TRIBUNALE DI ROMA - Fidget Cube The Best Toy … · Web viewUfficio Istruzione - Sezione l^...
Transcript of TRIBUNALE DI ROMA - Fidget Cube The Best Toy … · Web viewUfficio Istruzione - Sezione l^...
TRIBUNALE DI ROMA
Ufficio Istruzione - Sezione l^
N.9031/85A P.M. n.2675/85A G.I.
SENTENZA ISTRUTTORIA DI PROSCIOGLIMENTO
(Art. 378,379,384,395,398 C.p.p. ‘30, 241 e segg. disp. trans.
C.p.p. e normativa seguente)
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Il Giudice Istruttore Dott. Rosario PRIORE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale
contro
1. AKKUZU FERIDUN, nato il 1.10.1955 ad Ankara (Turchia),
già ivi residente in Bahcelievler, 6, Cadde
55/12.
IRREPERIBILE
2. BILICEN NEVZAT, nato il 3.4.1950 a Saray (Turchia), già
detenuto in Svizzera.
IRREPERIBILE
3. COPUROGLU YUSUF, nato il 25.09.1955 a Sungurlu (Turchia),
già residente a Basilea
(Svizzera) 4053 Tellstrasse 54.
IRREPERIBILE
1
4. ERDAL UENAL, nato il 2.01 .1952 a Ahlat (Turchia)
IRREPERIBILE
5. ERDEM EYUP, nato il 1.01.1946 a AhLat Koyu (Turchia)
già residente in Svizzera - Dillinken
Speinsenstrasse, 28
IRREPERIBILE
6. KOKAL FUAT, nato il 1.04.1944 a Erzurum
(Turchia), già detenuto a
Basilea (Svizzera)
IRREPERIBILE
7. RAMAZAN SENGUN, nato il 6.11.1960 a Konya
(Turchia), già residente in
Vienna (Austria), 12
Wilhelmsstrasse, 47/2
IRREPERIBILE
8. SENER MEHMET, nato il 3.02.1956 a Poturge
(Turchia), già detenuto a
Zurigo (Svizzera)
IRREPERIBILE
9. SEREF BENLI, nato il 5.01.1960 a Kajseri
(Turchia), già detenuto in_
Svizzera
IRREPERIBILE
10.VAHDETTIN OEZDEMIR, nato il 15.05.1960 in Turchia,
già detenuto a Basilea
(Svizzera)
IRREPERIBILE
2
IMPUTATI
A)del delitto p. e p. dall’art.416 C.P. e 71,74,75 L.22.12.75 n.685, per
avere promosso costituito ed organizzato in concorso tra loro e con
SENER HASAN, CHATLI ABDULLAH, AYDIN NURI,
BULBUL MEHMET, SONMEZCAN NECMETTIN, ARDA
RIFKI, LENTINI GUIDO, ed altre persone non identificate, una
associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti tra
la Turchia, l’Italia, la Svizzera, la Germania, l’Austria e la Francia,
con punti di vendita della droga a Roma e a Napoli e con punto di
transito a Como, e per avere, senza autorizzazione, importato,
trasportato, fatto passare in transito e comunque detenuto sul
territorio italiano kg.3 (tre) di eroina, nascosta in una ruota di
scorta, eroina che da Como introducevano in Svizzera.
In epoca compresa tra l’80 e 1’86.
E CONTRO
11. ARSLAN SAMET, nato in Agri (Turchia) il 14.12.60 già
detenuto nel carcere di Roermond
(Olanda)
DECEDUTO
12. OMER AY, nato a Nazede (Turchia) nel 1952, già
detenuto nel carcere militare dello Stato
di assedio di Elazig (Turchia)
13. SEDAT SIRRI KADEM, nato in Akcadag (Turchia) nel 1955,
già residente a Istanbul
3
(Turchia), via Duras
Sokak, 23 Aynali Cesme-Beyoglu.
4
INDIZIATI
B)del delitto di cui agli artt.110,112 n.1,276,82 1° e 2° co. C.P., 8
L.27.5.1929 n.810, 1 L.6.2.1980 n.15, per avere, agendo per finalità di
terrorismo, concordato con MEHMET ALI’ AGCA e con altre persone
non identificate, in numero non inferiore a cinque, un attentato alla vita
del Sommo Pontefice Giovanni Paolo Il, contattando lo stesso AGCA,
rafforzandone l’intendimento, garantendogli assistenza e appoggio
anche in denaro per preparare ed attuare il delitto, effettuando
sopralluoghi in piazza S.Pietro, esaminando fotografie della zona e
dello stesso Papa a bordo di autovettura in mezzo ai fedeli, insieme
stabilendo il punto dove l’attentato sarebbe avvenuto, valutando il
tempo e le modalità dello stesso, accompagnando l’AGCA sul luogo
del delitto al momento della sua esecuzione, portando con loro, oltre
alle armi da fuoco, anche due bombe da far esplodere a scopo di panico,
realizzando, quindi, detto attentato al Pontefice contro cui il 13.5.1981,
in piazza S.Pietro, l’AGCA esplodeva alcuni colpi di pistola che
producevano lesioni personali a detto Pontefice e, per errore nell’uso
dell’arma, anche alle cittadine statunitensi ODRE Anne e HALL Rose;
C)del delitto di cui agli artt. 1 della Legge 2.10.1967 n.895 (come
sosfituito dall’art.9 della Legge 14.10.1974 n.497), 1 della Legge
6.2.1980 n.15 (conversione del D.L. 15.12.1979 n.625), 1 della Legge
18.4.1975 n.110 e 61 n.2 e 110 C.P. per avere, in criminoso concorso
tra loro, con MEHMET ALI’ AGCA, BAGCI OMER e altre persone
non identificate, al fine di commettere altri reati e commettendo il fatto
per
5
finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, introdotto
nello Stato, attraversando i confini in autovettura, la pistola marca”
cal.9 matr. 76 C23953 (arma da guerra atta all’impiego) con relative
munizioni, consegnandola a detto MEHMET ALI’ AGCA, che di detta
arma si serviva per compiere l’attentato al Sommo Pontefice. In Italia,
al confine con la Svizzera, il 9.5.1981; accertato in Roma il 4.5.1982;
D)del delitto di cui all’art. 21 della Legge 18.4.1975 n.110, in relazione
agli artt. 1 della stessa Legge e 61 n. 2 e 110 C.P. per avere, in
criminoso concorso con MEHMET ALI’ AGCA e con altre persone, al
fine di commettere altri reati e di sovvertire l’ordinamento dello Stato e
di mettere in pericolo la sicurezza delle persone e della collettività
mediante commissione di attentati, detenuto nel territorio dello Stato
l’arma da guerra di cui al capo A) con relative munizioni. In Italia -
confine svizzero e Milano - il 9.5.1981; accertato in Roma il 4.5.1982;
E) del delitto di cui agli artt. 12 della Legge 14.10.1974 n.497, 1 della
Legge 18.4.1975 n.110, 1 della Legge 6.2.1980 n.15 (conversione del
D.L. 15.12.1979 n.625), 61 n.2 e 110 C.P. per avere, in criminoso
concorso con MEHMET ALI’ AGCA e con altre persone, al fine di
commettere altri reati e commettendo il fatto per finalità di terrorismo e
di eversione dell’ordine democratico, portato in luogo pubblico ed
aperto al pubblico la pistola marca “Browning” cal.9 matr. 76 C23953
(arma da guerra atta all’impiego) con relative munizioni,
consegnandola a detto ALI’ AGCA che se ne serviva per compiere
l’attentato al Sommo Pontefice. In Italia - confine svizzero e
Milano - il 9.5.1981; accertato in Roma il 4.5.1982.
6
NONCHÉ CONTRO
14. ALBARANO Alfredo, nato ad Acerra il 17.06.17, res.te a Roma, via
Giovanni Pittaluga, n.28;
15. LUCCHETTA Maurizio, nato a Roma il 28.11.54, in servizio c/o la lA
Compagnia presidiaria di Roma della Guardia
di Finanza, via Marsala - Roma;
16. SCALERA Epifanio, nato a Mesagne (BR) il 7.1.18, res.te in
Roma, via Albano, n.34.
INDIZIATI
F) dei delitti di cui agli artt. 372, 476 e 479 C.P., commessi in Roma il
12.05.1981.
7
INDICE
Epigrafe pag.1
Introduzione pag.14Cap. I.1. Origine del procedimento pag.15Cap. I.2. Cenni sul suo corso pag.17Cap. I.3. Premessa sulla tesi del complotto pag.19
Parte prima L’organizzazione esecutrice pag.22
Cap. 1.1. La posizione di MEHMET ALI’ AGCA pag.23 1.1.1. Gli interrogatori del periodo ottobre 85-aprile 86 pag.24
1.1.2. Gli interrogatori del periodo dicembre 90 - luglio 95pag.27
1.1.3. La chiamata in causa di PAZIENZA e la sua Reazionepag.31
1.1.4. Confronto AGCA - PAZIENZA pag.341.1.5. La ritrattazione del settembre 95 pag.401.1.6. La lettera del settembre 97 pag.461.1.7. Considerazioni sulle dichiarazioni di AGCA pag.49
Cap. 1.2. La posizione di ORAL CELIK pag.541.2.1. Le condotte di CELIK secondo l’Assise
del marzo 86 pag.551.2.2. Le condotte di CELIK secondo l’Assise del
marzo 86 (segue) pag.571.2.3. ORAL CELIK nella Maiskolben pag.611.2.4. L’estradizione temporanea del settembre 91 pag.631.2.5. Le richieste di estradizione definitiva pag.651.2.6. Le vicende della richiesta di estradizione pag.79
8
1.2.7. L’estradizione pag.821.2.8. L’interrogatorio del 10 settembre 91 pag.831.2.9. L’interrogatorio del 20 dicembre 93 pag.851.2.10. L’interrogatorio del 12 gennaio94 pag.861.2.11. Gli interrogatori del 20 gennaio e 17 febbraio 94 pag.1011.2.12. L’interrogatorio del 09 marzo 94 pag.1031.2.13. Le relazioni sulla detenzione extracarceraria pag.1081.2.14. L’interrogatorio del 23 giugno94 pag.1151.2.15. L’interrogatorio del 05 luglio 94 pag.1191.2.16. L’interrogatorio del 21 settembre 94 pag.1231.2.17. L’interrogatorio del 22 settembre 94 pag.1251.2.18. La fuga di notizie sugli interrogatori pag.1311.2.19. Il mancato arresto del maggio 86 a Parigi pag.1341.2.20. Considerazioni finali pag.140
Cap. 1.3 La vicenda di CIHAT TURKOGLU pag.1491.3.1. La documentazione SISMI su TURKOGLU pag.1501.3.2. La documentazione GORDON THOMAS su TURKOGLU pag.1521.3.3. Le testimonianze dei dipendenti dell’Ambasciata a Vienna e del SISMI pag.1541.3.4. Considerazioni finali pag.156
Cap. 1.4. L’arresto di ARSLAN SAMET pag.1581.4.1 Il
procedimento olandese pag.159 1.4.2. Gli atti dell’inchiesta italiana pag.162
Cap. 1.5. L’omicidio di SULEYMAN CIMEN pag.165 1.5.1. Le indagini olandesi pag.166 1.5.2. Le indagini italiane pag.168
Cap. 1.6. Il traffico di stupefacenti dei Lupi Grigi pag.171 1.6.1 Il
trasporto di droga dall’Italia alla Svizzera pag.172
9
1.6.2 Gli interventi di ORAL CELIK pag.175
Parte seconda La matrice e il mandato pag.178
Cap. 2.1. La pista bulgara pag.179
Cap. 2.2. La pista interna pag.1822.2.1. La visita papale alla parrocchia di 5. Tommaso d’ Aquino pag.1832.2.2. Le risposte di ACCA sulla vicenda pag.1852.2.3. I permessi di accesso alla cerimonia pag.1892.2.4. Le dichiarazioni di ORLANDI Ercole pag.190
Cap. 2.3. Valutazione della pista interna pag.196
Cap. 2.4. La pista libica pag.199
Cap. 2.5. La pista islamica pag.202
Cap. 2.6. Conclusioni pag.204
Parte terza I rapporti con la Santa Sede pag.206
Cap. 3.1. L’instaurazione di rapporti con la Santa Sede pag.207
Cap. 3.2. L’informativa DE MARENCHES pag.2113.2.1. Le dichiarazioni del Capo dello SDECE pag.2123.2.2. Gli esami dei Padri Premonstratensi pag.216
Cap. 3.3. Le conseguenti rogatorie pag.219
Cap. 3.4. Le dichiarazioni di monsignor SALERNO pag.2233.4.1. Le prime dichiarazioni di mons. SALERNO pag.224
10
3.4.2. Le dichiarazioni di MARI Arturo edi POLTAWSKA Wanda pag.228
3.4.3. La rogatoria dell’A.G. francese pag.2313.4.4. Le dichiarazioni di don INNOCENTI e di mons.
SALERNO pag.233
Cap. 3.5. Le conseguenti rogatorie pag.2393.5.1. La rogatoria alla Santa Sede del 16.06.95 pag.2403.5.2. Le attività di esecuzione della rogatoria pag.2423.5.3. Il fascicolo dell’inchiesta vaticana pag.244
Cap. 3.6 La figura di mons. MARCINKUS pag.257
Cap. 3.7. Documenti dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede pag.263Cap. 3.8. L’articolo di MONTANELLI pag.267Cap. 3.9. Le dichiarazioni del Cardinal ODDI pag.270
Cap. 3.10. Conclusioni pag.272
Parte quarta Le attività dei Servizi pag.274
Cap. 4.1. Premessa pag.275
Cap. 4.2. I Servizi italiani pag.2774.2.1. L’incontro di AGCA con i Servizi italiani pag.2784.2.2. La figura del Generale NOTARNICOLA pag.2854.2.3. I centri SISMI e SISDE di Milano pag.2874.2.4. La figura di Francesco PAZIENZA pag.2904.2.5. La vicenda di PELAIA Francesco pag.298
11
Cap. 4.3. I Servizi turchi pag.3084.3.1. La morte di ABDULLAH CHATLI pag.3094.3.2. Le presenze del MIT pag.311
Cap. 4.4. I Servizi bulgari pag.3154.4.1. La vicenda KARADZHOV pag.3164.4.2. La vicenda CULLINO pag.3274.4.3. La vicenda BERTO pag.329
Cap. 4.5. I Servizi sovietici pag.3394.5.1. Il colloquio ANDREOTTI - GORBACEV del
maggio 91 e la conseguente nota sovietica pag.3404.5.2. L’appunto CESIS del luglio 90 pag.342
Cap. 4.6. I Servizi tedesco-orientali pag.344 4.6.1. La figura di MIELKE e l’organizzazione della STASI pag.345 4.6.2. L’informativa dell’organizzazione GAUCK pag.347 4.6.3. La documentazione STASI pag.350 4.6.4. Le ritmioni di Berlino nell’ottobre 83 con il Servizio bulgaro pag.351 4.6.5. Le note di STOJANOV a MIELKE pag.353 4.6.6. La trasmissione televisiva Frontal della rete ZDF pag.355 4.6.7. La rogatoria all’A.G. tedesca per l’audizione di MIELKE, WOLF, BOHNSACK pag.356 4.6.8. Le dichiarazioni di BOHNSACK Gunther pag.358
Cap. 4.7. I Servizi statunitensi pag.363 4.7.1.Il documento della CIA “Sommario di analisi
12
sul tentato assassinio del Papa” pag.364 4.7.2. L’inchiesta del Senato USA sulla nomina di Robert GATES pag.367
13
4.7.3. La figura di Paul HENZE pag.3764.7.4. La figura di Michael LEDEEN pag.3794.7.5. La risposta alle rogatorie 16.11.85 e 09.10.91 pag.3804.7.6. La missiva sul coinvolgimento dei Servizi sovietici e del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina pag.381
Cap. 4.8. Conclusioni pag.382
Parte quinta Le intromissioni della criminalità pag.384
Cap. 5.1. Le dichiarazioni di CALCARA Vincenzo pag.385 5.1.1. Premessa pag.386 5.1.2. Le dichiarazioni e le verifiche pag.386
Cap. 5.2. L’intervista di PANDICO Giovanni pag.400 5.2.1. Le dichiarazioni e le verifiche pag.401 5.2.2. Le requisitorie del P.M. del dicembre 85 pag.403
Cap. 5.3. La vicenda di CARBONI Flavio pag.415 5.3.1. I primi interrogatori pag.416 5.3.2. Le dichiarazioni del giugno e luglio 93 pag.421
Cap. 5.4. Conclusioni pag.428
Parte sesta Altre aree di indagine pag.430
Cap. 6.1. Il sequestro presso STERLING Claire pag.431 6.1.1. Le dichiarazioni di STERLING Claire pag.432 6.1.2. Il sequestro presso l’abitazione romana pag.434 6.1.3. Il sequestro presso l’abitazione di Cortona pag.448
14
6.1.4. L’audizione dinanzi alla Commissione del Congresso U.S.A. pag.457 6.1.5. Commenti pag.461
Cap. 6.2. Il sequestro presso FERRACUTI Franco pag.464
Cap. 6.3. Le dichiarazioni di BRUNO Francesco pag.469 6.3.1. L’intervista del febbraio 1994 pag.470
6.3.2. L’articolo di CUBEDDU Giovanni pag.4746.3.3. Gli interrogatori di BRUNO Francesco pag.4776.3.4. Commenti pag.493
Cap. 6.4 Conclusioni pag. 494
Parte settima Gli ultimi fatti pag. 496
Cap. 7.1. L’attentato di Sarajevo dell’aprile 97 pag. 497
Cap. 7.2. Il dirottamento dell’Air Malta del giugno 97 pag. 500
Cap. 7.3. Conclusioni pag.506
Conclusioni finali pag. 506
Dispositivo pag. 509
Allegato pag. 510
15
INTRODUZIONE
16
Cap. I.1. Origine del procedimento
Il presente procedimento prese le mosse nel lontano 1985, durante il
dibattimento della seconda inchiesta sull’attentato al Sommo Pontefice,
dinanzi alla Corte d’Assise di Roma e a carico degli imputati turchi e
bulgari di concorso con MEHMET ALI’ AGCA.
Esso si rese necessario per effetto delle chiamate in correità
formulate da AGCA, nel corso del predetto dibattimento, a carico di
SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY, indicati come suoi complici,
presenti in piazza San Pietro durante l’esecuzione dell’attentato al Papa.
Dichiarazioni confermate, al riguardo della posizione di SEDAT SIRRI
KADEM, anche dalle deposizioni testimoniali di YALCIN OZBEY rese
sia a questo Ufficio che alla Corte d’Assise; e da verificare alla stregua
delle dichiarazioni di OMER BAGCI rese in quel dibattimento.
Necessario altresì per effetto dell’arresto del turco ARSLAN
SAMET, in Venlo nei Paesi Bassi al confine con la Repubblica federale
tedesca, il 14 maggio di quell’anno in prossimità di un viaggio del Papa in
quel Paese, perché trovato in possesso della pistola Browning calibro 9
numero 99-C-54476, facente parte dello stesso stock di armi acquistate da
MEHMET ALI’ AGCA e i suoi complici, tra cui quella usata per compiere
il delitto di piazza San Pietro.
17
Di conseguenza il Pubblico Ministero nel maggio di quell’anno
richiese a questo Giudice Istruttore che si procedesse con formale
istruzione per il delitto di attentato al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II°
ed altri connessi, indiziando ARSLAN SAMET, SEDAT SIRRI KADEM e
OMER
AY in concorso con coloro che erano al giudizio della Corte d’Assise ed
altri da identificare. (v. richieste P.M. 20.9.85).
L’istruttoria è durata sino al 30 giugno u.s., al termine dell’ultima
proroga del rito previsto dal codice del ‘30, che si applicava a questo
procedimento in virtù dell’imputazione del delitto ex artt.416 C.P., 71,74 e
75, L.22.12.75 n.685, con l’aggravante ex art.1, L.6.2.80 n.15. Senza però
che si pervenisse a soluzioni di non pochi dei numerosi quesiti - anche se
molti passi avanti sono stati compiuti e notevoli obiettivi raggiunti -che la
vicenda sì grave ha posto a far tempo dalla commissione del delitto. A
causa delle enormi difficoltà, ostacoli, deviazioni, se non veri e propri
boicottaggi che il cammino dell’inchiesta ha incontrato, subendone ritardi,
fermate ed anche blocchi. E ciò a dimostrazione di questo siano forti
prepotenti e soverchianti gli interessi a che non si faccia luce sull’evento e
le sue matrici. Interessi di Stati, di organizzazioni, di singoli, nonostante le
mutazioni dei contesti e le cadute dei muri.
_______________________
18
Cap. I.2. Cenni sul corso del procedimento
Da questo primitivo nucleo l’istruttoria s’è estesa a molteplici altre
aree, le prime delle quali emerse al termine del primo grado del secondo
processo chiuso con sentenza il 29 marzo ‘86.
Da questo provvedimento - che degli otto imputati ne condannava
solo due, AGCA e BAGCI, e soltanto per l’arma usata nell’attentato,
mentre proscioglieva per morte del reo CELENK e assolveva con la
formula, all’epoca ancora in vigore, dell’insufficienza di prove sia BAGCI
che tutti gli altri, ovvero sia il gruppo dei restanti turchi che quello dei
bulgari, e cioè CELEBI e CELIK da un lato, e ANTONOV, VASSILIEV e
AYVAZOV dall’altro, per il delitto principale e gli altri connessi - e dal
dibattimento che lo avevo preceduto erano emerse circostanze di rilievo
dalle dichiarazioni di ABUZER UGURLU, FERIDUN AKUZU alias
MAHMUT INAN, ILDERIM DOGAN, YUKSEL ERGINKAN, HUSEIN
DINGIL, ATILLA SERPIL.
Erano emerse altresì necessità di accertare: la rete dei collegamenti e
dei supporti di AGCA in occasione delle falsificazioni dei passaporti
intestati a YLMAZ GALIP e OZGUN FARUK, e di quelli utilizzati da
ORAL CELIK, ABDULLAH CHATLI e MEHMET SENER; i rapporti di
ARSLAN SAMET con AGCA durante la fuga di costui in Iran e con
ABDULLAH CHAThI a Parigi; la sua presenza a Vienna e i suoi rapporti
con il gruppo di Jheringgasse e cioè CHATLI, SENER, CELIK ed AGCA;
19
le attività dei turchi residenti in Svizzera coinvolti in traffici internazionali
di sostanze stupefacenti dalla Turchia all’Europa con punti di transito e di
vendita in Italia; i movimenti dei Lupi Grigi in Germania; le posizioni di
diversi turchi a diverso titolo collegati ad AGCA e a coloro che erano
apparsi coinvolti nella preparazione e
nella esecuzione dell’attentato al Papa, quali BURLCCARA YUMUS,
SIAT YUMUS, RAMAZAN AKTURK, ISMAIL SAYGUN, tal KAZIM.
Emergeranno altresì, nel corso degli anni dell’istruttoria, numerosi
nuovi percorsi d’indagine, di cui in questa introduzione merita di ricordare
solo quelli di maggior rilievo e cioè le notizie sulla preparazione
dell’attentato e su progetti di altre operazioni a danni del Pontefice, come
riferito dal notissimo DE MARANCHES e da altri; le notizie provenienti e
concernenti l’altrettanto noto PAZIENZA; le estradizioni, le informazioni,
le ritrattazioni di ORAL CELIK; le rogatorie alla Città del Vaticano e le
acquisizioni di atti compiute da quelle Autorità sull’attentato; le
acquisizioni e le attività rogatorie presso la Giustizia svizzera
sull’operazione Maiskolben; le molteplici attività di numerosi Servizi di
Sicurezza.
_________________________
20
Cap. I. 3. Premessa sulla tesi del complotto
A premessa della presente motivazione, appare necessario ricordare
quanto emerso e provato nelle due precedenti inchieste sull’attentato al
Sommo Pontefice, e che peraltro ha ricevuto ulteriore conforto di prove
nella presente inchiesta, ovvero che tale delitto fu il risultato di complotto
di alto livello e cioè che a monte dell’esecutore, anzi degli esecutori
materiali, vi furono organizzatori ed entità con ogni probabilità statuali.
Nonostante un tentativo, maldestro e puramente apodittico, da parte del
principale personaggio conosciuto della vicenda, che nelle ultime
dichiarazioni rese a questo Ufficio si sforza di accreditare la tesi del gesto
individuale, non preparato nè premeditato, ma determinato da voci
“divine”, così ritrattando la infinita congerie di dichiarazioni in senso
contrario, e cioè dell’atto minuziosamente preparato, nell’ambito di una
ben precisa organizzazione, che lo aveva fatto evadere da Kartal Maltepe,
gli aveva dato ricetto in più luoghi di Turchia, lo aveva rifornito di danaro,
lo aveva dotato di documenti d’identità e di viaggio, falsi, lo aveva fafto
muovere attraverso molteplici frontiere in più Paesi d’Asia, Europa ed
Africa, lo aveva munito di quell’arma che poi sarebbe servita a realizzare il
progetto a danno del Pontefice romano. Organizzazione che a sua volta
avrebbe ricevuto il mandato da altri, appartenenti, con ogni probabilità, a
quelle entità di cui s’è detto.
21
Tutte le Corti che hanno giudicato sul delitto in oggetto - la Corte di
Assise che decise in conseguenza della prima istruzione sommaria del P.M.
e la cui sentenza passò in giudicato per difetto di impugnazione, cui
l’imputato espressamente rinunciò; la Corte di Assise di primo grado e
quella di appello che decisero sulla prima istruzione di questo Ufficio -
hanno sempre escluso la tesi dell’atto individuale, del gesto compiuto senza
eccessiva premeditazione ed organizzazione, dal singolo esecutore
dell’attentato, abbracciando invece, sulla base di solide motivazioni, la tesi
del complotto e non di basso livello.
Il primo giudice dibattimentale, nella sentenza del luglio 81, così
concludeva: “La declaratoria di colpevolezza dell’imputato non deve
chiudere il discorso, essendovi la necessità di approfondire ancora taluni
aspetti della vicenda e di far luce sul retroterra, in cui il delitto è maturato”.
Gli atti premettevano “di sostenere che, nella realtà il primo aveva sì un
obiettivo immediato e cioè l’uccisione del Papa, ma era destinato secondo
schemi collaudati ad alimentare la campagna di oppressione di un
terrorismo articolato a vari livelli e a creare nuove condizioni di manovra
per arrivare a scardinare assetti sociali consolidati”. AGCA perciò per
quella Corte era stato “impiegato semplicemente come pedina” di un
progetto, i cui contenuti e finalità apparivano all’epoca assolutamente non
chiari; egli era soltanto “la punta emergente di una trama dai contorni
purtroppo indefiniti e perciò drammatica e minacciosa, ordita da forze
occulte”.
In contrasto questa tesi del giudicante con quella del requireilte, che
disegnava AGCA come “un terrorista venuto dal nulla”, “un paranoico
esaltato”, “uno psicopatico maniaco”, “un cavaliere isolato e delirante...
22
che unicamente da solo aveva progettato e deciso di compiere quella
spaventosa oscenità”.
Giudicante, quello della prima Corte d’Assise, che pertanto
auspicava a conclusione delle sue motivazioni indagini per un approfondito
riesame di tutte le circostanze
accertate “per dare un volto ai corresponsabili del gravissimo misfatto”.
Motivazioni in tutto analoghe quelle del giudice d’Appello, che in
esse, depositate nel dicembre dell’87, dedicò un capitolo alla questione: “la
prova certa del complotto diretto ad assassinare il Sommo Pontefice
Giovanni Polo II°”, complotto “del quale l’AGCA fu solo il braccio
armato”. Quella Corte poi così continuava su costui, che “non era certo un
cavaliere errante o un romantico sognatore o un soggetto vittima di
fanatismi ideologici o religiosi, ma al contrario un killer prezzolato
disponibile e ben disposto, per denaro, a compiere qualsiasi azione, come
dimostrano la sua partecipazione all’omicidio IPECKI, i suoi certi legami
con ambienti della malavita comune e politica e le sue stesse significative
ammissioni”.
____________________________
23
24
Parte prima
L’organizzazione esecutrice
25
CAPITOLO PRIMO
La posizione di MEHMET ALI’ AGCA
26
Cap. 1.1.1. Gli interrogatori del periodo ottobre 85-aprile
96.
Ovviamente in questo processo AGCA è stato interrogato più
volte.
In un primo interrogatorio risalente al 21 ottobre 1985 riferiva
che: - negli incontri nell’appartamento di Jheringgasse a Vienna ed in
altri luoghi avevano partecipato CELIK, CATLI, SENER, SENGUN,
YALCIN OZBEY e SEDAT SIRRI KADEM; -YALCIN OZBEY e
SEDAT SIRRI KADEM erano giunti dalla Germania ed erano rimasti
a Vienna per due o tre giorni, alloggiando nell’appartafnento di
Jheringgasse; - OZBEY usava al tempo il nome di “SELAMET”,
mentre KADEM quello di “AKIF”. (v. interrogatorio AGCA,
21.10.85)
Il giorno successivo AGCA dichiarava che: - la decisione di
compiere l’attentato risaliva al luglio del 1980 ed era stata presa a
Sofia; - unitamente al CELIK aveva avuto l’incarico di individuare
altre due persone da inserire nel gruppo operativo;
- verso la fine del 1980 con ORAL CELIK - a seguito di contatti
telefonici - era stato deciso di inserire nel commando SEDAT SIRRI
KADEM e OMER AY; - di queste decisioni erano stati informati
CERDAR CELEBI e YALCIN OZBEY; - SEDAT SIRRI KADEM
era stato informato da YALCIN OZBEY, mentre OMER AY da
ORAL CELIK; - era stato dato incarico a INAN MAHMUT di
prendere in fitto una casa a Vaduz (Liechtenstein), ove ospitare
OMER AY, e nella quale si era recato, verso la fine di febbraio ‘81, lo
stesso AGCA, accompagnato da MAHMUT INAN, allo scopo di
27
definire i dettagli dell’attentato; - l’appartamento a Vaduz era nei
pressi
di Koenigstrasse e da esso si poteva vedere il castello del Principe
Giuseppe. (v. interrogatorio AGCA, 22.10.85)
Il giorno dopo AGCA proseguiva le sue dichiarazioni,
precisando che: - tra le persone a conoscenza del proposito di attentare
alla vita del Papa vi erano MAHMUT INAN, UENAL ERDAL,
MEHEMET SENER e CELEBI MUSA; - MAHMUT INAN era il
coordinatore del Lupi Grigi in Svizzera ai quali procurava alloggi,
documenti, denaro, auto ed altro; - UENAL ERDAL era stato
informato dell’attentato al Papa da MAHMUT INAN, ma non ha
avuto un ruolo nell’attentato; - SENER MEHMET era al corrente
dell’attentato al Papa ed aveva partecipato alle riunioni preparatorie di
Vienna, insieme a CAmI, CELIK, OZBEY e KADEM; - KOCIAC
KASIM era al corrente dell’attentato al Papa, era presente
nell’appartamento di Jheringgasse, ma non partecipava alla
preparazione dell’attentato; - RAMAZAN SENGUN, coordinatore dei
Lupi Grigi in Austria partecipava a tutte le riunioni preparatorie di
Vienna ed aveva avuto un ruolo determinante nell’acquisto delle armi
provenienti da OTTO TINTNER; - OZBEY era rimasto a Vienna per
circa due o tre giorni insieme a SEDAT SIRRI KADEM,
soprannominato “AKIF”, che non era membro dei Lupi Grigi, bensì
un avventuriero con il quale si tenevano rapporti per azioni di
terrorismo e reati di vario genere.(v. interrogatorio AGCA,
23.10.1985)
Nell’interrogatorio del 26 AGCA dichiarava, relativamente ad
ARSLAN SAMET che: - era stato suo complice nell’attentato al Papa,
descrivendone le caratteristiche fisiche; -che il suo compito era quello
28
di intervenire, nel caso che qualche membro del commando fosse stato
catturato, facendo esplodere delle bombe panico. A tale scopo egli era
appostato
nei pressi della posta mobile del Vaticano; - che aveva alloggiato in
Via Galiani n. 36 ed a ciò si era interessato direttamente
l’AYVAZOV; - era giunto a Piazza San Pietro a bordo di FORD,
unitamente a OMER AY e SEDAT SIRRI KADEM; - si identificava
nella persona ripresa di spalle mentre fugge.
Aggiungeva, inoltre, che la sera del 9 maggio 1981 si era
incontrato a Milano con SAMET ARSLAN, OMER AY, SEDAT
SIRRI KADEM, ORAL CELIK, VAHDETTIN OZDEMIR e OMER
BAGCI. Quest’ultimo, in quell’occasione, gli aveva consegnato,
presente OZDEMIR, la pistola che sarebbe servita per attentare alla
vita del Pontefice.(v. interrogatorio AGCA, 26.10.1985)
Nel novembre AGCA dichiarava, - modificando quanto
dichiarato precedentemente - che non si era mai recato a Vaduz, e che
era stato MAHMUT INAN a parlargli della presenza di OMER AY a
Vaduz. (v. interrogatorio AGCA, 29.11.1985)
Il 2 di dicembre confermava la chiamata in correità di ARSLAN
SAMET.(v. interrogatorio AGCA, 02.12.1985)
Il 24 dicembre successivo questo G.I. contestava a AGCA che,
a seguito di indagini effettuate nel corso della Rogatoria espletata in
Olanda in data 6.12.1985 presso il Laboratorio Anatomico
Embriologico dell’Università di Leida, era stato accertato che non vi
era alcun rapporto di identità tra ARSLAN SAMET e la persona
raffigurata nella fotografia scattata in Piazza 5. Pietro subito dopo
l’attentato del 13.5.1981, quella che rappresentava un uomo
fotografato da dietro, che mostra di darsi alla fuga. AGCA ribadiva
29
che trattavasi invece di ARSLAN SAMET e che evidentemente chi
aveva compiuto
l’indagine era incorso in errore.(v. interrogatorio AGCA, 24.12.1985)
A fine gennaio dell’anno seguente, AGCA cambiava versione:
“Ritratto totalmente quanto da me dichiarato in merito alla identità tra
ARSLAN SAMET e l’uomo fotografato di spalle in Piazza San Pietro
(subito dopo l’attentato del 13.5.1981) che apparentemente si dà alla
fuga, con capelli -scuri, e che indossa una giacca di pelle nera e
pantaloni chiari. La persona in questione é ORAL CELIK, come ho
più volte fatto presente in precedenti dichiarazioni”. AGCA comunque
confermava che ARSLAN SAMET era al corrente del proposito di
attentare alla vita del Papa e di averlo visto l’ultima volta a Vienna nel
marzo del 1981.(v. interrogatorio AGCA, 30.01.1986)
Nell’aprile AGCA confermava la chiamata in correità di
SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY, precisando che ARSLAN
SAMET era estraneo ai fatti e non era presente a Piazza San Pietro,
ma che, comunque, aveva partecipato alle riunioni di Vienna per
l’attentato al Papa. Confermava, infine, che l’uomo ripreso mentre
fugge a Piazza San Pietro era ORAL CELIK.(v. interrogatorio AGCA,
21.04.1986)
*******
30
Cap. 1.1.2. Gli interrogatori del periodo dicembre 90-luglio
95.
Gli interrogatori riprendevano nel 90. In quello di dicembre il
turco afferma che sin da prima della realizzazione dell’attentato al
Pontefice era stato programmato un piano che si sarebbe dovuto
attuare nel caso di arresti di partecipi all’esecuzione dell’attentato.
Ovvero era stato previsto, anche se non in modo specifico, di sequestri
di diplomatici italiani.
Questa affermazione seguiva le risposte a due domande, se
ORAL CELIK si fosse adoprato per liberare esso AGCA dalla
detenzione italiana, cui egli aveva risposto affermativamente; e in caso
positivo con quali azioni, cui AGCA aveva risposto “qui è entrata in
mezzo la storia di Emanuela e Mirella”. (v. verbale di interrogatorio,
G.I. 12.12.90)
Ma su questo tema con maggiori approfondimenti, il processo
per il sequestro della predetta ragazza.
Proseguendo nel corso degli interrogatori del nostro, egli nel
successivo, che cade nel novembre del 93, riconosce per propria la
grafia dell’appunto sequestrato nella stanza dell’albergo ISA di Via
Cicerone, ove pernottò prima dell’attentato.
Egli traduce la frase relativa al 20 maggio “Kesin u kesin” in
“Certo e certo”. E cioè, secondo quanto asserisce, più giorni erano
previsti per compiere l’attentato e, secondo quanto deve presumersi,
entro il 20 comunque lo si doveva compiere.
I Bulgari avrebbero provveduto a dargli un’arma di precisione.
L’uomo che fugge, veste come descritto nell’appunto e cioè indossa
una casacca e calza scarpe sportive. Costui è ORAL CELIK che
31
all’epoca dell’attentato era ospite in un complesso dell’Ambasciata di
Bulgaria e fu l’autore delle prescrizioni contenute nell’appunto,
prescrizioni probabilmente concepite insieme ai Bulgari.
A Roma in quel periodo erano presenti oltre a lui AGCA, e ad
ORAL CELIK, SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY. Anche questi
ultimi due probabilmente erano ospiti presso i Bulgari. Quando parla
di Bulgari, egli precisa, si riferisce a KADER e a tutti gli altri, che
furono imputati nel secondo processo per l’attentato.
Il giorno dell’attentato, confermando precedenti dichiarazioni,
in Piazza San Pietro c’erano tutti e quattro i turchi e cioè esso AGCA,
ORAL CELIK, SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY, ed inoltre il
bulgaro ANTONOV. Richiestogli quali fossero le modalità previste
per la realizzazione dell’altra ipotesi e cioè che si dovesse attentare al
Pontefice allorchè egli si affacciava alla finestra dei suoi appartamenti
al Palazzo Apostolico, egli non sa riferire alcun particolare, asserendo
che il piano sarebbe stato loro comunicato dai Bulgari. Anche in
questo caso tutti e quattro i turchi si sarebbero dovuti trovare sulla
piazza. Tutti e quattro erano esperti nell’uso dell’arma lunga. I Bulgari
disponevano di arma e di cannocchiale, e dicevano che si sarebbe
dovuto sparare da un punto sito nei pressi delle colonne.
Il 13 maggio tutti e quattro erano armati di pistola, ma
avrebbero dovuto sparare solo lui, SEDAT SIRRI KADEM e ORAL
CELIK; OMER AY, ribadendo quanto già detto in precedenza,
avrebbe dovuto far esplodere una bomba panico. Essi erano dislocati
in punti diversi, e avrebbe dovuto sparare colui che si fosse trovato
nella posizione migliore per realizzare l’attentato.
32
Prima dell’attentato aveva visto diverse fotografie, circa una
decina, del Papa, sia alla finestra che sulla piazza, e sia sul furgoncino
- da intendersi, la campagnola; n.d.e. - che sulla Mercedes nera.
Queste fotografie le aveva distrutte prima
dell’attentato. Non aveva mai visto fotografie del Papa nei giardini
vaticani; non ricorda se ne ha viste riproducenti il Papa su terrazze dei
palazzi vaticani. Aveva sparato alzando la mano, perchè aveva gente
dinanzi e non poteva fare altrimenti.
Era stato previsto un piano di fuga dall’attentato.
Nell’Ambasciata di Bulgaria vi era un TIR diplomatico, che avrebbe
dovuto portarli a Sofia. ANTONOV avrebbe atteso in via della
Conciliazione. Se si fosse mancato questo appuntamento, avrebbero
dovuto raggiungere la casa dei Bulgari, cioè l’Ambasciata, in taxi.
Non è mai venuto a conoscenza di come i suoi concorrenti fossero
riusciti a fuggire.
Aveva preferito prendere alloggio alla pensione ISA, perchè ero
il solo dei quattro ad essere in possesso di passaporto valido.
L’incontro con gli altri tre e cioè CELIK KADEM ed AY, era
avvenuto a Roma, perchè egli proveniva da Milano e gli altri da
Vienna, ove vivevano nell’abitazione di JHERINGGASSE e in una
seconda sita nei pressi di una delle stazioni della Capitale austriaca.
Da ultimo dichiara che aveva preferito usare la sua pistola
personale, e cioè la Browning, nonostante che i Bulgari disponessero
di altre armi. (v. interrogatorio AGCA, G.I. 6.11.93).
Allorchè viene a conoscenza dalla stampa - ovviamente anche
lui - del contenuto degli interrogatori di ORAL CELIK, così nell’atto
del gennaio 95 commenta. Assolutamente falso che egli abbia avuto
33
“rapporti con Cardinali, preti e suore” e che abbia partecipato ad
“udienze e messe fuori S. Pietro”. Si rifiuta di parlare di fatti avvenuti
in Turchia, a seguito della contestazione di CELIK secondo cui egli
mai avrebbe fatto parte dei Focolari idealisti o dei Lupi Grigi.
Sulla domenica precedente l’attentato, egli conferma quanto
ebbe a dire nell’interrogatorio del lontano 4 maggio 82 e cioè di essere
stato nel pomeriggio sulla piazza S. Pietro e di aver visto il Papa uscire
dal Vaticano. Esclude però di aver chiesto dove il Pontefice si recasse,
e di aver saputo in precedenza quale fosse la di lui destinazione.
D’altronde, afferma, non disponeva di autovettura e non poteva perciò
seguirlo. Ha girato per Roma da solo. E soltanto il giorno seguente ha
incontrato SEDAT SIRRI KADEM e ORAL CELIK. Ammette però di
aver visto il Papa un’altra volta pochi giorni prima dell’attentato,
mentre percorreva la piazza di San Pietro, a bordo di macchina.
A questo punto dell’interrogatorio le contestazioni sulle
fotografie scattate il 10 maggio precedente il giorno dell’attentato,
durante la visita del Papa alla Parrocchia di San Tommaso d’Aquino,
di cui si riferisce in altra parte di questo scritto, e per effetto delle quali
egli pronuncia quelle parole “e poi che cosa cambia ?” cui, come s’è
detto, può darsi solo un significato. (v. interrogatorio AGCA, G.I.
18.01 .95)
*********
Cap. 1.1.3. La chiamata in causa di PAZIENZA e la sua
reazione.
Nell’interrogatorio del successivo luglio parla prevalentemente
del caso ORLANDI, ma nel corso dell’interrogatorio collega questa
34
vicenda all’attentato al Papa. Così testualmente “In data 31 dicembre
81 i servizi segreti mi dissero sarai libero in due anni. Tutto è nato da
qui. Voglio sottolineare che non voglio calunniare nessuno. Lo
ribadisco:
nessuno deve soffrire per un sospetto. L’Americano con il K è
effettivamente un americano, è una storia italo-americana; però
dobbiamo partire sempre da quel 31 dicembre. Emanuela non è stata
rapita; è stata trasferita da questi elementi italo-americani. Loro
dicevano di dire la verità sul Papa in cambio del ritorno della ragazza.
Francesco PAZIENZA nel maggio-giugno 82 venne a Rebibbia e mi
disse di dire la verità sui Bulgari e sui Russi. Il PAZIENZA era
accompagnato da un americano. Premetto che i Lupi Grigi avevano
contatti con la CIA. In particolare con uno dei capi della CIA ad
Ankara, tale Paul HENZE. Il PAZIENZA mi disse che se si fosse
verificato questo, sarei andato in un Paese latino-americano, in una
fattoria e sarei stato tranquillo e con molto benessere”.
Si trattava di un’operazione preparata in modo perfetto. La
persona che avrebbe potuto rivelare circostanze d’interesse era l’allora
Presidente del Costarica LUIS MONGE, che fu indotto a dichiarare la
sua disponibilità ad accogliere AGCA nel suo Paese.
Descrive poi la visita di PAZIENZA a Rebibbia, unica
occasione di incontro tra i due. Quegli si presentò al carcere senza
preannunciare la propria visita. Disse di appartenere ai Servizi Segreti
e di sapere che dietro l’attentato vi era il Cremlino. AGCA rispose di
non conoscere alcun nesso, ma di sapere alcune vicende bulgare. “In
cambio avrei avuto la libertà”.
Con l’intento di datare questo incontro dichiara che esso
avvenne prima delle dichiarazioni a questo Ufficio sulla pista bulgara.
35
Più precisamente la visita delle persone dei Servizi ad Ascoli Piceno -
e costoro gli avevano chiesto solo notizie sulle armi, sul passaporto e
sul denaro di cui aveva disposto - era della fine dell’81. Dopo questo
colloquio il Giudice Istruttore
interrogò AGCA alcune volte. A distanza dall’ultimo di questi
interrogatori avvenne la visita di PAZIENZA e dall’Americano. Dopo
di che egli meditò qualche mese e quindi prese a parlare della pista
bulgara, raggiungendo la fine dell’82. Il caso ORLANDI, egli ricorda,
è scoppiato nel giugno 83. L’Americano di cui dà anche una
descrizione fisica, era, secondo la sua stima, la vera mente
dell’operazione ORLANDI. Con PAZIENZA gli garantì il successo
della operazione, e cioè la liberazione. E a proposito di americani, egli
ricordando l’uomo della CIA ad Ankara, dice di costui che era
informato di molte vicende ed era molto potente alla stregua di
LEDEEN (v. interrogatorio AGCA, G.I. 26.7.95)
A queste dichiarazioni, ovviamente apparse con immediatezza
sulla stampa, PAZIENZA reagisce con una denuncia per calunnia
continuata e pluriaggravata contro AGCA, nella quale, ricordando che
il turco aveva già fatto affermazioni similari nelle udienze
dibattimentali dello scorso processo, puntualizza di aver interrotto i
suoi rapporti con il SISMI nell’aprile dell’81; dopo di che si era
trasferito all’estero - con ufficializzazione della residenza presso
l’AIRE nell’estate dell’82 - ed era rientrato in Italia soltanto il 20
giugno dell’88. Ribadisce che “la celeberrima Pista Bulgara”
dimostratasi inesistente, e perorata da AGCA con descrizioni di
appartamenti, luoghi e circostanze, che solo fonti esterne potevano
fornirgli, ne era la dimostrazione più evidente. E proprio poiché
l’inchiesta, continua PAZIENZA, stava per avvicinarsi ai veri
36
responsabili di quei depistaggi ed inquinamenti, AGCA s’era indotto a
mettere in atto manovre di diversione (v. denuncia-querela Pazienza
del 3 agosto 1995 per calunnia ed altro a carico di MEHMET ALI’
AGGA ed ignoti presentata alla Questura di La Spezia).
Interrogato, PAZIENZA conferma il contenuto di questo atto,
precisando che dopo l’interruzione del rapporto con il SISMI egli,
quale consulente del Presidente del Banco Ambrosiano, fu preso da
una frenetica attività di viaggi di lavoro all’estero.
Esclude di aver mai avuto rapporti sia diretti che indiretti, con
agenti della CIA ufficialmente accreditati. Per aver notizie sulla CIA
di Roma, egli si rivolgeva al prefetto Federico Umberto D’Amato.
Peraltro, al tempo CIA e MOSSAD non nutrivano sentimenti di
simpatia nei suoi confronti, giacchè egli non aveva favorito
l’avvicinamento tra Vaticano, rappresentato direttamente da Mons.
SILVESTRINI e da mons. MONTERISI vero responsabile per il
Medio-Oriente e Organizzazione per la liberazione della Palestina,
avvicinamento conclusosi nell’aprile dell’81 con la prima udienza
ufficiale del Pontefice al rappresentante dell’OLP a Bruxelles AFIF
SAFIEH.
Parla poi di LEDEEN, con il quale aveva interrotto i rapporti
nell’aprile dell’81, dei rapporti di costui in Italia, menzionando il
Presidente COSSIGA, l’Ammiraglio MARTINI e tal RAPHAEL
FELLAH, rappresentante ebraico dei fuoriusciti libici, che, con l’aiuto
di non meglio precisati ambienti dei Servizi italiani avrebbe tentato di
organizzare una missione di libici a Gerusalemme.
Parla di Presidenti del Costa Rica, da PEPE FIGUERES a LUIS
ALBERT MONGE, come del Presidente e di Ministri del Panama. (v.
interrogatorio PAZIENZA, G.I. 4.08.95)
37
********
Cap. 1.1.4. Il confronto AGCA - PAZIENZA.
Tale situazione di contrasto tra le dichiarazioni di AGCA e
quelle di PAZIENZA determinava la necessità di confronto tra i due.
Il primo all’inizio dell’atto indicava il nome dell’americano che
aveva accompagnato, secondo la sua narrazione, PAZIENZA al
carcere di Rebibbia. Sarebbe stato certo ALDRICH AMES, da lui
definito “traditore arrestato e responsabile del Comunismo
internazionale della CIA”. Costui altri non è che il noto ALDRICH
AMES effettivamente arrestato negli Stati Uniti nel febbraio 1994 per
spionaggio a favore dell’Unione Sovietica e condannato di
conseguenza all’ergastolo. Confermava così l’episodio della visita
anzi delle visite, ribadendo poi che esse avvennero nel maggio dell’82
la prima e tra fine settembre e prima settimana di ottobre dello stesso
anno la seconda; che i colloqui si erano tenuti in inglese; che erano
avvenuti in una sala attigua a quella degli assistenti sociali; che i due
avevano mostrato il primo una carta d’identità; l’altro una tessera della
CIA “con l’aquila”.
Egli aveva chiesto, nel colloquio avuto con i Servizi italiani, di
poter incontrare i Servizi americani, in particolare la CIA. Quando i
due, PAZIENZA ed AMES, si sono presentati, prima di ogni altro
discorso , gli hanno domandato se egli avesse effettivamente chiesto
un colloquio con la CIA. I due poi asserirono di essere a conoscenza
che dietro l’attentato c’era l’Unione sovietica e che “come strumenti di
questa storia c’erano i Bulgari”. Essi dicevano di essere in grado di
portare il caso al Congresso degli Stati Uniti e vantavano amicizie
38
come quella con Michael LEDEEN, consigliere della Casa Bianca, che
sarebbe stato investito anch’essa del caso. Affermavano pure di aver
già conosciuto il vertice del Vaticano. Egli fu quindi posto di fronte al
seguente dilemma: da un lato la libertà, dall’altro
ogni probabilità di essere eliminato, giacché nessuno sarebbe stato in
grado di proteggerlo in Italia per tanti anni.
Di fronte a tale prospettiva egli accettò e chiese di conseguenza
come potessero aiutarlo. Essi risposero: “we can blackmail the Holy
City and the Italian Government” cioè “noi possiamo ricattare il
Vaticano e il Governo italiano”.
All’inizio dell’autunno i due ritornarono, portando una copia del
“Reader’s Digest”, la rivista a maggior diffusione nel mondo con 35
milioni di copie, e una lettera di Paul HENZE, capo della CIA in
Turchia, simpatizzante nazista e fanatico anticomunista, che gli
chiedeva di dire la verità per la sacra lotta contro il terrorismo
internazionale ovvero il mostro del comunismo. Affermarono che già
vi erano prove documentali consegnate da disertori del KGB, che
dimostravano la volontà del Cremlino di eliminare il Papa.
Affermarono altresì che nel condominio di ANTONOV c’era un
agente della CIA che avrebbe confermato di averlo visto in compagnia
dell’uomo della Balkan Air. Lo rassicurarono, dichiarando che non
sarebbe rimasto isolato.
Alle sue perplessità, giacchè in Italia non era stato rilasciato
nemmeno un brigatista per Aldo MORO, essi risposero che il loro
progetto prevedeva il sequestro di “qualcuno del Vaticano o vicino al
vertice del Vaticano, e chiederemo il tuo scambio. Ti manderemo in
un Paese centro-americano, in Costa Rica o Panama”. PAZIENZA
39
aggiunse che qualcuno al vertice del Vaticano gli aveva dato incarico
di seguire il suo caso personalmente.
Nell’85, continua AGCA, gli pervenne un’altra lettera con
l’intervista di Claire STERLING a Famiglia Cristiana, in cui costei
affermava che il caso ORLANDI era stato gestito da
professionisti della strategia della tensione. E poi un altro giornale ove
era scritto, a proposito di VITALIJ YURCENKO, che costui avrebbe
confessato “la connessione del Cremlino nella pista bulgara per
l’attentato al Papa”. E su questo giornale vi era scritto in lingua turca
“Non tradire. Sarai scambiato con Emanuela ORLANDI”. Così come
farà la STERLING, che gli disse, in turco, nel corso di una udienza del
processo: “Non tradire, sarai scambiato con EMANUELA”.
PAZIENZA in primo luogo esibisce una serie di memoriali sui
rapporti tra di lui e il SISMI dall’ottobre 81 all’84. Esclude poi di
essere mai stato a Rebibbia per incontri con AGCA. Ribatte su AMES,
chiedendosi come fosse possibile che un uomo della CIA, traditore del
suo Paese in favore dell’URSS, cioè una spia al soldo del KGB,
potesse contribuire alla ostruzione della pista bulgara.
Al che AGCA chiede che siano ascoltati i capi della CIA. Se
CASEY è morto, GATES e i suoi consiglieri sono vivi e “in qualche
modo hanno già confessato la pista bulgara”.
PAZIENZA chiede quindi dei documenti di identità esibiti, se
gli furono portate le toponomastiche, le piantine degli appartamenti e
gli spostamenti di ANTONOV ed altro. AGCA risponde che questi
particolari non erano necessari; era sufficiente chiamare in causa i
Bulgari. Ma PAZIENZA ribatte che esso AGCA ha reso dichiarazioni,
in istruttorie e dibattimenti, per centinaia di pagine su spostamenti,
interni, abitudini. AGCA risponde senza dare ragionevoli spiegazioni
40
che questi particolari non hanno importanza; poi ritorna sulla foto
dell’uomo che fugge e quindi richiama le vicende delle lettere
anonime.
PAZIENZA contesta affermando che le lettere in carcere
vengono visionate e che comunque una lettera non può
contenere dati in numero tale da riempire centinaia di pagine di
verbali. AGCA, pur messo a disagio dalle contestazioni di Pazienza, a
domande precise, conferma che la pista bulgara era falsa, che egli mai
aveva messo piede nell’appartamento di ANTONOV, che la
costruzione da lui esibita agli inquirenti era una architettura dei Servizi
occidentali.
A questo punto PAZIENZA dice in inglese, rivolto ad AGCA:
“we can talk in ENGLISH with no problem”. Questa frase provoca un
incidente tra le parti, ma la trascrizione del registrato attesta che la
frase pronunciata da PAZIENZA era stata quella sopra riportata, che
altro non significa: “Noi possiamo parlare in inglese senza problemi”,
ed era seguita ad altra dell’AGCA. :“Io non parlo perfettamente la
lingua italiana”: Quindi nulla di penalmente rilevante o d’interesse
comunque per l’inchiesta. Nessuna minaccia, nessun messaggio, bensì
un semplice invito a continuare il confronto in inglese, lingua più
accessibile ad entrambi, PAZIENZA ed AGCA.
A richiesta del P.M. questo Ufficio contestava poi la divergenza
tra quanto l’AGCA stava affermando e quanto aveva affermato
all’udienza del 3 dicembre 85 davanti alla Corte d’Assise di Roma in
confronto con PANDICO e cioè: “io non ho mai conosciuto nè
MUSUMECI nè PAZIENZA nè CUTOLO nè nessuno”. E il turco a
questa contestazione risponde che la verità è quella odierna, anche se
aggiunge: “certe volte, una qualche volta, potevo mentire, come è
41
successo e poi subito dopo con l’intento di complicare ulteriormente:
“... in tutto questo intrigo internazionale ci sono ancora livelli
istituzionali, politici, questo e quello, che in qualche modo devono
essere scoperti”.
42
Ad ulteriore richiesta del P.M. di contestare ad AGCA l’altra sua
dichiarazione resa in quel confronto : “Su ordine del Ministero io ero
rigorosamente protetto e guardato giorno e notte. Che c’entra che MUSUMECI è
venuto nella mia cella? questa cosa solo per far gettare i dubbi sulla pista bulgara.
Già non c’è una pista bulgara. Ci sono le parole, ma per confondere le cose o per
coprire altre responsabilità, se ci sono. Perchè ormai MUSUMECI è disgraziato,
finito, è nella prigione per accusare lei od altri, per coprire altre responsabilità che
ci sono”, si chiede seccamente al turco di dire quando ha riferito il vero, dinanzi
alla Corte d’Assise, quando ribadì la pista bulgara, escludendo di aver mai visto
PAZIENZA e MUSUMECI, od oggi dinanzi a questo Ufficio allorchè nega la pista
bulgara, perchè dice di essere stato imbeccato da PAZIENZA e da altri. Ed egli
risponde: “adesso ho detto che siccome diciamo tutta la verità, anch’io rischiando
moltissimo sul piano giuridico, perchè ho smantellato la pista bulgara, e a
quell’epoca non era smantellata la pista bulgara, io non avevo fatto nessuna
dichiarazione sul caso ORLANDI... Voglio soltanto che ci sia una giustizia e che la
CIA, i Servizi Segreti occidentali e qualche deviato del Vaticano, non dico che
devono pagare, ma devono essere purificati.”
Aggiunge poi che Rebibbia era una sorta di albergo, ossia entrava e usciva
chi voleva, e che ha ricevuto delle lettere a firma Elena, il nome cioè che secondo
AMES sarebbe stato usato per lettere con suggerimenti - peraltro il nome della
moglie dello stesso AMES - e che in una di questa vi era scritto “Soon we will
convince the Pope to pray for you”.
All’atto delle domande di parte, esso AGCA dichiara di avvalersi del diritto
di non rispondere e chiede ai suoi difensori di non rivolgere domande a
PAZIENZA. Ma subito dopo
afferma che la frase “Tu sarai scambiato con Emanuela ORLANDI” fu pronunciata
in aula da Claire STERLING in turco mentre guardava ANTONOV. Ribadisce poi
che i casi ORLANDI e YOURCENKO erano strettamente collegati e che si era
detto che costui sarebbe venuto in aula al processo per parlare.
PAZIENZA dal canto suo nega di conoscere AMES, anche se ha letto di lui
sui giornali.
AGCA aggiunge poi di aver ricevuto lettera anonima prima di incontrare il
Papa, lettera nella quale egli si consigliava di confessare al Pontefice che i Sovietici
erano stati gli autori del progetto di attentato ai suoi danni. (v. confronto tra
PAZIENZA e ALI’ AGCA, G.I. 11.09.95)
**********
Cap. 1.1.5. La ritrattazione del settembre 95.
Nel settembre appaiono le ritrattazioni, secondo un copione già noto.
“Ribadisco che si è trattato di una colossale montatura dei Servizi Segreti
occidentali...
Nessuno vuole la verità. E’ un girone infernale. Confermo solo che la pista
bulgara è stata tutta una montatura; è una menzogna. Mi fu assicurato che si
sarebbe trovata una soluzione politica; sarebbero usciti i bulgari e sarei uscito io.
L’opinione pubblica vuole per forza i complotti. Sono stato solo; volevo
uccidere il Papa e basta e passare alla storia per questo, per questo ideale. Un solo
uomo con la sua lucidità
e la sua volontà. Tutto il resto è montatura... Ripeto: non c’è stato nessun
complotto. Il potere non vuole la verità.
Io non posso dimostrare tutti i particolari della montatura, perché essa è stata
costruita dai Servizi Segreti...
Io credo di essere il Nuova Messia, ed anche in Vaticano c’è qualcuno che
crede che io lo sia.”
A domanda del P.M.: “Io credo di essere GESU’ CRISTO.. .Quando ho
detto di esserlo, non simulavo; credevo come credo tuttora, di esserlo.”
A domanda della difesa: “Io credo di essere GESU’ CRISTO, in quanto
verbo incarnato e reincarnato; sono la realizzazione del Messia finale, nel senso
che sono stato chiamato per la realizzazione del terzo segreto di FATIMA. Il
miracolo di FATIMA avviene il 13 maggio 1917. Io non sapevo di questa data,
come del segreto di FATIMA. Solo in seguito mi sono reso conto di essere uno
strumento di poteri religiosi. Ho continuato a sostenere la pista bulgara per non
essere processato per calunnia...
Mi sono deciso a dire la verità solo in questo momento, solo perché dopo
anni di avvelenamento di ideologia nazista e a seguito di meditazione religiosa mi
sono convinto a scagionare tutti coloro che ho accusato, e perché il Vaticano sappia
che nessuno al mondo voleva la morte del Papa... Intendo aggiungere, come ho
sempre detto, che in pratica io fui costretto a indicare la pista bulgara perché ero
stato minacciato di morte.”
In questo stesso interrogatorio AGCA specifica anche le vicende della visita
in carcere. Esse non erano state soltanto tre e cioè quelle del dicembre 81, del
maggio e dell’ottobre 82; ma ve n’era stata anche una quarta, avvenuta dopo che
egli aveva manifestato la volontà di ritrattare. Questa visita si verificò tra
novembre e dicembre 82 e ad essa si presentò una persona diversa da PAZIENZA e
dall’americano; si trattava di un quarantenne, sul quale poi aggiungerà altri
particolari.
In queste visite egli ebbe i dati sui bulgari. Nella prima, quella degli uomini
del SISMI e del SISDE, ci fu la promessa che egli sarebbe stato messo in libertà di
lì a due armi, giacchè il Papa e PERTINI gli avrebbero concesso la grazia.
Nelle visite successive, quelle di PAZIENZA e l’Americano, costoro gli
dissero: “noi sappiamo che tu sei stato in Bulgaria; se tu tiri in ballo uomini
dell’Ambasciata di Bulgaria a Roma, tu sarai libero in poco tempo.” Gli dettero
anche assicurazione che nessuno sarebbe stato condannato e che il caso si sarebbe
risolto politicamente. Gli fecero i nomi di ABUZER UGURLU e BEKIR
CELENK. Nella seconda visita in particolare, quelle d’inizio dell’autunno, gli
portarono una lettera, scritta in turco, di Paul HENZE, nella quale gli veniva
chiesto, in nome della santa lotta contro il comunismo internazionale, di accettare
le proposte di PAZIENZA e dell’amico americano. In cambio egli sarebbe stato
liberato, giacché essi rappresentavano il potere mondiale. Gli consegnarono poi due
fogli su cui erano riportati dati sui Bulgari.
In particolare vi era la descrizione dell’addetto militare, di ANTONOV e di
un terzo bulgaro, vi erano anche i nomi falsi che avrebbe dovuto usare. Per
ANTONOV BAYRAMCI, per gli altri due SOTIR KOLEV e SOTER PETROV.
Vi erano poi ulteriori dati. BAYRAMCI era addetto alla Balkan Air, aveva una
moglie e una bambina, abitava a Via Pola. Di un secondo vi era scritto che aveva
un neo e un determinato tipo di autovettura. Di SOTER PETROV vi era scritto che
abitava in via Galiani. Per KOLEV non c’era indirizzo. Assicurarono che
comunque sulle case, avrebbero inviato ulteriori dati con lettera anonima.
Nella quarta visita è venuto l’emissario di PAZIENZA; tipo italiano
mediterraneo con capelli neri e baffi, sul metro e settanta, ottanta; con conoscenza
perfetta dell’italiano e scarsa dell’inglese. Costui descrisse la casa di ANTONOV e
della divisione della stessa “con una parete”, e parlò del suo hobby per le piccole
bottiglie. La fonte delle informazioni era sicura, perché erano persone dello stesso
condominio al servizio della CIA. Gli disse anche che TREVISIN e FARSETTI
erano stati mandati in Bulgaria perché fossero arrestati in esecuzione di un gioco di
alto spionaggio. Questo emissario lo “invitò” a persistere nella pista bulgara,
perché altrimenti avrebbe fatto la fine del killer di GHEDDAFI ucciso nel carcere
di Rebibbia in maniera misteriosa.
Nega poi di essere stato imbeccato anche sui Turchi, ma esclude ogni
responsabilità di OMER AY, ARSLAN SAMET e SEDAT SIRRI KADEM. “Una
menzogna ha chiamato l’altra”. Dopo la visita dell’emissario di PAZIENZA non ve
ne sono state altre Ma ci sono stati i segnali di cui ha già parlato: la lettera firmata
“Helena” e l’avvertimento di Claire STERLING. Aggiunge poi che, oltre ai due
fogli di cui già s’è detto, gli furono mostrate tre fotografie, quelle di BAYRAMCI,
PETROV e KOLEV. In effetti la Magistratura gli aveva fatto vedere un album con
cinquantadue foto, tra cui le tre che egli doveva riconoscere, così come fece.
Egli conservò i due fogli di PAZIENZA per diversi giorni, trascrivendo i
dati su di essi riportati tra le righe di alcuni libri di sua proprietà. Nelle
perquisizioni in cella, l’interno dei libri non veniva ispezionato. Di questi libri poi
si è disfatto.
Quanto
alle foto egli le conservò soltanto per pochi giorni, il tempo di imprimere le
fattezze dei visi di quei tre nella sua memoria.
Dopo la quarta visita nessuno più si è recato presso di lui al carcere. Solo un
giornalista americano nel corso di un udienza gli disse che al processo si sarebbe
presentato VITALIJ YOURCENKO - il 4° del KGB, rapito nei Musei vaticani - a
confermare la pista bulgara.
In quello stesso periodo di tempo, nell’estate dell’85, egli ricevette al carcere
un giornale italiano - il “Mattino” o il “Tempo” od altro - ove si parlava del
rapimento di YOURCENKO e si affermava che costui avrebbe confessato. Sul
giornale vi era una piccola annotazione in lingua turca firmata con la sigla P.H.,
che egli aveva interpretato come Paul HENZE, che diceva “Non ritrattare, verrà a
confessare anche YOURCENKO”.
Sempre in quel torno di tempo gli è pervenuta al carcere una copia di
“Famiglia Cristiana”, contenente un servizio sul caso ORLANDI e un’intervista a
Claire STERLING. Questa intervista finiva con la frase “il caso ORLANDI è stato
gestito da professionisti della tensione”. Dopo queste parole vi era aggiunto in
turco “Non tradire. Sarai libero”. Le stesse parole che aveva pronunciato la
STERLING dopo che egli in aula aveva affermato di essere Gesù Cristo. La
STERLING aveva infatti detto : “Non tradire. Sarai liberato”.
In questo interrogatorio AGCA ritorna anche sulla questione dei suoi
rapporti con PANDICO e i camorristi al carcere di Ascoli Piceno, modificando
anche a tal riguardo precedenti sue dichiarazioni. Ammette di aver ricevuto una
lettera da CUTOLO, lettera che gli fu stata recapitata da PANDICO. In quella
lettera CUTOLO gli suggeriva di
collaborare e fare il gioco del potere, giacché così sarebbe uscito dal carcere,
mentre altrimenti sarebbe stato ucciso. CUTOLO faceva il “buono” ed appariva il
“direttore del carcere”.
Nel confronto con PANDICO aveva sì negato di conoscerlo, ma si era così
comportato, perché temeva che lo si ritenesse collegato con la camorra. Egli invece
ben conosceva PANDICO, come conosceva Padre SANTINI, che gli portava i
regali di CUTOLO e di tanto in tanto gli regalava libri in italiano, in inglese e in
turco, e con il quale ha cominciato a parlare in italiano.
In quel periodo ha goduto di una serie di agevolazioni, la moquette in cella,
il televisore a colori - oggetti che come detenuto in isolamento non avrebbe potuto
avere - giornali e riviste con articoli su di lui, libri in turco. Moquette e televisore
vennero dalla direzione, i libri dai camorristi. Ma tutto il carcere era dominato dalla
camorra.
CUTOLO, alla fine egli afferma, lo ha incontrato, anche una sola volta. In
quella occasione ci sarebbe stato solo uno scambio di convenevoli. Il capo
camorrista si era mostrato molto gentile e gli aveva chiesto un autografo. Così gli
aveva mandato una cartolina con dedica e ringraziamenti a firma autografa. In
risposta CUTOLO gli aveva mandato un suo libro di poesie con dedica e firma.
I camorristi, egli precisa, non gli avevano mai parlato di bulgari o di pista
bulgara. Gli avevano soltanto detto di collaborare e di indicare una pista comunista.
Ribadisce nuovamente di non aver mai visto PAZIENZA ad Ascoli Piceno,
così come non vi aveva mai incontrato il generale MUSUMECI. Ma ciò non
consente di escludere che essi fossero alle spalle di CUTOLO, anche perché costui
ha
insistito per il suo autografo e un suo scritto che potrebbero essere serviti per
accreditare la presa di contatto con lui.
Egli comunque non ricorda di aver firmato uno scritto in cui si accusavano i
bulgari. Anche se ha firmato diverse carte che gli presentavano quelli del carcere,
carte tra le quali, dal momento che egli all’epoca non conosceva l’italiano, ben
potevano esservene alcune con cui fu ingannato.
Nega infine che PANDICO si fosse presentato, ovviamente al tempo di
Ascoli, alla sua cella con CUTOLO ed un terzo, presentando costui come persona
in grado di ottenere per lui la libertà dal carcere a breve tempo. (v. interrogatorio
AGCA, G.I. 27 settembre ‘95).
********
Cap. 1.1.6. La lettera del settembre 97.
Dopo queste incredibili ritrattazioni, ennesima versione, a sorpresa, non
versata in rituali atti processuali, ma contenuta in una lettera destinata ad altri
Magistrati, già contitolari dell’inchiesta; versione con la quale rinnega il gesto del
singolo, non premeditato, affatto sostenuto da altri, ma guidato esclusivamente da
voci non umane, versione con la quale egli ritorna alla matrice sovietica e agli aiuti
bulgari.
Premette, in questa lettera, che è interesse di “tutti noi” - non specifica chi
siano costoro - di chiudere la vicenda con una verità finale storica da versare in un
libro e da mostrare, se possibile, in un processo storico dinanzi al Tribunale di
Roma contro i mandanti e gli organizzatori del delitto.
Condizione, però, perché emerga tale verità finale è la sua liberazione, per
cui suggerisce due strade: la prima è quella della grazia, di competenza del
Presidente della Repubblica. Su questa strada egli si chiede se possano essere
d’aiuto amici dei servizi segreti o fratelli dell’Opus Dei. La seconda, più facile,
quella del trasferimento in Turchia a norma della convenzione di Strasburgo per la
prosecuzione della pena, senza però concedere l’estradizione; cosicché egli possa
essere liberato nell’ambito di pochi mesi.
Poi lui prosegue, usando un plurale che appare difficilmente spiegabile,
“ecco in sintesi le rivelazioni connesse logiche che dobbiamo fare”, ed elencando
in sette punti l’ultima, ma non del tutto nuova versione, dell’organizzazione e della
preparazione dell’attentato e di condotte successive.
Così i punti :
1. nel 77 egli era stato addestrato - ovviamente dal KGB, anche se
espressamente non lo dice - nel campo terroristico palestinese in Siria della
organizzazione di George HABBASH, insieme a comunisti turchi e terroristi
occidentali da istruttori bulgari e tedeschi delle DDR.
2. il KGB lo ha poi inserito come agente provocatore nei Lupi Grigi al fine
di innescare processi di guerra civile, che indebolissero la Turchia paese chiave
dell’Alleanza Atlantica.
3. il KGB organizza mediante BEKIR CELENK e un suo agente diplomatico
in servizio presso il consolato dell’URSS a Istanbul.
4. il KGB all’epoca nutriva forti timori nei confronti sia di Papa WOYTILA
che dell’Iman KHOMEINI, come potenziali eversivi dell’impero sovietico. E per
tale ragione quel Servizio lo spedì a Teheran, ove con l’ausilio di comunisti
iraniani e sotto la direzione del colonnello VLADIMIR KUZINSKI, fu organizzato
un attentato, poi fallito, contro l’Iman.
5. il KGB aveva poi continuato il suo addestramento in Bulgaria finalizzato
all’operazione contro il Papa, sotto la guida del responsabile a Sofia di quel
Servizio, che era l’Addetto Militare dell’Ambasciata dell’URSS. Qui a Sofia
comunque l’uomo chiave del KGB non solo per la Bulgaria ma per l’intera area dei
Balcani, era BEKIR CELENK, amico personale di Tatiana, figlia del dittatore
JIVKOV nonchè giocatrice d’azzardo, che gli presentò, all’albergo Vitosha, il
Generale TERZIEV, responsabile della Kintex e capo di ANTONOV, VASSILEV
ed AIVAZOV, uomini anche di BEKIR CELENK nei traffici di droga, armi e
valuta.
6. i veri organizzatori dell’attentato al Papa erano stati “due capi dei Servizi
Segreti bulgari TOMOV e DONTCHEV, ancora processabili.”
7. egli, con la chiamata in correità di ANTONOV, VASSILEV e
AYVAZOV, aveva inteso inviare un chiaro messaggio a Mosca e Sofia. Messaggio
ben recepito, perchè, di lì a poco, fu compiuto il sequestro di Emanuela
ORLANDI. Ed egli cominciò a tacere e poi “rovinò” il processo. Egli peraltro ebbe
comunicazione diretta del KGB dal Giudice MARKOV che parlava perfettamente
il turco, e durante l’esecuzione di rogatoria a Rebibbia gli disse esplicitamente: “il
KGB ti comunica che ci saranno altri tentativi per la tua liberazione come il caso
ORLANDI. Devi tacere, altrimenti il cadavere di Emanuela verrà gettato in Piazza
San Pietro; poi tu ALI’ AGCA verrai ammazato”. E così egli fu indotto a
“rovinare” il processo, determinando l’assoluzione dei Bulgari.
Il sequestro di Emanuela ORLANDI - così chiude la lettera AGCA - fu
organizzato dal KGB e dai Servizi Bulgari, ed eseguito dai Lupi Grigi. Così come,
sempre il KGB, volle l’uccisione di Lech WALESA a Roma. (v. lettera a firma di
AGCA, settembre 1997)
*******
Cap. 1.1.7. Considerazioni sulle dichiarazioni di AGCA.
AGCA, quindi, a distanza di quattordici anni dall’attentato e dopo aver
insistito per oltre un decennio sulla tesi del complotto e della pista bulgara, con una
presa di posizione che è assolutamente simile a quella di dieci anni prima, allorchè
nel maggio dell’85 dinanzi alla Corte di Assise simulò la follia e rese dichiarazioni
di carattere pseudoreligioso, improvvisamente rinnega qualsiasi ipotesi di progetto
di alto livello dell’attentato e di organizzazione nell’attuazione, tentando di
accreditare la tesi dell’attentato del singolo - “l’ho fatto tutto da solo e basta !” -
così ritrattando in blocco tutte le sue innumerevoli dichiarazioni sul mandato
bulgaro e di chiamata in correità dei Lupi Grigi.
AGCA, purtroppo, stima che le sue dichiarazioni da sole possano
determinare gli indirizzi e gli esiti del processo. Egli ha infatti ammesso che le sue
esternazioni di carattere messianico avevano il fine di “rovinare” il processo.
Esplicito in tal senso fu nell’udienza del 5 dicembre 85, allorchè affermò: “io credo
che questo processo dovrebbe essere finito il 27- 28 maggio dopo i miei discorsi,
quei famosi discorsi, questo processo dovrebbe essere finito”.
AGCA però, nonostante quei discorsi e quindi contraddicendosi
nuovamente, in quel processo chiamava in correità SEDAT SIRRI KADEM ed
OMER AY come suoi complici presenti nella Piazza di San Pietro nel corso
dell’esecuzione dell’attentato. Non solo, chiamava in causa
anche quell’ARSLAN SAMET, di cui più a lungo in altra parte di questo
provvedimento. Addirittura riferiva, non di certo a lunga distanza da quelle
dichiarazioni della primavera, subito dopo l’estate a partire dall’ottobre sino a fine
anno e quindi a cavallo delle dichiarazioni del 5 dicembre, - salvo alcune
ritrattazioni e precisazioni nei primi mesi dell’86 - fatti e circostanze di grande
rilievo sulla organizzazione ed esecuzione dell’attentato.
Riferiva, come s’è detto, che la decisione operativa dell’attentato fu presa a
Sofia nel luglio 80. Che la base operativa per le riunioni del nucleo delegato, per la
formazione del commando e per la discussione delle ulteriori attività di esecuzione
fu a Vienna, nell’appartamento di Jheringgasse ove si incontravano quelli che sono
senza dubbio i più alti livelli dei Lupi Grigi per l’Europa, ovvero ABDULLAH
CHATLI, ORAL CELIK, MEHMET SENER, RAMAZAN SENGUN, YALCIN
OZBEY, e gli esecutori, cioè AGCA e SEDAT SIRRI KADEM. Che ORAL
CELIK ed AGCA erano stati incaricati di reperire altri due soggetti per la
formazione del commando operativo. Che di tale decisione era stata data
immediata notizia a CERDAR CELEBI e ad YALCIN OZBEY, confermando così
il grado di costoro. Che a seguito di tale incarico erano stati prescelti, a fine 80,
SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY, questo secondo Lupo Grigio, il primo,
detto anche AKIF, no, ma semplice avventuriero - anche se risultano sue militanze
di sinistra; n.d.e. - Che al primo la scelta era stata comunicata da CELIK, al
secondo da OZBEY. Che il nucleo delegato aveva poi incaricato MAHMUT
INAN, coordinatore dei Lupi Grigi per la Svizzera, così come RAMAZAN
SENGUN lo era per l’Austria, di prendere in fitto un appartamento a Vaduz nel
Liechtenstein, come base per OMER AY. Che a RAMAZAN SENGUN era stato
affidato un ruolo nell’acquisto delle armi provenienti da
Otto TINTNER. Che vi era stata, a brevissima distanza dall’operazione, il 9
maggio, una riunione a Milano, cui presero parte ORAL CELIK, OMER AY,
SEDAT SIRRI KADEM, OMER BAGCI, ARSLAN SAMET e OZDEMIR
VADHETTIN. Che a conoscenza del progetto, oltre tutti coloro che sono stati
sopra indicati, erano anche UENAL ERDAL, CELEBI MUSA, KOCIAK KASIM.
Quindi un insieme di dati di fatto sommamente importanti per la
ricostruzione dell’organigramma dei Lupi Grigi e dell’organizzazione
dell’attentato. E perciò una condotta processuale in palese contraddizione con le
deliranti affermazioni di volontà di distruzione del processo e dei risultati già
conseguiti, di cui alle dichiarazioni in dibattimento di maggio e dicembre di
quell’85, e quindi anteriori o contemporanee a quelle rese in istruzione sopra
specificate.
Ma in netta contraddizione, quelle affermazioni dibattimentali, anche con
quelle che continuerà a rendere nella presente istruzione. In particolare, quelle rese
nel 90, nel 93 e a gennaio 95. Qui egli continua a riferire della sua organizzazione,
in ispecie delle contromisure, che si sarebbero dovute prendere in caso di “caduta”,
ovvero di arresti, dei partecipi all’attentato, e cioè sequestri di ricatto di diplomatici
italiani. Di modalità del piano, come la data ultima, il 20 maggio, per compiere
l’attentato. Degli appoggi bulgari, per il ricetto dei membri del commando, la
fornitura delle armi, la fuga dopo l’esecuzione del delitto. E quindi continua ancora
per anni nell’adesione alle originarie tesi sulla organizzazione dell’attacco, sui
concorsi degli Ulkulu, sul mandato bulgaro.
E’ a luglio 95, a poco più di dieci anni da quel suo primo tentativo di
distruzione del processo, che inizia nuovamente lo smantellamento delle sue
precedenti ricostruzioni. In primo luogo con la storia di PAZIENZA e le sue visite
al carcere, in
conseguenza, egli asserisce, della promessa formulata il 31 dicembre 81 dai Servizi
italiani. E con la storia di PAZIENZA e degli “amerikani” che lo accompagnano
egli mira direttamente alla distruzione del coinvolgimento bulgaro, mai esistito e
suggerito soltanto da CIA e compagni.
A settembre successivo, l’ulteriore colpo quello alla tesi
dell’organizzazione dell’attentato, e quindi gesto del singolo e conseguente
salvezza anche di tutto il livello turco, con un solo verbale e poche dichiarazioni
nuovamente pseudoreligiose, così come aveva fatto, attraverso la tesi
dell’“imbeccata” americana, con il livello bulgaro.
AGCA quindi conferma anche in questa istruzione, la sua totale
inaffidabilità. Inaffidabilità, se si può dire, aggravata dalla lettera del settembre 97,
in cui egli si propone per una nuova operazione, di ritrattazione delle ritrattazioni,
facendo così riemergere le primitive tesi. E proprio a fine di pervenire alla verità
storica, auspica la redazione di un libro e la celebrazione di un processo - ecco
riaffiorare mandati ed organizzazioni - contro mandanti ed organizzatori del delitto.
Ma condizione di questa operazione è la sua liberazione, per cui ci si potrebbe
rivolgere - non si comprende come e perchè -ad amici dei Servizi o a fratelli
dell’Opus Dei.
Ammaestrati da esperienza pluriennale, si può senza tema affermare che
su un personaggio del genere non si può costruire alcun processo. Egli sa; sa tutto
dell’organizzazione dell’attentato e ne ha dato prove nella sua ricostruzione sulle
attività dei Lupi Grigi e nell’ausilio dato “per intervalla” agli inquirenti; egli sa
poco, o malamente intuisce, del mandato alla sua organizzazione. Nessun
mandante di una operazione così grave, come l’attentato al Pontefice romano, sia
esso o non una entità statuale, si manifesta a viso aperto, anzi prende le massime
cautele e pone diaframmi impenetrabili a che si risalga
alla committenza, come, più certamente non entra in contatto diretto con il killer
del commando esecutivo. Quel che egli sa, per perdite nella compartimentazione di
quel livello che ebbe contatti diretti con i committenti, o ha presunto malamente,
agli inquirenti riferisce, determinando così, là ove si vuole erigere solo sulle sue
dichiarazioni, sbandamenti e cadute delle inchieste.
_______________________
CAPITOLO SECONDO
La posizione di ORAL CELIK
Cap. 1.2.1. Le condotte di CELIK secondo l’Assise del marzo 86.
Tra gli assolti dalla sentenza emessa nel marzo 86 dalla Corte d’Assise nella
seconda inchiesta - e la sua assoluzione divenuta piena per la sopravvenuta
abolizione della formula dubitativa, passerà in giudicato - il personaggio di
maggior rilievo, tenutosi sempre latitante nelle istruzioni e nei conseguenti
dibattimenti, appariva sin dalle cognizioni dei primi anni 80 ORAL CELIK.
Costui aveva preso parte nel 79, secondo le investigazioni turche, al
tentativo di evasione di ATILLA SERPIL dal carcere militare di stato d’assedio di
Istanbul.
Aveva preso parte, nel novembre di quello stesso anno, al progetto di
evasione, questa riuscita, di AGCA dal carcere militare di Kartal Maltepe. E ciò
predisponendo con altri armi, denari per il recluso e la divisa militare che questi
avrebbe indossato all’atto della fuga dalla prigione; ed inviando a costui il denaro
fornito dall’alto esponente della mafia turca ABUZER UGURLU, necessario alla
corruzione delle guardie carcerarie.
Fu presente all’incontro avvenuto ad Istanbul, in località Besiktas, tra
UGURLU e AGCA, incontro nel quale furono consegnati a quest’ultimo 15.000
marchi tedeschi e un passaporto afghano intestato a tale HICKMET. Accompagnò
in taxi insieme ad HASSAN HUSEYN, AGCA ad Ankara, ove entrambi rimasero
fino al gennaio 80, ospiti, grazie all’interessamento di MEHMET KURSUN, di tali
MUSTAFA’ DIKICI e IHSAN BAIRAM. Andò a rilevare AGCA a Nevsehir,
dove si era rifugiato, e lo condusse nuovamente ad Ankara, ove lo fece ospitare
presso un proprio amico.
Tra il 20 e il 30 di quel gennaio i due si erano recati ad Erzurum, per
preparare il trasferimento dell’evaso in Iran. Trasferimento che in effetti avvenne di
lì a poco. AGCA raggiunse così dapprima Baku, poi Tabriz, e di qui fece frequenti
viaggi a Teheran. Ma alla fine di aprile, costretto dall’inasprimento dei controlli
sugli stranieri deciso dal regime iraniano a seguito del fallito blitz statunitense per
liberare il personale della locale ambasciata sequestrato da KHOMEINI, rientrò in
Turchia, ausiliato da CELIK che lo aveva raggiunto in territorio iraniano per
aiutarlo a riattraversare la frontiera iraniano-turca.
Giunti - nei primi giorni del maggio - in territorio turco apprendevano dalla
radio che AGCA era stato condannato a morte per l’omicidio di ABDI IPEKCI.
Decidevano perciò, non potendo più ritornare in Iran, di raggiungere, sempre
insieme, Ankara. Di qui entrambi muovevano per la zona di Kadikoi, ove CELIK
disponeva di un’abitazione ove potersi riparare in attesa di un nuovo espatrio,
deciso da AGCA, ricercato per più condanne, anche a morte, dalle Autorità turche,
questa volta per la Bulgaria.
CELIK anche in questa occasione si adoprò per il compagno, portando una
sua foto ad ABUZER UGURLU, che la avrebbe usata per la formazione di un falso
passaporto. Con questo documento AGCA avrebbe attraversato la frontiera turco-
bulgara il 10 luglio ‘80 a Kapikule, ove era stato accompagnato da CELIK, che lo
aveva prelevato con una Murat e portato sino al posto di frontiera.
Queste le vicende di AGCA dall’evasione di Kartal Maltepe sino al
passaggio per Kapikule-Edirne in Bulgaria. Vicende tutte che vedono la presenza
attiva e l’ausilio determinante di ORAL CELIK, e che provano di certo un
vincolo diverso dall’amicizia e cioè di comune militanza in organizzazione ben
determinata che dispone di mezzi finanziari e di armi, collegata con le mafie turca
e bulgara, che non abbandona assolutamente i suoi affiliati, anzi li destina verso
altri Paesi, ove potranno essere impiegati per altre operazioni.
*************
Cap. 1.2.2. Le condotte di CELIK secondo l’Assise del marzo 86
(segue).
Sul seguito in Europa e sulla preparazione all’attentato al Papa, AGCA,
com’è noto, ha reso innumerevoli dichiarazioni; più che sovente in contraddizione
nettissima le une con le altre. In particolare anche su CELIK e i suoi viaggi - di cui
comunque qui se ne deve tentare una ricostruzione - in Europa prima della
commissione dell’attentato al Papa.
Costui, a parte gli spostamenti attribuitigli da AGCA e da altri turchi, come
MEHMET SENER, RAMAZAN SENGUN e ABDULLAH CHATLI, anch’essi in
contraddizione tra loro - su cui pertanto non è facile giungere a certezze, salvo che
per la presenza in Austria nell’appartamento di Jheringgasse di Vienna, ove
risiedono nel periodo che precede l’attentato; in Svizzera tra Olten e Zurigo, nella
zona ove risiedono tutti i turchi coinvolti nel traffico internazionale di stupefacenti
di cui si dirà; e successivamente in Francia - fu indicato dall’AGCA come la
persona che avrebbe preso in consegna dal CELENK il danaro compenso per
l’attentato, versato dai bulgari o dai sovietici.
Queste le versioni sulla condotta del CELIK come riassunte dalla Corte
d’Assise.
“In data 30.10.1982 AGCA ha asserito che il CELENK, quale corrispettivo
dell’attentato, avrebbe versato la somma di 3.000.000 di marchi tedeschi,
prelevando l’importo dalla “Union Bank of Bavaria” di Londra e facendola, quindi
accreditare su di un conto intestato a CELIK presso la “Bayerische Vereinsbank” di
Dusseldorf.
Nell’interrogatorio del 22.12.1982 ha affermato che il CELIK gli aveva
riferito di aver ricevuto tale importo in danaro contanti (marchi tedeschi)
personalmente da BEKIR CELENK, in Francoforte, negli ultimissimi giorni del
mese di aprile o nei primissimi giorni del mese di maggio 1981.
E ancora, in sede di confronto con il CELEBI, il 25.1.1983 AGCA ha
replicato: “io telefonavo a te, a Francoforte per avere notizia in merito e tu mi
dicevi di aver appreso dal CELENK che tutto il danaro pattuito era stato versato a
CELIK”.
Il CELIK addirittura lo avrebbe portato con sè a Roma, contenuto in una
valigetta, che poi avrebbe lasciato in deposito nell’abitazione di ANTONOV: erano
ben 2.000.000 di marchi tedeschi.
Ma tale asserzione non ha confermato nel corso dell’interrogatorio del
30.6.1983, sostenendo di averla fatta per rendersi più credibile e aggiungendo: “la
quasi totalità della somma è rimasta nelle mani di CELEBI a Francoforte, dato che
sia io che CELIK avevamo in lui molta fiducia; il CELIK... aveva con sè non più di
30.000 marchi tedeschi facenti parte della somma versata dal CELENK al
CELEBI.”
In un successivo confronto con il CELEBI, anzi, AGCA, non ha esitato a
contestargli: “il CELENK ha fatto pervenire a te
a Francoforte la totalità della somma corrisposta per l’esecuzione per l’attentato al
Papa, con l’impegno da parte tua di consegnare 2.000.000 di marchi al CELIK e a
me dopo esserti trattenuto per conto tuo, 1.000.000 marchi.”
Ma, nuovamente, nei successivi interrogatori AGCA ha fatto macchina
indietro, prospettando l’antica versione; e così nell’interrogatorio del 10.10.1983 ha
dichiarato: “aggiungo che CELIK, quando qualche giorno prima dall’attentato al
Pontefice è venuto a Roma, aveva con sè in una valigia una parte del danaro
versato pari a circa 2.000.000 di marchi tedeschi”; “lui, cioè CELIK, mi ha detto
che aveva lasciato detta valigia, contenente denaro, in casa di BAYRAMIC. Ho
visto, però, che egli aveva con se’ una parte di tale danaro costituita da non più di
centomila marchi tedeschi” (interrogatorio AGCA, G.I. 12.10.1983).
E ancora: “il CELIK mi ha detto e mi ha assicurato che il danaro era
custodito nella casa di abitazione dove lui all’epoca alloggiava in Roma”; “intendo
fornire le seguenti precisazioni: quando io ho parlato al telefono dalla Spagna col
CELIK lui ha detto che il danaro era custodito nella casa romana di BAYRAMCI”.
Nell’interrogatorio del 2.2.1984 nuovamente AGCA ha mutato versione,
sostenendo testualmente: “nulla sono in grado di dire in termini di altrettanta
certezza sul modo come tale somma sia stata versata dal CELENK alla presenza di
entrambi (in Francoforte) che ne erano gli immediati destinatari”... ed ancora: “non
risponde in alcun modo al vero che il CELIK, venendo a Roma, in occasione
dell’attentato al Papa, abbia portato con sè 2.000.000 di marchi in contanti, e cioè i
due terzi della somma versata dal CELENK per detto attentato”. (v. interrogatorio
AGCA, G.I. 2.2.1984).
Infine l’8.2.1984 AGCA ha ripreso la versione alternativa, sostenendo che il
CELIK era giunto in Italia portando con se solo le armi e non anche il danaro che
per ragioni di cautela e di sicurezza aveva preferito lasciare nelle mani di CELEBI,
“come da questi stesso suggeritogli”.(v. interrogatorio AGCA, G.I. 8.2.1984).
Ma la sarabanda di contrastanti dichiarazioni sul punto avrebbe avuto un
seguito nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Giova enunciarne alcune tra le più
significative.
Nell’udienza dell’11.6.1985 AGCA ha dichiarato di avere ricevuto nessuna
somma di danaro, che sarebbe stata incamerata per intero dai “lupi grigi” e
direttamente versata dal CELENK al CELEBI in Italia.(v. interrogatorio AGCA,
CdA 11.6.1985)
Successivamente, nell’udienza del 13.6.1985, AGCA ha affermato che la
somma dei 3.000.000 di marchi sarebbe stata suddivisa in 3 parti uguali,
aggiungendo che la sua quota avrebbe dovuto riceverla dal CELIK che ne era in
possesso.(v. interrogatorio AGCA, CdA 13.6.1985)
Nell’udienza del 17.6.1985 nuovamente AGCA è ritornato sulla versione del
trasporto a Roma della somma di 1.000.000 di marchi, da parte del CELIK che
l’avrebbe depositata in una casa di via Galiani.(v. interrogatorio AGCA, CdA
17.6.1985)
Più avanti AGCA, esponendo il piano di fuga, ha dichiarato che egli e il
CELIK sarebbero dovuti fuggire con un TIR Bulgaro portando con loro i soldi.(v.
interrogatorio AGCA, CdA 26.6.1985).
Dopo l’entrata in scena di AKIF, terzo presunto attentatore in P.zza S.Pietro,
identificato poi per SEDAT SIRRI KADEM, l’AGCA ha asserito che i 3.000.000
di marchi
sarebbero stati suddivisi in 4 quote, rispettivamente per lui, CELIK, SEDAT SIRRI
KADEM e la Federazione bulgara di Francoforte per l’ammontare ciascuno di
750.000 marchi (v. interrogatorio AGCA, CdA 20.6.1985).
E così, dopo l’ingresso sulla scena dell’attentato di OMER AY, AGCA ha
dichiarato che, essendo quattro gli esecutori, a ciascuno sarebbe spettata la somma
di 500.OOOmila marchi.
Ed infine, altra versione egli ha fornito nell’udienza dell’1.7.1985: “i soldi
erano rimasti in Germania all’Organizzazione dei “Lupi Grigi”; mentre la mia
quota era custodita in Monaco di Baviera da OZBEY che l’aveva ricevuta da
CELIK.” (v. interrogatorio AGCA, CdA 1.7.1985).
***************
Cap. 1.2.3. ORAL CELIK nella “MAISKOLBEN”.
Anche dagli atti elvetici relativi alla “Maiskolben” emergeva un profilo di
rilievo del CELIK al riguardo del traffico internazionale di stupefacenti, oggetto di
quella indagine, ma ditale inchiesta nel relativo capitolo.
Un personaggio di tale livello non poteva perciò essere trascurato
dall’inquirente, che venuto a conoscenza tramite P.G. che esso si trovava in Francia
detenuto nelle carceri di quel Paese sotto le false generalità di ATES BEDRI,
proponeva ogni utile azione per ottenere nel più breve tempo possibile il suo
interrogatorio e quindi l’estradizione, in un primo momento temporanea per le più
urgenti attività d’istruzione, in un secondo definitiva per le necessità del processo
ed eventualmente per azioni su fatti diversi dall’attentato al
Sommo Pontefice - su cui, come s’è detto, s’era già formato il giudicato - che già
emergevano dagli atti acquisiti (v. rapporto Digos di Roma, 17 dicembre 1993).
La Commissione Rogatoria verso l’A.G. francese, emessa il 5 maggio 90, fu
eseguita dal Giudice Istruttore di Versaglia - competente perché il soggetto era
detenuto nel carcere di Poissy - nel settembre successivo. In questo atto il predetto
ovviamente dette le generalità, sotto cui era stato condannato e veniva detenuto, e
cioè quelle di ATES BEDRI. Affermò di non conoscere alcuno di coloro, che come
s’è accertato erano i compagni più stretti di ORAL CELIK o comunque persone a
lui ben note, e cioè SEDAT SIRRI KADEM, ARSLAN SAMET, OMER AY,
YALCIN OZBEY, SENGUN RAMAZAN e più che ovviamente ORAL CELIK; di
conoscere, ma solo dalla stampa, ALI’ AGCA; di conoscere ABDULLAH
CHATLI, ma solo perché era entrato in contatto, per corrispondenza, con lui, che
era detenuto in altro carcere francese, del tutto casualmente giacchè il suo
compagno di cella e coimputato, certo DUNDAR ALI’, era suo amico. La moglie,
MERAT CHATLI, era andata a fargli visita e gli aveva portato del denaro e
biancheria.
Mostrando certificato di rifugiato - su cui egli stesso sottolinea che le
Autorità francesi prima di concederlo svolgono indagini - ricostruì poi il suo albero
genealogico, specificando i rami in vita e le attività di ciascuno, e di sé, gli studi, il
servizio militare, le attività esercitate, comprese quelle politiche e cioè la sua
militanza fino all”85 nel P.K.K. ovvero nel Partito Comunista Curdo.
Fece poi la mappa dei suoi viaggi nei diversi Paesi europei. In questi suoi
itinerari incluse, a dir il vero, solo quegli Stati ove sarebbe stato arrestato o fermato
e cioè Germania, Olanda e Francia, escludendo chiaramente Svizzera e Italia. E
specificando anche di non aver mai lasciato la Turchia prima dell’85, anno a partire
dal quale cominciarono le sue sventure con le giustizie europee.
A contestazione del fatto che certo ATES BEDRI turco si trovava all’epoca
detenuto in Austria, rispose che poteva trattarsi di un omonimo, come poteva darsi
che fossero avvenuti degli errori nella sua registrazione, perché l’anagrafe di Pale,
ove egli era stato annotato, aveva subito, nel corso del tempo, due incendi (v.
interrogatorio G.I. Versaglia 15.9.90).
Al proposito dell’ATES BEDRI detenuto in Austria, indagini di P.G. presso
l’Interpol di Vienna accertavano che costui era nato a Malatya - lo stesso comune
di nascita di AGCA - nel 56 ed era stato condannato sotto altro nome turco a
diversi anni di reclusione per violazione della legge sugli stupefacenti. P.G.
riferiva, inoltre, su voci di stampa secondo cui il vero ATES BEDRI avrebbe
ceduto il proprio passaporto ad ORAL CELIK e che questi si sarebbe incontrato a
Vienna nel febbraio-marzo 81 con AGCA e i noti GRILLMAYER e TINTNER.
P.G. riferiva infine che il CELIK era ricercato nel paese d’origine per tredici
omicidi, sarebbe rimasto coinvolto in traffici di stupefacenti nell”84 in Svizzera, ed
era stato arrestato in Francia nell’88 (v. rapporto Interpol 16.9.91).
*****************
Cap. 1.2.4. L’estradizione temporanea del settembre 91.
Accertato che nell’ambito di breve tempo - al 29.11.91 - il sedicente ATES
BEDRI sarebbe stato scarcerato per espiazione di pena dalle Autorità francesi (v.
rapporto Interpol 19.9.91),
questo Ufficio superando forti resistenze, otteneva l’“ATES BEDRI” in
estradizione temporanea, per nuovi interrogatori e principalmente ricognizioni e
confronti con AGCA e NADIM SENGUN, cittadino turco residente a Dùsseldorf
di professione interprete, che qualche anno prima (nell’86) aveva conosciuto in
Parigi, il vero ORAL CELIK (v. rapporto INTERPOL 16.9.91).
Avuta la presenza dell’“ATES BEDRI” nelle carceri romane, si procedeva
agli atti sopra specificati. Entrambe le ricognizioni personali sortivano effetto
positivo, nel senso che sia AGCA che SENGUN riconoscevano tra quattro persone,
nel sedicente ATES BEDRI, ORAL CELIK. Entrambi avevano descritto
dettagliatamente le fattezze fisiche di ORAL CELIK da essi conosciuto; entrambi
lo riconoscevano - AGCA, senza esitazione; SENGUN, per il complesso del viso e
del corpo (v. ricognizione AGCA 17.9.91, e ricognizione SENGUN 23.9.91).
Le ricognizioni venivano confermate nei successivi confronti, che però
videro posizioni totalmente negative dell’“ATES BEDRI”. Che con AGCA è
autoritario e sprezzante -“Menti, guardami bene, è una vergogna, che sta dicendo?
Parla in turco, non posso rimanere in posizione ridicola con questa persona, ha
dimenticato anche il turco”. Con SENGUN è completamente chiuso anche di fronte
alla contestazione precisa dell’incontro - in un albergo a Parigi nei pressi del
Ministero dell’Interno e in un caffè sull’altra riva della Senna -“Non voglio dare
risposte, sono sotto pressione psicologica, non ho relazione con questi fatti, non
conosco questa persona, non voglio dire dove mi trovassi nell’aprile-maggio 86, è
un fatto che non interessa.” (v. confronto con AGCA 17.9.91 e con SENGUN
23.9.91).
