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TRIBUNALE DI ROMA Ufficio Istruzione - Sezione l^ N.9031/85A P.M. n.2675/85A G.I. SENTENZA ISTRUTTORIA DI PROSCIOGLIMENTO (Art. 378,379,384,395,398 C.p.p. ‘30, 241 e segg. disp. trans. C.p.p. e normativa seguente) REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano Il Giudice Istruttore Dott. Rosario PRIORE ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale contro 1. AKKUZU FERIDUN, nato il 1.10.1955 ad Ankara (Turchia), già ivi residente in Bahcelievler, 6, Cadde 55/12. IRREPERIBILE 1

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TRIBUNALE DI ROMA

Ufficio Istruzione - Sezione l^

N.9031/85A P.M. n.2675/85A G.I.

SENTENZA ISTRUTTORIA DI PROSCIOGLIMENTO

(Art. 378,379,384,395,398 C.p.p. ‘30, 241 e segg. disp. trans.

C.p.p. e normativa seguente)

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

Il Giudice Istruttore Dott. Rosario PRIORE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento penale

contro

1. AKKUZU FERIDUN, nato il 1.10.1955 ad Ankara (Turchia),

già ivi residente in Bahcelievler, 6, Cadde

55/12.

IRREPERIBILE

2. BILICEN NEVZAT, nato il 3.4.1950 a Saray (Turchia), già

detenuto in Svizzera.

IRREPERIBILE

3. COPUROGLU YUSUF, nato il 25.09.1955 a Sungurlu (Turchia),

già residente a Basilea

(Svizzera) 4053 Tellstrasse 54.

IRREPERIBILE

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4. ERDAL UENAL, nato il 2.01 .1952 a Ahlat (Turchia)

IRREPERIBILE

5. ERDEM EYUP, nato il 1.01.1946 a AhLat Koyu (Turchia)

già residente in Svizzera - Dillinken

Speinsenstrasse, 28

IRREPERIBILE

6. KOKAL FUAT, nato il 1.04.1944 a Erzurum

(Turchia), già detenuto a

Basilea (Svizzera)

IRREPERIBILE

7. RAMAZAN SENGUN, nato il 6.11.1960 a Konya

(Turchia), già residente in

Vienna (Austria), 12

Wilhelmsstrasse, 47/2

IRREPERIBILE

8. SENER MEHMET, nato il 3.02.1956 a Poturge

(Turchia), già detenuto a

Zurigo (Svizzera)

IRREPERIBILE

9. SEREF BENLI, nato il 5.01.1960 a Kajseri

(Turchia), già detenuto in_

Svizzera

IRREPERIBILE

10.VAHDETTIN OEZDEMIR, nato il 15.05.1960 in Turchia,

già detenuto a Basilea

(Svizzera)

IRREPERIBILE

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IMPUTATI

A)del delitto p. e p. dall’art.416 C.P. e 71,74,75 L.22.12.75 n.685, per

avere promosso costituito ed organizzato in concorso tra loro e con

SENER HASAN, CHATLI ABDULLAH, AYDIN NURI,

BULBUL MEHMET, SONMEZCAN NECMETTIN, ARDA

RIFKI, LENTINI GUIDO, ed altre persone non identificate, una

associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti tra

la Turchia, l’Italia, la Svizzera, la Germania, l’Austria e la Francia,

con punti di vendita della droga a Roma e a Napoli e con punto di

transito a Como, e per avere, senza autorizzazione, importato,

trasportato, fatto passare in transito e comunque detenuto sul

territorio italiano kg.3 (tre) di eroina, nascosta in una ruota di

scorta, eroina che da Como introducevano in Svizzera.

In epoca compresa tra l’80 e 1’86.

E CONTRO

11. ARSLAN SAMET, nato in Agri (Turchia) il 14.12.60 già

detenuto nel carcere di Roermond

(Olanda)

DECEDUTO

12. OMER AY, nato a Nazede (Turchia) nel 1952, già

detenuto nel carcere militare dello Stato

di assedio di Elazig (Turchia)

13. SEDAT SIRRI KADEM, nato in Akcadag (Turchia) nel 1955,

già residente a Istanbul

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(Turchia), via Duras

Sokak, 23 Aynali Cesme-Beyoglu.

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INDIZIATI

B)del delitto di cui agli artt.110,112 n.1,276,82 1° e 2° co. C.P., 8

L.27.5.1929 n.810, 1 L.6.2.1980 n.15, per avere, agendo per finalità di

terrorismo, concordato con MEHMET ALI’ AGCA e con altre persone

non identificate, in numero non inferiore a cinque, un attentato alla vita

del Sommo Pontefice Giovanni Paolo Il, contattando lo stesso AGCA,

rafforzandone l’intendimento, garantendogli assistenza e appoggio

anche in denaro per preparare ed attuare il delitto, effettuando

sopralluoghi in piazza S.Pietro, esaminando fotografie della zona e

dello stesso Papa a bordo di autovettura in mezzo ai fedeli, insieme

stabilendo il punto dove l’attentato sarebbe avvenuto, valutando il

tempo e le modalità dello stesso, accompagnando l’AGCA sul luogo

del delitto al momento della sua esecuzione, portando con loro, oltre

alle armi da fuoco, anche due bombe da far esplodere a scopo di panico,

realizzando, quindi, detto attentato al Pontefice contro cui il 13.5.1981,

in piazza S.Pietro, l’AGCA esplodeva alcuni colpi di pistola che

producevano lesioni personali a detto Pontefice e, per errore nell’uso

dell’arma, anche alle cittadine statunitensi ODRE Anne e HALL Rose;

C)del delitto di cui agli artt. 1 della Legge 2.10.1967 n.895 (come

sosfituito dall’art.9 della Legge 14.10.1974 n.497), 1 della Legge

6.2.1980 n.15 (conversione del D.L. 15.12.1979 n.625), 1 della Legge

18.4.1975 n.110 e 61 n.2 e 110 C.P. per avere, in criminoso concorso

tra loro, con MEHMET ALI’ AGCA, BAGCI OMER e altre persone

non identificate, al fine di commettere altri reati e commettendo il fatto

per

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finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, introdotto

nello Stato, attraversando i confini in autovettura, la pistola marca”

cal.9 matr. 76 C23953 (arma da guerra atta all’impiego) con relative

munizioni, consegnandola a detto MEHMET ALI’ AGCA, che di detta

arma si serviva per compiere l’attentato al Sommo Pontefice. In Italia,

al confine con la Svizzera, il 9.5.1981; accertato in Roma il 4.5.1982;

D)del delitto di cui all’art. 21 della Legge 18.4.1975 n.110, in relazione

agli artt. 1 della stessa Legge e 61 n. 2 e 110 C.P. per avere, in

criminoso concorso con MEHMET ALI’ AGCA e con altre persone, al

fine di commettere altri reati e di sovvertire l’ordinamento dello Stato e

di mettere in pericolo la sicurezza delle persone e della collettività

mediante commissione di attentati, detenuto nel territorio dello Stato

l’arma da guerra di cui al capo A) con relative munizioni. In Italia -

confine svizzero e Milano - il 9.5.1981; accertato in Roma il 4.5.1982;

E) del delitto di cui agli artt. 12 della Legge 14.10.1974 n.497, 1 della

Legge 18.4.1975 n.110, 1 della Legge 6.2.1980 n.15 (conversione del

D.L. 15.12.1979 n.625), 61 n.2 e 110 C.P. per avere, in criminoso

concorso con MEHMET ALI’ AGCA e con altre persone, al fine di

commettere altri reati e commettendo il fatto per finalità di terrorismo e

di eversione dell’ordine democratico, portato in luogo pubblico ed

aperto al pubblico la pistola marca “Browning” cal.9 matr. 76 C23953

(arma da guerra atta all’impiego) con relative munizioni,

consegnandola a detto ALI’ AGCA che se ne serviva per compiere

l’attentato al Sommo Pontefice. In Italia - confine svizzero e

Milano - il 9.5.1981; accertato in Roma il 4.5.1982.

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NONCHÉ CONTRO

14. ALBARANO Alfredo, nato ad Acerra il 17.06.17, res.te a Roma, via

Giovanni Pittaluga, n.28;

15. LUCCHETTA Maurizio, nato a Roma il 28.11.54, in servizio c/o la lA

Compagnia presidiaria di Roma della Guardia

di Finanza, via Marsala - Roma;

16. SCALERA Epifanio, nato a Mesagne (BR) il 7.1.18, res.te in

Roma, via Albano, n.34.

INDIZIATI

F) dei delitti di cui agli artt. 372, 476 e 479 C.P., commessi in Roma il

12.05.1981.

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INDICE

Epigrafe pag.1

Introduzione pag.14Cap. I.1. Origine del procedimento pag.15Cap. I.2. Cenni sul suo corso pag.17Cap. I.3. Premessa sulla tesi del complotto pag.19

Parte prima L’organizzazione esecutrice pag.22

Cap. 1.1. La posizione di MEHMET ALI’ AGCA pag.23 1.1.1. Gli interrogatori del periodo ottobre 85-aprile 86 pag.24

1.1.2. Gli interrogatori del periodo dicembre 90 - luglio 95pag.27

1.1.3. La chiamata in causa di PAZIENZA e la sua Reazionepag.31

1.1.4. Confronto AGCA - PAZIENZA pag.341.1.5. La ritrattazione del settembre 95 pag.401.1.6. La lettera del settembre 97 pag.461.1.7. Considerazioni sulle dichiarazioni di AGCA pag.49

Cap. 1.2. La posizione di ORAL CELIK pag.541.2.1. Le condotte di CELIK secondo l’Assise

del marzo 86 pag.551.2.2. Le condotte di CELIK secondo l’Assise del

marzo 86 (segue) pag.571.2.3. ORAL CELIK nella Maiskolben pag.611.2.4. L’estradizione temporanea del settembre 91 pag.631.2.5. Le richieste di estradizione definitiva pag.651.2.6. Le vicende della richiesta di estradizione pag.79

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1.2.7. L’estradizione pag.821.2.8. L’interrogatorio del 10 settembre 91 pag.831.2.9. L’interrogatorio del 20 dicembre 93 pag.851.2.10. L’interrogatorio del 12 gennaio94 pag.861.2.11. Gli interrogatori del 20 gennaio e 17 febbraio 94 pag.1011.2.12. L’interrogatorio del 09 marzo 94 pag.1031.2.13. Le relazioni sulla detenzione extracarceraria pag.1081.2.14. L’interrogatorio del 23 giugno94 pag.1151.2.15. L’interrogatorio del 05 luglio 94 pag.1191.2.16. L’interrogatorio del 21 settembre 94 pag.1231.2.17. L’interrogatorio del 22 settembre 94 pag.1251.2.18. La fuga di notizie sugli interrogatori pag.1311.2.19. Il mancato arresto del maggio 86 a Parigi pag.1341.2.20. Considerazioni finali pag.140

Cap. 1.3 La vicenda di CIHAT TURKOGLU pag.1491.3.1. La documentazione SISMI su TURKOGLU pag.1501.3.2. La documentazione GORDON THOMAS su TURKOGLU pag.1521.3.3. Le testimonianze dei dipendenti dell’Ambasciata a Vienna e del SISMI pag.1541.3.4. Considerazioni finali pag.156

Cap. 1.4. L’arresto di ARSLAN SAMET pag.1581.4.1 Il

procedimento olandese pag.159 1.4.2. Gli atti dell’inchiesta italiana pag.162

Cap. 1.5. L’omicidio di SULEYMAN CIMEN pag.165 1.5.1. Le indagini olandesi pag.166 1.5.2. Le indagini italiane pag.168

Cap. 1.6. Il traffico di stupefacenti dei Lupi Grigi pag.171 1.6.1 Il

trasporto di droga dall’Italia alla Svizzera pag.172

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1.6.2 Gli interventi di ORAL CELIK pag.175

Parte seconda La matrice e il mandato pag.178

Cap. 2.1. La pista bulgara pag.179

Cap. 2.2. La pista interna pag.1822.2.1. La visita papale alla parrocchia di 5. Tommaso d’ Aquino pag.1832.2.2. Le risposte di ACCA sulla vicenda pag.1852.2.3. I permessi di accesso alla cerimonia pag.1892.2.4. Le dichiarazioni di ORLANDI Ercole pag.190

Cap. 2.3. Valutazione della pista interna pag.196

Cap. 2.4. La pista libica pag.199

Cap. 2.5. La pista islamica pag.202

Cap. 2.6. Conclusioni pag.204

Parte terza I rapporti con la Santa Sede pag.206

Cap. 3.1. L’instaurazione di rapporti con la Santa Sede pag.207

Cap. 3.2. L’informativa DE MARENCHES pag.2113.2.1. Le dichiarazioni del Capo dello SDECE pag.2123.2.2. Gli esami dei Padri Premonstratensi pag.216

Cap. 3.3. Le conseguenti rogatorie pag.219

Cap. 3.4. Le dichiarazioni di monsignor SALERNO pag.2233.4.1. Le prime dichiarazioni di mons. SALERNO pag.224

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3.4.2. Le dichiarazioni di MARI Arturo edi POLTAWSKA Wanda pag.228

3.4.3. La rogatoria dell’A.G. francese pag.2313.4.4. Le dichiarazioni di don INNOCENTI e di mons.

SALERNO pag.233

Cap. 3.5. Le conseguenti rogatorie pag.2393.5.1. La rogatoria alla Santa Sede del 16.06.95 pag.2403.5.2. Le attività di esecuzione della rogatoria pag.2423.5.3. Il fascicolo dell’inchiesta vaticana pag.244

Cap. 3.6 La figura di mons. MARCINKUS pag.257

Cap. 3.7. Documenti dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede pag.263Cap. 3.8. L’articolo di MONTANELLI pag.267Cap. 3.9. Le dichiarazioni del Cardinal ODDI pag.270

Cap. 3.10. Conclusioni pag.272

Parte quarta Le attività dei Servizi pag.274

Cap. 4.1. Premessa pag.275

Cap. 4.2. I Servizi italiani pag.2774.2.1. L’incontro di AGCA con i Servizi italiani pag.2784.2.2. La figura del Generale NOTARNICOLA pag.2854.2.3. I centri SISMI e SISDE di Milano pag.2874.2.4. La figura di Francesco PAZIENZA pag.2904.2.5. La vicenda di PELAIA Francesco pag.298

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Cap. 4.3. I Servizi turchi pag.3084.3.1. La morte di ABDULLAH CHATLI pag.3094.3.2. Le presenze del MIT pag.311

Cap. 4.4. I Servizi bulgari pag.3154.4.1. La vicenda KARADZHOV pag.3164.4.2. La vicenda CULLINO pag.3274.4.3. La vicenda BERTO pag.329

Cap. 4.5. I Servizi sovietici pag.3394.5.1. Il colloquio ANDREOTTI - GORBACEV del

maggio 91 e la conseguente nota sovietica pag.3404.5.2. L’appunto CESIS del luglio 90 pag.342

Cap. 4.6. I Servizi tedesco-orientali pag.344 4.6.1. La figura di MIELKE e l’organizzazione della STASI pag.345 4.6.2. L’informativa dell’organizzazione GAUCK pag.347 4.6.3. La documentazione STASI pag.350 4.6.4. Le ritmioni di Berlino nell’ottobre 83 con il Servizio bulgaro pag.351 4.6.5. Le note di STOJANOV a MIELKE pag.353 4.6.6. La trasmissione televisiva Frontal della rete ZDF pag.355 4.6.7. La rogatoria all’A.G. tedesca per l’audizione di MIELKE, WOLF, BOHNSACK pag.356 4.6.8. Le dichiarazioni di BOHNSACK Gunther pag.358

Cap. 4.7. I Servizi statunitensi pag.363 4.7.1.Il documento della CIA “Sommario di analisi

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sul tentato assassinio del Papa” pag.364 4.7.2. L’inchiesta del Senato USA sulla nomina di Robert GATES pag.367

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4.7.3. La figura di Paul HENZE pag.3764.7.4. La figura di Michael LEDEEN pag.3794.7.5. La risposta alle rogatorie 16.11.85 e 09.10.91 pag.3804.7.6. La missiva sul coinvolgimento dei Servizi sovietici e del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina pag.381

Cap. 4.8. Conclusioni pag.382

Parte quinta Le intromissioni della criminalità pag.384

Cap. 5.1. Le dichiarazioni di CALCARA Vincenzo pag.385 5.1.1. Premessa pag.386 5.1.2. Le dichiarazioni e le verifiche pag.386

Cap. 5.2. L’intervista di PANDICO Giovanni pag.400 5.2.1. Le dichiarazioni e le verifiche pag.401 5.2.2. Le requisitorie del P.M. del dicembre 85 pag.403

Cap. 5.3. La vicenda di CARBONI Flavio pag.415 5.3.1. I primi interrogatori pag.416 5.3.2. Le dichiarazioni del giugno e luglio 93 pag.421

Cap. 5.4. Conclusioni pag.428

Parte sesta Altre aree di indagine pag.430

Cap. 6.1. Il sequestro presso STERLING Claire pag.431 6.1.1. Le dichiarazioni di STERLING Claire pag.432 6.1.2. Il sequestro presso l’abitazione romana pag.434 6.1.3. Il sequestro presso l’abitazione di Cortona pag.448

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6.1.4. L’audizione dinanzi alla Commissione del Congresso U.S.A. pag.457 6.1.5. Commenti pag.461

Cap. 6.2. Il sequestro presso FERRACUTI Franco pag.464

Cap. 6.3. Le dichiarazioni di BRUNO Francesco pag.469 6.3.1. L’intervista del febbraio 1994 pag.470

6.3.2. L’articolo di CUBEDDU Giovanni pag.4746.3.3. Gli interrogatori di BRUNO Francesco pag.4776.3.4. Commenti pag.493

Cap. 6.4 Conclusioni pag. 494

Parte settima Gli ultimi fatti pag. 496

Cap. 7.1. L’attentato di Sarajevo dell’aprile 97 pag. 497

Cap. 7.2. Il dirottamento dell’Air Malta del giugno 97 pag. 500

Cap. 7.3. Conclusioni pag.506

Conclusioni finali pag. 506

Dispositivo pag. 509

Allegato pag. 510

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INTRODUZIONE

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Cap. I.1. Origine del procedimento

Il presente procedimento prese le mosse nel lontano 1985, durante il

dibattimento della seconda inchiesta sull’attentato al Sommo Pontefice,

dinanzi alla Corte d’Assise di Roma e a carico degli imputati turchi e

bulgari di concorso con MEHMET ALI’ AGCA.

Esso si rese necessario per effetto delle chiamate in correità

formulate da AGCA, nel corso del predetto dibattimento, a carico di

SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY, indicati come suoi complici,

presenti in piazza San Pietro durante l’esecuzione dell’attentato al Papa.

Dichiarazioni confermate, al riguardo della posizione di SEDAT SIRRI

KADEM, anche dalle deposizioni testimoniali di YALCIN OZBEY rese

sia a questo Ufficio che alla Corte d’Assise; e da verificare alla stregua

delle dichiarazioni di OMER BAGCI rese in quel dibattimento.

Necessario altresì per effetto dell’arresto del turco ARSLAN

SAMET, in Venlo nei Paesi Bassi al confine con la Repubblica federale

tedesca, il 14 maggio di quell’anno in prossimità di un viaggio del Papa in

quel Paese, perché trovato in possesso della pistola Browning calibro 9

numero 99-C-54476, facente parte dello stesso stock di armi acquistate da

MEHMET ALI’ AGCA e i suoi complici, tra cui quella usata per compiere

il delitto di piazza San Pietro.

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Di conseguenza il Pubblico Ministero nel maggio di quell’anno

richiese a questo Giudice Istruttore che si procedesse con formale

istruzione per il delitto di attentato al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II°

ed altri connessi, indiziando ARSLAN SAMET, SEDAT SIRRI KADEM e

OMER

AY in concorso con coloro che erano al giudizio della Corte d’Assise ed

altri da identificare. (v. richieste P.M. 20.9.85).

L’istruttoria è durata sino al 30 giugno u.s., al termine dell’ultima

proroga del rito previsto dal codice del ‘30, che si applicava a questo

procedimento in virtù dell’imputazione del delitto ex artt.416 C.P., 71,74 e

75, L.22.12.75 n.685, con l’aggravante ex art.1, L.6.2.80 n.15. Senza però

che si pervenisse a soluzioni di non pochi dei numerosi quesiti - anche se

molti passi avanti sono stati compiuti e notevoli obiettivi raggiunti -che la

vicenda sì grave ha posto a far tempo dalla commissione del delitto. A

causa delle enormi difficoltà, ostacoli, deviazioni, se non veri e propri

boicottaggi che il cammino dell’inchiesta ha incontrato, subendone ritardi,

fermate ed anche blocchi. E ciò a dimostrazione di questo siano forti

prepotenti e soverchianti gli interessi a che non si faccia luce sull’evento e

le sue matrici. Interessi di Stati, di organizzazioni, di singoli, nonostante le

mutazioni dei contesti e le cadute dei muri.

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Cap. I.2. Cenni sul corso del procedimento

Da questo primitivo nucleo l’istruttoria s’è estesa a molteplici altre

aree, le prime delle quali emerse al termine del primo grado del secondo

processo chiuso con sentenza il 29 marzo ‘86.

Da questo provvedimento - che degli otto imputati ne condannava

solo due, AGCA e BAGCI, e soltanto per l’arma usata nell’attentato,

mentre proscioglieva per morte del reo CELENK e assolveva con la

formula, all’epoca ancora in vigore, dell’insufficienza di prove sia BAGCI

che tutti gli altri, ovvero sia il gruppo dei restanti turchi che quello dei

bulgari, e cioè CELEBI e CELIK da un lato, e ANTONOV, VASSILIEV e

AYVAZOV dall’altro, per il delitto principale e gli altri connessi - e dal

dibattimento che lo avevo preceduto erano emerse circostanze di rilievo

dalle dichiarazioni di ABUZER UGURLU, FERIDUN AKUZU alias

MAHMUT INAN, ILDERIM DOGAN, YUKSEL ERGINKAN, HUSEIN

DINGIL, ATILLA SERPIL.

Erano emerse altresì necessità di accertare: la rete dei collegamenti e

dei supporti di AGCA in occasione delle falsificazioni dei passaporti

intestati a YLMAZ GALIP e OZGUN FARUK, e di quelli utilizzati da

ORAL CELIK, ABDULLAH CHATLI e MEHMET SENER; i rapporti di

ARSLAN SAMET con AGCA durante la fuga di costui in Iran e con

ABDULLAH CHAThI a Parigi; la sua presenza a Vienna e i suoi rapporti

con il gruppo di Jheringgasse e cioè CHATLI, SENER, CELIK ed AGCA;

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le attività dei turchi residenti in Svizzera coinvolti in traffici internazionali

di sostanze stupefacenti dalla Turchia all’Europa con punti di transito e di

vendita in Italia; i movimenti dei Lupi Grigi in Germania; le posizioni di

diversi turchi a diverso titolo collegati ad AGCA e a coloro che erano

apparsi coinvolti nella preparazione e

nella esecuzione dell’attentato al Papa, quali BURLCCARA YUMUS,

SIAT YUMUS, RAMAZAN AKTURK, ISMAIL SAYGUN, tal KAZIM.

Emergeranno altresì, nel corso degli anni dell’istruttoria, numerosi

nuovi percorsi d’indagine, di cui in questa introduzione merita di ricordare

solo quelli di maggior rilievo e cioè le notizie sulla preparazione

dell’attentato e su progetti di altre operazioni a danni del Pontefice, come

riferito dal notissimo DE MARANCHES e da altri; le notizie provenienti e

concernenti l’altrettanto noto PAZIENZA; le estradizioni, le informazioni,

le ritrattazioni di ORAL CELIK; le rogatorie alla Città del Vaticano e le

acquisizioni di atti compiute da quelle Autorità sull’attentato; le

acquisizioni e le attività rogatorie presso la Giustizia svizzera

sull’operazione Maiskolben; le molteplici attività di numerosi Servizi di

Sicurezza.

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Cap. I. 3. Premessa sulla tesi del complotto

A premessa della presente motivazione, appare necessario ricordare

quanto emerso e provato nelle due precedenti inchieste sull’attentato al

Sommo Pontefice, e che peraltro ha ricevuto ulteriore conforto di prove

nella presente inchiesta, ovvero che tale delitto fu il risultato di complotto

di alto livello e cioè che a monte dell’esecutore, anzi degli esecutori

materiali, vi furono organizzatori ed entità con ogni probabilità statuali.

Nonostante un tentativo, maldestro e puramente apodittico, da parte del

principale personaggio conosciuto della vicenda, che nelle ultime

dichiarazioni rese a questo Ufficio si sforza di accreditare la tesi del gesto

individuale, non preparato nè premeditato, ma determinato da voci

“divine”, così ritrattando la infinita congerie di dichiarazioni in senso

contrario, e cioè dell’atto minuziosamente preparato, nell’ambito di una

ben precisa organizzazione, che lo aveva fatto evadere da Kartal Maltepe,

gli aveva dato ricetto in più luoghi di Turchia, lo aveva rifornito di danaro,

lo aveva dotato di documenti d’identità e di viaggio, falsi, lo aveva fafto

muovere attraverso molteplici frontiere in più Paesi d’Asia, Europa ed

Africa, lo aveva munito di quell’arma che poi sarebbe servita a realizzare il

progetto a danno del Pontefice romano. Organizzazione che a sua volta

avrebbe ricevuto il mandato da altri, appartenenti, con ogni probabilità, a

quelle entità di cui s’è detto.

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Tutte le Corti che hanno giudicato sul delitto in oggetto - la Corte di

Assise che decise in conseguenza della prima istruzione sommaria del P.M.

e la cui sentenza passò in giudicato per difetto di impugnazione, cui

l’imputato espressamente rinunciò; la Corte di Assise di primo grado e

quella di appello che decisero sulla prima istruzione di questo Ufficio -

hanno sempre escluso la tesi dell’atto individuale, del gesto compiuto senza

eccessiva premeditazione ed organizzazione, dal singolo esecutore

dell’attentato, abbracciando invece, sulla base di solide motivazioni, la tesi

del complotto e non di basso livello.

Il primo giudice dibattimentale, nella sentenza del luglio 81, così

concludeva: “La declaratoria di colpevolezza dell’imputato non deve

chiudere il discorso, essendovi la necessità di approfondire ancora taluni

aspetti della vicenda e di far luce sul retroterra, in cui il delitto è maturato”.

Gli atti premettevano “di sostenere che, nella realtà il primo aveva sì un

obiettivo immediato e cioè l’uccisione del Papa, ma era destinato secondo

schemi collaudati ad alimentare la campagna di oppressione di un

terrorismo articolato a vari livelli e a creare nuove condizioni di manovra

per arrivare a scardinare assetti sociali consolidati”. AGCA perciò per

quella Corte era stato “impiegato semplicemente come pedina” di un

progetto, i cui contenuti e finalità apparivano all’epoca assolutamente non

chiari; egli era soltanto “la punta emergente di una trama dai contorni

purtroppo indefiniti e perciò drammatica e minacciosa, ordita da forze

occulte”.

In contrasto questa tesi del giudicante con quella del requireilte, che

disegnava AGCA come “un terrorista venuto dal nulla”, “un paranoico

esaltato”, “uno psicopatico maniaco”, “un cavaliere isolato e delirante...

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che unicamente da solo aveva progettato e deciso di compiere quella

spaventosa oscenità”.

Giudicante, quello della prima Corte d’Assise, che pertanto

auspicava a conclusione delle sue motivazioni indagini per un approfondito

riesame di tutte le circostanze

accertate “per dare un volto ai corresponsabili del gravissimo misfatto”.

Motivazioni in tutto analoghe quelle del giudice d’Appello, che in

esse, depositate nel dicembre dell’87, dedicò un capitolo alla questione: “la

prova certa del complotto diretto ad assassinare il Sommo Pontefice

Giovanni Polo II°”, complotto “del quale l’AGCA fu solo il braccio

armato”. Quella Corte poi così continuava su costui, che “non era certo un

cavaliere errante o un romantico sognatore o un soggetto vittima di

fanatismi ideologici o religiosi, ma al contrario un killer prezzolato

disponibile e ben disposto, per denaro, a compiere qualsiasi azione, come

dimostrano la sua partecipazione all’omicidio IPECKI, i suoi certi legami

con ambienti della malavita comune e politica e le sue stesse significative

ammissioni”.

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Parte prima

L’organizzazione esecutrice

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CAPITOLO PRIMO

La posizione di MEHMET ALI’ AGCA

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Cap. 1.1.1. Gli interrogatori del periodo ottobre 85-aprile

96.

Ovviamente in questo processo AGCA è stato interrogato più

volte.

In un primo interrogatorio risalente al 21 ottobre 1985 riferiva

che: - negli incontri nell’appartamento di Jheringgasse a Vienna ed in

altri luoghi avevano partecipato CELIK, CATLI, SENER, SENGUN,

YALCIN OZBEY e SEDAT SIRRI KADEM; -YALCIN OZBEY e

SEDAT SIRRI KADEM erano giunti dalla Germania ed erano rimasti

a Vienna per due o tre giorni, alloggiando nell’appartafnento di

Jheringgasse; - OZBEY usava al tempo il nome di “SELAMET”,

mentre KADEM quello di “AKIF”. (v. interrogatorio AGCA,

21.10.85)

Il giorno successivo AGCA dichiarava che: - la decisione di

compiere l’attentato risaliva al luglio del 1980 ed era stata presa a

Sofia; - unitamente al CELIK aveva avuto l’incarico di individuare

altre due persone da inserire nel gruppo operativo;

- verso la fine del 1980 con ORAL CELIK - a seguito di contatti

telefonici - era stato deciso di inserire nel commando SEDAT SIRRI

KADEM e OMER AY; - di queste decisioni erano stati informati

CERDAR CELEBI e YALCIN OZBEY; - SEDAT SIRRI KADEM

era stato informato da YALCIN OZBEY, mentre OMER AY da

ORAL CELIK; - era stato dato incarico a INAN MAHMUT di

prendere in fitto una casa a Vaduz (Liechtenstein), ove ospitare

OMER AY, e nella quale si era recato, verso la fine di febbraio ‘81, lo

stesso AGCA, accompagnato da MAHMUT INAN, allo scopo di

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definire i dettagli dell’attentato; - l’appartamento a Vaduz era nei

pressi

di Koenigstrasse e da esso si poteva vedere il castello del Principe

Giuseppe. (v. interrogatorio AGCA, 22.10.85)

Il giorno dopo AGCA proseguiva le sue dichiarazioni,

precisando che: - tra le persone a conoscenza del proposito di attentare

alla vita del Papa vi erano MAHMUT INAN, UENAL ERDAL,

MEHEMET SENER e CELEBI MUSA; - MAHMUT INAN era il

coordinatore del Lupi Grigi in Svizzera ai quali procurava alloggi,

documenti, denaro, auto ed altro; - UENAL ERDAL era stato

informato dell’attentato al Papa da MAHMUT INAN, ma non ha

avuto un ruolo nell’attentato; - SENER MEHMET era al corrente

dell’attentato al Papa ed aveva partecipato alle riunioni preparatorie di

Vienna, insieme a CAmI, CELIK, OZBEY e KADEM; - KOCIAC

KASIM era al corrente dell’attentato al Papa, era presente

nell’appartamento di Jheringgasse, ma non partecipava alla

preparazione dell’attentato; - RAMAZAN SENGUN, coordinatore dei

Lupi Grigi in Austria partecipava a tutte le riunioni preparatorie di

Vienna ed aveva avuto un ruolo determinante nell’acquisto delle armi

provenienti da OTTO TINTNER; - OZBEY era rimasto a Vienna per

circa due o tre giorni insieme a SEDAT SIRRI KADEM,

soprannominato “AKIF”, che non era membro dei Lupi Grigi, bensì

un avventuriero con il quale si tenevano rapporti per azioni di

terrorismo e reati di vario genere.(v. interrogatorio AGCA,

23.10.1985)

Nell’interrogatorio del 26 AGCA dichiarava, relativamente ad

ARSLAN SAMET che: - era stato suo complice nell’attentato al Papa,

descrivendone le caratteristiche fisiche; -che il suo compito era quello

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di intervenire, nel caso che qualche membro del commando fosse stato

catturato, facendo esplodere delle bombe panico. A tale scopo egli era

appostato

nei pressi della posta mobile del Vaticano; - che aveva alloggiato in

Via Galiani n. 36 ed a ciò si era interessato direttamente

l’AYVAZOV; - era giunto a Piazza San Pietro a bordo di FORD,

unitamente a OMER AY e SEDAT SIRRI KADEM; - si identificava

nella persona ripresa di spalle mentre fugge.

Aggiungeva, inoltre, che la sera del 9 maggio 1981 si era

incontrato a Milano con SAMET ARSLAN, OMER AY, SEDAT

SIRRI KADEM, ORAL CELIK, VAHDETTIN OZDEMIR e OMER

BAGCI. Quest’ultimo, in quell’occasione, gli aveva consegnato,

presente OZDEMIR, la pistola che sarebbe servita per attentare alla

vita del Pontefice.(v. interrogatorio AGCA, 26.10.1985)

Nel novembre AGCA dichiarava, - modificando quanto

dichiarato precedentemente - che non si era mai recato a Vaduz, e che

era stato MAHMUT INAN a parlargli della presenza di OMER AY a

Vaduz. (v. interrogatorio AGCA, 29.11.1985)

Il 2 di dicembre confermava la chiamata in correità di ARSLAN

SAMET.(v. interrogatorio AGCA, 02.12.1985)

Il 24 dicembre successivo questo G.I. contestava a AGCA che,

a seguito di indagini effettuate nel corso della Rogatoria espletata in

Olanda in data 6.12.1985 presso il Laboratorio Anatomico

Embriologico dell’Università di Leida, era stato accertato che non vi

era alcun rapporto di identità tra ARSLAN SAMET e la persona

raffigurata nella fotografia scattata in Piazza 5. Pietro subito dopo

l’attentato del 13.5.1981, quella che rappresentava un uomo

fotografato da dietro, che mostra di darsi alla fuga. AGCA ribadiva

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che trattavasi invece di ARSLAN SAMET e che evidentemente chi

aveva compiuto

l’indagine era incorso in errore.(v. interrogatorio AGCA, 24.12.1985)

A fine gennaio dell’anno seguente, AGCA cambiava versione:

“Ritratto totalmente quanto da me dichiarato in merito alla identità tra

ARSLAN SAMET e l’uomo fotografato di spalle in Piazza San Pietro

(subito dopo l’attentato del 13.5.1981) che apparentemente si dà alla

fuga, con capelli -scuri, e che indossa una giacca di pelle nera e

pantaloni chiari. La persona in questione é ORAL CELIK, come ho

più volte fatto presente in precedenti dichiarazioni”. AGCA comunque

confermava che ARSLAN SAMET era al corrente del proposito di

attentare alla vita del Papa e di averlo visto l’ultima volta a Vienna nel

marzo del 1981.(v. interrogatorio AGCA, 30.01.1986)

Nell’aprile AGCA confermava la chiamata in correità di

SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY, precisando che ARSLAN

SAMET era estraneo ai fatti e non era presente a Piazza San Pietro,

ma che, comunque, aveva partecipato alle riunioni di Vienna per

l’attentato al Papa. Confermava, infine, che l’uomo ripreso mentre

fugge a Piazza San Pietro era ORAL CELIK.(v. interrogatorio AGCA,

21.04.1986)

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Cap. 1.1.2. Gli interrogatori del periodo dicembre 90-luglio

95.

Gli interrogatori riprendevano nel 90. In quello di dicembre il

turco afferma che sin da prima della realizzazione dell’attentato al

Pontefice era stato programmato un piano che si sarebbe dovuto

attuare nel caso di arresti di partecipi all’esecuzione dell’attentato.

Ovvero era stato previsto, anche se non in modo specifico, di sequestri

di diplomatici italiani.

Questa affermazione seguiva le risposte a due domande, se

ORAL CELIK si fosse adoprato per liberare esso AGCA dalla

detenzione italiana, cui egli aveva risposto affermativamente; e in caso

positivo con quali azioni, cui AGCA aveva risposto “qui è entrata in

mezzo la storia di Emanuela e Mirella”. (v. verbale di interrogatorio,

G.I. 12.12.90)

Ma su questo tema con maggiori approfondimenti, il processo

per il sequestro della predetta ragazza.

Proseguendo nel corso degli interrogatori del nostro, egli nel

successivo, che cade nel novembre del 93, riconosce per propria la

grafia dell’appunto sequestrato nella stanza dell’albergo ISA di Via

Cicerone, ove pernottò prima dell’attentato.

Egli traduce la frase relativa al 20 maggio “Kesin u kesin” in

“Certo e certo”. E cioè, secondo quanto asserisce, più giorni erano

previsti per compiere l’attentato e, secondo quanto deve presumersi,

entro il 20 comunque lo si doveva compiere.

I Bulgari avrebbero provveduto a dargli un’arma di precisione.

L’uomo che fugge, veste come descritto nell’appunto e cioè indossa

una casacca e calza scarpe sportive. Costui è ORAL CELIK che

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all’epoca dell’attentato era ospite in un complesso dell’Ambasciata di

Bulgaria e fu l’autore delle prescrizioni contenute nell’appunto,

prescrizioni probabilmente concepite insieme ai Bulgari.

A Roma in quel periodo erano presenti oltre a lui AGCA, e ad

ORAL CELIK, SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY. Anche questi

ultimi due probabilmente erano ospiti presso i Bulgari. Quando parla

di Bulgari, egli precisa, si riferisce a KADER e a tutti gli altri, che

furono imputati nel secondo processo per l’attentato.

Il giorno dell’attentato, confermando precedenti dichiarazioni,

in Piazza San Pietro c’erano tutti e quattro i turchi e cioè esso AGCA,

ORAL CELIK, SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY, ed inoltre il

bulgaro ANTONOV. Richiestogli quali fossero le modalità previste

per la realizzazione dell’altra ipotesi e cioè che si dovesse attentare al

Pontefice allorchè egli si affacciava alla finestra dei suoi appartamenti

al Palazzo Apostolico, egli non sa riferire alcun particolare, asserendo

che il piano sarebbe stato loro comunicato dai Bulgari. Anche in

questo caso tutti e quattro i turchi si sarebbero dovuti trovare sulla

piazza. Tutti e quattro erano esperti nell’uso dell’arma lunga. I Bulgari

disponevano di arma e di cannocchiale, e dicevano che si sarebbe

dovuto sparare da un punto sito nei pressi delle colonne.

Il 13 maggio tutti e quattro erano armati di pistola, ma

avrebbero dovuto sparare solo lui, SEDAT SIRRI KADEM e ORAL

CELIK; OMER AY, ribadendo quanto già detto in precedenza,

avrebbe dovuto far esplodere una bomba panico. Essi erano dislocati

in punti diversi, e avrebbe dovuto sparare colui che si fosse trovato

nella posizione migliore per realizzare l’attentato.

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Prima dell’attentato aveva visto diverse fotografie, circa una

decina, del Papa, sia alla finestra che sulla piazza, e sia sul furgoncino

- da intendersi, la campagnola; n.d.e. - che sulla Mercedes nera.

Queste fotografie le aveva distrutte prima

dell’attentato. Non aveva mai visto fotografie del Papa nei giardini

vaticani; non ricorda se ne ha viste riproducenti il Papa su terrazze dei

palazzi vaticani. Aveva sparato alzando la mano, perchè aveva gente

dinanzi e non poteva fare altrimenti.

Era stato previsto un piano di fuga dall’attentato.

Nell’Ambasciata di Bulgaria vi era un TIR diplomatico, che avrebbe

dovuto portarli a Sofia. ANTONOV avrebbe atteso in via della

Conciliazione. Se si fosse mancato questo appuntamento, avrebbero

dovuto raggiungere la casa dei Bulgari, cioè l’Ambasciata, in taxi.

Non è mai venuto a conoscenza di come i suoi concorrenti fossero

riusciti a fuggire.

Aveva preferito prendere alloggio alla pensione ISA, perchè ero

il solo dei quattro ad essere in possesso di passaporto valido.

L’incontro con gli altri tre e cioè CELIK KADEM ed AY, era

avvenuto a Roma, perchè egli proveniva da Milano e gli altri da

Vienna, ove vivevano nell’abitazione di JHERINGGASSE e in una

seconda sita nei pressi di una delle stazioni della Capitale austriaca.

Da ultimo dichiara che aveva preferito usare la sua pistola

personale, e cioè la Browning, nonostante che i Bulgari disponessero

di altre armi. (v. interrogatorio AGCA, G.I. 6.11.93).

Allorchè viene a conoscenza dalla stampa - ovviamente anche

lui - del contenuto degli interrogatori di ORAL CELIK, così nell’atto

del gennaio 95 commenta. Assolutamente falso che egli abbia avuto

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“rapporti con Cardinali, preti e suore” e che abbia partecipato ad

“udienze e messe fuori S. Pietro”. Si rifiuta di parlare di fatti avvenuti

in Turchia, a seguito della contestazione di CELIK secondo cui egli

mai avrebbe fatto parte dei Focolari idealisti o dei Lupi Grigi.

Sulla domenica precedente l’attentato, egli conferma quanto

ebbe a dire nell’interrogatorio del lontano 4 maggio 82 e cioè di essere

stato nel pomeriggio sulla piazza S. Pietro e di aver visto il Papa uscire

dal Vaticano. Esclude però di aver chiesto dove il Pontefice si recasse,

e di aver saputo in precedenza quale fosse la di lui destinazione.

D’altronde, afferma, non disponeva di autovettura e non poteva perciò

seguirlo. Ha girato per Roma da solo. E soltanto il giorno seguente ha

incontrato SEDAT SIRRI KADEM e ORAL CELIK. Ammette però di

aver visto il Papa un’altra volta pochi giorni prima dell’attentato,

mentre percorreva la piazza di San Pietro, a bordo di macchina.

A questo punto dell’interrogatorio le contestazioni sulle

fotografie scattate il 10 maggio precedente il giorno dell’attentato,

durante la visita del Papa alla Parrocchia di San Tommaso d’Aquino,

di cui si riferisce in altra parte di questo scritto, e per effetto delle quali

egli pronuncia quelle parole “e poi che cosa cambia ?” cui, come s’è

detto, può darsi solo un significato. (v. interrogatorio AGCA, G.I.

18.01 .95)

*********

Cap. 1.1.3. La chiamata in causa di PAZIENZA e la sua

reazione.

Nell’interrogatorio del successivo luglio parla prevalentemente

del caso ORLANDI, ma nel corso dell’interrogatorio collega questa

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vicenda all’attentato al Papa. Così testualmente “In data 31 dicembre

81 i servizi segreti mi dissero sarai libero in due anni. Tutto è nato da

qui. Voglio sottolineare che non voglio calunniare nessuno. Lo

ribadisco:

nessuno deve soffrire per un sospetto. L’Americano con il K è

effettivamente un americano, è una storia italo-americana; però

dobbiamo partire sempre da quel 31 dicembre. Emanuela non è stata

rapita; è stata trasferita da questi elementi italo-americani. Loro

dicevano di dire la verità sul Papa in cambio del ritorno della ragazza.

Francesco PAZIENZA nel maggio-giugno 82 venne a Rebibbia e mi

disse di dire la verità sui Bulgari e sui Russi. Il PAZIENZA era

accompagnato da un americano. Premetto che i Lupi Grigi avevano

contatti con la CIA. In particolare con uno dei capi della CIA ad

Ankara, tale Paul HENZE. Il PAZIENZA mi disse che se si fosse

verificato questo, sarei andato in un Paese latino-americano, in una

fattoria e sarei stato tranquillo e con molto benessere”.

Si trattava di un’operazione preparata in modo perfetto. La

persona che avrebbe potuto rivelare circostanze d’interesse era l’allora

Presidente del Costarica LUIS MONGE, che fu indotto a dichiarare la

sua disponibilità ad accogliere AGCA nel suo Paese.

Descrive poi la visita di PAZIENZA a Rebibbia, unica

occasione di incontro tra i due. Quegli si presentò al carcere senza

preannunciare la propria visita. Disse di appartenere ai Servizi Segreti

e di sapere che dietro l’attentato vi era il Cremlino. AGCA rispose di

non conoscere alcun nesso, ma di sapere alcune vicende bulgare. “In

cambio avrei avuto la libertà”.

Con l’intento di datare questo incontro dichiara che esso

avvenne prima delle dichiarazioni a questo Ufficio sulla pista bulgara.

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Più precisamente la visita delle persone dei Servizi ad Ascoli Piceno -

e costoro gli avevano chiesto solo notizie sulle armi, sul passaporto e

sul denaro di cui aveva disposto - era della fine dell’81. Dopo questo

colloquio il Giudice Istruttore

interrogò AGCA alcune volte. A distanza dall’ultimo di questi

interrogatori avvenne la visita di PAZIENZA e dall’Americano. Dopo

di che egli meditò qualche mese e quindi prese a parlare della pista

bulgara, raggiungendo la fine dell’82. Il caso ORLANDI, egli ricorda,

è scoppiato nel giugno 83. L’Americano di cui dà anche una

descrizione fisica, era, secondo la sua stima, la vera mente

dell’operazione ORLANDI. Con PAZIENZA gli garantì il successo

della operazione, e cioè la liberazione. E a proposito di americani, egli

ricordando l’uomo della CIA ad Ankara, dice di costui che era

informato di molte vicende ed era molto potente alla stregua di

LEDEEN (v. interrogatorio AGCA, G.I. 26.7.95)

A queste dichiarazioni, ovviamente apparse con immediatezza

sulla stampa, PAZIENZA reagisce con una denuncia per calunnia

continuata e pluriaggravata contro AGCA, nella quale, ricordando che

il turco aveva già fatto affermazioni similari nelle udienze

dibattimentali dello scorso processo, puntualizza di aver interrotto i

suoi rapporti con il SISMI nell’aprile dell’81; dopo di che si era

trasferito all’estero - con ufficializzazione della residenza presso

l’AIRE nell’estate dell’82 - ed era rientrato in Italia soltanto il 20

giugno dell’88. Ribadisce che “la celeberrima Pista Bulgara”

dimostratasi inesistente, e perorata da AGCA con descrizioni di

appartamenti, luoghi e circostanze, che solo fonti esterne potevano

fornirgli, ne era la dimostrazione più evidente. E proprio poiché

l’inchiesta, continua PAZIENZA, stava per avvicinarsi ai veri

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responsabili di quei depistaggi ed inquinamenti, AGCA s’era indotto a

mettere in atto manovre di diversione (v. denuncia-querela Pazienza

del 3 agosto 1995 per calunnia ed altro a carico di MEHMET ALI’

AGGA ed ignoti presentata alla Questura di La Spezia).

Interrogato, PAZIENZA conferma il contenuto di questo atto,

precisando che dopo l’interruzione del rapporto con il SISMI egli,

quale consulente del Presidente del Banco Ambrosiano, fu preso da

una frenetica attività di viaggi di lavoro all’estero.

Esclude di aver mai avuto rapporti sia diretti che indiretti, con

agenti della CIA ufficialmente accreditati. Per aver notizie sulla CIA

di Roma, egli si rivolgeva al prefetto Federico Umberto D’Amato.

Peraltro, al tempo CIA e MOSSAD non nutrivano sentimenti di

simpatia nei suoi confronti, giacchè egli non aveva favorito

l’avvicinamento tra Vaticano, rappresentato direttamente da Mons.

SILVESTRINI e da mons. MONTERISI vero responsabile per il

Medio-Oriente e Organizzazione per la liberazione della Palestina,

avvicinamento conclusosi nell’aprile dell’81 con la prima udienza

ufficiale del Pontefice al rappresentante dell’OLP a Bruxelles AFIF

SAFIEH.

Parla poi di LEDEEN, con il quale aveva interrotto i rapporti

nell’aprile dell’81, dei rapporti di costui in Italia, menzionando il

Presidente COSSIGA, l’Ammiraglio MARTINI e tal RAPHAEL

FELLAH, rappresentante ebraico dei fuoriusciti libici, che, con l’aiuto

di non meglio precisati ambienti dei Servizi italiani avrebbe tentato di

organizzare una missione di libici a Gerusalemme.

Parla di Presidenti del Costa Rica, da PEPE FIGUERES a LUIS

ALBERT MONGE, come del Presidente e di Ministri del Panama. (v.

interrogatorio PAZIENZA, G.I. 4.08.95)

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********

Cap. 1.1.4. Il confronto AGCA - PAZIENZA.

Tale situazione di contrasto tra le dichiarazioni di AGCA e

quelle di PAZIENZA determinava la necessità di confronto tra i due.

Il primo all’inizio dell’atto indicava il nome dell’americano che

aveva accompagnato, secondo la sua narrazione, PAZIENZA al

carcere di Rebibbia. Sarebbe stato certo ALDRICH AMES, da lui

definito “traditore arrestato e responsabile del Comunismo

internazionale della CIA”. Costui altri non è che il noto ALDRICH

AMES effettivamente arrestato negli Stati Uniti nel febbraio 1994 per

spionaggio a favore dell’Unione Sovietica e condannato di

conseguenza all’ergastolo. Confermava così l’episodio della visita

anzi delle visite, ribadendo poi che esse avvennero nel maggio dell’82

la prima e tra fine settembre e prima settimana di ottobre dello stesso

anno la seconda; che i colloqui si erano tenuti in inglese; che erano

avvenuti in una sala attigua a quella degli assistenti sociali; che i due

avevano mostrato il primo una carta d’identità; l’altro una tessera della

CIA “con l’aquila”.

Egli aveva chiesto, nel colloquio avuto con i Servizi italiani, di

poter incontrare i Servizi americani, in particolare la CIA. Quando i

due, PAZIENZA ed AMES, si sono presentati, prima di ogni altro

discorso , gli hanno domandato se egli avesse effettivamente chiesto

un colloquio con la CIA. I due poi asserirono di essere a conoscenza

che dietro l’attentato c’era l’Unione sovietica e che “come strumenti di

questa storia c’erano i Bulgari”. Essi dicevano di essere in grado di

portare il caso al Congresso degli Stati Uniti e vantavano amicizie

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come quella con Michael LEDEEN, consigliere della Casa Bianca, che

sarebbe stato investito anch’essa del caso. Affermavano pure di aver

già conosciuto il vertice del Vaticano. Egli fu quindi posto di fronte al

seguente dilemma: da un lato la libertà, dall’altro

ogni probabilità di essere eliminato, giacché nessuno sarebbe stato in

grado di proteggerlo in Italia per tanti anni.

Di fronte a tale prospettiva egli accettò e chiese di conseguenza

come potessero aiutarlo. Essi risposero: “we can blackmail the Holy

City and the Italian Government” cioè “noi possiamo ricattare il

Vaticano e il Governo italiano”.

All’inizio dell’autunno i due ritornarono, portando una copia del

“Reader’s Digest”, la rivista a maggior diffusione nel mondo con 35

milioni di copie, e una lettera di Paul HENZE, capo della CIA in

Turchia, simpatizzante nazista e fanatico anticomunista, che gli

chiedeva di dire la verità per la sacra lotta contro il terrorismo

internazionale ovvero il mostro del comunismo. Affermarono che già

vi erano prove documentali consegnate da disertori del KGB, che

dimostravano la volontà del Cremlino di eliminare il Papa.

Affermarono altresì che nel condominio di ANTONOV c’era un

agente della CIA che avrebbe confermato di averlo visto in compagnia

dell’uomo della Balkan Air. Lo rassicurarono, dichiarando che non

sarebbe rimasto isolato.

Alle sue perplessità, giacchè in Italia non era stato rilasciato

nemmeno un brigatista per Aldo MORO, essi risposero che il loro

progetto prevedeva il sequestro di “qualcuno del Vaticano o vicino al

vertice del Vaticano, e chiederemo il tuo scambio. Ti manderemo in

un Paese centro-americano, in Costa Rica o Panama”. PAZIENZA

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aggiunse che qualcuno al vertice del Vaticano gli aveva dato incarico

di seguire il suo caso personalmente.

Nell’85, continua AGCA, gli pervenne un’altra lettera con

l’intervista di Claire STERLING a Famiglia Cristiana, in cui costei

affermava che il caso ORLANDI era stato gestito da

professionisti della strategia della tensione. E poi un altro giornale ove

era scritto, a proposito di VITALIJ YURCENKO, che costui avrebbe

confessato “la connessione del Cremlino nella pista bulgara per

l’attentato al Papa”. E su questo giornale vi era scritto in lingua turca

“Non tradire. Sarai scambiato con Emanuela ORLANDI”. Così come

farà la STERLING, che gli disse, in turco, nel corso di una udienza del

processo: “Non tradire, sarai scambiato con EMANUELA”.

PAZIENZA in primo luogo esibisce una serie di memoriali sui

rapporti tra di lui e il SISMI dall’ottobre 81 all’84. Esclude poi di

essere mai stato a Rebibbia per incontri con AGCA. Ribatte su AMES,

chiedendosi come fosse possibile che un uomo della CIA, traditore del

suo Paese in favore dell’URSS, cioè una spia al soldo del KGB,

potesse contribuire alla ostruzione della pista bulgara.

Al che AGCA chiede che siano ascoltati i capi della CIA. Se

CASEY è morto, GATES e i suoi consiglieri sono vivi e “in qualche

modo hanno già confessato la pista bulgara”.

PAZIENZA chiede quindi dei documenti di identità esibiti, se

gli furono portate le toponomastiche, le piantine degli appartamenti e

gli spostamenti di ANTONOV ed altro. AGCA risponde che questi

particolari non erano necessari; era sufficiente chiamare in causa i

Bulgari. Ma PAZIENZA ribatte che esso AGCA ha reso dichiarazioni,

in istruttorie e dibattimenti, per centinaia di pagine su spostamenti,

interni, abitudini. AGCA risponde senza dare ragionevoli spiegazioni

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che questi particolari non hanno importanza; poi ritorna sulla foto

dell’uomo che fugge e quindi richiama le vicende delle lettere

anonime.

PAZIENZA contesta affermando che le lettere in carcere

vengono visionate e che comunque una lettera non può

contenere dati in numero tale da riempire centinaia di pagine di

verbali. AGCA, pur messo a disagio dalle contestazioni di Pazienza, a

domande precise, conferma che la pista bulgara era falsa, che egli mai

aveva messo piede nell’appartamento di ANTONOV, che la

costruzione da lui esibita agli inquirenti era una architettura dei Servizi

occidentali.

A questo punto PAZIENZA dice in inglese, rivolto ad AGCA:

“we can talk in ENGLISH with no problem”. Questa frase provoca un

incidente tra le parti, ma la trascrizione del registrato attesta che la

frase pronunciata da PAZIENZA era stata quella sopra riportata, che

altro non significa: “Noi possiamo parlare in inglese senza problemi”,

ed era seguita ad altra dell’AGCA. :“Io non parlo perfettamente la

lingua italiana”: Quindi nulla di penalmente rilevante o d’interesse

comunque per l’inchiesta. Nessuna minaccia, nessun messaggio, bensì

un semplice invito a continuare il confronto in inglese, lingua più

accessibile ad entrambi, PAZIENZA ed AGCA.

A richiesta del P.M. questo Ufficio contestava poi la divergenza

tra quanto l’AGCA stava affermando e quanto aveva affermato

all’udienza del 3 dicembre 85 davanti alla Corte d’Assise di Roma in

confronto con PANDICO e cioè: “io non ho mai conosciuto nè

MUSUMECI nè PAZIENZA nè CUTOLO nè nessuno”. E il turco a

questa contestazione risponde che la verità è quella odierna, anche se

aggiunge: “certe volte, una qualche volta, potevo mentire, come è

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successo e poi subito dopo con l’intento di complicare ulteriormente:

“... in tutto questo intrigo internazionale ci sono ancora livelli

istituzionali, politici, questo e quello, che in qualche modo devono

essere scoperti”.

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Ad ulteriore richiesta del P.M. di contestare ad AGCA l’altra sua

dichiarazione resa in quel confronto : “Su ordine del Ministero io ero

rigorosamente protetto e guardato giorno e notte. Che c’entra che MUSUMECI è

venuto nella mia cella? questa cosa solo per far gettare i dubbi sulla pista bulgara.

Già non c’è una pista bulgara. Ci sono le parole, ma per confondere le cose o per

coprire altre responsabilità, se ci sono. Perchè ormai MUSUMECI è disgraziato,

finito, è nella prigione per accusare lei od altri, per coprire altre responsabilità che

ci sono”, si chiede seccamente al turco di dire quando ha riferito il vero, dinanzi

alla Corte d’Assise, quando ribadì la pista bulgara, escludendo di aver mai visto

PAZIENZA e MUSUMECI, od oggi dinanzi a questo Ufficio allorchè nega la pista

bulgara, perchè dice di essere stato imbeccato da PAZIENZA e da altri. Ed egli

risponde: “adesso ho detto che siccome diciamo tutta la verità, anch’io rischiando

moltissimo sul piano giuridico, perchè ho smantellato la pista bulgara, e a

quell’epoca non era smantellata la pista bulgara, io non avevo fatto nessuna

dichiarazione sul caso ORLANDI... Voglio soltanto che ci sia una giustizia e che la

CIA, i Servizi Segreti occidentali e qualche deviato del Vaticano, non dico che

devono pagare, ma devono essere purificati.”

Aggiunge poi che Rebibbia era una sorta di albergo, ossia entrava e usciva

chi voleva, e che ha ricevuto delle lettere a firma Elena, il nome cioè che secondo

AMES sarebbe stato usato per lettere con suggerimenti - peraltro il nome della

moglie dello stesso AMES - e che in una di questa vi era scritto “Soon we will

convince the Pope to pray for you”.

All’atto delle domande di parte, esso AGCA dichiara di avvalersi del diritto

di non rispondere e chiede ai suoi difensori di non rivolgere domande a

PAZIENZA. Ma subito dopo

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afferma che la frase “Tu sarai scambiato con Emanuela ORLANDI” fu pronunciata

in aula da Claire STERLING in turco mentre guardava ANTONOV. Ribadisce poi

che i casi ORLANDI e YOURCENKO erano strettamente collegati e che si era

detto che costui sarebbe venuto in aula al processo per parlare.

PAZIENZA dal canto suo nega di conoscere AMES, anche se ha letto di lui

sui giornali.

AGCA aggiunge poi di aver ricevuto lettera anonima prima di incontrare il

Papa, lettera nella quale egli si consigliava di confessare al Pontefice che i Sovietici

erano stati gli autori del progetto di attentato ai suoi danni. (v. confronto tra

PAZIENZA e ALI’ AGCA, G.I. 11.09.95)

**********

Cap. 1.1.5. La ritrattazione del settembre 95.

Nel settembre appaiono le ritrattazioni, secondo un copione già noto.

“Ribadisco che si è trattato di una colossale montatura dei Servizi Segreti

occidentali...

Nessuno vuole la verità. E’ un girone infernale. Confermo solo che la pista

bulgara è stata tutta una montatura; è una menzogna. Mi fu assicurato che si

sarebbe trovata una soluzione politica; sarebbero usciti i bulgari e sarei uscito io.

L’opinione pubblica vuole per forza i complotti. Sono stato solo; volevo

uccidere il Papa e basta e passare alla storia per questo, per questo ideale. Un solo

uomo con la sua lucidità

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e la sua volontà. Tutto il resto è montatura... Ripeto: non c’è stato nessun

complotto. Il potere non vuole la verità.

Io non posso dimostrare tutti i particolari della montatura, perché essa è stata

costruita dai Servizi Segreti...

Io credo di essere il Nuova Messia, ed anche in Vaticano c’è qualcuno che

crede che io lo sia.”

A domanda del P.M.: “Io credo di essere GESU’ CRISTO.. .Quando ho

detto di esserlo, non simulavo; credevo come credo tuttora, di esserlo.”

A domanda della difesa: “Io credo di essere GESU’ CRISTO, in quanto

verbo incarnato e reincarnato; sono la realizzazione del Messia finale, nel senso

che sono stato chiamato per la realizzazione del terzo segreto di FATIMA. Il

miracolo di FATIMA avviene il 13 maggio 1917. Io non sapevo di questa data,

come del segreto di FATIMA. Solo in seguito mi sono reso conto di essere uno

strumento di poteri religiosi. Ho continuato a sostenere la pista bulgara per non

essere processato per calunnia...

Mi sono deciso a dire la verità solo in questo momento, solo perché dopo

anni di avvelenamento di ideologia nazista e a seguito di meditazione religiosa mi

sono convinto a scagionare tutti coloro che ho accusato, e perché il Vaticano sappia

che nessuno al mondo voleva la morte del Papa... Intendo aggiungere, come ho

sempre detto, che in pratica io fui costretto a indicare la pista bulgara perché ero

stato minacciato di morte.”

In questo stesso interrogatorio AGCA specifica anche le vicende della visita

in carcere. Esse non erano state soltanto tre e cioè quelle del dicembre 81, del

maggio e dell’ottobre 82; ma ve n’era stata anche una quarta, avvenuta dopo che

egli aveva manifestato la volontà di ritrattare. Questa visita si verificò tra

novembre e dicembre 82 e ad essa si presentò una persona diversa da PAZIENZA e

dall’americano; si trattava di un quarantenne, sul quale poi aggiungerà altri

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particolari.

In queste visite egli ebbe i dati sui bulgari. Nella prima, quella degli uomini

del SISMI e del SISDE, ci fu la promessa che egli sarebbe stato messo in libertà di

lì a due armi, giacchè il Papa e PERTINI gli avrebbero concesso la grazia.

Nelle visite successive, quelle di PAZIENZA e l’Americano, costoro gli

dissero: “noi sappiamo che tu sei stato in Bulgaria; se tu tiri in ballo uomini

dell’Ambasciata di Bulgaria a Roma, tu sarai libero in poco tempo.” Gli dettero

anche assicurazione che nessuno sarebbe stato condannato e che il caso si sarebbe

risolto politicamente. Gli fecero i nomi di ABUZER UGURLU e BEKIR

CELENK. Nella seconda visita in particolare, quelle d’inizio dell’autunno, gli

portarono una lettera, scritta in turco, di Paul HENZE, nella quale gli veniva

chiesto, in nome della santa lotta contro il comunismo internazionale, di accettare

le proposte di PAZIENZA e dell’amico americano. In cambio egli sarebbe stato

liberato, giacché essi rappresentavano il potere mondiale. Gli consegnarono poi due

fogli su cui erano riportati dati sui Bulgari.

In particolare vi era la descrizione dell’addetto militare, di ANTONOV e di

un terzo bulgaro, vi erano anche i nomi falsi che avrebbe dovuto usare. Per

ANTONOV BAYRAMCI, per gli altri due SOTIR KOLEV e SOTER PETROV.

Vi erano poi ulteriori dati. BAYRAMCI era addetto alla Balkan Air, aveva una

moglie e una bambina, abitava a Via Pola. Di un secondo vi era scritto che aveva

un neo e un determinato tipo di autovettura. Di SOTER PETROV vi era scritto che

abitava in via Galiani. Per KOLEV non c’era indirizzo. Assicurarono che

comunque sulle case, avrebbero inviato ulteriori dati con lettera anonima.

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Nella quarta visita è venuto l’emissario di PAZIENZA; tipo italiano

mediterraneo con capelli neri e baffi, sul metro e settanta, ottanta; con conoscenza

perfetta dell’italiano e scarsa dell’inglese. Costui descrisse la casa di ANTONOV e

della divisione della stessa “con una parete”, e parlò del suo hobby per le piccole

bottiglie. La fonte delle informazioni era sicura, perché erano persone dello stesso

condominio al servizio della CIA. Gli disse anche che TREVISIN e FARSETTI

erano stati mandati in Bulgaria perché fossero arrestati in esecuzione di un gioco di

alto spionaggio. Questo emissario lo “invitò” a persistere nella pista bulgara,

perché altrimenti avrebbe fatto la fine del killer di GHEDDAFI ucciso nel carcere

di Rebibbia in maniera misteriosa.

Nega poi di essere stato imbeccato anche sui Turchi, ma esclude ogni

responsabilità di OMER AY, ARSLAN SAMET e SEDAT SIRRI KADEM. “Una

menzogna ha chiamato l’altra”. Dopo la visita dell’emissario di PAZIENZA non ve

ne sono state altre Ma ci sono stati i segnali di cui ha già parlato: la lettera firmata

“Helena” e l’avvertimento di Claire STERLING. Aggiunge poi che, oltre ai due

fogli di cui già s’è detto, gli furono mostrate tre fotografie, quelle di BAYRAMCI,

PETROV e KOLEV. In effetti la Magistratura gli aveva fatto vedere un album con

cinquantadue foto, tra cui le tre che egli doveva riconoscere, così come fece.

Egli conservò i due fogli di PAZIENZA per diversi giorni, trascrivendo i

dati su di essi riportati tra le righe di alcuni libri di sua proprietà. Nelle

perquisizioni in cella, l’interno dei libri non veniva ispezionato. Di questi libri poi

si è disfatto.

Quanto

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alle foto egli le conservò soltanto per pochi giorni, il tempo di imprimere le

fattezze dei visi di quei tre nella sua memoria.

Dopo la quarta visita nessuno più si è recato presso di lui al carcere. Solo un

giornalista americano nel corso di un udienza gli disse che al processo si sarebbe

presentato VITALIJ YOURCENKO - il 4° del KGB, rapito nei Musei vaticani - a

confermare la pista bulgara.

In quello stesso periodo di tempo, nell’estate dell’85, egli ricevette al carcere

un giornale italiano - il “Mattino” o il “Tempo” od altro - ove si parlava del

rapimento di YOURCENKO e si affermava che costui avrebbe confessato. Sul

giornale vi era una piccola annotazione in lingua turca firmata con la sigla P.H.,

che egli aveva interpretato come Paul HENZE, che diceva “Non ritrattare, verrà a

confessare anche YOURCENKO”.

Sempre in quel torno di tempo gli è pervenuta al carcere una copia di

“Famiglia Cristiana”, contenente un servizio sul caso ORLANDI e un’intervista a

Claire STERLING. Questa intervista finiva con la frase “il caso ORLANDI è stato

gestito da professionisti della tensione”. Dopo queste parole vi era aggiunto in

turco “Non tradire. Sarai libero”. Le stesse parole che aveva pronunciato la

STERLING dopo che egli in aula aveva affermato di essere Gesù Cristo. La

STERLING aveva infatti detto : “Non tradire. Sarai liberato”.

In questo interrogatorio AGCA ritorna anche sulla questione dei suoi

rapporti con PANDICO e i camorristi al carcere di Ascoli Piceno, modificando

anche a tal riguardo precedenti sue dichiarazioni. Ammette di aver ricevuto una

lettera da CUTOLO, lettera che gli fu stata recapitata da PANDICO. In quella

lettera CUTOLO gli suggeriva di

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collaborare e fare il gioco del potere, giacché così sarebbe uscito dal carcere,

mentre altrimenti sarebbe stato ucciso. CUTOLO faceva il “buono” ed appariva il

“direttore del carcere”.

Nel confronto con PANDICO aveva sì negato di conoscerlo, ma si era così

comportato, perché temeva che lo si ritenesse collegato con la camorra. Egli invece

ben conosceva PANDICO, come conosceva Padre SANTINI, che gli portava i

regali di CUTOLO e di tanto in tanto gli regalava libri in italiano, in inglese e in

turco, e con il quale ha cominciato a parlare in italiano.

In quel periodo ha goduto di una serie di agevolazioni, la moquette in cella,

il televisore a colori - oggetti che come detenuto in isolamento non avrebbe potuto

avere - giornali e riviste con articoli su di lui, libri in turco. Moquette e televisore

vennero dalla direzione, i libri dai camorristi. Ma tutto il carcere era dominato dalla

camorra.

CUTOLO, alla fine egli afferma, lo ha incontrato, anche una sola volta. In

quella occasione ci sarebbe stato solo uno scambio di convenevoli. Il capo

camorrista si era mostrato molto gentile e gli aveva chiesto un autografo. Così gli

aveva mandato una cartolina con dedica e ringraziamenti a firma autografa. In

risposta CUTOLO gli aveva mandato un suo libro di poesie con dedica e firma.

I camorristi, egli precisa, non gli avevano mai parlato di bulgari o di pista

bulgara. Gli avevano soltanto detto di collaborare e di indicare una pista comunista.

Ribadisce nuovamente di non aver mai visto PAZIENZA ad Ascoli Piceno,

così come non vi aveva mai incontrato il generale MUSUMECI. Ma ciò non

consente di escludere che essi fossero alle spalle di CUTOLO, anche perché costui

ha

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insistito per il suo autografo e un suo scritto che potrebbero essere serviti per

accreditare la presa di contatto con lui.

Egli comunque non ricorda di aver firmato uno scritto in cui si accusavano i

bulgari. Anche se ha firmato diverse carte che gli presentavano quelli del carcere,

carte tra le quali, dal momento che egli all’epoca non conosceva l’italiano, ben

potevano esservene alcune con cui fu ingannato.

Nega infine che PANDICO si fosse presentato, ovviamente al tempo di

Ascoli, alla sua cella con CUTOLO ed un terzo, presentando costui come persona

in grado di ottenere per lui la libertà dal carcere a breve tempo. (v. interrogatorio

AGCA, G.I. 27 settembre ‘95).

********

Cap. 1.1.6. La lettera del settembre 97.

Dopo queste incredibili ritrattazioni, ennesima versione, a sorpresa, non

versata in rituali atti processuali, ma contenuta in una lettera destinata ad altri

Magistrati, già contitolari dell’inchiesta; versione con la quale rinnega il gesto del

singolo, non premeditato, affatto sostenuto da altri, ma guidato esclusivamente da

voci non umane, versione con la quale egli ritorna alla matrice sovietica e agli aiuti

bulgari.

Premette, in questa lettera, che è interesse di “tutti noi” - non specifica chi

siano costoro - di chiudere la vicenda con una verità finale storica da versare in un

libro e da mostrare, se possibile, in un processo storico dinanzi al Tribunale di

Roma contro i mandanti e gli organizzatori del delitto.

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Condizione, però, perché emerga tale verità finale è la sua liberazione, per

cui suggerisce due strade: la prima è quella della grazia, di competenza del

Presidente della Repubblica. Su questa strada egli si chiede se possano essere

d’aiuto amici dei servizi segreti o fratelli dell’Opus Dei. La seconda, più facile,

quella del trasferimento in Turchia a norma della convenzione di Strasburgo per la

prosecuzione della pena, senza però concedere l’estradizione; cosicché egli possa

essere liberato nell’ambito di pochi mesi.

Poi lui prosegue, usando un plurale che appare difficilmente spiegabile,

“ecco in sintesi le rivelazioni connesse logiche che dobbiamo fare”, ed elencando

in sette punti l’ultima, ma non del tutto nuova versione, dell’organizzazione e della

preparazione dell’attentato e di condotte successive.

Così i punti :

1. nel 77 egli era stato addestrato - ovviamente dal KGB, anche se

espressamente non lo dice - nel campo terroristico palestinese in Siria della

organizzazione di George HABBASH, insieme a comunisti turchi e terroristi

occidentali da istruttori bulgari e tedeschi delle DDR.

2. il KGB lo ha poi inserito come agente provocatore nei Lupi Grigi al fine

di innescare processi di guerra civile, che indebolissero la Turchia paese chiave

dell’Alleanza Atlantica.

3. il KGB organizza mediante BEKIR CELENK e un suo agente diplomatico

in servizio presso il consolato dell’URSS a Istanbul.

4. il KGB all’epoca nutriva forti timori nei confronti sia di Papa WOYTILA

che dell’Iman KHOMEINI, come potenziali eversivi dell’impero sovietico. E per

tale ragione quel Servizio lo spedì a Teheran, ove con l’ausilio di comunisti

iraniani e sotto la direzione del colonnello VLADIMIR KUZINSKI, fu organizzato

un attentato, poi fallito, contro l’Iman.

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5. il KGB aveva poi continuato il suo addestramento in Bulgaria finalizzato

all’operazione contro il Papa, sotto la guida del responsabile a Sofia di quel

Servizio, che era l’Addetto Militare dell’Ambasciata dell’URSS. Qui a Sofia

comunque l’uomo chiave del KGB non solo per la Bulgaria ma per l’intera area dei

Balcani, era BEKIR CELENK, amico personale di Tatiana, figlia del dittatore

JIVKOV nonchè giocatrice d’azzardo, che gli presentò, all’albergo Vitosha, il

Generale TERZIEV, responsabile della Kintex e capo di ANTONOV, VASSILEV

ed AIVAZOV, uomini anche di BEKIR CELENK nei traffici di droga, armi e

valuta.

6. i veri organizzatori dell’attentato al Papa erano stati “due capi dei Servizi

Segreti bulgari TOMOV e DONTCHEV, ancora processabili.”

7. egli, con la chiamata in correità di ANTONOV, VASSILEV e

AYVAZOV, aveva inteso inviare un chiaro messaggio a Mosca e Sofia. Messaggio

ben recepito, perchè, di lì a poco, fu compiuto il sequestro di Emanuela

ORLANDI. Ed egli cominciò a tacere e poi “rovinò” il processo. Egli peraltro ebbe

comunicazione diretta del KGB dal Giudice MARKOV che parlava perfettamente

il turco, e durante l’esecuzione di rogatoria a Rebibbia gli disse esplicitamente: “il

KGB ti comunica che ci saranno altri tentativi per la tua liberazione come il caso

ORLANDI. Devi tacere, altrimenti il cadavere di Emanuela verrà gettato in Piazza

San Pietro; poi tu ALI’ AGCA verrai ammazato”. E così egli fu indotto a

“rovinare” il processo, determinando l’assoluzione dei Bulgari.

Il sequestro di Emanuela ORLANDI - così chiude la lettera AGCA - fu

organizzato dal KGB e dai Servizi Bulgari, ed eseguito dai Lupi Grigi. Così come,

sempre il KGB, volle l’uccisione di Lech WALESA a Roma. (v. lettera a firma di

AGCA, settembre 1997)

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*******

Cap. 1.1.7. Considerazioni sulle dichiarazioni di AGCA.

AGCA, quindi, a distanza di quattordici anni dall’attentato e dopo aver

insistito per oltre un decennio sulla tesi del complotto e della pista bulgara, con una

presa di posizione che è assolutamente simile a quella di dieci anni prima, allorchè

nel maggio dell’85 dinanzi alla Corte di Assise simulò la follia e rese dichiarazioni

di carattere pseudoreligioso, improvvisamente rinnega qualsiasi ipotesi di progetto

di alto livello dell’attentato e di organizzazione nell’attuazione, tentando di

accreditare la tesi dell’attentato del singolo - “l’ho fatto tutto da solo e basta !” -

così ritrattando in blocco tutte le sue innumerevoli dichiarazioni sul mandato

bulgaro e di chiamata in correità dei Lupi Grigi.

AGCA, purtroppo, stima che le sue dichiarazioni da sole possano

determinare gli indirizzi e gli esiti del processo. Egli ha infatti ammesso che le sue

esternazioni di carattere messianico avevano il fine di “rovinare” il processo.

Esplicito in tal senso fu nell’udienza del 5 dicembre 85, allorchè affermò: “io credo

che questo processo dovrebbe essere finito il 27- 28 maggio dopo i miei discorsi,

quei famosi discorsi, questo processo dovrebbe essere finito”.

AGCA però, nonostante quei discorsi e quindi contraddicendosi

nuovamente, in quel processo chiamava in correità SEDAT SIRRI KADEM ed

OMER AY come suoi complici presenti nella Piazza di San Pietro nel corso

dell’esecuzione dell’attentato. Non solo, chiamava in causa

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anche quell’ARSLAN SAMET, di cui più a lungo in altra parte di questo

provvedimento. Addirittura riferiva, non di certo a lunga distanza da quelle

dichiarazioni della primavera, subito dopo l’estate a partire dall’ottobre sino a fine

anno e quindi a cavallo delle dichiarazioni del 5 dicembre, - salvo alcune

ritrattazioni e precisazioni nei primi mesi dell’86 - fatti e circostanze di grande

rilievo sulla organizzazione ed esecuzione dell’attentato.

Riferiva, come s’è detto, che la decisione operativa dell’attentato fu presa a

Sofia nel luglio 80. Che la base operativa per le riunioni del nucleo delegato, per la

formazione del commando e per la discussione delle ulteriori attività di esecuzione

fu a Vienna, nell’appartamento di Jheringgasse ove si incontravano quelli che sono

senza dubbio i più alti livelli dei Lupi Grigi per l’Europa, ovvero ABDULLAH

CHATLI, ORAL CELIK, MEHMET SENER, RAMAZAN SENGUN, YALCIN

OZBEY, e gli esecutori, cioè AGCA e SEDAT SIRRI KADEM. Che ORAL

CELIK ed AGCA erano stati incaricati di reperire altri due soggetti per la

formazione del commando operativo. Che di tale decisione era stata data

immediata notizia a CERDAR CELEBI e ad YALCIN OZBEY, confermando così

il grado di costoro. Che a seguito di tale incarico erano stati prescelti, a fine 80,

SEDAT SIRRI KADEM e OMER AY, questo secondo Lupo Grigio, il primo,

detto anche AKIF, no, ma semplice avventuriero - anche se risultano sue militanze

di sinistra; n.d.e. - Che al primo la scelta era stata comunicata da CELIK, al

secondo da OZBEY. Che il nucleo delegato aveva poi incaricato MAHMUT

INAN, coordinatore dei Lupi Grigi per la Svizzera, così come RAMAZAN

SENGUN lo era per l’Austria, di prendere in fitto un appartamento a Vaduz nel

Liechtenstein, come base per OMER AY. Che a RAMAZAN SENGUN era stato

affidato un ruolo nell’acquisto delle armi provenienti da

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Otto TINTNER. Che vi era stata, a brevissima distanza dall’operazione, il 9

maggio, una riunione a Milano, cui presero parte ORAL CELIK, OMER AY,

SEDAT SIRRI KADEM, OMER BAGCI, ARSLAN SAMET e OZDEMIR

VADHETTIN. Che a conoscenza del progetto, oltre tutti coloro che sono stati

sopra indicati, erano anche UENAL ERDAL, CELEBI MUSA, KOCIAK KASIM.

Quindi un insieme di dati di fatto sommamente importanti per la

ricostruzione dell’organigramma dei Lupi Grigi e dell’organizzazione

dell’attentato. E perciò una condotta processuale in palese contraddizione con le

deliranti affermazioni di volontà di distruzione del processo e dei risultati già

conseguiti, di cui alle dichiarazioni in dibattimento di maggio e dicembre di

quell’85, e quindi anteriori o contemporanee a quelle rese in istruzione sopra

specificate.

Ma in netta contraddizione, quelle affermazioni dibattimentali, anche con

quelle che continuerà a rendere nella presente istruzione. In particolare, quelle rese

nel 90, nel 93 e a gennaio 95. Qui egli continua a riferire della sua organizzazione,

in ispecie delle contromisure, che si sarebbero dovute prendere in caso di “caduta”,

ovvero di arresti, dei partecipi all’attentato, e cioè sequestri di ricatto di diplomatici

italiani. Di modalità del piano, come la data ultima, il 20 maggio, per compiere

l’attentato. Degli appoggi bulgari, per il ricetto dei membri del commando, la

fornitura delle armi, la fuga dopo l’esecuzione del delitto. E quindi continua ancora

per anni nell’adesione alle originarie tesi sulla organizzazione dell’attacco, sui

concorsi degli Ulkulu, sul mandato bulgaro.

E’ a luglio 95, a poco più di dieci anni da quel suo primo tentativo di

distruzione del processo, che inizia nuovamente lo smantellamento delle sue

precedenti ricostruzioni. In primo luogo con la storia di PAZIENZA e le sue visite

al carcere, in

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conseguenza, egli asserisce, della promessa formulata il 31 dicembre 81 dai Servizi

italiani. E con la storia di PAZIENZA e degli “amerikani” che lo accompagnano

egli mira direttamente alla distruzione del coinvolgimento bulgaro, mai esistito e

suggerito soltanto da CIA e compagni.

A settembre successivo, l’ulteriore colpo quello alla tesi

dell’organizzazione dell’attentato, e quindi gesto del singolo e conseguente

salvezza anche di tutto il livello turco, con un solo verbale e poche dichiarazioni

nuovamente pseudoreligiose, così come aveva fatto, attraverso la tesi

dell’“imbeccata” americana, con il livello bulgaro.

