di amplificare il fenomeno del “doctor shopping” e far ricominciare da capo l’iter diagnostico con richiesta di numerosi esami inutili, che se positivi – anche in modo poco significativo – spesso vengono sopravvalutati dalla famiglia e presi come punto di riferimento per la ricerca della malattia non ancora diagnosticata. Ecco quindi che il pediatra deve invece diventare una figura di riferimento stabile per la famiglia, rassicurando e riducendo l’ansia provocata dal disturbo. Un rapporto di reciproca fiducia è fondamentale per poter instaurare un processo terapeu-tico e riabilitativo attraverso il quale il bambino riesca ad affrontare positivamente il disturbo (coping) ricomincian-do a svolgere le sue normali attività senza che il sintomo interferisca con la scuola, il gioco, la vita familiare.

In sostanza il pediatra dovrebbe centrare il suo com-portamento su due principi: persistenza e coerenza.4

La persistenza come figura di riferimento centrale e credibile della gestione del paziente evita percorsi di “doc-tor shopping” che in questo contesto sono frequentissimi e contribuiscono di regola ad alimentare il circolo vizioso di ulteriori consulenze e “furor diagnostico”.

La coerenza dovrebbe permettere di resistere alla ri-chiesta di ulteriori approfondimenti inutili .Bibliografia1. Chambers TL. Semeiology-a well established and challenging

paediatric speciality. Archives of disease in childhood 2003;88(4):281–2.

2. Rask CU. Functional somatic symptoms. Danish Medical Journal 2012;59(11):1–30.

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7. Panizon F. Per il pediatra di famiglia. Il disturbo somatoforme e la patologia psicosomatica. Medico e Bambino 2004;367–381. A

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Dante Ferrara1

Eva Germanò2

Tiziana Calarese2 Rosamaria Siracusano2 Marco Lamberti2 Davide Vecchio1 Giovanni Corsello1 Antonella Gagliano2

Q uesto articolo si propone di fornire una revisione della letteratura scientifica dedicata alle attuali possibilità farmacoterapiche disponi-

bili per il trattamento dell’insonnia in età evolutiva. Nella consapevolezza che il trattamento di prima scelta resta quello di un primo approccio non farmacologico, l’obiet-tivo del lavoro è di discutere del farmaco quale ulteriore strumento di intervento da utilizzare in tutti quei casi in cui i disturbi del sonno possono costituire un elemento di rischio evolutivo, oltre che un importante fattore di disagio per il bambino e la sua famiglia.

1 Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile “G. D’Alessandro”, Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Palermo2 Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile, Università degli Studi di Messina

[tutto su]

Il trattamento dell’insonnia in età evolutiva: report clinico e revisione della letteratura Il farmaco è uno strumento di intervento da utilizzare quando i disturbi del sonno possono costituire un elemento di rischio evolutivo

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Introduzione

Il sonno rappresenta, quantitativamente, alme- no un terzo della vita dell’uomo e riveste un ruolo

cruciale nei processi di apprendimento dal momento che alcune fasi del processo di consolidamento della memoria si realizzano durante il sonno.1 Alcuni stadi specifici del sonno sembrano essere importanti per for-me di consolidamento mnesico2, come avviene per la fase “slow-wave activity” (SWA) associata a modificazioni delle connessioni sinaptiche corticali.3 Secondo l’ipotesi oggi largamente condivisa della “omeostasi sinaptica”, alla base degli effetti benefici del sonno sulle performan-ce cognitive ci sarebbe un meccanismo di depotenzia-mento sinaptico attivo, associato alla SWA e definito “downscaling”, che renderebbe dal giorno successivo i circuiti disponibili per un nuovo immagazzinamento di informazioni.4 Le evidenze scientifiche sull’impatto cognitivo dell’insonnia e dei disturbi del sonno riguar-dano prevalentemente gli adulti. Ad esempio, alcuni autori segnalano difficoltà di memoria a breve termi-ne (valutata con la prova “digit span”) e aumento dei tempi di reazione. Più di recente, alterazioni funzionali dell’attività corticale (ipoattivazione) sono state evi-

denziate con Risonanza Magnetica funzionale nell’area pre-frontale di soggetti con insonnia.5 Queste evidenze sostanziano l’assioma che alterazioni del sonno possono compromettere i fisiologici processi di apprendimen-to. Più in generale, i disordini del ritmo sonno-veglia possono costituire fattori di rischio per l’insorgenza di ansia e depressione6 e determinare deficit di attenzione, concentrazione, memoria a breve termine, attività mo-toria e comportamento.7 Numerosi studi hanno inoltre evidenziato l’associazione tra disturbi del comporta-mento e disturbi del sonno, nettamente prevalenti in bambini e adolescenti con malattie croniche e patologie neuropsichiatriche.8 Più di recente sono state trovate correlazioni tra parametri specifici per valutare l’ap-prendimento in età evolutiva, come le abilità di lettura, e alcune caratteristiche del sonno NREM valutate con la polisonnografia.9 Nel complesso possiamo affermare che le alterazioni del sonno in età evolutiva si associano ad un ampio spettro di problematiche cognitive, com-portamentali ed affettive.10 Questo articolo si propone di fornire una revisione delle attuali possibilità farmaco-terapiche disponibili per il trattamento dell’insonnia in età evolutiva, nella consapevolezza che il trattamento

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di prima scelta rimane quello non farmacologico, in molti casi sufficiente a ridurre frequenza ed intensità dei disturbi. Appare importante, tuttavia, che il clinico con-sideri il farmaco come uno strumento di intervento da utilizzare in tutti quei casi in cui i DS possono costituire un elemento di rischio evolutivo, oltre che un importante fattore di disagio per il bambino e la sua famiglia.

Report clinico

Francesco giunge alla nostra osservazione all’età di 5 anni per la presenza di un pattern com-

portamentale ipercinetico e turbe del sonno. All’a-namnesi non emergono problemi significativi in epoca perinatale e lo sviluppo psicomotorio viene descritto come regolare con fisiologica acquisizione delle prin-cipali tappe dello sviluppo neuromotorio. Durante il primo anno di vita i genitori riferiscono difficoltà nel mantenimento del ritmo sonno-veglia e nel complesso le ore di sonno vengono riferite costantemente ridotte rispetto a quanto atteso per età. Acquisita la deambu-lazione autonoma, Francesco presenta estrema vivacità, con instabilità motoria e intensa reattività emotiva agli stimoli ambientali. All’ingresso nella scuola materna mostra buone capacità di apprendimento e di socializ-zazione, ma un comportamento ipercinetico ed opposi-tivo. Il ritmo sonno-veglia continua ad essere irregolare con progressiva instabilità caratterizzata da difficoltà nell’addormentamento ed arousal parossistici durante il sonno. Vengono discusse con i genitori le abitudini del bambino e da ciò emergono difficoltà nel fornire regole chiare che alternano atteggiamenti a volte punitivi ad altri troppo permissivi (non vengono date delle regole sugli orari dell’addormentamento, il bambino spesso dorme per oltre due ore nel pomeriggio e talora viene favorito dagli stessi genitori il cosleeping per risolvere l’insonnia).

Indagini eseguite: la valutazione cognitiva evidenzia un funzionamento cognitivo generale adeguato all’età; ai test di attenzione emergono difficoltà dell’attenzione

selettiva e sostenuta in relazione all’età. L’osservazio-ne del comportamento mette in evidenza un pattern comportamentale ipercinetico e impulsivo con esplora-zione caotica dell’ambiente ludico, shift dell’attenzione su oggetti diversi, distraibilità. In contesti struttura-ti la collaborazione migliora. Le scale descrittive del comportamento del bambino, compilate dai genitori, evidenziano punteggi significativi per difficoltà di atten-zione e iperattività/impulsività. L’EEG in veglia e sonno non evidenzia anomalie dell’attività elettrica cerebrale. Conclusioni diagnostiche: il pattern comportamentale è compatibile con un Disturbo da Deficit d’Attenzione con Iperattività (ADHD) in comorbilità con un disturbo del sonno. Indicazioni: si indica il Parent Traning per i genitori volto a migliorare la capacità di gestione educa-tiva del bambino e a fornire chiare indicazioni in merito ad una corretta igiene del sonno. Il ciclo di sedute con la coppia genitoriale dura circa tre mesi con due incontri mensili. I genitori imparano a gestire alcune tecniche comportamentali ed instaurano delle routine di addor-mentamento. Viene altresì prescritto ciclo di 3 mesi con melatonina (dose iniziale 3 mg implementabile fino a 3,5 mg) da somministrare la sera. Follow-up: dopo 3 mesi di terapia viene riportato un significativo miglioramento del pattern del sonno notturno. Si sospende pertanto la terapia con melatonina e, al controllo successivo a 6 mesi dall’inizio del trattamento, non vengono riferiti dai genitori significativi problemi dell’addormentamento e del mantenimento del sonno. Persistono i problemi comportamentali ADHD correlati, per i quali Francesco è avviato ad intervento specifico.

Classificazione, epidemiologia e tassonomia dei disturbi del sonno

I disturbi del sonno in età evolutiva sono molto più diffusi di quanto comunemente si creda: circa il

25 % della popolazione pediatrica manifesta “disturbi del sonno” (DS) e in molti casi questi vengono sottodiagno-sticati e sottovalutati.11,12 La Classificazione Internazio-

Il sonno riveste un ruolo cruciale nei processi di apprendimento ed alcune sue fasi sono determinanti per i processi di consolidamento della memoria.

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nale dei DS del 199713 definisce tre maggiori categorie di disturbi del sonno:

· dissonnie: disturbi della quantità, qualità o del ritmo del sonno che includono le insonnie, le i-personnie e i disturbi del ritmo circadiano;

· parasonnie: disturbi del sonno non caratterizzati da insonnia o eccessiva sonnolenza che includono i disturbi dell’arousal, i disturbi della transizione sonno-veglia, i disturbi associati al sonno REM;

· disturbi del sonno associati a pato-logie medico-psichiatriche: distur-bi del sonno associati a depressione, ansia, patologie del neurosviluppo, come l’autismo o il disturbo da De-ficit di Attenzione con Iperattività (ADHD).