ORAL CELIK era stato condannato - più oltre si parlerà del reato, e delle
vicende processuali relative - non solo a quella pena detentiva che sarebbe scaduta
il 29 novembre 91, ma anche alla pena pecuniaria di 2.164.000 franchi (pari,
all’epoca, a circa 256 milioni di lire), che, ove non fosse stato in grado di pagare,
sarebbe stata commutata in altri due anni di carcere, ragion per cui sarebbe stato
liberato il 29 novembre 93. (v. rapporto Interpol 19.9.91).
Ma in prossimità della prima scadenzà un avvocato svizzero, agli atti non
noto, procedeva tempestivamente al pagamento della multa, stranamente ridotta
(perché negli altri ordinamenti di regola non si fanno sconti e tanto meno di tale
entità) a circa un ventesimo ovvero a 100.000 franchi pari a circa 22 milioni di lire.
(v. rapporto Digos Roma, 27.11.91). Con buona pace di coloro che sostengono che
le persone coinvolte nei fatti a processo sono dei singoli, non collegati ad altri,
senza aiuti né protezioni.
Quello stesso 27 novembre 1991 questo Ufficio emetteva mandato di cattura
contro il CELIK per associazione finalizzata al traffico internazionale di
stupefacenti e per importazione e passaggio in transito nel territorio italiano di
Kg.3 di eroina.
**************
Cap. 1.2.5. Le richieste di estradizione definitiva.
A seguito della richiesta di ricerche e di arresto provvisorio per fini
estradizionali del nostro come nato ad Hekiman (Turchia) nel 59, alias ATES
BEDRI, nato ad Elazig (Turchia) il 12 febbraio 58, il Guardasigilli francese, il 29
novembre, si premurava di richiedere, non apparendo
sufficiente l’esposizione dei fatti per stabilire l’esatta partecipazione di ORAL
CELIK, formale domanda di estradizione e gli elementi di identificazione che
permettessero di affermare che ATES BEDRI era ORAL CELIK (v. nota Ministero
del Ministro dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza francese,
29.11.91).
L’indomani questo Ufficio trasmetteva quanto richiesto e cioè copia del
mandato di cattura datato 27.11.91 a carico del CELIK, copia delle norme di legge
relative alle imputazioni, relazione di rito con copie, in allegato, delle ricognizioni
e dei confronti del 17 e 23 settembre precedenti, da cui emergevano rilevanti
elementi di identificazione dell’“ATES BEDRI” nel CELIK, e del rapporto della
Direzione Centrale della Polizia Giudiziaria francese, datato Parigi 8 ottobre 91,
redatto per effetto delle rogatorie di questo Ufficio - 29.10.90, 04,06 e 11 maggio
1991 - e su delega dell’Ufficio Istruzione di Versailles, rapporto diligentissimo e
più che preciso, che chiudeva ogni discussione sulla reale identità del sedicente
ATES BEDRI.
In effetti merita qui riportare integralmente alcune parti degli atti
sopramenzionati, sia al fine di sottolineare la validità sia della richiesta che delle
indagini che la precedettero, sia perché in esse sono riassunti precipuamente gli
elementi a carico del CELIK.
In primo luogo la parte motiva del mandato di cattura sugli indizi di
colpevolezza e sulle esigenze cautelarì:
“Poiché concorrono gravi indizi di colpevolezza contro il nominato ORAL CELIK
per i reati come sopra ascritti al medesimo:
A) Nel corso delle indagini per l’attentato al Papa sono emersi numerosi indizi
sulla esistenza di una organizzazione dedita
al traffico internazionale di armi e droga, facente capo a BEKIR CELENK, che,
come si legge nella sentenza della la Corte d’Assise di Roma, “MEHMET ALI’
AGCA ha indicato come il trait d’union tra i bulgari e l’organizzazione terroristica
dei “Lupi Grigi”, colui che dapprima in Sofia e in seguito a Zurigo avrebbe trattato
con lui, il CELEBI e il CELIK l’esecuzione dell’attentato al Pontefice”. Nella
stessa sentenza si ricorda, quindi, che “già dal marzo del 1983 il Ministero di
Grazia e Giustizia aveva richiesto al Governo Bulgaro per il tramite del Ministero
degli Affari Esteri l’arresto provvisorio a fini estradizionali di BEKIR CELENK,
perché colpito da altro mandato di cattura emesso nei suoi confronti dal G.I. presso
il Tribunale di Trento il 22.12.1982, per i reati di associazione per delinquere,
violazione delle leggi sulle armi e stupefacenti”. Sempre nel medesimo
provvedimento si pone in rilievo, per quanto concerne il traffico di stupefacenti, il
ruolo di OMER MERSAN, strettamente collegato al CELENK, con particolare
riferimento ad un finanziamento di una spedizione di Kg.5,500 di eroina dalla
Turchia alla Germania l’11.5.1982. Risulta d’altronde dalle indagini citate che
l’organizzazione terroristica dei “Lupi Grigi”, di cui faceva parte anche ORAL
CELIK, era dedita al traffico internazionale di droga, come dimostrato in
particolare dagli avvenimenti successivi all’attentato al Papa, quali gli arresti per
traffico di stupefacenti di MEHMET SENER in Svizzera il 16.9.1984, di
ABDULLAH CHATLI in Francia il 24.10.1984 e di ORAL CELIK, alias ATES
BEDRI, al confine tra il Belgio e la Francia il 10.11.1986.
B) Tali circostanze risultano anche dagli atti acquisiti nel corso della rogatoria
internazionale in Svizzera relativi al procedimento penale contro i tre
summenzionati sempre per traffico di droga. Nell’ambito di questo procedimento
un notevole valore probatorio assumono le dichiarazioni rese da
BILICEN NEVZAT che ha disegnato con rilevante dovizia di particolari
l’organigramma dell’associazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti,
in cui spicca il ruolo primario di ORAL CELIK, nei cui confronti l’Autorità
Giudiziaria Svizzera ha emesso mandato di cattura internazionale. Dalle stesse
dichiarazione accusatorie di BILICEN NEVZAT, che hanno trovato riscontro nelle
indagini di P.G. svolte in Svizzera, è emerso che il traffico di droga ha interessato
anche il territorio italiano con punti di vendita a Roma e a Napoli e con punti di
transito a Como, attraverso il valico di Chiasso. In particolare, BILICEN NEVZAT
ha dichiarato di essersi recato, nell’aprile 1984, a Como per aiutare SEREF BENLI
a trasportare 3 Kg. di eroina, nascosta in una ruota di scorta dall’Italia alla
Svizzera. All’operazione di transito ha indubbiamente concorso ORAL CELIK,
insieme ad ABDULLAH CHATLI, se è vero che, dopo aver nascosto l’eroina nella
sua abitazione, BILICEN NEVZAT ricevette numerose telefonate da CELIK e
CHATLI per la consegna della droga a KOCAL FUAT e successivamente
consegnò proprio nelle mani di ORAL CELIK 450 grammi circa di eroina, facente
parte di quella stessa partita portata in Svizzera dall’Italia.”
Dopo gli indizi le necessità di custodia.
“Poiché sussistono esigenze istruttorie cautelari:
A)in primo luogo sussistono inderogabili esigenze attinenti alle indagini in
relazione a concreti pericoli per l’acquisizione e la genuinità delle prove, in
considerazione principalmente delle capacità di minaccia e di violenza su
coimputati e testi dell’organizzazione in questione, ramificata in tutta Europa,
dotata di notevoli mezzi finanziari provento delle illecite attività gestite, di armi
e di esecutori, organizzazione nella
quale il nostro conserva un ruolo eminente con competenze e responsabilità in
vaste aree del Continente;
B) in secondo luogo sussiste concreto pericolo di fuga, giacchè l’imputato non ha
fissa dimora, né interessi e rapporti leciti in alcun paese europeo, ha già dato
prova delle sue capacità di mantenersi in latitanza per lunghi periodi di tempo, e
deve sfuggire alle ricerche di più Stati, tra cui quello di origine che lo ha
condannato a pene massime per reati di eccezionale gravità;
C) infine sussiste concreto pericolo che egli, persistendo nel legame con
l’organizzazione, continui nelle condotte di criminalità organizzata e commetta
delitti della stessa specie di quelli per cui si procede.”
Quindi la relazione.
“1. L’Organizzazione terroristica turca dei “Lupi Grigi” - emanazione del
braccio armato del “Mili Hareket Partisi” - che ha organizzato più attentati in
Europa, è stata, secondo quanto provato nei procedimenti per il delitto di attentato
al Sommo Pontefice, commesso in Roma il 13 maggio 1981, l’esecutrice, di certo
per mano di uno dei suoi membri, MEHMET ALI’ AGCA, ditale reato.
ORAL CELIK, per quanto accertato nei procedimenti sopra menzionati e in
inchieste compiute dalle Autorità svizzere e turche, è membro di tale
Organizzazione ed è in rapporti con ABDULLAH CHATLI, MEHMET SENER e
il predetto AGCA. In particolare a conclusione dell’istruzione formale e di quella
dibattimentale e di conseguenti numerose pagine di motivazione, così concludeva
la Corte d’Assise di Roma, che aveva a giudizio la posizione di ORAL CELIK per
l’attentato al Pontefice: “... Un dato che la Corte ritiene non
possa più formare oggetto di contestazione, nel senso che è da ritenersi sicuramente
provato, è costituito dallo stretto collegamento costante da molti anni tra
MEHMET ALI’ AGCA e l’ORAL CELIK.
Un legame non soltanto di contenuto affettivo, ma nutrito da attività
terroristiche svolte in comune e da una profonda comunanza di interessi tra i due. Il
dato risulta con sufficiente chiarezza dalle attività svolte in Turchia dai due amici,
dal consistente aiuto dato da ORAL CELIK a MEHMET ALI’ AGCA per
l’evasione dal carcere Kartal Maltepe nonché con la sottrazione alle ricerche
dell’Autorità e le varie peregrinazioni di MEHMET ALI’ AGCA.
Il punto si alimenta anche delle certezze acquisite dalla Corte attraverso il
testimoniale escusso circa incontri in Austria tra i due terroristi, aventi in comune
la latitanza rispetto ad accuse particolarmente gravi. Nella complessa vicenda degli
incontri in Austria rientra la fornitura dell’arma a MEHMET ALI’ AGCA,
fornitura avvenuta, senz’altro, tramite ABDULLAH CHATLI, ma indubbiamente
riferibile al gruppo del quale faceva parte ORAL CELIK. A monte, vale a dire, che
è la prova di un costante collegamento tra i due, di un aiuto continuo dato da
ORAL CELIK a MEHMET ALI’ AGCA, con la consapevolezza che MEHMET
ALI’ AGCA aveva da eseguire l’attentato al Pontefice.
Una consapevolezza della quale si è discusso avanti, e discendente, appunto,
come si è chiarito, dal nesso strettissimo dell’attentato con la ragione dell’evasione
di MEHMET ALI’ AGCA dal carcere. Tuttavia, se la qualifica di proprio “braccio
destro”, data più volte dall’attentatore ad ORAL CELIK, è costante nei richiami di
AGCA all’opera di ORAL CELIK, la Corte deve rilevare che non è stato possibile
evidenziare in altri elementi processuali un riscontro delle affermazioni di AGCA.
Così, non è stato possibile accertare elementi obiettivi, dai quali risultasse
controllata l’affermazione di MEHMET ALI’ AGCA ed anche quella di JALCIN
OZBEY circa la presenza, peraltro dai due variamente spiegata, a Roma di ORAL
CELIK nel momento dell’attentato al Pontefice.
Non c’è, nonostante le indagini continuamente svolte anche dalla Corte
stessa, alcun riscontro oggettivo circa il passaggio di ORAL CELIK in Italia in
questo periodo. Un momento essenziale del coinvolgimento di ORAL CELIK
nell’attentato al Pontefice è costituito dal versamento del denaro come compenso
per l’attentato. Al riguardo, però, hanno avuto esito negativo tutte le indagini
dirette ad accertare se effettivamente ebbe luogo questo versamento. Le
dichiarazioni di AGCA su questo punto non hanno trovato alcun riscontro. Si tratta
di momenti fondamentali in ordine alla responsabilità del CELIK per i quali, attese
le premesse, sulla valenza probatoria del chiamante in correità è necessario che
l’accusa sia suffragata da elementi di riscontro...”.
In dispositivo della medesima sentenza, emessa il 29.3.1986, la Corte
assolveva il nominato per insufficienza di prove, formula dubitativa al tempo in
vigore.
L’Organizzazione aveva tra le sue fonti di finanziamento, quelle del traffico
internazionale di sostanze stupefacenti, in ispecie eroina. Tale assunto è provato da
quanto accertato dalla sentenza sopra menzionata e da diversi arresti in più Paesi
Europei dei suoi membri nella flagranza di tali delitti, come citato in motivazione
del mandato di cattura.
2. Per quanto concerne la partecipazione dell’imputato ORAL CELIK ai fatti
contestati, sta il più che preciso e dettagliato
interrogatorio di BILICEN NEVZAT, cittadino turco, residente in Svizzera,
interrogatorio reso dinanzi alla Magistratura di quella Confederazione e da essa
riscontrato.
Secondo queste dichiarazioni il nominato avrebbe partecipato nella data
specificata in capo d’imputazione a un trasporto di Kg.3 di eroina dall’Italia, ov’era
conservata a Milano, in Svizzera in una ruota di scorta per Golf VW consegnatagli
dal concittadino SEREF BENLI, emissario dei concittadini KOKAL FUAT, ORAL
CELIK e ABDULLAH CHATLI, in un supermercato GS nei pressi di Como sulla
strada per Milano. Di questa partita di stupefacente disponevano ORAL CELK, più
volte menzionato negli interrogatori come “ATTILLA” proveniente dalla Francia,
e l’altro membro dei “Lupi Grigi”, ABDULLAH CHATLI.
Allorchè subito dopo il trasporto dall’Italia in Svizzera sorsero contrasti sulla
vendita dell’eroina, ORAL CELIK preannunciò un suo viaggio nel territorio
francese per avvicinarsi alla frontiera svizzera e risolvere ogni questione.
Successivamente ABDULLAH CHATLI trasmise l’ordine di consegnare parte
dell’eroina, perché venisse trasmessa ad ORAL CELIK in Francia. Dopo breve
tempo lo stesso ORAL CELIK raggiunse la Svizzera, ove incontrò coloro che
custodivano la droga ed erano incaricati della vendita, per chiederne conto. Infine,
sempre ORAL CELIK in quello stesso torno di tempo propose a BILICEN
NEVZAT di compiere ulteriori trasporti offrendogli 50.000 franchi.
In conclusione ORAL CELIK, soprannominato ATTILLA, con ogni
probabilità dimorante in Francia quanto meno nell’84, risulta uno dei capi o una
delle figure eminenti dell’Organizzazione, che con ABDULLAH CHATLI e
KOCAL FUAT organizza e dirige i movimenti dell’eroina in territorio
europeo; dispone della partita di stupefacente in questione, chiedendo conto delle
ripartizioni e delle cessioni, risolvendo le questioni tra gli affidatari e gli incaricati
delle vendite, ordinando che parte di quel carico fosse inviato in Francia; progetta i
futuri traffici internazionali.
3. Per quanto concerne l’ultimo punto, quello riguardante gli elementi di
identificazione che permettono di affermare che ATES BEDRI sia ORAL CELIK,
appare difficile aggiungere al rapporto, di cartesiana chiarezza, redatto, in esito alle
indagini richieste dalle Autorità italiane, dalla Direzione Centrale della Polizia
Giudiziaria del Ministero dell’Interno francese, e agli atti di ricognizione e
confronto, compiuti da questo Giudice, che per motivi di celerità e completezza si
allegano in copia integrale.”
Infine proprio questo rapporto che si distingue per chiarezza e precisione, ed
oltre il quale nulla di più può sostenersi in favore dell’assunto che quel sedicente
ATES BEDRI in carcere in Francia, ritenuto membro del PKK e dotato di
documentazione di rifugiato, nessun altri sia che l’ORAL CELIK a lungo imputato
dell’attentato al Sommo Pontefice.
Questi i punti di maggior interesse della Relazione.
“Il 15 febbraio 1991, alcuni funzionari della 6^ divisione della Direzione
Centrale della Polizia Giudiziaria si portavano presso la Casa Mandamentale di
Poissy dove venivano ricevuti dal sig. VAUDAINE, direttore aggiunto, che
consegnava loro tutti i documenti di cui BEDRI ATES era in possesso al momento
del suo ingresso nella prigione, e cioè: una richiesta di permesso di soggiorno al
nome di BEDRI ATES, una patente
di guida rilasciata allo stesso nome, una fotocopia del foglio matricolare militare;
nonché: le fotocopie di tutti i permessi di colloquio, la corrispondenza ricevuta o
inviata dalla persona in argomento, i numeri di telefono chiamati dal medesimo
dalla Casa Mandamentale di Poissy.
- Indagini sulla richiesta del permesso di soggiorno -
Dopo aver sequestrato e posto sotto sigillo con il n.UNO il detto documento,
veniva inviata una richiesta all’Ufficio Francese per la Protezione dei Rifugiati e
Apolidi di Fontenay-Sous-Bois (Essonne) (v. P.V. n.24/16).
Il predetto organismo comunicava il contenuto del dossier depositato da
BEDRI ATES e cioè: una carta d’identità turca al nome di BEDRI ATES (posto
sotto sigillo col n.TRE); una copia con la relativa traduzione in francese del
mandato d’arresto emesso nei confronti di BEDRI ATES.
Interpellate tramite l’O.I.P.C. - INTERPOL, le autorità turche indicavano
che la citata carta nazionale d’identità turca corrispondeva in realtà all’identità del
sig. NURTA YUKSEL nato nel 1959 a Ubuley in Turchia (v. P.V. n.24/35).
- Indagini esperite sulla patente di guida -
Dopo aver sequestrato e posto sotto sigillo con il n. DUE detta patente di
guida, uno scambio di corrispondenza con le autorità turche, sempre tramite
l’O.I.P.C., permetteva di accertare che il documento era un falso, in quanto la
Prefettura di Polizia di Ammasyya in Turchia non aveva mai rilasciato il citato
documento (v. P.V. n.24/35).
Nel corso della sua testimonianza, il sig. SEUDAT ERMIS, traduttore
ufficiale che era stato incaricato di procedere alla
traduzione della patente per l’ottenimento di una patente francese, dichiarava che il
titolare del citato documento non era ATES ma una persona dal nome MUHITTIN
GUNDOGDU nato nel 1954 in Turchia (v. P.V. n. 24/14). Interpellato a sua volta,
quest’ultimo, membro dei “Lupi Grigi”, riconosceva in BEDRI ATES, ORAL
CELIK. Avendo ottenuto in Francia la sua patente di guida, negava decisamente di
avere richiesto la traduzione di una patente turca (v. P.V. n.24/37).
Precisava, inoltre, che un certo KURT HASSAN, che riconosceva in
fotografia nel nominato ABDULLAH CHATLI, gli aveva proposto per 1000
franchi francesi una falsa patente di guida turca (v. P.V. n.24/39).
- Indagini esperite sui permessi di colloquio -
Tre permessi di colloquio riguardanti BEDRI ATES erano stati depositati
presso la cancelleria della Casa Mandamentale di Poissy.
Il primo, al nome di Corinne Nicolas, che, in quanto avvocato, non era stata
sentita.
Gli altri due erano rilasciati al nome di MERAL AYYDOGAN moglie di
ABDULLAH CHATLI (membro dei “Lupi Grigi” ed amico intimo di ORAL
CELIK) e di sua figlia Gokcon CHATLI , abitanti in Boulevard Victor HUGO 44-
50 a Clichy (Hauts-de-Seine).
Interrogata, la signora Kate BURGER coniugata MIJIATOVIC nata l’8
maggio 1945 a Basmok (Jugoslavia), custode dell’immobile n.44-45 del Boulevard
Victor HUGO a Clichy (Hauts-de-Seine), dichiarava di ricordarsi perfettamente di
questi inquilini. Precisava che la famiglia CHATLI si faceva chiamare nei primi
tempi OZDEMIR. Il Sig. CHATLI, dopo essere stato arrestato dalla Polizia non era
più ritornato al
domicilio. La sig.ra MIJIATOVIC riconosceva nella prima tavola fotografica la
sig.ra CHATLI (foto n.1) e BEDRI ATES (foto n.2) come l’uomo che andava a
trovare la sig.ra CHATLI e che era soprannominato “lo zio” dai figli di
quest’ultima (v. P.V. n.24/21).
- Indagini esperite sui numeri telefonici chiamati da BEDRI ATES dalla
Casa Mandamentale di Poissy. -
In base alle disposizioni dell’art.417 del Codice di Procedura penale e del
decreto 83/48 del 26 gennaio1983 che, nel quadro del mantenimento dei rapporti
con le proprie famiglie, autorizzano i detenuti ad effettuare telefonate dallo
stabilimento penitenziario. BEDRI ATES ha avuto accesso al posto telefonico di
quell’istituto, da dove ha composto cinque numeri telefonici: due in Francia e tre in
Turchia.
I due intestatari delle utenze telefoniche chiamate in Francia si
identificavano in:
- MUSTAPHA OZDEMIR - Boulevard Victor Hugo 44-50, CLICHY-
SURSEINE (Hauts-deSeine), alias usato da ABDULLAH CHATLI (v.
sopra).
- EFRAIM BARUT - nato il 14 dicembre 1955 in Turchia, rue Bisson 10
bis, Parigi (20^).
Quest’ultimo dichiarava che era stato su richiesta di suo zio OSMAN
BARUT abitante in Turchia, amico di una famiglia ATES, che egli si era messo in
contatto con BEDRI ATES. Confermava la chiamata di quest’ultimo al suo
negozio precisando che lo stesso gli aveva anche chiesto per lettera di trovargli un
avvocato.
Per quanto riguarda i numeri chiamati in Turchia, si trattava:
- del domicilio e dell’attività commerciale gestita da MUSTAPHA CELIK ad
Antalya, e del domicilio di BEKIR CELIK, dunque dei due fratelli di ORAL
CELIK.
A tale proposito, occorre rilevare che il nominato MEHMET
BUKEBUDRAC, cittadino turco, ristretto con ATES a Poissy nel 1989, rivelava
che quest’ultimo gli aveva chiesto quale fosse la prassi da seguire per telefonare,
dal carcere, a suo fratello in Turchia (v. P.V. n.24/32).
- Indagini esperite sulla corrispondenza ricevuta o inviata da BEDRI ATES -
L’attenta sorveglianza sulla corrispondenza ricevuta o spedita da BEDRI
ATES non ha consentito di rilevare il minimo elemento che potesse far palesare
una identità diversa da quella rivendicata da quest’ultimo.
Tuttavia, il medesimo ha indirizzato il 18 gennaio 1991 ad Antalya (Turchia)
una lettera a MUALLA CATAK moglie di MUSTAPHA CELIK (v. P.V. n.24/40).
Inoltre, nello scambio di corrispondenza con EFRAIM BARUT, che non
conteneva nella sua quasi totalità che delle banalità, è emerso che ATES gli ha
fatto pervenire una fotocopia della sua carta di rifugiato, perché quegli confermasse
i suoi dati anagrafici ed una fotografia, perché lo identificasse formalmente nelle
schede fotografiche che la polizia gli avrebbe potuto sottoporre (v. P.V. n.24/48).
- Audizione dei complici del traffico di stupefacenti arrestati in compagnia
di BEDRI ATES -
- HAYRETTIN DOGAN - nato il 7 ottobre 1951 a Cayiralan (Turchia) - ristretto
presso la Casa Mandamentale di Loos-Les Lille (Nord) - riconosceva che esisteva
una certa somiglianza tra le fotografie di BEDRI ATES e quelle di ORAL CELIK,
ma negava di conoscere quest’ultimo (v. P.V. n.24/26).
- ALI DUNDAR - nato il 10 dicembre 1955 a Malatya (Turchia) - ristretto presso
la Casa Mandamentale di Ensisheim (HautRhin) - affermava di conoscere ATES
fin dall’infanzia e lo identificava formalmente (v. P.V. n.24/28).
- SAHIM GUNER - nato il 14 giugno 1954 a Dogansehir (Turchia) - ristretto con
BEDRI ATES a Poissy (Yvelines) - per suo conto affermava di conoscerlo con
questo nome da molto tempo (v. P.V. n.24/47). Il tutto nel rapporto del Ministero
dell’Interno, Direzione Generale della Polizia Nazionale, Parigi 08.10.91.
Il 13 giugno 1991. BEDRI ATES veniva prelevato dalla Casa Mandamentale
di Poissy (Yvelines), per essere sentito nel locali della 6^ divisione presso la
Direzione Centrale della Polizia Giudiziaria.
Benchè fosse stato accertato che la carta d’identità in suo possesso
appartenesse al nominato NURDA YUKSEL, la persona in argomento persisteva
nel dichiarare di chiamarsi BEDRI ATES, specificando che questi documenti
d’identità gli erano stati mandati da suo padre, rimasto in Turchia.
Pur confermando di conoscere MUSTAPHA OZDEMIR, negava di aver
incontrato la signora CHATLI al n.44 di
Boulevard Victor Hugo a Clichy. Avrebbe conosciuto CHAThI in prigione e sua
moglie in occasione di una visita dalla stessa effettuata presso la Casa
Mandamentale di Poissy.
Rifiutava di dare spiegazioni sulle istruzioni che aveva impartito a EFRAIM
BARUT in merito al riconoscimento fotografico ed alla conferma dei suoi dati
anagrafici. Negava di conoscere MUHITTIN GUNDOGDU. Si dichiarava
simpatizzante del P.K.K., respingendo fermamente qualsiasi appartenenza ai “Lupi
Grigi”.
Infine, rifiutava di fornire spiegazioni circa le chiamate telefoniche effettuate
dalla Mandamentale di Poissy alla famiglia CELIK in Turchia.” (v. Commissione
Rogatoria A.G. francese, 8 ottobre 1991).
***********
Cap. 1.2.6. Le vicende della richiesta di estradizione.
Il giorno immediatamente successivo alla scadenza della pena detentiva (lo
si ricordi, era il 29.11.91, una volta pagata la pena pecuniaria) pervenne
comunicazione da P.G. che le Autorità francesi avevano sospeso la liberazione del
CELIK in conseguenza della richiesta di estradizione formulata dalla Magistratura
elvetica (v. rapporto Digos Roma 30.11.91).
Magistratura elvetica che era stata informata da questo Ufficio dei risultati
conseguiti sulla identificazione del sedicente ATES BEDRI mediante l’invio di
funzionari di P.G. e delle copie di tutti gli atti istruttori necessari, e che ritenne la
nostra identificazione satisfattiva anche contro il mancato riconoscimento da parte
di BILICEN NEVZAT - uno dei
principali collaboratori della Procura di Basilea nell’operazione Maiskolben -
certamente terrorizzato dal CELIK (v. rapporto Digos Roma 07.11.91).
Nel mese successivo si interessò alla persona del CELIK anche l’Interpol
tedesca in un fax a più indirizzi, che all’Interpol francese chiedeva tra l’altro se la
persona con identità ATES BEDRI fosse ancora in Francia; in caso affermativo in
quale data probabilmente sarebbe stato rimesso in libertà; in caso fosse stato già
liberato, in che data ciò fosse successo e dove si trovasse attualmente; quale
decisione fosse stata presa dalla competente Autorità Giudiziaria sulla vera identità
e stato civile di quella persona (v. rapporto Interpol Roma 20.12.91).
Ma prima del 30 novembre il Giudice Istruttore di Versaglia aveva emesso
nuovo mandato di cattura contro il CELIK, precisamente il 28.11.91 - e quindi il
giorno prima della nota del Ministro di Giustizia francese con la quale si
chiedevano a questa A.G. gli elementi per la identificazione del BEDRI in CELIK -
per tentato rilascio indebito di documenti rilasciati da Amministrazioni pubbliche
al fine di constatare un diritto, un’identità o una qualità, e uso ditali documenti, e
per aver fornito informazioni su un’identità immaginaria che avevano o avrebbero
provocato annotazioni erronee nel casellario giudiziale.
Questa emissione del provvedimento di cattura emergeva da una nota del
Ministro degli Affari Esteri francese, datata Parigi 9.3.92, con la quale si
chiedevano entro il termine di mesi tre informazioni supplementari, come da
richiesta della Corte d’Appello di Versaglia in sentenza 18.2.92 (v. nota Ministero
di Grazia e Giustizia 13.4.92).
La Corte d’Appello francese, sulla base delle considerazioni che i
delitti imputati da questo Ufficio costituivano nell’ordinamento francese
“infrazioni delittuose” con prescrizione di tre anni, chiedeva se fossero
intervenuti atti interruttivi dall”86 e dall”84 (le date di commissione dei reati
ascritti) al 27.11.91.
Quest’Ufficio rispondeva che per entrambi i reati la prescrizione, per il
nostro ordinamento, era di anni 15 - e quindi nel caso sarebbe avvenuta nel
2001 - che pertanto non era necessario prendere in considerazione atti di
sospensione o di interruzione della prescrizione; che nel nostro ordinamento
era fatto divieto al Giudice di emettere provvedimenti di limitazione della
libertà della persona per reati estinti (v. nota G.I. per Ministero di Grazia e
Giustizia, 09.05.92).
Questo Ufficio elencava poi in successiva nota tutti gli atti compiuti
nel procedimento, che in virtù delle analogie tra l’ordinamento italiano e
quello francese avrebbero potuto integrare sospensione o interruzione della
prescrizione (v. nota G.I. per Ministero di Grazia e Giustizia 15.5.92).
Il 16 del giugno successivo la Chambre d’Accusation della Corte
d’Appello di Versaglia esprimeva parere favorevole all’estradizione del
CELIK verso l’Italia (v. nota Interpol Roma 20.6.92).
Nella motivazione di tale provvedimento, richiesto da questo G.I.,
emergeva che l’azione pubblica per entrambe le imputazioni italiane come
convertite nell’ordinamento francese, in questo ordinamento si sarebbe
prescritto in dieci anni e che di conseguenza l’insieme dei fatti ritenuti dalle
Autorità italiane non erano prescritti né per lo Stato richiedente né per quello
richiesto, e che corrispondevano, sul principio della doppia incriminazione,
alle esigenze della Convenzione europea (v.
provvedimento la Chambre d’Accusation della Corte d’Appello di Versaglia
16.6.92).
*****************
Cap. 1.2.7. L’estradizione.
In attesa dell’estradizione si apprendeva che sul conto di CELIK
pendevano tre richieste, provenienti rispettivamente da Turchia,
Svizzera e Italia e che il criterio di decisione sarebbe stato fondato
sull’ordine di presentazione delle domande, sulla nazionalità
dell’interessato, sulla gravità e luogo del delitto. In considerazione del
fatto che l’estradando comunque godeva dello status di rifugiato politico
in Francia, l’estradizione sarebbe stata concessa sotto l’impegno formale
di non consegnare il soggetto alle Autorità turche (v. nota Italdipl.,
Parigi 26.6.92).
A distanza di oltre un anno si apprendeva da nota di P.G. che
ATES BEDRI aveva dichiarato al Giudice francese, nel corso
dell’espletamento di una rogatoria turca, di essere effettivamente ORAL
CELIK nato nel ‘59 ad Hakinam (Turchia) e che in data 30.8.93 era
stato condannato dal Tribunale di Versaglia a 30 mesi di reclusione per
le imputazioni di falso, ragion per cui decorrendo la pena dal 28.11.91,
sarebbe stato scarcerato con ogni probabilità entro la fine del ‘93 (v.
nota Interpol 7.9.93).
In effetti, come da comunicazione del Ministro degli Affari Esteri
francese, il 16 dicembre ‘93 ad h.13.30 il nostro veniva consegnato, al
posto di frontiera di Modane-Frejus, alle Autorità italiane. Veniva
quindi immediatamente portato a
Roma ed associato in quello stesso giorno, alle 21.30, al carcere di
Rebibbia. Subito dopo la consegna, in Bardonecchia, CELIK nominava
come suo difensore l’avvocato Michele GENTILONI SILVERJ del foro
di Roma (v. nota Digos Roma 17.12.93).
Il 7 marzo successivo si acquisiva agli atti il decreto di
estradizione francese, datato 2.10.93 firmato dal Primo Ministro, con il
quale oltre ad accordare l’estradizione si autorizzava - ovviamente a
soddisfatta giustizia - a riestradare il CELIK verso la Confederazione
Elvetica. (v. nota Ministero di Grazia e Giustizia 07.03.94).
E così a distanza di oltre due anni dalla spedizione del carteggio
per l’estradizione e di oltre tre anni e sette mesi dalla prima rogatoria
avente ad oggetto CELIK si concludeva la vicenda, o le vicissitudini,
dei rapporti con la Francia per le sue consegne.
******************
Cap. 1.2.8. L’interrogatorio del 10 settembre 91.
Immediatamente dopo iniziava quella degli interrogatori del
predetto, che durò dal dicembre del 93 al settembre del 94.
Questa tornata di interrogatori prendeva le mosse ovviamente da
premesse completamente diverse da quelle degli atti del 91. Qui è già
avvenuta la condanna da parte del giudice francese per le falsità
sull’identità, qui è già avvenuta l’ammissione di essere ORAL CELIK.
Si ricordi che nell’interrogatorio di contestazione del 91 egli ebbe
a dichiarare di essere ATES BEDRI e di non aver nulla a che fare con le
imputazioni a suo carico del presente processo.
Sciorinò quindi la sua storia familiare, quella scolastica ed accademica,
quella militare, quella giudiziaria. E a tal riguardo precisò di essere stato
arrestato solo due volte dai militari per la sua appartenenza al KAWA,
ovvero il Partito Democratico del Kurdistan all’epoca fuorilegge. (v.
interrogatorio “ATES BEDRI”, 10.09.91).
Un interrogatorio quindi totalmente mendace. La confessione
però della sua identità non lo trasforma assolutamente in persona
attendibile. A parte la fisiologica propensione della maggior parte dei
personaggi coinvolti in questa inchiesta, egli è sotto necessità od anche
sola opportunità di dare quest’oggi una versione, domani un’altra,
posdomani ritrattare, quindi chiudere ogni interesse ad interrogarlo,
giacchè anche di fronte a molteplici contestazioni dell’irragionevolezza
delle risposte, fornisce un’ultima versione, anch’essa del tutto
inattendibile in fatto e sul piano logico.
Appaiono nei suoi discorsi brandelli di verità, cioè circostanze di
fatti che tali possiamo definire, perché verificate, ma tali brandelli nella
massa di ritrattazioni, di dichiarazioni non riscontrate o sic et simpliciter
non credibili, quasi scompaiono e possono essere stimate, quanto ai
motivi che le determinarono, solo messaggi ad entità, ambienti e
persone, che di certo immediatamente le recepiscono, rispondono e
pilotano, con una messaggistica di risposte i cui canali sfuggono
all’inquirente, il successivo corso delle dichiarazioni e
conseguentemente dell’inchiesta.
*************
Cap. 1.2.9. L’interrogatorio del 20 dicembre 93.
Nel primo interrogatorio ammette la sua militanza nei Lupi Grigi,
organizzazione di cui sostiene il valore. “I Lupi Grigi non sono ne’
contrabbandieri ne’ terroristi. C’è un complotto contro di noi...
Nell’organizzazione dei Lupi Grigi non ci sono terroristi. Sono racconti
per denigrare; non ci sono prove contro di noi. Siamo un’organizzazione
che ha fatto lotta politica in Turchia, in democrazia.”.
Afferma di essere stato nell’84 - cioè quando sarebbero avvenuti i
fatti ascrittigli - in Francia a Poitiers sotto il nome di YACHER OZ, e di
non aver usato altri nomi, ne’ quello vero, ne’ altri di copertura.
Introduce poi il discorso sul nome di ATES BEDRI: “Non ho
dichiarato di chiamarmi ATES BEDRI. Sono stato chiamato qui e di
fatto ho dato questo nome”. A contestazione che quel nome era stato
dato nella procedura francese, egli risponde: “I francesi sanno molte
cose. Per esempio sapevano che io ero ORAL CELIK. Lo sapevano
dall’inizio, da quando io ho preso la prima carta del processo francese.
In Francia sono stato dichiarato rifugiato politico. In Francia si da’
questa qualifica a tutti. Per me è stato preparato un dossier come
membro del P.K.K.. I francesi sapevano che io ero ORAL CELIK ed
essi hanno preparato un dossier come P.K.K.. I francesi mi hanno detto
di scegliere un nome ed io così ho dato questo nome. A quell’epoca ero
ricercato per la questione del Papa e così ho dato il nome di ATES
BEDRI. Ero ricercato pure dalla Turchia, ma non per reati di terrorismo.
Ero ricercato per l’omicidio di due insegnanti commesso a Malatya nel
‘78 o nel ‘79. Non ricordo il nome dei due insegnanti. Non ero ricercato
per l’omicidio del giornalista IPECKI ad Istanbul. Dopo che è venuta
fuori la storia che io ero accanto ad AGCA nell’attentato
al Papa, un giornalista turco, contrario a noi, ha inventato la storia,
secondo cui io avrei preso parte all’omicidio di IPECKI insieme ad
AGCA. Questo giornalista si chiama UGUR MUMCU e lavora per
CUMHURIYET. Costui è stato ucciso in un attentato. Sono stato
accusato anche di aver aiutato AGCA al carcere di Kartal Maltepe. Per
questa accusa sono stato ricercato, ma mai arrestato, ne’ interrogato.
Non metto piede in Turchia dal 6° mese dell”80. Di sicuro dopo il 26
dicembre dell”80 non sono stato più in Turchia. Sono preciso, perché
me lo ricordo”. (v. interrogatorio ORAL CELIK, G.I. il 20.12.93).
Come si vede una serie di fatti veri e di fatti verosimili.
L’atteggiamento sembra cambiato e s’intravede una certa propensione
alla collaborazione per l’inchiesta.
Percorre poi la storia delle sue vicende giudiziarie, in Francia - le
condanne dell”86 e del ‘91 - in Svizzera e in Turchia.
Quindi le ammissioni sulle menzogne del ‘91. “Tutto quello che
ho dichiarato negli atti dinanzi alla S.V. non corrisponde a verità. Io non
ho firmato, erano frottole. Erano cose che dicevo come ATES BEDRI,
così come mi avevano accettato i francesi”.
Si riconosce infine nelle fotografie della scheda INTERPOL ed in
altra mostratagli e ammette di aver conosciuto AGCA solo nel ‘79,
sottolineando che costui non faceva parte della sua organizzazione (v.
interrogatorio CELIK, G.I. 20.12.93).
*******************
Cap. 1.2.10. L’interrogatorio del 12 gennaio 94.
Il successivo interrogatorio, il primo del ‘94, affronta argomenti
di maggior peso e l’imputato rivela circostanze preziose sui suoi
spostamenti e le sue permanenze in diversi Stati europei.
Preliminarmente ritorna su un argomento cui sembra tenere in
particolar modo e cioè afferma di nuovo che AGCA non faceva parte
della sua organizzazione; organizzazione il cui nome esatto era
“Focolari idealisti”, gruppi giovanili, non illegali, registrati, che
venivano chiamati dalla sinistra “Lupi Grigi”. Ed “AGCA non c’entra
nulla con i Lupi Grigi”.
Ritorna anche sullo “strano” atteggiamento dei francesi. “Io
dicevo ai francesi che ero ORAL CELIK ed essi insistevano che ero
ATES BEDRI. Alla fine mi hanno chiesto di dimostrare che ero ORAL
CELIK. Allora tramite il mio avvocato mi faccio mandare il documento
- tessera liceale; n.d.e. - ... l’originale al Tribunale di Versailles... ciò è
accaduto nel ‘92.”
Anche al tempo dell’arresto dell’86 al confine franco-belga
identico comportamento delle Autorità francesi. “Ma i francesi già
sapevano che io ero ORAL CELIK; lo sapevano sin dal tempo che io
frequentavo la scuola in Francia. Al momento in cui sono stato arrestato
alla frontiera, tra la Francia e il Belgio nell”86, avevo un passaporto
intestato ad ATES BEDRI. Coloro che hanno proceduto al mio arresto
non so se sapessero della mia vera identità. Io so che c’è stata una
persona dall’Olanda che ha informato i francesi, riferendo che stava per
arrivare in Francia una macchina con tale ATILLA e dell’esplosivo. I
doganieri ci hanno fermato per sapere se c’era un certo ATILLA, hanno
perquisito la macchina e non hanno trovato nulla, nemmeno droga. Solo
dopo un’ora è passata un’altra macchina ove è stata trovata dell’eroina.
Io non conoscevo
assolutamente le persone di questa macchina. Sono stati i poliziotti
francesi a dirmi di continuare ad usare il nome di ATES BEDRI, perché
con l’altro nome ero ricercato da Roma.
E qui aggiunge, precisando quanto già detto sullo status di
rifugiato politico: “ E’ stata sempre la Polizia - ovviamente, francese;
n.d.e. - a farmi avere la carta di rifugiato politico in quindici giorni.
Quindi le Autorità francesi sembrano conoscere sin dai tempi di
Poitiers la reale identità del nostro; ne sono a conoscenza al tempo
dell’arresto alla frontiera con il Belgio; mostrano di esserne a
conoscenza anche durante la procedura di Versaglia.
Ma vicenda analoga avviene anche in Svizzera. Si seguano le
parole di CELIK. “Devo dire che nell”82 in Svizzera un uomo mi disse:
“Tu sei ORAL CELIK, sei dei Lupi Grigi; non c’è posto per te nel
nostro Paese”. Io risposi che non me ne andavo perché non avevo soldi.
Egli mi dette allora dei soldi, invitandomi a lasciare la Svizzera. Anzi
mi ha accompagnato alla frontiera con la Francia. L’uomo del discorso
stava in un grande edificio di polizia a Zurigo. Qui hanno tutti i miei
documenti... Quando sono stato fermato in Svizzera e mi è stato fatto il
discorso che ho detto, avevo un passaporto intestato ad HARUN
CELIK... I poliziotti svizzeri sono venuti a casa mia... Quando fui
accompagnato alla frontiera con la Francia, mi fu restituito il passaporto
HARUN CELIK... Quando è venuta la Polizia svizzera da me, sapeva
che ero ORAL CELIK e volevano che andassi via. Non so perché mi
cercassero. Mi hanno chiesto in quale Paese volevo andare. Io dissi la
Francia ed essi mi accompagnarono alla frontiera con quel Paese”.
Null’altro vuole più dire; sul periodo di permanenza in quel
Paese, sul luogo di residenza, sul Paese dal quale si era
trasferito nella Confederazione, sulle persone che vi ha incontrato. Ed
anche in questi suoi rifiuti di rispondere, mostra di voler proteggere la
rete dell’organizzazione che lo ha protetto e gli ha consentito di
muoversi nel Continente europeo, dimostrando che egli, al suo interno, è
un personaggio di rilievo. Constatazione rafforzata dal fatto che Polizie
e di certo anche Servizi di Svizzera e Francia - e probabilmente anche
Olanda, da cui era partita l’informativa sul viaggio dal Belgio alla
Francia - ben conoscono ORAL CELIK, lo seguono e lo fermano; gli
Svizzeri, che temono noie od incidenti sul proprio territorio, gli
impongono di abbandonarlo al più presto, elargendogli anche un’ingente
somma; i francesi, per finalità che allo stato sfuggono, invece lo
proteggono, concedendogli una falsa identità, e una falsa certificazione
di rifugiato politico. Un’operazione del genere non viene di certo
compiuta in pro di una figura, e dell’organizzazione di appartenenza, di
poco peso o di media levatura.
Francesi, che appaiono a conoscenza dell’inchiesta sull’attentato
al Papa e sui veri coinvolgimenti di persone ed organizzazioni.
E sui francesi, CELIK ritorna nel corso del presente
interrogatorio, e sempre più dettagliatamente. “Ho chiesto il permesso di
soggiorno in Francia nell’82 con un nome diverso da quello di HARUN
CELIK. Non volevo usare questo nome, perché gli Svizzeri lo
conoscevano. Ho usato il nome di YACHER OZ. All’epoca, come ho
detto, abitavo a Poitiers. Durante il soggiorno a Poitiers, quando stava
per finire il permesso di soggiorno, è venuto un uomo della Polizia che
mi ha invitato a rinnovare il soggiorno. Anche questa persona conosceva
che io ero ORAL CELIK. Costui mi consigliò però di cambiare il
permesso di soggiorno come studente (durata due
anni) in permesso come rifugiato politico, usando un altro nome, quello
cioè di ATES BEDRI, al posto di quello di YACHER OZ. Voglio
precisare che hanno saputo che io mi chiamavo ORAL CELIK al
momento che mi hanno consigliato di prendere un permesso di rifugiato
politico. Prima non lo sapevano.
I francesi mi hanno fatto domande sull’attentato al Papa. Mi
hanno interrogato su questo attentato dopo aver saputo che ero ORAL
CELIK. Quelli che sono venuti da me si sono presentati come
appartenenti al Ministero di Giustizia, ma non ne sono sicuro. C’era un
certo Philippe, che è la stessa persona che ha accompagnato in Italia
ABDULLAH CHATLI, al processo per l’attentato al Papa. Sempre
queste persone mi hanno detto di mettermi d’accordo con i giornalisti
per raccontare qualcosa sul fatto del Papa. Questi giornalisti mi
avrebbero dato molti soldi. Ma io non ho accettato. L’interrogatorio
sull’attentato al Papa è avvenuto prima del decimo mese dell’85. Si
raccomandarono di non dire nulla ad altri. La prima volta che sono
venuti da me era nell’84. Mi invitarono presso di loro per fare
dichiarazioni, minacciandomi che altrimenti mi avrebbero consegnato
all’Italia. La prima volta sono venuti in quattro. Uno di loro era
Philippe. E’ vero, questo Philippe, si chiama LAVAL. Questo fatto può
collocarsi alla fine del corso, tra il quinto e il sesto mese dell’84;
l’incontro avvenne a Poitiers.
Ho fatto delle dichiarazioni, ma non li ho convinti. I francesi mi
dissero che loro sapevano che il Papa sarebbe stato colpito. Dissero che
essi erano i più veloci nel prendere informazioni. Mi hanno minacciato;
ho avuto paura e alla fine ho ammesso di essere ORAL CELIK. Ho così
fatto delle dichiarazioni. Ho detto che erano cose al di fuori di me.
All’epoca sapevo di essere ricercato dall’Italia su mandato di cattura
internazionale. Anche i francesi lo sapevano e sono venuti proprio per
questo, cioè minacciandomi di estradizione. Mi dissero che rischiavo
una condanna in Italia. Mi hanno quindi consigliato di rimanere sotto il
falso nome di ATES BEDRI. Quelli che sono venuti, Philippe LAVAL,
che mi ha anche dato il numero di telefono, e gli altri tre, mi hanno
detto: “I miei superiori chiedono molto di te. Sanno che sei qui.
Vogliono che tu sia catturato. Vogliono che ti troviamo, ti estradiamo, o
ti portiamo davanti il Tribunale. Siamo in una brutta posizione, perché
stanno facendo pressione”.
Naturalmente mi chiedono informazioni in cambio. Mi hanno chiesto
dichiarazioni sull’attentato al Papa, perché credevano che io sapessi
molte cose su quel fatto. C’è stato un vero e proprio interrogatorio;
ricordo che hanno dattiloscritto le mie risposte. La prima volta questo
colloquio è avvenuto a casa mia a Poitiers, perché queste persone
avevano con se tutta l’attrezzatura per procedere all’interrogatorio con
la macchina da scrivere. Io non ho firmato però alcuna carta. Non l’ho
firmata, perché temevo che un giorno avrebbero potuto usarla contro di
me. Mi hanno fatto intendere che tra di loro c’era un vice-procuratore.
Ricordo, di aver portato la mia domanda per il certificato di rifugiato
politico presso l’Ufficio di questa persona a Parigi al Ministero della
Giustizia. Questa domanda era con l’identità di ATES BEDRI. Ricordo
che preparammo insieme la domanda di rifugiato politico con la
motivazione, usando una macchina che mancava dei caratteri turchi.
Nella motivazione si diceva che ero ricercato come appartenente al
P.K.K.. Ricordo che quando venne il procuratore turco gli fu consegnata
questa domanda. Con questo gruppo di persone ho avuto parecchi
contatti, otto, nove o dieci volte; la prima a Poitiers, le altre a Parigi.
Qui mi si invitava in un ufficio del Ministero di
Giustizia. Io telefonavo, prendevo appuntamento e raggiungevo
quell’ufficio, che era “più su dell’Opèra”. Il numero di telefono l’ho
gettato. Era 54 o 48 o 42. Era un centralino e mi collegavo con un
interno, al quale rispondeva LAVAL o il suo vice. Gli altri sono usciti
dal circuito e ho conservato il contatto solo con LAVAL. A un certo
punto LAVAL mi ha detto che stava per lasciare l’incarico e mi ha
passato ad un’altra persona, di cui non ricordo il nome. L’ufficio si
trovava nell’edificio del Dipartimento di Sicurezza Nazionale. In questo
edificio fui portato anche, quando dopo essere stato arrestato, mi furono
prese le impronte digitali. Devo precisare che questa presa delle
impronte avvenne dopo che era venuto a Parigi il procuratore turco. In
precedenza già mi erano state prese le impronte in occasione del primo
arresto, quello dell”86. Ricordo che in questo palazzo c’erano delle
apparecchiature di polizia scientifica.
Questi contatti con LAVAL sono durati sino al 1986, cioè sino a
quando sono rientrato dall’Olanda e sono stato arrestato alla frontiera
franco-belga, a seguito della soffiata di cui ho già parlato. Ho anche
avuto contatti telefonici con LAVAL anche dall’Olanda. Dopo essere
entrato in carcere LAVAL mandò qualcuno, che mi disse che avrebbe
potuto far ridurre la pena. Questa persona che parlava in nome di
LAVAL diceva che essi erano già riusciti a far diminuire la pena ad
ABDULLAH CHATLI da sette anni a cinque. Anche ABDULLAH
CHATLI era detenuto in Francia sotto falso nome e cioè HASSAN
KURTOGLU. Ricordo che fu estradato in Italia. Prima che questi
venisse estradato in Italia, ebbi dei contatti con LAVAL, che mi disse
che sarebbe venuto un magistrato italiano ad interrogare CHATLI. Mi
disse che prima di consegnarlo, sarebbero venuti gli incartamenti
dall’Italia e che io avrei
dovuto parlargli e convincerlo ad andare a Roma. L’équipe di LAVAL,
anzi LAVAL mi disse che aveva già parlato con ABDULLAH
CHATLI.
Ero a conoscenza della missione a Parigi del qui presente
Pubblico Ministero. Fui messo al corrente di ciò dall’équipe di LAVAL.
Quando LAVAL mi interrogò sull’attentato al Papa, io risposi a
delle domande in cui essi facevano delle esposizioni. Io dicevo se erano
vere o meno. Mi chiesero ad esempio se potevano essere stati i Bulgari a
fargli fare l’attentato. Io risposi che potrebbe essere stato, come non
esserlo.”
A contestazione del fatto che queste appaiono risposte vaghe e
che di certo non avrebbero comportato il suo rifiuto a firmare il verbale,
risponde: “si trattava di ipotesi. Mi chiesero se AGCA avesse avuto
rapporti con i Servizi tedeschi. Io risposi che se lo aveva detto lui,
poteva anche essere. Non dissero quali dei Servizi tedeschi poteva aver
rapporti con AGCA.
Mi chiesero se sapevo che AGCA era stato in Libano; mi chiesero
se era stato da TOSLIM TORE. TOSLIM TORE era un turco di origine
e si diceva che avesse dei campi di addestramento per i Palestinesi. Era
una persona che stava con Denis GERMIS e MAHIR CAYAN, terroristi
che costituirono il Dev-Sol, già impiccati in Turchia. Si diceva che
TOSLIM TORE fosse collegato con questi personaggi, che erano stati i
primi ad andare nei campi di addestramento in Libano.
Mi chiesero se AGCA fosse Idealista o di sinistra e quali fossero i
suoi legami con queste organizzazioni. Mi chiesero se aveva a che fare
con oppositori del Papa in Vaticano. Sulla posizione di AGCA dissi che
poteva aderire a qualsiasi organizzazione e che poteva essere da una
parte di chiunque avesse fatto terrorismo o violenza. Non mi dissero chi
erano gli
oppositori del Papa in Vaticano. A questa domanda risposi che non
avevo partecipato al fatto. Essi mi ribatterono di sapere che io avevo
partecipato. Mi dissero: “Tu eri là; c’è la tua foto”. Mi fecero anche
vedere la foto. Aggiunsero però che ABDULLAH CHATLI mi stava
salvando, perché io curavo la sua famiglia. La foto che mi fecero vedere
rappresentava una persona presa di spalle. Risposi che non ero quella
persona e che non ero stato in Piazza San Pietro. Mi hanno chiesto se
sapevo altre cose sull’attentato e se sapevo di altre persone partecipi al
fatto.”.
La foto è quella notissima che mostra un giovane dalla folta
capigliatura nera che abbandona di corsa Piazza San Pietro.
Quindi appare aprirsi sui rapporti con ABDULLAH CHATLI,
MEHMET SENER, ALI’ AGCA ed altri sull’organizzazione dei
Focolari Idealisti, sugli appartamenti di Vienna, a Jheringgasse, e a
Zurigo.
“E’ vero che ABDULLAH CHATLI è stato un esponente dei
Focolari Idealisti in Turchia ed ha rivestito la carica di consigliere di
amministrazione di questa organizzazione. Ho conosciuto MUSAR
CEDAR CELEBI e sapevo che era Presidente delle Associazioni
Idealiste Turche in Europa. Non mi ricordo esattamente se ho
conosciuto RAMAZAN SENGUN. Io ne conosco uno. Ce n’è un altro,
che io non conosco e che dice di conoscermi; questo secondo è quello
che appartiene al Dev-Sol. Costui ha dirottato un aereo in Bulgaria per
conto del Dev-Sol. Fu condannato a cinque anni, che non ha mai
scontato. Il suo vero nome non è RAMAZAN SENGUN. Quelli che
mandarono queste persone appartengono ai Servizi di Sicurezza turchi.
Ho conosciuto MEHMET SENER. Lo conosco dal periodo della
Turchia. E’ vero che ho abitato nella casa di Jheringgasse 33 a Vienna,
con MEHMET SENER ed ABDULLAH CHATLI. E’ vero che dopo un
certo tempo che noi tre abitavamo in detto appartamento, è venuto
MEHMET ALI’ AGCA. Non ricordo adesso dopo quanto tempo è
venuto AGCA. E’ venuto nel gennaio o nel febbraio del 1981. Non so
da dove venisse. Noi tre, io, CHATLI e SENER, frequentavamo un
corso di lingue. E’ venuto AGCA, che conosce meglio di tutti
MEHMET SENER. Costui però non voleva incontrarsi e parlare con lui,
perché AGCA aveva detto, nella questione dell’omicidio IPECKI, che
era stato SENER a fornirgli l’arma. La casa di Jheringgasse, secondo
accordi con il padrone di casa, non poteva ospitare più di tre persone ed
infatti eravamo solo noi tre celibi. Se fossimo stati di più, i vicini
sarebbero stati disturbati. AGCA è venuto un giorno, dormendo anche la
notte. Gli abbiamo poi detto che non poteva stare di più. A Vienna c’era
uno studente turco e cioè RAMAZAN SENGUN e gli abbiamo detto di
andare da lui. AGCA insisteva perché voleva restare con MEHMET
SENER, ma l’abbiamo convinto ad andarsene. AGCA si è risentito per
questo nostro comportamento - s’era rivolto anche a me - e se n’è
andato. Devo aggiungere che si è soprattutto risentito con me, perché
anch’io lo avevo “cacciato” educatamente. Non riesco a ricordare dove
abitava SENGUN, mi sembra al 180 di Vienna. Non ho più rivisto
AGCA. Per il suo risentimento può aver detto cose contro di me. Questa
è stata la prima e l’unica volta, da quando sono uscito dalla Turchia, che
io ho incontrato AGCA in Europa.
Non l’ho mai incontrato altrove; non in Svizzera, ne’ in Bulgaria.
Io non c’entro niente, ne’ da lontano ne’ da vicino, con la questione del
Papa. Io non potrei mai avere rapporti con i Bulgari. Quando è successo
l’attentato al Papa ero a Vienna. Ho
saputo del fatto dalla televisione. Non è vero che subito dopo questo
attentato io e CHATLI ci siamo allontanati da Vienna. Non è vero che
siamo scappati. Non è vero che abbiamo acquistato a Vienna delle armi.
Non è vero che AGCA ci abbia chiesto di acquistare armi. AGCA
mischia noi con l’attentato al Papa, perché potrebbe aver avuto
indicazioni in tal senso dai suoi mandanti. Quelli che usano AGCA gli
danno indicazioni per cambiare i fatti di 90 gradi, per incolpare i
nazionalisti turchi.
Forse ho conosciuto a Vienna il Presidente delle Associazioni
Culturali Turche in Austria CHAT TURKOGLU. Alla fine del corso di
lingue, abbiamo lasciato Vienna per trasferirci a Zurigo. Il corso era
pubblico alla Goethe Schule. Si trattava di un corso di tedesco.
A Zurigo prendemmo un appartamento sempre noi tre. Non riesco
a ricordare il nome della strada. Qui io sono rimasto sino a quando non
sono stato avvicinato da quella persona di cui ho parlato prima...
Quando appresi dell’attentato dalla televisione nell’appartamento
di Jheringgasse a Vienna, c’erano con me ABDULLAH CHATLI e
MEHMET SENER. Non c’erano altre persone. Abbiamo lasciato
Vienna dopo circa un mese. Eravamo io e ABDULLAH CHATLI.
MEHMET SENER, che era rimasto a Jheringgasse, ci ha raggiunto a
Zurigo circa una settimana dopo. La televisione austriaca riferì anche il
nome dell’attentatore e mostrò la sua fotografia. Siamo rimasti stupiti.
Abbiamo lasciato la nostra abitazione ed abbiamo raggiunto la casa di
altri turchi.”
A questo punto si è contestato che secondo quanto dichiarato da
MEHMET SENER nel corso della rogatoria della 1^ Corte d’Assise di
Roma del 14.10.85, egli aveva saputo dell’attentato al Papa non a
Jheringgasse, ma mentre si trovava
a Zurigo e che da questa città e precisamente da un ostello della
gioventù, telefonò a CHATLI per chiedergli se anche lui aveva visto la
televisione. SENER altresì aveva dichiarato, nella medesima occasione,
che in seguito aveva raggiunto CHATLI a Vienna in Jheringgasse, ma
non vi aveva trovato ORAL CELIK, e che poi insieme al solo CHATLI
era ripartito da Vienna per Zurigo. Si è contestato inoltre che sempre
SENER aveva dichiarato che una volta CELIK, alla presenza di due
connazionali, aveva ammesso di essere stato presente in Piazza San
Pietro al momento dell’attentato al Papa, aggiungendo di aver
partecipato senza però entrare nei particolari. Così quest’ultimo ha
risposto:
“E’ falso; MEHMET SENER dice il falso; quello che dico io è vero”.
Poi compie una ricostruzione dei movimenti di AGCA da Kartal
Maltepe sino a Jheringgasse, attraverso Iran e Bulgaria.
“Non è vero che io e CHATLI abbiamo aiutato AGCA a fuggire
dal carcere di Kartal Maltepe. In quel periodo CHATLI non era ad
Istanbul, bensì ad Ankara. Lo abbiamo aiutato dopo l’evasione. Dopo
l’evasione AGCA mi ha mandato una persona, che mi ha riferito che
egli era scappato dal carcere. Io non ho creduto a quanto costui mi
diceva, anche perché il fatto non era venuto sui giornali. Sono andato
nella casa della persona che era venuta ad avvisarmi e lì lo ho trovato.
Questa persona, che lo ospitava, è stata condannata per aver favorito
l’evasione e per averlo ospitato dopo, a cinque anni di prigione. Nella
casa di costui c’era un militare - forse un caporale o un sergente - che lo
aveva aiutato nell’evasione. AGCA aveva ingannato anche questa
persona. AGCA mi chiese di procurargli una casa dove rifugiarsi; chiese
rifugio anche per il
militare; se la prese con MEHMET SENER, perché lo aveva accusato
per l’omicidio IPECKI: disse che non avevano soldi. Io dissi ad AGCA
che avevo un conoscente ad Yolova, nei dintorni di Istanbul sul mar di
Marmara, sulla strada per Bursa. Li invitai ad andar lì tutti e due; diedi
loro anche dei soldi, circa 6.000 lire turche. Il militare mi chiese di
comprargli degli abiti borghesi, perché doveva abbandonare la divisa.
Anche a lui ho dato dei soldi e quelli della casa gli andarono a comprare
un abito. CHATLI ha raggiunto i due, AGCA e il militare, a Yolova.
Dopo che i due dovettero lasciare questa casa, CHATLI li ospitò nella
sua casa ad Istanbul. Non sono stato io ad adoprarmi presso CHATLI;
fu AGCA a chiederglielo direttamente.
Non è vero che io abbia aiutato AGCA ad espatriare in Iran. Altre
persone per questo fatto sono state condannate in Turchia, sebbene
innocenti.
Non so se AGCA sia effettivamente espatriato in Iran. So solo
che ha raggiunto la città turca di Igdur al confine con l’Iran: che abbia
fatto dopo non lo so. Sono stato ricercato anch’io per questo fatto, ma il
delitto è prescritto. Quando i due sono andati a Yolova, AGCA ha
scritto a un giornale dicendo che era fuggito per colpire il Papa. Dopo
un paio di giorni ho letto questa lettera sui giornali. Telefono a Yolova,
ma i due s’erano già trasferiti a Bursa. In quel periodo c’era lo stato
d’assedio e le strade tra Yolova e Bursa erano presidiate. La polizia era
irrequieta e i militari non mandavano giù l’evasione e colui che era nella
casa di Yolova mi ha detto che la lettera era stata scritta per attirare
l’attenzione su Istanbul, allentando i controlli sulle strade dei dintorni.
Coloro che hanno sfruttato AGCA si sono basati su questa lettera per
costringerlo a fare
veramente l’attentato. “Tu hai scritto, gli dissero, tu puoi farlo
veramente.”.
Dopo Bursa AGCA è andato ad Ankara e dalla capitale ha
raggiunto Igdir sul confine iraniano. Prima di raggiungere Igdir è
passato per Nevshir. Di questo fatto vengo a conoscenza da altre
persone. La metà di questi non sono dell’organizzazione. AGCA
all’epoca era popolare, aveva colpito IPECKI, era evaso da Kartal
Maltepe. La metà di queste persone erano avventurieri. Gli altri erano
quelli che lo sfruttavano. AGCA aveva molte relazioni; non solo con gli
Idealisti, ma anche con persone di sinistra, come persone che erano state
ospiti dell’Ostello della Repubblica, che raccoglie studenti della facoltà
di Scienze Politiche, dove ci sono molti elementi di sinistra. AGCA,
come lui stesso dice, è un terrorista; lavora per chi lo usa, per chi lo
carica. Non credo che lavori a pagamento. Comunque non è
un’Idealista. Si vantava di aver commesso il più grande omicidio della
Turchia e cioè l’attentato a IPECKI, e si lamentava perché non lo
rispettavano.
Sapevo che AGCA era andato successivamente in Bulgaria. C’è
una persona con cui AGCA è stato in galera; si chiama DOGAN di
nome, ma non ne ricordo il cognome. Quest’uomo era allora uscito dal
carcere e trova ad AGCA un passaporto indiano. A quel tempo per
l’India non c’era il visto per la Bulgaria. C’era una terza persona che era
stata con AGCA e DOGAN, e cioè ABUZER UGURLU. Tramite costui
mandano AGCA in Bulgaria. Non so se ABUZER UGURLU
appartenga alla mafia turca, ma così si dice. Anche ABUZER UGURLU
è stato condannato per l’affare IPECKI, ma non ne sono sicuro. Sono
certo però che non conosceva AGCA e quello che ha fatto per lui, lo ha
fatto per DOGAN. Dopo quattro, cinque mesi che AGCA aveva
raggiunto la Bulgaria - non so
però se è sempre rimasto in questo Paese - so che ABDULLAH
CHATLI ha portato ad AGCA un passaporto falso.
Io non ho partecipato a questa consegna; ho saputo del fatto solo
successivamente. Non so a chi fosse intestato questo passaporto, ne’ se è
stato consegnato a Capicule.
Non ho mai incontrato AGCA in Bulgaria. Io so solo che èentrato
in questo Paese con un passaporto indiano. Non so quanto tempo AGCA
è rimasto in Bulgaria.
AGCA non ci ha mai parlato a Vienna di un suo progetto di
attentato; almeno non ne ha parlato alla mia presenza.
Ho conosciuto FERIDUN AKKUZZU. Non sapevo che usava il
falso nome di MEHMET INAN. L’ho conosciuto in Svizzera.
Ho sentito parlare di EYUP ERDEM, ma non l’ho mai
conosciuto.
Ho conosciuto ALI’ BATMAN: era vice presidente della
Federazione degli Idealisti Turchi in Europa.
Prendo atto che ABDULLAH CHATLI dichiara che AGCA
prima di arrivare a Vienna chiese di acquistare due armi, una delle quali
poi si portò via, mentre l’altra fu consegnata a me dallo stesso CHATLI.
Non ho visto l’arma; non mi è stata consegnata alcuna arma; non ho
avuto a che fare con nessuna arma.
Prendo atto che ABDULLAH CHATLI dichiara che AGCA fece
una telefonata il giorno prima dell’attentato alla casa di Vienna per dirci
che l’indomani sarebbe ritornato presso di noi. Non sapevo
assolutamente di questa telefonata.
Prendo atto che ABDULLAH CHATLI dichiara che io sarei in
grado di fornire informazioni su rapporti tra AGCA e la
mafia turca e che avrei raggiunto AGCA in Bulgaria. E’ falso; non
credo che AGCA avesse rapporti con la mafia turca.
Prendo atto che ABDULLAH CHATLI dichiara che egli non
conosceva AGCA, che io sarei stato il tramite della loro conoscenza e
che fu proprio per favore a me, che lo avrebbe ospitato nella propria
abitazione e nei suoi viaggi. E’ falso.”. (v. interrogatorio CELIK, G.I.
12.1.94).
Interrogatorio inquietante quello sin qui scorso, in particolare per
le condotte di istituzioni di Paesi prossimi, al tempo in cui massimo era
l’interesse della nostra Giustizia sul personaggio ORAL CELIK.
Condotte di cui non si vedono moventi e fini certi e precisi, ma la cui
natura e finalità che si intravedono più che machiavelliche appaiono
sconvolgenti dei rapporti tra gli Stati e del comune senso di Giustizia.
Ma anche interessante per quei tentativi di ricostruzione dei fatti, che
CELIK comincia qui a fare, tentativi però che subiranno
immediatamente interruzione e in seguito anche altre gravissime
vicissitudini, di cui infra.
**********
Cap. 1.2.11. Gli interrogatori del 20 gennaio e 17 febbraio 94.
In effetti negli interrogatori del gennaio e del febbraio, l’imputato
sostanzialmente si rifiuta di rispondere. Si dichiara sì disposto a parlare
sull’attentato al Papa, ma solo dopo che si sarà risolto l’affare del traffico
di stupefacenti, ovvero solo dopo che sarà stato rimesso in libertà. Soltanto
su YALCIN OZBEY risponde affermando che le sue dichiarazioni sono già
state accertate per non veritiere e che comunque egli è uomo dei tedeschi e
per loro conto viene a far proposte. Infine chiede perdono di non poter
parlare per il momento, (v. interrogatorio CELIK, GI. 20.01.94), lanciando
così un nuovo pesante messaggio, di certo chiarissimo per i destinatari e
dal quale scaturiranno le nuove mosse.
Al successivo incontro formalmente dichiara: “ Sono disposto a
collaborare sul fatto dell’attentato al Papa. Sono pronto ad offrire alla S.V.
la chiave per scoprire gli autori del delitto e i loro mandanti. Le persone
che non vogliono che si scopra la verità, hanno un piede in questo Palazzo
di Giustizia. Queste persone indirizzano il processo come vogliono. Io,
come la S.V. sa, non sono assolutamente coinvolto in queste vicende. Io
metterò la chiave della verità nelle mani di codesta Giustizia, porterò cioè
prove tangibili della verità quando avrò la libertà... Non conosco bulgari.
Per quanto ne so i bulgari non c’entrano niente con l’attentato al Papa. Non
ho prove di questo. E’ una mia supposizione.
Io potrei dare una fotografia ove sono rappresentate le persone che
erano con ALI’ AGCA in Piazza San Pietro. Io potrei dire che sono stato
avvicinato ed invitato ad accusare i bulgari in cambio di molto denaro. Non
era però negli accordi che io dovessi venire qua. Ripeto: non era negli
accordi. Le persone che mi invitavano ad accusare i bulgari, mi dicevano
che dovevo farlo, perché anche noi eravamo contro il comunismo. Sono
stato avvicinato prima di finire in carcere in Francia. Ripeto, parlerò dopo
che avrò avuto la libertà.”. (v. interrogatorio CELIK G.I. 17.02.94).
Ulteriori pesantissimi messaggi: “Coloro che si oppongono alla verità,
sono nel Palazzo di Giustizia, in questo Palazzo”. Quindi il tentativo, non
di poco conto, di estromettere
i bulgari dal complotto. Poi l’avvicinamento per accusare, in nome del
comune - egli è un Lupo Grigio e come tale lotta contro il comunismo -
anticomunismo, la comunista Bulgaria. Avvicinamento che avviene in
Francia quando egli liberamente viveva in quel Paese. Infine la chiamata di
coloro con cui aveva stretto patti, perché quei patti di certo non
prevedevano che egli finisse in carcere e, di più, che fosse estradato in
Italia. Come ben si vede, egli mostra di essere a conoscenza di fatti di non
comune peso e di essere legato ad entità ed accordi - che di sicuro ne
elevano la statura - e si rivolge con tali sue dichiarazioni di certo ad
interlocutori ben diversi dall’ inquirente.
*****************
Cap. 1.2.12. L’interrogatorio del 9 marzo 94.
Nei successivi interrogatori, nonostante premesse negative,
determinate dall’apparizione sulla stampa di notizie concernenti le sue
dichiarazioni - ma a tal proposito ci si dovrebbe domandare come egli
potesse sperare che i suoi messaggi arrivassero a segno, visto che le parti
presenti come l’Ufficio sono vincolate alla totale segretezza sul contenuto
degli atti - il dialogo riprende quota e l’imputato torna a rispondere alle
domande.
In effetti, si deve ricordare, proprio in quel periodo apparve una serie
di articoli giornalistici, che riportavano interi, e tra i più interessanti, brani
degli interrogatori di CELIK, cosicchè questo Ufficio fu determinato a
rapporto alla Procura della Repubblica sulla fuga di notizie. (v. rapporto G.I.
22.4.94).
“Ripeto, io in questi fatti non c’entro niente. Malgrado questo, io sono
disposto ad aiutare l’inchiesta”. Così comincia l’interrogatorio del marzo che
continua sulle armi di AGCA e su persona coinvolta nelle armi, che sarebbe
venuta a Roma a rendere dichiarazioni sull’attentato, dichiarazioni che non
sarebbero piaciute e perciò di seguito modificate, dichiarazioni sempre a
Roma remunerate. Meglio rileggere la parte iniziale del verbale di
quell’interrogatorio.
“Vi posso dare delle informazioni sulle armi. Era successo il fatto del
Papa; una persona ci ha chiamato per telefono a Jheringgasse dicendo:
“Avete sentito che è stato fatto un attentato al Papa da parte di MEHMET
ALI’ AGCA ?”. Questa persona ci ha detto che sarebbe venuta presso di noi.
A casa c’eravamo solo io ed ABDULLAH CHATLI. L’uomo è venuto, ci ha
chiamato da basso e noi siamo scesi. Con la persona che ci ha chiamato
c’erano altre due persone. Siamo saliti sulla macchina ed abbiamo raggiunto
l’ufficio di colui che ci ha chiamato. Questi era in uno stato emotivo
disturbato. Gli ho chiesto ragione di quello stato, mi ha risposto che egli era
stato il tramite per prendere l’arma di AGCA; però che egli non sapeva per
quale fine sarebbe stata usata. Aggiunse che la pistola era così a buon
mercato che ne aveva comprata una anche per lui. Disse anche che l’avrebbe
buttata. Uno dei due che stavano con lui disse di non buttarla e di darla
invece a lui. Altre persone profittarono dello stato emotivo di questa
persona. A questa persona prepararono anche una dichiarazione, e gliela
consegnarono. Sempre queste persone si misero in contatto con qualcuno a
Roma. La persona nello stato emotivo di cui ho detto è venuta poi a Roma, a
rendere quella dichiarazione che gli avevano preparato. Dà queste
dichiarazioni ad altra persona che era venuta a Roma prima di lui.
Qui a Roma le dichiarazioni vengono modificate perché non
piacciono integralmente a colui che riceve la persona proveniente da Vienna.
Queste dichiarazioni vengono riferite ad un magistrato di Roma. Vengono
pagati dei soldi per queste dichiarazioni alla persona che le rende. Questa
persona telefona alla nostra casa a Vienna e ci racconta questo fatto.
La persona che ha preso le due pistole è la persona che è venuta a
Roma con le dichiarazioni.
Io conoscevo questa persona. Non so dire se fosse turco o meno. Non
intendo dire altro.
La prima telefonata questa persona l’ha fatta il giorno stesso
dell’attentato, dopo che la televisione aveva annunciato il fatto. Ha chiamato
dal suo ufficio. Questa persona ha reso dichiarazioni qui a Roma; ma sono
state dichiarazioni non palesi. Questa persona ci ha chiamato per telefono e
ci ha detto:
“E’ stato fatto un attentato al Papa, lo avete sentito?”. Noi abbiamo risposto
di si. Questa persona è venuta a Jheringgasse con la sua macchina. Aveva un
minibus Volkswagen. A bordo aveva con se’ altre due persone. Io e
ABDULLAH CHATLI siamo saliti anche noi sul minibus e siamo andati
tutti e cinque all’ufficio del primo, di colui che ci aveva chiamato. L’uomo
era agitato. Io gli ho chiesto la ragione del suo stato, ed egli ha detto: “Io
sono stato il tramite dell’acquisto dell’arma usata da AGCA per l’attentato”,
nel senso che egli aveva acquistato l’arma ed in seguito l’aveva consegnata
ad AGCA. Ci riferì, come ho già detto, che il prezzo era stato così a buon
mercato, che se ne era comprata anche una per lui. Aggiunse anche:
“Temo per questi acquisti. In qualsiasi momento potrebbe essere fatta una
perquisizione presso la mia casa. Butterò la
pistola che ho preso per me”. Uno dei due che stavano con lui disse: “Dalla a
me, se la devi buttare. Me la conservo”. La prima persona aggiunse che non
sapeva che l’arma comprata per AGCA sarebbe servita per l’attentato al
Papa.
Questa persona non mi disse quanto tempo prima aveva comprato le
pistole. Questa persona è conosciuta qui. Potreste chiederlo a lui
direttamente. E’ sufficiente che il Giudice guardi negli atti e troverà il nome
di questa persona.
Altre persone, in un momento successivo, inducono la prima, quella
che era apparsa a noi agitata, ripetendoglielo più volte, a dare una versione
sui fatti a chi dovrà interrogarlo. Questa persona la manda a memoria, ed in
seguito quelle stesse persone che hanno preparato la versione, lo inviano a
Roma, dicendogli anche da chi si deve presentare. Questa persona, quando il
primo raggiunse Roma, gli chiede cosa deve dire. Il primo riferisce e la
persona che lo ascolta modifica la versione nel senso che elimina alcune
parti e ne aggiunge altre. Il primo dopo queste modifiche si presenta da
qualcuno che non so e rende le dichiarazioni. Dopo di ciò telefona a Vienna,
a persone che poi riferiranno a noi, raccontando tutto quello che era
successo. Dice anche di essere stato pagato per le sue dichiarazioni; di essere
stato pagato a Vienna.
Narrazione ingarbugliata, volutamente lacunosa, cui segue l’usuale
messaggistica.
“Le dichiarazioni ci sono, ma girano sotto il tavolo”. Queste
dichiarazioni cioè ci sono, ma non sono mai emerse.
“Non so quando questa persona è venuta a Roma e quando ha reso
questa dichiarazione. Ora non mi ricordo il nome di questa persona. Se esco,
me lo ricorderò. Questa è solo una parte del primo paragrafo. In questa storia
ci sono molti
paragrafi. Ci sono molte altre persone evidenti. Ci sono molte cose da
riferire. Quello che ho detto è solo una piccolissima parte del paragrafo
dell’arma. Perché se parlo, di molte persone cadranno le maschere. Se parlo,
ficcherò il mio dito nei loro occhi. Queste persone sono state tutte implicate
nell’attentato. Io voglio solo dire che le dichiarazioni di AGCA non hanno
nessun valore. Se si cerca l’identità politica di AGCA, non c’è. Io questo
voglio dirvi.
Io vi dirò anche perché AGCA ha compiuto l’attentato. Ve lo
trascinerò qui per le orecchie. Non incolperò persone che non c’entrano con
l’attentato.
Se continuate in questo modo, coloro che sono realmente coinvolti
nell’attentato, scapperanno. Queste persone sono più grandi della S.V. ed
hanno grandi incarichi. Sono persone che possono indirizzare i fatti come
vogliono, ingannare l’opinione pubblica, entrare in questo Palazzo e
ricercare gli atti di codesto processo.
Quindi i primi particolari del complotto. “Tra queste persone ci sono
anche italiani, come di altri Paesi..., il ruolo di AGCA è quello di un
pupazzo; è solamente la persona che ha sparato. Le persone che hanno
partecipato al complotto sono le stesse che hanno fatto fare false
dichiarazioni ad AGCA e che poi gliele hanno fatte modificare... AGCA
conosce i nomi delle persone del complotto e le riconoscerà se gli saranno
mostrate. Egli non è stato usato inconsapevolmente... io so sicuramente di
tre persone che hanno partecipato al complotto. Ma possono essere anche di
più. Come ho saputo queste notizie lo dirò dopo. Io però non incolperò
persone di cui ho solo sentito dire... I mandanti sono tutti a livello
internazionale. Anche gli italiani che vi hanno partecipato rientrano in
questo livello internazionale... Io vi porterò la persona la persona italiana che
fa parte del complotto e vedrete che non è un Lupo Grigio. I Lupi Grigi non
c’entrano nulla con l’attentato al Papa. AGCA non è assolutamente un Lupo
Grigio.. .Perché AGCA sia stato scelto come esecutore del complotto, il
Giudice dovrà chiederlo all’italiano che io vi porterò...”. Sul fatto aggiunge:
“Oltre AGCA c’era un’altra persona. Quella che si vede in fuga potrebbe
essere, ma non voglio dire di più. Quel giorno c’era a Pazza S.Pietro una
persona che conosco e che potrebbe rassomigliare a quella riprodotta in
fotografia mentre fugge.” (v. interrogatorio CELIK, G.I. 9.3.94).
******************
Cap. 1.2.13. Le relazioni sulla detenzione extracarceraria.
In conseguenza di tali interrogatori - per la precisione quelli del
20 gennaio, del 17 febbraio e del 9 marzo - questo Giudice disponeva
prosecuzione della custodia in struttura extracarceraria così motivando:
“ - Considerato che l’imputato manifesta l’intenzione di aprirsi a
collaborazione sull’organizzazione mandante dell’attentato per cui è
processo, subordinando la collaborazione all’uscita dalle strutture
carcerarie; - ritenuto che l’imputato ha reso dichiarazioni, in parte già
riscontrate, a carico, per fatti di eccezionale gravità, di organi di Stato
straniero, così come a carico di membri dell’organizzazione in cui ha
militato, organizzazione tuttora in vita, diffusa in più Paesi europei ed in
grado di colpire; dichiarazioni pertanto che potrebbero comportare
reazioni pericolose per la sua persona; - ritenuto che pertanto sussistono
gravi ed urgenti motivi di sicurezza.
Nel corso di questa detenzione l’imputato ebbe colloqui del tutto
informali con personale di PG incaricato di provvedere al suo vitto ed
altri minimi bisogni. In esito a questi incontri quella PG si ritenne in
obbligo di riferire a questo Ufficio, i contenuti dei discorsi di CELIK,
afferendo essi ovviamente all’oggetto del processo. Sul valore di tali
relazioni e sulla capacità del CELIK di esprimersi in italiano si dirà più
oltre. Qui si riportano nelle parti di rilievo quelle relazioni, facendo
presente che gli argomenti in esse trattati hanno comunque fatto oggetto
di rituali interrogatori.
Nella prima, del giugno, così si riferisce: “Si trascrivono
sinteticamente i concetti assenti dal CELIK, espressi in stentato italiano.
-“Sono disposto a collaborare con la Giustizia italiana purchè in
condizioni diverse da quelle in cui attualmente mi trovo; non sono ne un
pentito ne’ un collaboratore di giustizia. Gli accordi presi in precedenza
con il Giudice erano quelli di essere sottoposto agli arresti domiciliari in
un appartamento che mi veniva fornito dagli inquirenti, senza il
controllo della Polizia, dove sia i miei amici che la mia donna avrebbero
potuto farmi visita, e da loro avrei saputo con estrema certezza tutti i
risvolti sull’attentato al Papa.”
-“Una volta sottoposto agli arresti domiciliari, e messo a
confronto con un magistrato “non politico” potrei raccontare per quanto
è di mia conoscenza indiretta, tutti i fatti circostanziati sull’attentato al
Papa ed al coinvolgimento di alcune persone facenti parte dei servizi
segreti svizzeri, francesi, tedeschi ed italiani”.
-“Sin da ragazzo, allorquando ancora giovane frequentavo gli
studi in un collegio, mi sono interessato della ideologia politica di destra
in contrapposizione a quello che era
il potere che governava in Turchia. In seguito entrai a far parte dei
“Lupi Grigi”, i quali si sono sempre assunti la paternità degli attentati
che si sono susseguiti in Turchia. Per quanto riguarda l’omicidio del
giornalista turco “ABDI IPECKI”, so con certezza che a compierlo fu
ALI’ AGCA, e che successivamente i Lupi Grigi si assunsero la
paternità dell’attentato visto il grande clamore suscitato sull’opinione
pubblica. Di fatto, ALI’ AGCA non ha mai fatto parte dei Lupi Grigi”.
-“In seguito all’arresto di ALI’ AGCA, alcuni Lupi Grigi tra cui
un graduato delle guardie carcerarie, favorirono la fuga dello stesso dal
carcere militare di Maltepe (Istanbul), facendolo travestire da guardia
carceraria. Nell’occasione il mio compito fu quello di trovare un
appartamento sicuro dove poter far alloggiare il fuggiasco, unitamente
al graduato delle guardie carcerarie, cosa che feci. Dopo circa una
settimana. ALI’ AGCA con nuovi documenti falsi, fornitigli dal gruppo
dei Lupi Grigi, cominciò a girovagare per l’Europa. Alcuni anni dopo
venni a sapere da alcuni amici che ALI’ AGCA si era presentato come
un appartenente al gruppo dei Lupi Grigi, a BEKIR CELENK;
quest’ultimo, lo prese a calci e lo scaraventò fuori dalla porta”.
-“Sei mesi dopo l’attentato al Papa, un emissario dei servizi
segreti italiani, fu condotto da appartenenti ai servizi segreti svizzeri, in
un appartamento da me occupato, all’interno del quale mi fu proposto
un nuovo attentato al Papa, nella circostanza mi fu data una somma in
denaro, affinchè io potessi ben riflettere sul da farsi”.
-“Non sono stati i Lupi Grigi a sequestrare la cittadina del
Vaticano Emanuela ORLANDI, altrimenti lo avrei saputo fin dal primo
momento, però sono in grado di contattare alcuni miei amici che
sarebbero in grado di risolvere i “vostri problemi”.
-“Sono in grado, qualora sottoposto agli arresti domiciliari, di
farvi sequestrare un carico di droga per complessive tre tonnellate”.(v.
relazione Digos, Roma 17.6.94).
Nella seconda, sempre di quel giugno, si riferisce che nel corso di
una traduzione CELIK aveva affermato che era convincimento, non
suffragato però da prove, che il “giudice politico” cui aveva fatto cenno
più volte nelle sue dichiarazioni, quale inquinatore di prove e collegato
ai servizi segreti italiani, era l’istruttore MARTELLA, già titolare della
seconda inchiesta e codelegato, nella prima parte, di questa terza.
CELIK aveva anche aggiunto di ritenere che nell’ambito di brevissimo
tempo dalle sue dichiarazioni, queste sarebbero state riferite al predetto
Giudice, sulla cui utenza telefonica, se tempestivamente intercettato,
sarebbe emerso il nome del Cardinale coinvolto nell’attentato al Papa.
(v. relazione Digos Roma, 23.06.94)
Nella terza relazione di quel mese si ragguaglia che il nostro
aveva indicato, sempre nel corso dei dialoghi informali con PG, che alla
preparazione dell’attentato avrebbero partecipato due Cardinali, che si
sarebbero incontrati con AGCA, nell’arco dei sei mesi precedenti il
delitto, durante pubbliche udienze del Pontefice. (v. relazione Digos
Roma, 29.06.94)
Nell’ultima di quel giugno si menzionano specificamente testuali
e spontanee ulteriori dichiarazioni del turco.
-“... sono certo dell’esistenza di una videoregistrazione nella
quale compaiono i due “cardinali” in compagnia di AGCA, in quanto fu
proprio l’AGCA a parlarmene mentre mi
trovavo in Austria, questa registrazione, sarebbe servita in un momento
successivo per garantire la sua e la mia incolumità.
-“... se tra qualche anno il Papa attuale, Giovanni Paolo II°
dovesse morire, non si esclude la possibilità che il suo successore possa
essere proprio uno dei due “cardinali” che ne organizzò l’attentato.
-“... i nomi dei due “cardinali” sono riportati in una mia agenda
che al momento custodisce uno dei miei tre fratelli in Turchia; al
momento proprio non ricordo i loro nomi.
-“... fui espulso dall’Olanda in quanto mentre ero compartecipe ad
una festa nuziale di un mio connazionale, quattro partecipanti alla festa
esplosero in aria diversi colpi di arma da fuoco, probabilmente perché in
stato di ebbrezza. La Polizia che intervenne identificò le quattro persone
armate, e siccome io non ero in regola con i permessi di soggiorno fui
espulso.
-“... il Giudice MARTELLA è colui che in tutti questi anni ha
tenuto nascosta la verità sull’attentato al Papa, per fare questo è stato
sicuramente aiutato dai servizi segreti italiani e dai “due cardinali”.(v.
relazione Digos Roma, 30.6.94)
In quella del luglio successivo la PG trasmette memoriale redatto
dal detenuto nella sua lingua, memoriale che, tradotto in italiano, così
recita:
“Così come ho dichiarato anche in precedenza, in ciò consistono
le cose che io ho sentito ed ascoltato. Portando in Tribunale una politica
stabilita e tracciata fuori, hanno incaricato di ciò gli uomini che
rappresentano la legge. Queste, in ordine, sono così. AGCA, al ritorno
dalla Tunisia, ora non so se era doganiere, gendarme o poliziotto, ma
catturato viene poi consegnato agli uomini dell’Informativo. Non so in
quale città, ma queste cose forse ci sono nell’incartamento, tre o due
giorni
sta con questi uomini che sono dell’Informativo italiano. Poi viene fatto
conoscere a due Cardinali. Questi inculcano e benedicono (n.d.t. termine
intuitivo, evidentemente popolare, che non trova posto nel vocabolario)
AGCA. Questa parte è lunga, questo l’ho dichiarato anche in
precedenza nelle mie dichiarazioni. Poi viene portato alle riunioni a
porte chiuse del Papa, sempre da questi uomini, e vengono ripresi su
nastro TV. C’è sempre gente che, assoldando uomini, si fa mettere la
firma a dichiarazioni inventate e si fa allusione di chiarimento dei fatti.
Uno di questi è TURKOGLU. Viene chiamato in Italia, viene
acquisita la dichiarazione e dati dei soldi, lo si stipendia. Gli si fanno in
Italia le pratiche di residenza, ecc.. Questo uomo viene per primo,
all’uomo dell’Informativo. Dato un miliardo di lire gli si danno anche
tremila lire di stipendio al mese. Poi firma la dichiarazione richiesta dal
Pubblico Ministero che fa le indagini. La sua motivazione è quella di
dare informazioni riguardo l’arma. Questo lo sa meglio il Pubblico
Ministero che fa le indagini.
EYUP ERDEM, per avere dato il mio indirizzo sempre agli
uomini dell’Informativo italiano e dell’Informativo svizzero, portato in
Italia, date duecentocinquantamila lire, lo si stipendia. Anche questo lo
sanno sempre il Pubblico Ministero e coloro che l’hanno fatto. Queste
sono persone che attualmente risiedono in Italia.
Ma le dichiarazioni di questi chissà perché sono smarrite. Anche
l’uomo che ha venduto le armi, che si chiama OTTO, viene sempre
ricompensato da coloro che fanno queste indagini, si danno dei soldi.
Queste cose sono tutte nascoste. Per quanto riguarda SAMET ASLAN,
sempre quelli che fanno le indagini vengono alle strette. Non hanno
nessuna prova nelle
loro mani, gli uomini che hanno accusato (n.d.t.: sic!). “Ovviamente tra
questi ci sono anch’io ORAL CELIK”. Viene fatto dire ad AGCA: sì, si,
ORAL CELIK farà di nuovo l’attentato al Papa. Subito appresso
SAMET ASLAN, senza soldi e senza passaporto, per di più ricercato in
Turchia, uno che è conosciuto come “Lupi Grigi” nel suo passato, viene
scelto come vittima dalla persona che è stata citata nei verbali di
Tribunale in precedenza anche da YALCIN OZBAY e che èconosciuta
dall’Informativo tedesco come “lupo”. A un’arma viene fatto il numero
di serie dell’arma presa da OTTO. Dati soldi e passaporto gli si dice di
portare quest’arma in Olanda. Ovviamente sempre da parte della stessa
persona viene fatto bere alcolici e ubriacato. A causa dell’ubriachezza,
andando in treno vuole sparare, l’arma non funziona. Ovviamente “nella
data in cui hanno catturato questa persona come ORAL CELK io ho
saputo queste cose attraverso qualcuno”. Sempre dalla stessa persona,
dopo essere stato accomiatato, viene denunciato. Solo dopo essere stato
catturato capisce di essere stato fatto cadere in trappola, che perfino il
numero dall’arma era solo sul suo calcio, che perfino era stato inciso da
qualcuno inesperto, “che anzi aveva detto (n.d.t.: sic!) fattura di Laso”.
Se volete poi vi spiego quello che significa “fattura di Laso” (n.d.t. Sono
“Lasi” i membri della popolazione originaria del sud-est della costa del
Mar Nero).
Sempre quello che ho sentito dall’uomo dell’Informativo italiano
che venne in Svizzera: hanno detto che si davano da fare per far evadere
AGCA, che non avevano nessuna colpa nella sua cattura, che avevano
perfino depositato tre milioni di dollari sul conto 343 a nome di una
donna turca, “che questo molto probabilmente era forse nella Banca
Vaticana” e che erano stati depositati da parte di un monsignore.
Mi hanno fatto delle proposte, i dettagli di queste li racconto in
futuro. Hanno immischiato il mio nome in questo fatto, “vero che il
Tribunale ha deciso che io sono innocente, ma “hanno immischiato il
mio nome in questo fatto per non aver confermato le cose che sono state
proposte da parte di coloro che hanno fatto commettere il fatto.
Io non sono immischiato in nessunissimo fatto, per di più farò
cadere la maschera di coloro che hanno cercato di perdere la verità da
13 anni nel suo paese.
Per favore non mi consideri come se calunniassi qualcuno, io non
sto calunniando nessuno, sto solo difendendo me stesso e le cose che ho
sentito.
Anzi voglio Giustizia, Giustizia.
Egregio Giudice, voglio che queste cose le sappia solo lei, perché
il fatto giunga alla luce, non voglio perfino che si sappia da un secondo
Giudice o Pubblico Ministero.
(Firma illeggibile)
(n.d.t. La traduzione in presenza di frequenti sgrammaticature ha
dovuto spesso rimediare al senso per un minimo di comprensione. Si
noti ad esempio la punteggiatura assolutamente singolare). (v. relazione
Digos 16.07.94)
******************
Cap. 1.2.14. L’interrogatorio del 23 giugno 94.
Dopo questo memoriale, CELIK muta nuovamente atteggiamento
e manifesta più volte alla P.G. il desiderio di esser posto agli arresti
domiciliari o di rientrare in struttura
carceraria, e il proposito di non voler più rendere dichiarazioni all’ A.G..
Constatato perciò questo chiaro intento di non voler più
collaborare, l’Ufficio disponeva revoca dell’ordinanza 31 marzo
precedente .(v. ordinanza G.I., 02.09.94)
Nel corso della custodia extracarceraria erano anche continuati gli
interrogatori di questo G.I.. In essi l’imputato confermava la gran parte
dei fatti di cui aveva parlato durante quella custodia.
ORAL CELIK ritorna, in primo luogo, sulle istigazioni che
AGCA avrebbe ricevuto dall’interno del Vaticano.
-“Se si riuscisse ad ottenere dei video sulle riunioni di circa sei
mesi prima del fatto sino al giorno dell’attentato, riunioni in cui il Papa
parlava ed erano presenti sia colui che ha incitato AGCA che
quest’ultimo, si potrebbe provare che queste due persone erano vicine.
Io questi video non li ho visti; ma ne ho sentito parlare diversi anni fa in
Austria. Potrò essere più dettagliato in seguito. Le riunioni o le
conferenze chiuse in cui erano presenti il Papa e gli altri due di cui ho
parlato, erano due, in due differenti luoghi.
Non so che tipo di riunioni o conferenze fossero. Non so se
fossero al Vaticano o fuori; ma con grande probabilità erano al
Vaticano. In queste riunioni AGCA viene portato dal Cardinale che
istigò AGCA all’attentato. Non so dire se si trattasse delle riunioni della
domenica o quelle del mercoledì. Per il momento è importante acquisire
le cassette dei sei mesi precedenti l’attentato.
So che cosa significa il termine Cardinale. So che è un uomo di
religione. Non si tratta di un solo Cardinale. Si trattava
di due Cardinali. Sono cose che ho sentito dire dodici anni fa. Uno di
questi due Cardinali diceva: “Dopo trecento anni è venuto un polacco e
ha messo sottosopra la politica del Vaticano”. L’altro aveva messo in
testa ad AGCA che centocinquant’anni prima era stato detto che sarebbe
venuto un soggetto sacro, e che egli era quella persona. Io avevo preso
appunti su queste notizie. Questi appunti sono nascosti fuori d’Italia. Io
potrei mandare qualcuno. Devo essere messo in grado di ricevere
persone.
Se si riuscisse ad acquisire le cassette di cui ho parlato, si
potrebbero vedere i Cardinali che sono vicini ad AGCA. Io non conosco
questi Cardinali, ma li potremmo riconoscere giacchè stanno vicino ad
AGCA. I luoghi dove si svolgevano queste riunioni erano, come ho
sentito dire, luoghi chiusi. Le occasioni sono state due. Sono stati ripresi
nelle primissime file, prima, massima seconda.”
Quando dico Cardinale che aveva incitato AGCA, volevo dire la
persona che gli ha fatto fare l’attentato. Oltre i Cardinali c’erano anche
altre persone, come persone appartenenti all’Informativo italiano.
Quando dico Informativo intendo Servizi d’informazione. Se riesco a
parlare con qualcuno potrò dire anche qual’è il mese in cui si sono
tenute le riunioni filmate. Si tratta di persone che possono venire in
Italia e che potrebbero andare a prendere i miei appunti.
Non ho mai avuto invito ad organizzare attentati ai danni del
Papa. Molte persone mi hanno invitato ad attribuire la responsabilità
dell’attentato eseguito ai bulgari. Sono qui per non aver accettato queste
proposte. Queste proposte mi venivano da italiani, che accompagnati da
elementi dei servizi svizzeri, sono venuti presso di me in Svizzera. Ciò
accadeva prima della celebrazione del secondo processo per l’attentato.
Gli italiani vennero con gli svizzeri, quando costoro si
presentarono da me per chiedermi se fossi ORAL CELIK. Questo
quando non era mai venuto fuori il mio nome.
Posso dire i nomi di persone che conoscono sia i nomi dei
Cardinali che appaiono nelle fotografie, sia il nome di colui che appare
mentre fugge nella fotografia di Piazza San Pietro.
Questi nomi, le indagini che potrei fare o far fare, mi possono
essere dati con precisione da un mio amico, se gli fosse consentito di
farmi visita.
Non ricordo se mi fu detta quale fosse la nazionalità dei due
Cardinali. Mi fu invece detto l’incarico ricoperto da uno dei due. Non
intendo dire al momento quale fosse questo incarico, perché sono solo
ed ho paura di ritornare in carcere. Queste sono persone potenti e
pagano pure AGCA.
Se non sarò lasciato solo, potrò dire anche dove e quando AGCA
incontrò quelli dei servizi italiani prima dell’attentato. Devo dire che mi
fu detto che AGCA aveva subito prima dell’attentato un falso arresto,
sicuramente sotto altro nome.
Ripeto: sono solo. Dopo queste dichiarazioni forse anche la mia
famiglia non mi accetterà più. Le persone che hanno istigato AGCA
sono molte potenti e capaci di influire sui Servizi di Sicurezza europei.
Chiedo perciò che il Giudice mi protegga. Non sono un pentito ne’ un
collaboratore; non chiedo perciò il perdono della legge.
Il Cardinale che parlò ad AGCA della profezia di
centocinquant’anni prima sulla persona sacra, si definiva il messaggero
di questa profezia.
Ritorna poi sui magistrati, sui magistrati di cui teme, sui
magistrati che sono in questo Palazzo.
“Io ho sempre paura del magistrato politico. In questo Palazzo ci
sono magistrati politici. Sono quelli che hanno fatto condannare subito
AGCA, perché avevano timore che parlasse. Così ho sentito dire. Ci
sono altri dettagli su questa vicenda, che mi riservo di dire.”.
Ritorna infine sulle proposte fattegli perché la responsabilità
dell’attentato venisse attribuita ai Bulgari. Dopo aver ribadito quanto
detto sopra, ripete specificando che quella proposta gli fu rivolta sia dal
personaggio del Servizio italiano che da coloro che appartenevano al
Servizio svizzero. (v. interrogatorio CELIK, G.I. 23.06.94)
*******************
Cap. 1.2.15. L’interrogatorio del 5 luglio 94.
Anche in quello seguente CELIK si sofferma, e a lungo, sui due
Cardinali di cui aveva parlato in quello di giugno. Il suo discorso è così
specifico che appare opportuno riportarlo integralmente.
“Voglio dire una cosa che ho ricordato e che ho definito come
chiave. AGCA quando è tornato dalla Tunisia - questo dato risulta dal
suo passaporto, sia il giorno che il luogo d’arrivo - in quel giorno viene
intercettato dalla Polizia e sottoposto a una specie d’arresto. Viene
quindi consegnato al Servizio informativo italiano, cioè a quel Servizio
che corrisponde in Turchia al MIT. Con loro resta due o tre giorni.
Viene interrogato, ovviamente, dagli uomini del Servizio. Alla fine di
questi due o tre giorni viene presentato ai due Cardinali
di cui ho parlato la volta scorsa. Uno dei Cardinali lo benedice,
festeggiano il loro incontro e dopo circa quindici giorni - un mese, viene
portato alle udienze del Papa di cui ho parlato. La data d’ingresso in
Italia appare nel passaporto di AGCA, quello intestato a FARUK
OZGUN. Uno di questi Cardinali è un personaggio molto importante,
“fa Messa in nome proprio”.