AGCA quindi conferma anche in questa istruzione, la sua totale

inaffidabilità. Inaffidabilità, se si può dire, aggravata dalla lettera del settembre 97,

in cui egli si propone per una nuova operazione, di ritrattazione delle ritrattazioni,

facendo così riemergere le primitive tesi. E proprio a fine di pervenire alla verità

storica, auspica la redazione di un libro e la celebrazione di un processo - ecco

riaffiorare mandati ed organizzazioni - contro mandanti ed organizzatori del delitto.

Ma condizione di questa operazione è la sua liberazione, per cui ci si potrebbe

rivolgere - non si comprende come e perchè -ad amici dei Servizi o a fratelli

dell’Opus Dei.

Ammaestrati da esperienza pluriennale, si può senza tema affermare che

su un personaggio del genere non si può costruire alcun processo. Egli sa; sa tutto

dell’organizzazione dell’attentato e ne ha dato prove nella sua ricostruzione sulle

attività dei Lupi Grigi e nell’ausilio dato “per intervalla” agli inquirenti; egli sa

poco, o malamente intuisce, del mandato alla sua organizzazione. Nessun

mandante di una operazione così grave, come l’attentato al Pontefice romano, sia

esso o non una entità statuale, si manifesta a viso aperto, anzi prende le massime

cautele e pone diaframmi impenetrabili a che si risalga

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alla committenza, come, più certamente non entra in contatto diretto con il killer

del commando esecutivo. Quel che egli sa, per perdite nella compartimentazione di

quel livello che ebbe contatti diretti con i committenti, o ha presunto malamente,

agli inquirenti riferisce, determinando così, là ove si vuole erigere solo sulle sue

dichiarazioni, sbandamenti e cadute delle inchieste.

_______________________

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CAPITOLO SECONDO

La posizione di ORAL CELIK

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Cap. 1.2.1. Le condotte di CELIK secondo l’Assise del marzo 86.

Tra gli assolti dalla sentenza emessa nel marzo 86 dalla Corte d’Assise nella

seconda inchiesta - e la sua assoluzione divenuta piena per la sopravvenuta

abolizione della formula dubitativa, passerà in giudicato - il personaggio di

maggior rilievo, tenutosi sempre latitante nelle istruzioni e nei conseguenti

dibattimenti, appariva sin dalle cognizioni dei primi anni 80 ORAL CELIK.

Costui aveva preso parte nel 79, secondo le investigazioni turche, al

tentativo di evasione di ATILLA SERPIL dal carcere militare di stato d’assedio di

Istanbul.

Aveva preso parte, nel novembre di quello stesso anno, al progetto di

evasione, questa riuscita, di AGCA dal carcere militare di Kartal Maltepe. E ciò

predisponendo con altri armi, denari per il recluso e la divisa militare che questi

avrebbe indossato all’atto della fuga dalla prigione; ed inviando a costui il denaro

fornito dall’alto esponente della mafia turca ABUZER UGURLU, necessario alla

corruzione delle guardie carcerarie.

Fu presente all’incontro avvenuto ad Istanbul, in località Besiktas, tra

UGURLU e AGCA, incontro nel quale furono consegnati a quest’ultimo 15.000

marchi tedeschi e un passaporto afghano intestato a tale HICKMET. Accompagnò

in taxi insieme ad HASSAN HUSEYN, AGCA ad Ankara, ove entrambi rimasero

fino al gennaio 80, ospiti, grazie all’interessamento di MEHMET KURSUN, di tali

MUSTAFA’ DIKICI e IHSAN BAIRAM. Andò a rilevare AGCA a Nevsehir,

dove si era rifugiato, e lo condusse nuovamente ad Ankara, ove lo fece ospitare

presso un proprio amico.

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Tra il 20 e il 30 di quel gennaio i due si erano recati ad Erzurum, per

preparare il trasferimento dell’evaso in Iran. Trasferimento che in effetti avvenne di

lì a poco. AGCA raggiunse così dapprima Baku, poi Tabriz, e di qui fece frequenti

viaggi a Teheran. Ma alla fine di aprile, costretto dall’inasprimento dei controlli

sugli stranieri deciso dal regime iraniano a seguito del fallito blitz statunitense per

liberare il personale della locale ambasciata sequestrato da KHOMEINI, rientrò in

Turchia, ausiliato da CELIK che lo aveva raggiunto in territorio iraniano per

aiutarlo a riattraversare la frontiera iraniano-turca.

Giunti - nei primi giorni del maggio - in territorio turco apprendevano dalla

radio che AGCA era stato condannato a morte per l’omicidio di ABDI IPEKCI.

Decidevano perciò, non potendo più ritornare in Iran, di raggiungere, sempre

insieme, Ankara. Di qui entrambi muovevano per la zona di Kadikoi, ove CELIK

disponeva di un’abitazione ove potersi riparare in attesa di un nuovo espatrio,

deciso da AGCA, ricercato per più condanne, anche a morte, dalle Autorità turche,

questa volta per la Bulgaria.

CELIK anche in questa occasione si adoprò per il compagno, portando una

sua foto ad ABUZER UGURLU, che la avrebbe usata per la formazione di un falso

passaporto. Con questo documento AGCA avrebbe attraversato la frontiera turco-

bulgara il 10 luglio ‘80 a Kapikule, ove era stato accompagnato da CELIK, che lo

aveva prelevato con una Murat e portato sino al posto di frontiera.

Queste le vicende di AGCA dall’evasione di Kartal Maltepe sino al

passaggio per Kapikule-Edirne in Bulgaria. Vicende tutte che vedono la presenza

attiva e l’ausilio determinante di ORAL CELIK, e che provano di certo un

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vincolo diverso dall’amicizia e cioè di comune militanza in organizzazione ben

determinata che dispone di mezzi finanziari e di armi, collegata con le mafie turca

e bulgara, che non abbandona assolutamente i suoi affiliati, anzi li destina verso

altri Paesi, ove potranno essere impiegati per altre operazioni.

*************

Cap. 1.2.2. Le condotte di CELIK secondo l’Assise del marzo 86

(segue).

Sul seguito in Europa e sulla preparazione all’attentato al Papa, AGCA,

com’è noto, ha reso innumerevoli dichiarazioni; più che sovente in contraddizione

nettissima le une con le altre. In particolare anche su CELIK e i suoi viaggi - di cui

comunque qui se ne deve tentare una ricostruzione - in Europa prima della

commissione dell’attentato al Papa.

Costui, a parte gli spostamenti attribuitigli da AGCA e da altri turchi, come

MEHMET SENER, RAMAZAN SENGUN e ABDULLAH CHATLI, anch’essi in

contraddizione tra loro - su cui pertanto non è facile giungere a certezze, salvo che

per la presenza in Austria nell’appartamento di Jheringgasse di Vienna, ove

risiedono nel periodo che precede l’attentato; in Svizzera tra Olten e Zurigo, nella

zona ove risiedono tutti i turchi coinvolti nel traffico internazionale di stupefacenti

di cui si dirà; e successivamente in Francia - fu indicato dall’AGCA come la

persona che avrebbe preso in consegna dal CELENK il danaro compenso per

l’attentato, versato dai bulgari o dai sovietici.

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Queste le versioni sulla condotta del CELIK come riassunte dalla Corte

d’Assise.

“In data 30.10.1982 AGCA ha asserito che il CELENK, quale corrispettivo

dell’attentato, avrebbe versato la somma di 3.000.000 di marchi tedeschi,

prelevando l’importo dalla “Union Bank of Bavaria” di Londra e facendola, quindi

accreditare su di un conto intestato a CELIK presso la “Bayerische Vereinsbank” di

Dusseldorf.

Nell’interrogatorio del 22.12.1982 ha affermato che il CELIK gli aveva

riferito di aver ricevuto tale importo in danaro contanti (marchi tedeschi)

personalmente da BEKIR CELENK, in Francoforte, negli ultimissimi giorni del

mese di aprile o nei primissimi giorni del mese di maggio 1981.

E ancora, in sede di confronto con il CELEBI, il 25.1.1983 AGCA ha

replicato: “io telefonavo a te, a Francoforte per avere notizia in merito e tu mi

dicevi di aver appreso dal CELENK che tutto il danaro pattuito era stato versato a

CELIK”.

Il CELIK addirittura lo avrebbe portato con sè a Roma, contenuto in una

valigetta, che poi avrebbe lasciato in deposito nell’abitazione di ANTONOV: erano

ben 2.000.000 di marchi tedeschi.

Ma tale asserzione non ha confermato nel corso dell’interrogatorio del

30.6.1983, sostenendo di averla fatta per rendersi più credibile e aggiungendo: “la

quasi totalità della somma è rimasta nelle mani di CELEBI a Francoforte, dato che

sia io che CELIK avevamo in lui molta fiducia; il CELIK... aveva con sè non più di

30.000 marchi tedeschi facenti parte della somma versata dal CELENK al

CELEBI.”

In un successivo confronto con il CELEBI, anzi, AGCA, non ha esitato a

contestargli: “il CELENK ha fatto pervenire a te

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a Francoforte la totalità della somma corrisposta per l’esecuzione per l’attentato al

Papa, con l’impegno da parte tua di consegnare 2.000.000 di marchi al CELIK e a

me dopo esserti trattenuto per conto tuo, 1.000.000 marchi.”

Ma, nuovamente, nei successivi interrogatori AGCA ha fatto macchina

indietro, prospettando l’antica versione; e così nell’interrogatorio del 10.10.1983 ha

dichiarato: “aggiungo che CELIK, quando qualche giorno prima dall’attentato al

Pontefice è venuto a Roma, aveva con sè in una valigia una parte del danaro

versato pari a circa 2.000.000 di marchi tedeschi”; “lui, cioè CELIK, mi ha detto

che aveva lasciato detta valigia, contenente denaro, in casa di BAYRAMIC. Ho

visto, però, che egli aveva con se’ una parte di tale danaro costituita da non più di

centomila marchi tedeschi” (interrogatorio AGCA, G.I. 12.10.1983).

E ancora: “il CELIK mi ha detto e mi ha assicurato che il danaro era

custodito nella casa di abitazione dove lui all’epoca alloggiava in Roma”; “intendo

fornire le seguenti precisazioni: quando io ho parlato al telefono dalla Spagna col

CELIK lui ha detto che il danaro era custodito nella casa romana di BAYRAMCI”.

Nell’interrogatorio del 2.2.1984 nuovamente AGCA ha mutato versione,

sostenendo testualmente: “nulla sono in grado di dire in termini di altrettanta

certezza sul modo come tale somma sia stata versata dal CELENK alla presenza di

entrambi (in Francoforte) che ne erano gli immediati destinatari”... ed ancora: “non

risponde in alcun modo al vero che il CELIK, venendo a Roma, in occasione

dell’attentato al Papa, abbia portato con sè 2.000.000 di marchi in contanti, e cioè i

due terzi della somma versata dal CELENK per detto attentato”. (v. interrogatorio

AGCA, G.I. 2.2.1984).

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Infine l’8.2.1984 AGCA ha ripreso la versione alternativa, sostenendo che il

CELIK era giunto in Italia portando con se solo le armi e non anche il danaro che

per ragioni di cautela e di sicurezza aveva preferito lasciare nelle mani di CELEBI,

“come da questi stesso suggeritogli”.(v. interrogatorio AGCA, G.I. 8.2.1984).

Ma la sarabanda di contrastanti dichiarazioni sul punto avrebbe avuto un

seguito nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Giova enunciarne alcune tra le più

significative.

Nell’udienza dell’11.6.1985 AGCA ha dichiarato di avere ricevuto nessuna

somma di danaro, che sarebbe stata incamerata per intero dai “lupi grigi” e

direttamente versata dal CELENK al CELEBI in Italia.(v. interrogatorio AGCA,

CdA 11.6.1985)

Successivamente, nell’udienza del 13.6.1985, AGCA ha affermato che la

somma dei 3.000.000 di marchi sarebbe stata suddivisa in 3 parti uguali,

aggiungendo che la sua quota avrebbe dovuto riceverla dal CELIK che ne era in

possesso.(v. interrogatorio AGCA, CdA 13.6.1985)

Nell’udienza del 17.6.1985 nuovamente AGCA è ritornato sulla versione del

trasporto a Roma della somma di 1.000.000 di marchi, da parte del CELIK che

l’avrebbe depositata in una casa di via Galiani.(v. interrogatorio AGCA, CdA

17.6.1985)

Più avanti AGCA, esponendo il piano di fuga, ha dichiarato che egli e il

CELIK sarebbero dovuti fuggire con un TIR Bulgaro portando con loro i soldi.(v.

interrogatorio AGCA, CdA 26.6.1985).

Dopo l’entrata in scena di AKIF, terzo presunto attentatore in P.zza S.Pietro,

identificato poi per SEDAT SIRRI KADEM, l’AGCA ha asserito che i 3.000.000

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di marchi

sarebbero stati suddivisi in 4 quote, rispettivamente per lui, CELIK, SEDAT SIRRI

KADEM e la Federazione bulgara di Francoforte per l’ammontare ciascuno di

750.000 marchi (v. interrogatorio AGCA, CdA 20.6.1985).

E così, dopo l’ingresso sulla scena dell’attentato di OMER AY, AGCA ha

dichiarato che, essendo quattro gli esecutori, a ciascuno sarebbe spettata la somma

di 500.OOOmila marchi.

Ed infine, altra versione egli ha fornito nell’udienza dell’1.7.1985: “i soldi

erano rimasti in Germania all’Organizzazione dei “Lupi Grigi”; mentre la mia

quota era custodita in Monaco di Baviera da OZBEY che l’aveva ricevuta da

CELIK.” (v. interrogatorio AGCA, CdA 1.7.1985).

***************

Cap. 1.2.3. ORAL CELIK nella “MAISKOLBEN”.

Anche dagli atti elvetici relativi alla “Maiskolben” emergeva un profilo di

rilievo del CELIK al riguardo del traffico internazionale di stupefacenti, oggetto di

quella indagine, ma ditale inchiesta nel relativo capitolo.

Un personaggio di tale livello non poteva perciò essere trascurato

dall’inquirente, che venuto a conoscenza tramite P.G. che esso si trovava in Francia

detenuto nelle carceri di quel Paese sotto le false generalità di ATES BEDRI,

proponeva ogni utile azione per ottenere nel più breve tempo possibile il suo

interrogatorio e quindi l’estradizione, in un primo momento temporanea per le più

urgenti attività d’istruzione, in un secondo definitiva per le necessità del processo

ed eventualmente per azioni su fatti diversi dall’attentato al

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Sommo Pontefice - su cui, come s’è detto, s’era già formato il giudicato - che già

emergevano dagli atti acquisiti (v. rapporto Digos di Roma, 17 dicembre 1993).

La Commissione Rogatoria verso l’A.G. francese, emessa il 5 maggio 90, fu

eseguita dal Giudice Istruttore di Versaglia - competente perché il soggetto era

detenuto nel carcere di Poissy - nel settembre successivo. In questo atto il predetto

ovviamente dette le generalità, sotto cui era stato condannato e veniva detenuto, e

cioè quelle di ATES BEDRI. Affermò di non conoscere alcuno di coloro, che come

s’è accertato erano i compagni più stretti di ORAL CELIK o comunque persone a

lui ben note, e cioè SEDAT SIRRI KADEM, ARSLAN SAMET, OMER AY,

YALCIN OZBEY, SENGUN RAMAZAN e più che ovviamente ORAL CELIK; di

conoscere, ma solo dalla stampa, ALI’ AGCA; di conoscere ABDULLAH

CHATLI, ma solo perché era entrato in contatto, per corrispondenza, con lui, che

era detenuto in altro carcere francese, del tutto casualmente giacchè il suo

compagno di cella e coimputato, certo DUNDAR ALI’, era suo amico. La moglie,

MERAT CHATLI, era andata a fargli visita e gli aveva portato del denaro e

biancheria.

Mostrando certificato di rifugiato - su cui egli stesso sottolinea che le

Autorità francesi prima di concederlo svolgono indagini - ricostruì poi il suo albero

genealogico, specificando i rami in vita e le attività di ciascuno, e di sé, gli studi, il

servizio militare, le attività esercitate, comprese quelle politiche e cioè la sua

militanza fino all”85 nel P.K.K. ovvero nel Partito Comunista Curdo.

Fece poi la mappa dei suoi viaggi nei diversi Paesi europei. In questi suoi

itinerari incluse, a dir il vero, solo quegli Stati ove sarebbe stato arrestato o fermato

e cioè Germania, Olanda e Francia, escludendo chiaramente Svizzera e Italia. E

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specificando anche di non aver mai lasciato la Turchia prima dell’85, anno a partire

dal quale cominciarono le sue sventure con le giustizie europee.

A contestazione del fatto che certo ATES BEDRI turco si trovava all’epoca

detenuto in Austria, rispose che poteva trattarsi di un omonimo, come poteva darsi

che fossero avvenuti degli errori nella sua registrazione, perché l’anagrafe di Pale,

ove egli era stato annotato, aveva subito, nel corso del tempo, due incendi (v.

interrogatorio G.I. Versaglia 15.9.90).

Al proposito dell’ATES BEDRI detenuto in Austria, indagini di P.G. presso

l’Interpol di Vienna accertavano che costui era nato a Malatya - lo stesso comune

di nascita di AGCA - nel 56 ed era stato condannato sotto altro nome turco a

diversi anni di reclusione per violazione della legge sugli stupefacenti. P.G.

riferiva, inoltre, su voci di stampa secondo cui il vero ATES BEDRI avrebbe

ceduto il proprio passaporto ad ORAL CELIK e che questi si sarebbe incontrato a

Vienna nel febbraio-marzo 81 con AGCA e i noti GRILLMAYER e TINTNER.

P.G. riferiva infine che il CELIK era ricercato nel paese d’origine per tredici

omicidi, sarebbe rimasto coinvolto in traffici di stupefacenti nell”84 in Svizzera, ed

era stato arrestato in Francia nell’88 (v. rapporto Interpol 16.9.91).

*****************

Cap. 1.2.4. L’estradizione temporanea del settembre 91.

Accertato che nell’ambito di breve tempo - al 29.11.91 - il sedicente ATES

BEDRI sarebbe stato scarcerato per espiazione di pena dalle Autorità francesi (v.

rapporto Interpol 19.9.91),

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questo Ufficio superando forti resistenze, otteneva l’“ATES BEDRI” in

estradizione temporanea, per nuovi interrogatori e principalmente ricognizioni e

confronti con AGCA e NADIM SENGUN, cittadino turco residente a Dùsseldorf

di professione interprete, che qualche anno prima (nell’86) aveva conosciuto in

Parigi, il vero ORAL CELIK (v. rapporto INTERPOL 16.9.91).

Avuta la presenza dell’“ATES BEDRI” nelle carceri romane, si procedeva

agli atti sopra specificati. Entrambe le ricognizioni personali sortivano effetto

positivo, nel senso che sia AGCA che SENGUN riconoscevano tra quattro persone,

nel sedicente ATES BEDRI, ORAL CELIK. Entrambi avevano descritto

dettagliatamente le fattezze fisiche di ORAL CELIK da essi conosciuto; entrambi

lo riconoscevano - AGCA, senza esitazione; SENGUN, per il complesso del viso e

del corpo (v. ricognizione AGCA 17.9.91, e ricognizione SENGUN 23.9.91).

Le ricognizioni venivano confermate nei successivi confronti, che però

videro posizioni totalmente negative dell’“ATES BEDRI”. Che con AGCA è

autoritario e sprezzante -“Menti, guardami bene, è una vergogna, che sta dicendo?

Parla in turco, non posso rimanere in posizione ridicola con questa persona, ha

dimenticato anche il turco”. Con SENGUN è completamente chiuso anche di fronte

alla contestazione precisa dell’incontro - in un albergo a Parigi nei pressi del

Ministero dell’Interno e in un caffè sull’altra riva della Senna -“Non voglio dare

risposte, sono sotto pressione psicologica, non ho relazione con questi fatti, non

conosco questa persona, non voglio dire dove mi trovassi nell’aprile-maggio 86, è

un fatto che non interessa.” (v. confronto con AGCA 17.9.91 e con SENGUN

23.9.91).

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ORAL CELIK era stato condannato - più oltre si parlerà del reato, e delle

vicende processuali relative - non solo a quella pena detentiva che sarebbe scaduta

il 29 novembre 91, ma anche alla pena pecuniaria di 2.164.000 franchi (pari,

all’epoca, a circa 256 milioni di lire), che, ove non fosse stato in grado di pagare,

sarebbe stata commutata in altri due anni di carcere, ragion per cui sarebbe stato

liberato il 29 novembre 93. (v. rapporto Interpol 19.9.91).

Ma in prossimità della prima scadenzà un avvocato svizzero, agli atti non

noto, procedeva tempestivamente al pagamento della multa, stranamente ridotta

(perché negli altri ordinamenti di regola non si fanno sconti e tanto meno di tale

entità) a circa un ventesimo ovvero a 100.000 franchi pari a circa 22 milioni di lire.

(v. rapporto Digos Roma, 27.11.91). Con buona pace di coloro che sostengono che

le persone coinvolte nei fatti a processo sono dei singoli, non collegati ad altri,

senza aiuti né protezioni.

Quello stesso 27 novembre 1991 questo Ufficio emetteva mandato di cattura

contro il CELIK per associazione finalizzata al traffico internazionale di

stupefacenti e per importazione e passaggio in transito nel territorio italiano di

Kg.3 di eroina.

**************

Cap. 1.2.5. Le richieste di estradizione definitiva.

A seguito della richiesta di ricerche e di arresto provvisorio per fini

estradizionali del nostro come nato ad Hekiman (Turchia) nel 59, alias ATES

BEDRI, nato ad Elazig (Turchia) il 12 febbraio 58, il Guardasigilli francese, il 29

novembre, si premurava di richiedere, non apparendo

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sufficiente l’esposizione dei fatti per stabilire l’esatta partecipazione di ORAL

CELIK, formale domanda di estradizione e gli elementi di identificazione che

permettessero di affermare che ATES BEDRI era ORAL CELIK (v. nota Ministero

del Ministro dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza francese,

29.11.91).

L’indomani questo Ufficio trasmetteva quanto richiesto e cioè copia del

mandato di cattura datato 27.11.91 a carico del CELIK, copia delle norme di legge

relative alle imputazioni, relazione di rito con copie, in allegato, delle ricognizioni

e dei confronti del 17 e 23 settembre precedenti, da cui emergevano rilevanti

elementi di identificazione dell’“ATES BEDRI” nel CELIK, e del rapporto della

Direzione Centrale della Polizia Giudiziaria francese, datato Parigi 8 ottobre 91,

redatto per effetto delle rogatorie di questo Ufficio - 29.10.90, 04,06 e 11 maggio

1991 - e su delega dell’Ufficio Istruzione di Versailles, rapporto diligentissimo e

più che preciso, che chiudeva ogni discussione sulla reale identità del sedicente

ATES BEDRI.

In effetti merita qui riportare integralmente alcune parti degli atti

sopramenzionati, sia al fine di sottolineare la validità sia della richiesta che delle

indagini che la precedettero, sia perché in esse sono riassunti precipuamente gli

elementi a carico del CELIK.

In primo luogo la parte motiva del mandato di cattura sugli indizi di

colpevolezza e sulle esigenze cautelarì:

“Poiché concorrono gravi indizi di colpevolezza contro il nominato ORAL CELIK

per i reati come sopra ascritti al medesimo:

A) Nel corso delle indagini per l’attentato al Papa sono emersi numerosi indizi

sulla esistenza di una organizzazione dedita

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al traffico internazionale di armi e droga, facente capo a BEKIR CELENK, che,

come si legge nella sentenza della la Corte d’Assise di Roma, “MEHMET ALI’

AGCA ha indicato come il trait d’union tra i bulgari e l’organizzazione terroristica

dei “Lupi Grigi”, colui che dapprima in Sofia e in seguito a Zurigo avrebbe trattato

con lui, il CELEBI e il CELIK l’esecuzione dell’attentato al Pontefice”. Nella

stessa sentenza si ricorda, quindi, che “già dal marzo del 1983 il Ministero di

Grazia e Giustizia aveva richiesto al Governo Bulgaro per il tramite del Ministero

degli Affari Esteri l’arresto provvisorio a fini estradizionali di BEKIR CELENK,

perché colpito da altro mandato di cattura emesso nei suoi confronti dal G.I. presso

il Tribunale di Trento il 22.12.1982, per i reati di associazione per delinquere,

violazione delle leggi sulle armi e stupefacenti”. Sempre nel medesimo

provvedimento si pone in rilievo, per quanto concerne il traffico di stupefacenti, il

ruolo di OMER MERSAN, strettamente collegato al CELENK, con particolare

riferimento ad un finanziamento di una spedizione di Kg.5,500 di eroina dalla

Turchia alla Germania l’11.5.1982. Risulta d’altronde dalle indagini citate che

l’organizzazione terroristica dei “Lupi Grigi”, di cui faceva parte anche ORAL

CELIK, era dedita al traffico internazionale di droga, come dimostrato in

particolare dagli avvenimenti successivi all’attentato al Papa, quali gli arresti per

traffico di stupefacenti di MEHMET SENER in Svizzera il 16.9.1984, di

ABDULLAH CHATLI in Francia il 24.10.1984 e di ORAL CELIK, alias ATES

BEDRI, al confine tra il Belgio e la Francia il 10.11.1986.

B) Tali circostanze risultano anche dagli atti acquisiti nel corso della rogatoria

internazionale in Svizzera relativi al procedimento penale contro i tre

summenzionati sempre per traffico di droga. Nell’ambito di questo procedimento

un notevole valore probatorio assumono le dichiarazioni rese da

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BILICEN NEVZAT che ha disegnato con rilevante dovizia di particolari

l’organigramma dell’associazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti,

in cui spicca il ruolo primario di ORAL CELIK, nei cui confronti l’Autorità

Giudiziaria Svizzera ha emesso mandato di cattura internazionale. Dalle stesse

dichiarazione accusatorie di BILICEN NEVZAT, che hanno trovato riscontro nelle

indagini di P.G. svolte in Svizzera, è emerso che il traffico di droga ha interessato

anche il territorio italiano con punti di vendita a Roma e a Napoli e con punti di

transito a Como, attraverso il valico di Chiasso. In particolare, BILICEN NEVZAT

ha dichiarato di essersi recato, nell’aprile 1984, a Como per aiutare SEREF BENLI

a trasportare 3 Kg. di eroina, nascosta in una ruota di scorta dall’Italia alla

Svizzera. All’operazione di transito ha indubbiamente concorso ORAL CELIK,

insieme ad ABDULLAH CHATLI, se è vero che, dopo aver nascosto l’eroina nella

sua abitazione, BILICEN NEVZAT ricevette numerose telefonate da CELIK e

CHATLI per la consegna della droga a KOCAL FUAT e successivamente

consegnò proprio nelle mani di ORAL CELIK 450 grammi circa di eroina, facente

parte di quella stessa partita portata in Svizzera dall’Italia.”

Dopo gli indizi le necessità di custodia.

“Poiché sussistono esigenze istruttorie cautelari:

A)in primo luogo sussistono inderogabili esigenze attinenti alle indagini in

relazione a concreti pericoli per l’acquisizione e la genuinità delle prove, in

considerazione principalmente delle capacità di minaccia e di violenza su

coimputati e testi dell’organizzazione in questione, ramificata in tutta Europa,

dotata di notevoli mezzi finanziari provento delle illecite attività gestite, di armi

e di esecutori, organizzazione nella

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quale il nostro conserva un ruolo eminente con competenze e responsabilità in

vaste aree del Continente;

B) in secondo luogo sussiste concreto pericolo di fuga, giacchè l’imputato non ha

fissa dimora, né interessi e rapporti leciti in alcun paese europeo, ha già dato

prova delle sue capacità di mantenersi in latitanza per lunghi periodi di tempo, e

deve sfuggire alle ricerche di più Stati, tra cui quello di origine che lo ha

condannato a pene massime per reati di eccezionale gravità;

C) infine sussiste concreto pericolo che egli, persistendo nel legame con

l’organizzazione, continui nelle condotte di criminalità organizzata e commetta

delitti della stessa specie di quelli per cui si procede.”

Quindi la relazione.

“1. L’Organizzazione terroristica turca dei “Lupi Grigi” - emanazione del

braccio armato del “Mili Hareket Partisi” - che ha organizzato più attentati in

Europa, è stata, secondo quanto provato nei procedimenti per il delitto di attentato

al Sommo Pontefice, commesso in Roma il 13 maggio 1981, l’esecutrice, di certo

per mano di uno dei suoi membri, MEHMET ALI’ AGCA, ditale reato.

ORAL CELIK, per quanto accertato nei procedimenti sopra menzionati e in

inchieste compiute dalle Autorità svizzere e turche, è membro di tale

Organizzazione ed è in rapporti con ABDULLAH CHATLI, MEHMET SENER e

il predetto AGCA. In particolare a conclusione dell’istruzione formale e di quella

dibattimentale e di conseguenti numerose pagine di motivazione, così concludeva

la Corte d’Assise di Roma, che aveva a giudizio la posizione di ORAL CELIK per

l’attentato al Pontefice: “... Un dato che la Corte ritiene non

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possa più formare oggetto di contestazione, nel senso che è da ritenersi sicuramente

provato, è costituito dallo stretto collegamento costante da molti anni tra

MEHMET ALI’ AGCA e l’ORAL CELIK.

Un legame non soltanto di contenuto affettivo, ma nutrito da attività

terroristiche svolte in comune e da una profonda comunanza di interessi tra i due. Il

dato risulta con sufficiente chiarezza dalle attività svolte in Turchia dai due amici,

dal consistente aiuto dato da ORAL CELIK a MEHMET ALI’ AGCA per

l’evasione dal carcere Kartal Maltepe nonché con la sottrazione alle ricerche

dell’Autorità e le varie peregrinazioni di MEHMET ALI’ AGCA.

Il punto si alimenta anche delle certezze acquisite dalla Corte attraverso il

testimoniale escusso circa incontri in Austria tra i due terroristi, aventi in comune

la latitanza rispetto ad accuse particolarmente gravi. Nella complessa vicenda degli

incontri in Austria rientra la fornitura dell’arma a MEHMET ALI’ AGCA,

fornitura avvenuta, senz’altro, tramite ABDULLAH CHATLI, ma indubbiamente

riferibile al gruppo del quale faceva parte ORAL CELIK. A monte, vale a dire, che

è la prova di un costante collegamento tra i due, di un aiuto continuo dato da

ORAL CELIK a MEHMET ALI’ AGCA, con la consapevolezza che MEHMET

ALI’ AGCA aveva da eseguire l’attentato al Pontefice.

Una consapevolezza della quale si è discusso avanti, e discendente, appunto,

come si è chiarito, dal nesso strettissimo dell’attentato con la ragione dell’evasione

di MEHMET ALI’ AGCA dal carcere. Tuttavia, se la qualifica di proprio “braccio

destro”, data più volte dall’attentatore ad ORAL CELIK, è costante nei richiami di

AGCA all’opera di ORAL CELIK, la Corte deve rilevare che non è stato possibile

evidenziare in altri elementi processuali un riscontro delle affermazioni di AGCA.

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Così, non è stato possibile accertare elementi obiettivi, dai quali risultasse

controllata l’affermazione di MEHMET ALI’ AGCA ed anche quella di JALCIN

OZBEY circa la presenza, peraltro dai due variamente spiegata, a Roma di ORAL

CELIK nel momento dell’attentato al Pontefice.

Non c’è, nonostante le indagini continuamente svolte anche dalla Corte

stessa, alcun riscontro oggettivo circa il passaggio di ORAL CELIK in Italia in

questo periodo. Un momento essenziale del coinvolgimento di ORAL CELIK

nell’attentato al Pontefice è costituito dal versamento del denaro come compenso

per l’attentato. Al riguardo, però, hanno avuto esito negativo tutte le indagini

dirette ad accertare se effettivamente ebbe luogo questo versamento. Le

dichiarazioni di AGCA su questo punto non hanno trovato alcun riscontro. Si tratta

di momenti fondamentali in ordine alla responsabilità del CELIK per i quali, attese

le premesse, sulla valenza probatoria del chiamante in correità è necessario che

l’accusa sia suffragata da elementi di riscontro...”.

In dispositivo della medesima sentenza, emessa il 29.3.1986, la Corte

assolveva il nominato per insufficienza di prove, formula dubitativa al tempo in

vigore.

L’Organizzazione aveva tra le sue fonti di finanziamento, quelle del traffico

internazionale di sostanze stupefacenti, in ispecie eroina. Tale assunto è provato da

quanto accertato dalla sentenza sopra menzionata e da diversi arresti in più Paesi

Europei dei suoi membri nella flagranza di tali delitti, come citato in motivazione

del mandato di cattura.

2. Per quanto concerne la partecipazione dell’imputato ORAL CELIK ai fatti

contestati, sta il più che preciso e dettagliato

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interrogatorio di BILICEN NEVZAT, cittadino turco, residente in Svizzera,

interrogatorio reso dinanzi alla Magistratura di quella Confederazione e da essa

riscontrato.

Secondo queste dichiarazioni il nominato avrebbe partecipato nella data

specificata in capo d’imputazione a un trasporto di Kg.3 di eroina dall’Italia, ov’era

conservata a Milano, in Svizzera in una ruota di scorta per Golf VW consegnatagli

dal concittadino SEREF BENLI, emissario dei concittadini KOKAL FUAT, ORAL

CELIK e ABDULLAH CHATLI, in un supermercato GS nei pressi di Como sulla

strada per Milano. Di questa partita di stupefacente disponevano ORAL CELK, più

volte menzionato negli interrogatori come “ATTILLA” proveniente dalla Francia,

e l’altro membro dei “Lupi Grigi”, ABDULLAH CHATLI.

Allorchè subito dopo il trasporto dall’Italia in Svizzera sorsero contrasti sulla

vendita dell’eroina, ORAL CELIK preannunciò un suo viaggio nel territorio

francese per avvicinarsi alla frontiera svizzera e risolvere ogni questione.

Successivamente ABDULLAH CHATLI trasmise l’ordine di consegnare parte

dell’eroina, perché venisse trasmessa ad ORAL CELIK in Francia. Dopo breve

tempo lo stesso ORAL CELIK raggiunse la Svizzera, ove incontrò coloro che

custodivano la droga ed erano incaricati della vendita, per chiederne conto. Infine,

sempre ORAL CELIK in quello stesso torno di tempo propose a BILICEN

NEVZAT di compiere ulteriori trasporti offrendogli 50.000 franchi.

In conclusione ORAL CELIK, soprannominato ATTILLA, con ogni

probabilità dimorante in Francia quanto meno nell’84, risulta uno dei capi o una

delle figure eminenti dell’Organizzazione, che con ABDULLAH CHATLI e

KOCAL FUAT organizza e dirige i movimenti dell’eroina in territorio

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europeo; dispone della partita di stupefacente in questione, chiedendo conto delle

ripartizioni e delle cessioni, risolvendo le questioni tra gli affidatari e gli incaricati

delle vendite, ordinando che parte di quel carico fosse inviato in Francia; progetta i

futuri traffici internazionali.

3. Per quanto concerne l’ultimo punto, quello riguardante gli elementi di

identificazione che permettono di affermare che ATES BEDRI sia ORAL CELIK,

appare difficile aggiungere al rapporto, di cartesiana chiarezza, redatto, in esito alle

indagini richieste dalle Autorità italiane, dalla Direzione Centrale della Polizia

Giudiziaria del Ministero dell’Interno francese, e agli atti di ricognizione e

confronto, compiuti da questo Giudice, che per motivi di celerità e completezza si

allegano in copia integrale.”

Infine proprio questo rapporto che si distingue per chiarezza e precisione, ed

oltre il quale nulla di più può sostenersi in favore dell’assunto che quel sedicente

ATES BEDRI in carcere in Francia, ritenuto membro del PKK e dotato di

documentazione di rifugiato, nessun altri sia che l’ORAL CELIK a lungo imputato

dell’attentato al Sommo Pontefice.

Questi i punti di maggior interesse della Relazione.

“Il 15 febbraio 1991, alcuni funzionari della 6^ divisione della Direzione

Centrale della Polizia Giudiziaria si portavano presso la Casa Mandamentale di

Poissy dove venivano ricevuti dal sig. VAUDAINE, direttore aggiunto, che

consegnava loro tutti i documenti di cui BEDRI ATES era in possesso al momento

del suo ingresso nella prigione, e cioè: una richiesta di permesso di soggiorno al

nome di BEDRI ATES, una patente

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di guida rilasciata allo stesso nome, una fotocopia del foglio matricolare militare;

nonché: le fotocopie di tutti i permessi di colloquio, la corrispondenza ricevuta o

inviata dalla persona in argomento, i numeri di telefono chiamati dal medesimo

dalla Casa Mandamentale di Poissy.

- Indagini sulla richiesta del permesso di soggiorno -

Dopo aver sequestrato e posto sotto sigillo con il n.UNO il detto documento,

veniva inviata una richiesta all’Ufficio Francese per la Protezione dei Rifugiati e

Apolidi di Fontenay-Sous-Bois (Essonne) (v. P.V. n.24/16).

Il predetto organismo comunicava il contenuto del dossier depositato da

BEDRI ATES e cioè: una carta d’identità turca al nome di BEDRI ATES (posto

sotto sigillo col n.TRE); una copia con la relativa traduzione in francese del

mandato d’arresto emesso nei confronti di BEDRI ATES.

Interpellate tramite l’O.I.P.C. - INTERPOL, le autorità turche indicavano

che la citata carta nazionale d’identità turca corrispondeva in realtà all’identità del

sig. NURTA YUKSEL nato nel 1959 a Ubuley in Turchia (v. P.V. n.24/35).

- Indagini esperite sulla patente di guida -

Dopo aver sequestrato e posto sotto sigillo con il n. DUE detta patente di

guida, uno scambio di corrispondenza con le autorità turche, sempre tramite

l’O.I.P.C., permetteva di accertare che il documento era un falso, in quanto la

Prefettura di Polizia di Ammasyya in Turchia non aveva mai rilasciato il citato

documento (v. P.V. n.24/35).

Nel corso della sua testimonianza, il sig. SEUDAT ERMIS, traduttore

ufficiale che era stato incaricato di procedere alla

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traduzione della patente per l’ottenimento di una patente francese, dichiarava che il

titolare del citato documento non era ATES ma una persona dal nome MUHITTIN

GUNDOGDU nato nel 1954 in Turchia (v. P.V. n. 24/14). Interpellato a sua volta,

quest’ultimo, membro dei “Lupi Grigi”, riconosceva in BEDRI ATES, ORAL

CELIK. Avendo ottenuto in Francia la sua patente di guida, negava decisamente di

avere richiesto la traduzione di una patente turca (v. P.V. n.24/37).

Precisava, inoltre, che un certo KURT HASSAN, che riconosceva in

fotografia nel nominato ABDULLAH CHATLI, gli aveva proposto per 1000

franchi francesi una falsa patente di guida turca (v. P.V. n.24/39).

- Indagini esperite sui permessi di colloquio -

Tre permessi di colloquio riguardanti BEDRI ATES erano stati depositati

presso la cancelleria della Casa Mandamentale di Poissy.

Il primo, al nome di Corinne Nicolas, che, in quanto avvocato, non era stata

sentita.

Gli altri due erano rilasciati al nome di MERAL AYYDOGAN moglie di

ABDULLAH CHATLI (membro dei “Lupi Grigi” ed amico intimo di ORAL

CELIK) e di sua figlia Gokcon CHATLI , abitanti in Boulevard Victor HUGO 44-

50 a Clichy (Hauts-de-Seine).

Interrogata, la signora Kate BURGER coniugata MIJIATOVIC nata l’8

maggio 1945 a Basmok (Jugoslavia), custode dell’immobile n.44-45 del Boulevard

Victor HUGO a Clichy (Hauts-de-Seine), dichiarava di ricordarsi perfettamente di

questi inquilini. Precisava che la famiglia CHATLI si faceva chiamare nei primi

tempi OZDEMIR. Il Sig. CHATLI, dopo essere stato arrestato dalla Polizia non era

più ritornato al

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domicilio. La sig.ra MIJIATOVIC riconosceva nella prima tavola fotografica la

sig.ra CHATLI (foto n.1) e BEDRI ATES (foto n.2) come l’uomo che andava a

trovare la sig.ra CHATLI e che era soprannominato “lo zio” dai figli di

quest’ultima (v. P.V. n.24/21).

- Indagini esperite sui numeri telefonici chiamati da BEDRI ATES dalla

Casa Mandamentale di Poissy. -

In base alle disposizioni dell’art.417 del Codice di Procedura penale e del

decreto 83/48 del 26 gennaio1983 che, nel quadro del mantenimento dei rapporti

con le proprie famiglie, autorizzano i detenuti ad effettuare telefonate dallo

stabilimento penitenziario. BEDRI ATES ha avuto accesso al posto telefonico di

quell’istituto, da dove ha composto cinque numeri telefonici: due in Francia e tre in

Turchia.

I due intestatari delle utenze telefoniche chiamate in Francia si

identificavano in:

- MUSTAPHA OZDEMIR - Boulevard Victor Hugo 44-50, CLICHY-

SURSEINE (Hauts-deSeine), alias usato da ABDULLAH CHATLI (v.

sopra).

- EFRAIM BARUT - nato il 14 dicembre 1955 in Turchia, rue Bisson 10

bis, Parigi (20^).

Quest’ultimo dichiarava che era stato su richiesta di suo zio OSMAN

BARUT abitante in Turchia, amico di una famiglia ATES, che egli si era messo in

contatto con BEDRI ATES. Confermava la chiamata di quest’ultimo al suo

negozio precisando che lo stesso gli aveva anche chiesto per lettera di trovargli un

avvocato.

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Per quanto riguarda i numeri chiamati in Turchia, si trattava:

- del domicilio e dell’attività commerciale gestita da MUSTAPHA CELIK ad

Antalya, e del domicilio di BEKIR CELIK, dunque dei due fratelli di ORAL

CELIK.

A tale proposito, occorre rilevare che il nominato MEHMET

BUKEBUDRAC, cittadino turco, ristretto con ATES a Poissy nel 1989, rivelava

che quest’ultimo gli aveva chiesto quale fosse la prassi da seguire per telefonare,

dal carcere, a suo fratello in Turchia (v. P.V. n.24/32).

- Indagini esperite sulla corrispondenza ricevuta o inviata da BEDRI ATES -

L’attenta sorveglianza sulla corrispondenza ricevuta o spedita da BEDRI

ATES non ha consentito di rilevare il minimo elemento che potesse far palesare

una identità diversa da quella rivendicata da quest’ultimo.

Tuttavia, il medesimo ha indirizzato il 18 gennaio 1991 ad Antalya (Turchia)

una lettera a MUALLA CATAK moglie di MUSTAPHA CELIK (v. P.V. n.24/40).

Inoltre, nello scambio di corrispondenza con EFRAIM BARUT, che non

conteneva nella sua quasi totalità che delle banalità, è emerso che ATES gli ha

fatto pervenire una fotocopia della sua carta di rifugiato, perché quegli confermasse

i suoi dati anagrafici ed una fotografia, perché lo identificasse formalmente nelle

schede fotografiche che la polizia gli avrebbe potuto sottoporre (v. P.V. n.24/48).

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- Audizione dei complici del traffico di stupefacenti arrestati in compagnia

di BEDRI ATES -

- HAYRETTIN DOGAN - nato il 7 ottobre 1951 a Cayiralan (Turchia) - ristretto

presso la Casa Mandamentale di Loos-Les Lille (Nord) - riconosceva che esisteva

una certa somiglianza tra le fotografie di BEDRI ATES e quelle di ORAL CELIK,

ma negava di conoscere quest’ultimo (v. P.V. n.24/26).

- ALI DUNDAR - nato il 10 dicembre 1955 a Malatya (Turchia) - ristretto presso

la Casa Mandamentale di Ensisheim (HautRhin) - affermava di conoscere ATES

fin dall’infanzia e lo identificava formalmente (v. P.V. n.24/28).

- SAHIM GUNER - nato il 14 giugno 1954 a Dogansehir (Turchia) - ristretto con

BEDRI ATES a Poissy (Yvelines) - per suo conto affermava di conoscerlo con

questo nome da molto tempo (v. P.V. n.24/47). Il tutto nel rapporto del Ministero

dell’Interno, Direzione Generale della Polizia Nazionale, Parigi 08.10.91.

Il 13 giugno 1991. BEDRI ATES veniva prelevato dalla Casa Mandamentale

di Poissy (Yvelines), per essere sentito nel locali della 6^ divisione presso la

Direzione Centrale della Polizia Giudiziaria.

Benchè fosse stato accertato che la carta d’identità in suo possesso

appartenesse al nominato NURDA YUKSEL, la persona in argomento persisteva

nel dichiarare di chiamarsi BEDRI ATES, specificando che questi documenti

d’identità gli erano stati mandati da suo padre, rimasto in Turchia.

Pur confermando di conoscere MUSTAPHA OZDEMIR, negava di aver

incontrato la signora CHATLI al n.44 di

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Boulevard Victor Hugo a Clichy. Avrebbe conosciuto CHAThI in prigione e sua

moglie in occasione di una visita dalla stessa effettuata presso la Casa

Mandamentale di Poissy.

Rifiutava di dare spiegazioni sulle istruzioni che aveva impartito a EFRAIM

BARUT in merito al riconoscimento fotografico ed alla conferma dei suoi dati

anagrafici. Negava di conoscere MUHITTIN GUNDOGDU. Si dichiarava

simpatizzante del P.K.K., respingendo fermamente qualsiasi appartenenza ai “Lupi

Grigi”.

Infine, rifiutava di fornire spiegazioni circa le chiamate telefoniche effettuate

dalla Mandamentale di Poissy alla famiglia CELIK in Turchia.” (v. Commissione

Rogatoria A.G. francese, 8 ottobre 1991).

***********

Cap. 1.2.6. Le vicende della richiesta di estradizione.

Il giorno immediatamente successivo alla scadenza della pena detentiva (lo

si ricordi, era il 29.11.91, una volta pagata la pena pecuniaria) pervenne

comunicazione da P.G. che le Autorità francesi avevano sospeso la liberazione del

CELIK in conseguenza della richiesta di estradizione formulata dalla Magistratura

elvetica (v. rapporto Digos Roma 30.11.91).

Magistratura elvetica che era stata informata da questo Ufficio dei risultati

conseguiti sulla identificazione del sedicente ATES BEDRI mediante l’invio di

funzionari di P.G. e delle copie di tutti gli atti istruttori necessari, e che ritenne la

nostra identificazione satisfattiva anche contro il mancato riconoscimento da parte

di BILICEN NEVZAT - uno dei

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principali collaboratori della Procura di Basilea nell’operazione Maiskolben -

certamente terrorizzato dal CELIK (v. rapporto Digos Roma 07.11.91).

Nel mese successivo si interessò alla persona del CELIK anche l’Interpol

tedesca in un fax a più indirizzi, che all’Interpol francese chiedeva tra l’altro se la

persona con identità ATES BEDRI fosse ancora in Francia; in caso affermativo in

quale data probabilmente sarebbe stato rimesso in libertà; in caso fosse stato già

liberato, in che data ciò fosse successo e dove si trovasse attualmente; quale

decisione fosse stata presa dalla competente Autorità Giudiziaria sulla vera identità

e stato civile di quella persona (v. rapporto Interpol Roma 20.12.91).

Ma prima del 30 novembre il Giudice Istruttore di Versaglia aveva emesso

nuovo mandato di cattura contro il CELIK, precisamente il 28.11.91 - e quindi il

giorno prima della nota del Ministro di Giustizia francese con la quale si

chiedevano a questa A.G. gli elementi per la identificazione del BEDRI in CELIK -

per tentato rilascio indebito di documenti rilasciati da Amministrazioni pubbliche

al fine di constatare un diritto, un’identità o una qualità, e uso ditali documenti, e

per aver fornito informazioni su un’identità immaginaria che avevano o avrebbero

provocato annotazioni erronee nel casellario giudiziale.

Questa emissione del provvedimento di cattura emergeva da una nota del

Ministro degli Affari Esteri francese, datata Parigi 9.3.92, con la quale si

chiedevano entro il termine di mesi tre informazioni supplementari, come da

richiesta della Corte d’Appello di Versaglia in sentenza 18.2.92 (v. nota Ministero

di Grazia e Giustizia 13.4.92).

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La Corte d’Appello francese, sulla base delle considerazioni che i

delitti imputati da questo Ufficio costituivano nell’ordinamento francese

“infrazioni delittuose” con prescrizione di tre anni, chiedeva se fossero

intervenuti atti interruttivi dall”86 e dall”84 (le date di commissione dei reati

ascritti) al 27.11.91.

Quest’Ufficio rispondeva che per entrambi i reati la prescrizione, per il

nostro ordinamento, era di anni 15 - e quindi nel caso sarebbe avvenuta nel

2001 - che pertanto non era necessario prendere in considerazione atti di

sospensione o di interruzione della prescrizione; che nel nostro ordinamento

era fatto divieto al Giudice di emettere provvedimenti di limitazione della

libertà della persona per reati estinti (v. nota G.I. per Ministero di Grazia e

Giustizia, 09.05.92).

Questo Ufficio elencava poi in successiva nota tutti gli atti compiuti

nel procedimento, che in virtù delle analogie tra l’ordinamento italiano e

quello francese avrebbero potuto integrare sospensione o interruzione della

prescrizione (v. nota G.I. per Ministero di Grazia e Giustizia 15.5.92).

Il 16 del giugno successivo la Chambre d’Accusation della Corte

d’Appello di Versaglia esprimeva parere favorevole all’estradizione del

CELIK verso l’Italia (v. nota Interpol Roma 20.6.92).

Nella motivazione di tale provvedimento, richiesto da questo G.I.,

emergeva che l’azione pubblica per entrambe le imputazioni italiane come

convertite nell’ordinamento francese, in questo ordinamento si sarebbe

prescritto in dieci anni e che di conseguenza l’insieme dei fatti ritenuti dalle

Autorità italiane non erano prescritti né per lo Stato richiedente né per quello

richiesto, e che corrispondevano, sul principio della doppia incriminazione,

alle esigenze della Convenzione europea (v.

provvedimento la Chambre d’Accusation della Corte d’Appello di Versaglia

16.6.92).

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*****************

Cap. 1.2.7. L’estradizione.

In attesa dell’estradizione si apprendeva che sul conto di CELIK

pendevano tre richieste, provenienti rispettivamente da Turchia,

Svizzera e Italia e che il criterio di decisione sarebbe stato fondato

sull’ordine di presentazione delle domande, sulla nazionalità

dell’interessato, sulla gravità e luogo del delitto. In considerazione del

fatto che l’estradando comunque godeva dello status di rifugiato politico

in Francia, l’estradizione sarebbe stata concessa sotto l’impegno formale

di non consegnare il soggetto alle Autorità turche (v. nota Italdipl.,

Parigi 26.6.92).

A distanza di oltre un anno si apprendeva da nota di P.G. che

ATES BEDRI aveva dichiarato al Giudice francese, nel corso

dell’espletamento di una rogatoria turca, di essere effettivamente ORAL

CELIK nato nel ‘59 ad Hakinam (Turchia) e che in data 30.8.93 era

stato condannato dal Tribunale di Versaglia a 30 mesi di reclusione per

le imputazioni di falso, ragion per cui decorrendo la pena dal 28.11.91,

sarebbe stato scarcerato con ogni probabilità entro la fine del ‘93 (v.

nota Interpol 7.9.93).

In effetti, come da comunicazione del Ministro degli Affari Esteri

francese, il 16 dicembre ‘93 ad h.13.30 il nostro veniva consegnato, al

posto di frontiera di Modane-Frejus, alle Autorità italiane. Veniva

quindi immediatamente portato a

Roma ed associato in quello stesso giorno, alle 21.30, al carcere di

Rebibbia. Subito dopo la consegna, in Bardonecchia, CELIK nominava

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come suo difensore l’avvocato Michele GENTILONI SILVERJ del foro

di Roma (v. nota Digos Roma 17.12.93).

Il 7 marzo successivo si acquisiva agli atti il decreto di

estradizione francese, datato 2.10.93 firmato dal Primo Ministro, con il

quale oltre ad accordare l’estradizione si autorizzava - ovviamente a

soddisfatta giustizia - a riestradare il CELIK verso la Confederazione

Elvetica. (v. nota Ministero di Grazia e Giustizia 07.03.94).

E così a distanza di oltre due anni dalla spedizione del carteggio

per l’estradizione e di oltre tre anni e sette mesi dalla prima rogatoria

avente ad oggetto CELIK si concludeva la vicenda, o le vicissitudini,

dei rapporti con la Francia per le sue consegne.

******************

Cap. 1.2.8. L’interrogatorio del 10 settembre 91.

Immediatamente dopo iniziava quella degli interrogatori del

predetto, che durò dal dicembre del 93 al settembre del 94.

Questa tornata di interrogatori prendeva le mosse ovviamente da

premesse completamente diverse da quelle degli atti del 91. Qui è già

avvenuta la condanna da parte del giudice francese per le falsità

sull’identità, qui è già avvenuta l’ammissione di essere ORAL CELIK.

Si ricordi che nell’interrogatorio di contestazione del 91 egli ebbe

a dichiarare di essere ATES BEDRI e di non aver nulla a che fare con le

imputazioni a suo carico del presente processo.

Sciorinò quindi la sua storia familiare, quella scolastica ed accademica,

quella militare, quella giudiziaria. E a tal riguardo precisò di essere stato

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arrestato solo due volte dai militari per la sua appartenenza al KAWA,

ovvero il Partito Democratico del Kurdistan all’epoca fuorilegge. (v.

interrogatorio “ATES BEDRI”, 10.09.91).

Un interrogatorio quindi totalmente mendace. La confessione

però della sua identità non lo trasforma assolutamente in persona

attendibile. A parte la fisiologica propensione della maggior parte dei

personaggi coinvolti in questa inchiesta, egli è sotto necessità od anche

sola opportunità di dare quest’oggi una versione, domani un’altra,

posdomani ritrattare, quindi chiudere ogni interesse ad interrogarlo,

giacchè anche di fronte a molteplici contestazioni dell’irragionevolezza

delle risposte, fornisce un’ultima versione, anch’essa del tutto

inattendibile in fatto e sul piano logico.

Appaiono nei suoi discorsi brandelli di verità, cioè circostanze di

fatti che tali possiamo definire, perché verificate, ma tali brandelli nella

massa di ritrattazioni, di dichiarazioni non riscontrate o sic et simpliciter

non credibili, quasi scompaiono e possono essere stimate, quanto ai

motivi che le determinarono, solo messaggi ad entità, ambienti e

persone, che di certo immediatamente le recepiscono, rispondono e

pilotano, con una messaggistica di risposte i cui canali sfuggono

all’inquirente, il successivo corso delle dichiarazioni e

conseguentemente dell’inchiesta.

*************

Cap. 1.2.9. L’interrogatorio del 20 dicembre 93.

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Nel primo interrogatorio ammette la sua militanza nei Lupi Grigi,

organizzazione di cui sostiene il valore. “I Lupi Grigi non sono ne’

contrabbandieri ne’ terroristi. C’è un complotto contro di noi...

Nell’organizzazione dei Lupi Grigi non ci sono terroristi. Sono racconti

per denigrare; non ci sono prove contro di noi. Siamo un’organizzazione

che ha fatto lotta politica in Turchia, in democrazia.”.

Afferma di essere stato nell’84 - cioè quando sarebbero avvenuti i

fatti ascrittigli - in Francia a Poitiers sotto il nome di YACHER OZ, e di

non aver usato altri nomi, ne’ quello vero, ne’ altri di copertura.

Introduce poi il discorso sul nome di ATES BEDRI: “Non ho

dichiarato di chiamarmi ATES BEDRI. Sono stato chiamato qui e di

fatto ho dato questo nome”. A contestazione che quel nome era stato

dato nella procedura francese, egli risponde: “I francesi sanno molte

cose. Per esempio sapevano che io ero ORAL CELIK. Lo sapevano

dall’inizio, da quando io ho preso la prima carta del processo francese.

In Francia sono stato dichiarato rifugiato politico. In Francia si da’

questa qualifica a tutti. Per me è stato preparato un dossier come

membro del P.K.K.. I francesi sapevano che io ero ORAL CELIK ed

essi hanno preparato un dossier come P.K.K.. I francesi mi hanno detto

di scegliere un nome ed io così ho dato questo nome. A quell’epoca ero

ricercato per la questione del Papa e così ho dato il nome di ATES

BEDRI. Ero ricercato pure dalla Turchia, ma non per reati di terrorismo.

Ero ricercato per l’omicidio di due insegnanti commesso a Malatya nel

‘78 o nel ‘79. Non ricordo il nome dei due insegnanti. Non ero ricercato

per l’omicidio del giornalista IPECKI ad Istanbul. Dopo che è venuta

fuori la storia che io ero accanto ad AGCA nell’attentato

al Papa, un giornalista turco, contrario a noi, ha inventato la storia,

secondo cui io avrei preso parte all’omicidio di IPECKI insieme ad

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AGCA. Questo giornalista si chiama UGUR MUMCU e lavora per

CUMHURIYET. Costui è stato ucciso in un attentato. Sono stato

accusato anche di aver aiutato AGCA al carcere di Kartal Maltepe. Per

questa accusa sono stato ricercato, ma mai arrestato, ne’ interrogato.

Non metto piede in Turchia dal 6° mese dell”80. Di sicuro dopo il 26

dicembre dell”80 non sono stato più in Turchia. Sono preciso, perché

me lo ricordo”. (v. interrogatorio ORAL CELIK, G.I. il 20.12.93).

Come si vede una serie di fatti veri e di fatti verosimili.

L’atteggiamento sembra cambiato e s’intravede una certa propensione

alla collaborazione per l’inchiesta.

Percorre poi la storia delle sue vicende giudiziarie, in Francia - le

condanne dell”86 e del ‘91 - in Svizzera e in Turchia.

Quindi le ammissioni sulle menzogne del ‘91. “Tutto quello che

ho dichiarato negli atti dinanzi alla S.V. non corrisponde a verità. Io non

ho firmato, erano frottole. Erano cose che dicevo come ATES BEDRI,

così come mi avevano accettato i francesi”.

Si riconosce infine nelle fotografie della scheda INTERPOL ed in

altra mostratagli e ammette di aver conosciuto AGCA solo nel ‘79,

sottolineando che costui non faceva parte della sua organizzazione (v.

interrogatorio CELIK, G.I. 20.12.93).

*******************

Cap. 1.2.10. L’interrogatorio del 12 gennaio 94.

Il successivo interrogatorio, il primo del ‘94, affronta argomenti

di maggior peso e l’imputato rivela circostanze preziose sui suoi

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spostamenti e le sue permanenze in diversi Stati europei.

Preliminarmente ritorna su un argomento cui sembra tenere in

particolar modo e cioè afferma di nuovo che AGCA non faceva parte

della sua organizzazione; organizzazione il cui nome esatto era

“Focolari idealisti”, gruppi giovanili, non illegali, registrati, che

venivano chiamati dalla sinistra “Lupi Grigi”. Ed “AGCA non c’entra

nulla con i Lupi Grigi”.

Ritorna anche sullo “strano” atteggiamento dei francesi. “Io

dicevo ai francesi che ero ORAL CELIK ed essi insistevano che ero

ATES BEDRI. Alla fine mi hanno chiesto di dimostrare che ero ORAL

CELIK. Allora tramite il mio avvocato mi faccio mandare il documento

- tessera liceale; n.d.e. - ... l’originale al Tribunale di Versailles... ciò è

accaduto nel ‘92.”

Anche al tempo dell’arresto dell’86 al confine franco-belga

identico comportamento delle Autorità francesi. “Ma i francesi già

sapevano che io ero ORAL CELIK; lo sapevano sin dal tempo che io

frequentavo la scuola in Francia. Al momento in cui sono stato arrestato

alla frontiera, tra la Francia e il Belgio nell”86, avevo un passaporto

intestato ad ATES BEDRI. Coloro che hanno proceduto al mio arresto

non so se sapessero della mia vera identità. Io so che c’è stata una

persona dall’Olanda che ha informato i francesi, riferendo che stava per

arrivare in Francia una macchina con tale ATILLA e dell’esplosivo. I

doganieri ci hanno fermato per sapere se c’era un certo ATILLA, hanno

perquisito la macchina e non hanno trovato nulla, nemmeno droga. Solo

dopo un’ora è passata un’altra macchina ove è stata trovata dell’eroina.

Io non conoscevo

assolutamente le persone di questa macchina. Sono stati i poliziotti

francesi a dirmi di continuare ad usare il nome di ATES BEDRI, perché

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con l’altro nome ero ricercato da Roma.

E qui aggiunge, precisando quanto già detto sullo status di

rifugiato politico: “ E’ stata sempre la Polizia - ovviamente, francese;

n.d.e. - a farmi avere la carta di rifugiato politico in quindici giorni.

Quindi le Autorità francesi sembrano conoscere sin dai tempi di

Poitiers la reale identità del nostro; ne sono a conoscenza al tempo

dell’arresto alla frontiera con il Belgio; mostrano di esserne a

conoscenza anche durante la procedura di Versaglia.

Ma vicenda analoga avviene anche in Svizzera. Si seguano le

parole di CELIK. “Devo dire che nell”82 in Svizzera un uomo mi disse:

“Tu sei ORAL CELIK, sei dei Lupi Grigi; non c’è posto per te nel

nostro Paese”. Io risposi che non me ne andavo perché non avevo soldi.

Egli mi dette allora dei soldi, invitandomi a lasciare la Svizzera. Anzi

mi ha accompagnato alla frontiera con la Francia. L’uomo del discorso

stava in un grande edificio di polizia a Zurigo. Qui hanno tutti i miei

documenti... Quando sono stato fermato in Svizzera e mi è stato fatto il

discorso che ho detto, avevo un passaporto intestato ad HARUN

CELIK... I poliziotti svizzeri sono venuti a casa mia... Quando fui

accompagnato alla frontiera con la Francia, mi fu restituito il passaporto

HARUN CELIK... Quando è venuta la Polizia svizzera da me, sapeva

che ero ORAL CELIK e volevano che andassi via. Non so perché mi

cercassero. Mi hanno chiesto in quale Paese volevo andare. Io dissi la

Francia ed essi mi accompagnarono alla frontiera con quel Paese”.

Null’altro vuole più dire; sul periodo di permanenza in quel

Paese, sul luogo di residenza, sul Paese dal quale si era

trasferito nella Confederazione, sulle persone che vi ha incontrato. Ed

anche in questi suoi rifiuti di rispondere, mostra di voler proteggere la

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rete dell’organizzazione che lo ha protetto e gli ha consentito di

muoversi nel Continente europeo, dimostrando che egli, al suo interno, è

un personaggio di rilievo. Constatazione rafforzata dal fatto che Polizie

e di certo anche Servizi di Svizzera e Francia - e probabilmente anche

Olanda, da cui era partita l’informativa sul viaggio dal Belgio alla

Francia - ben conoscono ORAL CELIK, lo seguono e lo fermano; gli

Svizzeri, che temono noie od incidenti sul proprio territorio, gli

impongono di abbandonarlo al più presto, elargendogli anche un’ingente

somma; i francesi, per finalità che allo stato sfuggono, invece lo

proteggono, concedendogli una falsa identità, e una falsa certificazione

di rifugiato politico. Un’operazione del genere non viene di certo

compiuta in pro di una figura, e dell’organizzazione di appartenenza, di

poco peso o di media levatura.

Francesi, che appaiono a conoscenza dell’inchiesta sull’attentato

al Papa e sui veri coinvolgimenti di persone ed organizzazioni.

E sui francesi, CELIK ritorna nel corso del presente

interrogatorio, e sempre più dettagliatamente. “Ho chiesto il permesso di

soggiorno in Francia nell’82 con un nome diverso da quello di HARUN

CELIK. Non volevo usare questo nome, perché gli Svizzeri lo

conoscevano. Ho usato il nome di YACHER OZ. All’epoca, come ho

detto, abitavo a Poitiers. Durante il soggiorno a Poitiers, quando stava

per finire il permesso di soggiorno, è venuto un uomo della Polizia che

mi ha invitato a rinnovare il soggiorno. Anche questa persona conosceva

che io ero ORAL CELIK. Costui mi consigliò però di cambiare il

permesso di soggiorno come studente (durata due

anni) in permesso come rifugiato politico, usando un altro nome, quello

cioè di ATES BEDRI, al posto di quello di YACHER OZ. Voglio

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precisare che hanno saputo che io mi chiamavo ORAL CELIK al

momento che mi hanno consigliato di prendere un permesso di rifugiato

politico. Prima non lo sapevano.

I francesi mi hanno fatto domande sull’attentato al Papa. Mi

hanno interrogato su questo attentato dopo aver saputo che ero ORAL

CELIK. Quelli che sono venuti da me si sono presentati come

appartenenti al Ministero di Giustizia, ma non ne sono sicuro. C’era un

certo Philippe, che è la stessa persona che ha accompagnato in Italia

ABDULLAH CHATLI, al processo per l’attentato al Papa. Sempre

queste persone mi hanno detto di mettermi d’accordo con i giornalisti

per raccontare qualcosa sul fatto del Papa. Questi giornalisti mi

avrebbero dato molti soldi. Ma io non ho accettato. L’interrogatorio

sull’attentato al Papa è avvenuto prima del decimo mese dell’85. Si

raccomandarono di non dire nulla ad altri. La prima volta che sono

venuti da me era nell’84. Mi invitarono presso di loro per fare

dichiarazioni, minacciandomi che altrimenti mi avrebbero consegnato

all’Italia. La prima volta sono venuti in quattro. Uno di loro era

Philippe. E’ vero, questo Philippe, si chiama LAVAL. Questo fatto può

collocarsi alla fine del corso, tra il quinto e il sesto mese dell’84;

l’incontro avvenne a Poitiers.

Ho fatto delle dichiarazioni, ma non li ho convinti. I francesi mi

dissero che loro sapevano che il Papa sarebbe stato colpito. Dissero che

essi erano i più veloci nel prendere informazioni. Mi hanno minacciato;

ho avuto paura e alla fine ho ammesso di essere ORAL CELIK. Ho così

fatto delle dichiarazioni. Ho detto che erano cose al di fuori di me.

All’epoca sapevo di essere ricercato dall’Italia su mandato di cattura

internazionale. Anche i francesi lo sapevano e sono venuti proprio per

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questo, cioè minacciandomi di estradizione. Mi dissero che rischiavo

una condanna in Italia. Mi hanno quindi consigliato di rimanere sotto il

falso nome di ATES BEDRI. Quelli che sono venuti, Philippe LAVAL,

che mi ha anche dato il numero di telefono, e gli altri tre, mi hanno

detto: “I miei superiori chiedono molto di te. Sanno che sei qui.

Vogliono che tu sia catturato. Vogliono che ti troviamo, ti estradiamo, o

ti portiamo davanti il Tribunale. Siamo in una brutta posizione, perché

stanno facendo pressione”.

Naturalmente mi chiedono informazioni in cambio. Mi hanno chiesto

dichiarazioni sull’attentato al Papa, perché credevano che io sapessi

molte cose su quel fatto. C’è stato un vero e proprio interrogatorio;

ricordo che hanno dattiloscritto le mie risposte. La prima volta questo

colloquio è avvenuto a casa mia a Poitiers, perché queste persone

avevano con se tutta l’attrezzatura per procedere all’interrogatorio con

la macchina da scrivere. Io non ho firmato però alcuna carta. Non l’ho

firmata, perché temevo che un giorno avrebbero potuto usarla contro di

me. Mi hanno fatto intendere che tra di loro c’era un vice-procuratore.

Ricordo, di aver portato la mia domanda per il certificato di rifugiato

politico presso l’Ufficio di questa persona a Parigi al Ministero della

Giustizia. Questa domanda era con l’identità di ATES BEDRI. Ricordo

che preparammo insieme la domanda di rifugiato politico con la

motivazione, usando una macchina che mancava dei caratteri turchi.

Nella motivazione si diceva che ero ricercato come appartenente al

P.K.K.. Ricordo che quando venne il procuratore turco gli fu consegnata

questa domanda. Con questo gruppo di persone ho avuto parecchi

contatti, otto, nove o dieci volte; la prima a Poitiers, le altre a Parigi.

Qui mi si invitava in un ufficio del Ministero di

Giustizia. Io telefonavo, prendevo appuntamento e raggiungevo

quell’ufficio, che era “più su dell’Opèra”. Il numero di telefono l’ho

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gettato. Era 54 o 48 o 42. Era un centralino e mi collegavo con un

interno, al quale rispondeva LAVAL o il suo vice. Gli altri sono usciti

dal circuito e ho conservato il contatto solo con LAVAL. A un certo

punto LAVAL mi ha detto che stava per lasciare l’incarico e mi ha

passato ad un’altra persona, di cui non ricordo il nome. L’ufficio si

trovava nell’edificio del Dipartimento di Sicurezza Nazionale. In questo

edificio fui portato anche, quando dopo essere stato arrestato, mi furono

prese le impronte digitali. Devo precisare che questa presa delle

impronte avvenne dopo che era venuto a Parigi il procuratore turco. In

precedenza già mi erano state prese le impronte in occasione del primo

arresto, quello dell”86. Ricordo che in questo palazzo c’erano delle

apparecchiature di polizia scientifica.

Questi contatti con LAVAL sono durati sino al 1986, cioè sino a

quando sono rientrato dall’Olanda e sono stato arrestato alla frontiera

franco-belga, a seguito della soffiata di cui ho già parlato. Ho anche

avuto contatti telefonici con LAVAL anche dall’Olanda. Dopo essere

entrato in carcere LAVAL mandò qualcuno, che mi disse che avrebbe

potuto far ridurre la pena. Questa persona che parlava in nome di

LAVAL diceva che essi erano già riusciti a far diminuire la pena ad

ABDULLAH CHATLI da sette anni a cinque. Anche ABDULLAH

CHATLI era detenuto in Francia sotto falso nome e cioè HASSAN

KURTOGLU. Ricordo che fu estradato in Italia. Prima che questi

venisse estradato in Italia, ebbi dei contatti con LAVAL, che mi disse

che sarebbe venuto un magistrato italiano ad interrogare CHATLI. Mi

disse che prima di consegnarlo, sarebbero venuti gli incartamenti

dall’Italia e che io avrei

dovuto parlargli e convincerlo ad andare a Roma. L’équipe di LAVAL,

anzi LAVAL mi disse che aveva già parlato con ABDULLAH

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CHATLI.

Ero a conoscenza della missione a Parigi del qui presente

Pubblico Ministero. Fui messo al corrente di ciò dall’équipe di LAVAL.

Quando LAVAL mi interrogò sull’attentato al Papa, io risposi a

delle domande in cui essi facevano delle esposizioni. Io dicevo se erano

vere o meno. Mi chiesero ad esempio se potevano essere stati i Bulgari a

fargli fare l’attentato. Io risposi che potrebbe essere stato, come non

esserlo.”

A contestazione del fatto che queste appaiono risposte vaghe e

che di certo non avrebbero comportato il suo rifiuto a firmare il verbale,

risponde: “si trattava di ipotesi. Mi chiesero se AGCA avesse avuto

rapporti con i Servizi tedeschi. Io risposi che se lo aveva detto lui,

poteva anche essere. Non dissero quali dei Servizi tedeschi poteva aver

rapporti con AGCA.

Mi chiesero se sapevo che AGCA era stato in Libano; mi chiesero

se era stato da TOSLIM TORE. TOSLIM TORE era un turco di origine

e si diceva che avesse dei campi di addestramento per i Palestinesi. Era

una persona che stava con Denis GERMIS e MAHIR CAYAN, terroristi

che costituirono il Dev-Sol, già impiccati in Turchia. Si diceva che

TOSLIM TORE fosse collegato con questi personaggi, che erano stati i

primi ad andare nei campi di addestramento in Libano.

Mi chiesero se AGCA fosse Idealista o di sinistra e quali fossero i

suoi legami con queste organizzazioni. Mi chiesero se aveva a che fare

con oppositori del Papa in Vaticano. Sulla posizione di AGCA dissi che

poteva aderire a qualsiasi organizzazione e che poteva essere da una

parte di chiunque avesse fatto terrorismo o violenza. Non mi dissero chi

erano gli

oppositori del Papa in Vaticano. A questa domanda risposi che non

avevo partecipato al fatto. Essi mi ribatterono di sapere che io avevo

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partecipato. Mi dissero: “Tu eri là; c’è la tua foto”. Mi fecero anche

vedere la foto. Aggiunsero però che ABDULLAH CHATLI mi stava

salvando, perché io curavo la sua famiglia. La foto che mi fecero vedere

rappresentava una persona presa di spalle. Risposi che non ero quella

persona e che non ero stato in Piazza San Pietro. Mi hanno chiesto se

sapevo altre cose sull’attentato e se sapevo di altre persone partecipi al

fatto.”.

La foto è quella notissima che mostra un giovane dalla folta

capigliatura nera che abbandona di corsa Piazza San Pietro.

Quindi appare aprirsi sui rapporti con ABDULLAH CHATLI,

MEHMET SENER, ALI’ AGCA ed altri sull’organizzazione dei

Focolari Idealisti, sugli appartamenti di Vienna, a Jheringgasse, e a

Zurigo.

“E’ vero che ABDULLAH CHATLI è stato un esponente dei

Focolari Idealisti in Turchia ed ha rivestito la carica di consigliere di

amministrazione di questa organizzazione. Ho conosciuto MUSAR

CEDAR CELEBI e sapevo che era Presidente delle Associazioni

Idealiste Turche in Europa. Non mi ricordo esattamente se ho

conosciuto RAMAZAN SENGUN. Io ne conosco uno. Ce n’è un altro,

che io non conosco e che dice di conoscermi; questo secondo è quello

che appartiene al Dev-Sol. Costui ha dirottato un aereo in Bulgaria per

conto del Dev-Sol. Fu condannato a cinque anni, che non ha mai

scontato. Il suo vero nome non è RAMAZAN SENGUN. Quelli che

mandarono queste persone appartengono ai Servizi di Sicurezza turchi.

Ho conosciuto MEHMET SENER. Lo conosco dal periodo della

Turchia. E’ vero che ho abitato nella casa di Jheringgasse 33 a Vienna,

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con MEHMET SENER ed ABDULLAH CHATLI. E’ vero che dopo un

certo tempo che noi tre abitavamo in detto appartamento, è venuto

MEHMET ALI’ AGCA. Non ricordo adesso dopo quanto tempo è

venuto AGCA. E’ venuto nel gennaio o nel febbraio del 1981. Non so

da dove venisse. Noi tre, io, CHATLI e SENER, frequentavamo un

corso di lingue. E’ venuto AGCA, che conosce meglio di tutti

MEHMET SENER. Costui però non voleva incontrarsi e parlare con lui,

perché AGCA aveva detto, nella questione dell’omicidio IPECKI, che

era stato SENER a fornirgli l’arma. La casa di Jheringgasse, secondo

accordi con il padrone di casa, non poteva ospitare più di tre persone ed

infatti eravamo solo noi tre celibi. Se fossimo stati di più, i vicini

sarebbero stati disturbati. AGCA è venuto un giorno, dormendo anche la

notte. Gli abbiamo poi detto che non poteva stare di più. A Vienna c’era

uno studente turco e cioè RAMAZAN SENGUN e gli abbiamo detto di

andare da lui. AGCA insisteva perché voleva restare con MEHMET

SENER, ma l’abbiamo convinto ad andarsene. AGCA si è risentito per

questo nostro comportamento - s’era rivolto anche a me - e se n’è

andato. Devo aggiungere che si è soprattutto risentito con me, perché

anch’io lo avevo “cacciato” educatamente. Non riesco a ricordare dove

abitava SENGUN, mi sembra al 180 di Vienna. Non ho più rivisto

AGCA. Per il suo risentimento può aver detto cose contro di me. Questa

è stata la prima e l’unica volta, da quando sono uscito dalla Turchia, che

io ho incontrato AGCA in Europa.

Non l’ho mai incontrato altrove; non in Svizzera, ne’ in Bulgaria.

Io non c’entro niente, ne’ da lontano ne’ da vicino, con la questione del

Papa. Io non potrei mai avere rapporti con i Bulgari. Quando è successo

l’attentato al Papa ero a Vienna. Ho

saputo del fatto dalla televisione. Non è vero che subito dopo questo

attentato io e CHATLI ci siamo allontanati da Vienna. Non è vero che

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siamo scappati. Non è vero che abbiamo acquistato a Vienna delle armi.

Non è vero che AGCA ci abbia chiesto di acquistare armi. AGCA

mischia noi con l’attentato al Papa, perché potrebbe aver avuto

indicazioni in tal senso dai suoi mandanti. Quelli che usano AGCA gli

danno indicazioni per cambiare i fatti di 90 gradi, per incolpare i

nazionalisti turchi.

Forse ho conosciuto a Vienna il Presidente delle Associazioni

Culturali Turche in Austria CHAT TURKOGLU. Alla fine del corso di

lingue, abbiamo lasciato Vienna per trasferirci a Zurigo. Il corso era

pubblico alla Goethe Schule. Si trattava di un corso di tedesco.

A Zurigo prendemmo un appartamento sempre noi tre. Non riesco

a ricordare il nome della strada. Qui io sono rimasto sino a quando non

sono stato avvicinato da quella persona di cui ho parlato prima...

Quando appresi dell’attentato dalla televisione nell’appartamento

di Jheringgasse a Vienna, c’erano con me ABDULLAH CHATLI e

MEHMET SENER. Non c’erano altre persone. Abbiamo lasciato

Vienna dopo circa un mese. Eravamo io e ABDULLAH CHATLI.

MEHMET SENER, che era rimasto a Jheringgasse, ci ha raggiunto a

Zurigo circa una settimana dopo. La televisione austriaca riferì anche il

nome dell’attentatore e mostrò la sua fotografia. Siamo rimasti stupiti.

Abbiamo lasciato la nostra abitazione ed abbiamo raggiunto la casa di

altri turchi.”

A questo punto si è contestato che secondo quanto dichiarato da

MEHMET SENER nel corso della rogatoria della 1^ Corte d’Assise di

Roma del 14.10.85, egli aveva saputo dell’attentato al Papa non a

Jheringgasse, ma mentre si trovava

a Zurigo e che da questa città e precisamente da un ostello della

gioventù, telefonò a CHATLI per chiedergli se anche lui aveva visto la

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televisione. SENER altresì aveva dichiarato, nella medesima occasione,

che in seguito aveva raggiunto CHATLI a Vienna in Jheringgasse, ma

non vi aveva trovato ORAL CELIK, e che poi insieme al solo CHATLI

era ripartito da Vienna per Zurigo. Si è contestato inoltre che sempre

SENER aveva dichiarato che una volta CELIK, alla presenza di due

connazionali, aveva ammesso di essere stato presente in Piazza San

Pietro al momento dell’attentato al Papa, aggiungendo di aver

partecipato senza però entrare nei particolari. Così quest’ultimo ha

risposto:

“E’ falso; MEHMET SENER dice il falso; quello che dico io è vero”.

Poi compie una ricostruzione dei movimenti di AGCA da Kartal

Maltepe sino a Jheringgasse, attraverso Iran e Bulgaria.

“Non è vero che io e CHATLI abbiamo aiutato AGCA a fuggire

dal carcere di Kartal Maltepe. In quel periodo CHATLI non era ad

Istanbul, bensì ad Ankara. Lo abbiamo aiutato dopo l’evasione. Dopo

l’evasione AGCA mi ha mandato una persona, che mi ha riferito che

egli era scappato dal carcere. Io non ho creduto a quanto costui mi

diceva, anche perché il fatto non era venuto sui giornali. Sono andato

nella casa della persona che era venuta ad avvisarmi e lì lo ho trovato.