La prevalenza dei diversi disturbi del sonno varia in funzione dell’età del bambi-no (Box). Dal punto di vista epidemiologi-co, Ohayon et al hanno evidenziato su di un campione di 1125 adolescenti provenienti da Francia, Gran Bretagna, Germania e Ita-lia che circa il 20 % presentava sonnolenza diurna, il 25% sintomi di insonnia e il 4% soddisfaceva i criteri per un disturbo da insonnia.14,15

Alcuni dei pazienti in età evolutiva po-trebbero trarre giovamento da un trattamento farmaco-logico. La decisione se e come intervenire farmacologi-camente su un disturbo del sonno in età evolutiva non è tuttavia facile. La prima ragione è che la maggior parte delle linee guida per il trattamento dei DS sono state svi-luppate per gli adulti e possono essere solo empiricamente applicate all’età evolutiva. Inoltre, la gran parte dei farmaci utilizzati non possiedono indicazione in età pediatrica o per specifici DS e dovrebbero quindi essere utilizzati off label.16 Non di rado, i medici che si occupano di sogget-ti in età evolutiva hanno un atteggiamento fortemente ambivalente nei confronti di molecole delle quali hanno una ridotta esperienza clinica e sulle quali non ricevono un’adeguata informazione. Quando prescrivono, tendono ad utilizzare la più bassa dose di farmaco possibile, non considerando che i bambini hanno spesso un più rapido metabolismo epatico con conseguente rapida eliminazio-ne del farmaco. Per tale ragione la posologia del farmaco prescritta risulta spesso inadeguata.17 Occorre inoltre considerare che l’atteggiamento culturale dominante nei confronti della psico-farmacoterapia in età evolutiva da

un lato e la tendenza diffusa a sottovalutare i problemi del sonno di bambini ed adolescenti dall’altro, generano nei genitori diffidenza verso il trattamento farmacologico, soprattutto se il disturbo del sonno si presenta isolato e non associato a patologie organiche o neuropsichiatriche. Tuttavia, come mostrato da un recente studio,18 negli USA la prescrizione di farmaci per l’insonnia in età pedia-

trica sembra essere in progressivo aumento. Stojanovski et al 18,19 forniscono infatti un dato per certi aspetti inatteso quando ri-portano che la percentuale di prescrizione di terapia farmacologica per i disturbi del sonno è maggiore nei bambini (81% di casi trattati) rispetto agli adulti (48%).

Insonnia

L’ insonnia in età pediatrica è de- finita come difficoltà all’addormen-

tamento o al mantenimento del sonno con conseguenti difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane del bambino e dei genitori. È importante ricordare che le ore di sonno quotidiane necessarie in età evo-lutiva al mantenimento di un corretto equi-librio sonno-veglia variano notevolmente in base all’età: 14–15 ore per un neonato,

12–14 ore per un bambino di età compresa tra 1 e 5 anni; 9–11 ore per un bambino in età scolare e 9 ore circa per un adolescente.20 L’insonnia è un disturbo molto comu-ne, soprattutto in comorbilità con i più comuni disturbi medici, psichiatrici e del neurosviluppo di bambini ed adolescenti.21 Uno studio di Blader JC22 condotto sui genitori di 987 bambini in età scolare, mostrava che l’11% dei bambini presentava difficoltà all’addormentamento, il 7% risvegli notturni, il 17% difficoltà di risveglio al mattino e il 17% stanchezza e affaticabilità durante il giorno. In un più recente studio di Knutson23, che prendeva in esame un gruppo di 2.339 adolescenti statunitensi, il 23% pre-sentava difficoltà all’addormentamento o risvegli notturni una o più volte alla settimana, mentre il 39% lamentava stanchezza durante il giorno. Un’inadeguata igiene del sonno è la più comune causa di insonnia in bambini e adolescenti. Gli adolescenti sono soliti andare a dormire dopo le 23 oltrepassando il periodo di normale rilascio di melatonina che normalmente avviene intorno alle 20.30.24 Fattori ambientali quali sport pomeridiani, televisione, internet, uso di cellulari nei bambini, e ancora studio

Prevalenze dei disturbi del sonno per età

0–3 anniDisturbi di inizio e mantenimento del sonno

3–6 anniPaure all’addormentamento, incubi, disturbi dell’arousal

6–12 anniParasonnie, difficoltà all’addormentamento

AdolescenzaSonnolenza diurna

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8tutto su Il trattamento dell’insonnia in età evolutiva: report clinico e revisione della letteratura

serale, assunzione di caffeina, alcool, nicotina, possono interferire con il sonno alterando la capacità di attenzione e di concentrazione diurna negli adolescenti.25

Il trattamento dell’insonnia

Interventi non farmacologiciL’intervento non farmacologico include: l’educazione all’igiene del sonno allo scopo di ristrutturare le adeguate abitudini di sonno26; la terapia stimolo-controllo fonda-ta sull’eliminazione del comportamento inadeguato27; la terapia da restrizione di sonno28 e varie tecniche com-portamentali.29 Altre modalità di trattamento includono lo yoga, l’agopuntura nonché altre opzioni di medicina complementare che non sono state ancora scientificamen-te validate. Molti studi e meta-analisi hanno dimostrato l’efficacia degli interventi non farmacologici essendo la percentuale dei pazienti che risponde a questi trattamenti variabile dal 50 all’80%.30

Terapia farmacologicaAncora pochi dati sono disponibili sull’uso della psico-farmacoterapia dell’insonnia in età evolutiva. In uno studio condotto da Stojanovski et al 18 viene esaminato il trend di prescrizioni mediche per bambini con disturbi del sonno: counseling e diete erano raccomandate nel 7% dei bambini e al 22% veniva prescritta terapia cognitivo-comportamen-tale; la terapia farmacologica era prescritta nell’81% dei pazienti, in particolare antistaminici nel 33%, alfa-agonisti nel 22%, benzodiazepine nel 15% e antidepressivi nel 6%. I-noltre l’associazione tra terapia cognitivo-comportamentale e terapia farmacologica era prescritta nel 19% dei pazienti. Simili percentuali venivano riscontrate in un successivo studio condotto da Meltzer et al 8 in bambini ospedalizzati. In questo, è emerso che nel 36,6% dei bambini venivano prescritti farmaci antistaminici, nel 19,4% benzodiazepine, nel 16,4% antipsicotici, nel 10,4% alfa agonisti, nel 6% an-tidepressivi e nel 2% barbiturici.

Caratteristiche dei farmaci

BenzodiazepineLe benzodiazepine (BDZ) sono una classe di farmaci costituita da numerosi composti che pur caratterizzati da una struttura chimica comune costituita da un anello

aromatico (benzenico) e da un anello diazepinico, pre-sentano alcune differenze strutturali tra una molecola e l’altra. Queste differenze si riflettono poi nelle caratte-ristiche farmacocinetiche (BDZ a emivita ultra breve, breve, media e lunga) e nell’affinità di questi farmaci con il recettore GABA. Il meccanismo d’azione infatti, è basato sull’attivazione dei recettori GABA. I prin-cipali effetti delle BDZ sono la riduzione dell’ansia e dell’aggressività, la sedazione e induzione del sonno, la riduzione del tono muscolare, l’effetto anticonvulsivante. Una meta-analisi pubblicata nel 200031 rileva che le BDZ incrementano il tempo di sonno totale ma non hanno un significativo effetto sulla latenza di sonno. Potenziali eventi avversi includono eccessiva sonnolenza diurna, effetto “hangover”, capogiri, e alterazione della memoria. Inoltre le BDZ provocano una modifica della normale architettura del sonno incluso l’incremento dello stadio 2 e della latenza al REM.32 Tutte le BDZ hanno un potenziale di rischio d’abuso e pertanto non vanno comunemente usate nei bambini con disturbi del sonno, se non per periodi limitati. Evidenze maggiori a sostegno dell’utilizzo in età evolutiva esistono per il clonazepam33 che è rapidamente e totalmente assorbito dopo somministrazione orale. La biodisponibilità è di circa il 90%, la concentrazione plasmatica massima è raggiunta dopo 1–4 ore dalla somministrazione. Può essere usato per prevenire le parasonnie associate a ri-svegli parziali, terrore notturno e sonnambulismo. Nel trattamento delle parasonnie17, nel caso in cui siano frequenti e disturbanti, è sufficiente una bassa dose di clonazepam (0,25–0,5 mg).

Ipnotici non benzodiazepiniciFanno parte di questo gruppo molecole a struttura non benzodiazepinica quali lo zolpidem, appartenente alla classe delle imidazopiridine, lo zopiclone, della classe dei ciclopirroloni, e lo zaleplon composto a struttura pirazo-lopirimidinica. Si tratta di farmaci a breve emivita che agiscono legandosi a sottotipi recettoriali del GABA-A. Rispetto alle BDZ, non alterano la struttura del sonno e presentano un rischio minore d’insonnia rebound e di dipendenza. Tuttavia, i dati sul loro utilizzo in età pedia-trica sono limitati34 e lo zolpidem è stato altresì recen-temente studiato in uno studio controllato con placebo. Le evidenze ottenute non ne supportano l’utilizzo per i disturbi del sonno in soggetti in età evolutiva con ADHD, sottolineandone la ridotta efficacia nella riduzione della latenza di sonno nonché la possibilità di insorgenza di effetti avversi quali: vertigini, cefalea ed allucinazioni.35

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AntistaminiciAgiscono su recettori specifici H1 dell’istamina, inibendo la loro attività. Essi sono perciò degli antagonisti, han-no cioè un’alta affinità per il recettore, bassa affinità per l’istamina ed attività intrinseca nulla. Sono attualmente i farmaci maggiormente prescritti in età pediatrica per i disturbi del sonno dal momento che sono ritenuti efficaci nel regolare il ciclo sonno veglia e nel ridurre i risvegli, senza interferire sulla cognizione e sulla memoria. Tra i più utilizzati, la difenidramina e la prometazina. Tutta-via, l’uso di tali farmaci non è supportato da sufficienti evidenze ed è gravato da numerosi effetti indesiderati. I più comuni eventi avversi includono l’effetto “hangover”, le vertigini soggettive, la secchezza delle fauci e la costi-pazione. In un trial clinico controllato, randomizzato, in doppio cieco è stata valutata l’efficacia della difenidramina versus placebo in bambini di età compresa tra i 6 ed i 15 mesi che riportavano all’anamnesi, riferiti dai genitori, risvegli per incubi notturni. Il trial è stato sospeso preco-cemente a causa della mancanza di efficacia della difeni-dramina versus placebo.36 Anche l’uso della prometazina non è raccomandato sotto i due anni, poiché il farmaco può causare reazioni avverse anche gravi, inclusa anche una depressione respiratoria.37

Cloralio idratoÈ un comune sedativo ipnotico prescritto sia ad adulti che a bambini, non in commercio in Italia. Dopo essere assorbito dal tratto gastro-intestinale, il cloralio idrato è convertito dall’alcool deidrogenasi in tricloroetanolo, che rappresenta il suo metabolita attivo. Tale metabolita penetra la barriera ematoencefalica con un effetto depres-sivo sul sistema nervoso centrale causando sonnolenza e sedazione e inducendo il sonno in circa 1 ora. È utilizzato in molti laboratori di neurofisiologia per indurre il sonno in pazienti sottoposti ad elettroencefalogramma. Alte dosi serali (80–100 mg/kg) sono state assunte da bambini con buoni effetti e minima tossicità.38 Può ridurre la pressione sanguigna e provocare soppressione respiratoria. L’uso cronico può dare tolleranza.