L’interprete fa presente che l’imputato usa per “Messa” il termine
Hutbe che nella religione mussulmana è un richiamo al Califfo.
“Queste cose, in buona parte, mi sono state dette da AGCA; mi
sono state dette a Vienna, nella casa di Jheringgasse. Eravamo seduti in
un caffè; una persona che stava con noi gli disse che la sua affermazione
di voler attentare al Papa era apparsa anche sui giornali austriaci; questo
ovviamente è piaciuto ad AGCA e così egli ha narrato che aveva anche
partecipato alle “riunioni chiuse” con il Papa; ha anche detto che era
stato riconosciuto come una persona sacra. Certo quando egli ci
raccontò queste cose, ci sono sembrate strane. Dopo che se ne era
andata la terza persona che ho detto, io l’ho ripreso ed egli mi ha
raccontato tutte le altre circostanze che ho detto.
Queste cose, in verità, mi sono state dette anche da altre persone
in Svizzera. Mi sono state dette da due svizzeri e da un italiano. Gli
svizzeri erano della Polizia o dei Servizi, più probabilmente dei Servizi.
Mi hanno chiesto se AGCA mi avesse fatto dei nomi, dei nomi che essi
mi fecero. Si trattava di nomi di Cardinali o di altre persone importanti.
Mi chiesero se AGCA mi aveva parlato di queste persone e se io avessi
riferito questi nomi ad altre persone. Mi chiesero se ricordavo quei
nomi. Io risposi che me li ricordavo, che ne avevo parlato ad altre
persone e che mi ero appuntato quei nomi.
Come ho detto con i due svizzeri c’era anche un italiano che era li
per conto di persona che era al servizio dei Cardinali già detti. Devo dire
che quando i tre parlavano delle persone sopra dette, mostravano un
particolare ossequio e le qualificavano con aggettivi di carattere
religioso. Io tutte queste cose posso provarle. Io ho delle prove scritte.
Queste prove sono in Turchia. Io posso trovarle e farle portare.
L’incontro è avvenuto presso la mia abitazione in Svizzera.
C’è stato un solo incontro. In seguito mi hanno portato ad una
Centrale della Polizia Svizzera. Qui mi hanno offerto 50.000 franchi e
mi hanno fatto delle proposte, su cui io dissi che avrei riflettuto. Il fatto
accadeva in Svizzera, nell’82. Non riesco a ricordare il mese. Stavo in
Svizzera da tre-quattro mesi. Provenivo dall’Austria. I tre mi hanno
chiesto se AGCA aveva citato dei nomi; mi hanno chiesto di tre nomi;
io ho detto di si; Al che essi mi hanno chiesto se ne avevo parlato con
altri. Alla mia risposta affermativa, mi hanno chiesto con chi. Io non ho
fatto però i nomi. Al momento non ricordo questi nomi. Quando me li
ricorderò li dirò.
Ho ricordato che uno dei Cardinali, cioè uno degli uomini di
Chiesa di cui ho parlato, era una persona interessata agli affari esteri.
Non so però se esiste un Ministero degli Esteri; era però una persona
che curava gli affari esteri o lavorava per gli Affari Esteri. Di queste
notizie la fonte è AGCA. Le persone che sono venute da me in Svizzera
mi hanno fatto, come ho detto, dei nomi. Io, non essendo pratico dei
nomi italiani, non so dire se si trattasse degli stessi nomi. Non posso
nemmeno dire se si trattasse di nomi italiani o di nomi di altra
nazionalità. Mi hanno poi detto cose che confermavano quelle dette da
AGCA.
A domanda di quali fossero le cose confermate dai tre, risponde:
“per esempio mi hanno detto i nomi dei Cardinali, chiedendomi se me li
aveva riferiti AGCA. Questa era la domanda principale dei tre. Mi hanno
chiesto se AGCA mi aveva parlato dei Cardinali. Ripeto: io ho risposto di
sì. Al che essi mi hanno chiesto se io li avevo detti ad altri. Al che io ho
risposto di sì, ho risposto come detto sopra.
AD P.M., se egli avesse creduto alle parole di AGCA, -risponde:
“io non ci credetti. Io ritengo che gli Svizzeri e l’italiano, che sono venuti
presso di me a Zurigo, siano arrivati a me ed alla mia abitazione attraverso
dichiarazioni di AGCA. Dopo la visita dei tre, io ho ritenuto che quelle
fossero le persone che avevano istigato AGCA. Nonostante che io avessi
già detto a loro che avevo annotato quei nomi, solo dopo la loro visita, mi
annotai quei nominativi.
“AD Difesa, se AGCA avesse fatto i nomi e li avesse fatti
precedere dai titoli religiosi, che poi useranno i tre, risponde:
“quando questi nomi mi furono fatti da AGCA, costui fece
precedere i nomi solo dal titolo di Cardinale. Come ho detto erano due.
Quando questi stessi nomi mi furono fatti dai tre, cioè dai due svizzeri e
dall’italiano, costoro usarono, mi sembra, titoli di rispetto che si danno
agli uomini di Chiesa. Non so dire se usarono anche il titolo di Cardinale.
Comunque quando li porterò al Giudice, si potrà vedere che cosa
fossero...
“...AD. Difesa, se ricordi se tra i nomi fattigli ci fosse un nome
francese, risponde: Io non ricordo. Persino i francesi mi chiesero uno di
questi nomi. Io risposi che non sapevo. I francesi hanno citato uno dei
nomi che conoscevano anche gli svizzeri. I francesi usarono per questo
nome il titolo di Cardinale. Mi chiesero se io avevo sentito mai nominare
il Cardinale “tale.”. (v. interrogatorio CELIK, G.I. 05.07.94)
*******************
Cap. 1.2.16. L’interrogatorio del 21 settembre 94.
Dopo il rientro nelle strutture carcerarie, il flusso delle
dichiarazioni non s’arresta. Continua principalmente sui
comportamenti di AGCA prima dell’attentato, sulle vicende
nell’abitazione di Zurigo, sui video e il conto corrente cui aveva già
accennato, su Emanuela ORLANDI.
Nel primo interrogatorio di settembre CELIK riferisce di
“deposizioni siglate e cifrate” rese in Italia, a Roma nell’“81, da più
turchi, e quindi secretate; tra cui TURKOGLU CHAT che ha parlato
sulle armi; EYUP ERDEM, sull’attentato; la persona che ha venduto
l’arma. Tutti costoro sono stati retribuiti con uno stipendio mensile ed
hanno ricevuto documenti d’identità nuovi. Tali documenti si
potrebbero reperire ed interpretare, se non sussistesse l’opposizione
dei Servizi.
Da’ poi una sua interpretazione della vicenda di ARSLAN
SAMET, attribuendone la responsabilità ai tedeschi e agli italiani, che
mettono in bocca ad AGCA la storia secondo cui CELIK sarebbe
riapparso ed avrebbe sparato al Papa. In effetti qualche giorno dopo
l’arresto di ARSLAN SAMET il Papa sarebbe giunto in Olanda.
Cosicchè tutta la stampa europea scrisse che “i Lupi Grigi” non
avevano messo a posto il cervello e ci riprovavano un’altra volta”.
Quindi parla di un conto bancario presso la Santa Sede di tre
milioni di dollari, a nome di una cittadina turca. “So che
questi soldi sono stati depositati per ALI’ AGCA; so che il conto porta
il numero 343. La banca è quella vaticana. I soldi furono depositati
nell”82. Non so da chi furono depositati. Per saperlo dovrei uscire.
Tutte queste cose le ho annotate. Se potessi uscire, potrei trovare i
miei appunti. Non so se questi soldi siano stati ritirati.”. Di questo
conto seppe in Svizzera dall’uomo dei Servizi italiani. Che gli mostrò
anche un foglio ove ne era riportato il numero.
Delle video cassette riproducenti udienze pontificie aveva
saputo dallo stesso AGCA nel corso di un visita di costui alla sua
abitazione di Vienna. E qui rifà la storia della presentazione di AGCA
ai due ecclesiastici, che sono divenuti “Monseigneurs” secondo il
termine usato dallo stesso AGCA, che ne parlava come di persone
illuminate od anche Evliya, cioè persona di poco inferiore a Profeta,
che riesce a parlare con gli Angeli e con il Profeta. I Servizi italiani,
che avevano preso in carico ACCA dopo il suo arrivo dalla Tunisia, lo
avevano presentato ai due monsignori. Uno di costoro diceva che il
loro incontro era scritto e pregava su di lui, “per rendere sacro
l’incontro”; l’altro affermava che il Papa polacco aveva messo a
soqquadro tutto il Vaticano, “dopo trecento anni è giunto un Papa
polacco che ha cambiato la politica esistente nel Vaticano. Costui, che
pregava proprio perché non accettava il Papa polacco, pregava a nome
di Dio e proprio”.
Ma subito dopo aggiunge: “Io non ho creduto a quello che
diceva - AGCA; n.d.e. - e lo abbiamo anche cacciato di casa
A lui, alla sua abitazione di Zurigo - così si conclude questo
interrogatorio - sarebbero giunti i Servizi italiani, che avevano
richiesto a quelli svizzeri notizie su di lui, MEHMET
SENER e ABDULLAH CHATLI. Gli svizzeri si rivolsero ad EYUP
ERDEM e così si trovò il suo indirizzo. “Vorrei solo dire che sono
stato individuato da più Polizie europee, come quella svizzera e quella
francese. Pur sapendo dove mi trovavo e cosa facevo, mi hanno
sempre bloccato nell’intento di recarmi in Italia. Questo lo sapevano
anche i Servizi italiani, ma tutti non volevano che io entrassi in Italia,
perché sapevano che avrei detto la verità che contrasta con quella detta
fino ad allora”. (v. interrogatorio CELIK, G.I. 21 .09.94)
**************
Cap. 1.2.17. L’interrogatorio del 22 settembre 94.
L’indomani, a precisa domanda su come fossero stati
individuati TURKOGLU, EYUP e TINTNER, egli risponde riferendo
fatti e circostanze di interesse: “Questi signori si sono rivolti ai Servizi
Segreti - non so a quali. Suppongo che questi Servizi abbiano portato a
qualcuno della Giustizia le loro deposizioni. Accanto alle loro
deposizioni sicuramente ci sono i nomi delle persone a cui hanno fatto
rivelazioni. So addirittura che la stessa persona sotto diversi nomi, ha
rilasciato più dichiarazioni. Non so però quale dei tre. La persona che
ha interrogato questo elemento è strano che non abbia riconosciuto la
stessa persona che gli si presentava sotto un diverso nome. La persona
che riceveva queste dichiarazioni dava una somma a chi faceva
dichiarazioni. Ad ambo le parti, sia chi riceveva le dichiarazioni sia
chi le faceva, faceva comodo questo gioco. Ho saputo che queste
persone fino a nove mesi fa continuavano a vivere in Italia, ricevendo
un compenso di tre milioni al mese,
sempre perché si erano resi disponibili ad aiutare la Giustizia nella
ricerca degli autori dell’attentato al Papa.
Per quello che ho saputo hanno fatto delle dichiarazioni in Italia.
TURKOGLU prima delle dichiarazioni viveva in Austria; EYUP in
Svizzera; TINTNER, sempre per sentito dire, in Austria. TINTNER fa
parte del Servizio segreto europeo. Prima dell’attentato un appartenente
ai Servizi segreti diede ad AGCA l’indirizzo di Otto TINTNER,
dicendo che gli avrebbe fornito l’arma necessaria. Questo discorso
avvenne in Italia e il personaggio apparteneva ai Servizi italiani. Questa
stessa persona, mentre AGCA è in viaggio, telefona ad Otto TINTNER
avvisandolo di questo turco e dicendogli di fornirgli le armi necessarie.
Subito dopo l’attentato, questo stesso personaggio, temendo che Otto
TINTNER possa essere individuato, lo chiama per telefono dicendogli
che la situazione sta per divenire pericolosa. TINTNER raggiunge
Roma e con i Servizi segreti stabiliscono il tipo di deposizione da fargli
fare. Otto TINTNER è ovviamente un uomo dei Servizi segreti. Ha
fatto parte anche, ho saputo, della Gestapo. I Servizi sono tutti collegati
l’uno con l’altro, in particolare quello italiano, quello austriaco, quello
tedesco. Si sa che queste persone, già appartenenti alla Gestapo, erano
ritenuti elementi importanti per i Servizi segreti.
Secondo le mie supposizioni Otto TINTNER dovrebbe essere
giunto in Italia tra i quindici e i trenta giorni dopo l’attentato.
TURKOGLU è possibile che sia giunto tre mesi dopo. EYUP otto mesi
dopo. Otto TINTNER è la stessa persona che ha dato le armi ad ALI’
AGCA e che ha rilasciato le sue deposizioni a proposito di queste armi.
So che gli sono stati dati per l’arma mille scellini, che non
corrispondono al prezzo reale
dell’arma. EYUP ERDEM rivelò invece il mio indirizzo in Svizzera.
EYUP ERDEM è la persona alla quale telefonò AGCA lo stesso giorno
dell’attentato nella mattinata. I Servizi segreti sapevano della
telefonata. ALI’ AGCA stava in un albergo e i Servizi Segreti sono
risaliti ad EYUP ERDEM dalla telefonata che egli fece. Questa
telefonata era stata fatta in Svizzera. I Servizi sapevano della telefonata
perché erano in contatto con ALI’ AGCA.
Devo precisare: la mattina dell’attentato fece tre telefonate
dall’albergo in cui soggiornava. Egli era controllato dai Servizi
Segreti. Fece una telefonata in Germania, una seconda in Austria, la
terza in Svizzera. I numeri telefonici dell’Austria e della Germania
corrispondevano a due abitazioni, mentre il terzo numero, quello della
Svizzera, corrispondeva ad un’azienda di costruzioni ove lavoravano
più di cento persone. I Servizi segreti volevano sapere a chi aveva
telefonato; sapere delle prime fu più semplice perché erano abitazioni,
mentre per la terza la ricerca apparve difficile.
Chiesero ad AGCA a chi avesse telefonato in Svizzera. Questo
glielo hanno chiesto quando era in prigione. AGCA rispose che aveva
chiamato EYUP ERDEM. A questo punto i Servizi segreti
contattarono EYUP ERDEM, presumendo che egli avrebbe potuto
fornire utili notizie sull’attentato. I Servizi segreti in realtà lo
contattarono, affinchè egli non divulgasse notizie sull’attentato,
proprio perché essi avevano progettato l’attentato. I Servizi, temendo
che AGCA avesse fatto ulteriori dichiarazioni ad EYUP ERDEM,
fanno venire EYUP ERDEM in Italia e gli danno una somma di Lire
250.000.000, un’occupazione, un mensile di Lire 3.000.000 ed un
passaporto falso.
Non so quando EYUP ERDEM rivelò il mio indirizzo di Zurigo ai
Servizi. Essi però si presentarono alla mia abitazione in un giorno degli
ultimi mesi del 1981. Io non sono mai stato fermato dalla Polizia
svizzera. Conosco le dichiarazioni della Polizia svizzera in merito ad un
mio fermo in quel Paese, ma esse sono false. I Servizi segreti italiani e
svizzeri giunsero a casa mia e discutemmo e ci mettemmo d’accordo.
L’indomani tutti e tre insieme - io, il rappresentante dei Servizi italiani e
il rappresentante dei Servizi svizzeri - andammo al palazzo della
Sicurezza di Zurigo - ove hanno sede la Polizia e i Servizi, sito nei pressi
della Stazione Centrale vicino ad un canale. Qui fecero la fotocopia del
mio passaporto - al tempo avevo il passaporto HARUN CELIK -, mi
hanno dato 50.000 franchi, dopo di che abbiamo continuato con i nostri
incontri e con le nostre discussioni. Ci siamo incontrati parecchie volte.
Siccome non mi piaceva ciò che dicevano, ho fatto perdere le mie
tracce; trasferendomi in Francia. A quel punto è partito un ordine di
cattura nei miei confronti. L’ordine partiva dall’Italia, perché temevano
che io potessi parlare con la stampa, con la televisione o con qualche
altro. All’inizio avevo accettato quello che mi dicevano; in seguito mi
hanno fatto delle proposte che io non approvavo. Ovviamente
sull’attentato al Papa. All’inizio gli incontri avvenivano in casa mia; in
seguito in luoghi pubblici, tipo ristoranti o caffè, ed anche nei loro uffici.
Proprio in quel periodo venni a sapere dai due delle deposizioni di
TINTNER e TURKOGLU. Queste rivelazioni me le fecero dopo che io
avevo dichiarato di accettare le loro proposte, così guadagnandomi la
fiducia. A questo punto mi confidarono delle dichiarazioni di
TURKOGLU e TINTNER così come del conto 343. Venni così a sapere
tutti i tranelli che
dovevano organizzare in seguito all’attentato. Mi proponevano diverse
cose: soldi, passaporti ed altro, affinchè io non facessi alcuna rivelazione
a nessuno sull’attentato al Papa. Parlavamo un po’ in tedesco, un po’ in
turco, giacchè uno degli elementi del Servizio svizzero parlava il turco.
Avevo già detto che in Austria avevo frequentato una scuola di
lingua tedesca, il Goethe Institute. Questa relazione è durata più di tre
mesi. Dopo che io me ne sono andato e dopo l’emissione dell’ordine
di cattura hanno trovato un’altra persona che mi ha sostituito, una
persona cui io avevo dato delle informazioni. Io in questa faccenda
non ho alcun interesse, ne’ ideologico, ne’ d’altro genere. Potrei essere
utile, solo se uscissi dal carcere. Vi parlo di fatti concreti, senza
incolpare nessuno. Io sono stato accusato di tante cose, di essere
anarchico, di essere implicato nell’attentato al Papa”.
Sul documento concernente il conto, riferisce che si trattava di
un foglio di circa 15 cm. per 5. Vi era impresso il timbro della banca
del Vaticano e riportato il numero del conto. Vi era anche il nome
della cittadina turca.
Quando egli si incontrò con gli elementi dei Servizi svizzero e
italiano ricorda che da essi venne a sapere che vi era a Roma un
Monsignore con conto su cui erano depositati 10.000.000 di dollari, da
impiegare in pro di coloro che erano implicati nell’attentato.
Mostratogli poi l’album delle fotografie agli atti ed invitato a
dichiarare se vi conosce qualcuno, risponde di no e quindi
spontaneamente aggiunge: “AGCA nelle telefonate della mattina
dell’attentato disse: ““Hanno organizzato tutto così bene che è
impossibile che io sia preso””. Dopo di che uno di questi del Servizio
Segreto che venne a trovarmi in Svizzera –
sono sempre quelli che venivano a trovarmi a Zurigo - mi disse che loro non
avevano alcuna colpa nell’arresto di AGCA; disse che non era stato uno della
Polizia ad arrestarlo, ma una suora.
Quando fece quelle tre telefonate, AGCA aggiunse però che,
nonostante l’organizzazione, aveva timore di essere ucciso e che per questo ci
metteva al corrente di quello che stava per fare. Probabilmente aveva paura di
chi lo aveva ingaggiato. La mia opinione personale è che non sia stata la
suora ad acchiapparlo, ma che lui si sia fatto prendere volontariamente.
Posso precisare, dal momento che avevano detto che tutto era
perfettamente organizzato, che anche qualcuno della sorveglianza del Papa
era “sotto controllo”. Quindi io presumo che anche qualcuno della
sorveglianza fosse al corrente dell’attentato. Quello del Servizio italiano a
Zurigo mi disse che tutto era stato organizzato alla perfezione, che il Servizio
di sorveglianza era sotto controllo. Per questo io suppongo che qualcuno della
sorveglianza fosse al corrente dell’attentato.
Spontaneamente: qualche tempo fa un Giudice donna mi ha interrogato
sul sequestro di una ragazza di nome Emanuela ORLANDI. Io non so se i due
fatti, l’attentato al Papa e il sequestro ORLANDI, sono collegati. Io riferisco
quello che ho saputo. In questo caso c’è un errore giudiziario. Attraverso la
stampa si convince l’opinione pubblica di un errore. Si dice che AGCA è un
Lupo Grigio; si dice una calunnia e cioè che i Lupi Grigi sono implicati
nell’attentato al Papa ed anche nel sequestro di Emanuela ORLANDI. Il Lupo
Grigio è semplicemente un simbolo; il simbolo degli Idealisti di destra. Io
dico che è una calunnia l’attribuzione del sequestro di Emanuela ORLANDI;
io so alcune cose su questo sequestro e
voglio dichiararle al Giudice donna. Qua si dice che Emanuela ORLANDI è
stata rapita perché AGCA venga rilasciato e per
questo dicono che gli autori sono gli Idealisti di destra. Gli Idealisti di
destra non si sono mai macchiati di fatti terroristici internazionali.
Questa affermazione vale per gli Idealisti di destra sia in Turchia che
nelle altre parti del mondo”. (v. interrogatorio CELIK, G.I. 22.9.94)
I successivi interrogatori compiuti dinanzi anche al Giudice
Istruttore titolare dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela
ORLANDI, hanno avuto ad oggetto essenzialmente questo evento e
pertanto nel relativo processo sono trattati e valutati. (v. interrogatori
CELIK, 23 e 28.09.94)
*************
Cap. 1.2.18. La fuga di notizie sugli interrogatori.
Come già s’è detto più volte, il contenuto degli interrogatori di
CELIK nell’ambito di brevissimo tempo dalla verbalizzazione è finito
ai mezzi di informazione.
La prima apparizione di notizie è sul quotidiano romano “Il
Messaggero” del 24 gennaio 94. Nell’articolo dal titolo “CELIK:
sull’attentato al Papa la Francia sa molto” e sovratitolo e sottotitolo
rispettivamente: “Il terrorista turco sostiene che i servizi d’Oltralpe
hanno un dossier segreto” e il “Capo dei “LUPI GRIGI” venne
contattato più volte, durante il processo in Italia nel 1985: gli 007
francesi gli chiesero informazioni su ALI’ AGCA e sui retroscena
della sparatoria in Piazza San Pietro” - si riportano notizie che solo chi
ha assistito agli interrogatori - il giornalista sa anche che sino a quel
giorno sono stati quattro - o ha letto i relativi verbali, poteva
conoscere.
Al punto tale che questo Ufficio, trasmise copia dello scritto alla
Procura della Repubblica per l’esercizio dell’azione penale per
violazione del segreto istruttorio, essendo gli atti da cui erano state
tratte le notizie, peraltro mai rilasciati in copia alla difesa, coperti dal
quel segreto. (v. nota G.I. 24.01.1994).
A seguito di tale infrmativa la Procura promuoveva azione
penale e richiedeva copia dei verbali violati. In risposta questo Ufficio
trasmetteva i verbali di interrogatorio del 20 dicembre 93 e 12 gennaio
94, da cui erano state estratte notizie uscite nell’articolo, comunicando
anche che il fascicolo degli interrogatori ed esami era rimasto sempre
in armadio blindato, collocato nella sede dell’Ufficio; che tale armadio
veniva da questi personalmente aperto o su sua disposizione dal
personale di cancelleria.
Nonostante l’apertura e il progresso di tale procedimento, le
violazioni del segreto istruttorio non s’arrestavano.
Il 5 di agosto l’Avvocato GENTILONI SILVERJ Michele
difensore di CELIK informava questa A.G. che il giornalista Roberto
CHIODI, del quotidiano “L’Informazione”, presente dinanzi a lui nel
luogo da dove veniva effettuata la telefonata, era a conoscenza dei
contenuti degli interrogatori del predetto imputato. Il giornalista
conosceva in particolare che ORAL CELIK aveva parlato di “ambienti
Vaticani” con una certa precisione. L’avvocato faceva presente che
non poteva per telefono precisare ulteriori dettagli, stante anche la
presenza del giornalista. (v. relazione per gli atti 05.08.94)
Il giorno seguente predetto avvocato inviava a questo Ufficio un
fax nel quale specificava quanto avvenuto il giorno precedente nel suo
studio. Così testualmente il fax: “.... facendo
seguito al colloquio telefonico intercorso con la S.V. alle ore 12 :00 del
giorno 5.8.1994, ribadisco che il Sig. ROBERTO CHIODI redattore del
quotidiano “LA VOCE” si è presentato al mio Studio per un breve colloquio
alle ore 11.30 del 5.08.1994.
Di seguito all’invito a narrare quanto di sua conoscenza sulla posizione
dell’imputato in oggetto, (come sono solito fare allorquando mi vengono
rivolte domande afferenti la posizione processuale dei miei assistiti) il
giornalista si è dimostrato in possesso di delicatissime informazioni, sia sulla
matrice che il Sig. ORAL CELIK ha attribuito all’attentato al Sommo
Pontefice, sia sulla posizione di contorno della persona vista fuggire in Piazza
San Pietro, affermando testualmente che “CELIK ha riferito di essere in grado
di fornire la prova della di lui identità, consegnando un’altra foto”.
Dal tenore delle affermazioni del giornalista appare probabile che
qualcuno abbia violato il segreto delle indagini preliminari in corso, con grave
pregiudizio del mio assistito che, sempre, ha insistito sulla necessità che
venisse tenuto segreto l’esatto contenuto delle di lui deposizioni.
Ugualmente grave, e contrario all’ interesse sia del mio assistito che
dell’Ufficio, è il particolare del presunto “pentimento” del Sig. ORAL
CELIK, che è idoneo a porre in pericolo sia la sua persona fisica che la
possibilità di ottenere ulteriori informazioni.
Tanto comunico per quanto di competenza dell’Ufficio.(v. fax
GENTILONI SILVERJI 06.08.94)
L’8 immediatamente successivo Corriere della Sera, Repubblica,
Messaggero e la Voce riportavano dichiarazioni di ORAL CELIK
sull’attentato al Papa. Questi i titoli dei relativi articoli: “Sull’attentato al Papa
solo fantasticherie. Il Vaticano smentisce ORAL CELIK . L’avvocato del
Turco replica: “Ha
detto altre cose credibili” (La Repubblica); “So chi voleva morto il
Papa. CELIK fa i nomi di alti prelati della Chiesa. Il Vaticano:
“Fantasie”. Le sconcertanti rivelazioni del complice di AGCA”. (Il
Messaggero); “In Vaticano il complice di ALI’ AGCA” (Il Corriere
della Sera); “Il Papa, l’attentato, i mandanti ... l’alta gerarchia del
Vaticano ha armato la mano di AGCA. Al complotto hanno
partecipato anche cittadini italiani di spicco. CELIK ha fatto nomi,
cognomi, forniti riscontri, dati, verifiche” (La Voce). All’interno di
questi articoli in effetti nomi, cognomi, dati, brani degli interrogatori.
****************
Cap. 1.2.19. Il mancato arresto del maggio 86 a Parigi.
Altra vicenda che conferma la esistenza di altissime protezioni
in favore di ORAL CELIK è il suo mancato arresto tra la fine di
maggio e i primi del giugno ‘86 a Parigi.
In quel periodo erano in corso indagini tese ad accertare il luogo
ove si sarebbe trovata Emanuela ORLANDI nella capitale francese,
indagini alle quali partecipavano funzionari della polizia tedesca e di
quella italiana, oltre che, ovviamente, della polizia francese. Una
“persona di fiducia” avrebbe dovuto prendere gli opportuni contatti.
Tale persona, che era ricercata dalle Autorità Svizzere con mandato di
arresto internazionale per violazione della legge sui narcotici, aveva
suggerito “due possibilità per arrivare al luogo di permanenza della
ORLANDI. La via più breve sarebbe stata attraverso CHATLI, la più
lunga attraverso CELIK, che è ricercato e vive in clandestinità.”
Questa “persona di fiducia”, come risulta dai rapporti delle
polizie tedesca e italiana, non era altri che YALCIN OZBEY, del quale
più volte già s’è detto, divenuto informatore della prima polizia, che
portò con se’ in quella occasione come interprete NADIM SENGUN,
anch’esso cittadino turco.
Le operazioni iniziarono mercoledì 28 maggio nel tardo
pomeriggio. I francesi come primo atto, informarono i colleghi delle
altre polizie del mandato di arresto internazionale sull’uomo di fiducia,
e riferirono che per motivi politici il soggiorno in Francia per costui
sarebbe stato limitato fino al 30 maggio immediatamente successivo, ad
h.17.00. Riferirono altresì che il contatto con ABDULLAH CHATLI
detenuto a Parigi da parte della “persona di fiducia”, era stato respinto
anch’esso a causa del detto mandato di arresto internazionale.
I risultati di questo incontro vengono comunicati, in serata,
all’OZBEY e al SENGUN. Il primo esprime dubbi sulla possibilità di
riuscire a individuare la residenza di CELIK in così breve tempo, tanto
più che egli stima che vi siano maggiori probabilità di contatto nel fine
settimana. La polizia tedesca comunque gli dà incarico di individuare
innanzi tutto il luogo di soggiorno della ORLANDI.
L’indomani giovedì 29 maggio, SENGUN comunica di aver
trovato insieme ad OZBEY l’appartamento della ORLANDI e di aver
individuato altri due luoghi di incontri di turchi illegali “appartenenti
alla Organizzazione”. Il primo si sarebbe trovato in Rue de la Requette
40, gli altri due in Boulevard de Strasbourg ed in Rue de Saint Denis.
Non era stato possibile entrare nel primo appartamento, perché le porte
d’ingresso davano su un cortile interno e di notte questo cortile era
chiuso da una salda porta d’accesso.
All’incontro con i francesi e gli italiani i primi riferiscono che
quell’appartamento era già stato perquisito e che in tale occasione vi era stato
un conflitto a fuoco con gli inquilini.
I tedeschi poi richiamano l’attenzione degli italiani su KAZIM
GUZEL, al riguardo della sospetta organizzazione dì un secondo attentato al
Papa, già detenuto in Germania. “Mediante misure operative è stato accertato
che GUZEL ha ripreso nuovamente contatti con gli italiani”.
Nel pomeriggio dello stesso giorno si concerta la procedura di contatto
con CHATLI e CELIK, che dovra avvenire attraverso due persone, entrambe
di nome “OMER”. “OMER di CURUM” che si metterebbe in contatto con
“OMER di ELAZIG”. Questo secondo “OMER” sarebbe perfettamente
informato su CHATLI e CELIK; aiuterebbe finanziariamente la moglie di
CHATLI; avrebbe anche pagato una parte delle spese per il suo avvocato.
OZBEY vuole poi prendere contatto con altri due membri della
“Organizzazione” e cioè “KAJA UCTEPE”, il presidente della Federazione
Turca a Parigi, e ISMAIL KOYUNCU, mente finanziaria della
“Organizzazione”.
I francesi comunicano che in Francia non esiste una anagrafe dei
cittadini residenti nè vi erano informazioni in merito ad una Organizzazione
dei Lupi Grigi.
Il giorno successivo, venerdì 30 maggio, nuovo incontro tra le tre
polizie e nuove consultazioni. Alle 19.00 OZBEY riferisce che “OMER di
CURUM” gli aveva a sua volta riferito che ORAL CELIK si trovava a Parigi
e che lo aveva incontrato presso l’Ufficio per le richieste d’asilo, giacchè
avrebbe avuto intenzione di costituirsi alle autorità francesi, essendo stato
assolto nel processo di Roma. OZBEY s’impegna anche a rintracciare
ATILLA, ovvero ORAL CELIK, e parlargli.
Nel successivo colloquio OZBEY afferma che il suo compito stava
divenendo pericoloso, giacchè le persone che avrebbe incontrato erano del
“livello più alto” ed erano tra loro legate da stretta amicizia. Sempre in
questa occasione gli viene dato l’incarico di affrontare nel corso
dell’incontro con CELIK direttamente l’argomento del rilascio della
ORLANDI e della somma proposta di 150.000 marchi.
Quella notte stessa i tedeschi apprendono da SENGUN che OMER
di ELAZIG aveva chiamato per comunicare che CELIK avrebbe telefonato
ad OZBEY YALCIN a partire dalle h.24.00.
L’indomani, sabato 31 maggio, SENGUN comunica ai funzionari
tedeschi che nella notte non si è verificato alcun contatto. I francesi
nell’incontro delle 9.30 dichiarano, in merito alla intenzione di ORAL
CELIK di costituirsi, di aver avuto con lui dei contatti. Questi aveva tentato
di trattare determinate garanzie in caso di costituzione. Queste garanzie gli
sarebbero anche state accordate, ma egli non si era più presentato.
Alle 22.30 finalmente il contatto con ORAL CELIK.
Successivamente l’evoluzione degli eventi sino alle 12.30
dell’indomani, domenica 10 giugno, risulta di tale interesse che bene
appare riportare integralmente il contenuto del rapporto:
“Ore 22.30 - L’interprete informa telefonicamente che ORAL
CELIK è a Parigi. La persona in questione ha ricevuto una telefonata da
CELIK alle ore 22.05. L’incontro era previsto in un caffè che si trova di
fronte all’Hotel Europe. Tuttavia, poiché il caffè era chiuso, la persona in
questione e CELIK sono andati via in macchina insieme.
Domenica, 1° Giugno 1986, ore 01.30 - Nuova telefonata
dell’interprete. La persona in questione, con la scusa di
prendere del denaro, nel frattempo è rientrata in albergo. Essa però ha detto
soltanto che era insieme a CELIK, che CELIK era ingrassato, aveva meno
capelli e sembrava più vecchio che non sulle foto che gli erano state mostrate.
Ore 05.00 - Ritorno della persona in questione all’albergo.
Ore 08.00 - Contatto con l’interprete all’Hotel Europe e appuntamento
alle ore 10.00 al Ministero degli Interni.
Ore 09.00 - Incontro al Ministero degli Interni con i colleghi italiani e
francesi i quali vengono messi al corrente dei fatti. Ci viene spiegato che la
persona di ALI’ UNAL èconosciuta alle autorità francesi per misure operative
prese contro CHATLI.
Ore 10.00 - L’interprete si presenta in ufficio e spiega la telefonata
intercorsa tra CELIK e la persona in questione. CELIK ha affermato di essere
appena arrivato e ha chiesto alla persona se nei pressi dell’albergo vi fosse un
caffè. E’ stato quindi fissato un appuntamento nel caffè. (vedi protocollo della
telefonata del 31.5.85, ore 22.05)
Quindi l’interprete parla della conversazione di ieri tra la persona e
CELIK. La persona gli avrebbe detto che tre uomini sono arrivati in macchina
all’albergo, e cioè ORAL CELIK, ALI’ UNAL ed un terzo uomo che non
conosceva. Poiché il caffè era chiuso sono andati in macchina a Pigalle. La
macchina era una Ford Taunus di colore scuro. A Pigalle CELIK ha
raccontato alla persona in questione che collaborava con i Servizi Segreti
inglesi ed inoltre che aveva forti contatti con la mafia turca in Europa. La
persona in questione ha raccontato a CELIK di essere venuta con un “uomo
molto ricco”. Quest’uomo era venuto per il “Bianco” (questo codice per
l’interprete era stato in precedenza accordato tra noi). La persona ha poi
spiegato di essere stato avvicinato da persone dei Servizi Segreti tedeschi
“i
quali volevano avere la ragazza”. Per il rilascio della ragazza erano disposti
a pagare 150.000 DM. CELIK ha solo riso e ha detto che la ragazza era “un
gioco dei Servizi Segreti e non era importante”. Durante tutto il colloquio
la persona in questione era ritornata continuamente sull’argomento della
ragazza. CELIK però ha parlato soltanto del “Bianco” e non era disposto a
fornire informazioni sulla ragazza. Soltanto quando la persona in questione
ha dichiarato di essere a conoscenza che la ragazza viveva insieme al
rapitore, CELIK è diventato serio e ha detto: “Noi non abbiamo rapito la
ragazza, CELEBI è il vero organizzatore di tutta questa azione”.
Il colloquio è avvenuto in parte in un’atmosfera molto cordiale e in
parte molto riservata. CELIK ha inoltre dichiarato che era stato fermato in
Francia durante un controllo stradale, e cioè circa un mese prima della
sentenza di Roma. Non ha citato ulteriori dettagli su tali controlli. Poi
CELIK ha anche raccontato di essere ritornato da Hannover, dove aveva
visto il film “L’attentato”. Sul contenuto complessivo del colloquio la
persona in questione ha dichiarato che gli è parso quasi anormale che
CELIK parlasse tranquillamente di tutto e si bloccasse soltanto quando
l’argomento verteva sulla ragazza. La persona in questione ha dato a
CELIK l’indirizzo del suo caffè in Germania e si sono ripromessi di tenersi
in contatto. Un nuovo contatto tra CELIK e la persona in questione
dovrebbe aver luogo oggi verso le ore 10.00 all’Hotel Europe.
Con i colleghi francesi ed italiani si è discusso di un eventuale
arresto del CELIK. I francesi hanno rifiutato per non mettere in pericolo la
persona in questione. Alla nostra proposta di fare arrestare tutte e tre le
persone (CELIK, l’interprete SENGUN e la persona in questione), da parte
dei francesi è stato spiegato che a causa del mandato di arresto della
Svizzera la persona in questione non sarebbe poi stata rilasciata.
L’interprete, Sig. SENGUN ha lasciato il Ministero alle ore 11.00.
Ore 11.17 - Telefonata dell’interprete dall’Hotel Europe.
Il Sig. SENGUN afferma che CELIK è in albergo e che intendono
lasciare immediatamente Parigi. CELIK indicherebbe loro la strada con la
sua macchina; l’interprete annoterà la targa e la comunicherà qui (al
Ministero degli Interni).
Ore 12.30 - Telefonata dell’interprete al Ministero. Spiega che hanno
preso un caffè con CELIK nella Rue de II Novembre. CELIK è in viaggio
con l’auto targata: 91 81 NN 92, Ford Taunus, 1,31 GL.
Prima di raggiungere l’autostrada in direzione di Metz, CELIK si è
separato da lui”. (v. rapporto P.G. DUsseldorf, 02.06.86)
Ben diverso il rapporto della Polizia italiana che sintetizza,
ovviamente omettendo anche circostanze di rilievo, gli eventi sopra
descritti in quattro pagine, sovente ne riferisce al condizionale, e dedica,
facendo riferimento al caso ORLANDI, solo poche righe ad ORAL
CELIK. (v. rapporto Squadra Mobile Roma, 09.06.86)
**************
Cap. 1.2.20. Considerazioni finali.
Dall’intiera vicenda di ORAL CELIK possono trarsi sin d’ora - e
quindi prescindendo dalle relazioni di questa posizione con altre, in
particolar modo quella di MEHMET ALI’ AGCA, e con le molteplici altre
circostanze in oggetto di questa inchiesta - conclusioni e giudizi
estremamente negativi sulla
collaborazione tra gli Stati in materia di assistenza giudiziaria e sulla
impossibilità di ricostruire fatti sulla base di dichiarazioni di personaggi,
così contraddittori, discontinui e, senza dubbio, con obbiettivi e capacità di
inquinamento dell’inchiesta.
Mai come in essa si sono frapposte, da parte delle Autorità di un
Paese alleato ed amico come la Francia, difficoltà enormi al riconoscimento
delle reali generalità del CELIK e alla conseguente sua estradizione in
Italia; difficoltà superate, con modalità quasi fortunose, mediante
l’esibizione di un rapporto redatto dalla stessa polizia giudiziaria francese -
in data 08.10.91 e quindi di gran lunga prima che il Guardasigilli di quel
Paese si preoccupasse, proprio il giorno della scadenza della detenzione di
CELIK, di richiedere alle Autorità italiane, che avevano formulato
domanda di ricerche e di arresto provvisorio ai fini estradizionali del
suddetto, delucidazioni sull’esposizione dei fatti, formale richiesta di
estradizione ed elementi di identificazione che permettessero d’affermare
che ATES BEDRI era ORAL CELIK - che confermava puntualmente ogni
ipotesi sulle generalità del sedicente ATES BEDRI.
L’atteggiamento negativo ha di fatto bloccato, come s’è detto, per
ben tre anni e sette mesi le possibilità di indagini sul soggetto, e con ogni
probabilità ha consentito, a prescindere da colpe di quelle Autorità, la
sparizione o l’affievolimento di prove genuine e la predisposizione e il
rafforzamento di false piste.
Atteggiamento tanto più da biasimare, giacchè a quanto risulta alla
situazione di false generalità avevano dato causa proprio quelle Autorità,
consapevoli della reale personalità del soggetto e di quanto egli aveva
commesso o saputo al riguardo dell’attentato al Sommo Pontefice,
confezionando per lui un
falso nome, una falsa origine etnica, una falsa militanza politica,
convincendolo altresì, a maggior sua tutela, ad assumere la qualità di
rifugiato politico.
Atteggiamento che è continuato, anche se poi non per deliberato
proposito, allorchè, avendo riconosciuto che quelle generalità erano false,
per tanto processavano e lo condannavano, per cui egli a causa
dell’espiazione dovette restare in territorio francese per altri due anni e più.
Una volta messo piede in Italia il CELIK al varco di frontiera, e al
momento in cui viene consegnato alla Polizia italiana, nomina un suo
difensore di fiducia nella persona dell’avvocato GENTILONI SILVERJ già
nominato nella precedente inchiesta, difensore d’ufficio per MEHMET
ALI’ AGCA, nomina per la quale aveva richiesto, ed ottenuto, dispensa in
ragione del fatto che la sua famiglia, da secoli, era tradizionalmente legata
alla Santa Sede da rapporti strettissimi di fedeltà e di servizio, in particolare
il padre che in quel periodo era investito di una carica onorifica presso il
Sommo Pontefice.
Sulle prime, per più interrogatori il CELIK si mostra collaborativo e
narra vicende, che per più versi trovano riscontri in risalenti indagini, in
modo da accreditarsi come persona attendibile e cooperante. Anche se ogni
sua ricostruzione, in particolare quelle relative a fatti, nei quali egli
dovrebbe aver avuto una parte e spesso nemmeno di secondo piano,
prescinde accuratamente da sue presenze. Al punto tale che egli appare un
personaggio che conosce fatti e circostanze, e li conosce, non può essere
altrimenti, direttamente, quasi de visu, ma di essi dà a credere di essere
semplice spettatore,
neutrale rispetto a connazionali, compagni di ventura e militanze sia in
patria che in tante contrade straniere.
Ma tant’è. Egli si mostra così collaborativo, che nell’intento di
acquisire ulteriori elementi se ne dispone custodia extracarceraria. Ma a tal
punto inizia, con ogni probabilità pienamente consapevole, un’opera di
intorbidamento dell’inchiesta che immediatamente richiama la condotta del
principale suo coimputato nella seconda inchiesta. Intorbidamenti con
dichiarazioni del tutto sfornite di prove ed incredibili, sì da mostrarsi
immediatamente calunniose. Intorbidamenti con ricostruzioni sulle matrici
dell’attentato anch’esse sfornite del tutto di riscontri, contraddittorie e
lacunose. Intorbidamenti, perchè iniziano mutamenti di dichiarazioni e
ritrattazioni, che come si diceva, portano alla memoria le condotte
processuali di quel suo coimputato che sopra si indicava. Cosicchè l’unico
effetto resta la creazione di totale incertezza ed impossibilità anche di
accertamenti minimi.
Comunque anche in tale situazione alcuni punti fermi su di lui
possono esser posti. In primo luogo sulla sua posizione nell’ambito
dell’organizzazione dei Lupi Grigi. Egli che rivendica la sua qualità di
Ulkulu, ne è di certo una delle figure di maggiore spicco. Appartiene al
livello direttivo dell’organizzazione, cui aderisce giovanissimo. Senza
possibilità di errore egli è secondo soltanto ad ABDULLAH CHATLI, che
del settore semiclandestino ed armato è il capo. E’ in contatto con i
presidenti ed i rappresentanti delle varie associazioni turche per i Paesi
europei, RAMAZAN SENGUN, MAHMUT INAN, CERDAR CELEBI.
E’ colui che s’adopra e segue sin dalla Turchia il personaggio
destinato ad essere la punta del commando
dell’attentato. Lo ausilia nell’evasione da Kartal Maltepe, lo prende in
consegna immediatamente dopo l’evasione, lo indirizza nei vari recetti
della latitanza, lo finanzia. Praticamente lo prende in carico e lo protegge
sia nei confronti del braccio della giustizia turca - all’epoca amministrata
da tribunali militari - che dalle possibili aggressioni di opposte fazioni.
Non solo: organizza per lui, a brevissima distanza di tempo
dall’evasione e prima che venga intrapreso quello in Europa, il noto
viaggio in Iran. Viaggio che di certo non è di piacere né può essere stimato
di asilo, perché all’epoca già vigeva il durissimo regime dell’Iman
Khomeini. E che perciò deve essere definito, anche per la sua durata di più
mesi, vera e propria missione.
Su di essa mai si è indagato, sia per la quasi inesistenza di rapporti
con l’Iran sia per la materia delle eventuali richieste, che sarebbero state
immediatamente definite di natura politica. Di modo che ne sarebbe
derivata, anche per la diversità di culture, una collaborazione pari a quella
di qualche Stato europeo di cui s’è detto.
Certo quella lunga trasferta in Iran ha tutti i connotati di una vera e
propria missione. Innanzi tutto perché è organizzata da CELIK, figura già
all’epoca eminente nell’organizzazione. In secondo luogo, perché la sua
preparazione richiese addirittura una decina di giorni, dal 20 al 30 di
gennaio di quell”80, in una città decentrata del Paese, Erzurum, prossima
alla frontiera dell’Unione Sovietica. E proprio attraverso l’Unione
Sovietica, AGCA raggiungerà l’Iran. La missione cioè non prevedeva la
strada diretta sull’obiettivo. E dire che Erzurum dista dalla frontiera
iraniana quanto da quella sovietica. Non solo: la deviazione non è breve,
perché il percorso prevede
l’attraversamento dell’Armenia e dell’Azerbaijan sovietici sino a Baku sul
Caspio e di qui a Tabriz in Iran, così facendo anche un ritorno verso ovest
di moltissimi chilometri. Si ferma a Tabriz in febbraio, marzo e buona parte
di aprile. Da Tabriz fa però frequenti viaggi a Teheran, di certo non per
motivi turistici, perché altrimenti non si sarebbe esposto al pericolo dei
controlli che in Paesi come l’Iran d’allora si espletavano sugli stranieri in
movimento sul territorio. Si deve infatti ricordare che egli all’epoca era in
possesso di un passaporto afghano intestato a tal HICKMET, passaporto
consegnatogli nel corso di un incontro, presente CELIK, con ABUZER
UGURLU, che oltre a tale documento gli aveva donato 15.000 marchi.
In aprile il fatto nuovo. Avviene il fallimento della spedizione
militare statunitense, voluta dal presidente CARTER, per liberare il
personale dell’Ambasciata USA a Teheran, sequestrato dalle milizie
mussulmane. A seguito di questo episodio il regime khomeinista dà un giro
di vite, specie verso gli stranieri. AGCA deve abbandonare il Paese e
CELIK organizza il suo prelievo, recandosi personalmente in Iran.
A questo punto si pone la questione del perché AGCA non sia stato
avviato direttamente in Europa, bensì dirottato verso questa permanenza in
Iran. Una risposta a tale quesito potrebbe venire dalla lettera di AGCA del
settembre 97, AGCA che, essendo dotato d’intuito e d’antenne, può aver
percepito che il problema della sua permanenza in Iran si poneva, e si
premura di “proporre” una sua risposta. All’epoca il KGB temeva
fortemente sia il Papa Woytila che l’Iman Khomeini, entrambi dotati di
potenzialità eversive dell’impero sovietico. Per questa ragione fu spedito a
Teheran, ove fu preparato a cura del colonnello Vladimir KUZIUSKI e con
l’aiuto di comunisti iraniani, un attentato contro l’Iman, poi fallito.
Sul resto delle condotte di CELIK, che lo configurano come elemento
di rilievo altissimo, già s’è detto nei precedenti paragrafi e nel capitolo
dedicato ad AGCA, come si dirà in quelli che verranno su CHAT
TURKOGLU, ARSLAN SAMET, SULEYMAN CIMEN, sulla rete svizzera.
C’è solo da rilevare come egli sappia su TURKOGLU tutto il seguito della
storia e cioè quella parte che i nostri Servizi non sanno o dicono di non
sapere, ovvero che il contatto ci fu, fu instaurato un rapporto, da esso
derivarono preziosissime notizie dapprima raccolte dal Servizio e poi
riversate all’inquirente dell’epoca. Da quel tempo TURKOGLU è scomparso
come attesta la polizia austriaca e quella turca. CELIK conferma tutto quello
che in questa vicenda s’era da sempre presunto e che tutti dei Servizi hanno
sempre negato, anche in virtù di carte che non si sono mai trovate.
Ma che CELIK sia un personaggio di rilievo lo conferma il particolare
atteggiamento di protezione della Francia nei suoi confronti, e per converso
quello di ostilità di Servizi e polizie probabilmente antagonisti, che giocano a
CELIK lo scherzo della soffiata al suo passaggio alla frontiera franco-belga,
che gli costò un certo numero di anni. CELIK è ben conosciuto da Servizi e
polizie di Francia sin dal tempo del suo primo ingresso in quel Paese nella
prima metà degli anni 80 - così come è conosciuto dai nostri e dagli svizzeri,
che appena mette piede nel loro territorio, non avendo la possibilità di
espellerlo, gli offrono danaro perché se ne vada -. Sin da quel tempo quindi
con ogni probabilità sanno delle sue pendenze con la Giustizia italiana, che
non sono per furti o truffe di lieve entità, bensì per concorso nell’attentato al
Sommo Pontefice. Nonostante ciò, per evitargli la cattura gli danno generalità
e personalità nuove, curdo comunista perseguitato politico, così come già s’è
detto ed anche in dettaglio.
Ma egli non viene protetto soltanto negli anni 80; lo sarà anche negli
anni 90, allorchè scoperta la sua vera identità dovrebbe essere estradato
verso quei Paesi con i quali ha ancora dei conti aperti.
Egli era stato condannato alla pena pecuniaria di 2.164.000 franchi.
Questa sanzione viene inopinatamente ridotta, quando sta per scadere
quella detentiva, non della metà o di qualche terzo, ma addirittura di
diciannove ventesimi. Il misero ventesimo rimasto, che quand’ anche fosse
restato insoluto, sarebbe stato convertito in una minima reclusione, viene
però immediatamente pagato da un avvocato, di cui nulla mai si è saputo,
nemmeno il nome.
La pena quindi avrebbe dovuto aver termine il 29 novembre di quel
91. Ma proprio quel giorno il Guardasigilli francese richiede, come s’è
visto, alle Autorità italiane delucidazioni sulla partecipazione di ORAL
CELIK ai fatti, formale richiesta di estradizione e gli elementi di
identificazione che consentono di affermare che ATES BEDRI sia ORAL
CELIK. Di certo questa nota sembra mostrare la ignoranza sia del rapporto
della Polizia giudiziaria francese redatto l’8.10.91, sia del mandato di
cattura del G.I. di Versaglia emesso il 28.11.91. Di certo non è possibile
determinare quale fosse il fine di quella richiesta; sta di fatto però che
l’indomani, il 30.11.91, le Autorità francesi, che hanno al loro vaglio tre
domande di estradizione, l’italiana, la svizzera e la turca, sospendono la
liberazione di CELIK, per l’estradizione verso la Confederazione Elvetica,
dimostrando nuovamente di non essere a conoscenza del provvedimento
restrittivo di Versaglia. Di certo il comportamento del Ministero della
Giustizia francese - che si vuole sperare teso solo alla difesa del diritto di
asilo - un risultato lo ha raggiunto con la trattazione del caso
CELIK; ha mostrato cioè l’esistenza di incrinature nella nota efficienza
delle Amministrazioni francesi, e cioè carenze gravi nei rapporti di
informazione tra Ministero dell’Interno e quello della Giustizia, tra questo
Dicastero e i Tribunali.
Da ultimo brevissime considerazioni sulla “messaggistica” che è
all’interno delle dichiarazioni di CELIK, capacità questa che lo conferma
come personaggio di rilievo non solo nell’organizzazione, ma anche nel
complesso gioco dei Servizi e degli Stati. Messaggi a tutti coloro che egli
ha servito o di cui si è servito, in particolare in quelle frasi ove s’afferma
che la sua estradizione e la sua detenzione in Italia non era nei patti.
Messaggi alla Francia, quando rivela le storie di cui s’è detto. Messaggi
all’area ex comunista, quando scagiona i bulgari, e afferma anche che gli
sono stati offerti denari per accusarli, invocando a mo’ di giustificazione la
comune lotta contro il comunismo. Messaggi alla Santa Sede, con i suoi
“coinvolgimenti” di Principi della Chiesa. Messaggi, tra i meno
comprensibili alla Gran Bretagna, là ove afferma di essere al tempo degli
interrogatori, al servizio di quella Intelligence. Messaggi anche al suo
Paese di origine, quando scagiona gli Ulkulu, anzi ne rivendica l’idealismo.
Paese quest’ultimo, che tuttora lo accoglie senza procedere a catture
per condotte che comunque dovrebbero essere stimate gravissime, e
quando per caso lo arresta, lo libera nell’ambito di quarantotto ore,
addebitando i fatti ad errori di Procure.
____________________
CAPITOLO TERZO
La vicenda di CIHAT TURKOGLU
Cap. 1.3.1. La documentazione SISMI su TURKOGLU.
Dalla documentazione della 1^ Divisione acquisita dal SISMI si
rilevava che 1’Addetto Militare presso l’Ambasciata d’Italia a Vienna, con
messaggio nr. 761 del 10 giugno 1981, all’oggetto “Possibili notizie su
attentato al Papa”, aveva riferito al SISMI che “un turco, TURKOGLU
CIHAT, Passaporto Nr.206258 emesso il 26 marzo 1980, residente a
Vienna, sedicente Capo del TURKISCH KULTURELLES VEREIN, nome
di comodo in Austria per i cosiddetti Lupi Grigi, si dice in possesso di
notizie relative all’attentato al Papa. Accetta, tuttavia di parlare solo, ripeto
solo, con l’Ambasciatore e purché vi siano garanzie di ‘protezione” per sè e
la sua famiglia, poiché quanto riferirà potrà coinvolgere altri turchi
residenti in Austria”. Il messaggio continuava sottolineando che
“l’Ambasciatore non intende essere coinvolto”.
In calce al messaggio si leggeva l’annotazione manoscritta
“Rispondere positivamente.- Dire che siamo orientati a stabilire contatto in
Austria o in Italia (meglio in Italia con più accorte garanzie)”, a grafia del
Col. NOTARNICOLA, Direttore della l^ Divisione. Il 3 giugno, pertanto,
la l^ Divisione trasmetteva all’Addetto Militare a Vienna il messaggio nr.
15103/1^/04, con il quale informava della disponibilità del Servizio ad
incontrare TURKOGLU CIHAT, alla presenza di diplomatici ed in piena
sicurezza e riservatezza. Di ciò veniva messa a conoscenza la 2^ Divisione
del SISMI, competente per l’Estero, con missiva del 3 giugno, alla quale
risulta allegata una nota manoscritta per il Direttore della 1^ Divisione, da
cui si evince che l’incarico di Addetto
Militare a Vienna era all’epoca ricoperto dal Col. SARDO. L’estensore
della nota, PETRUCCELLI, suggeriva di far partecipare all’incontro “il
Magg. SENO che ha seguito sin dall’inizio la vicenda”.
L’Addetto Militare a Vienna con messaggio del 5 giugno informava
il SISMI che il TURKOGLU risultava irreperibile e che gli accertamenti
svolti sia presso l’abitazione, che al posto di lavoro avevano dato esito
negativo. Il medesimo con messaggio del 10 giugno, ribadendo che il
TURKOGLU era irreperibile, suggeriva la soluzione di far contattare
dall’Ambasciatore d’Italia il collega turco o di interessare l’Antiterrorismo
austriaco.
Il 16 giugno la l^ Divisione informava la 2^ Divisione che
TURKOGLU non era rintracciabile e che erano stati interessati i Servizi
collegati austriaco e turco per acquisire notizie relative alla personalità,
identità, localizzazione ed attendibilità del sedicente cittadino turco
TURKOGLU CIHAT.
Quanto sopra veniva portato a conoscenza del Direttore del Servizio
con appunto datato 19 giugno 1981, e con missiva del 20 giugno veniva
informata l’Autorità Giudiziaria nella persona del Sostituto Procuratore di
Roma SICA.
Il Servizio turco con messaggio del 6 agosto 1981 riferiva che
TURKOGLU era noto per essere stato Direttore della “Associazione
Culturale Turco-Austriaca” in Vienna e che “secondo una informazione
“per sentito dire”, non confermata, il soggetto, alcuni giorni dopo
l’incidente, si era rivolto al Consolato Generale Italiano in Austria allo
scopo di fornire informazioni sul tentato assassinio di Papa Giovanni Paolo
II”, chiedendo se ciò rispondesse a verità e in caso affermativo quali
affermazioni avesse fornito ai funzionari del Consolato.
La l^ Divisione del SISMI con messaggio del 30 settembre 1981
informava quel Servizio che TURKOGLU si era presentato, pochi giorni
dopo l’attentato al Papa, asserendo di essere in possesso di notizie
concernenti l’attentato e di aver chiesto protezione in quanto le
informazioni avrebbero coinvolto altri cittadini turchi residenti in Austria,
ma che in seguito si era allontanato rendendosi irreperibile. Il Servizio
turco con messaggio del 18 dicembre 1981 comunicava di non aver alcuna
notizia circa TURKOGLU.
*********
Cap. 1.3.2. La documentazione GORDON THOMAS su
TURKOGLU.
Il personaggio TURKOGLU riveste una particolare importanza,
tenuto conto che egli, se il suo tentativo di contatto, ad appena due
settimane dall’attentato, con l’Ambasciata d’Italia a Vienna, si fosse
realizzato, avrebbe potuto fornire utili notizie per l’inchiesta, in quel
momento ai primi passi.
Infatti, dalla documentazione esibita dal teste GORDON THOMAS
a questo Ufficio, in data 15 novembre 1983, verosimilmente consegnata
allo stesso dal cittadino austriaco barone Clemens VON BEZART, persona
legata al servizio segreto austriaco (la documentazione risultava poi essere
effettivamente fotocopia di documenti di autorità austriache) emergeva che
il 10 giugno 1981 TURKOGLU CIHAT si era presentato spontaneamente
alla polizia austriaca e fornito informazioni su AGCA e sulla pistola
utilizzata per l’attentato al Papa.
In particolare aveva riferito:
- di trovarsi in Austria dalla primavera del 1980 e di svolgere l’attività di
sarto;
- di aver ricoperto la carica di Presidente della “Associazione Culturale
Turca in Austria” dal giugno al dicembre 1980;
- di avere conosciuto circa quattro mesi prima due connazionali l’uno di
nome HASAN e l’altro MAZLUM, che nell’occasione gli vennero
presentati da RAMAZAN SENGUN, anchesso un turco residente a Vienna;
- che nel mese di marzo l’HASAN ed il MAZLUM gli avevano chiesto se
era in grado di procurare armi;
- che in occasione di una loro visita presso la sua abitazione, avvenuta
intorno al 15 o 16 aprile del 1981, i due gli avevano mostrato due pistole di
tipo FN BELGIUM, 9 mm. a 14 colpi, e che costoro, sulla via del ritorno,
gli avevano chiesto se conoscesse ALI’ AGCA;
- di aver incontrato successivamente I’HASAN, il quale gli aveva detto di
dimenticare la storia delle armi e le domande su AGCA, giacchè altrimenti
non avrebbe più potuto garantire nè sulla sua incolumità nè su quella della
sua famiglia;
- che dopo l’attentato al Papa, l’HASAN si era fatto rivedere in due
occasioni, il 19 e 27 maggio, sottolineandogli che non avrebbe dovuto dire
nulla sui discorsi fatti su AGCA’ e che da quel momento era continuamente
sorvegliato. (v. deposizione TURKOGLU alla Polizia di Vienna, 01.06.81)
Sulla base delle indicazioni di TURKOGLU veniva localizzato dalla
polizia austriaca, l’appartamento ove risiedevano i due turchi in Vienna 15,
Jheringgasse 33. Tale appartamento risultava abitato dai cittadini turchi
DURMUS UNUTMAZ e HASAN DABASLAN. Sotto tali nomi, com’e
noto, si celavano, rispettivamente, MEHMET SENER e ABDULLAH
CHATLI.
I funzionari di polizia austriaca sentiti a Vienna su rogatoria in data
10 dicembre 1985, confermavano le dichiarazioni che TURKOGLU aveva
loro reso a giugno del 1981. (v. Commissione Rogatoria a Vienna,
10.12.85)
Da quanto sopra si rileva che TURKOGLU, il giorno dopo le
dichiarazioni fatte alla polizia austriaca, si era presentato presso
l’Ambasciata d’Italia a Vienna con l’intento di offrire la propria
collaborazione, chiedendo soltanto protezione per sé e la propria famiglia.
Alla luce di ciò veniva, pertanto, espletata attività istruttoria al fine di
verificare il reale svolgimento dei fatti.
*****************
Cap. 1.3.3. Le testimonianze dei dipendenti dell’Ambasciata a
Vienna e del SISMI.
In data 7 novembre 1994 veniva raccolta la testimonianza
dell’Addetto Militare a Vienna, che nel giugno 1981 aveva interloquito con
TURKOGLU. Questi a prima battuta non rammentava alcunchè; soltanto a
contestazione della documentazione da lui originata e trasmessa al SISMI,
gli ritornava alla memoria la vicenda, e così dichiarava che TURKOGLU si
era effettivamente a lui presentato, probabilmente indirizzato dai funzionari
dell’Ambasciata, e che nell’occasione l’Ambasciatore non volle essere
coinvolto. TURKOGLU gli aveva detto di essere il Capo dell’Associazione
Culturale turca, gli aveva chiesto “protezione per sé e la propria
famiglia; chiedeva indirettamente anche sostegno economico, giacché a
seguito di quello che intendeva dichiarare avrebbe dovuto tagliare i ponti
con i turchi di Vienna. Presi in considerazione la possibilità di ospitare lui e
la sua famiglia quanto meno temporaneamente nella sede dell’Ambasciata,
che ha dei locali nel seminterrato abitabili. Considerato l’atteggiamento
dell’Ambasciatore, scartai immediatamente questa eventualità. Il turco
voleva parlare con l’Ambasciatore. In questo quadro é possibile che egli si
sia presentato in Ambasciata e che sia stato poi diretto da me. Egli voleva
rendere dichiarazioni sull’attentato al Pontefice, ma di certo con me,
almeno in questa fase prima cioé delle garanzie, non ésceso in particolari,
di cui avrei sicuramente fatto menzione nel telegramma”. (v. esame
SARDO, G.I. 07.11.94)
Venivano anche raccolte le dichiarazioni dei sottufficiali SCINTU,
DELLA QUEVA e DE FILIPPO, che avevano prestato servizio - al tempo
dei fatti - presso l’Ufficio dell’Addetto Militare. Sia SCINTU che DE
FILIPPO non ricordavano nulla, mentre DELLA QUEVA rammentava di
aver “sentito dire che un tizio si era presentato presso l’Ambasciata
chiedendo di parlare con l’Addetto Militare per comunicazioni relative ad
una vicenda molto importante. Poiché in quel momento l’addetto militare
era assente dall’ufficio il tizio venne fatto ricevere da uno dei funzionari
civili dell’Ambasciata. Sempre per sentito dire seppi che questo tizio
avrebbe accennato ad una vicenda in cui erano coinvolti i c.d. “Lupi Grigi”.
Io non vidi personalmente questa persona. Sono sicuro di ciò. Questa
persona dopo questo contatto scomparve dalla circolazione. Ricordo un
commento fatto in tono scherzoso dal Maresciallo TURCO, deceduto
tempo fa, relativo a questa persona che non
venne più rintracciata, del seguente tenore “questo qui forse lo fanno
fuori”. (v. esame DELLA QUEVA, G.I. 18.11.94)
In data 22 novembre 1994 veniva sentito il Gen. NOTARNICOLA,
al tempo dei fatti, Direttore della l^ Divisione, il quale non ha ricordato la
vicenda, nonostante la visione di sue annotazioni poste sui documenti del
Servizio concernenti i fatti. (v. esame NOTARNICOLA, G.I. 22.11.94)
Veniva sentito, in data 21 gennaio 1995, il Capo Centro del SISMI a
Vienna, Gen. MARINI, il quale escludeva di essere stato informato della
vicenda TURKOGLU. Ciò in quanto, al tempo dei fatti, egli non aveva una
collocazione ufficiale in quel territorio. (v. esame MARINI, G.I. 21 .01.95)
Venivano sentiti anche i Marescialli VENUTI e VERNAGLIONE
che svolgevano servizio presso l’Ambasciata di Vienna. Entrambi
escludevano di aver mai sentito parlare o di essersi occupati della vicenda
TURKOGLU. (v. esame VENUTI e VERNAGLIONE, G.I. 21.1.95)
Alla luce di quanto sopra venivano richieste alle Autorità turche, con
rogatoria del 10 gennaio 1995, notizie sulla reperibilità di TURKOGLU.
Quelle Autorità con nota del 16 maggio successivo comunicavano che non
era stato possibile rintracciare il TURKOGLU, né sapere alcunchè sulla sua
reperibilità. (v. Commissione Rogatoria alla Turchia, 10.01.95)
************
Cap. 1.3.4. Considerazioni finali.
Come s’è già detto, la vicenda di questo personaggio, i nostri Servizi
non sono stati in grado, o non hanno voluto, scriverla. Essa invece è stata
scritta, e con completezza, da CELIK, che la conosce, dall’interno
dell’organizzazione, sin dall’inizio e ben ne sa svolgimenti, risvolti ed esiti.
TURKOGLU, contrariamente a quanto affermato dai Servizi, ha preso
contatto, ha rivelato quanto sapeva, è stato ricompensato. Non si riesce a
scoprire chi abbia gestito l’affare, dove siano stati presi i fondi, a chi siano
stati trasmessi i risultati dell’intera operazione.
_____________________
CAPITOLO QUARTO
L’arresto di ARSLAN SAMET
Cap. 1.4.1. Il procedimento olandese.
Il 14 maggio 1985 alla stazione di Venlo (Paesi Bassi), posto di
frontiera con la Germania, era tratto in arresto il cittadino turco ARSLAN
SAMET, nato ad Agri (Turchia) il 14.12.1960, residente a Lione, 75 Rue
Barbusse, 69310 Pierre Benite. Costui, ad un controllo della polizia di
frontiera, aveva esibito un passaporto intestato a YEAN BERNARD IHEN,
visibilmente contraffatto nella data di nascita e su cui era stata apposta una
fotografia diversa da quella originale, nonché di un permesso di soggiorno
falsificato a nome di SERAFIN ALBIN nato a Satao (Portogallo) il
2.1.1960, recante la foto dello stesso SAMET.
Da un più accurato controllo veniva trovato in possesso di una
pistola marca FN matricola 77 C 54476 calibro 9, risultata carica con il
colpo in canna e con la sicura in posizione di “fuoco”.
L’arresto di ARSLAN si verificava in sospetta coincidenza con la
visita pastorale di Giovanni Paolo II in Olanda.
Le indagini esperite sul fatto portarono ad accertare che:
- ARSLAN SAMET, nato a Yigintepe (Turchia) il 14 dicembre 1960,
risultava ricercato dalle Autorità turche con mandato di cattura emesso in
data 11 aprile 1980 dal G.I. di Agri per l’omicidio di YLDIZ FEUZI ed il
ferimento di YLDIZ AHMET, fatti commessi il 2 aprile 1980. Inoltre a suo
carico sussistevano forti sospetti per altri tre omicidi. Dal bollettino dei
ricercati esso era indicato quale appartenente al gruppo Ulkulu (gli
idealisti), estremisti di destra legati al partito turco M.H.P.;
- la pistola automatica Browning HP calibro 9 parabellum con matricola 77 C
54476 faceva parte della stessa partita di armi acquistate presso la ditta
“Wilhelm Glaser” di Zurigo dal
cittadino austriaco Otto TINTNER, dalla quale proveniva la pistola usata
da AGCA nell’attentato alla vita del Sommo Pontefice;
- l’ARSLAN risultava aver risieduto in Francia dalla fine del 1982 al
settembre del 1984. In questo Paese aveva richiesto asilo politico, ma tale
beneficio gli era stato rifiutato e gli era stato concesso soltanto un permesso
provvisorio di soggiorno;
- l’ARSLAN, interrogato dalla Polizia, aveva dichiarato di essere fuggito
dalla Turchia sul finire dell’anno 1981 o agli inizi del 1982, perché
perseguitato dal regime militare, dopo essersi procurato un passaporto su
cui apparivano generalità diverse dalle sue. Recatosi in Francia si era
stabilito a Lione; ma il suo soggiorno era divenuto illegale dopo lo
smarrimento del passaporto e la reiezione di una sua richiesta di asilo
politico. Per esigenze di difesa personale si era fatto recapitare in seguito da
suo padre, tramite altri turchi, una pistola dalla Turchia.
Il 12 maggio 1985 si era recato da Lione a Saarsbrucken e di qui a
Francoforte sul Meno (al momento dell’arresto veniva trovato in possesso,
tra l’altro, di un biglietto delle ferrovie tedesche da Francoforte ad
Emmerich/Venlo via Colonia). Il suo intendimento era di far ritorno in
Turchia, avendo saputo che la situazione politica nel suo paese era
notevolmente migliorata. Successivamente, non disponendo di denaro
sufficiente, aveva deciso di recarsi nei Paesi Bassi.
Richiesto se in Olanda avesse parenti o conoscenti, dichiarava di
avere una zia all’Aja ed un conoscente, il cui nome e gli estremi del
recapito telefonico scriveva nel retro del biglietto ferroviario in suo
possesso: “70804048 ALI”. Da un controllo effettuato l’utenza risultava
intestata alla famiglia BURAK; alla chiamata della polizia rispondeva un
tale ALI TOKMAN che dichiarava di conoscere SAMET ARSLAN e di
attenderlo, avendo egli annunciato il suo arrivo dalla Germania. Più tardi,
mostratagli la foto del SAMET, questo TOKMAN dichiarava di non
conoscere la persona raffigurata, aggiungendo che nel corso della
precedente telefonata, aveva fatto riferimento ad altro SAMET.
Nel corso dell’interrogatorio svolto nella pubblica udienza del
12/6/1985 dal Tribunale Distrettuale di Roermond, il SAMET dichiarava,
tra l’altro, che il contenuto del rapporto della Polizia relativo al TOKMAN,
persona a lui sconosciuta, non rispondeva a verità, aggiungendo che non
aveva nessuna speciale intenzione di usare l’arma trovata in suo possesso,
che, per la verità, non gli era stata inviata dal padre, ma da amici in
Turchia, di cui - ovviamente - si rifiutava di fornire i nomi.
La pistola risultava - sì legge nel verbale della Gendarmeria Reale del
21 maggio 1985 - “in uno stato ottimo di manutenzione e che funziona in
tutte le parti componenti e in tutti i dettagli: l’arma era quasi nuova. Visti i
resti di polvere da sparo nell’arma e nella canna, si può evidenziare che da
poco tempo si è sparato con quest’arma. Dopo questi colpi non c’è stata
pulitura. Non si può determinare il periodo tra gli ultimi colpi e il sequestro
della pistola perchè esso può variare da 3 mesi ad un anno. Venivano,
nell’occasione, sparati due colpi di pistola al fine di effettuare una
comparazione con altro materiale agli atti di quel Paese. Comparazione che
- si legge nel rapporto del Laboratorio Giudiziario del Ministero della
Giustizia datato 23 maggio 1985 - dava esito negativo.
ARSLAN - per questi motivi - veniva condannato dal Tribunale
Distrettuale di Roermond (Paesi Bassi) con sentenza del 12.06.1985 a tre
anni di reclusione.
************
Cap. 1.4.2. Gli atti dell’inchiesta italiana.
Il 6 luglio 1985 ARSLAN SAMET veniva interrogato dal P.M., in
Olanda. Riferiva di non essere membro dell’Associazione dei turchi
idealisti, tentando di accreditare la versione che la pistola rinvenuta fosse
stata sostituita da ignoti con altra che aveva portato con sé dalla Turchia, e
di aver rinvenuto il passaporto intestato a IHLER casualmente in una
cabina telefonica. Riferiva inoltre di non aver mai conosciuto AGCA se
non dalla stampa. Dichiarava infine di non avere mai incontrato nè ORAL
CELIK nè ABDULLAH CHATLI. (v. esame ARSLAN SAMET, P.M.
06.07.85)
Nel frattempo AGCA indicava a questo G.I., nel corso
dell’interrogatorio del 26 ottobre 1985, che l’ARSLAN era stato uno dei
suoi complici nell’attentato al Sommo Pontefice, presente il 13 maggio
1981 a Piazza San Pietro con il compito di protezione della sua fuga
mediante esplosione di bombe panico. AGCA, inoltre, identificava in
ARSLAN l’uomo ripreso mentre fugge da Piazza San Pietro. (v. esame
AGCA, G.I. 26.10.85)
Pertanto, in data 26 novembre 1985, ARSLAN SAMET veniva
interrogato da questo Ufficio su rogatoria, ma non forniva utili elementi
all’inchiesta, rifiutandosi di rispondere e dichiarandosi vittima di un
complotto. L’interrogatorio continuava anche nei giorni seguenti, ma con
scarso risultato. Difatti ARSLAN continuava a non rispondere alle
domande,
precisando, comunque, “non sono mai stato in Italia e non è vero che avrei
aiutato AGCA a compiere l’attentato contro il Papa”. (v. esame ARSLAN
SAMET, 26.11.85)
Il 26 novembre veniva anche raccolta la testimonianza di ALI
TOKMAN che dichiarava di ricordare la telefonata ricevuta dalla Dogana
di Venlo concernente ARSLAN SAMET e di avere chiarito in
quell’occasione di non conoscer costui. Ribadiva a questo Ufficio di non
conoscere ARSLAN SAMET e che in quel periodo presso la sua abitazione
si trovava un altro connazionale di nome ALI ARIKAN. (v. esame ALI
TOKMAN, 26.11.85)
Il 30 dicembre 1988 ARSLAN SAMET, nel frattempo estradato in
Turchia, veniva rinvenuto suicida all’interno della cella del carcere di Agri
ove si trovava recluso.
In data 20 luglio 1994 veniva richiesta alle Autorità dei Paesi Bassi
la consegna temporanea della pistola sequestrata ad ARSLAN SAMET.
Con missiva del 10 ottobre 1994 l’Interpol comunicava che quell’arma, in
base a quanto disposto dal Procuratore della Regina, era stata consegnata
alla Maréchaussée Royale per essere impiegata nelle esercitazioni e che,
dopo essere stata usata fino al 1987, era stata successivamente distrutta. (v.
rapporto INTERPOL, 10.10.94).
La vicenda di ARSLAN SAMET dimostra come per anni
l’organizzazione abbia tentato di onorare il mandato conferitole di attentare
alla vita del Pontefice. E in tal senso abbia inviato commando in diverse
parti d’Europa - un’ulteriore conferma si avrà nel 97 con l’attentato in
Bosnia Erzegovina -; trasferito armi; seguito continuamente i movimenti
del Papa.
________________________
CAPITOLO CINQUE
L’omicidio di SULEYMAN CIMEN
Cap. 1.5.1. Le indagini olandesi.
Il 22 ottobre ‘94, in Amsterdam, all’interno di un appartamento
ubicato al nr. 36/I di Eerste Keucheniusstrasse, veniva rinvenuto il corpo
senza vita del cittadino turco SULEYMAN CIMEN.
Dalle prime testimonianze si accertava che il soggetto era stato visto
in vita per l’ultima volta, in compagnia del connazionale HAYRETTIN
DOGAN e di uno sconosciuto. Il DOGAN si rendeva immediatamente
irreperibile e nel corso della perquisizione eseguita nel suo domicilio, ad
Hengelo, venivano rinvenute diverse lettere e varia documentazione, tra cui
un certificato di rifugiato politico intestato ad ATES BEDRI. Molte delle
missive rinvenute risultavano indirizzate ad una persona di nome BEDRI,
falso nome sotto il quale era stato arrestato, nel 1986, alla fronfiera franco-
belga, nel 1986, ORAL CELIK. In quell’occasione costui era stato arrestato
insieme ad altri tre connazionali, HAYRETTIN DOGAN, DUENDAR ALI
e GUENER SAHIN.
In particolare, dalla missiva datata 13.02.1993, a firma “SADI, 85 La
Roche S/Y”, che inizia con “Mio pregiato fratello Bedri” si legge: “Ieri
dopo il nostro incontro mi sembrava di possedere il mondo; dopo averti
lasciato l’amarezza in cuore sono andato all’Ambasciata. Là ho visto gli
amici del MIT ed abbiamo ridiscusso della tua situazione. Prima del 5
marzo ti richiederanno ufficialmente; prima ancora ti avevano richiesto in
Turchia, ma con la scusa che sei un rifugiato non ti hanno mandato. Ho
raccontato loro i fatti del processo e cioé che hai detto che non sei più
Bedri, ma che sei ORAL CELIK. Sono stati tutti molto contenti. Hanno
detto che “così il suo stato di
rifugiato automaticamente svanisce e saranno obbligati a darcelo in
Turchia”. Però hanno detto che siccome sei rifugiato con una identità falsa,
forse ti daranno una piccola pena e poi ti consegneranno a noi”. L’estensore
della missiva continua, scrivendo di essere molto preoccupato del suo
eventuale rientro in Turchia, in quanto vi sono ambienti ai quali esso non
sarà certamente gradito, sottolineando che “alcuni tuoi argomenti
potrebbero infastidirli. Hanno il timore che vengano a galla. E quale sarà la
loro reazione contro di te? Hai considerato ciò? Devi stare molto attento,
che non ti succeda ciò che é successo a RAMAZAN GUNDUZ. Occorre
molta prudenza. Potrebbero esserti d’aiuto EYUP ERDEM e MEHMET
SENER di Olten in Svizzera”.
RAMAZAN GUNDUZ risulta essere il turco che rivelò alla Polizia
turca che AGGA era l’autore dell’omicidio del giornalista IPECKI e che
per tale motivo era stato ucciso il 3 febbraio 1980.
Il riferimento a EYUP ERDEM e MEHMET SENER evidenzia che,
a distanza di 12 anni dal crimine nei confronti del Pontefice, la rete di
assistenza sulla quale si era appoggiato ALI’ AGCA nel corso del suo
viaggio in Europa risultava ancora attiva ed operante.
L’estensore “SADI” continua riferendo che “Inoltre anche gli amici
del Consolato si stanno dando da fare per farti uscire un momento prima e
farti tornare in Turchia. Quando venne il Procuratore dalla Turchia, ti
ricordi di un amico del MIT che parlò a lungo con te? Si chiama BULENT
KARADENIZ. Lavora al Ministero degli Esteri presso l’Ambasciata. Ho
parlato con lui
per circa due ore. Farà ciò che può, da questo punto di vista stai tranquillo,
fratello BEDRI”.
Nella missiva più volte vien fatto riferimento al servizio segreto
turco MIT come l’organismo al quale SADI si rivolge in Francia al fine di
aiutare CELIK a ritornare in Turchia. Ci si deve chiedere, a questo punto,
quale ruolo in tutti questi anni abbia ricoperto il servizio segreto turco nei
confronti di AGCA e dei suoi complici. AGCA alle domande concernenti il
MIT non ha mai fornito risposte soddisfacenti. Così come non ne sono
emerse altrove.
***********
Cap. 1.5.2. Le indagini italiane.
BULENT KARADENIZ, indicato nella missiva come agente del
MIT, dal rapporto della Digos romana dell’1 giugno 1991 risulta essere stato
presente, nel maggio del 1991, in qualità di interprete, all’audizione in
Francia di TEKGUL EKREM, cittadino turco giunto al seguito dei
Magistrati turchi per l’espletamento di una rogatoria concernente
l’identificazione di ATES BEDRI. In quell’occasione TEKGUL EKREM,
nel corso di un confronto all’americana, riconosceva nel BEDRI, ORAL
CELIK. L’agente del MIT risulta presente anche all’interrogatorio
dell’ATES BEDRI, sempre condotto da quella A.G.. Nella relazione allegata
al rapporto della Digos i funzionari estensori rilevavano che “Nonostante la
formula messa a verbale dal testimone sia stata tale da non lasciare ombra di
dubbio sulla bontà del riconoscimento, stranamente il magistrato turco ne ha
ridimensionato la portata asserendo che, a suo parere, esso poteva
considerarsi valido al 50%. Tale opinione oltre che dei sottoscritti, non é
stata assolutamente condivisa neanche dai colleghi francesi, che, invece,
hanno espresso più volte l’estrema attendibilità del riconoscimento”.
Dagli accertamenti esperiti dalla D.C.P.P. non é stato possibile
accertare l’identità del “SADI”. Peraltro, il numero telefonico rinvenuto
nell’agenda sequestrata nell’abitazione di HAYRETTIN DOGAN, “l’amico
di ORAL - SADI in Francia 0933-51050878” è risultato inattivo e “le
ricerche effettuate sugli elenchi telefonici di LA ROCHE-SUR YON degli
anni ‘92, ‘93, ‘94 dirette ad individuarne i precedenti intestatari (tale tipo di
ricerca in Francia non é realizzabile con sistemi elettronici) hanno dato esito
negativo”.
Funzionario della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione,
delegato da questo G.I., svolgeva in Olanda rogatoria al fine di acquisire
ulteriori elementi utili all’inchiesta. Il funzionario con rapporto datato 13
febbraio 1995 riferiva:
- l’accusa contro HAYRETTIN DOGAN di essere l’autore dell’omicidio di
SULEYMAN CIMEN poggia essenzialmente sul rinvenimento di tracce del
DNA del DOGAN in una sigaretta lasciata a metà su un portacenere
rinvenuto accanto al cadavere; nel bagno inoltre venivano rinvenute le sue
impronte papillari.
- l’interrogatorio del DOGAN, nel frattempo tratto in arresto in Olanda,
condotto alla presenza dello stesso funzionario e della difesa non consentiva
di chiarire l’ampiezza dei rapporti fra il predetto ed ORAL CELIK,
conosciuto - a suo dire - nel carcere di Lille (F) e sempre con il nome di
ATES BEDRI, né ha permesso di accertare le ragioni per cui il DOGAN
conservava
documenti di pertinenza dello stesso CELIK; il detenuto inoltre non forniva
utili indicazioni né per l’identificazione del “SADI” né sui contatti con il
servizio segreto turco, MIT.
Questa vicenda dimostra che la rete degli ULKULU è diffusa in tutta
Europa e particolarmente funzionante nei Paesi Bassi, ove stava per
consumarsi anche il secondo attentato al Pontefice. Dimostra altresì la
presenza ovunque di ORAL CELIK. Particolarmente illuminante in tal
senso la lettera dello sconosciuto SADI al “fratello BEDRI”, SADI che
ovviamente è un membro dell’organizzazione; che è a conoscenza di
molteplici fatti di ORAL CELIR; che riferisce, recandosi nella sede
dell’Ambasciata, ogni novità agli amici del MIT, cioè ai referenti
dell’organizzazione in seno al Servizio turco. Dimostra infine la perfetta
efficienza dell’organizzazione che riesce ad eseguire una propria
“sentenza” di morte ad Amsterdam, così provando anche un solido
insediamento in quel Paese.
________________________
CAPITOLO SESTO
Il traffico di stupefacenti dei Lupi Grigi
Cap. 1.6.1. Il trasporto di droga dall’Italia alla Svizzera.
Nel corso delle indagini per l’attentato al Papa sono emersi numerosi
indizi sulla esistenza di una organizzazione dedita al traffico internazionale
di armi e droga, facente capo a BEKIR CELENK, che, come si legge nella
sentenza della l^ Corte di Assise di Roma, MEHMET ALI’ AGCA ha
indicato come il raccordo tra i bulgari e l’organizzazione terroristica dei
“Lupi Grigi”, colui che dapprima in Sofia e in seguito a Zurigo avrebbe
trattato con lui, il CELEBI e il CELIK l’esecuzione dell’attentato al
Pontefice.
Purtroppo, durante il processo non è stato possibile sottoporre a
verifica dibattimentale questo particolare aspetto della oscura vicenda,
poichè il 14.10.1985 BEKIR CELENK è morto in Turchia, dove nel
frattempo era stato estradato dalla Bulgaria, che aveva sempre negato la sua
estradizione in Italia.
Nella stessa sentenza si ricorda, peraltro, che “già dal marzo del 1983
il Ministero di Grazia e Giustizia aveva richiesto al governo Bulgaro per il
tramite del Ministero degli Affari Esteri l’arresto provvisorio a fini
estradizionali di BEKIR CELENK, perchè colpito da altro mandato di
cattura emesso nei suoi confronti dal G.I. presso il Tribunale di Trento il
22.12.1982, per i reati di associazione per delinquere, violazione delle leggi
sulle armi e stupefacenti”.
Ora, a parte ogni altra considerazione sul ruolo svolto da BEKIR
CELENK nell’attentato al Papa, per quanto concerne il traffico di
stupefacenti merita di essere ricordato ciò che si scrive in sentenza su
OMER MERSAN, strettamente collegato al CELENK, con particolare
riferimento a quel finanziamento di
una spedizione di Kg. 5,500 di eroina dalla Turchia in Germania
l’11.05.1982.
Del resto, che l’organizzazione terroristica “Lupi Grigi”, di cui faceva
parte anche ORAL CELIK, fosse dedita al traffico di droga lo dimostrano le
vicende successive all’attentato al Papa e in particolare gli avvenuti arresti
per traffico di stupefacenti di MEHMET SENER in Svizzera il 16.09.1984,
di ABDULLAH CHATLI in Francia il 24.10.1984 e di ORAL CELIK, alias
ATES BEDRI in Francia il 10.11.1986. Lo dimostrano, altresì, gli atti
acquisiti nel corso della rogatoria internazionale in Svizzera, relativi al
procedimento penale contro i tre su menzionati sempre per traffico di droga.
Il procedimento traeva origine da una complessa indagine su un
traffico internazionale di stupefacenti compiuta dalle autorità elvetiche e
definita “operazione MAISKOLBEN”. Questa operazione, della polizia e
della A.G. di Basilea, traeva le mosse da dichiarazioni di un cittadino turco,
tale BILICEN NEZAT, che, confessando la propria partecipazione al
traffico, ne aveva descritto con precisione e dovizia di particolari origini,
passaggi e destinazioni, chiamando in correità ben ventiquattro affiliati alla
organizzazione che lo gestiva, di cui ventitré connazionali e un cittadino
italiano. Tutti costoro sono stati perseguiti in Svizzera e la maggior parte di
essi anche condannata a non leggere pene detentive.
Tra i coimputati turchi, oltre ORAL CELIK, apparivano anche altre
figure rimaste coinvolte nell’inchiesta per l’attentato al Papa, come
ABDULLAH CHATLI, MEHEMET SENER, MAHMUT IANAN ed EYUP
ERDEM, i primi due facenti parte del livello direttivo dell’Organizzazione
dei Lupi Grigi, il terzo e il quarto riparati, subito dopo l’attentato, a Vienna
da Olten in Svizzera, presso i primi nel noto appartamento di Via
Jheringgasse, ove più volte aveva fatto capo nel periodo precedente
l’attentato e sino al mattino del 13 maggio 81 MEHMET ALI’ AGCA.
Le dichiarazioni accusatorie di BILICEN NEVZAT, contenute in
numerosi interrogatori della Polizia Giudiziaria del Cantone di Basilea,
hanno trovato riscontro nelle indagini effettuate da quella Polizia, in primo
luogo nel sequestro, il 14.6.84, di un quantitativo rilevante - 250 grammi di
eroina - nei pressi di Dulliken, ove viveva il predetto BILICEN, parte di un
quantitativo ancor più rilevante - 3 chilogrammi - introdotti dall’Italia in
Svizzera.
Il traffico dell’organizzazione era iniziato nel febbraio del’82 ed
ebbe termine con detto sequestro nel giugno 84. Il denaro per l’acquisto
della droga era stato fornita dalle tre persone che s’è visto costituire, al
tempo dell’attentato a Giovanni Paolo II°, il livello dirigente dei “Lupi
Grigi” e cioè ORAL CELIK, ABDULLAH CHATLI e MEHMET SENER.
L’eroina doveva essere rivenduta, e in buona parte lo fu, al prezzo di
120.000 franchi al chilogrammo.
I tre chilogrammi erano stati portati a Milano dal turco SEREF
BENLI - perseguito in Svizzera - cui erano stati consegnati in precedenza
da un jugoslavo per incarico di altro turco, certo KOCAL FUAT - anche
egli finito nell’inchiesta di Basilea. Questo SEREF BENLI aveva chiamato
per telefono da Chiasso BILICEN NEVZAT presso la sua abitazione di
Dulliken e gli aveva chiesto di raggiungerlo a Chiasso, giacchè stimava
troppo pericoloso per lui, che non conosceva l’italiano, il passaggio della
dogana con l’eroina.
In effetti BILICEN NEVZAT aveva raggiunto l’Italia con la propria
autovettura, un’Audi 80, insieme alla moglie e ai due figli. Aveva
incontrato SEREF BENLI nei dintorni di Como in
direzione di Milano, presso un supermercato GS. Più esattamente nelle
immediate vicinanze di questo supermercato, sullo stesso lato della strada,
vi era anche un fioraio e presso questo negozio era avvenuto l’incontro.
L’eroina era già stata nascosta all’interno della ruota di scorta, un
originale di Golf VW, dell’autovettura di SEREF BENLI, collocata nel
portabagagli. I due si scambiarono le macchine e BILICEN NEVZAT fece
salire la moglie e i figli su quella di SEREF BENLI. Così attraversarono la
frontiera. Subito dopo presero l’autostrada per Lugano e all’area di servizio
di Chiasso procedettero nuovamente allo scambio delle macchine, dopo
aver però tolto la ruota di scorta con l’eroina dalla vettura di SEREF
BENLI e averla messa in quella di BILICEN NEVZAT, che la porterà con
sè in Dulliken, ove provvederà a nascondere il carico di droga.
**************
Cap. 1.6.2. Gli Interventi di ORAL CELIK.
Sulla ripartizione e la vendita di tale carico, come sui compensi alle
persone che avevano partecipato all’operazione sorsero contrasti, riferiti a
BILICEN NEVZAT da ABDULLAH CHATLI, che gli comunicò anche
che per risolvere tali questioni sarebbe venuto nelle vicinanze della
frontiera con la Francia ATILLA alias ORAL CELIK.
Costui di lì a poco in effetti raggiunse l’abitazione di BILICEN
NEVZAT e gli chiese la ragione dei contrasti. Insieme da Dulliken si
recarono a Basilea, ove si presentarono alla abitazione di SEREF BENLI.
Nel corso del colloquio con costui ATILLA, nome usato da ORAL CELIK,
lo rassicurò dicendogli
che avrebbe avuto i 30.000 franchi promessi, dopo che KOCAL FUAT
avesse venduto l’intero carico.
Dopo il colloquio ATILLA e BILICEN NEVZAT sono ritornati a
Dulliken, ove nell’abitazione del secondo, il primo è stato prelevato da
KOCAL FUAT. ATILLA nel corso di questi colloqui aveva chiesto quanta
eroina SEREF BENLI e BILICEN NEVZAT avessero presso di loro.
ATILLA aveva chiesto anche al solo BILICEN NEVZAT se si fosse
prestato ad ulteriori trasporti di eroina, promettendogli 50.000 franchi.
In occasione di uno dei diversi incontri tra ORAL CELIK, BILICEN
NEVZAT e SEREF BENLI, il primo aveva affermato che i traditori
venivano puniti con lo scotennamento. ORAL CELIK al tempo
dell’operazione e degli interrogatori abitava a Parigi, ove lo stesso
BILICEN si era recato a visitarlo. ORAL CELIK faceva parte
dell’Organizzazione, ed era nella gerarchia di essa secondo solo ad
ABDULLAH CHATLI, superando persino nei gradi d’importanza
MEHMET SENER. (v. rapporti finali, Procura di Stato del Cantone di
Basilea 05.09.84, Basilea 27.09.84 e Basilea 28.09.84, e interrogatori
BILICEN NEVZAT 13.08.84, 22.08.84, 25.08.84, 01.09.84, 03.09.84 e
COPUROGLU YUSUF 17.09.84)
Diversi tra gli appartenenti di questa Organizzazione, deve da ultimo
ricordarsi, nel corso degli anni sono stati arrestati nella flagranza di episodi
di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Lo stesso ORAL CELIK
era stato arrestato il 23 novembre 86 alla frontiera tra il Belgio e la Francia,
insieme ad altri tre connazionali, ATI DUNDAR, SAHIN GUNER e
HAYRETTIN DOGAN, con un carico di eroina e condannato il 4 maggio
88 a otto anni di reclusione dalla Corte di Appello di Douai. MEHMET
SENER era stato arrestato in Svizzera il 16 settembre 84 per commercio
internazionale di eroina. ABDULLAH CHATLI in Francia il 24 ottobre
dello stesso anno, anche lui perchè in possesso di sostanze stupefacenti.
Questo prova, per chi ne avesse ancora bisogno, che
l’organizzazione esercita il traffico a livelli internazionale e con esso
rimpingua le proprie casse, che devono mantenere reti in patria e quasi
ovunque in Europa.
____________________
PARTE SECONDA
La matrice e il mandato
CAPITOLO PRIMO
Cap. 2.1. La pista bulgara
La precedente istruttoria aveva acquisito molteplici indizi e prove
sulla pista bulgara, al punto da determinare il rinvio a giudizio di più
personaggi di quella nazionalità.
Tale pista però, che trovava il suo primo fondamento nelle
dichiarazioni di MEHMET ALI’AGCA, aveva già subito un colpo esiziale
nel successivo dibattimento per effetto delle farneticanti ritrattazioni di
costui, cosicché ne derivava l’assoluzione degli imputati bulgari, anche se
con l’allora vigente formula dubitativa.
Tale pista purtroppo, si affida alle sole dichiarazioni di AGCA - che
peraltro non ha assolutamente abbandonato il suo comportamento mendace,
contraddittorio e parareligioso, che anzi lo ha aggravato - lo si deve ribadire
- giacché ha sostenuto contro ogni evidenza la tesi del gesto ispirato, né
premeditato, né organizzato, di un autore senza complici né supporti - e
non convalidata o corroborata da prove estreme ed oggettive, ben
difficilmente può resistere. Orbene, AGCA in questa terza inchiesta, come
s’è detto, l’ha ripresa, poi ha cominciato ad abbatterla, sostenendo
1’“imbeccamento” CIA, infine l’ha definitivamente affossata, asserendo di
aver agito completamente da solo, e quindi con il chiaro intento a salvare
non solo i bulgari, ma anche i turchi.
Salvo a “proporla” nuovamente con la lettera del settembre 97, in un
disegno, come rileva anche il PM, di tentare ogni strada per giungere alla
liberazione.
Questa pista ha trovato, come si vedrà nel capitolo dei Servizi,
sostegno in fonti dell’Est ex comunista, che lentamente e con difficoltà si
stanno aprendo alle nostre indagini.
Ma essa non è l’unica; altre ne sono emerse. Le dichiarazioni di
ORAL CELIK e le indagini su una immagine fotografica di AGCA, ne
hanno aperta un’altra, quella cd. interna, cioè risalente ad ambienti vaticani.
Sul suo valore si discuterà in prosieguo. Pista che si collega ad altra già
esplorata in altre inchieste, come quelle sugli assenti riciclaggi di danaro
sporco da parte dell’Istituto per le Opere di Religione, pista di difficilssimo
percorso, che infatti nonostante gli impegni degli inquirenti, non ha mai
dato risultati soddisfacenti.
V’è poi quella indicata da un personaggio legato per anni ad
ambienti libici, che colloca la matrice in questo Paese, a causa della linea
politica assunta dal Vaticano sulla questione del Ciad.
Ed infine un’ultima, mai tenuta in conto, quella del fondamentalismo
islamico, che è di certo dietro i Lupi Grigi del tempo come dietro quelli di
adesso nell’attentato di Sarajevo, e sulla quale si riverserebbe luce, se si
accertassero le ragioni della missione di AGCA in Iran prima del suo
viaggio in Europa.
_________________
CAPITOLO SECONDO
La pista interna
Cap. 2.2.1. La visita papale alla parrocchia di S.Tommaso
d’Aquino.
In conseguenza di quanto emerso dalle dichiarazioni di monsignor
SALERNO, dal fotografo MARI e dalla professoressa POLTAWSKA - di
cui si dirà nella parte terza - e per effetto delle ripetute affermazioni del
CELIK, secondo cui AGCA sarebbe stato portato a cerimonie con la
presenza del Papa e addirittura vi sarebbe stato fotografato presso
l’ecclesiastico partecipe al complotto, venivano rivisitati risalenti rapporti
di P.G., ove si riferiva di fotografie di persona somigliantissima ad AGCA,
scattate nel corso di una cerimonia pubblica con Santa Messa, celebrata dal
Pontefice in un quartiere romano.
Il parroco di San Tommaso d’Aquino ha confermato questa vicenda.
In particolare ha ricordato che alle riprese fotografiche e filmate erano stati
autorizzati due parrocchiani, i fotografi dell’Osservatore Romano e quello
pontificio, MARI. Le fotografie erano poi state messe in vendita presso la
parrocchia e le due persone incaricate - ovviamente nei giorni successivi
all’attentato - avevano notato immediatamente che in esse era raffigurata
una persona, presente alla cerimonia, somigliante all’attentatore del
Pontefice, la cui immagine era stata subito riprodotta in tutti i media. Ha
ricordato anche che le persone che apparivano nelle fotografie in questione
vicino a detto soggetto, interpellate da lui stesso e dalla polizia, avevano
dichiarato di non conoscerlo e di non averlo mai notato nel corso della
cerimonia. (v. esame TODINI, 15.09.94)
Anche PETROCELLI Daniele, uno dei parrocchiani incaricati delle
fotografie, ricorda con precisione il fatto. “Dopo
l’attentato al Pontefice i telegiornali mostrarono la foto dell’attentatore al
Papa, che aveva alcuni particolari per me singolari. Ricordo con particolare
riguardo la frangetta dei capelli e i tratti somatici. Guardando con
attenzione le foto che erano state scattate nell’occasione della cerimonia,
notai una somiglianza di una persona ripresa sul luogo della cerimonia, con
la foto dell’attentatore al Pontefice. Tale somiglianza non fu notata solo da
me, ma anche da mia moglie e da mia cognata Anna Maria IACONELLI.
Nessuno di noi conosceva questa persona, quanto meno posso dire che non
era una persona che frequentava la parrocchia o che abitasse nella zona...
La sera stessa o il giorno dopo si presentò a casa mia un poliziotto che si è
qualificato della Digos, il quale ci ha chiesto in consegna la foto in cui
appariva la persona somigliante all’ attentatore... Ricordo che il poliziotto
al quale consegnai la foto, mi disse di non parlare a nessuno del fatto. Non
fu redatto verbale di consegna delle foto... Riguardando la fotografia quello
che mi colpì, oltre al fatto della somiglianza, era la presenza di questo
sconosciuto vicino a delle persone anziane di sesso femminile, sulle quali
emergeva sia come statura che come età... Mi sembra di ricordare che mia
moglie mi disse che dopo alcuni giorni venne avvicinata da un poliziotto...
che le disse di stare tranquilla in quanto la persona era un uomo della
scorta. (v. esame PETROCELLI Daniele, 22.09.94)
Conferme anche dalla moglie di costui. “...Notammo una
somiglianza tra una persona ripresa in un settore riservato e la foto
dell’attentatore al Pontefice... Ciò che più ci colpì nel vedere questa
persona, sono stati i caratteri somatici del volto, i capelli, in particolar
modo la frangetta, il trovarsi vicino a delle persone anziane, il fatto che
nessuno di noi lo conoscesse e che sicuramente non faceva parte né di quel
quartiere né della
parrocchia. Ricordo che ci chiedemmo in che modo si trovasse in
quell’area che era riservata ai titolari dei permessi rilasciati dalla
parrocchia... La sera stessa a casa di mia sorella vennero dei poliziotti della
Digos, ai quali consegnai, a loro richiesta, alcune foto tra cui quella in cui
si vedeva la persona somigliante all’attentatore. Anzi le foto in cui si
vedeva l’attentatore erano due. Ci dissero di non parlare con nessuno della
vicenda. Sono sicura che le foto in cui si vedeva la persona somigliante
all’attentatore erano due. Una è quella che mi avete mostrato; l’altra
ricordo che era presa da un’altra posizione e la persona si vedeva meno; il
settore era lo stesso... Dopo qualche mese mi venne riconsegnata dalla
Digos soltanto una foto che avevo consegnato. In quell’occasione mi
dissero che la persona somigliante all’attentatore era stata identificata per
un uomo della Sorveglianza della Santa Sede. La foto che mi fu consegnata
è la stessa che mi avete mostrato. (v. esame IACONELLI Roberta,
22.04.94)
******************
Cap. 2.2.2. Le risposte di AGCA sulla vicenda.