Questa persona, che lo ospitava, è stata condannata per aver favorito

l’evasione e per averlo ospitato dopo, a cinque anni di prigione. Nella

casa di costui c’era un militare - forse un caporale o un sergente - che lo

aveva aiutato nell’evasione. AGCA aveva ingannato anche questa

persona. AGCA mi chiese di procurargli una casa dove rifugiarsi; chiese

rifugio anche per il

militare; se la prese con MEHMET SENER, perché lo aveva accusato

per l’omicidio IPECKI: disse che non avevano soldi. Io dissi ad AGCA

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che avevo un conoscente ad Yolova, nei dintorni di Istanbul sul mar di

Marmara, sulla strada per Bursa. Li invitai ad andar lì tutti e due; diedi

loro anche dei soldi, circa 6.000 lire turche. Il militare mi chiese di

comprargli degli abiti borghesi, perché doveva abbandonare la divisa.

Anche a lui ho dato dei soldi e quelli della casa gli andarono a comprare

un abito. CHATLI ha raggiunto i due, AGCA e il militare, a Yolova.

Dopo che i due dovettero lasciare questa casa, CHATLI li ospitò nella

sua casa ad Istanbul. Non sono stato io ad adoprarmi presso CHATLI;

fu AGCA a chiederglielo direttamente.

Non è vero che io abbia aiutato AGCA ad espatriare in Iran. Altre

persone per questo fatto sono state condannate in Turchia, sebbene

innocenti.

Non so se AGCA sia effettivamente espatriato in Iran. So solo

che ha raggiunto la città turca di Igdur al confine con l’Iran: che abbia

fatto dopo non lo so. Sono stato ricercato anch’io per questo fatto, ma il

delitto è prescritto. Quando i due sono andati a Yolova, AGCA ha

scritto a un giornale dicendo che era fuggito per colpire il Papa. Dopo

un paio di giorni ho letto questa lettera sui giornali. Telefono a Yolova,

ma i due s’erano già trasferiti a Bursa. In quel periodo c’era lo stato

d’assedio e le strade tra Yolova e Bursa erano presidiate. La polizia era

irrequieta e i militari non mandavano giù l’evasione e colui che era nella

casa di Yolova mi ha detto che la lettera era stata scritta per attirare

l’attenzione su Istanbul, allentando i controlli sulle strade dei dintorni.

Coloro che hanno sfruttato AGCA si sono basati su questa lettera per

costringerlo a fare

veramente l’attentato. “Tu hai scritto, gli dissero, tu puoi farlo

veramente.”.

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Dopo Bursa AGCA è andato ad Ankara e dalla capitale ha

raggiunto Igdir sul confine iraniano. Prima di raggiungere Igdir è

passato per Nevshir. Di questo fatto vengo a conoscenza da altre

persone. La metà di questi non sono dell’organizzazione. AGCA

all’epoca era popolare, aveva colpito IPECKI, era evaso da Kartal

Maltepe. La metà di queste persone erano avventurieri. Gli altri erano

quelli che lo sfruttavano. AGCA aveva molte relazioni; non solo con gli

Idealisti, ma anche con persone di sinistra, come persone che erano state

ospiti dell’Ostello della Repubblica, che raccoglie studenti della facoltà

di Scienze Politiche, dove ci sono molti elementi di sinistra. AGCA,

come lui stesso dice, è un terrorista; lavora per chi lo usa, per chi lo

carica. Non credo che lavori a pagamento. Comunque non è

un’Idealista. Si vantava di aver commesso il più grande omicidio della

Turchia e cioè l’attentato a IPECKI, e si lamentava perché non lo

rispettavano.

Sapevo che AGCA era andato successivamente in Bulgaria. C’è

una persona con cui AGCA è stato in galera; si chiama DOGAN di

nome, ma non ne ricordo il cognome. Quest’uomo era allora uscito dal

carcere e trova ad AGCA un passaporto indiano. A quel tempo per

l’India non c’era il visto per la Bulgaria. C’era una terza persona che era

stata con AGCA e DOGAN, e cioè ABUZER UGURLU. Tramite costui

mandano AGCA in Bulgaria. Non so se ABUZER UGURLU

appartenga alla mafia turca, ma così si dice. Anche ABUZER UGURLU

è stato condannato per l’affare IPECKI, ma non ne sono sicuro. Sono

certo però che non conosceva AGCA e quello che ha fatto per lui, lo ha

fatto per DOGAN. Dopo quattro, cinque mesi che AGCA aveva

raggiunto la Bulgaria - non so

però se è sempre rimasto in questo Paese - so che ABDULLAH

CHATLI ha portato ad AGCA un passaporto falso.

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Io non ho partecipato a questa consegna; ho saputo del fatto solo

successivamente. Non so a chi fosse intestato questo passaporto, ne’ se è

stato consegnato a Capicule.

Non ho mai incontrato AGCA in Bulgaria. Io so solo che èentrato

in questo Paese con un passaporto indiano. Non so quanto tempo AGCA

è rimasto in Bulgaria.

AGCA non ci ha mai parlato a Vienna di un suo progetto di

attentato; almeno non ne ha parlato alla mia presenza.

Ho conosciuto FERIDUN AKKUZZU. Non sapevo che usava il

falso nome di MEHMET INAN. L’ho conosciuto in Svizzera.

Ho sentito parlare di EYUP ERDEM, ma non l’ho mai

conosciuto.

Ho conosciuto ALI’ BATMAN: era vice presidente della

Federazione degli Idealisti Turchi in Europa.

Prendo atto che ABDULLAH CHATLI dichiara che AGCA

prima di arrivare a Vienna chiese di acquistare due armi, una delle quali

poi si portò via, mentre l’altra fu consegnata a me dallo stesso CHATLI.

Non ho visto l’arma; non mi è stata consegnata alcuna arma; non ho

avuto a che fare con nessuna arma.

Prendo atto che ABDULLAH CHATLI dichiara che AGCA fece

una telefonata il giorno prima dell’attentato alla casa di Vienna per dirci

che l’indomani sarebbe ritornato presso di noi. Non sapevo

assolutamente di questa telefonata.

Prendo atto che ABDULLAH CHATLI dichiara che io sarei in

grado di fornire informazioni su rapporti tra AGCA e la

mafia turca e che avrei raggiunto AGCA in Bulgaria. E’ falso; non

credo che AGCA avesse rapporti con la mafia turca.

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Prendo atto che ABDULLAH CHATLI dichiara che egli non

conosceva AGCA, che io sarei stato il tramite della loro conoscenza e

che fu proprio per favore a me, che lo avrebbe ospitato nella propria

abitazione e nei suoi viaggi. E’ falso.”. (v. interrogatorio CELIK, G.I.

12.1.94).

Interrogatorio inquietante quello sin qui scorso, in particolare per

le condotte di istituzioni di Paesi prossimi, al tempo in cui massimo era

l’interesse della nostra Giustizia sul personaggio ORAL CELIK.

Condotte di cui non si vedono moventi e fini certi e precisi, ma la cui

natura e finalità che si intravedono più che machiavelliche appaiono

sconvolgenti dei rapporti tra gli Stati e del comune senso di Giustizia.

Ma anche interessante per quei tentativi di ricostruzione dei fatti, che

CELIK comincia qui a fare, tentativi però che subiranno

immediatamente interruzione e in seguito anche altre gravissime

vicissitudini, di cui infra.

**********

Cap. 1.2.11. Gli interrogatori del 20 gennaio e 17 febbraio 94.

In effetti negli interrogatori del gennaio e del febbraio, l’imputato

sostanzialmente si rifiuta di rispondere. Si dichiara sì disposto a parlare

sull’attentato al Papa, ma solo dopo che si sarà risolto l’affare del traffico

di stupefacenti, ovvero solo dopo che sarà stato rimesso in libertà. Soltanto

su YALCIN OZBEY risponde affermando che le sue dichiarazioni sono già

state accertate per non veritiere e che comunque egli è uomo dei tedeschi e

per loro conto viene a far proposte. Infine chiede perdono di non poter

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parlare per il momento, (v. interrogatorio CELIK, GI. 20.01.94), lanciando

così un nuovo pesante messaggio, di certo chiarissimo per i destinatari e

dal quale scaturiranno le nuove mosse.

Al successivo incontro formalmente dichiara: “ Sono disposto a

collaborare sul fatto dell’attentato al Papa. Sono pronto ad offrire alla S.V.

la chiave per scoprire gli autori del delitto e i loro mandanti. Le persone

che non vogliono che si scopra la verità, hanno un piede in questo Palazzo

di Giustizia. Queste persone indirizzano il processo come vogliono. Io,

come la S.V. sa, non sono assolutamente coinvolto in queste vicende. Io

metterò la chiave della verità nelle mani di codesta Giustizia, porterò cioè

prove tangibili della verità quando avrò la libertà... Non conosco bulgari.

Per quanto ne so i bulgari non c’entrano niente con l’attentato al Papa. Non

ho prove di questo. E’ una mia supposizione.

Io potrei dare una fotografia ove sono rappresentate le persone che

erano con ALI’ AGCA in Piazza San Pietro. Io potrei dire che sono stato

avvicinato ed invitato ad accusare i bulgari in cambio di molto denaro. Non

era però negli accordi che io dovessi venire qua. Ripeto: non era negli

accordi. Le persone che mi invitavano ad accusare i bulgari, mi dicevano

che dovevo farlo, perché anche noi eravamo contro il comunismo. Sono

stato avvicinato prima di finire in carcere in Francia. Ripeto, parlerò dopo

che avrò avuto la libertà.”. (v. interrogatorio CELIK G.I. 17.02.94).

Ulteriori pesantissimi messaggi: “Coloro che si oppongono alla verità,

sono nel Palazzo di Giustizia, in questo Palazzo”. Quindi il tentativo, non

di poco conto, di estromettere

i bulgari dal complotto. Poi l’avvicinamento per accusare, in nome del

comune - egli è un Lupo Grigio e come tale lotta contro il comunismo -

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anticomunismo, la comunista Bulgaria. Avvicinamento che avviene in

Francia quando egli liberamente viveva in quel Paese. Infine la chiamata di

coloro con cui aveva stretto patti, perché quei patti di certo non

prevedevano che egli finisse in carcere e, di più, che fosse estradato in

Italia. Come ben si vede, egli mostra di essere a conoscenza di fatti di non

comune peso e di essere legato ad entità ed accordi - che di sicuro ne

elevano la statura - e si rivolge con tali sue dichiarazioni di certo ad

interlocutori ben diversi dall’ inquirente.

*****************

Cap. 1.2.12. L’interrogatorio del 9 marzo 94.

Nei successivi interrogatori, nonostante premesse negative,

determinate dall’apparizione sulla stampa di notizie concernenti le sue

dichiarazioni - ma a tal proposito ci si dovrebbe domandare come egli

potesse sperare che i suoi messaggi arrivassero a segno, visto che le parti

presenti come l’Ufficio sono vincolate alla totale segretezza sul contenuto

degli atti - il dialogo riprende quota e l’imputato torna a rispondere alle

domande.

In effetti, si deve ricordare, proprio in quel periodo apparve una serie

di articoli giornalistici, che riportavano interi, e tra i più interessanti, brani

degli interrogatori di CELIK, cosicchè questo Ufficio fu determinato a

rapporto alla Procura della Repubblica sulla fuga di notizie. (v. rapporto G.I.

22.4.94).

“Ripeto, io in questi fatti non c’entro niente. Malgrado questo, io sono

disposto ad aiutare l’inchiesta”. Così comincia l’interrogatorio del marzo che

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continua sulle armi di AGCA e su persona coinvolta nelle armi, che sarebbe

venuta a Roma a rendere dichiarazioni sull’attentato, dichiarazioni che non

sarebbero piaciute e perciò di seguito modificate, dichiarazioni sempre a

Roma remunerate. Meglio rileggere la parte iniziale del verbale di

quell’interrogatorio.

“Vi posso dare delle informazioni sulle armi. Era successo il fatto del

Papa; una persona ci ha chiamato per telefono a Jheringgasse dicendo:

“Avete sentito che è stato fatto un attentato al Papa da parte di MEHMET

ALI’ AGCA ?”. Questa persona ci ha detto che sarebbe venuta presso di noi.

A casa c’eravamo solo io ed ABDULLAH CHATLI. L’uomo è venuto, ci ha

chiamato da basso e noi siamo scesi. Con la persona che ci ha chiamato

c’erano altre due persone. Siamo saliti sulla macchina ed abbiamo raggiunto

l’ufficio di colui che ci ha chiamato. Questi era in uno stato emotivo

disturbato. Gli ho chiesto ragione di quello stato, mi ha risposto che egli era

stato il tramite per prendere l’arma di AGCA; però che egli non sapeva per

quale fine sarebbe stata usata. Aggiunse che la pistola era così a buon

mercato che ne aveva comprata una anche per lui. Disse anche che l’avrebbe

buttata. Uno dei due che stavano con lui disse di non buttarla e di darla

invece a lui. Altre persone profittarono dello stato emotivo di questa

persona. A questa persona prepararono anche una dichiarazione, e gliela

consegnarono. Sempre queste persone si misero in contatto con qualcuno a

Roma. La persona nello stato emotivo di cui ho detto è venuta poi a Roma, a

rendere quella dichiarazione che gli avevano preparato. Dà queste

dichiarazioni ad altra persona che era venuta a Roma prima di lui.

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Qui a Roma le dichiarazioni vengono modificate perché non

piacciono integralmente a colui che riceve la persona proveniente da Vienna.

Queste dichiarazioni vengono riferite ad un magistrato di Roma. Vengono

pagati dei soldi per queste dichiarazioni alla persona che le rende. Questa

persona telefona alla nostra casa a Vienna e ci racconta questo fatto.

La persona che ha preso le due pistole è la persona che è venuta a

Roma con le dichiarazioni.

Io conoscevo questa persona. Non so dire se fosse turco o meno. Non

intendo dire altro.

La prima telefonata questa persona l’ha fatta il giorno stesso

dell’attentato, dopo che la televisione aveva annunciato il fatto. Ha chiamato

dal suo ufficio. Questa persona ha reso dichiarazioni qui a Roma; ma sono

state dichiarazioni non palesi. Questa persona ci ha chiamato per telefono e

ci ha detto:

“E’ stato fatto un attentato al Papa, lo avete sentito?”. Noi abbiamo risposto

di si. Questa persona è venuta a Jheringgasse con la sua macchina. Aveva un

minibus Volkswagen. A bordo aveva con se’ altre due persone. Io e

ABDULLAH CHATLI siamo saliti anche noi sul minibus e siamo andati

tutti e cinque all’ufficio del primo, di colui che ci aveva chiamato. L’uomo

era agitato. Io gli ho chiesto la ragione del suo stato, ed egli ha detto: “Io

sono stato il tramite dell’acquisto dell’arma usata da AGCA per l’attentato”,

nel senso che egli aveva acquistato l’arma ed in seguito l’aveva consegnata

ad AGCA. Ci riferì, come ho già detto, che il prezzo era stato così a buon

mercato, che se ne era comprata anche una per lui. Aggiunse anche:

“Temo per questi acquisti. In qualsiasi momento potrebbe essere fatta una

perquisizione presso la mia casa. Butterò la

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pistola che ho preso per me”. Uno dei due che stavano con lui disse: “Dalla a

me, se la devi buttare. Me la conservo”. La prima persona aggiunse che non

sapeva che l’arma comprata per AGCA sarebbe servita per l’attentato al

Papa.

Questa persona non mi disse quanto tempo prima aveva comprato le

pistole. Questa persona è conosciuta qui. Potreste chiederlo a lui

direttamente. E’ sufficiente che il Giudice guardi negli atti e troverà il nome

di questa persona.

Altre persone, in un momento successivo, inducono la prima, quella

che era apparsa a noi agitata, ripetendoglielo più volte, a dare una versione

sui fatti a chi dovrà interrogarlo. Questa persona la manda a memoria, ed in

seguito quelle stesse persone che hanno preparato la versione, lo inviano a

Roma, dicendogli anche da chi si deve presentare. Questa persona, quando il

primo raggiunse Roma, gli chiede cosa deve dire. Il primo riferisce e la

persona che lo ascolta modifica la versione nel senso che elimina alcune

parti e ne aggiunge altre. Il primo dopo queste modifiche si presenta da

qualcuno che non so e rende le dichiarazioni. Dopo di ciò telefona a Vienna,

a persone che poi riferiranno a noi, raccontando tutto quello che era

successo. Dice anche di essere stato pagato per le sue dichiarazioni; di essere

stato pagato a Vienna.

Narrazione ingarbugliata, volutamente lacunosa, cui segue l’usuale

messaggistica.

“Le dichiarazioni ci sono, ma girano sotto il tavolo”. Queste

dichiarazioni cioè ci sono, ma non sono mai emerse.

“Non so quando questa persona è venuta a Roma e quando ha reso

questa dichiarazione. Ora non mi ricordo il nome di questa persona. Se esco,

me lo ricorderò. Questa è solo una parte del primo paragrafo. In questa storia

ci sono molti

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paragrafi. Ci sono molte altre persone evidenti. Ci sono molte cose da

riferire. Quello che ho detto è solo una piccolissima parte del paragrafo

dell’arma. Perché se parlo, di molte persone cadranno le maschere. Se parlo,

ficcherò il mio dito nei loro occhi. Queste persone sono state tutte implicate

nell’attentato. Io voglio solo dire che le dichiarazioni di AGCA non hanno

nessun valore. Se si cerca l’identità politica di AGCA, non c’è. Io questo

voglio dirvi.

Io vi dirò anche perché AGCA ha compiuto l’attentato. Ve lo

trascinerò qui per le orecchie. Non incolperò persone che non c’entrano con

l’attentato.

Se continuate in questo modo, coloro che sono realmente coinvolti

nell’attentato, scapperanno. Queste persone sono più grandi della S.V. ed

hanno grandi incarichi. Sono persone che possono indirizzare i fatti come

vogliono, ingannare l’opinione pubblica, entrare in questo Palazzo e

ricercare gli atti di codesto processo.

Quindi i primi particolari del complotto. “Tra queste persone ci sono

anche italiani, come di altri Paesi..., il ruolo di AGCA è quello di un

pupazzo; è solamente la persona che ha sparato. Le persone che hanno

partecipato al complotto sono le stesse che hanno fatto fare false

dichiarazioni ad AGCA e che poi gliele hanno fatte modificare... AGCA

conosce i nomi delle persone del complotto e le riconoscerà se gli saranno

mostrate. Egli non è stato usato inconsapevolmente... io so sicuramente di

tre persone che hanno partecipato al complotto. Ma possono essere anche di

più. Come ho saputo queste notizie lo dirò dopo. Io però non incolperò

persone di cui ho solo sentito dire... I mandanti sono tutti a livello

internazionale. Anche gli italiani che vi hanno partecipato rientrano in

questo livello internazionale... Io vi porterò la persona la persona italiana che

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fa parte del complotto e vedrete che non è un Lupo Grigio. I Lupi Grigi non

c’entrano nulla con l’attentato al Papa. AGCA non è assolutamente un Lupo

Grigio.. .Perché AGCA sia stato scelto come esecutore del complotto, il

Giudice dovrà chiederlo all’italiano che io vi porterò...”. Sul fatto aggiunge:

“Oltre AGCA c’era un’altra persona. Quella che si vede in fuga potrebbe

essere, ma non voglio dire di più. Quel giorno c’era a Pazza S.Pietro una

persona che conosco e che potrebbe rassomigliare a quella riprodotta in

fotografia mentre fugge.” (v. interrogatorio CELIK, G.I. 9.3.94).

******************

Cap. 1.2.13. Le relazioni sulla detenzione extracarceraria.

In conseguenza di tali interrogatori - per la precisione quelli del

20 gennaio, del 17 febbraio e del 9 marzo - questo Giudice disponeva

prosecuzione della custodia in struttura extracarceraria così motivando:

“ - Considerato che l’imputato manifesta l’intenzione di aprirsi a

collaborazione sull’organizzazione mandante dell’attentato per cui è

processo, subordinando la collaborazione all’uscita dalle strutture

carcerarie; - ritenuto che l’imputato ha reso dichiarazioni, in parte già

riscontrate, a carico, per fatti di eccezionale gravità, di organi di Stato

straniero, così come a carico di membri dell’organizzazione in cui ha

militato, organizzazione tuttora in vita, diffusa in più Paesi europei ed in

grado di colpire; dichiarazioni pertanto che potrebbero comportare

reazioni pericolose per la sua persona; - ritenuto che pertanto sussistono

gravi ed urgenti motivi di sicurezza.

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Nel corso di questa detenzione l’imputato ebbe colloqui del tutto

informali con personale di PG incaricato di provvedere al suo vitto ed

altri minimi bisogni. In esito a questi incontri quella PG si ritenne in

obbligo di riferire a questo Ufficio, i contenuti dei discorsi di CELIK,

afferendo essi ovviamente all’oggetto del processo. Sul valore di tali

relazioni e sulla capacità del CELIK di esprimersi in italiano si dirà più

oltre. Qui si riportano nelle parti di rilievo quelle relazioni, facendo

presente che gli argomenti in esse trattati hanno comunque fatto oggetto

di rituali interrogatori.

Nella prima, del giugno, così si riferisce: “Si trascrivono

sinteticamente i concetti assenti dal CELIK, espressi in stentato italiano.

-“Sono disposto a collaborare con la Giustizia italiana purchè in

condizioni diverse da quelle in cui attualmente mi trovo; non sono ne un

pentito ne’ un collaboratore di giustizia. Gli accordi presi in precedenza

con il Giudice erano quelli di essere sottoposto agli arresti domiciliari in

un appartamento che mi veniva fornito dagli inquirenti, senza il

controllo della Polizia, dove sia i miei amici che la mia donna avrebbero

potuto farmi visita, e da loro avrei saputo con estrema certezza tutti i

risvolti sull’attentato al Papa.”

-“Una volta sottoposto agli arresti domiciliari, e messo a

confronto con un magistrato “non politico” potrei raccontare per quanto

è di mia conoscenza indiretta, tutti i fatti circostanziati sull’attentato al

Papa ed al coinvolgimento di alcune persone facenti parte dei servizi

segreti svizzeri, francesi, tedeschi ed italiani”.

-“Sin da ragazzo, allorquando ancora giovane frequentavo gli

studi in un collegio, mi sono interessato della ideologia politica di destra

in contrapposizione a quello che era

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il potere che governava in Turchia. In seguito entrai a far parte dei

“Lupi Grigi”, i quali si sono sempre assunti la paternità degli attentati

che si sono susseguiti in Turchia. Per quanto riguarda l’omicidio del

giornalista turco “ABDI IPECKI”, so con certezza che a compierlo fu

ALI’ AGCA, e che successivamente i Lupi Grigi si assunsero la

paternità dell’attentato visto il grande clamore suscitato sull’opinione

pubblica. Di fatto, ALI’ AGCA non ha mai fatto parte dei Lupi Grigi”.

-“In seguito all’arresto di ALI’ AGCA, alcuni Lupi Grigi tra cui

un graduato delle guardie carcerarie, favorirono la fuga dello stesso dal

carcere militare di Maltepe (Istanbul), facendolo travestire da guardia

carceraria. Nell’occasione il mio compito fu quello di trovare un

appartamento sicuro dove poter far alloggiare il fuggiasco, unitamente

al graduato delle guardie carcerarie, cosa che feci. Dopo circa una

settimana. ALI’ AGCA con nuovi documenti falsi, fornitigli dal gruppo

dei Lupi Grigi, cominciò a girovagare per l’Europa. Alcuni anni dopo

venni a sapere da alcuni amici che ALI’ AGCA si era presentato come

un appartenente al gruppo dei Lupi Grigi, a BEKIR CELENK;

quest’ultimo, lo prese a calci e lo scaraventò fuori dalla porta”.

-“Sei mesi dopo l’attentato al Papa, un emissario dei servizi

segreti italiani, fu condotto da appartenenti ai servizi segreti svizzeri, in

un appartamento da me occupato, all’interno del quale mi fu proposto

un nuovo attentato al Papa, nella circostanza mi fu data una somma in

denaro, affinchè io potessi ben riflettere sul da farsi”.

-“Non sono stati i Lupi Grigi a sequestrare la cittadina del

Vaticano Emanuela ORLANDI, altrimenti lo avrei saputo fin dal primo

momento, però sono in grado di contattare alcuni miei amici che

sarebbero in grado di risolvere i “vostri problemi”.

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-“Sono in grado, qualora sottoposto agli arresti domiciliari, di

farvi sequestrare un carico di droga per complessive tre tonnellate”.(v.

relazione Digos, Roma 17.6.94).

Nella seconda, sempre di quel giugno, si riferisce che nel corso di

una traduzione CELIK aveva affermato che era convincimento, non

suffragato però da prove, che il “giudice politico” cui aveva fatto cenno

più volte nelle sue dichiarazioni, quale inquinatore di prove e collegato

ai servizi segreti italiani, era l’istruttore MARTELLA, già titolare della

seconda inchiesta e codelegato, nella prima parte, di questa terza.

CELIK aveva anche aggiunto di ritenere che nell’ambito di brevissimo

tempo dalle sue dichiarazioni, queste sarebbero state riferite al predetto

Giudice, sulla cui utenza telefonica, se tempestivamente intercettato,

sarebbe emerso il nome del Cardinale coinvolto nell’attentato al Papa.

(v. relazione Digos Roma, 23.06.94)

Nella terza relazione di quel mese si ragguaglia che il nostro

aveva indicato, sempre nel corso dei dialoghi informali con PG, che alla

preparazione dell’attentato avrebbero partecipato due Cardinali, che si

sarebbero incontrati con AGCA, nell’arco dei sei mesi precedenti il

delitto, durante pubbliche udienze del Pontefice. (v. relazione Digos

Roma, 29.06.94)

Nell’ultima di quel giugno si menzionano specificamente testuali

e spontanee ulteriori dichiarazioni del turco.

-“... sono certo dell’esistenza di una videoregistrazione nella

quale compaiono i due “cardinali” in compagnia di AGCA, in quanto fu

proprio l’AGCA a parlarmene mentre mi

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trovavo in Austria, questa registrazione, sarebbe servita in un momento

successivo per garantire la sua e la mia incolumità.

-“... se tra qualche anno il Papa attuale, Giovanni Paolo II°

dovesse morire, non si esclude la possibilità che il suo successore possa

essere proprio uno dei due “cardinali” che ne organizzò l’attentato.

-“... i nomi dei due “cardinali” sono riportati in una mia agenda

che al momento custodisce uno dei miei tre fratelli in Turchia; al

momento proprio non ricordo i loro nomi.

-“... fui espulso dall’Olanda in quanto mentre ero compartecipe ad

una festa nuziale di un mio connazionale, quattro partecipanti alla festa

esplosero in aria diversi colpi di arma da fuoco, probabilmente perché in

stato di ebbrezza. La Polizia che intervenne identificò le quattro persone

armate, e siccome io non ero in regola con i permessi di soggiorno fui

espulso.

-“... il Giudice MARTELLA è colui che in tutti questi anni ha

tenuto nascosta la verità sull’attentato al Papa, per fare questo è stato

sicuramente aiutato dai servizi segreti italiani e dai “due cardinali”.(v.

relazione Digos Roma, 30.6.94)

In quella del luglio successivo la PG trasmette memoriale redatto

dal detenuto nella sua lingua, memoriale che, tradotto in italiano, così

recita:

“Così come ho dichiarato anche in precedenza, in ciò consistono

le cose che io ho sentito ed ascoltato. Portando in Tribunale una politica

stabilita e tracciata fuori, hanno incaricato di ciò gli uomini che

rappresentano la legge. Queste, in ordine, sono così. AGCA, al ritorno

dalla Tunisia, ora non so se era doganiere, gendarme o poliziotto, ma

catturato viene poi consegnato agli uomini dell’Informativo. Non so in

quale città, ma queste cose forse ci sono nell’incartamento, tre o due

giorni

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sta con questi uomini che sono dell’Informativo italiano. Poi viene fatto

conoscere a due Cardinali. Questi inculcano e benedicono (n.d.t. termine

intuitivo, evidentemente popolare, che non trova posto nel vocabolario)

AGCA. Questa parte è lunga, questo l’ho dichiarato anche in

precedenza nelle mie dichiarazioni. Poi viene portato alle riunioni a

porte chiuse del Papa, sempre da questi uomini, e vengono ripresi su

nastro TV. C’è sempre gente che, assoldando uomini, si fa mettere la

firma a dichiarazioni inventate e si fa allusione di chiarimento dei fatti.

Uno di questi è TURKOGLU. Viene chiamato in Italia, viene

acquisita la dichiarazione e dati dei soldi, lo si stipendia. Gli si fanno in

Italia le pratiche di residenza, ecc.. Questo uomo viene per primo,

all’uomo dell’Informativo. Dato un miliardo di lire gli si danno anche

tremila lire di stipendio al mese. Poi firma la dichiarazione richiesta dal

Pubblico Ministero che fa le indagini. La sua motivazione è quella di

dare informazioni riguardo l’arma. Questo lo sa meglio il Pubblico

Ministero che fa le indagini.

EYUP ERDEM, per avere dato il mio indirizzo sempre agli

uomini dell’Informativo italiano e dell’Informativo svizzero, portato in

Italia, date duecentocinquantamila lire, lo si stipendia. Anche questo lo

sanno sempre il Pubblico Ministero e coloro che l’hanno fatto. Queste

sono persone che attualmente risiedono in Italia.

Ma le dichiarazioni di questi chissà perché sono smarrite. Anche

l’uomo che ha venduto le armi, che si chiama OTTO, viene sempre

ricompensato da coloro che fanno queste indagini, si danno dei soldi.

Queste cose sono tutte nascoste. Per quanto riguarda SAMET ASLAN,

sempre quelli che fanno le indagini vengono alle strette. Non hanno

nessuna prova nelle

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loro mani, gli uomini che hanno accusato (n.d.t.: sic!). “Ovviamente tra

questi ci sono anch’io ORAL CELIK”. Viene fatto dire ad AGCA: sì, si,

ORAL CELIK farà di nuovo l’attentato al Papa. Subito appresso

SAMET ASLAN, senza soldi e senza passaporto, per di più ricercato in

Turchia, uno che è conosciuto come “Lupi Grigi” nel suo passato, viene

scelto come vittima dalla persona che è stata citata nei verbali di

Tribunale in precedenza anche da YALCIN OZBAY e che èconosciuta

dall’Informativo tedesco come “lupo”. A un’arma viene fatto il numero

di serie dell’arma presa da OTTO. Dati soldi e passaporto gli si dice di

portare quest’arma in Olanda. Ovviamente sempre da parte della stessa

persona viene fatto bere alcolici e ubriacato. A causa dell’ubriachezza,

andando in treno vuole sparare, l’arma non funziona. Ovviamente “nella

data in cui hanno catturato questa persona come ORAL CELK io ho

saputo queste cose attraverso qualcuno”. Sempre dalla stessa persona,

dopo essere stato accomiatato, viene denunciato. Solo dopo essere stato

catturato capisce di essere stato fatto cadere in trappola, che perfino il

numero dall’arma era solo sul suo calcio, che perfino era stato inciso da

qualcuno inesperto, “che anzi aveva detto (n.d.t.: sic!) fattura di Laso”.

Se volete poi vi spiego quello che significa “fattura di Laso” (n.d.t. Sono

“Lasi” i membri della popolazione originaria del sud-est della costa del

Mar Nero).

Sempre quello che ho sentito dall’uomo dell’Informativo italiano

che venne in Svizzera: hanno detto che si davano da fare per far evadere

AGCA, che non avevano nessuna colpa nella sua cattura, che avevano

perfino depositato tre milioni di dollari sul conto 343 a nome di una

donna turca, “che questo molto probabilmente era forse nella Banca

Vaticana” e che erano stati depositati da parte di un monsignore.

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Mi hanno fatto delle proposte, i dettagli di queste li racconto in

futuro. Hanno immischiato il mio nome in questo fatto, “vero che il

Tribunale ha deciso che io sono innocente, ma “hanno immischiato il

mio nome in questo fatto per non aver confermato le cose che sono state

proposte da parte di coloro che hanno fatto commettere il fatto.

Io non sono immischiato in nessunissimo fatto, per di più farò

cadere la maschera di coloro che hanno cercato di perdere la verità da

13 anni nel suo paese.

Per favore non mi consideri come se calunniassi qualcuno, io non

sto calunniando nessuno, sto solo difendendo me stesso e le cose che ho

sentito.

Anzi voglio Giustizia, Giustizia.

Egregio Giudice, voglio che queste cose le sappia solo lei, perché

il fatto giunga alla luce, non voglio perfino che si sappia da un secondo

Giudice o Pubblico Ministero.

(Firma illeggibile)

(n.d.t. La traduzione in presenza di frequenti sgrammaticature ha

dovuto spesso rimediare al senso per un minimo di comprensione. Si

noti ad esempio la punteggiatura assolutamente singolare). (v. relazione

Digos 16.07.94)

******************

Cap. 1.2.14. L’interrogatorio del 23 giugno 94.

Dopo questo memoriale, CELIK muta nuovamente atteggiamento

e manifesta più volte alla P.G. il desiderio di esser posto agli arresti

domiciliari o di rientrare in struttura

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carceraria, e il proposito di non voler più rendere dichiarazioni all’ A.G..

Constatato perciò questo chiaro intento di non voler più

collaborare, l’Ufficio disponeva revoca dell’ordinanza 31 marzo

precedente .(v. ordinanza G.I., 02.09.94)

Nel corso della custodia extracarceraria erano anche continuati gli

interrogatori di questo G.I.. In essi l’imputato confermava la gran parte

dei fatti di cui aveva parlato durante quella custodia.

ORAL CELIK ritorna, in primo luogo, sulle istigazioni che

AGCA avrebbe ricevuto dall’interno del Vaticano.

-“Se si riuscisse ad ottenere dei video sulle riunioni di circa sei

mesi prima del fatto sino al giorno dell’attentato, riunioni in cui il Papa

parlava ed erano presenti sia colui che ha incitato AGCA che

quest’ultimo, si potrebbe provare che queste due persone erano vicine.

Io questi video non li ho visti; ma ne ho sentito parlare diversi anni fa in

Austria. Potrò essere più dettagliato in seguito. Le riunioni o le

conferenze chiuse in cui erano presenti il Papa e gli altri due di cui ho

parlato, erano due, in due differenti luoghi.

Non so che tipo di riunioni o conferenze fossero. Non so se

fossero al Vaticano o fuori; ma con grande probabilità erano al

Vaticano. In queste riunioni AGCA viene portato dal Cardinale che

istigò AGCA all’attentato. Non so dire se si trattasse delle riunioni della

domenica o quelle del mercoledì. Per il momento è importante acquisire

le cassette dei sei mesi precedenti l’attentato.

So che cosa significa il termine Cardinale. So che è un uomo di

religione. Non si tratta di un solo Cardinale. Si trattava

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di due Cardinali. Sono cose che ho sentito dire dodici anni fa. Uno di

questi due Cardinali diceva: “Dopo trecento anni è venuto un polacco e

ha messo sottosopra la politica del Vaticano”. L’altro aveva messo in

testa ad AGCA che centocinquant’anni prima era stato detto che sarebbe

venuto un soggetto sacro, e che egli era quella persona. Io avevo preso

appunti su queste notizie. Questi appunti sono nascosti fuori d’Italia. Io

potrei mandare qualcuno. Devo essere messo in grado di ricevere

persone.

Se si riuscisse ad acquisire le cassette di cui ho parlato, si

potrebbero vedere i Cardinali che sono vicini ad AGCA. Io non conosco

questi Cardinali, ma li potremmo riconoscere giacchè stanno vicino ad

AGCA. I luoghi dove si svolgevano queste riunioni erano, come ho

sentito dire, luoghi chiusi. Le occasioni sono state due. Sono stati ripresi

nelle primissime file, prima, massima seconda.”

Quando dico Cardinale che aveva incitato AGCA, volevo dire la

persona che gli ha fatto fare l’attentato. Oltre i Cardinali c’erano anche

altre persone, come persone appartenenti all’Informativo italiano.

Quando dico Informativo intendo Servizi d’informazione. Se riesco a

parlare con qualcuno potrò dire anche qual’è il mese in cui si sono

tenute le riunioni filmate. Si tratta di persone che possono venire in

Italia e che potrebbero andare a prendere i miei appunti.

Non ho mai avuto invito ad organizzare attentati ai danni del

Papa. Molte persone mi hanno invitato ad attribuire la responsabilità

dell’attentato eseguito ai bulgari. Sono qui per non aver accettato queste

proposte. Queste proposte mi venivano da italiani, che accompagnati da

elementi dei servizi svizzeri, sono venuti presso di me in Svizzera. Ciò

accadeva prima della celebrazione del secondo processo per l’attentato.

Gli italiani vennero con gli svizzeri, quando costoro si

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presentarono da me per chiedermi se fossi ORAL CELIK. Questo

quando non era mai venuto fuori il mio nome.

Posso dire i nomi di persone che conoscono sia i nomi dei

Cardinali che appaiono nelle fotografie, sia il nome di colui che appare

mentre fugge nella fotografia di Piazza San Pietro.

Questi nomi, le indagini che potrei fare o far fare, mi possono

essere dati con precisione da un mio amico, se gli fosse consentito di

farmi visita.

Non ricordo se mi fu detta quale fosse la nazionalità dei due

Cardinali. Mi fu invece detto l’incarico ricoperto da uno dei due. Non

intendo dire al momento quale fosse questo incarico, perché sono solo

ed ho paura di ritornare in carcere. Queste sono persone potenti e

pagano pure AGCA.

Se non sarò lasciato solo, potrò dire anche dove e quando AGCA

incontrò quelli dei servizi italiani prima dell’attentato. Devo dire che mi

fu detto che AGCA aveva subito prima dell’attentato un falso arresto,

sicuramente sotto altro nome.

Ripeto: sono solo. Dopo queste dichiarazioni forse anche la mia

famiglia non mi accetterà più. Le persone che hanno istigato AGCA

sono molte potenti e capaci di influire sui Servizi di Sicurezza europei.

Chiedo perciò che il Giudice mi protegga. Non sono un pentito ne’ un

collaboratore; non chiedo perciò il perdono della legge.

Il Cardinale che parlò ad AGCA della profezia di

centocinquant’anni prima sulla persona sacra, si definiva il messaggero

di questa profezia.

Ritorna poi sui magistrati, sui magistrati di cui teme, sui

magistrati che sono in questo Palazzo.

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“Io ho sempre paura del magistrato politico. In questo Palazzo ci

sono magistrati politici. Sono quelli che hanno fatto condannare subito

AGCA, perché avevano timore che parlasse. Così ho sentito dire. Ci

sono altri dettagli su questa vicenda, che mi riservo di dire.”.

Ritorna infine sulle proposte fattegli perché la responsabilità

dell’attentato venisse attribuita ai Bulgari. Dopo aver ribadito quanto

detto sopra, ripete specificando che quella proposta gli fu rivolta sia dal

personaggio del Servizio italiano che da coloro che appartenevano al

Servizio svizzero. (v. interrogatorio CELIK, G.I. 23.06.94)

*******************

Cap. 1.2.15. L’interrogatorio del 5 luglio 94.

Anche in quello seguente CELIK si sofferma, e a lungo, sui due

Cardinali di cui aveva parlato in quello di giugno. Il suo discorso è così

specifico che appare opportuno riportarlo integralmente.

“Voglio dire una cosa che ho ricordato e che ho definito come

chiave. AGCA quando è tornato dalla Tunisia - questo dato risulta dal

suo passaporto, sia il giorno che il luogo d’arrivo - in quel giorno viene

intercettato dalla Polizia e sottoposto a una specie d’arresto. Viene

quindi consegnato al Servizio informativo italiano, cioè a quel Servizio

che corrisponde in Turchia al MIT. Con loro resta due o tre giorni.

Viene interrogato, ovviamente, dagli uomini del Servizio. Alla fine di

questi due o tre giorni viene presentato ai due Cardinali

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di cui ho parlato la volta scorsa. Uno dei Cardinali lo benedice,

festeggiano il loro incontro e dopo circa quindici giorni - un mese, viene

portato alle udienze del Papa di cui ho parlato. La data d’ingresso in

Italia appare nel passaporto di AGCA, quello intestato a FARUK

OZGUN. Uno di questi Cardinali è un personaggio molto importante,

“fa Messa in nome proprio”.

L’interprete fa presente che l’imputato usa per “Messa” il termine

Hutbe che nella religione mussulmana è un richiamo al Califfo.

“Queste cose, in buona parte, mi sono state dette da AGCA; mi

sono state dette a Vienna, nella casa di Jheringgasse. Eravamo seduti in

un caffè; una persona che stava con noi gli disse che la sua affermazione

di voler attentare al Papa era apparsa anche sui giornali austriaci; questo

ovviamente è piaciuto ad AGCA e così egli ha narrato che aveva anche

partecipato alle “riunioni chiuse” con il Papa; ha anche detto che era

stato riconosciuto come una persona sacra. Certo quando egli ci

raccontò queste cose, ci sono sembrate strane. Dopo che se ne era

andata la terza persona che ho detto, io l’ho ripreso ed egli mi ha

raccontato tutte le altre circostanze che ho detto.

Queste cose, in verità, mi sono state dette anche da altre persone

in Svizzera. Mi sono state dette da due svizzeri e da un italiano. Gli

svizzeri erano della Polizia o dei Servizi, più probabilmente dei Servizi.

Mi hanno chiesto se AGCA mi avesse fatto dei nomi, dei nomi che essi

mi fecero. Si trattava di nomi di Cardinali o di altre persone importanti.

Mi chiesero se AGCA mi aveva parlato di queste persone e se io avessi

riferito questi nomi ad altre persone. Mi chiesero se ricordavo quei

nomi. Io risposi che me li ricordavo, che ne avevo parlato ad altre

persone e che mi ero appuntato quei nomi.

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Come ho detto con i due svizzeri c’era anche un italiano che era li

per conto di persona che era al servizio dei Cardinali già detti. Devo dire

che quando i tre parlavano delle persone sopra dette, mostravano un

particolare ossequio e le qualificavano con aggettivi di carattere

religioso. Io tutte queste cose posso provarle. Io ho delle prove scritte.

Queste prove sono in Turchia. Io posso trovarle e farle portare.

L’incontro è avvenuto presso la mia abitazione in Svizzera.

C’è stato un solo incontro. In seguito mi hanno portato ad una

Centrale della Polizia Svizzera. Qui mi hanno offerto 50.000 franchi e

mi hanno fatto delle proposte, su cui io dissi che avrei riflettuto. Il fatto

accadeva in Svizzera, nell’82. Non riesco a ricordare il mese. Stavo in

Svizzera da tre-quattro mesi. Provenivo dall’Austria. I tre mi hanno

chiesto se AGCA aveva citato dei nomi; mi hanno chiesto di tre nomi;

io ho detto di si; Al che essi mi hanno chiesto se ne avevo parlato con

altri. Alla mia risposta affermativa, mi hanno chiesto con chi. Io non ho

fatto però i nomi. Al momento non ricordo questi nomi. Quando me li

ricorderò li dirò.

Ho ricordato che uno dei Cardinali, cioè uno degli uomini di

Chiesa di cui ho parlato, era una persona interessata agli affari esteri.

Non so però se esiste un Ministero degli Esteri; era però una persona

che curava gli affari esteri o lavorava per gli Affari Esteri. Di queste

notizie la fonte è AGCA. Le persone che sono venute da me in Svizzera

mi hanno fatto, come ho detto, dei nomi. Io, non essendo pratico dei

nomi italiani, non so dire se si trattasse degli stessi nomi. Non posso

nemmeno dire se si trattasse di nomi italiani o di nomi di altra

nazionalità. Mi hanno poi detto cose che confermavano quelle dette da

AGCA.

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A domanda di quali fossero le cose confermate dai tre, risponde:

“per esempio mi hanno detto i nomi dei Cardinali, chiedendomi se me li

aveva riferiti AGCA. Questa era la domanda principale dei tre. Mi hanno

chiesto se AGCA mi aveva parlato dei Cardinali. Ripeto: io ho risposto di

sì. Al che essi mi hanno chiesto se io li avevo detti ad altri. Al che io ho

risposto di sì, ho risposto come detto sopra.

AD P.M., se egli avesse creduto alle parole di AGCA, -risponde:

“io non ci credetti. Io ritengo che gli Svizzeri e l’italiano, che sono venuti

presso di me a Zurigo, siano arrivati a me ed alla mia abitazione attraverso

dichiarazioni di AGCA. Dopo la visita dei tre, io ho ritenuto che quelle

fossero le persone che avevano istigato AGCA. Nonostante che io avessi

già detto a loro che avevo annotato quei nomi, solo dopo la loro visita, mi

annotai quei nominativi.

“AD Difesa, se AGCA avesse fatto i nomi e li avesse fatti

precedere dai titoli religiosi, che poi useranno i tre, risponde:

“quando questi nomi mi furono fatti da AGCA, costui fece

precedere i nomi solo dal titolo di Cardinale. Come ho detto erano due.

Quando questi stessi nomi mi furono fatti dai tre, cioè dai due svizzeri e

dall’italiano, costoro usarono, mi sembra, titoli di rispetto che si danno

agli uomini di Chiesa. Non so dire se usarono anche il titolo di Cardinale.

Comunque quando li porterò al Giudice, si potrà vedere che cosa

fossero...

“...AD. Difesa, se ricordi se tra i nomi fattigli ci fosse un nome

francese, risponde: Io non ricordo. Persino i francesi mi chiesero uno di

questi nomi. Io risposi che non sapevo. I francesi hanno citato uno dei

nomi che conoscevano anche gli svizzeri. I francesi usarono per questo

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nome il titolo di Cardinale. Mi chiesero se io avevo sentito mai nominare

il Cardinale “tale.”. (v. interrogatorio CELIK, G.I. 05.07.94)

*******************

Cap. 1.2.16. L’interrogatorio del 21 settembre 94.

Dopo il rientro nelle strutture carcerarie, il flusso delle

dichiarazioni non s’arresta. Continua principalmente sui

comportamenti di AGCA prima dell’attentato, sulle vicende

nell’abitazione di Zurigo, sui video e il conto corrente cui aveva già

accennato, su Emanuela ORLANDI.

Nel primo interrogatorio di settembre CELIK riferisce di

“deposizioni siglate e cifrate” rese in Italia, a Roma nell’“81, da più

turchi, e quindi secretate; tra cui TURKOGLU CHAT che ha parlato

sulle armi; EYUP ERDEM, sull’attentato; la persona che ha venduto

l’arma. Tutti costoro sono stati retribuiti con uno stipendio mensile ed

hanno ricevuto documenti d’identità nuovi. Tali documenti si

potrebbero reperire ed interpretare, se non sussistesse l’opposizione

dei Servizi.

Da’ poi una sua interpretazione della vicenda di ARSLAN

SAMET, attribuendone la responsabilità ai tedeschi e agli italiani, che

mettono in bocca ad AGCA la storia secondo cui CELIK sarebbe

riapparso ed avrebbe sparato al Papa. In effetti qualche giorno dopo

l’arresto di ARSLAN SAMET il Papa sarebbe giunto in Olanda.

Cosicchè tutta la stampa europea scrisse che “i Lupi Grigi” non

avevano messo a posto il cervello e ci riprovavano un’altra volta”.

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Quindi parla di un conto bancario presso la Santa Sede di tre

milioni di dollari, a nome di una cittadina turca. “So che

questi soldi sono stati depositati per ALI’ AGCA; so che il conto porta

il numero 343. La banca è quella vaticana. I soldi furono depositati

nell”82. Non so da chi furono depositati. Per saperlo dovrei uscire.

Tutte queste cose le ho annotate. Se potessi uscire, potrei trovare i

miei appunti. Non so se questi soldi siano stati ritirati.”. Di questo

conto seppe in Svizzera dall’uomo dei Servizi italiani. Che gli mostrò

anche un foglio ove ne era riportato il numero.

Delle video cassette riproducenti udienze pontificie aveva

saputo dallo stesso AGCA nel corso di un visita di costui alla sua

abitazione di Vienna. E qui rifà la storia della presentazione di AGCA

ai due ecclesiastici, che sono divenuti “Monseigneurs” secondo il

termine usato dallo stesso AGCA, che ne parlava come di persone

illuminate od anche Evliya, cioè persona di poco inferiore a Profeta,

che riesce a parlare con gli Angeli e con il Profeta. I Servizi italiani,

che avevano preso in carico ACCA dopo il suo arrivo dalla Tunisia, lo

avevano presentato ai due monsignori. Uno di costoro diceva che il

loro incontro era scritto e pregava su di lui, “per rendere sacro

l’incontro”; l’altro affermava che il Papa polacco aveva messo a

soqquadro tutto il Vaticano, “dopo trecento anni è giunto un Papa

polacco che ha cambiato la politica esistente nel Vaticano. Costui, che

pregava proprio perché non accettava il Papa polacco, pregava a nome

di Dio e proprio”.

Ma subito dopo aggiunge: “Io non ho creduto a quello che

diceva - AGCA; n.d.e. - e lo abbiamo anche cacciato di casa

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A lui, alla sua abitazione di Zurigo - così si conclude questo

interrogatorio - sarebbero giunti i Servizi italiani, che avevano

richiesto a quelli svizzeri notizie su di lui, MEHMET

SENER e ABDULLAH CHATLI. Gli svizzeri si rivolsero ad EYUP

ERDEM e così si trovò il suo indirizzo. “Vorrei solo dire che sono

stato individuato da più Polizie europee, come quella svizzera e quella

francese. Pur sapendo dove mi trovavo e cosa facevo, mi hanno

sempre bloccato nell’intento di recarmi in Italia. Questo lo sapevano

anche i Servizi italiani, ma tutti non volevano che io entrassi in Italia,

perché sapevano che avrei detto la verità che contrasta con quella detta

fino ad allora”. (v. interrogatorio CELIK, G.I. 21 .09.94)

**************

Cap. 1.2.17. L’interrogatorio del 22 settembre 94.

L’indomani, a precisa domanda su come fossero stati

individuati TURKOGLU, EYUP e TINTNER, egli risponde riferendo

fatti e circostanze di interesse: “Questi signori si sono rivolti ai Servizi

Segreti - non so a quali. Suppongo che questi Servizi abbiano portato a

qualcuno della Giustizia le loro deposizioni. Accanto alle loro

deposizioni sicuramente ci sono i nomi delle persone a cui hanno fatto

rivelazioni. So addirittura che la stessa persona sotto diversi nomi, ha

rilasciato più dichiarazioni. Non so però quale dei tre. La persona che

ha interrogato questo elemento è strano che non abbia riconosciuto la

stessa persona che gli si presentava sotto un diverso nome. La persona

che riceveva queste dichiarazioni dava una somma a chi faceva

dichiarazioni. Ad ambo le parti, sia chi riceveva le dichiarazioni sia

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chi le faceva, faceva comodo questo gioco. Ho saputo che queste

persone fino a nove mesi fa continuavano a vivere in Italia, ricevendo

un compenso di tre milioni al mese,

sempre perché si erano resi disponibili ad aiutare la Giustizia nella

ricerca degli autori dell’attentato al Papa.

Per quello che ho saputo hanno fatto delle dichiarazioni in Italia.

TURKOGLU prima delle dichiarazioni viveva in Austria; EYUP in

Svizzera; TINTNER, sempre per sentito dire, in Austria. TINTNER fa

parte del Servizio segreto europeo. Prima dell’attentato un appartenente

ai Servizi segreti diede ad AGCA l’indirizzo di Otto TINTNER,

dicendo che gli avrebbe fornito l’arma necessaria. Questo discorso

avvenne in Italia e il personaggio apparteneva ai Servizi italiani. Questa

stessa persona, mentre AGCA è in viaggio, telefona ad Otto TINTNER

avvisandolo di questo turco e dicendogli di fornirgli le armi necessarie.

Subito dopo l’attentato, questo stesso personaggio, temendo che Otto

TINTNER possa essere individuato, lo chiama per telefono dicendogli

che la situazione sta per divenire pericolosa. TINTNER raggiunge

Roma e con i Servizi segreti stabiliscono il tipo di deposizione da fargli

fare. Otto TINTNER è ovviamente un uomo dei Servizi segreti. Ha

fatto parte anche, ho saputo, della Gestapo. I Servizi sono tutti collegati

l’uno con l’altro, in particolare quello italiano, quello austriaco, quello

tedesco. Si sa che queste persone, già appartenenti alla Gestapo, erano

ritenuti elementi importanti per i Servizi segreti.

Secondo le mie supposizioni Otto TINTNER dovrebbe essere

giunto in Italia tra i quindici e i trenta giorni dopo l’attentato.

TURKOGLU è possibile che sia giunto tre mesi dopo. EYUP otto mesi

dopo. Otto TINTNER è la stessa persona che ha dato le armi ad ALI’

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AGCA e che ha rilasciato le sue deposizioni a proposito di queste armi.

So che gli sono stati dati per l’arma mille scellini, che non

corrispondono al prezzo reale

dell’arma. EYUP ERDEM rivelò invece il mio indirizzo in Svizzera.

EYUP ERDEM è la persona alla quale telefonò AGCA lo stesso giorno

dell’attentato nella mattinata. I Servizi segreti sapevano della

telefonata. ALI’ AGCA stava in un albergo e i Servizi Segreti sono

risaliti ad EYUP ERDEM dalla telefonata che egli fece. Questa

telefonata era stata fatta in Svizzera. I Servizi sapevano della telefonata

perché erano in contatto con ALI’ AGCA.

Devo precisare: la mattina dell’attentato fece tre telefonate

dall’albergo in cui soggiornava. Egli era controllato dai Servizi

Segreti. Fece una telefonata in Germania, una seconda in Austria, la

terza in Svizzera. I numeri telefonici dell’Austria e della Germania

corrispondevano a due abitazioni, mentre il terzo numero, quello della

Svizzera, corrispondeva ad un’azienda di costruzioni ove lavoravano

più di cento persone. I Servizi segreti volevano sapere a chi aveva

telefonato; sapere delle prime fu più semplice perché erano abitazioni,

mentre per la terza la ricerca apparve difficile.

Chiesero ad AGCA a chi avesse telefonato in Svizzera. Questo

glielo hanno chiesto quando era in prigione. AGCA rispose che aveva

chiamato EYUP ERDEM. A questo punto i Servizi segreti

contattarono EYUP ERDEM, presumendo che egli avrebbe potuto

fornire utili notizie sull’attentato. I Servizi segreti in realtà lo

contattarono, affinchè egli non divulgasse notizie sull’attentato,

proprio perché essi avevano progettato l’attentato. I Servizi, temendo

che AGCA avesse fatto ulteriori dichiarazioni ad EYUP ERDEM,

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fanno venire EYUP ERDEM in Italia e gli danno una somma di Lire

250.000.000, un’occupazione, un mensile di Lire 3.000.000 ed un

passaporto falso.

Non so quando EYUP ERDEM rivelò il mio indirizzo di Zurigo ai

Servizi. Essi però si presentarono alla mia abitazione in un giorno degli

ultimi mesi del 1981. Io non sono mai stato fermato dalla Polizia

svizzera. Conosco le dichiarazioni della Polizia svizzera in merito ad un

mio fermo in quel Paese, ma esse sono false. I Servizi segreti italiani e

svizzeri giunsero a casa mia e discutemmo e ci mettemmo d’accordo.

L’indomani tutti e tre insieme - io, il rappresentante dei Servizi italiani e

il rappresentante dei Servizi svizzeri - andammo al palazzo della

Sicurezza di Zurigo - ove hanno sede la Polizia e i Servizi, sito nei pressi

della Stazione Centrale vicino ad un canale. Qui fecero la fotocopia del

mio passaporto - al tempo avevo il passaporto HARUN CELIK -, mi

hanno dato 50.000 franchi, dopo di che abbiamo continuato con i nostri

incontri e con le nostre discussioni. Ci siamo incontrati parecchie volte.

Siccome non mi piaceva ciò che dicevano, ho fatto perdere le mie

tracce; trasferendomi in Francia. A quel punto è partito un ordine di

cattura nei miei confronti. L’ordine partiva dall’Italia, perché temevano

che io potessi parlare con la stampa, con la televisione o con qualche

altro. All’inizio avevo accettato quello che mi dicevano; in seguito mi

hanno fatto delle proposte che io non approvavo. Ovviamente

sull’attentato al Papa. All’inizio gli incontri avvenivano in casa mia; in

seguito in luoghi pubblici, tipo ristoranti o caffè, ed anche nei loro uffici.

Proprio in quel periodo venni a sapere dai due delle deposizioni di

TINTNER e TURKOGLU. Queste rivelazioni me le fecero dopo che io

avevo dichiarato di accettare le loro proposte, così guadagnandomi la

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fiducia. A questo punto mi confidarono delle dichiarazioni di

TURKOGLU e TINTNER così come del conto 343. Venni così a sapere

tutti i tranelli che

dovevano organizzare in seguito all’attentato. Mi proponevano diverse

cose: soldi, passaporti ed altro, affinchè io non facessi alcuna rivelazione

a nessuno sull’attentato al Papa. Parlavamo un po’ in tedesco, un po’ in

turco, giacchè uno degli elementi del Servizio svizzero parlava il turco.

Avevo già detto che in Austria avevo frequentato una scuola di

lingua tedesca, il Goethe Institute. Questa relazione è durata più di tre

mesi. Dopo che io me ne sono andato e dopo l’emissione dell’ordine

di cattura hanno trovato un’altra persona che mi ha sostituito, una

persona cui io avevo dato delle informazioni. Io in questa faccenda

non ho alcun interesse, ne’ ideologico, ne’ d’altro genere. Potrei essere

utile, solo se uscissi dal carcere. Vi parlo di fatti concreti, senza

incolpare nessuno. Io sono stato accusato di tante cose, di essere

anarchico, di essere implicato nell’attentato al Papa”.

Sul documento concernente il conto, riferisce che si trattava di

un foglio di circa 15 cm. per 5. Vi era impresso il timbro della banca

del Vaticano e riportato il numero del conto. Vi era anche il nome

della cittadina turca.

Quando egli si incontrò con gli elementi dei Servizi svizzero e

italiano ricorda che da essi venne a sapere che vi era a Roma un

Monsignore con conto su cui erano depositati 10.000.000 di dollari, da

impiegare in pro di coloro che erano implicati nell’attentato.

Mostratogli poi l’album delle fotografie agli atti ed invitato a

dichiarare se vi conosce qualcuno, risponde di no e quindi

spontaneamente aggiunge: “AGCA nelle telefonate della mattina

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dell’attentato disse: ““Hanno organizzato tutto così bene che è

impossibile che io sia preso””. Dopo di che uno di questi del Servizio

Segreto che venne a trovarmi in Svizzera –

sono sempre quelli che venivano a trovarmi a Zurigo - mi disse che loro non

avevano alcuna colpa nell’arresto di AGCA; disse che non era stato uno della

Polizia ad arrestarlo, ma una suora.

Quando fece quelle tre telefonate, AGCA aggiunse però che,

nonostante l’organizzazione, aveva timore di essere ucciso e che per questo ci

metteva al corrente di quello che stava per fare. Probabilmente aveva paura di

chi lo aveva ingaggiato. La mia opinione personale è che non sia stata la

suora ad acchiapparlo, ma che lui si sia fatto prendere volontariamente.

Posso precisare, dal momento che avevano detto che tutto era

perfettamente organizzato, che anche qualcuno della sorveglianza del Papa

era “sotto controllo”. Quindi io presumo che anche qualcuno della

sorveglianza fosse al corrente dell’attentato. Quello del Servizio italiano a

Zurigo mi disse che tutto era stato organizzato alla perfezione, che il Servizio

di sorveglianza era sotto controllo. Per questo io suppongo che qualcuno della

sorveglianza fosse al corrente dell’attentato.

Spontaneamente: qualche tempo fa un Giudice donna mi ha interrogato

sul sequestro di una ragazza di nome Emanuela ORLANDI. Io non so se i due

fatti, l’attentato al Papa e il sequestro ORLANDI, sono collegati. Io riferisco

quello che ho saputo. In questo caso c’è un errore giudiziario. Attraverso la

stampa si convince l’opinione pubblica di un errore. Si dice che AGCA è un

Lupo Grigio; si dice una calunnia e cioè che i Lupi Grigi sono implicati

nell’attentato al Papa ed anche nel sequestro di Emanuela ORLANDI. Il Lupo

Grigio è semplicemente un simbolo; il simbolo degli Idealisti di destra. Io

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dico che è una calunnia l’attribuzione del sequestro di Emanuela ORLANDI;

io so alcune cose su questo sequestro e

voglio dichiararle al Giudice donna. Qua si dice che Emanuela ORLANDI è

stata rapita perché AGCA venga rilasciato e per

questo dicono che gli autori sono gli Idealisti di destra. Gli Idealisti di

destra non si sono mai macchiati di fatti terroristici internazionali.

Questa affermazione vale per gli Idealisti di destra sia in Turchia che

nelle altre parti del mondo”. (v. interrogatorio CELIK, G.I. 22.9.94)

I successivi interrogatori compiuti dinanzi anche al Giudice

Istruttore titolare dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela

ORLANDI, hanno avuto ad oggetto essenzialmente questo evento e

pertanto nel relativo processo sono trattati e valutati. (v. interrogatori

CELIK, 23 e 28.09.94)

*************

Cap. 1.2.18. La fuga di notizie sugli interrogatori.

Come già s’è detto più volte, il contenuto degli interrogatori di

CELIK nell’ambito di brevissimo tempo dalla verbalizzazione è finito

ai mezzi di informazione.

La prima apparizione di notizie è sul quotidiano romano “Il

Messaggero” del 24 gennaio 94. Nell’articolo dal titolo “CELIK:

sull’attentato al Papa la Francia sa molto” e sovratitolo e sottotitolo

rispettivamente: “Il terrorista turco sostiene che i servizi d’Oltralpe

hanno un dossier segreto” e il “Capo dei “LUPI GRIGI” venne

contattato più volte, durante il processo in Italia nel 1985: gli 007

francesi gli chiesero informazioni su ALI’ AGCA e sui retroscena

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della sparatoria in Piazza San Pietro” - si riportano notizie che solo chi

ha assistito agli interrogatori - il giornalista sa anche che sino a quel

giorno sono stati quattro - o ha letto i relativi verbali, poteva

conoscere.

Al punto tale che questo Ufficio, trasmise copia dello scritto alla

Procura della Repubblica per l’esercizio dell’azione penale per

violazione del segreto istruttorio, essendo gli atti da cui erano state

tratte le notizie, peraltro mai rilasciati in copia alla difesa, coperti dal

quel segreto. (v. nota G.I. 24.01.1994).

A seguito di tale infrmativa la Procura promuoveva azione

penale e richiedeva copia dei verbali violati. In risposta questo Ufficio

trasmetteva i verbali di interrogatorio del 20 dicembre 93 e 12 gennaio

94, da cui erano state estratte notizie uscite nell’articolo, comunicando

anche che il fascicolo degli interrogatori ed esami era rimasto sempre

in armadio blindato, collocato nella sede dell’Ufficio; che tale armadio

veniva da questi personalmente aperto o su sua disposizione dal

personale di cancelleria.

Nonostante l’apertura e il progresso di tale procedimento, le

violazioni del segreto istruttorio non s’arrestavano.

Il 5 di agosto l’Avvocato GENTILONI SILVERJ Michele

difensore di CELIK informava questa A.G. che il giornalista Roberto

CHIODI, del quotidiano “L’Informazione”, presente dinanzi a lui nel

luogo da dove veniva effettuata la telefonata, era a conoscenza dei

contenuti degli interrogatori del predetto imputato. Il giornalista

conosceva in particolare che ORAL CELIK aveva parlato di “ambienti

Vaticani” con una certa precisione. L’avvocato faceva presente che

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non poteva per telefono precisare ulteriori dettagli, stante anche la

presenza del giornalista. (v. relazione per gli atti 05.08.94)

Il giorno seguente predetto avvocato inviava a questo Ufficio un

fax nel quale specificava quanto avvenuto il giorno precedente nel suo

studio. Così testualmente il fax: “.... facendo

seguito al colloquio telefonico intercorso con la S.V. alle ore 12 :00 del

giorno 5.8.1994, ribadisco che il Sig. ROBERTO CHIODI redattore del

quotidiano “LA VOCE” si è presentato al mio Studio per un breve colloquio

alle ore 11.30 del 5.08.1994.

Di seguito all’invito a narrare quanto di sua conoscenza sulla posizione

dell’imputato in oggetto, (come sono solito fare allorquando mi vengono

rivolte domande afferenti la posizione processuale dei miei assistiti) il

giornalista si è dimostrato in possesso di delicatissime informazioni, sia sulla

matrice che il Sig. ORAL CELIK ha attribuito all’attentato al Sommo

Pontefice, sia sulla posizione di contorno della persona vista fuggire in Piazza

San Pietro, affermando testualmente che “CELIK ha riferito di essere in grado

di fornire la prova della di lui identità, consegnando un’altra foto”.

Dal tenore delle affermazioni del giornalista appare probabile che

qualcuno abbia violato il segreto delle indagini preliminari in corso, con grave

pregiudizio del mio assistito che, sempre, ha insistito sulla necessità che

venisse tenuto segreto l’esatto contenuto delle di lui deposizioni.

Ugualmente grave, e contrario all’ interesse sia del mio assistito che

dell’Ufficio, è il particolare del presunto “pentimento” del Sig. ORAL

CELIK, che è idoneo a porre in pericolo sia la sua persona fisica che la

possibilità di ottenere ulteriori informazioni.

Tanto comunico per quanto di competenza dell’Ufficio.(v. fax

GENTILONI SILVERJI 06.08.94)

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L’8 immediatamente successivo Corriere della Sera, Repubblica,

Messaggero e la Voce riportavano dichiarazioni di ORAL CELIK

sull’attentato al Papa. Questi i titoli dei relativi articoli: “Sull’attentato al Papa

solo fantasticherie. Il Vaticano smentisce ORAL CELIK . L’avvocato del

Turco replica: “Ha

detto altre cose credibili” (La Repubblica); “So chi voleva morto il

Papa. CELIK fa i nomi di alti prelati della Chiesa. Il Vaticano:

“Fantasie”. Le sconcertanti rivelazioni del complice di AGCA”. (Il

Messaggero); “In Vaticano il complice di ALI’ AGCA” (Il Corriere

della Sera); “Il Papa, l’attentato, i mandanti ... l’alta gerarchia del

Vaticano ha armato la mano di AGCA. Al complotto hanno

partecipato anche cittadini italiani di spicco. CELIK ha fatto nomi,

cognomi, forniti riscontri, dati, verifiche” (La Voce). All’interno di

questi articoli in effetti nomi, cognomi, dati, brani degli interrogatori.

****************

Cap. 1.2.19. Il mancato arresto del maggio 86 a Parigi.

Altra vicenda che conferma la esistenza di altissime protezioni

in favore di ORAL CELIK è il suo mancato arresto tra la fine di

maggio e i primi del giugno ‘86 a Parigi.

In quel periodo erano in corso indagini tese ad accertare il luogo

ove si sarebbe trovata Emanuela ORLANDI nella capitale francese,

indagini alle quali partecipavano funzionari della polizia tedesca e di

quella italiana, oltre che, ovviamente, della polizia francese. Una

“persona di fiducia” avrebbe dovuto prendere gli opportuni contatti.

Tale persona, che era ricercata dalle Autorità Svizzere con mandato di

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arresto internazionale per violazione della legge sui narcotici, aveva

suggerito “due possibilità per arrivare al luogo di permanenza della

ORLANDI. La via più breve sarebbe stata attraverso CHATLI, la più

lunga attraverso CELIK, che è ricercato e vive in clandestinità.”

Questa “persona di fiducia”, come risulta dai rapporti delle

polizie tedesca e italiana, non era altri che YALCIN OZBEY, del quale

più volte già s’è detto, divenuto informatore della prima polizia, che

portò con se’ in quella occasione come interprete NADIM SENGUN,

anch’esso cittadino turco.

Le operazioni iniziarono mercoledì 28 maggio nel tardo

pomeriggio. I francesi come primo atto, informarono i colleghi delle

altre polizie del mandato di arresto internazionale sull’uomo di fiducia,

e riferirono che per motivi politici il soggiorno in Francia per costui

sarebbe stato limitato fino al 30 maggio immediatamente successivo, ad

h.17.00. Riferirono altresì che il contatto con ABDULLAH CHATLI

detenuto a Parigi da parte della “persona di fiducia”, era stato respinto

anch’esso a causa del detto mandato di arresto internazionale.

I risultati di questo incontro vengono comunicati, in serata,

all’OZBEY e al SENGUN. Il primo esprime dubbi sulla possibilità di

riuscire a individuare la residenza di CELIK in così breve tempo, tanto

più che egli stima che vi siano maggiori probabilità di contatto nel fine

settimana. La polizia tedesca comunque gli dà incarico di individuare

innanzi tutto il luogo di soggiorno della ORLANDI.

L’indomani giovedì 29 maggio, SENGUN comunica di aver

trovato insieme ad OZBEY l’appartamento della ORLANDI e di aver

individuato altri due luoghi di incontri di turchi illegali “appartenenti

alla Organizzazione”. Il primo si sarebbe trovato in Rue de la Requette

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40, gli altri due in Boulevard de Strasbourg ed in Rue de Saint Denis.

Non era stato possibile entrare nel primo appartamento, perché le porte

d’ingresso davano su un cortile interno e di notte questo cortile era

chiuso da una salda porta d’accesso.

All’incontro con i francesi e gli italiani i primi riferiscono che

quell’appartamento era già stato perquisito e che in tale occasione vi era stato

un conflitto a fuoco con gli inquilini.

I tedeschi poi richiamano l’attenzione degli italiani su KAZIM

GUZEL, al riguardo della sospetta organizzazione dì un secondo attentato al

Papa, già detenuto in Germania. “Mediante misure operative è stato accertato

che GUZEL ha ripreso nuovamente contatti con gli italiani”.

Nel pomeriggio dello stesso giorno si concerta la procedura di contatto

con CHATLI e CELIK, che dovra avvenire attraverso due persone, entrambe

di nome “OMER”. “OMER di CURUM” che si metterebbe in contatto con

“OMER di ELAZIG”. Questo secondo “OMER” sarebbe perfettamente

informato su CHATLI e CELIK; aiuterebbe finanziariamente la moglie di

CHATLI; avrebbe anche pagato una parte delle spese per il suo avvocato.

OZBEY vuole poi prendere contatto con altri due membri della

“Organizzazione” e cioè “KAJA UCTEPE”, il presidente della Federazione

Turca a Parigi, e ISMAIL KOYUNCU, mente finanziaria della

“Organizzazione”.

I francesi comunicano che in Francia non esiste una anagrafe dei

cittadini residenti nè vi erano informazioni in merito ad una Organizzazione

dei Lupi Grigi.

Il giorno successivo, venerdì 30 maggio, nuovo incontro tra le tre

polizie e nuove consultazioni. Alle 19.00 OZBEY riferisce che “OMER di

CURUM” gli aveva a sua volta riferito che ORAL CELIK si trovava a Parigi

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e che lo aveva incontrato presso l’Ufficio per le richieste d’asilo, giacchè

avrebbe avuto intenzione di costituirsi alle autorità francesi, essendo stato

assolto nel processo di Roma. OZBEY s’impegna anche a rintracciare

ATILLA, ovvero ORAL CELIK, e parlargli.

Nel successivo colloquio OZBEY afferma che il suo compito stava

divenendo pericoloso, giacchè le persone che avrebbe incontrato erano del

“livello più alto” ed erano tra loro legate da stretta amicizia. Sempre in

questa occasione gli viene dato l’incarico di affrontare nel corso

dell’incontro con CELIK direttamente l’argomento del rilascio della

ORLANDI e della somma proposta di 150.000 marchi.

Quella notte stessa i tedeschi apprendono da SENGUN che OMER

di ELAZIG aveva chiamato per comunicare che CELIK avrebbe telefonato

ad OZBEY YALCIN a partire dalle h.24.00.

L’indomani, sabato 31 maggio, SENGUN comunica ai funzionari

tedeschi che nella notte non si è verificato alcun contatto. I francesi

nell’incontro delle 9.30 dichiarano, in merito alla intenzione di ORAL

CELIK di costituirsi, di aver avuto con lui dei contatti. Questi aveva tentato

di trattare determinate garanzie in caso di costituzione. Queste garanzie gli

sarebbero anche state accordate, ma egli non si era più presentato.

Alle 22.30 finalmente il contatto con ORAL CELIK.

Successivamente l’evoluzione degli eventi sino alle 12.30

dell’indomani, domenica 10 giugno, risulta di tale interesse che bene

appare riportare integralmente il contenuto del rapporto:

“Ore 22.30 - L’interprete informa telefonicamente che ORAL

CELIK è a Parigi. La persona in questione ha ricevuto una telefonata da

CELIK alle ore 22.05. L’incontro era previsto in un caffè che si trova di

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fronte all’Hotel Europe. Tuttavia, poiché il caffè era chiuso, la persona in

questione e CELIK sono andati via in macchina insieme.

Domenica, 1° Giugno 1986, ore 01.30 - Nuova telefonata

dell’interprete. La persona in questione, con la scusa di

prendere del denaro, nel frattempo è rientrata in albergo. Essa però ha detto

soltanto che era insieme a CELIK, che CELIK era ingrassato, aveva meno

capelli e sembrava più vecchio che non sulle foto che gli erano state mostrate.

Ore 05.00 - Ritorno della persona in questione all’albergo.

Ore 08.00 - Contatto con l’interprete all’Hotel Europe e appuntamento

alle ore 10.00 al Ministero degli Interni.

Ore 09.00 - Incontro al Ministero degli Interni con i colleghi italiani e

francesi i quali vengono messi al corrente dei fatti. Ci viene spiegato che la

persona di ALI’ UNAL èconosciuta alle autorità francesi per misure operative

prese contro CHATLI.

Ore 10.00 - L’interprete si presenta in ufficio e spiega la telefonata

intercorsa tra CELIK e la persona in questione. CELIK ha affermato di essere

appena arrivato e ha chiesto alla persona se nei pressi dell’albergo vi fosse un

caffè. E’ stato quindi fissato un appuntamento nel caffè. (vedi protocollo della

telefonata del 31.5.85, ore 22.05)

Quindi l’interprete parla della conversazione di ieri tra la persona e

CELIK. La persona gli avrebbe detto che tre uomini sono arrivati in macchina

all’albergo, e cioè ORAL CELIK, ALI’ UNAL ed un terzo uomo che non

conosceva. Poiché il caffè era chiuso sono andati in macchina a Pigalle. La

macchina era una Ford Taunus di colore scuro. A Pigalle CELIK ha

raccontato alla persona in questione che collaborava con i Servizi Segreti

inglesi ed inoltre che aveva forti contatti con la mafia turca in Europa. La

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persona in questione ha raccontato a CELIK di essere venuta con un “uomo

molto ricco”. Quest’uomo era venuto per il “Bianco” (questo codice per

l’interprete era stato in precedenza accordato tra noi). La persona ha poi

spiegato di essere stato avvicinato da persone dei Servizi Segreti tedeschi

“i

quali volevano avere la ragazza”. Per il rilascio della ragazza erano disposti

a pagare 150.000 DM. CELIK ha solo riso e ha detto che la ragazza era “un

gioco dei Servizi Segreti e non era importante”. Durante tutto il colloquio

la persona in questione era ritornata continuamente sull’argomento della

ragazza. CELIK però ha parlato soltanto del “Bianco” e non era disposto a

fornire informazioni sulla ragazza. Soltanto quando la persona in questione

ha dichiarato di essere a conoscenza che la ragazza viveva insieme al

rapitore, CELIK è diventato serio e ha detto: “Noi non abbiamo rapito la

ragazza, CELEBI è il vero organizzatore di tutta questa azione”.

Il colloquio è avvenuto in parte in un’atmosfera molto cordiale e in

parte molto riservata. CELIK ha inoltre dichiarato che era stato fermato in

Francia durante un controllo stradale, e cioè circa un mese prima della

sentenza di Roma. Non ha citato ulteriori dettagli su tali controlli. Poi

CELIK ha anche raccontato di essere ritornato da Hannover, dove aveva

visto il film “L’attentato”. Sul contenuto complessivo del colloquio la

persona in questione ha dichiarato che gli è parso quasi anormale che

CELIK parlasse tranquillamente di tutto e si bloccasse soltanto quando

l’argomento verteva sulla ragazza. La persona in questione ha dato a

CELIK l’indirizzo del suo caffè in Germania e si sono ripromessi di tenersi

in contatto. Un nuovo contatto tra CELIK e la persona in questione

dovrebbe aver luogo oggi verso le ore 10.00 all’Hotel Europe.

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Con i colleghi francesi ed italiani si è discusso di un eventuale

arresto del CELIK. I francesi hanno rifiutato per non mettere in pericolo la

persona in questione. Alla nostra proposta di fare arrestare tutte e tre le

persone (CELIK, l’interprete SENGUN e la persona in questione), da parte

dei francesi è stato spiegato che a causa del mandato di arresto della

Svizzera la persona in questione non sarebbe poi stata rilasciata.

L’interprete, Sig. SENGUN ha lasciato il Ministero alle ore 11.00.

Ore 11.17 - Telefonata dell’interprete dall’Hotel Europe.

Il Sig. SENGUN afferma che CELIK è in albergo e che intendono

lasciare immediatamente Parigi. CELIK indicherebbe loro la strada con la

sua macchina; l’interprete annoterà la targa e la comunicherà qui (al

Ministero degli Interni).

Ore 12.30 - Telefonata dell’interprete al Ministero. Spiega che hanno

preso un caffè con CELIK nella Rue de II Novembre. CELIK è in viaggio

con l’auto targata: 91 81 NN 92, Ford Taunus, 1,31 GL.

Prima di raggiungere l’autostrada in direzione di Metz, CELIK si è

separato da lui”. (v. rapporto P.G. DUsseldorf, 02.06.86)

Ben diverso il rapporto della Polizia italiana che sintetizza,

ovviamente omettendo anche circostanze di rilievo, gli eventi sopra

descritti in quattro pagine, sovente ne riferisce al condizionale, e dedica,

facendo riferimento al caso ORLANDI, solo poche righe ad ORAL

CELIK. (v. rapporto Squadra Mobile Roma, 09.06.86)

**************

Cap. 1.2.20. Considerazioni finali.

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Dall’intiera vicenda di ORAL CELIK possono trarsi sin d’ora - e

quindi prescindendo dalle relazioni di questa posizione con altre, in

particolar modo quella di MEHMET ALI’ AGCA, e con le molteplici altre

circostanze in oggetto di questa inchiesta - conclusioni e giudizi

estremamente negativi sulla

collaborazione tra gli Stati in materia di assistenza giudiziaria e sulla

impossibilità di ricostruire fatti sulla base di dichiarazioni di personaggi,

così contraddittori, discontinui e, senza dubbio, con obbiettivi e capacità di

inquinamento dell’inchiesta.

Mai come in essa si sono frapposte, da parte delle Autorità di un

Paese alleato ed amico come la Francia, difficoltà enormi al riconoscimento

delle reali generalità del CELIK e alla conseguente sua estradizione in

Italia; difficoltà superate, con modalità quasi fortunose, mediante

l’esibizione di un rapporto redatto dalla stessa polizia giudiziaria francese -

in data 08.10.91 e quindi di gran lunga prima che il Guardasigilli di quel

Paese si preoccupasse, proprio il giorno della scadenza della detenzione di

CELIK, di richiedere alle Autorità italiane, che avevano formulato

domanda di ricerche e di arresto provvisorio ai fini estradizionali del

suddetto, delucidazioni sull’esposizione dei fatti, formale richiesta di

estradizione ed elementi di identificazione che permettessero d’affermare

che ATES BEDRI era ORAL CELIK - che confermava puntualmente ogni

ipotesi sulle generalità del sedicente ATES BEDRI.

L’atteggiamento negativo ha di fatto bloccato, come s’è detto, per

ben tre anni e sette mesi le possibilità di indagini sul soggetto, e con ogni

probabilità ha consentito, a prescindere da colpe di quelle Autorità, la

sparizione o l’affievolimento di prove genuine e la predisposizione e il

rafforzamento di false piste.