ClonidinaOriginariamente utilizzata per il trattamento dell’iper-tensione arteriosa, la clonidina è un’agonista dei recettori α2-adrenergici post-sinaptici, con conseguente inibizione dell’attività simpatica efferente ed aumento del tono vagale, che è causa della sua attività bradicardizzante. La stimola-zione dei recettori α2-adrenergici pre-sinaptici determina ridotta liberazione di noradrenalina con conseguente ri-duzione del tono simpatico periferico. La clonidina per i suoi effetti sedativi è uno dei farmaci maggiormente pre-scritto dai pediatri, nonostante l’assenza di trial clinici, nel trattamento dei disturbi del sonno e del comportamento associati a disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività (ADHD), autismo, ritardo mentale e sindrome di Tou-rette. La tolleranza può svilupparsi nel tempo, portando ad un aumento di dosi e aumento del rischio di effetti negativi: ipotensione, bradicardia, xerostomia.17 In uno studio retrospettivo in aperto di 19 bambini con disturbo autistico, la clonidina è risultata efficace nel ridurre la la-tenza al sonno e dei risvegli notturni, mentre ha dimostrato una minore efficacia sul disturbo da deficit dell’attenzione e dell’iperattività, instabilità d’umore ed aggressività. Gli effetti collaterali registrati sono stati scarsi.39

RamelteonTra le più recenti opzioni per il trattamento dei DS c’è ramelteon, un antagonista altamente selettivo per i recet-tori della melatonina di tipo 1 (MT1) e di tipo 2 (MT2) ed assenza di affinità per il recettore di tipo 3. È un farmaco approvato negli Stati Uniti per il trattamento dell’inson-nia iniziale negli adulti. Vi è un solo studio che ha dimo-strato una buona efficacia e tollerabilità del ramelteon in 2 bambini autistici con insonnia.40

Caratteristiche degli integratori alimentari

MelatoninaÈ un ormone secreto dalla ghiandola pineale che controlla i ritmi circadiani. La ghiandola contiene due enzimi, non

I disturbi del sonno in età evolutiva sono molto più diffusi di quanto comunemente si creda: circa il 25 % della popolazione pediatrica manifesta “disturbi del sonno”.

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presenti in altre aree del SNC, che convertono la 5-HT mediante acetilazione e o-metilazione a melatonina. La secrezione di melatonina è alta durante la notte e bassa durante il giorno. Questo ritmo è controllato dalle in-formazioni provenienti dalla retina, attraverso la via no-radrenergica retino-ipotalamica, che termina nel nucleo soprachiasmatico nell’ipotalamo che genera il ritmo circa-diano. Questo ritmo, che comprende la secrezione ritmica di melatonina, continua anche in assenza dei riferimenti luce-buio, ma solitamente con una periodicità più lunga

delle 24 ore. La melatonina causa sonnolenza ed esiste un disaccordo sul fatto che i suoi effetti possano essere distin-guibili da quelli dei farmaci ipnotici convenzionali. Una recente meta-analisi sull’uso della melatonina, in individui con disabilità intellettiva, ha descritto una riduzione del tempo di latenza del sonno di 34 minuti, un incremento del tempo totale di sonno di 50 minuti ed una riduzione del numero di risvegli per notte.41 Anche in età pediatrica la melatonina si è dimostrata efficace nel trattamento dei DS in pazienti con ADHD, autismo, ritardo men-

L’insonnia in età pediatrica è definita come difficoltà all ’addormentamento o al mantenimento del sonno con conseguenti difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane del bambino.

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tale, sclerosi tuberosa e nell’insonnia causata da fattori circadiani che può insorgere in bambini non vedenti o con sindrome della fase del sonno ritardata. Smits et al42 hanno condotto uno studio in doppio cieco controllato vs. placebo, somministrando 5 mg di melatonina a bambini tra i 6 e i 12 anni con sintomi di insonnia e riportando un incremento del tempo totale medio di sonno di 41 minuti. Altri autori hanno mostrato che l’associazione tra trattamento farmacologico con melatonina e terapia comportamentale in bambini con ADHD e insonnia, porta ad una significativa riduzione dell’insonnia iniziale di 16 minuti.43 Uno studio in doppio cieco randomizzato vs. placebo effettuato su 20 bambini con disabilità dello sviluppo (ad esempio ADHD o autismo) con disturbi del sonno ha dimostrato che i piccoli pazienti ai quali era stata somministrata la melatonina si addormentavano più facilmente, anche se non si modificavano la durata del sonno e il numero dei risvegli notturni. L’effetto della

melatonina sul tempo di latenza era significativo (p<0,05) e la durata del sonno risultava significativamente più alta rispetto al basale (p<0,007), anche se non significativa-mente differente dal placebo; nessuna differenza era stata riscontrata nel numero dei risvegli.44 Inoltre Hoebert et al 45 hanno dimostrato che l’efficacia della melatonina sul sonno in bambini con ADHD e insonnia permane anche dopo anni dall’assunzione continuativa. La melatonina può dare alcuni effetti indesiderati di solito lievi e poco frequenti come sedazione, cefalea e confusione. In Italia attualmente la melatonina è venduta sotto forma di in-tegratore alimentare notificato al Ministero della salute e non è registrata come farmaco in nessuno stato membro della Comunità Europea.

ValerianaÈ una pianta erbacea comune appartenente alla famiglia delle Valerianacee, tipica delle regioni fredde europee. Il

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meccanismo d’azione della valeriana non è ben conosciu-to ma si presuppone che interagisca con i recettori del GABA.46 Abitualmente è usata come sedativo, tranquil-lante e sonnifero; ha attività depressiva sul SNC e può migliorare la qualità del sonno. Esistono pochi studi che ne supportano l’efficacia nel trattamento dell’insonnia.47 Gli effetti collaterali includono capogiri, nausea, cefalea.

Discussione

In accordo con quanto emerge dalla revisione degli studi clinici più recenti il trattamento farmaco-

logico di prima scelta per l’insonnia ‒ e più in generale per i disturbi del sonno in età evolutiva ‒ prevede l’uso di farmaci non benzodiapenici, dotati di una sufficien-te efficacia e soprattutto di una maggiore sicurezza e flessibilità. In particolare, allo stato attuale, esistono numerose evidenze a favore dell’uso della melatonina ed iniziali riscontri sull’uso del ramelton (antagonista selettivo per i recettori della melatonina), dello zolpidem e della clonidina. Poche evidenze supportano l’uso degli antistaminici, dei quali sono riportati peraltro diversi effetti indesiderati. Seppure sia auspicabile proporre un primo intervento terapeutico con la terapia non farma-cologica, occorre considerare che in molti casi tale stra-tegia può risultare insufficiente, lenta a produrre effetti o difficilmente realizzabile. In Italia, allo stato attuale, l’erogazione di interventi psicoeducativi ad indirizzo cognitivo-comportamentale ai pazienti con DS in età evolutiva non è sempre possibile, non fosse altro che per la discrepanza tra il numero di bambini che soffrono di questo tipo di problematiche e le risorse disponibili. A prescindere da ciò, in molti casi, la necessità di ottenere una rapida risoluzione del disturbo suggerisce comunque l’uso di un farmaco, in associazione al trattamento psi-coeducativo o propedeuticamente all’avvio dello stesso. L’algoritmo dell’intervento potrebbe in tal senso prevedere l’uso di un farmaco in una prima fase, in modo da interrompere più rapidamente il disagio e ridurre i rischi legati all’attualità dei sin-

tomi, e l’intervento psicoeducativo in una seconda fase in modo da stabilizzare i risultati ottenuti. Per qualunque delle opzioni farmaco-terapeutiche elencate, la decisione di avviare un trattamento deve essere preceduta da un attento calcolo del rapporto rischio/beneficio, avendo ben presenti non solo la necessità di intervenire sul di-sagio che il disturbo comporta, ma anche, e soprattutto, i potenziali effetti negativi che un disturbo del sonno (specie se cronico) può avere in età evolutiva sulla co-gnitività e sul comportamento.

Conclusioni e prospettive future

Appare auspicabile un incremento dei trial terapeutici in età evolutiva per il trattamento dei

DS, tenendo presente che il bambino risponde in mo-do diverso ai farmaci rispetto all’adulto e che esistono ulteriori differenze legate alla fase di sviluppo e matu-razione in cui si trova. È ampiamente nota la difficoltà di svolgere studi clinici in ambito pediatrico in conse-guenza delle peculiarità di questa categoria di pazienti. In primo luogo i problemi di tipo etico che portano all’esclusione della popolazione infantile da studi di fase I, con il conseguente rallentamento di tutto il processo di sviluppo del farmaco. In secondo luogo le carenze del sistema di farmacovigilanza dovute sia alla sottosegnala-zione delle reazioni avverse ‒ fenomeno che riguarda in generale tutti i prodotti medicinali ‒ sia alla mancanza di sistemi che raccolgano i dati in modo differenziale per le diverse età pediatriche. Stante l’elevata diffusio-ne delle problematiche del sonno in età evolutiva, in comorbilità o meno con altri disordini psichiatrici o del neurosviluppo, appare oggi di primaria importanza avviare studi controllati su farmaci in grado di migliorare la qualità del sonno notturno e che, conseguentemente,

sostanzino in qualità la performance diurna. Occorre inoltre implementare l’efficienza dei sistemi di raccolta degli eventi avversi attra-verso l’impiego di programmi di monitoraggio attivo e farmaco-epidemiologia .

L’insonnia si presenta spesso in comorbilità con i più comuni disturbi del neurosviluppo di bambini ed adolescenti.

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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Franca Benini1

Maria Giuliano2

1 Responsabile del Centro Regionale Veneto di Terapia del Dolore e Cure Palliative Pediatriche Dipartimento di Pediatria, Università di Padova Coordinatore del Progetto Ministeriale NienteMale Junior 2 Board Progetto Ministeriale NienteMale Junior Pediatra di famiglia, Napoli

Vedianche

. . .PAGG. 108

& 111

In questi ultimi anni, a li- vello legislativo/normativo, so-no stati fatti notevoli progressi

per quanto riguarda la Terapia del dolore (TD) e le Cure palliative pe-diatriche (CPP).

Nel 2006 il decreto del Presiden-te della Repubblica del 7 aprile re-cante l’adozione del Piano Sanitario Nazionale 2006–2008 evidenzia co-me “particolare attenzione va posta alle esigenze di cure palliative nell’e-tà neonatale, pediatrica e adolescen-ziale” e propone come “indispensa-bile l’organizzazione di reti di cure palliative dedicate, che permettano di garantire la qualità e la specialità degli interventi richiesti unitamente alla globalità e multidimensionalità della presa in carico del bambino e della sua famiglia”.

A dicembre 2006 viene licenzia-to dal Ministro della Salute il Do-cumento tecnico sulle cure pallia-tive rivolte al neonato, bambino ed adolescente in cui vengono definiti gli ambiti e le peculiarità, i modelli assistenziali attualmente presenti in Italia ed a livello internazionale e vengono fatte delle proposte at-tuative e delle stime di richiesta di risorse.

Il 27 giugno 2007 viene approva-to un Accordo Stato-Regioni sulle cure palliative nell’età neonatale, pe-diatrica ed adolescenziale. L’accor-do pone le basi per l’attuazione su tutto il territorio nazionale di azioni e programmi atti a garantire ai mi-nori con malattia inguaribile ed alle loro famiglie un’assistenza omoge-nea, che offra concretezza di rispo-ste, competenza multispecialistica, continuità di cure e di obiettivi.

Il 20 marzo 2008 viene approvato un Documento tecnico della Confe-

renza Stato-Regioni in cui vengono definiti i campi di intervento sanita-rio e sociosanitario per un concreto supporto al processo di implemen-tazione delle cure palliative pedia-triche in tutte le Regioni Italiane.

Il 9 marzo 2010 viene emanata la Legge 38: normativa che pone del-le indicazioni del tutto innovative nell’ambito del controllo del dolore e delle cure palliative pediatriche. Dolore e cure palliative sono definite come diritto alla salute del bambino e della sua famiglia e tutti gli opera-tori devono avere gli strumenti per un corretto approccio.