Come s’è detto la vicenda della parrocchia di Tor Tre Teste avvenne
la domenica immediatamente precedente l’attentato e cioè il 10 maggio
dell’81. Su quel giorno AGCA era già stato interrogato nel lontano 82 ed
aveva così risposto “Nel tardo pomeriggio dello stesso 10 maggio (ricordo
che si trattava di una giornata domenicale) insieme - sono AGCA e il
sedicente SOTIR KOLEV; n.d.e. - ci portavamo in Piazza S.Pietro e
notavamo che il Papa a bordo della sua “Mercedes” scoperta, verso le ore
16-17 usciva dal Vaticano per andare a fare una
visita pastorale; proprio in quella circostanza si conveniva che, ove
l’attentato non si fosse potuto realizzare nella Piazza S.Pietro, si sarebbe
potuto attuare in prossimità di una uscita della basilica che è in
corrispondenza proprio con il balcone da cui il Papa si affaccia quando la
domenica fa i discorsi ai fedeli”.(v. interrogatorio AGCA, G.I. 28.02.82)
Nell’interrogatorio del 95, successivo agli accertamenti di cui alle
pagine precedenti, egli conferma quella versione, e specifica a domanda:
“Non chiesi dove andasse il Papa, uscendo dal Vaticano. Escludo di sapere
già quale fosse la destinazione del Papa. Non avevo macchina, non potevo
quindi seguire il Papa.” Poi qualche incerta ammissione: “Non posso
escludere di aver visto un’altra volta il Papa. Ciò dovrebbe essere pochi
giorni prima dell’attentato, casualmente, nella Piazza San Pietro. Girava
con la macchina sul piazzale.” Poi di nuovo un deciso passo indietro: “Non
ho mai preso parte ad udienze del Papa. Escludo di aver visto il Papa in
manifestazioni fuori San Pietro”.
Mostratagli la fotografia in questione, egli reagisce con risposte di
rilevante interesse, specie a seguito delle contestazioni e degli inviti
dell’inquirente, risposte che meritano di essere integralmente riportate:
“Prendo visione di fotografia riproducente una folla accanto al Pontefice.
Queste foto le ho viste tante volte. Me le ha fatte vedere il Giudice
MARTELLA. Anzi devo precisare: se questa non è una foto del giorno
dell’attentato, devo dire che mi sono state mostrate solo quelle del giorno
dell’attentato. Se non è del giorno dell’attentato, forse non l’ho mai vista.
In essa non conosco nessuno, e poi che cosa cambia? L’Ufficio da’ atto che
la fotografia non è stata scattata il giorno dell’attentato ed invita
AGCA a meglio osservare la fotografia. Risponde: “Non riconosco
nessuno”.
L’Ufficio invita AGCA a meglio guardare la figura del giovane che
appare con frangetta e capelli sulle orecchie. Risponde: “Non mi
assomiglia. Non sono io. Non è nemmeno uno dei miei complici, che erano
a Roma in quel periodo. Probabilmente il giorno della fotografia non ero a
Roma”.
L’Ufficio da’ atto che la fotografia fu scattata il giorno 10 maggio
1981 nel pomeriggio, a breve tempo dall’uscita del Pontefice da Piazza San
Pietro, di cui s’è detto sopra e a cui esso AGCA era stato presente. “Non
ricordo di essere stato nel luogo che appare nella fotografia. Ricordo di
aver visto il Papa solo una o due volte e a San Pietro. Quella domenica 10
maggio ho girato per Roma da solo. SEDAT SIRRI KADEM l’ho visto il
lunedì, lo stesso giorno in cui ho incontrato ORAL CELIK. In relazione
alle dichiarazioni rese da CELIK in data 12.01.94 relative al mio soggiorno
a Jheringgasse, devo dire che si tratta della versione di CELIK, che solo in
parte risulta conforme alla verità. Quando CELIK dice di avermi incontrato
in Europa soltanto a Vienna, lo afferma in quanto egli è stato assolto nel
processo per l’attentato al Papa”. (v. interrogatorio di AGCA, 18.01.95)
AGCA, come ben si nota, non sa dare risposta su come passò quel
pomeriggio del 10 maggio. Non si sofferma sull’immagine di colui che gli
somiglia. Invitato a soffermarvisi, asserisce, senza alcuna spiegazione, che
quella persona non gli somiglia. Ma di massimo interesse è
quell’affermazione di poche righe precedenti “In essa non conosco
nessuno, e poi che cosa cambia?”. Che la dice lunga sulle reali percezioni
dell’imputato e sui tentativi qui non riusciti - capita anche a persone come
il nostro - di nasconderle all’esterno.
Sulla somiglianza tra il personaggio effigiato nella fotografia ed
AGCA, l’AGCA di quel periodo, come appare nella fotosegnaletica
scattata subito dopo il suo arresto e cioè tre giorni dopo, è impressionante.
Né si può sostenere, come pure si è sostenuto, che quell’uomo fosse un
uomo della scorta - intesa nel senso delle forze della Polizia di Stato - o
della Sorveglianza Pontificia. Di certo di una tale persona sarebbe stata
fornita, sin dal tempo, fotografia, proprio ad escludere ogni dubbio. D’altra
parte una persona addetta alla protezione del Pontefice, non si sarebbe
collocata a quella distanza dal Pontefice stesso, né, a maggior ragione, si
sarebbe collocata in un area ove tutti coloro che vi erano acceduti, lo
avevano fatto a seguito d’invito, inviti che come si vedrà erano
particolarmente selezionati. D’altronde quegli era tra suore e donne anziane
e quindi tra persone dalle quali non poteva venir pericolo al Papa. Infine
esso appare così male in arnese, da non sembrare assolutamente una
persona addetta alla Sicurezza del Pontefice.
Non è assolutamente uno dei parrocchiani, perché non lo riconosce
né il parroco né gli altri fedeli presenti in quella occasione.
La forma della testa, degli occhi, delle sopracciglia, del naso, il
segno della barba e dei baffi di colore scuro, la stessa inclinazione della
testa, ed ancora il taglio dei capelli ricadenti sulle orecchie in modo da
coprirle quasi a metà e con la frangetta sulla fronte a pochi centimetri dalle
sopracciglia, appaiono identici.
Se costui non è AGCA, ne è di certo un perfetto sosia.
Ma il fatto che più induce a procedere nelle indagini è la posizione
da questa persona occupata. Essa si trova nel momento in cui il Pontefice si
muove a pochi metri dall’Augusta Persona. Tra di loro vi sono al massimo
quattro
file di persone. E si trova in un’area ad accesso riservato; per la quale
occorrono ovviamente speciali inviti.
****************
Cap. 2.2.3. I permessi di accesso alla cerimonia.
In effetti come riferito dal parroco TODINI - che ben ricorda orari e
particolari della visita papale alla sua parrocchia e riconosce con precisione
nelle fotografie di quell’evento i prelati prossimi al Papa e cioè il Cardinale
Ugo POLETTI, al tempo Vicario del Papa per la Diocesi di Roma;
monsignor Luigi del Gallo di Roccagiovine, assistente del Santo Padre;
monsignor MARTINI Prefetto della Casa Pontificia; Monsignor
MONDUZZI, responsabile della Vigilanza al Pontefice e all’epoca
dell’esame testimoniale Prefetto della Casa Pontificia; ed inoltre il
segretario particolare e il cameriere personale del Pontefice e gli addetti
alla sicurezza in abito scuro - il nostro personaggio si trova in un spazio
riservato.
Le procedure di accesso a questi spazi - rammenta sempre don
TODINI - erano particolarmente rigorose e venivano controllate sia dai
parrocchiani addetti che dagli incaricati della sicurezza della Santa Sede. I
permessi di accesso erano rilasciati soltanto dalla Parrocchia e dalla
Prefettura Pontificia.
Don TODINI consegna poi lo schema che fu redatto per quella
cerimonia e nel quale ben si notano i diversi settori e cioè “coro”, “servizi”,
“radio vaticana”, “comunicandi”, “parrocchiani” ed “ospiti”.
I permessi provenienti dalla parrocchia - si vedranno poi, dall’esame
del padre della ORLANDI, le caratteristiche di quelli rilasciati dalla
Prefettura Pontificia - erano di due colori, verde per le persone che avevano
accesso presso la zona “parrocchiani ed ospiti”, arancione per quelle con
accesso alle zone “comunicandi e coro”.
La persona somigliante ad AGCA si trova, al momento della
fotografia, nel settore “comunicandi”, e perciò di coloro che più potevano
avvicinarsi al Papa, a destra guardando l’altare. Essa perciò, secondo le
regole di accesso a quello spazio, doveva essere in possesso del relativo
permesso. Ma, aggiunge sempre Don TODINI, non può escludersi che,
essendo la cerimonia al termine, essa sia potuta entrare in quell’area senza
permesso, favorito dalla ressa di coloro che volevano avvicinarsi al Papa e
da un calo di attenzione degli addetti alla sicurezza.
Don TODINI specifica anche che coloro che erano muniti di
permesso della Prefettura erano circa venti, come comunicato dalla stessa
Prefettura nella persona di mons. MONDUZZI nel corso dei preparativi
della visita. Mons. MONDUZZI non trasmise l’elenco nominativo degli
invitati; tra di loro c’erano degli stranieri; e quanto a costoro mons.
MONDUZZI specificò che si trattava di singoli e non di gruppi organizzati,
senza però far riferimento alle loro nazionalità. (v. esame TODINI Pietro,
G.I. 15.09.94)
*********
Cap. 2.2.4. Le dichiarazioni di ORLANDI Ercole.
Dipendente all’epoca - vi era stato nominato il 1° giugno 80 da
mons. MARTIN - della Prefettura della Casa Pontificia era ORLANDI
Ercole, padre della ragazza Emanuela scomparsa il 22.06.83, con le
mansioni di commesso del Palazzo Apostolico. Costui riferisce con
precisione le competenze della Prefettura e le procedure per il rilascio degli
inviti: “Il mio ufficio si trova all’interno della sede della Prefettura della
Casa Pontificia, che si trova dopo il portone di bronzo lungo la scala di Pio
IX che porta al cortile di S. Damaso. L’accesso non è aperto al pubblico. E’
consentito l’accesso alle persone che devono prenotare o ritirare inviti alle
udienze pontificie pubbliche. Gli inviti alle udienze private del Sommo
Pontefice sono portati personalmente dal mio Ufficio. Questo Ufficio è
composto solo da me e da un mio collega, BELLEGIA Stefano, che tuttora
è cittadino italiano. Abbiamo l’obbligo di essere disponibili ventiquattr’ore
alternativamente... La Prefettura della Casa Pontificia - già Prefettura del
Palazzo Apostolico a partire dalla riforma di Paolo VI e prima Camera
Pontificia - ha tra le sue incombenze: le cerimonie pontificie non religiose
per quanto concerne gli inviti; gli inviti delle udienze sia pubbliche che
private; le visite per la presentazione delle credenziali del Corpo
Diplomatico; l’organizzazione dei viaggi del Santo Padre in Italia.
Gli inviti per le cerimonie e le udienze pubbliche sono consegnati il
giorno prima a mani dall’Ufficio Centrale di Vigilanza, già Gendarmeria
Pontificia, nell’ambito di Roma. Per fuori Roma si lasciano al Portone di
Bronzo presso la Guardia Svizzera. A questo lavoro sovrintende il mio
Ufficio. Io e il mio collega provvediamo personalmente a distribuire le
lettere ai vari vigili. Per quanto concerne le udienze private gli inviti sono
portati personalmente da me e dal collega. Questa è una prassi che dura da
sempre. Questo è il mio lavoro esclusivo.
Qualche volta può capitare tuttora - questa prassi era in uso sino a Paolo VI
e fu molto praticata al tempo di Giovanni XXIII - che siamo chiamati per il
recapito di plichi privati del Santo Padre e del suo Segretario Particolare.
La Segreteria di Stato ha un servizio proprio, effettuato con commessi della
Segreteria di Stato, per il recapito dei propri plichi.
Le visite pastorali, che in genere il Pontefice compie la domenica
nelle parrocchie romane, sono organizzate dalla Prefettura della Casa
Pontificia. In questi casi la Prefettura manda tramite nostro, al Parroco delle
Chiese visitate un certo numero di biglietti di invito per le persone
ammesse al baciamano. Si tratta di biglietti non nominativi, che vengono
distribuiti a cura del Parroco ai fedeli e ai collaboratori meritevoli di essere
ammessi al baciamano.
I biglietti che noi recapitiamo ai Parroci per queste visite pastorali a
volte sono dello stesso colore, a volte di più colori, a seconda delle
esigenze delle diverse parrocchie. I colori distinguono le categorie delle
persone che saranno invitate alla cerimonia. Non capita che da parte nostra
siano recapitati biglietti per le visite pastorali a persone diverse dal parroco
visitato. Potrebbe capitare che il Prefetto indirizzi persone dal Parroco
perché le sistemi alla cerimonia parrocchiale. Questa è una facoltà che
compete solo al Prefetto. A dir il vero può anche capitare che qualcuno di
servizio alla cerimonia possa far passare in via amichevole persone non
appartenenti alla Parrocchia. (v. esame ORLANDI Ercole, G.I. 22.03.95)
In un esame successivo L’ORLANDI ritornando sull’argomento,
precisa: “Per quanto concerne la questione dei recapiti dei biglietti di invito
alle cerimonie e alle udienze, devo dire che ho una buona memoria e quindi
mi sarei ricordato del nome di AGCA se gli avessi recapitato un biglietto di
tal genere. Certo il giorno dell’attentato AGCA non aveva
usufruito di un biglietto di invito, perché si trovava in una zona ove
l’accesso era libero. Non ritengo di averne recapitati nei giorni precedenti,
a meno che la richiesta non fosse stata effettuata da altri o sotto falso nome.
Ricordo che di un’ipotesi del genere si parlò nell’83, dopo il rapimento di
mia figlia. Ho mandato diverse volte i biglietti all’ISA di Via Cicerone;
come si mandano a diversi altri alberghi o pensioni di Roma, perché molti
pellegrini chiedono questi inviti prima del loro arrivo a Roma indicandoci
in quale albergo alloggeranno. Noi abbiamo già richieste per l’anno
prossimo con l’indicazione del luogo d’alloggio ove dovremo mandare i
biglietti. Proprio martedì ho mandato due buste all’ISA per l’udienza di
ieri. Si trattava di due inviti individuali.(v. esame di ORLANDI Ercole del
23.03.95)
Nuovamente citato e interrogato oltre che sull’argomento, sulle
possibili cause della scomparsa della figlia, egli ulteriormente specifica ed
aggiunge interpretazioni e circostanze di sommo interesse che merita
integralmente riportare: “Con riferimento ai biglietti di invito per le
cerimonie e le udienze, preciso che gli stessi sono recapitati materialmente
dai vigili e cioè dai dipendenti del Servizio di Vigilanza, ai quali
personalmente consegno gli inviti da distribuire, in ordine di giro, cioè
secondo un itinerario più razionale da me predisposto. In relazione al
periodo precedente la scomparsa di Emanuela, ritengo di aver tuttora
conservato un registro nel quale ho annotato i nominativi dei beneficiari
degli inviti da me recapitati, limitatamente alle udienze private del
Pontefice. Altrettanto non posso dire per le udienze pubbliche in ordine alle
quali trascorso un anno all’incirca dalla richiesta la relativa
documentazione viene distrutta.
Gli inviti vengono recapitati, come ho già spiegato, un gran numero oltre
che presso abitazioni private, anche negli alberghi della città: quanto a questi
ultimi si va dall’Exelsior alle piccole pensioni perché le richieste sono
numerosissime. Agli alberghi deve poi aggiungersi un gran numero di istituti
religiosi ai quali vengono recapitati attraverso i vigili.
La distribuzione degli inviti avviene con le modalità da me sopra
precisate per coloro che ne fanno richiesta; chiunque tuttavia può presentarsi
presso la Prefettura della Casa Pontificia, ingresso al portone di bronzo, a chiedere
ed ottenere un biglietto senza alcune formalità e ciò per quanto riguarda sia le
udienze papali sia le cerimonie - il rifiuto è legato solo all’esaurimento dei
biglietti.
Prendo atto delle circostanze che mi rappresenta la S.V. in ordine al
possibile collegamento tra la scomparsa di mia figlia Emanuela e l’attività da me
svolta e di cui ho parlato sinora. Purtroppo in tanti anni durante i quali mi sono
chiesto perché fosse stata rapita, non sono riuscito a dare una risposta, e ciò per la
semplice ragione che a me non sono pervenute richieste o pressioni di alcun
genere, trattandosi di mia figlia infatti, avrei immediatamente collaborato con gli
inquirenti.
Ribadisco che inizialmente ho ipotizzato che mia figlia fosse stata rapita
al posto di Raffaella GUGEL, figlia dell’Aiutante di camera di Sua Santità Angelo
GUGEL.
Quest’ultimo infatti, mi aveva riferito che la figlia manifestava
preoccupazione, perché riteneva di essere seguita da qualcuno. Le due ragazze non
si somigliavano fisicamente, mentre tutti sostenevano la mia somiglianza con il
padre di Raffaella; somiglianza che crea tuttora degli equivoci. In ultima analisi se
l’obiettivo reale fosse stato quello di rapire Raffaella GUGEL, ciò potrebbe essere
accaduto nell’ipotesi in cui il padre di costei, in ragione del proprio lavoro, avesse
avuto occasione
di apprendere qualcosa che doveva rimanere segreta. Fra l’Aiutante di
camera del Pontefice e la Vigilanza vi sono stati rapporti di fiducia e di
collaborazione, essendo stato lo stesso GUGEL dipendente della
Gendarmeria sotto Paolo VI, prima che il servizio fosse stato
smilitarizzato”.(v. esame di ORLANDI Ercole del 20.06.95)
_______________________
CAPITOLO TERZO
Cap. 2.3. Valutazione della pista interna
Le dichiarazioni di ORAL CELIK - persona, lo si ribadisce che sa, e
sa, adesso che è scomparso ABDULLAH CHATLI, più di tutti, per il suo
livello nell’organizzazione; e sa di certo più di MEHMET ALI’ AGCA -
già di per sé inattendibili per il suo porsi al di fuori dei fatti, come narratore
neutro, come persona cui tutto è stato riferito, ma a nulla ha partecipato, si
deve dire, hanno ricevuto rarissimi riscontri, in particolare quelle che
hanno chiamato in causa personaggi della S. Sede. Nonostante siano state
acquisite riprese per un lungo arco di tempo prima dell’attentato, in
nessuna di esse è emersa la presenza di AGCA a cerimonie religiose, tanto
meno con la partecipazione di cardinali. D’altronde le indicazioni di
CELIK sull’argomento sono a tal punto confuse da apparire fantasiose con
palesi contenuti di calunnia.
Restano soltanto le fotografie di S. Tommaso d’Aquino. Lì in effetti,
AGCA è ripreso nel corso di una cerimonia in cui è presente il Pontefice.
Egli si trova in un’area ad accesso riservato ed è prossimo al Papa.
Nonostante la sua incredibile negativa, che però di fatto nell’ultima battuta
si trasforma in una implicita ammissione, egli ha seguito il Papa ed ha
avuto modo di “studiarlo” da vicino. D’altronde egli è un “killer serio” e
questa sua “professionalità”, gli imponeva sopralluoghi a cerimonie
religiose ed osservazioni sulla vittima designata.
Come egli fosse potuto accedere all’area che s’è detto, non si è
riuscito a chiarire. E quand’anche ciò fosse avvenuto per regolare invito
proveniente dal Vaticano, non si è riusciti a comprendere per quali canali.
Lo stesso è a dire, ove le precedenti circostanze fossero state confermate,
sulle modalità di consegna del plico contenente l’invito. Giacchè non s’è
raggiunta prova che quel biglietto fosse stato portato
dall’ORLANDI, che pure svolgeva questa funzione e ne ha recapitati,
durante il suo servizio, all’ISA di via Cicerone.
Anche altre indicazioni come quelle del versamento di danaro in pro
di persona di sesso femminile e cittadinanza turca, su un conto della banca
vaticana, come si vedrà in seguito, non hanno avuto riscontri.
La cd. pista vaticana pertanto, si può affermare, non ha sortito
sostegni di prova, e deve, quanto meno allo stato, essere abbandonata.
_________________________
CAPITOLO QUARTO
Cap. 2.4. La pista libica
A conclusione del capitolo sulle possibili matrici dell’attentato, una
pista mai indicata prima è quella di cui riferisce tal CUK Liliana,
personaggio emerso agli atti dell’inchiesta sulla strage di Ustica, su cui più
volte ha reso dichiarazioni
Costei, di origine croata, è un personaggio sufficientemente addentro
alle vicende mediorientali e nordafricane,- sia perchè è stata compagna e
convivente del cugino del leader libico GHEDDAFI per diversi anni ed è
vissuta a lungo in quel paese, sia perchè cura interessi ed affari di
molteplici parti in quell’area, prestando non raramente la sua opera, a sua
detta, anche a Servizi occidentali.
Sull’attentato al Sommo Pontefice, ha riferito che i mandanti di
questo delitto devono essere ricercati tra gli esponenti più alti del regime
libico e segnatamente il colonnello stesso GHEDDAFI. L’azione
commissionata ai Lupi Grigi, sarebbe stata motivata dalla necessità di
compiere una ritorsione rispetto alla posizione filo-francese assunta dal
Papa sulla questione del Ciad, e al successivo diniego ad una visita, già
concordata, dello stesso leader libico a Giovanni Paolo II°, in cui la vicenda
sarebbe stata oggetto di approfondite discussione politica. Nel corso delle
trattative preliminari all’incontro, il regime libico avrebbe erogato notevoli
somme di danaro a beneficio di “attività” condotte dal Vaticano e stipulato
contratti a beneficio di aziende di Paesi “vicini” alla Santa Sede.
I contatti e i piani per l’attentato sarebbero stati presi e concordati in
Svizzera tra il massimo esponente del Servizio libico in Europa, di cui però
la CUK non fa il nome, asseritamente per motivi di cautela personale, ed
ORAL CELIK. In quelle stesse occasioni e in incontri successivi sarebbe
stato concordato di far ricadere la responsabilità dell’attentato
nell’area dei Paesi dell’Est, in particolare sulla Bulgaria, giacchè essi
sarebbero apparsi intuitivamente per l’opinione pubblica come i fruitori, in
termini politici, dei maggiori benefici dell’operazione. L’azione di
disinformazione sarebbe stata effettuata, fornendo ad AGCA in Austria una
serie di elementi di conoscenza su “personaggi bulgari” gravitanti in Italia.
_____________________
CAPITOLO QUINTO
Cap. 2.5. La pista islamica
Gli Ulkulu sono islamici stretti, come spesso s’è visto; difendono la
patria e l’ideologia della Grande Turchia.
Con gli attentati al Papa potrebbero mirare, specie dopo il crollo del
comunismo - perchè gli attentati sono proseguiti anche dopo la caduta del
muro e della Bulgaria comunista - alla figura spirituale in sé del Papa e non
come anticomunista.
Con l’attentato di Sarajevo si insinuano nel conflitto cristiano-
mussulmano in Bosnia e non hanno nulla a che fare con il contrasto tra
comunismo ed anticomunismo.
Luce verrebbe, se accertassimo la natura della missione di AGCA in
Iran.
Se era vero che il comunismo aveva come obiettivo il Papa Woytila
e l’Iman Khomeini, era anche vero che Khomeini odiava sia l’occidente
capitalista che l’oriente comunista, dominati entrambi da ideologie
irreligiose ed atee; e lo stare a Tabriz da solo, per più mesi, forse è più
indicativo di una preparazione di progetti su obbiettivi all’esterno di quel
Paese che al suo interno.
____________________
CAPITOLO SESTO
Cap. 2.6. Conclusioni
Quindi più matrici possibili.
Tra le tante, quella però che tuttora riceve più indicazioni resta quella
bulgara. E non solo per le molteplici riprove che essa, nonostante AGCA,
aveva sortito, ma anche perchè, come si vedrà nella prossima parte sui
Servizi, rivelazioni d’interesse emergono dagli archivi dell’Est ex
comunista, che per più versi danno sostegno a quella prima pista.
_________________________
PARTE TERZA
I rapporti con la Santa Sede
CAPITOLO PRIMO
Cap. 3.1. L’instaurazione di rapporti con la S.Sede
Le risultanze di cui alla parte 2^ ed altre, come il messaggio di DE
MARENCHES, le dichiarazioni di alcuni ecclesiastici, le indagini sullo
IOR, così come la necessità di acquisire gli atti compiuti dalle Autorità
vaticane, determinarono l’inaugurazione dei rapporti con la S. Sede.
Le dichiarazioni di ORAL CELIK, in particolare quelle relative al
deposito dell’ingente somma in dollari su conto presso l’Istituto per le
Opere di Religione dello Stato della Città del Vaticano, determinavano
nuova rogatoria alle Autorità di questo Stato, al fine di accertare:
1. se effettivamente il conto indicato da CELIK e cioè il n. 343 fosse
o fosse stato, nella titolarità di persona di cittadinanza o comunque di
origine turca, ed in caso positivo quali ne fossero le sue generalità; 2. se
vi fosse versata comunque la somma sopra indicata o pur sempre somma di
rilevante entità nel periodo precedente o successivo all’attentato al
Pontefice; 3. se comunque esistesse all’epoca conto intestato a persona di
cittadinanza od origine turca, in cui era stata versata somma
dell’ammontare predetto o similare ; 4. in caso di riscontri positivi, da
quale ente o persona fisica fosse stata effettuata quella provvista e quali
fossero state le successive movimentazioni del conto.
A tali fini si chiedeva:
1. di esaminare il titolare all’epoca dell’Istituto delle Opere di
Religione sul fatto; 2. di acquisire copia della documentazione bancaria di
quel conto.
Sulla base della negativa già espressa, in rogatoria di cui si dirà oltre,
non si formulava richiesta di partecipazione alla esecuzione degli atti. (v.
Rogatoria Città del Vaticano, 03.09.94)
Il promotore di Giustizia presso il Tribunale dello Stato della Città
del Vaticano, lette le richieste e vista, come di regola, la normativa vigente,
ritenne, “confermando innanzitutto la
piena disponibilità dell’Autorità Vaticana nello spirito di cortesia cui
si richiama il richiedente, che:
a) si potessero effettuare accertamenti e trasmettere
notizie relative ai nn. i e 2 delle richieste;
b) che non fosse accoglibile quanto richiesto ai nn. 3 e
4, primieramente perché la genericità della qualità della persona
(“cittadinanza od origine turca”) rende eccessivamente esteso il settore di
indagine e determina dubbi sulla legittimità del procedere;
c) quanto alle richieste riguardanti le indagini
“all’esito”, sembra che fosse possibile accogliere la richiesta n. 2, e non
quella n. 1 perché la persona “de quo” trovavasi all’epoca all’estero”.
Parere cui si adeguò il Tribunale. (v. provvedimenti 29 e 30.09.94).
Di conseguenza il Giudice Relatore si recò negli Uffici dell’Istituto
per le Opere di Religione, ove sentì il commendatore Celio SCALETTA,
vice Direttore Generale di detto Istituto, e il dottor Pier Giorgio
TARTAGLIA, Capo Ufficio Contabilità e Amministrazione Generale, e
consultò, di quell’Istituto, gli Archivi e il sistema informatizzato. E così
ricavò che:
1) “non esiste allo stato nè poteva esistere negli anni ottanta e
neppure precedentemente (almeno sino agli anni cinquanta) un conto
corrente presso lo I.O.R. contraddistinto dal n. “343” o comunque di tre
sole cifre;
2) l’identificazione dei conti presso l’Istituto, quale che sia la modalità o il
tipo di deposito effettuato, avviene da oltre venti anni, attraverso tre gruppi
numerici con l’aggiunta finale di una lettera alfabetica (del tipo 000-0-
0000-A);
3) l’apertura di conti correnti o comunque di rapporti bancari presso
lo I.O.R. avviene esclusivamente a favore di Enti o persone fisiche che ne
abbiano titolo, a motivo del loro rapporto con la Sede Apostolica, e non già
indiscriminatamente a favore di qualsivoglia richiedente. Tale criterio è
seguito con particolare rigore nel caso di soggetti provvisti di cittadinanza
o comunque di nazionalità estera;
4) per quanto attiene alla eventuale intestazione di conti correnti a
favore di persone fisiche di nazionalità turca, i funzionari interpellati si
riservano di comunicare quanto prima gli esiti delle ricerche di archivio al
riguardo.” (v. verbali acquisizione notizie, 01 .10.94)
__________________
CAPITOLO SECONDO
Cap. 3.2. L’informativa DE MARENCHES
Cap. 3.2.1. Le dichiarazioni del Capo dello SDECE.
Alessandro DE MARENCHES, capo del Servizio esterno di Francia
- che nella precedente istruzione si era rifiutato di rispondere alle domande
sul progetto di attentato al Sommo Pontefice, di cui sarebbe venuto a
conoscenza in ragione delle sue funzioni, invocando il segreto di Stato -
nella presente ha assunto atteggiamento diverso, rispondendo a tutti i
quesiti, meno che a quello sulla fonte dell’informativa.
In vero DE MARENCHES nel libro “Dans les secrètes des Princes”,
pubblicato nell’86, aveva già rilevato importanti circostanze alla giornalista
che gli aveva chiesto se l’attentato al Papa e il processo ad ALI’ AGCA
avessero messo in luce l’“imbroglio” del terrorismo internazionale.
Egli così aveva risposto: “Ero a conoscenza che tale tentativo di
omicidio ai danni del Papa ci sarebbe stato. Ne ero stato avvisato. Avevo
ricevuto una informazione... . Tale informazione era importante, perché era
credibile. Si inseriva in un contesto. Io mi sono detto: “Ammettiamo che si
voglia eliminare il Capo della Chiesa cattolica... . Perché lo si farebbe?
“...si scopre che lo si può voler eliminare per tre ragioni importanti. In
primo luogo, quest’uomo viene dall’altra parte. Conosce le tecniche e le
mentalità delle genti dell’Est. Non c’è nulla che i comunisti detestino
maggiormente di qualcuno che comprenda i loro metodi. Come percepire
l’inferno se si è un angelo? Degli exdiavoli conoscono l’ambiente. Orbene
il Santo Padre, lui, è uscito dal luogo dove pullulano i diavoli. Li conosce
bene, come pure i loro intrighi, che non comprenderebbe un papa nato
all’Ovest.
In secondo luogo, ci si sbarazzava di un pontefice il cui compito
storico è il riprendere in mano la Chiesa cattolica,
minata dal dubbio e molti preti della quale, semplici e generosi non sono
indifferenti agli appelli delle sirene marxiste, quando non maneggiano essi
stessi il kalachnikov.
La terza ragione è che, se egli muore, un papa sarà eletto, senza
dubbio un Italiano, molto meno duro ed esperto di un uomo che veniva lui
stesso dal freddo.
Queste ragioni importanti - per poco non dicevo principali - fanno sì
che ho deciso di avvertire il Santo Padre e d’inviare un ufficiale generale
della mia cerchia diretta, accompagnato da un funzionario del servizio di
rango elevato, molto competente, M.C.. Il Vaticano è stato avvertito
tramite un importante personaggio ecclesiastico francese dai miei amici, ex
della “France libre”.
Questa informazione pervenne nel gennaio 1980 in Vaticano. Il
Santo Padre rispose che la sua sorte era nelle mani del Signore.
Rispetto molto tale comportamento, sebbene pensi che a volte sia
necessario aiutare il Signore”. (v. articolo del periodico L’EXPRESS,
29.08 - 4.09.86, pp. 21 - 22)
DE MARENCHES si pone il problema del perchè il suo avviso, la
sua messa in guardia, non abbia sortito effetto, cioè non sia servita ad
impedire l’attentato. Ma a tale quesito sino a quel tempo egli non aveva
ricevuta risposta.
“Si può pensare dati i rapporti vicini, millenari, tra lo Stato del
Vaticano e lo Stato italiano, che, davanti ad un problema di tale rilevanza i
Servizi del Vaticano ne abbiano parlato a chi di dovere a Roma... Mi sono
chiesto se i Servizi italiani avessero fatto il necessario per proteggere il
Sovrano Pontefice. Non conosco, a tutt’oggi, la risposta”. (v. articolo del
periodico L’EXPRESS, ed. cit. pp. 2l - 22).
Quindi il capo dello SDECE affronta la questione della figura di
AGCA e alla domanda sul valore dell’affermazione di costui, secondo cui
l’Unione Sovietica era l’Impero del Male e il centro della tela di ragno del
terrorismo internazionale, così risponde: “Credo che i Sovietici, che sono
efficaci e prammatici, utilizzino un certo numero di organizzazioni
terroristiche per condurre questo genere di guerra. Ne hanno un approccio
globale. Nel caso di questo giovane terrorista, MEHMET ALI’ AGCA, si
tratta di un orribile pasticcio. Ciascuno vi trova il suo tornaconto.
Quelli che pensano che sia stato aiutato dall’imbroglio ad hoc,
bulgaro ed altro, inviato per abbattere il protettore morale della resistenza
polacca ed allo stesso tempo il capo della Chiesa Cattolica nel mondo,
troveranno conveniente sentire ciò che racconta da una parte, e poi, qualche
istante dopo quando dichiara: “Io sono Gesù Cristo” gli altri constateranno
con soddisfazione che è un folle.
Mi chiedo se abbia cercato di trasmettere tramite formule in codice
apparentemente senza nè capo nè coda dei messaggi a gente all’estero. Ciò
non è impossibile. Questo incaricato di missione terroristica ha forse
imparato a memoria, poiché l’hanno dovuto perquisire, un certo numero di
formule che hanno l’aria così stravagante come i messaggi della BBC e che
costituiscono in realtà dei messaggi.
ALI’ AGCA è uno strumento. Egli ha raggiunto il suo scopo a metà,
perché il Papa ora è diventato quasi un vecchio. E sufficiente guardare le
foto. Un istante prima dell’attentato era un uomo relativamente giovane, in
piena forma, un atleta che praticava lo sci, che nuotava. Ora è un signore
anziano. Coloro che si sono serviti di ALI’ AGCA non possono dirgli: “Tu
non
hai rispettato il tuo contratto”... .(v. OCKRENT - MARENCHES “Dans les
secrèts del Princes”, Stock 86)
Su quest’ultimo punto, sul peso di questo giudizio certo si ritornerà.
Importante è rilevare sin da questo momento l’esattezza estrema di quelle
parole, secondo cui nessun potrà mai contestare ad AGCA di non aver
osservato i patti, “egli ha rispettato il contratto”, togliendo comunque anni
ed energie al Pontefice.
DE MARENCHES, nel corso di rogatoria di questo Ufficio,
puntualmente conferma i passi di quel libro, aggiungendo di poter
affermare, nonostante il vincolo del segreto di Stato, che la decisione di
eliminare il Pontefice era stata presa dai più alti vertici di Mosca; che le
informazioni sull’operazione giunsero al suo Servizio nel 1979; che
nonostante mancassero i dettagli dell’esecuzione, egli la stimò credibile,
per cui decise di portarla a conoscenza del Sovrano Pontefice. A tal fine
aveva inviato a Roma il Medico Generale Maurice BECCUAU e il
funzionario del Servizio Valentin CAVENAGO, presso Don CALMES,
suo amico da lunga data, Superiore Generale dei Premostratensi e già
Primo Cappellano di France Libre, che si premurò di “guidarli utilmente
nei labirinti della Amministrazione Vaticana. So che li ha introdotti al più
alto livello dello Stato Vaticano... A quel punto era compito dei
responsabili del Vaticano di valutare la minaccia e di adottare ogni misura
adeguata. Quel che posso dire è che so che lo stesso Sovrano Pontefice è
stato personalmente messo al corrente”.
Al rientro BECCUAU gli aveva riferito sulla missione. (v. esame di
DE MARENCHES 16.09.89 e 01.10.91)
Il sopravvissuto dei due inviati, CAVENAGO, conferma
sostanzialmente la ricostruzione di DE MARENCHES, precisando la data
della missione, che avvenne il 1° giugno del 79. A Roma egli e il
BECCUAU furono introdotti alla presenza del Monsignor CALMES,
Abate Generale dell’Ordine dei Premonstratensi. “Il Signor BECCUAU
l’ha informato di un forte rischio, nella mente di Monsignor CALMES
come nella mia ci è balenato che sua Santità il Papa avrebbe potuto essere
vittima di un attentato durante il suo viaggio in Polonia. Il Generale
BECCUAU ha chiesto a Monsignor CALMES di invitare sua Santità il
Papa a portarsi in Polonia accompagnato dal suo archiatra - Medico
personale del Papa.
Monsignor CALMES ci ha informato che gli era difficile recarsi
presso sua Santità. In effetti, il Papa circondato dai suoi collaboratori
polacchi che creavano degli autentici sbarramenti. Monsignor CALMES ci
ha pure informati che delle persone della Curia Pontificia esercitavano
delle pressioni su sua Santità al fine di annullare il suo viaggio in Polonia.
Monsignor CALMES ci ha chiesto per questo motivo la massima
discrezione circa tale caso”. Esso CAVENAGO afferma che Don
CALMES, pur sorpreso dell’informazione, non ebbe alcun dubbio sul
valore di essa, provenendo da DE MARENCHES. Egli, non si recò in
Vaticano. (v. esame di CAVENAGO 23.10.90)
***************
Cap. 3.2.2. Gli esami dei Padri Premonstratensi.
Questi eventi per le parti a conoscenza sono confermati anche dai
Padri Premonstratensi ascoltati.
Il Rettore del Collegio S. Norberto ha riferito che Don CALMES era
morto a Parigi nell’85; che era stato tra l’82 e l’85 Delegato personale per
la Santa Sede ai rapporti con il Sovrano del Marocco; che alla sua morte gli
era succeduto nella carica Abate Generale Lambert Van de Ven. (v. esame
CAALS Leo, 10.05.90)
L’Economo della Casa Generalizia dell’Ordine, all’epoca
dell’attentato al Papa Priore della Casa, ha ricordato che Monsignor
CALMES era molto legato a Paolo VI e al filosofo Jean GUITTON, e che
all’epoca Segretario di Stato era il Cardinale VILLOT, ma non sa dire a chi
Monsignor CALMES nell’ambito della Segreteria di Stato avrebbe potuto
riferire. (v. esame Brouwer FOLKERT, 14.05.90)
L’Archivista della Casa Generalizia dell’Ordine, che ha riordinato le
carte di Monsignor CALMES - di cui ricorda l’amicizia con CHIRAC e
con il Segretario Perpetuo dell’Accademia francese Maurice DRUON -
esclude che tra di esse vi fossero lettere o altri scritti inviati da Alessandro
DE MARENCHES. In quei carteggi vi erano solo due o tre lettere che
esprimevano indignazione per l’attentato, provenienti da amici del
CALMES. (v. esame ARDURA BERNARD HENRY 14.05.90)
L’Abate Generale dell’Ordine, successore nell’81 di monsignor
CALMES, ha rammentato che i voluminosi carteggi di costui furono divisi
in tre parti. Quelle relative all’Ordine raccolte ed ordinate dall’Ardura,
sono ovviamente rimaste presso la sede stessa dell’Ordine. Quelle relative
agli affari del Marocco, erano state richieste dalla Segreteria di Stato e
consegnate a breve distanza dalla morte di Don CALMES a monsignor
BACKSIS lituano, all’epoca Nunzio in Olanda.
Quelle private, conservate personalmente da quel suo successore, dal
tempo della successione.
Egli, che pure era venuto a conoscenza di un progetto di attentato al
Pontefice, non ne aveva avuto notizia da mons. CALMES. Non ricorda
però chi gliene avesse parlato, probabilmente un qualche componente di
una famiglia di Arles nel mezzogiorno della Francia, famiglia molto legata
a Monsignor CALMES, e più che probabilmente da una giovane di questa
famiglia, che residente a Parigi frequentava la Casa dell’Ordine, per
riordinare le carte di Mons. CALMES.
Non sa dire chi fosse, nella Segreteria di Stato, il referente di Mons.
CALMES. Sa che conosceva il Segretario di Stato, Mons. CASAROLI;
molto bene il detto Monsignor BACKSIS; il Cardinale MARTINEZ
SOMALO, Sostituto del Segretario di Stato, Mons. RE, anch’esso della
Segreteria. (v. esame VAN DEVEN LAMBERTUS ADRIANUS MARIA,
14.05.90).
_______________________
CAPITOLO TERZO
Cap. 3.3. Le conseguenti rogatorie
Di conseguenza questo G.I., al fine di accertare:
1. le modalità di ricezione dell’informativa francese e gli
ulteriori tramiti sino ai responsabili della Segreteria di Stato e degli organi
preposti alla sicurezza del Sommo Pontefice; 2. le misure di protezione
adottate e se su di esse fosse stata data comunicazione ai Servizi di sicurezza
di altri Stati; 3. se quel progetto di attentato fosse il primo del Pontificato
portato a conoscenza della S. Sede o se esso si inserisse in una serie con
precedenti e successive informative o notizie di piani d’assassinio od anche di
semplici minacce; questo G.I., si diceva, richiese con Commissione
Rogatoria internazionale allo Stato della Città del Vaticano, l’esame dei
responsabili all’epoca e loro successori degli Uffici sopraindicati e
l’acquisizione in copia della documentazione su dette informative e di quella
eventualmente elaborata sulle misure di protezione. (v. Rogatoria Città del
Vaticano 28.02.94).
Questa Commissione venne formulata pur in assenza di Trattato di
Assistenza Giudiziaria tra i due Stati, sulla base della considerazione di ottimi
rapporti di collaborazione già instauratisi da tempo in altre indagini ed
istruzioni.
Il Promotore di Giustizia presso il Tribunale dello Stato della Città del
Vaticano, letta tale rogatoria e viste le normative vigenti, ritenne:
A. di poter acquisire e trasmettere notizie, raccolte anche attraverso l’ascolto
informale degli Eminentissimi Cardinali CASAROLI, SILVESTRINI e
MARTINEZ SOMALO, se l’informativa raccolta dai Servizi Segreti francesi
fosse effettivamente giunto all’Autorità Vaticana; B. di non dover invece
fornire alcuna informazione sugli altri particolari relativi alle modalità di
ricevimento etc., trattandosi di questioni attinenti esclusivamente alla
organizzazione statuale vaticana e sottoposta alla giurisdizione
medesima, sia sostanziale che processuale; C. di non poter accogliere ogni
altra richiesta, perché invadente la sovranità dello Stato della Città del
Vaticano; ed infine di non poter prendere in considerazione la richiesta di
questa A.G. di partecipazione all’audizione dei testi, non essendo ciò previsto
da alcuna legge dello Stato della Città del Vaticano, nè da accordi
internazionali che in tal senso vincolassero lo Stato medesimo. (v.
provvedimento 21/94 Reg.Gen.Pen. Uffici del Promotore di Giustizia,
17.05.94).
In conformità decideva il Tribunale. (v. provvedimento Tribunale dello
Stato della Città del Vaticano 20.05.94).
In conseguenza venivano ascoltati soltanto i tre cardinali sopra
menzionati senza la presenza della A.G. italiana.
Il Cardinale Achille SILVESTRINI, che al tempo dei fatti ricopriva
l’incarico di Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, così
rispose: “Posso precisare che nel periodo antecedente l’attentato al Sommo
Pontefice del maggio 1981, nessuna informativa - diretta o indiretta mi
pervenne da parte dei Servizi di informazione e sicurezza esterna francesi
riguardo a progetti di attentati contro la persona del Santo Padre nè a minacce
a lui rivolte. Soltanto successivamente ai tragici eventi del 1981 appresi dalla
stampa che il Conte de MARENCHES, Direttore dei predetti Servizi, avrebbe
inoltrato ad Uffici della Santa Sede - che neanche dopo sono riuscito ad
identificare - la segnalazione in argomento”.
Il Cardinale Eduardo MARTINEZ SOMALO, che nel 1981 era
Sostituto del Segretario di Stato, così rispose: “Ricordo che soltanto dopo i
tragici fatti del maggio di quell’anno, che videro il ferimento del Santo Padre,
appresi dai giornali l’esistenza di una informativa che i Servizi di sicurezza
esterna francesi avrebbero inoltrato, per il tramite di Mons. CALMES,
alla Santa Sede. Devo dire che mi meravigliai allora, come tuttora lo sono,
per tale notizia, in quanto in primo luogo non mi risultava assolutamente
pervenuta in Segreteria di Stato la riferita informativa ed in secondo luogo
per le veramente inusuali modalità, con le quali tali notizie sarebbero state
inoltrate. Ricordo soltanto che in questi casi, laddove beninteso esiste un
fumus veritatis, si possono attivare in ogni momento gli ordinari e sempre
rapidissimi canali diplomatici. (v. deposizione MARTINEZ SOMALO,
21.05.94)
Il Cardinale Agostino CASAROLI, all’epoca Segretario di Stato di
sua Santità, dichiarò “...di non aver mai, nè direttamente nè indirettamente,
avuto accenno ad informazioni provenienti dai Servizi Segreti francesi o da
altri Servizi, relativi ad un progetto di una minaccia di attentato contro la
persona del Santo Padre. Null’altro da aggiungere”. (v. deposizione
CASAROLI 06.06.94)
____________________
CAPITOLO QUARTO
Cap. 3.4. Le dichiarazioni di monsignor SALERNO
Cap. 3.4.1. Le prime dichiarazioni di mons. SALERNO.
Un ecclesiastico - Consulente legale presso la Prefettura degli
Affari Economici della Santa Sede - che aveva già riferito circostanze
di rilievo nel procedimento per la scomparsa di Emanuela ORLANDI,
proprio nel corso di quella istruttoria aveva anche parlato di fatti
certamente connessi con l’attentato al Sommo Pontefice.
In primo luogo la vicenda relativa a quattro fotografie
raffiguranti il Papa sulla terrazza del suo appartamento nel Palazzo
Apostolico, a lui consegnate da altro sacerdote. In secondo luogo le
confidenze ricevute dal fotografo dell’Osservatore Romano - che
segue di continuo il Pontefice e lo riprende in ogni occasione - il quale
ebbe a rivelargli che tra il materiale fotografico relativo all’attentato
che egli aveva raccolto, vi erano delle riprese di udienze papali, in cui
si riconosceva il volto di AGCA. Infine il collegamento effettuato
immediatamente dallo stesso ecclesiastico nell’83, dopo la scomparsa
ORLANDI, tra questo evento e le fotografie di AGCA durante le
udienze pontificie.
Ma più dettagliatamente così il testo degli atti. Sulla prima
vicenda: “Proprio in quell’epoca - giugno 81; n.d.e. - un sacerdote mio
amico, tale INNOCENTI Ennio mi contattò per consegnarmi quattro
fotografie raffiguranti il Sommo Pontefice ritratto sulla terrazza del
suo appartamento (Palazzo Apostolico), fotografie consegnate
all’INNOCENTI da un militare italiano, attualmente generale, che le
aveva casualmente ricevute; il generale era in partenza alla volta di
Parigi con altri colleghi militari e fu avvicinato presso l’aeroporto di
Fiumicino da un ragazzo, uno sconosciuto, il quale lo pregò di una
cortesia e cioè di recapitare alcune
fotografie inerenti al caso di “Alfredino” (il bambino di Vermicino
caduto nel pozzo) a Parigi dove sarebbero state ritirate da redattori del
Paris Match. Una volta a bordo dell’aereo il generale ebbe a sfogliare
le foto medesime, si trattava di un gruppo cospicuo nel quale erano
inserite ben dieci pose che ritraevano la persona del Pontefice: colpito
dalla rilevanza di tali immagini il generale pensò di sfilarne quattro,
quelle che gli apparivano evidentemente più significative e provvide
altresì a copiare la didascalia riprodotta su un foglio a parte e
descrittiva della situazione che raffiguravano le singole pose.
L’INNOCENTI non fece altro che rimettere nelle mie mani le
fotografie in questione, nonché la didascalia trascritta affidando a me
ogni ulteriore sorte delle stesse. Faccio presente all’ufficio che
ciascuna fotografia recava il timbro dell’agenzia Kappa che aveva
provveduto a scattarle e che anche la didascalia trascritta a mano dal
militare recava gli estremi della stessa agenzia: si trattava dell’agenzia
Kappa di via Rasella a Roma.
A questo punto avendo intuito la delicatezza delle fotografie che
mi erano state sottoposte e affidate, decisi di parlarle direttamente alla
dott.ssa Wanda POLTAWSKA, persona di nazionalità polacca molto
vicina al Sommo Pontefice che lo seguiva nella fase della
convalescenza e che per questo si trovava in Italia. (v. esame Salerno,
G.I. 20.02.93)
“Il sacerdote INNOCENTI ... certamente conosce il militare che
gli ha consegnato le fotografie ... Mi riferì soltanto i motivi della
consegna stessa, cioè perché venissero date a persone sicure al fine di
provvedere alla incolumità del Pontefice ... So che questo Ufficiale
stava partendo per la festa aeronautica di Le Bourget.
Queste quattro fotografie insieme ad una didascalia ... a parte
furono consegnate da Don Ennio a me, a casa sua. Questi fatti si collocano nel
giugno-primi di luglio 81... Il titolo della didascalia era approssimativamente
il seguente: il Papa in convalescenza sotto l’occhio vigile dei poliziotti
vaticani”. (v. esame Salerno, G.I. 25.09.93)
Su quanto posto in essere in conseguenza: “valutai più proficuo
informare una persona come la dottoressa in questione - cioè la
POLTAWSKA; n.d.e. - di un caso che mi appariva delicato per le ragioni
connesse alla sicurezza personale del Pontefice piuttosto che sollecitare
formalmente le autorità interne ad una maggiore cautela, che poi non so se
effettivamente sarebbe stata adottata. La dottoressa POLTAWSKA mi chiese
se poteva esaminare insieme ad Arturo MARI, fotografo dell’Osservatore
Romano i reperti fotografici in questione. Nel visionarli MARI espresse il suo
convincimento circa le autenticità delle immagini fotografiche, rilevando in
particolare la presenza vicino al Pontefice, che mi fu confermata anche dalla
dottoressa, di due medici che lei conosceva personalmente e che vigilavano
sulla convalescenza del Pontefice. MARI invece rilevò che le foto erano state
scattate dalla cupola di San Pietro e che la distanza tra il punto di
osservazione e il soggetto fotografico era molto ravvicinata e comunque tale
da sconsigliare una permanenza del Pontefice in un luogo così accessibile.
Consegnai le fotografie al MARI che in quel periodo stava raccogliendo
materiale fotografico di rilevanza relativo all’attentato del maggio ‘81 e
nell’ambito di un’attività investigativa personale che conduceva d’accordo
con la dottoressa. (v. esame Salerno, G.I. 20.09.93)
Poi nel secondo verbale: “Ho consegnato sia le fotografie, che
la didascalia, non conservando alcunché presso di me, tanto
meno delle fotocopie, alla dottoressa Wanda POLTAWSKA. Questa consegna
avvenne lo stesso giorno in cui io ricevetti da Don Ennio la busta contenente il
materiale sopra descritto. Questa consegna avvenne presso le Suore della
Redenzione, a Via Marco Antonio Colonna, ove la POLTAWSKA risiedeva in
quel tempo.
La POLTAWSKA, cittadina polacca, ha uno stretto legame familiare
con il Pontefice da lunga data, risalente alla adolescenza di entrambi. E’ un
medico internista e psichiatra ed era a Roma per dare assistenza al Sommo
Pontefice dopo l’attentato.
La POLTAWSKA, esaminando le fotografie, riconobbe l’attualità delle
stesse, perché individuò nelle due persone presenti con il Pontefice sulla
terrazza, due medici, uno polacco e l’altro del Fondo dell’Assistenza Sanitaria
Vaticana, che in quel periodo assistevano il Pontefice nella sua convalescenza.
Le fotografie e la didascalia rimasero nelle mani della dottoressa
POLTAWSKA, che mi chiese di incontrare il fotografo dell’Osservatore
Romano, Arturo MARI, tuttora alle dipendenze del quotidiano Vaticano. Non
so dove abiti.
La POLTAWSKA voleva verificare l’attualità delle fotografie e le
modalità di ripresa.
Io detti le fotografie a detta dottoressa, perché mi era noto il suo legame
con il Sommo Pontefice e perché la ritenevo la persona più idonea ad esperire
eventuali interventi per evitare una esposizione imprudente della persona del
Papa.
Devo rilevare che il fotografo MARI aveva rilevato che le fotografie
erano state scattate dalla Cupola di San Pietro e che questo costituiva un
motivo di preoccupazione, data la vicinanza tra la Cupola e la terrazza del
Palazzo Apostolico.
Attualmente la POLTAWSKA vive a Cracovia. Quando viene a
Roma è ospite di amici. Non so se conservi ancora il materiale in
questione...
MARI dopo il nostro incontro ha trattenuto queste fotografie e
le ha unite a un dossier contenente altre fotografie riguardanti
l’attentato al Papa, e la sua degenza all’Ospedale e udienze o
cerimonie precedenti l’attentato. Tutto questo dossier è stato poi
consegnato da MARI alla POLTAWSKA.
Io non ho visto le fotografie di udienze e cerimonie in cui si
sarebbe visto il volto di ALI’ AGCA. Questo volto sarebbe stato
riconosciuto da MARI”. (v. esame SALERNO Francesco, G.I.
25.09.93)
********************
Cap. 3.4.2. Le dichiarazioni di MARI Arturo e di POLTAWSKA
Wanda.
Queste dichiarazioni vengono confermate sostanzialmente sia
dal MARI che dalla POLTAWSKA.
Il primo - che è fotografo-cronista dell’Osservatore Romano e
lavora per quel quotidiano dal marzo del 56 - rammenta con
precisione. Rammenta sia la fotografia che riproduceva il Pontefice
sulla terrazza del Palazzo Apostolico, sia altre fotografie eseguite nei
giorni precedenti l’attentato in una parrocchia romana, fotografie
ricercate dalla Polizia perchè in esse appariva l’attentatore.
La prima fotografia gli era stata portata all’Osservatore Romano
da Monsignor SALERNO, il quale mostrandogliela esclamò a mo’ di
battuta “Questa è la sicurezza del Papa ! “Il
Monsignore gli aveva chiesto anche da dove quella fotografia potesse
essere stata scattata, ed egli gli aveva risposto che di certo il fotografo
doveva trovarsi nella galleria esterna della lanterna della Cupola ed aver
usato un teleobiettivo da 1000 millimetri probabilmente raddoppiato, con
necessità perciò di un treppiedi o comunque di un appoggio.
Le altre fotografie gli erano state richieste subito dopo l’attentato dal
dott. PRATICO’ dell’Ispettorato di Polizia presso il Vaticano, ed egli
ricorda con precisione che in esse, quattro o cinque, si mostrava un viso
che aveva delle somiglianze con le fattezze dell’attentatore, ma non sa dire
se PRATICO’ cercasse in quelle fotografie i complici dell’autore del
delitto. Egli diede a PRATICO’ due negativi per lo sviluppo e
ingrandimenti negativi, in seguito restituiti.
Non ricorda però, al riguardo della fotografia portatagli da
Monsignor SALERNO, se essa fu mostrata alla dottoressa POLTAWSKA.
Costei si recava e si reca spessissimo nel suo studio, per cui appare non
escludere la presenza della donna, rimettendosi peraltro al miglior ricordo
del sacerdote, che però corregge sulla consegna del dossier di fotografie
sull’attentato, che non fu dato alla POLTAWSKA bensì a PRATICO’. (v.
esame MARI Arturo 02.10.93)
Nel successivo esame specifica che “PRATICO’ ed il funzionario
del Commissariato Borgo non mi dissero il motivo della loro richiesta.
Successivamente, cioè forse il giorno dopo, non ricordo se PRATICO’ o il
funzionario di Borgo che mi sembra adesso di ricordare che si chiami
SCIAUDONE mi fecero vedere due foto formato tessera dicendomi che
dovevano accertare attraverso queste fotografie la presenza della persona
effigiata nella foto tessera. Non mi dissero chi rappresentava la persona
effigiata nella foto tessera. Ricordo
comunque che somigliava ad una persona che era stata fotografata nelle
foto che io avevo scattato e che consegnai ai funzionari. Le due foto
tessera in questione sono ancora disponibili presso il mio ufficio”.
Riconosce come sue le foto allegate ai rapporti Digos e relative
alla visita pastorale del Papa alla Parrocchia di San Tommaso
d’Aquino a Tor Tre Teste alla periferia di Roma. Riconosce quella cui
erano interessati i funzionari di polizia e sulla quale appare il numero
73 della numerazione progressiva che egli vi apponeva. Non rinviene
invece la precedente e la successiva ovvero la 72 e la 74, ove egli
ricorda con certezza che si vedeva di nuovo la persona somigliante
all’attentatore. (v. esame di MARI Arturo, G.I. 19.09.94)
Nel terzo esame MARI consegna sia le fotografie del suo
servizio - ben 18 stampe - che le due formato tessera che gli erano
state date dal dottor PRATICO’. Il servizio era stato effettuato, come è
risultato dal suo archivio, in occasione della visita il 10 maggio 81 alla
Parrocchia sopra menzionata. Aggiunge che in considerazione
dell’orario della ripresa, la giacca indossata dallo sconosciuto, pur se
tendente al rosso porpora, dovrebbe essere di colore grigio scuro. (v.
esame MARI Artruro, G.I. 20.09.94)
La seconda - che è insegnante di medicina pastorale e direttrice
dell’Istituto di Teologia della famiglia presso la Pontificia Accademia
Teologica di Cracovia e in effetti conoscente da lunga data del
Pontefice - non ricorda con la stessa precisione di mons. SALERNO e
di MARI. Ricorda però che “ ci fu un discorso con Arturo MARI sulla
possibilità di prendere fotografie dalla cupola al Santo Padre, e che di
tale possibilità io rimasi molto preoccupata. Ne ho parlato con Arturo
MARI, perché era italiano e conosceva molte persone. Io
al tempo non conoscevo quasi nessuno in Italia. Personalmente non
presi alcuna decisione, se riferire o meno a persone della Sicurezza
Vaticana. Ne riferii solo al Sommo Pontefice. Mostratele quelle di cui
al verbale SALERNO 16.10.93, non ricorda di averle viste. (v. esame
POLTAWSKA Wanda, G.I. 08.11.93)
Con l’ausilio della sua agenda si riesce poi a datare quelle
fotografie, collocandole tra la data del primo rientro del Pontefice in
Vaticano dal Gemelli dopo l’attentato, e cioè il 3 giugno, e il 20
successivo, data in cui Egli ritornò al detto Policlinico per ulteriore
ricoverò. (v. esame POLTAWSKA Wanda, G.I. 10.11.93)
Questo periodo si restringe poi ulteriormente, perché la
POLTAWSKA, avendo mostrato copia di quelle fotografie al
personale che all’epoca prestava servizio nell’appartamento privato
del Sommo Pontefice, accertava che solo nei primi tre o quattro giorni
dopo il rientro, il Santo Padre fu assistito da medici del Gemelli e che
in seguito fu assistito solo da suore infermiere. (v. esame
POLTAWSKA Wanda, G.I. 13.11.93)
******************
Cap. 3.4.3. La rogatoria all’A.G. francese.
Questo G.I. di conseguenza dispose indagini e rogatoria in
Francia per accertare chi fosse il generale degli Alpini inviato a Le
Bourget per l’Esibizione Aeronautica tenutasi nel giugno 81. Si è
accertato così, attraverso le ricerche di P.G., che ad essa
parteciparono solo Ufficiali dell’A.M. (v. rapporto DIGOS Roma
27.11.93)
Per effetto della rogatoria all’A.G. di Parigi, il G.I. di questo
città a brevissima distanza di tempo richiese al Ministero della Difesa
l’elenco dei membri di quella missione militare con nomi, gradi ed
arma di appartenenza, evidenziando, a fini di sollecita risposta, anche
il termine entro il quale questo procedimento doveva chiudersi. (v.
rogatoria A.G. Parigi, 20.10.93)
Questa risposta pervenne dal Gabinetto del Ministro a stretto
giro ed in essa furono indicati i nomi del Generale PIOVANNO
(ovvero PIO VANO) del tenente colonnello PANZINI, dei generali
BARTOLUCI (rectius BARTOLUCCI), MELONE (rectius
MELONI), del colonnello MOCCI e del professore Pietro SETTE. (v.
nota Gabinetto del Ministro della Difesa francese 19.11.93)
Come si nota non v’è coincidenza con la lista italiana. In questa
francese c’è sicuramente un generale dell’Esercito e cioè PIOVANO,
che però non è degli alpini.
Questa nota racchiusa in due buste sigillate dal G.I. francese fu
trasmessa in plico sigillato con ceralacca direttamente a questo
Ufficio. Tali cautele probabilmente per evitare indebite aperture,
aperture che però non si può escludere siano avvenute. Anche perchè
agli atti è finito anche altro plico, sempre proveniente dal Gabinetto
del Decano dei Giudici Istruttori del Tribunale di Grande Istanza di
Parigi, contenente le fotocopie dei documenti trasmessi, e destinato
all’attenzione del Procuratore della Repubblica di Parigi e del
Procuratore Generale presso la Corte d’Appello della stessa
città. Atti che al termine di questa istruzione dovranno essere restituiti a
detti destinatari. (v. nota G.I. Parigi 02.12.93)
****************
Cap. 3.4.4. Le dichiarazioni di don INNOCENTI e di mons. SALERNO.
Veniva di conseguenza disposto l’esame testimoniale di Don Ennio
INNOCENTI. Costui, chierico beneficiato presso il Capitolo Vaticano, già
compagno presso il Collegio Capranica di monsignor SALERNO,
giornalista presso il Gazzettino di Venezia e la RAI con la rubrica
“Ascolta, si fa sera”, ammette solo di aver consegnato al SALERNO delle
fotografie. Non ricorda quando il fatto avvenne, anche se stima si fosse nel
periodo dell’incidente di Vermicino, giacchè nel plico, secondo quanto
riferitogli dall’amico, cui lo sconosciuto lo avevo consegnato, vi erano
anche della fotografie di quel tragico episodio. Si rifiuta di riferire il nome
di quel suo amico, affermando che si tratta di fatti coperti dal segreto
ministeriale.
Invitato a specificare il segreto, asserisce che si tratta del segreto di
coscienza sacerdotale, giacchè quella persona, essendo suo penitente, gli
aveva confidato un evento di rilevanza morale. Ed a nuovo invito,
conferma questo suo rifiuto di testimoniare.
In vero, considerando il dettato sia del codice del ‘30 che di quello
dell’88 sul diritto di astenersi dei ministri di religione, non sembra si versi
nell’ambito, sia della lettera che dello spirito, di quella norma. Nulla fu
confidato; furono date delle fotografie, perchè venissero a loro volta
consegnate a chi doveva provvedere alla sicurezza del Pontefice, con
l’intento - almeno così si dovrebbe dedurre - che si ponessero in atto
misure idonee a prevenire attacchi all’Augusta Persona. Il rapporto tra chi
consegnava e chi
prendeva in affidamento è con ogni probabilità un rapporto di
amicizia. Il generale potrà essere stato anche penitente di Don
INNOCENTI, ma quelle foto, che dovevano poi essere versate in altre
mani, furono consegnate in altre vesti, nelle vesti di persona che
apparentemente - ma su questo si dovrà ritornare - si premura
dell’incolumità del PAPA, e non di penitenza, di persona che ricorre
con spirito di pentirsi ad un sacerdote.
Ma su tali questioni altri Uffici perché l’eventuale reato fu
commesso nel 93 e quindi sotto il nuovo regime processuale, per cui
gli atti devono essere trasmessi alla Procura della Repubblica.
Tali risultati e considerazioni sui collegamenti tra l’attentato al
Pontefice e il sequestro della ORLANDI indussero a continuare gli
esami di Monsignor SALERNO.
Questi, al riguardo della consegna delle fotografie della terrazza
del Palazzo Apostolico da parte di don Ennio INNOCENTI, riferisce
che fu costui a chiedergli di “farle pervenire in Vaticano per poter
avvertire chi potesse consigliare prudenza al Pontefice. Non mi disse
di tramutarle alla Vigilanza. Egli sapeva quale era la mia posizione nel
Vaticano e quindi lasciò a me la scelta dell’utilizzo di questo
materiale. Io avrei potuto consegnarlo alla Vigilanza vaticana o alla
Polizia italiana. Prescelsi il tramite della POLTAWSKA per i motivi
detti nei precedenti verbali e cioè perché la ritenevo la persona più
sicura e più interessata alla tutela della persona del Papa”. (v. esame
SALERNO Francesco, G.I. 16.10.93)
Di fronte a queste affermazioni l’Ufficio procedette a contestazioni. Così
testualmente: “Prendo atto di quanto mi fa rilevare la S.V. circa la possibile
contraddizione esistente tra la già rilevata precarietà dei Servizi di Sicurezza
del Sommo Pontefice e la casualità con la quale erano pervenute fotografie così
significative a don Ennio INNOCENTI e successivamente a me. In particolare
prendo atto dell’ulteriore circostanza che mi fa osservare la S.V. relativa alla
possibile deliberata volontà di far pervenire con quelle modalità le fotografie di
cui parliamo. Sul punto ribadisco che non ho mai avuto dubbi sull’assoluta
casualità dei modi attraverso i quali erano pervenute le citate fotografie, in
quanto già in passato avevo avuto la certezza dell’assoluta precarietà e
approssimazione dei Servizi di Vigilanza preposti alla sicurezza del Pontefice.
Tale certezza, che mantengo tuttora, mi deriva nel tempo da numerosi
episodi di cui avevo avuto sentore anche indirettamente ed in proposito ne cito
due a scopo esemplificativo:
1 - l’intervento asseritamente attribuito a GELLI sull’editore RUSCONI, per
impedire la pubblicazione scandalistica delle fotografie che ritraevano il
Pontefice mentre prendeva il bagno in piscina. Sul punto ricordo che
comunque queste fotografie vennero poi pubblicate in modo più blando e
successivamente;
2 - la segnalazione della presenza fisica di AGCA sul territorio italiano fatta
dai Servizi turchi a quelli italiani, in epoca anche precedente all’attentato. In
relazione a tali episodi ribadisco che si tratta difatti da me indirettamente
appresi e che comunque mi confermavano la precarietà e comunque
l’insufficienza dei Servizi di Sicurezza.
Pertanto quando furono consegnate, con le modalità che ho detto le
fotografie in questione, ritenni assolutamente plausibile il loro ritrovamento
casuale. (v. esame SALERNO Francesco, G.I. 03.12.93).
Con questo teste si ritornò, dopo gli accertamenti presso la
parrocchia di San Tommaso d’Aquino, pure sulla posizione di
ORLANDI Ercole, padre di Emanuela, nell’ambito della Prefettura
Pontificia.
“ORLANDI nel 1981 aveva il grado di commesso ed era il più
anziano di tutti i commessi addetti alla Prefettura Pontificia. Era alle
dirette dipendenze di mons. MARTIN, Prefetto della Casa Pontificia, il
cui vice era monsignor MONDUZZI reggente della Prefettura Pontificia.
Ricordo che Mari mi aveva parlato di fotografie nelle quali
appariva l’attentatore del Pontefice, fotografie scattate in occasioni
precedenti l’attentato. Queste fotografie erano state raccolte con altro
materiale fotografico riguardanti l’attentato e fatti successivi, come il
periodo di degenza del Pontefice al Gemelli, e messe a disposizione
dell’Autorità Vaticana. Egli mi disse che esistevano fotografie
precedenti l’attentato con l’immagine di AGCA.
In occasione dell’attentato sentii parlare in modo serio di una
presenza dell’attentatore in Italia in un periodo di tempo piuttosto ampio
e di ciò erano a conoscenza sia la polizia italiana che gli ambiente
vaticani. Questa notizia sarebbe stata avallata dalle Autorità Turche”.
Egli poi riconosce, come si vedrà con maggiore precisione,
considerate le sue funzioni in Vaticano, di Don Todini i personaggi
raffigurati nelle fotografie del 10 maggio, e cioè il Cardinal POLETTI, i
monsignori MARTIN, MONDUZZI, MCGEE, VENTURI,
COCCHETTI, GALLO di ROCCAGIOVINE, il sig. GUGEL, l’addetto
di anticamera del Papa. (v. esame di SALERNO Francesco, G.I. del
17.09.94).
Quanto agli inviti alle cerimonie pontificie, quindi precisa che “gli
stessi devono essere recapitati personalmente o ritirati dagli interessati
presso la Prefettura della Casa Pontificia. Gli inviti sono concessi su
richiesta. Per quanto più specificamente riguarda le visite pastorali e in
generale le cerimonie pontificie la Prefettura della Casa Pontificia
predispone la concessione degli inviti per accedere a particolari spazi
riservati ove si svolge la cerimonia. (v. esame di SALERNO Francesco,
G.I. 23.09.94)
Nell’ultima deposizione il monsignore ritorna sui collegamenti tra i
due delitti di cui è discorso, e cioè l’attentato al Papa e il sequestro di
Emanuela ORLANDI e riferisce di circostanze che vale riportare
integralmente : “Con specifico riguardo al presunto scambio di persona
asseritamente avvenuto tra Emanuela ORLANDI e Raffaella GUGEL,
figlia dell’addetto di anticamera del Pontefice, episodio già da me in atti
riferito, preciso che dopo la scomparsa di Emanuela ORLANDI contattai
Arturo MARI per avere conferma di notizie in ordine ad alcune fotografie
aventi ad oggetto le udienze pontificie in epoca antecedente l’attentato e
dalle quali era emersa la presenza di persona somaticamente somigliante
all’ attentatore e cioè ALI’ AGCA. Premesso infatti che la partecipazione a
quelle udienze avveniva per invito, e che Ercole ORLANDI si occupava
appunto della distribuzione degli inviti per partecipare alle udienze e
cerimonie pontificie, mi parve spontaneo collegare in qualche modo i due
casi, e cioè l’attentato al Papa e la scomparsa della ragazza, circostanza
questa che ho già riferito alla S.V. nei precedenti verbali. Sempre nel
contesto di altro colloquio col MARI appresi dal medesimo della
conversazione avvenuta nell’appartamento pontificio immediatamente
dopo la scomparsa di Emanuela,
durante la quale il GUGEL si era lamentato della scarsa protezione
accordata ai dipendenti vaticani e ai familiari degli stessi, riferendo che per
qualche tempo la figlia Raffaella era stata seguita da sconosciuti. Alla
citata conversazione parteciparono oltre al GUGEL, BERARDINI,
GUSSO e lo stesso MARI.
Faccio presente che in ragione della notevole somiglianza fisica fra
Emanuela ORLANDI e Raffaella GUGEL, Ercole ORLANDI aveva
ipotizzato con GRAMENDOLA, Ufficiale dei CC che seguiva il caso e
che ho avuto occasione di incontrare alcune volte, in quanto lo stesso
ORLANDI me lo aveva fatto incontrare, la possibilità di uno scambio di
persona. Sempre il MARI mi riferì che anche mons. CABINGO,
attualmente Arcivescovo nello Zaire e all’epoca uno dei segretari del Papa,
pensava attendibile una connessione tra l’attentato al Papa e la scomparsa
della ORLANDI. (v. esame di SALERNO Francesco, G.I. 09.06.95)
____________________
CAPITOLO QUINTO
Cap. 3.5. Le rogatorie conseguenti
Cap. 3.5.1. La rogatoria alla Santa Sede del 16.06.95.
In esito a tali risultanze veniva formulata altra rogatoria, che traeva
origine principalmente dalla istruzione compiuta sulla visita pastorale del
Pontefice alla Parrocchia S.Tommaso d’Aquino il 10 maggio immediatamente
precedente l’attentato.
Queste sinteticamente le circostanze di fatto a fondamento delle richieste.
Il Pontefice aveva lasciato la Città del Vaticano, per compiere detta visita
pastorale, in orario che gli consentì di raggiungere la Parrocchia verso le ore
16:40.
Dopo aver visitato la scuola elementare e i locali della Parrocchia,
all’epoca ospitati in un edificio di civile abitazione, e, aver dato udienza a gruppi
parrocchiali, il Sommo Pontefice aveva celebrato la S. Messa all’aperto in una
sorta di rotonda sita in Via Davide Campari.
La rotonda era stata divisa in cinque sezioni: due a fianco dell’altare
riservate rispettivamente al coro e ai servizi della Radio Vaticana; la terza
antistante e prossima all’altare, riservata ai comunicandi; la quarta intermedia,
riservata ai parrocchiani; la quinta riservata agli ospiti. Alla terza, alla quarta e
alla quinta si accedeva con biglietti di invito.
I biglietti di invito erano stati emessi parte dalla Prefettura Pontificia e
parte dalla Parrocchia a seguito di accordi intercorsi tra il Reggente all’epoca
della Prefettura Pontificia, monsignor Dino MONDUZZI, e il Parroco, Don
Pietro TODINI. Quelli emessi dalla Parrocchia erano stati distribuiti
esclusivamente a gruppi o singoli parrocchiani. Quelli emessi dalla Prefettura
Pontificia erano stati circa una ventina nel settore riservato ai comunicandi. Il
controllo per l’accesso era stato esercitato sia da personale della stessa Prefettura
che da persone della Parrocchia.
Nelle riprese cinematografiche della cerimonia all’aperto era stato
ritratto, nel settore dei comunicandi, un giovane con connotati somatici
corrispondenti a quelli dell’attentatore al Sommo Pontefice, il cittadino turco
MEHMET ALI’ AGCA’ già condannato per il delitto alla pena dell’ergastolo.
Questa persona era al centro di suore e signore anziane della Parrocchia;
mostrava un atteggiamento diverso da coloro che lo circondavano; era
sconosciuto al Parroco e ai parrocchiani.
MEHMET ALI’ AGCA’, più volte interrogato su suoi movimenti in
quel 10 maggio 1981, ha sempre dichiarato di essersi recato tra le 16 e le 17
in Piazza San Pietro, e di aver colà assistito all’uscita del Sommo Pontefice a
bordo di autovettura Mercedes scoperta di colore nero, scortata da
motociclisti.
Si chiedeva di conseguenza di accertare, in considerazione:
A. del fatto che la persona in questione disse essere l’attentatore del
Sommo Pontefice intento a compiere osservazioni sulla Sua persona e Suoi
movimenti in preparazione dell’attentato; B. del fatto che, trovandosi costui in
settore cui si poteva accedere solo con invito della Prefettura Pontificia o con
il permesso di alcuno addetto al controllo dei biglietti e degli accessi; C. del
fatto che esso non facesse parte di coloro che erano stati invitati dal Parroco,
nè era conosciuto da costui e da tutti i parrocchiani presenti; 1) quali gruppi o
singoli fossero stati destinatari degli inviti emessi dalla Prefettura Pontificia;
2) quali dipendenti della Prefettura e della vigilanza fossero stati demandati al
Servizio di controllo degli accessi nell’occasione in oggetto; 3) se alcuno di
costoro avesse consentito, per qualsiasi ragione, che persone non munite di
invito accedessero ai settori riservati.
A tali fini si richiedeva di: 1. acquisire copia della documentazione
della Prefettura Pontificia sulla visita del
Sommo Pontefice alla Parrocchia di San Tommaso d’Aquino il 10
maggio 81, ed in particolare della lista degli invitati dalla stessa Prefettura
alla cerimonia; 2. escutere il Reggente della Prefettura dell’epoca,
Monsignor Dino MONDUZZI, ed il Comandante della Vigilanza
all’epoca, Commendator Camillo CIBIN; 3. identificare ed escutere i
dipendenti della Prefettura Pontificia e della Vigilanza; 4. acquisire copia
della documentazione della Vigilanza non solo relativa al servizio di quel
10 maggio 81, bensì anche - presumendo che di necessità sarà stata
compiuta attività di indagine sui precedenti e sulla commissione
dell’attentato - sull’intera vicenda del delitto. (v. commissione rogatoria
alla Santa Sede del 16.06.95)
****************
Cap. 3.5.2. Le attività di esecuzione della rogatoria.
In questa occasione Promotore di Giustizia e Tribunale della Città
del Vaticano si pronunciavano per la piena esecuzione della richiesta. (v.
provvedimenti del 23 e 24.06.95)
Di conseguenza si procedeva da parte del Giudice delegato alla
acquisizione presso il Corpo di Vigilanza dello Stato della Città del
Vaticano nella persona del Grande Ufficiale Camillo CIBIN, Ispettore
Generale del Corpo, di copia della documentazione attinente: a. alla visita
del Santo Padre alla parrocchia di S. Tommaso d’Aquino del 10 maggio
81; b. all’attentato del 13 successivo. Nell’esecuzione dell’atto detto
CIBIN evidenziava l’impossibilità di procedere alla escussione dei testi
richiesti, in considerazione della posizione di
pensionamento delle persone allora impiegate oltre a qualche caso di
decesso.
Si procedeva altresì alla richiesta di copia del servizio fotografico,
effettuato in occasione della visita pastorale sopra specificata,
all’Osservatore Romano, ma tale richiesta sortiva effetto negativo, perché il
servizio fotografico di quel quotidiano non disponeva di altri negativi oltre
quelli già consegnati a questo Ufficio.
Si procedeva anche a verifica e ad acquisizione di documenti presso
l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice al Palazzo
Apostolico. Si accertava così dopo aver visionato, alla presenza di
Monsignor Enrico VIGANO’, Cerimoniere Pontificio, la documentazione
relativa a detta visita pastorale (cartella per l’anno 81 n.17, scatola n.0569,
cartella 4), che non vi era alcun elemento relativo al rilascio di biglietti per
ricevere la Comunione dalle mani del Santo Padre. Lo stesso mons.
VIGANO’ asseriva che nei casi di visita alle Parrocchie sono delegati i
Parroci al rilascio di tali biglietti, altrimenti di competenza dell’Ufficio delle
Celebrazioni liturgiche e non della Prefettura Pontificia. Se peraltro - sempre
a detta di mons. VIGANO’ - l’Ufficio stesso avesse rilasciato di sua
iniziativa qualche permesso eccezionale per ricevere la Comunione dal Papa,
vi sarebbe stata traccia nel fascicolo verificato. Sempre nell’ambito di questa
ricerca monsignor MARINI, Maestro delle Celebrazioni liturgiche, dopo
aver precisato che nell’81 non aveva la responsabilità dell’Ufficio, prestando
anzi la propria attività presso la Sacra Congregazione per i Sacramenti e il
Culto Divino, confermava quella prassi di rilascio.
Si procedeva infine alla escussione di monsignor MONDUZZI,
Prefetto della Casa Pontificia. Questi affermava in primo luogo che
dall’esame della posizione d’archivio, per
quella visita pastorale non risultava la concessione di qualsivoglia
biglietto a titolo individuale. Confermava poi, al riguardo dei biglietti per
ricevere la Comunione nelle mani del Papa, che non spettava alla
Prefettura ma all’Ufficio per le Celebrazioni liturgiche.
************
Cap. 3.5.3. Il fascicolo dell’inchiesta vaticana.
Di interesse, anche se composto di pochi atti, il fascicolo
dell’inchiesta vaticana, che si concluse con decreto di archiviazione
emesso dal Giudice Istruttore vaticano in data 14 luglio 81 per mancanza
di giurisdizione, per avere la Santa Sede delegato le autorità italiane a
provvedere nei confronti dell’autore dei delitti.
Tra gli altri atti, di rilievo appare il rapporto dell’Ufficio Centrale
di Vigilanza del Governatorato, datato Città del Vaticano 19 maggio 81,
che così recita sulla successione degli eventi: “Come di consueto, alle ore
17:00, Sua Santità era giunto all’Arco delle Campane con l’auto
pontificia S.C.V. 1, accompagnato dal Segretario particolare, mons.
Stanislao DZIVISZ, e dall’Aiutante di Camera, Comm. Angelo GUGEL.
La vettura era guidata dall’autista dell’autoparco vaticano, Sabatino
BAGLIONI. Trasferitosi sulla “jeep” targata S.C.V.3, egli stando in piedi
sull’automezzo, è uscito in Piazza ed ha iniziato i giri per i corridoi
predisposti tra i reparti. La “jeep”, come sempre, rasentava gli steccati
affinchè il Papa potesse salutare, il più vicino possibile, le persone
accalcate lungo le transenne e stringere loro le mani. Effettuato
regolarmente il
primo giro sul lato sinistro è continuato il secondo sulla destra. Giunto verso
il Portone di Bronzo, e precisamente all’altezza dell’Ufficio postale mobile un
individuo, identificato poi per MEHMET ALI’ AGCA nato il 09.01.58 a
Malatya (Turchia), da oltre le transenne ha sparato addosso alla persona del
Santo Padre due colpi con una pistola “Browning mod. 35 cal. 9 lungo”. Sua
Santità è rimasto gravemente ferito all’addome e al dito indice della mano
sinistra e all’avambraccio destro, riportando lesioni viscerali multiple
all’intestino tenue, al sigma, ai mesenteri e al retro peritoneo, nonchè ferita
lacero contusa al braccio destro e frattura alla seconda e terza falange del
secondo dito della mano sinistra. I colpi hanno anche ferito due donne che si
trovavano dietro le transenne lungo il corridoio del reparto n.2 dove transitava
il Santo Padre, dalla parte opposta da dove sono partiti i colpi. L’attentatore
invece si era appostato in piazza, fuori dei riquadri riservati ai fedeli per
l’udienza e precisamente nella parte della piazza dell’emiciclo nord del
colonnato, lasciata libera per il pubblico.
Il Santo Padre, prontamente soccorso dai presenti, con la medesima
“jeep” è stato condotto velocemente alla Guardia Medica Vaticana. Quivi
accertata la gravità delle lesioni, il Dott. BUZZONETTI e il Prof. FEDELI
hanno disposto l’immediato ricovero al Policlinico Gemelli. Il trasporto è
stato effettuato con l’ambulanza targata S.C.V. 401, partita dal Vaticano alle
ore 17,29 ed arrivata al Policlinico alle 17,36. Raggiunta la sala operatoria il
Santo Padre è stato sottoposto ad intervento chirurgico durato dalle ore 18 alle
ore 23,25. L’attentatore bloccato da alcune persone che assistevano
all’udienza e immediatamente dopo dalle forze dell’ordine vaticane e italiane
accorse sul posto, è stato accompagnato al vicino posto di guardia
dell’Ispettorato di P.S. presso il Vaticano, sito sotto il colonnato e da qui
trasferito alla Questura di Roma per il
procedimento del caso. E’ stata subito recuperata anche l’arma del delitto.
Le due donne ferite, identificate per Anne ODRE di 58 anni, residente a
Buffalo (USA) e alloggiata provvisoriamente al Palace Hotel di Roma, e
Rose HOLL, nata il 31.05.1960 giamaicana, ugualmente cittadina
americana, alloggiata all’Hotel Capitale, sono state portate al vicino posto
di pronto soccorso sito nella stessa piazza e successivamente trasferite
all’Ospedale di Santo Spirito.
Così come alcune delle deposizioni di coloro che erano prossimi al
Pontefice e all’autore dell’attentato. In primo luogo l’autista del Santo
Padre: “mercoledì 13 maggio, alle ore 17:00, con l’auto pontificia S.C.V.
1 ho prelevato, all’ascensore nobile del cortile di San Damaso, il Santo
Padre per condurlo in piazza San Pietro, dove doveva concedere l’udienza
generale del mercoledì. Nell’auto avevano anche preso posto il rev.mo
mons. Stanislao DZIWISZ, Segretario Particolare del Papa, e l’Aiutante
di Camera comm. Angelo GUGEL. Giunti poco dopo all’Arco delle
Campane, il Santo Padre si è trasferito nella vettura “campagnola” S.C.V.
3 ed è uscito sulla piazza per iniziare il giro attorno ai reparti rasentando
le transenne affinchè Sua Santità potesse salutare i fedeli presenti e
stringere loro le mani. Effettuato il primo giro lungo il transennamento
del lato sinistro, ho proceduto lungo quello destro. Giunto verso il
Portone di Bronzo e precisamente all’altezza dell’Ufficio postale mobile
vaticano della piazza, ho chiaramente udito due detonazioni sparate da
una pistola. Mi sono girato per rendermi conto di cosa stesse accadendo, e
avendo visto il Santo Padre premersi l’addome accasciandosi sorretto da
mons. DZIWISZ e dall’Aiutante, mi sono reso conto che era stato
compiuto un attentato alla persona del Papa; continuavo la marcia
dell’auto, però vedendo che l’Ispettore
Generale di P.S. dr. PASANISI era salito sulla vettura e tentava di
sollevare il Santo Padre con evidente intento di farlo scendere dall’auto,
ho fermato la vettura e sono prontamente sceso per adoperarmi alla
bisogna. In quel momento ho udito gridare, credo da parte del Sovrastante
dell’Ufficio Vigilanza sig. ANTONIAZZI e poi anche da altre persone:
“via, via”. Sono così risalito in fretta al volante dell’auto e mi sono
diretto a tutta velocità verso l’Arco delle Campane per raggiungere la
Direzione Sanitaria trovando i canali completamente sgomberi, perché le
forze dell’ordine si sono adoperate durante il percorso. Nel tragitto, a
causa del sovraccarico della campagnola, ove erano salite alcune persone,
non riuscivo a controllame la guida tanto che avevo sospettato che una
gomma fosse forata. Ho comunque proseguito raggiungendo la Direzione
Sanitaria, dove il Papa è stato preso in consegna dai medici dr.
BUZZONETTI e prof. FEDELI che hanno provveduto ai necessari
soccorsi e al ricovero. (v. deposizione BAGLIONI Sabatino, 19.05.1981)
Poi degli uomini della Vigilanza, il Sovrastante ANTONIAZZI: “il
13 maggio ero stato comandato di servizio all’udienza generale del Santo
Padre in piazza San Pietro. Al giungere del Papa sulla piazza a bordo
della “campagnola”, come di consueto, dalla statua di San Pietro ho
seguito l’auto pontificia, prima lungo il transennamento di sinistra e,
successivamente, lungo quello di destra. Giunti a pochi metri dal
transennamento riservato al Pronto Soccorso dello S.C.V. sistemato nei
pressi del Portone di Bronzo, ho udito due detonazioni distinte
chiaramente una dall’altra, sparate da una pistola. Essendo compito mio
quello di osservare la gente assiepata lungo il transennamento, ho visto
due mani alzate a circa tre metri dalle transenne, che reggevano un fodero
di
apparecchio fotografico, il quale nascondeva la pistola dalla quale sono
fuoriuscite due fiammate. Mi sono istintivamente girato verso il Santo
Padre, che in quel momento si trovava proprio di fronte allo sparatore, ed
ho visto il Papa che, dalla posizione inclinata in cui si trovava per salutare
la folla con la mano, si è alzato inclinandosi subito dopo verso mons.
DZIWISZ, il quale si era alzato e lo aiutava ad adagiarsi sul sedile della
vettura. Subito dopo ho notato che diverse persone sono salite sulla
“campagnola”, tra cui: l’aiutante di camera comm. GUGEL, che dal posto
a fianco alla guida si è trasferito dietro, il dr. PASANISI dell’Ispettorato
Generale di P.S. presso il Vaticano, il capitano della Guardia Svizzera, il
cav. GHEZZI ed altri che non rammento. Queste persone, ho notato che
stavano rialzando il Santo Padre con l’intenzione di portarlo al Pronto
Soccorso. Essendomi accorto che il Papa sanguinava da una mano e che
la veste bianca si macchiava di sangue sulla schiena, ho gridato più
volte per raggiungere lo scopo:
“mettetelo giù che lo portiamo in Vaticano” e mi sono diretto verso la
parte di guida dell’auto sempre gridando : “via, via” ed ho sollecitato
l’autista Sabatino a partire a tutta velocità verso lo S.C.V.. Ho seguito
l’auto fin quando ho potuto poichè l’auto stessa aumentava la velocità. (v.
deposizione ANTONIAZZI Giusto, 20.05.81)
Il sottodecano di Sala aggiunto GHEZZI: “Il giorno 13 maggio
1981 ero di servizio d’anticamera segreta nelle ore pomeridiane e poiché
era di mercoledì e il Santo Padre concedeva udienza generale, mi sono
trasferito in Piazza San Pietro per quel servizio. Sua Santità è uscito
dall’Arco delle Campane a bordo della “campagnola” poco dopo le ore 17
ed io mi sono subito posto dietro al predellino dell’auto ed ho seguito a
piedi tutto il tragitto del primo e del secondo giro tra
i reparti preparati per l’udienza ed affollati di fedeli. Quando l’auto è
giunta nei pressi del Portone di Bronzo e precisamente all’altezza
dell’Ufficio postale mobile dello S.C.V., ho distintamente udito due colpi
e, alla seconda detonazione vedendo del fumo uscire dal punto dove erano
partiti, ho intuito che era stato commesso un attentato alla persona del
Santo Padre. Infatti ho visto il Papa impallidire ed accasciarsi sull’auto.
Nello stesso tempo ho anche visto, che al di là della transenna, si apriva un
varco tra la folla e due persone che correvano divaricando: una vestita di
verde più avanti e l’altra vestita in grigio più indietro. Poichè tutti erano
rivolti verso il Santo Padre, io strillavo incitando i vicini a rincorrerli.
Successivamente sono balzato sull’auto che aveva proceduto poco in
avanti ed ho visto l’autista Sabatino BAGLIONI che era sceso dalla guida.
L’ho sospinto per partire invitando a trasportare il Santo Padre subito in
Vaticano. Sono salito sul predellino della campagnola ed ho notato che il
Santo Padre era accasciato tra i sedili sorretto dal Segretario e
dall’Aiutante ai quali suggerivo, essendo l’auto in movimento, di deporlo a
sedere. In precedenza era salito sull’auto anche l’Ispettore Generale di P.S.
presso il Vaticano dr. PASANISI, che, con voce tremolante chiamava il
Santo Padre e si portava la mano destra del Papa all’orecchio dicendo:
“Santità, Santità” e non so spiegarmi per quale ragione facesse ciò.
Durante il percorso gridavo a coloro che conoscevo di far giungere il dr.
BUZZONETTI e di far seguire l’ambulanza. Arrivati alla Guardia medica
vaticana, il dr. BUZZONETTI che si trovava sul posto, resosi conto della
gravità delle ferite, ha disposto l’immediato ricovero del Papa al
Policlinico “Gemelli” con una delle due ambulanze, che intanto erano ivi
sopraggiunte. Ho visto salire sull’ambulanza nella quale era stato deposto
il Santo Padre, mons. Segretario Particolare, il dr. BUZZONETTI,
il Prof. FEDELE e il dr. NICOTRA. (v. deposizione GHEZZI Franco,
22.05.81)
L’Agente Scelto CONTI Giuseppe: “Il giorno 13 maggio c.a. sono
stato comandato di servizio, in abito civile, per l’udienza pontificia in Piazza
San Pietro. Avevo il compito di sorvegliare i fotografi e i cineoperatori
autorizzati ad effettuare riprese. Verso le ore 17.15, il Santo Padre stava
terminando il secondo giro delle Piazza per salutare la folla che sostava sul
lato destro del percorso. Mi trovavo all’altezza dell’ultima colonna di fronte
al Portone di Bronzo con due fotografi (uno dell’Agenzia Kass e l’altro di
una rivista svizzera). Mentre li obbligavo a non avvicinarsi troppo alla
“jeep” del Santo Padre, udivo delle detonazioni che al primo momento
sembravano provocate da un petardo. Subito però ho capito che si trattava di
un attentato, perché il Santo Padre si era piegato sul lato sinistro e veniva
soccorso dal Segretario, mons. DZIWISZ, e dall’Aiutante di Camera,
comm. GUGEL. D’istinto ho seguito il Dirigente l’Ufficio, comm. CIBIN,
che scavalcava le transenne dalla parte in cui erano partiti i colpi per
scoprire il responsabile dell’attentato. Visto che costui scappava dietro al
furgone postale, ho doppiato il mezzo dall’altra parte per cui me lo sono
trovato davanti già bloccato dall’ex Gendarme Pontificio Ermenelgildo
SANTAROSSA, da un giovane Carabiniere e da un Agente di P.S., in
borghese, che, credo, sia incardinato nel “Commissariato Borgo”, ai quali
ho dato manforte. Subito sono sopraggiunti altri colleghi Agenti di
Vigilanza, Carabinieri, Agenti di P.S. in divisa e in borghese ed altra gente
la quale minacciava il responsabile del grave delitto. A forza, facendo largo
tra le persone accorse, l’attentatore è stato trasportato nel vicino posto di
servizio dell’Ispettorato Generale di P.S. presso il Vaticano e da qui, poco
dopo,
condotto con una “volante” al Commissariato Borgo”. (v. deposizione
CONTI Giuseppe, 13.05.81)
L’Agente di Vigilanza, Graziano TOMASSINI: “Il giorno 13
maggio 1981 sono stato comandato di servizio per la consueta udienza
generale in Piazza San Pietro e sono stato assegnato al corridoio laterale
destro, davanti al posto di pronto soccorso del Vaticano. Alle ore 17:20
circa , il Santo Padre in camionetta giungeva in quel posto al termine del
secondo giro effettuato nei corridoi tra i vari reparti. La “jeep” sulla quale
si trovava Sua Santità era giunta all’altezza del furgone del pronto
soccorso quando ho sentito due detonazioni di arma da fuoco provenire
dalla parte opposta da dove mi trovavo, precisamente oltre le transenne
nel tratto lasciato libero per il pubblico. Ho visto il Santo Padre
accasciarsi e mons. STANISLAO aiutarlo ad appoggiarsi sui sedili,
mentre altre persone che seguivano la “jeep” salivano dalla scaletta
posteriore per dare aiuto. Poiché il Dirigente l’Ufficio di Vigilanza,
comm. CIBIN, nello stesso tempo, scavalcava lo steccato verso il punto
da dove l’attentatore si doveva essere appostato, anch’io l’ho seguito,
ritenendomi utile alla sua cattura. Mi sono subito diretto verso il furgone
postale ed ho visto che un Agente di P.S. del Commissariato Borgo ed
altre due persone sconosciute tenevano saldamente un individuo indicato
come il responsabile dell’atto criminoso. Contemporaneamente sono
sopraggiunti colleghi di questo Ufficio di Vigilanza a dare manforte.
Sono arrivati subito dopo anche altri Carabinieri, Agenti di P.S. in divisa,
poliziotti dell’Ispettorato in borghese, persone civili, tanto che a fatica si è
potuti far largo per condurre il delinquente nel vicino posto di polizia del
Portone di Bronzo. (v. deposizione TOMASSINI Graziano - senza data -).
L’Agente Scelto CHIEI GAMACCHIO Franco:” il giorno 13
maggio c.a. ho preso servizio alle ore 14,30 nel settore “A” di piazza San
Pietro per la consueta udienza generale del mercoledì. Il Santo Padre è
giunto in piazza a bordo della campagnola, alle ore 17 ed ha effettuato,
come sempre, i giri tra i reparti. Al secondo passaggio, mi trovavo nelle
vicinanze dell’ingresso “1” di detto reparto quando sentivo nitidamente
due esplosioni di arma da fuoco. Di corsa mi dirigevo nella zona da dove
erano pervenute le due detonazioni, lontana circa venti metri. Notavo il
Santo Padre accasciarsi sorretto dal Segretario privato ed da altre persone,
notavo alcuni colleghi che saltavano le transenne verso il riquadro esterno
dove è sito l’Ufficio postale mobile dello S.C.V. preceduti dal Dirigente
di quest’Ufficio. Saltavo anch’io, e di corsa, mi sono diretto in un punto
indicatomi dall’infermiere della Guardia Medica Silvano CARNEVALI
che mi segnalava l’attentatore dicendomi: “Eccoli lì, eccolo lì”. Giunto
vicino al furgone postale notavo che l’attentatore era tenuto per il collo da
un signore alto con i capelli bianchi e vestiva abiti borghesi che,
riconobbi subito per l’Agente CECCARELLI del Commissariato
“Borgo”. L’attentatore era attorniato da altri miei colleghi tra cui:
BIOCCA, DECARO, CONTI e si dimenava tanto che anch’io ho dato
manforte per fermarlo. Intanto la folla accorsa gridava ed incitava al
linciaggio per cui, assieme agli altri, abbiamo fatto strada ed abbiamo
raggiunto il posto di polizia, sito nei pressi del Portone di Bronzo. Intanto
erano intervenuti altri Carabinieri ed agenti dell’Ispettorato Generale di
P.S. presso il Vaticano i quali, insieme al CECCARELLI, lo
introducevano nel predetto posto di polizia. Poco più tardi l’attentatore,
con una “volante” veniva trasferito al Commissariato “Borgo”.(v.
deposizione CHIEI GAMACCHIO Franco, 13.05.81).
L’agente Antonio MANTOVANI: “Alle ore 17.20 circa di detto
giorno udivo distintamente due rapide detonazioni d’arma da fuoco
provenienti dal lato della piazza ove in quel momento e per la seconda
volta transitava la “jeep” con a bordo il Santo Padre. Istintivamente mi
precipitavo verso il Portone di Bronzo; giunto alla curva del percorso
transennato, vedevo il Santo Padre ancora in piedi appoggiarsi al Segretario
Particolare Mons. STANISLAO DZIWSZ. Ho visto anche l’autista della
jeep Sabatino BAGLIONI, era sceso e stava a fianco della vettura e,
guardando oltre le transenne verso l’Ufficio Postale mobile intravedevo
una Suora, ma più distintamente un carabiniere in divisa che cercavano di
fermare un individuo. Negli attimi che sono succeduti ho pensato che
l’attentatore poteva essere fermato in quanto inseguito e nel frattempo
notavo che il Sommo Pontefice si accasciava tra le braccia del Suo
Segretario Particolare e che la veste si arrossava di sangue all’altezza della
fascia. Prontamente erano accorsi molti altri colleghi mentre alcune
persone erano salite sulla campagnola per coadiuvare a soccorrere il Santo
Padre. Contemporaneamente il Sovrastante ANTONIAZZI gridava verso
l’autista di partire e trovandomi a fianco dello sportello spingevo in vettura
il BAGLIONI e lo incitavo anch’io a partire per lasciare immediatamente il
luogo dell’attentato ed a portarsi in Vaticano. Partita la jeep carica di
persone ed attorniata da molti miei colleghi ho ritenuto fosse necessario
accorrere sul posto ove si era appostato l’attentatore. Saltata la transenna
mi sono portato oltre l’Ufficio Postale mobile, dov’era anche il Dirigente
dell’Ufficio, ed ho visto che il responsabile del delitto era già stato bloccato
da agenti di vigilanza, Carabinieri ed Agenti di P.S.. Non posso però dire
chi per primo l’abbia fermato. A forza è stato quindi accompagnato
nel posto fisso di servizio dell’Ispettorato Generale di P.S. presso il Vaticano,
passando tra la folla minacciosa di linciaggio.