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Atteggiamento tanto più da biasimare, giacchè a quanto risulta alla

situazione di false generalità avevano dato causa proprio quelle Autorità,

consapevoli della reale personalità del soggetto e di quanto egli aveva

commesso o saputo al riguardo dell’attentato al Sommo Pontefice,

confezionando per lui un

falso nome, una falsa origine etnica, una falsa militanza politica,

convincendolo altresì, a maggior sua tutela, ad assumere la qualità di

rifugiato politico.

Atteggiamento che è continuato, anche se poi non per deliberato

proposito, allorchè, avendo riconosciuto che quelle generalità erano false,

per tanto processavano e lo condannavano, per cui egli a causa

dell’espiazione dovette restare in territorio francese per altri due anni e più.

Una volta messo piede in Italia il CELIK al varco di frontiera, e al

momento in cui viene consegnato alla Polizia italiana, nomina un suo

difensore di fiducia nella persona dell’avvocato GENTILONI SILVERJ già

nominato nella precedente inchiesta, difensore d’ufficio per MEHMET

ALI’ AGCA, nomina per la quale aveva richiesto, ed ottenuto, dispensa in

ragione del fatto che la sua famiglia, da secoli, era tradizionalmente legata

alla Santa Sede da rapporti strettissimi di fedeltà e di servizio, in particolare

il padre che in quel periodo era investito di una carica onorifica presso il

Sommo Pontefice.

Sulle prime, per più interrogatori il CELIK si mostra collaborativo e

narra vicende, che per più versi trovano riscontri in risalenti indagini, in

modo da accreditarsi come persona attendibile e cooperante. Anche se ogni

sua ricostruzione, in particolare quelle relative a fatti, nei quali egli

dovrebbe aver avuto una parte e spesso nemmeno di secondo piano,

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prescinde accuratamente da sue presenze. Al punto tale che egli appare un

personaggio che conosce fatti e circostanze, e li conosce, non può essere

altrimenti, direttamente, quasi de visu, ma di essi dà a credere di essere

semplice spettatore,

neutrale rispetto a connazionali, compagni di ventura e militanze sia in

patria che in tante contrade straniere.

Ma tant’è. Egli si mostra così collaborativo, che nell’intento di

acquisire ulteriori elementi se ne dispone custodia extracarceraria. Ma a tal

punto inizia, con ogni probabilità pienamente consapevole, un’opera di

intorbidamento dell’inchiesta che immediatamente richiama la condotta del

principale suo coimputato nella seconda inchiesta. Intorbidamenti con

dichiarazioni del tutto sfornite di prove ed incredibili, sì da mostrarsi

immediatamente calunniose. Intorbidamenti con ricostruzioni sulle matrici

dell’attentato anch’esse sfornite del tutto di riscontri, contraddittorie e

lacunose. Intorbidamenti, perchè iniziano mutamenti di dichiarazioni e

ritrattazioni, che come si diceva, portano alla memoria le condotte

processuali di quel suo coimputato che sopra si indicava. Cosicchè l’unico

effetto resta la creazione di totale incertezza ed impossibilità anche di

accertamenti minimi.

Comunque anche in tale situazione alcuni punti fermi su di lui

possono esser posti. In primo luogo sulla sua posizione nell’ambito

dell’organizzazione dei Lupi Grigi. Egli che rivendica la sua qualità di

Ulkulu, ne è di certo una delle figure di maggiore spicco. Appartiene al

livello direttivo dell’organizzazione, cui aderisce giovanissimo. Senza

possibilità di errore egli è secondo soltanto ad ABDULLAH CHATLI, che

del settore semiclandestino ed armato è il capo. E’ in contatto con i

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presidenti ed i rappresentanti delle varie associazioni turche per i Paesi

europei, RAMAZAN SENGUN, MAHMUT INAN, CERDAR CELEBI.

E’ colui che s’adopra e segue sin dalla Turchia il personaggio

destinato ad essere la punta del commando

dell’attentato. Lo ausilia nell’evasione da Kartal Maltepe, lo prende in

consegna immediatamente dopo l’evasione, lo indirizza nei vari recetti

della latitanza, lo finanzia. Praticamente lo prende in carico e lo protegge

sia nei confronti del braccio della giustizia turca - all’epoca amministrata

da tribunali militari - che dalle possibili aggressioni di opposte fazioni.

Non solo: organizza per lui, a brevissima distanza di tempo

dall’evasione e prima che venga intrapreso quello in Europa, il noto

viaggio in Iran. Viaggio che di certo non è di piacere né può essere stimato

di asilo, perché all’epoca già vigeva il durissimo regime dell’Iman

Khomeini. E che perciò deve essere definito, anche per la sua durata di più

mesi, vera e propria missione.

Su di essa mai si è indagato, sia per la quasi inesistenza di rapporti

con l’Iran sia per la materia delle eventuali richieste, che sarebbero state

immediatamente definite di natura politica. Di modo che ne sarebbe

derivata, anche per la diversità di culture, una collaborazione pari a quella

di qualche Stato europeo di cui s’è detto.

Certo quella lunga trasferta in Iran ha tutti i connotati di una vera e

propria missione. Innanzi tutto perché è organizzata da CELIK, figura già

all’epoca eminente nell’organizzazione. In secondo luogo, perché la sua

preparazione richiese addirittura una decina di giorni, dal 20 al 30 di

gennaio di quell”80, in una città decentrata del Paese, Erzurum, prossima

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alla frontiera dell’Unione Sovietica. E proprio attraverso l’Unione

Sovietica, AGCA raggiungerà l’Iran. La missione cioè non prevedeva la

strada diretta sull’obiettivo. E dire che Erzurum dista dalla frontiera

iraniana quanto da quella sovietica. Non solo: la deviazione non è breve,

perché il percorso prevede

l’attraversamento dell’Armenia e dell’Azerbaijan sovietici sino a Baku sul

Caspio e di qui a Tabriz in Iran, così facendo anche un ritorno verso ovest

di moltissimi chilometri. Si ferma a Tabriz in febbraio, marzo e buona parte

di aprile. Da Tabriz fa però frequenti viaggi a Teheran, di certo non per

motivi turistici, perché altrimenti non si sarebbe esposto al pericolo dei

controlli che in Paesi come l’Iran d’allora si espletavano sugli stranieri in

movimento sul territorio. Si deve infatti ricordare che egli all’epoca era in

possesso di un passaporto afghano intestato a tal HICKMET, passaporto

consegnatogli nel corso di un incontro, presente CELIK, con ABUZER

UGURLU, che oltre a tale documento gli aveva donato 15.000 marchi.

In aprile il fatto nuovo. Avviene il fallimento della spedizione

militare statunitense, voluta dal presidente CARTER, per liberare il

personale dell’Ambasciata USA a Teheran, sequestrato dalle milizie

mussulmane. A seguito di questo episodio il regime khomeinista dà un giro

di vite, specie verso gli stranieri. AGCA deve abbandonare il Paese e

CELIK organizza il suo prelievo, recandosi personalmente in Iran.

A questo punto si pone la questione del perché AGCA non sia stato

avviato direttamente in Europa, bensì dirottato verso questa permanenza in

Iran. Una risposta a tale quesito potrebbe venire dalla lettera di AGCA del

settembre 97, AGCA che, essendo dotato d’intuito e d’antenne, può aver

percepito che il problema della sua permanenza in Iran si poneva, e si

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premura di “proporre” una sua risposta. All’epoca il KGB temeva

fortemente sia il Papa Woytila che l’Iman Khomeini, entrambi dotati di

potenzialità eversive dell’impero sovietico. Per questa ragione fu spedito a

Teheran, ove fu preparato a cura del colonnello Vladimir KUZIUSKI e con

l’aiuto di comunisti iraniani, un attentato contro l’Iman, poi fallito.

Sul resto delle condotte di CELIK, che lo configurano come elemento

di rilievo altissimo, già s’è detto nei precedenti paragrafi e nel capitolo

dedicato ad AGCA, come si dirà in quelli che verranno su CHAT

TURKOGLU, ARSLAN SAMET, SULEYMAN CIMEN, sulla rete svizzera.

C’è solo da rilevare come egli sappia su TURKOGLU tutto il seguito della

storia e cioè quella parte che i nostri Servizi non sanno o dicono di non

sapere, ovvero che il contatto ci fu, fu instaurato un rapporto, da esso

derivarono preziosissime notizie dapprima raccolte dal Servizio e poi

riversate all’inquirente dell’epoca. Da quel tempo TURKOGLU è scomparso

come attesta la polizia austriaca e quella turca. CELIK conferma tutto quello

che in questa vicenda s’era da sempre presunto e che tutti dei Servizi hanno

sempre negato, anche in virtù di carte che non si sono mai trovate.

Ma che CELIK sia un personaggio di rilievo lo conferma il particolare

atteggiamento di protezione della Francia nei suoi confronti, e per converso

quello di ostilità di Servizi e polizie probabilmente antagonisti, che giocano a

CELIK lo scherzo della soffiata al suo passaggio alla frontiera franco-belga,

che gli costò un certo numero di anni. CELIK è ben conosciuto da Servizi e

polizie di Francia sin dal tempo del suo primo ingresso in quel Paese nella

prima metà degli anni 80 - così come è conosciuto dai nostri e dagli svizzeri,

che appena mette piede nel loro territorio, non avendo la possibilità di

espellerlo, gli offrono danaro perché se ne vada -. Sin da quel tempo quindi

con ogni probabilità sanno delle sue pendenze con la Giustizia italiana, che

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non sono per furti o truffe di lieve entità, bensì per concorso nell’attentato al

Sommo Pontefice. Nonostante ciò, per evitargli la cattura gli danno generalità

e personalità nuove, curdo comunista perseguitato politico, così come già s’è

detto ed anche in dettaglio.

Ma egli non viene protetto soltanto negli anni 80; lo sarà anche negli

anni 90, allorchè scoperta la sua vera identità dovrebbe essere estradato

verso quei Paesi con i quali ha ancora dei conti aperti.

Egli era stato condannato alla pena pecuniaria di 2.164.000 franchi.

Questa sanzione viene inopinatamente ridotta, quando sta per scadere

quella detentiva, non della metà o di qualche terzo, ma addirittura di

diciannove ventesimi. Il misero ventesimo rimasto, che quand’ anche fosse

restato insoluto, sarebbe stato convertito in una minima reclusione, viene

però immediatamente pagato da un avvocato, di cui nulla mai si è saputo,

nemmeno il nome.

La pena quindi avrebbe dovuto aver termine il 29 novembre di quel

91. Ma proprio quel giorno il Guardasigilli francese richiede, come s’è

visto, alle Autorità italiane delucidazioni sulla partecipazione di ORAL

CELIK ai fatti, formale richiesta di estradizione e gli elementi di

identificazione che consentono di affermare che ATES BEDRI sia ORAL

CELIK. Di certo questa nota sembra mostrare la ignoranza sia del rapporto

della Polizia giudiziaria francese redatto l’8.10.91, sia del mandato di

cattura del G.I. di Versaglia emesso il 28.11.91. Di certo non è possibile

determinare quale fosse il fine di quella richiesta; sta di fatto però che

l’indomani, il 30.11.91, le Autorità francesi, che hanno al loro vaglio tre

domande di estradizione, l’italiana, la svizzera e la turca, sospendono la

liberazione di CELIK, per l’estradizione verso la Confederazione Elvetica,

dimostrando nuovamente di non essere a conoscenza del provvedimento

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restrittivo di Versaglia. Di certo il comportamento del Ministero della

Giustizia francese - che si vuole sperare teso solo alla difesa del diritto di

asilo - un risultato lo ha raggiunto con la trattazione del caso

CELIK; ha mostrato cioè l’esistenza di incrinature nella nota efficienza

delle Amministrazioni francesi, e cioè carenze gravi nei rapporti di

informazione tra Ministero dell’Interno e quello della Giustizia, tra questo

Dicastero e i Tribunali.

Da ultimo brevissime considerazioni sulla “messaggistica” che è

all’interno delle dichiarazioni di CELIK, capacità questa che lo conferma

come personaggio di rilievo non solo nell’organizzazione, ma anche nel

complesso gioco dei Servizi e degli Stati. Messaggi a tutti coloro che egli

ha servito o di cui si è servito, in particolare in quelle frasi ove s’afferma

che la sua estradizione e la sua detenzione in Italia non era nei patti.

Messaggi alla Francia, quando rivela le storie di cui s’è detto. Messaggi

all’area ex comunista, quando scagiona i bulgari, e afferma anche che gli

sono stati offerti denari per accusarli, invocando a mo’ di giustificazione la

comune lotta contro il comunismo. Messaggi alla Santa Sede, con i suoi

“coinvolgimenti” di Principi della Chiesa. Messaggi, tra i meno

comprensibili alla Gran Bretagna, là ove afferma di essere al tempo degli

interrogatori, al servizio di quella Intelligence. Messaggi anche al suo

Paese di origine, quando scagiona gli Ulkulu, anzi ne rivendica l’idealismo.

Paese quest’ultimo, che tuttora lo accoglie senza procedere a catture

per condotte che comunque dovrebbero essere stimate gravissime, e

quando per caso lo arresta, lo libera nell’ambito di quarantotto ore,

addebitando i fatti ad errori di Procure.

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CAPITOLO TERZO

La vicenda di CIHAT TURKOGLU

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Cap. 1.3.1. La documentazione SISMI su TURKOGLU.

Dalla documentazione della 1^ Divisione acquisita dal SISMI si

rilevava che 1’Addetto Militare presso l’Ambasciata d’Italia a Vienna, con

messaggio nr. 761 del 10 giugno 1981, all’oggetto “Possibili notizie su

attentato al Papa”, aveva riferito al SISMI che “un turco, TURKOGLU

CIHAT, Passaporto Nr.206258 emesso il 26 marzo 1980, residente a

Vienna, sedicente Capo del TURKISCH KULTURELLES VEREIN, nome

di comodo in Austria per i cosiddetti Lupi Grigi, si dice in possesso di

notizie relative all’attentato al Papa. Accetta, tuttavia di parlare solo, ripeto

solo, con l’Ambasciatore e purché vi siano garanzie di ‘protezione” per sè e

la sua famiglia, poiché quanto riferirà potrà coinvolgere altri turchi

residenti in Austria”. Il messaggio continuava sottolineando che

“l’Ambasciatore non intende essere coinvolto”.

In calce al messaggio si leggeva l’annotazione manoscritta

“Rispondere positivamente.- Dire che siamo orientati a stabilire contatto in

Austria o in Italia (meglio in Italia con più accorte garanzie)”, a grafia del

Col. NOTARNICOLA, Direttore della l^ Divisione. Il 3 giugno, pertanto,

la l^ Divisione trasmetteva all’Addetto Militare a Vienna il messaggio nr.

15103/1^/04, con il quale informava della disponibilità del Servizio ad

incontrare TURKOGLU CIHAT, alla presenza di diplomatici ed in piena

sicurezza e riservatezza. Di ciò veniva messa a conoscenza la 2^ Divisione

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del SISMI, competente per l’Estero, con missiva del 3 giugno, alla quale

risulta allegata una nota manoscritta per il Direttore della 1^ Divisione, da

cui si evince che l’incarico di Addetto

Militare a Vienna era all’epoca ricoperto dal Col. SARDO. L’estensore

della nota, PETRUCCELLI, suggeriva di far partecipare all’incontro “il

Magg. SENO che ha seguito sin dall’inizio la vicenda”.

L’Addetto Militare a Vienna con messaggio del 5 giugno informava

il SISMI che il TURKOGLU risultava irreperibile e che gli accertamenti

svolti sia presso l’abitazione, che al posto di lavoro avevano dato esito

negativo. Il medesimo con messaggio del 10 giugno, ribadendo che il

TURKOGLU era irreperibile, suggeriva la soluzione di far contattare

dall’Ambasciatore d’Italia il collega turco o di interessare l’Antiterrorismo

austriaco.

Il 16 giugno la l^ Divisione informava la 2^ Divisione che

TURKOGLU non era rintracciabile e che erano stati interessati i Servizi

collegati austriaco e turco per acquisire notizie relative alla personalità,

identità, localizzazione ed attendibilità del sedicente cittadino turco

TURKOGLU CIHAT.

Quanto sopra veniva portato a conoscenza del Direttore del Servizio

con appunto datato 19 giugno 1981, e con missiva del 20 giugno veniva

informata l’Autorità Giudiziaria nella persona del Sostituto Procuratore di

Roma SICA.

Il Servizio turco con messaggio del 6 agosto 1981 riferiva che

TURKOGLU era noto per essere stato Direttore della “Associazione

Culturale Turco-Austriaca” in Vienna e che “secondo una informazione

“per sentito dire”, non confermata, il soggetto, alcuni giorni dopo

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l’incidente, si era rivolto al Consolato Generale Italiano in Austria allo

scopo di fornire informazioni sul tentato assassinio di Papa Giovanni Paolo

II”, chiedendo se ciò rispondesse a verità e in caso affermativo quali

affermazioni avesse fornito ai funzionari del Consolato.

La l^ Divisione del SISMI con messaggio del 30 settembre 1981

informava quel Servizio che TURKOGLU si era presentato, pochi giorni

dopo l’attentato al Papa, asserendo di essere in possesso di notizie

concernenti l’attentato e di aver chiesto protezione in quanto le

informazioni avrebbero coinvolto altri cittadini turchi residenti in Austria,

ma che in seguito si era allontanato rendendosi irreperibile. Il Servizio

turco con messaggio del 18 dicembre 1981 comunicava di non aver alcuna

notizia circa TURKOGLU.

*********

Cap. 1.3.2. La documentazione GORDON THOMAS su

TURKOGLU.

Il personaggio TURKOGLU riveste una particolare importanza,

tenuto conto che egli, se il suo tentativo di contatto, ad appena due

settimane dall’attentato, con l’Ambasciata d’Italia a Vienna, si fosse

realizzato, avrebbe potuto fornire utili notizie per l’inchiesta, in quel

momento ai primi passi.

Infatti, dalla documentazione esibita dal teste GORDON THOMAS

a questo Ufficio, in data 15 novembre 1983, verosimilmente consegnata

allo stesso dal cittadino austriaco barone Clemens VON BEZART, persona

legata al servizio segreto austriaco (la documentazione risultava poi essere

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effettivamente fotocopia di documenti di autorità austriache) emergeva che

il 10 giugno 1981 TURKOGLU CIHAT si era presentato spontaneamente

alla polizia austriaca e fornito informazioni su AGCA e sulla pistola

utilizzata per l’attentato al Papa.

In particolare aveva riferito:

- di trovarsi in Austria dalla primavera del 1980 e di svolgere l’attività di

sarto;

- di aver ricoperto la carica di Presidente della “Associazione Culturale

Turca in Austria” dal giugno al dicembre 1980;

- di avere conosciuto circa quattro mesi prima due connazionali l’uno di

nome HASAN e l’altro MAZLUM, che nell’occasione gli vennero

presentati da RAMAZAN SENGUN, anchesso un turco residente a Vienna;

- che nel mese di marzo l’HASAN ed il MAZLUM gli avevano chiesto se

era in grado di procurare armi;

- che in occasione di una loro visita presso la sua abitazione, avvenuta

intorno al 15 o 16 aprile del 1981, i due gli avevano mostrato due pistole di

tipo FN BELGIUM, 9 mm. a 14 colpi, e che costoro, sulla via del ritorno,

gli avevano chiesto se conoscesse ALI’ AGCA;

- di aver incontrato successivamente I’HASAN, il quale gli aveva detto di

dimenticare la storia delle armi e le domande su AGCA, giacchè altrimenti

non avrebbe più potuto garantire nè sulla sua incolumità nè su quella della

sua famiglia;

- che dopo l’attentato al Papa, l’HASAN si era fatto rivedere in due

occasioni, il 19 e 27 maggio, sottolineandogli che non avrebbe dovuto dire

nulla sui discorsi fatti su AGCA’ e che da quel momento era continuamente

sorvegliato. (v. deposizione TURKOGLU alla Polizia di Vienna, 01.06.81)

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Sulla base delle indicazioni di TURKOGLU veniva localizzato dalla

polizia austriaca, l’appartamento ove risiedevano i due turchi in Vienna 15,

Jheringgasse 33. Tale appartamento risultava abitato dai cittadini turchi

DURMUS UNUTMAZ e HASAN DABASLAN. Sotto tali nomi, com’e

noto, si celavano, rispettivamente, MEHMET SENER e ABDULLAH

CHATLI.

I funzionari di polizia austriaca sentiti a Vienna su rogatoria in data

10 dicembre 1985, confermavano le dichiarazioni che TURKOGLU aveva

loro reso a giugno del 1981. (v. Commissione Rogatoria a Vienna,

10.12.85)

Da quanto sopra si rileva che TURKOGLU, il giorno dopo le

dichiarazioni fatte alla polizia austriaca, si era presentato presso

l’Ambasciata d’Italia a Vienna con l’intento di offrire la propria

collaborazione, chiedendo soltanto protezione per sé e la propria famiglia.

Alla luce di ciò veniva, pertanto, espletata attività istruttoria al fine di

verificare il reale svolgimento dei fatti.

*****************

Cap. 1.3.3. Le testimonianze dei dipendenti dell’Ambasciata a

Vienna e del SISMI.

In data 7 novembre 1994 veniva raccolta la testimonianza

dell’Addetto Militare a Vienna, che nel giugno 1981 aveva interloquito con

TURKOGLU. Questi a prima battuta non rammentava alcunchè; soltanto a

contestazione della documentazione da lui originata e trasmessa al SISMI,

gli ritornava alla memoria la vicenda, e così dichiarava che TURKOGLU si

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era effettivamente a lui presentato, probabilmente indirizzato dai funzionari

dell’Ambasciata, e che nell’occasione l’Ambasciatore non volle essere

coinvolto. TURKOGLU gli aveva detto di essere il Capo dell’Associazione

Culturale turca, gli aveva chiesto “protezione per sé e la propria

famiglia; chiedeva indirettamente anche sostegno economico, giacché a

seguito di quello che intendeva dichiarare avrebbe dovuto tagliare i ponti

con i turchi di Vienna. Presi in considerazione la possibilità di ospitare lui e

la sua famiglia quanto meno temporaneamente nella sede dell’Ambasciata,

che ha dei locali nel seminterrato abitabili. Considerato l’atteggiamento

dell’Ambasciatore, scartai immediatamente questa eventualità. Il turco

voleva parlare con l’Ambasciatore. In questo quadro é possibile che egli si

sia presentato in Ambasciata e che sia stato poi diretto da me. Egli voleva

rendere dichiarazioni sull’attentato al Pontefice, ma di certo con me,

almeno in questa fase prima cioé delle garanzie, non ésceso in particolari,

di cui avrei sicuramente fatto menzione nel telegramma”. (v. esame

SARDO, G.I. 07.11.94)

Venivano anche raccolte le dichiarazioni dei sottufficiali SCINTU,

DELLA QUEVA e DE FILIPPO, che avevano prestato servizio - al tempo

dei fatti - presso l’Ufficio dell’Addetto Militare. Sia SCINTU che DE

FILIPPO non ricordavano nulla, mentre DELLA QUEVA rammentava di

aver “sentito dire che un tizio si era presentato presso l’Ambasciata

chiedendo di parlare con l’Addetto Militare per comunicazioni relative ad

una vicenda molto importante. Poiché in quel momento l’addetto militare

era assente dall’ufficio il tizio venne fatto ricevere da uno dei funzionari

civili dell’Ambasciata. Sempre per sentito dire seppi che questo tizio

avrebbe accennato ad una vicenda in cui erano coinvolti i c.d. “Lupi Grigi”.

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Io non vidi personalmente questa persona. Sono sicuro di ciò. Questa

persona dopo questo contatto scomparve dalla circolazione. Ricordo un

commento fatto in tono scherzoso dal Maresciallo TURCO, deceduto

tempo fa, relativo a questa persona che non

venne più rintracciata, del seguente tenore “questo qui forse lo fanno

fuori”. (v. esame DELLA QUEVA, G.I. 18.11.94)

In data 22 novembre 1994 veniva sentito il Gen. NOTARNICOLA,

al tempo dei fatti, Direttore della l^ Divisione, il quale non ha ricordato la

vicenda, nonostante la visione di sue annotazioni poste sui documenti del

Servizio concernenti i fatti. (v. esame NOTARNICOLA, G.I. 22.11.94)

Veniva sentito, in data 21 gennaio 1995, il Capo Centro del SISMI a

Vienna, Gen. MARINI, il quale escludeva di essere stato informato della

vicenda TURKOGLU. Ciò in quanto, al tempo dei fatti, egli non aveva una

collocazione ufficiale in quel territorio. (v. esame MARINI, G.I. 21 .01.95)

Venivano sentiti anche i Marescialli VENUTI e VERNAGLIONE

che svolgevano servizio presso l’Ambasciata di Vienna. Entrambi

escludevano di aver mai sentito parlare o di essersi occupati della vicenda

TURKOGLU. (v. esame VENUTI e VERNAGLIONE, G.I. 21.1.95)

Alla luce di quanto sopra venivano richieste alle Autorità turche, con

rogatoria del 10 gennaio 1995, notizie sulla reperibilità di TURKOGLU.

Quelle Autorità con nota del 16 maggio successivo comunicavano che non

era stato possibile rintracciare il TURKOGLU, né sapere alcunchè sulla sua

reperibilità. (v. Commissione Rogatoria alla Turchia, 10.01.95)

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Cap. 1.3.4. Considerazioni finali.

Come s’è già detto, la vicenda di questo personaggio, i nostri Servizi

non sono stati in grado, o non hanno voluto, scriverla. Essa invece è stata

scritta, e con completezza, da CELIK, che la conosce, dall’interno

dell’organizzazione, sin dall’inizio e ben ne sa svolgimenti, risvolti ed esiti.

TURKOGLU, contrariamente a quanto affermato dai Servizi, ha preso

contatto, ha rivelato quanto sapeva, è stato ricompensato. Non si riesce a

scoprire chi abbia gestito l’affare, dove siano stati presi i fondi, a chi siano

stati trasmessi i risultati dell’intera operazione.

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CAPITOLO QUARTO

L’arresto di ARSLAN SAMET

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Cap. 1.4.1. Il procedimento olandese.

Il 14 maggio 1985 alla stazione di Venlo (Paesi Bassi), posto di

frontiera con la Germania, era tratto in arresto il cittadino turco ARSLAN

SAMET, nato ad Agri (Turchia) il 14.12.1960, residente a Lione, 75 Rue

Barbusse, 69310 Pierre Benite. Costui, ad un controllo della polizia di

frontiera, aveva esibito un passaporto intestato a YEAN BERNARD IHEN,

visibilmente contraffatto nella data di nascita e su cui era stata apposta una

fotografia diversa da quella originale, nonché di un permesso di soggiorno

falsificato a nome di SERAFIN ALBIN nato a Satao (Portogallo) il

2.1.1960, recante la foto dello stesso SAMET.

Da un più accurato controllo veniva trovato in possesso di una

pistola marca FN matricola 77 C 54476 calibro 9, risultata carica con il

colpo in canna e con la sicura in posizione di “fuoco”.

L’arresto di ARSLAN si verificava in sospetta coincidenza con la

visita pastorale di Giovanni Paolo II in Olanda.

Le indagini esperite sul fatto portarono ad accertare che:

- ARSLAN SAMET, nato a Yigintepe (Turchia) il 14 dicembre 1960,

risultava ricercato dalle Autorità turche con mandato di cattura emesso in

data 11 aprile 1980 dal G.I. di Agri per l’omicidio di YLDIZ FEUZI ed il

ferimento di YLDIZ AHMET, fatti commessi il 2 aprile 1980. Inoltre a suo

carico sussistevano forti sospetti per altri tre omicidi. Dal bollettino dei

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ricercati esso era indicato quale appartenente al gruppo Ulkulu (gli

idealisti), estremisti di destra legati al partito turco M.H.P.;

- la pistola automatica Browning HP calibro 9 parabellum con matricola 77 C

54476 faceva parte della stessa partita di armi acquistate presso la ditta

“Wilhelm Glaser” di Zurigo dal

cittadino austriaco Otto TINTNER, dalla quale proveniva la pistola usata

da AGCA nell’attentato alla vita del Sommo Pontefice;

- l’ARSLAN risultava aver risieduto in Francia dalla fine del 1982 al

settembre del 1984. In questo Paese aveva richiesto asilo politico, ma tale

beneficio gli era stato rifiutato e gli era stato concesso soltanto un permesso

provvisorio di soggiorno;

- l’ARSLAN, interrogato dalla Polizia, aveva dichiarato di essere fuggito

dalla Turchia sul finire dell’anno 1981 o agli inizi del 1982, perché

perseguitato dal regime militare, dopo essersi procurato un passaporto su

cui apparivano generalità diverse dalle sue. Recatosi in Francia si era

stabilito a Lione; ma il suo soggiorno era divenuto illegale dopo lo

smarrimento del passaporto e la reiezione di una sua richiesta di asilo

politico. Per esigenze di difesa personale si era fatto recapitare in seguito da

suo padre, tramite altri turchi, una pistola dalla Turchia.

Il 12 maggio 1985 si era recato da Lione a Saarsbrucken e di qui a

Francoforte sul Meno (al momento dell’arresto veniva trovato in possesso,

tra l’altro, di un biglietto delle ferrovie tedesche da Francoforte ad

Emmerich/Venlo via Colonia). Il suo intendimento era di far ritorno in

Turchia, avendo saputo che la situazione politica nel suo paese era

notevolmente migliorata. Successivamente, non disponendo di denaro

sufficiente, aveva deciso di recarsi nei Paesi Bassi.

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Richiesto se in Olanda avesse parenti o conoscenti, dichiarava di

avere una zia all’Aja ed un conoscente, il cui nome e gli estremi del

recapito telefonico scriveva nel retro del biglietto ferroviario in suo

possesso: “70804048 ALI”. Da un controllo effettuato l’utenza risultava

intestata alla famiglia BURAK; alla chiamata della polizia rispondeva un

tale ALI TOKMAN che dichiarava di conoscere SAMET ARSLAN e di

attenderlo, avendo egli annunciato il suo arrivo dalla Germania. Più tardi,

mostratagli la foto del SAMET, questo TOKMAN dichiarava di non

conoscere la persona raffigurata, aggiungendo che nel corso della

precedente telefonata, aveva fatto riferimento ad altro SAMET.

Nel corso dell’interrogatorio svolto nella pubblica udienza del

12/6/1985 dal Tribunale Distrettuale di Roermond, il SAMET dichiarava,

tra l’altro, che il contenuto del rapporto della Polizia relativo al TOKMAN,

persona a lui sconosciuta, non rispondeva a verità, aggiungendo che non

aveva nessuna speciale intenzione di usare l’arma trovata in suo possesso,

che, per la verità, non gli era stata inviata dal padre, ma da amici in

Turchia, di cui - ovviamente - si rifiutava di fornire i nomi.

La pistola risultava - sì legge nel verbale della Gendarmeria Reale del

21 maggio 1985 - “in uno stato ottimo di manutenzione e che funziona in

tutte le parti componenti e in tutti i dettagli: l’arma era quasi nuova. Visti i

resti di polvere da sparo nell’arma e nella canna, si può evidenziare che da

poco tempo si è sparato con quest’arma. Dopo questi colpi non c’è stata

pulitura. Non si può determinare il periodo tra gli ultimi colpi e il sequestro

della pistola perchè esso può variare da 3 mesi ad un anno. Venivano,

nell’occasione, sparati due colpi di pistola al fine di effettuare una

comparazione con altro materiale agli atti di quel Paese. Comparazione che

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- si legge nel rapporto del Laboratorio Giudiziario del Ministero della

Giustizia datato 23 maggio 1985 - dava esito negativo.

ARSLAN - per questi motivi - veniva condannato dal Tribunale

Distrettuale di Roermond (Paesi Bassi) con sentenza del 12.06.1985 a tre

anni di reclusione.

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Cap. 1.4.2. Gli atti dell’inchiesta italiana.

Il 6 luglio 1985 ARSLAN SAMET veniva interrogato dal P.M., in

Olanda. Riferiva di non essere membro dell’Associazione dei turchi

idealisti, tentando di accreditare la versione che la pistola rinvenuta fosse

stata sostituita da ignoti con altra che aveva portato con sé dalla Turchia, e

di aver rinvenuto il passaporto intestato a IHLER casualmente in una

cabina telefonica. Riferiva inoltre di non aver mai conosciuto AGCA se

non dalla stampa. Dichiarava infine di non avere mai incontrato nè ORAL

CELIK nè ABDULLAH CHATLI. (v. esame ARSLAN SAMET, P.M.

06.07.85)

Nel frattempo AGCA indicava a questo G.I., nel corso

dell’interrogatorio del 26 ottobre 1985, che l’ARSLAN era stato uno dei

suoi complici nell’attentato al Sommo Pontefice, presente il 13 maggio

1981 a Piazza San Pietro con il compito di protezione della sua fuga

mediante esplosione di bombe panico. AGCA, inoltre, identificava in

ARSLAN l’uomo ripreso mentre fugge da Piazza San Pietro. (v. esame

AGCA, G.I. 26.10.85)

Pertanto, in data 26 novembre 1985, ARSLAN SAMET veniva

interrogato da questo Ufficio su rogatoria, ma non forniva utili elementi

all’inchiesta, rifiutandosi di rispondere e dichiarandosi vittima di un

complotto. L’interrogatorio continuava anche nei giorni seguenti, ma con

scarso risultato. Difatti ARSLAN continuava a non rispondere alle

domande,

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precisando, comunque, “non sono mai stato in Italia e non è vero che avrei

aiutato AGCA a compiere l’attentato contro il Papa”. (v. esame ARSLAN

SAMET, 26.11.85)

Il 26 novembre veniva anche raccolta la testimonianza di ALI

TOKMAN che dichiarava di ricordare la telefonata ricevuta dalla Dogana

di Venlo concernente ARSLAN SAMET e di avere chiarito in

quell’occasione di non conoscer costui. Ribadiva a questo Ufficio di non

conoscere ARSLAN SAMET e che in quel periodo presso la sua abitazione

si trovava un altro connazionale di nome ALI ARIKAN. (v. esame ALI

TOKMAN, 26.11.85)

Il 30 dicembre 1988 ARSLAN SAMET, nel frattempo estradato in

Turchia, veniva rinvenuto suicida all’interno della cella del carcere di Agri

ove si trovava recluso.

In data 20 luglio 1994 veniva richiesta alle Autorità dei Paesi Bassi

la consegna temporanea della pistola sequestrata ad ARSLAN SAMET.

Con missiva del 10 ottobre 1994 l’Interpol comunicava che quell’arma, in

base a quanto disposto dal Procuratore della Regina, era stata consegnata

alla Maréchaussée Royale per essere impiegata nelle esercitazioni e che,

dopo essere stata usata fino al 1987, era stata successivamente distrutta. (v.

rapporto INTERPOL, 10.10.94).

La vicenda di ARSLAN SAMET dimostra come per anni

l’organizzazione abbia tentato di onorare il mandato conferitole di attentare

alla vita del Pontefice. E in tal senso abbia inviato commando in diverse

parti d’Europa - un’ulteriore conferma si avrà nel 97 con l’attentato in

Bosnia Erzegovina -; trasferito armi; seguito continuamente i movimenti

del Papa.

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CAPITOLO CINQUE

L’omicidio di SULEYMAN CIMEN

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Cap. 1.5.1. Le indagini olandesi.

Il 22 ottobre ‘94, in Amsterdam, all’interno di un appartamento

ubicato al nr. 36/I di Eerste Keucheniusstrasse, veniva rinvenuto il corpo

senza vita del cittadino turco SULEYMAN CIMEN.

Dalle prime testimonianze si accertava che il soggetto era stato visto

in vita per l’ultima volta, in compagnia del connazionale HAYRETTIN

DOGAN e di uno sconosciuto. Il DOGAN si rendeva immediatamente

irreperibile e nel corso della perquisizione eseguita nel suo domicilio, ad

Hengelo, venivano rinvenute diverse lettere e varia documentazione, tra cui

un certificato di rifugiato politico intestato ad ATES BEDRI. Molte delle

missive rinvenute risultavano indirizzate ad una persona di nome BEDRI,

falso nome sotto il quale era stato arrestato, nel 1986, alla fronfiera franco-

belga, nel 1986, ORAL CELIK. In quell’occasione costui era stato arrestato

insieme ad altri tre connazionali, HAYRETTIN DOGAN, DUENDAR ALI

e GUENER SAHIN.

In particolare, dalla missiva datata 13.02.1993, a firma “SADI, 85 La

Roche S/Y”, che inizia con “Mio pregiato fratello Bedri” si legge: “Ieri

dopo il nostro incontro mi sembrava di possedere il mondo; dopo averti

lasciato l’amarezza in cuore sono andato all’Ambasciata. Là ho visto gli

amici del MIT ed abbiamo ridiscusso della tua situazione. Prima del 5

marzo ti richiederanno ufficialmente; prima ancora ti avevano richiesto in

Turchia, ma con la scusa che sei un rifugiato non ti hanno mandato. Ho

raccontato loro i fatti del processo e cioé che hai detto che non sei più

Bedri, ma che sei ORAL CELIK. Sono stati tutti molto contenti. Hanno

detto che “così il suo stato di

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rifugiato automaticamente svanisce e saranno obbligati a darcelo in

Turchia”. Però hanno detto che siccome sei rifugiato con una identità falsa,

forse ti daranno una piccola pena e poi ti consegneranno a noi”. L’estensore

della missiva continua, scrivendo di essere molto preoccupato del suo

eventuale rientro in Turchia, in quanto vi sono ambienti ai quali esso non

sarà certamente gradito, sottolineando che “alcuni tuoi argomenti

potrebbero infastidirli. Hanno il timore che vengano a galla. E quale sarà la

loro reazione contro di te? Hai considerato ciò? Devi stare molto attento,

che non ti succeda ciò che é successo a RAMAZAN GUNDUZ. Occorre

molta prudenza. Potrebbero esserti d’aiuto EYUP ERDEM e MEHMET

SENER di Olten in Svizzera”.

RAMAZAN GUNDUZ risulta essere il turco che rivelò alla Polizia

turca che AGGA era l’autore dell’omicidio del giornalista IPECKI e che

per tale motivo era stato ucciso il 3 febbraio 1980.

Il riferimento a EYUP ERDEM e MEHMET SENER evidenzia che,

a distanza di 12 anni dal crimine nei confronti del Pontefice, la rete di

assistenza sulla quale si era appoggiato ALI’ AGCA nel corso del suo

viaggio in Europa risultava ancora attiva ed operante.

L’estensore “SADI” continua riferendo che “Inoltre anche gli amici

del Consolato si stanno dando da fare per farti uscire un momento prima e

farti tornare in Turchia. Quando venne il Procuratore dalla Turchia, ti

ricordi di un amico del MIT che parlò a lungo con te? Si chiama BULENT

KARADENIZ. Lavora al Ministero degli Esteri presso l’Ambasciata. Ho

parlato con lui

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per circa due ore. Farà ciò che può, da questo punto di vista stai tranquillo,

fratello BEDRI”.

Nella missiva più volte vien fatto riferimento al servizio segreto

turco MIT come l’organismo al quale SADI si rivolge in Francia al fine di

aiutare CELIK a ritornare in Turchia. Ci si deve chiedere, a questo punto,

quale ruolo in tutti questi anni abbia ricoperto il servizio segreto turco nei

confronti di AGCA e dei suoi complici. AGCA alle domande concernenti il

MIT non ha mai fornito risposte soddisfacenti. Così come non ne sono

emerse altrove.

***********

Cap. 1.5.2. Le indagini italiane.

BULENT KARADENIZ, indicato nella missiva come agente del

MIT, dal rapporto della Digos romana dell’1 giugno 1991 risulta essere stato

presente, nel maggio del 1991, in qualità di interprete, all’audizione in

Francia di TEKGUL EKREM, cittadino turco giunto al seguito dei

Magistrati turchi per l’espletamento di una rogatoria concernente

l’identificazione di ATES BEDRI. In quell’occasione TEKGUL EKREM,

nel corso di un confronto all’americana, riconosceva nel BEDRI, ORAL

CELIK. L’agente del MIT risulta presente anche all’interrogatorio

dell’ATES BEDRI, sempre condotto da quella A.G.. Nella relazione allegata

al rapporto della Digos i funzionari estensori rilevavano che “Nonostante la

formula messa a verbale dal testimone sia stata tale da non lasciare ombra di

dubbio sulla bontà del riconoscimento, stranamente il magistrato turco ne ha

ridimensionato la portata asserendo che, a suo parere, esso poteva

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considerarsi valido al 50%. Tale opinione oltre che dei sottoscritti, non é

stata assolutamente condivisa neanche dai colleghi francesi, che, invece,

hanno espresso più volte l’estrema attendibilità del riconoscimento”.

Dagli accertamenti esperiti dalla D.C.P.P. non é stato possibile

accertare l’identità del “SADI”. Peraltro, il numero telefonico rinvenuto

nell’agenda sequestrata nell’abitazione di HAYRETTIN DOGAN, “l’amico

di ORAL - SADI in Francia 0933-51050878” è risultato inattivo e “le

ricerche effettuate sugli elenchi telefonici di LA ROCHE-SUR YON degli

anni ‘92, ‘93, ‘94 dirette ad individuarne i precedenti intestatari (tale tipo di

ricerca in Francia non é realizzabile con sistemi elettronici) hanno dato esito

negativo”.

Funzionario della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione,

delegato da questo G.I., svolgeva in Olanda rogatoria al fine di acquisire

ulteriori elementi utili all’inchiesta. Il funzionario con rapporto datato 13

febbraio 1995 riferiva:

- l’accusa contro HAYRETTIN DOGAN di essere l’autore dell’omicidio di

SULEYMAN CIMEN poggia essenzialmente sul rinvenimento di tracce del

DNA del DOGAN in una sigaretta lasciata a metà su un portacenere

rinvenuto accanto al cadavere; nel bagno inoltre venivano rinvenute le sue

impronte papillari.

- l’interrogatorio del DOGAN, nel frattempo tratto in arresto in Olanda,

condotto alla presenza dello stesso funzionario e della difesa non consentiva

di chiarire l’ampiezza dei rapporti fra il predetto ed ORAL CELIK,

conosciuto - a suo dire - nel carcere di Lille (F) e sempre con il nome di

ATES BEDRI, né ha permesso di accertare le ragioni per cui il DOGAN

conservava

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documenti di pertinenza dello stesso CELIK; il detenuto inoltre non forniva

utili indicazioni né per l’identificazione del “SADI” né sui contatti con il

servizio segreto turco, MIT.

Questa vicenda dimostra che la rete degli ULKULU è diffusa in tutta

Europa e particolarmente funzionante nei Paesi Bassi, ove stava per

consumarsi anche il secondo attentato al Pontefice. Dimostra altresì la

presenza ovunque di ORAL CELIK. Particolarmente illuminante in tal

senso la lettera dello sconosciuto SADI al “fratello BEDRI”, SADI che

ovviamente è un membro dell’organizzazione; che è a conoscenza di

molteplici fatti di ORAL CELIR; che riferisce, recandosi nella sede

dell’Ambasciata, ogni novità agli amici del MIT, cioè ai referenti

dell’organizzazione in seno al Servizio turco. Dimostra infine la perfetta

efficienza dell’organizzazione che riesce ad eseguire una propria

“sentenza” di morte ad Amsterdam, così provando anche un solido

insediamento in quel Paese.

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CAPITOLO SESTO

Il traffico di stupefacenti dei Lupi Grigi

Cap. 1.6.1. Il trasporto di droga dall’Italia alla Svizzera.

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Nel corso delle indagini per l’attentato al Papa sono emersi numerosi

indizi sulla esistenza di una organizzazione dedita al traffico internazionale

di armi e droga, facente capo a BEKIR CELENK, che, come si legge nella

sentenza della l^ Corte di Assise di Roma, MEHMET ALI’ AGCA ha

indicato come il raccordo tra i bulgari e l’organizzazione terroristica dei

“Lupi Grigi”, colui che dapprima in Sofia e in seguito a Zurigo avrebbe

trattato con lui, il CELEBI e il CELIK l’esecuzione dell’attentato al

Pontefice.

Purtroppo, durante il processo non è stato possibile sottoporre a

verifica dibattimentale questo particolare aspetto della oscura vicenda,

poichè il 14.10.1985 BEKIR CELENK è morto in Turchia, dove nel

frattempo era stato estradato dalla Bulgaria, che aveva sempre negato la sua

estradizione in Italia.

Nella stessa sentenza si ricorda, peraltro, che “già dal marzo del 1983

il Ministero di Grazia e Giustizia aveva richiesto al governo Bulgaro per il

tramite del Ministero degli Affari Esteri l’arresto provvisorio a fini

estradizionali di BEKIR CELENK, perchè colpito da altro mandato di

cattura emesso nei suoi confronti dal G.I. presso il Tribunale di Trento il

22.12.1982, per i reati di associazione per delinquere, violazione delle leggi

sulle armi e stupefacenti”.

Ora, a parte ogni altra considerazione sul ruolo svolto da BEKIR

CELENK nell’attentato al Papa, per quanto concerne il traffico di

stupefacenti merita di essere ricordato ciò che si scrive in sentenza su

OMER MERSAN, strettamente collegato al CELENK, con particolare

riferimento a quel finanziamento di

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una spedizione di Kg. 5,500 di eroina dalla Turchia in Germania

l’11.05.1982.

Del resto, che l’organizzazione terroristica “Lupi Grigi”, di cui faceva

parte anche ORAL CELIK, fosse dedita al traffico di droga lo dimostrano le

vicende successive all’attentato al Papa e in particolare gli avvenuti arresti

per traffico di stupefacenti di MEHMET SENER in Svizzera il 16.09.1984,

di ABDULLAH CHATLI in Francia il 24.10.1984 e di ORAL CELIK, alias

ATES BEDRI in Francia il 10.11.1986. Lo dimostrano, altresì, gli atti

acquisiti nel corso della rogatoria internazionale in Svizzera, relativi al

procedimento penale contro i tre su menzionati sempre per traffico di droga.

Il procedimento traeva origine da una complessa indagine su un

traffico internazionale di stupefacenti compiuta dalle autorità elvetiche e

definita “operazione MAISKOLBEN”. Questa operazione, della polizia e

della A.G. di Basilea, traeva le mosse da dichiarazioni di un cittadino turco,

tale BILICEN NEZAT, che, confessando la propria partecipazione al

traffico, ne aveva descritto con precisione e dovizia di particolari origini,

passaggi e destinazioni, chiamando in correità ben ventiquattro affiliati alla

organizzazione che lo gestiva, di cui ventitré connazionali e un cittadino

italiano. Tutti costoro sono stati perseguiti in Svizzera e la maggior parte di

essi anche condannata a non leggere pene detentive.

Tra i coimputati turchi, oltre ORAL CELIK, apparivano anche altre

figure rimaste coinvolte nell’inchiesta per l’attentato al Papa, come

ABDULLAH CHATLI, MEHEMET SENER, MAHMUT IANAN ed EYUP

ERDEM, i primi due facenti parte del livello direttivo dell’Organizzazione

dei Lupi Grigi, il terzo e il quarto riparati, subito dopo l’attentato, a Vienna

da Olten in Svizzera, presso i primi nel noto appartamento di Via

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Jheringgasse, ove più volte aveva fatto capo nel periodo precedente

l’attentato e sino al mattino del 13 maggio 81 MEHMET ALI’ AGCA.

Le dichiarazioni accusatorie di BILICEN NEVZAT, contenute in

numerosi interrogatori della Polizia Giudiziaria del Cantone di Basilea,

hanno trovato riscontro nelle indagini effettuate da quella Polizia, in primo

luogo nel sequestro, il 14.6.84, di un quantitativo rilevante - 250 grammi di

eroina - nei pressi di Dulliken, ove viveva il predetto BILICEN, parte di un

quantitativo ancor più rilevante - 3 chilogrammi - introdotti dall’Italia in

Svizzera.

Il traffico dell’organizzazione era iniziato nel febbraio del’82 ed

ebbe termine con detto sequestro nel giugno 84. Il denaro per l’acquisto

della droga era stato fornita dalle tre persone che s’è visto costituire, al

tempo dell’attentato a Giovanni Paolo II°, il livello dirigente dei “Lupi

Grigi” e cioè ORAL CELIK, ABDULLAH CHATLI e MEHMET SENER.

L’eroina doveva essere rivenduta, e in buona parte lo fu, al prezzo di

120.000 franchi al chilogrammo.

I tre chilogrammi erano stati portati a Milano dal turco SEREF

BENLI - perseguito in Svizzera - cui erano stati consegnati in precedenza

da un jugoslavo per incarico di altro turco, certo KOCAL FUAT - anche

egli finito nell’inchiesta di Basilea. Questo SEREF BENLI aveva chiamato

per telefono da Chiasso BILICEN NEVZAT presso la sua abitazione di

Dulliken e gli aveva chiesto di raggiungerlo a Chiasso, giacchè stimava

troppo pericoloso per lui, che non conosceva l’italiano, il passaggio della

dogana con l’eroina.

In effetti BILICEN NEVZAT aveva raggiunto l’Italia con la propria

autovettura, un’Audi 80, insieme alla moglie e ai due figli. Aveva

incontrato SEREF BENLI nei dintorni di Como in

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direzione di Milano, presso un supermercato GS. Più esattamente nelle

immediate vicinanze di questo supermercato, sullo stesso lato della strada,

vi era anche un fioraio e presso questo negozio era avvenuto l’incontro.

L’eroina era già stata nascosta all’interno della ruota di scorta, un

originale di Golf VW, dell’autovettura di SEREF BENLI, collocata nel

portabagagli. I due si scambiarono le macchine e BILICEN NEVZAT fece

salire la moglie e i figli su quella di SEREF BENLI. Così attraversarono la

frontiera. Subito dopo presero l’autostrada per Lugano e all’area di servizio

di Chiasso procedettero nuovamente allo scambio delle macchine, dopo

aver però tolto la ruota di scorta con l’eroina dalla vettura di SEREF

BENLI e averla messa in quella di BILICEN NEVZAT, che la porterà con

sè in Dulliken, ove provvederà a nascondere il carico di droga.

**************

Cap. 1.6.2. Gli Interventi di ORAL CELIK.

Sulla ripartizione e la vendita di tale carico, come sui compensi alle

persone che avevano partecipato all’operazione sorsero contrasti, riferiti a

BILICEN NEVZAT da ABDULLAH CHATLI, che gli comunicò anche

che per risolvere tali questioni sarebbe venuto nelle vicinanze della

frontiera con la Francia ATILLA alias ORAL CELIK.

Costui di lì a poco in effetti raggiunse l’abitazione di BILICEN

NEVZAT e gli chiese la ragione dei contrasti. Insieme da Dulliken si

recarono a Basilea, ove si presentarono alla abitazione di SEREF BENLI.

Nel corso del colloquio con costui ATILLA, nome usato da ORAL CELIK,

lo rassicurò dicendogli

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che avrebbe avuto i 30.000 franchi promessi, dopo che KOCAL FUAT

avesse venduto l’intero carico.

Dopo il colloquio ATILLA e BILICEN NEVZAT sono ritornati a

Dulliken, ove nell’abitazione del secondo, il primo è stato prelevato da

KOCAL FUAT. ATILLA nel corso di questi colloqui aveva chiesto quanta

eroina SEREF BENLI e BILICEN NEVZAT avessero presso di loro.

ATILLA aveva chiesto anche al solo BILICEN NEVZAT se si fosse

prestato ad ulteriori trasporti di eroina, promettendogli 50.000 franchi.

In occasione di uno dei diversi incontri tra ORAL CELIK, BILICEN

NEVZAT e SEREF BENLI, il primo aveva affermato che i traditori

venivano puniti con lo scotennamento. ORAL CELIK al tempo

dell’operazione e degli interrogatori abitava a Parigi, ove lo stesso

BILICEN si era recato a visitarlo. ORAL CELIK faceva parte

dell’Organizzazione, ed era nella gerarchia di essa secondo solo ad

ABDULLAH CHATLI, superando persino nei gradi d’importanza

MEHMET SENER. (v. rapporti finali, Procura di Stato del Cantone di

Basilea 05.09.84, Basilea 27.09.84 e Basilea 28.09.84, e interrogatori

BILICEN NEVZAT 13.08.84, 22.08.84, 25.08.84, 01.09.84, 03.09.84 e

COPUROGLU YUSUF 17.09.84)

Diversi tra gli appartenenti di questa Organizzazione, deve da ultimo

ricordarsi, nel corso degli anni sono stati arrestati nella flagranza di episodi

di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Lo stesso ORAL CELIK

era stato arrestato il 23 novembre 86 alla frontiera tra il Belgio e la Francia,

insieme ad altri tre connazionali, ATI DUNDAR, SAHIN GUNER e

HAYRETTIN DOGAN, con un carico di eroina e condannato il 4 maggio

88 a otto anni di reclusione dalla Corte di Appello di Douai. MEHMET

SENER era stato arrestato in Svizzera il 16 settembre 84 per commercio

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internazionale di eroina. ABDULLAH CHATLI in Francia il 24 ottobre

dello stesso anno, anche lui perchè in possesso di sostanze stupefacenti.

Questo prova, per chi ne avesse ancora bisogno, che

l’organizzazione esercita il traffico a livelli internazionale e con esso

rimpingua le proprie casse, che devono mantenere reti in patria e quasi

ovunque in Europa.

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PARTE SECONDA

La matrice e il mandato

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CAPITOLO PRIMO

Cap. 2.1. La pista bulgara

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La precedente istruttoria aveva acquisito molteplici indizi e prove

sulla pista bulgara, al punto da determinare il rinvio a giudizio di più

personaggi di quella nazionalità.

Tale pista però, che trovava il suo primo fondamento nelle

dichiarazioni di MEHMET ALI’AGCA, aveva già subito un colpo esiziale

nel successivo dibattimento per effetto delle farneticanti ritrattazioni di

costui, cosicché ne derivava l’assoluzione degli imputati bulgari, anche se

con l’allora vigente formula dubitativa.

Tale pista purtroppo, si affida alle sole dichiarazioni di AGCA - che

peraltro non ha assolutamente abbandonato il suo comportamento mendace,

contraddittorio e parareligioso, che anzi lo ha aggravato - lo si deve ribadire

- giacché ha sostenuto contro ogni evidenza la tesi del gesto ispirato, né

premeditato, né organizzato, di un autore senza complici né supporti - e

non convalidata o corroborata da prove estreme ed oggettive, ben

difficilmente può resistere. Orbene, AGCA in questa terza inchiesta, come

s’è detto, l’ha ripresa, poi ha cominciato ad abbatterla, sostenendo

1’“imbeccamento” CIA, infine l’ha definitivamente affossata, asserendo di

aver agito completamente da solo, e quindi con il chiaro intento a salvare

non solo i bulgari, ma anche i turchi.

Salvo a “proporla” nuovamente con la lettera del settembre 97, in un

disegno, come rileva anche il PM, di tentare ogni strada per giungere alla

liberazione.

Questa pista ha trovato, come si vedrà nel capitolo dei Servizi,

sostegno in fonti dell’Est ex comunista, che lentamente e con difficoltà si

stanno aprendo alle nostre indagini.

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Ma essa non è l’unica; altre ne sono emerse. Le dichiarazioni di

ORAL CELIK e le indagini su una immagine fotografica di AGCA, ne

hanno aperta un’altra, quella cd. interna, cioè risalente ad ambienti vaticani.

Sul suo valore si discuterà in prosieguo. Pista che si collega ad altra già

esplorata in altre inchieste, come quelle sugli assenti riciclaggi di danaro

sporco da parte dell’Istituto per le Opere di Religione, pista di difficilssimo

percorso, che infatti nonostante gli impegni degli inquirenti, non ha mai

dato risultati soddisfacenti.

V’è poi quella indicata da un personaggio legato per anni ad

ambienti libici, che colloca la matrice in questo Paese, a causa della linea

politica assunta dal Vaticano sulla questione del Ciad.

Ed infine un’ultima, mai tenuta in conto, quella del fondamentalismo

islamico, che è di certo dietro i Lupi Grigi del tempo come dietro quelli di

adesso nell’attentato di Sarajevo, e sulla quale si riverserebbe luce, se si

accertassero le ragioni della missione di AGCA in Iran prima del suo

viaggio in Europa.

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CAPITOLO SECONDO

La pista interna

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Cap. 2.2.1. La visita papale alla parrocchia di S.Tommaso

d’Aquino.

In conseguenza di quanto emerso dalle dichiarazioni di monsignor

SALERNO, dal fotografo MARI e dalla professoressa POLTAWSKA - di

cui si dirà nella parte terza - e per effetto delle ripetute affermazioni del

CELIK, secondo cui AGCA sarebbe stato portato a cerimonie con la

presenza del Papa e addirittura vi sarebbe stato fotografato presso

l’ecclesiastico partecipe al complotto, venivano rivisitati risalenti rapporti

di P.G., ove si riferiva di fotografie di persona somigliantissima ad AGCA,

scattate nel corso di una cerimonia pubblica con Santa Messa, celebrata dal

Pontefice in un quartiere romano.

Il parroco di San Tommaso d’Aquino ha confermato questa vicenda.

In particolare ha ricordato che alle riprese fotografiche e filmate erano stati

autorizzati due parrocchiani, i fotografi dell’Osservatore Romano e quello

pontificio, MARI. Le fotografie erano poi state messe in vendita presso la

parrocchia e le due persone incaricate - ovviamente nei giorni successivi

all’attentato - avevano notato immediatamente che in esse era raffigurata

una persona, presente alla cerimonia, somigliante all’attentatore del

Pontefice, la cui immagine era stata subito riprodotta in tutti i media. Ha

ricordato anche che le persone che apparivano nelle fotografie in questione

vicino a detto soggetto, interpellate da lui stesso e dalla polizia, avevano

dichiarato di non conoscerlo e di non averlo mai notato nel corso della

cerimonia. (v. esame TODINI, 15.09.94)

Anche PETROCELLI Daniele, uno dei parrocchiani incaricati delle

fotografie, ricorda con precisione il fatto. “Dopo

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l’attentato al Pontefice i telegiornali mostrarono la foto dell’attentatore al

Papa, che aveva alcuni particolari per me singolari. Ricordo con particolare

riguardo la frangetta dei capelli e i tratti somatici. Guardando con

attenzione le foto che erano state scattate nell’occasione della cerimonia,

notai una somiglianza di una persona ripresa sul luogo della cerimonia, con

la foto dell’attentatore al Pontefice. Tale somiglianza non fu notata solo da

me, ma anche da mia moglie e da mia cognata Anna Maria IACONELLI.

Nessuno di noi conosceva questa persona, quanto meno posso dire che non

era una persona che frequentava la parrocchia o che abitasse nella zona...

La sera stessa o il giorno dopo si presentò a casa mia un poliziotto che si è

qualificato della Digos, il quale ci ha chiesto in consegna la foto in cui

appariva la persona somigliante all’ attentatore... Ricordo che il poliziotto

al quale consegnai la foto, mi disse di non parlare a nessuno del fatto. Non

fu redatto verbale di consegna delle foto... Riguardando la fotografia quello

che mi colpì, oltre al fatto della somiglianza, era la presenza di questo

sconosciuto vicino a delle persone anziane di sesso femminile, sulle quali

emergeva sia come statura che come età... Mi sembra di ricordare che mia

moglie mi disse che dopo alcuni giorni venne avvicinata da un poliziotto...

che le disse di stare tranquilla in quanto la persona era un uomo della

scorta. (v. esame PETROCELLI Daniele, 22.09.94)

Conferme anche dalla moglie di costui. “...Notammo una

somiglianza tra una persona ripresa in un settore riservato e la foto

dell’attentatore al Pontefice... Ciò che più ci colpì nel vedere questa

persona, sono stati i caratteri somatici del volto, i capelli, in particolar

modo la frangetta, il trovarsi vicino a delle persone anziane, il fatto che

nessuno di noi lo conoscesse e che sicuramente non faceva parte né di quel

quartiere né della

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parrocchia. Ricordo che ci chiedemmo in che modo si trovasse in

quell’area che era riservata ai titolari dei permessi rilasciati dalla

parrocchia... La sera stessa a casa di mia sorella vennero dei poliziotti della

Digos, ai quali consegnai, a loro richiesta, alcune foto tra cui quella in cui

si vedeva la persona somigliante all’attentatore. Anzi le foto in cui si

vedeva l’attentatore erano due. Ci dissero di non parlare con nessuno della

vicenda. Sono sicura che le foto in cui si vedeva la persona somigliante

all’attentatore erano due. Una è quella che mi avete mostrato; l’altra

ricordo che era presa da un’altra posizione e la persona si vedeva meno; il

settore era lo stesso... Dopo qualche mese mi venne riconsegnata dalla

Digos soltanto una foto che avevo consegnato. In quell’occasione mi

dissero che la persona somigliante all’attentatore era stata identificata per

un uomo della Sorveglianza della Santa Sede. La foto che mi fu consegnata

è la stessa che mi avete mostrato. (v. esame IACONELLI Roberta,

22.04.94)

******************

Cap. 2.2.2. Le risposte di AGCA sulla vicenda.

Come s’è detto la vicenda della parrocchia di Tor Tre Teste avvenne

la domenica immediatamente precedente l’attentato e cioè il 10 maggio

dell’81. Su quel giorno AGCA era già stato interrogato nel lontano 82 ed

aveva così risposto “Nel tardo pomeriggio dello stesso 10 maggio (ricordo

che si trattava di una giornata domenicale) insieme - sono AGCA e il

sedicente SOTIR KOLEV; n.d.e. - ci portavamo in Piazza S.Pietro e

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notavamo che il Papa a bordo della sua “Mercedes” scoperta, verso le ore

16-17 usciva dal Vaticano per andare a fare una

visita pastorale; proprio in quella circostanza si conveniva che, ove

l’attentato non si fosse potuto realizzare nella Piazza S.Pietro, si sarebbe

potuto attuare in prossimità di una uscita della basilica che è in

corrispondenza proprio con il balcone da cui il Papa si affaccia quando la

domenica fa i discorsi ai fedeli”.(v. interrogatorio AGCA, G.I. 28.02.82)

Nell’interrogatorio del 95, successivo agli accertamenti di cui alle

pagine precedenti, egli conferma quella versione, e specifica a domanda:

“Non chiesi dove andasse il Papa, uscendo dal Vaticano. Escludo di sapere

già quale fosse la destinazione del Papa. Non avevo macchina, non potevo

quindi seguire il Papa.” Poi qualche incerta ammissione: “Non posso

escludere di aver visto un’altra volta il Papa. Ciò dovrebbe essere pochi

giorni prima dell’attentato, casualmente, nella Piazza San Pietro. Girava

con la macchina sul piazzale.” Poi di nuovo un deciso passo indietro: “Non

ho mai preso parte ad udienze del Papa. Escludo di aver visto il Papa in

manifestazioni fuori San Pietro”.

Mostratagli la fotografia in questione, egli reagisce con risposte di

rilevante interesse, specie a seguito delle contestazioni e degli inviti

dell’inquirente, risposte che meritano di essere integralmente riportate:

“Prendo visione di fotografia riproducente una folla accanto al Pontefice.

Queste foto le ho viste tante volte. Me le ha fatte vedere il Giudice

MARTELLA. Anzi devo precisare: se questa non è una foto del giorno

dell’attentato, devo dire che mi sono state mostrate solo quelle del giorno

dell’attentato. Se non è del giorno dell’attentato, forse non l’ho mai vista.

In essa non conosco nessuno, e poi che cosa cambia? L’Ufficio da’ atto che

la fotografia non è stata scattata il giorno dell’attentato ed invita

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AGCA a meglio osservare la fotografia. Risponde: “Non riconosco

nessuno”.

L’Ufficio invita AGCA a meglio guardare la figura del giovane che

appare con frangetta e capelli sulle orecchie. Risponde: “Non mi

assomiglia. Non sono io. Non è nemmeno uno dei miei complici, che erano

a Roma in quel periodo. Probabilmente il giorno della fotografia non ero a

Roma”.

L’Ufficio da’ atto che la fotografia fu scattata il giorno 10 maggio

1981 nel pomeriggio, a breve tempo dall’uscita del Pontefice da Piazza San

Pietro, di cui s’è detto sopra e a cui esso AGCA era stato presente. “Non

ricordo di essere stato nel luogo che appare nella fotografia. Ricordo di

aver visto il Papa solo una o due volte e a San Pietro. Quella domenica 10

maggio ho girato per Roma da solo. SEDAT SIRRI KADEM l’ho visto il

lunedì, lo stesso giorno in cui ho incontrato ORAL CELIK. In relazione

alle dichiarazioni rese da CELIK in data 12.01.94 relative al mio soggiorno

a Jheringgasse, devo dire che si tratta della versione di CELIK, che solo in

parte risulta conforme alla verità. Quando CELIK dice di avermi incontrato

in Europa soltanto a Vienna, lo afferma in quanto egli è stato assolto nel

processo per l’attentato al Papa”. (v. interrogatorio di AGCA, 18.01.95)

AGCA, come ben si nota, non sa dare risposta su come passò quel

pomeriggio del 10 maggio. Non si sofferma sull’immagine di colui che gli

somiglia. Invitato a soffermarvisi, asserisce, senza alcuna spiegazione, che

quella persona non gli somiglia. Ma di massimo interesse è

quell’affermazione di poche righe precedenti “In essa non conosco

nessuno, e poi che cosa cambia?”. Che la dice lunga sulle reali percezioni

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dell’imputato e sui tentativi qui non riusciti - capita anche a persone come

il nostro - di nasconderle all’esterno.

Sulla somiglianza tra il personaggio effigiato nella fotografia ed

AGCA, l’AGCA di quel periodo, come appare nella fotosegnaletica

scattata subito dopo il suo arresto e cioè tre giorni dopo, è impressionante.

Né si può sostenere, come pure si è sostenuto, che quell’uomo fosse un

uomo della scorta - intesa nel senso delle forze della Polizia di Stato - o

della Sorveglianza Pontificia. Di certo di una tale persona sarebbe stata

fornita, sin dal tempo, fotografia, proprio ad escludere ogni dubbio. D’altra

parte una persona addetta alla protezione del Pontefice, non si sarebbe

collocata a quella distanza dal Pontefice stesso, né, a maggior ragione, si

sarebbe collocata in un area ove tutti coloro che vi erano acceduti, lo

avevano fatto a seguito d’invito, inviti che come si vedrà erano

particolarmente selezionati. D’altronde quegli era tra suore e donne anziane

e quindi tra persone dalle quali non poteva venir pericolo al Papa. Infine

esso appare così male in arnese, da non sembrare assolutamente una

persona addetta alla Sicurezza del Pontefice.

Non è assolutamente uno dei parrocchiani, perché non lo riconosce

né il parroco né gli altri fedeli presenti in quella occasione.

La forma della testa, degli occhi, delle sopracciglia, del naso, il

segno della barba e dei baffi di colore scuro, la stessa inclinazione della

testa, ed ancora il taglio dei capelli ricadenti sulle orecchie in modo da

coprirle quasi a metà e con la frangetta sulla fronte a pochi centimetri dalle

sopracciglia, appaiono identici.

Se costui non è AGCA, ne è di certo un perfetto sosia.

Ma il fatto che più induce a procedere nelle indagini è la posizione

da questa persona occupata. Essa si trova nel momento in cui il Pontefice si

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muove a pochi metri dall’Augusta Persona. Tra di loro vi sono al massimo

quattro

file di persone. E si trova in un’area ad accesso riservato; per la quale

occorrono ovviamente speciali inviti.

****************

Cap. 2.2.3. I permessi di accesso alla cerimonia.

In effetti come riferito dal parroco TODINI - che ben ricorda orari e

particolari della visita papale alla sua parrocchia e riconosce con precisione

nelle fotografie di quell’evento i prelati prossimi al Papa e cioè il Cardinale

Ugo POLETTI, al tempo Vicario del Papa per la Diocesi di Roma;

monsignor Luigi del Gallo di Roccagiovine, assistente del Santo Padre;

monsignor MARTINI Prefetto della Casa Pontificia; Monsignor

MONDUZZI, responsabile della Vigilanza al Pontefice e all’epoca

dell’esame testimoniale Prefetto della Casa Pontificia; ed inoltre il

segretario particolare e il cameriere personale del Pontefice e gli addetti

alla sicurezza in abito scuro - il nostro personaggio si trova in un spazio

riservato.

Le procedure di accesso a questi spazi - rammenta sempre don

TODINI - erano particolarmente rigorose e venivano controllate sia dai

parrocchiani addetti che dagli incaricati della sicurezza della Santa Sede. I

permessi di accesso erano rilasciati soltanto dalla Parrocchia e dalla

Prefettura Pontificia.

Don TODINI consegna poi lo schema che fu redatto per quella

cerimonia e nel quale ben si notano i diversi settori e cioè “coro”, “servizi”,

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“radio vaticana”, “comunicandi”, “parrocchiani” ed “ospiti”.

I permessi provenienti dalla parrocchia - si vedranno poi, dall’esame

del padre della ORLANDI, le caratteristiche di quelli rilasciati dalla

Prefettura Pontificia - erano di due colori, verde per le persone che avevano

accesso presso la zona “parrocchiani ed ospiti”, arancione per quelle con

accesso alle zone “comunicandi e coro”.

La persona somigliante ad AGCA si trova, al momento della

fotografia, nel settore “comunicandi”, e perciò di coloro che più potevano

avvicinarsi al Papa, a destra guardando l’altare. Essa perciò, secondo le

regole di accesso a quello spazio, doveva essere in possesso del relativo

permesso. Ma, aggiunge sempre Don TODINI, non può escludersi che,

essendo la cerimonia al termine, essa sia potuta entrare in quell’area senza

permesso, favorito dalla ressa di coloro che volevano avvicinarsi al Papa e

da un calo di attenzione degli addetti alla sicurezza.

Don TODINI specifica anche che coloro che erano muniti di

permesso della Prefettura erano circa venti, come comunicato dalla stessa

Prefettura nella persona di mons. MONDUZZI nel corso dei preparativi

della visita. Mons. MONDUZZI non trasmise l’elenco nominativo degli

invitati; tra di loro c’erano degli stranieri; e quanto a costoro mons.

MONDUZZI specificò che si trattava di singoli e non di gruppi organizzati,

senza però far riferimento alle loro nazionalità. (v. esame TODINI Pietro,

G.I. 15.09.94)

*********

Cap. 2.2.4. Le dichiarazioni di ORLANDI Ercole.

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Dipendente all’epoca - vi era stato nominato il 1° giugno 80 da

mons. MARTIN - della Prefettura della Casa Pontificia era ORLANDI

Ercole, padre della ragazza Emanuela scomparsa il 22.06.83, con le

mansioni di commesso del Palazzo Apostolico. Costui riferisce con

precisione le competenze della Prefettura e le procedure per il rilascio degli

inviti: “Il mio ufficio si trova all’interno della sede della Prefettura della

Casa Pontificia, che si trova dopo il portone di bronzo lungo la scala di Pio

IX che porta al cortile di S. Damaso. L’accesso non è aperto al pubblico. E’

consentito l’accesso alle persone che devono prenotare o ritirare inviti alle

udienze pontificie pubbliche. Gli inviti alle udienze private del Sommo

Pontefice sono portati personalmente dal mio Ufficio. Questo Ufficio è

composto solo da me e da un mio collega, BELLEGIA Stefano, che tuttora

è cittadino italiano. Abbiamo l’obbligo di essere disponibili ventiquattr’ore

alternativamente... La Prefettura della Casa Pontificia - già Prefettura del

Palazzo Apostolico a partire dalla riforma di Paolo VI e prima Camera

Pontificia - ha tra le sue incombenze: le cerimonie pontificie non religiose

per quanto concerne gli inviti; gli inviti delle udienze sia pubbliche che

private; le visite per la presentazione delle credenziali del Corpo

Diplomatico; l’organizzazione dei viaggi del Santo Padre in Italia.

Gli inviti per le cerimonie e le udienze pubbliche sono consegnati il

giorno prima a mani dall’Ufficio Centrale di Vigilanza, già Gendarmeria

Pontificia, nell’ambito di Roma. Per fuori Roma si lasciano al Portone di

Bronzo presso la Guardia Svizzera. A questo lavoro sovrintende il mio

Ufficio. Io e il mio collega provvediamo personalmente a distribuire le

lettere ai vari vigili. Per quanto concerne le udienze private gli inviti sono

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portati personalmente da me e dal collega. Questa è una prassi che dura da

sempre. Questo è il mio lavoro esclusivo.

Qualche volta può capitare tuttora - questa prassi era in uso sino a Paolo VI

e fu molto praticata al tempo di Giovanni XXIII - che siamo chiamati per il

recapito di plichi privati del Santo Padre e del suo Segretario Particolare.

La Segreteria di Stato ha un servizio proprio, effettuato con commessi della

Segreteria di Stato, per il recapito dei propri plichi.

Le visite pastorali, che in genere il Pontefice compie la domenica

nelle parrocchie romane, sono organizzate dalla Prefettura della Casa

Pontificia. In questi casi la Prefettura manda tramite nostro, al Parroco delle

Chiese visitate un certo numero di biglietti di invito per le persone

ammesse al baciamano. Si tratta di biglietti non nominativi, che vengono

distribuiti a cura del Parroco ai fedeli e ai collaboratori meritevoli di essere

ammessi al baciamano.

I biglietti che noi recapitiamo ai Parroci per queste visite pastorali a

volte sono dello stesso colore, a volte di più colori, a seconda delle

esigenze delle diverse parrocchie. I colori distinguono le categorie delle

persone che saranno invitate alla cerimonia. Non capita che da parte nostra

siano recapitati biglietti per le visite pastorali a persone diverse dal parroco

visitato. Potrebbe capitare che il Prefetto indirizzi persone dal Parroco

perché le sistemi alla cerimonia parrocchiale. Questa è una facoltà che

compete solo al Prefetto. A dir il vero può anche capitare che qualcuno di

servizio alla cerimonia possa far passare in via amichevole persone non

appartenenti alla Parrocchia. (v. esame ORLANDI Ercole, G.I. 22.03.95)

In un esame successivo L’ORLANDI ritornando sull’argomento,

precisa: “Per quanto concerne la questione dei recapiti dei biglietti di invito

alle cerimonie e alle udienze, devo dire che ho una buona memoria e quindi

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mi sarei ricordato del nome di AGCA se gli avessi recapitato un biglietto di

tal genere. Certo il giorno dell’attentato AGCA non aveva

usufruito di un biglietto di invito, perché si trovava in una zona ove

l’accesso era libero. Non ritengo di averne recapitati nei giorni precedenti,

a meno che la richiesta non fosse stata effettuata da altri o sotto falso nome.

Ricordo che di un’ipotesi del genere si parlò nell’83, dopo il rapimento di

mia figlia. Ho mandato diverse volte i biglietti all’ISA di Via Cicerone;

come si mandano a diversi altri alberghi o pensioni di Roma, perché molti

pellegrini chiedono questi inviti prima del loro arrivo a Roma indicandoci

in quale albergo alloggeranno. Noi abbiamo già richieste per l’anno

prossimo con l’indicazione del luogo d’alloggio ove dovremo mandare i

biglietti. Proprio martedì ho mandato due buste all’ISA per l’udienza di

ieri. Si trattava di due inviti individuali.(v. esame di ORLANDI Ercole del

23.03.95)

Nuovamente citato e interrogato oltre che sull’argomento, sulle

possibili cause della scomparsa della figlia, egli ulteriormente specifica ed

aggiunge interpretazioni e circostanze di sommo interesse che merita

integralmente riportare: “Con riferimento ai biglietti di invito per le

cerimonie e le udienze, preciso che gli stessi sono recapitati materialmente

dai vigili e cioè dai dipendenti del Servizio di Vigilanza, ai quali

personalmente consegno gli inviti da distribuire, in ordine di giro, cioè

secondo un itinerario più razionale da me predisposto. In relazione al

periodo precedente la scomparsa di Emanuela, ritengo di aver tuttora

conservato un registro nel quale ho annotato i nominativi dei beneficiari

degli inviti da me recapitati, limitatamente alle udienze private del

Pontefice. Altrettanto non posso dire per le udienze pubbliche in ordine alle

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quali trascorso un anno all’incirca dalla richiesta la relativa

documentazione viene distrutta.

Gli inviti vengono recapitati, come ho già spiegato, un gran numero oltre

che presso abitazioni private, anche negli alberghi della città: quanto a questi

ultimi si va dall’Exelsior alle piccole pensioni perché le richieste sono

numerosissime. Agli alberghi deve poi aggiungersi un gran numero di istituti

religiosi ai quali vengono recapitati attraverso i vigili.

La distribuzione degli inviti avviene con le modalità da me sopra

precisate per coloro che ne fanno richiesta; chiunque tuttavia può presentarsi

presso la Prefettura della Casa Pontificia, ingresso al portone di bronzo, a chiedere

ed ottenere un biglietto senza alcune formalità e ciò per quanto riguarda sia le

udienze papali sia le cerimonie - il rifiuto è legato solo all’esaurimento dei

biglietti.

Prendo atto delle circostanze che mi rappresenta la S.V. in ordine al

possibile collegamento tra la scomparsa di mia figlia Emanuela e l’attività da me

svolta e di cui ho parlato sinora. Purtroppo in tanti anni durante i quali mi sono

chiesto perché fosse stata rapita, non sono riuscito a dare una risposta, e ciò per la

semplice ragione che a me non sono pervenute richieste o pressioni di alcun

genere, trattandosi di mia figlia infatti, avrei immediatamente collaborato con gli

inquirenti.

Ribadisco che inizialmente ho ipotizzato che mia figlia fosse stata rapita

al posto di Raffaella GUGEL, figlia dell’Aiutante di camera di Sua Santità Angelo

GUGEL.

Quest’ultimo infatti, mi aveva riferito che la figlia manifestava

preoccupazione, perché riteneva di essere seguita da qualcuno. Le due ragazze non

si somigliavano fisicamente, mentre tutti sostenevano la mia somiglianza con il

padre di Raffaella; somiglianza che crea tuttora degli equivoci. In ultima analisi se

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l’obiettivo reale fosse stato quello di rapire Raffaella GUGEL, ciò potrebbe essere

accaduto nell’ipotesi in cui il padre di costei, in ragione del proprio lavoro, avesse

avuto occasione

di apprendere qualcosa che doveva rimanere segreta. Fra l’Aiutante di

camera del Pontefice e la Vigilanza vi sono stati rapporti di fiducia e di

collaborazione, essendo stato lo stesso GUGEL dipendente della

Gendarmeria sotto Paolo VI, prima che il servizio fosse stato

smilitarizzato”.(v. esame di ORLANDI Ercole del 20.06.95)

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CAPITOLO TERZO

Cap. 2.3. Valutazione della pista interna

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Le dichiarazioni di ORAL CELIK - persona, lo si ribadisce che sa, e

sa, adesso che è scomparso ABDULLAH CHATLI, più di tutti, per il suo

livello nell’organizzazione; e sa di certo più di MEHMET ALI’ AGCA -

già di per sé inattendibili per il suo porsi al di fuori dei fatti, come narratore

neutro, come persona cui tutto è stato riferito, ma a nulla ha partecipato, si

deve dire, hanno ricevuto rarissimi riscontri, in particolare quelle che

hanno chiamato in causa personaggi della S. Sede. Nonostante siano state

acquisite riprese per un lungo arco di tempo prima dell’attentato, in

nessuna di esse è emersa la presenza di AGCA a cerimonie religiose, tanto

meno con la partecipazione di cardinali. D’altronde le indicazioni di

CELIK sull’argomento sono a tal punto confuse da apparire fantasiose con

palesi contenuti di calunnia.

Restano soltanto le fotografie di S. Tommaso d’Aquino. Lì in effetti,

AGCA è ripreso nel corso di una cerimonia in cui è presente il Pontefice.

Egli si trova in un’area ad accesso riservato ed è prossimo al Papa.

Nonostante la sua incredibile negativa, che però di fatto nell’ultima battuta

si trasforma in una implicita ammissione, egli ha seguito il Papa ed ha

avuto modo di “studiarlo” da vicino. D’altronde egli è un “killer serio” e

questa sua “professionalità”, gli imponeva sopralluoghi a cerimonie

religiose ed osservazioni sulla vittima designata.

Come egli fosse potuto accedere all’area che s’è detto, non si è

riuscito a chiarire. E quand’anche ciò fosse avvenuto per regolare invito

proveniente dal Vaticano, non si è riusciti a comprendere per quali canali.