Viene riconosciuta la “peculia-rità” della persona bambino e viene sancita la necessità di una risposta ai bisogni, specifica e dedicata, sia a livello clinico-organizzativo che formativo ed informativo. La Leg-ge 38 sancisce la necessità di una formazione di base per tutti gli o-peratori della salute, e rimanda a-gli organi istituzionali competenti

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4referenze La Legge 38/2010. Cosa cambia per il pediatra e a che punto siamo?

il mandato di definire obiettivi e strategie per la definizione del per-corso formativo specialistico. Defi-nisce la necessità di implementare la conoscenza e le capacità di richiesta della popolazione su dolore e CP, attraverso l’organizzazione di cam-pagne d’informazione specifiche. La norma inoltre sancisce alcune regole importanti per la gestione del dolore. Sancisce che il dolore va sempre valutato, misurato e trat-tato in tutti i reparti di degenza e a livello dei servizi territoriali. La misurazione del dolore deve essere fatta routinariamente a tutti i bam-bini ed il dato algometrico deve essere registrato in cartella clinica. Il trattamento deve essere fatto in maniera adeguata e vanno sempre monitorate l’efficacia e la sicurez-za di quanto proposto in terapia.

Il 16 dicembre 2010 viene stabi-lito un Accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Sta-to, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, relativo a “Linee guida per la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi regionali nell’ambito della rete di Cure Palliative e della rete di Terapia del Dolore”. Nel documento viene ribadita la peculiarità della situazione pediatrica e viene prevista “l’organiz-zazione di centri di riferimento di terapia del dolore pediatrici (hub) per problemi specialistici su macroaerea, e l’abilitazione di pediatri ospedalieri e di famiglia (in rete con il centro di riferimento) alla gestione della am-

CP dedicata al paziente pediatrico, realizzata per ampi bacini d’utenza (anche regionali) e coordinata da un Centro di riferimento da dove una Equipe multispecialistica dedicata risponde in maniera continuativa e competente a tutti i bisogni di salute di minori che necessitano di terapia del dolore e di CPP. L’intesa defini-sce requisiti, modalità organizzative, standard strutturali e figure profes-sionali dei vari elementi della Rete: è volta a garantire la continuità assi-stenziale, offrire risposte ad alta com-plessità e specializzazione più vicino possibile al luogo di vita del bambino, idealmente al suo domicilio. Fornisce in maniera congiunta e in continuità e unicità di riferimento sia risposte residenziali che domiciliari, risposte in grado di integrarsi e modularsi nei diversi momenti della malattia a secondo delle necessità. È costituita da tutte le strutture/istituzioni del sistema socio-sanitario, necessarie alla gestione del minore e si integra e collabora con tutte le reti pediatriche e non, esistenti sul territorio. Tutto ciò permette di valorizzare le risorse esistenti, di ottimizzare l’utilizzo di competenze, strutture, strumenti e tempi, e contemporaneamente di mi-gliorare e rendere omogenea la rispo-sta assistenziale a questi pazienti, ma richiede una formazione di base che permetta a tutti gli operatori della salute, di interagire in maniera prepa-rata ed efficace con gli altri operatori della rete. Il Centro di riferimento, di norma sede anche dell’Hospice

• • •La misurazione del dolore deve essere fatta routinariamente a tutti i bambini ed il dato algometrico deve essere registrato in cartella clinica.

pia parte delle situazioni dolorose di più facile trattazione”. Per le CPP si rimanda a quanto contenuto nel Documento tecnico della Conferen-za Stato-Regioni del 20 marzo 2008.

Il 4 aprile 2012, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministero della Salute decreta la “Istituzione del master Universitario di alta for-mazione e qualificazione in Terapia del dolore e Cure Palliative pedia-triche per medici pediatri” al fine di formare figure professionali con specifiche competenze in TD e CP in ambito pediatrico, che possano svolgere attività professionale nelle strutture operanti nella rete di TD e CPP. Il 25 luglio 2012 viene approva-ta l’Intesa della Conferenza perma-nente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, relativa a “Defi-nizione dei requisiti minimi e delle modalità organizzative necessari per l’accreditamento delle strutture di as-sistenza ai malati in fase terminale e delle unità di CP e della terapia del Dolore”. Per l’ambito pediatrico, da un punto di vista organizzativo, il modello assistenziale proposto e approvato è quello di un’unica Rete specialistica di terapia del dolore e

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pediatrico, è il riferimento clinico, organizzativo, di formazione e ricer-ca per il funzionamento della Rete: è responsabile del suo sviluppo, or-ganizzazione, ne valuta e monitora tutti i processi. Definisce le necessità formative ed informative del territo-rio di riferimento e attua programmi e strategie di formazione di base e di informazione pubblica. Richiede la presenza di personale esperto e preparato alla gestione dei minori che richiedono interventi di terapia antalgica specialistica ed alla presa in carico del bambino eleggibile alle CPP e della sua famiglia.

Sono passati quasi tre anni dal-la Legge 38 e, anche se lentamente, le cose stanno cambiando. Da un pun-to di vista organizzativo, 11 Regioni hanno avviato e sono in varia fase di deliberazione/realizzazione della Rete e del Centro di Riferimento del Dolore e delle Cure Palliative Pedia-triche; in 4 Regioni tale rete è stata attivata ed è funzionante.

Uno sforzo importante si sta fa-cendo nell’ambito della formazione: in 8 Regioni sono stati avviati per-corsi formativi ad hoc per gli opera-tori della salute. A livello nazionale, sono stati attivati in alcune Univer-

sità master di I e II livello specifici per l’età pediatrica; continua il pro-getto “NienteMale Junior” del Mi-nistero che prevede una formazione a cascata di tutti i medici pediatri che lavorano del SSN (ospedalieri e pediatri di famiglia) sulla gestione del dolore; in fase di ultimazione un percorso formativo analogo dedica-to alle CPP. Si continua a lavorare anche nell’ambito dell’informazione pubblica. Solo una Regione fino ad ora ha attivato una campagna in-formativa specifica sul dolore e le CP rivolte al paziente pediatrico, ma a livello nazionale sono in via di sviluppo alcune iniziative che nel 2014 avranno proprio come obiettivo l’informazione di bambino e fami-glia su possibilità e strategie per un corretto approccio al dolore ed alla inguaribilità .

Tutto ciò è segno certamente di una nuova “attenzione” al problema. La strada da fare è però ancora lunga e lo sforzo diventa il cammino per produrre il cambiamento sancito dalla Legge 38/2010 richiede uno sforzo condiviso. Formazione, infor-mazione, monitoraggio rappresen-tano certamente strumenti impor-tanti, ma devono integrarsi con uno stimolo continuo per gli operatori sanitari di motivazione e professio-nalità e con decisioni organizzative e programmatorie ad hoc .

• • •Solo una Regione fino ad ora ha attivato una campagna informativa specifica sul dolore e le CP rivolte al paziente pediatrico,ma a livello nazionale sono in via di sviluppo alcune iniziative.

Bibliografia

1. ·Legge 15 marzo 2010 N° 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. www.parlamento.it/parlam/leggi/10038l.htm

2. Intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, relativa a “Definizione dei requisiti minimi e delle modalità organizzative necessari per l’accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di CP e della terapia del Dolore”. www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1992_allegato.pdf · PDF file

3. Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative: anno 2012”. www.salute.gov.it/portale/documentazione/

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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L a disciplina del consenso ai trattamenti sanitari trova in ambito minorile la stessa appli-cazione che nell’adulto, in relazione al principio

secondo il quale ogni atto sanitario trae fondamento di liceità dalla prestazione del consenso da parte dell’avente diritto. In tal senso, infatti, è possibile desumere la regola secondo la quale ogni atto non validamente consentito deve considerarsi alla stregua di un illecito. Per quanto concerne il paziente minorenne sorgono, invero, mo-menti di complicazione della disciplina del consenso ancora non perfettamente analizzati dalla dottrina e

dalla giurisprudenza. La complessità si sostanzia nella considerazione che il minore è una persona in forma-zione e che pur non possedendo, in senso giuridico, capacità di agire è comunque soggetto di diritti e cen-tro di imputazioni di moltissime e speciali norme di tutela.

[tutto su]

Il paziente minorenne, l’informazione ed il consenso: personalità e diritti in fieri La Costituzione ha rovesciato le concezioniche assoggettavano i figliad un potere assoluto ed incontrollato, affermando il diritto del minore ad un pieno sviluppo della sua personalità.

Pasquale Giuseppe MacrìCoordinatore scientifico Centro interdipartimentale di studi di Bioetica e di Biodiritto, Università di SienaDirettore UOC Medicina Legale USL8, Arezzo

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Un po’ di storia

Per procedere ad una valida analisi della que- stione inerente la tutela dei diritti dei minori in am-

bito sanitario, occorre procedere rilevando come nella se-conda metà del secolo scorso, il “valore del minore”, nella società post-industriale, è grandemente aumentato. Nella civiltà contadina la perdita di un figlio era considerata alla stregua di un evento accidentale che non mutava il corso né minava la stabilità della famiglia. Successivamente, e segnatamente nella società contemporanea, la perdita di un figlio viene percepita e vissuta come un momento catastrofico che spesso si rivela idoneo ad interrompere o estinguere i legami intrafamiliari, destabilizzando o sciogliendo la società familiare. L’enorme valore attribuito al minore ha trovato nell’ordinamento nazionale ed in quello sovranazionale validi strumenti di tutela. In ambito nazionale, nel 1975, vi è stata una poderosa revisione delle norme che disciplinano il diritto di famiglia. È stata intro-dotta nell’ordinamento la nozione di “ufficio genitoriale” in luogo di quella di “potestà genitoriale”.

La giurisprudenza

In tal senso è oggi doveroso ritenere che i ge- nitori non esercitino alcuna forma di potestà sul mi-

nore ma che “svolgano” ‒ nell’interesse proprio e dello Stato ‒ un servizio di prima tutela e di salvaguardia in favore dei figli. È previsto anche che l’interesse genito-riale e l’interesse statuale inerenti le scelte compiute sulla sfera individuale del minore possano entrare in conflitto; tale conflitto è demandato alla cognizione dell’Autorità giudiziaria. L’ordinamento non affida esclusivamente ai genitori la tutela degli interessi del minore, a questi affiancando figure professionali quali ad esempio quelle del medico e del giudice. Non v’è dubbio che la tutela della salute rappresenti parte sostanziale dell’ufficio ge-nitoriale, di talché è possibile ritenere che per l’ordina-mento i genitori assumono una vera e propria posizione di garanzia verso i figli minori. La Corte Costituzionale, con Sentenza n. 132/1992, ribadisce che “La Costituzione