Tornato sul posto ove sono partiti gli spari per raccogliere notizie che
potessero essere utili per le indagini, una signora mi ha consegnato un pezzo
di fodero di macchina fotografica dicendo di averlo raccolto a terra dove si
era appostato l’attentatore e che poteva averlo usato per nascondere la
pistola. (v. deposizione MANTOVANI Antonio, 18.05.1981)
Il gendarme Ermenegildo SANTAROSSA: “Il giorno 13 maggio
1981 alle ore 17, mi trovavo in piazza San Pietro, verso la metà del
colonnato prospiciente l’ufficio postale mobile, a conversare con amici
mentre osservavamo il passaggio del Santo Padre sulla campagnola per
l’udienza pontificia. Improvvisamente ho udito due forti detonazioni
provenire dalla direzione dove era fermo il Papa. Ho gridato ai miei amici:
“hanno sparato al Papa” e sono corso verso quella direzione con l’intenzione
di rendermi utile. Notavo, nella mia corsa, che la folla si stava allargando
per consentire il passaggio di un giovanotto elegantemente vestito in grigio
che impugnava una pistola scappando. Arrivato a circa tre metri dal
fuggiasco, questi gettava contro di me l’arma deviando la fuga verso il
colonnato. Lo rincorreva un giovane carabiniere in divisa che urlava:
“fermatelo, fermatelo”. Ho così bloccato il fuggiasco stringendolo
fortemente alla vita aiutato anche dal giovane carabiniere che, intanto, era
sopraggiunto. Cercavo di trascinare il fuggitivo verso il Portone di Bronzo
per portarvelo all’interno mentre cercavo di ripararlo dalle botte che una
folla minacciosa voleva dargli. Sopraggiungevano intanto gli agenti
dell’Ufficio Centrale di Vigilanza del Vaticano e poliziotti in divisa italiani
che me lo hanno tolto dalle mani trascinandolo
all’interno del posto fisso di P.S. presso il Portone di Bronzo. Rammento
che, mentre reggevo il terrorista, questi ha chiaramente pronunciato in
lingua italiana con accento straniero, per tre volte, la seguente frase :
“Non ho fatto niente”. (v. deposizione SANTAROSSA Ermenelgildo -
senza data -)
L’autista dell’ Autoparco Vaticano, Nando CANNELLONI: “Il
giorno 13 maggio 1981, sono stato comandato in piazza San Pietro per
l’udienza pontificia, alla guida dell’ambulanza S.C.V. 401. Alle ore 17,20
circa, ho chiaramente udito due detonazioni come da arma da fuoco,
perché mi trovavo con l’autoambulanza sotto il colonnato dell’emiciclo
nord. Resomi conto che era stato commesso un attentato, sono corso
istintivamente verso la piazza in direzione dell’Ufficio postale mobile ed
ho visto un poliziotto italiano alto e biondo e un agente di vigilanza del
quale non conosco il nome, che trattenevano un giovane che ho supposto
l’attentatore. Preciso che ancora non mi ero reso conto che l’attentato
fosse stato diretto alla persona del Santo Padre. Corso verso l’ambulanza,
un medico mi ha sollecitato di portarmi subito verso la piazza e, solo
allora, sono venuto a sapere che il delitto era stato diretto al Papa. Con
difficoltà di movimento, in quanto la folla aveva intasato il passaggio
sotto il colonnato, sono riuscito a portarmi prontamente sulla piazza e ad
indirizzarmi verso l’Arco delle Campane. Lungo il tragitto, venivo da
tutti indirizzato a portarmi al cortile di San Damaso. Percorsa a velocità
sostenuta via delle Fondamenta, giunto alla Zecca, mi si è parato di fronte
un agente di vigilanza che si affannava con gesti a deviarmi verso la
Guardia Medica. Quivi giunto ho visto la persona del Santo Padre stesa su
una barella che stava per essere immessa in altra ambulanza. Le persone
che la trasportavano, accortesi della mia presenza, hanno subito
caricato Sua Santità nell’ambulanza condotta da me. A tutta velocità mi
sono indirizzato verso Sant’Anna con la sirena in funzione ho chiesto :
“Dove andiamo ?” il dr. BUZZONETTI mi ha risposto: “Al Policlinico
Gemelli”. Preciso che l’ambulanza era molto carica di persone per cui la
guida era diventata più difficoltosa. Appena varcato il cancello
d’ingresso, apertomi a metà dalla Guardia Svizzera, mi sono trovato
davanti la “Giulietta” dell’Ispettorato Generale di P.S. che ho
riconosciuto dall’autista che era al posto di guida. Con difficoltà ho
dovuto sterzare tutto a sinistra, anche perché pochi metri più avanti vi era
un pullman di turisti fermo sulla corsia preferenziale e tuttattorno una
marea di auto che bloccavano il traffico. Contro mano, sono riuscito ad
immettermi sulla corsia preferenziale e mi sono diretto, sempre contro
mano, ad attraversare piazza Risorgimento. Conoscendo bene le strade ho
ritenuto di arrivare al “Gemelli” facendo più presto, percorrendo: via
Ottaviano, via Barletta, viale delle Milizie, largo Trionfale, via Andrea
Doria, piazzale degli Eroi, viale delle Medaglie d’oro, via Marziale (tutta
in direzione vietata) piazza Giovenale (anche questa in direzione vietata),
via Ugo de Carolis, via Damiano Chiesa, per imboccare via della Pineta
Sacchetti nei pressi dell’ingresso dell’ospedale. Faccio presente che,
uscito dal Vaticano e fino al Pronto Soccorso del “Gemelli”, non ho
notato nessuna auto nè una motocicletta delle forze dell’ordine italiane o
di altri che mi facessero strada. Il guaio maggiore, poiché a viale delle
Medaglie d’Oro ha cessato di funzionare la sirena, è stato quello di
guidare con una mano sola, poiché l’altra era impegnata, continuamente,
per le segnalazioni con il clacson, ed ho quindi corso gravi pericoli
d’incidenti. (v. deposizione CANNELLONI Nando, 20.05.81)
_____________________
CAPITOLO SESTO
Cap. 3.6. La figura di monsignor MARCINKUS
Non facile appare riassumere le attività, emerse in questa inchiesta,
di monsignor MARCINKUS. Come già s’è scritto, egli proprio in virtù
dell’incarico ricoperto all’epoca, era stato più volte menzionato lì ove
compare lo IOR e cioè nelle dichiarazioni di ORAL CELIK e in quelle di
CALCARA, di cui si parlerà più oltre. Qui, come era stato menzionato, in
quegli atti concernenti la vicenda ORLANDI ed assunti per ragioni di
connessione anche in questa istruzione.
Detto monsignore, che attualmente risiede ed esercita il suo
ministero negli Stati Uniti ed ha perso quello status che impedì in altre
inchieste il suo interrogatorio, è stato più volte citato durante le sue
permanenze romane, ma sempre inutilmente, perché per tempo ritornato
in America.
Al fine di accertare quali fossero i movimenti del monsignore e se
vi fosse di conseguenza possibilità di sentirlo, è stata esaminata
MARIGONDA Maria Vittoria, segretaria personale di MARCINKUS
presso lo IOR dal gennaio 71 alla fine del 90.
Alla MARIGONDA non risultano contatti di MARCINKUS con
CARBONI, con SANTO VITO, con ALBANO, con BRUSCOLOTTI,
con persone legate alla mafia. MARCINKUS era devotissimo a PAOLO
VI così come lo è stato a GIOVANNI PAOLO II°. Ebbe un incontro
cordialissimo anche con GIOVANNI PAOLO I°. Questi, prima della
morte, lo aveva già confermato allo IOR. Così come GIOVANNI
PAOLO II° non aveva mai mostrato di volerlo sostituire nel detto Istituto.
Anzi questo Pontefice gli aveva dato anche l’incarico di pro-Presidente
della Commissione Pontificia per lo Stato della Città del Vaticano, e,
allorché nei primi anni 80 settori della stampa mossero degli attacchi al
monsignore, il Pontefice reagì rivolgendo ai giornalisti parole di biasimo.
Nella vicenda della scomparsa di Emanuela ORLANDI,
MARCINKUS fu sempre con discrezione vicino alla famiglia della ragazza
e ne assunse il fratello presso lo IOR. (v. esame MARIGONDA Maria
Vittoria, 20.06.95)
Su questa vicenda la MARIGONDA ritorna anche nella seconda
testimonianza, quella resa anche al G.I. del caso ORLANDI.
Rammenta che mons. MARCINKUS non si era mai occupato della
scomparsa della ragazza, giacchè non era qualificato a farlo dal punto di
vista istituzionale. Egli non si è mai sentito implicato nella vicenda e per
informarsi sul caso si rivolgeva alla Segreteria di Stato, che “era gelosa delle
proprie competenze e poco disposta a render noto ciò che considerava nella
propria esclusiva giurisdizione”.
Sul rapporto con PAZIENZA ricorda di averlo visto nello studio di
mons. MARCINKUS e che la sua visita era stata preceduta dalla telefonata
di presentazione di mons. SILVESTRINI. Questa visita risaliva al tempo in
cui CALVI era detenuto.
Nonostante le vengano contestati i dati risultanti da tabulati telefonici,
non ricorda rapporti tra mons. MARCINKUS e GIOVANNONE, né la
frequenza di contatti telefonici con PAZIENZA, riducendoli a un numero
minimo, tutti ricompresi nel periodo di detenzione di CALVI.
Esclude che il monsignore possa aver incontrato la STERLING. E
quanto alla pista bulgara per l’attentato al Papa riporta l’opinione,
attribuendola però solamente a se stessa, che non fosse particolarmente
gradita la pubblicità che emergeva su questa pista, in ragione delle
persistenti difficoltà nei rapporti con le Chiese dell’Est, rapporti che si
tentava di condurre a maggiore distensione. (v. esame MARIGONDA
03.08.95).
Dagli atti del SISMI si rileva che la 2^ Divisione, a seguito di notizie
apparse sul “TIMES” del 5 settembre 1981 relative all’esistenza di un
dossier contenente “importanti elementi informativi” originato dal
Vaticano e trasmesso alla Casa Bianca - così come era stato annunciato
nella trasmissione televisiva andata in onda sulla TV britannica ‘TV EYE”
- informava il Direttore del Servizio con appunto datato 10 settembre 1981
che il servizio collegato RIC (CIA) smentiva la circostanza e che la 2^
Divisione aveva stabilito contatti “in modo informale e sul piano personale
con Mons. MARCINKUS, Presidente del Banco Vaticano e responsabile
della “Sicurezza” del Papa”. MARCINKUS nell’occasione escludeva
l’esistenza di un documento organico sull’attentato al Papa in quanto, “in
caso positivo, sarebbe stato emesso dalla sua Segreteria”; riteneva
personalmente che “AGCA non potesse aver agito senza l’appoggio di una
grossa organizzazione, comunque da ricercarsi nell’azione incisiva che il
Pontefice esercita a favore della Polonia ed il disturbo che ciò arreca nel
sistema sovietico”; riferiva di essere disposto “a fornire tutte le
informazioni in suo possesso una volta che avrà provveduto ad effettuare
alcune verifiche, purché venisse realizzato un canale diretto, segreto e
personale tra lui ed elemento del Servizio”.
L’appunto concludeva affermando l’utilità dell’apertura del dialogo
con l’alto prelato, anche se nei limiti e con le misure cautelative
concordate, in quanto trattavasi di “elemento che rappresenta un organo di
sicurezza di altro Stato”.
Non si può concludere questo capitolo senza rammentare un episodio
riferito nel libro di Fabrizio RIZZI “Vaticano e Ambrosiano”, che ha
ricevuto un’apparente conferma in una telefonata
registrata nel settembre 95. Nel capitolo “Hanno attentato al Papa: Ma chi
è stato un turco?” l’autore scrive che il pomeriggio dell’attentato in
Piazza San Pietro MARCINKUS è assente, giacché sta giocando a tennis
a Villa Stritch oltre il Gianicolo. ““A metà partita c’è un prete che urla
“Hanno attentato al Papa, hanno attentato... “MARCINKUS non ascolta
più quelle grida concitate, si passa l’asciugamano sui capelli e come se
avesse uno strano presentimento, sussurra: “Spero che non sia quel
turco””. WILTON WYNN amico del monsignore rammenta che
MARCINKUS quando aveva accompagnato il Pontefice in Turchia era
rimasto scosso da una lettera apparsa su un quotidiano, in cui un giovane
turco minacciava di uccidere il Papa. Quel ricordo, vivo come un incubo,
aveva continuato a preoccuparlo. E perciò questa sua esclamazione
potrebbe trovare giustificazione in quel ricordo. Ma l’autore forniva
anche un’altra ipotesi e cioè che MARCINKUS, essendo stato a capo dei
Servizi di Sicurezza della Città del Vaticano avesse potuto ricevere
confidenze prima dell’attentato.
Queste ipotesi non sono state nè confermate nè contrastate,
principalmente perché non è stato possibile in alcun modo interrogare
direttamente mons. MARCINKUS. Una conferma alle parole pronunciate
nella predetta occasione invece potrebbe derivare da un brano di
conversazione tra la ex segretaria del monsignore e una voce d’uomo.
Costui afferma: “... Quando siamo andati a fare la doccia, e dopo la
doccia mi ha chiamato e mi ha detto. Hai visto la televisione? ed io ho
detto no. E lui ha detto, qualcuno ha sparato al Papa, e io ho detto oddio!
Chi è stato? Ha detto non so ed io ho detto spero non sia stato un turco.”
L’uomo poi continua - da tener presente che da più segni su altre
telefonate appare la consapevolezza negli interlocutori
di essere intercettati; n.d.e. - dando una spiegazione a quelle parole.
U. Ed ora mi chiedono perchè abbia detto ciò, essi non ricordano che io
ero in...
M. Turchia.
U. In Turchia, quando questo tipo sfuggì e lasciò una nota che avrebbe
ucciso il Papa, quindi la cosa più spontanea che mi è venuta da dire
dell’accaduto, spero...
M. Sì io ero a Londra quel giorno, avevo qualche giorno di riposo.
U. Sì.
M. Ed il giorno dopo sono ripartita frettolosamente, ma come potevi
giocare a tennis il giorno dell’udienza?
U. In quel periodo mi era permesso.
M. No, si lo so, ma era insolito che tu... non sapevo perché ero fuori città
quel giorno.
U. No, perchè padre LOVEDA, non so se avevo il pomeriggio libero, o
qualcosa del genere. Io sono andato con padre Loveda a giocare a
tennis...
M. Sì
U. Ho lasciato l’ufficio alle 16.35 circa prima che l’udienza terminasse.
M. Ah, perchè l’udienza era di pomeriggio.
U. Sì nel pomeriggio. (v. rapp. Digos del 16.09.95).
_______________________
CAPITOLO SETTIMO
Cap. 3.7. Documenti dell’Ambasciata presso la Santa Sede
Di rilievo per la ricostruzione dell’atteggiamento sui fatti e delle
reazioni al procedere dell’istruzione da parte della Santa Sede, due
documenti provenienti dall’Ambasciata d’Italia presso di essa.
“In Vaticano - si riporta nel primo - non esistono indizi ed
informazioni nè teorie attendibili sull’attentato al Sommo Pontefice, la
cui genesi resterà un mistero come negli attentati al Presidente Kennedy e
al premier svedese Palme.” Così il Segretario per i rapporti con gli Stati.
Anche sulle responsabilità dell’Unione Sovietica, come rivelato da
un ex agente di quello Stato ad autorità e media statunitensi, silenzio della
Santa Sede per la scarsa qualità delle rivelazioni di quel fuoriuscito.
“Solo il Santo Padre forse sa qualcosa, dopo il suo colloquio con
ALI’ AGCA, ma non ci dirà mai quello che sa Così Mons. Sodano. (v.
telex sull’attentato al Papa, Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, al
Ministero degli Affari Esteri, 22.03.1990)
La S. Sede inoltre critica, e in maniera anche piuttosto forte, le
fughe di notizie che proprio in quel periodo caratterizzavano l’andamento
dell’istruttoria.
L’interlocutore del titolare dell’Ambasciata suddetta, in effetti -dopo aver
dichiarato che uno dei protagonisti dell’informativa DE MARENCHES,
cioè Monsignor CALMES, era deceduto, e che non vi erano
assolutamente in Segreteria di Stato, nè nella memoria dei responsabili
presenti e passati nè negli archivi, indicazioni, informazioni, e teorie
sull’attentato dell’81 che non fossero di dominio pubblico - commenta
affermando che l’istruttoria si sta svolgendo “coralmente” nel senso che
la stampa ne pone diffusamente al corrente il pubblico, come
avvenuto in notiziari RAI-TV della sera immediatamente precedente il giorno
di quell’incontro.
La Segreteria di Stato, ai sommi livelli aveva messo in evidenza diverse
volte che da parte della più alta Istanza la questione era considerata chiusa con
il perdono ad AGCA e che, si constatava sempre a quel livello, nulla di chiaro,
preciso e storicamente utile era mai emerso dal delitto del 13 maggio 81.
Si notava inoltre che alla moltiplicazione delle rivelazioni sull’attentato, su cui
la stampa andava riferendo, non corrispondeva - nell’indipendente giudizio di
quella Sede - nulla di fondato, nuovo, determinabile. In particolare lì dove si
ventilava - in una corrispondenza da Sofia - l’esistenza di responsabilità in
Vaticano, il tutto appariva sempre a quella Sede temerario, scandalistico e
senza radici nel vero.
Emergeva anche che il Cardinale Achille SILVESTRINI, nell’81
responsabile nella Segreteria di Stato dei rapporti internazionali della S. Sede,
aveva dichiarato di non aver mai appreso, nell’81 o in precedenza, della
segnalazione di cui sopra, e di esser certo che nulla ne aveva appreso il
responsabile degli Affari Generali della Segreteria di Stato, l’allora
Arcivescovo Eduardo MARTINEZ SOMALO. E pertanto se ne desumeva che
la segnalazione francese non giunse mai all’organo della Santa sede
naturalmente più competente e istituzionalmente più responsabile per le
materie di rilievo secolari e che essa non fu quindi trasmessa ad organi dello
Stato italiano.
Seguivano valutazioni, tra cui sugli effetti negativi che i clamori, le
numerose e spesso contraddittorie notizie sui fatti comportavano
nell’atteggiamento della S. Sede. Sulla formulazione dei quesiti di questo
Ufficio, che penetrano direttamente negli interna corporis della Curia e
potrebbero
toccare comportamenti di dipendenti minori, che retrospettivamente
valutate potrebbero apparire non produttivi di effetti positivi. Sulla
persistente pubblicità nella stampa, che non conforta la diplomazia
vaticana. (v. nota Ambasciata d’Italia presso la S. Sede alla Segreteria
Generale del Consiglio dei Ministri, 04.07.91)
_______________________
CAPITOLO OTTAVO
Cap. 3.8. L’articolo di MONTANELLI
In un libro dal titolo “ I vent’anni del “Giornale” di MONTANELLI”,
scritto da Mario CERVI e Gian Galeazzo BIAZZI VERGANI, appare un
capitolo dedicato ad una visita del ex direttore di quel quotidiano, il 5 luglio
1986 al Pontefice. Articolo scritto ma mai pubblicato. In esso lo scrittore vi
narrava la cronaca di una sera trascorsa presso il Papa.
“Eravamo in quattro alla sua mensa: ci facevano compagnia
JOAQUIN NAVARRO VALLS, il giornalista spagnolo addetto alle
relazioni del Vaticano con la stampa, e il segretario particolare di Giovanni
Paolo, un prete polacco dal nome polaccamente impossibile, che si
pronuncia GHIVISH e si scrive - chissà perché - DZIWISZ...
Parliamo della Polonia... Parlammo anche della situazione attuale a
Varsavia. O meglio ne parlai io. Lui mi stette a sentire, come al solito a testa
china... Parlammo dei suoi viaggi. Gli chiesi se non lo stancavano un po’;
specie dopo la lunga prova cui era stato sottoposto il suo fisico delle
pallottole di ALI’ AGCA. “No, no, disse “non ne risento assolutamente
nulla”. Ma io non volli abbandonare l’argomento senza chiedergli il giudizio
che più, sul piano umano, mi incuriosiva.
“Santo Padre,” dissi “lei andò a trovare in prigione il suo
attentatore”... “Carità cristiana ... “Certo carità cristiana. Ma così riuscì a
capire dei movimenti e dei fini di quello sciagurato ?”
Stavolta il Papa rimase a testa china più a lungo del solito e più del
solito strizzò gli occhi prima di rispalancarli addosso. “Parlai con
quell’uomo” disse “dieci minuti, non più. Troppo poco per capire qualcosa
dei moventi e dei fini che fanno certamente parte di un garbuglio ... si dice
così? ... molto grosso. Ma di una cosa mi resi conto con chiarezza: che ALI’
AGCA era rimasto traumatizzato non dal fatto di avermi
sparato, ma dal fatto di non essere riuscito, lui come killer si considerava
infallibile, a uccidermi. Era questo, mi creda che lo sconvolgeva: il dover
ammettere che c’era stato qualcuno o qualcosa che gli aveva mandato
all’aria il colpo”. (v. libro “I vent’anni del “GIORNALE”” da pag.142 a
pag.147)
MONTANELLI ha confermato il contenuto di questa parte del
libro. Ha specificato che si parlò dall’attentato e che il Pontefice gli aveva
detto che si era recato al carcere a far visita all’attentatore per perdonarlo,
che AGCA era stato grato per quella visita, ma che non gli aveva fatto
alcuna confidenza sul retroscena dell’attentato, come mandanti ed
organizzazione di appartenenza.
Quanto alle vicende dell’articolo: “la pubblicazione dell’articolo è
avvenuta a mia insaputa e contro la mia volontà. L’articolo fu messo su
mia disposizione nell’archivio del giornale. E’ stato ripreso in occasione
della pubblicazione dei “Vent’anni del Giornale”. La decisione di
pubblicare questo libro è stata presa dopo la mia uscita dal “Giornale”.
Era stato pianificato per: vent’anni del giornale, che scadono il 24 giugno
prossimo. La pubblicazione è stata affrettata a seguito della mia rottura
con BERLUSCONI ed infatti vi sono state inserite anche queste vicende.
Sono sicuro che gli autori non hanno chiesto l’autorizzazione per la
pubblicazione. Devo precisare che io feci bruciare l’articolo. L’articolo
era stato già stampato. Ne sospesi la pubblicazione quando ricevetti la
preghiera di NAVARRO di non pubblicarlo. BIAZZI VERGANI, che era
il mio condirettore, sicuramente ne conservò una copia. (v. esame di
INDRO MONTANELLI, 15.04.1994)
_______________________
CAPITOLO NONO
Cap. 3.9. Le dichiarazioni del Cardinal ODDI
Da ultimo non può sottacersi la testimonianza resa dal Cardinal
Silvio ODDI. Questi qualche tempo dopo l’attentato, sempre nell’81
aveva rilasciato ad una pubblicazione italiana un’intervista nella quale
formulava delle ipotesi sulla matrice del delitto compiendo una serie di
deduzioni sulla base del principio del “cui prodest”.
A seguito di questo articolo l’attentatore cioè AGCA gli aveva
scritto una lettera in italiano intellegibile, in cui affermava di non essere
nè anticattolico nè antireligioso, ma soltanto un killer di professione, e di
attendersi dopo quell’articolo di denuncia dei mandanti che il “Papa
bianco” parlasse da piazza San Pietro e che qualcuno organizzasse la sua
soppressione in carcere.
Di questa lettera il Cardinale fece due copie, consegnando la prima
a un giornalista brasiliano - di cui non seppe in seguito più nulla - e la
seconda qualche mese dopo, alla Segreteria di Stato personalmente al
Cardinal CASAROLI. Da questo Ufficio non vi fu alcuna risposta o
reazione. Non è però in grado, esso Cardinal ODDI, di esibire nè
l’originale nè copie.
Il suo convincimento, così come lo aveva espresso nel corso di
intervista del 91 al settimanale Pegaso - e a differenza di quanto era
successo nelle dichiarazioni dell’81, in cui lasciava all’intelligenza
dell’interlocutore di trarre l’ultima conclusione - era che il responsabile
fosse il KGB.
_______________________
CAPITOLO DECIMO
Cap. 3.10. Conclusioni
Al termine di questa parte si può affermare che un passo avanti si è
compiuto con l’instaurazione dei rapporti tra questa A.G. e le Autorità
Vaticane su una questione così grave e delicata come l’attentato al
Pontefice. Rapporti che si sono basati, in assenza di un trattato di
assistenza giudiziaria, sulla consuetudine internazionale ed in particolare
su una nascente tradizione di relazioni di cooperazione in affari di
giustizia.
Le Commissioni Rogatorie non hanno però dato i risultati voluti. In
primo luogo non è stata consentita la presenza del rogante, che in virtù
della conoscenza degli atti e delle esigenze dell’inchiesta, avrebbe potuto
dare un rilevante contributo all’esito degli interrogatori. Questi atti non
raramente si sono conclusi in brevi serie di risposte negative, senza
seguiti di contestazioni da parte dell’inquirente né di spiegazioni da parte
dell’esaminato. Si sono perciò spesso rivelati atti puramente formali,
mentre potevano e dovevano essere di natura sostanziale.
Si deve pure rilevare che alcune tra le richieste di questa A.G. sono
state nettamente rigettate, perchè considerate questioni attinenti
esclusivamente alla organizzazione statuale vaticana o che invadevano la
sovranità dello Stato della Città del Vaticano.
Molti altri interrogativi di questa inchiesta avrebbero avuto
necessità, per tentare di risolverli, dell’ausilio della Città del Vaticano, ma
di fronte al detto atteggiamento si è soprasseduto all’invio di ulteriori
commissioni rogatorie.
Atteggiamento che appare comune a molteplici soggetti ed entità
che dovrebbero ausiliare questi inquirenti e che, in non pochi tra essi,
appare come intento - non si comprende da
quali finalità determinato - di chiudere ogni indagine sul delitto e porre
una pietra tombale sulla ricerca della verità.
_______________________
PARTE QUARTA
Le attività dei Servizi
Pag. 274 bis della sentenza istruttoria
CAPITOLO PRIMO
Cap. 4.1 Premessa
I Servizi d’informazione, come già s’è visto nelle precedenti parti,
si sono più volte e a vario titolo inseriti nella vicenda dell’attentato al
Papa. I coinvolgimenti, in vario grado, sono stati tali e tanti che
impongono un autonomo capitolo, in cui però si tenta soltanto di
tratteggiare in maniera minima la cronaca di quelle attività, di certo non
approfondendo e con probabilità trascurando la maggior parte di coloro
che effettivamente si interessarono al caso.
_______________________
CAPITOLO SECONDO
Cap. 4.2. I Servizi italiani
4.2.1. L’incontro di AGCA con i Servizi Italiani.
Il 29 dicembre 1981 avveniva, presso la casa circondariale di
Ascoli Piceno, un colloquio tra il detenuto AGCA e due funzionari dei
Servizi Segreti italiani: il Maggiore PETRUCCELLI Alessandro del
SISMI e il Vice Questore BONAGURA Luigi del SISDE, quest’ultimo
accompagnato dall’interprete LORUSSO, anch’esso del SISDE. Il
colloquio avveniva su richiesta dei Servizi informativi, autorizzati dal
Magistrato istruttore, così come si rileva dalle testimonianze raccolte nel
corso dell’istruttoria.
Dagli atti dell’istruttoria cd. Papa bis, si rilevava che il colloquio
con i rappresentanti del Servizio informativo era stato richiesto da AGCA
nel corso dell’interrogatorio reso in data 12 ottobre 1981 innanzi al
Sostituto Procuratore Generale Dr. SCORZA, assistito dal funzionario
della DIGOS romana, Dr. BELLISARIO al quale AGCA, aveva
manifestato, il 7 ottobre precedente, l’intenzione di fornire agli organi
inquirenti informazioni sui contatti e le organizzazioni con le quali era
stato collegato fino al giorno dell’arresto. AGCA nel corso
dell’interrogatorio aveva fatto espressa richiesta di voler parlare “soltanto
con la Polizia, rappresentata da un commissario della Digos, e due
appartenenti ai Servizi Segreti, senza la presenza del giudice”.
Dalla documentazione acquisita presso il SISMI è stato possibile
ricostruire la genesi dell’incontro con AGCA. Il 24 ottobre 1981 la
Questura di Roma aveva informato l’UCIGOS della richiesta di colloquio
avanzata da AGCA, chiedendo di esaminare l’opportunità di richiedere ai
competenti Servizi se fosse loro intendimento far collaborare propri
elementi col funzionario della Digos romana che si sarebbe recato ad
escutere AGCA. LUCIGOS, a sua volta, con missiva del 4 novembre
successivo aveva trasmesso ai Direttori del SISDE e del SISMI la
richiesta della Questura di Roma per le valutazioni del caso. La l^
Divisione del SISMI si rendeva disponibile all’incontro e dopo un
contatto informale con il SISDE, comunicava all’UCIGOS, con
messaggio del 26 novembre successivo, la propria disponibilità a
partecipare all’incontro con un proprio elemento.
Da una nota interna del SISMI si rileva che in data 27 dicembre
1981, giorno che cadeva di domenica, era avvenuto presso l’ufficio
dell’Istruttore, un incontro tra il Magistrato, il Maggiore PETRUCCELLI
del SISMI, il Dott. BONAGURA del SISDE, un funzionario
dell’UCIGOS, rappresentanti della DIGOS e del Reparto Operativo dei
Carabinieri.
Dalla nota si rileva che nel corso della riunione il Magistrato, dopo
avere accennato ai suoi precedenti interrogatori di AGCA, e riferito che
quest’ultimo aveva lasciato intravedere una disponibilità a rilasciare
dichiarazioni concernenti i suoi contatti a livello internazionale, aveva
invitato i Servizi ad un contatto diretto ed esclusivo con AGCA, da
effettuarsi tramite valido interlocutore conoscitore della lingua inglese
“opportunamente indirizzato sull’orientamento delle Autorità italiane a
concedere eventuali benefici al terrorista in cambio della sua
collaborazione”. Il Magistrato aveva precisato, infine, che il colloquio
doveva essere autorizzato
da lui stesso e dal Ministero di Grazia e Giustizia.
Nessun riferimento veniva fatto alla richiesta di presenza al
colloquio - espressamente formulata dallo stesso AGCA - del funzionario
della DIGOS romana che, invece, sarà escluso dall’incontro.
Il 29 dicembre 1981, alle ore 10:50, BONAGURA,
PETRUCCELLI e LORUSSO, varcavano la soglia del carcere di Ascoli
Piceno per uscirne alle ore 16:40 dello stesso giorno, così come si rileva
dal registro degli ingressi della sopracitata Casa di Reclusione.
Secondo quanto si rileva dall’appunto n. 503 della 1^ Divisione del
SISMI datato 30 dicembre 1981, l’incontro con AGCA “é durato circa sei
ore di cui più di quattro sono state necessarie perché il detenuto si
convincesse ad abbandonare la “conditio sine qua non” di garanzie sulla
sua scarcerazione a breve termine, e fornire alcuni elementi informativi”
sull’attentato al Papa. Elementi che venivano sintetizzati in una nota
allegata all’appunto, dove veniva fatto riferimento, tra l’altro, a contatti
tra AGCA ed i noti brigatisti rossi, FENZI e MORETTI.
Quello stesso giorno l’esito del colloquio veniva informalmente
riferito all’Istruttore, direttamente da BONAGURA e PETRUCCELLI.
Nel corso dell’incontro il Magistrato assicurava che non avrebbe fatto
riferimento ad AGCA del colloquio che aveva avuto con i rappresentanti
dei Servizi.
L’esito del colloquio, infine, veniva definito dal Direttore della 1^
Divisione del SISMI, in un appunto del 3 maggio 1983, “piuttosto
deludente”, al punto da potersene
desumere che l’attentatore non avesse voluto iniziare una concreta
collaborazione.
Nel corso dell’istruttoria, al novembre dell’83 venivano raccolte le
dichiarazioni dei funzionari che si erano incontrati con AGCA e dei
Direttori dei due Servizi. La testimonianza era mirata - soprattutto - a
conoscere se, oltre all’incontro del 29 dicembre 1981, vi fossero stati altri
incontri con AGCA. Ciò in quanto da un documento del SISDE,
trasmesso al Magistrato dalla Questura di Roma in data 31 agosto 1982,
veniva fatto riferimento a “colloqui” intercorsi con AGCA e non a un
solo colloquio. Tutti i testi escludevano tale possibilità. In particolare il
Direttore del SISDE, DE FRANCESCO, precisava “che il colloquio con
l’AGCA é stato uno soltanto. L’estensore dell’appunto ha usato la
formula plurale “colloqui”, in quanto gli interlocutori erano due, e cioé il
Dr. BONAGURA ed il funzionario del SISMI. Ritengo che, avendo il
predetto colloquio, avuto uno svolgimento piuttosto lungo, esso sia stato
frazionato in diverse parti e che l’estensore, é incorso nell’errore di
parlare di “colloqui” anziché di “colloquio””.
Su questo incontro da più parti sono state avanzate, lungo gli anni,
perplessità sulle reali motivazioni del colloquio dei funzionari dei Servizi
con AGCA. E ciò, in particolare, alla luce delle rivelazioni del pentito
della Nuova Camorra Organizzata, PANDICO, che riferiva di contatti
intercorsi tra esponenti del SISMI, cutoliani e AGCA. Contatti che
sarebbero avvenuti nella primavera del 1982. Ma ciò anche a seguito
della assoluzione dei Bulgari nella preparazione e attuazione del piano
criminale nei confronti del Papa. AGCA com’é noto comincerà a
parlare con il Magistrato ed a rivelare la cd. pista bulgara dal 1° maggio
del 1982.
Dalla documentazione acquisita presso il SISMI sono state
rinvenute due musicassette audio TDK e una bobina NAGRA,
concernenti, secondo quanto annotato nella copertina che le custodiva, la
registrazione del colloquio intercorso tra AGCA e i due funzionari dei
Servizi, avvenuta il 29 dicembre 81. Da rilevare che l’annotazione faceva
riferimento a due bobine e non ad una bobina e due musicassette.
Su tale materiale audio questo G.I. disponeva la trascrizione, che
veniva affidata all’Ing. Andrea PAOLONI. Il tecnico depositava la sua
relazione in data 21 febbraio 1995, precisando che: - la bobina NAGRA
risultava registrata per la durata di 1 ora e 40 minuti limitatamente al lato
A; la qualità della registrazione appariva molto scadente; “verso la fine
della registrazione, che sembra essere anche la fine della conversazione,
si percepisce uno degli interlocutori che accenna al fatto di essere stato 5
ore chiuso dentro”; - le due musicassette TDK contenevano una
registrazione della durata complessiva di 3 ore e 10 minuti, la cui
trascrizione non era corrispondente a quella contenuta nella bobina
NAGRA, supponendo che potesse trattarsi della prima parte della
conversazione e la cui seconda parte era, invece, contenuta nella bobina
NAGRA.
Il trascrittore presumeva che le due musicassette TDK
corrispondessero al riversamento di una bobina NAGRA, la cui
autonomia corrisponde a 3 ore e 10 minuti. Se tale ipotesi formulata dal
tecnico corrispondesse al vero, il colloquio tra AGCA ed i due funzionari
sarebbe durato 4 ore e 50 minuti mentre gli stessi sarebbero rimasti
all’interno del carcere, almeno da ciò che risulta dal registro degli
ingressi, per 5 ore e 50 minuti.
Dalla trascrizione del colloquio registrato nelle due misicassette
audio si rileva, nella fase iniziale della registrazione, che gli interlocutori
promettevano ad AGCA - in cambio della sua collaborazione, tesa a
chiarire i punti oscuri della vicenda - la revisione del processo e la grazia
presidenziale, sottolineando che sarebbero intervenuti, in tal senso, anche
presso le Autorità vaticane. Veniva altresì promesso al detenuto, una
carcerazione meno dura presso altro carcere. In queste ore di colloquio
AGCA fornisce scarsi elementi. Il detenuto appare soprattutto interessato
a stabilire le condizioni per una sua prossima scarcerazione. Dalla
trascrizione della bobina NAGRA, che dovrebbe corrispondere
verosimilmente alla seconda parte del colloquio, AGCA parla del suo
soggiorno in Italia ed all’estero fornendo alcuni particolari sulle persone
contattate, tra le quali Enrico FENZI.
I pochi elementi forniti da AGCA non trovarono alcun riscontro
negli accertamenti esperiti dal SISMI e furono pertanto definiti “scarsi e
deludenti”. In verità, AGCA, qualche indicazione nuova, nel corso del
colloquio, l’aveva fornita ai funzionari dei Servizi. Infatti aveva riferito,
per la prima volta, che la pistola, con la quale avrebbe poi attentato alla
vita del Pontefice, era stata a lui consegnata a Milano, così come
confermerà nel corso dell’istruttoria.
A dicembre del 1985, nel corso del dibattimento in Corte di Assise,
venivano raccolte le testimonianze di
BONAGURA e PETRUCCELLI e dei due Direttori del Servizio
pro tempore, DE FRANCESCO del SISDE e LUGARESI del SISMI.
I primi due confermavano le dichiarazioni rese in istruttoria, e cioé
che il colloquio con AGCA era stato unico, escludendo la possibilità che
vi fossero stati altri incontri. BONAGURA aggiungeva che, oltre a sentire
AGCA,- egli aveva ricevuto il compito di verificare le misure di sicurezza
del carcere, precisando che la richiesta di colloquio con AGCA era nata
da una duplice circostanza: da una parte la richiesta della Questura di
Roma di partecipare ad un incontro con AGCA; dall’altra la richiesta del
Ministero di Grazia e Giustizia, che aveva comunicato al SISDE che dal
20 dicembre 1981 l’AGCA aveva iniziato lo sciopero della fame e che,
non potendo escludersi che tale data potesse essere interpretata come un
messaggio per l’estero, aveva chiesto di esaminare la possibilità di
condurre degli accertamenti in proposito. Riferiva, altresì, che la proposta
di grazia avanzata ad AGCA in cambio della sua collaborazione era stata
una sua iniziativa.
DE FRANCESCO, Direttore del SISDE, e LUGARESI, Direttore
del SISMI, confermavano le dichiarazioni già rese in istruttoria.
LUGARESI, in particolare, escludeva che “una struttura parallela”
del SISMI potesse aver preso contatto nella primavera del 1982 con
AGCA nel carcere di Ascoli Piceno. Escludeva, tra l’altro, che il Gen.
MUSUMECI potesse essersi presentato presso il carcere di Ascoli Piceno
per conto del SISMI. Confermava di avere inviato un funzionario a
colloquiare con AGCA, ma solo il 29
dicembre 1981, e ciò anche su espressa richiesta del Ministro
dell’Interno.
LUGARESI, nel corso dell’esame testimoniale reso a questo G.I.
nel giugno 1994 dichiarava, in relazione al colloquio tra AGCA ed i
funzionari dei Servizi, che “l’iniziativa fu presa dal Giudice titolare
dell’inchiesta all’epoca, mi sembra di nome MARTELLA. Io fui
chiamato dal Ministro dell’Interno ROGNONI, che mi chiese un
funzionario del Servizio da mandare nel carcere di Ascoli Piceno per
venire incontro ad una richiesta in tal senso del detenuto ALI’ AGCA. Mi
disse che la missione era pilotata dal Giudice MARTELLA, il quale era
promotore di questa iniziativa”. (v. esame LUGARESI, G.I. 24.06.94)
Veniva anche raccolta la testimonianza di PETRUCCELLI, il quale
non forniva elementi nuovi rispetto a quanto riferito precedentemente,
salvo indicare che l’incarico di incontrare AGCA lo aveva ricevuto dal
Col. NOTARNICOLA. Pertanto veniva raccolta, in data 13 giugno 1991,
la testimonianza anche di costui che, comunque, nulla aggiungeva di
nuovo rispetto a quanto riferito dagli altri Ufficiali del Servizio.
Nessuno dei testi sentiti, sia del SISDE che del SISMI, ha
accennato al fatto che la conversazione con AGCA fosse stata registrata.
******************
Cap. 4.2.2. La figura del Generale NOTARNICOLA.
E’ stato escusso il Generale Pasquale NOTARNICOLA, all’epoca
del fatto Direttore della l^ Divisione del SISMI. Il giorno dell’attentato egli
era a Venezia per motivi di servizio, ma nonostante la somma gravità del
delitto non farà rientro a Roma che qualche giorno dopo.
Egli non aveva mai ricevuto segnalazioni, anche ambigue, di progetti
di attentato alla persona del Sommo Pontefice, nè era mai venuto a
conoscenza di una missione inviata dall’omologo Servizio francese
SDECE, per avvisare la Santa Sede di un piano a danni del Papa. Così
come esclude che nei tempi immediatamente successivi al delitto si fosse
parlato di pista bulgara. Questo orientamento emerse, egli asserisce, solo
quando ci fu la richiesta di autorizzazione da parte di ufficiali del Servizio,
ad esibire alla Magistratura inquirente materiale fotografico concernente
cittadini bulgari.
Ricorda l’autorizzazione per un ufficiale del Servizio, l’allora tenente
colonnello PETRUCCELLI della sua Divisione, a partecipare a colloqui
con il detenuto MEHMET ALI’ AGCA. Del rapporto che gli fu fatto
ricorda soltanto i tratti descrittigli dell’attentatore, intelligente, freddo e
diffidente. Non ricorda altre circostanze del rapporto; tende ad escludere
che gli sia stato riferito alcunchè sull’arma; non rammenta riferimenti al
danaro maneggiato da AGCA in Italia e in altri Paesi Europei. Non ricorda
- nonostante un suo dipendente, il capitano MAFFEI, capo della 2^ Sezione
Controspionaggio della l^ Divisione, dichiari in tal senso - di trattative
nell’80 a Parigi presso lo SDECE, su questioni attinenti alla sicurezza del
Papa. (v. esame NOTARNICOLA Pasquale, 13.06.91)
In un successivo esame dichiara che non gli risulta di sollecitazioni
nei confronti del generale LUGARESI da parte di Autorità politiche ad
intervenire operativamente su AGGA, per
la missione PETRUCCELLI. Sull’affare TURKOGLU non ricorda nulla,
anzi il nome TURKOGLU CIHAT non gli dice alcunchè. Presa visione di
atto della pratica 1^ Divisione sull’attentato in questione, atto proveniente
da Militalia di Vienna ed avente ad oggetto l’affare TURKOGLU, dichiara
di non ricordare il messaggio, anche se riconosce la sua grafia
nell’annotazione in calce al messaggio stesso. Comunque non ricorda la
circostanza più importante dell’intero affare, e cioè se fu stabilito un
contatto con il turco. Si giustifica asserendo - in modo analogo a quanto si
era verificato per la strage di Ustica, al riguardo della quale aveva assunto
di essere stato impegnato immediatamente dopo nella strage di Bologna - di
essere rimasto molto impegnato nello scandalo P2 scoppiato in quello
stesso periodo di tempo.
Anche del successivo atto 159 della detta pratica non ha ricordo, pur
dopo averne preso visione ed aver constatato che su di esso v’era la sua
sigla. Così come non rammenta l’atto 160. E nonostante la visione di questi
documenti, non riesce a ricordare nulla dell’intera vicenda. (v. esame
NOTARNICOLA, G.I. 22.11.94)
*********
Cap. 4.2.3. I Centri SISMI e SISDE di Milano.
Nuove indagini sui viaggi e le presenze di MEHMET ALI’ AGCA in
Italia portavano alla scoperta di una strana permanenza di un vietnamita
nell’albergo ove egli era sceso a Milano. In questo albergo, l’Hotel AOSTA
di Piazza Duca d’Aosta, aveva preso alloggio per ben due volte AGCA
sotto il
nome di OZGUN FARUK; la prima nella notte tra il 18 e il 19 aprile 1981, la
seconda dal 23 al 25 aprile successivi. In quello stesso albergo aveva preso
alloggio il 26 aprile 81, - a diciassette giorni dall’attentato di Piazza San
Pietro - tal VAN HOAI PHILIP IRAN, munito di passaporto di servizio n.
347175 rilasciato il 06.06.75 dal Vaticano.
Tale episodio aveva sin dalle prime indagini attratto l’attenzione della
DIGOS di Milano e di entrambi i Servizi di informazione, il SISDE e il
SISMI.
Il registro dell’albergo non è stato rinvenuto, perché distrutto per errore
durante dei lavori di ristrutturazione dell’edificio. E’ stato però rinvenuto, con
un seguito presso la DIGOS del capoluogo lombardo, la copia di tal registro.
In questa copia appare immediatamente una “sbianchettatura” del luogo e
della data di nascita di quel cliente, unica “sbianchettatura” di tutti i fogli
acquisiti, di talché un lettore normale avrebbe potuto stimare che quel cliente
fosse addirittura un iraniano. Altri elementi di interesse la cittadinanza e la
residenza, che appaiono essere vaticane.
“Il motivo di questa segnalazione fu la strana coincidenza della
presenza in quell’albergo di un funzionario della Santa Sede. Fu proprio il
passaporto di servizio a richiamare l’attenzione sia degli operativi, che
materialmente avevano eseguito la verifica, sia la mia”. Così il Capo Centro
SISMI di Milano, che aggiunge che il Servizio fece accertamenti su quella
persona per il tramite del Raggruppamento Centri di Roma e verifiche tramite
la DIGOS sempre di Roma. Quel Centro aveva anche rivelato la presenza di
altri turchi in quell’albergo. (v. esame testimoniale PARISI Giorgio, G.I.
02.12.93)
Atteggiamento diverso quello del Capo Centro SISDE, il quale ricorda
soltanto che fu accertata la presenza di AGGA in
un albergo milanese; non ricorda però nè il tempo nè l’albergo, nè se
l’accertamento fu compiuto sotto il vero nome di AGCA o di alias. Prende
atto che nella nota relativa, viene segnalato anche un altro cittadino turco tal
UNUTMAZ DORMUS (v. telex Centro SISDE Milano at Direzione SISDE
Roma 16.05.1981). Ma subito precisa che non se ne trasse alcuna conclusione
sulla connessione di costui con l’attentatore. Prende atto che viene segnalato
anche certo VAN HOAI PHILIP e dichiara che questa segnalazione fu
effettuata perché si trattava di uno straniero. Quindi così continua l’esamè: “A
contestazione del fatto che nell’albergo in quel periodo presero alloggio anche
altri stranieri, non so se ci fossero altri stranieri. Dal tenore della risposta, se ci
fossero stati, avremmo segnalato egualmente anche la loro presenza.
Prendo atto che il predetto VAN HOAI era titolare di un passaporto di
servizio rilasciato dalla Città del Vaticano. Ritengo che la segnalazione di
questa persona sia stata fatta per la stessa ragione del primo e cioè perché
cittadino straniero.
Ritengo che all’epoca della redazione della nota non ci fossero altri
motivi di connessione o di sospetti, a parte un sospetto di ordine generico
dovuto alla concomitante presenza in quell’albergo con ALI’ AGCA,
ovviamente sotto il falso nome di cui sopra.
Non ritengo, per quanto nella mia memoria, che le due predette
posizioni siano state ulteriormente sviluppate dal mio Centro”. (v. esame
BELLO Gaetano, G.I. 02.12.1993)
Esame palesemente reticente su cui provvederà in separata sede il P.M..
A tal punto reticente da non indurre ad ulteriori domande, e cioè su
come facesse a dire che quel personaggio era uno straniero da meritare
attenzione, giacché quella che
appariva sul registro era soltanto una cittadinanza vaticana senza alcun dato
sul Paese di nascita. A meno che il registro dell’albergo non fosse stato
consultato prima della “sbianchettatura”, che quindi diviene sempre più
sospetta.
Anche perché che VAN HOAI fosse vietnamita si accertava solo
nell’ottobre di quell’anno a seguito di indagini di P.G.. Il nome completo di
questo soggetto era TRAN VAN HOAI PHILIP; era nato a Quang Tn, nel
sud Vietnam l’anno 1929; era sacerdote; era giunto in Italia nel 68 con
passaporto rilasciato a Saigon. A Roma aveva completato gli studi
ecclesiastici ed era stato impiegato presso la Sacra Congregazione di
Propaganda Fide, divenendo vice Rettore del Pontificio Collegio
Missionario Internazionale di San Paolo (Propaganda Fide). Nel 93 era
coordinatore dell’Apostolato per i vietnamiti della Diaspora. Parlava
correttamente oltre il vietuamita l’italiano, il francese e l’inglese. La sua
famiglia era emigrata dal Vietnam negli Stati Uniti.
*************
Cap. 4.2.4. La figura di Francesco PAZIENZA.
Il nome - e le ragioni per interrogarlo ed indagare su di lui, noto
anche per altre vicende di interesse nazionale ed internazionale - di
Francesco PAZIENZA è emerso più volte nella presente inchiesta.
Fu lui stesso a chiedere, quasi ai primordi di questo procedimento nel
novembre 85, di essere sentito sull’attentato al Sommo Pontefice,
affermando testualmente di poter contribuire all’accertamento della verità,
essendo a conoscenza di fatti e circostanze attinenti a quel delitto.
In tal senso questo Ufficio richiese alle Autorità degli Stati Uniti, ove
il predetto era all’epoca detenuto, il suo esame, atto che fu compiuto nel
dicembre immediatamente successivo.
Egli premette che le sue dichiarazioni saranno divise in tre parti: la
prima nella quale intende dimostrare che mai s’era recato, o aveva inviato
altri, nel carcere di Ascoli Piceno per determinare o comunque influenzare
AGCA a rendere accuse o testimonianze; la seconda su un gruppo
costituitosi nell’ottobre dell’81 all’interno del SISMI e chiamato Maieutica
con funzioni di inquinamento e disinformazione; la terza concernente un
gruppo di estrema destra, sospettato di terrorismo, probabilmente coinvolto
nell’attentato in oggetto.
In primo luogo egli afferma che, se vi è stato un contatto tra
SENZANI e AGCA, esso è avvenuto su impulso di tal BELLUCCI
Luciano, agente del SISMI di LUGARESI per sua stessa ammissione, che
aveva vissuto per quattro anni nell’abitazione di SENZANI a Roma in via
della Vite, 65. Nega quindi che sia vero quanto affermato da PANDICO,
che si dirà nella prossima parte di questo procedimento, e cioè che egli
fosse stato con il generale MUSUMECI al carcere di Ascoli Piceno per far
“pentire” AGCA. In tal senso era stato avvertito nell’aprile dell’82 dal noto
GIOVANNONE, incontrato al parcheggio di Villa Borghese, che gli
avrebbe riferito di contatti ufficiali della 2^ Divisione del SISMI ed AGCA,
rapporti nei quali secondo voci di Forte Braschi esso PAZIENZA sarebbe
stato coinvolto.
Precisa che i suoi rapporti con il SISMI erano iniziati nel febbraio 80
ed erano finiti nel marzo 81, tredici giorni dopo la scoperta delle liste della
P2 a Castiglion Fibocchi; dopo di che
era passato a lavorare per CALVI e il Banco Ambrosiano come consulente.
Quanto al secondo argomento, il Gruppo Maieutica, egli ricorda che
con la direzione del Servizio Militare in capo al generale LUGARESI
rimasero nelle proprie funzioni di direttore di Divisione SPORTELLI e
NOTARNICOLA. E costui, che sin dalla seconda metà dell’80 aveva
proposto al Direttore del tempo, cioè SANTOVITO, la costituzione di un
Centro di Maieutica, il cui costo sarebbe stato intorno ai cinquecento
milioni annui e il cui fine sarebbe dovuto essere l’ausilio della giustizia e
della informazione al raggiungimento della verità, che il più delle volte solo
i Servizi scoprono nella loro reale entità. Ma egli avrebbe tradotto - è
sempre lui che riferisce - gli eufemismi di NOTARNICOLA, assumendo
che trattavasi di un’entità che avrebbe creato veline verso i mezzi di
comunicazione e operazioni di convincimento e subornazione di testimoni e
terze persone verso la giustizia.
Egli avrebbe avuto anche conferma del funzionamento di questo
“Centro Maieutica” tra la fine dell’81 e l’82, allorché era apparsa sui mezzi
di informazione una “massa incredibile di informazioni sballate”. Di certo,
secondo PAZIENZA, LUGARESI aveva acceduto alla proposta
NOTARNICOLA. E probabilmente, continua, “Maieutica” era stata
l’ispiratrice dell’operazione P2. Gli autori con ogni probabilità cercavano
documenti che legassero PICCOLI e la Democrazia Cristiana a CALVI e
alla P2. Così come era chiaro che qualcuno aveva convinto LUGARESI a
dichiarare alla Commissione P2, che PAZIENZA era legato a GELLI e alla
stessa P2, e che altri non poteva essere stato se non il duo SPORTELLI -
NOTARNICOLA.
Quanto al gruppo di estrema destra collegato all’attentato al Papa, egli
riferisce che nel settembre dell’84 il Custom Service lo convocò mentre si
trovava alle Seychelles e che nell’occasione dell’incontro con gli agenti
speciali GALLIGAN e DONOVAN, durato sei ore, avvenne un interessante
scambio di informazioni su Ambrosiano, terrorismo ed in particolare
Nicaragua, ovvero il gruppo di terroristi italiani individuati nell’80, e i
rapporti di esso PAZIENZA con il G2 di Panama. GALLIGAN aveva
affermato che Stefano DELLE CHIAIE entrava e usciva a suo piacimento
dagli Stati Uniti, e che da ultimo vi era stato in compagnia di un turco, amico
di ALI AGCA ed appartenente alla sua stessa organizzazione, cioè ai Lupi
Grigi. Questo DELLE CHIAIE era stato visto l’ultima volta a Miami nel
giugno dell’84 e sempre con il turco.
GALLIGAN, continua PAZIENZA, aveva anche annuito, alla sua
domanda se la Bulgarian Connection facesse acqua o meno. Nessuna
risposta alla domanda, ripetuta ben tre volte, perché non comunicassero
queste notizie agli italiani, cosicché DELLE CHIAIE e il turco fossero
arrestati; nessuna risposta ovvero una vaga ed ambigua affermazione,
secondo cui i suoi ex colleghi, quelli del SISMI, may know, potrebbero o
dovrebbero sapere. Da quel momento, dal momento cioè in cui egli è venuto
a sapere da GALLIGAN che DELLE CHIAIE era coinvolto nell’attentato al
Papa, comincia nei suoi confronti da parte degli americani una “caccia
all’uomo”.
Altro non riferisce se non che egli ha così maturato la convinzione che
gli americani proteggono DELLE CHIAIE e “quindi loro giravano la testa”.
(v. verbale PAZIENZA, 10.12.85)
Ascoltato nuovamente nel luglio 86 in Italia, ove era stato estradato
dagli Stati Uniti, egli conferma un progetto del SISMI
di coinvolgerlo nell’attentato al Papa, accreditando una ipotesi secondo cui
egli avrebbe avuto, come riferitogli da GIOVANNONE, rapporti con AGCA
in un periodo di tempo precedente l’attentato.
A specifica domanda se si fosse mai interessato, come agente del
SISMI o a qualsiasi altro titolo, dell’attentato al Papa, egli riferisce di
essere stato incaricato dall’allora Sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, con delega ai Servizi, onorevole Francesco
MAZZOLA, di raggiungere il Vaticano al fine di rassicurare Monsignor
SILVESTRINI, all’epoca Prosegretario agli Affari Pubblici, e monsignor
MARCINKUS, all’epoca incaricato dalla sicurezza del Pontefice, che
nonostante il clima di smobilitazione nei vertici dei Servizi a causa dello
scandalo P2 scoppiato proprio in quel torno di tempo, i Servizi stessi
avrebbero garantito la continuità delle indagini, con il massimo interesse, al
fine di accertare le responsabilità nell’ideazione e nella esecuzione
dell’attentato, oltre a quelle di AGCA.
Altro interessamento nella vicenda, quello che si verificò qualche
tempo dopo, allorché il dirigente del I° Distretto di Polizia, Dr. Francesco
POMPO’, gli consegnò copia di un’informativa, secondo cui MEHMET
ALI AGCA avrebbe avuto una relazione con una ragazza italiana,
cameriera in un bar di Via Veneto. Tale informativa egli fece
immediatamente pervenire a SANTOVITO presso la sua abitazione di Via
Flaminia.
Sugli articoli di stampa in cui si parlava di un suo collegamento con
la CIA - articoli che secondo la sua interpretazione sarebbero il frutto di
veline del Gruppo Maieutica o comunque del gruppo facente capo a
NOTARNICOLA, SPORTELLI e COGLIANDRO - egli afferma di essere
stato utilizzato quale ciambella di salvataggio per
coloro che hanno effettivamente subornato MEHMET ALI AGCA.
Conferma le sue dichiarazioni di New York su DELLE CHIAIE e il
turco dei Lupi Grigi che lo accompagnava, sul valore della Bulgarian
Connection, “che faceva acqua”, sulle mancate informazioni alle autorità
italiane da parte di GALLIGAN, ma a sostegno non porta altro che un
memorandum di sua produzione, in cui si afferma che il Governo USA non
proteggeva solo DELLE CHIAIE, ma anche MASSAGRANDE Elio e
CIOLINI Elio.
Conferma altresì che la “caccia all’uomo”, scatenata contro di lui
dalle Autorità USA fu determinata dal fatto che era a conoscenza della
protezione di DELLE CHIAIE, “caccia” conclusasi con il suo arresto.
Ricorda anche che il turco collegato con DELLE CHIAIE era ABDULLAH
CHATLI.
Ridimensiona le dichiarazioni del precedente esame al riguardo del
coinvolgimento di DELLE CHIAIE nell’attentato al Papa. “Escludo che
GALLIGAN mi abbia detto che il DELLE CHIAIE era coinvolto ... se ciò
risulta ... evidentemente sono andato al di là ... All’attentato al Papa si è
fatto riferimento solo incidentalmente allorché lo stesso GALLIGAN ha
riferito l’episodio dell’ingresso di Miami del DELLE CHIAIE e del turco
CHATLI, da lui ... definito come intimo amico di AGCA”. GALLIGAN,
che aveva riferito di essere in possesso della sola informazione, secondo cui
certo “S. DELLE CHIAIE e un cittadino turco erano entrati negli Stati
Uniti attraverso Miami il 09.08.82, specificando che il nome di costui
risultava essere “A. CHATLI””. (v. esame PAZIENZA, G.I. 15.07.86)
Il senatore Francesco MAZZOLA, al tempo dei fatti di cui é
processo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
con delega al coordinamento dei Servizi di informazione, nel corso della
testimonianza resa il 19 marzo 1995 dichiarava, in riferimento alle
dichiarazioni di PAZIENZA “su una sua partecipazione ad una riunione
con me e i Direttore dei Servizi subito dopo l’attentato”, di escludere nel
modo più assoluto di averlo mai convocato a Palazzo Chigi e di avergli
dato incarico di una missione presso il cardinale SILVESTRINI e
monsignor MARCINKUS, finalizzata a rassicurarli. Aggiungeva di
ricordare che PAZIENZA a volte veniva a Palazzo Chigi al seguito di
SANTOVITO ma che in quelle occasioni non partecipava alle riunioni.
Escludeva, infine, che Federico Umberto D’AMATO fosse presente alle
riunioni. (v. esame MAZZOLA, G.I. 29.03.95)
Di contrario avviso è invece il Prefetto Federico Umberto
D’AMATO le cui dichiarazioni sono state raccolte nel 22 luglio 1994.
D’AMATO ricorda “di aver partecipato ad una riunione presso il CESIS in
una data sicuramente successiva di qualche giorno alla pubblicazione degli
elenchi della P2. A questa erano presenti il sottosegretario MAZZOLA, che
mi aveva espressamente invitato, il Presidente PELOSI, Segretario del
CESIS, il Generale GRASSINI, Direttore del SISDE, il Generale
SANTOVITO, Direttore del SISMI e PAZIENZA. In questa riunione
l’argomento fu il proposito di smantellamento dei Servizi proprio in una
fase in cui questi erano impegnati al massimo nelle indagini per l’attentato
al Papa”. Il Prefetto D’AMATO conclude la sua dichiarazione affermando
che “In esito a questa riunione PAZIENZA disse di voler andare
prospettare a Mons. SILVESTRINI la situazione. I partecipi alla riunione,
lo stesso Onorevole MAZZOLA disse a PAZIENZA di andare dal
Segretario di Stato”. (v. esame D’AMATO, G.I. 22.07.91)
Le dichiarazioni di PAZIENZA venivano raccolte da questo G.I. a
partire dal 1994. Nell’esame del 20.4.94 PAZIENZA ricostruiva la genesi
dei suoi contatti con la Curia romana; riferiva che all’interno del Vaticano
“esisteva una frattura tra due correnti: quella che era chiamata la corrente
“Mafia di Faenza” a cui appartenevano Achille SILVESTRINI, monsignor
Pio LAGHI, Agostino CASAROLI, monsignor SAMORE’ ed altri prelati
di minore importanza ma estremamente potenti nell’ingranaggio della vita
interna del Vaticano. L’altro gruppo in contrapposizione aveva come fulcro
monsignor MARCINKUS, monsignor Virginio LAGHI, che era vice
direttore dell’Osservatore Romano, e monsignor CHELI, che era il Nunzio
Apostolico preso le Nazioni Unite a New York”. Osservava il PAZIENZA
che, motivo della contrapposizione, era da ricondurre esclusivamente alla
gestione del potere all’interno del Vaticano; riferiva che a seguito della
elezione di Karol Wojtila al Pontificato, MARCINKUS era riuscito ad
ingraziarsi le simpatie del nuovo Papa grazie ai suoi interventi su una
vicenda che vedeva coinvolti negli Stati Uniti alcuni sacerdoti di origine
polacca; rilevava che a seguito dell’attentato al Papa la corrente di
CASAROLI aveva ripreso la prevalenza all’interno del Vaticano; ricordava
che la sera stessa dell’attentato fu chiamato da MARCINKUS e che a
seguito di ciò, si era recato in Vaticano ove aveva incontrato, oltreché
MARCINKUS, anche monsignor SILVESTRINI. Entrambi, continua il
PAZIENZA, erano assai preoccupati che la vicenda dello scandalo P2, con
la conseguente smobilitazione dei servizi di sicurezza, potesse influire in
modo negativo sulle indagini, portando confusione e “sicuramente ad una
non identificazione di quelle che erano le cause dell’attentato”; precisava
che gli
stessi non formularono ipotesi sui mandanti dell’attentatore. (v.
interrogatorio PAZIENZA, G.I. 20.04.94)
Riguardo alle asserzioni di AGCA su un suo supposto ruolo su
incarico della CIA di “suggerimento” della pista bulgara, PAZIENZA -
come si é già accennato - lo escludeva nel modo più categorico.
**************
Cap. 4.2.5. La vicenda di PELAIA Francesco.
Altra vicenda che mostra intrecci tra Servizi e l’attentato al Pontefice
è quella relativa a PELAIA Francesco.
E’ costui un sacerdote calabrese ridotto allo stato laicale nel 62, già
nel Gabinetto del Ministero dei Beni Culturali e della Ricerca Scientifica,
allorché di tale dicastero era titolare il calabrese ANTONIOZZI. Attraverso
costui a fine 79 aveva conosciuto il Ministro della Difesa all’epoca
RUFFINI, che a sua volta lo aveva presentato al Generale SANTOVITO
Direttore del SISMI. Questi gli propose di collaborare con il Servizio,
destinandolo alla 2^ Divisione. Una volta assunto e dopo sei mesi di prova,
fu inviato in Lussemburgo con l’incarico di costituire un nuovo Centro.
Questo Centro era stato voluto dal Ministro degli Affari Esteri COLOMBO,
e in un certo senso era stato determinato dal rafforzamento da parte
dell’Unione Sovietica della sua Ambasciata in quel Granducato, come
dall’apertura di una sede diplomatica da parte della Bulgaria.
PELAIA in questa veste, ed anche dopo, mantenne una serie
rilevante di alti contatti nei più disparati ambienti, dalla politica alle alte
gerarchie militari, alla diplomazia, alla Santa Sede, sia al tempo della
direzione SANTOVITO, che di quella del suo successore LUGARESI. Il
primo, sin dal tempo dell’inizio della collaborazione con il SISMI, gli
chiese esplicitamente di introdurlo nell’ambiente del Vaticano ove il
Servizio “non aveva messo mai piede”. Così presentò SANTOVITO a
monsignor CASAROLI, all’epoca addetto ai rapporti internazionali. Alla
morte del Cardinale VILLOT, titolare della Segreteria di Stato,
CASAROLI ne divenne il successore e SILVESTRINI successore di
CASAROLI ai rapporti internazionali. In seguito i rapporti tra
SANTOVITO e CASAROLI divennero diretti e frequenti.
In Vaticano PELAIA conosceva, oltre al CASAROLI e al
SILVESTRINI, anche monsignor CELATA, segretario del CASAROLI.
Tutti questi contatti egli li “passò” al SANTOVITO. Nel periodo in cui fu
Capocentro in Lussemburgo ebbe numerosi contatti telefonici con
monsignor SILVESTRINI, interessato alla critica situazione della Polonia.
Anche al tempo di LUGARESI la 2^ Divisione gli chiese di
informare il SISMI continuativamente sulla situazione polacca; ordine che
esso PELAIA eseguì con informative giornaliere, generiche e specifiche.
Nel 79 aveva redatto un appunto sui rapporti tra il Vaticano e il
mondo cattolico da un lato e GHEDDAFI dall’altro. Questi infatti in quel
periodo aveva organizzato a Tripoli dei convegni, ai quali aveva invitato
anche rappresentanti della Santa Sede. Ma quel leader libico - aveva
concluso PELAIA - era interessato solo alle sue finalità di integralista.
Sempre dal Vaticano aveva ricevuto informazioni e valutazioni
sull’invasione sovietica dell’Afghanistan. Gli ambienti vaticani stimavano
che quella occupazione avrebbe avuto carattere permanente in
considerazione del fatto che in quel Paese i Russi avevano iniziato a coniar
moneta.
SANTOVITO, sull’attentato al Papa, aveva espresso una propria
valutazione. Egli riteneva che quell’attentato era stato voluto nell’ambito di
un complotto ordito dai Russi unitamente ai Bulgari, che avevano
considerato una sconfitta per l’Est l’ascesa al Soglio pontificio di un
Polacco.
PELAIA riferisce inoltre su numerosi altri argomenti, che però non
sono d’interesse in questa sede. (v. esame G.I. Venezia del 10.02.86 e GG.II.
Roma e Venezia 30.11.93)
D’interesse invece sono i documenti sequestrati nella sua abitazione
dalla Procura della Repubblica di Roma nell’agosto dell’84 nell’ambito del
procedimento per il cosiddetto Supersismi. A parte rubriche, agende, lettere e
missive del RUD, essi sono i seguenti:
- rep. n.4, appunto dattiloscritto, classificato riservatissimo, datato
19.05.1981, dal titolo “Notizie inerenti l’attentato a Giovanni Paolo II”,
composto di n.4 pagine;
- rep. n.5, appunto dattiloscritto, composto di n.13 pagine, iniziante
con la frase “L’amministratore del PCI è Franco ANTONELLI ....“ e
terminante con la frase “CUA Bologna -Autostrada Bologna”;
- rep. n.7, n.2 fogli dattiloscritti, classificati “Riservato”, dallo stesso
contenuto inizianti con la frase “Durante il rinnovo delle cariche...” e
terminanti con la frase “Incidente del Jumbo ... Giappone”,
- rep. n.8, una missiva dattiloscritta composta di n.2 pagine, indirizzata
al Governatore della Banca d’Italia dr. Azeglio
CIAMPI a firma di Giuseppe Catalano, con allegate n.2 fotocopie di
volantini intestati “Cellula PCI, Banca d’Italia” e “Ansa Banca d’Italia”.
- rep. n.9, appunto dattiloscritto composto di n. 5 pagine, classificato
“Segreto” datato 14 maggio 1981, dal titolo “Asseriti contatti tra i
rappresentanti vaticani e rappresentanti sovietici”.
- rep. n.10, una cartellina raccoglitore di colore verde, contenente
appunti vari, dattiloscritti, relativi a “Prospettive politiche dopo le
elezioni italiane del 26/27 c.m., “Prospettive dell’eversione terroristica e
mafiosa in Italia” composto di n.4 pagine , “Malta - Rapporti: Chiesa -
Governo Laburista (Dom Mintoff)”, “Medio Oriente - Europa ed Alleati
– Italia”, “Rapporti Calvi - IOR (Vaticano)”, “Delitto Calvi - Ipotesi
fondata (da fonte qualificata)”, “Vaticano” composto di n.2 pagine, “Re
Hussein di Giordania in URSS....”, “L’attentato davanti alla casa del
Rappresentate dell’OLP”, “I piani dell’Iran Rivoluzionario”, “L’URSS e
la guerra nel Libano”, “Libano”, “gli attentati di Roma contro i
palestinesi”, “Movimento Patriottico Rivoluzionario Armeno”,
“Giacomo Maria Ugolini”, “Mechitaristi” .(v. verbale perquisizione
domiciliare e sequestro PELAIA 03.08.84)
Come si vede ben tre sono d’interesse per la presente istruzione, e i
due datati si collocano a brevissima distanza di tempo dall’attentato.
Il primo, apparentemente classificato “segreto” e datato 14 maggio
81, ha per oggetto “asseriti contatti tra rappresentanti vaticani e
rappresentanti sovietici.”
In esso al punto 1 si afferma che la situazione di relativa calma
instauratesi in Polonia sarebbe stata determinata da assicurazione, data
dall’Unione Sovietica al Pontefice, di non
intervento in Polonia, sia della stessa URSS che delle forze del Patto di
Varsavia.
Al punto 2, che tali informazioni sono state pubblicate in Italia da
organi di stampa di diverso orientamento, rafforzandone così la credibilità,
avallate peraltro da mancate smentite della Santa Sede. Cosicché avrebbe
preso piede l’ipotesi di un avvicinamento tra Sede Apostolica ed Unione
Sovietica, avvicinamento “oggettivo” sulle questioni del disarmo e della
distensione in conseguenza del ritorno della nuova amministrazione
americana su posizioni di guerra fredda.
Al punto 3, che vi fossero persino delle intese tra le due entità sopra
dette sul processo di distensione e sulla necessità della ripresa delle trattative
per il disarmo, intese favorite dalla linea politica della Santa Sede di pieno
appoggio al mantenimento dello status quo nell’Est europeo fondato sul
rispetto della sovranità nazionale dei Paesi del “blocco sovietico”.
Al punto 4, che per dare credibilità a tale tesi sarebbe stata inventata
persino l’attivazione d’una “linea diretta” tra Santa Sede e Cremlino, a
seguito di trattative a cominciare dall’agosto - settembre 80 e cioè all’inizio
delle lotte dei lavoratori dei cantieri navali di Danzica e Gdynia. Ai colloqui
preparatori avrebbero preso parte alti funzionari degli Affari Esteri di Mosca
come LUNKOV e personalità del Politburo PCUS come ZAGLADIN e per
il Vaticano i monsignori CASAROLI, Segretario di Stato, SILVESTRINI,
Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici, CARBONI, Nunzio
Apostolico presso il Quirinale e CALAMONERI, suo assistente. Vi sarebbe
stato anche un breve colloquio tra il Pontefice e LUNKOV.
Al punto 5, che la Santa Sede aveva puntualizzato che non esistendo
rapporti ufficiali tra il Vaticano e Mosca, era
impossibile l’autorizzazione di qualsiasi contatto ufficiale. Aveva smentito
l’esistenza della “linea diretta”. Aveva ribadito all’avvicinamento
oggettivo, la linea assunta a HELSINKI e poi a MADRID, di categorica
condanna dell’imperialismo sovietico.
Al punto 6, che l’iniziativa doveva definirsi una tipica operazione
sovietica di “disinformazione”: la manovra aveva suscitato reazioni
negative in primo luogo nella Conferenza Episcopale degli Stati Uniti,
preoccupazioni in quelle dell’Est e persino in quella italiana.
Al punto 7, che la paternità dell’iniziativa di disinformazione doveva
farsi risalire al cast romano dell’agenzia sovietica NOVOSTI, quanto ad
esecuzione, e al PCUS quanto a decisione.
L’altro documento, classificato “Riservatissimo” e datato 19 maggio
81, ha per oggetto “notizie inerenti l’attentato a Giovanni Paolo II”, notizie
provenienti da voci e indiscrezioni dell’ambiente della stampa estera.
L’attentato, secondo tali fonti, sarebbe stato progettato ed
organizzato dal GRU, il Servizio di Sicurezza militare dell’URSS, su
indicazione del Ministro della Difesa Maresciallo USTINOV. La crescita di
SOLIDARNOSC avrebbe convinto i vertici del Cremlino che quel
sindacato non avrebbe potuto sopravvivere con la forza e il prestigio di
quell’inizio degli anni 80, qualora fossero venuti meno il sostegno
finanziario dello IOR e quello del prestigio del Cardinale WYSHJNSKIJ e
del carisma del Pontefice polacco. Questi sarebbero stati i fattori -
unitamente alla fermezza della nuova Amministrazione americana - che
avevano concorso fino a quel punto ad impedire l’invasione della Polonia
da parte delle forze del Patto di Varsavia.
Nell’autunno dell’80 il Cremlino, avendo avuto notizia della
irreversibilità della malattia del Cardinale WYSHYNSKIJ, avrebbe deciso
l’azione di un “folle” contro il Papa a Roma. La decisione finale fu presa
nel corso di una riunione segreta a Bucarest nel novembre 80 di Ministri
della Difesa del Patto di Varsavia. Fu accolta con entusiasmo dal solo
Ministro della RDT, mentre i restanti, in particolare i rappresentanti
rumeni, mostrarono incertezza. Di fronte a queste reazioni USTINOV
probabilmente riformulò il progetto nel senso che l’obbiettivo potesse
essere solo ferito e non ucciso, messo cioè in condizioni di non poter
nuocere per lungo tempo. Pure il semplice tentativo di uccidere il Pontefice
peraltro, avrebbe indotto alla prudenza anche i suoi collaboratori.
Il GRU richiese al KGB un terrorista tra i migliori, catalogabile di
“destra” completamente dominabile. La scelta cadde sul turco AGCA. Il
GRU organizzò la fuga di costui dal carcere turco tramite ufficiali turchi di
destra, probabilmente ingannati nelle finalità dell’evasione, nel senso che
AGCA sarebbe stato liberato per un piano di eliminazione di elementi della
sinistra turca all’estero.
AGCA fu portato in URSS e addestrato in campi siti nelle vicinanze
di Sinferopoli. Il suo addestramento consistette nello sparare ad una sagoma
in lento movimento su una jeep scoperta e a mirare nella parte bassa del
bersaglio, con lo scopo di causare ferite alle gambe. Fu addestrato altresì a
superare la paura del linciaggio e a sparare in successione rapidissima,
anche se sballottato da nugoli di persone. L’ala del campo di Sinferopoli, in
cui egli fu addestrato, era stata adattata in modo tale da apparire un campo
palestinese, di modo che potesse ritenere e riferire di essere stato preparato
in un campo di AL FATAH.
AGCA perciò potrebbe non sapere per chi ha lavorato, anche perché i
Sovietici avrebbero comunicato con lui sempre in turco o in inglese. I suoi
controllori sarebbero stati due uomini e due donne di cui una tedesca, che lo
avrebbero indotto ai numerosi viaggi precedenti l’attentato, per far perdere
le tracce, e con l’incarico di eliminarlo ove non avesse avuto il coraggio di
aprire il fuoco contro la persona del Pontefice. Questo gruppo di controllo
sarebbe stato messo, immediatamente dopo l’attentato, al sicuro all’estero.
Entrambi i documenti sopradescritti risultano originati dal
Raggruppamento Centri CS diretto dal Col. COGLIANDRO e fanno parte
del cd. “Archivio COGLIANDRO”, recentemente scoperto nell’ambito
dell’inchiesta sulla strage di Ustica. Deve essere osservato che gli appunti
dell’“Archivio COGLIANDRO” - registrati su un protocollo “riservato”
“informale” -, venivano conservati nella Segreteria del Direttore del
Raggruppamento e soltanto quelli sui quali il Direttore del Servizio,
SANTOVITO, decretava l’inoltro alle altre articolazioni del Servizio,
venivano smistati - come nel caso dei due documenti di cui sopra -; gli altri
invece rimanevano all’interno della Segreteria del Raggruppamento.
Il documento sull’attentato al Papa rinvenuto a PELAIA risulta
trasmesso dal Raggruppamento CS alla 1^ Divisione con missiva del 25
maggio 1981. Lo stesso documento risulta trasmesso al Ministro della
Difesa, LAGORIO, ed al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con
delega al coordinamento dei Servizi di Informazione, MAZZOLA, con
fogli datati rispettivamente 23 e 28 maggio 1981. Non veniva invece
trasmesso all’Autorità Giudiziaria. Pertanto fino alla data in cui esso é stato
sequestrato, tra l’altro classificato “Riservatissimo”, si deve ritenere che
circolasse soltanto in
ambienti di “intelligence”. Ma così invece non é stato, in quanto i
contenuti del documento che - si ricorda ancora indicava nel KGB la
responsabilità dell’attentato - venivano riportati nel libro “L’attentato al
Papa nella luce di Fatima” di Sebastiano LABO, edito per i tipi della “PRO
FRATRIBUS - ROMA”, di cui era responsabile il Vescovo Paolo
HNILICA che ebbe un ruolo di primo piano nel tentativo di acquisto della
borsa del banchiere Roberto CALVI. Il libro, pubblicato in Italia nell’83,
riferiva della sua edizione già nella primavera dell’anno precedente in
lingua tedesca. A pagina 131 del libro, in relazione alla probabilità che
AGCA potesse essere un agente del KGB, veniva precisato che “a questa
possibilità accennò già il 19 maggio il rapporto dei servizi segreti di un
paese occidentale”; a seguire venivano sintetizzati i contenuti del rapporto.
La vicenda è stata ripresa recentemente dalla scrittrice Anna Maria
TURI che ha curato la pubblicazione del libro “La mia verità” scritto da
AGCA. A pagina 172 del libro, in una nota di sicura provenienza della
scrittrice e non di AGCA, si osserva che “Nel gioco dei vari servizi segreti,
rientra anche quello di cui dà notizia padre Sebastiano LABO nel libro
“L’attentato al Papa” (uscito per la prima volta in edizione tedesca con il
titolo “Das Attentat auf den Papst” Koblenz PRO FRATRIBUS, 1982.
Padre LABO il 19 maggio 81, trovandosi a Roma per alcuni esercizi
spirituali, ricevette la visita, in casa del vescovo Pavel HNILICA del quale
era ospite, di due uomini dei servizi segreti italiani (lo ha riferito nel corso
di un’intervista registrata (nda) i quali gli consegnarono dei fogli
dattiloscritti con il racconto dei retroscena dell’attentato stesso”.
Dei documenti della borsa ovviamente PELAIA non sa dare
spiegazione. Egli così ricostruisce la vicenda: aveva
ricevuto in dono dal Generale SANTOVITO una borsa già usata. Una volta
giunto a casa si era accorto che all’interno di essa vi erano dei documenti.
Chiamò immediatamente il Generale, ma questi gli disse che poteva tenerli.
Decise però di riportarglieli l’indomani, ma proprio quel giorno
SANTOVITO aveva lasciato Roma per ricoverarsi ed operarsi a Firenze,
ove pochi giorni dopo, nonostante le cure, sarebbe morto. (v. esame di
PELAIA 30.11.93)
_____________________
CAPITOLO TERZO
Cap. 4.3. I Servizi Turchi
Cap. 4.3.1. La morte di ABDULLAH CHATLI.
Le precedenti inchieste, come d’altronde la presente, a causa
dell’estrema viscosità dei rapporti con le Autorità turche, che hanno
sovente comportato tempi lunghissimi per le rogatorie e le richieste in
genere nei confronti di quel Paese, non hanno mai fatto luce sui rapporti tra
Servizi ed altri apparati istituzionali turchi dell’epoca dell’attentato con
l’organizzazione dei Lupi Grigi, anche se è risultato dai media di un
processo a carico del colonnello TURKES e di altri grandi dirigenti di
quella formazione, colonnello che peraltro èdivenuto in una scorsa tornata
elettorale membro del Parlamento nazionale.
Un evento però, avvenuto il 3 novembre del 96, appare
particolarmente significativo al riguardo di tali legami. Quel giorno in un
incidente stradale avvenuto a circa 150 km. da Istanbul, fra i passeggeri di
una Mercedes coinvolta morivano HUSEYIN KOCADAY, alto
responsabile di unità antiguerriglia, ABDULLAH CHATLI, su cui dopo
sedici anni di indagini sull’attentato al Papa non occorre spendere parole,
personaggio di primo piano della seconda inchiesta nella quale fu assolto, al
momento dell’incidente latitante per traffico di droga e omicidio, la sua
compagna GONCA US, già regina di bellezza. Quarto passeggero della
Mercedes, rimasto solo ferito SEDAT BUCAK, capo di un’organizzazione
militare kurda, finanziata secondo opinione corrente dal Governo turco per
contrastare la guerriglia del PKK cioè il partito dei lavoratori kurdi.
ABDULLAH CHATLI aveva, al momento della morte, con sè dei
documenti diplomatici speciali, consegnatigli da Autorità, diverse pistole e
porti d’arma, sei carte di identità ciascuna con un nome diverso. CHATLI
era considerato alla fine degli anni 80 uno dei ranghi, se non il secondo, più
elevati
dei Lupi Grigi. Nel 78 dovette passare in clandestinità per il
coinvolgimento nell’assassinio di sette sindacalisti. Era ovviamente legato
al traffico di droga, come l’intera organizzazione di militanza che era usata
da una delle figure più eminenti della mafia turca ABUZER UGURLU.
S’era adoprato, come altri dei Lupi Grigi, per far evadere AGCA da Kartal
Maltepe.
Nel settembre 85 quando fu interrogato al dibattimento del secondo
processo egli confessò di aver dato la pistola usata il 13 maggio 81 in
Piazza San Pietro. Affermò inoltre di essere stato contattato dal Servizio di
spionaggio della Germania occidentale, il BND, che gli avrebbe promesso
una somma di denaro se avesse coinvolto i Servizi bulgari e russi
nell’attentato al Papa.
A seguito dell’incidente di cui sopra il Ministro dell’Interno dovette
dimettersi e con lui diversi altri alti responsabili di quel dicastero, tra cui il
Capo della Polizia di Istanbul. Il colonnello ALPARSLAN TURKES,
secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, ebbe a dire:
“CHATLI ha cooperato nell’ambito di un Servizio segreto operante per il
bene dello Stato”. Dello stesso tono le dichiarazioni del Ministro degli
Affari Esteri: “Io non so se egli è colpevole o no, ma ricorderò sempre con
rispetto coloro che hanno combattuto a nome di questo popolo, di questa
nazione, di questo Stato”.
I Lupi Grigi, lungi dall’aver abbandonato le proprie finalità dopo la
caduta del Muro di Berlino, si sono diffusi nell’Asia turcofona ex sovietica,
confermando il loro progetto della Grande Turchia, dall’ Adriatico
attraverso il Nord dell’Iran alla Siberia, l’India e la Cina.
**************
4.3.2. Le presenze del MIT.
Una prova certa di “coperture” fruite da AGCA, dal giorno della sua
fuga dal carcere di Maltepe al giorno dell’attentato al Papa, ad opera del
servizio informativo turco
non é mai emersa dalle istruttorie. Ciò nonostante l’evasione dal
carcere di Maltepe di AGCA appare possibile -non può ritenersi altrimenti -
solo con la complicità degli apparati di sicurezza di quel paese. E
d’altronde, lo stesso AGCA, alle domande che nel tempo gli sono state
poste sul MIT ha sempre risposto evasivamente. Risposta analoga egli
forniva ai Magistrati turchi in occasione della rogatoria di giugno 1983. In
particolare nell’interrogatorio del 18.06.83, alla domanda se in relazione
all’omicidio del giornalista IPEKCI avesse intrattenuto rapporti con il
servizio turco MIT, rispondeva che “al momento non posso rispondere alla
domanda postami”, aggiungendo, ad ulteriore domanda, di non poter
rispondere “per motivi di opportunità”.
Dagli atti del SISMI si rileva che su richiesta del Servizio turco si era
svolto in Ankara, in data 28 settembre 1981, un incontro tra una
delegazione del Sismi rappresentata dal tenente colonnello SAITTA della
2ADivisione e dal Maggiore PETRUCCELLI della 1A Divisione, con due
delegazioni turche, la prima dello Stato Maggiore, capeggiata dal gen.
KENAN GUVEN, Capo Sezione Controspionaggio, nell’ occasione
affiancato da un non meglio funzionario di polizia che aveva partecipato, a
Roma, agli interrogatori di AGCA, la seconda, del Servizio Informazioni
MIT, capeggiata dal sig. GENZIG, Vice Capo Divisione Ricerca e
responsabile del settore terrorismo. La sintesi dei colloqui veniva trasfusa
in un appunto per il Direttore datato 02 ottobre 1981 in cui veniva
evidenziato, tra l’altro, che la delegazione militare era favorevole alla tesi
del complotto internazionale, mentre quella del MIT tendeva a sottolineare
“l’inesistenza di elementi concreti per sostenere la tesi del complotto
internazionale”. Al punto “2” dell’appunto si legge: “A conclusione degli
incontri si é riportata l’impressione che i turchi, indipendentemente da
quanto realmente sanno, siano preoccupati a mantenere il proprio Paese
estraneo alla vicenda e a non assumersi la responsabilità di chiamare in
causa altri Paesi
Sempre dagli atti del SISMI si rileva altra interessante vicenda di
rilievo. Il 5 maggio 1982 il SISMI avanzava richiesta al Ministero di Grazia
e Giustizia - all’attenzione del Direttore degli Istituti di Pena, Dr. SISTI che
era stato preventivamente contattato, su richiesta dello stesso SISMI, dal
gen. RISI - al fine di ottenere l’autorizzazione ad altro incontro in carcere
con il detenuto AGCA con proprio funzionario ed alla presenza di un
cittadino turco in qualità di consulente collaboratore. La richiesta di
colloquio traeva origine da un’ulteriore richiesta di colloquio con AGCA
avanzata dal Direttore del servizio turco, di cui é cenno in un appunto del
28.04.1982. In un successivo appunto datato 13.05.1982 veniva precisato
che l’Ufficio III del Ministero di Grazia e Giustizia aveva comunicato
l’autorizzazione del Ministro al colloquio a condizione che venissero
comunicati i nominativi dei due elementi (o eventuali nomi di copertura), il
giorno e la durata dei colloqui.
Con missiva del 18 giugno 82 il SISMI forniva al Ministro di Grazia e
Giustizia gli elementi richiesti fornendo il nominativo del funzionario del
SISMI - CELLINI Pietro, nome di copertura del Maggiore PETRUCCELLI
- e dei funzionari turchi, CUNEYT UTKU, nella qualità di consulente
collaboratore e JNSAN DOGANER, nella qualità di interprete precisando
che l’incontro sarebbe avvenuto il 22 giugno 1982.
Da un ulteriore appunto datato 28.6.82 si rileva che il 21.06.82, cioé il
giorno precedente al programmato incontro, il Dottor FALCONE del
Ministero di Grazia e Giustizia concedeva l’autorizzazione ufficiale
all’incontro, ritenendo pero’ l’opportunità che del contatto venisse
informato il Giudice Istruttore che, interpellato nella medesima giornata, si
dichiarava “assolutamente contrario all’incontro”, in quanto era riuscito a
stabilire un proficuo rapporto con AGCA, il quale stava collaborando, e che
pertanto l’incontro con i funzionari turchi avrebbe potuto indisporre
l’AGCA e far cessare la sua collaborazione pregiudicando l’esito
dell’inchiesta. Il giorno successivo - si legge sempre nell’appunto - veniva
ulteriormente contattato il Giudice Istruttore allo scopo di esaminare la
possibilità di incontrare i due funzionari turchi giunti a Roma, richiesta che
veniva giudicata dal G.I. inopportuna. Sempre nella giornata del 22 giugno
conclude l’appunto, venivano informati i due funzionari turchi, che
precisavano di avere richiesto il colloquio “per conoscere gli sviluppi
dell’inchiesta e, attraverso un interrogatorio condotto su argomenti più
vasti, cercare di ottenere dal medesimo, sia pure inconsciamente, notizie sul
terrorismo internazionale con particolare riferimento agli aspetti di
sicurezza della Turchia”.
Non può sfuggire all’attenzione il fatto che la richiesta del servizio
turco di colloquio con AGCA coincide con la decisione del detenuto di
rendere testimonianza sui retroscena dell’episodio delittuoso di cui si era
reso responsabile quel pomeriggio del 13 maggio 1981. AGCA - com’è
noto - iniziava a rendere le sue deposizioni a questo Ufficio il 1° maggio
del 1982. Si ritiene peraltro “singolare” che il SISMI si sia rivolto al
Ministero di Grazia e Giustizia e non, come era invece accaduto per il
colloquio del 29 dicembre 1981, al Giudice Istruttore.
Infine, sempre dagli atti del SISMI si rileva un appunto datato
20.09.82, in cui veniva evidenziato che, alle varie richieste da parte del
SISMI, il Servizio turco aveva fatto pervenire scarsi elementi di risposta.
Altro elemento che va evidenziato sul MIT emerge dalla nota missiva
rinvenuta presso l’appartamento di Amsterdam del turco HAYRETTIN
DOGAN, persona che era stata vista insieme al connazionale SULEYMAN
CIMEN prima che quest’ultimo venisse ucciso il 22 ottobre 1993. La
missiva a firma “SADI”, missiva di cui s’è parlato nella parte prima a
proposito di detto omicidio.
Altra circostanza in cui emerge un elemento del MIT èl’espletamento
di una rogatoria turca presso l’A.G. francese per l’identificazione del
sedicente ATES BEDRI da parte di TEKGUL EKREM. In questa
occasione, come s’è detto sempre nella parte relativa all’omicidio di
SULEYMAN CIMEN, èpresente un personaggio del Servizio turco.
______________________-
Capitolo quarto
I Servizi bulgari
4.4.1. La vicenda KARADZHOV.
Nel 91 a seguito dei profondi cambiamenti che si erano verificati nei
Paesi dell’Europa Orientale a regime comunista per effetto della caduta del
N’luro di Berlino, anche nella presente istruzione furono prese iniziative
nei confronti di quegli Stati, in primo luogo verso la Bulgaria , di cui nella
precedente inchiesta erano stati accusati funzionari e istituzioni.
La prima iniziativa fu la Commissione rogatoria dell’aprile, che prese
le mosse da notizie televisive e radiofoniche, secondo cui le Autorità della
detta Repubblica, prima tra le altre il Capo dello Stato, avrebbero dichiarato
che gli Archivi Statali, nelle parti relative all’attentato al Sommo Pontefice,
sarebbero stati resi pubblici e messi anche a disposizione degli studiosi.
Questa A.G. pertanto s’indusse a richiedere alle competenti Autorità
giudiziarie di Bulgaria: l’acquisizione di ogni documentazione concernente
l’attentato in questione, anche presso gli Archivi dei Servizi d’Informazione
e di Sicurezza, stante l’assenta cessazione dei vincoli di segretezza, l’esame
di tutti coloro che fossero stati a conoscenza di elementi e circostanze utili
alla ricostruzione del fatto e alla identificazione degli autori. (v.
Commissione Rogatoria AG. Bulgara 10.04.91)
La seconda iniziativa prese le mosse, nel giugno successivo a seguito
di nuove notizie apparse sulla stampa, in particolare l’articolo apparso il 3
di quel mese sul quotidiano “Il Giorno” dal titolo “Come ho armato la
mano di AGCA”, secondo cui l’ex Capo del Comitato per la Sicurezza
Statale
(D.S.) di Bulgaria, Kostantin KARADZHOV, aveva reso dichiarazioni
concernenti l’attentato al Sommo Pontefice.
Di conseguenza veniva immediatamente formulata Commissione
Rogatoria, con la quale si richiedeva alle Autorità Bulgare di interrogare:
predetto Kostantin KARADZHOV, il giornalista Rusman HINKOV,
fondatore del settimanale “Satellité Express” che avrebbe ricevuto un nastro
magnetico, con la registrazione delle dichiarazioni del KARADZHOV, il
colonnello Ivan MARINOV alis Ivan STANKOV, già appartenente al detto
Servizio D.S.; Rositza KRUPE VA, membro dell’esecutivo del Sindacato dei
giornalisti democratici; Ventislav TSOLOV del “Movimento di iniziativa
civica” tutte persone a conoscenza di fatti d’utilità per l’inchiesta. Si
richiedeva infine di acquisire il nastro magnetico con le dichiarazioni di
KARADZHOV.
Questi in particolare, secondo il quotidiano milanese avrebbe accusato
esplicitamente il KGB di essere stato il mandante dell’uccisione del “Papa di
Roma”. Egli, che nell’80 era stato designato dalla Segreteria del Comitato
Centrale del Partito Comunista Bulgaro alle cariche di Primo Vice Ministro
dell’Interno e capo del D.S., appariva, secondo l’articolo, come l’unica
persona in possesso di tutte le carte in grado di svelare i misteri dell’attentato.
Arrestato per corruzione e abuso di potere, KARAZDHOV temeva per
la sua vita, già soffrendo di una grave forma di diabete e paventava che i
carcerieri potessero simulare con grande facilità una morte per malattia,
interrompendo la somministrazione dell’insulina. La moglie Elitza come
riferito da “Podkrepa” settimanale dell’omonimo sindacato, che in Bulgaria si
muoveva come Solidarnosc in Polonia e cioè con finalità di forte antagonismo
al regime comunista, si appellava alla solidarietà internazionale ed aveva,
nello stesso tempo, trasmesso ai dirigenti del rinnovato Partito Comunista una
lettera cifrata, in cui elencava una lunga serie di fatti compromettenti sulle
relazioni avute dal marito quando era uno dei membri più autorevoli della
nomenklatura di Sofia.
Il rapporto di KARADZHOV sarebbe stato realizzato con l’aiuto del
suo uomo di fiducia e cioè il detto colonnello Ivan MARINOV, già all’epoca
riciclato nel nuovo Servizio di Sicurezza, l’N.S.B. succedeva al D.S. . Tra i
due sarebbero esistiti rapporti sia da quando KARADZHOV nell’80 avrebbe
avuto il delicato incarico di “occuparsi esclusivamente del Papa”. STANKOV,
cioè MARINOV, avrebbe poi guidato
secondo i detti Rositza KRUPEVA e Ventislav TSOLOZ, gli uomini
incaricati di seguire il caso ANTONOV, il caso KARADZHOV nonchè tutte
le vicende connesse al coinvolgimento della Bulgaria nell’attentato a
Giovanni Paolo
110.
Prima dell’esecuzione della rogatoria il Ministero dell’Interno bulgaro
comunicava che Konstantin PETROV KARADZOV era stato Presidente del
Consiglio Comunale del 30 Distretto Comunale di Sofia; non era mai stato
impiegato presso il Ministero dell’Interno e pertanto non era mai potuto
divenire Capo di alcun Dipartimento del precedente Servizio per la Sicurezza
dello Stato. Era stato condannato a 12 anni di detenzione nel 1983 per
corruzione, aveva scontato la condanna nelle carceri di Sofia e di Stara
Zagora; era stato scarcerato il 9 febbraio del 90. I 19 volumi degli atti
processuali relativi al suo caso erano nell’archivio del Tribunale di Sofia. I
fatti pubblicati non erano veri, provenivano dalla pubblicazione “La Piovra 5”
di Podkrepa ,. e miravano a screditare il Ministero dell’Interno e la
Repubblica bulgara. (v. nota Ministero dell’Interno di Bulgaria, Sofia
04.06.91).
In corso di esecuzione della Rogatoria a Sofia nella terza decade di
quel giugno venivano consegnate dal Generale KATSAMOLLMISKI copie
degli esami testimoniali di seguito elencati, compiuti tra il 17 e il 27 di
giugno, autonomamente dalle Autorità bulgare. In esecuzione della
rogatoria furono interrogati: 1.Rumjan Stefanov CHINKOV; 2. Todar
MILKOV MICHAJLOV; 3. MARINOV PETROV KARADZHOV; 4. Ivan
MARINOV STANKOV; 5. Rositza GEORGIEVA KRUPEVA; 6.
Vencislav PETROV COLOV. Furono compiuti confronti tra:
1. Konstantin PETROV KARADZHOV e Todar MILKOV MICAJLOV; 2.
Ivan MARINOV STANKOV e Konstantin KARADZHOV. (v. verbale di
consegna KATSAMOLLMISKI 28.06.91)
AGCA, venuto a conoscenza delle notizie emerse sui media,
immediatamente dichiarava in quella stessa prima decade giugno alla
stampa, di non aver mai conosciuto Konstantin KARADZHOV, nè di aver
mai visto in faccia alcun altro dei bulgari menzionati nelle rivelazioni della
stampa. Definisce ridicole le insinuazioni secondo le quali la CIA sarebbe
intervenuta per convincerlo a colpire il Pontefice in modo da salvargli la
vita. Al tempo dirigeva quel Servizio William CASEY cattolico
conservatore e cristiano anticomunista. Ribadisce che la decisione
dell’attentato era stata presa da YURI ANDROPOV, che aveva previsto
cosa sarebbe accaduto nei Paesi dell’Est con l’avvento di un Papa polacco
amico di Solidarnosc. Conferma di aver sparato per uccidere, ma sottolinea
anche che la verità non si saprà mai.
Queste le dichiarazioni di KARADZHOV -~. Egli aveva iniziato la
sua attività in una fabbrica per la produzione di
apparecchiature elettriche. Durante questo periodo di lavoro cominciò a
studiare economia per corrispondenza e fu eletto dirigente nel Komsomol di
fabbrica. Di seguito fu eletto Segretario del Komsomol del 30 rione . In tale
funzione rimase, per decisione della Direzione del Partito sino all’83,
dopodichè fu nominato direttore del complesso industriale “Birra di Sofia”
Dopo quattro mesi fu arrestato.
Quanto a una sua destinazione nei “gradi di riserva” e a una decisione di
nomina al posto di primo sostituto Ministro al Ministero degli Affari Interni,
egli così chiaramente risponde:
“Un anno, un anno e mezzo dopo la mia elezione, nell’autunno del 1982 circolò
una notizia ufficiosa, che in relazione alla selezione dei quadri, che stava
facendo il Comitato Centrale del partito, il sindaco del terzo rione era destinato
ad una attività del genere, ma in relazione a ciò esistevano tre possibilità -
dirigente del partito nel M.V.R.; nel campo dei quadri; nella stessa sicurezza di
Stato. Queste erano voci, informazioni, che provenivano da questi organi
dirigenti, ma nessuno mi ha chiamato e mi ha interpellato”. Esclude
pertanto che vi sia mai stato alcunchè di ufficiale al riguardo di un suo ingresso
nell’alta gerarchia del Ministero degli Affari Interni.~ Così come esclude che
egli abbia mai avuto accesso agli Archivi di quel Ministero. Quanto ai suoi
viaggi all’estero, egli afferma che in qualità di direttore aveva compiuto, anche
con la sua famiglia, in Europa Occidentale, e sia nell’ 81 a luglio che nell’ 82
era stato in Italia. Effettivamente al rientro in questo secondo viaggio in
Bulgaria il 4 settembre 82 era stato sottoposto a perquisizioni, ma non ne ha
mai scoperto la ragione.