Lo stesso è a dire, ove le precedenti circostanze fossero state confermate,

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sulle modalità di consegna del plico contenente l’invito. Giacchè non s’è

raggiunta prova che quel biglietto fosse stato portato

dall’ORLANDI, che pure svolgeva questa funzione e ne ha recapitati,

durante il suo servizio, all’ISA di via Cicerone.

Anche altre indicazioni come quelle del versamento di danaro in pro

di persona di sesso femminile e cittadinanza turca, su un conto della banca

vaticana, come si vedrà in seguito, non hanno avuto riscontri.

La cd. pista vaticana pertanto, si può affermare, non ha sortito

sostegni di prova, e deve, quanto meno allo stato, essere abbandonata.

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CAPITOLO QUARTO

Cap. 2.4. La pista libica

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A conclusione del capitolo sulle possibili matrici dell’attentato, una

pista mai indicata prima è quella di cui riferisce tal CUK Liliana,

personaggio emerso agli atti dell’inchiesta sulla strage di Ustica, su cui più

volte ha reso dichiarazioni

Costei, di origine croata, è un personaggio sufficientemente addentro

alle vicende mediorientali e nordafricane,- sia perchè è stata compagna e

convivente del cugino del leader libico GHEDDAFI per diversi anni ed è

vissuta a lungo in quel paese, sia perchè cura interessi ed affari di

molteplici parti in quell’area, prestando non raramente la sua opera, a sua

detta, anche a Servizi occidentali.

Sull’attentato al Sommo Pontefice, ha riferito che i mandanti di

questo delitto devono essere ricercati tra gli esponenti più alti del regime

libico e segnatamente il colonnello stesso GHEDDAFI. L’azione

commissionata ai Lupi Grigi, sarebbe stata motivata dalla necessità di

compiere una ritorsione rispetto alla posizione filo-francese assunta dal

Papa sulla questione del Ciad, e al successivo diniego ad una visita, già

concordata, dello stesso leader libico a Giovanni Paolo II°, in cui la vicenda

sarebbe stata oggetto di approfondite discussione politica. Nel corso delle

trattative preliminari all’incontro, il regime libico avrebbe erogato notevoli

somme di danaro a beneficio di “attività” condotte dal Vaticano e stipulato

contratti a beneficio di aziende di Paesi “vicini” alla Santa Sede.

I contatti e i piani per l’attentato sarebbero stati presi e concordati in

Svizzera tra il massimo esponente del Servizio libico in Europa, di cui però

la CUK non fa il nome, asseritamente per motivi di cautela personale, ed

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ORAL CELIK. In quelle stesse occasioni e in incontri successivi sarebbe

stato concordato di far ricadere la responsabilità dell’attentato

nell’area dei Paesi dell’Est, in particolare sulla Bulgaria, giacchè essi

sarebbero apparsi intuitivamente per l’opinione pubblica come i fruitori, in

termini politici, dei maggiori benefici dell’operazione. L’azione di

disinformazione sarebbe stata effettuata, fornendo ad AGCA in Austria una

serie di elementi di conoscenza su “personaggi bulgari” gravitanti in Italia.

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CAPITOLO QUINTO

Cap. 2.5. La pista islamica

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Gli Ulkulu sono islamici stretti, come spesso s’è visto; difendono la

patria e l’ideologia della Grande Turchia.

Con gli attentati al Papa potrebbero mirare, specie dopo il crollo del

comunismo - perchè gli attentati sono proseguiti anche dopo la caduta del

muro e della Bulgaria comunista - alla figura spirituale in sé del Papa e non

come anticomunista.

Con l’attentato di Sarajevo si insinuano nel conflitto cristiano-

mussulmano in Bosnia e non hanno nulla a che fare con il contrasto tra

comunismo ed anticomunismo.

Luce verrebbe, se accertassimo la natura della missione di AGCA in

Iran.

Se era vero che il comunismo aveva come obiettivo il Papa Woytila

e l’Iman Khomeini, era anche vero che Khomeini odiava sia l’occidente

capitalista che l’oriente comunista, dominati entrambi da ideologie

irreligiose ed atee; e lo stare a Tabriz da solo, per più mesi, forse è più

indicativo di una preparazione di progetti su obbiettivi all’esterno di quel

Paese che al suo interno.

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CAPITOLO SESTO

Cap. 2.6. Conclusioni

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Quindi più matrici possibili.

Tra le tante, quella però che tuttora riceve più indicazioni resta quella

bulgara. E non solo per le molteplici riprove che essa, nonostante AGCA,

aveva sortito, ma anche perchè, come si vedrà nella prossima parte sui

Servizi, rivelazioni d’interesse emergono dagli archivi dell’Est ex

comunista, che per più versi danno sostegno a quella prima pista.

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PARTE TERZA

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I rapporti con la Santa Sede

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CAPITOLO PRIMO

Cap. 3.1. L’instaurazione di rapporti con la S.Sede

Le risultanze di cui alla parte 2^ ed altre, come il messaggio di DE

MARENCHES, le dichiarazioni di alcuni ecclesiastici, le indagini sullo

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IOR, così come la necessità di acquisire gli atti compiuti dalle Autorità

vaticane, determinarono l’inaugurazione dei rapporti con la S. Sede.

Le dichiarazioni di ORAL CELIK, in particolare quelle relative al

deposito dell’ingente somma in dollari su conto presso l’Istituto per le

Opere di Religione dello Stato della Città del Vaticano, determinavano

nuova rogatoria alle Autorità di questo Stato, al fine di accertare:

1. se effettivamente il conto indicato da CELIK e cioè il n. 343 fosse

o fosse stato, nella titolarità di persona di cittadinanza o comunque di

origine turca, ed in caso positivo quali ne fossero le sue generalità; 2. se

vi fosse versata comunque la somma sopra indicata o pur sempre somma di

rilevante entità nel periodo precedente o successivo all’attentato al

Pontefice; 3. se comunque esistesse all’epoca conto intestato a persona di

cittadinanza od origine turca, in cui era stata versata somma

dell’ammontare predetto o similare ; 4. in caso di riscontri positivi, da

quale ente o persona fisica fosse stata effettuata quella provvista e quali

fossero state le successive movimentazioni del conto.

A tali fini si chiedeva:

1. di esaminare il titolare all’epoca dell’Istituto delle Opere di

Religione sul fatto; 2. di acquisire copia della documentazione bancaria di

quel conto.

Sulla base della negativa già espressa, in rogatoria di cui si dirà oltre,

non si formulava richiesta di partecipazione alla esecuzione degli atti. (v.

Rogatoria Città del Vaticano, 03.09.94)

Il promotore di Giustizia presso il Tribunale dello Stato della Città

del Vaticano, lette le richieste e vista, come di regola, la normativa vigente,

ritenne, “confermando innanzitutto la

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piena disponibilità dell’Autorità Vaticana nello spirito di cortesia cui

si richiama il richiedente, che:

a) si potessero effettuare accertamenti e trasmettere

notizie relative ai nn. i e 2 delle richieste;

b) che non fosse accoglibile quanto richiesto ai nn. 3 e

4, primieramente perché la genericità della qualità della persona

(“cittadinanza od origine turca”) rende eccessivamente esteso il settore di

indagine e determina dubbi sulla legittimità del procedere;

c) quanto alle richieste riguardanti le indagini

“all’esito”, sembra che fosse possibile accogliere la richiesta n. 2, e non

quella n. 1 perché la persona “de quo” trovavasi all’epoca all’estero”.

Parere cui si adeguò il Tribunale. (v. provvedimenti 29 e 30.09.94).

Di conseguenza il Giudice Relatore si recò negli Uffici dell’Istituto

per le Opere di Religione, ove sentì il commendatore Celio SCALETTA,

vice Direttore Generale di detto Istituto, e il dottor Pier Giorgio

TARTAGLIA, Capo Ufficio Contabilità e Amministrazione Generale, e

consultò, di quell’Istituto, gli Archivi e il sistema informatizzato. E così

ricavò che:

1) “non esiste allo stato nè poteva esistere negli anni ottanta e

neppure precedentemente (almeno sino agli anni cinquanta) un conto

corrente presso lo I.O.R. contraddistinto dal n. “343” o comunque di tre

sole cifre;

2) l’identificazione dei conti presso l’Istituto, quale che sia la modalità o il

tipo di deposito effettuato, avviene da oltre venti anni, attraverso tre gruppi

numerici con l’aggiunta finale di una lettera alfabetica (del tipo 000-0-

0000-A);

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3) l’apertura di conti correnti o comunque di rapporti bancari presso

lo I.O.R. avviene esclusivamente a favore di Enti o persone fisiche che ne

abbiano titolo, a motivo del loro rapporto con la Sede Apostolica, e non già

indiscriminatamente a favore di qualsivoglia richiedente. Tale criterio è

seguito con particolare rigore nel caso di soggetti provvisti di cittadinanza

o comunque di nazionalità estera;

4) per quanto attiene alla eventuale intestazione di conti correnti a

favore di persone fisiche di nazionalità turca, i funzionari interpellati si

riservano di comunicare quanto prima gli esiti delle ricerche di archivio al

riguardo.” (v. verbali acquisizione notizie, 01 .10.94)

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CAPITOLO SECONDO

Cap. 3.2. L’informativa DE MARENCHES

Cap. 3.2.1. Le dichiarazioni del Capo dello SDECE.

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Alessandro DE MARENCHES, capo del Servizio esterno di Francia

- che nella precedente istruzione si era rifiutato di rispondere alle domande

sul progetto di attentato al Sommo Pontefice, di cui sarebbe venuto a

conoscenza in ragione delle sue funzioni, invocando il segreto di Stato -

nella presente ha assunto atteggiamento diverso, rispondendo a tutti i

quesiti, meno che a quello sulla fonte dell’informativa.

In vero DE MARENCHES nel libro “Dans les secrètes des Princes”,

pubblicato nell’86, aveva già rilevato importanti circostanze alla giornalista

che gli aveva chiesto se l’attentato al Papa e il processo ad ALI’ AGCA

avessero messo in luce l’“imbroglio” del terrorismo internazionale.

Egli così aveva risposto: “Ero a conoscenza che tale tentativo di

omicidio ai danni del Papa ci sarebbe stato. Ne ero stato avvisato. Avevo

ricevuto una informazione... . Tale informazione era importante, perché era

credibile. Si inseriva in un contesto. Io mi sono detto: “Ammettiamo che si

voglia eliminare il Capo della Chiesa cattolica... . Perché lo si farebbe?

“...si scopre che lo si può voler eliminare per tre ragioni importanti. In

primo luogo, quest’uomo viene dall’altra parte. Conosce le tecniche e le

mentalità delle genti dell’Est. Non c’è nulla che i comunisti detestino

maggiormente di qualcuno che comprenda i loro metodi. Come percepire

l’inferno se si è un angelo? Degli exdiavoli conoscono l’ambiente. Orbene

il Santo Padre, lui, è uscito dal luogo dove pullulano i diavoli. Li conosce

bene, come pure i loro intrighi, che non comprenderebbe un papa nato

all’Ovest.

In secondo luogo, ci si sbarazzava di un pontefice il cui compito

storico è il riprendere in mano la Chiesa cattolica,

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minata dal dubbio e molti preti della quale, semplici e generosi non sono

indifferenti agli appelli delle sirene marxiste, quando non maneggiano essi

stessi il kalachnikov.

La terza ragione è che, se egli muore, un papa sarà eletto, senza

dubbio un Italiano, molto meno duro ed esperto di un uomo che veniva lui

stesso dal freddo.

Queste ragioni importanti - per poco non dicevo principali - fanno sì

che ho deciso di avvertire il Santo Padre e d’inviare un ufficiale generale

della mia cerchia diretta, accompagnato da un funzionario del servizio di

rango elevato, molto competente, M.C.. Il Vaticano è stato avvertito

tramite un importante personaggio ecclesiastico francese dai miei amici, ex

della “France libre”.

Questa informazione pervenne nel gennaio 1980 in Vaticano. Il

Santo Padre rispose che la sua sorte era nelle mani del Signore.

Rispetto molto tale comportamento, sebbene pensi che a volte sia

necessario aiutare il Signore”. (v. articolo del periodico L’EXPRESS,

29.08 - 4.09.86, pp. 21 - 22)

DE MARENCHES si pone il problema del perchè il suo avviso, la

sua messa in guardia, non abbia sortito effetto, cioè non sia servita ad

impedire l’attentato. Ma a tale quesito sino a quel tempo egli non aveva

ricevuta risposta.

“Si può pensare dati i rapporti vicini, millenari, tra lo Stato del

Vaticano e lo Stato italiano, che, davanti ad un problema di tale rilevanza i

Servizi del Vaticano ne abbiano parlato a chi di dovere a Roma... Mi sono

chiesto se i Servizi italiani avessero fatto il necessario per proteggere il

Sovrano Pontefice. Non conosco, a tutt’oggi, la risposta”. (v. articolo del

periodico L’EXPRESS, ed. cit. pp. 2l - 22).

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Quindi il capo dello SDECE affronta la questione della figura di

AGCA e alla domanda sul valore dell’affermazione di costui, secondo cui

l’Unione Sovietica era l’Impero del Male e il centro della tela di ragno del

terrorismo internazionale, così risponde: “Credo che i Sovietici, che sono

efficaci e prammatici, utilizzino un certo numero di organizzazioni

terroristiche per condurre questo genere di guerra. Ne hanno un approccio

globale. Nel caso di questo giovane terrorista, MEHMET ALI’ AGCA, si

tratta di un orribile pasticcio. Ciascuno vi trova il suo tornaconto.

Quelli che pensano che sia stato aiutato dall’imbroglio ad hoc,

bulgaro ed altro, inviato per abbattere il protettore morale della resistenza

polacca ed allo stesso tempo il capo della Chiesa Cattolica nel mondo,

troveranno conveniente sentire ciò che racconta da una parte, e poi, qualche

istante dopo quando dichiara: “Io sono Gesù Cristo” gli altri constateranno

con soddisfazione che è un folle.

Mi chiedo se abbia cercato di trasmettere tramite formule in codice

apparentemente senza nè capo nè coda dei messaggi a gente all’estero. Ciò

non è impossibile. Questo incaricato di missione terroristica ha forse

imparato a memoria, poiché l’hanno dovuto perquisire, un certo numero di

formule che hanno l’aria così stravagante come i messaggi della BBC e che

costituiscono in realtà dei messaggi.

ALI’ AGCA è uno strumento. Egli ha raggiunto il suo scopo a metà,

perché il Papa ora è diventato quasi un vecchio. E sufficiente guardare le

foto. Un istante prima dell’attentato era un uomo relativamente giovane, in

piena forma, un atleta che praticava lo sci, che nuotava. Ora è un signore

anziano. Coloro che si sono serviti di ALI’ AGCA non possono dirgli: “Tu

non

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hai rispettato il tuo contratto”... .(v. OCKRENT - MARENCHES “Dans les

secrèts del Princes”, Stock 86)

Su quest’ultimo punto, sul peso di questo giudizio certo si ritornerà.

Importante è rilevare sin da questo momento l’esattezza estrema di quelle

parole, secondo cui nessun potrà mai contestare ad AGCA di non aver

osservato i patti, “egli ha rispettato il contratto”, togliendo comunque anni

ed energie al Pontefice.

DE MARENCHES, nel corso di rogatoria di questo Ufficio,

puntualmente conferma i passi di quel libro, aggiungendo di poter

affermare, nonostante il vincolo del segreto di Stato, che la decisione di

eliminare il Pontefice era stata presa dai più alti vertici di Mosca; che le

informazioni sull’operazione giunsero al suo Servizio nel 1979; che

nonostante mancassero i dettagli dell’esecuzione, egli la stimò credibile,

per cui decise di portarla a conoscenza del Sovrano Pontefice. A tal fine

aveva inviato a Roma il Medico Generale Maurice BECCUAU e il

funzionario del Servizio Valentin CAVENAGO, presso Don CALMES,

suo amico da lunga data, Superiore Generale dei Premostratensi e già

Primo Cappellano di France Libre, che si premurò di “guidarli utilmente

nei labirinti della Amministrazione Vaticana. So che li ha introdotti al più

alto livello dello Stato Vaticano... A quel punto era compito dei

responsabili del Vaticano di valutare la minaccia e di adottare ogni misura

adeguata. Quel che posso dire è che so che lo stesso Sovrano Pontefice è

stato personalmente messo al corrente”.

Al rientro BECCUAU gli aveva riferito sulla missione. (v. esame di

DE MARENCHES 16.09.89 e 01.10.91)

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Il sopravvissuto dei due inviati, CAVENAGO, conferma

sostanzialmente la ricostruzione di DE MARENCHES, precisando la data

della missione, che avvenne il 1° giugno del 79. A Roma egli e il

BECCUAU furono introdotti alla presenza del Monsignor CALMES,

Abate Generale dell’Ordine dei Premonstratensi. “Il Signor BECCUAU

l’ha informato di un forte rischio, nella mente di Monsignor CALMES

come nella mia ci è balenato che sua Santità il Papa avrebbe potuto essere

vittima di un attentato durante il suo viaggio in Polonia. Il Generale

BECCUAU ha chiesto a Monsignor CALMES di invitare sua Santità il

Papa a portarsi in Polonia accompagnato dal suo archiatra - Medico

personale del Papa.

Monsignor CALMES ci ha informato che gli era difficile recarsi

presso sua Santità. In effetti, il Papa circondato dai suoi collaboratori

polacchi che creavano degli autentici sbarramenti. Monsignor CALMES ci

ha pure informati che delle persone della Curia Pontificia esercitavano

delle pressioni su sua Santità al fine di annullare il suo viaggio in Polonia.

Monsignor CALMES ci ha chiesto per questo motivo la massima

discrezione circa tale caso”. Esso CAVENAGO afferma che Don

CALMES, pur sorpreso dell’informazione, non ebbe alcun dubbio sul

valore di essa, provenendo da DE MARENCHES. Egli, non si recò in

Vaticano. (v. esame di CAVENAGO 23.10.90)

***************

Cap. 3.2.2. Gli esami dei Padri Premonstratensi.

Questi eventi per le parti a conoscenza sono confermati anche dai

Padri Premonstratensi ascoltati.

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Il Rettore del Collegio S. Norberto ha riferito che Don CALMES era

morto a Parigi nell’85; che era stato tra l’82 e l’85 Delegato personale per

la Santa Sede ai rapporti con il Sovrano del Marocco; che alla sua morte gli

era succeduto nella carica Abate Generale Lambert Van de Ven. (v. esame

CAALS Leo, 10.05.90)

L’Economo della Casa Generalizia dell’Ordine, all’epoca

dell’attentato al Papa Priore della Casa, ha ricordato che Monsignor

CALMES era molto legato a Paolo VI e al filosofo Jean GUITTON, e che

all’epoca Segretario di Stato era il Cardinale VILLOT, ma non sa dire a chi

Monsignor CALMES nell’ambito della Segreteria di Stato avrebbe potuto

riferire. (v. esame Brouwer FOLKERT, 14.05.90)

L’Archivista della Casa Generalizia dell’Ordine, che ha riordinato le

carte di Monsignor CALMES - di cui ricorda l’amicizia con CHIRAC e

con il Segretario Perpetuo dell’Accademia francese Maurice DRUON -

esclude che tra di esse vi fossero lettere o altri scritti inviati da Alessandro

DE MARENCHES. In quei carteggi vi erano solo due o tre lettere che

esprimevano indignazione per l’attentato, provenienti da amici del

CALMES. (v. esame ARDURA BERNARD HENRY 14.05.90)

L’Abate Generale dell’Ordine, successore nell’81 di monsignor

CALMES, ha rammentato che i voluminosi carteggi di costui furono divisi

in tre parti. Quelle relative all’Ordine raccolte ed ordinate dall’Ardura,

sono ovviamente rimaste presso la sede stessa dell’Ordine. Quelle relative

agli affari del Marocco, erano state richieste dalla Segreteria di Stato e

consegnate a breve distanza dalla morte di Don CALMES a monsignor

BACKSIS lituano, all’epoca Nunzio in Olanda.

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Quelle private, conservate personalmente da quel suo successore, dal

tempo della successione.

Egli, che pure era venuto a conoscenza di un progetto di attentato al

Pontefice, non ne aveva avuto notizia da mons. CALMES. Non ricorda

però chi gliene avesse parlato, probabilmente un qualche componente di

una famiglia di Arles nel mezzogiorno della Francia, famiglia molto legata

a Monsignor CALMES, e più che probabilmente da una giovane di questa

famiglia, che residente a Parigi frequentava la Casa dell’Ordine, per

riordinare le carte di Mons. CALMES.

Non sa dire chi fosse, nella Segreteria di Stato, il referente di Mons.

CALMES. Sa che conosceva il Segretario di Stato, Mons. CASAROLI;

molto bene il detto Monsignor BACKSIS; il Cardinale MARTINEZ

SOMALO, Sostituto del Segretario di Stato, Mons. RE, anch’esso della

Segreteria. (v. esame VAN DEVEN LAMBERTUS ADRIANUS MARIA,

14.05.90).

_______________________

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CAPITOLO TERZO

Cap. 3.3. Le conseguenti rogatorie

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Di conseguenza questo G.I., al fine di accertare:

1. le modalità di ricezione dell’informativa francese e gli

ulteriori tramiti sino ai responsabili della Segreteria di Stato e degli organi

preposti alla sicurezza del Sommo Pontefice; 2. le misure di protezione

adottate e se su di esse fosse stata data comunicazione ai Servizi di sicurezza

di altri Stati; 3. se quel progetto di attentato fosse il primo del Pontificato

portato a conoscenza della S. Sede o se esso si inserisse in una serie con

precedenti e successive informative o notizie di piani d’assassinio od anche di

semplici minacce; questo G.I., si diceva, richiese con Commissione

Rogatoria internazionale allo Stato della Città del Vaticano, l’esame dei

responsabili all’epoca e loro successori degli Uffici sopraindicati e

l’acquisizione in copia della documentazione su dette informative e di quella

eventualmente elaborata sulle misure di protezione. (v. Rogatoria Città del

Vaticano 28.02.94).

Questa Commissione venne formulata pur in assenza di Trattato di

Assistenza Giudiziaria tra i due Stati, sulla base della considerazione di ottimi

rapporti di collaborazione già instauratisi da tempo in altre indagini ed

istruzioni.

Il Promotore di Giustizia presso il Tribunale dello Stato della Città del

Vaticano, letta tale rogatoria e viste le normative vigenti, ritenne:

A. di poter acquisire e trasmettere notizie, raccolte anche attraverso l’ascolto

informale degli Eminentissimi Cardinali CASAROLI, SILVESTRINI e

MARTINEZ SOMALO, se l’informativa raccolta dai Servizi Segreti francesi

fosse effettivamente giunto all’Autorità Vaticana; B. di non dover invece

fornire alcuna informazione sugli altri particolari relativi alle modalità di

ricevimento etc., trattandosi di questioni attinenti esclusivamente alla

organizzazione statuale vaticana e sottoposta alla giurisdizione

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medesima, sia sostanziale che processuale; C. di non poter accogliere ogni

altra richiesta, perché invadente la sovranità dello Stato della Città del

Vaticano; ed infine di non poter prendere in considerazione la richiesta di

questa A.G. di partecipazione all’audizione dei testi, non essendo ciò previsto

da alcuna legge dello Stato della Città del Vaticano, nè da accordi

internazionali che in tal senso vincolassero lo Stato medesimo. (v.

provvedimento 21/94 Reg.Gen.Pen. Uffici del Promotore di Giustizia,

17.05.94).

In conformità decideva il Tribunale. (v. provvedimento Tribunale dello

Stato della Città del Vaticano 20.05.94).

In conseguenza venivano ascoltati soltanto i tre cardinali sopra

menzionati senza la presenza della A.G. italiana.

Il Cardinale Achille SILVESTRINI, che al tempo dei fatti ricopriva

l’incarico di Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, così

rispose: “Posso precisare che nel periodo antecedente l’attentato al Sommo

Pontefice del maggio 1981, nessuna informativa - diretta o indiretta mi

pervenne da parte dei Servizi di informazione e sicurezza esterna francesi

riguardo a progetti di attentati contro la persona del Santo Padre nè a minacce

a lui rivolte. Soltanto successivamente ai tragici eventi del 1981 appresi dalla

stampa che il Conte de MARENCHES, Direttore dei predetti Servizi, avrebbe

inoltrato ad Uffici della Santa Sede - che neanche dopo sono riuscito ad

identificare - la segnalazione in argomento”.

Il Cardinale Eduardo MARTINEZ SOMALO, che nel 1981 era

Sostituto del Segretario di Stato, così rispose: “Ricordo che soltanto dopo i

tragici fatti del maggio di quell’anno, che videro il ferimento del Santo Padre,

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appresi dai giornali l’esistenza di una informativa che i Servizi di sicurezza

esterna francesi avrebbero inoltrato, per il tramite di Mons. CALMES,

alla Santa Sede. Devo dire che mi meravigliai allora, come tuttora lo sono,

per tale notizia, in quanto in primo luogo non mi risultava assolutamente

pervenuta in Segreteria di Stato la riferita informativa ed in secondo luogo

per le veramente inusuali modalità, con le quali tali notizie sarebbero state

inoltrate. Ricordo soltanto che in questi casi, laddove beninteso esiste un

fumus veritatis, si possono attivare in ogni momento gli ordinari e sempre

rapidissimi canali diplomatici. (v. deposizione MARTINEZ SOMALO,

21.05.94)

Il Cardinale Agostino CASAROLI, all’epoca Segretario di Stato di

sua Santità, dichiarò “...di non aver mai, nè direttamente nè indirettamente,

avuto accenno ad informazioni provenienti dai Servizi Segreti francesi o da

altri Servizi, relativi ad un progetto di una minaccia di attentato contro la

persona del Santo Padre. Null’altro da aggiungere”. (v. deposizione

CASAROLI 06.06.94)

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CAPITOLO QUARTO

Cap. 3.4. Le dichiarazioni di monsignor SALERNO

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Cap. 3.4.1. Le prime dichiarazioni di mons. SALERNO.

Un ecclesiastico - Consulente legale presso la Prefettura degli

Affari Economici della Santa Sede - che aveva già riferito circostanze

di rilievo nel procedimento per la scomparsa di Emanuela ORLANDI,

proprio nel corso di quella istruttoria aveva anche parlato di fatti

certamente connessi con l’attentato al Sommo Pontefice.

In primo luogo la vicenda relativa a quattro fotografie

raffiguranti il Papa sulla terrazza del suo appartamento nel Palazzo

Apostolico, a lui consegnate da altro sacerdote. In secondo luogo le

confidenze ricevute dal fotografo dell’Osservatore Romano - che

segue di continuo il Pontefice e lo riprende in ogni occasione - il quale

ebbe a rivelargli che tra il materiale fotografico relativo all’attentato

che egli aveva raccolto, vi erano delle riprese di udienze papali, in cui

si riconosceva il volto di AGCA. Infine il collegamento effettuato

immediatamente dallo stesso ecclesiastico nell’83, dopo la scomparsa

ORLANDI, tra questo evento e le fotografie di AGCA durante le

udienze pontificie.

Ma più dettagliatamente così il testo degli atti. Sulla prima

vicenda: “Proprio in quell’epoca - giugno 81; n.d.e. - un sacerdote mio

amico, tale INNOCENTI Ennio mi contattò per consegnarmi quattro

fotografie raffiguranti il Sommo Pontefice ritratto sulla terrazza del

suo appartamento (Palazzo Apostolico), fotografie consegnate

all’INNOCENTI da un militare italiano, attualmente generale, che le

aveva casualmente ricevute; il generale era in partenza alla volta di

Parigi con altri colleghi militari e fu avvicinato presso l’aeroporto di

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Fiumicino da un ragazzo, uno sconosciuto, il quale lo pregò di una

cortesia e cioè di recapitare alcune

fotografie inerenti al caso di “Alfredino” (il bambino di Vermicino

caduto nel pozzo) a Parigi dove sarebbero state ritirate da redattori del

Paris Match. Una volta a bordo dell’aereo il generale ebbe a sfogliare

le foto medesime, si trattava di un gruppo cospicuo nel quale erano

inserite ben dieci pose che ritraevano la persona del Pontefice: colpito

dalla rilevanza di tali immagini il generale pensò di sfilarne quattro,

quelle che gli apparivano evidentemente più significative e provvide

altresì a copiare la didascalia riprodotta su un foglio a parte e

descrittiva della situazione che raffiguravano le singole pose.

L’INNOCENTI non fece altro che rimettere nelle mie mani le

fotografie in questione, nonché la didascalia trascritta affidando a me

ogni ulteriore sorte delle stesse. Faccio presente all’ufficio che

ciascuna fotografia recava il timbro dell’agenzia Kappa che aveva

provveduto a scattarle e che anche la didascalia trascritta a mano dal

militare recava gli estremi della stessa agenzia: si trattava dell’agenzia

Kappa di via Rasella a Roma.

A questo punto avendo intuito la delicatezza delle fotografie che

mi erano state sottoposte e affidate, decisi di parlarle direttamente alla

dott.ssa Wanda POLTAWSKA, persona di nazionalità polacca molto

vicina al Sommo Pontefice che lo seguiva nella fase della

convalescenza e che per questo si trovava in Italia. (v. esame Salerno,

G.I. 20.02.93)

“Il sacerdote INNOCENTI ... certamente conosce il militare che

gli ha consegnato le fotografie ... Mi riferì soltanto i motivi della

consegna stessa, cioè perché venissero date a persone sicure al fine di

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provvedere alla incolumità del Pontefice ... So che questo Ufficiale

stava partendo per la festa aeronautica di Le Bourget.

Queste quattro fotografie insieme ad una didascalia ... a parte

furono consegnate da Don Ennio a me, a casa sua. Questi fatti si collocano nel

giugno-primi di luglio 81... Il titolo della didascalia era approssimativamente

il seguente: il Papa in convalescenza sotto l’occhio vigile dei poliziotti

vaticani”. (v. esame Salerno, G.I. 25.09.93)

Su quanto posto in essere in conseguenza: “valutai più proficuo

informare una persona come la dottoressa in questione - cioè la

POLTAWSKA; n.d.e. - di un caso che mi appariva delicato per le ragioni

connesse alla sicurezza personale del Pontefice piuttosto che sollecitare

formalmente le autorità interne ad una maggiore cautela, che poi non so se

effettivamente sarebbe stata adottata. La dottoressa POLTAWSKA mi chiese

se poteva esaminare insieme ad Arturo MARI, fotografo dell’Osservatore

Romano i reperti fotografici in questione. Nel visionarli MARI espresse il suo

convincimento circa le autenticità delle immagini fotografiche, rilevando in

particolare la presenza vicino al Pontefice, che mi fu confermata anche dalla

dottoressa, di due medici che lei conosceva personalmente e che vigilavano

sulla convalescenza del Pontefice. MARI invece rilevò che le foto erano state

scattate dalla cupola di San Pietro e che la distanza tra il punto di

osservazione e il soggetto fotografico era molto ravvicinata e comunque tale

da sconsigliare una permanenza del Pontefice in un luogo così accessibile.

Consegnai le fotografie al MARI che in quel periodo stava raccogliendo

materiale fotografico di rilevanza relativo all’attentato del maggio ‘81 e

nell’ambito di un’attività investigativa personale che conduceva d’accordo

con la dottoressa. (v. esame Salerno, G.I. 20.09.93)

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Poi nel secondo verbale: “Ho consegnato sia le fotografie, che

la didascalia, non conservando alcunché presso di me, tanto

meno delle fotocopie, alla dottoressa Wanda POLTAWSKA. Questa consegna

avvenne lo stesso giorno in cui io ricevetti da Don Ennio la busta contenente il

materiale sopra descritto. Questa consegna avvenne presso le Suore della

Redenzione, a Via Marco Antonio Colonna, ove la POLTAWSKA risiedeva in

quel tempo.

La POLTAWSKA, cittadina polacca, ha uno stretto legame familiare

con il Pontefice da lunga data, risalente alla adolescenza di entrambi. E’ un

medico internista e psichiatra ed era a Roma per dare assistenza al Sommo

Pontefice dopo l’attentato.

La POLTAWSKA, esaminando le fotografie, riconobbe l’attualità delle

stesse, perché individuò nelle due persone presenti con il Pontefice sulla

terrazza, due medici, uno polacco e l’altro del Fondo dell’Assistenza Sanitaria

Vaticana, che in quel periodo assistevano il Pontefice nella sua convalescenza.

Le fotografie e la didascalia rimasero nelle mani della dottoressa

POLTAWSKA, che mi chiese di incontrare il fotografo dell’Osservatore

Romano, Arturo MARI, tuttora alle dipendenze del quotidiano Vaticano. Non

so dove abiti.

La POLTAWSKA voleva verificare l’attualità delle fotografie e le

modalità di ripresa.

Io detti le fotografie a detta dottoressa, perché mi era noto il suo legame

con il Sommo Pontefice e perché la ritenevo la persona più idonea ad esperire

eventuali interventi per evitare una esposizione imprudente della persona del

Papa.

Devo rilevare che il fotografo MARI aveva rilevato che le fotografie

erano state scattate dalla Cupola di San Pietro e che questo costituiva un

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motivo di preoccupazione, data la vicinanza tra la Cupola e la terrazza del

Palazzo Apostolico.

Attualmente la POLTAWSKA vive a Cracovia. Quando viene a

Roma è ospite di amici. Non so se conservi ancora il materiale in

questione...

MARI dopo il nostro incontro ha trattenuto queste fotografie e

le ha unite a un dossier contenente altre fotografie riguardanti

l’attentato al Papa, e la sua degenza all’Ospedale e udienze o

cerimonie precedenti l’attentato. Tutto questo dossier è stato poi

consegnato da MARI alla POLTAWSKA.

Io non ho visto le fotografie di udienze e cerimonie in cui si

sarebbe visto il volto di ALI’ AGCA. Questo volto sarebbe stato

riconosciuto da MARI”. (v. esame SALERNO Francesco, G.I.

25.09.93)

********************

Cap. 3.4.2. Le dichiarazioni di MARI Arturo e di POLTAWSKA

Wanda.

Queste dichiarazioni vengono confermate sostanzialmente sia

dal MARI che dalla POLTAWSKA.

Il primo - che è fotografo-cronista dell’Osservatore Romano e

lavora per quel quotidiano dal marzo del 56 - rammenta con

precisione. Rammenta sia la fotografia che riproduceva il Pontefice

sulla terrazza del Palazzo Apostolico, sia altre fotografie eseguite nei

giorni precedenti l’attentato in una parrocchia romana, fotografie

ricercate dalla Polizia perchè in esse appariva l’attentatore.

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La prima fotografia gli era stata portata all’Osservatore Romano

da Monsignor SALERNO, il quale mostrandogliela esclamò a mo’ di

battuta “Questa è la sicurezza del Papa ! “Il

Monsignore gli aveva chiesto anche da dove quella fotografia potesse

essere stata scattata, ed egli gli aveva risposto che di certo il fotografo

doveva trovarsi nella galleria esterna della lanterna della Cupola ed aver

usato un teleobiettivo da 1000 millimetri probabilmente raddoppiato, con

necessità perciò di un treppiedi o comunque di un appoggio.

Le altre fotografie gli erano state richieste subito dopo l’attentato dal

dott. PRATICO’ dell’Ispettorato di Polizia presso il Vaticano, ed egli

ricorda con precisione che in esse, quattro o cinque, si mostrava un viso

che aveva delle somiglianze con le fattezze dell’attentatore, ma non sa dire

se PRATICO’ cercasse in quelle fotografie i complici dell’autore del

delitto. Egli diede a PRATICO’ due negativi per lo sviluppo e

ingrandimenti negativi, in seguito restituiti.

Non ricorda però, al riguardo della fotografia portatagli da

Monsignor SALERNO, se essa fu mostrata alla dottoressa POLTAWSKA.

Costei si recava e si reca spessissimo nel suo studio, per cui appare non

escludere la presenza della donna, rimettendosi peraltro al miglior ricordo

del sacerdote, che però corregge sulla consegna del dossier di fotografie

sull’attentato, che non fu dato alla POLTAWSKA bensì a PRATICO’. (v.

esame MARI Arturo 02.10.93)

Nel successivo esame specifica che “PRATICO’ ed il funzionario

del Commissariato Borgo non mi dissero il motivo della loro richiesta.

Successivamente, cioè forse il giorno dopo, non ricordo se PRATICO’ o il

funzionario di Borgo che mi sembra adesso di ricordare che si chiami

SCIAUDONE mi fecero vedere due foto formato tessera dicendomi che

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dovevano accertare attraverso queste fotografie la presenza della persona

effigiata nella foto tessera. Non mi dissero chi rappresentava la persona

effigiata nella foto tessera. Ricordo

comunque che somigliava ad una persona che era stata fotografata nelle

foto che io avevo scattato e che consegnai ai funzionari. Le due foto

tessera in questione sono ancora disponibili presso il mio ufficio”.

Riconosce come sue le foto allegate ai rapporti Digos e relative

alla visita pastorale del Papa alla Parrocchia di San Tommaso

d’Aquino a Tor Tre Teste alla periferia di Roma. Riconosce quella cui

erano interessati i funzionari di polizia e sulla quale appare il numero

73 della numerazione progressiva che egli vi apponeva. Non rinviene

invece la precedente e la successiva ovvero la 72 e la 74, ove egli

ricorda con certezza che si vedeva di nuovo la persona somigliante

all’attentatore. (v. esame di MARI Arturo, G.I. 19.09.94)

Nel terzo esame MARI consegna sia le fotografie del suo

servizio - ben 18 stampe - che le due formato tessera che gli erano

state date dal dottor PRATICO’. Il servizio era stato effettuato, come è

risultato dal suo archivio, in occasione della visita il 10 maggio 81 alla

Parrocchia sopra menzionata. Aggiunge che in considerazione

dell’orario della ripresa, la giacca indossata dallo sconosciuto, pur se

tendente al rosso porpora, dovrebbe essere di colore grigio scuro. (v.

esame MARI Artruro, G.I. 20.09.94)

La seconda - che è insegnante di medicina pastorale e direttrice

dell’Istituto di Teologia della famiglia presso la Pontificia Accademia

Teologica di Cracovia e in effetti conoscente da lunga data del

Pontefice - non ricorda con la stessa precisione di mons. SALERNO e

di MARI. Ricorda però che “ ci fu un discorso con Arturo MARI sulla

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possibilità di prendere fotografie dalla cupola al Santo Padre, e che di

tale possibilità io rimasi molto preoccupata. Ne ho parlato con Arturo

MARI, perché era italiano e conosceva molte persone. Io

al tempo non conoscevo quasi nessuno in Italia. Personalmente non

presi alcuna decisione, se riferire o meno a persone della Sicurezza

Vaticana. Ne riferii solo al Sommo Pontefice. Mostratele quelle di cui

al verbale SALERNO 16.10.93, non ricorda di averle viste. (v. esame

POLTAWSKA Wanda, G.I. 08.11.93)

Con l’ausilio della sua agenda si riesce poi a datare quelle

fotografie, collocandole tra la data del primo rientro del Pontefice in

Vaticano dal Gemelli dopo l’attentato, e cioè il 3 giugno, e il 20

successivo, data in cui Egli ritornò al detto Policlinico per ulteriore

ricoverò. (v. esame POLTAWSKA Wanda, G.I. 10.11.93)

Questo periodo si restringe poi ulteriormente, perché la

POLTAWSKA, avendo mostrato copia di quelle fotografie al

personale che all’epoca prestava servizio nell’appartamento privato

del Sommo Pontefice, accertava che solo nei primi tre o quattro giorni

dopo il rientro, il Santo Padre fu assistito da medici del Gemelli e che

in seguito fu assistito solo da suore infermiere. (v. esame

POLTAWSKA Wanda, G.I. 13.11.93)

******************

Cap. 3.4.3. La rogatoria all’A.G. francese.

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Questo G.I. di conseguenza dispose indagini e rogatoria in

Francia per accertare chi fosse il generale degli Alpini inviato a Le

Bourget per l’Esibizione Aeronautica tenutasi nel giugno 81. Si è

accertato così, attraverso le ricerche di P.G., che ad essa

parteciparono solo Ufficiali dell’A.M. (v. rapporto DIGOS Roma

27.11.93)

Per effetto della rogatoria all’A.G. di Parigi, il G.I. di questo

città a brevissima distanza di tempo richiese al Ministero della Difesa

l’elenco dei membri di quella missione militare con nomi, gradi ed

arma di appartenenza, evidenziando, a fini di sollecita risposta, anche

il termine entro il quale questo procedimento doveva chiudersi. (v.

rogatoria A.G. Parigi, 20.10.93)

Questa risposta pervenne dal Gabinetto del Ministro a stretto

giro ed in essa furono indicati i nomi del Generale PIOVANNO

(ovvero PIO VANO) del tenente colonnello PANZINI, dei generali

BARTOLUCI (rectius BARTOLUCCI), MELONE (rectius

MELONI), del colonnello MOCCI e del professore Pietro SETTE. (v.

nota Gabinetto del Ministro della Difesa francese 19.11.93)

Come si nota non v’è coincidenza con la lista italiana. In questa

francese c’è sicuramente un generale dell’Esercito e cioè PIOVANO,

che però non è degli alpini.

Questa nota racchiusa in due buste sigillate dal G.I. francese fu

trasmessa in plico sigillato con ceralacca direttamente a questo

Ufficio. Tali cautele probabilmente per evitare indebite aperture,

aperture che però non si può escludere siano avvenute. Anche perchè

agli atti è finito anche altro plico, sempre proveniente dal Gabinetto

del Decano dei Giudici Istruttori del Tribunale di Grande Istanza di

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Parigi, contenente le fotocopie dei documenti trasmessi, e destinato

all’attenzione del Procuratore della Repubblica di Parigi e del

Procuratore Generale presso la Corte d’Appello della stessa

città. Atti che al termine di questa istruzione dovranno essere restituiti a

detti destinatari. (v. nota G.I. Parigi 02.12.93)

****************

Cap. 3.4.4. Le dichiarazioni di don INNOCENTI e di mons. SALERNO.

Veniva di conseguenza disposto l’esame testimoniale di Don Ennio

INNOCENTI. Costui, chierico beneficiato presso il Capitolo Vaticano, già

compagno presso il Collegio Capranica di monsignor SALERNO,

giornalista presso il Gazzettino di Venezia e la RAI con la rubrica

“Ascolta, si fa sera”, ammette solo di aver consegnato al SALERNO delle

fotografie. Non ricorda quando il fatto avvenne, anche se stima si fosse nel

periodo dell’incidente di Vermicino, giacchè nel plico, secondo quanto

riferitogli dall’amico, cui lo sconosciuto lo avevo consegnato, vi erano

anche della fotografie di quel tragico episodio. Si rifiuta di riferire il nome

di quel suo amico, affermando che si tratta di fatti coperti dal segreto

ministeriale.

Invitato a specificare il segreto, asserisce che si tratta del segreto di

coscienza sacerdotale, giacchè quella persona, essendo suo penitente, gli

aveva confidato un evento di rilevanza morale. Ed a nuovo invito,

conferma questo suo rifiuto di testimoniare.

In vero, considerando il dettato sia del codice del ‘30 che di quello

dell’88 sul diritto di astenersi dei ministri di religione, non sembra si versi

nell’ambito, sia della lettera che dello spirito, di quella norma. Nulla fu

confidato; furono date delle fotografie, perchè venissero a loro volta

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consegnate a chi doveva provvedere alla sicurezza del Pontefice, con

l’intento - almeno così si dovrebbe dedurre - che si ponessero in atto

misure idonee a prevenire attacchi all’Augusta Persona. Il rapporto tra chi

consegnava e chi

prendeva in affidamento è con ogni probabilità un rapporto di

amicizia. Il generale potrà essere stato anche penitente di Don

INNOCENTI, ma quelle foto, che dovevano poi essere versate in altre

mani, furono consegnate in altre vesti, nelle vesti di persona che

apparentemente - ma su questo si dovrà ritornare - si premura

dell’incolumità del PAPA, e non di penitenza, di persona che ricorre

con spirito di pentirsi ad un sacerdote.

Ma su tali questioni altri Uffici perché l’eventuale reato fu

commesso nel 93 e quindi sotto il nuovo regime processuale, per cui

gli atti devono essere trasmessi alla Procura della Repubblica.

Tali risultati e considerazioni sui collegamenti tra l’attentato al

Pontefice e il sequestro della ORLANDI indussero a continuare gli

esami di Monsignor SALERNO.

Questi, al riguardo della consegna delle fotografie della terrazza

del Palazzo Apostolico da parte di don Ennio INNOCENTI, riferisce

che fu costui a chiedergli di “farle pervenire in Vaticano per poter

avvertire chi potesse consigliare prudenza al Pontefice. Non mi disse

di tramutarle alla Vigilanza. Egli sapeva quale era la mia posizione nel

Vaticano e quindi lasciò a me la scelta dell’utilizzo di questo

materiale. Io avrei potuto consegnarlo alla Vigilanza vaticana o alla

Polizia italiana. Prescelsi il tramite della POLTAWSKA per i motivi

detti nei precedenti verbali e cioè perché la ritenevo la persona più

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sicura e più interessata alla tutela della persona del Papa”. (v. esame

SALERNO Francesco, G.I. 16.10.93)

Di fronte a queste affermazioni l’Ufficio procedette a contestazioni. Così

testualmente: “Prendo atto di quanto mi fa rilevare la S.V. circa la possibile

contraddizione esistente tra la già rilevata precarietà dei Servizi di Sicurezza

del Sommo Pontefice e la casualità con la quale erano pervenute fotografie così

significative a don Ennio INNOCENTI e successivamente a me. In particolare

prendo atto dell’ulteriore circostanza che mi fa osservare la S.V. relativa alla

possibile deliberata volontà di far pervenire con quelle modalità le fotografie di

cui parliamo. Sul punto ribadisco che non ho mai avuto dubbi sull’assoluta

casualità dei modi attraverso i quali erano pervenute le citate fotografie, in

quanto già in passato avevo avuto la certezza dell’assoluta precarietà e

approssimazione dei Servizi di Vigilanza preposti alla sicurezza del Pontefice.

Tale certezza, che mantengo tuttora, mi deriva nel tempo da numerosi

episodi di cui avevo avuto sentore anche indirettamente ed in proposito ne cito

due a scopo esemplificativo:

1 - l’intervento asseritamente attribuito a GELLI sull’editore RUSCONI, per

impedire la pubblicazione scandalistica delle fotografie che ritraevano il

Pontefice mentre prendeva il bagno in piscina. Sul punto ricordo che

comunque queste fotografie vennero poi pubblicate in modo più blando e

successivamente;

2 - la segnalazione della presenza fisica di AGCA sul territorio italiano fatta

dai Servizi turchi a quelli italiani, in epoca anche precedente all’attentato. In

relazione a tali episodi ribadisco che si tratta difatti da me indirettamente

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appresi e che comunque mi confermavano la precarietà e comunque

l’insufficienza dei Servizi di Sicurezza.

Pertanto quando furono consegnate, con le modalità che ho detto le

fotografie in questione, ritenni assolutamente plausibile il loro ritrovamento

casuale. (v. esame SALERNO Francesco, G.I. 03.12.93).

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Con questo teste si ritornò, dopo gli accertamenti presso la

parrocchia di San Tommaso d’Aquino, pure sulla posizione di

ORLANDI Ercole, padre di Emanuela, nell’ambito della Prefettura

Pontificia.

“ORLANDI nel 1981 aveva il grado di commesso ed era il più

anziano di tutti i commessi addetti alla Prefettura Pontificia. Era alle

dirette dipendenze di mons. MARTIN, Prefetto della Casa Pontificia, il

cui vice era monsignor MONDUZZI reggente della Prefettura Pontificia.

Ricordo che Mari mi aveva parlato di fotografie nelle quali

appariva l’attentatore del Pontefice, fotografie scattate in occasioni

precedenti l’attentato. Queste fotografie erano state raccolte con altro

materiale fotografico riguardanti l’attentato e fatti successivi, come il

periodo di degenza del Pontefice al Gemelli, e messe a disposizione

dell’Autorità Vaticana. Egli mi disse che esistevano fotografie

precedenti l’attentato con l’immagine di AGCA.

In occasione dell’attentato sentii parlare in modo serio di una

presenza dell’attentatore in Italia in un periodo di tempo piuttosto ampio

e di ciò erano a conoscenza sia la polizia italiana che gli ambiente

vaticani. Questa notizia sarebbe stata avallata dalle Autorità Turche”.

Egli poi riconosce, come si vedrà con maggiore precisione,

considerate le sue funzioni in Vaticano, di Don Todini i personaggi

raffigurati nelle fotografie del 10 maggio, e cioè il Cardinal POLETTI, i

monsignori MARTIN, MONDUZZI, MCGEE, VENTURI,

COCCHETTI, GALLO di ROCCAGIOVINE, il sig. GUGEL, l’addetto

di anticamera del Papa. (v. esame di SALERNO Francesco, G.I. del

17.09.94).

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Quanto agli inviti alle cerimonie pontificie, quindi precisa che “gli

stessi devono essere recapitati personalmente o ritirati dagli interessati

presso la Prefettura della Casa Pontificia. Gli inviti sono concessi su

richiesta. Per quanto più specificamente riguarda le visite pastorali e in

generale le cerimonie pontificie la Prefettura della Casa Pontificia

predispone la concessione degli inviti per accedere a particolari spazi

riservati ove si svolge la cerimonia. (v. esame di SALERNO Francesco,

G.I. 23.09.94)

Nell’ultima deposizione il monsignore ritorna sui collegamenti tra i

due delitti di cui è discorso, e cioè l’attentato al Papa e il sequestro di

Emanuela ORLANDI e riferisce di circostanze che vale riportare

integralmente : “Con specifico riguardo al presunto scambio di persona

asseritamente avvenuto tra Emanuela ORLANDI e Raffaella GUGEL,

figlia dell’addetto di anticamera del Pontefice, episodio già da me in atti

riferito, preciso che dopo la scomparsa di Emanuela ORLANDI contattai

Arturo MARI per avere conferma di notizie in ordine ad alcune fotografie

aventi ad oggetto le udienze pontificie in epoca antecedente l’attentato e

dalle quali era emersa la presenza di persona somaticamente somigliante

all’ attentatore e cioè ALI’ AGCA. Premesso infatti che la partecipazione a

quelle udienze avveniva per invito, e che Ercole ORLANDI si occupava

appunto della distribuzione degli inviti per partecipare alle udienze e

cerimonie pontificie, mi parve spontaneo collegare in qualche modo i due

casi, e cioè l’attentato al Papa e la scomparsa della ragazza, circostanza

questa che ho già riferito alla S.V. nei precedenti verbali. Sempre nel

contesto di altro colloquio col MARI appresi dal medesimo della

conversazione avvenuta nell’appartamento pontificio immediatamente

dopo la scomparsa di Emanuela,

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durante la quale il GUGEL si era lamentato della scarsa protezione

accordata ai dipendenti vaticani e ai familiari degli stessi, riferendo che per

qualche tempo la figlia Raffaella era stata seguita da sconosciuti. Alla

citata conversazione parteciparono oltre al GUGEL, BERARDINI,

GUSSO e lo stesso MARI.

Faccio presente che in ragione della notevole somiglianza fisica fra

Emanuela ORLANDI e Raffaella GUGEL, Ercole ORLANDI aveva

ipotizzato con GRAMENDOLA, Ufficiale dei CC che seguiva il caso e

che ho avuto occasione di incontrare alcune volte, in quanto lo stesso

ORLANDI me lo aveva fatto incontrare, la possibilità di uno scambio di

persona. Sempre il MARI mi riferì che anche mons. CABINGO,

attualmente Arcivescovo nello Zaire e all’epoca uno dei segretari del Papa,

pensava attendibile una connessione tra l’attentato al Papa e la scomparsa

della ORLANDI. (v. esame di SALERNO Francesco, G.I. 09.06.95)

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CAPITOLO QUINTO

Cap. 3.5. Le rogatorie conseguenti

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Cap. 3.5.1. La rogatoria alla Santa Sede del 16.06.95.

In esito a tali risultanze veniva formulata altra rogatoria, che traeva

origine principalmente dalla istruzione compiuta sulla visita pastorale del

Pontefice alla Parrocchia S.Tommaso d’Aquino il 10 maggio immediatamente

precedente l’attentato.

Queste sinteticamente le circostanze di fatto a fondamento delle richieste.

Il Pontefice aveva lasciato la Città del Vaticano, per compiere detta visita

pastorale, in orario che gli consentì di raggiungere la Parrocchia verso le ore

16:40.

Dopo aver visitato la scuola elementare e i locali della Parrocchia,

all’epoca ospitati in un edificio di civile abitazione, e, aver dato udienza a gruppi

parrocchiali, il Sommo Pontefice aveva celebrato la S. Messa all’aperto in una

sorta di rotonda sita in Via Davide Campari.

La rotonda era stata divisa in cinque sezioni: due a fianco dell’altare

riservate rispettivamente al coro e ai servizi della Radio Vaticana; la terza

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antistante e prossima all’altare, riservata ai comunicandi; la quarta intermedia,

riservata ai parrocchiani; la quinta riservata agli ospiti. Alla terza, alla quarta e

alla quinta si accedeva con biglietti di invito.

I biglietti di invito erano stati emessi parte dalla Prefettura Pontificia e

parte dalla Parrocchia a seguito di accordi intercorsi tra il Reggente all’epoca

della Prefettura Pontificia, monsignor Dino MONDUZZI, e il Parroco, Don

Pietro TODINI. Quelli emessi dalla Parrocchia erano stati distribuiti

esclusivamente a gruppi o singoli parrocchiani. Quelli emessi dalla Prefettura

Pontificia erano stati circa una ventina nel settore riservato ai comunicandi. Il

controllo per l’accesso era stato esercitato sia da personale della stessa Prefettura

che da persone della Parrocchia.

Nelle riprese cinematografiche della cerimonia all’aperto era stato

ritratto, nel settore dei comunicandi, un giovane con connotati somatici

corrispondenti a quelli dell’attentatore al Sommo Pontefice, il cittadino turco

MEHMET ALI’ AGCA’ già condannato per il delitto alla pena dell’ergastolo.

Questa persona era al centro di suore e signore anziane della Parrocchia;

mostrava un atteggiamento diverso da coloro che lo circondavano; era

sconosciuto al Parroco e ai parrocchiani.

MEHMET ALI’ AGCA’, più volte interrogato su suoi movimenti in

quel 10 maggio 1981, ha sempre dichiarato di essersi recato tra le 16 e le 17

in Piazza San Pietro, e di aver colà assistito all’uscita del Sommo Pontefice a

bordo di autovettura Mercedes scoperta di colore nero, scortata da

motociclisti.

Si chiedeva di conseguenza di accertare, in considerazione:

A. del fatto che la persona in questione disse essere l’attentatore del

Sommo Pontefice intento a compiere osservazioni sulla Sua persona e Suoi

movimenti in preparazione dell’attentato; B. del fatto che, trovandosi costui in

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settore cui si poteva accedere solo con invito della Prefettura Pontificia o con

il permesso di alcuno addetto al controllo dei biglietti e degli accessi; C. del

fatto che esso non facesse parte di coloro che erano stati invitati dal Parroco,

nè era conosciuto da costui e da tutti i parrocchiani presenti; 1) quali gruppi o

singoli fossero stati destinatari degli inviti emessi dalla Prefettura Pontificia;

2) quali dipendenti della Prefettura e della vigilanza fossero stati demandati al

Servizio di controllo degli accessi nell’occasione in oggetto; 3) se alcuno di

costoro avesse consentito, per qualsiasi ragione, che persone non munite di

invito accedessero ai settori riservati.

A tali fini si richiedeva di: 1. acquisire copia della documentazione

della Prefettura Pontificia sulla visita del

Sommo Pontefice alla Parrocchia di San Tommaso d’Aquino il 10

maggio 81, ed in particolare della lista degli invitati dalla stessa Prefettura

alla cerimonia; 2. escutere il Reggente della Prefettura dell’epoca,

Monsignor Dino MONDUZZI, ed il Comandante della Vigilanza

all’epoca, Commendator Camillo CIBIN; 3. identificare ed escutere i

dipendenti della Prefettura Pontificia e della Vigilanza; 4. acquisire copia

della documentazione della Vigilanza non solo relativa al servizio di quel

10 maggio 81, bensì anche - presumendo che di necessità sarà stata

compiuta attività di indagine sui precedenti e sulla commissione

dell’attentato - sull’intera vicenda del delitto. (v. commissione rogatoria

alla Santa Sede del 16.06.95)

****************

Cap. 3.5.2. Le attività di esecuzione della rogatoria.

In questa occasione Promotore di Giustizia e Tribunale della Città

del Vaticano si pronunciavano per la piena esecuzione della richiesta. (v.

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provvedimenti del 23 e 24.06.95)

Di conseguenza si procedeva da parte del Giudice delegato alla

acquisizione presso il Corpo di Vigilanza dello Stato della Città del

Vaticano nella persona del Grande Ufficiale Camillo CIBIN, Ispettore

Generale del Corpo, di copia della documentazione attinente: a. alla visita

del Santo Padre alla parrocchia di S. Tommaso d’Aquino del 10 maggio

81; b. all’attentato del 13 successivo. Nell’esecuzione dell’atto detto

CIBIN evidenziava l’impossibilità di procedere alla escussione dei testi

richiesti, in considerazione della posizione di

pensionamento delle persone allora impiegate oltre a qualche caso di

decesso.

Si procedeva altresì alla richiesta di copia del servizio fotografico,

effettuato in occasione della visita pastorale sopra specificata,

all’Osservatore Romano, ma tale richiesta sortiva effetto negativo, perché il

servizio fotografico di quel quotidiano non disponeva di altri negativi oltre

quelli già consegnati a questo Ufficio.

Si procedeva anche a verifica e ad acquisizione di documenti presso

l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice al Palazzo

Apostolico. Si accertava così dopo aver visionato, alla presenza di

Monsignor Enrico VIGANO’, Cerimoniere Pontificio, la documentazione

relativa a detta visita pastorale (cartella per l’anno 81 n.17, scatola n.0569,

cartella 4), che non vi era alcun elemento relativo al rilascio di biglietti per

ricevere la Comunione dalle mani del Santo Padre. Lo stesso mons.

VIGANO’ asseriva che nei casi di visita alle Parrocchie sono delegati i

Parroci al rilascio di tali biglietti, altrimenti di competenza dell’Ufficio delle

Celebrazioni liturgiche e non della Prefettura Pontificia. Se peraltro - sempre

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a detta di mons. VIGANO’ - l’Ufficio stesso avesse rilasciato di sua

iniziativa qualche permesso eccezionale per ricevere la Comunione dal Papa,

vi sarebbe stata traccia nel fascicolo verificato. Sempre nell’ambito di questa

ricerca monsignor MARINI, Maestro delle Celebrazioni liturgiche, dopo

aver precisato che nell’81 non aveva la responsabilità dell’Ufficio, prestando

anzi la propria attività presso la Sacra Congregazione per i Sacramenti e il

Culto Divino, confermava quella prassi di rilascio.

Si procedeva infine alla escussione di monsignor MONDUZZI,

Prefetto della Casa Pontificia. Questi affermava in primo luogo che

dall’esame della posizione d’archivio, per

quella visita pastorale non risultava la concessione di qualsivoglia

biglietto a titolo individuale. Confermava poi, al riguardo dei biglietti per

ricevere la Comunione nelle mani del Papa, che non spettava alla

Prefettura ma all’Ufficio per le Celebrazioni liturgiche.

************

Cap. 3.5.3. Il fascicolo dell’inchiesta vaticana.

Di interesse, anche se composto di pochi atti, il fascicolo

dell’inchiesta vaticana, che si concluse con decreto di archiviazione

emesso dal Giudice Istruttore vaticano in data 14 luglio 81 per mancanza

di giurisdizione, per avere la Santa Sede delegato le autorità italiane a

provvedere nei confronti dell’autore dei delitti.

Tra gli altri atti, di rilievo appare il rapporto dell’Ufficio Centrale

di Vigilanza del Governatorato, datato Città del Vaticano 19 maggio 81,

che così recita sulla successione degli eventi: “Come di consueto, alle ore

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17:00, Sua Santità era giunto all’Arco delle Campane con l’auto

pontificia S.C.V. 1, accompagnato dal Segretario particolare, mons.

Stanislao DZIVISZ, e dall’Aiutante di Camera, Comm. Angelo GUGEL.

La vettura era guidata dall’autista dell’autoparco vaticano, Sabatino

BAGLIONI. Trasferitosi sulla “jeep” targata S.C.V.3, egli stando in piedi

sull’automezzo, è uscito in Piazza ed ha iniziato i giri per i corridoi

predisposti tra i reparti. La “jeep”, come sempre, rasentava gli steccati

affinchè il Papa potesse salutare, il più vicino possibile, le persone

accalcate lungo le transenne e stringere loro le mani. Effettuato

regolarmente il

primo giro sul lato sinistro è continuato il secondo sulla destra. Giunto verso

il Portone di Bronzo, e precisamente all’altezza dell’Ufficio postale mobile un

individuo, identificato poi per MEHMET ALI’ AGCA nato il 09.01.58 a

Malatya (Turchia), da oltre le transenne ha sparato addosso alla persona del

Santo Padre due colpi con una pistola “Browning mod. 35 cal. 9 lungo”. Sua

Santità è rimasto gravemente ferito all’addome e al dito indice della mano

sinistra e all’avambraccio destro, riportando lesioni viscerali multiple

all’intestino tenue, al sigma, ai mesenteri e al retro peritoneo, nonchè ferita

lacero contusa al braccio destro e frattura alla seconda e terza falange del

secondo dito della mano sinistra. I colpi hanno anche ferito due donne che si

trovavano dietro le transenne lungo il corridoio del reparto n.2 dove transitava

il Santo Padre, dalla parte opposta da dove sono partiti i colpi. L’attentatore

invece si era appostato in piazza, fuori dei riquadri riservati ai fedeli per

l’udienza e precisamente nella parte della piazza dell’emiciclo nord del

colonnato, lasciata libera per il pubblico.

Il Santo Padre, prontamente soccorso dai presenti, con la medesima

“jeep” è stato condotto velocemente alla Guardia Medica Vaticana. Quivi

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accertata la gravità delle lesioni, il Dott. BUZZONETTI e il Prof. FEDELI

hanno disposto l’immediato ricovero al Policlinico Gemelli. Il trasporto è

stato effettuato con l’ambulanza targata S.C.V. 401, partita dal Vaticano alle

ore 17,29 ed arrivata al Policlinico alle 17,36. Raggiunta la sala operatoria il

Santo Padre è stato sottoposto ad intervento chirurgico durato dalle ore 18 alle

ore 23,25. L’attentatore bloccato da alcune persone che assistevano

all’udienza e immediatamente dopo dalle forze dell’ordine vaticane e italiane

accorse sul posto, è stato accompagnato al vicino posto di guardia

dell’Ispettorato di P.S. presso il Vaticano, sito sotto il colonnato e da qui

trasferito alla Questura di Roma per il

procedimento del caso. E’ stata subito recuperata anche l’arma del delitto.

Le due donne ferite, identificate per Anne ODRE di 58 anni, residente a

Buffalo (USA) e alloggiata provvisoriamente al Palace Hotel di Roma, e

Rose HOLL, nata il 31.05.1960 giamaicana, ugualmente cittadina

americana, alloggiata all’Hotel Capitale, sono state portate al vicino posto

di pronto soccorso sito nella stessa piazza e successivamente trasferite

all’Ospedale di Santo Spirito.

Così come alcune delle deposizioni di coloro che erano prossimi al

Pontefice e all’autore dell’attentato. In primo luogo l’autista del Santo

Padre: “mercoledì 13 maggio, alle ore 17:00, con l’auto pontificia S.C.V.

1 ho prelevato, all’ascensore nobile del cortile di San Damaso, il Santo

Padre per condurlo in piazza San Pietro, dove doveva concedere l’udienza

generale del mercoledì. Nell’auto avevano anche preso posto il rev.mo

mons. Stanislao DZIWISZ, Segretario Particolare del Papa, e l’Aiutante

di Camera comm. Angelo GUGEL. Giunti poco dopo all’Arco delle

Campane, il Santo Padre si è trasferito nella vettura “campagnola” S.C.V.

3 ed è uscito sulla piazza per iniziare il giro attorno ai reparti rasentando

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le transenne affinchè Sua Santità potesse salutare i fedeli presenti e

stringere loro le mani. Effettuato il primo giro lungo il transennamento

del lato sinistro, ho proceduto lungo quello destro. Giunto verso il

Portone di Bronzo e precisamente all’altezza dell’Ufficio postale mobile

vaticano della piazza, ho chiaramente udito due detonazioni sparate da

una pistola. Mi sono girato per rendermi conto di cosa stesse accadendo, e

avendo visto il Santo Padre premersi l’addome accasciandosi sorretto da

mons. DZIWISZ e dall’Aiutante, mi sono reso conto che era stato

compiuto un attentato alla persona del Papa; continuavo la marcia

dell’auto, però vedendo che l’Ispettore

Generale di P.S. dr. PASANISI era salito sulla vettura e tentava di

sollevare il Santo Padre con evidente intento di farlo scendere dall’auto,

ho fermato la vettura e sono prontamente sceso per adoperarmi alla

bisogna. In quel momento ho udito gridare, credo da parte del Sovrastante

dell’Ufficio Vigilanza sig. ANTONIAZZI e poi anche da altre persone:

“via, via”. Sono così risalito in fretta al volante dell’auto e mi sono

diretto a tutta velocità verso l’Arco delle Campane per raggiungere la

Direzione Sanitaria trovando i canali completamente sgomberi, perché le

forze dell’ordine si sono adoperate durante il percorso. Nel tragitto, a

causa del sovraccarico della campagnola, ove erano salite alcune persone,

non riuscivo a controllame la guida tanto che avevo sospettato che una

gomma fosse forata. Ho comunque proseguito raggiungendo la Direzione

Sanitaria, dove il Papa è stato preso in consegna dai medici dr.

BUZZONETTI e prof. FEDELI che hanno provveduto ai necessari

soccorsi e al ricovero. (v. deposizione BAGLIONI Sabatino, 19.05.1981)

Poi degli uomini della Vigilanza, il Sovrastante ANTONIAZZI: “il

13 maggio ero stato comandato di servizio all’udienza generale del Santo

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Padre in piazza San Pietro. Al giungere del Papa sulla piazza a bordo

della “campagnola”, come di consueto, dalla statua di San Pietro ho

seguito l’auto pontificia, prima lungo il transennamento di sinistra e,

successivamente, lungo quello di destra. Giunti a pochi metri dal

transennamento riservato al Pronto Soccorso dello S.C.V. sistemato nei

pressi del Portone di Bronzo, ho udito due detonazioni distinte

chiaramente una dall’altra, sparate da una pistola. Essendo compito mio

quello di osservare la gente assiepata lungo il transennamento, ho visto

due mani alzate a circa tre metri dalle transenne, che reggevano un fodero

di

apparecchio fotografico, il quale nascondeva la pistola dalla quale sono

fuoriuscite due fiammate. Mi sono istintivamente girato verso il Santo

Padre, che in quel momento si trovava proprio di fronte allo sparatore, ed

ho visto il Papa che, dalla posizione inclinata in cui si trovava per salutare

la folla con la mano, si è alzato inclinandosi subito dopo verso mons.

DZIWISZ, il quale si era alzato e lo aiutava ad adagiarsi sul sedile della

vettura. Subito dopo ho notato che diverse persone sono salite sulla

“campagnola”, tra cui: l’aiutante di camera comm. GUGEL, che dal posto

a fianco alla guida si è trasferito dietro, il dr. PASANISI dell’Ispettorato

Generale di P.S. presso il Vaticano, il capitano della Guardia Svizzera, il

cav. GHEZZI ed altri che non rammento. Queste persone, ho notato che

stavano rialzando il Santo Padre con l’intenzione di portarlo al Pronto

Soccorso. Essendomi accorto che il Papa sanguinava da una mano e che

la veste bianca si macchiava di sangue sulla schiena, ho gridato più

volte per raggiungere lo scopo:

“mettetelo giù che lo portiamo in Vaticano” e mi sono diretto verso la

parte di guida dell’auto sempre gridando : “via, via” ed ho sollecitato

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l’autista Sabatino a partire a tutta velocità verso lo S.C.V.. Ho seguito

l’auto fin quando ho potuto poichè l’auto stessa aumentava la velocità. (v.

deposizione ANTONIAZZI Giusto, 20.05.81)

Il sottodecano di Sala aggiunto GHEZZI: “Il giorno 13 maggio

1981 ero di servizio d’anticamera segreta nelle ore pomeridiane e poiché

era di mercoledì e il Santo Padre concedeva udienza generale, mi sono

trasferito in Piazza San Pietro per quel servizio. Sua Santità è uscito

dall’Arco delle Campane a bordo della “campagnola” poco dopo le ore 17

ed io mi sono subito posto dietro al predellino dell’auto ed ho seguito a

piedi tutto il tragitto del primo e del secondo giro tra

i reparti preparati per l’udienza ed affollati di fedeli. Quando l’auto è

giunta nei pressi del Portone di Bronzo e precisamente all’altezza

dell’Ufficio postale mobile dello S.C.V., ho distintamente udito due colpi

e, alla seconda detonazione vedendo del fumo uscire dal punto dove erano

partiti, ho intuito che era stato commesso un attentato alla persona del

Santo Padre. Infatti ho visto il Papa impallidire ed accasciarsi sull’auto.

Nello stesso tempo ho anche visto, che al di là della transenna, si apriva un

varco tra la folla e due persone che correvano divaricando: una vestita di

verde più avanti e l’altra vestita in grigio più indietro. Poichè tutti erano

rivolti verso il Santo Padre, io strillavo incitando i vicini a rincorrerli.

Successivamente sono balzato sull’auto che aveva proceduto poco in

avanti ed ho visto l’autista Sabatino BAGLIONI che era sceso dalla guida.

L’ho sospinto per partire invitando a trasportare il Santo Padre subito in

Vaticano. Sono salito sul predellino della campagnola ed ho notato che il

Santo Padre era accasciato tra i sedili sorretto dal Segretario e

dall’Aiutante ai quali suggerivo, essendo l’auto in movimento, di deporlo a

sedere. In precedenza era salito sull’auto anche l’Ispettore Generale di P.S.

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presso il Vaticano dr. PASANISI, che, con voce tremolante chiamava il

Santo Padre e si portava la mano destra del Papa all’orecchio dicendo:

“Santità, Santità” e non so spiegarmi per quale ragione facesse ciò.

Durante il percorso gridavo a coloro che conoscevo di far giungere il dr.

BUZZONETTI e di far seguire l’ambulanza. Arrivati alla Guardia medica

vaticana, il dr. BUZZONETTI che si trovava sul posto, resosi conto della

gravità delle ferite, ha disposto l’immediato ricovero del Papa al

Policlinico “Gemelli” con una delle due ambulanze, che intanto erano ivi

sopraggiunte. Ho visto salire sull’ambulanza nella quale era stato deposto

il Santo Padre, mons. Segretario Particolare, il dr. BUZZONETTI,

il Prof. FEDELE e il dr. NICOTRA. (v. deposizione GHEZZI Franco,

22.05.81)

L’Agente Scelto CONTI Giuseppe: “Il giorno 13 maggio c.a. sono

stato comandato di servizio, in abito civile, per l’udienza pontificia in Piazza

San Pietro. Avevo il compito di sorvegliare i fotografi e i cineoperatori

autorizzati ad effettuare riprese. Verso le ore 17.15, il Santo Padre stava

terminando il secondo giro delle Piazza per salutare la folla che sostava sul

lato destro del percorso. Mi trovavo all’altezza dell’ultima colonna di fronte

al Portone di Bronzo con due fotografi (uno dell’Agenzia Kass e l’altro di

una rivista svizzera). Mentre li obbligavo a non avvicinarsi troppo alla

“jeep” del Santo Padre, udivo delle detonazioni che al primo momento

sembravano provocate da un petardo. Subito però ho capito che si trattava di

un attentato, perché il Santo Padre si era piegato sul lato sinistro e veniva

soccorso dal Segretario, mons. DZIWISZ, e dall’Aiutante di Camera,

comm. GUGEL. D’istinto ho seguito il Dirigente l’Ufficio, comm. CIBIN,

che scavalcava le transenne dalla parte in cui erano partiti i colpi per

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scoprire il responsabile dell’attentato. Visto che costui scappava dietro al

furgone postale, ho doppiato il mezzo dall’altra parte per cui me lo sono

trovato davanti già bloccato dall’ex Gendarme Pontificio Ermenelgildo

SANTAROSSA, da un giovane Carabiniere e da un Agente di P.S., in

borghese, che, credo, sia incardinato nel “Commissariato Borgo”, ai quali

ho dato manforte. Subito sono sopraggiunti altri colleghi Agenti di

Vigilanza, Carabinieri, Agenti di P.S. in divisa e in borghese ed altra gente

la quale minacciava il responsabile del grave delitto. A forza, facendo largo

tra le persone accorse, l’attentatore è stato trasportato nel vicino posto di

servizio dell’Ispettorato Generale di P.S. presso il Vaticano e da qui, poco

dopo,

condotto con una “volante” al Commissariato Borgo”. (v. deposizione

CONTI Giuseppe, 13.05.81)

L’Agente di Vigilanza, Graziano TOMASSINI: “Il giorno 13

maggio 1981 sono stato comandato di servizio per la consueta udienza

generale in Piazza San Pietro e sono stato assegnato al corridoio laterale

destro, davanti al posto di pronto soccorso del Vaticano. Alle ore 17:20

circa , il Santo Padre in camionetta giungeva in quel posto al termine del

secondo giro effettuato nei corridoi tra i vari reparti. La “jeep” sulla quale

si trovava Sua Santità era giunta all’altezza del furgone del pronto

soccorso quando ho sentito due detonazioni di arma da fuoco provenire

dalla parte opposta da dove mi trovavo, precisamente oltre le transenne

nel tratto lasciato libero per il pubblico. Ho visto il Santo Padre

accasciarsi e mons. STANISLAO aiutarlo ad appoggiarsi sui sedili,

mentre altre persone che seguivano la “jeep” salivano dalla scaletta

posteriore per dare aiuto. Poiché il Dirigente l’Ufficio di Vigilanza,

comm. CIBIN, nello stesso tempo, scavalcava lo steccato verso il punto

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da dove l’attentatore si doveva essere appostato, anch’io l’ho seguito,

ritenendomi utile alla sua cattura. Mi sono subito diretto verso il furgone

postale ed ho visto che un Agente di P.S. del Commissariato Borgo ed

altre due persone sconosciute tenevano saldamente un individuo indicato

come il responsabile dell’atto criminoso. Contemporaneamente sono

sopraggiunti colleghi di questo Ufficio di Vigilanza a dare manforte.

Sono arrivati subito dopo anche altri Carabinieri, Agenti di P.S. in divisa,

poliziotti dell’Ispettorato in borghese, persone civili, tanto che a fatica si è

potuti far largo per condurre il delinquente nel vicino posto di polizia del

Portone di Bronzo. (v. deposizione TOMASSINI Graziano - senza data -).

L’Agente Scelto CHIEI GAMACCHIO Franco:” il giorno 13

maggio c.a. ho preso servizio alle ore 14,30 nel settore “A” di piazza San

Pietro per la consueta udienza generale del mercoledì. Il Santo Padre è

giunto in piazza a bordo della campagnola, alle ore 17 ed ha effettuato,

come sempre, i giri tra i reparti. Al secondo passaggio, mi trovavo nelle

vicinanze dell’ingresso “1” di detto reparto quando sentivo nitidamente

due esplosioni di arma da fuoco. Di corsa mi dirigevo nella zona da dove

erano pervenute le due detonazioni, lontana circa venti metri. Notavo il

Santo Padre accasciarsi sorretto dal Segretario privato ed da altre persone,

notavo alcuni colleghi che saltavano le transenne verso il riquadro esterno

dove è sito l’Ufficio postale mobile dello S.C.V. preceduti dal Dirigente

di quest’Ufficio. Saltavo anch’io, e di corsa, mi sono diretto in un punto

indicatomi dall’infermiere della Guardia Medica Silvano CARNEVALI

che mi segnalava l’attentatore dicendomi: “Eccoli lì, eccolo lì”. Giunto

vicino al furgone postale notavo che l’attentatore era tenuto per il collo da

un signore alto con i capelli bianchi e vestiva abiti borghesi che,

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riconobbi subito per l’Agente CECCARELLI del Commissariato

“Borgo”. L’attentatore era attorniato da altri miei colleghi tra cui:

BIOCCA, DECARO, CONTI e si dimenava tanto che anch’io ho dato

manforte per fermarlo. Intanto la folla accorsa gridava ed incitava al

linciaggio per cui, assieme agli altri, abbiamo fatto strada ed abbiamo

raggiunto il posto di polizia, sito nei pressi del Portone di Bronzo. Intanto

erano intervenuti altri Carabinieri ed agenti dell’Ispettorato Generale di

P.S. presso il Vaticano i quali, insieme al CECCARELLI, lo

introducevano nel predetto posto di polizia. Poco più tardi l’attentatore,

con una “volante” veniva trasferito al Commissariato “Borgo”.(v.

deposizione CHIEI GAMACCHIO Franco, 13.05.81).

L’agente Antonio MANTOVANI: “Alle ore 17.20 circa di detto

giorno udivo distintamente due rapide detonazioni d’arma da fuoco

provenienti dal lato della piazza ove in quel momento e per la seconda

volta transitava la “jeep” con a bordo il Santo Padre. Istintivamente mi

precipitavo verso il Portone di Bronzo; giunto alla curva del percorso

transennato, vedevo il Santo Padre ancora in piedi appoggiarsi al Segretario

Particolare Mons. STANISLAO DZIWSZ. Ho visto anche l’autista della

jeep Sabatino BAGLIONI, era sceso e stava a fianco della vettura e,

guardando oltre le transenne verso l’Ufficio Postale mobile intravedevo

una Suora, ma più distintamente un carabiniere in divisa che cercavano di

fermare un individuo. Negli attimi che sono succeduti ho pensato che

l’attentatore poteva essere fermato in quanto inseguito e nel frattempo

notavo che il Sommo Pontefice si accasciava tra le braccia del Suo

Segretario Particolare e che la veste si arrossava di sangue all’altezza della

fascia. Prontamente erano accorsi molti altri colleghi mentre alcune

persone erano salite sulla campagnola per coadiuvare a soccorrere il Santo

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Padre. Contemporaneamente il Sovrastante ANTONIAZZI gridava verso

l’autista di partire e trovandomi a fianco dello sportello spingevo in vettura

il BAGLIONI e lo incitavo anch’io a partire per lasciare immediatamente il

luogo dell’attentato ed a portarsi in Vaticano. Partita la jeep carica di

persone ed attorniata da molti miei colleghi ho ritenuto fosse necessario

accorrere sul posto ove si era appostato l’attentatore. Saltata la transenna

mi sono portato oltre l’Ufficio Postale mobile, dov’era anche il Dirigente

dell’Ufficio, ed ho visto che il responsabile del delitto era già stato bloccato

da agenti di vigilanza, Carabinieri ed Agenti di P.S.. Non posso però dire

chi per primo l’abbia fermato. A forza è stato quindi accompagnato

nel posto fisso di servizio dell’Ispettorato Generale di P.S. presso il Vaticano,

passando tra la folla minacciosa di linciaggio.