ha rovesciato le concezioni che assoggettavano i figli ad un potere assoluto ed incontrollato, affermando il diritto del minore ad un pieno sviluppo della sua personalità e collegando funzionalmente a tale interesse i doveri che ineriscono, prima ancora dei diritti, all’esercizio della po-testà genitoriale”. In tal senso operano infatti i disposti dell’art. 30 della Carta Costituzione e dell’articolo 147 del Codice Civile che individuano nel mantenimento e nell’istruzione dei figli un preciso dovere dei genito-ri, rientrando nella sfera d’applicazione dell’azione del mantenimento anche quella del mantenere in salute. Lo Stato comunque intende offrire ed offre al minore una tutela maggiore ed ultronea rispetto a quella garantita dall’ufficio genitoriale. Soprattutto in ambito di tutela della salute, per il minore, oltre ai genitori, assumono po-sizione di garanzia il medico e il giudice. L’ordinamento pone infatti tra i doveri professionali del medico quello di tutela verso i soggetti incapaci, quali appunto, in sen-so giuridico, sono i minori. Il medico assume pertanto uno speciale compito di protezione, sancito anche dal Codice di Deontologia Medica licenziato dalla Fede-razione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri in data 18 maggio 2014 che, all’art. 32, ricorda al sanitario il dovere di tutelare il minore “(…) in particolare quando ritiene che l’ambiente in cui vive non sia idoneo a proteggere la sua salute, la dignità e la qualità di vita” e segnalare “(…) le condizioni di discri-minazione, maltrattamento fisico o psichico, violenza o abuso sessuale. ovvero sia sede di maltrattamenti fisici o psichici ”. Al secondo comma dello stesso articolo viene ricordato al medico il dovere di tutelare il minore “(…) in particolare quando ritiene che l’ambiente in cui vive non sia idoneo a proteggere la sua salute, la dignità e la qualità di vita”. Lo stesso articolo 32 C.D.M. individua nel medico il responsabile delle scelte tecniche in ordine alla salute del minore laddove i genitori non siano in grado di individuare e perseguire l’interesse dello stes-so. Egli infatti dovrà “(…) in caso di opposizione dei legali rappresentanti a interventi ritenuti appropriati e proporzionati (…) ricorrere all’autorità competente”. In sintesi l’ordinamento, in ordine alla tutela della salute, pone almeno quattro adulti responsabili in posizione di garanzia verso il minore: i due genitori, il medico e infine il giudice tutelare. A fronte del dissenso dei genitori ad un trattamento sanitario necessario ed indifferibile per la tutela della salute e dell’integrità del minore, il medico potrà agire autonomamente, ricorrendo al giudice solo ove il tempo necessario non aumenti il pericolo per il soggetto tutelato.

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Negli ultimi decenni il concetto stesso di minorenne ha subito profonde mutazioni. In epoca precedente lo stato di minorenne era connotato dalla completa incapa-cità di porre in essere ogni atto della vita civile. Nessuna differenza esisteva, sub specie juris, tra soggetto minoren-ne infante (inferiore ad un anno) tra fanciullo (fino a 12 anni) e adolescente (infrasedicenne e ultrasedicenne). Tutti costoro erano soggetti alla potestà genitoriale e non potevano esprimere alcuna autonomia decisionale, anche relativamente a scelte di elevata valenza esisten-ziale. Un primo significativo mutamento è stato de-terminato dal recepimento da parte dell’ordinamento italiano, mediante la legge n. 176/91, della Convenzione dei Diritti del Fanciullo, sottoscritta nel 1989, nota come “Convenzione di New York”. La cennata Convezione statuisce che i minorenni hanno diritto di essere sentiti circa scelte di rilevanza per la loro condizione esistenzia-le. Tale norma ha trovato recepimento anche nel vigente Codice civile che, all’art. 155 sexies impone al Giudice di ascoltare il minore prima di decidere nel corso di cau-se di separazione dei genitori. La stessa disposizione è stata osservata nel redarre le norme che disciplinano la sperimentazione farmacologica sui minorenni, laddove si fa obbligo allo sperimentatore di fornire informazioni in modo comprensibile e confacente al minore da arruo-lare e, segnatamente, laddove si dispone che il consenso alla sperimentazione venga sottoscritto da entrambi i genitori, accanto alla sottoscrizione dell’assenso del mi-nore. La Convenzione di Oviedo (aprile 1997), ratificata dallo Stato italiano con legge n. 145/2001, in ordine alla “tutela delle persone che non hanno la capacità di dare consenso”, all’art. 6, statuisce: “(…) il parere del minore è preso in considerazione come fattore sempre più de-terminante in rapporto all’età ed al grado di maturità”. La norma in parola introduce un diverso criterio per il riconoscimento, anche parziale, del diritto di autode-terminazione. In altri termini, la capacità di esprimere un giudizio, una valutazione, un assenso o un dissenso non vengono riconosciute alla persona con il solo metro della maggiore età ma secondo parametri personalistici ed improntati al raggiunto livello di sviluppo della per-

sonalità. L’età resta elemento di valutazione in rapporto al grado di maturità del soggetto minorenne. Le norme citate impongono al medico un dovere di informazione semplificata ma veritiera e di ascolto incondizionato del minore. Fatti di cronaca hanno dimostrato come l’Autorità giudiziaria, trattando controversie insorte tra genitori e medici, abbia spesso deciso ascoltando il minore ‒ valutato il grado di discernimento e di ma-turità ‒ in modo conforme al volere di quest’ultimo.

Casi giudiziari

R iportiamo il caso, discusso presso il Tribu- nale dei Minorenni di Venezia nel 1998, concernente

la vicenda sanitaria di una bambina di 9 anni che per comodità chiameremo Sara. Sara, all’età di nove anni, veniva riscontrata affetta da leucemia linfoblastica acuta. Ai genitori veniva riferito che, con un trattamento che-mioterapico (Aieop 9502) da effettuare per la durata di due anni, vi erano buone probabilità di guarigione, nell’or-dine del 70%. I genitori acconsentirono. Successivamente i genitori decisero di interrompere il trattamento sull’on-da emotiva della polemica sulla cosiddetta “multiterapia Di Bella”. In ragione della sospensione del programma chemioterapico e dell’inefficacia della MDB, la malattia recidivò con netto peggioramento del quadro clinico e riduzione delle probabilità di guarigione dal 70 al 30%. I medici, ritenendo che il comportamento dei genitori di Sara non fosse di garanzia e soprattutto non fosse stato improntato al migliore interesse della minore, si rivolsero al competente Tribunale per i Minorenni il quale non adottò alcun provvedimento limitativo o ablativo della potestà genitoriale per le seguenti motivazioni:

a) nessun trattamento offriva, allo stato dei fatti di allora, alcuna certezza in ordine alla probabilità di guarigione o al tempo di sopravvivenza;

b) la bambina, ascoltata dal Tribunale, era stata giu-dicata in grado di comprendere la dimensione del problema in trattazione e l’importanza della pato-logia da cui era affetta.

La Convenzione di Oviedo (aprile 1997), ratificata dallo Stato italiano con legge n. 145/2001 statuisce: “(…) il parere del minore è preso in considerazione come fattore sempre più determinante in rapporto all ’età ed al grado di maturità”.

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La stessa dichiarò che la chemioterapia le aveva tolto ogni forza e le aveva sottratto ogni possibilità di vita sociale. Il Tribunale dichiarava nel provvedimen-to di aver respinto il ricorso dei medici in osservanza del disposto dell’art. 6 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina del 1997. I giudi-ci minorili rilevarono come, nel caso in trattazione, entravano in conflitto il principio di beneficenza con il principio di autonomia e che nel caso specifico era necessario far prevalere quest’ultimo in quanto impor-re coattivamente il trattamento sanitario equivaleva a violare il generale divieto ai trattamenti coattivi san-citi dall’art. 32 della Costituzione senza alcun certo beneficio per la salute e la vita della piccola paziente. Altro caso interessante è stato discusso nel 1999 presso il Tribunale dei Minorenni di Ancona. Si tratta della vicenda clinica di Tommaso (nome attribuito), anch’egli di 9 anni, in trattamento presso l’ospedale locale per osteosarcoma osteoblastico midollare. I medici intra-presero, con il consenso dei genitori, il trattamento che-mioterapico suggerendo e programmando l’amputazione dell’arto inferiore interessato dalla neoplasia. Con tale intervento i medici riferivano ai genitori che Tommaso avrebbe avuto una possibilità di sopravvivenza a 5 anni nell’ordine del 60%, anche se in letteratura erano anche descritte sopravvivenze del 10–15%. I medici, comunque, con molta chiarezza, esclusero ai genitori ogni possibilità di guarigione. I genitori, a fronte di tali prospettazioni, sottrassero il figlio alla cura dei medici conducendolo all’esterno presso l’ambulatorio di un omeopata. I medici, ravvisando nella scelta dei genitori un loro venir meno alla posizione di garanzia verso il figlio, si rivolsero al locale Tribunale per i Minorenni. Il giudice minorile, ritenendo sussistere un conflitto d’interessi tra genitori (testimoni di Geova) e figlio, si pronunciava sospen-dendo la potestà genitoriale e nominando un tutore per l’esercizio della stessa. Avverso la decisione di I grado, i genitori ricorrevano in Appello. La Corte d’Appello riformava il provvedimento del Tribunale, attribuendo ai genitori piena potestà sul minore, motivando anche in ragione del fatto che il minore, sentito dai Giudici,

dichiarava di non poter sopportare la terapia e che non intendeva sottoporsi all’intervento, che per lui sarebbe stato devastante. I giudici, anche in questo caso, decidevano in ossequio al principio di autonomia del minore in relazione alla ridottissi-ma, quasi aleatoria, possibilità di sopravvivenza. Si viene così a delineare un criterio di orientamento nella giurisprudenza minorile secondo il quale il principio di autodeterminazione dei minorenni diventa criterio dirimente laddove le aspettative di vita siano estremamente ridotte, aleatorie o co-munque non ponderabili.

Come emerge dalle esemplificazioni riportate, la magistratura attribuisce capacità di autodeter-minazione anche a livelli di età molto bassi (9 anni). In realtà, allo stato delle acquisizioni giu-risprudenziali, è possibile soltanto individuare, in ordine al minore, una accezione debole di autode-terminazione, che sostanzialmente si concretizza in valenza decisionale solo a fronte di scarse o nulle possibilità salvifiche del trattamento rifiu-tato. In altri termini, solo laddove la Medicina ufficiale non sia in grado di offrire trattamenti con aspettative di sopravvivenza quantomeno ponde-rabili, si applica il principio di autodeterminazione del minore: negli altri casi, invece, prevale quello di beneficialità. L’assetto giurisprudenziale stava per trovare un paradigma normativo nel 2001 al-lorquando veniva presentato al Senato della Re-pubblica un progetto di legge definito “Norme per il consenso dei minori a trattamenti sanitari”. Nella relazione che accompagnava il disegno si riportava: “(…) la volontà del minore ha sempre più rilievo rispetto alla scelta dei trattamenti sa-nitari cui deve essere sottoposto (…) non si tratta però (…) di autodeterminazione in senso pieno, nel senso che il consenso informato prestato dal minore dotato di capacità naturale sia requisito necessario e sufficiente per la esecuzione del trat-tamento. Si tratta piuttosto di un’autodetermina-zione in negativo o “in senso debole” rappresentata

Solo laddove la Medicina ufficiale non sia in grado di offrire trattamenti con aspettative di sopravvivenza quantomeno ponderabili, si applica il principio di autodeterminazione del minore.

Bibliografia

· Turri GC. Autodeterminazione, trattamenti sanitari e minorenni. Minorigiustizia 2005; 2.

· Piccinni M in Funghi P, Giunta F. Medicina, bioetica e diritto. Pisa: Edizioni ETS, 2005.

· Bugio GR, Notarangelo LD. La comunicazione in pediatria. Un pediatra in Società. Torino: Utet, 1999.