Ha conosciuto ZHIVKOV sin dal 70 e lo ha incontrato perchè al tempo
egli era rappresentante del popoìo nel detto 30 rione e compiva delle visite
nella fabbrica ove esso
KARADZHOV lavorava. Ha conosciuto Todor N4ICHAJLOV,
precisamente nel gennaio 84 quando fu trasferito dalla sezione investigativa
del carcere al reparto detenuti, di cui egli era capo. In quel carcere esso
KARADZHOV rimase sino all’8 maggio successivo, allorchè fu trasferito
nel carcere di Starojzagorsk. Durante questa permanenza al carcere di
Sofia, egli, come tutti, aveva scambiato con altri detenuti e con
MICHAJLOV brevissimi discorsi sulle questioni d’attualità come
l’indagine e la propaganda sull’attentato a danni del Pontefice romano. Egli
aveva riferito di essere stato in Italia, di aver conosciuto personalmente
Todor AYVAZOV e di aver parlato con Sergej ANTONOV per due o tre
ore. Questi aveva suscitato interesse nel carcere ed altri detenuti gli
avevano chiesto la sua opinione. Egli aveva risposto che se quelle persone
fossero state incaricate di un’operazione come quella contro il Papa, esse
non avrebbero mai potuto compierla perché non ne erano capaci. “... ciò
che ora leggo sui giornali, in Podkrepa, è totalmente diverso,
semplicemente un’assurdità, una falsificazione.” (v. interrogatorio di
Konstantin PETROV KARADZHOV, 28.06.91).
Diverse le dichiarazioni di Todor MILKOV MICHAJLOV. Egli
innanzi tutto dice di aver come nome di copertura quello di PLAMEN,
impostogli dai Servizi Speciali Bulgari. Conferma poi di aver saputo da
KARADZHOV quello che in seguito ha registrato. La registrazione era
destinata secondo lui unicamente alla Presidenza della Repubblica e al
Servizio bulgaro per la difesa della Costituzione. S’era indotto a tanto, in
virtù dei cambiamenti avvenuti in Bulgaria ed aveva riferito a CHINKOV,
perchè aveva ritenuto a seguito di verifiche, che egli aveva un legame con
la Presidenza e che le sue informazioni sarebbero, direttamente o
indirettamente, giunte a quella sede.
Tutto quello che aveva dichiarato traeva fonte dai colloqui con
KARADZHOV, avvenuti nel carcere di Sofia nell’inverno dell’84. Su
questi colloqui aveva già a suo tempo riferito al Servizio da cui dipendeva
nella persona del Colonnello ZDRAVKOV. Subito dopo questa prima
denuncia egli fu presentato al colonnello Ivan STANKOV alias Ivan
MARINOV, che approfondì l’argomento chiedendogli ulteriori
specificazioni e dettagli. Su ordine di questo STANKOV egli continuò i
colloqui con KARADZHOV usando anche una microspia contenuta in un
posacenere, che entrava in funzione premendo una sigaretta su una
scanalatura del posacenere stesso, affidatogli per la bisogna da STANKOV.
Questo in sintesi il racconto che gli aveva fatto KARADZHOV. Egli
non era in carcere per una inchiesta su accettazioni di bustarelle, lo era per
fatti molto più gravi. Egli era stato nominato nella lista dei quadri di
riserva, preparato dal Comitato Centrale del Partito Comunista bulgaro
futuro Primo Sostituto Ministro degli Affari Interni, la carica cioè che
presiede alla attività di sicurezza dello Stato, in sostituzione dell’allora
primo Sostituto Ministro Grigori SOPROV. Il grave fatto di cui egli era
sospettato, era la sottrazione, cioè l’aver portato in Bulgaria un milione di
marchi tedeschi della somma totale di tre milioni, che Todor AJVAZOV,
suo intimo amico, doveva pagare ad AGCA per l’esecuzione dell’attentato
contro il Papa.
Chiari poi nel suo discorso, i motivi per i quali doveva essere
compiuto l’attentato così come le ragioni per cui i Servizi Speciali Bulgari
erano stati coinvolti in quella operazione. Spiegando che all’insorgere di
una situazione critica in Polonia, il Papa aveva pronunciato un discorso con
il quale ammoniva l’Unione Sovietica che, in caso di intervento armato in
Polonia, egli si sarebbe messo in viaggio a piedi “con la croce innalzata
davanti a tutta l’Europa occidentale, fino ai confini della Polonia in segno
di protesta ed avrebbe condotto al confine polacco tanti cattolici, quanti ne
fossero partiti dietro di lui”; in una parola una nuova crociata.
Chiari anche le ragioni del coinvolgimento bulgaro. I servizi di
spionaggio sovietico erano di continuo sotto la squadra dei Servizi Speciali
in Italia ed altrove. L’integrazione tra i Servizi degli Stati del Patto di
Varsavia era molto stretta. I Servizi bulgari potevano restare più in ombra
di quelli sovietici. I Lupi Grigi, cui già si pensava di affidare l’incarico,
attraversavano di frequente, per raggiungere l’Europa occidentale, la
Bulgaria. Tutte queste le ragioni che indussero ad affidare ai Servizi bulgari
l’esecuzione del progetto contro il Sommo Pontefice.
L’incarico era stato dato a Todor AJVAZOV e Zeliv VASILEV, che
dovevano direttamente dirigere le azioni di AGCA. Essi lo avevano dotato
di un’arma speciale e di proiettili esplosivi; gli avevano promesso che
avrebbe ricevuto anticipatamente come compenso tre milioni di marchi
tedeschi in contanti; gli avevano indicato il luogo dal quale avrebbe dovuto
sparare ed il luogo - quello “dal quale il colonnato della cattedrale era
visibile come una colonna” - da cui in linea retta avrebbe potuto vedere
ANTONOV, che ovviamente era in Piazza San Pietro. AJVAZOV e
VASILEV si trovavano sul tragitto lungo il quale AGCA si sarebbe dovuto
allontanare. Non aveva parlato di altri, tanto meno turchi ed ORAL CELIK
in particolare, sulla piazza.
AJVAZOV invece di consegnare i tre milioni promessi ad AGCA ,
gliene diede solo due, impegnandosi a rimettergli il terzo durante il suo
allontanamento dal territorio italiano. Questa scelta di AJVAZOV fece
sospettare ad AGCA che si fosse già progettata la sua eliminazione. Egli di
conseguenza -
secondo l’analisi dei Servizi Speciali bulgari - si sarebbe indotto a prendere
contatto con la CIA che gli avrebbe ordinato di simulare un’esecuzione
dell’attentato. AGCA, secondo KARAZDHOV, a sostegno della predetta
ricostruzione, avrebbe sostituito i proiettili consegnatigli da AJVAZOV,
che comunque sarebbero potuti essere mortali, se egli killer professionista,
in grado di uccidere in penombra un uomo a 40 metri, che ha sparato da
sette, in piena luce, intenzionalmente non avesse voluto soltanto ferire il
Papa. (v. interrogatorio MICHAJLOV, AG. Bulgara, Sofia 27.06.1991)
Dopo l’interrogatorio di KARADZHOV, il 28 successivo, i due
furono messi a confronto, ma entrambi rimasero sulle proprie posizioni ed
in tal modo l’atto non conseguì alcun effetto di progresso nell’accertamento
dei fatti. (v. confronto KARADZHOV e MICHAJLOV AG. bulgara, Sofia
28.06.91)
Le dichiarazioni di MICHAJLOV trovano invece riscontri in quelle
rese da Ivan MARINOV STANKOV, lo stesso 27 giugno di quell’anno.
STANKOV, come s’è detto, faceva parte del Servizi Segreti bulgari
già dal tempo dell’attentato ed in questa veste, egli dichiara, aveva
frequentato Todor MICHAJLOV. Questi, che aveva come nome di
copertura “PLAMEN”, svolgeva una vera e propria attività di
collaborazione con il Ministero degli Affari Interni. Quando fu arrestato
esso STANKOV spesso si era recato presso di lui per avere informazioni
sui detenuti, tra cui KARADZHOV, sul conto del quale MICHAJLOV
aveva effettivamente redatto delle relazioni scritte, pervenute al suo ufficio.
Tra queste alcune concernenti la consegna di tre milioni di marchi ad
AGCA per l’uccisione del Papa, ed anche uno
schizzo ove era riportata la posizione degli agenti bulgari in Piazza San
Pietro.
“Comunque - precisava STANKOV - le informazioni avute da
PLAMEN contenevano molte cose che non potevano rispondere alla verità,
che erano inventate”. Infatti dall’analisi dei dati forniti da PLAMEN e dalle
verifiche compiute si era accertato che KARADZHOV non aveva la
possibilità materiale di essere incaricato di quel compito, nè quella di
partecipare all’attentato. Il caso così fu chiuso ed egli interruppe ogni
rapporto di collaborazione con PLAMEN.
Sul valore di tali dichiarazioni deve considerarsi il giudizio del P.M..
Esse non appaiono convincenti, perchè provengono da persona che già
all’epoca dell’attentato faceva parte del Servizio bulgaro, che intende
screditare il suo collaboratore MICHAJLOV al fine di allontanare ogni
sospetto sull’operato di quei Servizi, di cui egli continuava a far parte.
Sempre le Autorità bulgare in quel tempo trasmettevano le prove
raccolte riguardanti il soggiorno di loghinder SINGH a Sofia nel periodo tra
le 03.30 del 23.07.80 e le 23.30 del 30.08.80.
Il sedicente loghinder SINGH pernottò in quel periodo nei seguenti
alberghi della capitale bulgara: 1.Grand Hotel Sofia fino al 31.07; 2. Park
Hotel Moskva fino al 14.08; 3. Novotel “Europa” fino al 21.08; 4. Grand
Hotel “Balkan” fino al 30.08. Per il pagamento egli dà sette voucher
rilasciati dalla Balkantourist di Sofia.
Secondo la teste Galina RADEVA GAIDAROVA in quel periodo
esisteva la prassi di inviare turisti provenienti dall’India e da altri Paesi del
Terzo Mondo nei campeggi, per la maggior parte dei casi presso il camping
“Vranija”. SINGH nonostante richiedesse insistentemente che fosse apposta
nei voucher la dizione “in campeggio, tenda” al fine, con ogni
probabilità, di pagare una tassa inferiore, per soggiorno, si stabiliva poi in
albergo, pagando la differenza tra voucher e spesa di albergo in contanti. Le
due testimoni, cioè l’impiegata della Balkantourist, la GAIDAROVA e la
collega Ekaterina VASSILEVA PAVLOVA, erano rimaste impressionate
dal fatto che il SINGH pagasse sempre in marchi giacché raramente gli
indiani usavano la moneta tedesca, bensì dollari e travelì -chèques.
La perizia effettuata dall’istruttore bulgaro sulle “firme del cliente”
apposte su voucher aveva stabilito : 1. che le cinque firme erano state stilate
dalla medesima persona; 2. che le firme in questione non rappresentavano
la firma abituale di colui che le aveva scritte; 3. che esistevano delle
“coincidenze importanti” tra le firme di AGCA e quelle sui voucher e il
borderò. (v. nota Gruppo Istruttorio di Sofia del 26.11.91)
Tra i tanti articoli di stampa di quel periodo apparsi sulla stampa
bulgara, la maggior parte dei quali tesi a scagionare le istituzioni della
Bulgaria, uno in particolare - inviato al New York Times - sosteneva una
tesi con carattere di novità. Il
giornalista asseriva, oltre la totale estraneità dei Sevizi Segreti bulgari,
sovietici e rumeni, che la sola implicazione bulgara poteva essere vista nel
rifiuto da parte di quella Autorità di consegnare BEKIR CELENK alle
Autorità italiane, atteggiamento spiegato con timore del governo bulgaro
che fossero venuti alla luce i suoi legami con mafia e l’appoggio fornito a
terroristi e contrabbandieri turchi. Secondo AKIN, il giornalista redattore
dell’articolo, il testimone chiave della vicenda avrebbe potuto essere Herny
ASLANIYAN coinvolto nello scandalo della mafia ed assassinato in
prigione prima che potesse fare alcuna rivelazione. ASLANIYAN sarebbe
stato l’anello di collegamento tra l’organizzazione terroristica
armena “Asala” e la Mafia, e tra Mafia turca e la Bulgaria. Poichè nel periodo
in cui era stato commesso l’attentato la Banca Vaticana, tentava di riciclare
danaro appartenente a Mafia ed alla “Asala”, e contemporaneamente Papa
Giovanni Paolo 110 voleva far luce su tale circostanza, Mafia ed “Asala”
decisero la sua eliminazione, ricorrendo ad ALI’ AGCA. (v. nota Ministero
Affari Esteri D.G.E.A.S. Ufficio IX, 02.08.91)
***********
4.4.2 La vicenda GULLINO
Altra vicenda che dimostra interessamenti e conoscenze da parte di
Servizi è quella riferita da INVERNIZZI Gianfranco, cittadino italiano, su
attività di un suo conoscente, certo GULLINO Francesco, cittadino danese di
origine italiana; in particolare interrogatori dello stesso da parte del Servizio
di informazioni danese PET, dello Scotland Yard britannico e del Servizio
bulgaro - siamo nel 93 e quindi dopo la caduta del muro di Berlino ed anche
questo Servizio dovrebbe essere quello riformato a seguito di quegli eventi -;
interrogatori confermati da organi di stampa danesi e da atti della difesa di
GULLINO.
Costui, pur di formazione e di simpatie di destra, avrebbe militato al
soldo del Servizio Segreto bulgaro, dal quale avrebbe avuto il nome di
copertura “Piccadilly” emolumenti vari, documenti falsi e ovviamente
incarichi.
Tutte queste circostanze gli sarebbero state contestate in interrogatori
condotti in prima battuta dal solo Servizio danese e quindi congiuntamente dai
danesi, dagli inglesi e dai bulgari.
Il PET avrebbe contestato al GULLINO anche il reato previsto dagli artt.
107 e 108 del codice danese e cioè lo spionaggio.
GULLINO comunque era stato interrogato sugli attentati a danni
degli invisi al regime KOSTOV e MARKOV, commessi rispettivamente
nel settembre 78 a Londra e nell’agosto 77 a Parigi, e attribuiti al Servizio
bulgaro. Questi due attentati, specialmente nelle contestazioni compiute
dagli inglesi, avrebbero avuto un collegamento con l’attentato al Papa.
INVERNIZZI, dal senso del racconto del GULLINO, aveva desunto
che gli inglesi collegavano l’attentato al Papa con l’attività dei Servizi
bulgari.
GULLINO aveva rigettato, nei predetti interrogatori, ogni accusa,
ammettendo solo di aver vissuto per un certo periodo di tempo in Bulgaria.
Queste notizie hanno generato rogatorie verso la Gran Bretagna e la
Danimarca. (v. Commissioni rogatorie alle Autorità Giudiziarie di Gran
Bretagna e di Danimarca rispettivamente in data 30.12.93 e 09.12.93).
Quest’ultima non da’ risposta. La prima ha così risposto : “ l’indagine su
GULLINO e le sue attività sono giunte ad un punto particolarmente
delicato, specialmente riguardo ai complessi rapporti tra la Polizia inglese
ed i bulgari; dato che ci può essere un processo probatorio, il funzionario
inquirente intende evitare di rilasciare qualsiasi informazione
particolareggiata sull’inchiesta o di fare qualsiasi commento sui documenti
che possono o non possono essere diffusi; comunque ha fatto una serie di
osservazioni che spera possano essere d’aiuto, tenendo conto delle pressioni
a livello diplomatico e giudiziario che pesano su di lui: 1) GULLINO ha
rinnegato molto fermamente qualunque tipo di associazione con il Servizio
di Sicurezza bulgaro; 2) non c’è apparentemente nessuna prova, o sospetto
per collegare l’inchiesta di Londra con quella italiana
sull’attentato indicato in oggetto nè c’è alcun sospetto o prova evidente, per
quanto il funzionario inquirente possa dedurne, per collegare GULLINO
all’indagine svolta in Italia.
Il funzionario inglese che segue l’inchiesta ha precisato che
qualunque tipo di pubblicità riguardo ai contatti che le Autorità italiane
hanno con la polizia britannica sarebbe molto negativa per le indagini.
Il responsabile del Servizio Investigativo- della Sezione
Antiterrorismo, quindi, ha precisato di autorizzare la trasmissione del
messaggio a questo Ufficio per facilitare lo svolgimento dell’indagine, a
condizione che non venga usato come prova, nel corso del processo, e non
sia comunicato alla stampa. (v. nota n.224/B277/Div.3A (01) D.C.P.P. alla
Questura di Roma del 13.01.1994).
************
4.4.3. La vicenda di BERTO Luigi.
Il 15 febbraio 86 l’Arma dei CC trasmetteva copia di una lettera
dattiloscritta diretta al Console Generale d’Italia a Bengasi, pervenuta da
fonte da cautelare, riferendo che “il firmatario dovrebbe identificarsi in
Berto Luigi, nato a 5. Donà del Piave (VE) il 12.6.1946, impresario edile,
già colpito da ordine di cattura per associazione per delinquere e truffa
continuata nel contesto di reclutamento di manodopera siciliana per la Libia
e da tempo detenuto in Bengasi per emissione di assegni a vuoto”.
L’estensore della missiva segnalava - come già aveva accennato al
Sig. Salonia , in occasione della sua visita del
05.12.85 - di aver conosciuto nel novembre 1982, a Tripoli -località ove si
trovava “su richiesta del suo ex dipendente Sig. Giovanni RENZI stavo
seguendo un traccia su certi personaggi italiani che pareva soggiornassero
in questo paese” - un certo ingegnere TRAYKOV, di nazionalità bulgara,
con il quale condivideva dal maggio di quell’armo la stessa cella in quanto
anchegli detenuto.
Ditale TRAYAKOV, continua la lettera, già dalle prime settimane
“che abitavamo insieme, mi insospettì del fatto che ogni sera, dopo che
avevo ascoltato il giornale radio, mi chiedeva che gli spiegassi se c era
qualche novità del processo ANTONOV, per l’attentato al Papa, e così
cominciai ad avere delle discussioni amichevoli con lui sulla faccenda e
varie volte notai che cominciava qualche discorso e poi deviava
scherzando. Ricordo bene che una volta mi disse che l’attentato era per
WALESA e che poi è stato deviato per il Papa. Così sul momento non gli
credetti, ma da come stanno andando le cose sembra che abbia ragione lui.
Quello che lo ha fatto decidere penso siano gli eventi che lo riguardano e
che sono successi nel mese di Novembre, cioé lui ha inviato tramite amici
una lettera alla sua ambasciata reclamando che nonostante il suo silenzio
agli interrogatori in Tripoli sui traffici della moglie e di un gruppo della
Balkan Air (lui lo ha saputo dopo)e su altre questioni della massima
importanza e dopo 3 mesi di cella di rigore lui non parlò perciò si aspettava
un certo trattamento dalla sua ambasciata invece lo hanno dimenticato sino
all ‘ arrivo della sua detta lettera, dopo il quale si sono interessati ma non
ufficialmente solo tramite persone ‘‘varie’’ (fidate) per farlo rimpatriare, lui
a questo punto ha cominciato a temere per la sua vita e mi ha messo al
corrente di varie cose che se sono
vere potrebbero chiarire molti lati oscuri sulla vicenda ANTONOV.
Mi ha rivelato di avere avuto una relazione con una hostess della
Balkan Air di nome Ludmilla RAUGNANSKA la quale in un momento di
sconforto gli rivelò che consegnò vari pacchi di materiale (proibito) ad
ANTONOV, allora numero due a Roma. Questo materiale lo aveva ritirato
lei stessa nella Regione di Carlovo, 120 Km da Sofia, in una azienda o
fattoria (Zavat vanaize) nei primi mesi del 1981 e disse che era per
sistemare “WALESA” . Quando seppe che l’obiettivo era stato il Papa ebbe
come una crisi di rimorso, ma qualcuno se ne accorse e la spostarono sugli
aerei di linea solo nei Paesi dell’Est. Nel mese di aprile o maggio del 1982
sparì e l’ingegnere TRAYKOV seppe dal suo amico Generale VASCO
VASSILIEV che era stata giustiziata nonostante fosse in avanzato stato di
gravidanza. Ora con la lettera che l’Ingegnere TRAYKOV ha inviato alla
sua Ambasciata ammettendo di sapere molto cose e di aver taciuto, si é
condannato da solo, se ne é reso conto lui stesso e mi ha chiesto di mettermi
in contatto con le Autorità italiane perché vuole chiedere asilo ed é pronto a
testimoniare su quanto suddetto. Chiede solo di fare presto e con la
massima prudenza. Lui non vuole rientrare in Bulgaria, chiede in cambio di
poter lavorare e vivere libero in un paese libero.”
La missiva concludeva con la richiesta “Fateci sapere se interessati a
quanto suddetto - ma con prudenza - e la massima celerità”.
La Polizia di Frontiera di Fiumicino - delegata dal G.I. di accertare se
la cittadina bulgara LUDMILLA RAUGNANSKA avesse fatto parte tra il
1979 ed il 1982 in qualità di hostess dell’equipaggio della Balkan Air -
riferiva, con messaggio del 03.03.86, che “nulla rinvienesi in atti”.
Nel frattempo veniva sentito il Console Generale a Bengasi,
RUSTICO Natale, il quale si limitava a riferire che tra il 22 e 23 febbraio
u.s. in mezzo ad altra documentazione del suo studio, aveva rinvenuto la
lettera che esibiva in fotocopia, precisando che BERTO Luigi gli risultava
detenuto dalla fine del 1983 o primi del 1984 presso le carceri di KUEFIA-
Bengasi, in quanto condannato per emissione di assegni a vuoto.
Si riservava di fornire ogni ulteriore utile elemento ai fini di giustizia
in ordine al contenuto della lettera in questione.
Il 5maggio 1986 l’Arma dei Carabinieri comunicava che:
BERTO Luigi, nato a San Donà del Piave (VE) il 12 giugno 1946,
impresario edile, emigrato per Milano nell’armo 1977, titolare di società di
costruzioni con sede in Milano e cantieri in Libia, era persona:
- considerata solitamente non attendibile;
- colpita da ordine di cattura dell’A.G. di Palermo in data 5.2.1978 per
“associazione per delinquere aggravata e truffa aggravata continuata” nel
contesto del reclutamento di mano d’opera per la Libia;
- detenuta dal 1984 nel carcere di EL KUEFIA di Bengasi per emissione di
assegni a vuoto.
SALONIA Giuseppe esplicava le mansioni di assistente commerciale
presso il Consolato Generale D’Italia in Bengasi dal 6.5.1982.
RENSI (non RENZI) Giovanni, era nato il 27 marzo 1936, e residente nel
Comune di Camisano Vicentino (VI), via Boschi n° 25.
LUDMILLA RAUGNANSCA, non risultava:
- aver prestato servizio presso la “BALKAN AIR” di Roma ed
aver mai ottenuto il visto d’ingresso per l’Italia;
- essere stata oggetto d’interesse da parte della stampa bulgara.
L’Avvocato BORIS COINAICOV, si sarebbe potuto identificare in tale
ILIEV CIONAICOV, già rappresentante legale dell’Ambasciata d’Italia a
Sofia, deceduto tre anni fa.
Non erano stati acquisiti elementi utili:
- a determinare il grado di attendibilità delle affermazioni del
BERTO;
- atti alla identificazione degli altri soggetti indicati nella missiva.”
Nella circostanza veniva tra l’altro riferito che:
all’Ambasciata d’Italia a Sofia sarebbero giunte tre lettere anonime in una
delle quali sarebbe stato asserito che ALI’ AGCA, nel periodo del suo
soggiorno a Sofia, avrebbe frequentato la stanza ove alloggiava la moglie di
Serghey ANTONOV, della quale sarebbe stato l’amante.
Infine, veniva evidenziato che “la vicenda di cui sopra presenta analogie
con quella relativa al detenuto italiano in Libia, Luigi BERTO, segnalata al
precedente punto;
In entrambi i casi le notizie sono di difficile se non impossibile verifica,
in quanto i fatti esposti si sono svolti in Bulgaria e provengono da cittadini
di quel Paese che, verosimilmente, potrebbero aver agito a scopo
informativo, su sollecitazione di quelle Autorità, nel momento in cui in
Italia si
stava celebrando il processo contro gli attentatori del Sommo Pontefice.
La manovra, peraltro non medita, potrebbe essere rivolta a:
- provocare ulteriori accertamenti giudiziari nel processo che ha avuto
luogo a Roma (che avrebbero potuto risolversi senza l’acquisizione di
elementi probanti) al fine di evidenziare l’artificiosità della tesi sostenuta
dall’accusa;
- sostenere, in subordine, l’alimentazione della pista bulgara ad opera dei
Servizi Segreti Italiani”.
La vicenda della missiva di BERTO veniva, invece, seguita con
particolare attenzione dal SISMI che aveva ricevuto in copia la missiva di
BERTO, attraverso canali propri del Servizio, come si rileva dalla
documentazione concernente l’attentato al Papa acquisita presso detto
Servizio.
Infatti, all’atto 1 del volume 141-5/6 della lADivisione all’oggetto
“attentato al Sommo Pontefice” si rinviene una cartella intestata a “LUIGI
BERTO”. La vicenda traeva origine dalla trasmissione di un messaggio
della 2A Divisione alla lADivisione datato 23 dicembre 1985, contenente il
testo della lettera di BERTO. Nel messaggio veniva precisato che
“l’originale della lettera, in assenza del Console , si trova in busta originale
e sigillata presso il Consolato Italiano in Bengasi” e che “fotocopia della
lettera é stata fornita alle fonti indicate da Suor Gemma Mancini,
insegnante presso le Scuole Medie in Bengasi, che l’avrebbe ricevuta nel
corso di una visita al connazionale BERTO Giovanni. Il signor Giovanni
RENZI menzionato nella lettera é il predecessore di LOlA nell’attuale
incarico”. Alla fine del messaggio il Capo Centro del SISMI conclude
precisando che “Capo Missione e Console Italiano a Bengasi non
informati”. Relativamente alla attendibilità delle
fonti 3155 e 3150, dalle quali verosimilmente proveniva la notizia, veniva
attribuita la categoria “6”.
La 2A Divisione con missiva del 24 dicembre 1985 trasmetteva alla
lADivisione copia della missiva di BERTO acquisita in data 18.12.1985
dalle fonti 3155 e 3150, la cui attendibilità veniva indicata, questa volta,
con la categoria “2”.
Con missiva del 10 gennaio 1986 veniva trasmesso agli organi di
P.G. un appunto in cui veniva trascritto il contenuto della lettera di
BERTO, precisando che i cittadini bulgari citati nella lettera non erano noti
al Servizio ma omettendo di riferire che RENZI Giovanni, citato nella
lettera, era l’operatore del SISMI a Bengasi, così come, invece, si rilevava
in una nota interna al SISMI.
Gli organi di P.G., preso atto di quanto comunicato dal Servizio,
richiedevano al SISMI l’opportunità di declassificare l’appunto al fine di
trasmetterlo alla Magistratura. La lADivisione del SISMI con appunti del
27.01.1986 e 06.02.1986 diretti all’attenzione del Capo reparto del SISMI -
struttura che aveva il compito di coordinare le Divisioni Operative - “in
considerazione che il documento in questione veniva detenuto in originale
dalle Autorità diplomatiche italiane in Libia e che dalle medesime sarà stato
certamente inoltrato agli organi inquirenti nazionali, nonché al fine di
cautelare la fonte” propone di non aderire alle richieste della P.G. e di
trasmettere la copia della missiva originale acquisita tramite la 2A
Divisione. Con l’occasione veniva evidenziato al Capo Reparto che il
nominativo di Giovanni RENZI corrispondeva ad un elemento della
2ADivisione. Pertanto veniva trasmessa soltanto
la copia della lettera di BERTO, riservandosi di fornire elementi relativi
alla attendibilità del soggetto.
La 2^ Divisione del SISMI, con messaggio del 10 febbraio 1986, a
richiesta della ~A Divisione, correggeva la valutazione della notizia
espressa sul foglio del 24 dicembre 1985 che doveva essere indicata in 6.
Relativamente al BERTO segnalava che si trovava “in carcere per
emissione di assegni a vuoto, viene definito elemento che vive di
espedienti, non gode della stima dell’ambiente, ha precedenti non proprio
cpistallini. E’ necessario però considerare che la pena che gli rimane da
scontare é minima e quindi non sussistono motivi per cui potrebbe trarre
vantaggio dalla vicenda. Egli può essere definito “di solito non attendibile”.
L’Arma dei CC con fono del 25 febbraio 1986 comunicava al SISMI
che il Procuratore della Repubblica aveva richiesto l’attendibilità delle
notizie riferite dal BERTO precisando che le missiva di BERTO, non era
mai pervenuta all’A.G. e chiedendo accertamenti sui cittadini bulgari e
italiani citati nella lettera.
Il 10 marzo 1986 il SISMI trasmetteva ai Carabinieri un appunto in
cui venivano riferite le informazioni sul conto di BERTO e dei nominativi
italiani citati nella lettera. Riguardo al RENZI, questa volta, veniva indicato
come “già dipendente del Servizio”. Veniva anche precisato che la cittadina
LUDMILLA RAUGNANSCA non risultava avere prestato servizio presso
la Balkan Air di Roma e che “in ogni caso non sembra possa escludersi una
manovra a carattere disinformativo insita nella vicenda, trattandosi di
notizie di difficile verifica, proveniente da cittadino bulgaro, probabilmente
ispirato da quelle Autorità
al precipuo scopo di evidenziare l’infondatezza della cosiddetta “pista
bulgara””.
Tale analisi appare già di per sè contraddittoria in quanto BERTO
riferisce notizie concernenti un aspetto della vicenda, in cui non viene
esclusa la responsabilità dei bulgari, ma al contrario viene denunciata.
Il 14 marzo 1986 venivano riferite dal SISMI all’Arma dei CC ed
alla Polizia le notizie sul conto dei cittadini bulgari citati nella missiva di
BERTO. In particolare sul conto della RAUGNANSCA si riferiva che “non
risulta avere mai ottenuto il visto di ingresso per l’Italia; del suo caso non si
sarebbe mai interessata la stampa bulgara”. L’Avv. Boris CIONAICOV
potrebbe identificarsi in tale Iliev COINAICOV già rappresentante legale
dell’ Ambasciata d ‘Italia a Sofia, deceduto tre anni prima. Sul conto dei
rimanenti nominativi non venivano acquisiti utili elementi alla loro
identificazione.
Infine con messaggio del 20 marzo 1986 veniva comunicato
all’Arma dei CC che non era possibile declassificare le notizie di cui ai
fogli del 10 e 14 marzo 1986, in quanto “acquisite fiduciariamente corso
svolgimento attività informativa questo Servizio”.
Sempre dalla documentazione del SISMI si rilevava che nell’aprile
dello stesso anno, cioé il 1986, un’altra vicenda veniva ad mnnestarsi con il
caso della lettera di BERTO. La 2ADivisione con missiva dell’li aprile
1986 informava che nella notte a Bengasi erano stati fermati il Vescovo di
Tripoli, Giovanni MARTINELLI e cinque religiosi, tra cui Suor Gemma. Il
fermo, secondo quanto si era appreso dalla Madre Superiore delle Suore
Cattoliche di Bengasi, era da mettere in relazione
alla lettera scritta da BERTO Luigi e pubblicata da “La Stampa” di Torino
nel mese di febbraio. Nel messaggio veniva inoltre precisato che BERTO
sarebbe stato interrogato da un non meglio precisato Direttore delle carceri
libiche giunto appositamente da Tripoli.
Con messaggio del 17 aprile successivo la 2A Divisione riferiva alla
lADivisione che il Console Italiano a Bengasi si era incontrato con il
Vescovo MARTINELLI, che gli aveva confermato di essere stato arrestato
insieme agli altri prelati ed a Suor Gemma Mancini, in relazione alla nota
lettera scritta dal connazionale BERTO.
Nessun altro elemento si riscontra dagli atti del SISMI.
Ciò che lascia perplessi in questa vicenda é che l’Autorità Giudiziaria
verme informata solo in forma parziale dei fatti. Il Consolato non
informava gli organi competenti della missiva di BERTO. L’Arma dei CC
ometteva di riferire che RENZI - citato dal BERTO come elemento con il
quale era in contatto - era un elemento del SISMI in Libia. Nessuna notizia
veniva fornita dalle Autorità Consolari all’A.G. italiana sull’arresto in Libia
dei cinque religiosi, tra i quali Suor Gemma, arresto che era stato effettuato
in relazione alla missiva scritta da BERTO. Nessuna notizia veniva
comunicata all’A.G. in relazione ad eventuali contatti presi in Libia con il
BERTO ed il TRAYAROV.
Queste omissioni impediranno, nel 1986, ulteriori
approfondimenti sulla vicenda.
_____________________
Capitolo quinto
I Servizi Sovietici
4.5.1. Il colloquio ANDREOTTI-GORBACEV del maggio 91 e
la conseguente nota Sovietica.
I Servizi sovietici, particolarmente il KGB ma anche a volte il GRU,
sono stati coinvolti, come non era difficile immaginare, nell’attentato al
Papa. Lo sono stati ogni qualvolta si è prospettata una qualche
responsabilità di istituzioni bulgare. In questo Paese sarebbe stato dato,
secondo la ricostruzione della seconda inchiesta, il mandato e in tal senso
s’era raggiunta in quella istruttoria una certa situazione probatoria. A monte
indicazioni - sulla base del presupposto che gli organismi di quel Paese
fossero legati da un vincolo di dipendenza con il Paese leader del Patto di
Varsavia, cioè l’Unione Sovietica - secondo cui il progetto fosse stato
concepito al più alto livello di detto Patto e che l’Unione Sovietica avesse
dato, probabilmente proprio per le ragioni di cui si parla in altro capitolo di
questo documento, incarico ai Bulgari di provvedere all’esecuzione.
L’inchiesta pertanto s’è sempre mossa alla ricerca di indizi o prove,
che al di là delle dette indicazioni, confermassero o escludessero
responsabilità dell’URSS, in primo luogo dei suoi Servizi di Sicurezza. E
particolari iniziative si ebbero a seguito della caduta del Muro di Berlino,
nella speranza che si potesse accedere o comunque aver notizie dagli
Archivi di quei Servizi.
In tal senso si mosse anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri e
nel giugno del 91 il Presidente pro tempore informò questo Giudice di aver
avuto a Mosca il 22 maggio precedente un colloquio con il Presidente
GORBACEV e di aver posto il seguente quesito: “Essendosi di recente lette
notizie di stampa
tendenti a riaccreditare responsabilità politiche bulgare e sovietiche
nell’attentato al Papa Giovanni Paolo Il, desidero conoscere se possa aversi
qualche elemento in proposito attraverso la consultazione degli archivi del
KGB o altri”.
GORBACEV aveva risposto che nulla gli risultava, ma che
comunque avrebbe fatto consultare gli archivi ed avrebbe tenuto informato
il suo interlocutore. In effetti il 29 maggio seguente l’Ambasciatore
dell’URSS a Roma comunicava di aver ricevuto istruzioni da GORBACEV
al Presidente del Consiglio italiano, che nulla risultava che potesse
suffragare la notizia della responsabilità sull’attentato.
Il Presidente aggiungeva due note nella lettera a questo Ufficio.
Nella prima palesava il rafforzamento del suo sospetto sull’esistenza di un
suggeritore alle spalle di MEHMET ALI’ AGCA, in particolare a seguito
della lettera di una sua intervista al Corriere della Sera, apparsa sul numero
del 16 maggio 91. E il sospetto aumenta, giacchè l’intervistato rammenta
persino la data di una presunta operazione italiana di liberazione di
palestinesi ovvero del gruppo di terroristi che stava ponendo in essere un
attentato con missili a Fiumicino a danni di un aeromobile El Al, e che
furono portati in Libia con l’Argo 16 da elementi del SISMI.
Nella seconda nota si allegava la copia di telegramma
dell’Ambasciatore d’Italia a Sofia sulla vicenda KARADZHOV, di cui si
parla in altra di questo documento. Telegramma nel quale si riferisce della
smentita dei Servizi di Sicurezza, secondo cui detto KARADZHOV non
sarebbe mai stato dipendente di quei Servizi, e si riferisce inoltre di una
prossima smentita negli stessi termini da parte del Ministro dell’Interno
bulgaro Danov. (v. lettera Presidente del Consiglio dei Ministri all’AG.
07.06.91). **********
4.5.2. L’appunto CESIS del luglio 90.
Queste informazioni contrastano però con il contenuto di un appunto
datato il 05 luglio 90 inviato dal CESIS allo stesso Presidente del
Consiglio, che riferisce di contatti intrattenuti dal SISDE con funzionario di
un Servizio estero, che non viene con omissis indicato ma che dovrebbe per
certo essere un Servizio dell’Europa Orientale. Quei funzionari, dopo aver
confermato forniture di Semtex alla Libia, ed essersi riservati su rilasci di
passaporti a terroristi in Cecoslovacchia, sulla presenza del noto MORETTI
Mario a Radio Praga, e su forniture di armi ad organizzazioni terroristiche
italiane, riferivano dell’esistenza di un Piano del KGB - predisposto sin dai
primi a giorni del Pontificato di Woytila - finalizzato a screditare, con
azioni di disinformazione e provocazione, la Chiesa Cattolica e la stessa
figura del Pontefice, del quale era stata prevista, se necessario,
l’eliminazione fisica.
Il piano prevedeva, tra l’altro, un’attività di “ascolto” tramite
microspie, collocate nell’abitazione del Segretario di Stato Mons. Agostino
Casaroli ad opera di cittadina cecoslovacca, agente del KGB, coniugata con
un cittadino italiano nipote dell’alto Prelato e noto quale agente esterno
dello stesso Servizio fin dagli anni 50.
Il piano era denominato “Pop” e prevedeva due azioni, “Pagoda” e
“Infezione”, la prima riferentesi all’attentato al Papa e la seconda di natura
non accertata. La cittadina cecoslovacca si chiamava TROLLEROVA Irene
ed era nata a Praga nel 33 . Il suo coniuge era il cittadino italiano Torretta
Marco, nato nel 22 in provincia di Piacenza, nipote del Cardinal
CASAROLI e già “ingaggiato” in Cecoslovacchia sin dal ‘55 quale agente
esterno del KGB. La TROLLERO VA, approfittando di detti legami di
parentela era riuscita a
collocare una statuetta contenente una microspia nella cristalliera della sala
da pranzo del Cardinale CASAROLI in Vaticano in sostituzione di altra
identica. Tale congegno veniva poi sostituito nell’aprile dell’89 con altra
microspia racchiusa in un “rettangolo di legno”, collocato in un armadio
della stessa sala da pranzo, presumibilmente ancora attiva alla redazione
dell’appunto e cioè fine maggio 90.
A proposito di tali apparecchiature, deve rammentarsi che
nell’immediatezza del sequestro di Emanuela ORLANDI fu attivata in
Vaticano una linea diretta per il Cardinal CASAROLI, sulla quale
sarebbero dovute arrivare le comunicazioni dei rapitori. Al tempo per
effetto di alcuni riferimenti precisi su movimenti e presenze di personale di
Polizia nell’ambito del Vaticano, riferimenti emersi in numerose telefonate
di anonimi, sorse il sospetto che all’interno di quella Città operassero spie o
che le linee di ascolto subissero interferenze.
La presenza della statuina come microspia potrebbe essere elemento
d’utilità nelle indagini sulle fughe di notizie dalla linea o dagli ambienti
dell’abitazione del Cardinal CASAROLI. (v. nota CESIS 2127.62.7/154/40,
05.07.90, ed allegati)
Questo appunto era sicuramente nella conoscenza del Presidente del
Consiglio, giacchè in una nota su carta del Segretariato Generale egli
commenta: “E’ da meditare il da farsi. Io credo che - se è esatto il tutto -
vada avvisato Casaroli ...“ (v. nota Segretariato Generale della Presidenza
del Consiglio, 06.07.90)
_________________
Capitolo sesto
I Servizi tedesco orientali
4.6.1. La figura di MIELKE e l’organizzazione della STASI.
Nella ex DDR - come in tutti i regimi totalitari - il Servizio informazioni
ricopriva un ruolo di primaria importanza. Per tale motivo nel 1950 veniva
creato un apposito Ministero per la Sicurezza dello Stato - MfS -, la cui
attività veniva indicata, comunemente, con il nome di STASI (Servizio per
la Sicurezza dello Stato).
A capo di questa organizzazione veniva posto Erich MIELKE il quale
rimase nella carica dal 1957 al 1989. MIELKE prima della guerra, era
entrato nelle file del Kpd, organizzazione comunista tedesca, e nel 1931 si
rese responsabile dell’omicidio di tre funzionari di polizia. Condannato,
non scontò mai la pena in quanto, nel frattempo, si era rifugiato in Unione
Sovietica. Dal 1936 al 1939 prendeva parte alla guerra civile spagnola nelle
Brigate Internazionali, dopodichè ritornava in Russia ed entrava nel IV
settore dello Stato Maggiore dell’Armata Rossa.
Nel 1945 ritornò nella Germania e dopo aver ricoperto l’incarico di Vice
Presidente nella zona sovietica dell’Amministrazione centrale degli Interni,
organizzò il Commissariato 5, antesignano della Ceka di ULBRICHT e
HONECKER, fino a diventare direttore dell’Amministrazione Centrale per
la protezione dell’economia popolare, che nel 1950 veniva sciolta
diventando, con la fusione del Commissariato 5, il Ministero della
Sicurezza dello Stato - MfS, dal quale dipendeva la STASI. Fino al
novembre del ‘57 egli fu prima delegato di ZAISSER e quindi di WOLL
WEBER, poi segretario di Stato e luogotenente generale. Nel 50 entrava
a far parte del Comitato Centrale del Partito. Nel 1958 diventava membro
del Volkskammer e nel 1976 membro del Politburo.
La STASI, all’epoca in cui MIELKE aveva il suo incarico, era
organizzata in 32 sezioni. Il luogotenente generale Markus WOLF aveva il
controllo sulla Amministrazione Centrale Aufklarung “HVA”, cioè di
quella parte che si occupava di Ricerche all’Estero, fino al 1985, anno in
cui verme sostituito da GROSSMANN. Le sezioni di interesse per la
vicenda di cui è processo risultano essere la X della “HVA” (Ricerche
all’estero) e la XXII della “HV”(Controspionaggio). La prima si occupava
di disinformazione e la seconda della lotta al terrorismo.
A seguito della caduta del muro di Berlino e la conseguente unificazione
delle due Germanie ed in considerazione alla possibilità che agli atti del
disciolto Servizio per la Sicurezza dello Stato, meglio conosciuto come
STASI, si potessero trovare documenti concernenti l’attentato al Sommo
Pontefice, veniva avanzata in data 28 febbraio 1994, alle competenti
Autorità tedesche, richiesta di rogatoria. La documentazione della STASI -
a seguito della unificazione tra le due Germanie avvenuta il 3 ottobre del
‘90 - era stata affidata ad un Ente federale diretto dal pastore protestante
Johachim GAUCK, con l’incarico di provvedere alla custodia degli archivi
e di quanto era rimasto a seguito della presa d’assalto della popolazione
della sede della STASI, avvenuta nel gennaio precedente, nel corso della
quale sarebbero stati distrutti circa 30.000 documenti.
****************
4.6.2. L’informativa dell’organizzazione GAUCK
Le autorità tedesche con missiva datata 27 luglio 1994 informavano
che il “Delegato federale per la Documentazione sui Servizi segreti nella ex
DDR”, GAUCK, aveva comunicato che dalle vaste ricerche effettuate negli
archivi della disciolta STASI era emerso che “i nominativi di ORAL
CELIK e MEHMET ALI’ AGCA sono stati inseriti in una sezione di
sicurezza del reparto 1 (Elaborazione operativa di organizzazioni, Gruppi e
Persone di estrema destra, neonazisti e terroristi) della Sezione Principale
(HA) XXII (lotta al terrorismo). La registrazione di persone in questa
sezione di Sicurezza èstata effettuata su disposizione del Ministro per la
Sicurezza dello Stato della Repubblica Democratica Tedesca. Secondo il
predetto decreto, potevano essere iscritti in questo elenco:
- Persone verso le quali i servizi per la Sicurezza dello Stato aveva un
particolare interesse;
- Persone, il cui impegno nei Servizi per la Sicurezza dello Stato, doveva
essere confermato, ivi inclusi i loro familiari;
- Quadri di personale addetto al servizio estero, collaboratori di
rappresentanze all’estero della ex Repubblica Democratica Tedesca;
- collaboratori ad Organismi, imprese ad apparati di Stato e finanziari, i
quali avevano costantemente contatto con segreti di Stato;
- persone alle quali era stata concessa l’autorizzazione a commerciare e
trattare di armi, munizioni, sostanze esplosive, veleni, materiali radioattivi
ed altre sostanze ed oggetti per i quali era necessaria un~autorizzazione;
- persone che avessero svolto la loro attività in oggetti ubicati presso i
servizi di Sicurezza dello Stato o presso altri organi armati della ex
Repubblica Democratica Tedesca, nonchè persone che avessero offerto la
loro collaborazione ai predetti organi di Sicurezza;
- Cittadini stranieri ovvero apolidi che avessero il loro domicilio fisso
ovvero abbiano soggiornato per un lungo periodo nel territorio della ex
Repubblica Democratica Tedesca;
- Persone che avessero potuto essere utilizzate per il lavoro da loro svolto a
favore dei Servizi di Sicurezza dello Stato catalogato come IM
(Collaboratori non ufficiali)”.
Nella missiva non veniva indicato in quali di queste categorie
rientrassero CELIK e AGCA.
Veniva precisato, inoltre, che “Fascicoli riservati venivano, in linea di
massima, aperti all’insaputa delle persone cui essi si riferivano, e
possedevano, di norma, un valore meramente indicativo. Il nome di
MEHMET ALI’ AGCA inoltre venne inserito nella sezione SUND
(Sistema relativo a dati operativi ed istituzionali), che era un elaboratore di
dati internazionali, al quale collaboravano e dal quale attingevano dati i
Servizi Segreti e di sicurezza dell’Unione Sovietica, dell’ Ungheria, della
Bulgaria, della Mongolia, della Repubblica Democratica Tedesca, della
Polonia, di Cuba e della Cecoslovacchia. La direzione di detto sistema era
attribuita al KGB. Nel predetto elaboratore venivano inseriti dati relativi a
15 diverse categorie di persone (PK), fra cui al PK3 era inserita la categoria
dei terroristi. L’inserimento del nominativo di ALI’ AGCA nel citato
elaboratore venne disposto dalla sopra menzionata Sezione 1 della HA
XXII...”. Veniva
anche comunicato che oltre al raccoglitore contenente ritagli di giornale ed
informazioni stampa relativi all’attentato al Papa, erano stati rinvenuti “stralci
di verbali di interrogatorio ed altro materiale delle autorità inquirenti italiane
relativi all’attentato ai danni del Papa Giovanni Paolo Il”, documentazione
che venne inviata dalla sezione X della HVA alla sezione XXII della HA.
Allegati alla missiva, le Autorità tedesche, trasmettevano fotocopia di due
documenti, dai quali si poteva già rilevare che la DDR e la Bulgaria
mantenevano contatti finalizzati a contrastare la campagna di stampa -
definita diffamatoria -nei confronti della Bulgaria accusata di essere
responsabile dell’attentato al Sommo Pontefice.
Pertanto, sulla basi di quanto sopra che evidenziava l’interesse di quel
Paese a seguire le vicende dell’attentato al Papa, veniva espletata ulteriore
rogatoria in Germania. Questo G.I. in data 15.02.1995, veniva autorizzato da
quelle Autorità, a recarsi a Berlino presso gli Uffici che furono della STASI e
prendeva visione del carteggio fino a quel momento rinvenuto. Carteggio che
appariva di rilevante interesse e di cui pertanto si richiedeva l’acquisizione in
copia. Documentazione che giungeva con due differenti invii: il primo con
missiva datata 3 aprile 1995 ed il secondo con missiva datata maggio 1995. In
quest’ultima missiva le Autorità tedesche comunicavano che “nel momento
dello scioglimento del Ministero per la Sicurezza, gli atti trovati erano stati
distrutti, ed ora sono stati fatti restaurare dall’Incaricato Federale per gli atti
dei Servizi di Sicurezza dello Stato dell’ex DDR. Questo spiega che sono
poco leggibili e che mancano alcune pagine”.
*************
4.6.3. La documentazione STASI
Dall’esame della documentazione, opportunamente tradotta in italiano,
emergeva che la STASI, aveva ricevutO nell’agosto del 1982 dalla Bulgaria,
una richiesta di collaborazione finalizzata ad allontanare i sospetti di
responsabilità delle Autorità bulgare nell’attentato al Papa. Alla fine della
missiva veniva richiesto “di accelerare la preparazione di documenti per
l’operazione comune chiamata “papa””. Quest’ultima precisazione lascia
intendere che si era già discusso “dell’operazione comune papa prima della
ricezione della missiva. Missiva che fa seguito ad altra nr. 972/82, di cui non
si è trovata però traccia nella documentazione trasmessa.
Da rilevare che la corrispondenza avveniva tra il Ministro bulgaro
STOJANOV ed il Ministro della DDR, MIELKE.
I bulgari nelle loro corrispondenza evidenziano che il tentativo di
coinvolgere la Bulgaria nell’inchiesta sarebbe stato organizzato dalla CIA al
fine di minare la politica pacifista dell’Unione Sovietica e degli Stati fratelli
socialisti, onde instaurare un differente ordinamento sociale. In questa
operazione condotta dalla CIA, attraverso i Centri di propaganda
antisocialista, ed in particolare attraverso la giornalista Claire STERLING e
Paul HENZE, rientrerebbe il Caso ANTONOV, il caso SCRICCIOLO e vari
episodi di contrabbando di armi.
Al fine di contrastare la pista bulgara i due servizi socialisti attuavano una
serie di cosiddetti “provvedimenti attivi”. Tra questi “provvedimenti attivi” si
rileva una nota
datata 31 maggio 1983, a firma del Ministro dell’Interno bulgaro, MITEW, in
cui veniva riferito alla STASI che era in preparazione un provvedimento
attivo per smascherare la cosiddetta “traccia bulgara” nell ‘attentato contro il
Papa, Giovanni Paolo 11, che realizzeremo tramite Luigi CAVALLO”.
La utilizzazione di CAVALLO da parte dei Servizi Segreti della Bulgaria
trovava conferma in alcuni opuscoli scritti dal medesimo nell”’Agenzia A -
bollettino di informazioni politiche e finanziarie di Luigi Cavallo”, nel 1983.
Veniva anche tentato di utilizzare “attivamente” il cittadino turco EROL
SUDAN UNSAL, ex detenuto in attesa di giudizio e persona di fiducia
dell’HA -IX. Questi era stato condannato nella DDR a nove anni di reclusione
per attività sovversiva, in quanto si era reso responsabile di aver fatto uscire
un cittadino della DDR dal territorio con l’aiuto di un pallone aerostatico.
***************
4.6.4. Le riunioni di Berlino nell’ottobre 83 con il Servizio bulgaro
A tal proposito nell’ottobre del 1983 furono tenute a Berlino riunioni tra
rappresentanti del servizio bulgaro e funzionari del MfS. La delegazione del
Servizio bulgaro era guidata dal colonnello ORMANKOV. Nel corso dei
colloqui la delegazione bulgara chiedeva notizie sull’organizzazione dei
“Lupi Grigi”, sull ‘attentatore al
Papa, e valutazioni su un’eventuale “utilizzo diretto o indiretto dell’UNSAL
per una disinformazione del nemico allo scopo di respingere l’istigazione
massiccia contro la Repubblica Popolare Bulgara.”. Il servizio della DDR
forniva quanto a loro conoscenza sull’organizzazione sull’attentatore al Papa,
precisando che l’UNSAL non veniva ritenuto idoneo per una disinformazione
dell’avversario a causa del suo carattere e della mancanza di punti di
riferimento con l’attentatore alla vita del Papa, AGGA”.
La delegazione bulgara, nell’occasione, informava che da contatti ufficiali
avuti con il giudice Palermo, a Sofia, si era appreso che la giustizia italiana
basava “le accuse contro la Repubblica Popolare Bulgara e contro il generale
ANTONOV, detenuto a Roma, solo sulle scarse dichiarazioni AGGA”.
Il colonnello ORMANKOV precisava inoltre di avere appreso dal
Magistrato che i cittadini turchi ARSLAN, CELENK e altri sono in contatto
con la CIA; che le informazioni sui Lupi Grigi le aveva ottenute dalla
Repubblica Federale Tedesca e che basandosi su queste informazioni è del
parere che i Lupi Grigi siano in contatto con la CIA”.
L’attività disinformativa della DDR si concretizzava anche, attraverso la
pubblicazione all’estero, ed in particolare nella Repubblica Federale Tedesca
di materiale propagandistico finalizzato a smascherare il complotto ordito nei
confronti della Bulgaria.
***********
4.6.5. Le note di STOJANOV a MIELKE.
In un documento a firma STOJANOV, trasmesso il 9 febbraio 83 a
MIELKE, venivano elencate quali attività bisognava porre in atto al fine di
“fronteggiare la campagna dell’Occidente fino ad un suo completamento,
smascheramento e fino a sventarla del tutto, concentrando i nostri sforzi sui
punti seguenti:
- con l’aiuto di articoli e materiali nella stampa e degli altri mass-media,
proseguimento degli attacchi contro i servizi segreti del nemico come
organizzatore ed esecutore delle provocazioni dirette contro la Repubblica
Popolare Bulgara ed i Paesi socialisti servendosi del ‘caso ANTONOV”
appositamente creato;
- raccolta di dati e fatti a testimonianza della partecipazione degli organi
inquirenti italiani alla provocazione organizzata per poter prendere delle
misure che mirano ad uno schieramento in questa direzione; il nostro Paese,
fino ad oggi, non ha eseguito provvedimenti di questo tipo contro le autorità
inquirenti italiane, ma -considerando le prospettive dell’organizzazione di un
processo contro ANTONOV - inizieremo a prendere misure anche in questa
direzione;
- neutralizzazione dell’effetto per noi sfavorevole dell’incontro con il Papa
e del perdono dei peccati di AGCA, inducendo il Vaticano ed il papa a
rendere pubblico il loro parere sul “caso ANTONOV” in una direzione a noi
favorevole;
- realizzazione di misure che distolgano l’attenzione del nemico dal “caso
ANTONOV””.
E’ indubbio che la documentazione inviata risulta essere soltanto un parte
di quella che probabilmente esisteva all’interno degli archivi della STASI. Le
Autorità tedesche, infatti, nel trasmettere copia della documentazione
rinvenuta, evidenziavano che trattavasi di quella parte della documentazione
fino a quel momento trovata precisando che alcuni documenti erano stati
ricostruiti in quanto reperiti danneggiati.
Dall’esame complessivo della documentazione della STASI - in
particolare dalla documentazione agli atti della X - HVA - emerge una
corrispondenza tra i due servizi ai più alti livelli, MIELKE, da una parte,
STOJANOV dall’altra. A mano a mano che il coinvolgimento dei bulgari
diventava più pressante, le richieste di aiuto alla DDR divenivano più
insistenti. Dalla documentazione non si rileva una effettiva responsabilità del
coinvolgimento della Bulgaria e di ANTONOV nell’attentato al Papa, anzi si
sostiene che ANTONOV è innocente e che messo sotto pressione potrebbe
crollare e raccontare cose non vere. I Bulgari nel fornire notizie sull’inchiesta
dell’attentato al Papa sottolineano che ANTONOV non è mai stato in contatto
con il loro servizio segreto, ma nel corso di altro documento il medesimo
veniva indicato con la qualifica di Generale.
Da un documento, in lingua russa, senza data, classificato Segretissimo,
diretto alla personale attenzione del Ministro per la Sicurezza della DDR,
Erich MIELKE, a firma del Ministro dell’Interno bulgaro, STOJANOV, si
rileva il ringraziamento a seguito “dell’aiuto e dell’appoggio accordatoci per
sventare la campagna
antibulgara ed antisocialista in relazione all’attentato al papa, Giovanni Paolo
Il. Nel corso di oltre 4 anni , gli organi d’informazione del Ministero per la
Sicurezza della DDR e del Ministero degli Interni della Repubblica Popolare
Bulgara hanno preso dei provvedimenti - in stretta collaborazione e
coordinazione con gli organi dei paesi nostri fratelli - per smascherare i
promotori e gli esecutori dell’attentato e della relativa sfrenata campagna
diffamatoria fomentata contro la Repubblica Popolare Bulgara e la comunità
socialista
Dalla documentazione trasmessa si può senza errore affermare che la
Bulgaria e la DDR hanno fatto tutto il possibile per evitare che si arrivasse
alla condanna di ANTONOV e di riflesso alla responsabilità della Repubblica
Popolare Bulgara nell’attentato al Sommo Pontefice.
**************
4.6.6.La trasmissione televisiva Frontal della ZDF.
Il Servizio Interpol informava che il 15 luglio 1996 era stato mandato in
onda dalla rete televisiva tedesca ZDF, nell’ambito della trasmissione
“FRONTAL”, un servizio riguardante l’attentato al Papa. Il servizio
giornalistico era stato reso possibile grazie alla acquisizione presso
l’Incaricato federale GAUCK di documenti concernenti l’attentato al Papa, ed
alla testimonianza di alcuni ufficiali della ex STASI.
Nelcorso della trasmissione, i redattori KALTEFLEITER e TEISEN,
ipotizzavano un
coinvolgimento della STASI in una sorta di complotto, organizzato dal
parallelo Servizio Segreto Bulgaro, per chiamare in causa l’organizzazione
turca di estrema destra “Lupi Grigi” nell’attentato, attraverso la stesura e
l’invio di alcune missive da cui potevano essere agevolmente rilevate attività
della stessa organizzazione dirette a perorare la liberazione del detenuto
AGCA.
In particolare la STASI aveva falsificato una lettera avente come
destinatario il capo dei nazionalisti turchi, ASLAPAN TURKESH, e presunto
mittente Franz Josef STRAUSS. L’operazione, avviata su richiesta formale
dell’omologo Servizio bulgaro, inviata alla STASI attraverso un telegramma,
sarebbe avvenuta su disposizione dell’allora Direttore Irish MIELKE, che
avrebbe dato incarico al capo della HVA, Markus WOLF, di presentare delle
idonee proposte operative. Questi avrebbe dato incarico a Gunther
BOHNSACK, Capo della Sezione 10 dell’HIVA.
BOHNSACK intervistato nel corso della trasmissione, confermava
l’azione di disinformazione attuata dalla STASI su richiesta del Servizio
bulgaro.
***********
4.6.7. La rogatoria all’A.G. tedesca di MIELKE, WOLF,
BOHNSACK.
Pertanto, questo G.I. rivolgeva alle Autorità tedesche formale richiesta di
rogatoria al fine di acquisire la testimonianza degli autori del servizio
televisivo, di Erich
MIELKE, di Markus WOLF e di Gunther BOHNSACK. (v. Commissione
Rogatoria all’A.G. tedesca del 26.07.96).
Il 19 febbraio 1997 in esecuzione di detta rogatoria venivano raccolte le
testimonianze dei giornalisti KALTEFLEITER e TEISEN. Entrambi
confermavano i contenuti del servizio sull’attentato al Papa, andato in onda
sul programma televisivo FRONTAL, chiarendo che i documenti dell’ MfS
da loro acquisiti erano stati richiesti -in conformità alle leggi - all’incaricato
Federale GAUCK.
In particolare, il teste TEISEN, riferiva che nel corso dell’inchiesta
giornalistica aveva intrattenuto contatti con due ex ufficiali della STASI - uno
dei quali BOHNSACK - i quali gli raccontarono come si era svolta la
cosiddetta “Operazione Papa”. Il BOHNSACK aveva dichiarato che “la
STASI aveva ricevuto il compito di inserire ALI’ AGCA in un determinato
contesto politico e di attribuire la responsabilità dell’attentato ai circoli di
estrema destra occidentali e/o turchi”.
TEISEN, infine, analizzando i contenuti dei documenti della STASI,
precisava che “la mia interpretazione, con l’aiuto dei funzionari della Stasi
che conosco, è che avevano paura che ANTONOV potesse vuotare il sacco.
Per questo motivo hanno descritto ANTONOV come una persona labile.
Volevano inficiare la sua credibilità”. TEISEN evidenziava, tra l’altro, che “di
solito la corrispondenza tra la STASI e i Servizi Segreti bulgari avvenne a
livello di collaboratori. In questo caso, però, le missive vengono trasmesse
tramite ministri, la qual cosa dà un’idea del carattere straordinario dei fatti”.
4.6.8. Le dichiarazioni di BOHNSACK.
Gunther
Il 28 aprile 1997 venivano raccolte a Berlino, su rogatoria, le dichiarazioni
dell’Ufficiale della STASI, Gunther BOHNSACK.
BOHNSACK - autore di un libro sulle attività della STASI - riferiva di
essere stato, dal 1964 al 1990, collaboratore della STASI, “specificatamente
nella “casa” di Markus WOLF, l’HVA, nella Sezione Provvedimenti Attivi,
che si occupava, tra l’altro di disiriformazione, ed il cui obiettivo principale
era quello di indebolire e destabilizzare i Paesi occidentali.
Con riferimento all’attentato al Papa, BOHNSACK esordiva sottolineando
che destò meraviglia nel loro ambiente che la richiesta di aiuto dei bulgari era
stata affrontata “tanto in alto”, addirittura dal POLITBURO, cosa definita
“insolita”. MIELKE faceva parte del POLITBURO.
Il compito della sua sezione - proseguiva BOHNSACK -era quello “di
preparare una traccia che portasse alla CIA e di accompagnare tutto questo di
voci e di altre tracce”. A tale scopo prepararono “voci” che comprovavano i
contatti di AGCA con i Lupi Grigi e analizzarono sotto “l’aspetto di come si
potesse falsare, travisando gli indizi” il rapporto MARTELLA fomitogli dai
bulgari.
Le voci venivano poi diffuse “soprattutto nella Repubblica Federale,
attraverso gli agenti, voci, contatti ecc. Ma queste voci sono state passate
anche in Grecia, Turchia, ecc. attraverso alcune persone di fiducia. Anche
l’Ambasciata della DDR a Roma ha collaborato alla diffusione”.
BOHNSACK riferiva che “un altro punto chiave era il Caso ANTONOV,
rappresentante della Balkan-Air ed evidentemente un uomo dei servizi segreti
dei bulgari; i bulgari temevano che in carcere potesse rivelare delle cose che
non dovevano essere divulgate”.
Nel quadro dell’azione di disinformazione, continuava BOHNSACK,
veniva “ricostruita una lettera scritta -secondo quel che si diceva - da Franz
Josef STRAUSS a TURKESH, Capo del Lupi Grigi; la lettera è stata spedita
ai mass-media, e nella lettera è stato inserito il concetto che STRAUSS aveva
saputo prima dell’attentato. E’ stata costruita una connessione STRAUSS-
TURKESCH e l’intenzione era di coinvolgere anche la Repubblica Federale
di Germania. La lettera era falsificata, disponevamo della firma originale di
STRAUSS”.
BOHNSACK, nel descrivere la struttura dell’HVA (Direzione Generale
Informazioni), la indicava simile a quella sovietica e seconda, nell’importanza
tra i Paesi dell’Est, solo al KGB. Le sezioni della HVA erano contrassegnate
da I a XX. Si occupavano principalmente di informazioni. Il concetto di
spionaggio veniva evitato in quanto considerato criminale e situato soltanto in
Occidente. Dopo avere descritto succintamente le competenze - sezione per
sezione-BOHNSACK passava a delineare la struttura della Sezione X, cioè la
struttura che aveva avuto un ruolo di primo piano nell’attuazione delle attività
di disinformazione concernenti le vicende che vedevano coinvolti i bulgari.
La X sezione HVA veniva costituita nel 66, su specifica richiesta dei Russi e
veniva gestita direttamente da WOLF che la definiva “il prato dei suoi
giochi”. Il concetto era che non bastava “raccogliere
informazioni; queste informazioni devono essere analizzate ed utilizzate e
riportate là da dove provengono”. Molti scandali del dopoguerra venivano
ideati nella HVA per poi essere realizzati nella RFD. LA HVA era suddivisa
in 7 Divisioni. La Divisione che si occupò dell’attentato al Papa era la 1A
Divisione. Il superiore di BOHNSACK era il col. WAGENBRETT, mentre il
Direttore dell’X sezione era DAMM, il quale era in contatto con gli altri
servizi paralleli. WOLF rivestiva le funzioni di Capo dell’HVA e di sostituto
del Ministro MIELKE, e partecipava al Consiglio dei Ministri.
In relazione alla elezione al Pontificato di Wojtila, BOHNSACK riferiva
che “già negli anni 70 abbiamo riconosciuto che la Polonia era un problema,
un punto politico debole nel blocco orientale. Ne abbiamo discusso spesso. Ci
sono stati anche degli attacchi antisovietici, dibattiti, - di un’area non molto
positiva per noi. Si, la Polonia la consideravamo un paese nemico. Temevamo
che la Polonia potesse interrompere i flussi strategici tra la DDR e l’Unione
Sovietica. Essendo la nostra situazione quindi desolata l’elezione del Papa dal
nostro punto di vista - era particolarmente inquietante. Si temeva che il Papa
d’ora in poi, da Roma, potesse fare una politica contro i Paesi socialisti. Ma
comunque c era disparità d’opinione; c’era anche chi considerava la scelta del
Papa una scelta che forse poteva rivelarsi positiva. Quelli che la
consideravano una “disgrazia”, non avrebbero avuto nulla in contrario se il
Papa fosse sparito. Con questo, comunque, non voglio dire che qui abbiano
invocato un attentatore”.
Relativamente agli incontri intercorsi con i bulgari, BOHNSACK riferiva
di ricordare che dopo la loro richiesta di aiuto c’era stato un incontro a
Berlino. La delegazione bulgara venne ricevuta prima da WOLF, cosa
ritenuta inusuale, e poi alla X sezione. L’incontro avveniva
- teneva a sottolineare BOHNSACK - “in un luogo da complotto, - una
villa”.
I Bulgari - riferiva sempre BOHNACK - avevano ammesso “che
ANTONOV era un loro uomo. Ma non hanno confermato che avesse avuto a
che fare con l’attentato. Comunque, ANTONOV era al corrente di tante cose
e se fosse crollato ed avesse deposto, avrebbe potuto causare notevoli danni ai
Bulgari
Per quanto riguarda le misure poste in essere dalla X sezione,
BOHNSACK ricordava:
- costituzione di un comitato con partecipazione internazionale per la
liberazione legale di ANTONOV, avente lo scopo di esercitare - attraverso i
contatti internazionali - una pressione sulla giustizia italiana;
- diffusione attraverso i mass-media di voci sul concorso della CIA
nell’attentato;
- falsificazione di lettere, produzione di lettere fittizie.
A tal proposito ricordava la lettera di STRAUSS:
“STRAUSS era interessante per noi perché’ sembrava particolarmente idoneo
a questo scopo a causa del suo orientamento politico (orientamento di destra,
interesse europeo, contatti coi turchi). Inoltre, abbiamo prodotto delle lettere
minatorie,- mittente presunto: i “Lupi grigi”. Con quelle lettere, il Governo
Federale è stato minacciato di azioni terroristiche se il Governo Federale non
si fosse impegnato energicamente per l’AGCA nei confronti delle autorità
italiane”.
Sempre riguardo alla lettera di STRAUSS, dichiarava “avrebbe dovuto
dare l’impressione che STRAUSS sapeva già che AGCA nel novembre del
1979 avrebbe annunciato l’ordine di assassinare il Papa”.
BOHNSACK, infine, riferiva:
- i rapporti con il KGB erano intensi “Del resto, i russi – non in relazione
all’attentato al Papa – stavano permanentemente da Markus WOLF”,
- è inconcepibile pensare che nel caso che l’attentato al Papa fosse stato
attuato da un Paese dell’Est, il KGB non ne fosse stato informato, e non
avesse dato la propria approvazione;
- che alla responsabilità della CIA nel complotto dell’attentato al Papa non
hanno mai creduto, essendo una pura invenzione.
MIELKE e WOLF non si presentavano all’udienza istruttoria, il primo per
ragioni di malattia, il secondo avvalendosi di facoltà concessagli come
imputato il processo tedesco.
__________________________
Capitolo settimo
I Servizi statunitensi
4.7.1. Il documento della CIA “Sommario di analisi sul tentato
assassinio del Papa”.
Nel corso di questi anni, come è ben noto, molti sono stati i dubbi
sollevati sulla pista bulgara. In particolare presso la CIA americana. E di tale
critica intende fare una breve storia al mensile 30 giorni nel suo numero del
febbraio 94. In un articolo a firma di Giovanni CUBEDDU dal titolo “I passi
perduti di AGCA” si riferisce di un documento datato 12 marzo ad oggetto
“Sommario di analisi sul tentato assassinio del Papa”.
Questa informativa esplora “scenari alternativi” escludendo cioè dalla
pista bulgara. Pista, sottolinea il redattore, smentita da ORAL CELIK ed
abbandonata più volte dallo stesso ALI’ AGCA.
Così i passi significativi del documento:
“Molte delle nostre informazioni precedenti al processo dell’84/85 (quello
tenuto alla Corte di Assise di Roma, ndr.) concordavano con quelle italiane su
“ipotesi alternative”, incluse le teorie che AGCA avesse agito da solo con la
complicità di criminali/terroristi . . . Sulla base di informazioni molto
frammentarie, e spesso contraddittorie, avevamo sviluppato alcune tesi in
larga parte fondate sulla vita di AGCA, i suoi contatti con criminali,
contrabbandieri e terroristi e il suo tenore di vita nel periodo dalla fine del
1979 ai primi del 1981 . . . A partire da ciò avevamo ipotizzato che egli quasi
certamente aveva fatto ricorso a tali contatti nel preparare l’attentato e che
potesse aver avuto uno o più complici . .
Avevamo supposto che durante questo periodo AGCA fosse stato coinvolto in
una serie di crimini, compresi il contrabbando, traffico di droga, estorsione e
terrorismo. Tale supposizione veniva confermata dalla disponibilità di fondi
dell’interessato e dal rapido cambiamento del suo tenore di vita
- dalla povertà al lusso. Egli era già un terrorista condannato per omicidio,
evaso da una prigione turca e complice di terroristi e contrabbandieri turchi...
A questo punto la CIA ammette di non essere in possesso di una prova
schiacciante... benchè le nostre analisi si sviluppassero su tali linee, non
abbiamo mai potuto avere di queste ipotesi conferme che fossero basate su
prove evidenti, indipendenti e di fonte affidabile... In definitiva, non
disponiamo di elementi concreti a sostegno di tali “ipotesi alternative”, o di
ciò che èeffettivamente accaduto.
L’informativa è compilata nel marzo 92 quando èdirettore della CIA
Robert GATES, già oggetto nel 91 di una audizione del Senato Usa sui casi di
“politicization” della CIA. E uno dei casi più scottanti di “politicizzazione”
era di certo quello delle indagini relative all’attentato - su tale soggetto anche
altra parte del presente provvedimento.
Questa è la cronologia redatta dal giornalista:
“Nel settembre del 91 il Comitato senatoriale sui servizi di sicurezza,
dovendo decidere se ratificare la nomina di Robert GATES a capo della CIA,
si trovò di fronte a vari casi di “politicization”. In particolare venne alla luce
che nell’85, sotto la gestione di William CASEY, GATES - vicecapo della
Direzione Intelligence della CIA, dopo essere stato assistente del consigliere
per la sicurezza nazionale Zbigniew BRZEZINSKI - era stato al centro di un
caso di “forzatura” delle indagini della CIA. Ovviamente per accreditare la
responsabilità del blocco sovietico nell’attentato al Papa. Dalle audizioni di
funzionari della CIA e dai documenti segreti declassificati per l’occasione
emerse un quadro inedito della CIA, divisa in fazioni pro o contro la tesi del
coinvolgimento dell’URSS. Da una parte la Commissione senatoriale affermò
che “l’attentato non era stato previsto dalla comunità
informativa. . . tuttavia almeno fino al 1981, gli analisti si erano convinti che
Mosca avesse un accordo ufficioso con il Papa per moderare le agitazioni in
Polonia, in cambio della promessa sovietica di non intervento. L’opinione
generale era che i sovietici non avrebbero avuto alcun vantaggio dal rovinare
questa intesa, anche se non avesse dato i risultati da loro sperati”. Dall’altra
ricostruì gli sforzi fatti dalla CIA per alimentare la pista bulgara.
Nel marzo dell’83 vi fu un primo approssimativo rapporto (titolo: “Il
tentativo di uccidere il Papa: una raccolta di notizie”) che escludeva la
responsabilità dell’Est. Nell’84 esce “Il tempo degli assassini”, scritto dalla
giornalista Claire STERLING - notoriamente amica di CASEY -‘ che lancia
pubblicamente la tesi della pista bulgara. Dicono gli atti del Senato Usa che
CASEY “fu impressionato” dal lavoro investigativo della giornalista. Perciò
commissionò a GATES un altro rapporto - titolo: “Il tentativo di AGCA di
assassinare il Papa: il caso del coinvolgimento sovietico”, aprile 85 - per
dimostrare il coinvolgimento dell’URSS. “CASEY e GATES” testimoniò
Melvin GOODMAN, funzionario CIA addetto all’Ufficio analisi sovietiche,
“tentarono inutilmente per diversi anni di ottenere che il DI (la Direzione
Intelligence della CIA guidata da GATES, ndr) trovasse la prova flagrante
che stabilisse la complicità sovietica”. Neanche stavolta gli analisti del DI ce
la fecero. E GATES, disse ancora GOODMAN, per accontentare CASEY fu
costretto a “riscrivere il suo pugno i punti fondamentali e le sintesi della
valutazione”, e a dichiarare in una nota anteposta alla valutazione che “i
sovietici erano direttamente coinvolti”.
La manovra dovette però risultare davvero sfacciata agli stessi
funzionari CIA. Neanche un mese dopo seguì una nota duramente critica
voluta dal capo dell’Ufficio studi sovietici
CIA, Douglas Mc EACHIN. Anche questa nota del maggio 85 esplora le
“teorie cospirative alternative”. E dice che “in modo assai veloce è stata
scartata la possibilità che AGCA, da solo o con qualche esponente della mafia
turca, possa aver pianificato l’attacco indipendentemente dai bulgari o dai
sovietici”. E che comunque “le somme di denaro e i supporti operativi
ricevuti da AGCA . . . indicano che è coinvolto in un qualche complotto”.
Per mettere fine alla guerra interna GATES stesso dovette
commissionare uno studio conclusivo, il rapporto COWEY:
una sorta di “operazione trasparenza” che esaminò i circa 30 documenti
sull’attentato al Papa prodotti dalla CIA dall’82 all’85. Ecco il giudizio: “Nei
casi di mancanza di prove evidenti, i documenti furono falsati, le deduzioni
assunsero il ruolo delle prove ed il testo divenne sempre più finalizzato”, cioè
politicizzato. Anche il rapporto COWEY si sofferma sulle “ipotesi
alternative”, dicendo che “meritevole di nota per la sua unicità nel
menzionare scenari alternativi e un appunto del 17 settembre 1982 . . . Dopo
aver discusso con considerevole accuratezza il materiale a conoscenza della
CIA sul caso, l’appunto concludeva che “le notizie concrete . . . supportano
differenti scenari i quali non si escludono tutti reciprocamente.”.
E se AGCA fosse stato assassino “su commissione i suoi mandanti
sarebbero stati probabilmente terroristi turchi”.
*********
4.7.2. L’inchiesta del Senato USA sulla nomina di Robert GATES.
L’attentato al Sommo Pontefice ha determinato una serie di
commissioni rogatorie agli Stati Uniti a causa di risultanze processuali e
notizie dei media.
La prima fu quella emessa il 26 novembre 1985 per l’esame del
cittadino Francesco PAZIENZA, all’epoca detenuto nel carcere di New York.
Ma su questa vicenda si è detto nella parte dedicata specificamente a esso
PAZIENZA.
Quelle successive furono invece dedicate alla acquisizione di copie di
atti e documenti statunitensi concernenti comunque il delitto in oggetto. La
prima di questa serie fu quella emesso il 09 ottobre 91, che ebbe ad oggetto la
richiesta delle trascrizioni delle sedute della Commissione per le nomine del
Senato degli Stati Uniti, relativo alla nomina del nuovo Direttore della Central
Intelligence Agency Robert M. GATES; sedute nelle quali si fece menzione
di prove artefatte nella vicenda dell’attentato al Papa (v. rogatoria U.S.A.
09.10.91).
Il relativo rapporto fu consegnato, nel corso di esecuzione di altra
rogatoria, direttamente dal Dipartimento di Giustizia U.S.A. all’A.G. rogante
il 12 dicembre di quello stesso anno. Le parti concernenti l’attentato al Papa
sono contenute nelle pagine 108-116 ditale rapporto.
Al GATES si contestava di aver creduto “che il Cremlino fosse dietro
l’attentato al Papa”, “che avesse ordinato una inchiesta senza tener conto
dell’evidenza dell’estraneità”, “che avesse riscritto personalmente i giudizi,
eliminando tutti i riferimenti alle incongruenze e alle anomalie”, “che avesse
eliminato la nota con la raccomandazione che il documento non forniva
contro - argomenti sulla complicità dei Sovietici” e “che avesse scritto una
nota di accompagnamento …, affermando che i Sovietici erano direttamente
coinvolti e
presentando le sue opinioni come consenso generale della CIA”.
L’attacco non era stato previsto dai Servizi Segreti Internazionali, per
quanto gli analisti, fin dal 78, avessero previsto i possibili problemi creati
dall’URSS da un Papa polacco. Nell’ 81 comunque gli analisti si erano
convinti che Mosca avesse un accordo con il Papa di moderare le rivolte
polacche in cambio delle promesse sovietiche di non intervenire. L’opinione
generale era che i Sovietici non avessero nessun motivo di distruggere tale
accordo, anche se non si rivelò producente come speravano.
Per quanto l’idea di un possibile coinvolgimento sovietico continuasse
a filtrare attraverso l’Agenzia, la CIA, inizialmente a sminuire il
coinvolgimento bulgaro o sovietico e non mise immediatamente in atto
un’analisi formale della complicità sovietica. Nel febbraio dell’83, l’allora
DDI Robert GATES dichiarò davanti alla Commissione del Senato
sull’Informazione che la CIA era ancora aperta a qualsiasi ipotesi sul caso e
non escludeva la complicità sovietica.
Nel maggio dell’83, la Direzione Generale di GATES produsse
“l’Attentato al Papa: Un’analisi della documentazione”, la sua prima
“valutazione globale” della possibilità che Mosca potesse essere coinvolta
nell’attentato. La conclusione ditale ricerca, che è stata criticata come
incompleta e scarsamente coordinata e documentata, fu che i Sovietici non
erano dietro l’attentato. Secondo l’analisi dell’83, lo stile adottato non era
tipico delle operazioni bulgare o sovietiche. Tuttavia, all’interno dell’Agenzia
vi erano settori che continuavano a non esserne convinti.
Nell’84, la Direzione Generale per le Operazioni iniziò ad acquisire
nuove informazioni sul fatto che i militari sovietici - e
non il KGB - fossero dietro all’attentato. L’anno seguente, Claire STERLING
pubblicò il suo libro, “Il Tempo degli Assassini”, il quale sosteneva che
AGCA era in collusione con i bulgari. Questa tesi colpì molto il Direttore
CASEY.
In una riunione dell’85 presieduta dal DCI, CASEY espresse l’opinione
che i sovietici fossero dietro l’attentato. John MAC MAHON, il DDCI, non
era d’accordo. Secondo Douglas Mc EACHIN, allora capo dell’Ufficio per
l’Analisi sull’URSS, anch’egli presente alla riunione, GATES suggerì che
venisse assegnato alla SOVA il compito di mettere insieme tutto quanto fosse
a disposizione dell’Agenzia, comprese le prove indiziarie, affinché si potesse
avere un quadro completo del coinvolgimento sovietico nel caso.
Due analisti della SOVA, Kay OLIVER e Mary DESJEANS,
collaborarono su una parte della ricerca, il cui autore principale fu Beth
SEEGER dell’Ufficio degli Affari Globali, che ebbe un ruolo di spicco nella
redazione di tutte le analisi sul caso. Gli analisti della SOVA si resero conto
che il loro compito era insolito: sviluppare il miglior caso possibile a favore
del coinvolgimento sovietico usando tutte le prove dirette e indiziarie. Doug
Mc EACHIN ricorda che lui e OLI VER scrissero una prefazione o smentita
all’inizio del documento, indicando chiaramente che la ricerca era uno sforzo
per sostenere la tesi del coinvolgimento sovietico. Mc EACHIN era
preoccupato circa le possibilità che la valutazione venisse usata o interpretata
male.
Dopo aver preparato la valutazione, Mc EACHIN ricorda una visita da
parte di GATES, il quale chiese se Mc EACHIN potesse far redigere una nota
critica. Dietro richiesta di Mc EACHIN, John HIBBITS preparò un
memorandum fortemente critico della valutazione, in quanto poneva
un’enfasi smisurata
sui fattori riguardanti un coinvolgimento sovietico, e sminuiva le prove
contrarie. La critica di quattro pagine e mezza era intitolata, “L’attentato di
AGGA al Papa: un’argomentazione contro il coinvolgimento sovietico.”. Mc
EACHIN inviò la nota a GATES apparentemente ignaro del fatto che la
valutazione fosse già stata distribuita.
Nella lettera di accompagnamento alla valutazione, di cui erano state
distribuite copie al Presidente, i membri della NSC, e ad Anne
ARMSTRONG del Comitato di Consiglio del Presidente sull’Informazione
Straniera, GATES aveva dichiarato :“Si invia in allegato un primo esame
approfondito della CIA su chi fosse dietro al tentato assassinio di Papa
Giovanni Il nel maggio del 1981.
Tale analisi si basa sul nostro esame di prove acquisite dall’ufficio del
magistrato italiano, le varie indicazioni scoperte da vari giornalisti e studiosi,
informazioni acquisite indipendentemente dai Servizi Segreti, e relative
informazioni storiche e operative di base... Mentre rimangono tuttora in
sospeso delle domande - che probabilmente rimarranno sempre in sospeso -
abbiamo comunque analizzato a fondo il problema e sentiamo di poter ora
presentare i nostri risultati.”
Il documento inizia con una breve analisi delle conclusione principale,
seguita da un’analisi di diverse pagine sui risultati e le prove, concentrate
nelle parti principali del documento.
Dopo aver ricevuto una copia della critica di HIBBITS, Kay OLIVER
scrisse una risposta punto per punto, indicando che HIBBITS non aveva
capito lo scopo della valutazione, spesso inquadrandola in modo inesatto.
Secondo la OLIVER, lo scopo della valutazione non era di implicare l’Unione
Sovietica, bensì di esaminare “...il grado in cui le prove sostengono l’ipotesi
del coinvolgimento sovietico”. La OLIVER difendeva
inoltre l’uso di materiali di fonte e contestava l’accusa che informazioni
contrarie venissero infossate nel testo e fossero assenti dai giudizi principali e
dal riassunto. Mentre la OLIVER concedeva che “forse” avrebbe potuto
esserci una nota esplicativa sulla valutazione, concludeva dicendo “Tuttavia
gli autori sfidano il critico a ricostruire uno scenario più plausibile e coerente
con le prove di quello fornito dalla complicità
Sovietico-Bulgara”:
Pressappoco nella stessa epoca, nel maggio dell’ 85, GATES chiese a
Ross COWEY di dirigere un collegio preposto a una revisione dell’analisi
completa dell’Agenzia sull’attentato al Papa, comprendente tutta l’evidenza,
prodotta sull’argomento a partire dall’ 81. Nel descrivere la sua motivazione,
GATES affermò, rispondendo a una domanda del Senatore GLENN, che si
sentiva “a disagio ...con il modo in cui la Direzione aveva gestito tutta la
faccenda dell’attentato al Papa”. Il rapporto conseguente criticava sia la
valutazione dell’83 che quella dell’85 in quanto incomplete. I componenti del
collegio COWLEY si riferivano allo studio dell’85 come
una compilazione imponente dei fatti e un ordinamento della tesi per il
coinvolgimento sovietico”, ma criticavano la copertura inadeguata di scenari
alternativi, l’assenza di una nota esplicativa, una coordinazione insufficiente,
e spiegazioni inadeguate circa l’affidabilità delle fonti usate.
Il rapporto COWLEY notava inoltre che le procedure seguite nella
preparazione della valutazione contribuivano alle preoccupazioni che le
opinioni degli alti funzionari stessero influenzando gli analisti. Secondo un
esame a posteriori della CIA, per quanto i vertici della CIA non avessero
attivamente diretto certe conclusioni, la percezione che i vertici avessero un
pregiudizio avrebbe potuto influenzare il giudizio finale in
questo caso. Il rapporto affermava “... non abbiamo trovato nessuno ai livelli
operativi nè nella DI, nè nella DO - tranne i due autori principali del
documento - che fosse d’accordo con la tesi avanzata dalla valutazione.~~
Così Robert GATES depose: “La Commissione ha due deposizioni
giurate di coloro che furono direttamente coinvolti nella preparazione del
documento, il Signor Lance HAIJS e la Signora Kay OLIVER. Le loro
deposizioni giurate asseriscono quanto segue. Che il documento esaminava
ambedue lati della tesi del coinvolgimento sovietico, che il documento fu
adeguatamente coordinato, e che la rimozione della cosiddetta nota
esplicativa, la redazione dei giudizi Principali e la redazione dei
memorandum di accompagnamento furono gestite da, e dietro iniziativa dei
livelli più bassi della CIA. Senza alcun ordine da parte mia.
“Penso che voi vi troviate di fronte a un contratto tra coloro con
esperienze di prima mano, direttamente coinvolti negli avvenimenti, e coloro
che hanno ascoltato i fatti di seconda mano. E credo che qui la differenza sia
che il Signor GOODMAN non era direttamente coinvolto e i due analisti che
hanno presentato delle deposizioni giurate a questa Commissione erano infatti
responsabili del progetto. Penso che sia lì la differenza...”
“Dissi a HAUS che CASEY era convinto del coinvolgimento sovietico
nell’attentato, ma che io ero agnostico, e mi aspettavo che lo fosse anche
lui . . .E fu questa la posizione che presi davanti a questa Commissione
quando deposi nel febbraio dell’83.”
“Il Signor HAUS riconosce di aver eliminato la nota esplicativa in
quanto non più rilevante ..., scrisse anche la lettera di trasmissione - una
lettera la quale, a proposito, non
dichiarava in modo inequivocabile o in nessun altro modo che i sovietici
erano direttamente coinvolti. In effetti, la lettera dice specificamente che
rimangono dei dubbi e probabilmente rimarranno sempre....
“Diversi partecipanti ricordano che fui io a suggerire di aggiungere la
parte del documento che si riferiva alle incongruenze, debolezze, anomalie e
vuoti nel caso a favore del coinvolgimento sovietico, e che ero preoccupato
per la necessità di un maggiore equilibrio...”
“Gli stessi partecipanti non ricordano alcun ordine da parte mia o di
qualsiasi altra persona sul settimo piano di costruire un caso contro i sovietici.
Piuttosto, il suggerimento, alla luce di nuovi rapporti, fu semplicemente di
guardare le prove tenendo presente la pista bulgara...”
“Non riscrissi i giudizi principali.”
“In base alle prove, le affermazioni che io avessi portato questo
documento alle sue conclusioni e lo avessi in seguito coscientemente
rappresentato in maniera distorta ai politici, sono false.”
Per quanto riguarda la nota di trasmissione:
“Devo credere alla parola del Signor HAUS sul fatto che la redasse lui
e non io. La firmai, questo sì . . .Presumo che tutte le lettere di trasmissione
fossero le stesse. Era la prassi normale quando una nota di accompagnamento
veniva allegata per inviare un documento particolare a diversi politici. Credo
sia importante notare, come ho indicato nella mia deposizione, che la nota di
trasmissione indicava anche che rimanevano dei dubbi, e probabilmente
rimarranno sempre. Essa affermava che il documento era un’analisi esauriente
e sono convinto che lo fosse. Credo che l’opinione degli autori sia che il
documento rimane tuttora la cosa più esauriente prodotta dall’Agenzia.”
“La cosa che mi preoccupava di tutta la faccenda - e chiaramente credo
che voi sappiate che le note di accompagnamento probabilmente avrebbero
dovuto indicare ciò che infatti era la più grossa lacuna del documento, cioè
che non esaminava a fondo tutte le alternative disponibili ... Ma in un certo
modo, quel documento rappresentava il culmine, come indica la ricerca, della
maniera poco efficace dell’Agenzia e della Direzione di affrontare il
problema dell’attentato al Papa fin dall’inizio.”
GATES rispose nel modo seguente alla domanda se la lettera di
trasmissione avrebbe dovuto sollevare più avvertimenti ai politici sul fatto che
esistessero altre alternative non comprese nel documento:
“Credo che probabilmente sia così. Ma aggiungerei che quando il
documento mi giunse veniva certamente rappresentato come pienamente
coordinato all’ interno dell’Agenzia. Quindi avrebbe rappresentato le migliori
opinioni dell’Agenzia. I membri della Commissione interrogarono GATES
sulla sua reazione al Rapporto COWLEY. In particolare, venne chiesto a
GATES perché non fece nulla per avvisare i politici che il Rapporto
CAWLEY aveva trovato delle lacune nel processo di valutazione. Nella sua
deposizione del 03 ottobre, GA7I7ES disse, “...la nota di trasmissione, come
ho indicato prima, diceva che rimanevano dei dubbi e probabilmente ci
sarebbero sempre stati”. GATES ammise di avere “delle preoccupazioni sul
procedimento”. Tuttavia, quando gli fu chiesto direttamente perché non prese
altri provvedimenti, o perché non avvisò i politici che le conclusioni originali
avrebbero potuto essere inesatte, GATES disse, “so che l’inclusione della
parte del documento sulle lacune nelle prove, le lacune e incongruenze in
generale, aveva messo i politici in
guardia sulle nostre preoccupazioni. La nota di trasmissione si riferiva ai
dubbi ancora esistenti: tuttavia GATES ammise che si riferiva ad una fonte
della nota di trasmissione, che indicava l’esistenza di dubbi rimanenti, ma che
affermava anche che la CIA aveva “lavorato” il problema intensamente, ed
era in grado di presentare i risultati “con un certo grado di sicurezza”.
Il 18 ottobre 91 la Commissione si riunì in seduta aperta per votare
sulla nomina. Con un voto di 11 a 4 la Commissione votò affinchè la nomina
venisse riferita al Senato in maniera positiva.
*****************
4.7.3. La figura di Paul HENZE.
Paul HENZE è un personaggio che emerge più volte nella presente
inchiesta. Egli è un funzionario della CIA ed ha prestato servizio nel periodo
a cavallo dell’attentato al Pontefice presso la stazione di Ankara. In tale veste
ha avuto contatti con gruppi dell’estremismo di destra e quindi con ogni
probabilità anche con l’organizzazione dei Lupi Grigi.
Come si vedrà è un punto di riferimento della nota giornalista Claire
STERLING e il suo nome appare anche nei carteggi dell’altrettanto noto
psicologo FERRACUTI, già dipendente SISDE.
Un biglietto da visita con il suo nome, il suo indirizzo a Washington e
suoi recapiti telefonici negli Stati Uniti é stato rinvenuto all’interno di una
agenda sequestrata ad un cittadino turco, all’interno della quale, sono risultati
annotati nominativi,
indirizzi e utenze di cittadini turchi e delle sezioni della Federazione turca nel
mondo.
Lo scrittore UGUR MUMCU nel suo libro su AGGA evidenzia che il
giornalista IPECKI, il giorno 13 gennaio 1979 ha avuto un incontro con
“l’americano Paul HENZE. . .HENZE, diplomatico americano, che é stato
consigliere del Consiglio di Difesa Nazionale, attualmente scrive nel Wall
Street Journal e nel Christian Science Monitor. Si suppone che HENZE ed
IPECKI abbiano parlato dei legami turco-americani. Prima di
questo thè-colloquio del 13 gennaio nell’albergo
Intercontinental, IPECKI aveva avuto un altro incontro con HENZE venerdì
30 luglio. Nell’agenda di IPECKI c’è scritto che il giorno 2 febbraio 1979 egli
ha avuto un colloquio con l’Ambasciatore USA, STRAUD HUPE.”
Riferimenti ad HENZE sono stati rilevati anche nella documentazione
della STASI. Il Servizio bulgaro, sempre nell’ambito della richiesta di aiuto
di cui si é già fatto cenno, aveva richiesto, con missiva del 13.03.84,
informazioni sul conto di Claire STERLING e Paul HENZE, ritenuti in stretti
rapporti con la CIA e responsabili di influenzare le autorità inquirenti italiane
con le loro pubblicazioni ed interviste. Con successiva missiva del 4 aprile
1984 la STASI comunicava al Servizio bulgaro le notizie in loro
possesso:”HENZE, Paul Bernard, nato il 29.08.24 a Redwood Falls, ha svolto
nel passato le seguenti attività: 1950-1951 Ministero della Difesa USA; 1952-
1958 Radio Free Europe (RFE), consulente politico; 1961-1968 Ministero
della Difesa USA; 1974-1977 Ambasciata americana ad Ankara, primo
segretario; 1977-1980 Collaboratore quadri del Consiglio di Sicurezza
Nazionale (NSC) USA. In base ad informazioni non ufficiali, il suindicato
(probabilmente a conclusione della
sua azione in Turchia) è stato nuovamente ad Ankara nel mese di luglio
del 1977. Si è saputo inoltre che nel mese di luglio del 1979, 1’HENZE,
in qualità di membro dei quadri del NSC, ha avuto dei colloqui (3 gg)
con alcuni dirigenti del RFE. Nel mese di settembre del 1980, ì’HENZE
ha partecipato in qualità di collaboratore dell’NSC ad un colloquio di
esperti della Fondazione Friedrich Ebert (FES)”. La nota conclude
affermando di non disporre di informazioni sul conto della STERLING.
Nella documentazione sequestrata alla defunta STERLING si
rilevano numerosi riferimenti ad HENZE. Entrambi risultano attivi nella
ricerca di informazioni sul conto di AGCA. Analogo attivismo si rileva
dalle carte sequestrate al defunto criminologo Franco FERRACUTI, tra
le quali è stata rinvenuta una missiva a firma di Paul HENZE, datata
“Washington 9 June 1984”, a lui diretta, con la quale richiede copia del
rapporto degli inquirenti sull’attentato al Papa, comunicandogli che la
STERLING stava continuando le sue ricerche e che egli stesso si era
recato in Turchia (dal 23 maggio al 1° giugno), acquisendo interessanti
elementi così come li avevano trovati nel corso del loro comune viaggio
in aprile.
AGCA parla di HENZE nel corso dell’interrogatorio del 10 agosto
95, allorquando forniva una nuova versione sull’attentato al Papa
dichiarando di aver agito da solo nel compiere l’attentato, e che la pista
bulgara era una menzogna suggeritagli dalla CIA tramite Francesco
PAZIENZA e Aldrich AMES, che si erano serviti della collaborazione di
Paul HENZE, della giornalista Claire STERLING e di Mike LEDEEN.
AGCA descrive Paul HENZE come capo della CIA ad Ankara, in
contatto con i Lupi Grigi. (v. interrogatorio AGGA 01.08.95).
4.7.4. La figura di Michael LEDEEN.
Tra le persone chiamate in causa da AGCA come suggeritori della pista
bulgara risulta anche il noto Mike LEDEEN del Center for Strategic e
International Studies della Georgetown University. LEDEEN, come si vedrà
più innanzi nella parte relativa alle deposizioni del prof. BRUNO, avrebbe
partecipato - stante alle dichiarazioni di quest’ultimo - alla creazione della
“Bulgarian Connection”, nata all’interno del “National Security Council”, di
cui facevano parte oltre allo stesso LEDEEN, la giornalista STERLING, il
Segretario di Stato HAIG, il capo della CIA CASEY, i noti BRZEZINSKI e
KISSINGER.
Il 14 maggio 1996 LEDEEN si presentava accompagnato dal difensore
di fiducia innanzi a questo Giudice Istruttore. Il medesimo, preso atto che a
seconda di quanto dichiarato da AGCA e dal prof. BRUNO egli avrebbe
partecipato alla elaborazione della c.d. “Bulgarian Connection” come matrice
dell’attentato al Pontefice, dichiarava di non lavorare “per alcuna istituzione
pubblica degli Stati Uniti”; precisava di essere uno studioso e di lavorare per
l’American Enterprise Institute”, di aver fatto parte, nel passato, del Centro di
Studi Strategici e Internazionali della Georgetown University e di aver
lavorato per il Dipartimento di Stato come assistente del Segretario di Stato,
HAIG; osservava di non essersi mai occupato, su incarico del Governo degli
Stati Uniti, dell’attentato al Papa, ma di aver letto solo articoli di stampa e di
aver scritto sull’argomento soltanto un articolo.
LEDEEN, preso però atto di essere sentito in veste di indiziato e che
per tale motivo aveva facoltà di astenersi dal rispondere, dichiarava di volersi
avvalere di tale facoltà e
pertanto si rifiutava di rispondere, manifestando di ritenersi ‘‘completamente
estraneo ai fatti’’.
***************
4.7.5. La risposta alle rogatorie 16.11.85 e 09.10.91.
Le questioni attinenti alla Central Intelligence Agency hanno formato
oggetto di altre commissioni rogatorie, cui le Autorità statunitensi hanno dato
nella maggior parte dei casi puntuali risposte, a volte positive altre negative,
nel senso che non v’era possibilità di rispondere.
Così come è accaduto per le domande su Paul HENZE descritto come
capo della CIA in Turchia. Questo il tenore di risposta: “Sulla base della
legge statunitense e secondo la prassi del Governo degli Stati Uniti, la Central
Intelligence Agency non conferma nè smentisce l’affiliazione e la presenza
all’estero dei presunti dipendenti o appartenenti a questa Agenzia” (v. risposta
della Central Intelligence Agency del 23.02.96).
Di tenore diverso le note concernenti documentazioni che vengono
trasmesse secondo richiesta, anche se con diversi omissis. (v. risposte della
Central Intelligence Agency del 27.02.96, 10.04.96 e seguenti).
Anche la richiesta su ALDRICH AMES è stata parzialmente evasa.
Secondo i documenti della Central Intelligence Agency AMES non risulta si
trovasse in Italia nell’ottobre 92 nè che si sia mai incontrato con AGCA. Lo
stesso AMES aveva dichiarato ai funzionari di polizia che quanto affermato
nella documentazione corrispondeva alla verità.
Quanto però all’esame diretto di costui, la CIA manifestava di non voler
prendere ulteriori provvedimenti in proposito. ( v. risposta della Central
Intelligence Agency del 01.04.1996)
*****************
4.7.6. L’informativa sul coinvolgimento dei Servizi sovietici e del
Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.
Secondo una nota del SISMI i Servizi statunitensi - non si specifica
quali - avevano ricevuto la segnalazione che i Servizi sovietici avevano
preparato l’attentato contro Giovanni Paolo Il in collaborazione con il gruppo
terroristico palestinese Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.
Questa notizia versata in un appunto del settembre 81 proveniva dalla
Delegazione Apostolica a Washington ed era stata ricevuta dal Servizio
alcune settimane prima della redazione dell’appunto. Secondo altra fonte -
riferisce sempre l’appunto in questione - il Governo degli Stati Uniti avrebbe
segnalato tempestivamente il fatto al Vaticano (Nota SISMI, 20 Divisione,
20.09.81).
Questa nota oltre a riportare in calce il numero e la classifica della
fonte, la vàluta di attendibilità A e indica come modalità di acquisizione della
notizia “da ambienti qualificato” e come accesso “per motivi di lavoro
Del fatto nessuno ha fatto menzione. La notizia non èassolutamente
generica; non proviene da un Servizio di terz’ordine; è comunicata con
tempestività al Vaticano. Conoscendola, ben altri sarebbero stati gli sviluppi
dell’inchiesta, ma nè autorità nazionali, nè di altri Paesi si sono sentite in
dovere di riferirla. Si deve ritenere che anche in questo caso si sia preferito
non rivelare il fatto per motivi di bassa politica. *********
Capitolo ottavo
Le Conclusioni
La brevissima rassegna - più che breve giacchè si deve ritenere che tutti
i Servizi, non solo quelli dei grandi Stati, ma anche quelli di secondo e terzo
rango, si siano occupati di un fatto così grave ed unico nella storia degli
ultimi secoli - degli operati dei Servizi mostra gli interessi che questi
organismi hanno nutrito sull’attentato al Pontefice, alcuni sin da prima che
accadesse, tutti gli altri a seguito dell’evento. Alcuni per stornare da se’ il
sospetto~ del mandato e del concorso nell’attuazione di quel vile progetto,
altri per riversare colpe sugli avversari. Tutti però con l’obiettivo di impedire,
una volta consumatosi il delitto, l’accertamento della verità e così agendo per
l’inquinamento dell’inchiesta e l’intossicazione degli inquirenti. Ma tant’è; e
nonostante la mitridatizzazione di questi ultimi, che sovente è riuscita a
smantellare teorie e imbeccate a destra e a manca, quelle entità son comunque
riuscite a distruggere prove vere, fabbricarne di false e chiudere la bocca a
tanti che conoscevano la verità.