Tornato sul posto ove sono partiti gli spari per raccogliere notizie che

potessero essere utili per le indagini, una signora mi ha consegnato un pezzo

di fodero di macchina fotografica dicendo di averlo raccolto a terra dove si

era appostato l’attentatore e che poteva averlo usato per nascondere la

pistola. (v. deposizione MANTOVANI Antonio, 18.05.1981)

Il gendarme Ermenegildo SANTAROSSA: “Il giorno 13 maggio

1981 alle ore 17, mi trovavo in piazza San Pietro, verso la metà del

colonnato prospiciente l’ufficio postale mobile, a conversare con amici

mentre osservavamo il passaggio del Santo Padre sulla campagnola per

l’udienza pontificia. Improvvisamente ho udito due forti detonazioni

provenire dalla direzione dove era fermo il Papa. Ho gridato ai miei amici:

“hanno sparato al Papa” e sono corso verso quella direzione con l’intenzione

di rendermi utile. Notavo, nella mia corsa, che la folla si stava allargando

per consentire il passaggio di un giovanotto elegantemente vestito in grigio

che impugnava una pistola scappando. Arrivato a circa tre metri dal

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fuggiasco, questi gettava contro di me l’arma deviando la fuga verso il

colonnato. Lo rincorreva un giovane carabiniere in divisa che urlava:

“fermatelo, fermatelo”. Ho così bloccato il fuggiasco stringendolo

fortemente alla vita aiutato anche dal giovane carabiniere che, intanto, era

sopraggiunto. Cercavo di trascinare il fuggitivo verso il Portone di Bronzo

per portarvelo all’interno mentre cercavo di ripararlo dalle botte che una

folla minacciosa voleva dargli. Sopraggiungevano intanto gli agenti

dell’Ufficio Centrale di Vigilanza del Vaticano e poliziotti in divisa italiani

che me lo hanno tolto dalle mani trascinandolo

all’interno del posto fisso di P.S. presso il Portone di Bronzo. Rammento

che, mentre reggevo il terrorista, questi ha chiaramente pronunciato in

lingua italiana con accento straniero, per tre volte, la seguente frase :

“Non ho fatto niente”. (v. deposizione SANTAROSSA Ermenelgildo -

senza data -)

L’autista dell’ Autoparco Vaticano, Nando CANNELLONI: “Il

giorno 13 maggio 1981, sono stato comandato in piazza San Pietro per

l’udienza pontificia, alla guida dell’ambulanza S.C.V. 401. Alle ore 17,20

circa, ho chiaramente udito due detonazioni come da arma da fuoco,

perché mi trovavo con l’autoambulanza sotto il colonnato dell’emiciclo

nord. Resomi conto che era stato commesso un attentato, sono corso

istintivamente verso la piazza in direzione dell’Ufficio postale mobile ed

ho visto un poliziotto italiano alto e biondo e un agente di vigilanza del

quale non conosco il nome, che trattenevano un giovane che ho supposto

l’attentatore. Preciso che ancora non mi ero reso conto che l’attentato

fosse stato diretto alla persona del Santo Padre. Corso verso l’ambulanza,

un medico mi ha sollecitato di portarmi subito verso la piazza e, solo

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allora, sono venuto a sapere che il delitto era stato diretto al Papa. Con

difficoltà di movimento, in quanto la folla aveva intasato il passaggio

sotto il colonnato, sono riuscito a portarmi prontamente sulla piazza e ad

indirizzarmi verso l’Arco delle Campane. Lungo il tragitto, venivo da

tutti indirizzato a portarmi al cortile di San Damaso. Percorsa a velocità

sostenuta via delle Fondamenta, giunto alla Zecca, mi si è parato di fronte

un agente di vigilanza che si affannava con gesti a deviarmi verso la

Guardia Medica. Quivi giunto ho visto la persona del Santo Padre stesa su

una barella che stava per essere immessa in altra ambulanza. Le persone

che la trasportavano, accortesi della mia presenza, hanno subito

caricato Sua Santità nell’ambulanza condotta da me. A tutta velocità mi

sono indirizzato verso Sant’Anna con la sirena in funzione ho chiesto :

“Dove andiamo ?” il dr. BUZZONETTI mi ha risposto: “Al Policlinico

Gemelli”. Preciso che l’ambulanza era molto carica di persone per cui la

guida era diventata più difficoltosa. Appena varcato il cancello

d’ingresso, apertomi a metà dalla Guardia Svizzera, mi sono trovato

davanti la “Giulietta” dell’Ispettorato Generale di P.S. che ho

riconosciuto dall’autista che era al posto di guida. Con difficoltà ho

dovuto sterzare tutto a sinistra, anche perché pochi metri più avanti vi era

un pullman di turisti fermo sulla corsia preferenziale e tuttattorno una

marea di auto che bloccavano il traffico. Contro mano, sono riuscito ad

immettermi sulla corsia preferenziale e mi sono diretto, sempre contro

mano, ad attraversare piazza Risorgimento. Conoscendo bene le strade ho

ritenuto di arrivare al “Gemelli” facendo più presto, percorrendo: via

Ottaviano, via Barletta, viale delle Milizie, largo Trionfale, via Andrea

Doria, piazzale degli Eroi, viale delle Medaglie d’oro, via Marziale (tutta

in direzione vietata) piazza Giovenale (anche questa in direzione vietata),

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via Ugo de Carolis, via Damiano Chiesa, per imboccare via della Pineta

Sacchetti nei pressi dell’ingresso dell’ospedale. Faccio presente che,

uscito dal Vaticano e fino al Pronto Soccorso del “Gemelli”, non ho

notato nessuna auto nè una motocicletta delle forze dell’ordine italiane o

di altri che mi facessero strada. Il guaio maggiore, poiché a viale delle

Medaglie d’Oro ha cessato di funzionare la sirena, è stato quello di

guidare con una mano sola, poiché l’altra era impegnata, continuamente,

per le segnalazioni con il clacson, ed ho quindi corso gravi pericoli

d’incidenti. (v. deposizione CANNELLONI Nando, 20.05.81)

_____________________

CAPITOLO SESTO

Cap. 3.6. La figura di monsignor MARCINKUS

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Non facile appare riassumere le attività, emerse in questa inchiesta,

di monsignor MARCINKUS. Come già s’è scritto, egli proprio in virtù

dell’incarico ricoperto all’epoca, era stato più volte menzionato lì ove

compare lo IOR e cioè nelle dichiarazioni di ORAL CELIK e in quelle di

CALCARA, di cui si parlerà più oltre. Qui, come era stato menzionato, in

quegli atti concernenti la vicenda ORLANDI ed assunti per ragioni di

connessione anche in questa istruzione.

Detto monsignore, che attualmente risiede ed esercita il suo

ministero negli Stati Uniti ed ha perso quello status che impedì in altre

inchieste il suo interrogatorio, è stato più volte citato durante le sue

permanenze romane, ma sempre inutilmente, perché per tempo ritornato

in America.

Al fine di accertare quali fossero i movimenti del monsignore e se

vi fosse di conseguenza possibilità di sentirlo, è stata esaminata

MARIGONDA Maria Vittoria, segretaria personale di MARCINKUS

presso lo IOR dal gennaio 71 alla fine del 90.

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Alla MARIGONDA non risultano contatti di MARCINKUS con

CARBONI, con SANTO VITO, con ALBANO, con BRUSCOLOTTI,

con persone legate alla mafia. MARCINKUS era devotissimo a PAOLO

VI così come lo è stato a GIOVANNI PAOLO II°. Ebbe un incontro

cordialissimo anche con GIOVANNI PAOLO I°. Questi, prima della

morte, lo aveva già confermato allo IOR. Così come GIOVANNI

PAOLO II° non aveva mai mostrato di volerlo sostituire nel detto Istituto.

Anzi questo Pontefice gli aveva dato anche l’incarico di pro-Presidente

della Commissione Pontificia per lo Stato della Città del Vaticano, e,

allorché nei primi anni 80 settori della stampa mossero degli attacchi al

monsignore, il Pontefice reagì rivolgendo ai giornalisti parole di biasimo.

Nella vicenda della scomparsa di Emanuela ORLANDI,

MARCINKUS fu sempre con discrezione vicino alla famiglia della ragazza

e ne assunse il fratello presso lo IOR. (v. esame MARIGONDA Maria

Vittoria, 20.06.95)

Su questa vicenda la MARIGONDA ritorna anche nella seconda

testimonianza, quella resa anche al G.I. del caso ORLANDI.

Rammenta che mons. MARCINKUS non si era mai occupato della

scomparsa della ragazza, giacchè non era qualificato a farlo dal punto di

vista istituzionale. Egli non si è mai sentito implicato nella vicenda e per

informarsi sul caso si rivolgeva alla Segreteria di Stato, che “era gelosa delle

proprie competenze e poco disposta a render noto ciò che considerava nella

propria esclusiva giurisdizione”.

Sul rapporto con PAZIENZA ricorda di averlo visto nello studio di

mons. MARCINKUS e che la sua visita era stata preceduta dalla telefonata

di presentazione di mons. SILVESTRINI. Questa visita risaliva al tempo in

cui CALVI era detenuto.

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Nonostante le vengano contestati i dati risultanti da tabulati telefonici,

non ricorda rapporti tra mons. MARCINKUS e GIOVANNONE, né la

frequenza di contatti telefonici con PAZIENZA, riducendoli a un numero

minimo, tutti ricompresi nel periodo di detenzione di CALVI.

Esclude che il monsignore possa aver incontrato la STERLING. E

quanto alla pista bulgara per l’attentato al Papa riporta l’opinione,

attribuendola però solamente a se stessa, che non fosse particolarmente

gradita la pubblicità che emergeva su questa pista, in ragione delle

persistenti difficoltà nei rapporti con le Chiese dell’Est, rapporti che si

tentava di condurre a maggiore distensione. (v. esame MARIGONDA

03.08.95).

Dagli atti del SISMI si rileva che la 2^ Divisione, a seguito di notizie

apparse sul “TIMES” del 5 settembre 1981 relative all’esistenza di un

dossier contenente “importanti elementi informativi” originato dal

Vaticano e trasmesso alla Casa Bianca - così come era stato annunciato

nella trasmissione televisiva andata in onda sulla TV britannica ‘TV EYE”

- informava il Direttore del Servizio con appunto datato 10 settembre 1981

che il servizio collegato RIC (CIA) smentiva la circostanza e che la 2^

Divisione aveva stabilito contatti “in modo informale e sul piano personale

con Mons. MARCINKUS, Presidente del Banco Vaticano e responsabile

della “Sicurezza” del Papa”. MARCINKUS nell’occasione escludeva

l’esistenza di un documento organico sull’attentato al Papa in quanto, “in

caso positivo, sarebbe stato emesso dalla sua Segreteria”; riteneva

personalmente che “AGCA non potesse aver agito senza l’appoggio di una

grossa organizzazione, comunque da ricercarsi nell’azione incisiva che il

Pontefice esercita a favore della Polonia ed il disturbo che ciò arreca nel

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sistema sovietico”; riferiva di essere disposto “a fornire tutte le

informazioni in suo possesso una volta che avrà provveduto ad effettuare

alcune verifiche, purché venisse realizzato un canale diretto, segreto e

personale tra lui ed elemento del Servizio”.

L’appunto concludeva affermando l’utilità dell’apertura del dialogo

con l’alto prelato, anche se nei limiti e con le misure cautelative

concordate, in quanto trattavasi di “elemento che rappresenta un organo di

sicurezza di altro Stato”.

Non si può concludere questo capitolo senza rammentare un episodio

riferito nel libro di Fabrizio RIZZI “Vaticano e Ambrosiano”, che ha

ricevuto un’apparente conferma in una telefonata

registrata nel settembre 95. Nel capitolo “Hanno attentato al Papa: Ma chi

è stato un turco?” l’autore scrive che il pomeriggio dell’attentato in

Piazza San Pietro MARCINKUS è assente, giacché sta giocando a tennis

a Villa Stritch oltre il Gianicolo. ““A metà partita c’è un prete che urla

“Hanno attentato al Papa, hanno attentato... “MARCINKUS non ascolta

più quelle grida concitate, si passa l’asciugamano sui capelli e come se

avesse uno strano presentimento, sussurra: “Spero che non sia quel

turco””. WILTON WYNN amico del monsignore rammenta che

MARCINKUS quando aveva accompagnato il Pontefice in Turchia era

rimasto scosso da una lettera apparsa su un quotidiano, in cui un giovane

turco minacciava di uccidere il Papa. Quel ricordo, vivo come un incubo,

aveva continuato a preoccuparlo. E perciò questa sua esclamazione

potrebbe trovare giustificazione in quel ricordo. Ma l’autore forniva

anche un’altra ipotesi e cioè che MARCINKUS, essendo stato a capo dei

Servizi di Sicurezza della Città del Vaticano avesse potuto ricevere

confidenze prima dell’attentato.

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Queste ipotesi non sono state nè confermate nè contrastate,

principalmente perché non è stato possibile in alcun modo interrogare

direttamente mons. MARCINKUS. Una conferma alle parole pronunciate

nella predetta occasione invece potrebbe derivare da un brano di

conversazione tra la ex segretaria del monsignore e una voce d’uomo.

Costui afferma: “... Quando siamo andati a fare la doccia, e dopo la

doccia mi ha chiamato e mi ha detto. Hai visto la televisione? ed io ho

detto no. E lui ha detto, qualcuno ha sparato al Papa, e io ho detto oddio!

Chi è stato? Ha detto non so ed io ho detto spero non sia stato un turco.”

L’uomo poi continua - da tener presente che da più segni su altre

telefonate appare la consapevolezza negli interlocutori

di essere intercettati; n.d.e. - dando una spiegazione a quelle parole.

U. Ed ora mi chiedono perchè abbia detto ciò, essi non ricordano che io

ero in...

M. Turchia.

U. In Turchia, quando questo tipo sfuggì e lasciò una nota che avrebbe

ucciso il Papa, quindi la cosa più spontanea che mi è venuta da dire

dell’accaduto, spero...

M. Sì io ero a Londra quel giorno, avevo qualche giorno di riposo.

U. Sì.

M. Ed il giorno dopo sono ripartita frettolosamente, ma come potevi

giocare a tennis il giorno dell’udienza?

U. In quel periodo mi era permesso.

M. No, si lo so, ma era insolito che tu... non sapevo perché ero fuori città

quel giorno.

U. No, perchè padre LOVEDA, non so se avevo il pomeriggio libero, o

qualcosa del genere. Io sono andato con padre Loveda a giocare a

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tennis...

M. Sì

U. Ho lasciato l’ufficio alle 16.35 circa prima che l’udienza terminasse.

M. Ah, perchè l’udienza era di pomeriggio.

U. Sì nel pomeriggio. (v. rapp. Digos del 16.09.95).

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CAPITOLO SETTIMO

Cap. 3.7. Documenti dell’Ambasciata presso la Santa Sede

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Di rilievo per la ricostruzione dell’atteggiamento sui fatti e delle

reazioni al procedere dell’istruzione da parte della Santa Sede, due

documenti provenienti dall’Ambasciata d’Italia presso di essa.

“In Vaticano - si riporta nel primo - non esistono indizi ed

informazioni nè teorie attendibili sull’attentato al Sommo Pontefice, la

cui genesi resterà un mistero come negli attentati al Presidente Kennedy e

al premier svedese Palme.” Così il Segretario per i rapporti con gli Stati.

Anche sulle responsabilità dell’Unione Sovietica, come rivelato da

un ex agente di quello Stato ad autorità e media statunitensi, silenzio della

Santa Sede per la scarsa qualità delle rivelazioni di quel fuoriuscito.

“Solo il Santo Padre forse sa qualcosa, dopo il suo colloquio con

ALI’ AGCA, ma non ci dirà mai quello che sa Così Mons. Sodano. (v.

telex sull’attentato al Papa, Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, al

Ministero degli Affari Esteri, 22.03.1990)

La S. Sede inoltre critica, e in maniera anche piuttosto forte, le

fughe di notizie che proprio in quel periodo caratterizzavano l’andamento

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dell’istruttoria.

L’interlocutore del titolare dell’Ambasciata suddetta, in effetti -dopo aver

dichiarato che uno dei protagonisti dell’informativa DE MARENCHES,

cioè Monsignor CALMES, era deceduto, e che non vi erano

assolutamente in Segreteria di Stato, nè nella memoria dei responsabili

presenti e passati nè negli archivi, indicazioni, informazioni, e teorie

sull’attentato dell’81 che non fossero di dominio pubblico - commenta

affermando che l’istruttoria si sta svolgendo “coralmente” nel senso che

la stampa ne pone diffusamente al corrente il pubblico, come

avvenuto in notiziari RAI-TV della sera immediatamente precedente il giorno

di quell’incontro.

La Segreteria di Stato, ai sommi livelli aveva messo in evidenza diverse

volte che da parte della più alta Istanza la questione era considerata chiusa con

il perdono ad AGCA e che, si constatava sempre a quel livello, nulla di chiaro,

preciso e storicamente utile era mai emerso dal delitto del 13 maggio 81.

Si notava inoltre che alla moltiplicazione delle rivelazioni sull’attentato, su cui

la stampa andava riferendo, non corrispondeva - nell’indipendente giudizio di

quella Sede - nulla di fondato, nuovo, determinabile. In particolare lì dove si

ventilava - in una corrispondenza da Sofia - l’esistenza di responsabilità in

Vaticano, il tutto appariva sempre a quella Sede temerario, scandalistico e

senza radici nel vero.

Emergeva anche che il Cardinale Achille SILVESTRINI, nell’81

responsabile nella Segreteria di Stato dei rapporti internazionali della S. Sede,

aveva dichiarato di non aver mai appreso, nell’81 o in precedenza, della

segnalazione di cui sopra, e di esser certo che nulla ne aveva appreso il

responsabile degli Affari Generali della Segreteria di Stato, l’allora

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Arcivescovo Eduardo MARTINEZ SOMALO. E pertanto se ne desumeva che

la segnalazione francese non giunse mai all’organo della Santa sede

naturalmente più competente e istituzionalmente più responsabile per le

materie di rilievo secolari e che essa non fu quindi trasmessa ad organi dello

Stato italiano.

Seguivano valutazioni, tra cui sugli effetti negativi che i clamori, le

numerose e spesso contraddittorie notizie sui fatti comportavano

nell’atteggiamento della S. Sede. Sulla formulazione dei quesiti di questo

Ufficio, che penetrano direttamente negli interna corporis della Curia e

potrebbero

toccare comportamenti di dipendenti minori, che retrospettivamente

valutate potrebbero apparire non produttivi di effetti positivi. Sulla

persistente pubblicità nella stampa, che non conforta la diplomazia

vaticana. (v. nota Ambasciata d’Italia presso la S. Sede alla Segreteria

Generale del Consiglio dei Ministri, 04.07.91)

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CAPITOLO OTTAVO

Cap. 3.8. L’articolo di MONTANELLI

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In un libro dal titolo “ I vent’anni del “Giornale” di MONTANELLI”,

scritto da Mario CERVI e Gian Galeazzo BIAZZI VERGANI, appare un

capitolo dedicato ad una visita del ex direttore di quel quotidiano, il 5 luglio

1986 al Pontefice. Articolo scritto ma mai pubblicato. In esso lo scrittore vi

narrava la cronaca di una sera trascorsa presso il Papa.

“Eravamo in quattro alla sua mensa: ci facevano compagnia

JOAQUIN NAVARRO VALLS, il giornalista spagnolo addetto alle

relazioni del Vaticano con la stampa, e il segretario particolare di Giovanni

Paolo, un prete polacco dal nome polaccamente impossibile, che si

pronuncia GHIVISH e si scrive - chissà perché - DZIWISZ...

Parliamo della Polonia... Parlammo anche della situazione attuale a

Varsavia. O meglio ne parlai io. Lui mi stette a sentire, come al solito a testa

china... Parlammo dei suoi viaggi. Gli chiesi se non lo stancavano un po’;

specie dopo la lunga prova cui era stato sottoposto il suo fisico delle

pallottole di ALI’ AGCA. “No, no, disse “non ne risento assolutamente

nulla”. Ma io non volli abbandonare l’argomento senza chiedergli il giudizio

che più, sul piano umano, mi incuriosiva.

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“Santo Padre,” dissi “lei andò a trovare in prigione il suo

attentatore”... “Carità cristiana ... “Certo carità cristiana. Ma così riuscì a

capire dei movimenti e dei fini di quello sciagurato ?”

Stavolta il Papa rimase a testa china più a lungo del solito e più del

solito strizzò gli occhi prima di rispalancarli addosso. “Parlai con

quell’uomo” disse “dieci minuti, non più. Troppo poco per capire qualcosa

dei moventi e dei fini che fanno certamente parte di un garbuglio ... si dice

così? ... molto grosso. Ma di una cosa mi resi conto con chiarezza: che ALI’

AGCA era rimasto traumatizzato non dal fatto di avermi

sparato, ma dal fatto di non essere riuscito, lui come killer si considerava

infallibile, a uccidermi. Era questo, mi creda che lo sconvolgeva: il dover

ammettere che c’era stato qualcuno o qualcosa che gli aveva mandato

all’aria il colpo”. (v. libro “I vent’anni del “GIORNALE”” da pag.142 a

pag.147)

MONTANELLI ha confermato il contenuto di questa parte del

libro. Ha specificato che si parlò dall’attentato e che il Pontefice gli aveva

detto che si era recato al carcere a far visita all’attentatore per perdonarlo,

che AGCA era stato grato per quella visita, ma che non gli aveva fatto

alcuna confidenza sul retroscena dell’attentato, come mandanti ed

organizzazione di appartenenza.

Quanto alle vicende dell’articolo: “la pubblicazione dell’articolo è

avvenuta a mia insaputa e contro la mia volontà. L’articolo fu messo su

mia disposizione nell’archivio del giornale. E’ stato ripreso in occasione

della pubblicazione dei “Vent’anni del Giornale”. La decisione di

pubblicare questo libro è stata presa dopo la mia uscita dal “Giornale”.

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Era stato pianificato per: vent’anni del giornale, che scadono il 24 giugno

prossimo. La pubblicazione è stata affrettata a seguito della mia rottura

con BERLUSCONI ed infatti vi sono state inserite anche queste vicende.

Sono sicuro che gli autori non hanno chiesto l’autorizzazione per la

pubblicazione. Devo precisare che io feci bruciare l’articolo. L’articolo

era stato già stampato. Ne sospesi la pubblicazione quando ricevetti la

preghiera di NAVARRO di non pubblicarlo. BIAZZI VERGANI, che era

il mio condirettore, sicuramente ne conservò una copia. (v. esame di

INDRO MONTANELLI, 15.04.1994)

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CAPITOLO NONO

Cap. 3.9. Le dichiarazioni del Cardinal ODDI

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Da ultimo non può sottacersi la testimonianza resa dal Cardinal

Silvio ODDI. Questi qualche tempo dopo l’attentato, sempre nell’81

aveva rilasciato ad una pubblicazione italiana un’intervista nella quale

formulava delle ipotesi sulla matrice del delitto compiendo una serie di

deduzioni sulla base del principio del “cui prodest”.

A seguito di questo articolo l’attentatore cioè AGCA gli aveva

scritto una lettera in italiano intellegibile, in cui affermava di non essere

nè anticattolico nè antireligioso, ma soltanto un killer di professione, e di

attendersi dopo quell’articolo di denuncia dei mandanti che il “Papa

bianco” parlasse da piazza San Pietro e che qualcuno organizzasse la sua

soppressione in carcere.

Di questa lettera il Cardinale fece due copie, consegnando la prima

a un giornalista brasiliano - di cui non seppe in seguito più nulla - e la

seconda qualche mese dopo, alla Segreteria di Stato personalmente al

Cardinal CASAROLI. Da questo Ufficio non vi fu alcuna risposta o

reazione. Non è però in grado, esso Cardinal ODDI, di esibire nè

l’originale nè copie.

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Il suo convincimento, così come lo aveva espresso nel corso di

intervista del 91 al settimanale Pegaso - e a differenza di quanto era

successo nelle dichiarazioni dell’81, in cui lasciava all’intelligenza

dell’interlocutore di trarre l’ultima conclusione - era che il responsabile

fosse il KGB.

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CAPITOLO DECIMO

Cap. 3.10. Conclusioni

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Al termine di questa parte si può affermare che un passo avanti si è

compiuto con l’instaurazione dei rapporti tra questa A.G. e le Autorità

Vaticane su una questione così grave e delicata come l’attentato al

Pontefice. Rapporti che si sono basati, in assenza di un trattato di

assistenza giudiziaria, sulla consuetudine internazionale ed in particolare

su una nascente tradizione di relazioni di cooperazione in affari di

giustizia.

Le Commissioni Rogatorie non hanno però dato i risultati voluti. In

primo luogo non è stata consentita la presenza del rogante, che in virtù

della conoscenza degli atti e delle esigenze dell’inchiesta, avrebbe potuto

dare un rilevante contributo all’esito degli interrogatori. Questi atti non

raramente si sono conclusi in brevi serie di risposte negative, senza

seguiti di contestazioni da parte dell’inquirente né di spiegazioni da parte

dell’esaminato. Si sono perciò spesso rivelati atti puramente formali,

mentre potevano e dovevano essere di natura sostanziale.

Si deve pure rilevare che alcune tra le richieste di questa A.G. sono

state nettamente rigettate, perchè considerate questioni attinenti

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esclusivamente alla organizzazione statuale vaticana o che invadevano la

sovranità dello Stato della Città del Vaticano.

Molti altri interrogativi di questa inchiesta avrebbero avuto

necessità, per tentare di risolverli, dell’ausilio della Città del Vaticano, ma

di fronte al detto atteggiamento si è soprasseduto all’invio di ulteriori

commissioni rogatorie.

Atteggiamento che appare comune a molteplici soggetti ed entità

che dovrebbero ausiliare questi inquirenti e che, in non pochi tra essi,

appare come intento - non si comprende da

quali finalità determinato - di chiudere ogni indagine sul delitto e porre

una pietra tombale sulla ricerca della verità.

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PARTE QUARTA

Le attività dei Servizi

Pag. 274 bis della sentenza istruttoria

CAPITOLO PRIMO

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Cap. 4.1 Premessa

I Servizi d’informazione, come già s’è visto nelle precedenti parti,

si sono più volte e a vario titolo inseriti nella vicenda dell’attentato al

Papa. I coinvolgimenti, in vario grado, sono stati tali e tanti che

impongono un autonomo capitolo, in cui però si tenta soltanto di

tratteggiare in maniera minima la cronaca di quelle attività, di certo non

approfondendo e con probabilità trascurando la maggior parte di coloro

che effettivamente si interessarono al caso.

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CAPITOLO SECONDO

Cap. 4.2. I Servizi italiani

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4.2.1. L’incontro di AGCA con i Servizi Italiani.

Il 29 dicembre 1981 avveniva, presso la casa circondariale di

Ascoli Piceno, un colloquio tra il detenuto AGCA e due funzionari dei

Servizi Segreti italiani: il Maggiore PETRUCCELLI Alessandro del

SISMI e il Vice Questore BONAGURA Luigi del SISDE, quest’ultimo

accompagnato dall’interprete LORUSSO, anch’esso del SISDE. Il

colloquio avveniva su richiesta dei Servizi informativi, autorizzati dal

Magistrato istruttore, così come si rileva dalle testimonianze raccolte nel

corso dell’istruttoria.

Dagli atti dell’istruttoria cd. Papa bis, si rilevava che il colloquio

con i rappresentanti del Servizio informativo era stato richiesto da AGCA

nel corso dell’interrogatorio reso in data 12 ottobre 1981 innanzi al

Sostituto Procuratore Generale Dr. SCORZA, assistito dal funzionario

della DIGOS romana, Dr. BELLISARIO al quale AGCA, aveva

manifestato, il 7 ottobre precedente, l’intenzione di fornire agli organi

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inquirenti informazioni sui contatti e le organizzazioni con le quali era

stato collegato fino al giorno dell’arresto. AGCA nel corso

dell’interrogatorio aveva fatto espressa richiesta di voler parlare “soltanto

con la Polizia, rappresentata da un commissario della Digos, e due

appartenenti ai Servizi Segreti, senza la presenza del giudice”.

Dalla documentazione acquisita presso il SISMI è stato possibile

ricostruire la genesi dell’incontro con AGCA. Il 24 ottobre 1981 la

Questura di Roma aveva informato l’UCIGOS della richiesta di colloquio

avanzata da AGCA, chiedendo di esaminare l’opportunità di richiedere ai

competenti Servizi se fosse loro intendimento far collaborare propri

elementi col funzionario della Digos romana che si sarebbe recato ad

escutere AGCA. LUCIGOS, a sua volta, con missiva del 4 novembre

successivo aveva trasmesso ai Direttori del SISDE e del SISMI la

richiesta della Questura di Roma per le valutazioni del caso. La l^

Divisione del SISMI si rendeva disponibile all’incontro e dopo un

contatto informale con il SISDE, comunicava all’UCIGOS, con

messaggio del 26 novembre successivo, la propria disponibilità a

partecipare all’incontro con un proprio elemento.

Da una nota interna del SISMI si rileva che in data 27 dicembre

1981, giorno che cadeva di domenica, era avvenuto presso l’ufficio

dell’Istruttore, un incontro tra il Magistrato, il Maggiore PETRUCCELLI

del SISMI, il Dott. BONAGURA del SISDE, un funzionario

dell’UCIGOS, rappresentanti della DIGOS e del Reparto Operativo dei

Carabinieri.

Dalla nota si rileva che nel corso della riunione il Magistrato, dopo

avere accennato ai suoi precedenti interrogatori di AGCA, e riferito che

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quest’ultimo aveva lasciato intravedere una disponibilità a rilasciare

dichiarazioni concernenti i suoi contatti a livello internazionale, aveva

invitato i Servizi ad un contatto diretto ed esclusivo con AGCA, da

effettuarsi tramite valido interlocutore conoscitore della lingua inglese

“opportunamente indirizzato sull’orientamento delle Autorità italiane a

concedere eventuali benefici al terrorista in cambio della sua

collaborazione”. Il Magistrato aveva precisato, infine, che il colloquio

doveva essere autorizzato

da lui stesso e dal Ministero di Grazia e Giustizia.

Nessun riferimento veniva fatto alla richiesta di presenza al

colloquio - espressamente formulata dallo stesso AGCA - del funzionario

della DIGOS romana che, invece, sarà escluso dall’incontro.

Il 29 dicembre 1981, alle ore 10:50, BONAGURA,

PETRUCCELLI e LORUSSO, varcavano la soglia del carcere di Ascoli

Piceno per uscirne alle ore 16:40 dello stesso giorno, così come si rileva

dal registro degli ingressi della sopracitata Casa di Reclusione.

Secondo quanto si rileva dall’appunto n. 503 della 1^ Divisione del

SISMI datato 30 dicembre 1981, l’incontro con AGCA “é durato circa sei

ore di cui più di quattro sono state necessarie perché il detenuto si

convincesse ad abbandonare la “conditio sine qua non” di garanzie sulla

sua scarcerazione a breve termine, e fornire alcuni elementi informativi”

sull’attentato al Papa. Elementi che venivano sintetizzati in una nota

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allegata all’appunto, dove veniva fatto riferimento, tra l’altro, a contatti

tra AGCA ed i noti brigatisti rossi, FENZI e MORETTI.

Quello stesso giorno l’esito del colloquio veniva informalmente

riferito all’Istruttore, direttamente da BONAGURA e PETRUCCELLI.

Nel corso dell’incontro il Magistrato assicurava che non avrebbe fatto

riferimento ad AGCA del colloquio che aveva avuto con i rappresentanti

dei Servizi.

L’esito del colloquio, infine, veniva definito dal Direttore della 1^

Divisione del SISMI, in un appunto del 3 maggio 1983, “piuttosto

deludente”, al punto da potersene

desumere che l’attentatore non avesse voluto iniziare una concreta

collaborazione.

Nel corso dell’istruttoria, al novembre dell’83 venivano raccolte le

dichiarazioni dei funzionari che si erano incontrati con AGCA e dei

Direttori dei due Servizi. La testimonianza era mirata - soprattutto - a

conoscere se, oltre all’incontro del 29 dicembre 1981, vi fossero stati altri

incontri con AGCA. Ciò in quanto da un documento del SISDE,

trasmesso al Magistrato dalla Questura di Roma in data 31 agosto 1982,

veniva fatto riferimento a “colloqui” intercorsi con AGCA e non a un

solo colloquio. Tutti i testi escludevano tale possibilità. In particolare il

Direttore del SISDE, DE FRANCESCO, precisava “che il colloquio con

l’AGCA é stato uno soltanto. L’estensore dell’appunto ha usato la

formula plurale “colloqui”, in quanto gli interlocutori erano due, e cioé il

Dr. BONAGURA ed il funzionario del SISMI. Ritengo che, avendo il

predetto colloquio, avuto uno svolgimento piuttosto lungo, esso sia stato

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frazionato in diverse parti e che l’estensore, é incorso nell’errore di

parlare di “colloqui” anziché di “colloquio””.

Su questo incontro da più parti sono state avanzate, lungo gli anni,

perplessità sulle reali motivazioni del colloquio dei funzionari dei Servizi

con AGCA. E ciò, in particolare, alla luce delle rivelazioni del pentito

della Nuova Camorra Organizzata, PANDICO, che riferiva di contatti

intercorsi tra esponenti del SISMI, cutoliani e AGCA. Contatti che

sarebbero avvenuti nella primavera del 1982. Ma ciò anche a seguito

della assoluzione dei Bulgari nella preparazione e attuazione del piano

criminale nei confronti del Papa. AGCA com’é noto comincerà a

parlare con il Magistrato ed a rivelare la cd. pista bulgara dal 1° maggio

del 1982.

Dalla documentazione acquisita presso il SISMI sono state

rinvenute due musicassette audio TDK e una bobina NAGRA,

concernenti, secondo quanto annotato nella copertina che le custodiva, la

registrazione del colloquio intercorso tra AGCA e i due funzionari dei

Servizi, avvenuta il 29 dicembre 81. Da rilevare che l’annotazione faceva

riferimento a due bobine e non ad una bobina e due musicassette.

Su tale materiale audio questo G.I. disponeva la trascrizione, che

veniva affidata all’Ing. Andrea PAOLONI. Il tecnico depositava la sua

relazione in data 21 febbraio 1995, precisando che: - la bobina NAGRA

risultava registrata per la durata di 1 ora e 40 minuti limitatamente al lato

A; la qualità della registrazione appariva molto scadente; “verso la fine

della registrazione, che sembra essere anche la fine della conversazione,

si percepisce uno degli interlocutori che accenna al fatto di essere stato 5

ore chiuso dentro”; - le due musicassette TDK contenevano una

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registrazione della durata complessiva di 3 ore e 10 minuti, la cui

trascrizione non era corrispondente a quella contenuta nella bobina

NAGRA, supponendo che potesse trattarsi della prima parte della

conversazione e la cui seconda parte era, invece, contenuta nella bobina

NAGRA.

Il trascrittore presumeva che le due musicassette TDK

corrispondessero al riversamento di una bobina NAGRA, la cui

autonomia corrisponde a 3 ore e 10 minuti. Se tale ipotesi formulata dal

tecnico corrispondesse al vero, il colloquio tra AGCA ed i due funzionari

sarebbe durato 4 ore e 50 minuti mentre gli stessi sarebbero rimasti

all’interno del carcere, almeno da ciò che risulta dal registro degli

ingressi, per 5 ore e 50 minuti.

Dalla trascrizione del colloquio registrato nelle due misicassette

audio si rileva, nella fase iniziale della registrazione, che gli interlocutori

promettevano ad AGCA - in cambio della sua collaborazione, tesa a

chiarire i punti oscuri della vicenda - la revisione del processo e la grazia

presidenziale, sottolineando che sarebbero intervenuti, in tal senso, anche

presso le Autorità vaticane. Veniva altresì promesso al detenuto, una

carcerazione meno dura presso altro carcere. In queste ore di colloquio

AGCA fornisce scarsi elementi. Il detenuto appare soprattutto interessato

a stabilire le condizioni per una sua prossima scarcerazione. Dalla

trascrizione della bobina NAGRA, che dovrebbe corrispondere

verosimilmente alla seconda parte del colloquio, AGCA parla del suo

soggiorno in Italia ed all’estero fornendo alcuni particolari sulle persone

contattate, tra le quali Enrico FENZI.

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I pochi elementi forniti da AGCA non trovarono alcun riscontro

negli accertamenti esperiti dal SISMI e furono pertanto definiti “scarsi e

deludenti”. In verità, AGCA, qualche indicazione nuova, nel corso del

colloquio, l’aveva fornita ai funzionari dei Servizi. Infatti aveva riferito,

per la prima volta, che la pistola, con la quale avrebbe poi attentato alla

vita del Pontefice, era stata a lui consegnata a Milano, così come

confermerà nel corso dell’istruttoria.

A dicembre del 1985, nel corso del dibattimento in Corte di Assise,

venivano raccolte le testimonianze di

BONAGURA e PETRUCCELLI e dei due Direttori del Servizio

pro tempore, DE FRANCESCO del SISDE e LUGARESI del SISMI.

I primi due confermavano le dichiarazioni rese in istruttoria, e cioé

che il colloquio con AGCA era stato unico, escludendo la possibilità che

vi fossero stati altri incontri. BONAGURA aggiungeva che, oltre a sentire

AGCA,- egli aveva ricevuto il compito di verificare le misure di sicurezza

del carcere, precisando che la richiesta di colloquio con AGCA era nata

da una duplice circostanza: da una parte la richiesta della Questura di

Roma di partecipare ad un incontro con AGCA; dall’altra la richiesta del

Ministero di Grazia e Giustizia, che aveva comunicato al SISDE che dal

20 dicembre 1981 l’AGCA aveva iniziato lo sciopero della fame e che,

non potendo escludersi che tale data potesse essere interpretata come un

messaggio per l’estero, aveva chiesto di esaminare la possibilità di

condurre degli accertamenti in proposito. Riferiva, altresì, che la proposta

di grazia avanzata ad AGCA in cambio della sua collaborazione era stata

una sua iniziativa.

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DE FRANCESCO, Direttore del SISDE, e LUGARESI, Direttore

del SISMI, confermavano le dichiarazioni già rese in istruttoria.

LUGARESI, in particolare, escludeva che “una struttura parallela”

del SISMI potesse aver preso contatto nella primavera del 1982 con

AGCA nel carcere di Ascoli Piceno. Escludeva, tra l’altro, che il Gen.

MUSUMECI potesse essersi presentato presso il carcere di Ascoli Piceno

per conto del SISMI. Confermava di avere inviato un funzionario a

colloquiare con AGCA, ma solo il 29

dicembre 1981, e ciò anche su espressa richiesta del Ministro

dell’Interno.

LUGARESI, nel corso dell’esame testimoniale reso a questo G.I.

nel giugno 1994 dichiarava, in relazione al colloquio tra AGCA ed i

funzionari dei Servizi, che “l’iniziativa fu presa dal Giudice titolare

dell’inchiesta all’epoca, mi sembra di nome MARTELLA. Io fui

chiamato dal Ministro dell’Interno ROGNONI, che mi chiese un

funzionario del Servizio da mandare nel carcere di Ascoli Piceno per

venire incontro ad una richiesta in tal senso del detenuto ALI’ AGCA. Mi

disse che la missione era pilotata dal Giudice MARTELLA, il quale era

promotore di questa iniziativa”. (v. esame LUGARESI, G.I. 24.06.94)

Veniva anche raccolta la testimonianza di PETRUCCELLI, il quale

non forniva elementi nuovi rispetto a quanto riferito precedentemente,

salvo indicare che l’incarico di incontrare AGCA lo aveva ricevuto dal

Col. NOTARNICOLA. Pertanto veniva raccolta, in data 13 giugno 1991,

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la testimonianza anche di costui che, comunque, nulla aggiungeva di

nuovo rispetto a quanto riferito dagli altri Ufficiali del Servizio.

Nessuno dei testi sentiti, sia del SISDE che del SISMI, ha

accennato al fatto che la conversazione con AGCA fosse stata registrata.

******************

Cap. 4.2.2. La figura del Generale NOTARNICOLA.

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E’ stato escusso il Generale Pasquale NOTARNICOLA, all’epoca

del fatto Direttore della l^ Divisione del SISMI. Il giorno dell’attentato egli

era a Venezia per motivi di servizio, ma nonostante la somma gravità del

delitto non farà rientro a Roma che qualche giorno dopo.

Egli non aveva mai ricevuto segnalazioni, anche ambigue, di progetti

di attentato alla persona del Sommo Pontefice, nè era mai venuto a

conoscenza di una missione inviata dall’omologo Servizio francese

SDECE, per avvisare la Santa Sede di un piano a danni del Papa. Così

come esclude che nei tempi immediatamente successivi al delitto si fosse

parlato di pista bulgara. Questo orientamento emerse, egli asserisce, solo

quando ci fu la richiesta di autorizzazione da parte di ufficiali del Servizio,

ad esibire alla Magistratura inquirente materiale fotografico concernente

cittadini bulgari.

Ricorda l’autorizzazione per un ufficiale del Servizio, l’allora tenente

colonnello PETRUCCELLI della sua Divisione, a partecipare a colloqui

con il detenuto MEHMET ALI’ AGCA. Del rapporto che gli fu fatto

ricorda soltanto i tratti descrittigli dell’attentatore, intelligente, freddo e

diffidente. Non ricorda altre circostanze del rapporto; tende ad escludere

che gli sia stato riferito alcunchè sull’arma; non rammenta riferimenti al

danaro maneggiato da AGCA in Italia e in altri Paesi Europei. Non ricorda

- nonostante un suo dipendente, il capitano MAFFEI, capo della 2^ Sezione

Controspionaggio della l^ Divisione, dichiari in tal senso - di trattative

nell’80 a Parigi presso lo SDECE, su questioni attinenti alla sicurezza del

Papa. (v. esame NOTARNICOLA Pasquale, 13.06.91)

In un successivo esame dichiara che non gli risulta di sollecitazioni

nei confronti del generale LUGARESI da parte di Autorità politiche ad

intervenire operativamente su AGGA, per

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la missione PETRUCCELLI. Sull’affare TURKOGLU non ricorda nulla,

anzi il nome TURKOGLU CIHAT non gli dice alcunchè. Presa visione di

atto della pratica 1^ Divisione sull’attentato in questione, atto proveniente

da Militalia di Vienna ed avente ad oggetto l’affare TURKOGLU, dichiara

di non ricordare il messaggio, anche se riconosce la sua grafia

nell’annotazione in calce al messaggio stesso. Comunque non ricorda la

circostanza più importante dell’intero affare, e cioè se fu stabilito un

contatto con il turco. Si giustifica asserendo - in modo analogo a quanto si

era verificato per la strage di Ustica, al riguardo della quale aveva assunto

di essere stato impegnato immediatamente dopo nella strage di Bologna - di

essere rimasto molto impegnato nello scandalo P2 scoppiato in quello

stesso periodo di tempo.

Anche del successivo atto 159 della detta pratica non ha ricordo, pur

dopo averne preso visione ed aver constatato che su di esso v’era la sua

sigla. Così come non rammenta l’atto 160. E nonostante la visione di questi

documenti, non riesce a ricordare nulla dell’intera vicenda. (v. esame

NOTARNICOLA, G.I. 22.11.94)

*********

Cap. 4.2.3. I Centri SISMI e SISDE di Milano.

Nuove indagini sui viaggi e le presenze di MEHMET ALI’ AGCA in

Italia portavano alla scoperta di una strana permanenza di un vietnamita

nell’albergo ove egli era sceso a Milano. In questo albergo, l’Hotel AOSTA

di Piazza Duca d’Aosta, aveva preso alloggio per ben due volte AGCA

sotto il

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nome di OZGUN FARUK; la prima nella notte tra il 18 e il 19 aprile 1981, la

seconda dal 23 al 25 aprile successivi. In quello stesso albergo aveva preso

alloggio il 26 aprile 81, - a diciassette giorni dall’attentato di Piazza San

Pietro - tal VAN HOAI PHILIP IRAN, munito di passaporto di servizio n.

347175 rilasciato il 06.06.75 dal Vaticano.

Tale episodio aveva sin dalle prime indagini attratto l’attenzione della

DIGOS di Milano e di entrambi i Servizi di informazione, il SISDE e il

SISMI.

Il registro dell’albergo non è stato rinvenuto, perché distrutto per errore

durante dei lavori di ristrutturazione dell’edificio. E’ stato però rinvenuto, con

un seguito presso la DIGOS del capoluogo lombardo, la copia di tal registro.

In questa copia appare immediatamente una “sbianchettatura” del luogo e

della data di nascita di quel cliente, unica “sbianchettatura” di tutti i fogli

acquisiti, di talché un lettore normale avrebbe potuto stimare che quel cliente

fosse addirittura un iraniano. Altri elementi di interesse la cittadinanza e la

residenza, che appaiono essere vaticane.

“Il motivo di questa segnalazione fu la strana coincidenza della

presenza in quell’albergo di un funzionario della Santa Sede. Fu proprio il

passaporto di servizio a richiamare l’attenzione sia degli operativi, che

materialmente avevano eseguito la verifica, sia la mia”. Così il Capo Centro

SISMI di Milano, che aggiunge che il Servizio fece accertamenti su quella

persona per il tramite del Raggruppamento Centri di Roma e verifiche tramite

la DIGOS sempre di Roma. Quel Centro aveva anche rivelato la presenza di

altri turchi in quell’albergo. (v. esame testimoniale PARISI Giorgio, G.I.

02.12.93)

Atteggiamento diverso quello del Capo Centro SISDE, il quale ricorda

soltanto che fu accertata la presenza di AGGA in

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un albergo milanese; non ricorda però nè il tempo nè l’albergo, nè se

l’accertamento fu compiuto sotto il vero nome di AGCA o di alias. Prende

atto che nella nota relativa, viene segnalato anche un altro cittadino turco tal

UNUTMAZ DORMUS (v. telex Centro SISDE Milano at Direzione SISDE

Roma 16.05.1981). Ma subito precisa che non se ne trasse alcuna conclusione

sulla connessione di costui con l’attentatore. Prende atto che viene segnalato

anche certo VAN HOAI PHILIP e dichiara che questa segnalazione fu

effettuata perché si trattava di uno straniero. Quindi così continua l’esamè: “A

contestazione del fatto che nell’albergo in quel periodo presero alloggio anche

altri stranieri, non so se ci fossero altri stranieri. Dal tenore della risposta, se ci

fossero stati, avremmo segnalato egualmente anche la loro presenza.

Prendo atto che il predetto VAN HOAI era titolare di un passaporto di

servizio rilasciato dalla Città del Vaticano. Ritengo che la segnalazione di

questa persona sia stata fatta per la stessa ragione del primo e cioè perché

cittadino straniero.

Ritengo che all’epoca della redazione della nota non ci fossero altri

motivi di connessione o di sospetti, a parte un sospetto di ordine generico

dovuto alla concomitante presenza in quell’albergo con ALI’ AGCA,

ovviamente sotto il falso nome di cui sopra.

Non ritengo, per quanto nella mia memoria, che le due predette

posizioni siano state ulteriormente sviluppate dal mio Centro”. (v. esame

BELLO Gaetano, G.I. 02.12.1993)

Esame palesemente reticente su cui provvederà in separata sede il P.M..

A tal punto reticente da non indurre ad ulteriori domande, e cioè su

come facesse a dire che quel personaggio era uno straniero da meritare

attenzione, giacché quella che

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appariva sul registro era soltanto una cittadinanza vaticana senza alcun dato

sul Paese di nascita. A meno che il registro dell’albergo non fosse stato

consultato prima della “sbianchettatura”, che quindi diviene sempre più

sospetta.

Anche perché che VAN HOAI fosse vietnamita si accertava solo

nell’ottobre di quell’anno a seguito di indagini di P.G.. Il nome completo di

questo soggetto era TRAN VAN HOAI PHILIP; era nato a Quang Tn, nel

sud Vietnam l’anno 1929; era sacerdote; era giunto in Italia nel 68 con

passaporto rilasciato a Saigon. A Roma aveva completato gli studi

ecclesiastici ed era stato impiegato presso la Sacra Congregazione di

Propaganda Fide, divenendo vice Rettore del Pontificio Collegio

Missionario Internazionale di San Paolo (Propaganda Fide). Nel 93 era

coordinatore dell’Apostolato per i vietnamiti della Diaspora. Parlava

correttamente oltre il vietuamita l’italiano, il francese e l’inglese. La sua

famiglia era emigrata dal Vietnam negli Stati Uniti.

*************

Cap. 4.2.4. La figura di Francesco PAZIENZA.

Il nome - e le ragioni per interrogarlo ed indagare su di lui, noto

anche per altre vicende di interesse nazionale ed internazionale - di

Francesco PAZIENZA è emerso più volte nella presente inchiesta.

Fu lui stesso a chiedere, quasi ai primordi di questo procedimento nel

novembre 85, di essere sentito sull’attentato al Sommo Pontefice,

affermando testualmente di poter contribuire all’accertamento della verità,

essendo a conoscenza di fatti e circostanze attinenti a quel delitto.

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In tal senso questo Ufficio richiese alle Autorità degli Stati Uniti, ove

il predetto era all’epoca detenuto, il suo esame, atto che fu compiuto nel

dicembre immediatamente successivo.

Egli premette che le sue dichiarazioni saranno divise in tre parti: la

prima nella quale intende dimostrare che mai s’era recato, o aveva inviato

altri, nel carcere di Ascoli Piceno per determinare o comunque influenzare

AGCA a rendere accuse o testimonianze; la seconda su un gruppo

costituitosi nell’ottobre dell’81 all’interno del SISMI e chiamato Maieutica

con funzioni di inquinamento e disinformazione; la terza concernente un

gruppo di estrema destra, sospettato di terrorismo, probabilmente coinvolto

nell’attentato in oggetto.

In primo luogo egli afferma che, se vi è stato un contatto tra

SENZANI e AGCA, esso è avvenuto su impulso di tal BELLUCCI

Luciano, agente del SISMI di LUGARESI per sua stessa ammissione, che

aveva vissuto per quattro anni nell’abitazione di SENZANI a Roma in via

della Vite, 65. Nega quindi che sia vero quanto affermato da PANDICO,

che si dirà nella prossima parte di questo procedimento, e cioè che egli

fosse stato con il generale MUSUMECI al carcere di Ascoli Piceno per far

“pentire” AGCA. In tal senso era stato avvertito nell’aprile dell’82 dal noto

GIOVANNONE, incontrato al parcheggio di Villa Borghese, che gli

avrebbe riferito di contatti ufficiali della 2^ Divisione del SISMI ed AGCA,

rapporti nei quali secondo voci di Forte Braschi esso PAZIENZA sarebbe

stato coinvolto.

Precisa che i suoi rapporti con il SISMI erano iniziati nel febbraio 80

ed erano finiti nel marzo 81, tredici giorni dopo la scoperta delle liste della

P2 a Castiglion Fibocchi; dopo di che

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era passato a lavorare per CALVI e il Banco Ambrosiano come consulente.

Quanto al secondo argomento, il Gruppo Maieutica, egli ricorda che

con la direzione del Servizio Militare in capo al generale LUGARESI

rimasero nelle proprie funzioni di direttore di Divisione SPORTELLI e

NOTARNICOLA. E costui, che sin dalla seconda metà dell’80 aveva

proposto al Direttore del tempo, cioè SANTOVITO, la costituzione di un

Centro di Maieutica, il cui costo sarebbe stato intorno ai cinquecento

milioni annui e il cui fine sarebbe dovuto essere l’ausilio della giustizia e

della informazione al raggiungimento della verità, che il più delle volte solo

i Servizi scoprono nella loro reale entità. Ma egli avrebbe tradotto - è

sempre lui che riferisce - gli eufemismi di NOTARNICOLA, assumendo

che trattavasi di un’entità che avrebbe creato veline verso i mezzi di

comunicazione e operazioni di convincimento e subornazione di testimoni e

terze persone verso la giustizia.

Egli avrebbe avuto anche conferma del funzionamento di questo

“Centro Maieutica” tra la fine dell’81 e l’82, allorché era apparsa sui mezzi

di informazione una “massa incredibile di informazioni sballate”. Di certo,

secondo PAZIENZA, LUGARESI aveva acceduto alla proposta

NOTARNICOLA. E probabilmente, continua, “Maieutica” era stata

l’ispiratrice dell’operazione P2. Gli autori con ogni probabilità cercavano

documenti che legassero PICCOLI e la Democrazia Cristiana a CALVI e

alla P2. Così come era chiaro che qualcuno aveva convinto LUGARESI a

dichiarare alla Commissione P2, che PAZIENZA era legato a GELLI e alla

stessa P2, e che altri non poteva essere stato se non il duo SPORTELLI -

NOTARNICOLA.

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Quanto al gruppo di estrema destra collegato all’attentato al Papa, egli

riferisce che nel settembre dell’84 il Custom Service lo convocò mentre si

trovava alle Seychelles e che nell’occasione dell’incontro con gli agenti

speciali GALLIGAN e DONOVAN, durato sei ore, avvenne un interessante

scambio di informazioni su Ambrosiano, terrorismo ed in particolare

Nicaragua, ovvero il gruppo di terroristi italiani individuati nell’80, e i

rapporti di esso PAZIENZA con il G2 di Panama. GALLIGAN aveva

affermato che Stefano DELLE CHIAIE entrava e usciva a suo piacimento

dagli Stati Uniti, e che da ultimo vi era stato in compagnia di un turco, amico

di ALI AGCA ed appartenente alla sua stessa organizzazione, cioè ai Lupi

Grigi. Questo DELLE CHIAIE era stato visto l’ultima volta a Miami nel

giugno dell’84 e sempre con il turco.

GALLIGAN, continua PAZIENZA, aveva anche annuito, alla sua

domanda se la Bulgarian Connection facesse acqua o meno. Nessuna

risposta alla domanda, ripetuta ben tre volte, perché non comunicassero

queste notizie agli italiani, cosicché DELLE CHIAIE e il turco fossero

arrestati; nessuna risposta ovvero una vaga ed ambigua affermazione,

secondo cui i suoi ex colleghi, quelli del SISMI, may know, potrebbero o

dovrebbero sapere. Da quel momento, dal momento cioè in cui egli è venuto

a sapere da GALLIGAN che DELLE CHIAIE era coinvolto nell’attentato al

Papa, comincia nei suoi confronti da parte degli americani una “caccia

all’uomo”.

Altro non riferisce se non che egli ha così maturato la convinzione che

gli americani proteggono DELLE CHIAIE e “quindi loro giravano la testa”.

(v. verbale PAZIENZA, 10.12.85)

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Ascoltato nuovamente nel luglio 86 in Italia, ove era stato estradato

dagli Stati Uniti, egli conferma un progetto del SISMI

di coinvolgerlo nell’attentato al Papa, accreditando una ipotesi secondo cui

egli avrebbe avuto, come riferitogli da GIOVANNONE, rapporti con AGCA

in un periodo di tempo precedente l’attentato.

A specifica domanda se si fosse mai interessato, come agente del

SISMI o a qualsiasi altro titolo, dell’attentato al Papa, egli riferisce di

essere stato incaricato dall’allora Sottosegretario alla Presidenza del

Consiglio dei Ministri, con delega ai Servizi, onorevole Francesco

MAZZOLA, di raggiungere il Vaticano al fine di rassicurare Monsignor

SILVESTRINI, all’epoca Prosegretario agli Affari Pubblici, e monsignor

MARCINKUS, all’epoca incaricato dalla sicurezza del Pontefice, che

nonostante il clima di smobilitazione nei vertici dei Servizi a causa dello

scandalo P2 scoppiato proprio in quel torno di tempo, i Servizi stessi

avrebbero garantito la continuità delle indagini, con il massimo interesse, al

fine di accertare le responsabilità nell’ideazione e nella esecuzione

dell’attentato, oltre a quelle di AGCA.

Altro interessamento nella vicenda, quello che si verificò qualche

tempo dopo, allorché il dirigente del I° Distretto di Polizia, Dr. Francesco

POMPO’, gli consegnò copia di un’informativa, secondo cui MEHMET

ALI AGCA avrebbe avuto una relazione con una ragazza italiana,

cameriera in un bar di Via Veneto. Tale informativa egli fece

immediatamente pervenire a SANTOVITO presso la sua abitazione di Via

Flaminia.

Sugli articoli di stampa in cui si parlava di un suo collegamento con

la CIA - articoli che secondo la sua interpretazione sarebbero il frutto di

veline del Gruppo Maieutica o comunque del gruppo facente capo a

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NOTARNICOLA, SPORTELLI e COGLIANDRO - egli afferma di essere

stato utilizzato quale ciambella di salvataggio per

coloro che hanno effettivamente subornato MEHMET ALI AGCA.

Conferma le sue dichiarazioni di New York su DELLE CHIAIE e il

turco dei Lupi Grigi che lo accompagnava, sul valore della Bulgarian

Connection, “che faceva acqua”, sulle mancate informazioni alle autorità

italiane da parte di GALLIGAN, ma a sostegno non porta altro che un

memorandum di sua produzione, in cui si afferma che il Governo USA non

proteggeva solo DELLE CHIAIE, ma anche MASSAGRANDE Elio e

CIOLINI Elio.

Conferma altresì che la “caccia all’uomo”, scatenata contro di lui

dalle Autorità USA fu determinata dal fatto che era a conoscenza della

protezione di DELLE CHIAIE, “caccia” conclusasi con il suo arresto.

Ricorda anche che il turco collegato con DELLE CHIAIE era ABDULLAH

CHATLI.

Ridimensiona le dichiarazioni del precedente esame al riguardo del

coinvolgimento di DELLE CHIAIE nell’attentato al Papa. “Escludo che

GALLIGAN mi abbia detto che il DELLE CHIAIE era coinvolto ... se ciò

risulta ... evidentemente sono andato al di là ... All’attentato al Papa si è

fatto riferimento solo incidentalmente allorché lo stesso GALLIGAN ha

riferito l’episodio dell’ingresso di Miami del DELLE CHIAIE e del turco

CHATLI, da lui ... definito come intimo amico di AGCA”. GALLIGAN,

che aveva riferito di essere in possesso della sola informazione, secondo cui

certo “S. DELLE CHIAIE e un cittadino turco erano entrati negli Stati

Uniti attraverso Miami il 09.08.82, specificando che il nome di costui

risultava essere “A. CHATLI””. (v. esame PAZIENZA, G.I. 15.07.86)

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Il senatore Francesco MAZZOLA, al tempo dei fatti di cui é

processo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio

con delega al coordinamento dei Servizi di informazione, nel corso della

testimonianza resa il 19 marzo 1995 dichiarava, in riferimento alle

dichiarazioni di PAZIENZA “su una sua partecipazione ad una riunione

con me e i Direttore dei Servizi subito dopo l’attentato”, di escludere nel

modo più assoluto di averlo mai convocato a Palazzo Chigi e di avergli

dato incarico di una missione presso il cardinale SILVESTRINI e

monsignor MARCINKUS, finalizzata a rassicurarli. Aggiungeva di

ricordare che PAZIENZA a volte veniva a Palazzo Chigi al seguito di

SANTOVITO ma che in quelle occasioni non partecipava alle riunioni.

Escludeva, infine, che Federico Umberto D’AMATO fosse presente alle

riunioni. (v. esame MAZZOLA, G.I. 29.03.95)

Di contrario avviso è invece il Prefetto Federico Umberto

D’AMATO le cui dichiarazioni sono state raccolte nel 22 luglio 1994.

D’AMATO ricorda “di aver partecipato ad una riunione presso il CESIS in

una data sicuramente successiva di qualche giorno alla pubblicazione degli

elenchi della P2. A questa erano presenti il sottosegretario MAZZOLA, che

mi aveva espressamente invitato, il Presidente PELOSI, Segretario del

CESIS, il Generale GRASSINI, Direttore del SISDE, il Generale

SANTOVITO, Direttore del SISMI e PAZIENZA. In questa riunione

l’argomento fu il proposito di smantellamento dei Servizi proprio in una

fase in cui questi erano impegnati al massimo nelle indagini per l’attentato

al Papa”. Il Prefetto D’AMATO conclude la sua dichiarazione affermando

che “In esito a questa riunione PAZIENZA disse di voler andare

prospettare a Mons. SILVESTRINI la situazione. I partecipi alla riunione,

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lo stesso Onorevole MAZZOLA disse a PAZIENZA di andare dal

Segretario di Stato”. (v. esame D’AMATO, G.I. 22.07.91)

Le dichiarazioni di PAZIENZA venivano raccolte da questo G.I. a

partire dal 1994. Nell’esame del 20.4.94 PAZIENZA ricostruiva la genesi

dei suoi contatti con la Curia romana; riferiva che all’interno del Vaticano

“esisteva una frattura tra due correnti: quella che era chiamata la corrente

“Mafia di Faenza” a cui appartenevano Achille SILVESTRINI, monsignor

Pio LAGHI, Agostino CASAROLI, monsignor SAMORE’ ed altri prelati

di minore importanza ma estremamente potenti nell’ingranaggio della vita

interna del Vaticano. L’altro gruppo in contrapposizione aveva come fulcro

monsignor MARCINKUS, monsignor Virginio LAGHI, che era vice

direttore dell’Osservatore Romano, e monsignor CHELI, che era il Nunzio

Apostolico preso le Nazioni Unite a New York”. Osservava il PAZIENZA

che, motivo della contrapposizione, era da ricondurre esclusivamente alla

gestione del potere all’interno del Vaticano; riferiva che a seguito della

elezione di Karol Wojtila al Pontificato, MARCINKUS era riuscito ad

ingraziarsi le simpatie del nuovo Papa grazie ai suoi interventi su una

vicenda che vedeva coinvolti negli Stati Uniti alcuni sacerdoti di origine

polacca; rilevava che a seguito dell’attentato al Papa la corrente di

CASAROLI aveva ripreso la prevalenza all’interno del Vaticano; ricordava

che la sera stessa dell’attentato fu chiamato da MARCINKUS e che a

seguito di ciò, si era recato in Vaticano ove aveva incontrato, oltreché

MARCINKUS, anche monsignor SILVESTRINI. Entrambi, continua il

PAZIENZA, erano assai preoccupati che la vicenda dello scandalo P2, con

la conseguente smobilitazione dei servizi di sicurezza, potesse influire in

modo negativo sulle indagini, portando confusione e “sicuramente ad una

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non identificazione di quelle che erano le cause dell’attentato”; precisava

che gli

stessi non formularono ipotesi sui mandanti dell’attentatore. (v.

interrogatorio PAZIENZA, G.I. 20.04.94)

Riguardo alle asserzioni di AGCA su un suo supposto ruolo su

incarico della CIA di “suggerimento” della pista bulgara, PAZIENZA -

come si é già accennato - lo escludeva nel modo più categorico.

**************

Cap. 4.2.5. La vicenda di PELAIA Francesco.

Altra vicenda che mostra intrecci tra Servizi e l’attentato al Pontefice

è quella relativa a PELAIA Francesco.

E’ costui un sacerdote calabrese ridotto allo stato laicale nel 62, già

nel Gabinetto del Ministero dei Beni Culturali e della Ricerca Scientifica,

allorché di tale dicastero era titolare il calabrese ANTONIOZZI. Attraverso

costui a fine 79 aveva conosciuto il Ministro della Difesa all’epoca

RUFFINI, che a sua volta lo aveva presentato al Generale SANTOVITO

Direttore del SISMI. Questi gli propose di collaborare con il Servizio,

destinandolo alla 2^ Divisione. Una volta assunto e dopo sei mesi di prova,

fu inviato in Lussemburgo con l’incarico di costituire un nuovo Centro.

Questo Centro era stato voluto dal Ministro degli Affari Esteri COLOMBO,

e in un certo senso era stato determinato dal rafforzamento da parte

dell’Unione Sovietica della sua Ambasciata in quel Granducato, come

dall’apertura di una sede diplomatica da parte della Bulgaria.

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PELAIA in questa veste, ed anche dopo, mantenne una serie

rilevante di alti contatti nei più disparati ambienti, dalla politica alle alte

gerarchie militari, alla diplomazia, alla Santa Sede, sia al tempo della

direzione SANTOVITO, che di quella del suo successore LUGARESI. Il

primo, sin dal tempo dell’inizio della collaborazione con il SISMI, gli

chiese esplicitamente di introdurlo nell’ambiente del Vaticano ove il

Servizio “non aveva messo mai piede”. Così presentò SANTOVITO a

monsignor CASAROLI, all’epoca addetto ai rapporti internazionali. Alla

morte del Cardinale VILLOT, titolare della Segreteria di Stato,

CASAROLI ne divenne il successore e SILVESTRINI successore di

CASAROLI ai rapporti internazionali. In seguito i rapporti tra

SANTOVITO e CASAROLI divennero diretti e frequenti.

In Vaticano PELAIA conosceva, oltre al CASAROLI e al

SILVESTRINI, anche monsignor CELATA, segretario del CASAROLI.

Tutti questi contatti egli li “passò” al SANTOVITO. Nel periodo in cui fu

Capocentro in Lussemburgo ebbe numerosi contatti telefonici con

monsignor SILVESTRINI, interessato alla critica situazione della Polonia.

Anche al tempo di LUGARESI la 2^ Divisione gli chiese di

informare il SISMI continuativamente sulla situazione polacca; ordine che

esso PELAIA eseguì con informative giornaliere, generiche e specifiche.

Nel 79 aveva redatto un appunto sui rapporti tra il Vaticano e il

mondo cattolico da un lato e GHEDDAFI dall’altro. Questi infatti in quel

periodo aveva organizzato a Tripoli dei convegni, ai quali aveva invitato

anche rappresentanti della Santa Sede. Ma quel leader libico - aveva

concluso PELAIA - era interessato solo alle sue finalità di integralista.

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Sempre dal Vaticano aveva ricevuto informazioni e valutazioni

sull’invasione sovietica dell’Afghanistan. Gli ambienti vaticani stimavano

che quella occupazione avrebbe avuto carattere permanente in

considerazione del fatto che in quel Paese i Russi avevano iniziato a coniar

moneta.

SANTOVITO, sull’attentato al Papa, aveva espresso una propria

valutazione. Egli riteneva che quell’attentato era stato voluto nell’ambito di

un complotto ordito dai Russi unitamente ai Bulgari, che avevano

considerato una sconfitta per l’Est l’ascesa al Soglio pontificio di un

Polacco.

PELAIA riferisce inoltre su numerosi altri argomenti, che però non

sono d’interesse in questa sede. (v. esame G.I. Venezia del 10.02.86 e GG.II.

Roma e Venezia 30.11.93)

D’interesse invece sono i documenti sequestrati nella sua abitazione

dalla Procura della Repubblica di Roma nell’agosto dell’84 nell’ambito del

procedimento per il cosiddetto Supersismi. A parte rubriche, agende, lettere e

missive del RUD, essi sono i seguenti:

- rep. n.4, appunto dattiloscritto, classificato riservatissimo, datato

19.05.1981, dal titolo “Notizie inerenti l’attentato a Giovanni Paolo II”,

composto di n.4 pagine;

- rep. n.5, appunto dattiloscritto, composto di n.13 pagine, iniziante

con la frase “L’amministratore del PCI è Franco ANTONELLI ....“ e

terminante con la frase “CUA Bologna -Autostrada Bologna”;

- rep. n.7, n.2 fogli dattiloscritti, classificati “Riservato”, dallo stesso

contenuto inizianti con la frase “Durante il rinnovo delle cariche...” e

terminanti con la frase “Incidente del Jumbo ... Giappone”,

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- rep. n.8, una missiva dattiloscritta composta di n.2 pagine, indirizzata

al Governatore della Banca d’Italia dr. Azeglio

CIAMPI a firma di Giuseppe Catalano, con allegate n.2 fotocopie di

volantini intestati “Cellula PCI, Banca d’Italia” e “Ansa Banca d’Italia”.

- rep. n.9, appunto dattiloscritto composto di n. 5 pagine, classificato

“Segreto” datato 14 maggio 1981, dal titolo “Asseriti contatti tra i

rappresentanti vaticani e rappresentanti sovietici”.

- rep. n.10, una cartellina raccoglitore di colore verde, contenente

appunti vari, dattiloscritti, relativi a “Prospettive politiche dopo le

elezioni italiane del 26/27 c.m., “Prospettive dell’eversione terroristica e

mafiosa in Italia” composto di n.4 pagine , “Malta - Rapporti: Chiesa -

Governo Laburista (Dom Mintoff)”, “Medio Oriente - Europa ed Alleati

– Italia”, “Rapporti Calvi - IOR (Vaticano)”, “Delitto Calvi - Ipotesi

fondata (da fonte qualificata)”, “Vaticano” composto di n.2 pagine, “Re

Hussein di Giordania in URSS....”, “L’attentato davanti alla casa del

Rappresentate dell’OLP”, “I piani dell’Iran Rivoluzionario”, “L’URSS e

la guerra nel Libano”, “Libano”, “gli attentati di Roma contro i

palestinesi”, “Movimento Patriottico Rivoluzionario Armeno”,

“Giacomo Maria Ugolini”, “Mechitaristi” .(v. verbale perquisizione

domiciliare e sequestro PELAIA 03.08.84)

Come si vede ben tre sono d’interesse per la presente istruzione, e i

due datati si collocano a brevissima distanza di tempo dall’attentato.

Il primo, apparentemente classificato “segreto” e datato 14 maggio

81, ha per oggetto “asseriti contatti tra rappresentanti vaticani e

rappresentanti sovietici.”

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In esso al punto 1 si afferma che la situazione di relativa calma

instauratesi in Polonia sarebbe stata determinata da assicurazione, data

dall’Unione Sovietica al Pontefice, di non

intervento in Polonia, sia della stessa URSS che delle forze del Patto di

Varsavia.

Al punto 2, che tali informazioni sono state pubblicate in Italia da

organi di stampa di diverso orientamento, rafforzandone così la credibilità,

avallate peraltro da mancate smentite della Santa Sede. Cosicché avrebbe

preso piede l’ipotesi di un avvicinamento tra Sede Apostolica ed Unione

Sovietica, avvicinamento “oggettivo” sulle questioni del disarmo e della

distensione in conseguenza del ritorno della nuova amministrazione

americana su posizioni di guerra fredda.

Al punto 3, che vi fossero persino delle intese tra le due entità sopra

dette sul processo di distensione e sulla necessità della ripresa delle trattative

per il disarmo, intese favorite dalla linea politica della Santa Sede di pieno

appoggio al mantenimento dello status quo nell’Est europeo fondato sul

rispetto della sovranità nazionale dei Paesi del “blocco sovietico”.

Al punto 4, che per dare credibilità a tale tesi sarebbe stata inventata

persino l’attivazione d’una “linea diretta” tra Santa Sede e Cremlino, a

seguito di trattative a cominciare dall’agosto - settembre 80 e cioè all’inizio

delle lotte dei lavoratori dei cantieri navali di Danzica e Gdynia. Ai colloqui

preparatori avrebbero preso parte alti funzionari degli Affari Esteri di Mosca

come LUNKOV e personalità del Politburo PCUS come ZAGLADIN e per

il Vaticano i monsignori CASAROLI, Segretario di Stato, SILVESTRINI,

Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici, CARBONI, Nunzio

Apostolico presso il Quirinale e CALAMONERI, suo assistente. Vi sarebbe

stato anche un breve colloquio tra il Pontefice e LUNKOV.

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Al punto 5, che la Santa Sede aveva puntualizzato che non esistendo

rapporti ufficiali tra il Vaticano e Mosca, era

impossibile l’autorizzazione di qualsiasi contatto ufficiale. Aveva smentito

l’esistenza della “linea diretta”. Aveva ribadito all’avvicinamento

oggettivo, la linea assunta a HELSINKI e poi a MADRID, di categorica

condanna dell’imperialismo sovietico.

Al punto 6, che l’iniziativa doveva definirsi una tipica operazione

sovietica di “disinformazione”: la manovra aveva suscitato reazioni

negative in primo luogo nella Conferenza Episcopale degli Stati Uniti,

preoccupazioni in quelle dell’Est e persino in quella italiana.

Al punto 7, che la paternità dell’iniziativa di disinformazione doveva

farsi risalire al cast romano dell’agenzia sovietica NOVOSTI, quanto ad

esecuzione, e al PCUS quanto a decisione.

L’altro documento, classificato “Riservatissimo” e datato 19 maggio

81, ha per oggetto “notizie inerenti l’attentato a Giovanni Paolo II”, notizie

provenienti da voci e indiscrezioni dell’ambiente della stampa estera.

L’attentato, secondo tali fonti, sarebbe stato progettato ed

organizzato dal GRU, il Servizio di Sicurezza militare dell’URSS, su

indicazione del Ministro della Difesa Maresciallo USTINOV. La crescita di

SOLIDARNOSC avrebbe convinto i vertici del Cremlino che quel

sindacato non avrebbe potuto sopravvivere con la forza e il prestigio di

quell’inizio degli anni 80, qualora fossero venuti meno il sostegno

finanziario dello IOR e quello del prestigio del Cardinale WYSHJNSKIJ e

del carisma del Pontefice polacco. Questi sarebbero stati i fattori -

unitamente alla fermezza della nuova Amministrazione americana - che

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avevano concorso fino a quel punto ad impedire l’invasione della Polonia

da parte delle forze del Patto di Varsavia.

Nell’autunno dell’80 il Cremlino, avendo avuto notizia della

irreversibilità della malattia del Cardinale WYSHYNSKIJ, avrebbe deciso

l’azione di un “folle” contro il Papa a Roma. La decisione finale fu presa

nel corso di una riunione segreta a Bucarest nel novembre 80 di Ministri

della Difesa del Patto di Varsavia. Fu accolta con entusiasmo dal solo

Ministro della RDT, mentre i restanti, in particolare i rappresentanti

rumeni, mostrarono incertezza. Di fronte a queste reazioni USTINOV

probabilmente riformulò il progetto nel senso che l’obbiettivo potesse

essere solo ferito e non ucciso, messo cioè in condizioni di non poter

nuocere per lungo tempo. Pure il semplice tentativo di uccidere il Pontefice

peraltro, avrebbe indotto alla prudenza anche i suoi collaboratori.

Il GRU richiese al KGB un terrorista tra i migliori, catalogabile di

“destra” completamente dominabile. La scelta cadde sul turco AGCA. Il

GRU organizzò la fuga di costui dal carcere turco tramite ufficiali turchi di

destra, probabilmente ingannati nelle finalità dell’evasione, nel senso che

AGCA sarebbe stato liberato per un piano di eliminazione di elementi della

sinistra turca all’estero.

AGCA fu portato in URSS e addestrato in campi siti nelle vicinanze

di Sinferopoli. Il suo addestramento consistette nello sparare ad una sagoma

in lento movimento su una jeep scoperta e a mirare nella parte bassa del

bersaglio, con lo scopo di causare ferite alle gambe. Fu addestrato altresì a

superare la paura del linciaggio e a sparare in successione rapidissima,

anche se sballottato da nugoli di persone. L’ala del campo di Sinferopoli, in

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cui egli fu addestrato, era stata adattata in modo tale da apparire un campo

palestinese, di modo che potesse ritenere e riferire di essere stato preparato

in un campo di AL FATAH.

AGCA perciò potrebbe non sapere per chi ha lavorato, anche perché i

Sovietici avrebbero comunicato con lui sempre in turco o in inglese. I suoi

controllori sarebbero stati due uomini e due donne di cui una tedesca, che lo

avrebbero indotto ai numerosi viaggi precedenti l’attentato, per far perdere

le tracce, e con l’incarico di eliminarlo ove non avesse avuto il coraggio di

aprire il fuoco contro la persona del Pontefice. Questo gruppo di controllo

sarebbe stato messo, immediatamente dopo l’attentato, al sicuro all’estero.

Entrambi i documenti sopradescritti risultano originati dal

Raggruppamento Centri CS diretto dal Col. COGLIANDRO e fanno parte

del cd. “Archivio COGLIANDRO”, recentemente scoperto nell’ambito

dell’inchiesta sulla strage di Ustica. Deve essere osservato che gli appunti

dell’“Archivio COGLIANDRO” - registrati su un protocollo “riservato”

“informale” -, venivano conservati nella Segreteria del Direttore del

Raggruppamento e soltanto quelli sui quali il Direttore del Servizio,

SANTOVITO, decretava l’inoltro alle altre articolazioni del Servizio,

venivano smistati - come nel caso dei due documenti di cui sopra -; gli altri

invece rimanevano all’interno della Segreteria del Raggruppamento.

Il documento sull’attentato al Papa rinvenuto a PELAIA risulta

trasmesso dal Raggruppamento CS alla 1^ Divisione con missiva del 25

maggio 1981. Lo stesso documento risulta trasmesso al Ministro della

Difesa, LAGORIO, ed al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con

delega al coordinamento dei Servizi di Informazione, MAZZOLA, con

fogli datati rispettivamente 23 e 28 maggio 1981. Non veniva invece

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trasmesso all’Autorità Giudiziaria. Pertanto fino alla data in cui esso é stato

sequestrato, tra l’altro classificato “Riservatissimo”, si deve ritenere che

circolasse soltanto in

ambienti di “intelligence”. Ma così invece non é stato, in quanto i

contenuti del documento che - si ricorda ancora indicava nel KGB la

responsabilità dell’attentato - venivano riportati nel libro “L’attentato al

Papa nella luce di Fatima” di Sebastiano LABO, edito per i tipi della “PRO

FRATRIBUS - ROMA”, di cui era responsabile il Vescovo Paolo

HNILICA che ebbe un ruolo di primo piano nel tentativo di acquisto della

borsa del banchiere Roberto CALVI. Il libro, pubblicato in Italia nell’83,

riferiva della sua edizione già nella primavera dell’anno precedente in

lingua tedesca. A pagina 131 del libro, in relazione alla probabilità che

AGCA potesse essere un agente del KGB, veniva precisato che “a questa

possibilità accennò già il 19 maggio il rapporto dei servizi segreti di un

paese occidentale”; a seguire venivano sintetizzati i contenuti del rapporto.

La vicenda è stata ripresa recentemente dalla scrittrice Anna Maria

TURI che ha curato la pubblicazione del libro “La mia verità” scritto da

AGCA. A pagina 172 del libro, in una nota di sicura provenienza della

scrittrice e non di AGCA, si osserva che “Nel gioco dei vari servizi segreti,

rientra anche quello di cui dà notizia padre Sebastiano LABO nel libro

“L’attentato al Papa” (uscito per la prima volta in edizione tedesca con il

titolo “Das Attentat auf den Papst” Koblenz PRO FRATRIBUS, 1982.

Padre LABO il 19 maggio 81, trovandosi a Roma per alcuni esercizi

spirituali, ricevette la visita, in casa del vescovo Pavel HNILICA del quale

era ospite, di due uomini dei servizi segreti italiani (lo ha riferito nel corso

di un’intervista registrata (nda) i quali gli consegnarono dei fogli

dattiloscritti con il racconto dei retroscena dell’attentato stesso”.

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Dei documenti della borsa ovviamente PELAIA non sa dare

spiegazione. Egli così ricostruisce la vicenda: aveva

ricevuto in dono dal Generale SANTOVITO una borsa già usata. Una volta

giunto a casa si era accorto che all’interno di essa vi erano dei documenti.

Chiamò immediatamente il Generale, ma questi gli disse che poteva tenerli.

Decise però di riportarglieli l’indomani, ma proprio quel giorno

SANTOVITO aveva lasciato Roma per ricoverarsi ed operarsi a Firenze,

ove pochi giorni dopo, nonostante le cure, sarebbe morto. (v. esame di

PELAIA 30.11.93)

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CAPITOLO TERZO

Cap. 4.3. I Servizi Turchi

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Cap. 4.3.1. La morte di ABDULLAH CHATLI.

Le precedenti inchieste, come d’altronde la presente, a causa

dell’estrema viscosità dei rapporti con le Autorità turche, che hanno

sovente comportato tempi lunghissimi per le rogatorie e le richieste in

genere nei confronti di quel Paese, non hanno mai fatto luce sui rapporti tra

Servizi ed altri apparati istituzionali turchi dell’epoca dell’attentato con

l’organizzazione dei Lupi Grigi, anche se è risultato dai media di un

processo a carico del colonnello TURKES e di altri grandi dirigenti di

quella formazione, colonnello che peraltro èdivenuto in una scorsa tornata

elettorale membro del Parlamento nazionale.

Un evento però, avvenuto il 3 novembre del 96, appare

particolarmente significativo al riguardo di tali legami. Quel giorno in un

incidente stradale avvenuto a circa 150 km. da Istanbul, fra i passeggeri di

una Mercedes coinvolta morivano HUSEYIN KOCADAY, alto

responsabile di unità antiguerriglia, ABDULLAH CHATLI, su cui dopo

sedici anni di indagini sull’attentato al Papa non occorre spendere parole,

personaggio di primo piano della seconda inchiesta nella quale fu assolto, al

momento dell’incidente latitante per traffico di droga e omicidio, la sua

compagna GONCA US, già regina di bellezza. Quarto passeggero della

Mercedes, rimasto solo ferito SEDAT BUCAK, capo di un’organizzazione

militare kurda, finanziata secondo opinione corrente dal Governo turco per

contrastare la guerriglia del PKK cioè il partito dei lavoratori kurdi.