· Mancini A. La Pedagogia dei genitori: la valorizzazione delle competenzeeducative attraverso la narrazione. Tesi di Laurea in Servizio Sociale, Università degli Studi di Pisa, A.A. 2005/2006.

· Macrì PG, Giunta F, Funghi P. “Carta di Arezzo”, parere in tema di audeterminazione del paziente sui trattamenti salvavita, deliberazione USL8, Toscana, n. 4544 del 29 agosto 2007, Deliberazione della Direzione Generale n. 231 del 10 giugno 2008 http://www.usl8.toscana.it/images/stories/carta_arezzo_parere_in_tema_di_autodeterminazione.pdf

Fonti normative

· Convenzione dei Diritti del Fanciullo, New York, 20 novembre 1989 e relativa legge di ratifica (n. 176/1991).

· Convenzione sui Diritti dell’Uomo e sulla Biomedicina, Oviedo, 4 aprile 1997 e relativa legge di ratifica (n. 145/2001).

· Dichiarazione di Helsinki. “Principi etici per la ricerca medica che coinvolge soggetti umani, (giugno 1964 e successivi emendamenti).

· Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata con legge 20 marzo 2003, n. 77, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 91 del 18 aprile 2003, supplemento ordinario n. 66.

· Costituzione della Repubblica Italiana, art. 30.

· Codice Civile, artt. 147 e 357, 155 sexies.

· Decreto del Ministro della Sanità 18 marzo 1998 (in Gazzetta Ufficiale, n. 122 del 28 maggio 1998, riguardante

le “linee guida di riferimento per l’istituzione e il funzionamento dei comitati etici).

· Codice di Deontologia Medica, 2014, artt. 32 – 33.

· Decreto Legislativo n. 211/2003. Attuazione della normativa 2001/20/CE, “Applicazione della buona pratica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali”, art. 4: “sperimentazione clinica sui minori”.

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dal rispetto della opposizione irriducibile del minore al trattamento che, peraltro, lo rende spesso impraticabile”. Il disegno di legge non è stato mai discusso.

Nel mentre resta quindi d’interesse giurisprudenziale la rilevanza del consenso o meglio del dissenso del mi-nore ai trattamenti sanitari, nulla quaestio in relazione al dovere giuridico di informazione che il medico ha verso il paziente non maggiorenne. Il dovere d’informazione, infatti, è parametrato oltre all’età del paziente anche e prioritariamente alla capacità dello stesso di com-prendere le argomentazioni e di valutare in merito. Con Decreto del Ministro della Sanità del 18 marzo 1998, il legislatore italiano dà particolare risalto all’espressione di volontà del minore nella forma dell’assenso, preve-nendone – in ordine alla sperimentazione clinica farma-cologica – la forma scritta. Al punto 3.7.9 il Decreto in parola così recita: “La sperimentazione su minore (…) è comunque vincolata al valido consenso di chi esercita la podestà dei genitori; conformemente alle richiamate linee guida europee, il minore,compatibilmente con la sua età, ha il diritto ad essere personalmente informato sulla sperimentazione con un linguaggio ed in termini a lui comprensibili e richiesto di firmare personalmente il proprio consenso in aggiunta a quello del legale rappre-sentante; il minore deve potersi rifiutare di partecipare alla sperimentazione”. Il vigente Codice di Deontologia

Medica, all’art. 33, impone infatti al medico l’obbligo di informare il soggetto “tenendo conto delle sensibilità e reattività emotiva (…) garantendo al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi diagnostico-terapeutici pro-grammati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisiona-le”. È ovvio che l’espressione “tener conto” non equivale a “dover seguire”. In altri termini, il medico conserva verso il minore una prevalente autonomia decisionale, non potendo però comunque eludere l’ascolto dello stesso e dovendo interessare la magistratura laddove l’opposizio-ne del minore si configuri con tale violenza da rendere impossibile l’esecuzione del trattamento ovvero laddove l’opposizione dei genitori non paia al medesimo assunta nel migliore interesse del figlio. In sintesi, dall’analisi dei dati giurisprudenziali relativi alle controversie innanzi ai giudici minorili tra medici e legali rappresentanti di minorenni emerge l’indicazione per il medico alla valo-rizzazione dell’autodeterminazione debole del minore, comparata alla relativa capacità di discernimento. Risulta invece perfettamente azionabile il diritto del minore ad ottenere una piena informazione sempre parametrata alla medesima capacità .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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Tutto quello che desideravi sapere sul reflusso gastroesofageo ma che non hai mai osato chiedere! Il management del lattante e quello del bambino con RGE seguono indicazioni differenti.

Secondo le ultime linee guida della North American Society for Pe-diatric Gastroenterology, Hepatology

and Nutrition (NASPGHAN) e della Euro-pean Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN), il reflusso gastroesofageo (RGE) è caratterizzato dalla risalita del contenuto gastrico in esofago con o senza rigurgito o vomito.1 Si tratta di un fenomeno fisiologico che si manifesta numero-se volte durante la giornata in lattanti, bambini ed adulti sani, soprattutto nel periodo post-prandiale. Esso è frequentemente associato a rilasciamenti transitori dello sfintere esofageo inferiore (TLESR), indipendenti dalle deglutizioni, che permettono la risalita del materiale gastrico in esofago.2 In misura minore il RGE è associato a riduzione del tono dello sfintere esofageo inferiore (SEI) non adeguato ad un aumento della pressione a livello addominale. Nei neonati e nei lattanti il TLESR è un meccanismo fisiologico che permette le eruttazioni. Inoltre lo SEI in questa fascia di età presenta un tono fisiologicamente ridotto, diventando in molti casi completamente incompetente. Tale fattore, in associazione con la dieta esclusivamente liquida, aumenta la frequenza di risalita del materiale gastrico in esofago. Per tale ragione il lattante senza sintomi e segni patologici di RGE viene definito “Happy Splitter”.

Sintomatologia

La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), invece, è definita dalla presenza di sinto-

mi che compromettono la qualità della vita del bambino o da complicanze quali esofagite, stenosi peptica, metaplasia gastrica o esofago di Barrett, causate dal RGE.1 I sintomi del RGE, in bambini ed in adulti, sono distinti in esofagei

Dario Ummarino 1

Felice Crocetto 2

Eleonora Giannetti 31 Specialista in Pediatria Generale e SpecialisticaUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”[email protected] Medico Chirurgo Università degli Studi di Napoli “Federico II”[email protected] Specialista in Pediatria Generale e SpecialisticaUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”[email protected]

(tipici) o extraesofagei (atipici). I sintomi tipici sono rappresentati da vomito, scarso incremen-to ponderale, dolore addominale, sottocostale o retro sternale ed esofagite.2 I sintomi extrae-sofagei sono distinti in base alla localizzazione; i più frequenti sono rappresentati da sintomi respiratori quali tosse prevalentemente notturna, bronchiti ricorrenti o polmoniti ricorrenti e whe-ezing, soprattutto nei lattanti; sintomi laringei quali laringiti ricorrenti. Sono considerate altre manifestazioni atipiche di RGE la ruminazione e la sindrome di Sandifer, caratterizzata da po-sture anomale (torcicollo e opistotono) di breve durata associate ai pasti e l’erosione dentaria.2

Un discorso a parte meritano i neonati ed i lattanti, nei quali la sintomatologia risulta essere aspecifica.3 I sintomi mag-giormente presenti in questa fascia di età sono rappresentati da tosse, rifiuto del cibo, rigurgiti o vomito e irritabilità.1, 4,

5 Quest’ultimo sintomo, rappresentato principalmente dal pianto, è ancora molto discusso in letteratura, per la presen-za di risultati contrastanti sulla correlazione tra durata del pianto giornaliera e RGE.6–9 Nel 95% dei casi i sintomi di RGE del lattante regrediscono spontaneamente entro i 12–14 mesi.10–12 Inoltre, il RGE può associarsi frequentemente ad altre condizioni cliniche aggravandone la sintomatologia e riducendo l’efficacia della terapia convenzionale specifica per queste patologie. Un esempio di tali condizioni è rap-presentato dall’asma scarsamente controllato dalla terapia convenzionale. In letteratura è riportato che l’incidenza di RGE asintomatico in bambini affetti da disordini polmonari è compresa tra il 46% e il 75%.13, 14

Diagnosi

La diagnosi di RGE nel lattante è principal- mente basata sulla valutazione della storia clinica

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e dell’esame obiettivo. Molti studi in letteratura hanno validato numerosi questionari basati sui sintomi per va-lutare la presenza e la severità del RGE, Salvatore et al hanno usato il questionario di Orenstein per i lattanti con sintomi suggestivi di MRGE paragonati con i controlli. Il questionario presentava una sensibilità ed una specifi-cità del 47% e del 81%, rispettivamente, per un indice di reflusso (% di tempo per cui il pH esofageo è < 4) > 10% e 65% e 63%, rispettivamente, per un indice di reflusso > 5%.15 Per i bambini di età superiore a 2 anni Kleyman et al hanno sviluppato due questionari per la valutazione dei sintomi e del loro impatto nella vita del bambino e della famiglia.16 In presenza di una crescita regolare ed in assenza di sintomi severi o di un sospetto di complicanze dovute al reflusso, non è necessario un ulteriore approfon-dimento diagnostico.1 Al contrario, la presenza di vomito incoercibile, ritardo di crescita, anemia, ematemesi, crisi di broncospasmo, broncopolmoniti ricorrenti, crisi d’apnea e ALTE richiede una immediata valutazione diagnostica e terapeutica, nel sospetto di una MRGE. Sarà quindi necessario un approfondimento diagnostico con esami strumentali specialistici. Attualmente, il gold standard nella diagnosi di MRGE è rappresentato dalla esofago-gastroduodenoscopia (EGDS) in caso di sintomi tipici, e dalla pH-metria/pH-impedenzometria in caso di manife-stazioni atipiche.1, 2 L’endoscopia è l’unico strumento che permette di individuare le lesioni tipiche dell’esofagite da reflusso o segni indiretti di MRGE. La pH-metria è una tecnica che studia il pH esofageo attraverso un sensore in antimonio. Tale tecnica permette di valutare il numero e la durata dei RGE. Tuttavia, tale metodica non permette la valutazione dei reflussi debolmente acidi o debolmente alcalini e non è in grado di stabilire una direzionalità dello stimolo acido (deglutizione/reflusso). Non è inoltre indicata in pazienti che sono sottoposti ad un trattamento acido soppressivo.17, 18 La pH-impedenzometria, invece, è una metodica di ultima generazione che permette di rilevare la presenza di materiale che attraversa il lume esofageo valutandone l’impedenza. Una sostanza a basso

contenuto di ioni (gas) rallenterà la corrente elettrica pro-vocando un innalzamento dell’impedenza. Al contrario, una sostanza ad alto contenuto di ioni (liquido) aumente-rà la corrente elettrica, riducendo l’impedenza. La presen-za di 6 coppie di elettrodi lungo un sondino naso-gastrico permette di valutare la direzionalità dello stimolo. Inoltre, la presenza di un sensore pH-metrico permette di valutare il pH del materiale esofageo e distinguerlo in acido (pH < 4), debolmente acido (pH 4–7) o debolmente alcalino (pH > 7). Le linee guida per il reflusso gastroesofageo sottolineano che la pH-Impedenzometria è superiore alla pH-metria per la valutazione del rapporto tra sintomi e reflussi. Tuttavia, il limite di tale metodica è la man-canza di parametri standardizzati in età pediatrica.1 La radiografia, la scintigrafia e l’ecografia sono sconsigliate per porre diagnosi di MRGE, data la scarsa specificità di queste metodiche, nonostante l’elevata sensibilità. Tuttavia tali indagini possono essere un ausilio per la valutazione di altre condizioni che possono mimare i segni ed i sintomi di RGE. Lo studio radiologico del digerente superio-re può essere impiegato per escludere alcune alterazioni anatomiche del tratto gastrointestinale superiore quali stenosi esofagea, acalasia, ernia iatale, stenosi pilorica o pancreas anulare. In aggiunta, la fluoroscopia permette di studiare anche la deglutizione; tuttavia, presenta scarsa sensibilità e specificità ed espone il piccolo paziente alle radiazioni.19–23 Anche l’ecografia, un esame non invasivo e di facile esecuzione, consente di ottenere una valutazione anatomica e funzionale e di escludere o confermare alcu-ne patologie ostruttive dell’apparato digerente superiore. Tuttavia, l’ecografia, praticata 15 minuti dopo il pasto pre-senta una sensibilità del 95% ma una specificità dell’11% rispetto alla pH-impedenzometria delle 24h.24, 25 Inoltre non vi è alcuna correlazione evidenziata tra il numero dei reflussi registrati durante l’esame ecografico e l’indice di reflusso registrato tramite pH-metria. Per tale ragione è sconsigliata nella diagnosi di MRGE. La scintigrafia gastrica con Tc99 (aggiunto al latte) non è raccomandata per la valutazione di routine dei pazienti pediatrici con