_______________________
Parte quinta
Le intromissioni della criminalità
Capitolo primo
Le dichiarazioni di CALCARA Vincenzo
5.1.1. Premessa.
Una vicenda di siffatte dimensioni, quale quella in oggetto, non poteva
non attrarre, a diversi titoli, gli interessi della criminalità. Più persone
appartenenti ad organizzazioni criminali hanno riferito difatti e circostanze
inerenti al delitto in questione.
S’è trattato di collaboratori di giustizia veri e propri ed anche di altri
che si sono mostrati come “pentiti”. In questa parte si riferisce solo di coloro
le cui dichiarazioni sono apparse dotate di elementi di credibilità e per le quali
perciò sono state operate verifiche. Anche se, come si vedrà e come sempre
più spesso accade con i pentiti, con risultati quasi nulli.
************
5.1.2. Le dichiarazioni e le verifiche
Sin dal lontano febbraio del 1993 tal CALCARA
Vincenzo, già collaboratore di giustizia in procedimenti per delitti di mafia,
inizia a riferire alla Procura di Palermo di personaggi ed eventi, che
appariranno collegati con ambienti della Città del Vaticano e l’attentato al
Papa.
Riferisce in primo luogo di collegamenti tra un notaio operante in
Borgetto di Palermo, di cognome ALBANO, cavaliere dell’Ordine del Santo
Sepolcro ed uomo d’onore, e personaggi come VACCARINO, MESSINA
DANARO e l’onorevole CULICCHIA, coinvolti in inchieste sulle
organizzazioni mafiose della Sicilia occidentale. Ma sui particolari di questi
collegamenti e come essi portino, secondo
le dichiarazioni del CALCARA, ad ambienti vaticani, più oltre.
(v.interrogatori CALCARA, P.M. Palermo 11.02.93, 03.03.93, 24.03.93,
22.04.93).
Qui è opportuno esaminare quelle parti degli interrogatori che
concernono direttamente l’attentato del 13 maggio 1981. A tal delitto si
giunge attraverso la narrazione della soppressione di un cittadino turco. Così
CALCARA dichiara: “Nei primi giorni del maggio 1981 e precisamente
qualche giorno prima del sette maggio, data del compleanno del mio padrino
di cresima (CASESI Alberto) venne a trovarmi a Milano, insieme a Stefano
CANNATA, il VACCARINO il quale mi disse che di lì a poco dovevano
venire dei “Lupi della Turchia” e che sarebbe scoppiata una “bomba” in
Roma, e di tenermi pronto a scendere a Roma per prelevare due terroristi
turchi da accompagnare a Milano. E mi precisò che sarebbe stato il
LUCCHESE ad avvisarmi. Dopo circa otto giorni il LUCCHESE mi
comunicò che era giunto il momento di partire per Roma. E così il 12 maggio
1981 presi il treno per Roma.
Feci il viaggio durante la notte e la mattina giunto a Roma mi incontrai
alla Stazione Termini con FURNARI Saverio, SANTANGELO Vincenzo ed
un cittadino straniero (si trattava di persona che mi dissero di chiamarsi
ANTONOV e che aveva i baffi e lavorava presso l’ambasciata bulgara) il
quale doveva poi di pomeriggio portarci due terroristi turchi.
Dopo aver mangiato qualcosa ci separammo da ANTONOV con
l’intesa che più tardi ci saremmo visti in un luogo convenuto dove lo stesso
avrebbe condotto i turchi, luogo che allo stato non so indicare ma che penso
di saper ritrovare. Dopo qualche tempo in effetti ci incontrammo ma anziché
due cittadini turchi ì’ANTONOV ne accompagnò uno solo.
Quindi io unitamente a FURNARI Saverio, SANTANGELO Vincenzo
e il cittadino turco prendemmo il treno per dirigerci a Milano. Ivi giunti
l’indomani mattina, ci recammo a Paderno Dugnano ove mangiammo insieme
a LUCCHESE Michele. Nel pomeriggio FURNARI Saverio,
SANTANGELO Vincenzo ed il turco si allontanarono con una macchina
dell’impresa di LUCCHESE (era una 124 di colore chiaro). Quindi fecero
ritorno dopo qualche ora (erano circa le undici di sera) solo SANTANGELO
e FURNARI, i quali mi fecero presente di avere soppresso il cittadino turco
che, come ci aveva detto ANTONOV, era armato e teneva un’ arma con il
colpo in canna (lo stesso aveva un calibro 9). Quindi io insieme al
SANTANGELO e FURNARI mi recai in campagna, ove si trovava il
cadavere del turco e lo seppellimmo.
Secondo quanto mi raccontarono, il terrorista turco fu ucciso con colpi
d’arma da fuoco esplosi da una calibro 38 (si trattava di una 38 corta della
quale entrambi i killer erano muniti).
Furono esplosi quattro colpi che lo attinsero tutti nella testa. Quando io
giunsi sul luogo trovai il cadavere seminascosto. Provvedemmo quindi a
togliergli i vestiti e documenti che portammo via e bruciammo in un altro
posto. Il cadavere fu seppellito a circa due metri di profondità. Tale terrorista
era un giovane dell’apparente età di venticinque anni ed era alto circa un
metro e settanta.
Il luogo dove seppellimmo il cadavere si trova nella zona di Paderno
Dugnano in un luogo che non so indicare con precisione ma saprei ritrovare.
Ricordo che il terreno non era duro e che vicino si trovava una piantagione di
granoturco.”(v. interrogatorio CALCARA del 11.02.1993).
Qualche settimana dopo questa esecuzione CALCARA ricevette
spiegazioni da VACCARINO. Questi gli disse che a Roma si erano incontrati
Monsignor MARCINKUS, un cardinale, alcuni membri della Commissione di
Cosa Nostra, tra i quali Salvatore RIINA, Mariano AGATE e lo straniero di
cui sopra, cioè ANTONOV. In quella riunione era stata decisa l’eliminazione
del Pontefice e ciò perché quel Papa stava rompendo tutti gli equilibri politici
e economici. Così come per gli stessi motivi era stato eliminato Papa
LUCIANI. Il progetto di eliminazione prevedeva l’impiego di un terrorista
turco, proprio per impedire che emergesse il reale motivo dell’attentato. I
terroristi turchi erano sbarcati in Sicilia accolti da un uomo d’onore e
addestrati a loro cura. Dopo di che erano stati accompagnati a Roma. Il
progetto prevedeva sin dall’inizio l’eliminazione anche degli esecutori
dell’attentato.” (v. interrogatorio di CALCARA, 12.05.1993)
A distanza di quasi un anno la Procura della Repubblica di Palermo
trasmetteva alla Procura di Roma copia per estratto di questo solo verbale (v.
nota Procura di Palermo, 06.05.1994).
La Procura destinataria, P.M. in questo processo, girava
immediatamente il verbale , richiedendo indagini sull’attendibilità del
CALCARA e sulla veridicità dei fatti, ed inoltre che si accertasse se durante
l’arco di tempo tra l’interrogatorio in questione e la sua trasmissione a Roma
fossero state compiute indagini in particolare per individuare il luogo nella
zona di Paderno Dugnano, ove sarebbe stato seppellito il cadavere del turco
(v. richieste P.M., 13.07.1994).
Di conseguenza questo Ufficio richiedeva alla Procura di Palermo
copia di tutti gli interrogatori resi da CALCARA, sia in date precedenti al 12
maggio 1993, giacchè in questo verbale si faceva riferimento a dichiarazioni
rese in precedenza, sia in data successiva ove vi fossero state indicate
circostanze relative
all’attentato al Papa. Richiedeva altresì copia sia dei riscontri di P.G. che di
quelli effettuati da A.G.. Richiedeva infine in breve visione gli atti del
procedimento palermitano per accertare l’esistenza o meno di altri atti con
dati di utilità alla presente inchiesta. (v. nota G.I. 29.07.94).
In risposta la Procura di Palermo inviava stralci degli interrogatori
11.02,03.03, 24.03 e 24.04, dei quali già s’è detto ad inizio di questa partè (v.
nota Procura di Palermo, 04.08.94).
Questo stesso giorno iniziavano gli interrogatori di CALCARA da
parte di questo Ufficio. L’imputato, in primo luogo, precisava alcuni dati di
fatto. All’epoca lavorava all’aeroporto di Linate. Il viaggio a Roma, è il 13
maggio del 1981 - questa data è per lui indimenticabile, perché è il giorno
dell’attentato al Papa -. Dei due turchi che attendevano, se ne èpresentato uno
solo, perché, come ha poi saputo, l’altro era stato arrestato sulla piazza. Il
bulgaro, ì’ANTONOV di cui ha parlato nei precedenti verbali, era
l’Ambasciatore del suo Paese. I due turchi, secondo il programma
dell’operazione, dovevano essere uccisi subito dopo l’attentato.
Il Pontefice, ribadisce, doveva essere eliminato, perché “stava
rompendo gli equilibri, nuoceva, dava fastidio”. L’ordine, per questa missione
di morte, gli viene dato da LUCCHESE Michele nell’abitazione di costui ove
era stato convocato. Anche se esso CALCARA “principalmente” dipende da
VACCARINO Tonino. Scende a Roma con il treno. Alla stazione incontra
due uomini d’onore, cioè FURNARI Saverio e SANTANGELO Vincenzo. Il
tragitto a Roma lo ha già descritto alla Polizia, con cui ha fatto anche il
sopralluogo per le strade della capitale. Con loro era anche il quarto uomo, lo
straniero, “più basso di lui Calcara, non grosso, moro, con i baffi, capelli
scuri, occhi scuri”, che parlava benissimo l’italiano,
Ambasciatore o Console, ovvero l’Ambasciatore bulgaro; incontrato poco
dopo l’appuntamento con i due uomini d’onore, nei pressi della Stazione.
Dopo una colazione si separano da questo Ambasciatore - anche se non lo
dice esplicitamente - dal momento che si incontrano nuovamente “là dove ci
stanno gli angioletti, - si vedrà poi a cosa intenda riferirsi il CALCARA -, che
c’è un bar” e l’Ambasciatore appare con una macchina di grossa cilindrata di
colore nero. A bordo c’è già il turco, un turco.
Ritornati alla stazione, si riprende un treno per Milano. Da qui si va a
Paderno. Qui ci si separa: CALCARA va a casa di LUCCHESE; FURNARI e
SANTANGELO si allontanano. Di lì a poco ritornano i due uomini d’onore,
che chiamano il CALCARA per andare insieme nel luogo ove i due hanno
sparato al turco. Qui il cadavere viene spogliato ed interrato. La fossa la
scavano CALCARA e SANTANGELO, e la scavano di circa due metri. I
vestiti li bruciano lì nei pressi, così come i documenti del turco, tra cui un
passaporto. La sua pistola, una calibro 9, la ritirano gli uomini d’onore.
Spiega poi cosa intendesse per “angioletti”. E’ una sorta di
monumento, “e alla sinistra si attraversa una specie di ponte, che alla sinistra
c’era un bar, una casa, è li che io aspettavo”. Con grande fantasia si può
immaginare che si trattasse del Ponte Vittorio alle cui testate vi sono dei
gruppi con vittorie alate. Qui passa l’Ambasciatore ANTONOV con
macchina di grossa cilindrata, molto bella di colore nero, e il turco a bordo.
Al bar a sinistra del monumento con gli angioletti, l’Ambasciatore si ferma, fa
scendere il turco e si allontana. Così in pratica lo consegna a CALCARA e al
suo complice.
Costoro insieme al turco vanno subito alla stazione, ma CALCARA
non ricorda se con taxi o altro mezzo. E’ certo soltanto che in uno dei tragitti
ha usato il taxi . Alla stazione
“gironzolano” per un po’, perché il treno per Milano partirà la sera. Hanno
viaggiato in una normale vettura di seconda classe. L’indomani il turco è stato
per una parte del tempo con LUCCHESE e gli altri, per l’altra a casa di
CALCARA, che al tempo abitava da solo in un appartamento di amici di
LUCCHESE.
CALCARA quindi tenta di motivare sulle ragioni per cui egli semplice
“soldato” di Cosa Nostra, in una organizzazione siffatta cioè a
compartimentazione massima, venga messo a conoscenza della ideazione e
dei mandanti dell’attentato al Papa. Egli era il pupillo di VACCARINO e
questi era il cervello dalla famiglia mafiosa di Castelvetrano. Era quindi un
privilegiato perché stava alle dirette dipendenze di VACCARINO, “era un
onore e un orgoglio, e quindi non dovevo sottostare a nessun capo”. Era il
pupillo di VACCARINO; questi è stato il suo padrino di iniziazione e lo
aveva garantito per l’ingresso nella famiglia. “Quando c’è stato il giuramento,
la santina con la santuzza, la santina e l’indice del dito, mi ha bucato pure, le
gocce di sangue, il VACCARINO”.
Non sa dire, anche se ci ha parlato, se gli abbia detto se ANTONOV
fosse un bulgaro. Ma aggiunge che quanto gli fu detto da VACCARINO, gli
fu confermato da LUCCHESE. Non sa dire se FURNARI e SANTANGELO
fossero a conoscenza delle stesse notizie ed informazioni di cui egli era in
possesso. Anche perché non ha mai avuto modo di parlare con coloro che
vivevano ed operavano principalmente in Sicilia, mentre egli era stato
destinato nel Nord con un incarico delicatissimo presso l’aeroporto di Linate
alla dogana , cioè quello di far entrare in Italia la morfina base proveniente
dalla Turchia.
CALCARA ritorna poi sull’arrivo di AGCA in Sicilia. AGCA, come
s’è detto, non era solo. ANTONOV è colui che deve prendere in consegna
questi turchi. Ma allo sbarco in Sicilia vengono “ospitati” da Cosa Nostra, che
non solo li prende in consegna, ma li addestra e li prepara alla operazione. E’
un uomo d’onore che li accoglie e li porta dove dovevano essere tenuti e
istruiti.
Dei fatti non ha mai parlato ovviamente con nessuno, giacchè in tal
senso sono i regolamenti formali dell’Organizzazione, in tal senso una
disciplina così rigida, che se si sbaglia, si muore. Diverso tempo fa aveva
deciso di parlarne ai Giudici, volevo riferire a BORSELLINO, ma poi questi
fu ucciso dalla mafia, ed egli, tra i tanti processi a carico, fece trascorrere del
tempo sino al 93, quando si aprì su questo delitto alla Procura di Palermo.
Riferisce infine, su domanda del Pubblico Ministero, di un sopralluogo
già compiuto nei dintorni di Paderno Dugnano, al fine di rintracciare la fossa
del turco, con lo SCO, ma con esito negativo. E ragguagliando su tale ricerca
specifica anche le fattezze e gli indumenti del turco. Ma CALCARA in questo
interrogatorio non parla solo dell’attentato al Papa e dell’assassino del turco,
che fu consumato l’indomani a Paderno. Egli riferisce, come già aveva fatto
per sommi capi nei precedenti, anche degli incontri che avvennero a Roma
prima dell’esecuzione dell’attentato e ai quali già supra s’era fatto cenno. Qui
è più preciso.
Innanzi tutto parla del maresciallo dei Carabinieri con il quale
raggiunge la Sicilia in preparazione del viaggio a Roma. Questo sottufficiale,
Giorgio Donato, in strettissimi rapporti, a detta del Calcara, con il
LUCCHESE e il VACCARINO, persona corrotta nelle mani di Cosa Nostra,
doveva garantire per esso
CALCARA sorvegliato speciale, e in tal senso s’adopera procurandogli
una divisa da sottufficiale dell’Arma, divisa che
il CALCARA che lo usa per farsi delle fotografie, che poi serviranno per
formare un documento di riconoscimento.
Con questo maresciallo poi il CALCARA, accompagnato
all’aeroporto di Linate da LUCCHESE con la sua Alfetta turbo di colore
giallino, raggiunge in aereo la Sicilia. Qui ad attenderli all’aeroporto di
Palermo, c’era il VACCARINO con la sua 132 Mirafiori. L’indomani
mattina appuntamento presso l’abitazione di CICCIO MESSINA
DANARO. Qui si riuniscono diversi personaggi. Oltre il padrone di casa,
CALCARA e il maresciallo, Nino MAROTTA, VACCARINO, Stefano
CANNATA, capo della famiglia di Partanna, l’onorevole Enzo
CULICCHIA, Enzo LEONE, tutti noti alle inchieste siciliane sulla mafia.
Su un tavolo dell’abitazione ci sono due grosse valigie, una chiusa,
l’altra semiaperta, cosicché si può scorgere che contiene mazzette di
banconote da centomila. Viene detto che esse contengono dieci miliardi.
Al termine della riunione, in cui poco si parla, perché CALCARA
nulla riferisce, tutti lasciano l’abitazione di MESSINA DANARO meno
costui, e si dirigono a bordo di autovettura di grossa cilindrata verso
l’aeroporto. I personaggi detti più FURNARI Saverio, lasciate le valigie
per l’imbarco a persona di fiducia, salgono a bordo di un aereo per Roma.
Giunti nella capitale vengono prelevati da due “bellissime auto nere,
blu scure, una cosa del genere”. A bordo di queste vetture oltre l’autista, vi
erano “il Cardinale MARCINKUS e un altro prete”. All’arrivo dei
palermitani così si dividono. Le persone più importanti tutte in una
macchina: MARCINKUS, VACCARINO, CULICCHIA, LUZZURINO,
MAROTTA. Tutti
gli altri nella seconda macchina. Le due macchine raggiungono
l’abitazione del notaio ALBANO. I componenti della prima autovettura
salgono in quella casa; gli altri restano in strada. E vi restano per ore, sino
a quando qualcuno avvisa che sta per arrivare un taxi e che con questo
mezzo CALCARA e il maresciallo potevano raggiungere l’aeroporto e
prendere l’aereo per Milano. E così viene fatto.
“Questi soldi - così specificò CALCARA in un italiano non perfetto
- andavano a finire tramite la banca del Vaticano, che il responsabile per
questi soldi era MARCINKUS. Che questi soldi poi venivano investiti in
Sud-America, in Venezuela, nei Caraibi. Lì c’erano i CUNTRERA. I
CUNTRERA in Venezuela pure, è tutto un giro molto potente,
internazionale. Perché Cosa Nostra è internazionale. E niente, tramite ‘sta
banca, lì, cose sicure”.
E a proposito della connessione tra questo episodio e l’attentato al
Papa così ulteriormente specifica: “Dopo vengo a conoscenza, tramite il
VACCARINO e il LUCCHESE, ma più con il VACCARINO, che il Papa
stava rompendo, voleva rompere degli equilibri che c’erano. Perché lì si
tratta di interessi. E quando ci sono gli interessi di mezzo, non si guarda in
faccia a nessuno. Muore chiunque, anche un bambino se èpossibile, non si
guarda in faccia a nessuno... il rapporto con i soldi è un fatto specifico, un
fatto così, cioè questi soldi vanno a finire dentro la banca del Vaticano, il
Papa appartiene al Vaticano, comanda il Vaticano, dovrebbe comandare,
non so, sono investimenti, soldi riciclati come si dice riciclati, illeciti,
investiti in un modo sicuro tramite la potenza del Vaticano... il
collegamento è questo qua, che il Papa tocca gli interessi di Cosa Nostra...
me lo ha detto il VACCARINO che il Papa
toccava gli interessi e stava rompendo degli equilibri” (v. interrogatorio
CALCARA, del 04.08.94).
Il viaggio a Roma, nella memoria di CALCARA, si pone nel mese
di aprile di quell’anno e quindi a circa un mese dall’attentato al Pontefice.
(v. interrogatorio CALCARA, 04.08.94)
Nei successivi interrogatori CALCARA precisa circostanze
sull’ordine di venire a Roma, su ANTONOV, sul turco, sulla notizia
dell’attentato: “L’ordine di venire a Roma mi fu dato da LUCCHESE
Michele in questi termini “Deve scoppiare una bomba a Roma”. Devi
andare a Roma, ove alla stazione Termini al binario arriverà il tuo treno,
mi avrebbero atteso FURNARI Saverio e SANTANGELO Vincenzo.
LUCCHESE mi indicò anche il treno che avrei dovuto prendere. Era un
treno che partiva da Milano la sera ed arrivava a Roma la mattina
successiva; LUCCHESE non mi disse altro. Mi disse solo che
quest’ordine veniva da MESSINA DANARO e VACCARINO. Io ero
tenuto - sin dal momento in cui fui destinato a Milano a lavorare alla
Dogana per far entrare la droga - a tenermi a completa disposizione di
Lucchese e ad osservare ogni suo ordine. Io chiesi soltanto se si trattasse
di cosa importante o meno, ed egli per tutta risposta ribadì solo “Vedrai tu,
capirai, deve succedere una bomba”.
“Che la terza persona presentatasi alla Stazione Termini si
chiamasse ANTONOV e fosse Ambasciatore bulgaro, mi fu detto al
momento stesso della presentazione da FURNARI e da SANTANGELO.
Questi due mi dissero che era bulgaro, uomo dell’Ambasciata, di nome
ANTONOV. Ques’ultimo parlava in perfetto italiano. Devo aggiungere
che questa persona in seguito è stata arrestata e che Cosa Nostra ce la
stava mettendo tutta per farlo uscire. Questo personaggio a quanto ho
saputo dopo il suo arresto nell’ambito della “famiglia” di
Castelvetrano - ora non so precisare da chi, non ricordo se mi fu detto da
una o più persone della “famiglia” - era un personaggio importante per
Cosa Nostra. Non ho però mai saputo quali attività abbia posto in essere
Cosa Nostra per aiutare questo ANTONOV.”
“Quando ANTONOV è sopraggiunto nel pomeriggio al luogo nei
pressi del ponte con gli angeli, con un solo turco, io non feci domande sul
perché non ci fosse l’altro turco. Io sono un soldato e non dovevo fare
domande. Gli altri due che erano con me erano uomini d’onore, superiori a
me. FURNARI e SANTANGELO erano divenuti uomini d’onore da più
tempo di me ed avevano ruoli più importanti di me. Nemmeno questi altri
due fecero domande sul mancato arrivo di questo turco. Sicuramente
ANTONOV con una parola o due ha dato spiegazioni sulla mancanza del
secondo turco. FURNARI èstato il primo ad avvicinarsi ad ANTONOV e
quindi hanno potuto scambiarsi parole tra di loro. D’altra parte i rapporti
erano tra ANTONOV e FURNARI e SANTANGELO, come era già
accaduto alla stazione Termini ove li trovai tutti e tre insieme. Io ricordo
che ANTONOV, venne con una macchina “grossa” e di colore scuro, cioè
nera o blu scuro. La guidava personalmente. Non so precisare il tipo,
perché io di macchine non me ne intendo. Non mi ricordo se ho fatto caso
alla targa.”
“Il turco durante il viaggio ha detto solo pochissime parole in uno
stentato italiano. Ha detto “grazie” quando gli abbiamo dato delle cose da
mangiare in un cestino comprato alla stazione e il caffè quando lo abbiamo
comprato durante il viaggio; quando ci ha chiesto l’ora. Non ricordo se ci
ha detto come si chiamava. Indossava una giacchetta, ma altro non ricordo
sul suo abbigliamento. Aveva i capelli corti di colore scuro “nero un po’
impastati” proprio come un turco. Per “impastatati” intendo un colore
scuro come se fossero sporchi.
Era di corporatura normale sul magro. Era alto più o meno come me, che
sono un metro e settantasei. In mano aveva una sorta di rosario che
sgranava di continuo. Io dissi tra me e me “Quante preghiere si dice
questo”. Non vidi se aveva soldi. Devo però precisare che dopo la sua
uccisione notai che FURNARI venne con un “mazzone” di banconote in
mano. Erano banconote italiane. FURNARI commentò al riguardo “Era
bello provvisto”. Proprio in questa occasione notai anche la giacca, che
insieme agli altri indumenti erano stati portati un po’ più lontano per
essere bruciati. Il “mazzone” di banconote fu intascato da FURNARI.
Infine redige uno schizzo planimetrico dei luoghi ove fu sepolto il
turco. (v. interrogatorio CALCARA, 03.11.94).
“Venni a conoscenza dell’attentato al Papa solo l’indomani, quando
raggiungemmo il LUCCHESE. Al termine del viaggio io sono andato a
casa mia. Dopo qualche tempo, intorno alle 11.30 sono andato a casa di
LUCCHESE, ove già si trovava il maresciallo DONATO. I due parlavano
di cose loro, perché erano grandi amici. A un erto punto LUCCHESE
disse rivolto a me “Hai saputo, hanno attentato al Papa”. Il maresciallo
intervenne nella discussione, ma mi è sembrato che egli non sapesse nulla.
Il maresciallo aveva un giornale. Si disse che era stato preso un turco.
Ricordo che uno dei due disse pure che questo turco aveva corso il rischio
di essere linciato, ma non so dire chi riportò questa notizia. Devo pure
precisare che questo episodio non riesco a collocarlo bene; potrebbe essere
avvenuto sia il giorno del nostro ritorno che l’indomani, dopo l’uccisione
del turco. Di sicuro non si parlò mai del turco portato a Paderno Dugnano
al maresciallo o in sua presenza. Egli era un corrotto, ma non faceva parte
dell’Organizzazione. LUCCHESE e VACCARINO “ce lo avevano sotto”
ed egli
arrivava solo sino ad un certo punto”, ovviamente nella conoscenza dei
fatti della nostra Organizzazione. Io dopo avere appreso dell’attentato al
Papa ho immediatamente collegato il turco da noi portato a Milano con
l’attentato. Ne ho parlato due o tre giorni dopo con il LUCCHESE
chiedendogli “Questa era la bomba di cui parlavi?”. Ed egli “Perché non
lo hai capito da solo?”. Siamo tornati sull’argomento per una volta buona,
cioè ne abbiamo parlato a lungo. Fu in questa occasione che il
LUCCHESE mi ha detto che il Papa aveva rotto degli equilibri. Ne ho
parlato in seguito anche con il VACCARINO, il quale èstato molto più
preciso. Fu lui a dirmi che si erano riuniti elementi della Cupola
palermitana, tra cui ricordo Mariano AGATE e zù TOTO’, ed elementi
dell’Ordine del Santo Sepolcro, come il notaio romano di cui ho parlato.
Molti uomini d’onore sono iscritti a questo Ordine del Santo Sepolcro,
certo uomini d’onore di spicco, e non semplici soldati. Mi fu detto che
anche MARCINKUS faceva parte di quest’ordine. Mi fu spiegato che il
Papa voleva fare dei cambiamenti, che avrebbero danneggiato non solo
ambienti del Vaticano, ma anche interessi di Cosa Nostra. Ambienti del
Vaticano ovviamente corrotti e collusi con Cosa Nostra.” (v. interrogatorio
CALCARA, 04.11.94).
Nonostante tre accuratissimi sopralluoghi compiuti con l’ausilio
dello stesso CALCARA - a prescindere dalle attività precedenti poste in
essere dalla Procura di Palermo - nessun cadavere, tanto meno quello del
turco, è stato rinvenuto (v. ispezioni 21.11; 03 e 06.12.93).
_______________________
Capitolo secondo
L’intervista di PANDICO Giovanni
5.2.1. Le dichiarazioni e le verifiche.
Altra vicenda in cui appaiono tentativi di inquinamento di prove
dell’inchiesta mediante la ricostruzione della cd. pista bulgara è quella
riferita in un articolo dell’Espresso del 23 giugno 1985, dal titolo “Cella
con Servizi” e a firma di Pietro Calderoni, in cui viene riportata una
intervista al detenuto Giovanni PANDICO su una serie di episodi avvenuti
nel carcere di Ascoli Piceno nei mesi di marzo ed aprile dell’82.
PANDICO, noto esponente della Nuova Camorra Organizzata,
aveva dichiarato al giornalista, che egli e CUTOLO Raffaele - altrettanto
noto capo di quella NCO -erano riusciti a far dotare la cella di MEHMET
ALI’ AGCA, ristretto nel carcere di Ascoli Piceno dall’agosto 81, di
moquette e televisore e gli avevano fornito altresì dei testi in italiano
perché imparasse la lingua. AGCA all’epoca non conosceva la nostra
lingua, era del tutto isolato in condizioni di abbandono, privo di vestiario e
in uno stato di profonda prostrazione.
L’interessamento di CUTOLO e PANDICO si inquadrava in un
progetto di utilizzazione del turco quale killer all’interno del carcere per
conto della camorra.
In quel tempo era giunta notizia ai camorristi che il Ministero di
Grazia e Giustizia aveva deciso il trasferimento di CUTOLO dal carcere di
Ascoli Piceno a quello dell’ASINARA. Cinque o sei giorni prima di detto
trasferimento, previsto per il 2 marzo 1982, PANDICO seppe dal direttore
del carcere Cosimo GIORDANO - il quale, gli disse, di averne avuta
notizia da un ufficiale dei Sevizi Segreti - della esistenza di un piano per
l’uccisione del boss di Ottaviano, che sarebbe stato attuato nel corso del
trasferimento. Avvalendosi dei contatti stabiliti nel corso delle trattative
per la liberazione di Ciro CIRILLO e della
mediazione dell’avvocato Enrico MADONNA, accusato di appartenere
alla N.C.O., vennero contattati Francesco PAZIENZA e il generale Pietro
MUSUMECI.
Verso le ore 20.00 di lunedì I marzo 1982 il generale Pietro
MUSUMECI si recò al carcere di Marino del Tronto in Ascoli, ove ebbe
luogo un incontro con PANDICO e con CUTOLO che si protrasse fino a
notte fonda, nel corso del quale si impegnò a differire di due settimane il
trasferimento, come richiesto dai camorristi, pretendendo come
contropartita di aiutarlo a “far pentire” AGCA.
Nell’occasione il generale recava un documento, una sorta di
verbale, in cui si faceva riferimento all’Unione Sovietica ed alla Bulgaria e
su cui erano elencate una serie di motivazioni, che il turco avrebbe dovuto
addurre per rendere credibili le sue dichiarazioni. All’incontro erano
presenti anche il maresciallo GUARRACINO degli agenti di custodia ed il
cappellano del carcere Mariano SANTINI.
I camorristi accettarono le condizioni poste dal MUSUMECI e,
immediatamente, MEHMET ALI’ AGCA venne condotto nella stanza ove
si stava svolgendo il summit e convinto dei vantaggi che gli sarebbero
derivati dal suo pentimento.
Allontanatosi il generale, PANDICO ed il cappellano continuarono
l’indottrmnamento del turco per il resto della notte e durante il giorno
successivo; giorno in cui sarebbe tornato al carcere lo stesso MUSUMECI
questa volta in compagnia di Francesco PAZIENZA (al primo ingresso il
generale era accompagnato da altra persona sconosciuta).
La proroga del trasferimento del CUTOLO fu concessa secondo gli
accordi e, nonostante la RAI avesse trasmesso il giorno 2 marzo 1982 la
notizia dell’avvenuto trasferimento,
questo in realtà avvenne domenica 18 aprile 1982 alle ore 9 del mattino.
PANDICO sottolinea che esso venne eseguito in ore diurne su loro
espressa richiesta e non di notte, come era previsto originariamente. A
domanda dell’intervistatore, PANDICO afferma che i quindici gironi di
proroga erano stati richiesti per avere il tempo di mettere in allarme tutti i
camorristi detenuti, i quali, nell’eventualità di un agguato a CUTOLO nel
corso del trasferimento, avrebbero dovuto attuare un vasto piano di rivolta.
Sempre su sollecitazione del CALDERONI, PANDICO riferisce,
infine, che MUSUMECI si recò di nuovo nel carcere di Ascoli Piceno
verso la metà di aprile e, per sottolineare la buona riuscita del loro
accordo, disse: “Ognuno ha avuto il suo tornaconto”.
Nell’intervista a L’Espresso, PANDICO sottolinea che venne
chiesta ed ottenuta la dilazione del trasferimento di due settimane rispetto
alla data prevista del 2 marzo 1982. Lo stesso PANDICO ricorda che tale
trasferimento avvenne quindici giorni dopo cioè domenica 18 aprile 1982.
La data corrisponde a quella dell’effettivo movimento ma cade quasi sette
settimane dopo. Vero è che tale discrepanza potrebbe essere attribuita ad
un mero lapsus; ciononostante essa appare degna di essère segnalata e
registrata.
**************
5.2.2. Le requisitorie del P.M. del dicembre 85
“Negli ultimi giorni dell’aprile 1982 attraverso la direzione del
carcere di Marino del Tronto, MEHMET ALI’ AGCA chiese di conferire
con il Giudice Istruttore Dott. Ilario MARTELLA. Il primo maggio egli
avrebbe iniziato a rivelare i retroscena del complotto internazionale
finalizzato all’uccisione del Papa, orientando decisamente l’istruttoria
verso la cd. pista bulgara.
Deve essere rilevato come il coinvolgimento dei servizi segreti
bulgari nell’attentato era già stato ipotizzato in un dossier pubblicato a
firma Eugene MANNONI sul settimanale parigino “Le point” alcuni mesi
prima, il 14 dicembre 1981.
La cd. bulgarian connection esplode sulla stampa internazionale
negli ultimi mesi del 1982. Secondo autorevoli quotidiani la
collaborazione di AGCA inizia il 29 dicembre 1981, quando due
appartenenti ai servizi segreti italiani lo incontrano presso il carcere di
Ascoli Piceno. Questo rapporto si sarebbe protratto per alcuni mesi e
sarebbe culminato con il riconoscimento fotografico da parte del turco,
dinanzi all’A.G., di due cittadini bulgari.
Già in quel periodo peraltro alcuni dubbi sulla veridicità delle
affermazioni di AGCA vengono avanzati da più parti. Nell’anno
successivo certa stampa avanza la ipotesi di una artificiosa costruzione
della “pista bulgara” da parte di appartenenti a servizi segreti.
Il processo ai cittadini di origine turca e bulgara (i turchi quali
appartenenti alla organizzazione denominata “Lupi grigi”) chiamati in
correità da MEHMET ALI’ AGCA, si apre a Roma il 27 maggio 1985
sotto i riflettori di tutti gli osservatori della stampa nazionale ed estera.
Dall’analisi della fase iniziale di questo dibattimento gli organi di stampa
hanno più volte
tratto lo spunto per sottolineare presunte contraddizioni e inesattezze
emerse nelle dichiarazioni accusatorie AGCA. In tale contesto vanno
collocate quindi le affermazioni rese al giornalista CALDERONI
dell’Espresso dal PANDICO in data 13 giugno 85 (data dell’intervista
rilasciata nel carcere di Campobasso).
La Procura di conseguenza compì i dovuti accertamenti mediante
indagini delegate di P.G. ed esami ed interrogatori di oltre venti persone,
tra cui oltre CALDERONI e PANDICO, il Ministro Clelio DARIDA, i
magistrati del Ministero, AGCA, CUTOLO, il Gen. MUSUMECI. La
Procura con nota dell’lì luglio 85 dava incarico al Nucleo Centrale
Anticrimine della Direzione Centrale della Polizia Criminale di svolgere
una serie di accertamenti propedeutici, sfociati in un rapporto datato 12
settembre 85, successivamente integrato da altre acquisizioni.
Il 18 luglio 85, avviati i complessi riscontri ed i riferimenti
circostanziati onde evidenziare la affidabilità della versione del
PANDICO, egli veniva interrogato ai sensi dell’ art. 348 bis c.p.p. nel
carcere di Campobasso. In tale sede il PANDICO ebbe a confermare la
sostanza dell’articolo già confermata dallo stesso estensore, corroborando
(o tentando di corroborare) la sua ricostruzione con la produzione di taluni
documenti che avrebbero dovuto, nelle sue intenzioni, ancorare anche
temporalmente gli accadimenti. Ebbe anche a riferire di un presunto
“pentimento” di CUTOLO, mettendosi a disposizione della Giustizia per
ogni tipo di atto istruttorio che avesse dovuto rendersi utile. Fornì nella
circostanza la fotocopia di una lettera datata 28 gennaio 1982, inviata al
giornalista DE GREGORIO nonché una sorta di testamento spirituale del
CUTOLO con data 26 marzo 1982 indirizzato al figlio Roberto; atti, a suo
dire, significativamente utili, il primo a fissare nel
tempo l’epoca della conoscenza da parte della camorra di CUTOLO
(N.C.O.) del disposto trasferimento del CUTOLO, il secondo a
manifestare preoccupazioni dello stesso CUTOLO sulla sua incolumità
personale. La lettura di tale materiale comunque nulla di oggettivamente
riscontrabile (a parte ogni valutazione sulla sua attribuibilità) offre alla
analisi istruttoria. Il 23 agosto 1985 l’Ufficio Istruzione di Ascoli Piceno
trasmetteva, a mente dell’art.165 bis C.p.p., una informativa datata
14.11.84 della stazione C.C. di Venarotta su cui si tornerà in seguito.
Con il R.G. datato 12 settembre 85 (già sopra indicato) la Polizia
del Nucleo Centrale Anticrimine riferiva gli esiti dei disposti accertamenti.
In particolare tale organo aveva identificato ed escusso il personale in
servizio presso il carcere di Marino del Tronto all’epoca dei fatti nonché i
detenuti ristretti in quel torno di tempo nel detto istituto.
Veniva altresì acquisita la documentazione relativa ai lavori
effettuati all’interno della cella in cui era ospitato il turco ALI’ MEHMET
AGCA. Detti lavori sono consistiti nell’installazione di una telecamera
collegata ad un impianto TV a circuito chiuso e nella costruzione di una
gabbia metallica intorno al lato esterno della cella. Dalla stessa ditta, nel
febbraio 82 è stata effettuata la ristrutturazione di una cella attigua a quella
del turco, con la installazione di materiale assorbente ed ignifugo alla
pareti e al pavimento, al fine di adibirla a sistemazione temporanea di
detenuti esagitati. In entrambi i casi i lavori vennero eseguiti dalla impresa
SPALVIERI di Ascoli Piceno.
Sono stati anche visionati i notiziari trasmessi dalle tre reti
televisive di Stato relativi alla data del 2 marzo 1982, con esito negativo.
Sono state altresì condotte ricerche presso l’archivio elettronico della RAI
per il periodo marzo/aprile
1982, con esito, anche in tale caso, negativo. Presso la direzione
dell’Asinara è stata acquisita copia autentica del fascicolo personale del
CUTOLO. Dai competenti uffici del Ministero della Giustizia è stata
fornita copia della parte del fascicolo del CUTOLO attinente al suo
trasferimento dal carcere di Marino del Tronto a quello dell’Asinara.
L’esame nello specifico di tale ultimo incartamento fa emergere in
particolare: che in data 25 febbraio 82 il Ministro dell’Interno con propria
nota sollecitava al Ministro della Giustizia il trasferimento del CUTOLO
dal carcere di Ascoli per quello dell’Asinara; che sulla base ditale nota il
Ministro della Giustizia predisponeva, all’esito della opportuna istruttoria
della pratica, il movimento del detenuto con propria disposizione datata 17
marzo 82 (fono riservato n.3774/316908) ;che in data 18 marzo 82
(giorno, sia detto per inciso, della pubblicazione del noto articolo a firma
Marina MARESCA su L’Unità, riguardante l’affaire Cirillo) il Ministro
della Giustizia disponeva “l’inopportunità allo stato del trasferimento di
CUTOLO”; che il 19 marzo 82 il provvedimento di trasferimento veniva
restituito dalla direzione del carcere di Ascoli mediante corriere speciale;
che in data 08 aprile 1982. (fono riservato 4786/330418) veniva disposto il
trasferimento del CUTOLO (movimento effettuato il successivo 18 aprile
82).
Il giorno 1 ottobre 1985 veniva spedita al gen. Pietro MUSUMECI,
ristretto presso il carcere militare di Forte Boccea, comunicazione
giudiziaria ipotizzante il delitto di interesse privato ex art.324 c.p..
In data 9 ottobre 1985 veniva ascoltato in qualità di teste il dr.
Antonino VINCI, all’epoca dei fatti capo della Segreteria di sicurezza del
Ministro della Giustizia, circa le ragioni della
sospensione del trasferimento del CUTOLO. Il giorno 12 ottobre 85 era
poi escusso il dr. Giuseppe FALCONE, direttore dell’Ufficio 30 della
Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena e il giorno 14
ottobre 1985 il dr. Ugo SISTI, già direttore generale della detta Direzione
Generale.
Tali esami erano tendenti ad acclarare i motivi del richiamato
differimento del movimento di CUTOLO e consentivano di appurare
come le preoccupazioni del Ministero fossero segnatamente rivolte alle
specifiche condizioni di sicurezza (interna ed esterna) della operazione e
della custodia del CUTOLO.
In data 24 ottobre 1985 era quindi ascoltato il Dott. Cosimo
GIORDANO, già direttore del carcere di Ascoli Piceno.
Indi, il 29 ottobre 85 in Ascoli veniva ascoltato ai sensi dell’art. 348
bis c.p.p. tale SANTINI Mariano già cappellano del carcere di Marino del
Tronto; in pari data, ma in Macerata, veniva escusso il brig. SAMPAOLO
Vincenzo in servizio il giorno 1 marzo 1982 alla sezione speciale del
carcere di Ascoli, il quale, secondo le dichiarazioni di PANDICO, avrebbe
provveduto ad accompagnare il PANDICO medesimo al colloquio con il
generale MUSUMECI.
Il giorno successivo in Milano, veniva poi sentito in base all’art.348
bis c.p.p. il GUARRACINO Franco, già vicecomandante degli Agenti di
custodia dell’Istituto ascolano. Il 31 ottobre 1985, in Roma, veniva
interrogato con le garanzie dell’indiziato a mente dell’art.348 bis c.p.p. il
turco MEHMET ALI’ AGCA. In data 6 novembre 1985 era escusso quale
teste all’Asinara il Dott. Francesco MASSIDDA, direttore del detto
carcere sin dall’epoca del trasferimento alla diramazione Fornelli del
CUTOLO e subito dopo, ma quale indiziato ex art.324-110 c.p. in
concorso con il gen. MUSUMECI, il noto Raffaele CUTOLO.
Il giorno 15 novembre 1985 veniva sentito in qualità di teste il
m.llo dei Carabinieri PICCIANI Pietro in merito alle circostanze poi
riferite con la nota già sopra richiamata a firma del m.llo BARBERINI
Erminio datata 14 novembre 84 circa la presenza in territorio di Ascoli del
gen. MUSUMECI il giorno 28 agosto 81, e cioè a pochi giorni dal
trasferimento nel carcere di Ascoli dell’attentatore del Papa, AGCA.
Lo stesso 15 novembre 85 veniva ascoltato presso il Ministero delle
Partecipazioni statali l’on. Clelio DARIDA, nel marzo/aprile 1982
Ministro della Giustizia.
Il 18 novembre veniva quindi interrogato quale indiziato di reità il
gen. Pietro MUSUMECI; mentre il 20 novembre 85 veniva resa
deposizione testimoniale dal m.llo BARBERINI.
Nel frattempo in data 26 settembre 85 era stato riunito al presente
procedimento un fascicolo proveniente dalla Procura di Campobasso
contenente dichiarazioni rese a quella Autorità dal noto MELLUSO
Giovanni, imputato per l’appartenenza alla N.C.O. di CUTOLO,
dichiarazioni con le quali si mettevano in dubbio le affermazioni del
PANDICO.
L’esame dell’incarto processuale come sopra costituito consente a
quell’ inquirente le seguenti considerazioni. Anzitutto va evidenziato
come la versione di PANDICO si riveli assolutamente isolata rispetto alle
acquisizioni testimoniali ed a tutte le altre voci processuali. In sostanza né
dal personale di custodia né dalla popolazione detenuta nel carcere di
Ascoli né dai diretti interessati alla vicenda sono venuti elementi di
conferma, di riscontro o di asseverazione alle affermazioni fatte dal
PANDICO.
In conclusione, afferma quel P.M. - e le sue conclusioni saranno
condivise da questo Ufficio -: che la versione del
PANDICO non trova riscontri, ma “purtuttavia sussistono nel
procedimento tre circostanze che meritano attenzione in senso di
riferimento sia pure non immediato alle affermazioni del PANDICO, che
la versione del PANDICO non trova riscontri nuovi
Anzitutto va analizzata la circostanza della presenza del
MUSUMECI in data 28 agosto 1981 in territorio di Ascoli. Su tale -
circostanza, negata dall’indiziato, si è sviluppata una approfondita
indagine istruttoria che porta, con ragionevole approssimazione, a
concludere nel senso opposto a quanto detto dal MUSUMECI. “Non vi è
infatti alcun motivo apprezzabile per dubitare della buona fede e del sicuro
ricordo del M.llo BARBERINI, il quale ha affermato di aver appreso della
circostanza direttamente dal pari grado PICCIANI Pietro, che con il
MUSUMECI avrebbe avuto contatto personale la mattina del 28 agosto 81
nel corso di un normale servizio di pattugliamento stradale.
Tale circostanza va segnalata debitamente dal momento che anche
da altri atti acquisiti emerge come l’orientamento per una pista “dell’Est”
nell’attentato al Papa era presente nel nostro Servizio Segreto Militare
(SISMI). Illuminanti a tal proposito due informative SISMI datate
rispettivamente 14 e 19 maggio 81, dalla lettura delle quali un tale
orientamento basato su “fonti molto attendibili” pare evidenziarsì.
Sicché un contatto tra un alto esponente del SISMI, quale il gen.
MUSUMECI ed il turco attentatore del Papa poteva porsi nella delineata
prospettiva. Tale circostanza poi pare ventilata dallo stesso PANDICO il
quale in sede di interrogatorio manifesta la sua impressione che ì’AGCA
ed il MUSUMECI avessero avuto modo già in precedenza di entrare in
contatto.
Sempre sullo stesso tema va peraltro considerato come dagli
accertamenti svolti il gen. MUSUMECI risulta “di fatto”
allontanato dal SISMI fin dal 13 giugno 1981. Tale evenienza comunque,
a parte la non sufficientemente definita situazione di possibili agenti
esterni o non-organici ai Servizi di sicurezza, non manifesta in toto la sua
validità (escludente), sol che si consideri come il ruolo all’interno del
SISMI già del gen. MUSUMECI verme occupato dal col.BELMONTE,
coimputato per gravi fatti di disarticolazione istituzionale con il detto
MUSUMECI e con il medesimo recentemente condannato in primo grado
dalla 5 A della Corte d’Assise di Roma.
In punto di valutazione probatoria però l’epoca del fatto (28 agosto
81) si colloca a troppi mesi di distanza rispetto al presunto dispiegato
intervento presso il carcere di Ascoli nei confronti AGCA per potersene
inferire più di un generico sospetto.
Il fatto storico, documentalmente e testimonialmente
incontestabile, e più aderente alle prospettazioni accusatorie svolte dal
PANDICO, è la avvenuta sospensione del movimento del detenuto
CUTOLO.
Non può non stupire infatti l’intervento in prima persona del Ministro
della Giustizia, teso a differire ad altra data per ragioni di “inopportunità”
il disposto trasferimento di CUTOLO da Ascoli all’Asinara.
Le emergenze istruttorie su tale fondamentale aspetto della vicenda
all’esame farebbero propendere per generiche ragioni di sicurezza insite e
connaturate con il difficoltoso movimento del noto detenuto.
Senonché a tal proposito il tentativo degli organi ministeriali
dell’epoca di far ricadere sulle sollecitazioni del direttore del carcere
ricevente nella persona del dott. MASSIDDA le motivazioni della
sospensione trovano smentita nelle dichiarazioni del citato funzionario, il
quale venne avvisato della operazione, pochi giorni prima che questa
avesse
effettivamente luogo. Sicché correttamente può concludersi che la
decisione del differimento fu esclusivo frutto di valutazioni ministeriali, le
cui motivazioni sottostanti non si mostrano sufficientemente appaganti.
Certo anche qui non esulano motivi di perplessità, dal momento che
non pare arduo ipotizzare che il PANDICO abbia potuto costruire sulla
base della avvenuta conoscenza, per oscuri canali (forse lo stesso
CUTOLO o altri), dello slittamento del movimento, tutta la riferita
prospettazione dell’episodio. Anche sul punto e cioè sul perché del
comportamento tenuto dal PANDICO non è possibile alcun proficuo
approfondimento in termini di chiarificazione.
Va comunque sottolineato che anche negli atti prodotti dal PANDICO
nessun neppur vago accenno viene fatto alla trattativa poi rivelata dal
PANDICO. E la cosa è sintomatica trattandosi del cd. testamento
spirituale del CUTOLO, come tale indirizzato al figlio.
Un terzo riferimento va posto in luce. Si tratta dell’effettiva
presenza in servizio del brig. SAMPAOLO (ricavata dalle disposizioni
interne del carcere di Ascoli) il giorno l° marzo 82. Tale emergenza
processuale, riconducibile peraltro alla puntuale conoscenza dimostrata dal
PANDICO circa la strutturazione interna del carcere di Ascoli (teatro di
avvenimenti tuttora poco chiariti), non si mostra né particolarmente
significativa né fondatamente tranquillante, tanto da potersene inferire più
che un labile indizio di riferimento alle dichiarazioni del PANDICO.
Da quanto sopra, emerge, in conclusione il convincimento di questo
Ufficio di non poter trarre una ricostruzione processualmente appagante
della vicenda. Ciò sia per la
discutibile posizione del “dissociato” PANDICO in veste di collaboratore
attivo della Giustizia, sia per mancanza di sicuri indici di ancoraggio alla
tesi da lui proposta.
In diritto va poi osservato: se pure si desse per provato tutto quanto
affermato dal PANDICO, si palesano forti dubbi sulla ricomprensione dei
fatti in una fattispecie penale definita.
In particolare si potrebbe, in tesi, profilare secondo lo schema
dell’art. 48 c.p. (errore determinato dall’altrui inganno ovvero del cd.
autore mediato) un caso di interesse privato negli atti del Ministro della
Giustizia (identificabili nell’atto di sospensione del trasferimento ottenuto
attraverso la prospettazione da parte del MUSUMECI di ingannevoli
ragioni di sostegno e quindi in definitiva, traendosi in inganno gli organi
ministeriali indotti alla sospensione, perché influenzati dalle non veritiere
ragioni addotte. Il MUSUMECI non avrebbe rappresentato (ragioni
incoffessabili e consistenti nel patteggiamento con il CUTOLO).
Un più attento esame fa individuare semmai un interesse privato
non già nel non-illecito, di per sé, differimento, bensì proprio nelle false
rappresentazioni fatte dal MUSUMECI; e quindi intravedere in queste
ultime un atto d’ufficio viziato da interesse.
Ma anche tale costruzione trova un ostacolo, giuridicamente insuperabile,
nella uscita dal SISMI del MUSUMECI, che ha perciò solo perso (dal
15.11.81) la qualifica di pubblico ufficiale. Per cui non può che trarsi la
determinazione ultimativa di questo procedimento nel senso della richiesta
di archiviazione degli atti con decreto ; e ciò per un duplice ordine di
motivi.
Quanto ai fatti, non può che dirsi probatoriamente non dimostrata la
fondatezza delle dichiarazioni rese dal PANDICO giacché non paiono
sufficienti gli elementi ab esterno rispetto
alle dichiarazioni raccolte nel corso della istruttoria; i riferimenti indiretti
sopra riportati non si pongono infatti come concludenti e validi.
In punto di diritto comunque la rappresentazione dei fatti, sia pure
nella non accettata ricostruzione operata dal PANDICO, non sembra
attagliarsi ad alcuna fattispecie giuridica prevista dall’editto penale.
Un’ultima considerazione va svolta sulla ipotizzabilità, nel caso di
specie, di una evenienza di calunniosità contenuta nelle affermazioni cd.
accusatorie del PANDICO. Anche su tale corno del problema trovano
spazio e richiamo le argomentazioni già esplicitate, poiché può
fondatamente allegarsi che, non sussistendo una ipotesi di delitto
perseguibile nelle dichiarazioni comunque valutate, del PANDICO e
stante altresì la dubbiosità degli accadimenti storici riferiti, non se ne può
dedurre automaticamente una ipotesi di calunnia.
Potrebbe al più emergere una fattispecie diffamatoria a mezzo della
stampa nei riguardi delle persone chiamate in causa dal PANDICO; ma
tale ipotesi, come è legislativamente previsto, sfugge alle iniziative del
Pubblico Ministero. (v. requisitorie P.M., 09.12.85).
Questo G.I. decideva in conformità (v. decreto di archiviazione,
07.01.86).
_____________________
Capitolo terzo
Le vicende di CARBONI Flavio
5.3.1. I primi interrogatori.
Anche in altra istruzione, quella relativa alla banda della Magliana,
pendente all’epoca dinanzi a questo Ufficio Istruzione, sono state raccolte
dichiarazioni sull’attentato al Papa. Il noto Flavio Carboni, faccendiere
coinvolto nelle vicende dello scandalo del Banco Ambrosiano e del
banchiere Roberto Calvi, aveva narrato in quel processo della sua carriera,
della sua fittissima rete di conoscenze, amicizie, appoggi, e dei fatti che in
tali contesto si erano verificati in quel periodo, i primi anni 80, piuttosto
torbido della storia del nostro Paese.
Nei primi interrogatori il CARBONI racconta di come abbia
intrapreso la sua attività di imprenditore ed affarista; in conseguenza di
tale attività lavorativa, per il bisogno immediato ed impellente di denaro
liquido che spesso si prospettava, ebbe ad intessere rapporti con
finanziatori privati che ben presto lo portarono ad una condizione di
“strozzato”, condizione dalla quale, ad ogni modo, riuscì sempre a tirarsi
fuori; in particolare, sul finire degli anni ‘70, conobbe Florent LEY
RAVELLO nonché Domenico BALDUCCI, noto usuraio, primo referente
su Roma, finchè non venne ucciso, di Pippo CALO’, all’epoca conosciuto
con lo pseudonimo di Mario AGLIALORO; ebbe rapporti, in definitiva,
con tutti i più grossi usurai della zona di Campo de’ Fiori, a loro volta
legati con i più noti rappresentanti di quelle che poi verranno chiamate
banda del Testaccio e banda della Magliana.
Nel 1981 CARBONI conoscerebbe CALVI, per il tramite di
Francesco PAZIENZA; a suo dire CALVI era a quel tempo osteggiato da
pesantissimi attacchi condotti da “La Repubblica” e “L’Espresso”; inoltre
non godeva della stima dell’allora Ministro del Tesoro Beniamino
ANDREATTA, il quale, anzi,
ostacolava l’assorbimento del “Corriere della Sera” da parte del Gruppo
Ambrosiano.
A CALVI occorreva che CARBONI prestasse delle garanzie reali,
come sicuramente era in grado di fare, per condurre in porto
un’operazione speculativa il cui esito positivo gli avrebbe garantito
rinnovato prestigio; inoltre CARBONI poteva offrire in “dote” un ottimo
rapporto di amicizia con Armando CORONA e con l’on. Giuseppe
PISANU, Sottosegretario al Tesoro ed autorevole esponente della sinistra
DC, entrambi suoi conterranei. Come contropartita CARBONI sarebbe
potuto entrare in rapporti con le banche che CALVI controllava tramite
l’Ambrosiano, potendosi finalmente affrancare dal mondo degli usurai e
venendo contestualmente a realizzare la condizione più importante per un
imprenditore, vale a dire agganciare un interlocutore di grosso spessore
finanziario che potesse garantire la tempestività nell’erogazione di un
prestito, laddove si intraveda un affare.
A spingere insistentemente affinché il Presidente dell’Ambrosiano
fosse messo in contatto con Armando CORONA sarebbe stato
PAZIENZA, il quale era a conoscenza del solido legame intercorrente tra
il CORONA e SPADOLINI.
Il CALVI avrebbe chiesto al CORONA, all’epoca forse Presidente del
Tribunale Massonico, di riammetterlo nella Massoneria, dalla quale era
stato sospeso per le note vicende della P2; avrebbe inoltre sollecitato un
suo interessamento affinché Carlo DE BENEDETTI , vice Presidente
dell’Ambrosiano desistesse dall’intenzione di sottrargli la presidenza del
Banco stesso. CALVI sembrava subire la personalità del PAZIENZA, del
quale, comunque, non si fidava più. Tra le sue doglianze ricorrenti, vi era
soprattutto quella
secondo cui il Vaticano, nelle persone del mons. MARCINKUS e di Luigi
MENNINI, lo avesse “scaricato” dopo il suo arresto; in pratica l’averlo
incriminato, processato e condannato rispondeva, secondo lui, all’esigenza
di impedirgli di realizzare i suoi disegni espansionistici, per i quali gli era
indispensabile potersi muovere all’estero, ove avrebbe inoltre potuto
reperire, e li solamente, i fondi necessari a bloccare iniziative
imprenditoriali avverse. CARBONI, con le sue conoscenze, avrebbe
potuto tentare un’opera di “salvataggio” volta a sensibilizzare il Vaticano
nei suoi confronti, a far cessare le ostilità di lobbies a lui contrarie e
facenti capo al Ministro ANDREATTA, infine a far cessare la campagna
di denigrazione portava avanti dalla stampa.
Le persone sulle quali fece affidamento CARBONI, oltre ai già
citati CORONA e PISANU, erano Luigi CARACCIOLO, che sarebbe
tornato utile per il problema “stampa”, Carlos BINETTI, consigliere
economico del Ministro ANDREATTA, il quale avrebbe potuto rivalutare
ai suoi occhi la figura del banchiere, nonché Nestor COLLI Ambasciatore
del Venezuela in Italia, che diverrà poi utile allorché venne a crearsi una
piattaforma di intesa per la fornitura di petrolio da quel Paese subito dopo
lo scandalo ENI- PETROMIN, in conseguenza del quale non ricevevamo
più petrolio dai paesi arabi.
CALVI avrebbe occultato, parte in Svizzera, parte in Sud-America,
alcuni importantissimi documenti che si sarebbero potuti utilizzare nel
tentativo di recupero della sua immagine presso il Vaticano. Tali
documenti si riferivano ad attività finanziarie dello stesso CALVI volte ad
attuare una strategia di contrasto all’avanzata comunista in Sud- America e
di penetrazione nei Paesi dell’Est, mediante il supporto di movimenti del
tipo “Solidarnosc”. Era per tale motivo che fu
indotto ad acquistare il pacchetto azionario di controllo del Banco
Ambrosiano, il cui reale controllore e proprietario era, però, il Vaticano. In
ragione di ciò il CALVI si sarebbe sentito abbandonato, perdere la
presidenza dell’Ambrosiano voleva dire vanificare tutto ciò che era stato
fatto per attuare la strategia predetta, la stessa che aveva ispirato le
operazioni che gli venivano contestate, laddove un intervento del Vaticano
avrebbe esaltato quella stessa strategia e salvato lui, il Gruppo e Io stesso
Vaticano da uno scandalo di inimmaginabili dimensioni.
Il banchiere avrebbe creato, nei Paese citati, dagli “avamposti
finanziari” e, fino al momento del suo arresto, il Vaticano aveva
appoggiato il suo operato, traendone considerevoli vantaggi; anzi, a dire di
CALVI, per come lo riporta oggi CARBONI , proprio l’appoggio del
Vaticano alla strategia, la cui efficacia costringeva i governi comunisti a
subirla in qualche misura, fu all’origine dell’attentato al Papa.
Dal momento del suo arresto, invece, il gruppo I.O.R. e quello
facente capo al Card. CASAROLI, mutarono completamente
atteggiamento nei suoi confronti, atteggiamento che poteva essere
controproducente da un lato perché vanificava quanto fin lì era stato fatto
e investito finanziariamente, dall’altro perché, screditando l’immagine di
CALVI, si sarebbe screditata anche quella del Vaticano suo complice”.
Il gruppo IOR, di MENNINI e MARCINKUS, temeva che il
mantenere rapporti con CALVI, dopo il suo arresto e la sua accertata
appartenenza alla P2, potesse dar luogo ad un definitivo indebolimento; il
gruppo facente capo al Card. CASAROLI e coincidente con la Segreteria
di Stato, perseguiva un duplice obiettivo: a) indebolire lo I.O.R. che era
svincolato
dalla Segreteria di Stato ed aveva come diretto referente il Papa, gruppo
che poi sarebbe travolto dallo scandalo dell’Ambrosiano; b) indebolire la
posizione dello stesso Pontefice, la cui popolarità era in costante aumento,
ma che il crollo dello I.O.R. avrebbe minato.
Secondo CARBONI, intorno al maggio 1982 era divenuto
indispensabile per CALVI reperire 300 milioni di dollari onde far fronte a
scadenze improrogabili. Fu interessato, a tal proposito, mons. Franco
HILLARY, il quale il 19 maggio 1982 comunicò al banchiere che era
giunta l’ora del chiarimento, in quanto il giorno dopo sarebbe stato
ricevuto da una commissione di alti prelati del Vaticano, proprio mentre il
“vessatore” MARCINKUS si trovava a Londra con il Papa. Quello stesso
giorno vi fu una riunione cui parteciparono oltre al CALVI e
all’HILLARY, Flavio CARBONI e l’avv. D’AGOSTINO, al fine di
concordare la linea di condotta da tenere innanzi alla commissione.
In realtà lo scopo ditale audizione, per CALVI, sarebbe stato quello
di poter avere cospicui elementi in mano per poter ricattare lo IOR; non fu
più ricevuto, infatti, dalla commissione, in quanto il mattino precedente
CALVI si era recato allo IOR minacciando il MENNINI di rovinarlo e di
mettere tutto in piazza il pomeriggio stesso innanzi alla commissione. Tale
sorta di ricatto non diede i suoi frutti, di talchè CALVI si ritrovò messo
alla porta da tutti, compreso il gruppo di “salvataggio”, che tanto si era
attivato per organizzare l’incontro chiarificatore con la commissione di alti
prelati.
Tale episodio, a dire del CARBONI, segnò la fine della credibilità
di Roberto CALVI.
Questa la ricca narrazione che investe anche temi fuori dalla portata
del presente procedimento. In questa sede più opportuno appare
soffermarsi su quelle parti degli interrogatori del Carboni che attengono
all’attentato al Papa e alle cause di questo delitto.
*************
5.3.2. Le dichiarazioni del giugno e luglio 93.
Nel corso della deposizione resa nel giugno ‘93, il CARBONI nel
descrivere quali erano stati i rapporti tra il banchiere e il noto Francesco
PAZIENZA riferisce:
“Sempre prima che io conoscessi Roberto CALVI, Francesco
PAZIENZA mi aveva accennato al fatto di essersi occupato, o comunque,
di essere stato messo a conoscenza da parte dell’interessato,
dell’occultamento, per conto del Presidente dell’ Ambrosiano, di
documenti molto importanti, in Svizzera e Sud-America. La circostanza
mi venne indirettamente confermata dal banchiere, allorchè mi parlò di
documenti molto importanti - non sono in grado di dire, però, se fossero
gli stessi del cui occultamento mi aveva parlato il PAZIENZA - che si
sarebbero potuti utilizzare nelle trattative con il Vaticano, ma che erano
nascosti, parte in posto sicuro del Sud America e parte in Svizzera, dal
momento che non si fidava di nessuno, neanche degli uomini della sua
scorta, e che aveva paura di sempre possibili perquisizioni.
“Per quanto potei arguire dai colloqui con Roberto CALVI, tale
materiale documentale si riferiva ad attività finanziarie del Presidente del
Banco Ambrosiano, nella strategia di contrasto all’avanzata comunista in
Sud America e
di penetrazione - mediante il supporto di movimenti del tipo di
Solidarnosc in Polonia nei Paesi dell’Est: strategia implicante la
realizzazione anche di “avamposti finanziari” nei Paesi interessati ai
rispettivi fenomeni.
“In particolare, Roberto CALVI attribuiva a tali attività ed alle
relative prove, un’importanza fondamentale ai fini del suo salvataggio e di
quello del Banco Ambrosiano da un gravissimo scandalo: egli - questa era
la logica delle sue continue doglianze - si sentiva abbandonato dal
Vaticano dopo che era finito nei guai a causa dell’attuazione di un comune
disegno, l’acquisto, cioè, del pacchetto azionario di controllo
dell’Ambrosiano, da lui realizzato, ma per conto del Vaticano, vero
proprietario di tale pacchetto. Perdere la presidenza del Banco
Ambrosiano e, dunque, il controllo del relativo Gruppo, voleva dire
vanificare tutti gli sforzi sino ad allora compiuti per l’attuazione della
strategia di contenimento dell’avanzata comunista, in Sud America, e di
penetrazione nei Paesi dell’Est europeo, la quale aveva ispirato le
operazioni che a lui venivano contestate, là dove un intervento, non solo
indispensabile, ma, a quel punto, doveroso per il Vaticano, avrebbe
esaltato quella strategia e salvato lui, il Gruppo e lo stesso Vaticano, da
uno scandalo di inimmaginabili dimensioni, ma ancora certamente
evitabile.”
Il CARBONI continua affermando che Roberto CALVI individuava
le cause dell’ “attentato al Papa” nel tentativo da parte del Vaticano
attraverso lo stesso CALVI di “fermare il comunismo in Sud America e di
penetrare nei Paesi dell’Est” con la creazione di “quelli che chiamava
“avamposti finanziari : “fino al momento del suo arresto, il Vaticano
pienamente consapevole delle strategie del Banco Ambrosiano, aveva
appoggiato l’operato del banchiere, traendone, di fatto,
considerevoli vantaggi; nel suo perseguimento ditale strategia, tramite il
suo operato, da parte dei Governi comunisti, in qualche misura costretti a
subirla, Roberto CALVI individuava, per altro, le cause dell’attentato al
Papa. Egli, pertanto, non riusciva a capacitarsi del perchè dopo il suo
arresto, l’atteggiamento del gruppo bR, in ciò su una linea comune a
quella del Cardinale CASAROLI, nei suoi confronti fosse radicalmente
cambiato e tendeva a sottolineare, riscuotendo al riguardo il consenso di
altri vertici vaticani, come il nuovo atteggiamento assunto nei suoi
confronti fosse doppiamente controproducente per gli interessi del
Vaticano, in quanto, non solo vanificava i risultati sino ad allora insieme
conseguiti, ma l’esporlo allo scandalo, accreditandolo come malfattore,
significava accreditare un’immagine del Vaticano di complice del
malfattore CALVI”.
Dopo aver riferito e puntualizzato i pensieri del banchiere in
relazione alle attività svolte a favore e per conto del Vaticano, il
CARBONI, illustra gli schieramenti che si erano costituiti, all’interno del
Vaticano, nei confronti di Roberto
CALVI:
“schieramento degli “ottusi””
“coincidente con il Gruppo bR, dei MENNINI e dei MARCINKUS, i
quali temevano che mantenere i rapporti con Roberto CALVI dopo il suo
arresto e la sua accertata appartenenza alla P2, potesse determinare il loro
irreversibile indebolimento”
“schieramento dei “lungimiranti””
“coincidente con la segreteria di Stato e facente capo al Cardinale
CASAROLI, i quali perseguivano un duplice
obbiettivo: indebolire il Gruppo bR, lobby potentissima, svincolata dalla
Segreteria di Stato e che aveva come diretto referente il Papa, Gruppo che
sarebbe stato, per come lo fu, travolto irrimediabilmente dallo scandalo
dell’Ambrosiano; indebolire la posizione dello stesso Pontefice, la cui
popolarità era in costante ed irrefrenabile aumento, ma che sarebbe stata
minata dal crollo del Gruppo IOR ;“
“schieramento degli emarginati”
“cioè di coloro che, essendo al di fuori della reale gestione del potere,
avevano interesse a non minare l’immagine del Vaticano con uno scandalo
inutile dal loro punto di vista.”
Conclude, CARBONI, affermando che “paradossalmente, pur
portatori di interessi opposti, gli esponenti del primo e del secondo
schieramento assunsero nei confronti di Roberto CALVI lo stesso
atteggiamento di disinteresse alla sua sorte.” (vd. interrogatorio
CARBONI,21 .06.93)
Nell’interrogatorio reso nel luglio successivo CARBONI continua a
parlare del salvataggio di CALVI e dei problemi che aveva avuto e
continuava ad avere quest’ultimo con il gruppo bR, che faceva capo a
MARCINKUS ed a MENNINI, delineando peraltro il proprio ruolo nelle
trattative finalizzate a “istituire il rapporto fiduciario” con il Vaticano così
da “indurre gli organi Vaticani della utilità di rilevare il pacchetto
azionario dell’Ambrosiano in suo possesso”. E così riferisce dei rapporti
con il cardinale PALAZZINI e con Monsignor FRANCO, specificamente
sui contatti con il Cardinale PALAZZINI.
“Il mio intervento in Vaticano si esplicò inizialmente nei confronti
del Cardinale PALAZZINI, e questo dopo essermi
consigliato, per come già riferito, con i vari BINETTI, PISANU,
CARACCIOLO, CORONA, D’AGOSTINO ed altri. Il cardinale
PALAZZINI si mostrò disponibile, tanto che ricevette Roberto CALVI,
presenti io e l’avvocato Luigi D’AGOSTINO, nella casa dove abitava con
la sorella nei pressi di Via delle Medaglie d’Oro. In occasione ditale
incontro, Roberto CALVI ebbe modo di esporre il proprio punto di vista e
le proprie preoccupazioni, ed il cardinale si impegnò a valutare la
situazione ed ad intervenire su esponenti dello bR, dichiarando tuttavia di
non poter esplicare il suo intervento direttamente nei confronti di
MARCINKUS e MENNINI, i quali, ci avverti, non avrebbero accettato
interferenze esterne all’istituto. In effetti, il cardinale PALAZZINI ebbe a
rappresentare quanto detto da Calvi a Donato DE BONIS, dirigente dello
bR, ancorchè in posizione subordinata e senza troppi poteri decisionali
rispetto ai predetti MENNINI e MARCINKUS. Le notizie che ci furono
portate dal PALAZZINI, all’esito dei suoi colloqui con DE BONIS, non
furono per nulla rassicuranti, in quanto confermavano l’assoluta chiusura
degli organi della banca vaticana verso le richieste di CALVI”.
Specificamente su quelli con Monsignor HILLARY Franco.
“..furono presi contatti con HILLARY Franco, prelato ritenuto molto
influente in Vaticano, il quale vantava la personale conoscenza e
l’amicizia di Ronald REAGAN, allora Presidente degli Stati Uniti e del
suo entourage.
“A prescindere dalla posizione che occupava nella gerarchia
vaticana, HILLARY Franco svolgeva il ruolo di mantenimento dei contatti
tra il Vaticano ed i vertici statunitensi, sia religiosi che politici. Di qui la
convinzione che il suo intervento non soltanto avrebbe consentito una
penetrazione nella cittadella dello bR, ma avrebbe anche consentito che
dei problemi sollevati da Roberto CALVI sarebbero stati informati degli
alti prelati vaticani, influenti quanto altrimenti irraggiungibili.
“Tra HILLARY Franco e Roberto CALVI si istitui un buon
rapporto ... Ho avuto occasione di presenziare a svariati incontri tra il
FRANCO ed il CALVI: nel corso di questi incontri il banchiere non
mancava di illuminare l’interlocutore sui rapporti che aveva avuto con
Paul MARCINKUS e con Michele SINDONA.
“In particolare, Roberto CALVI ricordava all’interlocutore che
Michele SINDONA aveva provveduto a collocare alcune società detenute
illegalmente dal Vaticano, tra le quali le società Condotte e
l’Immobiliare .... Aggiungeva, inoltre , che Paul MARCINKUS lo aveva
costretto a firmare delle lettere, le quali avrebbero dovuto liberare il
Vaticano o lo IOR da impegni nei suoi confronti: in quel momento non ero
in grado di collegare queste lettere, di cui il CALVI parlava al FRANCO,
alle lettere di patronage; tale collegamento potei istituirlo soltanto in
seguito, allorchè Roberto ROSONE si recò in Vaticano esibendo copia
delle lettere di patronage e Paul MARCINKUS gli oppose l’esistenza delle
lettere di manleva...”
“In occasione degli incontri con HILLARY Franco, questi ascoltava
con interesse e, inizialmente, si mostrava rassicurante, nel senso che
diceva che gli sarebbe stato possibile procurare al CALVI l’opportunità di
esporre il proprio punto di vista ad influenti personalità vaticane, anche
facendo leva sui suoi buoni rapporti con le Autorità politiche e religiose
mordamericane.
“L’atteggiamento di HILLARY Franco era estremamente
incoraggiante, dal momento che dopo alcuni incontri promise
al CALVI che sarebbe stato ricevuto da una commissione di alti prelati.
(vd interrogatorio Carboni 05.07.93)
CARBONI, ritorna a parlare dei contatti e dell’interessamento di
Monsignor Franco HILLARY nel successivo interrogatorio di quello
stesso luglio.
“Intorno al 19 maggio del 1982 Monsignor HILLARY Franco prese
contatto con me e con lo stesso CALVI per comunicarci che era giunto
finalmente il momento della chiarificazione, in quanto il giorno successivo
CALVI sarebbe stato ricevuto da una commissione di alti prelati vaticani,
dove avrebbe potuto esporre con tranquillità il proprio punto di vista, le
proprie ragioni e avanzare se era il caso, le proprie doglianze, tanto che
monsignor MARCINKUS si trovava a Londra con il Papa...”
“gli telefonai sul mezzogiorno, onde sentire di che umore fosse
prima dell’incontro con la commissione fissato per le ore 15.00. Al
telefono udii il CALVI, il quale con voce lugubre mi disse che ormai era
tutto finito ed anche lui era finito poichè si era recato allo IOR dove era
stato messo alla porta ...”
“Contestai la sua doppiezza, dal momento che l’incontro con la
commissione vaticana non era l’obbiettivo che lui perseguiva, bensì lo
strumento attraverso il quale ricattare lo IOR…”
“... il CALVI si era recato da MENNINI, sostanzialmente
minacciandolo di rivelare tutto alla commissione che nel pomeriggio
l’avrebbe ricevuto, in modo di convincere il direttore dello IOR a fare
tutto ciò che fino a quel momento gli aveva rifiutato ...” (vd. Interrogatorio
Carboni 09.07.93).
____________________
Capitolo quarto
Le conclusioni
Le cosiddette grandi inchieste hanno sempre esercitato un fascino
negativo sui cosiddetti pentiti; è fatto notorio. Non pochi tra coloro che
hanno dato contributi, a volte anche modesti, ad inchieste di mafia,
‘ndrangheta e camorre varie, si sentono in dovere di offrire la propria
“collaborazione” ai processi che sono spesso sulla stampa, a volte per
acquisire ulteriori benefici, o salvare quelli che stanno giungendo a
termine.
Questo fenomeno si è verificato con le dichiarazioni di CALCARA,
che pur se animato dalle migliori intenzioni, non ha trovato conferme su
quanto detto nell’istruzione compiuta. Il riscontro principale, cioè il
rinvenimento del cadavere del turco, non s’è mai verificato. Il resto delle
dichiarazioni, dal nome del bulgaro, alla sua macchina, all’incontro di
ponte Vittorio può benissimo provenire dalla lettura dei giornali. Il resto
dalla fantasia, di cui i pentiti in genere non difettano.
Lo stesso deve dirsi della storia narrata da PANDICO, che è stato
sconfessato addirittura dal leader della NCO e cioè da Raffaele CUTOLO.
________________________
Parte sesta
Altre aree di indagine
Capitolo primo
Il sequestro presso STERLING Claire
6.1.1. Le dichiarazioni di STERLING Claire
Nel settembre 95 questo Ufficio ordina una serie di perquisizioni e
sequestri, tra cui quelli di maggior rilievo furono quelli a carico di Claire
STERLING e FERRACUTI.
La STERLING famosa scrittrice americana, che aveva pubblicato
libri sull’attentato al Papa, sul terrorismo internazionale e la criminalità
organizzata; fu sentita in questo processo a seguito di un’intervista
concessa nel maggio del 91 a Linea Notte del TG1, nel corso della quale
ebbe a dichiarare che vi erano due persone in grado di testimoniare e
comunque contribuire alla ricerca della verità sull’attentato al Papa.
La prima sarebbe stata un cittadino turco, trafficante di droga
arrestato in Svizzera, che aveva affermato ad un Tribunale di quel Paese di
essere a conoscenza di circostanze relative al pagamento di 1.200.000
dollari a MEHMET ALI’ AGCA da parte di BEKIR CELENK, somma
proveniente dalla ditta GLOBUS, all’epoca denominata KINTEX, gestita
dai Servizi di Sicurezza dello Stato bulgaro. Il processo era quello
celebrato nell’90 a carico dei fratelli MAGHARIAN ed altri dinanzi alla
Corte di Bellinzona.
La STERLING, che era in possesso del rapporto della DEA di
Berna datato 3 gennaio 81, esibì la parte d’interesse in questa richiesta.
Aggiunse anche che avendo interpellato il direttore della DEA di Roma,
era venuta a conoscenza che la fonte della detta notizia era persona diversa
da AGCA, coinvolta nel processo MAGHARIAN. Questa inchiesta che
aveva avuto ad oggetto fatti rilevanti di riciclaggio internazionale, era stata
istruita dalla polizia e dalla procura di Bellinzona.
Fu richiesto tale processo alle competenti Autorità svizzere in data
13.06.91. L’Ufficio Federale di Polizia -Divisione Assistenza Giudiziaria
Internazionale - Sezione Assistenza Giudiziaria Internazionale, rispose, in
data 04.07.91, che era necessario presentare maggiori dettagli soprattutto
in ragione del fatto che la rogatoria doveva essere presentata al Tribunale
Federale di Losanna. Aggiungendo una frase, che nell’ambito della
collaborazione internazionale, su un delitto così grave, sarebbe stata
meglio evitare: “Visto il contenuto della rogatoria in oggetto, si ha infatti
l’impressione che l’Autorità richiedente sia alla ricerca disperata di prove
L’altra persona era un italiano che l’aveva contattata qualche giorno
prima della trasmissione. Costui diceva di essere stato agente della CIA e
del SISMI. Per questo secondo servizio si sarebbe infiltrato
nell’Ambasciata dell’URSS a Roma ed avendo guadagnato la fiducia di un
agente del KGB avrebbe appreso che la “fonte” del rapimento della
ORLANDI era stata la stessa dell’attentato al Papa; che la direzione
dell’organizzazione era a Mosca, che tale organizzazione “lavorava”
attraverso Sofia; che il rapimento era stato affidato a un gruppo italiano di
destra; di essere i possesso di documentazione a sostegno delle sue
dichiarazioni (v. esame STERLING 14.05.91).
La perquisizione delle abitazioni della STERLING a Roma e a
Cortona, portò al sequestro di copiosissimo materiale documentale. Le
carte di maggior interesse sono quelle di seguito indicate. (v. perquisizione
e sequestro 15.09.95).
**************
6.1.2. Il sequestro presso l’abitazione romana.
Documentazione rinvenuta e sequestrata presso l’abitazione di
Roma.
1 - Contenitore di colore verde contraddistinto con il nr. “Al”, nel cui
interno, tra l’altro:
- Cartellina di colore bianco contenente:
- Fotocopia di documento in lingua inglese contenente informazioni sul
libro “NEXT TO GO ...POLAND: Politics and Religion in Contemporany
Poland by Bogdan Szajkowski, Department of Sociology, University
College, Cardiff”;
- nr.3 fogli manoscritti in lingua inglese, emergono riferimenti a
SCRICCIOLO, SOLIDARNOSC, WALESA, CASAROLI, GIOVANNI
PAOLO Il, BREZNEV;
- documento composto di 8 pagine dattiloscritto in lingua inglese dal
titolo “Visit to Rome by Lech Walesa” ;
- fotocopia del documento dattiloscritto in lingua inglese dal titolo “THE
KREMLIN AND THE POPE” di Alex Alexiev, contenente sottolineature
e richiami;
- nr.1 foglio datato “March 10, 1983”, che inizia con “MEMO OF
CONVERSATION - Hilary Franco (not for attribution - no copies but my
carbon copy) 1 hour of conversation”
Cartellina di colore bianco dal titolo “TURKISH MAFIA” contenente:
- foglio di carta di colore giallo contenente annotazioni manoscritte in
lingua inglese, da dove si evincono riferimenti a CELIK, MERSAN ed
altri;
- missiva su carta intestata “EMBASSY OF THE UNITED STATES OF
AMERICA - Ankara, Turkey” datata “June 21, 1982” a firma “Mark A.
Sanna - Regional Security Officer”, diretta alla STERLING. Si rilevano
riferimenti a GALIP YILMAZ, OMER AY, ABUZER UGURLU, OMER
MERSAN, MEHMET TANER, HASAN KARAGULLE;
- documento dattiloscritto in lingua italiana che inizia “DAL LIBRO
““ANARCHIA E TERRORE IN TURCHIA LE FASI SALIENTI,
CONSEGUENZE E INTERVENTO DELLE FORZE DELL’ORDINE””
PARTE III ELEMENTI ESTERNI CHE MINACCIANO DI
ABBATTERE LO STATO TURCO”. Trattasi di uno studio sul terrorismo
e sulle organizzazioni comuniste turche in Turchia ed all’Estero, dei vari
collegamenti con le organizzazioni armene, del PKK Curdo ed infine dei
Partiti Comunisti Europei;
- documento dattiloscritto in lingua italiana che inizia “(pag.83)
COLLEGAMENTI DELLE ORG. DI CONTRABBANDO CON
QUELLE DEL TERRORE ATTIVE IN TURCHIA”. Trattasi di uno
studio sul contrabbando di armi dell’organizzazione di sinistra DEV SOL,
con allegato uno specchio dei collegamenti tra le “organizzazioni di
terrore e contrabbando”;
- documento dattiloscritto in lingua italiana che inizia con “(pag.68)
Partito Comunista Rivoluzionario Turco (TDKP)”; trattasi di uno studio
sulle organizzazioni di sinistra in Turchia e all’estero (TDKP - TKEP -
THKP/C ML SPB - THLP/C M-L DHY - THKP/C DEV - SOL);
Cartellina di colore bianco dal titolo “W. Germany Record” contenente:
- documento dattiloscritto in lingua inglese che inizia con “Hurriyet daily
8 November 16, 1980 issue”; trattasi,
verosimilmente, di uno articolo in cui viene fatto riferimento all’ingresso
clandestino nella Germania Federale di terroristi turchi; si fa riferimento a
AGCA, killer di IPECKI ed al suo complice MEHMET SENER; ad ALI
BATMAN, killer del Dr. Nected GUCLU ed a SAMI BAL; viene fatto
anche riferimento a MUSAR CELEBI, Presidente della Federazione dei
Lavoratori Turchi in Germania;
Materiale sparso nel contenitore:
- documento in lingua francese dal titolo “LE BILAN TOTAL DES
ATTENTATS PERPETRES PAR LE TERRORISM ARMENIEN
CONTRE LES MISSIONS DIPLOMATIQUES ET ETABLISSEMENTS
TURCS ET CONTRE LES INTERETS DES PAYS TIERS”;
- documento in lingua inglese dal titolo “SETTING THE RECORD
STRIGHT ON ARMENIAN PROPAGANDA AGAIST TURKEY”,
- documento in lingua inglese dal titolo “GOAL DESTABILIZATION -
Soviet Agitational Propaganda, Instability and Terrorism in NATO South”
di Paul B. HENZE, datato Agosto 1981. Trattasi, verosimilmente di una
bozza di lavoro preparata per “The European American Institute for
Security Research Workshop” per il convegno dal tema “NATO’S
Southern Flank, the Mediterranean and the Persian Gulf” che si sarebbe
tenuto a Napoli nei giorni 21-23 Settembre 1981. L’autore, HENZE, fa
riferimento, tra l’altro, al terrorismo turco e italiano. Fa anche riferimento
a pag. 21 al “Case AGCA”
- documento in lingua inglese dal titolo “CONFESSION BY A PKK
MILITANT ON TRT/TV”;
- documento in lingua inglese dal titolo “STATEMENT BY THE
MARTIAL LAW COORDINATION OFFICE OF THE GENERAL
STAFF ON INCIDENT OF ANARCHY AND TERROR” trattasi,
verosimilmente, di uno studio sul terrorismo in Turchia a seguito della
legge marziale instaurata in quel paese a partire dal 12 settembre 1980;
- documento manoscritto in lingua inglese; trattasi verosimilmente, di
appunti relativi a formazioni terroristiche di sinistra in Turchia (DEV-
SOL) ed ai collegamenti con altre forme terroristiche nel Mondo (FLP);
- cartellina di colore verde contenente documento di più pagine in lingua
turca;
- nr.2 fogli manoscritti in lingua inglese, vi si rivelano riferimento a gruppi
terroristici turchi di estrema sinistra;
- appunti manoscritti in lingua inglese, su alcuni fogli di colore giallo e
bianco; trattasi, verosimilmente, di appunti relativi ad organizzazioni di
sinistra in Turchia;
-documento in lingua inglese dal titolo “THE EFFECT OF
INTERNATIONAL TERRORISM ON NATO” di V. Admiral SEZAI
ORKUNT, datato 05 ottobre 1982; trattasi di documento preparato in
occasione della conferenza organizzata dalla “SISAV” sul tema “NATO
IN 1980’S” a Istanbul il 5 ottobre 1982;
- cartellina trasparente con base di colore bleu contenente documentazione
in lingua turca sul terrorismo; si rileva un capitolo dedicato a
“TERRORIST MEHMET ALI’ AGCA NIN CEZAEVIDEN
KACTIKTAN SONRA GITTIGI YERLER”;
Cartellina di colore trasparente contenente:
- numerosi appunti manoscritti in lingua inglese relativi all’attentato al
Papa, si rilevano, tra l’altro, citazioni su AGCA,
MIT, BEKIR CELENK, UGURLU, OMER AY, KINTEX, IPEKCI,
CASAROLI, GLEMP, BREZNEV, MERSAN, MARTELLA,
MARCHIONNE (DIGOS), UGURLU, ANDREASSI (DIGOS), CATLI,
DURMUS UNUTMAZ, SEDAT SIRRI KADEM, TURKOGLU,
GRILLMAYER, OTTO TINTNER, SIMONE (DIGOS), D’ANDREA,
SISMI;
- documento dattiloscritto in lingua inglese dal titolo “FOREIGN
SOURCES OF TERRORISM”, senza data; -
- documento in lingua inglese all’oggetto “PLO and the Armenian
Underground Movement”;
- vari articoli stampa e volantini di organizzazioni di estrema sinistra
turche in Germania.
2 - Contenitore di colore verde contraddistinto con il nr. “A2”, nel cui
interno tra l’altro:
Cartellina di colore bianco, senza titolo, contenente:
- fotocopie di documenti bancari in lingua turca, concernenti MEHMET
ALI’ AGCA e relativi agli anni ‘78 e ‘79;
- nr. 2 copie di documento di 13 pagine in lingua italiana, senza data,
concernente ALI’ AGCA. Nel documento si fa riferimento alla famiglia di
ALI’ AGCA ed alla vita di AGCA in Turchia fino alla fuga da Maltepe;
- missiva dattiloscritta di due pagine, con annotazioni manoscritte in calce
al secondo foglio di “Prof. Dr. MUKERREM HIC I.U., Economic
Faculty” e diretta alla STERLING ed a Paul HENZE; nella lettera viene
fatto riferimento agli studi AGCA. Allegati alla lettera alcuni documenti
scolastici, in copia alcuni con fotografia, tutti relativi ad AGCA;
- documento in lingua inglese dal titolo “AN AGCA CHRONOLOGY”; il
documento ripercorre la vita di AGCA dalla nascita a settembre 1981
evidenziando tutti gli spostamenti in Europa a seguito dalla fuga dal
carcere di Maltepe; nel primo foglio si rileva l’annotazione manoscritta
“HENZE”;
- nr.5 fogli dattiloscritti in lingua inglese comprendenti anche una copia di
tre pagine dalla cronologia di cui al punto precedente; trattasi di
documento sempre relativo AGCA; si rileva sul primo punto foglio
l’annotazione manoscritta “NENZE prep. R-D”;
- fotocopia di lettera in lingua italiana scritta da AGCA in data 24
settembre 1982 e diretta al Cardinale Silvio ODDI;
Cartellina di colore bianco dal titolo “ANTONOV etc.” contenente:
- documento in lingua inglese datato” “Dec. 4, 1982” dal titolo “MEMO
OF CONVERSATION” di “Judith HARRIS”; si rilevano i nomi di La
Russa, Consolo, Martella, ANTONOV;
Cartellina di colore bianco dal titolo “OMER AY” contenente:
- nr.10 fotocopie documenti in lingua tedesca relativi all’arresto ed alla
richiesta di estradizione dalla Turchia di OMER AY con allegata relativa
traduzione in lingua italiana;
- fotocopia di missiva in lingua tedesca datata “10. may 1982”, diretta al
Presidente del S.P.D. Willy BRANDT a Bonn scritta dal difensore di
OMER AY, con allegata traduzione in lingua italiana; in detta missiva
l’estensore, fa appello a BRANDT per intercedere al fine di evitare che
OMER AY, che si è qualificato socialdemocratico possa essere estradato
nel proprio Paese;
- fotocopia di missiva in lingua tedesca datata “Bonn, DEN 25. May 1982”
a firma di Klaus- Henning Rosen, dell’Ufficio Personale di Willy Brandt,
diretta a “Herr Rechtsanwalt Dr. Matthias K. Scheer”, con allegata
traduzione in lingua italiana che si trascrive integralmente “..Willy
BRANDT mi prega di ringraziarti per il tuo scritto, nel quale intercedi per
il cittadino turco OMER AY che chiede asilo. Su richiesta di Willy Brandt
ho pregato- il Ministero della Giustizia Jurgen Schmude di accogliere la
pratica;
Cartellina di colore bianco dal titolo “BULGARIAN CONNECTION”,
contenente:
- lettera dattiloscritta in lingua inglese con annotazione a mano datato
“June 15,1983” diretta alla STERLING, scritto su carta intestata JUDITH
HARRIS AJELLO, Piazza del Collegio Romano, 1/A Roma 00186 - Tel
678-5971”; si rilevano riferimenti al giornalista Marco NESE, ai Giudici
MARTELLA e IMPOSIMATO, ad AGCA, CELENK,WALESA,
ANTONOV, D’AMATO, omicidio CALVI, MARCINKUS, CAVALLO,
SANTOVITO, SCRICCIOLO, Ivan DONTCHEV;
- nr. 5 fogli di carta intestata a ‘COSMOS CLUB - WASHINGTON”
interamente manoscritti in lingua inglese relativi alla società bulgara
KINTEX;
- 4nr. 2 fogli dattiloscritti in lingua inglese che inizia con “interview,
domenica del corriere, jan 2, 1983 with Barbara Karovic in Swintzerland,
age 36. Former Hungarian spy now supported (the authors, Norberto
Valentini and Marcella Zacconi, say) by the CIA”; nel documento si
rilevano riferimento a Guido GIANNETTINI, FELTRINELLI ed
all’attentato al Papa;
Cartellina di colore bianco dal titolo GRILLMAYER, contenente:
- nr.1 fotocopia in cui sono riprodotti nr.3 documenti in lingua tedesca dai
quali si rilevano i nominativi di GRILLMAYER e AGCA;
Cartellina di colore bianco dal titolo “CELENK”, contenente:
- nr.8 fogli di colore giallo manoscritti, in lingua inglese; all’inizio del
primo foglio si rileva il nominativo “Raymond Kendall”; si rilevano
riferimenti a AGCA, BEKIR CELENK, ORAL CELIK, CELEBI,
VALENTINO DI PERSIO (INTERPOL ROMA), ARSAN, GALIP
YILMAZ, RAMAZAN SENGUN, ERDAL UENAL ed altri;
- fotocopia di telex nr.3901/10 del 19.10.1982, in lingua tedesca,
trasmesso da “WDR - Koel, Tuerk-Redaktion” alla “reportredaktion,
Bayerisches Fernsehen”, con allegato documento di due pagine in lingua
italiana, verosimilmente, traduzione del telex; il documento in lingua
italiana fa riferimento alle ricerche di BEKIR CELENK;
- telex nr.”4221 1310 1629” in lingua tedesca trasmesso da “Muenchen,
Bayersches Fernsehen, “Report-Redaktion” a “Frau Sonnhuter” e “Frau
Matthies”, con allegato documento di due pagine in lingua italiana,
verosimilmente, traduzione del telex; in quest’ultimo documento vengono
elencate alcune risposte a quesiti su BEKIR CELENK, posti,
verosimilmente, dal destinatario del documento;
- documento in lingua italiana in cui vengono elencate una serie di quesiti
sul conto di OMER MERSAN, sulla ditta di import-export Warda
collegata con ABUZER UGURLU, sulle illecite attività di BEKIR
CELENK e di SARAL, questi ultimi
collegati con l’attentato al Papa, quesiti rivolti da Silvia MATTHIES e
Beatrice SOUHUETER della Redazione di Report ai Dr. VOLMANN
della Procura della Repubblica di Monaco;
- foglietto “MEMORANDUM” contenete annotazioni manoscritte in
lingua inglese; si rilevano riferimenti ad ATTILA SARAL e CELENK;
- messaggio, in lingua inglese, “UNCLASSIFIED” trasmesso dall’
Ambasciata di Ankara al Consolato di Istanbul, datato Dicembre 1981,
all’oggetto “VEHICLE TRACE” ;nel messaggio vengono richieste
informazioni su un veicolo da fornire alla STERLING;
- documento di 3 pagine “MEMO OF CONVERSATION - Cil Ackerson”
datato “Dec. 9, 1982”; si rilevano riferimenti a BEKIR CELENK, SAMIR
ARIS, HENRI ARSAN, MUSA CELEBI, ERDAL UENAL, ORAL
CELIK, CATLI, SENER ed altri;
- nr.6 fogli manoscritti in lingua inglese, da cui di rilevano riferimenti a
CELENK, ATALAY SARAL ed altri;
3 - Contenitore di colore verde contraddistinto con il nr. “A3”, nel cui
interno tra l’altro:
Cartellina di colore bianco dal titolo “TERPIL”, contenente:
- opuscolo in lingua inglese “THE ANTITERRORISM AND FOREIGN
MERCENARY ACT” relativo all’udienza innanzi la sottocommissione
sulla sicurezza ed il terrorismo del Senato degli USA datata 23 settembre
1982; si rilevano evidenziazioni nella parte relativa alle illecite attività di
Edward TERPIL e Paul WILSON;
Cartellina di colore bianco dal titolo “RUSSIA - KGB”, contenente:
- documento di 5 pagine in lingua inglese; si rilevano ampi riferimenti al
KGB ed all’attentato al Papa;
- fotocopia di documento di 3 pagine in lingua inglese “from:
URSS Oggi June 1981” “WHERE DOES THE TRACK OF THE
ASSASSINATION ATTEMPT ON THE POPE LEAD? -
Vladimir Katin, political observer of the Novosti Agency”; in alto alla
prima pagina del documento si rileva il timbro con dicitura
“TRASLATION - American Embassy - Rome” datato 18 agosto 1981,
allegato al documento un ritaglio stampa del New York Times dal titolo
“U.S. Protest Soviet Innuendo on Shooting of Pope”;
Cartellina di colore bianco dal titolo “SCRICCIOLO”, contenente:
- documento di tre pagine, in lingua inglese, datato 13 aprile 1983:
“MEMO OF CONVERSATION - Giuliano Torrebruno, Scricciolo’ s
lawyer”;
N.B. TORREBRUNO Giuliano potrebbe identificarsi nel difensore di
Luigi Scricciolo, così come viene riportato a pag. 251 del libro “Anatomia
di un attentato” della STERLING;
- nr. 3 fotocopie di documenti di cui i primi due in lingua inglese ed il
terzo in lingua francese; il primo su carta intestata “AMERICAN
FEDERATION OF LABOR AND CONGRESS OF INDUSTRIAL
ORGANIZATIONS” datato 8 aprile 1981 a firma IRVING BROWN e
diretto a Luigi SCRICCIOLO; il secondo sempre sulla stessa carta
intestata, datato 10 marzo 1981 a firma di IRVING BROWN e diretto a
OTTO KERSTEN; il terzo datato “Paris, le 8 november 1982” che inizia
con “Cher Ami” e
termina con” Avec les salutations cordiales d’un ami, qui dans sa fonction
actuelle ne peut se nommer”.
Cartellina di colore bianco dal titolo “JUDICIAL”, contenente:
- documento in lingua inglese datato 11 settembre 1982 “MEMO OF
CONVERSATION - FROM : Judith HARRIS, Rome to: Tony Potter,
NBC News, New York REF: Meetings 9/10 and 9/11 with Dr.
Marchionne of DIGOS”; nel documento viene fatto riferimento a OMER
AY, GRILLMAYER, TINTNER e MAJORCA CONNECTION.
Cartellina di colore bianco dal titolo “NBC etc.”, contenente:
- documento di 14 pagine in lingua tedesca di Lutz Bergann
(documentazione di Silvia Matthies e Trixi Sonhueter) con allegata
traduzione in lingua italiana, dalla lettura di quest’ultimo documento si
evince trattasi di notizie relative all’arresto avvenuto a Stoccarda il 10
marzo 1982 di tre siriani fortemente sospettati di aver preparato un
attentato terroristico ad Aquisgrana contro i membri della comunità
musulmana ortodossa. Dalle indagini emerse che il responsabile
dell’Ufficio Stranieri di Aquisgrana, Udo B., concedeva illegalmente
permessi di soggiorno a stranieri. L’autore, proseguendo, evidenzia che
anche all’ufficio stranieri di Monaco è stato scoperto nella primavera dello
stesso anno uno scandalo simile , infatti venivano concessi, dietro
compenso di grosse somme di denaro, permessi di soggiorno a stranieri
illegalmente entrati in Germania. Il cittadino turco RUHAN IZIDES era
l’intermediario di questa illecita attività avrebbe trovato beneficio il turco
RAFET MERSAN, zio di OMER MERSAN, quest’ultimo in
collegamento con AGGA espulso dalla
Germania nel 1979 e rientrato dalla Jugoslavia attraverso Aquisgrana;
- documento dattiloscritto di 7 pagine in lingua tedesca di Beatrice
SONHUETER e Silvia MATTHIES con allegata traduzione in lingua
italiana; tema del documento “Mandanti dell’attentato al Papa”; si rilevano
riferimenti alla estradizione di OMER BAGCI in Italia; alle connessioni
tra la mafia turca e gli estremisti di destra turchi; alla società WARDAR di
Monaco; a RAFET MERSAN, zio di OMER; a BEKIR CELENK e
ATALAY SARAL;
- fotocopia di documento di tre pagine in lingua inglese con annotazioni
manoscritte, si rilevano riferimenti a OPUS DEI, IOR, CALVI,
MARCINKUS, HILLARY Franco, CARBONI e CORONA;
- documento dattiloscritto in lingua inglese composto da 28 pagine dal
titolo “TO KILL A POPE” di JUDITH HARRIS AJELLO;
- documento dattiloscritto in lingua inglese, composto di l0 pagine, dal
titolo “YURSRASLAN Intvw”; si rilevano riferimenti a CATLU
(CATLI), AGCA e SENER;
Cartellina di colore bianco dal titolo “OMER MERSAN”, contenente:
- documento dattiloscritto in lingua inglese dal titolo “Excerpt, Turkish
Military Court Indictment ABUZER UGURLU; si rilevano riferimenti
allo stesso ABUZER UGURLU, a traffici attraverso il trasporto a mezzo
TIR, alla società KINTEX, alla società VARDAR, a SELAM GULTAS e
BEKIR GULTAS;
- documento dattiloscritto in lingua inglese composto di 4 pagine
“TRASLATION - At the Dorneck-Thierstein Judical Office - Dornach,
May 15, 1984”; trattasi verosimilmente della
traduzione del documento allegato in lingua tedesca; si rilevano
riferimenti a OMAR MERSAN, alla KINTEX, a Marcel Thommen;
allegati al gruppo di documenti altri due fogli in lingua inglese datati 17
maggio 1984 e relativi a MERSAN;
- Telefax trasmesso da Karl Mahne ; Stuttgart a W.B. McHerny e D.O.