ABDULLAH CHATLI aveva, al momento della morte, con sè dei

documenti diplomatici speciali, consegnatigli da Autorità, diverse pistole e

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porti d’arma, sei carte di identità ciascuna con un nome diverso. CHATLI

era considerato alla fine degli anni 80 uno dei ranghi, se non il secondo, più

elevati

dei Lupi Grigi. Nel 78 dovette passare in clandestinità per il

coinvolgimento nell’assassinio di sette sindacalisti. Era ovviamente legato

al traffico di droga, come l’intera organizzazione di militanza che era usata

da una delle figure più eminenti della mafia turca ABUZER UGURLU.

S’era adoprato, come altri dei Lupi Grigi, per far evadere AGCA da Kartal

Maltepe.

Nel settembre 85 quando fu interrogato al dibattimento del secondo

processo egli confessò di aver dato la pistola usata il 13 maggio 81 in

Piazza San Pietro. Affermò inoltre di essere stato contattato dal Servizio di

spionaggio della Germania occidentale, il BND, che gli avrebbe promesso

una somma di denaro se avesse coinvolto i Servizi bulgari e russi

nell’attentato al Papa.

A seguito dell’incidente di cui sopra il Ministro dell’Interno dovette

dimettersi e con lui diversi altri alti responsabili di quel dicastero, tra cui il

Capo della Polizia di Istanbul. Il colonnello ALPARSLAN TURKES,

secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, ebbe a dire:

“CHATLI ha cooperato nell’ambito di un Servizio segreto operante per il

bene dello Stato”. Dello stesso tono le dichiarazioni del Ministro degli

Affari Esteri: “Io non so se egli è colpevole o no, ma ricorderò sempre con

rispetto coloro che hanno combattuto a nome di questo popolo, di questa

nazione, di questo Stato”.

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I Lupi Grigi, lungi dall’aver abbandonato le proprie finalità dopo la

caduta del Muro di Berlino, si sono diffusi nell’Asia turcofona ex sovietica,

confermando il loro progetto della Grande Turchia, dall’ Adriatico

attraverso il Nord dell’Iran alla Siberia, l’India e la Cina.

**************

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4.3.2. Le presenze del MIT.

Una prova certa di “coperture” fruite da AGCA, dal giorno della sua

fuga dal carcere di Maltepe al giorno dell’attentato al Papa, ad opera del

servizio informativo turco

non é mai emersa dalle istruttorie. Ciò nonostante l’evasione dal

carcere di Maltepe di AGCA appare possibile -non può ritenersi altrimenti -

solo con la complicità degli apparati di sicurezza di quel paese. E

d’altronde, lo stesso AGCA, alle domande che nel tempo gli sono state

poste sul MIT ha sempre risposto evasivamente. Risposta analoga egli

forniva ai Magistrati turchi in occasione della rogatoria di giugno 1983. In

particolare nell’interrogatorio del 18.06.83, alla domanda se in relazione

all’omicidio del giornalista IPEKCI avesse intrattenuto rapporti con il

servizio turco MIT, rispondeva che “al momento non posso rispondere alla

domanda postami”, aggiungendo, ad ulteriore domanda, di non poter

rispondere “per motivi di opportunità”.

Dagli atti del SISMI si rileva che su richiesta del Servizio turco si era

svolto in Ankara, in data 28 settembre 1981, un incontro tra una

delegazione del Sismi rappresentata dal tenente colonnello SAITTA della

2ADivisione e dal Maggiore PETRUCCELLI della 1A Divisione, con due

delegazioni turche, la prima dello Stato Maggiore, capeggiata dal gen.

KENAN GUVEN, Capo Sezione Controspionaggio, nell’ occasione

affiancato da un non meglio funzionario di polizia che aveva partecipato, a

Roma, agli interrogatori di AGCA, la seconda, del Servizio Informazioni

MIT, capeggiata dal sig. GENZIG, Vice Capo Divisione Ricerca e

responsabile del settore terrorismo. La sintesi dei colloqui veniva trasfusa

in un appunto per il Direttore datato 02 ottobre 1981 in cui veniva

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evidenziato, tra l’altro, che la delegazione militare era favorevole alla tesi

del complotto internazionale, mentre quella del MIT tendeva a sottolineare

“l’inesistenza di elementi concreti per sostenere la tesi del complotto

internazionale”. Al punto “2” dell’appunto si legge: “A conclusione degli

incontri si é riportata l’impressione che i turchi, indipendentemente da

quanto realmente sanno, siano preoccupati a mantenere il proprio Paese

estraneo alla vicenda e a non assumersi la responsabilità di chiamare in

causa altri Paesi

Sempre dagli atti del SISMI si rileva altra interessante vicenda di

rilievo. Il 5 maggio 1982 il SISMI avanzava richiesta al Ministero di Grazia

e Giustizia - all’attenzione del Direttore degli Istituti di Pena, Dr. SISTI che

era stato preventivamente contattato, su richiesta dello stesso SISMI, dal

gen. RISI - al fine di ottenere l’autorizzazione ad altro incontro in carcere

con il detenuto AGCA con proprio funzionario ed alla presenza di un

cittadino turco in qualità di consulente collaboratore. La richiesta di

colloquio traeva origine da un’ulteriore richiesta di colloquio con AGCA

avanzata dal Direttore del servizio turco, di cui é cenno in un appunto del

28.04.1982. In un successivo appunto datato 13.05.1982 veniva precisato

che l’Ufficio III del Ministero di Grazia e Giustizia aveva comunicato

l’autorizzazione del Ministro al colloquio a condizione che venissero

comunicati i nominativi dei due elementi (o eventuali nomi di copertura), il

giorno e la durata dei colloqui.

Con missiva del 18 giugno 82 il SISMI forniva al Ministro di Grazia e

Giustizia gli elementi richiesti fornendo il nominativo del funzionario del

SISMI - CELLINI Pietro, nome di copertura del Maggiore PETRUCCELLI

- e dei funzionari turchi, CUNEYT UTKU, nella qualità di consulente

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collaboratore e JNSAN DOGANER, nella qualità di interprete precisando

che l’incontro sarebbe avvenuto il 22 giugno 1982.

Da un ulteriore appunto datato 28.6.82 si rileva che il 21.06.82, cioé il

giorno precedente al programmato incontro, il Dottor FALCONE del

Ministero di Grazia e Giustizia concedeva l’autorizzazione ufficiale

all’incontro, ritenendo pero’ l’opportunità che del contatto venisse

informato il Giudice Istruttore che, interpellato nella medesima giornata, si

dichiarava “assolutamente contrario all’incontro”, in quanto era riuscito a

stabilire un proficuo rapporto con AGCA, il quale stava collaborando, e che

pertanto l’incontro con i funzionari turchi avrebbe potuto indisporre

l’AGCA e far cessare la sua collaborazione pregiudicando l’esito

dell’inchiesta. Il giorno successivo - si legge sempre nell’appunto - veniva

ulteriormente contattato il Giudice Istruttore allo scopo di esaminare la

possibilità di incontrare i due funzionari turchi giunti a Roma, richiesta che

veniva giudicata dal G.I. inopportuna. Sempre nella giornata del 22 giugno

conclude l’appunto, venivano informati i due funzionari turchi, che

precisavano di avere richiesto il colloquio “per conoscere gli sviluppi

dell’inchiesta e, attraverso un interrogatorio condotto su argomenti più

vasti, cercare di ottenere dal medesimo, sia pure inconsciamente, notizie sul

terrorismo internazionale con particolare riferimento agli aspetti di

sicurezza della Turchia”.

Non può sfuggire all’attenzione il fatto che la richiesta del servizio

turco di colloquio con AGCA coincide con la decisione del detenuto di

rendere testimonianza sui retroscena dell’episodio delittuoso di cui si era

reso responsabile quel pomeriggio del 13 maggio 1981. AGCA - com’è

noto - iniziava a rendere le sue deposizioni a questo Ufficio il 1° maggio

del 1982. Si ritiene peraltro “singolare” che il SISMI si sia rivolto al

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Ministero di Grazia e Giustizia e non, come era invece accaduto per il

colloquio del 29 dicembre 1981, al Giudice Istruttore.

Infine, sempre dagli atti del SISMI si rileva un appunto datato

20.09.82, in cui veniva evidenziato che, alle varie richieste da parte del

SISMI, il Servizio turco aveva fatto pervenire scarsi elementi di risposta.

Altro elemento che va evidenziato sul MIT emerge dalla nota missiva

rinvenuta presso l’appartamento di Amsterdam del turco HAYRETTIN

DOGAN, persona che era stata vista insieme al connazionale SULEYMAN

CIMEN prima che quest’ultimo venisse ucciso il 22 ottobre 1993. La

missiva a firma “SADI”, missiva di cui s’è parlato nella parte prima a

proposito di detto omicidio.

Altra circostanza in cui emerge un elemento del MIT èl’espletamento

di una rogatoria turca presso l’A.G. francese per l’identificazione del

sedicente ATES BEDRI da parte di TEKGUL EKREM. In questa

occasione, come s’è detto sempre nella parte relativa all’omicidio di

SULEYMAN CIMEN, èpresente un personaggio del Servizio turco.

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Capitolo quarto

I Servizi bulgari

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4.4.1. La vicenda KARADZHOV.

Nel 91 a seguito dei profondi cambiamenti che si erano verificati nei

Paesi dell’Europa Orientale a regime comunista per effetto della caduta del

N’luro di Berlino, anche nella presente istruzione furono prese iniziative

nei confronti di quegli Stati, in primo luogo verso la Bulgaria , di cui nella

precedente inchiesta erano stati accusati funzionari e istituzioni.

La prima iniziativa fu la Commissione rogatoria dell’aprile, che prese

le mosse da notizie televisive e radiofoniche, secondo cui le Autorità della

detta Repubblica, prima tra le altre il Capo dello Stato, avrebbero dichiarato

che gli Archivi Statali, nelle parti relative all’attentato al Sommo Pontefice,

sarebbero stati resi pubblici e messi anche a disposizione degli studiosi.

Questa A.G. pertanto s’indusse a richiedere alle competenti Autorità

giudiziarie di Bulgaria: l’acquisizione di ogni documentazione concernente

l’attentato in questione, anche presso gli Archivi dei Servizi d’Informazione

e di Sicurezza, stante l’assenta cessazione dei vincoli di segretezza, l’esame

di tutti coloro che fossero stati a conoscenza di elementi e circostanze utili

alla ricostruzione del fatto e alla identificazione degli autori. (v.

Commissione Rogatoria AG. Bulgara 10.04.91)

La seconda iniziativa prese le mosse, nel giugno successivo a seguito

di nuove notizie apparse sulla stampa, in particolare l’articolo apparso il 3

di quel mese sul quotidiano “Il Giorno” dal titolo “Come ho armato la

mano di AGCA”, secondo cui l’ex Capo del Comitato per la Sicurezza

Statale

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(D.S.) di Bulgaria, Kostantin KARADZHOV, aveva reso dichiarazioni

concernenti l’attentato al Sommo Pontefice.

Di conseguenza veniva immediatamente formulata Commissione

Rogatoria, con la quale si richiedeva alle Autorità Bulgare di interrogare:

predetto Kostantin KARADZHOV, il giornalista Rusman HINKOV,

fondatore del settimanale “Satellité Express” che avrebbe ricevuto un nastro

magnetico, con la registrazione delle dichiarazioni del KARADZHOV, il

colonnello Ivan MARINOV alis Ivan STANKOV, già appartenente al detto

Servizio D.S.; Rositza KRUPE VA, membro dell’esecutivo del Sindacato dei

giornalisti democratici; Ventislav TSOLOV del “Movimento di iniziativa

civica” tutte persone a conoscenza di fatti d’utilità per l’inchiesta. Si

richiedeva infine di acquisire il nastro magnetico con le dichiarazioni di

KARADZHOV.

Questi in particolare, secondo il quotidiano milanese avrebbe accusato

esplicitamente il KGB di essere stato il mandante dell’uccisione del “Papa di

Roma”. Egli, che nell’80 era stato designato dalla Segreteria del Comitato

Centrale del Partito Comunista Bulgaro alle cariche di Primo Vice Ministro

dell’Interno e capo del D.S., appariva, secondo l’articolo, come l’unica

persona in possesso di tutte le carte in grado di svelare i misteri dell’attentato.

Arrestato per corruzione e abuso di potere, KARAZDHOV temeva per

la sua vita, già soffrendo di una grave forma di diabete e paventava che i

carcerieri potessero simulare con grande facilità una morte per malattia,

interrompendo la somministrazione dell’insulina. La moglie Elitza come

riferito da “Podkrepa” settimanale dell’omonimo sindacato, che in Bulgaria si

muoveva come Solidarnosc in Polonia e cioè con finalità di forte antagonismo

al regime comunista, si appellava alla solidarietà internazionale ed aveva,

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nello stesso tempo, trasmesso ai dirigenti del rinnovato Partito Comunista una

lettera cifrata, in cui elencava una lunga serie di fatti compromettenti sulle

relazioni avute dal marito quando era uno dei membri più autorevoli della

nomenklatura di Sofia.

Il rapporto di KARADZHOV sarebbe stato realizzato con l’aiuto del

suo uomo di fiducia e cioè il detto colonnello Ivan MARINOV, già all’epoca

riciclato nel nuovo Servizio di Sicurezza, l’N.S.B. succedeva al D.S. . Tra i

due sarebbero esistiti rapporti sia da quando KARADZHOV nell’80 avrebbe

avuto il delicato incarico di “occuparsi esclusivamente del Papa”. STANKOV,

cioè MARINOV, avrebbe poi guidato

secondo i detti Rositza KRUPEVA e Ventislav TSOLOZ, gli uomini

incaricati di seguire il caso ANTONOV, il caso KARADZHOV nonchè tutte

le vicende connesse al coinvolgimento della Bulgaria nell’attentato a

Giovanni Paolo

110.

Prima dell’esecuzione della rogatoria il Ministero dell’Interno bulgaro

comunicava che Konstantin PETROV KARADZOV era stato Presidente del

Consiglio Comunale del 30 Distretto Comunale di Sofia; non era mai stato

impiegato presso il Ministero dell’Interno e pertanto non era mai potuto

divenire Capo di alcun Dipartimento del precedente Servizio per la Sicurezza

dello Stato. Era stato condannato a 12 anni di detenzione nel 1983 per

corruzione, aveva scontato la condanna nelle carceri di Sofia e di Stara

Zagora; era stato scarcerato il 9 febbraio del 90. I 19 volumi degli atti

processuali relativi al suo caso erano nell’archivio del Tribunale di Sofia. I

fatti pubblicati non erano veri, provenivano dalla pubblicazione “La Piovra 5”

di Podkrepa ,. e miravano a screditare il Ministero dell’Interno e la

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Repubblica bulgara. (v. nota Ministero dell’Interno di Bulgaria, Sofia

04.06.91).

In corso di esecuzione della Rogatoria a Sofia nella terza decade di

quel giugno venivano consegnate dal Generale KATSAMOLLMISKI copie

degli esami testimoniali di seguito elencati, compiuti tra il 17 e il 27 di

giugno, autonomamente dalle Autorità bulgare. In esecuzione della

rogatoria furono interrogati: 1.Rumjan Stefanov CHINKOV; 2. Todar

MILKOV MICHAJLOV; 3. MARINOV PETROV KARADZHOV; 4. Ivan

MARINOV STANKOV; 5. Rositza GEORGIEVA KRUPEVA; 6.

Vencislav PETROV COLOV. Furono compiuti confronti tra:

1. Konstantin PETROV KARADZHOV e Todar MILKOV MICAJLOV; 2.

Ivan MARINOV STANKOV e Konstantin KARADZHOV. (v. verbale di

consegna KATSAMOLLMISKI 28.06.91)

AGCA, venuto a conoscenza delle notizie emerse sui media,

immediatamente dichiarava in quella stessa prima decade giugno alla

stampa, di non aver mai conosciuto Konstantin KARADZHOV, nè di aver

mai visto in faccia alcun altro dei bulgari menzionati nelle rivelazioni della

stampa. Definisce ridicole le insinuazioni secondo le quali la CIA sarebbe

intervenuta per convincerlo a colpire il Pontefice in modo da salvargli la

vita. Al tempo dirigeva quel Servizio William CASEY cattolico

conservatore e cristiano anticomunista. Ribadisce che la decisione

dell’attentato era stata presa da YURI ANDROPOV, che aveva previsto

cosa sarebbe accaduto nei Paesi dell’Est con l’avvento di un Papa polacco

amico di Solidarnosc. Conferma di aver sparato per uccidere, ma sottolinea

anche che la verità non si saprà mai.

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Queste le dichiarazioni di KARADZHOV -~. Egli aveva iniziato la

sua attività in una fabbrica per la produzione di

apparecchiature elettriche. Durante questo periodo di lavoro cominciò a

studiare economia per corrispondenza e fu eletto dirigente nel Komsomol di

fabbrica. Di seguito fu eletto Segretario del Komsomol del 30 rione . In tale

funzione rimase, per decisione della Direzione del Partito sino all’83,

dopodichè fu nominato direttore del complesso industriale “Birra di Sofia”

Dopo quattro mesi fu arrestato.

Quanto a una sua destinazione nei “gradi di riserva” e a una decisione di

nomina al posto di primo sostituto Ministro al Ministero degli Affari Interni,

egli così chiaramente risponde:

“Un anno, un anno e mezzo dopo la mia elezione, nell’autunno del 1982 circolò

una notizia ufficiosa, che in relazione alla selezione dei quadri, che stava

facendo il Comitato Centrale del partito, il sindaco del terzo rione era destinato

ad una attività del genere, ma in relazione a ciò esistevano tre possibilità -

dirigente del partito nel M.V.R.; nel campo dei quadri; nella stessa sicurezza di

Stato. Queste erano voci, informazioni, che provenivano da questi organi

dirigenti, ma nessuno mi ha chiamato e mi ha interpellato”. Esclude

pertanto che vi sia mai stato alcunchè di ufficiale al riguardo di un suo ingresso

nell’alta gerarchia del Ministero degli Affari Interni.~ Così come esclude che

egli abbia mai avuto accesso agli Archivi di quel Ministero. Quanto ai suoi

viaggi all’estero, egli afferma che in qualità di direttore aveva compiuto, anche

con la sua famiglia, in Europa Occidentale, e sia nell’ 81 a luglio che nell’ 82

era stato in Italia. Effettivamente al rientro in questo secondo viaggio in

Bulgaria il 4 settembre 82 era stato sottoposto a perquisizioni, ma non ne ha

mai scoperto la ragione.

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Ha conosciuto ZHIVKOV sin dal 70 e lo ha incontrato perchè al tempo

egli era rappresentante del popoìo nel detto 30 rione e compiva delle visite

nella fabbrica ove esso

KARADZHOV lavorava. Ha conosciuto Todor N4ICHAJLOV,

precisamente nel gennaio 84 quando fu trasferito dalla sezione investigativa

del carcere al reparto detenuti, di cui egli era capo. In quel carcere esso

KARADZHOV rimase sino all’8 maggio successivo, allorchè fu trasferito

nel carcere di Starojzagorsk. Durante questa permanenza al carcere di

Sofia, egli, come tutti, aveva scambiato con altri detenuti e con

MICHAJLOV brevissimi discorsi sulle questioni d’attualità come

l’indagine e la propaganda sull’attentato a danni del Pontefice romano. Egli

aveva riferito di essere stato in Italia, di aver conosciuto personalmente

Todor AYVAZOV e di aver parlato con Sergej ANTONOV per due o tre

ore. Questi aveva suscitato interesse nel carcere ed altri detenuti gli

avevano chiesto la sua opinione. Egli aveva risposto che se quelle persone

fossero state incaricate di un’operazione come quella contro il Papa, esse

non avrebbero mai potuto compierla perché non ne erano capaci. “... ciò

che ora leggo sui giornali, in Podkrepa, è totalmente diverso,

semplicemente un’assurdità, una falsificazione.” (v. interrogatorio di

Konstantin PETROV KARADZHOV, 28.06.91).

Diverse le dichiarazioni di Todor MILKOV MICHAJLOV. Egli

innanzi tutto dice di aver come nome di copertura quello di PLAMEN,

impostogli dai Servizi Speciali Bulgari. Conferma poi di aver saputo da

KARADZHOV quello che in seguito ha registrato. La registrazione era

destinata secondo lui unicamente alla Presidenza della Repubblica e al

Servizio bulgaro per la difesa della Costituzione. S’era indotto a tanto, in

virtù dei cambiamenti avvenuti in Bulgaria ed aveva riferito a CHINKOV,

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perchè aveva ritenuto a seguito di verifiche, che egli aveva un legame con

la Presidenza e che le sue informazioni sarebbero, direttamente o

indirettamente, giunte a quella sede.

Tutto quello che aveva dichiarato traeva fonte dai colloqui con

KARADZHOV, avvenuti nel carcere di Sofia nell’inverno dell’84. Su

questi colloqui aveva già a suo tempo riferito al Servizio da cui dipendeva

nella persona del Colonnello ZDRAVKOV. Subito dopo questa prima

denuncia egli fu presentato al colonnello Ivan STANKOV alias Ivan

MARINOV, che approfondì l’argomento chiedendogli ulteriori

specificazioni e dettagli. Su ordine di questo STANKOV egli continuò i

colloqui con KARADZHOV usando anche una microspia contenuta in un

posacenere, che entrava in funzione premendo una sigaretta su una

scanalatura del posacenere stesso, affidatogli per la bisogna da STANKOV.

Questo in sintesi il racconto che gli aveva fatto KARADZHOV. Egli

non era in carcere per una inchiesta su accettazioni di bustarelle, lo era per

fatti molto più gravi. Egli era stato nominato nella lista dei quadri di

riserva, preparato dal Comitato Centrale del Partito Comunista bulgaro

futuro Primo Sostituto Ministro degli Affari Interni, la carica cioè che

presiede alla attività di sicurezza dello Stato, in sostituzione dell’allora

primo Sostituto Ministro Grigori SOPROV. Il grave fatto di cui egli era

sospettato, era la sottrazione, cioè l’aver portato in Bulgaria un milione di

marchi tedeschi della somma totale di tre milioni, che Todor AJVAZOV,

suo intimo amico, doveva pagare ad AGCA per l’esecuzione dell’attentato

contro il Papa.

Chiari poi nel suo discorso, i motivi per i quali doveva essere

compiuto l’attentato così come le ragioni per cui i Servizi Speciali Bulgari

erano stati coinvolti in quella operazione. Spiegando che all’insorgere di

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una situazione critica in Polonia, il Papa aveva pronunciato un discorso con

il quale ammoniva l’Unione Sovietica che, in caso di intervento armato in

Polonia, egli si sarebbe messo in viaggio a piedi “con la croce innalzata

davanti a tutta l’Europa occidentale, fino ai confini della Polonia in segno

di protesta ed avrebbe condotto al confine polacco tanti cattolici, quanti ne

fossero partiti dietro di lui”; in una parola una nuova crociata.

Chiari anche le ragioni del coinvolgimento bulgaro. I servizi di

spionaggio sovietico erano di continuo sotto la squadra dei Servizi Speciali

in Italia ed altrove. L’integrazione tra i Servizi degli Stati del Patto di

Varsavia era molto stretta. I Servizi bulgari potevano restare più in ombra

di quelli sovietici. I Lupi Grigi, cui già si pensava di affidare l’incarico,

attraversavano di frequente, per raggiungere l’Europa occidentale, la

Bulgaria. Tutte queste le ragioni che indussero ad affidare ai Servizi bulgari

l’esecuzione del progetto contro il Sommo Pontefice.

L’incarico era stato dato a Todor AJVAZOV e Zeliv VASILEV, che

dovevano direttamente dirigere le azioni di AGCA. Essi lo avevano dotato

di un’arma speciale e di proiettili esplosivi; gli avevano promesso che

avrebbe ricevuto anticipatamente come compenso tre milioni di marchi

tedeschi in contanti; gli avevano indicato il luogo dal quale avrebbe dovuto

sparare ed il luogo - quello “dal quale il colonnato della cattedrale era

visibile come una colonna” - da cui in linea retta avrebbe potuto vedere

ANTONOV, che ovviamente era in Piazza San Pietro. AJVAZOV e

VASILEV si trovavano sul tragitto lungo il quale AGCA si sarebbe dovuto

allontanare. Non aveva parlato di altri, tanto meno turchi ed ORAL CELIK

in particolare, sulla piazza.

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AJVAZOV invece di consegnare i tre milioni promessi ad AGCA ,

gliene diede solo due, impegnandosi a rimettergli il terzo durante il suo

allontanamento dal territorio italiano. Questa scelta di AJVAZOV fece

sospettare ad AGCA che si fosse già progettata la sua eliminazione. Egli di

conseguenza -

secondo l’analisi dei Servizi Speciali bulgari - si sarebbe indotto a prendere

contatto con la CIA che gli avrebbe ordinato di simulare un’esecuzione

dell’attentato. AGCA, secondo KARAZDHOV, a sostegno della predetta

ricostruzione, avrebbe sostituito i proiettili consegnatigli da AJVAZOV,

che comunque sarebbero potuti essere mortali, se egli killer professionista,

in grado di uccidere in penombra un uomo a 40 metri, che ha sparato da

sette, in piena luce, intenzionalmente non avesse voluto soltanto ferire il

Papa. (v. interrogatorio MICHAJLOV, AG. Bulgara, Sofia 27.06.1991)

Dopo l’interrogatorio di KARADZHOV, il 28 successivo, i due

furono messi a confronto, ma entrambi rimasero sulle proprie posizioni ed

in tal modo l’atto non conseguì alcun effetto di progresso nell’accertamento

dei fatti. (v. confronto KARADZHOV e MICHAJLOV AG. bulgara, Sofia

28.06.91)

Le dichiarazioni di MICHAJLOV trovano invece riscontri in quelle

rese da Ivan MARINOV STANKOV, lo stesso 27 giugno di quell’anno.

STANKOV, come s’è detto, faceva parte del Servizi Segreti bulgari

già dal tempo dell’attentato ed in questa veste, egli dichiara, aveva

frequentato Todor MICHAJLOV. Questi, che aveva come nome di

copertura “PLAMEN”, svolgeva una vera e propria attività di

collaborazione con il Ministero degli Affari Interni. Quando fu arrestato

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esso STANKOV spesso si era recato presso di lui per avere informazioni

sui detenuti, tra cui KARADZHOV, sul conto del quale MICHAJLOV

aveva effettivamente redatto delle relazioni scritte, pervenute al suo ufficio.

Tra queste alcune concernenti la consegna di tre milioni di marchi ad

AGCA per l’uccisione del Papa, ed anche uno

schizzo ove era riportata la posizione degli agenti bulgari in Piazza San

Pietro.

“Comunque - precisava STANKOV - le informazioni avute da

PLAMEN contenevano molte cose che non potevano rispondere alla verità,

che erano inventate”. Infatti dall’analisi dei dati forniti da PLAMEN e dalle

verifiche compiute si era accertato che KARADZHOV non aveva la

possibilità materiale di essere incaricato di quel compito, nè quella di

partecipare all’attentato. Il caso così fu chiuso ed egli interruppe ogni

rapporto di collaborazione con PLAMEN.

Sul valore di tali dichiarazioni deve considerarsi il giudizio del P.M..

Esse non appaiono convincenti, perchè provengono da persona che già

all’epoca dell’attentato faceva parte del Servizio bulgaro, che intende

screditare il suo collaboratore MICHAJLOV al fine di allontanare ogni

sospetto sull’operato di quei Servizi, di cui egli continuava a far parte.

Sempre le Autorità bulgare in quel tempo trasmettevano le prove

raccolte riguardanti il soggiorno di loghinder SINGH a Sofia nel periodo tra

le 03.30 del 23.07.80 e le 23.30 del 30.08.80.

Il sedicente loghinder SINGH pernottò in quel periodo nei seguenti

alberghi della capitale bulgara: 1.Grand Hotel Sofia fino al 31.07; 2. Park

Hotel Moskva fino al 14.08; 3. Novotel “Europa” fino al 21.08; 4. Grand

Hotel “Balkan” fino al 30.08. Per il pagamento egli dà sette voucher

rilasciati dalla Balkantourist di Sofia.

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Secondo la teste Galina RADEVA GAIDAROVA in quel periodo

esisteva la prassi di inviare turisti provenienti dall’India e da altri Paesi del

Terzo Mondo nei campeggi, per la maggior parte dei casi presso il camping

“Vranija”. SINGH nonostante richiedesse insistentemente che fosse apposta

nei voucher la dizione “in campeggio, tenda” al fine, con ogni

probabilità, di pagare una tassa inferiore, per soggiorno, si stabiliva poi in

albergo, pagando la differenza tra voucher e spesa di albergo in contanti. Le

due testimoni, cioè l’impiegata della Balkantourist, la GAIDAROVA e la

collega Ekaterina VASSILEVA PAVLOVA, erano rimaste impressionate

dal fatto che il SINGH pagasse sempre in marchi giacché raramente gli

indiani usavano la moneta tedesca, bensì dollari e travelì -chèques.

La perizia effettuata dall’istruttore bulgaro sulle “firme del cliente”

apposte su voucher aveva stabilito : 1. che le cinque firme erano state stilate

dalla medesima persona; 2. che le firme in questione non rappresentavano

la firma abituale di colui che le aveva scritte; 3. che esistevano delle

“coincidenze importanti” tra le firme di AGCA e quelle sui voucher e il

borderò. (v. nota Gruppo Istruttorio di Sofia del 26.11.91)

Tra i tanti articoli di stampa di quel periodo apparsi sulla stampa

bulgara, la maggior parte dei quali tesi a scagionare le istituzioni della

Bulgaria, uno in particolare - inviato al New York Times - sosteneva una

tesi con carattere di novità. Il

giornalista asseriva, oltre la totale estraneità dei Sevizi Segreti bulgari,

sovietici e rumeni, che la sola implicazione bulgara poteva essere vista nel

rifiuto da parte di quella Autorità di consegnare BEKIR CELENK alle

Autorità italiane, atteggiamento spiegato con timore del governo bulgaro

che fossero venuti alla luce i suoi legami con mafia e l’appoggio fornito a

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terroristi e contrabbandieri turchi. Secondo AKIN, il giornalista redattore

dell’articolo, il testimone chiave della vicenda avrebbe potuto essere Herny

ASLANIYAN coinvolto nello scandalo della mafia ed assassinato in

prigione prima che potesse fare alcuna rivelazione. ASLANIYAN sarebbe

stato l’anello di collegamento tra l’organizzazione terroristica

armena “Asala” e la Mafia, e tra Mafia turca e la Bulgaria. Poichè nel periodo

in cui era stato commesso l’attentato la Banca Vaticana, tentava di riciclare

danaro appartenente a Mafia ed alla “Asala”, e contemporaneamente Papa

Giovanni Paolo 110 voleva far luce su tale circostanza, Mafia ed “Asala”

decisero la sua eliminazione, ricorrendo ad ALI’ AGCA. (v. nota Ministero

Affari Esteri D.G.E.A.S. Ufficio IX, 02.08.91)

***********

4.4.2 La vicenda GULLINO

Altra vicenda che dimostra interessamenti e conoscenze da parte di

Servizi è quella riferita da INVERNIZZI Gianfranco, cittadino italiano, su

attività di un suo conoscente, certo GULLINO Francesco, cittadino danese di

origine italiana; in particolare interrogatori dello stesso da parte del Servizio

di informazioni danese PET, dello Scotland Yard britannico e del Servizio

bulgaro - siamo nel 93 e quindi dopo la caduta del muro di Berlino ed anche

questo Servizio dovrebbe essere quello riformato a seguito di quegli eventi -;

interrogatori confermati da organi di stampa danesi e da atti della difesa di

GULLINO.

Costui, pur di formazione e di simpatie di destra, avrebbe militato al

soldo del Servizio Segreto bulgaro, dal quale avrebbe avuto il nome di

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copertura “Piccadilly” emolumenti vari, documenti falsi e ovviamente

incarichi.

Tutte queste circostanze gli sarebbero state contestate in interrogatori

condotti in prima battuta dal solo Servizio danese e quindi congiuntamente dai

danesi, dagli inglesi e dai bulgari.

Il PET avrebbe contestato al GULLINO anche il reato previsto dagli artt.

107 e 108 del codice danese e cioè lo spionaggio.

GULLINO comunque era stato interrogato sugli attentati a danni

degli invisi al regime KOSTOV e MARKOV, commessi rispettivamente

nel settembre 78 a Londra e nell’agosto 77 a Parigi, e attribuiti al Servizio

bulgaro. Questi due attentati, specialmente nelle contestazioni compiute

dagli inglesi, avrebbero avuto un collegamento con l’attentato al Papa.

INVERNIZZI, dal senso del racconto del GULLINO, aveva desunto

che gli inglesi collegavano l’attentato al Papa con l’attività dei Servizi

bulgari.

GULLINO aveva rigettato, nei predetti interrogatori, ogni accusa,

ammettendo solo di aver vissuto per un certo periodo di tempo in Bulgaria.

Queste notizie hanno generato rogatorie verso la Gran Bretagna e la

Danimarca. (v. Commissioni rogatorie alle Autorità Giudiziarie di Gran

Bretagna e di Danimarca rispettivamente in data 30.12.93 e 09.12.93).

Quest’ultima non da’ risposta. La prima ha così risposto : “ l’indagine su

GULLINO e le sue attività sono giunte ad un punto particolarmente

delicato, specialmente riguardo ai complessi rapporti tra la Polizia inglese

ed i bulgari; dato che ci può essere un processo probatorio, il funzionario

inquirente intende evitare di rilasciare qualsiasi informazione

particolareggiata sull’inchiesta o di fare qualsiasi commento sui documenti

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che possono o non possono essere diffusi; comunque ha fatto una serie di

osservazioni che spera possano essere d’aiuto, tenendo conto delle pressioni

a livello diplomatico e giudiziario che pesano su di lui: 1) GULLINO ha

rinnegato molto fermamente qualunque tipo di associazione con il Servizio

di Sicurezza bulgaro; 2) non c’è apparentemente nessuna prova, o sospetto

per collegare l’inchiesta di Londra con quella italiana

sull’attentato indicato in oggetto nè c’è alcun sospetto o prova evidente, per

quanto il funzionario inquirente possa dedurne, per collegare GULLINO

all’indagine svolta in Italia.

Il funzionario inglese che segue l’inchiesta ha precisato che

qualunque tipo di pubblicità riguardo ai contatti che le Autorità italiane

hanno con la polizia britannica sarebbe molto negativa per le indagini.

Il responsabile del Servizio Investigativo- della Sezione

Antiterrorismo, quindi, ha precisato di autorizzare la trasmissione del

messaggio a questo Ufficio per facilitare lo svolgimento dell’indagine, a

condizione che non venga usato come prova, nel corso del processo, e non

sia comunicato alla stampa. (v. nota n.224/B277/Div.3A (01) D.C.P.P. alla

Questura di Roma del 13.01.1994).

************

4.4.3. La vicenda di BERTO Luigi.

Il 15 febbraio 86 l’Arma dei CC trasmetteva copia di una lettera

dattiloscritta diretta al Console Generale d’Italia a Bengasi, pervenuta da

fonte da cautelare, riferendo che “il firmatario dovrebbe identificarsi in

Berto Luigi, nato a 5. Donà del Piave (VE) il 12.6.1946, impresario edile,

già colpito da ordine di cattura per associazione per delinquere e truffa

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continuata nel contesto di reclutamento di manodopera siciliana per la Libia

e da tempo detenuto in Bengasi per emissione di assegni a vuoto”.

L’estensore della missiva segnalava - come già aveva accennato al

Sig. Salonia , in occasione della sua visita del

05.12.85 - di aver conosciuto nel novembre 1982, a Tripoli -località ove si

trovava “su richiesta del suo ex dipendente Sig. Giovanni RENZI stavo

seguendo un traccia su certi personaggi italiani che pareva soggiornassero

in questo paese” - un certo ingegnere TRAYKOV, di nazionalità bulgara,

con il quale condivideva dal maggio di quell’armo la stessa cella in quanto

anchegli detenuto.

Ditale TRAYAKOV, continua la lettera, già dalle prime settimane

“che abitavamo insieme, mi insospettì del fatto che ogni sera, dopo che

avevo ascoltato il giornale radio, mi chiedeva che gli spiegassi se c era

qualche novità del processo ANTONOV, per l’attentato al Papa, e così

cominciai ad avere delle discussioni amichevoli con lui sulla faccenda e

varie volte notai che cominciava qualche discorso e poi deviava

scherzando. Ricordo bene che una volta mi disse che l’attentato era per

WALESA e che poi è stato deviato per il Papa. Così sul momento non gli

credetti, ma da come stanno andando le cose sembra che abbia ragione lui.

Quello che lo ha fatto decidere penso siano gli eventi che lo riguardano e

che sono successi nel mese di Novembre, cioé lui ha inviato tramite amici

una lettera alla sua ambasciata reclamando che nonostante il suo silenzio

agli interrogatori in Tripoli sui traffici della moglie e di un gruppo della

Balkan Air (lui lo ha saputo dopo)e su altre questioni della massima

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importanza e dopo 3 mesi di cella di rigore lui non parlò perciò si aspettava

un certo trattamento dalla sua ambasciata invece lo hanno dimenticato sino

all ‘ arrivo della sua detta lettera, dopo il quale si sono interessati ma non

ufficialmente solo tramite persone ‘‘varie’’ (fidate) per farlo rimpatriare, lui

a questo punto ha cominciato a temere per la sua vita e mi ha messo al

corrente di varie cose che se sono

vere potrebbero chiarire molti lati oscuri sulla vicenda ANTONOV.

Mi ha rivelato di avere avuto una relazione con una hostess della

Balkan Air di nome Ludmilla RAUGNANSKA la quale in un momento di

sconforto gli rivelò che consegnò vari pacchi di materiale (proibito) ad

ANTONOV, allora numero due a Roma. Questo materiale lo aveva ritirato

lei stessa nella Regione di Carlovo, 120 Km da Sofia, in una azienda o

fattoria (Zavat vanaize) nei primi mesi del 1981 e disse che era per

sistemare “WALESA” . Quando seppe che l’obiettivo era stato il Papa ebbe

come una crisi di rimorso, ma qualcuno se ne accorse e la spostarono sugli

aerei di linea solo nei Paesi dell’Est. Nel mese di aprile o maggio del 1982

sparì e l’ingegnere TRAYKOV seppe dal suo amico Generale VASCO

VASSILIEV che era stata giustiziata nonostante fosse in avanzato stato di

gravidanza. Ora con la lettera che l’Ingegnere TRAYKOV ha inviato alla

sua Ambasciata ammettendo di sapere molto cose e di aver taciuto, si é

condannato da solo, se ne é reso conto lui stesso e mi ha chiesto di mettermi

in contatto con le Autorità italiane perché vuole chiedere asilo ed é pronto a

testimoniare su quanto suddetto. Chiede solo di fare presto e con la

massima prudenza. Lui non vuole rientrare in Bulgaria, chiede in cambio di

poter lavorare e vivere libero in un paese libero.”

La missiva concludeva con la richiesta “Fateci sapere se interessati a

quanto suddetto - ma con prudenza - e la massima celerità”.

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La Polizia di Frontiera di Fiumicino - delegata dal G.I. di accertare se

la cittadina bulgara LUDMILLA RAUGNANSKA avesse fatto parte tra il

1979 ed il 1982 in qualità di hostess dell’equipaggio della Balkan Air -

riferiva, con messaggio del 03.03.86, che “nulla rinvienesi in atti”.

Nel frattempo veniva sentito il Console Generale a Bengasi,

RUSTICO Natale, il quale si limitava a riferire che tra il 22 e 23 febbraio

u.s. in mezzo ad altra documentazione del suo studio, aveva rinvenuto la

lettera che esibiva in fotocopia, precisando che BERTO Luigi gli risultava

detenuto dalla fine del 1983 o primi del 1984 presso le carceri di KUEFIA-

Bengasi, in quanto condannato per emissione di assegni a vuoto.

Si riservava di fornire ogni ulteriore utile elemento ai fini di giustizia

in ordine al contenuto della lettera in questione.

Il 5maggio 1986 l’Arma dei Carabinieri comunicava che:

BERTO Luigi, nato a San Donà del Piave (VE) il 12 giugno 1946,

impresario edile, emigrato per Milano nell’armo 1977, titolare di società di

costruzioni con sede in Milano e cantieri in Libia, era persona:

- considerata solitamente non attendibile;

- colpita da ordine di cattura dell’A.G. di Palermo in data 5.2.1978 per

“associazione per delinquere aggravata e truffa aggravata continuata” nel

contesto del reclutamento di mano d’opera per la Libia;

- detenuta dal 1984 nel carcere di EL KUEFIA di Bengasi per emissione di

assegni a vuoto.

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SALONIA Giuseppe esplicava le mansioni di assistente commerciale

presso il Consolato Generale D’Italia in Bengasi dal 6.5.1982.

RENSI (non RENZI) Giovanni, era nato il 27 marzo 1936, e residente nel

Comune di Camisano Vicentino (VI), via Boschi n° 25.

LUDMILLA RAUGNANSCA, non risultava:

- aver prestato servizio presso la “BALKAN AIR” di Roma ed

aver mai ottenuto il visto d’ingresso per l’Italia;

- essere stata oggetto d’interesse da parte della stampa bulgara.

L’Avvocato BORIS COINAICOV, si sarebbe potuto identificare in tale

ILIEV CIONAICOV, già rappresentante legale dell’Ambasciata d’Italia a

Sofia, deceduto tre anni fa.

Non erano stati acquisiti elementi utili:

- a determinare il grado di attendibilità delle affermazioni del

BERTO;

- atti alla identificazione degli altri soggetti indicati nella missiva.”

Nella circostanza veniva tra l’altro riferito che:

all’Ambasciata d’Italia a Sofia sarebbero giunte tre lettere anonime in una

delle quali sarebbe stato asserito che ALI’ AGCA, nel periodo del suo

soggiorno a Sofia, avrebbe frequentato la stanza ove alloggiava la moglie di

Serghey ANTONOV, della quale sarebbe stato l’amante.

Infine, veniva evidenziato che “la vicenda di cui sopra presenta analogie

con quella relativa al detenuto italiano in Libia, Luigi BERTO, segnalata al

precedente punto;

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In entrambi i casi le notizie sono di difficile se non impossibile verifica,

in quanto i fatti esposti si sono svolti in Bulgaria e provengono da cittadini

di quel Paese che, verosimilmente, potrebbero aver agito a scopo

informativo, su sollecitazione di quelle Autorità, nel momento in cui in

Italia si

stava celebrando il processo contro gli attentatori del Sommo Pontefice.

La manovra, peraltro non medita, potrebbe essere rivolta a:

- provocare ulteriori accertamenti giudiziari nel processo che ha avuto

luogo a Roma (che avrebbero potuto risolversi senza l’acquisizione di

elementi probanti) al fine di evidenziare l’artificiosità della tesi sostenuta

dall’accusa;

- sostenere, in subordine, l’alimentazione della pista bulgara ad opera dei

Servizi Segreti Italiani”.

La vicenda della missiva di BERTO veniva, invece, seguita con

particolare attenzione dal SISMI che aveva ricevuto in copia la missiva di

BERTO, attraverso canali propri del Servizio, come si rileva dalla

documentazione concernente l’attentato al Papa acquisita presso detto

Servizio.

Infatti, all’atto 1 del volume 141-5/6 della lADivisione all’oggetto

“attentato al Sommo Pontefice” si rinviene una cartella intestata a “LUIGI

BERTO”. La vicenda traeva origine dalla trasmissione di un messaggio

della 2A Divisione alla lADivisione datato 23 dicembre 1985, contenente il

testo della lettera di BERTO. Nel messaggio veniva precisato che

“l’originale della lettera, in assenza del Console , si trova in busta originale

e sigillata presso il Consolato Italiano in Bengasi” e che “fotocopia della

lettera é stata fornita alle fonti indicate da Suor Gemma Mancini,

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insegnante presso le Scuole Medie in Bengasi, che l’avrebbe ricevuta nel

corso di una visita al connazionale BERTO Giovanni. Il signor Giovanni

RENZI menzionato nella lettera é il predecessore di LOlA nell’attuale

incarico”. Alla fine del messaggio il Capo Centro del SISMI conclude

precisando che “Capo Missione e Console Italiano a Bengasi non

informati”. Relativamente alla attendibilità delle

fonti 3155 e 3150, dalle quali verosimilmente proveniva la notizia, veniva

attribuita la categoria “6”.

La 2A Divisione con missiva del 24 dicembre 1985 trasmetteva alla

lADivisione copia della missiva di BERTO acquisita in data 18.12.1985

dalle fonti 3155 e 3150, la cui attendibilità veniva indicata, questa volta,

con la categoria “2”.

Con missiva del 10 gennaio 1986 veniva trasmesso agli organi di

P.G. un appunto in cui veniva trascritto il contenuto della lettera di

BERTO, precisando che i cittadini bulgari citati nella lettera non erano noti

al Servizio ma omettendo di riferire che RENZI Giovanni, citato nella

lettera, era l’operatore del SISMI a Bengasi, così come, invece, si rilevava

in una nota interna al SISMI.

Gli organi di P.G., preso atto di quanto comunicato dal Servizio,

richiedevano al SISMI l’opportunità di declassificare l’appunto al fine di

trasmetterlo alla Magistratura. La lADivisione del SISMI con appunti del

27.01.1986 e 06.02.1986 diretti all’attenzione del Capo reparto del SISMI -

struttura che aveva il compito di coordinare le Divisioni Operative - “in

considerazione che il documento in questione veniva detenuto in originale

dalle Autorità diplomatiche italiane in Libia e che dalle medesime sarà stato

certamente inoltrato agli organi inquirenti nazionali, nonché al fine di

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cautelare la fonte” propone di non aderire alle richieste della P.G. e di

trasmettere la copia della missiva originale acquisita tramite la 2A

Divisione. Con l’occasione veniva evidenziato al Capo Reparto che il

nominativo di Giovanni RENZI corrispondeva ad un elemento della

2ADivisione. Pertanto veniva trasmessa soltanto

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la copia della lettera di BERTO, riservandosi di fornire elementi relativi

alla attendibilità del soggetto.

La 2^ Divisione del SISMI, con messaggio del 10 febbraio 1986, a

richiesta della ~A Divisione, correggeva la valutazione della notizia

espressa sul foglio del 24 dicembre 1985 che doveva essere indicata in 6.

Relativamente al BERTO segnalava che si trovava “in carcere per

emissione di assegni a vuoto, viene definito elemento che vive di

espedienti, non gode della stima dell’ambiente, ha precedenti non proprio

cpistallini. E’ necessario però considerare che la pena che gli rimane da

scontare é minima e quindi non sussistono motivi per cui potrebbe trarre

vantaggio dalla vicenda. Egli può essere definito “di solito non attendibile”.

L’Arma dei CC con fono del 25 febbraio 1986 comunicava al SISMI

che il Procuratore della Repubblica aveva richiesto l’attendibilità delle

notizie riferite dal BERTO precisando che le missiva di BERTO, non era

mai pervenuta all’A.G. e chiedendo accertamenti sui cittadini bulgari e

italiani citati nella lettera.

Il 10 marzo 1986 il SISMI trasmetteva ai Carabinieri un appunto in

cui venivano riferite le informazioni sul conto di BERTO e dei nominativi

italiani citati nella lettera. Riguardo al RENZI, questa volta, veniva indicato

come “già dipendente del Servizio”. Veniva anche precisato che la cittadina

LUDMILLA RAUGNANSCA non risultava avere prestato servizio presso

la Balkan Air di Roma e che “in ogni caso non sembra possa escludersi una

manovra a carattere disinformativo insita nella vicenda, trattandosi di

notizie di difficile verifica, proveniente da cittadino bulgaro, probabilmente

ispirato da quelle Autorità

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al precipuo scopo di evidenziare l’infondatezza della cosiddetta “pista

bulgara””.

Tale analisi appare già di per sè contraddittoria in quanto BERTO

riferisce notizie concernenti un aspetto della vicenda, in cui non viene

esclusa la responsabilità dei bulgari, ma al contrario viene denunciata.

Il 14 marzo 1986 venivano riferite dal SISMI all’Arma dei CC ed

alla Polizia le notizie sul conto dei cittadini bulgari citati nella missiva di

BERTO. In particolare sul conto della RAUGNANSCA si riferiva che “non

risulta avere mai ottenuto il visto di ingresso per l’Italia; del suo caso non si

sarebbe mai interessata la stampa bulgara”. L’Avv. Boris CIONAICOV

potrebbe identificarsi in tale Iliev COINAICOV già rappresentante legale

dell’ Ambasciata d ‘Italia a Sofia, deceduto tre anni prima. Sul conto dei

rimanenti nominativi non venivano acquisiti utili elementi alla loro

identificazione.

Infine con messaggio del 20 marzo 1986 veniva comunicato

all’Arma dei CC che non era possibile declassificare le notizie di cui ai

fogli del 10 e 14 marzo 1986, in quanto “acquisite fiduciariamente corso

svolgimento attività informativa questo Servizio”.

Sempre dalla documentazione del SISMI si rilevava che nell’aprile

dello stesso anno, cioé il 1986, un’altra vicenda veniva ad mnnestarsi con il

caso della lettera di BERTO. La 2ADivisione con missiva dell’li aprile

1986 informava che nella notte a Bengasi erano stati fermati il Vescovo di

Tripoli, Giovanni MARTINELLI e cinque religiosi, tra cui Suor Gemma. Il

fermo, secondo quanto si era appreso dalla Madre Superiore delle Suore

Cattoliche di Bengasi, era da mettere in relazione

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alla lettera scritta da BERTO Luigi e pubblicata da “La Stampa” di Torino

nel mese di febbraio. Nel messaggio veniva inoltre precisato che BERTO

sarebbe stato interrogato da un non meglio precisato Direttore delle carceri

libiche giunto appositamente da Tripoli.

Con messaggio del 17 aprile successivo la 2A Divisione riferiva alla

lADivisione che il Console Italiano a Bengasi si era incontrato con il

Vescovo MARTINELLI, che gli aveva confermato di essere stato arrestato

insieme agli altri prelati ed a Suor Gemma Mancini, in relazione alla nota

lettera scritta dal connazionale BERTO.

Nessun altro elemento si riscontra dagli atti del SISMI.

Ciò che lascia perplessi in questa vicenda é che l’Autorità Giudiziaria

verme informata solo in forma parziale dei fatti. Il Consolato non

informava gli organi competenti della missiva di BERTO. L’Arma dei CC

ometteva di riferire che RENZI - citato dal BERTO come elemento con il

quale era in contatto - era un elemento del SISMI in Libia. Nessuna notizia

veniva fornita dalle Autorità Consolari all’A.G. italiana sull’arresto in Libia

dei cinque religiosi, tra i quali Suor Gemma, arresto che era stato effettuato

in relazione alla missiva scritta da BERTO. Nessuna notizia veniva

comunicata all’A.G. in relazione ad eventuali contatti presi in Libia con il

BERTO ed il TRAYAROV.

Queste omissioni impediranno, nel 1986, ulteriori

approfondimenti sulla vicenda.

_____________________

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Capitolo quinto

I Servizi Sovietici

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4.5.1. Il colloquio ANDREOTTI-GORBACEV del maggio 91 e

la conseguente nota Sovietica.

I Servizi sovietici, particolarmente il KGB ma anche a volte il GRU,

sono stati coinvolti, come non era difficile immaginare, nell’attentato al

Papa. Lo sono stati ogni qualvolta si è prospettata una qualche

responsabilità di istituzioni bulgare. In questo Paese sarebbe stato dato,

secondo la ricostruzione della seconda inchiesta, il mandato e in tal senso

s’era raggiunta in quella istruttoria una certa situazione probatoria. A monte

indicazioni - sulla base del presupposto che gli organismi di quel Paese

fossero legati da un vincolo di dipendenza con il Paese leader del Patto di

Varsavia, cioè l’Unione Sovietica - secondo cui il progetto fosse stato

concepito al più alto livello di detto Patto e che l’Unione Sovietica avesse

dato, probabilmente proprio per le ragioni di cui si parla in altro capitolo di

questo documento, incarico ai Bulgari di provvedere all’esecuzione.

L’inchiesta pertanto s’è sempre mossa alla ricerca di indizi o prove,

che al di là delle dette indicazioni, confermassero o escludessero

responsabilità dell’URSS, in primo luogo dei suoi Servizi di Sicurezza. E

particolari iniziative si ebbero a seguito della caduta del Muro di Berlino,

nella speranza che si potesse accedere o comunque aver notizie dagli

Archivi di quei Servizi.

In tal senso si mosse anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri e

nel giugno del 91 il Presidente pro tempore informò questo Giudice di aver

avuto a Mosca il 22 maggio precedente un colloquio con il Presidente

GORBACEV e di aver posto il seguente quesito: “Essendosi di recente lette

notizie di stampa

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tendenti a riaccreditare responsabilità politiche bulgare e sovietiche

nell’attentato al Papa Giovanni Paolo Il, desidero conoscere se possa aversi

qualche elemento in proposito attraverso la consultazione degli archivi del

KGB o altri”.

GORBACEV aveva risposto che nulla gli risultava, ma che

comunque avrebbe fatto consultare gli archivi ed avrebbe tenuto informato

il suo interlocutore. In effetti il 29 maggio seguente l’Ambasciatore

dell’URSS a Roma comunicava di aver ricevuto istruzioni da GORBACEV

al Presidente del Consiglio italiano, che nulla risultava che potesse

suffragare la notizia della responsabilità sull’attentato.

Il Presidente aggiungeva due note nella lettera a questo Ufficio.

Nella prima palesava il rafforzamento del suo sospetto sull’esistenza di un

suggeritore alle spalle di MEHMET ALI’ AGCA, in particolare a seguito

della lettera di una sua intervista al Corriere della Sera, apparsa sul numero

del 16 maggio 91. E il sospetto aumenta, giacchè l’intervistato rammenta

persino la data di una presunta operazione italiana di liberazione di

palestinesi ovvero del gruppo di terroristi che stava ponendo in essere un

attentato con missili a Fiumicino a danni di un aeromobile El Al, e che

furono portati in Libia con l’Argo 16 da elementi del SISMI.

Nella seconda nota si allegava la copia di telegramma

dell’Ambasciatore d’Italia a Sofia sulla vicenda KARADZHOV, di cui si

parla in altra di questo documento. Telegramma nel quale si riferisce della

smentita dei Servizi di Sicurezza, secondo cui detto KARADZHOV non

sarebbe mai stato dipendente di quei Servizi, e si riferisce inoltre di una

prossima smentita negli stessi termini da parte del Ministro dell’Interno

bulgaro Danov. (v. lettera Presidente del Consiglio dei Ministri all’AG.

07.06.91). **********

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4.5.2. L’appunto CESIS del luglio 90.

Queste informazioni contrastano però con il contenuto di un appunto

datato il 05 luglio 90 inviato dal CESIS allo stesso Presidente del

Consiglio, che riferisce di contatti intrattenuti dal SISDE con funzionario di

un Servizio estero, che non viene con omissis indicato ma che dovrebbe per

certo essere un Servizio dell’Europa Orientale. Quei funzionari, dopo aver

confermato forniture di Semtex alla Libia, ed essersi riservati su rilasci di

passaporti a terroristi in Cecoslovacchia, sulla presenza del noto MORETTI

Mario a Radio Praga, e su forniture di armi ad organizzazioni terroristiche

italiane, riferivano dell’esistenza di un Piano del KGB - predisposto sin dai

primi a giorni del Pontificato di Woytila - finalizzato a screditare, con

azioni di disinformazione e provocazione, la Chiesa Cattolica e la stessa

figura del Pontefice, del quale era stata prevista, se necessario,

l’eliminazione fisica.

Il piano prevedeva, tra l’altro, un’attività di “ascolto” tramite

microspie, collocate nell’abitazione del Segretario di Stato Mons. Agostino

Casaroli ad opera di cittadina cecoslovacca, agente del KGB, coniugata con

un cittadino italiano nipote dell’alto Prelato e noto quale agente esterno

dello stesso Servizio fin dagli anni 50.

Il piano era denominato “Pop” e prevedeva due azioni, “Pagoda” e

“Infezione”, la prima riferentesi all’attentato al Papa e la seconda di natura

non accertata. La cittadina cecoslovacca si chiamava TROLLEROVA Irene

ed era nata a Praga nel 33 . Il suo coniuge era il cittadino italiano Torretta

Marco, nato nel 22 in provincia di Piacenza, nipote del Cardinal

CASAROLI e già “ingaggiato” in Cecoslovacchia sin dal ‘55 quale agente

esterno del KGB. La TROLLERO VA, approfittando di detti legami di

parentela era riuscita a

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collocare una statuetta contenente una microspia nella cristalliera della sala

da pranzo del Cardinale CASAROLI in Vaticano in sostituzione di altra

identica. Tale congegno veniva poi sostituito nell’aprile dell’89 con altra

microspia racchiusa in un “rettangolo di legno”, collocato in un armadio

della stessa sala da pranzo, presumibilmente ancora attiva alla redazione

dell’appunto e cioè fine maggio 90.

A proposito di tali apparecchiature, deve rammentarsi che

nell’immediatezza del sequestro di Emanuela ORLANDI fu attivata in

Vaticano una linea diretta per il Cardinal CASAROLI, sulla quale

sarebbero dovute arrivare le comunicazioni dei rapitori. Al tempo per

effetto di alcuni riferimenti precisi su movimenti e presenze di personale di

Polizia nell’ambito del Vaticano, riferimenti emersi in numerose telefonate

di anonimi, sorse il sospetto che all’interno di quella Città operassero spie o

che le linee di ascolto subissero interferenze.

La presenza della statuina come microspia potrebbe essere elemento

d’utilità nelle indagini sulle fughe di notizie dalla linea o dagli ambienti

dell’abitazione del Cardinal CASAROLI. (v. nota CESIS 2127.62.7/154/40,

05.07.90, ed allegati)

Questo appunto era sicuramente nella conoscenza del Presidente del

Consiglio, giacchè in una nota su carta del Segretariato Generale egli

commenta: “E’ da meditare il da farsi. Io credo che - se è esatto il tutto -

vada avvisato Casaroli ...“ (v. nota Segretariato Generale della Presidenza

del Consiglio, 06.07.90)

_________________

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Capitolo sesto

I Servizi tedesco orientali

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4.6.1. La figura di MIELKE e l’organizzazione della STASI.

Nella ex DDR - come in tutti i regimi totalitari - il Servizio informazioni

ricopriva un ruolo di primaria importanza. Per tale motivo nel 1950 veniva

creato un apposito Ministero per la Sicurezza dello Stato - MfS -, la cui

attività veniva indicata, comunemente, con il nome di STASI (Servizio per

la Sicurezza dello Stato).

A capo di questa organizzazione veniva posto Erich MIELKE il quale

rimase nella carica dal 1957 al 1989. MIELKE prima della guerra, era

entrato nelle file del Kpd, organizzazione comunista tedesca, e nel 1931 si

rese responsabile dell’omicidio di tre funzionari di polizia. Condannato,

non scontò mai la pena in quanto, nel frattempo, si era rifugiato in Unione

Sovietica. Dal 1936 al 1939 prendeva parte alla guerra civile spagnola nelle

Brigate Internazionali, dopodichè ritornava in Russia ed entrava nel IV

settore dello Stato Maggiore dell’Armata Rossa.

Nel 1945 ritornò nella Germania e dopo aver ricoperto l’incarico di Vice

Presidente nella zona sovietica dell’Amministrazione centrale degli Interni,

organizzò il Commissariato 5, antesignano della Ceka di ULBRICHT e

HONECKER, fino a diventare direttore dell’Amministrazione Centrale per

la protezione dell’economia popolare, che nel 1950 veniva sciolta

diventando, con la fusione del Commissariato 5, il Ministero della

Sicurezza dello Stato - MfS, dal quale dipendeva la STASI. Fino al

novembre del ‘57 egli fu prima delegato di ZAISSER e quindi di WOLL

WEBER, poi segretario di Stato e luogotenente generale. Nel 50 entrava

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a far parte del Comitato Centrale del Partito. Nel 1958 diventava membro

del Volkskammer e nel 1976 membro del Politburo.

La STASI, all’epoca in cui MIELKE aveva il suo incarico, era

organizzata in 32 sezioni. Il luogotenente generale Markus WOLF aveva il

controllo sulla Amministrazione Centrale Aufklarung “HVA”, cioè di

quella parte che si occupava di Ricerche all’Estero, fino al 1985, anno in

cui verme sostituito da GROSSMANN. Le sezioni di interesse per la

vicenda di cui è processo risultano essere la X della “HVA” (Ricerche

all’estero) e la XXII della “HV”(Controspionaggio). La prima si occupava

di disinformazione e la seconda della lotta al terrorismo.

A seguito della caduta del muro di Berlino e la conseguente unificazione

delle due Germanie ed in considerazione alla possibilità che agli atti del

disciolto Servizio per la Sicurezza dello Stato, meglio conosciuto come

STASI, si potessero trovare documenti concernenti l’attentato al Sommo

Pontefice, veniva avanzata in data 28 febbraio 1994, alle competenti

Autorità tedesche, richiesta di rogatoria. La documentazione della STASI -

a seguito della unificazione tra le due Germanie avvenuta il 3 ottobre del

‘90 - era stata affidata ad un Ente federale diretto dal pastore protestante

Johachim GAUCK, con l’incarico di provvedere alla custodia degli archivi

e di quanto era rimasto a seguito della presa d’assalto della popolazione

della sede della STASI, avvenuta nel gennaio precedente, nel corso della

quale sarebbero stati distrutti circa 30.000 documenti.

****************

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4.6.2. L’informativa dell’organizzazione GAUCK

Le autorità tedesche con missiva datata 27 luglio 1994 informavano

che il “Delegato federale per la Documentazione sui Servizi segreti nella ex

DDR”, GAUCK, aveva comunicato che dalle vaste ricerche effettuate negli

archivi della disciolta STASI era emerso che “i nominativi di ORAL

CELIK e MEHMET ALI’ AGCA sono stati inseriti in una sezione di

sicurezza del reparto 1 (Elaborazione operativa di organizzazioni, Gruppi e

Persone di estrema destra, neonazisti e terroristi) della Sezione Principale

(HA) XXII (lotta al terrorismo). La registrazione di persone in questa

sezione di Sicurezza èstata effettuata su disposizione del Ministro per la

Sicurezza dello Stato della Repubblica Democratica Tedesca. Secondo il

predetto decreto, potevano essere iscritti in questo elenco:

- Persone verso le quali i servizi per la Sicurezza dello Stato aveva un

particolare interesse;

- Persone, il cui impegno nei Servizi per la Sicurezza dello Stato, doveva

essere confermato, ivi inclusi i loro familiari;

- Quadri di personale addetto al servizio estero, collaboratori di

rappresentanze all’estero della ex Repubblica Democratica Tedesca;

- collaboratori ad Organismi, imprese ad apparati di Stato e finanziari, i

quali avevano costantemente contatto con segreti di Stato;

- persone alle quali era stata concessa l’autorizzazione a commerciare e

trattare di armi, munizioni, sostanze esplosive, veleni, materiali radioattivi

ed altre sostanze ed oggetti per i quali era necessaria un~autorizzazione;

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- persone che avessero svolto la loro attività in oggetti ubicati presso i

servizi di Sicurezza dello Stato o presso altri organi armati della ex

Repubblica Democratica Tedesca, nonchè persone che avessero offerto la

loro collaborazione ai predetti organi di Sicurezza;

- Cittadini stranieri ovvero apolidi che avessero il loro domicilio fisso

ovvero abbiano soggiornato per un lungo periodo nel territorio della ex

Repubblica Democratica Tedesca;

- Persone che avessero potuto essere utilizzate per il lavoro da loro svolto a

favore dei Servizi di Sicurezza dello Stato catalogato come IM

(Collaboratori non ufficiali)”.

Nella missiva non veniva indicato in quali di queste categorie

rientrassero CELIK e AGCA.

Veniva precisato, inoltre, che “Fascicoli riservati venivano, in linea di

massima, aperti all’insaputa delle persone cui essi si riferivano, e

possedevano, di norma, un valore meramente indicativo. Il nome di

MEHMET ALI’ AGCA inoltre venne inserito nella sezione SUND

(Sistema relativo a dati operativi ed istituzionali), che era un elaboratore di

dati internazionali, al quale collaboravano e dal quale attingevano dati i

Servizi Segreti e di sicurezza dell’Unione Sovietica, dell’ Ungheria, della

Bulgaria, della Mongolia, della Repubblica Democratica Tedesca, della

Polonia, di Cuba e della Cecoslovacchia. La direzione di detto sistema era

attribuita al KGB. Nel predetto elaboratore venivano inseriti dati relativi a

15 diverse categorie di persone (PK), fra cui al PK3 era inserita la categoria

dei terroristi. L’inserimento del nominativo di ALI’ AGCA nel citato

elaboratore venne disposto dalla sopra menzionata Sezione 1 della HA

XXII...”. Veniva

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anche comunicato che oltre al raccoglitore contenente ritagli di giornale ed

informazioni stampa relativi all’attentato al Papa, erano stati rinvenuti “stralci

di verbali di interrogatorio ed altro materiale delle autorità inquirenti italiane

relativi all’attentato ai danni del Papa Giovanni Paolo Il”, documentazione

che venne inviata dalla sezione X della HVA alla sezione XXII della HA.

Allegati alla missiva, le Autorità tedesche, trasmettevano fotocopia di due

documenti, dai quali si poteva già rilevare che la DDR e la Bulgaria

mantenevano contatti finalizzati a contrastare la campagna di stampa -

definita diffamatoria -nei confronti della Bulgaria accusata di essere

responsabile dell’attentato al Sommo Pontefice.

Pertanto, sulla basi di quanto sopra che evidenziava l’interesse di quel

Paese a seguire le vicende dell’attentato al Papa, veniva espletata ulteriore

rogatoria in Germania. Questo G.I. in data 15.02.1995, veniva autorizzato da

quelle Autorità, a recarsi a Berlino presso gli Uffici che furono della STASI e

prendeva visione del carteggio fino a quel momento rinvenuto. Carteggio che

appariva di rilevante interesse e di cui pertanto si richiedeva l’acquisizione in

copia. Documentazione che giungeva con due differenti invii: il primo con

missiva datata 3 aprile 1995 ed il secondo con missiva datata maggio 1995. In

quest’ultima missiva le Autorità tedesche comunicavano che “nel momento

dello scioglimento del Ministero per la Sicurezza, gli atti trovati erano stati

distrutti, ed ora sono stati fatti restaurare dall’Incaricato Federale per gli atti

dei Servizi di Sicurezza dello Stato dell’ex DDR. Questo spiega che sono

poco leggibili e che mancano alcune pagine”.

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4.6.3. La documentazione STASI

Dall’esame della documentazione, opportunamente tradotta in italiano,

emergeva che la STASI, aveva ricevutO nell’agosto del 1982 dalla Bulgaria,

una richiesta di collaborazione finalizzata ad allontanare i sospetti di

responsabilità delle Autorità bulgare nell’attentato al Papa. Alla fine della

missiva veniva richiesto “di accelerare la preparazione di documenti per

l’operazione comune chiamata “papa””. Quest’ultima precisazione lascia

intendere che si era già discusso “dell’operazione comune papa prima della

ricezione della missiva. Missiva che fa seguito ad altra nr. 972/82, di cui non

si è trovata però traccia nella documentazione trasmessa.

Da rilevare che la corrispondenza avveniva tra il Ministro bulgaro

STOJANOV ed il Ministro della DDR, MIELKE.

I bulgari nelle loro corrispondenza evidenziano che il tentativo di

coinvolgere la Bulgaria nell’inchiesta sarebbe stato organizzato dalla CIA al

fine di minare la politica pacifista dell’Unione Sovietica e degli Stati fratelli

socialisti, onde instaurare un differente ordinamento sociale. In questa

operazione condotta dalla CIA, attraverso i Centri di propaganda

antisocialista, ed in particolare attraverso la giornalista Claire STERLING e

Paul HENZE, rientrerebbe il Caso ANTONOV, il caso SCRICCIOLO e vari

episodi di contrabbando di armi.

Al fine di contrastare la pista bulgara i due servizi socialisti attuavano una

serie di cosiddetti “provvedimenti attivi”. Tra questi “provvedimenti attivi” si

rileva una nota

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datata 31 maggio 1983, a firma del Ministro dell’Interno bulgaro, MITEW, in

cui veniva riferito alla STASI che era in preparazione un provvedimento

attivo per smascherare la cosiddetta “traccia bulgara” nell ‘attentato contro il

Papa, Giovanni Paolo 11, che realizzeremo tramite Luigi CAVALLO”.

La utilizzazione di CAVALLO da parte dei Servizi Segreti della Bulgaria

trovava conferma in alcuni opuscoli scritti dal medesimo nell”’Agenzia A -

bollettino di informazioni politiche e finanziarie di Luigi Cavallo”, nel 1983.

Veniva anche tentato di utilizzare “attivamente” il cittadino turco EROL

SUDAN UNSAL, ex detenuto in attesa di giudizio e persona di fiducia

dell’HA -IX. Questi era stato condannato nella DDR a nove anni di reclusione

per attività sovversiva, in quanto si era reso responsabile di aver fatto uscire

un cittadino della DDR dal territorio con l’aiuto di un pallone aerostatico.

***************

4.6.4. Le riunioni di Berlino nell’ottobre 83 con il Servizio bulgaro

A tal proposito nell’ottobre del 1983 furono tenute a Berlino riunioni tra

rappresentanti del servizio bulgaro e funzionari del MfS. La delegazione del

Servizio bulgaro era guidata dal colonnello ORMANKOV. Nel corso dei

colloqui la delegazione bulgara chiedeva notizie sull’organizzazione dei

“Lupi Grigi”, sull ‘attentatore al

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Papa, e valutazioni su un’eventuale “utilizzo diretto o indiretto dell’UNSAL

per una disinformazione del nemico allo scopo di respingere l’istigazione

massiccia contro la Repubblica Popolare Bulgara.”. Il servizio della DDR

forniva quanto a loro conoscenza sull’organizzazione sull’attentatore al Papa,

precisando che l’UNSAL non veniva ritenuto idoneo per una disinformazione

dell’avversario a causa del suo carattere e della mancanza di punti di

riferimento con l’attentatore alla vita del Papa, AGGA”.

La delegazione bulgara, nell’occasione, informava che da contatti ufficiali

avuti con il giudice Palermo, a Sofia, si era appreso che la giustizia italiana

basava “le accuse contro la Repubblica Popolare Bulgara e contro il generale

ANTONOV, detenuto a Roma, solo sulle scarse dichiarazioni AGGA”.

Il colonnello ORMANKOV precisava inoltre di avere appreso dal

Magistrato che i cittadini turchi ARSLAN, CELENK e altri sono in contatto

con la CIA; che le informazioni sui Lupi Grigi le aveva ottenute dalla

Repubblica Federale Tedesca e che basandosi su queste informazioni è del

parere che i Lupi Grigi siano in contatto con la CIA”.

L’attività disinformativa della DDR si concretizzava anche, attraverso la

pubblicazione all’estero, ed in particolare nella Repubblica Federale Tedesca

di materiale propagandistico finalizzato a smascherare il complotto ordito nei

confronti della Bulgaria.

***********

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4.6.5. Le note di STOJANOV a MIELKE.

In un documento a firma STOJANOV, trasmesso il 9 febbraio 83 a

MIELKE, venivano elencate quali attività bisognava porre in atto al fine di

“fronteggiare la campagna dell’Occidente fino ad un suo completamento,

smascheramento e fino a sventarla del tutto, concentrando i nostri sforzi sui

punti seguenti:

- con l’aiuto di articoli e materiali nella stampa e degli altri mass-media,

proseguimento degli attacchi contro i servizi segreti del nemico come

organizzatore ed esecutore delle provocazioni dirette contro la Repubblica

Popolare Bulgara ed i Paesi socialisti servendosi del ‘caso ANTONOV”

appositamente creato;

- raccolta di dati e fatti a testimonianza della partecipazione degli organi

inquirenti italiani alla provocazione organizzata per poter prendere delle

misure che mirano ad uno schieramento in questa direzione; il nostro Paese,

fino ad oggi, non ha eseguito provvedimenti di questo tipo contro le autorità

inquirenti italiane, ma -considerando le prospettive dell’organizzazione di un

processo contro ANTONOV - inizieremo a prendere misure anche in questa

direzione;

- neutralizzazione dell’effetto per noi sfavorevole dell’incontro con il Papa

e del perdono dei peccati di AGCA, inducendo il Vaticano ed il papa a

rendere pubblico il loro parere sul “caso ANTONOV” in una direzione a noi

favorevole;

- realizzazione di misure che distolgano l’attenzione del nemico dal “caso

ANTONOV””.

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E’ indubbio che la documentazione inviata risulta essere soltanto un parte

di quella che probabilmente esisteva all’interno degli archivi della STASI. Le

Autorità tedesche, infatti, nel trasmettere copia della documentazione

rinvenuta, evidenziavano che trattavasi di quella parte della documentazione

fino a quel momento trovata precisando che alcuni documenti erano stati

ricostruiti in quanto reperiti danneggiati.

Dall’esame complessivo della documentazione della STASI - in

particolare dalla documentazione agli atti della X - HVA - emerge una

corrispondenza tra i due servizi ai più alti livelli, MIELKE, da una parte,

STOJANOV dall’altra. A mano a mano che il coinvolgimento dei bulgari

diventava più pressante, le richieste di aiuto alla DDR divenivano più

insistenti. Dalla documentazione non si rileva una effettiva responsabilità del

coinvolgimento della Bulgaria e di ANTONOV nell’attentato al Papa, anzi si

sostiene che ANTONOV è innocente e che messo sotto pressione potrebbe

crollare e raccontare cose non vere. I Bulgari nel fornire notizie sull’inchiesta

dell’attentato al Papa sottolineano che ANTONOV non è mai stato in contatto

con il loro servizio segreto, ma nel corso di altro documento il medesimo

veniva indicato con la qualifica di Generale.

Da un documento, in lingua russa, senza data, classificato Segretissimo,

diretto alla personale attenzione del Ministro per la Sicurezza della DDR,

Erich MIELKE, a firma del Ministro dell’Interno bulgaro, STOJANOV, si

rileva il ringraziamento a seguito “dell’aiuto e dell’appoggio accordatoci per

sventare la campagna

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antibulgara ed antisocialista in relazione all’attentato al papa, Giovanni Paolo

Il. Nel corso di oltre 4 anni , gli organi d’informazione del Ministero per la

Sicurezza della DDR e del Ministero degli Interni della Repubblica Popolare

Bulgara hanno preso dei provvedimenti - in stretta collaborazione e

coordinazione con gli organi dei paesi nostri fratelli - per smascherare i

promotori e gli esecutori dell’attentato e della relativa sfrenata campagna

diffamatoria fomentata contro la Repubblica Popolare Bulgara e la comunità

socialista

Dalla documentazione trasmessa si può senza errore affermare che la

Bulgaria e la DDR hanno fatto tutto il possibile per evitare che si arrivasse

alla condanna di ANTONOV e di riflesso alla responsabilità della Repubblica

Popolare Bulgara nell’attentato al Sommo Pontefice.

**************

4.6.6.La trasmissione televisiva Frontal della ZDF.

Il Servizio Interpol informava che il 15 luglio 1996 era stato mandato in

onda dalla rete televisiva tedesca ZDF, nell’ambito della trasmissione

“FRONTAL”, un servizio riguardante l’attentato al Papa. Il servizio

giornalistico era stato reso possibile grazie alla acquisizione presso

l’Incaricato federale GAUCK di documenti concernenti l’attentato al Papa, ed

alla testimonianza di alcuni ufficiali della ex STASI.

Nelcorso della trasmissione, i redattori KALTEFLEITER e TEISEN,

ipotizzavano un

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coinvolgimento della STASI in una sorta di complotto, organizzato dal

parallelo Servizio Segreto Bulgaro, per chiamare in causa l’organizzazione

turca di estrema destra “Lupi Grigi” nell’attentato, attraverso la stesura e

l’invio di alcune missive da cui potevano essere agevolmente rilevate attività

della stessa organizzazione dirette a perorare la liberazione del detenuto

AGCA.

In particolare la STASI aveva falsificato una lettera avente come

destinatario il capo dei nazionalisti turchi, ASLAPAN TURKESH, e presunto

mittente Franz Josef STRAUSS. L’operazione, avviata su richiesta formale

dell’omologo Servizio bulgaro, inviata alla STASI attraverso un telegramma,

sarebbe avvenuta su disposizione dell’allora Direttore Irish MIELKE, che

avrebbe dato incarico al capo della HVA, Markus WOLF, di presentare delle

idonee proposte operative. Questi avrebbe dato incarico a Gunther

BOHNSACK, Capo della Sezione 10 dell’HIVA.

BOHNSACK intervistato nel corso della trasmissione, confermava

l’azione di disinformazione attuata dalla STASI su richiesta del Servizio

bulgaro.

***********

4.6.7. La rogatoria all’A.G. tedesca di MIELKE, WOLF,

BOHNSACK.

Pertanto, questo G.I. rivolgeva alle Autorità tedesche formale richiesta di

rogatoria al fine di acquisire la testimonianza degli autori del servizio

televisivo, di Erich

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MIELKE, di Markus WOLF e di Gunther BOHNSACK. (v. Commissione

Rogatoria all’A.G. tedesca del 26.07.96).

Il 19 febbraio 1997 in esecuzione di detta rogatoria venivano raccolte le

testimonianze dei giornalisti KALTEFLEITER e TEISEN. Entrambi

confermavano i contenuti del servizio sull’attentato al Papa, andato in onda

sul programma televisivo FRONTAL, chiarendo che i documenti dell’ MfS

da loro acquisiti erano stati richiesti -in conformità alle leggi - all’incaricato

Federale GAUCK.

In particolare, il teste TEISEN, riferiva che nel corso dell’inchiesta

giornalistica aveva intrattenuto contatti con due ex ufficiali della STASI - uno

dei quali BOHNSACK - i quali gli raccontarono come si era svolta la

cosiddetta “Operazione Papa”. Il BOHNSACK aveva dichiarato che “la

STASI aveva ricevuto il compito di inserire ALI’ AGCA in un determinato

contesto politico e di attribuire la responsabilità dell’attentato ai circoli di

estrema destra occidentali e/o turchi”.

TEISEN, infine, analizzando i contenuti dei documenti della STASI,

precisava che “la mia interpretazione, con l’aiuto dei funzionari della Stasi

che conosco, è che avevano paura che ANTONOV potesse vuotare il sacco.

Per questo motivo hanno descritto ANTONOV come una persona labile.

Volevano inficiare la sua credibilità”. TEISEN evidenziava, tra l’altro, che “di

solito la corrispondenza tra la STASI e i Servizi Segreti bulgari avvenne a

livello di collaboratori. In questo caso, però, le missive vengono trasmesse

tramite ministri, la qual cosa dà un’idea del carattere straordinario dei fatti”.

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4.6.8. Le dichiarazioni di BOHNSACK.

Gunther

Il 28 aprile 1997 venivano raccolte a Berlino, su rogatoria, le dichiarazioni

dell’Ufficiale della STASI, Gunther BOHNSACK.

BOHNSACK - autore di un libro sulle attività della STASI - riferiva di

essere stato, dal 1964 al 1990, collaboratore della STASI, “specificatamente

nella “casa” di Markus WOLF, l’HVA, nella Sezione Provvedimenti Attivi,

che si occupava, tra l’altro di disiriformazione, ed il cui obiettivo principale

era quello di indebolire e destabilizzare i Paesi occidentali.