L’endoscopia è l ’unico strumento che permette di individuare le lesioni tipiche dell ’esofagite da reflusso o segni indiretti di MRGE.

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sospetta MRGE. Può essere particolarmente utile nella diagnosi di aspirazione polmonare nei pazienti con sinto-mi respiratori cronici refrattari al trattamento; tuttavia, un risultato negativo non esclude la possibilità di un’aspira-zione di materiale refluito.26–29 La manometria è in grado di valutare la motilità esofagea, misura il tono sfinterico e riconosce i TLESR.30 Può essere utile in caso di acalasia o di disturbi della motilità esofagea, ma non è sufficien-temente sensibile o specifica per la diagnosi di MRGE.31 Tuttavia, può essere utile come ausilio per aumentare la capacità diagnostica della pH-impedenzometria nella valutazione del rapporto tra sintomi e reflussi.32 Nei bam-bini di età superiore a 8 anni con sintomi tipici, suggestivi di MRGE, è possibile praticare un trial diagnostico con inibitori di pompa protonica per 4 settimane, anche in assenza di una diagnosi strumentale di MRGE; in ca-so di miglioramento della sintomatologia il trattamento proseguirà per un totale di 8–12 settimane. Tuttavia, un miglioramento non indica con certezza la presenza di una MRGE, poiché la storia clinica dei sintomi tipici prevede in alcuni casi una risoluzione spontanea.1

Trattamento

Il management del lattante e quello del bam- bino con RGE seguono indicazioni differenti. Il lat-

tante con RGE non necessita di alcun trattamento me-dico. Infatti, la rassicurazione e alcune modifiche dello stile di vita possono essere sufficienti per migliorarne la qualità della vita. La terapia posizionale e l’adeguamento delle poppate fanno parte dei suggerimenti principali che il clinico deve dare ai genitori di un lattante con reflusso gastroesofageo. Tuttavia, gli studi in letteratura presenta-no risultati contrastanti sull’efficacia di tali accorgimenti. Infatti, l’uso di una posizione prona o di una posizione sul fianco sinistro o destro non migliorano il numero di reflussi valutati in corso di pH-impedenzometria. Inoltre, la posizione prona è fortemente sconsigliata per la pos-sibilità di una morte in culla (SIDS), mentre le posizioni sul fianco sono sconsigliate poiché vi è un elevato rischio che il bambino ruoti acquisendo una posizione prona.33–36 Quindi, la posizione supina è quella consigliata, poiché presenta un’incidenza di reflussi minore rispetto alle altre. È stato dimostrato che la posizione supina inclinata pre-senta lo stesso numero di reflussi della posizione supina senza inclinazione.37–40 Per quanto concerne l’adegua-mento delle poppate, è stato dimostrato in letteratura che poppate di quantità considerevole possono peggiorare il

RGE, provocando numerosi TLESR.41 La riduzione del-la quantità di latte ad ogni poppata riduce il numero di reflussi. Per mantenere un adeguato apporto calorico per il bambino è opportuno consigliare di aumentare il nu-mero di poppate giornaliere. Quest’ultimo accorgimento non peggiora il RGE preesistente.41 Tuttavia, alcuni lat-tanti presentano sintomi di lieve o moderata entità che possono essere stressanti per il bambino e per i genitori. In tali casi può essere utile un trattamento con latte i-spessito o con farmaci non ad azione sistemica quali l’al-ginato. Nel lattante non alimentato al seno, l’impiego di formule ispessite antirigurgito (AR) è utile per ridurre la frequenza del rigurgito e del vomito e ha un effetto favo-revole sulla crescita del bambino.42 Numerosi studi in letteratura hanno mostrato l’efficacia del trattamento con latte ispessito paragonato al latte formulato non adden-sato, dimostrando che il primo riduce il numero e l’altez-za dei reflussi in modo considerevole rispetto al latte normale.43 I risultati di una meta-analisi hanno eviden-ziato che, rispetto alle formule standard, le formule ispes-site riducono il numero degli episodi giornalieri di rigur-gito/vomito e migliorano la crescita ponderale.43 L’algi-nato è una sostanza che a contatto con i succhi gastrici precipita creando un gel denso che si pone al di sopra del chimo, impedendone la risalita nell’esofago durante gli episodi di reflusso.44 I risultati sull’efficacia delle formu-lazioni basate su acido alginico sono controversi. Studi condotti su lattanti dimostrano che l’uso dell’acido algi-nico riduce l’acidità del RGE ed ha un effetto non siste-mico e una minore presenza di effetti collaterali rispetto all’uso degli antagonisti del recettore H2 dell’istamina (H2RA) e degli inibitori di pompa protonica (IPP).45 Al contrario, Del Buono et al sostengono che l’uso dell’algi-nato non abbia un effetto superiore sui sintomi rispetto al placebo.46 Per la presenza di risultati contrastanti in letteratura sull’efficacia dell’alginato, il suo utilizzo non è consigliato nel trattamento dei sintomi severi e nelle com-plicanze dovute alla MRGE.2 L’approccio terapeutico della MRGE è, infatti, prettamente farmacologico. Le linee guida sottolineano che la terapia posizionale e le modifiche dello stile di vita hanno scarso o nessun effet-to sui sintomi di MRGE nei bambini di età superiore ad 1 anno. Non vi sono al momento evidenze sufficienti per giustificare l’impiego dei procinetici nel trattamento rou-tinario della MRGE, considerati i numerosi effetti col-laterali di questi farmaci che superano di gran lunga i potenziali benefici.1, 2 I farmaci consigliati e utilizzati per il trattamento della MRGE sono gli H2RA e gli IPP, ma il loro utilizzo non è approvato nei bambini al di sotto di

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1 anno. Gli anti-H2 inibiscono la secrezione acido-pep-tica, bloccando i recettori H2 presenti sulle cellule parie-tali gastriche. Il farmaco di scelta è la ranitidina (10mg/kg/dose in due somministrazioni).47 Gli anti-H2 posso-no essere utilizzati per il trattamento dei sintomi di MR-GE e per la guarigione dell’esofagite, sebbene siano ge-neralmente meno efficaci degli PPI. La tachifilassi abba-stanza rapida che si sviluppa con gli anti-H2 rappresenta uno svantaggio per l’uso a lungo termine.48 Gli IPP ini-biscono la secrezione acida bloccando la pompa Na/K ATPasi, presente sulle cellule parietali gastriche. Ome-prazolo, esomeprazolo e lansoprazolo sono approvati in Europa e negli USA per il trattamento dei bambini di età superiore a 1 anno, mentre nessun PPI è approvato nel lattante, nel quale l’uso è riservato solo ai casi di eso-fagite erosiva. Gli IPP risultano essere superiori agli H2RA, non solo per la maggiore capacità di mantenere il pH gastrico al di sopra di 4 e di inibire la secrezione acida dovuta ai cibi, ma anche per la capacità di mante-nere la stessa efficacia in corso di terapia cronica.1 Il do-saggio e l’uso corretto degli IPP sono fondamentali per la loro efficacia. I pediatri dovrebbero sottolineare ai loro pazienti che tali farmaci devono essere somministrati 30 minuti prima dei pasti. Studi clinici hanno dimostrato che il dosaggio efficace dell’omeprazolo è 0,7–3,3 mg/kg/die, valutando l’efficacia sulla base del miglioramento dei sintomi clinici.49 In letteratura è certo il ruolo degli IPP nel ridurre i reflussi acidi in bambini e adulti con sintomi tipici di reflusso gastroesofageo. In un nostro precedente studio abbiamo messo a confronto l’efficacia degli IPP e degli H2RA nel trattamento dei sintomi di reflusso ga-stroesofageo valutati con un questionario validato. Gli IPP hanno mostrato un’efficacia significativamente su-periore agli H2RA nel trattamento dei sintomi.50 Le nuo-ve linee guida NASPGHAN ed ESPGHAN hanno co-munque sottolineato che, nonostante le limitazioni nell’u-so di tali farmaci, le loro prescrizioni sono aumentate. Spesso gli IPP sono utilizzati nei bambini affetti da asma che non rispondono alla terapia convenzionale. In lettera-

tura sono presenti pochi trial ben strutturati che definisco-no l’efficacia degli inibitori di pompa protonica nell’asma non controllato, che presentano, inoltre, risultati contra-stanti.51, 52 Ciò può essere spiegato dal fatto che spesso i pazienti con sintomi respiratori refrattari alla terapia con acido soppressori presentano una maggiore frequenza di reflussi debolmente acidi e debolmente alcalini.53–57 Per-tanto, lo scarso effetto degli IPP nel trattamento dell’asma può essere spiegato dallo scarso effetto di tali farmaci sui reflussi non acidi.58 Inoltre, è stato evidenziato che l’uso di IPP favorisca lo sviluppo di patologie respiratorie a causa dell’aspirazione di materiale alcalino che favorisce la proliferazione di batteri patogeni.59 In Italia l’AIFA ha limitato l’uso di farmaci antiacidi attraverso la Nota 48 che impone che tali farmaci siano prescritti ai bambini con diagnosi accertata di MRGE. Pertanto, secondo le linee guida, la diagnosi di MRGE deve essere posta sul-la base della storia clinica del paziente avvalorata dall’en-doscopia con istologia in caso di sintomi tipici, con la rilevazione di segni di esofagite, o con la pH-impeden-zometria in caso di sintomi atipici. Tali indicazioni pos-sono essere utili per limitare le prescrizioni di acido sop-pressori solo a bambini con effettiva e corretta diagnosi di MRGE. Infine, il trattamento chirurgico deve essere considerato nei pazienti con MRGE cronica-recidivante (chronic-relapsing). In particolare, la chirurgia è indicata in pazienti con esofagite grave e refrattaria al trattamen-to con dosi elevate di PPI, nei pazienti con quadri respi-ratori gravi e in pazienti con malattie neurologiche che presentano delle alterazioni anatomiche che favoriscono il RGE. La fundoplicatio è l’intervento più comunemen-te effettuato.60 .