Fuller, New York Office, Legal Department datato 14 ottobre 1983, in cui
tra l’altro si rileva il riferimento alla STERLING, con allegato documento
in lingua inglese relativo a OMER MERSAN; in questo documento si
rilevano riferimenti a MERSAN, S.N. TOPUZ, AGCA;
- foglio manoscritto in lingua inglese in cui si rilevano riferimenti a
UGURLU;
- missiva dattiloscritta in lingua inglese, datata 1 settembre 1983 diretta al
Giudice Ilario MARTELLA con la quale, quest’ultimo, veniva informato
su notizie relative a OMER MERSAN, come personaggio coinvolto in
traffico di eroina e conosciuto dalla DEA americana;
- due biglietti manoscritti in lingua inglese relativi ad OMER MARSAN e
contenenti le informazioni di cui alla lettera precedente;
- lettera “CONFIDENTIAL” in lingua inglese, datata 30 agosto 1983,
diretta al Giudice MARTELLA; nella missiva si fa riferimento a tale
Bernard Baecher, del quale si fornisce l’indirizzo ed il numero telefonico
francese e a tale Marcel Thommen, con l’indirizzo svizzero;
- foglio di colore giallo manoscritto che inizia con “INTERPOL”, Paris” ;
si rilevano riferimenti a MUSA CERDAR CELEBI, ABUZER UGURLU,
MEHMET SENER, DURMUS, ATTILA SARAL;
- documento dattiloscritto in lingua turca, composto di 22 pagine datato
4.5.1982 con timbri a secco di colore rosso; si rilevano numerosi nomi
turchi tra i quali ABUZER UGURLU;
- documento dattiloscritto di 12 pagine in lingua francese che inizia con
“Rapport de la Brigade des Stupefiants de la Police cantonale de ZUG, du
17 juin 1980 par l’assistante de police Berther a l’intention du parquet de
Bale-ville, si rilevano riferimenti alla società “WARDA ou WARTAR” e
“Interprise Continental” di Monaco, a tale “Oemer (phonetique), Selon
Thomen e Chavit. Il documento fa riferimento, verosimilmente, ad un
traffico di stupefacenti dalla Turchia verso l’Europa attraverso il trasporto
con TIR;
-messaggio in lingua tedesca del “BUNDESKRIMINALAMT
WIEBSADEN nr.5744” trasmesso alla “01 Paris REDAKTION
READER’S DIGEST” con allegata verosimile traduzione, in lingua
italiana, in cui si informa, facendo seguito ad un telefax del 16.06.1982,
che competenti per le indagini sull’attentato al Papa sono le Autorità
italiane e che pertanto “Ad esse sono perciò riservate anche le
informazioni sulle inchieste da Voi promosse nella Repubblica Federale
Tedesca” consigliando, di voler prendere contatti con le Autorità Italiane;
- documento composto di due pagine, in lingua inglese, che inizia con
“Cumhuriyet (December 20, 1982) Gultas Brothers are Perteners with
UGURLU”; si rilevano riferimenti a OMER MERSAN, alla società
VARDAR di Monaco, a UBUZER UGURLU, ad AGCA;
- documento in lingua inglese di tre pagine che inizia con “December 21,
1982 (Cuhuriyet)” trattasi verosimilmente della continuazione del
documento precedente; anche qui si rilevano riferimenti ad AGCA,
MERSAN, UGURLU, HARUN GURUL, alla società VARDAR;
- nr.3 fogli di colore giallo manoscritti contenente riferimenti ad AGCA,
UGURLU MERSAN ed alla società VARDAR di Monaco;
- fotocopia di missiva in lingua turca datata “Bayreuth, 12. August. 1981”
diretta a UGUR MUMCU; si rilevano riferimenti a OMER MERSAN,
AGCA, alla CIA, al MIT e ad altri;
- mitssiva, in lingua inglese, diretta a “Dott. Ilario MARTELLA” datata
“August 30,1983”; si rilevano riferimenti a OMER MERSAN, alla
compagnia VARDAR, a MARCEL THOMMEN, a UGURLU, ad AGCA,
a CELENK e ad altri;
- missiva in lingua italiana, “CONFIDENZIALE”, diretta al Dott. Ilario
MARTELLA a firma STERLING, con la quale si informa che: ““Walter”
è Bernard Baecher, 6 Place Mont-Dore -68720 Wittennheim (presso
Mulhouse) - FRANCIA - tel: 00331/89/50/501169”.
Il suo datore di lavoro è: Marcel Thommen - Thalstrasse 60 -CH -4113
Fluh - Svizzera”;
- missiva su carta intestata “VERLAG DAS BESTE”, in lingua inglese,
diretta alla STERLING a firma di INGEBORD WEISS, datata June
9,1983, con allegato dattiloscritto composto di 8 pagine, in lingua tedesca,
relativo alla trascrizione dell’intervista a OMER MERSAN.
4 - Cartella di colore verde, con scritto sul dorso “TURKEY” contenente:
- vari fogli manoscritti, block-notes in lingua inglese; non si rilevano
riferimenti all’attentato al Pontefice, tutta la documentazione contenuta
sembra riferirsi a fatti anteriori alla vicenda di cui è processo.
***********
6.1.3. Il sequestro nell’abitazione di Cortona.
Anche la documentazione rinvenuta e sequestrata presso il rustico
in località Vallecchie Montanare 23 del Comune di Cortona (AR) è
particolarmente ponderosa e di rilievo.
Contenitore intitolato “CAVALLO - ROULETTE - AGCA -COVERT
ACTION - LIBEL”, contenente:
- documento dattiloscritto in lingua inglese relativa a:
“Memo of Conversation - April 11 and 13, 1984” con “YUSUF AYDIN,
Deputy Director, Turkish National Security”;
“Memo of Conversation - April 11, 1984” con “Ankara police chief
ISMAIL BAYCHIL, Assistant head of external relationals, National
Security Police”;
“Memo of Conversation - April 15, 1984” con SAMI SOYDAN, deputy
chief, narcotics investigations, National Security Police”;
“Prof. Sharif Erman - April 17, 1984”.
Cartellina di colore marrone riportante l’annotazione manoscritta a penna
di colore rosso “CAVALLO”, contenente:
- documento dattiloscritto, in lingua inglese, che inizia da pag.2 fino a pag.
10; si rilevano riferimenti alla “caso SCRICCIOLO”, alla vicenda CALVI-
IOR, PAZIENZA, CARBONI, CAVALLO e ANTONOV;
Fascicoletto dal titolo “Roulette” contenente:
- missiva del “CSIS - Center for Strategic & International Studies -
Georgetown University - Washington DC” datata il febbraio 1987 a firma
del Presidente AMOS A. JORDAN, con allegata traduzione della missiva
dalla quale si evince che la STERLING non risulta mai essere stata
consulente o impiegata retribuita dal Centro di Studi Strategici ed
internazionali;
- foglio manoscritto in lingua inglese, nel quale sono riportati riferimenti a
LEDEEN e ad HENZE;
- documento datifioscritto in lingua inglese, composto da 3 pagine, con
correzioni a mano, datato “Nov.18,1986”, si rilevano riferimenti ad
AGCA e alla pista bulgara;
- pubblicazione statunitense dal titolo “COVERT ACTION -Information
Bulleetin - Number 23” contenente vari articoli sulla pista bulgara con
riferimenti alla STERLING ed ad HENZE. Si rileva, peraltro a pag. 21, un
capitolo intitolato “Martella, Priore, and Italy’s Unfunny Judicial Farce”;
- articolo dal titolo “A EST DI PRAGA” di Mario SCIALOJA, pubblicato
sul settimanale “L’ESPRESSO” del 29 novembre 1987, contenente
un’intervista alla STERLING sulla pista bulgara. Si rilevano riferimenti
alla pubblicazione di cui al punto precedente “COVERT ACTION”
definita da SCIALOJA come “specializzata in problemi di spionaggio”
che ha sostenuto “che la bulgarian connection è stata ideata e messa a
punto per la protezione politica di Kissinger e Haig da un trust di
specialisti radunato attorno al Centro di ricerche strategiche internazionali
della Georgetown University. Tra questi ci sarebbe lei (la STERLING
n.d.r.) HENZE, Robert MOSSE allegato alla CIA ed ideologo della guerra
psicologica antisovietica) e Michael LEDEEN (ex consigliere di HAIG e
politologo specializzato in affari italiani”. La STERLING alla domanda di
SCIALOJA risponde che la pubblicazione “COVERT ACTION” è una
rivista semi clandestina più che sospetta che fa informazione
filocomunista. Io non ho mai fatto “parte del centro di ricerche della
Georgetown University...”.
Cartellina di colore marrone dal titolo “LAW SUITS” contenente:
- missiva in lingua inglese, datata 20 ottobre 1984, a firma “Michael A.
Ledeen” diretta alla STERLING con allegati documenti riguardanti il
Generale Jan SEJNA relativi a “the list of person he told me had been trained
by the GRU in Czechoslovakia for terrorist activies” che “At the time I
received it, I sent one copy you and another copy to Cossiga, who was -then
Interior Minister. The writing in ballpoint is Sejna’s the writing in ink is
mine”.
Allegati alla lettera: un foglio manoscritto con elenco di nomi e annotazioni
varie;
- fotocopia di un’intervista al Generale Sejna a “Giancesare Flesca of
L’Espresso in my office at the Washington Quertely. L’Espresso never
published it”; articolo, in lingua inglese, dal titolo “From Prague to Rome by
Michael LEDEEN” scritto per “Il Giornale Nuovo” di Milano;
- missiva dattiloscritta della STERLING all’Avv. FLAMMINI relativa alla
querela di Cesare CAPPELLINI, in cui la scrittrice informa che LEDEEN le
ha mandato della documentazione autografa del Generale SEJNA,
comprendete una lista di nomi scritta di pugno dallo stesso Generale;
- documentazione, in lingua inglese, raccolta insieme da un foglio riportante
la scritta “Pleaser”, avvocato dello studio BLUM e Nash di Washington; la
documentazione è relativa ad una richiesta di informazioni alla FBI
statunitense di documentazione declassificata relativa al “caso Curiel”. Si
rileva corrispondenza tra l’ufficio legale di BLUM e NASH a firma
PLESSER con la CIA e fotocopia di alcuni documenti dell’FBI, in parte
obliterati, trasmessi all’Ufficio Legale dall’FBIFreedom of Information -
Privacy Acts Section Recorde Management Division;
Busta di colore giallo riportante l’armotazione “FRANCESCO PAZIENZA”,
contenente:
- missiva in lingua inglese, scritta su carta intestata “ALFRED SHERZ
VERLAG” datata “Berne, May 25, 1983”, diretta alla STERLJNG, a firma
JURGEN LUTGE;
- minuta di una lettera in lingua inglese diretta a “Bob BARTLEY- Wall St.
Journal 22 Cortland St. New York. NY 10007”; si rilevano riferimenti alla
pista bulgara, PAZIENZA e SANTOVITO; sulla prima pagina si rilevano le
annotazioni manoscritte “Telex RCA - 232011” e “Aug 20/85”;
- minuta di una lettera, in lingua inglese, diretta a “Ambassador Maxwell
Rabb - US Embassy Rome, Italy” in cui la STERLING fa presente che è in
atto una campagna di disinformazione internazionale sulle investigazioni da
lei portate avanti per l’attentato al Papa precisando che non ha mai lavorato
per la CIA nè mai conosciuto Francesco PAZIENZA.
Contenitore riportante sul dorso la scritta “AGCA update e triai”, contenente:
- dattiloscritto, in lingua inglese, relativo a conversazione con “Johann
Gassert, German of BKA attached to Italian Criminalpol last four years,
leaving this Sunday. Lunch in Via S.F. di Sales Sept. 28, 1984. (Phone
Munich); si rilevano riferimenti a CELENK, CELEBI, MARTELLA,
ATALAY SARAL, Cristoforo LA CORTE e giudice PALERMO;
- telex dattiloscritto in caratteri di colore rosso, in lingua inglese, datato 9
luglio 1983, trasmesso da “NAGORSKI/ROME” a
“WHITAKER/FOREIGN” ; si rilevano riferimenti al sequestro di Emanuela
ORLANDI, AGCA,
ANTONOV, AYASOV; la seconda parte del telex sembra riferirsi ad una
intervista AGCA;
- documento dattiloscritto, in lingua turca di due pagine datato “Bayreuth, 2
A.ralik.1980” a firma di Suleyman Necati Topuz, diretto a Sayn Cithat Alpan;
il documento risulta allegato ad altro documento dattiloscritto in lingua
italiana, verosimilmente, traduzione dal primo TOPUZ porta a conoscenza
delle Autorità turche presso l’Ambasciata Sofia due fatti. Il primo che OMER
MERSAN non avrebbe nessun legame con ambienti politici ma egli è
“l’aiutante di Fikri Kocakerim che lavora per conto della famiglia UGURLU”
e che la denuncia nei confronti di MERSAN “oppure se vogliamo diceria, è
stata fornita alla vostra Ambasciata, proprio dagli uomini della famiglia
UGURLU che lavorano insieme ai Servizi Segreti della Bulgaria, a scopo di
confondere le idee”; il secondo punto èrelativo alla morte di MEHMET
OMER Topal a Sofia in quanto “vittima di un complotto organizzato dalla
polizia segreta Bulgara e dalla famiglia UGURLU” per la quale aveva
lavorato mantenendo i contatti con gli autisti dei TIR di nazionalità tedesca
per il contrabbando di sigarette. Motivo della morte sarebbe stata la
conoscenza della circostanza che la famiglia UGURLU era collegata per il
traffico di stupefacenti con le società KINTEX bulgara;
- foglio dattiloscritto in lingua inglese in cui si rilevano riferimenti ad AGCA,
ANTONOV ed alla Mafia turca;
Cartellina di colore arancione contenente:
- fotocopia di documento dattiloscritto in lingua inglese, classificato
“CONFIDENTIAL”, datato 31.1.1984, proveniente dall’Ambasciata degli
Stati Uniti di Roma all’oggetto
““BULGARIAN CONNECTION” TO PAPAL
ASSASSINATION ATTEMP: CASE AGAINST ANTONOV”” si rilevano
riferimenti a ANTONOV, MARTELLA e FORLANI;
- due foglietti manoscritti in lingua inglese che iniziano con la dicitura
“Tanino Scelba, …”;
- dattiloscritto in lingua inglese che inizia con “John: An immediate
precedent to a prisoner swap betwen Bulgaria and Italy was the case of Victor
Pronin… “ e termina “Judith – 12/20/83”; in calce annotazioni manoscritte;
- foglietto dattiloscritto in lingua francese relative a informazioni
sull’Ambasciatore della Bulgaria a Roma, RAIKO MARINOV MIKOLOV;
Contenitori riportanti sul dorso la dicitura “DALLA CHIESA –
BADALAMENTI – MAFIA WOMEN – PIPPO CALO’ – CARLO
PALERMO – SINDONA – AMBROSOLI – PAZIENZA – MAFIA REST
OF ITALY – LIGGIO – MESSINA – CHINNICI – TRAPANI –
EPAMINONDA” contenente:
- busta trasparente dal titolo “Palermo Judge Carlo Interviews –
Corrispondence”, contenente:
- fotocopia di dattiloscritto in lingua inglese “FROM: Judy TO:
Mike/Paola” datato 9 dicembre 1986, relativo ad un articolo stampa scritto da
Pino BUONGIORNO sulla rivista PANORAMA, concernente l’esportazione
di armi da parte della SELENIA e OTO MELARA all’Iran ed Iraq;
- Dattiloscritto in lingua inglese composto da tre pagine dal titolo
“MEMO OF CONVERSATION – judge CARLO PALERMO – Sept. 7,
1983, Trento”, verosimilmente, trattasi di una intevista al Giudice
PALERMO; si rilevano riferimenti ad
ARSLAN, WAKKAS AL DIN, UGURLU, PAZIENZA, CELENK ed altri;
- dattiloscritto in lingua inglese composto di 4 pagine dal titolo “Excepts from
interview, judge Carlo PALERMO - Trento March 22-23, 1983”;
- dattiloscritto in lingua inglese di 5 pagine dal titolo “MEMO OF
CONVERSATION - Judge Carlo PALERMO - Trento March 22-23, 1983”;
- foglio dattiloscritto in lingua inglese “Memo of conversation Oct.28,1983.
At Trento. His bodyguards, two, break in with coffee”; si rilevano riferimenti
a ARSLAN, giudice PALERMO, P2, CELENK, UGURLU;
- nr.6 fogli intestati alla “CAMERA DEI DEPUTATI” con annotazioni
manoscritte in lingua inglese che iniziano con “Questions - Trento”, si
rilevano riferimenti a AGCA, ARSLAN, ANDREOTTI, CELENK, CARLO
PALERMO, WAKKAS AL DIN, OZDEMIR, ROSSANO BRAZZI,
GIOVANNELLI, PAZIENZA, SANTO VITO, KOFLER, Sen. D’AMATO
ed altri;
-foglio dattiloscritto in lingua inglese “Carlo Palermo, Trento 11.19.84”; si
rilevano riferimenti a GIOVANNONE, CELENK, GAMBA, KINTEX,
GHASSAN, ARSLAN e PARTEL;
- copia di lettera dattiloscritta in lingua italiana diretta al Giudice PALERMO,
datata 27 settembre 1983; nella missiva viene fatto riferimento al libro “the
Puzzle Palace”, sulla N.S.A. che si occupa, secondo quanto precisato nella
lettera, “di ascolto elettronico e perciò sistemi di ascolto”;
- foglio manoscritto in lingua inglese che inizia con la dicitura “PALERMO”;
si rilevano riferimenti alla DEA, CIA, NSA, ARSLAN, CANTAS, CELENK,
PAZIENZA, GHASSAN, CHINNICI, CIACCIOMONTALTO, UGURLU;
Documento sparsi
- fotocopia del verbale di interrogatorio di AGCA reso il 20 maggio 1981 al
P.M. Dr. SICA, recante la numerazione progressiva degli atti del processo nr.
184-185;
- fotocopia del telex nr.63/81 del 22 maggio 1981 trasmesso dall’UCIGOS al
BKA di Wiesbaden, concernente i contatti di AGCA con MERSAN;
- fotocopia dell’interrogatorio reso da AGCA innanzi al G.I. MARTELLA in
data 28 giugno 1983;
- fotocopia della requisitoria della Procura Generale della Repubblica presso
la Corte d’Appello di Roma nel procedimento contro BAGCI OMER + altri;
- fotocopia della sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma nel
procedimento contro BACCI OMER + altri;
- fotocopia della sentenza della Corte di Assise di Roma contro AGCA
emessa in data 22 luglio 1981;
- documento dattiloscritto su carta intestata “Questura di Roma” composto di
7 pagine numerate progressivamente, le prime cinque da 67 a 71 mentre le
ultime due da 181 a 182: nel primo foglio (67) si legge l’annotazione
manoscritta “official translation in Italian on AGCA’s memorandum”;
- raccolta delle deposizioni rese da AGCA al Giudice MARTELLA nelle
seguenti date: 8/9-11-82; 31-3-83 (stralcio); 8-1-83 (confronto tra
AGCA/ANTONOV); 16-6-83 (stralcio); 28-6-83 (stralcio); 28-5-82
(stralcio); 8-1-83 (confronto AGCA /ANTONOV); 23-6-83 (stralcio); 29.6.83
(stralcio); 7-1-83 (stralcio); 20-12-82; 22-12-82; 29-4-82: 28/29/30-10 e 1-11-
82; 1/2/4/6/7-5-82;
- fotocopia di manoscritto in lingua turca firmato MEHMET ALI’ AGCA,
scritto su carta intestata “Questura di Roma”.
Da questo breve excursus sull’ ingentissimo materiale sequestratole e sulle
sue dichiarazioni al Congresso degli Stati Uniti emerge in tutte le sue
dimensioni l’attivismo della STERLING al riguardo dell’attentato,
dell’ambiente turco in cui s’erano mossi gli Ulkulu, della Bulgarian
Connection. Ella ha infiniti rapporti in Europa, negli Stati Uniti, in Turchia e
Medio Oriente; moltissime persone dei più disparati ambienti le riferiscono;
colleziona, connette elabora, dai Governi dei grandi Stati alle organizzazioni
terroristiche, dai disegni di politica estera alle attività dei Servizi e delle
istituzioni pubbliche e private, dai mass media agli atti processuali. E’ al
centro di ogni relazione che riguardi l’attentato, si prende carico dei
collegamenti con il sequestro ORLANDI. Ha i riflettori su ogni novità in
Turchia e Bulgaria. Canalizza senza dubbio le sue informazioni ed
elaborazioni verso gli opportuni terminali istituzionali. Fa giornalismo
investigativo e forse più. Quasi si può dire che sia la coordinatrice delle
investigazioni sul caso. Certo si può affermare che se l’inchiesta ne avesse
tempestivamente seguito le mosse, maggior luce ne sarebbe derivata sui nodi
di essa più intricati e ad oggi ancora non dipanati.
***********************
6.1.4. L’audizione dinanzi alla Commissione del Congresso U.S.A..
Di rilievo per la comprensione della figura e delle attività di Claire
STERLING i testi della sua audizione dinanzi alla Commissione del
Congresso degli Stati Uniti sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa in
udienza pubblica sull’attentato al Papa, in Washington il 23 settembre 82.
Cioè nello stesso mese in cui era uscito - preceduto di poco dall’altrettanto
noto libro bianco dell’NBC “The man who shot the Pope. A study in
Terrorism”- sul Reader’s Digest il famoso articolo della detta STERLING
“The plot to murder the Pope”.
La scrittrice così esordisce “Spero di non sembrare immodesta se dico
che il crimine di cui stiamo parlando non si sarebbe mai avvicinato alla
soluzione, se i membri della stampa come me non avessero tentato di seguire
gli indizi disponibili”. Aggiunge poi una perspicace intuizione - ben 16 anni
fa –”….. nessuno dei Governi interessati ha mai desiderato che l’indagine
giungesse a conclusione, che tutti in qualche modo hanno evitato di seguire
gli indizi anche più promettenti, che puntavano ad Est, per non guardare in
faccia la realtà, anche se ritengo che tutti sapessero, in via generale, senza
avere una conoscenza precisa o specifica dei dettagli, chi stesse dietro a
questo atto mostruoso.
Stima poi - e anche qui percepisce un’altra fondamentale verità - che
non si è trattato di un complotto semplice. Il mandante doveva assolutamente
trovarsi “distante”, a parecchi meridiani di distanza, ella dice, tanto da avere
la totale garanzia che sarebbe stato impossibile trovare prove dirette che
potessero collegarlo al crimine, qualsiasi cosa che andasse oltre le prove
circostanziali e le congetture. La STERLING abbraccia quindi la tesi del
diaframma: l’entità che dà il mandato si premura - ma non potrebbe essere
altrimenti - di frapporre tali e tante distanze, tali e tanti passaggi, tra sè e gli
esecutori, da rendere più che difficile se non impossibile risalire ad essa.
Anche il governo più inesperto o il servizio più rozzo non avrebbero mai
operato senza il diaframma.
Individua quindi un altro obbiettivo nella entità mandante. L’attentato
doveva apparire un crimine di matrice turca. Queste le sue parole: “E’ stato
fatto ogni sforzo, uno sforzo accurato e minuzioso, affinchè sembrasse
l’opera di un turco condannato in Turchia come un assassino fascista, in
modo che il mondo avesse l’impressione che questa società strana,
mussulmana, fanatica, turbolenta, caotica, estranea al mondo cristiano, ma
pur sempre un Paese membro della NATO, fosse il Paese che ha inviato
l’emissario che doveva uccidere il Papa”. La ulteriore ricaduta
dell’operazione doveva perciò consistere in un allargamento della frattura già
esistente tra la Turchia e il resto della NATO inclusi gli Stati Uniti.
La STERLING passa di seguito ad enumerare le sue scoperte. La prima
quella dei conti bancari aperti a nome del terrorista, cioè di MEHMET ALI’
AGCA, a partire dal dicembre 77. Costui aveva dichiarato che proprio
nell’estate di quell’anno era entrato in un campo di addestramento palestinese
a Beirut, della formazione “Fronte Popolare per la liberazione della Palestina”
cioè il PFLP di George HABBASH. Egli vi era stato condotto da TESLIM
TORE, istruttore in quel campo, che lo aveva prelevato a Damasco, lo aveva
portato al campo e al termine del periodo di istruzione, lo aveva fatto rientrare
via Damasco in Turchia.
Riferisce inoltre, a parte commenti sui comportamenti di AGCA nel
periodo di tempo che va sino alla fuga da Kartal Maltepe, le scoperte sul
passaggio in Bulgaria e cioè il visto di uscita dalla Turchia era falso mentre
quello d’ingresso in Bulgaria era autentico, così come era autentico il visto di
uscita dalla Bulgaria per la Jugoslavia. Redige poi lo schema dei rapporti
di AGCA in Bulgaria nelle sette settimane di
permanenza a Sofia. Quindi la successione dei suoi viaggi, mettendo in
evidenza come il turco, uscito dalla Turchia con una personalità falsa
appositamente costruita, abbia lasciato forti tracce dei suoi contatti con i Lupi
Grigi, cioè con una formazione neonazista; come telefonando a figure di
primo piano degli Ulkulu dagli alberghi passando per il centralino, o portando
la Browining con la matricola originale, di modo che si risalisse
all’organizzazione di destra e all’armaiolo neonazista. Evidenzia infine la
“messinscena” che doveva indurre, nell’ambito di poche ore dall’attentato, i
media mondiali a ritenere che si fosse trattato di un attentato della destra, che
non aveva nulla a che fare con le forze o i terroristi di sinistra e i Paesi
dell’Est.
Nelle dichiarazioni esibite a detta Commissione la STERLING riassume
i suoi accertamenti ed indica le persone con cui ha avuto contatti, che pertanto
sono stati le sue fonti oltre che di fatti e circostanze anche di penetranti analisi
politiche con conseguenze sulla ricostruzione delle premesse dell’attentato. E
conclude con frasi inquietanti: “Un giorno AGCA forse racconterà i suoi
segreti a un indulgente giudice italiano, che senza dubbio li passerà ad un
governo italiano in apprensione. In Italia, come, quasi dappertutto in
Occidente, i leaders politici difficilmente vedono di buon occhio le prove
certe della complicità dell’URSS in un atto terroristico diretto
deliberatamente a scandalizzare e scioccare il mondo. L’impatto sulle
relazioni internazionali potrebbe essere disastroso. La tentazione di girarsi
dall’altra parte potrebbe essere ancora una volta troppo forte, come già
successo di frequente” .(v. audizione STERLING, Commissione del
Congresso USA 23.09.82).
Queste parole sono state pronunciate e scritte sedici anni fa, quasi ai
primi passi dell’inchiesta sull’attentato.
6.1.5. Commenti.
Nella documentazione sequestrata nelle abitazioni della STERLING,
come s’è detto, numerosissimi atti di rilevante interesse, che solo l’angustia
del tempo ha impedito di esaminare a fondo e che nella prossima inchiesta a
stralcio si spera lo siano, in tutte le loro valenze.
In primo luogo, tra le carte dell’abitazione romana di via S.Francesco di
Sales, i quattro volumi dell’ordinanza cd. MARTELLA, di cui non risultano
nè le modalità nè il tempo dell’acquisizione, esaminata e commentata a fondo
con sottolineature e glosse a margine o su centinaia di stick applicati su
numerosissime pagine, tutte in lingua inglese. Quindi una infinità di appunti
manoscritti e sempre in inglese su eventi e persone di Turchia, note
dattiloscritte e ritagli di giornali anch’essi di origine turca, schizzi sulle
guerriglie kurde in Turchia, Irak e Iran, appunti su attentati di matrice armena
ad obbiettivi turchi consumati anche in Italia. Infine - sempre per quanto
concerne il sequestro nella casa romana, contenitori con raccolte di
pubblicazioni varie sulla destabilizzazione della Turchia, sui problemi della
sicurezza nel Golfo Persico; un saggio redatto da Paul HENZE dal titolo
“Coping with terrorism. What do we know? What can be done?” per una
conferenza della SISAV ad Istanbul nell’ottobre dell’82; un secondo saggio
sempre del predetto dal titolo “Goal: destabilization. Soviet Agitational
Propaganda, Instability and Terrorism in NATO South” per il seminario
“NATO’S Southern Flank, the Mediterranean and the Persian Gulf”, a Napoli
nel settembre 81; appunti su tutti i personaggi del processo, in particolare su
AGCA, di cui annota ogni particolare, a partire dalle sue prime attività e
delitti; appunti su contatti a Roma;
appunti dettagliatissimi sui suoi viaggi; una serie di documenti a stampa
dattiloscritti e manoscritti in lingua turca.
Sempre nell’abitazione romana sono state rinvenute numerosissime
copie degli atti istruttori compiuti sia a Roma che in commissioni rogatorie da
quest’Ufficio, anch’essi abbondantemente sottolineati, evidenziati e glossati.
Altri contenitori con ritagli di stampa italiana e turca, copia della lettera del
settembre 82 spedita da AGCA al Cardinale ODDI, fotografie di
documentazione bancaria turca del 79 intestata a MEHMET ALI’ AGCA,
appunti con “official statement” dell’inquirente, memo di conversazioni con
funzionari di polizia e difensori di imputati, appunti su voci provenienti dagli
inquirenti e riversate a giornalisti sul complotto ai danni del Pontefice e su
quello a danni di WALESA, copie di atti del BKA e di altre autorità tedesche.
Nell’abitazione di Cortona in Vallecchie Montanare altrettanti, ed
interessantissimi, reperti.
In primo luogo rubriche con recapiti telefonici di magistrati inquirenti e
giudicanti, funzionari di polizia addetti al caso, avvocati, tra cui il difensore di
AGCA. Le agende dell’86,90,91,92,93 ove sono riportati incontri con
funzionari FBI,DEA, dell’Ambasciata USA e numerosissime telefonate anche
a magistrati italiani e stranieri, e in Paesi dell’Est europeo. L’originale della
lettera di Michael A. LEDEEN alla STERLING sul generale Jan SEINA e le
sue rivelazioni sul terrorismo italiano, con allegata la nota di pugno di questo
generale sui nomi degli italiani addestrati in Cecoslovacchia. Copie delle
pubblicazioni “The crime in St Peter’s square” di Eduard KOVALYOV e “Il
complotto dei neocrociati” di Bojan TRAIKOV, “Gli assurdi di
un’istruttoria” di Bogonul RAINOV. Copie di dossier dell’Agenzia A su
CALVI, il Papa, l’Islam e la
CIA. Raccolte di carte su DALLA CHIESA, BADALAMENTI, le donne
della mafia, Pippo CALO’, Carlo PALERMO, SINDONA, AMBROSOLI,
PAZIENZA, LIGGIO, MESSINA, CHINNICI, TRAPANI, EPAMINONDA.
Videocassette sull’attentato e appunti su rogatorie in Turchia. La copia di un
telegramma “confidenziale” dell’Ambasciata USA a Roma alla Segreteria di
Stato e per conoscenza alle Ambasciate USA di Sofia, Mosca e Belgrado, e a
“NATO collective”, con oggetto la Bulgarian Connection nell’attentato al
Pontefice; telegramma nel quale si riportava un’informazione proveniente
dall’interno del Gabinetto del Primo Ministro, secondo cui il magistrato
istruttore ““had” gone too far” in pushing his case against bulgarian airlines
employee ANTONOV, and that the matter had now become a “delicate
problem””; telegramma che interpretava questo testo nel senso che il
magistrato istruttore “had committed himself to ANTONOV’s guilt beyond
what evidence would bear and that the Italian Government is now in a pickle
as to what to do next”.
___________________
Capitolo secondo
Il sequestro presso FERRACUTI Franco
Altra perquisizione e conseguente sequestro è stata quella nei confronti
delle abitazioni del professor Franco FERRACUTI, figura più volte emersa
nella presente istruzione, i cui collegamenti saranno confermati dalla
documentazione rinvenuta, anche se essa appare minima rispetto a quella che
doveva essere conservata dal FERRACUTI prima della sua morte.
In effetti presso l’abitazione di Roma, alla Via Giuseppe MARCHI,
furono rinvenuti soltanto due fascicoli contenenti più cartelline, molte delle
quali vuote o con documenti pubblici, come risulta dal relativo verbale di
sequestro.
Documentazione sequestrata presso l’abitazione di Roma via Giuseppe
MARCHI, contenente due fascicoli:
- cartellina di colore rosso, riportante sul dorso la dicitura “TERRORISM
MISCELLANEOUS”, all’interno vuota;
- cartellina di colore beige riportante sul dorso la dicitura “SISDE”,
all’interno vuota;
- cartellina di colore beige riportante sul dorso la dicitura “CIS”,
all’interno vuota;
- cartellina di colore rosso riportante sul dorso la dicitura “AGCA”,
all’interno vuota;
- cartellina di colore marrone, riportante sul dorso la dicitura
“ANTONOV” contenente, tra l’altro,:
-diario clinico della Casa Circondariale Roma - Rebibbia di
ANTONOV SERGHEJ IVANOV;
- sentenza nr.571 datata 14.3.84 della Corte Suprema di Cassazione, che
disponeva la ritraduzione dell’ANTONOV nella Casa Circondariale di
Rebibbia;
- consulenze PSICHICO-FORENSI sulla persona di SERGHEJ
ANTONOV, eseguite dai Prof. DE VINCENTIS e Prof. Ivan TEMKOV;
- copia del processo verbale di perizia con il quale il Dott. MARTELLA -
G.I. - titolare dell’inchiesta dell’attentato al Papa, nominava i periti per
procedersi a perizia medico-legale collegiale sulla persona di ANTONOV
SERGHEJ; periti nominati: Prof. Franco FERRACUTI - Prof. Mario
SANGIORGI - Prof. Angelo FIORI.;
- perizia psichiatrica sulla persona di SERGHEJ ANTONOV a firma dei
Prof. : FERRACUTI, FIORI e SANGIORGI;
- missiva manoscritta in lingua inglese, datata Washington 9 giugno 1984
a firma di Paul B. HENZE. Si rilevano riferimenti all’attentato al Papa ed a
Claire STERLING.
-rir. 2 videocassette (SISTEMA BETAMAX) con la seguente dicitura:
1) “MISTER GAME” - Reg. 8.6.82-1 parte;
2) “THE MAN WHO SHOT THE POPE” - 9.12.82 -record - ch/4
NBC;
- missiva dattiloscritta in lingua inglese datata 19 june 1984, su carta intestata
“BASYC - BEHAVIORAL ASSESSMENT SYSTEMS CONSULTANTS”
con allegato un dattiloscritto in lingua inglese, relativo, verosimilmente ad un
profilo di soggetto.
Analogo risultato anche nella perquisizione di MONTOTTONE ove le
stesse cartelline dedicate ad interessanti argomenti appaiono contenere
soltanto ritagli di stampa. Unico sequestro di rilievo la copia di una lettera su
carta Semerari al Direttore dell’Unità sull’affare MARESCA.
Così il verbale di sequestro:
cartellina di colore grigio riportante sulla copertina un foglietto spillato con la
dicitura “AGCA”, contenente:
- copia redatta in lingua straniera e relativa traduzione del rapporto di
osservazione emesso dalla Repubblica Turca nei
confronti di MEHMET ALI’ AGCA, per l’imputazione di omicidio
volontario del giornalista ABDI IPEKCI;
- opuscolo in lingua inglese del “CENTER FOR STRATEGIC AND
INTERNATIONAL STUDIES GEORGETOWN UNIVERSITY” all’oggetto
“THE INTERNATIONAL IMPLICATIONS OF THE PAPAL
ASSASSINATION: A CASE OF STATE-SPONSORED TERRORISM”, a
firma ZBIGNIEW BRZEZINSKI e ROBERT H. KUPPERMAN;
- ritagli stampa estera;
- fotocopie di un articolo dal titolo “Clandestine Operations in Italy: the
Bulgarian Connection by Vittorfranco 5. Pisano”, Winter 1984;
- “THE ADJECTIVE CHECK LIST”, relativo al profilo di AGCA;
- cartella di colore azzurro riportante sul dorso la dicitura “SEMERARI”,
contenente ritagli di stampa;
- cartella di colore azzurro riportante sul sorso la dicitura “TERRORISMO
VARIE”, contenente ritagli stampa;
- cartella di colore azzurro riportante sul dorso la dicitura “AGCA”,
contenente ritagli di stampa;
- cartella di colore verde riportante sul dorso la dicitura “SISDE”, contenente
ritagli stampa;
- fotocopia di una lettera manoscritta su carta intestata “Prof. Dott. ALDO
SEMERARI”, di cui si trascrive il contenuto;
“Roma 24.3.1982 - Egregio Dott. Claudio PETRUCCIOLI, non le sto a
spiegare il perché di questa mia decisione. Chiaro e crudo le dico che sono io
la reale e veritiera fonte fomitrice dell’informazione che la cara Marina
MARESCA coraggiosamente ha sbandierato a onor del vero agli italiani. Mi
riferisco a quella parte degli italiani che amano la patria e che mal sopportano
le angherie di questo governo ladro e burattino. Sono il perito di RAFFAELE
CUTOLO e da egli ho
appreso la successione degli eventi relativi al rapimento CIRILLO e alla
intercessione ditale PATRIARCA, al fine di trovare il modo più comodo
(tramite la camorra) per il pagamento del riscatto e il consequenziale riscatto
dell’ostaggio. Marina non mi ha detto dell’intervento segreto del Banco di
Napoli e ne’ ci ha detto che la prima richiesta fatta dalle BR (per bocca di
CUTOLO) fu di presentare un carico di armi in cambio della vita miserabile
di CIRO CIRILLO. Che rilasciassero MARINA MARESCA. La verità fa
tanta paura.
________________________
Capitolo Terzo
Le dichiarazioni di BRUNO Francesco
6.3.1. L’intervista del febbraio 94
Nel febbraio del 94 fu rilasciata dal noto professor BRUNO
un’intervista sul delitto a giudizio, nella quale veniva riproposta l’ipotesi del
progetto di ferimento e non d’uccisione del Sommo Pontefice. Questo il testo.
L’attentato al Papa del 13 maggio 1981? “E’ stato organizzato
appositamente per ferire e non per uccidere Giovanni Paolo Il. E
l’avvenimento non veniva certo da Est”.
Francesco BRUNO, docente di Psicologia forense all’Università La
Sapienza di Roma, già insegnante di Criminologia all’Istituto superiore di
Polizia, dal 1978 al 1987 funzionario nella divisione tecnico-scientifica del
SISDE (il servizio di sicurezza civile), non si cela dietro fumosi giochi di
parole.
Prima di abbandonare i Servizi, in coincidenza con l’arrivo della
cosiddetta “banda dei quattro”, il vertice SISDE oggi al centro dello scandalo
dei fondi neri, il professore BRUNO ha lavorato a lungo sul caso
dell’attentato al Papa.
Con i documenti alla mano, in questa intervista esclusiva concessa a 30
Giorni, getta una nuova luce sul caso. “Anche se dall’87 non faccio più parte
del SISDE sarei tenuto al segreto. Ma se ho deciso di parlare è perché credo
sia finita un’epoca. E ritengo opportuno che finalmente si accerti la verità
anche su questi fatti”.
Lei afferma che ALI’ AGCA, l’attentatore turco che sparò a papa
Wojtyla in piazza San Pietro, non aveva l’ordine di uccidere ma solo di ferire
il Pontefice. Su quali elementi basa la sua ipotesi?
BRUNO: La mia è più che un’ipotesi, si basa su elementi concreti. In
primo luogo l’analisi della traiettoria. Anche se i giornali dell’epoca,
opportunamente “imbecca ti “, hanno
descritto il colpo come sparato dal basso verso l’alto. Pura disinformazione.
In realtà è avvenuto l’esatto contrario. Il colpo che ha ferito il Papa è stato
sparato dall’alto verso il basso: èpenetrato nel ventre ed è uscito dal gluteo,
non viceversa. Lo si può vedere molto chiaramente dalle foto che ritraggono
AGCA in una posizione innaturale per un killer che vuole uccidere:
con la mano che sporge tra la gente e la canna della pistola puntata verso il
basso. Per colpire mortalmente un bersaglio che stava più in alto di lui -
ricordiamo che il Papa si trovava in piedi sulla camionetta - bastava fare
esattamente il contrario. Tenere il braccio più al sicuro da sguardi indiscreti e
puntare la canna dell’arma verso l’alto, verso il tronco. In qualsiasi scuola di
tiro insegnano a puntare al tronco: è la parte più grande del corpo umano e
non c’è il rischio di sbagliare. Mentre l’innaturale movimento di AGCA è
l’unico modo per colpire il bersaglio nella parte bassa del corpo.
Non potrebbe trattarsi di un errore, magari dovuto all’emozione o alla
posizione di AGCA in mezzo alla folla?
BRUNO: Non credo. Anche perché la traiettoria non èl’unico elemento
tecnico che mi fa dire che si voleva ferire e non uccidere. C’è anche la pistola.
Uno che vuole colpire mortalmente il Papa - cioè un attentato non ripetibile e
contro il più importante bersaglio che esista al mondo - usa uno strumento
adeguato. Se si vuole uccidere bisogna adoperare un arma dal calibro adatto.
Invece la Browning usata dall’ attentatore era una pistola che nessun killer
serio utilizzerebbe mai per ammazzare qualcuno. Lo dimostra il fatto che il
Papa, colpito, si accascia su se stesso ma non viene spostato indietro dalla
forza d’urto del proiettile, pur essendo stato colpito da una breve distanza. E
ciò che uccide è la forza d’urto della pallottola. Qualunque killer lo sa. Per
uccidere avrebbe usato una P38, una pistola seria. AGCA è un killer
professionista, è uno che spara e ammazza al primo colpo. Lo ha già fatto,
uccidendo con freddezza il giornalista turco ABDI IPECKI nel febbraio del
79. Inoltre un killer spara tutto il caricatore, mentre il 13 maggio furono
sparati tre o quattro colpi, anche se questo ancora oggi non è stato ben
chiarito, e ciò dimostra che fin dal primo giorno si è cercato di attribuire la
paternità dall’attentato al KGB attraverso i bulgari e non di accertare la verità
e l’esatto svolgimento dei fatti. Mi sembra quasi impossibile che nessun
giornalista si sia mai chiesto come si sia potuta ritenere credibile la versione
ufficiale che parla di un colpo sparato dal basso in alto e quindi entrato dal
gluteo e uscito dal ventre: come poteva AGCA’ sparare in questo modo se si
trovava davanti e non dietro al Pontefice?
Lei afferma che questi sono elementi evidenti a tutti. Perché non si è
mai saputa la verità?
BRUNO: Nell’ambiente degli addetti ai lavori fu chiarissimo fin dal
primo momento che l’attentato doveva servire da avvertimento, anche se poi
il colpo, pur sparato verso il basso, per poco non uccideva il Papa, che si è
salvato solo grazie all’inadeguatezza dell’arma e quindi al calibro delle
pallottole usate. Bastava un qualunque perito balistico per dimostrarlo,
bastava uno studio serio sulla traiettoria dei colpi. Purtroppo di questo non si
è neanche parlato al processo, tutto è imbastito per dimostrare la cosiddetta
“pista bulgara”, per attribuire all’ “impero del male” sovietico l’attentato
contro il Papa polacco. Nei documenti e negli appunti interni ai Servizi credo
che invece non ci fossero dubbi al riguardo. Poi però gli appunti e le relazioni
interne vengono inoltrate ai vertici dei Servizi e quindi diramate alle autorità
ufficiali: e lì allora molte volte le cose cambiano. Per noi comunque era
chiaro che si voleva mandare un segnale a Giovanni Paolo Il e non veniva da
Est.
Allora lei non ha mai creduto alla pista bulgara?
BRUNO: Lo stesso ex capo del Servizio di Intelligence americano Bilì
Casey, in una intervista concessa quando ormai era morente al famoso
giornalista americano Bob Woodword affermò che la pista bulgara fu
“confezionata” dalla CIA. E che l’attribuzione della responsabilità
dell’attentato all’Est comunista, operata grazie ai libri di una disinformatrice
professionale come Claire STERLING, ha accelerato la crisi dei regimi
d’oltrecortina.
Inoltre non dimentichiamoci che è la scelta del killer che indica la
matrice: non si poteva scegliere un killer più affidabile di AGCA, un
esponente di un gruppo fascista turco. Un uomo che probabilmente sapeva di
dover mettere in conto almeno una decina d’anni di carcere nel caso non fosse
riuscito a scappare. Un uomo che comincia a parlare al momento giusto, che
accusa ANTONOV e i bulgari, che parla di Fatima...
Dal momento in cui AGCA spara al Papa esistono poche immagini.
Quel giorno c’erano pochi fotografi e solo in qualche inquadratura è possibile
scorgere la mano del giovane turco con la pistola rivolta verso il basso. Ma
oggi il Giudice Rosario PRIORE, titolare dell’inchiesta sull’attentato, sta
lavorando su alcune nuove immagini. Che cosa può dire al riguardo?
BRUNO: Non so dire su quali nuove immagini sia puntata l’attenzione
degli investigatori. So solo che molte delle foto dell’attentato casualmente
vennero fornite dalla CIA...
Come fa ad affermarlo con tanta sicurezza?
BRUNO: All’epoca lavoravo al SISDE. Vidi in anteprima queste foto
fornite dagli americani. Poi vennero inoltrate alla magistratura.
Ciò significa che forse non c’erano molti fotografi ufficiali ma ve ne
erano di ufficiosi.
************
6.3.2. L’articolo di CUBEDDU Giovanni.
In effetti, nel corso degli anni, molti sono stati i dubbi sollevati sulla
pista bulgara. In particolare presso la CIA americana. Di tali critiche redige
una breve storia, sempre nel Servizio predetto, Giovanni CUBEDDU, che
sotto il titolo “I passi perduti di AGCA” riferisce di un documento datato 12
marzo 1992 ad oggetto “Sommario di analisi nel tentato assassinio del Papa”
di cui s’è detto nella parte quarta, al capitolo sui Servizi statunitensi. Tale
sommario esplora i cd “Scenari alternativi” nell’ organizzazione dell’attentato
a Giovanni Paolo Il, esulando cioè dalla pista bulgara. Pista, sottolinea il
redattore, smentita da ORAL CELIK ed abbandonata più volte dallo stesso
ALI’ AGCA.
“Molte delle nostre informazioni - riferisce la CIA -precedenti al
processo dell’84/85 (quello tenuto alla Corte di Assise di Roma, ndr)
concordavano con quelle italiane su “ipotesi alternative” incluse le teorie che
AGCA avesse agito da solo o con la complicità di criminali /terroristi...”
“.. .Sulla base di informazioni molto frammentarie, e spesso contraddittorie,
avevamo sviluppato alcune tesi in larga parte fondate sulla vita di AGCA - i
suoi contatti con criminali, contrabbandieri e terroristi, ed il suo tenore di vita
nel periodo dalla fine del 1979 ai primi del 1981... A partire da ciò avevamo
ipotizzato che egli quasi certamente aveva fatto ricorso a tali contatti nel
preparare l’attentato e che potesse aver avuto uno o più complici.. .Avevamo
supposto che durante questo periodo AGCA fosse stato coinvolto in una serie
di crimini, compresi il contrabbando, traffico di droga, estorsione e
terrorismo. Tale supposizione veniva confermata dalla disponibilità di fondi
dell’interessato e dal rapido cambiamento del suo tenore di vita - dalla
povertà al lusso. Egli era già un terrorista condannato
per omicidio, evaso da una prigione turca e complice di terroristi e
contrabbandieri turchi. L’identikit di MEHMET ALI’ AGCA dunque - una
volta che lo si tiri fuori dalla cornice “prefabbricata” della pista bulgara - è
quello di un mercenario dedito al traffico di droga e al terrorismo”. Giunta a
questo punto la CIA nega però di essere in possesso di una prova
schiacciante.” ...Benché le nostre analisi si sviluppassero su tali linee, non
abbiamo mai potuto avere di queste ipotesi conferme che fossero basate su
prove evidenti, indipendenti e di fonte affidabile. . .In definitiva, non
disponiamo di elementi concreti a sostegno di tali “ipotesi alternative” o di
ciò che èeffettivamente accaduto”.
L’informativa è completata nel marzo 92, quando èdirettore della CIA
Robert GATES, già oggetto di una audizione del Senato USA sui casi di
“politicization” della CIA. E uno dei casi più scottanti di “politicizzazione”,
erano di certo quello delle indagini relative all’attentato al Papa.
Questa è la cronologia redatta dal giornalista: “ Nel settembre ‘91 il
Comitato senatoriale sui servizi di sicurezza, dovendo decidere se ratificare la
nomina di Robert GATES a capo della CIA, si trovò di fronte a vari casi di
“politicization”. In particolare venne alla luce che nell’85, sotto la gestione di
William CASEY, GATES - vicecapo della Direzione Intelligence della CIA,
dopo essere stato assistente del consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniw
BRZEZINSKI - era stato al centro di un caso di “forzatura” dalle indagini
della CIA. Ovviamente per accreditare la responsabilità del blocco sovietico
nell’attentato al Papa. Dalle audizioni di funzionari della CIA, divisa in
fazioni pro e contro la tesi del coinvolgimento URSS.
Da una parte la Commissione senatoriale affermò che “l’attentato non
era stato previsto dalla comunità informativa
…tuttavia, almeno fino al 1981, gli analisti si erano convinti che Mosca
avesse un accordo ufficioso con il Papa per moderare le agitazioni in Polonia,
in cambio della promessa sovietica di non intervento. L’opinione generale era
che i sovietici non avrebbero avuto alcun vantaggio a rovinare questa intesa,
anche se non avesse dato risultati da loro sperati”. Dall’altra ricostruì gli
sforzi fatti dalla CIA per alimentare la pista bulgara.
Nel marzo dell’83 vi fu un primo approssimativo rapporto (titolo: “Il
tentativo di uccidere il Papa: una raccolta di notizie”) che escludeva la
responsabilità dell’Est. Nell’84 esce “il tempo degli assassini”, scritto dalla
giornalista Claire STERLING-notoriamente amica di CASEY -‘ che lancia
pubblicamente la tesi della pista bulgara. Dicono gli atti del Senato USA che
CASEY “fu impressionato”, dal lavoro investigativo della giornalista, perciò
commissionò a GATES un altro rapporto - titolo: “Un tentativo di AGCA di
assassinare il Papa: il caso del coinvolgimento sovietico”, aprile ‘85 - per
dimostrare il coinvolgimento dell’URSS. “CASEY e GATES” testimoniò
Melvin GOODMAN, funzionario CIA addetto all’Ufficio analisi sovietiche,
“tentarono inutilmente per diversi anni di ottenere che il DI (la Direzione
Intelligence della CIA guidata da GATES, ndr) trovasse la prova flagrante
che stabilisse la complicità sovietica”. Neanche stavolta gli analisti del DI ce
la fecero. E GATES, disse ancora GOODMAN, per accontentare CASEY fu
costretto a “riscrivere di suo pugno i punti fondamentali e la sintesi della
valutazione”, e a dichiarare in una nota anteposta alla valutazione che “i
sovietici erano direttamente coinvolti”.
La manovra dovette però risultare davvero sfacciata agli stessi
funzionari della CIA. Neanche un mese dopo seguì una nota duramente
critica voluta dal Capo dell’Ufficio studi
sovietici CIA, Douglas MC EACHIN. Anche questa nota del maggio ‘85
esplora le “teorie cospirative alternative”. E dice che “in modo assai veloce è
stata scartata la possibilità che AGCA, da solo o con qualche esponente della
mafia turca, possa aver pianificato l’attacco indipendentemente dai bulgari o
dai sovietici”. E che comunque “le somme di denaro e i supporti operativi
ricevuti da AGCA. . .indicano che è coinvolto in un qualche complotto”.
Per mettere fine alla guerra interna GATES stesso dovette
commissionare uno studio conclusivo, il rapporto COWEY:
una sorta di “operazione trasparenza” che esaminò i circa 30 documenti
sull’attentato al Papa prodotti dalla CIA dall’ 82 all’85. Ecco il giudizio: “Nei
casi di mancanza di prove evidenti, i documenti furono falsati, le deduzioni
assunsero il ruolo delle prove ed il testo divenne sempre più finalizzato”, cioè
politicizzato. Anche il rapporto COWEY si sofferma sulle “ipotesi
alternative”, dicendo che “meritevole di nota per la sua unicità nel
menzionare scenari alternativi è un appunto dl 17 settembre 1982... Dopo
aver discusso con considerevole accuratezza il materiale a conoscenza della
CIA sul caso, l’appunto concludeva che “le notizie concrete ...supportano
differenti scenari i quali escludono tutti reciprocamente~~~~ .Ese AGCA
fosse stato assassino” su commissione i suoi mandanti sarebbero stati
probabilmente i terroristi turchi”.
*****************
6.3.3. Gli interrogatori di BRUNO Francesco
“Ci fu questa cosa delle fotografie. FERRACUTI era andato via dal
SISDE, ma apparentemente si comportava come ancora ci fosse, almeno per
un certo periodo è stato così. Quindi riceveva ancora molti contatti, molte
cose. E quando ci fu questo attentato al Papa, lui entrò in contatto con i suoi
contatti all’ambasciata americana ed ebbe queste fotografie . . .Non è che
lui me lo disse, lui mi disse “dagli americani”. Se è stata l’Ambasciata
americana o qualcun altro non lo so. Sta di fatto che lui dette queste fotografie
al Giudice che seguiva all’epoca la vicenda. Anzi un giorno addirittura io
uscivo e lui entrava per prendere proprio queste fotografie ?. . .Io uscivo da
casa del FERRACUTE e il Giudice MARTELLA entrava... Abitava in Via
Marchi, vicino a Viale 21 aprile. Per ora si parlava solo di fotografie,
l’attentatore era stato arrestato e non ci furono commenti particolari . . .SI, le
vidi, numerose, in bianco e nero, grandi, e che facevano vedere molto bene le
persone attorno al Papa e sia la scena dell’attentato da diverse
angolazioni.. .Sì, diverse e fatte dalla piazza, non dall’alto. Non diverse da
quelle che si vedevano sui giornali, non le stesse ma dello stesso tipo. Poi, per
quanto riguarda la vicenda dell’attentato del Papa, naturalmente ne abbiamo
parlato con FERRACUTI. Ne abbiamo parlato volta per volta, man mano che
questo problema diventava nuovamente di interesse dell’opinione pubblica,
che usciva sui giornali e così via.
E quindi lui mi raccontò diverse cose riguardo a questo fatto specifico.
In particolare mi raccontò che una volta, in un suo viaggio negli Stati Uniti,
presso questa fondazione.. .non presso la sede di questa associazione, ma in
un posto dove si era trovato per delle vicende che avevano a che fare con
qué~ta associazione, i suoi ospiti gli fecero vedere questa fialetta, una fialetta
rotta, credo che fosse una fialetta di Sparterina, e gli disse “questa e la fiala
dell’iniezione che è stata praticata a Giovanni Paolo I quando l’hanno trovato
privo di vita per rianimarlo, e tramite le suore era arrivato a questa casa . . .
delle suore in America e da lì era in mano a queste persone. Sulla
interpretazione della morte di Papa LUCIANI, FERRACUTI non si è mai
sbilanciato, non mi ha mai detto “e stato ucciso”. Però mi riportava sempre
questo episodio, me lo ha raccontato
diverse volte, a riprova che c’era qualcosa di poco chiaro in questa morte e
che probabilmente questo qualcosa di poco chiaro aveva a che fare con lo bR,
con fatti economici, MARCINKUS e così via. Questo è appunto quello che
lui mi diceva.
Successivamente, quando poi è venuta fuori la cosiddetta pista bulgara,
a un certo punto AGCA, decide di collaborare, parla e tira fuori queste sue
confessioni su cui si impianta il processo. E a causa di queste conclusioni qui
vedo praticamente che il processo poi va a finire all’anno 84. Le confessioni
di AGCA sono della fine dell’anno e poi nell’82 credo che arrestino
ANTONOV e ci sia poi l’istruttoria, e poi si arriva al processo che è nell’84 -
85. In queste occasioni lui venne nominato perito di ANTONOV, e mi disse
che ANTONOV era un soggetto poco credibile e che tra l’altro stava male,
aveva una forte depressione, e credo che lui ne dichiarò l’incompatibilità col
regime carcerario e fu ridotto agli arresti domiciliari.
Lui non disse mai “che la pista bulgara non esiste”. Lui disse però che
non avrebbe mai utilizzato ANTONOV o questo tipo di personaggi, perché
non erano assolutamente all’altezza della situazione; gli sembravano più
vittime che non autori. Lui aveva un modo molto particolare di trattare questo
argomento dell’attentato al Papa, perché da una parte lui era apertamente
fiboamericano, aveva collaborato apertamente e scopertamente alla
costruzione della Bulgarian Connection e quindi era stato in contatto con la
CIA, e con strutture della CIA. In particolare aveva fatto una ricerca sui
terroristi italiani, che appunto venne promossa da questa struttura di ricerca
della CIA, la Tetan System Corporated di Washington. Alla fine di questa
ricerca,
poichè era una ricerca sulla psicologia dei terroristi, non si poneva il
problema politico.
Però per quanto riguarda la droga in particolare, c’era questa tendenza
a voler sottolineare l’importanza dei paesi dell’Est. Quindi la droga arrivava
in Europa e negli Stati Uniti seguendo la via della Bulgarian Connection, che
la portava ad invadere l’Occidente.. .Poi però, quando parlavamo in termini
scientifici del problema, allora analizzavamo un po’ le varie possibilità, e con
lui abbiamo discusso varie volte della dinamica dell’attentato. Io dicevo che,
secondo me, questo attentato era un attentato che non aveva lo scopo di
uccidere il Papa, e lui concordava con questa ipotesi. Anzi lui stesso mi fece
osservare alcune cose riguardanti appunto il fatto che AGCA era un killer
professionista e che invece si era limitato a sparare soltanto due colpi o tre. E
poi appunto la traiettoria, e poi il tipo di arma usata, e tutta una serie di
elementi che lasciavano presupporre nettamente. Lui mi disse che questa
analisi - che peraltro io avevo fatto autonomamente - era condivisa negli Stati
Uniti. Mi disse anche chi l’aveva fatta, però non lo ricordo.
Lui conosceva criminologi, e poi lui conosceva un mondo
estremamente variegato. Cosa c’è da dire riguardo a questo? C’è da dire che
in particolare il FERRACUTI a me dava la sensazione - riguardo alla vicenda
dell’attentato al PAPA in particolare - di saperne molto di più di quello che
lui stesso mi diceva e che esternamente appariva. Perché lui, una volta andato
via dal SISDE, ebbe una grossa depressione . E non soltanto una grossa
depressione, ma un grosso problema di ordine economico, perchè ebbe una
grossa perdita economica e una grossa ferita narcisistica, non sapeva che cosa
fare. Prima voleva ritornare all’ONU; lui era stato funzionario dell’ONU per
parecchio tempo. Però poi se ne fece niente.
Poi se ne voleva andare in America, poi non andò in America, e
insomma poi alla fine si buttò un po’ sul privato, ma non gli bastava, aveva
bisogno di avere rapporti con centri di ricerca, organizzazioni pubbliche,
eccetera. In particolare si rivolse agli americani, e gli americani fecero due
cose: una èquella ricerca della CIA, che fu un modo anche indiretto di
aiutarlo, lui veniva pagato, e lo fecero poi partecipare a questi meeting che
c’erano in Turchia.
E lui fece due viaggi in Turchia, un primo viaggio nell’ottobre 83 e un
secondo viaggio nell’aprile-maggio dell’84. La cosa che mi stupì molto è che
lui in Turchia praticamente andò e fece conferenze su AGCA, e tornò con la
perizia che era stata fatta da AGCA durante il suo ricovero in un istituto
turco.. .E questa era la copia di un giornale turco in cui si vede FERRACUTI
che ha fatto delle interviste su AGCA. Da questi meeting in Turchia - non
soltanto FERRACUTI ha partecipato, ma anche molti esperti internazionali di
droga e di terrorismo -uscì fuori uno studio grosso pubblicato, e che fu la base
per confermare il discorso della Bulgarian Connection. Quindi la droga arriva
dall’Est, segue la strada della Romania, eccetera, e poi finisce in Turchia e da
lì segue le vie fino al Nord dell’Italia e all’Europa.
C’era STERLING, c’erano tutti questi personaggi qui. Oltre a questo ci
furono tante altre cose. In particolare ci fu questa intervista - io ho il giornale
da qualche parte, ma non sono riuscito a trovarlo - che lui fece all’Unità nel
‘92, poco tempo prima di morire, in cui fu intervistato a testamento. Lui dice
tantissime cose.. .E’ morto il 15 marzo 1992. Quindi l’intervista sarà stata
fatta a gennaio forse o a dicembre. Io non ho trovato quel giornale; ho trovato
questo secondo, e il momento quando lui è morto.
Quindi c’è un articolo fatto da SETTIMELLI, che era lo stesso
giornalista che aveva registrato le confessioni precedenti. Qui il giornalista
dice “si occupa anche di ALI’ AGCA, dell’attentato al Papa” e c’è la sintesi
di quello che era l’altro articolo. “Di AGCA, l’attentatore del Papa, aveva
detto che era un matto lucidissimo, che era stato pagato da qualcuno per quel
lavoro”. Sulla pista bulgara tirata fuori dagli americani a proposito
dell’attentato al Papa, FERRACUTI aveva parlato di pura e semplice
propaganda. Subito dopo aveva aggiunto “ANTONOV era così cretino che
non l’avrei assunto neanche nel SISMI, altro che un uomo dei Servizi Segreti
bulgari”. Queste sono testuali parole sue. Quindi questo riassume grosso
modo la vicenda delle cose.
Poi ho avuto modo di analizzare un po’ tutto quel che era pubblico su
AGCA, non è che abbia analizzato sul Papa. Per il sevizio mi sono occupato
prevalentemente di alcune lettere che lui mi scrisse quando era in carcere. Lo
è tuttora in carcere, comunque scrisse a un certo punto a vari personaggi, e
allora l’analisi di queste lettere dimostra che il soggetto non è matto come
intendeva farsi passare in un certo momento durante il processo, ma è lucido
e ha scritto delle lettere cercando di fare il matto. Però era evidente che non lo
era. Per il resto direi che di questo tipo di analisi ne ho fatte anche per il
Servizio, div~7rsi appunti e diverse cose, e poi non so che fine hanno fatto,
perché seguivano la strada burocratica.
Naturalmente il fatto dell’attentato al Papa non si esaurisce soltanto
con l’attentato al Papa, perché c’è poi la vicenda ORLANDI, e
successivamente il processo, momento in cui AGCA continua con il suo
atteggiamento di minaccia. Quindi la mia convinzione è che fino a qualche
anno fa il Papa sia stato effettivamente …almeno fino al periodo del processo
e
anche dopo il processo , sia stato minacciato dai gruppi di cui AGCA in un
certo tempo era l’espressione di killer, con l’intenzione di condizionarlo
politicamente. Poi ho anche tentato di interpretare e di capire quale potesse
essere questo condizionamento...
Secondo me va in quadrato in quel clima particolare di quegli anni a
livello internazionale. Quindi noi abbiamo delle vicende che sono più o meno
contemporanee, in particolare l’elezione di REAGAN negli Stati Uniti.
REAGAN era noto per il suo estremismo e non si sapeva ancora che tipo di
Presidente sarebbe stato. Lui aprì intanto forti preoccupazioni ad Est, perchè
sapevano che avevano a che fare con un avversario che non era duttile e che li
qualificava come impero del Male, che si sarebbe riarmato, e così via. Apri
invece molte speranze ... mi ricordo proprio che il giorno dell’elezione di
REAGAN mi trovavo in Argentina, che ancora c’erano i generali, e nel
giornale argentino c’era scritto “REAGAN, sei le nostre speranze”, perchè
chiaramente era visto come a destra. REAGAN poi si dimostrò in effetti un
buon Presidente, e anche dotato di realismo e di capacità. Però una delle cose
che fece subito . . .intanto aveva da pagare un prezzo a HAIG, per cui HAIG
venne nominato ministro della difesa. E lì ci fu un momento molto critico.
Io tra l’altro mi trovavo in America quando ci fu l’attentato a
REAGAN, ma nel momento dell’attentato a REAGAN, HAIG tentò di
prendere, anche se per pochi minuti, in mano la situazione. HAIG era
purtroppo un soggetto non facilmente controllabile, un falco, ma non era
soltanto un falco, aveva probabilmente anche aspetti megalomani che
potevano essere preoccupanti. Tant’è che fece questo clamoroso errore di
presentarsi agli americani dicendo “adesso ci sono io in carica”. Lui aveva
approfittato del fatto che il vicepresidente era in
viaggio e quindi, per pochi minuti, secondo lui, in successione, avrebbe
dovuto essere il capo. Questa cosa tra l’altro non era vera perchè prima di lui
non so chi altro c’era. Di fatto fu costretto alle dimissioni subito dopo, perchè
appunto se ne riconobbe la pericolosità. Però il gruppo di HAIG rimase, che
era il gruppo che aveva in mano il Consiglio di Sicurezza, quindi i Servizi
Segreti, le attività della CIA e tutto ciò che dipende dal Consiglio di
Sicurezza degli Stati Uniti.
Questo da una parte. Dall’altra c’era stata l’elezione del Papa polacco.
E significava, dopo un periodo tra l’altro di grossa contrapposizione a livello
di linee politiche all’interno della chiesa, rappresentato dal breve pontificato
di Papa LUCIANI, e delle crisi che avvennero nella Curia in quel momento ...
morto Papa LUCIANI c’era questo nuovo Papa, che tutti sanno molto legato
alla sua terra. E conoscendo il valore del cattolicesimo in Polonia, il ruolo
storicamente avuto, eccetera, era evidente che si potesse preconizzare uno
squilibrio che il Papa avrebbe potuto portare, che avrebbe portato anche
semplicemente la sua presenza fisica andando in Polonia. Cosa tra l’altro che
il Papa fece subito.
E allora è comprensibile in questo clima capire come da parte
dell’Unione Sovietica ci fosse una grossa preoccupazione e quindi potesse
essere venuto il desiderio di far fuori direttamente il Papa. Dall’altra parte
naturalmente il discorso
-era diverso, nel senso che dall’altra parte si è visto il Papa come un
potenziale alleato. Per cui mettendo insieme la politica decisa di REAGAN, il
riarmo e un Papa disponibile a poter fare un gioco politico internazionale
sfavorevole ... ci si è resi conto che probabilmente nell’itinerario per giungere
all’attentato si sono innestati a un certo punto anche questi interessi che sono
diventati prevalenti e hanno agito. Direi che l’attentato non ha sortito l’effetto
che doveva sortire. Cioè il Papa,
successivamente all’attentato, non ha cambiato di una virgola la sua politica.
Ma successivamente con la vicenda ORLANDI invece no. Se noi
andiamo a vedere che cosa è successo ci rendiamo conto che il ricatto è stato
molto maggiore. D’altro canto è ovvio che un Papa sia molto più
impressionato da un fatto che riguarda la vita di una ragazzina innocente, che
aveva solo il guaio di essere nata lì e di stare li, rispetto all’attentato alla sua
persona. E questo è ciò che, come mia interpretazione, mi pare che sia
avvenuto in tutto questo periodo, cioè il tentativo di tenere il Papa in una
situazione ricattuale. Non so quanto poi questo periodo si sia tradotto in
effetti, quello che so è che il Papa si èmostrato sicuramente più moderato e ha
cominciato a manifestare nuove attenzioni in seguito alla caduta dell’impero
dell’Est, e lì abbiamo visto che poi la politica del Papa èdiventata una politica
potenzialmente capace di entrare in contrasto con quelli che sono gli interessi
degli Stati Uniti. L’abbiamo visto nella guerra del Golfo. Quindi credo che lo
scopo sia stato ottenuto solo in parte. (v. esame BRUNO Francesco,
24.02.94).
Nel successivo esame, così continua: “Non ho mai avuto rapporti
diretti o mediati con i Reparti operativi del SISDE. Anzi preciso che solo una
volta ebbi contatto con elementi di un Centro operativo in quanto avevo
ricevuto minacce telefoniche. Ritengo che tali minacce erano da riferirsi al
concorso per cattedra universitaria al quale stavo partecipando e gli anonimi
intendevano farmi desistere dal partecipare in quanto avevo molte probabilità
di vincere.
Ritengo che il motivo per il quale FERRACUTI consegnò direttamente
al Magistrato le foto dell’attentato al Papa è che
FERRACUTI era già fuori dal Servizio e perché si riteneva il n.2 del
Servizio.
Ricordo che FERRACUTI, in contrasto con il proprio carattere, non si
era mai sbilanciato sulle responsabilità relative all’attentato al Sommo
Pontefice. Diceva che il suo attivismo nei confronti della ricerca di libertà per
i Paesi dell’Est poteva essere probabilmente un motivo scatenante per un
eventuale attentato al Papa. Secondo lui l’attentato era opera di “servizi” ad
alto livello e sofisticati, e ciò anche per la vicenda della ipotesi di AGCA
pazzo, che egli faceva rientrare nel piano degli organizzatori dell’attentato.
Questa è stata la sua prima impressione. Andando più avanti nel tempo,
quando FERRACUTI venne coinvolto nel processo come perito d’ufficio per
ANTONOV ritenuto dallo stesso un “cretino”, disse che i Servizi bulgari
erano un covo di incapaci, associandoli per analogie alla CIA, che secondo lui
era piena di persone incapaci. Per FERRACUTI il migliore Servizio Segreto
era il “MOSSAD”. Aveva anche molta fiducia nella “F.B.I.” e nella “D.I.A.”,
il servizio militare statunitense.
La “Bulgarian Connection” nasce scientificamente all’interno del
“National Security Council”. Parteciparono a questo progetto il colonnello
Oliver NORTH e Mike LEDEEN, che erano appoggiati in parte da una
struttura della “CIA”, il “Centro Studi Strategici” di Washington molto vicina
àlla politica di HAIG. Secondo i loro studi ciò che succedeva di negativo nel
mondo era causa della Russia che veniva indicata come l’impero del male.
Tutto il traffico di stupefacenti, secondo i loro studi, passava dalla Bulgaria
ed attraverso i TIR giungeva in Occidente. Al fine di pubblicizzare tale teoria
vennero pubblicati alcuni libri scritti dalla nota Claire STERLING e da altri
scrittori legati a questi ambienti. La “Bulgarian Connection” e “l’attentato al
Papa” sono due cose
probabilmente diverse, ma hanno come comune denominatore la
partecipazione della Bulgaria e della Turchia cioè degli stessi gruppi.
“FERRACUTI non credeva minimamente alla teoria della “Bulgarian
Connection” ma contribuì alla costruzione di questa teoria.”
Chiestomi la motivazione di questo atteggiamento contraddittorio di
FERRACUTI rispondo: dopo la scoperta della sua appartenenza alla P2 ha
avuto alcuni problemi con la propria famiglia, che non aveva mai approvato
l’iscrizione alla massoneria, in quanto la moglie era cattolica e i figli su
posizioni di sinistra; per effetto dell’allontanamento dal SISDE per cui veniva
a perdere le entrate economiche che gli arrivavano dal “servizio”; con la
perdita delle entrate che gli derivavano dalla sua attività di consulente per
l’ONU; ha avuto problemi anche con l’Università ove gli era stata inflitta
anche una censura. A tutto ciò si aggiunse, tempo dopo, una accusa di falso in
perizia nei confronti del mafioso BADALAMENTI. Contemporaneamente
cominciavano ad uscire sui giornali notizie che lo attaccavano e lo
accomunavano a SEMERARI accusato della strage di Bologna. A causa di
tutto ciò dopo alcuni anni e precisamente Ìiel febbraio 1985 decise di lasciare
l’Italia per un lungo periodo, essendosi nel frattempo, legato con gli
Americani. Ricordo che già nell’1982 aveva iniziato i contatti con il sopra
citato DSI e nell’ottobre del 1983 aveva già fatto il primo viaggio in Turchia
per uno studio sul narco-terrorismo, ospite del governo turco.
Motivi della sua partenza dall’ Italia sono stati principalmente la storia
di SEMERARI e la vicenda della perizia di BADALAMENTI.
Avendo dei problemi in Italia FERRACUTI capì che doveva
avvicinarsi a qualcuno che lo potesse proteggere e sostenere, quindi si rivolse
agli americani. Lo spinsi anch’io ad andare in America. Ritengo che
FERRACUTI lavorando per gli americani non poteva sottrarsi a tale lavoro,
cioè alla c.d. costruzione della “Bulgarian Connection”, quindi lo fece, anche
perché non poteva rifiutarsi per i motivi che ho accennato.
Per la vicenda dell’ “attentato al Papa” il “servizio” poco fece nella
immediatezza del fatto, in quanto i vertici erano in subbuglio per la vicenda
della P2. Dopo qualche tempo io venni interessato per analizzare le lettere che
l’AGCI scriveva e dalle quali si notava, apparentemente, che l’estensore non
era probabilmente nelle piene facoltà psichiche. Io analizzai il contenuto delle
lettere e capii che il loro contenuto era artefatto cioè che l’estensore voleva
farsi passare per pazzo ma in realtà non lo era. Ravvisai nelle lettere una
minaccia per il solo fatto che fossero state spedite. Ricordo che una era diretta
al Papa ed un’altra invece era diretta ad una personalità influente degli Stati
Uniti.
L’ipotesi mia e del FERRACUTI relativa alla volontà dei mandanti di
ferire il Papa e non ucciderlo nasce molto tempo dopo probabilmente dopo il
secondo processo AGCA. Per quanto mi riguarda la mia ipotesi nasceva dalla
lettura dei giornali e ricordo che FERRACUTI mi diceva che anche qualcuno
in America era della stessa opinione. Egli basava la sua ipotesi di ferimento
sull’utilizzo di AGCA della pistola Browning e della traiettoria del proiettile.
Io invece ero convinto e basavo la mia ipotesi basandomi più sull’analisi
politica.
Non ho mai avuto a disposizione per le mie analisi documenti del
“Servizio” che si riferivano all’attentato al Papa.
Ricordo che quasi sicuramente accennai di questa mia ipotesi al capo
del “Servizio” PARISI. Non ricordo i commenti espressi da PARISI. Anzi
preciso di non essere sicuro se ne parlai con PARISI mentre esercitava le
funzioni di Capo del SISDE o mentre esercitava quelle di Capo della Polizia.
Ricordo che ne parlai nel contesto relativo ad un colloquio sulla vicenda del
sequestro di Emanuela ORLANDI.
Non conosco i nominativi degli elementi del SISDE che si sono
occupati, nel tempo, della vicenda relativa all’ “attentato al Papa”.
Ricordo che un elemento del “Servizio”, probabilmente nel periodo che
AGCA scriveva le lettere, si recò in carcere per parlare con AGCA. Non
conosco il nominativo o i nominativi dell’elemento che si incontrò con
AGCA. Probabilmente, poiché CRISCUOLO era il direttore di uno dei settori
operativi, egli potrebbe essere uno di questi elementi. Forse è andato anche
BONAGURA, che era un direttore di divisione. Io venni a conoscenza di
queste visite, in quanto un mio collega mi disse di essere stato fortunato in
quanto se fossi stato presente, mi sarei dovuto recare da AGCA. Dai
commenti fatti a seguito di questa visita ricordo che il “Servizio” rimase
deluso in quanto ritenne AGCA un disinformatore.
Il giornalista che ha firmato la mia intervista al settimanale “30giorni”
ha travisato in alcuni passaggi il mio pensiero. Laddove egli scrive “Per noi
comunque era chiaro che si voleva mandare un segnale a Giovanni Paolo Il e
che questo segnale non veniva da Est”, per “noi” deve intendersi per me e
FERRACUTI e non per il “Servizio”. Anzi preciso per me solo in quanto
questa è soltanto una mia interpretazione.
Il mio convincimento secondo cui “l’attentato al Papa” è stato l’invio
di un messaggio deriva proprio dal fatto del ferimento del Pontefice, cioè nel
senso che si voleva ferirlo e non ucciderlo. Il messaggio, come ho già riferito
precedentemente, non veniva dall’Est, in quanto si voleva condizionare
l’attivismo del Papa nei confronti di questi Paesi. Il messaggio veniva
chiaramente dall’Occidente o meglio dagli americani di REAGAN in quanto
il vero obiettivo di questi ultimi, era condizionare la politica del Papa, a fare
che questi cioè il Papa, mettesse il suo potere al servizio dell’Occidente e non
dell’Est. Poiché il potenziamento bellico dell’Est era in continua espansione,
gli americani erano preoccupati dalla politica di apertura del Pontefice; si
voleva perciò rallentare questa apertura e secondo me, il mezzo è stato
l’attentato.
Il Pontefice probabilmente non recepisce o non vuole recepire il
messaggio. Gli americani allora intervengono mettendo in atto il sequestro di
Emanuela ORLANDI. Nella continuazione di questa mia ipotesi, in una fase
preordinata di questo sequestro si inserisce la figura di AGCA che dopo
qualche mese afferma che il sequestro è da addebitare ai “Lupi Grigi” e che
l’obiettivo sarebbe stato quello della sua liberazione. Successivamente
interviene questo fronte del “Turkesh” che comincia a mandare dei chiari
elementi che giustificano la loro effettiva gestione del sequestro. Questi
messaggi fanno capire che dietro l’organizzazione si trovano i “preti”, tant’è
che i messaggi arrivano alla curia e nelle parrocchie. Il Papa comincia a
seguito di questo sequestro ad essere molto più prudente. Questo si nota nei
viaggi in Polonia. L’atteggiamento del Papa in questi viaggi è stato molto più
prudente. In particolare nel viaggio in Polonia fatto dopo il rapimento di
Emanuela ORLANDI si vede cambiato il suo atteggiamento, nel senso che
invita alla calma, cioè diventa un
moderatore invitando ad un compromesso tra il leader di “Solidarnosc” ed il
premier della Polonia. L’atteggiamento del Papa cambia nuovamente dopo lo
scandalo IRANGATE in quanto riesce a liberarsi dal ricatto del gruppo che
aveva organizzato, secondo la mia ipotesi, prima 1’ “attentato al Papa” e poi
il sequestro di Emanuela ORLANDI. (v. esame di BRUNO Francesco,
26.03.94)
“Continuando il discorso relativo alla mia ipotesi sull’attentato al Papa,
cioè che si voleva ferirlo e non ucciderlo, faccio presente che oltre all’articolo
di MONTANELLI, di cui ho parlato nel corso della mia ultima testimonianza
alla S.V., ho avuto modo di leggere un articolo pubblicato sul n. gennaio-
febbraio del 1984 di “Polizia Moderna” a firma di Bruno BARTOLONI en di
Vittorio CITTERICH. In questo articolo intitolato “Un Papa un uomo si
fanno vasti riferimenti all’attentato subito dal Pontefice si riportano tra
virgolette le parole che AGCA avrebbe confidato “Io ho mirato giusto, io
volevo uccidere” inoltre si esprimono giudizi sia sulla morte di Giovani Paolo
I attribuita solo ad un problema di salute sia sull’attentato a Giovanni Paolo Il
che si attribuisce all’esaltazione religiosa ed alla scarsa sicurezza del Papa di
quel periodo, dicendo chiaramente” che non furono nè i servizi dell’Est, nè i
servizi deviati dell’Ovest ad organizzarlo”. Anche tale articolo secondo la mia
interpretazione ha lo scopo, probabilmente ispirato da ambienti vaticani, di
sottolineare l’intenzione di uccidere manifestata da AGCA e di togliere
qualunque importanza politica all’avvenimento. Tutto ciò potrebbe
confermare, sempre a mio parere, l’esistenza di uno sforzo, da parte della
Curia, in questo momento, tendente a banalizzare l’attentato e a ricondurlo al
semplice atto
inconsulto di un fanatico e non sano di mente.(v. esame di BRUNO
Francesco del 16.04.94)
“Ritornando al discorso relativo all’attentato al Pontefice voglio
sottolineare che nella giornata di ieri è comparso sui quotidiani “IL
MATTINO” e “L’UNITA”’ un articolo non firmato dal titolo “E il Papa
confidò a MONTANELLI: “Il dramma di AGCA”? Non avermi ucciso.” Il
contenuto dell’articolo si riferisce ad una cena riservata tra Indro
MONTANELLI e Papa Giovanni Polo Il avvenuta in Vaticano il 5 luglio
1986. Nel corso di questa cena il Papa avrebbe confidenzialmente raccontato
al giornalista che durante il suo incontro del dicembre 83 con ALI’ AGCA
avrebbe notato che l’attentatore “era rimasto traumatizzato non dal fatto di
avermi sparato ma dal fatto di non essere riuscito, lui che come killer si
considerava infallibile, ad ucciderlo”. Secondo la mia interpretazione posso
notare alcune caratteristiche che mi pongono dei dubbi riguardo al contenuto
dell’articolo, e soprattutto al suo significato. Innanzitutto mi pare da
sottolineare la coincidenza della pubblicazione di questo articolo che avviene
dopo otto anni il fatto e solo dopo il mese scorso quasi tutti i giornali hanno
pubblicato la notizia che AGCA probabilmente secondo la mia
interpretazione non voleva uccidere il Papa, quindi sembra quasi una risposta
alla mia intervista. Da questo punto di vista sostanziale mi colpisce il fatto
che il detenuto AGCA abbia manifestato tanta arroganza nei confronti del
Papa, che pure andava a rendergli visita ed implicitamente a perdonarlo, da
riferire una confidenza cioè da rammaricarsi di non averlo ucciso, peraltro
anche l’atteggiamento dello stesso Pontefice, così come viene descritto mi
sembra “poco cristiano” poichè tra le tante cose, riferisce l’unica che non ha
che vedere con il pentimento. In altri termini
tutto ciò mi sembra poco plausibile sul piano psicologico e sul piano logico; e
se ciò è avvenuto effettivamente secondo quanto riferito dal Papa e dal
giornalista ciò avrebbe, a mio parere, un implicito valore di conferma della
mia ipotesi in quanto AGCA avrebbe utilizzato parte di questo colloquio, pur
andando contro se stesso, proprio allo scopo di convincere del contrario di
quelle che erano le sue intenzioni. Ritengo importante sottolineare che la data
del colloquio con MIONTANELLI, 5 luglio 1986, potrebbe essere utilizzata
come simbolica della fine concreta delle condizioni ricattuali legate alle
vicende dell’ “attentato al Sommo Pontefice” ed al “rapimento di Emanuela
ORLANDI” e ciò in quanto lo scandalo IRANGATE colpisce Washington
nel 1985, costringe MAC FARLAINE alle dimissioni nel dicembre 85 e porta
allo sgretolamento del gruppo di potere a cui si è fatto riferimento nei primi
mesi del 1986. (v. esame BRUNO Francesco, 09.04.94).
^^^^^^^^^^^^^
6.3.4. Commenti.
Le dichiarazioni del prof. BRUNO mostrano più aspettfdi rilevante
interesse e sono sostenute da argomentate motivazioni. La tesi centrale però
del discorso di BRUNO, che l’attentato cioè non avesse come fine la morte
del Pontefice bensì il suo ferimento, ovvero che fosse un atto di minaccia per
coartarne la volontà, si scontra con gli esiti della perizia in atti. Giacchè, se a
sostegno della sua tesi BRUNO pone un tiro dal basso verso l’alto, la perizia
conclude, con motivazione allo stato indiscussa, in senso contrario.
_______________________
Capitolo quarto
Conclusioni
Le dette aeree di indagini purtroppo non sono state percorse per intiero.
La prossima inchiesta dovrà affrontare al riguardo più questioni: l’effettivo
ruolo, cioè, della STERLING nelle indagini; le ragioni e le circostanze della
scomparsa dei dossier di FERRACUTI, la fondatezza dell’ipotesi BRUNO.
__________________
Parte settima
Gli ultimi fatti
Capitolo primo
L’attentato di Sarajevo dell’aprile 97
Che il Sommo Pontefice resti obiettivo privilegiato del terrorismo
internazionale ed in particolare di quello di origine islamica, che potrebbe
tutt’oggi avvalersi di manovalanza turca ed attuarsi su territori a forte
prevalenza musulmana, èconfermato dal fallito attentato, che doveva
consumarsi il 12 aprile scorso, a poco più di due mesi dal termine di questa
istruzione, a Sarajevo in occasione della visita papale a quella città martire.
Il fatto apparve l’indomani sulla stampa, che indicava come sospetti
autori del progetto quattro cittadini turchi apparentemente collegati con
l’organizzazione di ORAL CELIK e compagni, cioè dei Lupi Grigi.
Allertata l’Interpol, la sezione bosniaca da ultimo così rispondeva:
“Secondo la versione ufficiale del Ministero dell’Interno della Federazione
della Bosnia-Herzegovina, il 12.04.1997 alle ore 11,30 circa durante
l’attuazione delle misure di protezione del Sommo Pontefice, la squadra della
Divisione antisabotaggio ha rinvenuto e dismnnescato un ordigno esplosivo
che era stato collocato sotto un ponte sul fiume Miljacka, dove doveva
transitare Sua Santità ed in prossimità del quale si trova l’edificio ove ha sede
la Radio-Televisione della Bosnia-Herzegovina. In quel luogo è stato
rinvenìiito quanto segue: 23 mine anticarro, un sacco in plastica pieno di
sostanza esplosiva, due cariche esplosive di forma cilindrica, un apparecchio
manuale per radioamatori, un pacchetto di batterie, cinque differenti capsule
detonanti elettriche, una scatola di cartone posta all’interno di un sacchetto in
plastica. Secondo il rapporto dei competenti servizi di polizia, si tratta di un
ordigno esplosivo terroristico adattato per essere fatto brillare tramite radio.
Quest’ordigno era composto di 23 mine anticarro, due panetti di “Tolite” da
200 grammi cadauno e
1710 grammi di esplosivo plastico, un apparato per radioamatori, un tiristore
facente parte del congegno detonante e cinque capsule elettriche detonanti per
l’mnnesco delle cariche esplosive. L’apparato radio poteva essere messo in
azione tramite un altro apparato sintonizzato sulla stessa o una più ampia
frequenza. Per attivare le capsule detonanti elettriche, erano state collegate in
parallelo, cinque batterie da 4,5 volt. L’apparato radio sopra descritto era
stato sintonizzato sulla frequenza 139,0375 MHZ (gamma standard: da 144 a
146 MHZ). Parallelamente al diodo verde di ricezione, che serve
all’identificazione della ricezione, era stato collegato tramite fili elettrici, un
tiristore “TYN 612” la cui funzione era di ricevere la tensione proveniente
dall’apparato radio e di lasciar passare un flusso di corrente che doveva
raggiungere le capsule detonanti che, a loro volta, dovevano far detonare
l’ordigno esplosivo composto da quattro pani di TNT avvolti nell’esplosivo
plastico, la cui esplosione avrebbe fatto brillare le 23 mine anticarro.(v. telex
Servizio Interpol at G.I. PRIORE del 07.11.97).
Questo ordigno con la quantità di esplosivo di cui era composto e cioè
circa 127 chilogrammi poteva distruggere completamente il ponte e causare
grandi danni nella zona circostante.
Il Ministero dell’Interno di quel Paese smentiva però l’ipotesi che
sospettati di questo attentato fossero dei cittadini turchi. (v. telex SERVIZIO
INTERPOL del 07.11.97)
Capaci ha fatto scuola anche nella Bosnia-Erzegovina.
Capitolo secondo
Il dirottamento dell’Air Malta del giugno 97
Il caso AGCA tuttora determina azioni di clamore internazionale, a
dimostrazione che egli non è stato dimenticato in Turchia; che egli vi gode,
specie nella regione di Malatya, di diffuse simpatie; che un giorno per quello
che ha compiuto e per le valenze religiose della sua figura egli ben potrebbe
meritare un mandato del popolo. E a conferma che vi è tuttora
un’organizzazione che lo segue e si propone di tutelarlo.
L’ultima iniziativa in suo favore è stato il dirottamento di un aeromobile
dell’Air Malta, compiuto il 9 giugno 97 sul volo Malta-Istanbul verso
l’aeroporto di Colonia in Germania, da parte di due dirottatori e due
simpatizzanti.
Questi i fatti. Il decollo dell’aeromobile era avvenuto a Malta alle ore
01.50, con destinazione, come detto, Istanbul. Durante il volo, due persone,
che presumibilmente avevano addosso materiale esplosivo, hanno ordinato al
pilota di far rotta su Bonn in Germania. I dirottatori affermavano di non voler
ricorrere all’uso della forza, ma che desideravano parlare ad una troupe
televisiva. Dopo si sarebbero arresi. Uno dei dirottatori, avrebbe avuto legati
intorno al corpo, due oggetti a forma di barre, da cui fuoriuscivano dei cavetti;
inoltre teneva in mano una piccola scatola con un bottone di colore acceso.
Dopo l’atterraggio all’aeroporto Colonia/Bonn alle 04,45, vi sono state
alcune negoziazioni con la torre di controllo e
tardi è stato convocato un interprete. I dirottatori hanno proposto di rilasciare i
passeggeri (tre membri dell’equipaggio e due passeggere erano già stati
autorizzati a lasciare l’aereo) e poi di parlare ad una troupe televisiva, oppure
di uscire dall’aereo con il pilota per parlare con un giornalista televisivo.
Immediatamente dopo i dirottatori hanno visto una troupe televisiva all’interno
dell’aeroporto e così la seconda alternativa è stata accettata. I dirottatori hanno
poi consegnato il falso esplosivo, che il pilota ha lanciato fuori dell’aereo. I
due
dirottatori quindi sono usciti dall’aereo con il pilota. Mentre il pilota si
trovava in cima al corridoio di passaggio, i dirottatori sono stati arrestati in
fondo allo stesso.
I dirottatori erano: NUSRET AKMERCAN - nato a Malatya il 15
settembre 1972, presumibilmente residente a Bageilar, Conker Sok nr.7/d-3,
Cuengoeron/Istanbul e ISMAIL BEYAZPINAR nato a Ikizdere, Turchia, il 5
febhraio 1972, presumibilmente residente a Istanbul.
AKMERCAN ha reso una dichiarazione completa, secondo cui, a
seguito della pubblicazione, qualche tempo prima di informazioni sulle
condizioni carcerarie di MEHMET ALI’ AGCA, era stato deciso di compiere
azioni in suo favore. L’obiettivo era quello di porre AGCA nella condizione
di poter scontare la propria condanna in Turchia. Il Papa e il Governo italiano
lo avevano presumibilmente perdonato per il crimine commesso. Tuttavia, il
governo turco avrebbe dichiarato di non volere la restituzione di AGCA. In
tal senso vi erano state dichiarazione secondo cui se AGCA fosse stato
estradato sarebbe stato assoggettato ad altra condanna per il reato commesso.
I due hanno riferito poi di essersi recati in aereo a Malta dal momento
che per quello Stato non era richiesto visto dalla Turchia; avrebbero dovuto
soltanto presentare un biglietto per il viaggio di ritorno. Quando sono giunti
sul punto di restare senza denaro, hanno deciso di lasciare Malta, senza però
far ritorno in Turchia. Avevano così deciso di recarsi in Germania, ove i
diritti umani sono rispettati e non avrebbero ricevuto una pena severa per il
dirottamento aereo. Avevano in precedenza già pensato alla possibilità di
dirottare un aereo o di occupare un consolato. Nell’attuare i loro intenti,
volevano che le loro
opinioni fossero rese note in Turchia e compiere un’azione in favore di
AGCA.
Il materiale per fabbricare i falsi esplosivi era stato acquistato a Malta e
trasportato a bordo dell’aereo senza problema. Avevano dichiarato di non
voler ricorrere all’uso della forza. L’unico scopo era “quello di mettersi in
una posizione tale da poter parlare di fronte alla stampa del problema di
AGCA “.
______________
Capitolo terzo
Le conclusioni
I fatti esaminati in questa parte dimostrano che, a distanza di un
quindicennio dall’attentato di piazza S.Pietro, i Lupi Grigi tuttora esistono,
che questa organizzazione e suoi simpatizzanti tuttora operano, non hanno
dimenticato il condannato in Italia e per lui si adoprano, con azioni
spettacolari e di grave pericolo per la sicurezza dei voli e l’incolumità dei
singoli come il sequestro di un aeromobile. Dimostrano altresì che il
Pontefice romano non è affatto un personaggio oramai trascurato dal
terrorismo, anzi costituisce tuttora un obbiettivo primario da perseguire in
ogni luogo anche a costi elevatissimi come quelli di una strage, in special
modo da terrorismi di matrice islamica con l’impiego sempre di Ulkulu.
Questa situazione comprova l’esistenza di un complotto all’epoca e di
un progetto che tuttora persiste. Progetto che comporta tuttora alti rischi per
l’Augusta Persona e pericoli di gravissimi ricatti per le istituzioni del nostro
Paese. Progetto che non può esser sottovalutato, anzi deve essere contrastato
con intelligenza e forza sul piano della prevenzione da parte di coloro che ad
essa sovraintendono.
_______________________
Conclusioni finali
Le conclusioni sono brevi, e se fosse concesso un giudizio di tal
genere, amare.
In primo luogo non possono che essere di conferma alle considerazioni
che via via sono emerse nelle singole parti, giacchè la visione d’insieme non
induce che a un rafforzamento delle tesi che ne scaturivano.
La collaborazione tra gli Stati, anche per un delitto si grave, unico da
più secoli a questa parte, e definito il crimine del secolo, in un contesto
internazionale che fa continui proclami, di collaborazione totale nel contrasto
della criminalità, è stata minima e con alcuni Stati di fatto nulla. Per citare, la
Francia e la Città del Vaticano. La prima ha ostacolato per anni l’estradizione
di un personaggio prezioso per l’inchiesta, nascondendone persino l’identità
ed accettando per queste sue condotte un costo elevato in perdite di credibilità
e prestigio. Non solo: anche lì ove ha mostrato di collaborare, come quando
ha consentito l’escussione del direttore dello SDECE, di fatto con la
protezione delle fonti ha impedito di appurare l’origine, e quindi gli ambienti
che avevano generato il piano, dell’informativa sull’attentato. Così come la
Città del Vaticano, che con una formale esecuzione delle rogatorie ha di fatto
impedito che di questa notizia si accertassero fonti, natura e destinatari. In
effetti a distanza di diciassette anni, tuttora non è possibile conoscere
elementi e circostanze dell’informativa sul progetto di attentato. S’è stabilito
solo un tratto del percorso che essa ha compiuto, dallo SDECE ai
Premonstratensi.
In secondo luogo, la pista tradizionale ha subito colpi violenti, da parte
delle dichiarazioni di AGCA e CELIK, delle indagini concernenti la CIA,
delle dichiarazioni di PAZIENZA e di BRUNO, delle novità provenienti dalle
carte della STERLING. Essa però resta tuttora in piedi, grazie alle
documentazioni rinvenute presso la ex STASI - anche se esse appaiono
suscettibili di più interpretazioni. Di fatto però essa, proprio perchè è rimasta
sulla scena ed ha richiesto profusione di sforzi per approfondimenti e
verifiche, ha impedito - ma non solo essa; di certo anche l’inanità degli
strumenti giudiziari, principalmente delle rogatorie nei confronti degli archivi
non solo di Francia e Città del Vaticano, ma anche di Paesi come l’Iran - che
si percorressero altre strade d’indagini.
Da ultimo, una forte percezione - ma questo non èelemento di giudizio
- che in più parti, nelle più alte sedi degli Stati vi fosse, oltre ad una istintiva
protezione dei propri arcani, una diffusa volontà di porre una definitiva e
inamovibile pietra sulla vicenda.
************
Per nessuno degli imputati e degli indiziati si raggiunge una situazione
probatoria tale da imporre il rinvio a giudizio.
P.Q.M.
Visti gli artt. 378 C.p.p. e 74 C.p.p.’30, e disp.trans. C.p.p.; Sulle
conformi richieste del Pubblico Ministero;
DICHIARA
Non doversi procedere, per non aver commesso il fatto, nei confronti di :
AKKUZU FERIDUN, BILICEN NEVZAT, COPUROGLU YUSUF,
ERDAL UENAL, ERDEM EYUP, KOKAL FUAT, RAMAZAN
SENGUN, SENER MEHEMET, SEREF BENLI e VAHDETTIN
OEZDEMIR in ordine al reato loro ascritto;
DICHIARA
Non doversi promuovere l’azione penale nei confronti di: ALBARANO
Alfredo, ARSLAN SAMET, LUCCHETTA Maurizio, OMER AY,
SCALERA Epifanio e SEDAT SIRRI KADEM in ordine ai reati loro
rispettivamente ascritti;
ORDINA
procedersi a separazione degli atti, meglio specificati in elenco analitico
che si allega, disponendo la trasmissione degli stessi all’Ufficio del
Pubblico Ministero per la prosecuzione delle indagini, secondo le norme
del vigente Codice di rito.
Roma, 21 marzo 1998
Il Giudice Istruttore Dott. Rosario PRIORE
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
21 MARZO 1998
ELENCO ATTI
1. Processo verbale di interrogatorio a fini d’identificazione personale di
ORAL CELIK del 05.09.91
2. Processo verbale di ricognizione di persona di ORAL CELIK del 17.09.91
3. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 17.09.91
4. Processo verbale di confronto tra ORAL CELIK e MEHMET ALI’
AGCA del 17.09.91
5. Processo verbale di ricognizione di persona di ORAL CELIK del 23.09.91
6. Processo verbale di confronto tra ORAL CELIK e NEDIM SENGUN del
23.09.91
7. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 20.12.93
8. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 12.01.94
9. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 20.01 .94
10. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 17.02.94
11. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 09.03.94
12. Processo verbale di interrogatorio di ORALCELIK del 16.04.94
13. Dichiarazioni spontanee di ORAL CELIK del 07.06.94
14. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 23.06.94
15. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 05.07.94
16. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 19.09.94
17. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 21.09.94
18. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 22.09.94
19. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 23.09.94
20. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 28.09.95
21. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 16.11.95
22. Processo verbale di interrogatorio di MEHMET ALI’ AGCA del
26.07.95
23. Processo verbale di interrogatorio di MEHMET ALI’ AGCA del 01.08.95
24. Processo verbale di interrogatorio di MEHMET ALI’ AGCA del 18.09.95
25. Processo verbale di interrogatorio di MEHMET ALI’ AGCA del 27.09.95
26. Processo verbale di confronto tra MEHMET ALI’ AGCA e ORAL
CELIK del 28.09.95
************
27. Processo verbale di interrogatorio di FRANCESCO PAZIENZA del
04.08.95
28. Processo verbale di confronto tra FRANCESCO PAZIENZA e
MEHMET ALI’ AGCA del 11.09.95
29. Lettera inviata da MEHMET ALI’ AGCA al giudice Martella nel
settembre 1997
30.Commissione Rogatoria Internazionale diretta all’Autorità Giudiziaria
della BULGARIA del 03.06.91
31. Commissione Rogatoria Internazionale diretta all’ Ufficio del
Dipartimento di Giustizia U.S.A. del 03.03.94
32. Commissione Rogatoria Internazionale diretta all’ Ufficio della Procura
Generale presso l’Alta Corte Federale di KARLSRUHE (GERMANIA)
del 26.07.96
**********************