Le nuove linee guida NASPGHAN ed ESPGHAN sottolineano che, nonostante le limitazioni nell ’uso di tali farmaci, le prescrizioni di IPP sono aumentate.

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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8tutto su Tutto quello che desideravi sapere sul reflusso gastroesofageo ma che non hai mai osato chiedere!

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hanno definito criteri organizzativi e standard di riferimento

d. esistono riferimenti normativi preci-si per il paziente adulto ma non per l’area pediatrica

4. la morfina per os si prescrive su:a. ricetta bianca, con definizione precisa

dei dati del paziente (data di nascita e indirizzo di residenza), posologia e durata della terapia e con tutti i dati per l’identificazione del medico proscrittore

B. ricettario a ricalco con prescrizione in triplice copia di cui una copia deve essere tenuta dal medico

c. ricettario del SSN (ricettario rosso)d. non può essere prescritta da tutti i

medici, ma solo dagli specialisti di terapia del dolore su un ricettario ad hoc.

5. a quale dosaggio utilizzi il pa-racetamolo come azione analge-sica?a. 10 mg/kg os, 15 mg/kg evB. 15-20 mg/kg os, 15 mg/kg evc. 10 mg/kg os, 10 mg/kg evd. 15-20 mg/kg os, 10 mg/kg ev

6. per quale tipo di dolore sono indicati i farmaci oppioidi?a. per qualsiasi tipo di doloreB. solo se prescritti da un centro di III

livelloc. in caso di dolore severod. solo in casi estremi.

7. È importante ricordare, prima di considerare una qualsiasi pato-logia inerente al sonno, che le ore di sonno quotidiane necessarie in età evolutiva al mantenimento di un corretto equilibrio sonno-

veglia variano notevolmente in base all’età. Quante sono quelle fisiologiche per un adolescente?a. 14-15 ore circaB. 9 ore circac. 12-14 ore circad. 7 ore circa.

8. dai rilievi della letteratura ap-pare evidente come il trattamento farmacologico di prima scelta per l’insonnia, e più in generale per i disturbi del sonno in età evolutiva, debba prevedere l’uso di:a. farmaci non benzodiazepiniciB. farmaci benzodiazepinicic. una combinazione dei dued. uno dei due sulla base dell’età del

bambino.

9. Quale delle seguenti afferma-zioni sul rGe fisiologico è falsa?a. Il RGE fisiologico è una condizione

che può causare modesti sintomi che possono richiedere in alcuni casi un trattamento.

B. Il RGE è una condizione che tende a scomparire spontaneamente nel 95% dei casi.

c. Il RGE fisiologico può associarsi a vol-te a complicanze, quali esofagite.

d. Il RGE fisiologico può manifestarsi an-che in bambini ed adulti sani.

10. Qual è l’effetto degli inibito-ri di pompa protonica sul reflusso gastroesofageo?a. Riducono l’altezza, l’acidità ed il nu-

mero di reflussi totali registrati alla pH-impedenzometria

B. Riducono il pH dei reflussi acidi ma l’altezza ed il numero dei reflussi to-tali resta invariato

c. Riducono il pH dei reflussi acidi ma il numero dei reflussi totali aumenta in maniera considerevole

d. Riducono il pH dei reflussi acidi e l’al-tezza dei reflussi totali ma il numero dei reflussi resta invariato.

[Quiz]

Test di autovalutazione

Le risposte esatte saranno pubblicate

sul prossimo numero della rivista.

1. il sovraccarico di ferro nell’or-ganismo:a. è presente in tutti i pazienti affetti da

disordini ereditari dell’HbB. è presente solo nei pazienti affetti

dalle forme trasfusione-dipendenti dei disordini ereditari dell’Hb

c. è presente nei pazienti con disordini ereditari dell’Hb, sottoposti a rego-lare regime trasfusionale e in quelli affetti da talassemia intermedia

d. è presente nei pazienti con affezioni ematologiche ereditarie o acquisite cronicamente trasfusi e nei pazienti con talassemia intermedia e anemie diseritropoietiche congenite, occa-sionalmente trasfusi e in quelli con emocromatosi ereditaria.

2. per la diagnosi di talassemia intermedia:a. è sufficiente un’attenta anamnesi fa-

miliare e personale e un accurato esa-me clinico del probando e dei genitori

B. oltre al punto a, è necessaria anche un’attenta definizione laboratori-stica del fenotipo ematologico del paziente e dei suoi genitori, incluso il bilancio del ferro (sideremia, tran-sferrinemia e ferritinemia)

c. oltre al punto a e b, è necessario anche uno studio del profilo elettroforetico dell’Hb del paziente e dei suoi genito-ri, con metodica accurata quale l’HPLC

d. oltre a quanto enunciato nei punti a, b e c, è necessaria la valutazione, mediante tecniche di biologia mole-colare, dell’assetto dei geni globinici.

3. a livello normativo, sul dolore pediatrico:a. non esistono riferimenti normativiB. la Conferenza Stato-Regioni non ha

mai approvato documenti relativi alle CPP

c. la Legge 38/2010 e la Conferenza Stato-Regioni hanno sancito che le CP sono un diritto del bambino ed

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1. dal 2012 al 2013 il numero di migranti verso l’italia è aumentato di: 4 volte.Risposta corretta: B Nel 2013 sono arrivati in Italia via mare circa 43.000 migranti, 4 volte il numero registrato nel 2012, e si sono osservati sia un aumento del numero di donne e di minori che una diversa provenienza, in quanto i principali Paesi di origine sono stati l’Eritrea e la Siria.

2. il numero di minori migranti verso l’italia nel 2013 è stato: circa 10 000.Risposta corretta: D Nel 2013 è stato registrato un incremento di oltre dieci volte rispetto all’anno pre-cedente del numero dei minori accompa-gnati da almeno un genitore (2974) e di quasi tre volte dei minori non accompa-gnati (4954). I bambini siriani, alcuni pic-colissimi, rappresentano la quasi totalità dei minori accompagnati dai genitori. I minori stranieri non accompagnati sbar-cati sulle coste del sud Italia sono adole-scenti tra 13 e 17 anni, in prevalenza ma-schi, provenienti dalla Siria, dall’Egitto, dalla Somalia e dall’Eritrea.

3. il fabbisogno proteico, rispetto alle raccomandazioni larn 1996, nelle nuove raccomandazioni 2012: è diminuito in tutti i gruppi di età.Risposta corretta: C Un’assunzione di proteine doppia rispet-to al fabbisogno in genere non presenta evidenti conseguenze negative per la salute. Durante il primo anno di vita, invece, elevate assunzioni di proteine (>20% energia totale della dieta) posso-no interferire con la funzionalità renale compromettendo il metabolismo dei flu-idi e possono essere legate allo sviluppo futuro di sovrappeso ed obesità. Quindi l’assunzione raccomandata di proteine risulta diminuita.

4. la percentuale di zuccheri sem-plici nella dieta secondo i nuovi larn dovrebbe essere: < 15%.Risposta corretta: D I nuovi LARN raccomandano di predili-gere fonti alimentari amidacee a basso indice glicemico, limitando il consumo di zuccheri semplici a <15% dell’energia totale. Un apporto calorico totale >25% è infatti da considerare potenzialmente legato all’insorgenza di disturbi del me-tabolismo degli zuccheri.

5. l’apporto di lipidi secondo i nuovi larn: diminuisce progres-sivamente dal primo anno di vita, nella fascia di età da 1 a 3 anni do-vrebbe essere dal 35 al 40%, la per-centuale di acidi grassi saturi non dovrebbe superare il 10%.Risposta corretta: D La qualità e la quantità dei lipidi della dieta rappresentano un elemento car-dine per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative. L’assunzione di acidi grassi saturi deve essere limitata il più possibile; quindi evitare l’assunzione di grassi di origine animale, in particolare condimenti a base di burro, margarina, o-lio di palma. Rispetto ai precedenti LARN, grande importanza viene data ai grassi polinsaturi a lunga catena (LC-PUFA), soprattutto contenuti nel pesce azzurro.

6. l’apporto di vitamina d dal pri-mo anno di vita fino all’età ado-lescenziale: dovrebbe essere di 15 microgrammi/die.Risposta corretta: C Rispetto ai precedenti LARN, è stata rivi-sta la raccomandazione dell’apporto di vitamina D che dal primo anno di vita all’adolescenza dovrebbe essere di 15 mcg/die, mentre precedentemente era 10 mcg/die.

7. il Montelukast viene considera-to una terapia off label: al di sotto di 6 anni.Risposta corretta: C In scheda tecnica e con nota 82, il farma-co è indicato per il trattamento dell’asma come terapia aggiuntiva in quei bambini con asma persistente di lieve/moderata entità che non sono adeguatamente con-trollati con corticosteroidi per via inalato-ria, e per la profilassi dell’asma laddove la componente predominante è la bronco-costrizione indotta dall’esercizio.

8. l’eziologia più frequente del-le infezioni nosocomiali è rappre-sentata principalmente da: gram negativi.Risposta corretta: A Negli ultimi anni si è assistito a una gra-duale inversione nella prevalenza dei microrganismi responsabili di infezioni nosocomiali: mentre agli inizi degli anni ’90 erano soprattutto i cocchi gram posi-tivi, oggi sono i gram negativi ad essere isolati con maggiore frequenza. Questo fenomeno è dovuto alla modificazione dell’ecologia microbica per un uso poco razionale degli antibiotici.

9. il lavaggio delle mani in am-biente ospedaliero dovrebbe essere effettuato: prima di somministrare farmaci o latte, dopo l’uso dei ser-vizi igienici, dopo la rimozione dei guanti.Risposta corretta: B Una corretta igiene delle mani rappre-senta la più importante misura per pre-venire le infezioni, la contaminazione dell’ambiente ospedaliero con germi po-tenzialmente patogeni, e la trasmissione crociata di microrganismi fra i pazienti. L’incremento dell’adesione alle pratiche di igiene delle mani si associa alla ridu-zione della frequenza del 20–30% di in-fezioni nosocomiali e della diffusione di microrganismi antibiotico-resistenti.

10. Gli strumenti che vengono utilizzati nella gestione del rischio clinico comprendono: incident re-porting, root causes analysis, audit clinico.Risposta corretta: D La corretta gestione del rischio clinico anche in Pediatria di famiglia può con-sentire la prevenzione degli errori e, so-prattutto, delle insufficienze nel sistema, attraverso idonee barriere protettive. Gli approcci possibili, che non si escludono a vicenda, sono sostanzialmente di due tipi: analisi proattiva e reattiva. Gli strumenti più efficaci dell’analisi reattiva sono l’in-cident reporting e la root causes analysis, supportate da revisioni sistematiche e periodiche di dati, indicatori ed esiti di prestazioni. Altrettanto efficace, anche se più complessa è l’analisi proattiva, volta ad individuare aree e fattori di rischio, attraverso ad esempio l’audit clinico e la revisione della documentazione sanitaria.

Le risposte del numeroprecedente

Quiz Test di autovalutazione

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