Con riferimento all’attentato al Papa, BOHNSACK esordiva sottolineando

che destò meraviglia nel loro ambiente che la richiesta di aiuto dei bulgari era

stata affrontata “tanto in alto”, addirittura dal POLITBURO, cosa definita

“insolita”. MIELKE faceva parte del POLITBURO.

Il compito della sua sezione - proseguiva BOHNSACK -era quello “di

preparare una traccia che portasse alla CIA e di accompagnare tutto questo di

voci e di altre tracce”. A tale scopo prepararono “voci” che comprovavano i

contatti di AGCA con i Lupi Grigi e analizzarono sotto “l’aspetto di come si

potesse falsare, travisando gli indizi” il rapporto MARTELLA fomitogli dai

bulgari.

Le voci venivano poi diffuse “soprattutto nella Repubblica Federale,

attraverso gli agenti, voci, contatti ecc. Ma queste voci sono state passate

anche in Grecia, Turchia, ecc. attraverso alcune persone di fiducia. Anche

l’Ambasciata della DDR a Roma ha collaborato alla diffusione”.

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BOHNSACK riferiva che “un altro punto chiave era il Caso ANTONOV,

rappresentante della Balkan-Air ed evidentemente un uomo dei servizi segreti

dei bulgari; i bulgari temevano che in carcere potesse rivelare delle cose che

non dovevano essere divulgate”.

Nel quadro dell’azione di disinformazione, continuava BOHNSACK,

veniva “ricostruita una lettera scritta -secondo quel che si diceva - da Franz

Josef STRAUSS a TURKESH, Capo del Lupi Grigi; la lettera è stata spedita

ai mass-media, e nella lettera è stato inserito il concetto che STRAUSS aveva

saputo prima dell’attentato. E’ stata costruita una connessione STRAUSS-

TURKESCH e l’intenzione era di coinvolgere anche la Repubblica Federale

di Germania. La lettera era falsificata, disponevamo della firma originale di

STRAUSS”.

BOHNSACK, nel descrivere la struttura dell’HVA (Direzione Generale

Informazioni), la indicava simile a quella sovietica e seconda, nell’importanza

tra i Paesi dell’Est, solo al KGB. Le sezioni della HVA erano contrassegnate

da I a XX. Si occupavano principalmente di informazioni. Il concetto di

spionaggio veniva evitato in quanto considerato criminale e situato soltanto in

Occidente. Dopo avere descritto succintamente le competenze - sezione per

sezione-BOHNSACK passava a delineare la struttura della Sezione X, cioè la

struttura che aveva avuto un ruolo di primo piano nell’attuazione delle attività

di disinformazione concernenti le vicende che vedevano coinvolti i bulgari.

La X sezione HVA veniva costituita nel 66, su specifica richiesta dei Russi e

veniva gestita direttamente da WOLF che la definiva “il prato dei suoi

giochi”. Il concetto era che non bastava “raccogliere

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informazioni; queste informazioni devono essere analizzate ed utilizzate e

riportate là da dove provengono”. Molti scandali del dopoguerra venivano

ideati nella HVA per poi essere realizzati nella RFD. LA HVA era suddivisa

in 7 Divisioni. La Divisione che si occupò dell’attentato al Papa era la 1A

Divisione. Il superiore di BOHNSACK era il col. WAGENBRETT, mentre il

Direttore dell’X sezione era DAMM, il quale era in contatto con gli altri

servizi paralleli. WOLF rivestiva le funzioni di Capo dell’HVA e di sostituto

del Ministro MIELKE, e partecipava al Consiglio dei Ministri.

In relazione alla elezione al Pontificato di Wojtila, BOHNSACK riferiva

che “già negli anni 70 abbiamo riconosciuto che la Polonia era un problema,

un punto politico debole nel blocco orientale. Ne abbiamo discusso spesso. Ci

sono stati anche degli attacchi antisovietici, dibattiti, - di un’area non molto

positiva per noi. Si, la Polonia la consideravamo un paese nemico. Temevamo

che la Polonia potesse interrompere i flussi strategici tra la DDR e l’Unione

Sovietica. Essendo la nostra situazione quindi desolata l’elezione del Papa dal

nostro punto di vista - era particolarmente inquietante. Si temeva che il Papa

d’ora in poi, da Roma, potesse fare una politica contro i Paesi socialisti. Ma

comunque c era disparità d’opinione; c’era anche chi considerava la scelta del

Papa una scelta che forse poteva rivelarsi positiva. Quelli che la

consideravano una “disgrazia”, non avrebbero avuto nulla in contrario se il

Papa fosse sparito. Con questo, comunque, non voglio dire che qui abbiano

invocato un attentatore”.

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Relativamente agli incontri intercorsi con i bulgari, BOHNSACK riferiva

di ricordare che dopo la loro richiesta di aiuto c’era stato un incontro a

Berlino. La delegazione bulgara venne ricevuta prima da WOLF, cosa

ritenuta inusuale, e poi alla X sezione. L’incontro avveniva

- teneva a sottolineare BOHNSACK - “in un luogo da complotto, - una

villa”.

I Bulgari - riferiva sempre BOHNACK - avevano ammesso “che

ANTONOV era un loro uomo. Ma non hanno confermato che avesse avuto a

che fare con l’attentato. Comunque, ANTONOV era al corrente di tante cose

e se fosse crollato ed avesse deposto, avrebbe potuto causare notevoli danni ai

Bulgari

Per quanto riguarda le misure poste in essere dalla X sezione,

BOHNSACK ricordava:

- costituzione di un comitato con partecipazione internazionale per la

liberazione legale di ANTONOV, avente lo scopo di esercitare - attraverso i

contatti internazionali - una pressione sulla giustizia italiana;

- diffusione attraverso i mass-media di voci sul concorso della CIA

nell’attentato;

- falsificazione di lettere, produzione di lettere fittizie.

A tal proposito ricordava la lettera di STRAUSS:

“STRAUSS era interessante per noi perché’ sembrava particolarmente idoneo

a questo scopo a causa del suo orientamento politico (orientamento di destra,

interesse europeo, contatti coi turchi). Inoltre, abbiamo prodotto delle lettere

minatorie,- mittente presunto: i “Lupi grigi”. Con quelle lettere, il Governo

Federale è stato minacciato di azioni terroristiche se il Governo Federale non

si fosse impegnato energicamente per l’AGCA nei confronti delle autorità

italiane”.

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Sempre riguardo alla lettera di STRAUSS, dichiarava “avrebbe dovuto

dare l’impressione che STRAUSS sapeva già che AGCA nel novembre del

1979 avrebbe annunciato l’ordine di assassinare il Papa”.

BOHNSACK, infine, riferiva:

- i rapporti con il KGB erano intensi “Del resto, i russi – non in relazione

all’attentato al Papa – stavano permanentemente da Markus WOLF”,

- è inconcepibile pensare che nel caso che l’attentato al Papa fosse stato

attuato da un Paese dell’Est, il KGB non ne fosse stato informato, e non

avesse dato la propria approvazione;

- che alla responsabilità della CIA nel complotto dell’attentato al Papa non

hanno mai creduto, essendo una pura invenzione.

MIELKE e WOLF non si presentavano all’udienza istruttoria, il primo per

ragioni di malattia, il secondo avvalendosi di facoltà concessagli come

imputato il processo tedesco.

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Capitolo settimo

I Servizi statunitensi

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4.7.1. Il documento della CIA “Sommario di analisi sul tentato

assassinio del Papa”.

Nel corso di questi anni, come è ben noto, molti sono stati i dubbi

sollevati sulla pista bulgara. In particolare presso la CIA americana. E di tale

critica intende fare una breve storia al mensile 30 giorni nel suo numero del

febbraio 94. In un articolo a firma di Giovanni CUBEDDU dal titolo “I passi

perduti di AGCA” si riferisce di un documento datato 12 marzo ad oggetto

“Sommario di analisi sul tentato assassinio del Papa”.

Questa informativa esplora “scenari alternativi” escludendo cioè dalla

pista bulgara. Pista, sottolinea il redattore, smentita da ORAL CELIK ed

abbandonata più volte dallo stesso ALI’ AGCA.

Così i passi significativi del documento:

“Molte delle nostre informazioni precedenti al processo dell’84/85 (quello

tenuto alla Corte di Assise di Roma, ndr.) concordavano con quelle italiane su

“ipotesi alternative”, incluse le teorie che AGCA avesse agito da solo con la

complicità di criminali/terroristi . . . Sulla base di informazioni molto

frammentarie, e spesso contraddittorie, avevamo sviluppato alcune tesi in

larga parte fondate sulla vita di AGCA, i suoi contatti con criminali,

contrabbandieri e terroristi e il suo tenore di vita nel periodo dalla fine del

1979 ai primi del 1981 . . . A partire da ciò avevamo ipotizzato che egli quasi

certamente aveva fatto ricorso a tali contatti nel preparare l’attentato e che

potesse aver avuto uno o più complici . .

Avevamo supposto che durante questo periodo AGCA fosse stato coinvolto in

una serie di crimini, compresi il contrabbando, traffico di droga, estorsione e

terrorismo. Tale supposizione veniva confermata dalla disponibilità di fondi

dell’interessato e dal rapido cambiamento del suo tenore di vita

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- dalla povertà al lusso. Egli era già un terrorista condannato per omicidio,

evaso da una prigione turca e complice di terroristi e contrabbandieri turchi...

A questo punto la CIA ammette di non essere in possesso di una prova

schiacciante... benchè le nostre analisi si sviluppassero su tali linee, non

abbiamo mai potuto avere di queste ipotesi conferme che fossero basate su

prove evidenti, indipendenti e di fonte affidabile... In definitiva, non

disponiamo di elementi concreti a sostegno di tali “ipotesi alternative”, o di

ciò che èeffettivamente accaduto.

L’informativa è compilata nel marzo 92 quando èdirettore della CIA

Robert GATES, già oggetto nel 91 di una audizione del Senato Usa sui casi di

“politicization” della CIA. E uno dei casi più scottanti di “politicizzazione”

era di certo quello delle indagini relative all’attentato - su tale soggetto anche

altra parte del presente provvedimento.

Questa è la cronologia redatta dal giornalista:

“Nel settembre del 91 il Comitato senatoriale sui servizi di sicurezza,

dovendo decidere se ratificare la nomina di Robert GATES a capo della CIA,

si trovò di fronte a vari casi di “politicization”. In particolare venne alla luce

che nell’85, sotto la gestione di William CASEY, GATES - vicecapo della

Direzione Intelligence della CIA, dopo essere stato assistente del consigliere

per la sicurezza nazionale Zbigniew BRZEZINSKI - era stato al centro di un

caso di “forzatura” delle indagini della CIA. Ovviamente per accreditare la

responsabilità del blocco sovietico nell’attentato al Papa. Dalle audizioni di

funzionari della CIA e dai documenti segreti declassificati per l’occasione

emerse un quadro inedito della CIA, divisa in fazioni pro o contro la tesi del

coinvolgimento dell’URSS. Da una parte la Commissione senatoriale affermò

che “l’attentato non era stato previsto dalla comunità

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informativa. . . tuttavia almeno fino al 1981, gli analisti si erano convinti che

Mosca avesse un accordo ufficioso con il Papa per moderare le agitazioni in

Polonia, in cambio della promessa sovietica di non intervento. L’opinione

generale era che i sovietici non avrebbero avuto alcun vantaggio dal rovinare

questa intesa, anche se non avesse dato i risultati da loro sperati”. Dall’altra

ricostruì gli sforzi fatti dalla CIA per alimentare la pista bulgara.

Nel marzo dell’83 vi fu un primo approssimativo rapporto (titolo: “Il

tentativo di uccidere il Papa: una raccolta di notizie”) che escludeva la

responsabilità dell’Est. Nell’84 esce “Il tempo degli assassini”, scritto dalla

giornalista Claire STERLING - notoriamente amica di CASEY -‘ che lancia

pubblicamente la tesi della pista bulgara. Dicono gli atti del Senato Usa che

CASEY “fu impressionato” dal lavoro investigativo della giornalista. Perciò

commissionò a GATES un altro rapporto - titolo: “Il tentativo di AGCA di

assassinare il Papa: il caso del coinvolgimento sovietico”, aprile 85 - per

dimostrare il coinvolgimento dell’URSS. “CASEY e GATES” testimoniò

Melvin GOODMAN, funzionario CIA addetto all’Ufficio analisi sovietiche,

“tentarono inutilmente per diversi anni di ottenere che il DI (la Direzione

Intelligence della CIA guidata da GATES, ndr) trovasse la prova flagrante

che stabilisse la complicità sovietica”. Neanche stavolta gli analisti del DI ce

la fecero. E GATES, disse ancora GOODMAN, per accontentare CASEY fu

costretto a “riscrivere il suo pugno i punti fondamentali e le sintesi della

valutazione”, e a dichiarare in una nota anteposta alla valutazione che “i

sovietici erano direttamente coinvolti”.

La manovra dovette però risultare davvero sfacciata agli stessi

funzionari CIA. Neanche un mese dopo seguì una nota duramente critica

voluta dal capo dell’Ufficio studi sovietici

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CIA, Douglas Mc EACHIN. Anche questa nota del maggio 85 esplora le

“teorie cospirative alternative”. E dice che “in modo assai veloce è stata

scartata la possibilità che AGCA, da solo o con qualche esponente della mafia

turca, possa aver pianificato l’attacco indipendentemente dai bulgari o dai

sovietici”. E che comunque “le somme di denaro e i supporti operativi

ricevuti da AGCA . . . indicano che è coinvolto in un qualche complotto”.

Per mettere fine alla guerra interna GATES stesso dovette

commissionare uno studio conclusivo, il rapporto COWEY:

una sorta di “operazione trasparenza” che esaminò i circa 30 documenti

sull’attentato al Papa prodotti dalla CIA dall’82 all’85. Ecco il giudizio: “Nei

casi di mancanza di prove evidenti, i documenti furono falsati, le deduzioni

assunsero il ruolo delle prove ed il testo divenne sempre più finalizzato”, cioè

politicizzato. Anche il rapporto COWEY si sofferma sulle “ipotesi

alternative”, dicendo che “meritevole di nota per la sua unicità nel

menzionare scenari alternativi e un appunto del 17 settembre 1982 . . . Dopo

aver discusso con considerevole accuratezza il materiale a conoscenza della

CIA sul caso, l’appunto concludeva che “le notizie concrete . . . supportano

differenti scenari i quali non si escludono tutti reciprocamente.”.

E se AGCA fosse stato assassino “su commissione i suoi mandanti

sarebbero stati probabilmente terroristi turchi”.

*********

4.7.2. L’inchiesta del Senato USA sulla nomina di Robert GATES.

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L’attentato al Sommo Pontefice ha determinato una serie di

commissioni rogatorie agli Stati Uniti a causa di risultanze processuali e

notizie dei media.

La prima fu quella emessa il 26 novembre 1985 per l’esame del

cittadino Francesco PAZIENZA, all’epoca detenuto nel carcere di New York.

Ma su questa vicenda si è detto nella parte dedicata specificamente a esso

PAZIENZA.

Quelle successive furono invece dedicate alla acquisizione di copie di

atti e documenti statunitensi concernenti comunque il delitto in oggetto. La

prima di questa serie fu quella emesso il 09 ottobre 91, che ebbe ad oggetto la

richiesta delle trascrizioni delle sedute della Commissione per le nomine del

Senato degli Stati Uniti, relativo alla nomina del nuovo Direttore della Central

Intelligence Agency Robert M. GATES; sedute nelle quali si fece menzione

di prove artefatte nella vicenda dell’attentato al Papa (v. rogatoria U.S.A.

09.10.91).

Il relativo rapporto fu consegnato, nel corso di esecuzione di altra

rogatoria, direttamente dal Dipartimento di Giustizia U.S.A. all’A.G. rogante

il 12 dicembre di quello stesso anno. Le parti concernenti l’attentato al Papa

sono contenute nelle pagine 108-116 ditale rapporto.

Al GATES si contestava di aver creduto “che il Cremlino fosse dietro

l’attentato al Papa”, “che avesse ordinato una inchiesta senza tener conto

dell’evidenza dell’estraneità”, “che avesse riscritto personalmente i giudizi,

eliminando tutti i riferimenti alle incongruenze e alle anomalie”, “che avesse

eliminato la nota con la raccomandazione che il documento non forniva

contro - argomenti sulla complicità dei Sovietici” e “che avesse scritto una

nota di accompagnamento …, affermando che i Sovietici erano direttamente

coinvolti e

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presentando le sue opinioni come consenso generale della CIA”.

L’attacco non era stato previsto dai Servizi Segreti Internazionali, per

quanto gli analisti, fin dal 78, avessero previsto i possibili problemi creati

dall’URSS da un Papa polacco. Nell’ 81 comunque gli analisti si erano

convinti che Mosca avesse un accordo con il Papa di moderare le rivolte

polacche in cambio delle promesse sovietiche di non intervenire. L’opinione

generale era che i Sovietici non avessero nessun motivo di distruggere tale

accordo, anche se non si rivelò producente come speravano.

Per quanto l’idea di un possibile coinvolgimento sovietico continuasse

a filtrare attraverso l’Agenzia, la CIA, inizialmente a sminuire il

coinvolgimento bulgaro o sovietico e non mise immediatamente in atto

un’analisi formale della complicità sovietica. Nel febbraio dell’83, l’allora

DDI Robert GATES dichiarò davanti alla Commissione del Senato

sull’Informazione che la CIA era ancora aperta a qualsiasi ipotesi sul caso e

non escludeva la complicità sovietica.

Nel maggio dell’83, la Direzione Generale di GATES produsse

“l’Attentato al Papa: Un’analisi della documentazione”, la sua prima

“valutazione globale” della possibilità che Mosca potesse essere coinvolta

nell’attentato. La conclusione ditale ricerca, che è stata criticata come

incompleta e scarsamente coordinata e documentata, fu che i Sovietici non

erano dietro l’attentato. Secondo l’analisi dell’83, lo stile adottato non era

tipico delle operazioni bulgare o sovietiche. Tuttavia, all’interno dell’Agenzia

vi erano settori che continuavano a non esserne convinti.

Nell’84, la Direzione Generale per le Operazioni iniziò ad acquisire

nuove informazioni sul fatto che i militari sovietici - e

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non il KGB - fossero dietro all’attentato. L’anno seguente, Claire STERLING

pubblicò il suo libro, “Il Tempo degli Assassini”, il quale sosteneva che

AGCA era in collusione con i bulgari. Questa tesi colpì molto il Direttore

CASEY.

In una riunione dell’85 presieduta dal DCI, CASEY espresse l’opinione

che i sovietici fossero dietro l’attentato. John MAC MAHON, il DDCI, non

era d’accordo. Secondo Douglas Mc EACHIN, allora capo dell’Ufficio per

l’Analisi sull’URSS, anch’egli presente alla riunione, GATES suggerì che

venisse assegnato alla SOVA il compito di mettere insieme tutto quanto fosse

a disposizione dell’Agenzia, comprese le prove indiziarie, affinché si potesse

avere un quadro completo del coinvolgimento sovietico nel caso.

Due analisti della SOVA, Kay OLIVER e Mary DESJEANS,

collaborarono su una parte della ricerca, il cui autore principale fu Beth

SEEGER dell’Ufficio degli Affari Globali, che ebbe un ruolo di spicco nella

redazione di tutte le analisi sul caso. Gli analisti della SOVA si resero conto

che il loro compito era insolito: sviluppare il miglior caso possibile a favore

del coinvolgimento sovietico usando tutte le prove dirette e indiziarie. Doug

Mc EACHIN ricorda che lui e OLI VER scrissero una prefazione o smentita

all’inizio del documento, indicando chiaramente che la ricerca era uno sforzo

per sostenere la tesi del coinvolgimento sovietico. Mc EACHIN era

preoccupato circa le possibilità che la valutazione venisse usata o interpretata

male.

Dopo aver preparato la valutazione, Mc EACHIN ricorda una visita da

parte di GATES, il quale chiese se Mc EACHIN potesse far redigere una nota

critica. Dietro richiesta di Mc EACHIN, John HIBBITS preparò un

memorandum fortemente critico della valutazione, in quanto poneva

un’enfasi smisurata

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sui fattori riguardanti un coinvolgimento sovietico, e sminuiva le prove

contrarie. La critica di quattro pagine e mezza era intitolata, “L’attentato di

AGGA al Papa: un’argomentazione contro il coinvolgimento sovietico.”. Mc

EACHIN inviò la nota a GATES apparentemente ignaro del fatto che la

valutazione fosse già stata distribuita.

Nella lettera di accompagnamento alla valutazione, di cui erano state

distribuite copie al Presidente, i membri della NSC, e ad Anne

ARMSTRONG del Comitato di Consiglio del Presidente sull’Informazione

Straniera, GATES aveva dichiarato :“Si invia in allegato un primo esame

approfondito della CIA su chi fosse dietro al tentato assassinio di Papa

Giovanni Il nel maggio del 1981.

Tale analisi si basa sul nostro esame di prove acquisite dall’ufficio del

magistrato italiano, le varie indicazioni scoperte da vari giornalisti e studiosi,

informazioni acquisite indipendentemente dai Servizi Segreti, e relative

informazioni storiche e operative di base... Mentre rimangono tuttora in

sospeso delle domande - che probabilmente rimarranno sempre in sospeso -

abbiamo comunque analizzato a fondo il problema e sentiamo di poter ora

presentare i nostri risultati.”

Il documento inizia con una breve analisi delle conclusione principale,

seguita da un’analisi di diverse pagine sui risultati e le prove, concentrate

nelle parti principali del documento.

Dopo aver ricevuto una copia della critica di HIBBITS, Kay OLIVER

scrisse una risposta punto per punto, indicando che HIBBITS non aveva

capito lo scopo della valutazione, spesso inquadrandola in modo inesatto.

Secondo la OLIVER, lo scopo della valutazione non era di implicare l’Unione

Sovietica, bensì di esaminare “...il grado in cui le prove sostengono l’ipotesi

del coinvolgimento sovietico”. La OLIVER difendeva

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inoltre l’uso di materiali di fonte e contestava l’accusa che informazioni

contrarie venissero infossate nel testo e fossero assenti dai giudizi principali e

dal riassunto. Mentre la OLIVER concedeva che “forse” avrebbe potuto

esserci una nota esplicativa sulla valutazione, concludeva dicendo “Tuttavia

gli autori sfidano il critico a ricostruire uno scenario più plausibile e coerente

con le prove di quello fornito dalla complicità

Sovietico-Bulgara”:

Pressappoco nella stessa epoca, nel maggio dell’ 85, GATES chiese a

Ross COWEY di dirigere un collegio preposto a una revisione dell’analisi

completa dell’Agenzia sull’attentato al Papa, comprendente tutta l’evidenza,

prodotta sull’argomento a partire dall’ 81. Nel descrivere la sua motivazione,

GATES affermò, rispondendo a una domanda del Senatore GLENN, che si

sentiva “a disagio ...con il modo in cui la Direzione aveva gestito tutta la

faccenda dell’attentato al Papa”. Il rapporto conseguente criticava sia la

valutazione dell’83 che quella dell’85 in quanto incomplete. I componenti del

collegio COWLEY si riferivano allo studio dell’85 come

una compilazione imponente dei fatti e un ordinamento della tesi per il

coinvolgimento sovietico”, ma criticavano la copertura inadeguata di scenari

alternativi, l’assenza di una nota esplicativa, una coordinazione insufficiente,

e spiegazioni inadeguate circa l’affidabilità delle fonti usate.

Il rapporto COWLEY notava inoltre che le procedure seguite nella

preparazione della valutazione contribuivano alle preoccupazioni che le

opinioni degli alti funzionari stessero influenzando gli analisti. Secondo un

esame a posteriori della CIA, per quanto i vertici della CIA non avessero

attivamente diretto certe conclusioni, la percezione che i vertici avessero un

pregiudizio avrebbe potuto influenzare il giudizio finale in

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questo caso. Il rapporto affermava “... non abbiamo trovato nessuno ai livelli

operativi nè nella DI, nè nella DO - tranne i due autori principali del

documento - che fosse d’accordo con la tesi avanzata dalla valutazione.~~

Così Robert GATES depose: “La Commissione ha due deposizioni

giurate di coloro che furono direttamente coinvolti nella preparazione del

documento, il Signor Lance HAIJS e la Signora Kay OLIVER. Le loro

deposizioni giurate asseriscono quanto segue. Che il documento esaminava

ambedue lati della tesi del coinvolgimento sovietico, che il documento fu

adeguatamente coordinato, e che la rimozione della cosiddetta nota

esplicativa, la redazione dei giudizi Principali e la redazione dei

memorandum di accompagnamento furono gestite da, e dietro iniziativa dei

livelli più bassi della CIA. Senza alcun ordine da parte mia.

“Penso che voi vi troviate di fronte a un contratto tra coloro con

esperienze di prima mano, direttamente coinvolti negli avvenimenti, e coloro

che hanno ascoltato i fatti di seconda mano. E credo che qui la differenza sia

che il Signor GOODMAN non era direttamente coinvolto e i due analisti che

hanno presentato delle deposizioni giurate a questa Commissione erano infatti

responsabili del progetto. Penso che sia lì la differenza...”

“Dissi a HAUS che CASEY era convinto del coinvolgimento sovietico

nell’attentato, ma che io ero agnostico, e mi aspettavo che lo fosse anche

lui . . .E fu questa la posizione che presi davanti a questa Commissione

quando deposi nel febbraio dell’83.”

“Il Signor HAUS riconosce di aver eliminato la nota esplicativa in

quanto non più rilevante ..., scrisse anche la lettera di trasmissione - una

lettera la quale, a proposito, non

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dichiarava in modo inequivocabile o in nessun altro modo che i sovietici

erano direttamente coinvolti. In effetti, la lettera dice specificamente che

rimangono dei dubbi e probabilmente rimarranno sempre....

“Diversi partecipanti ricordano che fui io a suggerire di aggiungere la

parte del documento che si riferiva alle incongruenze, debolezze, anomalie e

vuoti nel caso a favore del coinvolgimento sovietico, e che ero preoccupato

per la necessità di un maggiore equilibrio...”

“Gli stessi partecipanti non ricordano alcun ordine da parte mia o di

qualsiasi altra persona sul settimo piano di costruire un caso contro i sovietici.

Piuttosto, il suggerimento, alla luce di nuovi rapporti, fu semplicemente di

guardare le prove tenendo presente la pista bulgara...”

“Non riscrissi i giudizi principali.”

“In base alle prove, le affermazioni che io avessi portato questo

documento alle sue conclusioni e lo avessi in seguito coscientemente

rappresentato in maniera distorta ai politici, sono false.”

Per quanto riguarda la nota di trasmissione:

“Devo credere alla parola del Signor HAUS sul fatto che la redasse lui

e non io. La firmai, questo sì . . .Presumo che tutte le lettere di trasmissione

fossero le stesse. Era la prassi normale quando una nota di accompagnamento

veniva allegata per inviare un documento particolare a diversi politici. Credo

sia importante notare, come ho indicato nella mia deposizione, che la nota di

trasmissione indicava anche che rimanevano dei dubbi, e probabilmente

rimarranno sempre. Essa affermava che il documento era un’analisi esauriente

e sono convinto che lo fosse. Credo che l’opinione degli autori sia che il

documento rimane tuttora la cosa più esauriente prodotta dall’Agenzia.”

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“La cosa che mi preoccupava di tutta la faccenda - e chiaramente credo

che voi sappiate che le note di accompagnamento probabilmente avrebbero

dovuto indicare ciò che infatti era la più grossa lacuna del documento, cioè

che non esaminava a fondo tutte le alternative disponibili ... Ma in un certo

modo, quel documento rappresentava il culmine, come indica la ricerca, della

maniera poco efficace dell’Agenzia e della Direzione di affrontare il

problema dell’attentato al Papa fin dall’inizio.”

GATES rispose nel modo seguente alla domanda se la lettera di

trasmissione avrebbe dovuto sollevare più avvertimenti ai politici sul fatto che

esistessero altre alternative non comprese nel documento:

“Credo che probabilmente sia così. Ma aggiungerei che quando il

documento mi giunse veniva certamente rappresentato come pienamente

coordinato all’ interno dell’Agenzia. Quindi avrebbe rappresentato le migliori

opinioni dell’Agenzia. I membri della Commissione interrogarono GATES

sulla sua reazione al Rapporto COWLEY. In particolare, venne chiesto a

GATES perché non fece nulla per avvisare i politici che il Rapporto

CAWLEY aveva trovato delle lacune nel processo di valutazione. Nella sua

deposizione del 03 ottobre, GA7I7ES disse, “...la nota di trasmissione, come

ho indicato prima, diceva che rimanevano dei dubbi e probabilmente ci

sarebbero sempre stati”. GATES ammise di avere “delle preoccupazioni sul

procedimento”. Tuttavia, quando gli fu chiesto direttamente perché non prese

altri provvedimenti, o perché non avvisò i politici che le conclusioni originali

avrebbero potuto essere inesatte, GATES disse, “so che l’inclusione della

parte del documento sulle lacune nelle prove, le lacune e incongruenze in

generale, aveva messo i politici in

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guardia sulle nostre preoccupazioni. La nota di trasmissione si riferiva ai

dubbi ancora esistenti: tuttavia GATES ammise che si riferiva ad una fonte

della nota di trasmissione, che indicava l’esistenza di dubbi rimanenti, ma che

affermava anche che la CIA aveva “lavorato” il problema intensamente, ed

era in grado di presentare i risultati “con un certo grado di sicurezza”.

Il 18 ottobre 91 la Commissione si riunì in seduta aperta per votare

sulla nomina. Con un voto di 11 a 4 la Commissione votò affinchè la nomina

venisse riferita al Senato in maniera positiva.

*****************

4.7.3. La figura di Paul HENZE.

Paul HENZE è un personaggio che emerge più volte nella presente

inchiesta. Egli è un funzionario della CIA ed ha prestato servizio nel periodo

a cavallo dell’attentato al Pontefice presso la stazione di Ankara. In tale veste

ha avuto contatti con gruppi dell’estremismo di destra e quindi con ogni

probabilità anche con l’organizzazione dei Lupi Grigi.

Come si vedrà è un punto di riferimento della nota giornalista Claire

STERLING e il suo nome appare anche nei carteggi dell’altrettanto noto

psicologo FERRACUTI, già dipendente SISDE.

Un biglietto da visita con il suo nome, il suo indirizzo a Washington e

suoi recapiti telefonici negli Stati Uniti é stato rinvenuto all’interno di una

agenda sequestrata ad un cittadino turco, all’interno della quale, sono risultati

annotati nominativi,

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indirizzi e utenze di cittadini turchi e delle sezioni della Federazione turca nel

mondo.

Lo scrittore UGUR MUMCU nel suo libro su AGGA evidenzia che il

giornalista IPECKI, il giorno 13 gennaio 1979 ha avuto un incontro con

“l’americano Paul HENZE. . .HENZE, diplomatico americano, che é stato

consigliere del Consiglio di Difesa Nazionale, attualmente scrive nel Wall

Street Journal e nel Christian Science Monitor. Si suppone che HENZE ed

IPECKI abbiano parlato dei legami turco-americani. Prima di

questo thè-colloquio del 13 gennaio nell’albergo

Intercontinental, IPECKI aveva avuto un altro incontro con HENZE venerdì

30 luglio. Nell’agenda di IPECKI c’è scritto che il giorno 2 febbraio 1979 egli

ha avuto un colloquio con l’Ambasciatore USA, STRAUD HUPE.”

Riferimenti ad HENZE sono stati rilevati anche nella documentazione

della STASI. Il Servizio bulgaro, sempre nell’ambito della richiesta di aiuto

di cui si é già fatto cenno, aveva richiesto, con missiva del 13.03.84,

informazioni sul conto di Claire STERLING e Paul HENZE, ritenuti in stretti

rapporti con la CIA e responsabili di influenzare le autorità inquirenti italiane

con le loro pubblicazioni ed interviste. Con successiva missiva del 4 aprile

1984 la STASI comunicava al Servizio bulgaro le notizie in loro

possesso:”HENZE, Paul Bernard, nato il 29.08.24 a Redwood Falls, ha svolto

nel passato le seguenti attività: 1950-1951 Ministero della Difesa USA; 1952-

1958 Radio Free Europe (RFE), consulente politico; 1961-1968 Ministero

della Difesa USA; 1974-1977 Ambasciata americana ad Ankara, primo

segretario; 1977-1980 Collaboratore quadri del Consiglio di Sicurezza

Nazionale (NSC) USA. In base ad informazioni non ufficiali, il suindicato

(probabilmente a conclusione della

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sua azione in Turchia) è stato nuovamente ad Ankara nel mese di luglio

del 1977. Si è saputo inoltre che nel mese di luglio del 1979, 1’HENZE,

in qualità di membro dei quadri del NSC, ha avuto dei colloqui (3 gg)

con alcuni dirigenti del RFE. Nel mese di settembre del 1980, ì’HENZE

ha partecipato in qualità di collaboratore dell’NSC ad un colloquio di

esperti della Fondazione Friedrich Ebert (FES)”. La nota conclude

affermando di non disporre di informazioni sul conto della STERLING.

Nella documentazione sequestrata alla defunta STERLING si

rilevano numerosi riferimenti ad HENZE. Entrambi risultano attivi nella

ricerca di informazioni sul conto di AGCA. Analogo attivismo si rileva

dalle carte sequestrate al defunto criminologo Franco FERRACUTI, tra

le quali è stata rinvenuta una missiva a firma di Paul HENZE, datata

“Washington 9 June 1984”, a lui diretta, con la quale richiede copia del

rapporto degli inquirenti sull’attentato al Papa, comunicandogli che la

STERLING stava continuando le sue ricerche e che egli stesso si era

recato in Turchia (dal 23 maggio al 1° giugno), acquisendo interessanti

elementi così come li avevano trovati nel corso del loro comune viaggio

in aprile.

AGCA parla di HENZE nel corso dell’interrogatorio del 10 agosto

95, allorquando forniva una nuova versione sull’attentato al Papa

dichiarando di aver agito da solo nel compiere l’attentato, e che la pista

bulgara era una menzogna suggeritagli dalla CIA tramite Francesco

PAZIENZA e Aldrich AMES, che si erano serviti della collaborazione di

Paul HENZE, della giornalista Claire STERLING e di Mike LEDEEN.

AGCA descrive Paul HENZE come capo della CIA ad Ankara, in

contatto con i Lupi Grigi. (v. interrogatorio AGGA 01.08.95).

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4.7.4. La figura di Michael LEDEEN.

Tra le persone chiamate in causa da AGCA come suggeritori della pista

bulgara risulta anche il noto Mike LEDEEN del Center for Strategic e

International Studies della Georgetown University. LEDEEN, come si vedrà

più innanzi nella parte relativa alle deposizioni del prof. BRUNO, avrebbe

partecipato - stante alle dichiarazioni di quest’ultimo - alla creazione della

“Bulgarian Connection”, nata all’interno del “National Security Council”, di

cui facevano parte oltre allo stesso LEDEEN, la giornalista STERLING, il

Segretario di Stato HAIG, il capo della CIA CASEY, i noti BRZEZINSKI e

KISSINGER.

Il 14 maggio 1996 LEDEEN si presentava accompagnato dal difensore

di fiducia innanzi a questo Giudice Istruttore. Il medesimo, preso atto che a

seconda di quanto dichiarato da AGCA e dal prof. BRUNO egli avrebbe

partecipato alla elaborazione della c.d. “Bulgarian Connection” come matrice

dell’attentato al Pontefice, dichiarava di non lavorare “per alcuna istituzione

pubblica degli Stati Uniti”; precisava di essere uno studioso e di lavorare per

l’American Enterprise Institute”, di aver fatto parte, nel passato, del Centro di

Studi Strategici e Internazionali della Georgetown University e di aver

lavorato per il Dipartimento di Stato come assistente del Segretario di Stato,

HAIG; osservava di non essersi mai occupato, su incarico del Governo degli

Stati Uniti, dell’attentato al Papa, ma di aver letto solo articoli di stampa e di

aver scritto sull’argomento soltanto un articolo.

LEDEEN, preso però atto di essere sentito in veste di indiziato e che

per tale motivo aveva facoltà di astenersi dal rispondere, dichiarava di volersi

avvalere di tale facoltà e

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pertanto si rifiutava di rispondere, manifestando di ritenersi ‘‘completamente

estraneo ai fatti’’.

***************

4.7.5. La risposta alle rogatorie 16.11.85 e 09.10.91.

Le questioni attinenti alla Central Intelligence Agency hanno formato

oggetto di altre commissioni rogatorie, cui le Autorità statunitensi hanno dato

nella maggior parte dei casi puntuali risposte, a volte positive altre negative,

nel senso che non v’era possibilità di rispondere.

Così come è accaduto per le domande su Paul HENZE descritto come

capo della CIA in Turchia. Questo il tenore di risposta: “Sulla base della

legge statunitense e secondo la prassi del Governo degli Stati Uniti, la Central

Intelligence Agency non conferma nè smentisce l’affiliazione e la presenza

all’estero dei presunti dipendenti o appartenenti a questa Agenzia” (v. risposta

della Central Intelligence Agency del 23.02.96).

Di tenore diverso le note concernenti documentazioni che vengono

trasmesse secondo richiesta, anche se con diversi omissis. (v. risposte della

Central Intelligence Agency del 27.02.96, 10.04.96 e seguenti).

Anche la richiesta su ALDRICH AMES è stata parzialmente evasa.

Secondo i documenti della Central Intelligence Agency AMES non risulta si

trovasse in Italia nell’ottobre 92 nè che si sia mai incontrato con AGCA. Lo

stesso AMES aveva dichiarato ai funzionari di polizia che quanto affermato

nella documentazione corrispondeva alla verità.

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Quanto però all’esame diretto di costui, la CIA manifestava di non voler

prendere ulteriori provvedimenti in proposito. ( v. risposta della Central

Intelligence Agency del 01.04.1996)

*****************

4.7.6. L’informativa sul coinvolgimento dei Servizi sovietici e del

Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.

Secondo una nota del SISMI i Servizi statunitensi - non si specifica

quali - avevano ricevuto la segnalazione che i Servizi sovietici avevano

preparato l’attentato contro Giovanni Paolo Il in collaborazione con il gruppo

terroristico palestinese Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Questa notizia versata in un appunto del settembre 81 proveniva dalla

Delegazione Apostolica a Washington ed era stata ricevuta dal Servizio

alcune settimane prima della redazione dell’appunto. Secondo altra fonte -

riferisce sempre l’appunto in questione - il Governo degli Stati Uniti avrebbe

segnalato tempestivamente il fatto al Vaticano (Nota SISMI, 20 Divisione,

20.09.81).

Questa nota oltre a riportare in calce il numero e la classifica della

fonte, la vàluta di attendibilità A e indica come modalità di acquisizione della

notizia “da ambienti qualificato” e come accesso “per motivi di lavoro

Del fatto nessuno ha fatto menzione. La notizia non èassolutamente

generica; non proviene da un Servizio di terz’ordine; è comunicata con

tempestività al Vaticano. Conoscendola, ben altri sarebbero stati gli sviluppi

dell’inchiesta, ma nè autorità nazionali, nè di altri Paesi si sono sentite in

dovere di riferirla. Si deve ritenere che anche in questo caso si sia preferito

non rivelare il fatto per motivi di bassa politica. *********

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Capitolo ottavo

Le Conclusioni

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La brevissima rassegna - più che breve giacchè si deve ritenere che tutti

i Servizi, non solo quelli dei grandi Stati, ma anche quelli di secondo e terzo

rango, si siano occupati di un fatto così grave ed unico nella storia degli

ultimi secoli - degli operati dei Servizi mostra gli interessi che questi

organismi hanno nutrito sull’attentato al Pontefice, alcuni sin da prima che

accadesse, tutti gli altri a seguito dell’evento. Alcuni per stornare da se’ il

sospetto~ del mandato e del concorso nell’attuazione di quel vile progetto,

altri per riversare colpe sugli avversari. Tutti però con l’obiettivo di impedire,

una volta consumatosi il delitto, l’accertamento della verità e così agendo per

l’inquinamento dell’inchiesta e l’intossicazione degli inquirenti. Ma tant’è; e

nonostante la mitridatizzazione di questi ultimi, che sovente è riuscita a

smantellare teorie e imbeccate a destra e a manca, quelle entità son comunque

riuscite a distruggere prove vere, fabbricarne di false e chiudere la bocca a

tanti che conoscevano la verità.

_______________________

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Parte quinta

Le intromissioni della criminalità

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Capitolo primo

Le dichiarazioni di CALCARA Vincenzo

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5.1.1. Premessa.

Una vicenda di siffatte dimensioni, quale quella in oggetto, non poteva

non attrarre, a diversi titoli, gli interessi della criminalità. Più persone

appartenenti ad organizzazioni criminali hanno riferito difatti e circostanze

inerenti al delitto in questione.

S’è trattato di collaboratori di giustizia veri e propri ed anche di altri

che si sono mostrati come “pentiti”. In questa parte si riferisce solo di coloro

le cui dichiarazioni sono apparse dotate di elementi di credibilità e per le quali

perciò sono state operate verifiche. Anche se, come si vedrà e come sempre

più spesso accade con i pentiti, con risultati quasi nulli.

************

5.1.2. Le dichiarazioni e le verifiche

Sin dal lontano febbraio del 1993 tal CALCARA

Vincenzo, già collaboratore di giustizia in procedimenti per delitti di mafia,

inizia a riferire alla Procura di Palermo di personaggi ed eventi, che

appariranno collegati con ambienti della Città del Vaticano e l’attentato al

Papa.

Riferisce in primo luogo di collegamenti tra un notaio operante in

Borgetto di Palermo, di cognome ALBANO, cavaliere dell’Ordine del Santo

Sepolcro ed uomo d’onore, e personaggi come VACCARINO, MESSINA

DANARO e l’onorevole CULICCHIA, coinvolti in inchieste sulle

organizzazioni mafiose della Sicilia occidentale. Ma sui particolari di questi

collegamenti e come essi portino, secondo

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le dichiarazioni del CALCARA, ad ambienti vaticani, più oltre.

(v.interrogatori CALCARA, P.M. Palermo 11.02.93, 03.03.93, 24.03.93,

22.04.93).

Qui è opportuno esaminare quelle parti degli interrogatori che

concernono direttamente l’attentato del 13 maggio 1981. A tal delitto si

giunge attraverso la narrazione della soppressione di un cittadino turco. Così

CALCARA dichiara: “Nei primi giorni del maggio 1981 e precisamente

qualche giorno prima del sette maggio, data del compleanno del mio padrino

di cresima (CASESI Alberto) venne a trovarmi a Milano, insieme a Stefano

CANNATA, il VACCARINO il quale mi disse che di lì a poco dovevano

venire dei “Lupi della Turchia” e che sarebbe scoppiata una “bomba” in

Roma, e di tenermi pronto a scendere a Roma per prelevare due terroristi

turchi da accompagnare a Milano. E mi precisò che sarebbe stato il

LUCCHESE ad avvisarmi. Dopo circa otto giorni il LUCCHESE mi

comunicò che era giunto il momento di partire per Roma. E così il 12 maggio

1981 presi il treno per Roma.

Feci il viaggio durante la notte e la mattina giunto a Roma mi incontrai

alla Stazione Termini con FURNARI Saverio, SANTANGELO Vincenzo ed

un cittadino straniero (si trattava di persona che mi dissero di chiamarsi

ANTONOV e che aveva i baffi e lavorava presso l’ambasciata bulgara) il

quale doveva poi di pomeriggio portarci due terroristi turchi.

Dopo aver mangiato qualcosa ci separammo da ANTONOV con

l’intesa che più tardi ci saremmo visti in un luogo convenuto dove lo stesso

avrebbe condotto i turchi, luogo che allo stato non so indicare ma che penso

di saper ritrovare. Dopo qualche tempo in effetti ci incontrammo ma anziché

due cittadini turchi ì’ANTONOV ne accompagnò uno solo.

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Quindi io unitamente a FURNARI Saverio, SANTANGELO Vincenzo

e il cittadino turco prendemmo il treno per dirigerci a Milano. Ivi giunti

l’indomani mattina, ci recammo a Paderno Dugnano ove mangiammo insieme

a LUCCHESE Michele. Nel pomeriggio FURNARI Saverio,

SANTANGELO Vincenzo ed il turco si allontanarono con una macchina

dell’impresa di LUCCHESE (era una 124 di colore chiaro). Quindi fecero

ritorno dopo qualche ora (erano circa le undici di sera) solo SANTANGELO

e FURNARI, i quali mi fecero presente di avere soppresso il cittadino turco

che, come ci aveva detto ANTONOV, era armato e teneva un’ arma con il

colpo in canna (lo stesso aveva un calibro 9). Quindi io insieme al

SANTANGELO e FURNARI mi recai in campagna, ove si trovava il

cadavere del turco e lo seppellimmo.

Secondo quanto mi raccontarono, il terrorista turco fu ucciso con colpi

d’arma da fuoco esplosi da una calibro 38 (si trattava di una 38 corta della

quale entrambi i killer erano muniti).

Furono esplosi quattro colpi che lo attinsero tutti nella testa. Quando io

giunsi sul luogo trovai il cadavere seminascosto. Provvedemmo quindi a

togliergli i vestiti e documenti che portammo via e bruciammo in un altro

posto. Il cadavere fu seppellito a circa due metri di profondità. Tale terrorista

era un giovane dell’apparente età di venticinque anni ed era alto circa un

metro e settanta.

Il luogo dove seppellimmo il cadavere si trova nella zona di Paderno

Dugnano in un luogo che non so indicare con precisione ma saprei ritrovare.

Ricordo che il terreno non era duro e che vicino si trovava una piantagione di

granoturco.”(v. interrogatorio CALCARA del 11.02.1993).

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Qualche settimana dopo questa esecuzione CALCARA ricevette

spiegazioni da VACCARINO. Questi gli disse che a Roma si erano incontrati

Monsignor MARCINKUS, un cardinale, alcuni membri della Commissione di

Cosa Nostra, tra i quali Salvatore RIINA, Mariano AGATE e lo straniero di

cui sopra, cioè ANTONOV. In quella riunione era stata decisa l’eliminazione

del Pontefice e ciò perché quel Papa stava rompendo tutti gli equilibri politici

e economici. Così come per gli stessi motivi era stato eliminato Papa

LUCIANI. Il progetto di eliminazione prevedeva l’impiego di un terrorista

turco, proprio per impedire che emergesse il reale motivo dell’attentato. I

terroristi turchi erano sbarcati in Sicilia accolti da un uomo d’onore e

addestrati a loro cura. Dopo di che erano stati accompagnati a Roma. Il

progetto prevedeva sin dall’inizio l’eliminazione anche degli esecutori

dell’attentato.” (v. interrogatorio di CALCARA, 12.05.1993)

A distanza di quasi un anno la Procura della Repubblica di Palermo

trasmetteva alla Procura di Roma copia per estratto di questo solo verbale (v.

nota Procura di Palermo, 06.05.1994).

La Procura destinataria, P.M. in questo processo, girava

immediatamente il verbale , richiedendo indagini sull’attendibilità del

CALCARA e sulla veridicità dei fatti, ed inoltre che si accertasse se durante

l’arco di tempo tra l’interrogatorio in questione e la sua trasmissione a Roma

fossero state compiute indagini in particolare per individuare il luogo nella

zona di Paderno Dugnano, ove sarebbe stato seppellito il cadavere del turco

(v. richieste P.M., 13.07.1994).

Di conseguenza questo Ufficio richiedeva alla Procura di Palermo

copia di tutti gli interrogatori resi da CALCARA, sia in date precedenti al 12

maggio 1993, giacchè in questo verbale si faceva riferimento a dichiarazioni

rese in precedenza, sia in data successiva ove vi fossero state indicate

circostanze relative

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all’attentato al Papa. Richiedeva altresì copia sia dei riscontri di P.G. che di

quelli effettuati da A.G.. Richiedeva infine in breve visione gli atti del

procedimento palermitano per accertare l’esistenza o meno di altri atti con

dati di utilità alla presente inchiesta. (v. nota G.I. 29.07.94).

In risposta la Procura di Palermo inviava stralci degli interrogatori

11.02,03.03, 24.03 e 24.04, dei quali già s’è detto ad inizio di questa partè (v.

nota Procura di Palermo, 04.08.94).

Questo stesso giorno iniziavano gli interrogatori di CALCARA da

parte di questo Ufficio. L’imputato, in primo luogo, precisava alcuni dati di

fatto. All’epoca lavorava all’aeroporto di Linate. Il viaggio a Roma, è il 13

maggio del 1981 - questa data è per lui indimenticabile, perché è il giorno

dell’attentato al Papa -. Dei due turchi che attendevano, se ne èpresentato uno

solo, perché, come ha poi saputo, l’altro era stato arrestato sulla piazza. Il

bulgaro, ì’ANTONOV di cui ha parlato nei precedenti verbali, era

l’Ambasciatore del suo Paese. I due turchi, secondo il programma

dell’operazione, dovevano essere uccisi subito dopo l’attentato.

Il Pontefice, ribadisce, doveva essere eliminato, perché “stava

rompendo gli equilibri, nuoceva, dava fastidio”. L’ordine, per questa missione

di morte, gli viene dato da LUCCHESE Michele nell’abitazione di costui ove

era stato convocato. Anche se esso CALCARA “principalmente” dipende da

VACCARINO Tonino. Scende a Roma con il treno. Alla stazione incontra

due uomini d’onore, cioè FURNARI Saverio e SANTANGELO Vincenzo. Il

tragitto a Roma lo ha già descritto alla Polizia, con cui ha fatto anche il

sopralluogo per le strade della capitale. Con loro era anche il quarto uomo, lo

straniero, “più basso di lui Calcara, non grosso, moro, con i baffi, capelli

scuri, occhi scuri”, che parlava benissimo l’italiano,

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Ambasciatore o Console, ovvero l’Ambasciatore bulgaro; incontrato poco

dopo l’appuntamento con i due uomini d’onore, nei pressi della Stazione.

Dopo una colazione si separano da questo Ambasciatore - anche se non lo

dice esplicitamente - dal momento che si incontrano nuovamente “là dove ci

stanno gli angioletti, - si vedrà poi a cosa intenda riferirsi il CALCARA -, che

c’è un bar” e l’Ambasciatore appare con una macchina di grossa cilindrata di

colore nero. A bordo c’è già il turco, un turco.

Ritornati alla stazione, si riprende un treno per Milano. Da qui si va a

Paderno. Qui ci si separa: CALCARA va a casa di LUCCHESE; FURNARI e

SANTANGELO si allontanano. Di lì a poco ritornano i due uomini d’onore,

che chiamano il CALCARA per andare insieme nel luogo ove i due hanno

sparato al turco. Qui il cadavere viene spogliato ed interrato. La fossa la

scavano CALCARA e SANTANGELO, e la scavano di circa due metri. I

vestiti li bruciano lì nei pressi, così come i documenti del turco, tra cui un

passaporto. La sua pistola, una calibro 9, la ritirano gli uomini d’onore.

Spiega poi cosa intendesse per “angioletti”. E’ una sorta di

monumento, “e alla sinistra si attraversa una specie di ponte, che alla sinistra

c’era un bar, una casa, è li che io aspettavo”. Con grande fantasia si può

immaginare che si trattasse del Ponte Vittorio alle cui testate vi sono dei

gruppi con vittorie alate. Qui passa l’Ambasciatore ANTONOV con

macchina di grossa cilindrata, molto bella di colore nero, e il turco a bordo.

Al bar a sinistra del monumento con gli angioletti, l’Ambasciatore si ferma, fa

scendere il turco e si allontana. Così in pratica lo consegna a CALCARA e al

suo complice.

Costoro insieme al turco vanno subito alla stazione, ma CALCARA

non ricorda se con taxi o altro mezzo. E’ certo soltanto che in uno dei tragitti

ha usato il taxi . Alla stazione

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“gironzolano” per un po’, perché il treno per Milano partirà la sera. Hanno

viaggiato in una normale vettura di seconda classe. L’indomani il turco è stato

per una parte del tempo con LUCCHESE e gli altri, per l’altra a casa di

CALCARA, che al tempo abitava da solo in un appartamento di amici di

LUCCHESE.

CALCARA quindi tenta di motivare sulle ragioni per cui egli semplice

“soldato” di Cosa Nostra, in una organizzazione siffatta cioè a

compartimentazione massima, venga messo a conoscenza della ideazione e

dei mandanti dell’attentato al Papa. Egli era il pupillo di VACCARINO e

questi era il cervello dalla famiglia mafiosa di Castelvetrano. Era quindi un

privilegiato perché stava alle dirette dipendenze di VACCARINO, “era un

onore e un orgoglio, e quindi non dovevo sottostare a nessun capo”. Era il

pupillo di VACCARINO; questi è stato il suo padrino di iniziazione e lo

aveva garantito per l’ingresso nella famiglia. “Quando c’è stato il giuramento,

la santina con la santuzza, la santina e l’indice del dito, mi ha bucato pure, le

gocce di sangue, il VACCARINO”.

Non sa dire, anche se ci ha parlato, se gli abbia detto se ANTONOV

fosse un bulgaro. Ma aggiunge che quanto gli fu detto da VACCARINO, gli

fu confermato da LUCCHESE. Non sa dire se FURNARI e SANTANGELO

fossero a conoscenza delle stesse notizie ed informazioni di cui egli era in

possesso. Anche perché non ha mai avuto modo di parlare con coloro che

vivevano ed operavano principalmente in Sicilia, mentre egli era stato

destinato nel Nord con un incarico delicatissimo presso l’aeroporto di Linate

alla dogana , cioè quello di far entrare in Italia la morfina base proveniente

dalla Turchia.

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CALCARA ritorna poi sull’arrivo di AGCA in Sicilia. AGCA, come

s’è detto, non era solo. ANTONOV è colui che deve prendere in consegna

questi turchi. Ma allo sbarco in Sicilia vengono “ospitati” da Cosa Nostra, che

non solo li prende in consegna, ma li addestra e li prepara alla operazione. E’

un uomo d’onore che li accoglie e li porta dove dovevano essere tenuti e

istruiti.

Dei fatti non ha mai parlato ovviamente con nessuno, giacchè in tal

senso sono i regolamenti formali dell’Organizzazione, in tal senso una

disciplina così rigida, che se si sbaglia, si muore. Diverso tempo fa aveva

deciso di parlarne ai Giudici, volevo riferire a BORSELLINO, ma poi questi

fu ucciso dalla mafia, ed egli, tra i tanti processi a carico, fece trascorrere del

tempo sino al 93, quando si aprì su questo delitto alla Procura di Palermo.

Riferisce infine, su domanda del Pubblico Ministero, di un sopralluogo

già compiuto nei dintorni di Paderno Dugnano, al fine di rintracciare la fossa

del turco, con lo SCO, ma con esito negativo. E ragguagliando su tale ricerca

specifica anche le fattezze e gli indumenti del turco. Ma CALCARA in questo

interrogatorio non parla solo dell’attentato al Papa e dell’assassino del turco,

che fu consumato l’indomani a Paderno. Egli riferisce, come già aveva fatto

per sommi capi nei precedenti, anche degli incontri che avvennero a Roma

prima dell’esecuzione dell’attentato e ai quali già supra s’era fatto cenno. Qui

è più preciso.

Innanzi tutto parla del maresciallo dei Carabinieri con il quale

raggiunge la Sicilia in preparazione del viaggio a Roma. Questo sottufficiale,

Giorgio Donato, in strettissimi rapporti, a detta del Calcara, con il

LUCCHESE e il VACCARINO, persona corrotta nelle mani di Cosa Nostra,

doveva garantire per esso

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CALCARA sorvegliato speciale, e in tal senso s’adopera procurandogli

una divisa da sottufficiale dell’Arma, divisa che

il CALCARA che lo usa per farsi delle fotografie, che poi serviranno per

formare un documento di riconoscimento.

Con questo maresciallo poi il CALCARA, accompagnato

all’aeroporto di Linate da LUCCHESE con la sua Alfetta turbo di colore

giallino, raggiunge in aereo la Sicilia. Qui ad attenderli all’aeroporto di

Palermo, c’era il VACCARINO con la sua 132 Mirafiori. L’indomani

mattina appuntamento presso l’abitazione di CICCIO MESSINA

DANARO. Qui si riuniscono diversi personaggi. Oltre il padrone di casa,

CALCARA e il maresciallo, Nino MAROTTA, VACCARINO, Stefano

CANNATA, capo della famiglia di Partanna, l’onorevole Enzo

CULICCHIA, Enzo LEONE, tutti noti alle inchieste siciliane sulla mafia.

Su un tavolo dell’abitazione ci sono due grosse valigie, una chiusa,

l’altra semiaperta, cosicché si può scorgere che contiene mazzette di

banconote da centomila. Viene detto che esse contengono dieci miliardi.

Al termine della riunione, in cui poco si parla, perché CALCARA

nulla riferisce, tutti lasciano l’abitazione di MESSINA DANARO meno

costui, e si dirigono a bordo di autovettura di grossa cilindrata verso

l’aeroporto. I personaggi detti più FURNARI Saverio, lasciate le valigie

per l’imbarco a persona di fiducia, salgono a bordo di un aereo per Roma.

Giunti nella capitale vengono prelevati da due “bellissime auto nere,

blu scure, una cosa del genere”. A bordo di queste vetture oltre l’autista, vi

erano “il Cardinale MARCINKUS e un altro prete”. All’arrivo dei

palermitani così si dividono. Le persone più importanti tutte in una

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macchina: MARCINKUS, VACCARINO, CULICCHIA, LUZZURINO,

MAROTTA. Tutti

gli altri nella seconda macchina. Le due macchine raggiungono

l’abitazione del notaio ALBANO. I componenti della prima autovettura

salgono in quella casa; gli altri restano in strada. E vi restano per ore, sino

a quando qualcuno avvisa che sta per arrivare un taxi e che con questo

mezzo CALCARA e il maresciallo potevano raggiungere l’aeroporto e

prendere l’aereo per Milano. E così viene fatto.

“Questi soldi - così specificò CALCARA in un italiano non perfetto

- andavano a finire tramite la banca del Vaticano, che il responsabile per

questi soldi era MARCINKUS. Che questi soldi poi venivano investiti in

Sud-America, in Venezuela, nei Caraibi. Lì c’erano i CUNTRERA. I

CUNTRERA in Venezuela pure, è tutto un giro molto potente,

internazionale. Perché Cosa Nostra è internazionale. E niente, tramite ‘sta

banca, lì, cose sicure”.

E a proposito della connessione tra questo episodio e l’attentato al

Papa così ulteriormente specifica: “Dopo vengo a conoscenza, tramite il

VACCARINO e il LUCCHESE, ma più con il VACCARINO, che il Papa

stava rompendo, voleva rompere degli equilibri che c’erano. Perché lì si

tratta di interessi. E quando ci sono gli interessi di mezzo, non si guarda in

faccia a nessuno. Muore chiunque, anche un bambino se èpossibile, non si

guarda in faccia a nessuno... il rapporto con i soldi è un fatto specifico, un

fatto così, cioè questi soldi vanno a finire dentro la banca del Vaticano, il

Papa appartiene al Vaticano, comanda il Vaticano, dovrebbe comandare,

non so, sono investimenti, soldi riciclati come si dice riciclati, illeciti,

investiti in un modo sicuro tramite la potenza del Vaticano... il

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collegamento è questo qua, che il Papa tocca gli interessi di Cosa Nostra...

me lo ha detto il VACCARINO che il Papa

toccava gli interessi e stava rompendo degli equilibri” (v. interrogatorio

CALCARA, del 04.08.94).

Il viaggio a Roma, nella memoria di CALCARA, si pone nel mese

di aprile di quell’anno e quindi a circa un mese dall’attentato al Pontefice.

(v. interrogatorio CALCARA, 04.08.94)

Nei successivi interrogatori CALCARA precisa circostanze

sull’ordine di venire a Roma, su ANTONOV, sul turco, sulla notizia

dell’attentato: “L’ordine di venire a Roma mi fu dato da LUCCHESE

Michele in questi termini “Deve scoppiare una bomba a Roma”. Devi

andare a Roma, ove alla stazione Termini al binario arriverà il tuo treno,

mi avrebbero atteso FURNARI Saverio e SANTANGELO Vincenzo.

LUCCHESE mi indicò anche il treno che avrei dovuto prendere. Era un

treno che partiva da Milano la sera ed arrivava a Roma la mattina

successiva; LUCCHESE non mi disse altro. Mi disse solo che

quest’ordine veniva da MESSINA DANARO e VACCARINO. Io ero

tenuto - sin dal momento in cui fui destinato a Milano a lavorare alla

Dogana per far entrare la droga - a tenermi a completa disposizione di

Lucchese e ad osservare ogni suo ordine. Io chiesi soltanto se si trattasse

di cosa importante o meno, ed egli per tutta risposta ribadì solo “Vedrai tu,

capirai, deve succedere una bomba”.

“Che la terza persona presentatasi alla Stazione Termini si

chiamasse ANTONOV e fosse Ambasciatore bulgaro, mi fu detto al

momento stesso della presentazione da FURNARI e da SANTANGELO.

Questi due mi dissero che era bulgaro, uomo dell’Ambasciata, di nome

ANTONOV. Ques’ultimo parlava in perfetto italiano. Devo aggiungere

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che questa persona in seguito è stata arrestata e che Cosa Nostra ce la

stava mettendo tutta per farlo uscire. Questo personaggio a quanto ho

saputo dopo il suo arresto nell’ambito della “famiglia” di

Castelvetrano - ora non so precisare da chi, non ricordo se mi fu detto da

una o più persone della “famiglia” - era un personaggio importante per

Cosa Nostra. Non ho però mai saputo quali attività abbia posto in essere

Cosa Nostra per aiutare questo ANTONOV.”

“Quando ANTONOV è sopraggiunto nel pomeriggio al luogo nei

pressi del ponte con gli angeli, con un solo turco, io non feci domande sul

perché non ci fosse l’altro turco. Io sono un soldato e non dovevo fare

domande. Gli altri due che erano con me erano uomini d’onore, superiori a

me. FURNARI e SANTANGELO erano divenuti uomini d’onore da più

tempo di me ed avevano ruoli più importanti di me. Nemmeno questi altri

due fecero domande sul mancato arrivo di questo turco. Sicuramente

ANTONOV con una parola o due ha dato spiegazioni sulla mancanza del

secondo turco. FURNARI èstato il primo ad avvicinarsi ad ANTONOV e

quindi hanno potuto scambiarsi parole tra di loro. D’altra parte i rapporti

erano tra ANTONOV e FURNARI e SANTANGELO, come era già

accaduto alla stazione Termini ove li trovai tutti e tre insieme. Io ricordo

che ANTONOV, venne con una macchina “grossa” e di colore scuro, cioè

nera o blu scuro. La guidava personalmente. Non so precisare il tipo,

perché io di macchine non me ne intendo. Non mi ricordo se ho fatto caso

alla targa.”

“Il turco durante il viaggio ha detto solo pochissime parole in uno

stentato italiano. Ha detto “grazie” quando gli abbiamo dato delle cose da

mangiare in un cestino comprato alla stazione e il caffè quando lo abbiamo

comprato durante il viaggio; quando ci ha chiesto l’ora. Non ricordo se ci

ha detto come si chiamava. Indossava una giacchetta, ma altro non ricordo

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sul suo abbigliamento. Aveva i capelli corti di colore scuro “nero un po’

impastati” proprio come un turco. Per “impastatati” intendo un colore

scuro come se fossero sporchi.

Era di corporatura normale sul magro. Era alto più o meno come me, che

sono un metro e settantasei. In mano aveva una sorta di rosario che

sgranava di continuo. Io dissi tra me e me “Quante preghiere si dice

questo”. Non vidi se aveva soldi. Devo però precisare che dopo la sua

uccisione notai che FURNARI venne con un “mazzone” di banconote in

mano. Erano banconote italiane. FURNARI commentò al riguardo “Era

bello provvisto”. Proprio in questa occasione notai anche la giacca, che

insieme agli altri indumenti erano stati portati un po’ più lontano per

essere bruciati. Il “mazzone” di banconote fu intascato da FURNARI.

Infine redige uno schizzo planimetrico dei luoghi ove fu sepolto il

turco. (v. interrogatorio CALCARA, 03.11.94).

“Venni a conoscenza dell’attentato al Papa solo l’indomani, quando

raggiungemmo il LUCCHESE. Al termine del viaggio io sono andato a

casa mia. Dopo qualche tempo, intorno alle 11.30 sono andato a casa di

LUCCHESE, ove già si trovava il maresciallo DONATO. I due parlavano

di cose loro, perché erano grandi amici. A un erto punto LUCCHESE

disse rivolto a me “Hai saputo, hanno attentato al Papa”. Il maresciallo

intervenne nella discussione, ma mi è sembrato che egli non sapesse nulla.

Il maresciallo aveva un giornale. Si disse che era stato preso un turco.

Ricordo che uno dei due disse pure che questo turco aveva corso il rischio

di essere linciato, ma non so dire chi riportò questa notizia. Devo pure

precisare che questo episodio non riesco a collocarlo bene; potrebbe essere

avvenuto sia il giorno del nostro ritorno che l’indomani, dopo l’uccisione

del turco. Di sicuro non si parlò mai del turco portato a Paderno Dugnano

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al maresciallo o in sua presenza. Egli era un corrotto, ma non faceva parte

dell’Organizzazione. LUCCHESE e VACCARINO “ce lo avevano sotto”

ed egli

arrivava solo sino ad un certo punto”, ovviamente nella conoscenza dei

fatti della nostra Organizzazione. Io dopo avere appreso dell’attentato al

Papa ho immediatamente collegato il turco da noi portato a Milano con

l’attentato. Ne ho parlato due o tre giorni dopo con il LUCCHESE

chiedendogli “Questa era la bomba di cui parlavi?”. Ed egli “Perché non

lo hai capito da solo?”. Siamo tornati sull’argomento per una volta buona,

cioè ne abbiamo parlato a lungo. Fu in questa occasione che il

LUCCHESE mi ha detto che il Papa aveva rotto degli equilibri. Ne ho

parlato in seguito anche con il VACCARINO, il quale èstato molto più

preciso. Fu lui a dirmi che si erano riuniti elementi della Cupola

palermitana, tra cui ricordo Mariano AGATE e zù TOTO’, ed elementi

dell’Ordine del Santo Sepolcro, come il notaio romano di cui ho parlato.

Molti uomini d’onore sono iscritti a questo Ordine del Santo Sepolcro,

certo uomini d’onore di spicco, e non semplici soldati. Mi fu detto che

anche MARCINKUS faceva parte di quest’ordine. Mi fu spiegato che il

Papa voleva fare dei cambiamenti, che avrebbero danneggiato non solo

ambienti del Vaticano, ma anche interessi di Cosa Nostra. Ambienti del

Vaticano ovviamente corrotti e collusi con Cosa Nostra.” (v. interrogatorio

CALCARA, 04.11.94).

Nonostante tre accuratissimi sopralluoghi compiuti con l’ausilio

dello stesso CALCARA - a prescindere dalle attività precedenti poste in

essere dalla Procura di Palermo - nessun cadavere, tanto meno quello del

turco, è stato rinvenuto (v. ispezioni 21.11; 03 e 06.12.93).

_______________________

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Capitolo secondo

L’intervista di PANDICO Giovanni

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5.2.1. Le dichiarazioni e le verifiche.

Altra vicenda in cui appaiono tentativi di inquinamento di prove

dell’inchiesta mediante la ricostruzione della cd. pista bulgara è quella

riferita in un articolo dell’Espresso del 23 giugno 1985, dal titolo “Cella

con Servizi” e a firma di Pietro Calderoni, in cui viene riportata una

intervista al detenuto Giovanni PANDICO su una serie di episodi avvenuti

nel carcere di Ascoli Piceno nei mesi di marzo ed aprile dell’82.

PANDICO, noto esponente della Nuova Camorra Organizzata,

aveva dichiarato al giornalista, che egli e CUTOLO Raffaele - altrettanto

noto capo di quella NCO -erano riusciti a far dotare la cella di MEHMET

ALI’ AGCA, ristretto nel carcere di Ascoli Piceno dall’agosto 81, di

moquette e televisore e gli avevano fornito altresì dei testi in italiano

perché imparasse la lingua. AGCA all’epoca non conosceva la nostra

lingua, era del tutto isolato in condizioni di abbandono, privo di vestiario e

in uno stato di profonda prostrazione.

L’interessamento di CUTOLO e PANDICO si inquadrava in un

progetto di utilizzazione del turco quale killer all’interno del carcere per

conto della camorra.

In quel tempo era giunta notizia ai camorristi che il Ministero di

Grazia e Giustizia aveva deciso il trasferimento di CUTOLO dal carcere di

Ascoli Piceno a quello dell’ASINARA. Cinque o sei giorni prima di detto

trasferimento, previsto per il 2 marzo 1982, PANDICO seppe dal direttore

del carcere Cosimo GIORDANO - il quale, gli disse, di averne avuta

notizia da un ufficiale dei Sevizi Segreti - della esistenza di un piano per

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l’uccisione del boss di Ottaviano, che sarebbe stato attuato nel corso del

trasferimento. Avvalendosi dei contatti stabiliti nel corso delle trattative

per la liberazione di Ciro CIRILLO e della

mediazione dell’avvocato Enrico MADONNA, accusato di appartenere

alla N.C.O., vennero contattati Francesco PAZIENZA e il generale Pietro

MUSUMECI.

Verso le ore 20.00 di lunedì I marzo 1982 il generale Pietro

MUSUMECI si recò al carcere di Marino del Tronto in Ascoli, ove ebbe

luogo un incontro con PANDICO e con CUTOLO che si protrasse fino a

notte fonda, nel corso del quale si impegnò a differire di due settimane il

trasferimento, come richiesto dai camorristi, pretendendo come

contropartita di aiutarlo a “far pentire” AGCA.

Nell’occasione il generale recava un documento, una sorta di

verbale, in cui si faceva riferimento all’Unione Sovietica ed alla Bulgaria e

su cui erano elencate una serie di motivazioni, che il turco avrebbe dovuto

addurre per rendere credibili le sue dichiarazioni. All’incontro erano

presenti anche il maresciallo GUARRACINO degli agenti di custodia ed il

cappellano del carcere Mariano SANTINI.

I camorristi accettarono le condizioni poste dal MUSUMECI e,

immediatamente, MEHMET ALI’ AGCA venne condotto nella stanza ove

si stava svolgendo il summit e convinto dei vantaggi che gli sarebbero

derivati dal suo pentimento.

Allontanatosi il generale, PANDICO ed il cappellano continuarono

l’indottrmnamento del turco per il resto della notte e durante il giorno

successivo; giorno in cui sarebbe tornato al carcere lo stesso MUSUMECI

questa volta in compagnia di Francesco PAZIENZA (al primo ingresso il

generale era accompagnato da altra persona sconosciuta).

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La proroga del trasferimento del CUTOLO fu concessa secondo gli

accordi e, nonostante la RAI avesse trasmesso il giorno 2 marzo 1982 la

notizia dell’avvenuto trasferimento,

questo in realtà avvenne domenica 18 aprile 1982 alle ore 9 del mattino.

PANDICO sottolinea che esso venne eseguito in ore diurne su loro

espressa richiesta e non di notte, come era previsto originariamente. A

domanda dell’intervistatore, PANDICO afferma che i quindici gironi di

proroga erano stati richiesti per avere il tempo di mettere in allarme tutti i

camorristi detenuti, i quali, nell’eventualità di un agguato a CUTOLO nel

corso del trasferimento, avrebbero dovuto attuare un vasto piano di rivolta.

Sempre su sollecitazione del CALDERONI, PANDICO riferisce,

infine, che MUSUMECI si recò di nuovo nel carcere di Ascoli Piceno

verso la metà di aprile e, per sottolineare la buona riuscita del loro

accordo, disse: “Ognuno ha avuto il suo tornaconto”.

Nell’intervista a L’Espresso, PANDICO sottolinea che venne

chiesta ed ottenuta la dilazione del trasferimento di due settimane rispetto

alla data prevista del 2 marzo 1982. Lo stesso PANDICO ricorda che tale

trasferimento avvenne quindici giorni dopo cioè domenica 18 aprile 1982.

La data corrisponde a quella dell’effettivo movimento ma cade quasi sette

settimane dopo. Vero è che tale discrepanza potrebbe essere attribuita ad

un mero lapsus; ciononostante essa appare degna di essère segnalata e

registrata.

**************

5.2.2. Le requisitorie del P.M. del dicembre 85

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“Negli ultimi giorni dell’aprile 1982 attraverso la direzione del

carcere di Marino del Tronto, MEHMET ALI’ AGCA chiese di conferire

con il Giudice Istruttore Dott. Ilario MARTELLA. Il primo maggio egli

avrebbe iniziato a rivelare i retroscena del complotto internazionale

finalizzato all’uccisione del Papa, orientando decisamente l’istruttoria

verso la cd. pista bulgara.

Deve essere rilevato come il coinvolgimento dei servizi segreti

bulgari nell’attentato era già stato ipotizzato in un dossier pubblicato a

firma Eugene MANNONI sul settimanale parigino “Le point” alcuni mesi

prima, il 14 dicembre 1981.

La cd. bulgarian connection esplode sulla stampa internazionale

negli ultimi mesi del 1982. Secondo autorevoli quotidiani la

collaborazione di AGCA inizia il 29 dicembre 1981, quando due

appartenenti ai servizi segreti italiani lo incontrano presso il carcere di

Ascoli Piceno. Questo rapporto si sarebbe protratto per alcuni mesi e

sarebbe culminato con il riconoscimento fotografico da parte del turco,

dinanzi all’A.G., di due cittadini bulgari.

Già in quel periodo peraltro alcuni dubbi sulla veridicità delle

affermazioni di AGCA vengono avanzati da più parti. Nell’anno

successivo certa stampa avanza la ipotesi di una artificiosa costruzione

della “pista bulgara” da parte di appartenenti a servizi segreti.

Il processo ai cittadini di origine turca e bulgara (i turchi quali

appartenenti alla organizzazione denominata “Lupi grigi”) chiamati in

correità da MEHMET ALI’ AGCA, si apre a Roma il 27 maggio 1985

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sotto i riflettori di tutti gli osservatori della stampa nazionale ed estera.

Dall’analisi della fase iniziale di questo dibattimento gli organi di stampa

hanno più volte

tratto lo spunto per sottolineare presunte contraddizioni e inesattezze

emerse nelle dichiarazioni accusatorie AGCA. In tale contesto vanno

collocate quindi le affermazioni rese al giornalista CALDERONI

dell’Espresso dal PANDICO in data 13 giugno 85 (data dell’intervista

rilasciata nel carcere di Campobasso).

La Procura di conseguenza compì i dovuti accertamenti mediante

indagini delegate di P.G. ed esami ed interrogatori di oltre venti persone,

tra cui oltre CALDERONI e PANDICO, il Ministro Clelio DARIDA, i

magistrati del Ministero, AGCA, CUTOLO, il Gen. MUSUMECI. La

Procura con nota dell’lì luglio 85 dava incarico al Nucleo Centrale

Anticrimine della Direzione Centrale della Polizia Criminale di svolgere

una serie di accertamenti propedeutici, sfociati in un rapporto datato 12

settembre 85, successivamente integrato da altre acquisizioni.

Il 18 luglio 85, avviati i complessi riscontri ed i riferimenti

circostanziati onde evidenziare la affidabilità della versione del

PANDICO, egli veniva interrogato ai sensi dell’ art. 348 bis c.p.p. nel

carcere di Campobasso. In tale sede il PANDICO ebbe a confermare la

sostanza dell’articolo già confermata dallo stesso estensore, corroborando

(o tentando di corroborare) la sua ricostruzione con la produzione di taluni

documenti che avrebbero dovuto, nelle sue intenzioni, ancorare anche

temporalmente gli accadimenti. Ebbe anche a riferire di un presunto

“pentimento” di CUTOLO, mettendosi a disposizione della Giustizia per

ogni tipo di atto istruttorio che avesse dovuto rendersi utile. Fornì nella

circostanza la fotocopia di una lettera datata 28 gennaio 1982, inviata al

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giornalista DE GREGORIO nonché una sorta di testamento spirituale del

CUTOLO con data 26 marzo 1982 indirizzato al figlio Roberto; atti, a suo

dire, significativamente utili, il primo a fissare nel

tempo l’epoca della conoscenza da parte della camorra di CUTOLO

(N.C.O.) del disposto trasferimento del CUTOLO, il secondo a

manifestare preoccupazioni dello stesso CUTOLO sulla sua incolumità

personale. La lettura di tale materiale comunque nulla di oggettivamente

riscontrabile (a parte ogni valutazione sulla sua attribuibilità) offre alla

analisi istruttoria. Il 23 agosto 1985 l’Ufficio Istruzione di Ascoli Piceno

trasmetteva, a mente dell’art.165 bis C.p.p., una informativa datata

14.11.84 della stazione C.C. di Venarotta su cui si tornerà in seguito.

Con il R.G. datato 12 settembre 85 (già sopra indicato) la Polizia

del Nucleo Centrale Anticrimine riferiva gli esiti dei disposti accertamenti.

In particolare tale organo aveva identificato ed escusso il personale in

servizio presso il carcere di Marino del Tronto all’epoca dei fatti nonché i

detenuti ristretti in quel torno di tempo nel detto istituto.

Veniva altresì acquisita la documentazione relativa ai lavori

effettuati all’interno della cella in cui era ospitato il turco ALI’ MEHMET

AGCA. Detti lavori sono consistiti nell’installazione di una telecamera

collegata ad un impianto TV a circuito chiuso e nella costruzione di una

gabbia metallica intorno al lato esterno della cella. Dalla stessa ditta, nel

febbraio 82 è stata effettuata la ristrutturazione di una cella attigua a quella

del turco, con la installazione di materiale assorbente ed ignifugo alla

pareti e al pavimento, al fine di adibirla a sistemazione temporanea di

detenuti esagitati. In entrambi i casi i lavori vennero eseguiti dalla impresa

SPALVIERI di Ascoli Piceno.

Sono stati anche visionati i notiziari trasmessi dalle tre reti

televisive di Stato relativi alla data del 2 marzo 1982, con esito negativo.

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Sono state altresì condotte ricerche presso l’archivio elettronico della RAI

per il periodo marzo/aprile

1982, con esito, anche in tale caso, negativo. Presso la direzione

dell’Asinara è stata acquisita copia autentica del fascicolo personale del

CUTOLO. Dai competenti uffici del Ministero della Giustizia è stata

fornita copia della parte del fascicolo del CUTOLO attinente al suo

trasferimento dal carcere di Marino del Tronto a quello dell’Asinara.

L’esame nello specifico di tale ultimo incartamento fa emergere in

particolare: che in data 25 febbraio 82 il Ministro dell’Interno con propria

nota sollecitava al Ministro della Giustizia il trasferimento del CUTOLO

dal carcere di Ascoli per quello dell’Asinara; che sulla base ditale nota il

Ministro della Giustizia predisponeva, all’esito della opportuna istruttoria

della pratica, il movimento del detenuto con propria disposizione datata 17

marzo 82 (fono riservato n.3774/316908) ;che in data 18 marzo 82

(giorno, sia detto per inciso, della pubblicazione del noto articolo a firma

Marina MARESCA su L’Unità, riguardante l’affaire Cirillo) il Ministro

della Giustizia disponeva “l’inopportunità allo stato del trasferimento di

CUTOLO”; che il 19 marzo 82 il provvedimento di trasferimento veniva

restituito dalla direzione del carcere di Ascoli mediante corriere speciale;

che in data 08 aprile 1982. (fono riservato 4786/330418) veniva disposto il

trasferimento del CUTOLO (movimento effettuato il successivo 18 aprile

82).

Il giorno 1 ottobre 1985 veniva spedita al gen. Pietro MUSUMECI,

ristretto presso il carcere militare di Forte Boccea, comunicazione

giudiziaria ipotizzante il delitto di interesse privato ex art.324 c.p..

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In data 9 ottobre 1985 veniva ascoltato in qualità di teste il dr.

Antonino VINCI, all’epoca dei fatti capo della Segreteria di sicurezza del

Ministro della Giustizia, circa le ragioni della

sospensione del trasferimento del CUTOLO. Il giorno 12 ottobre 85 era

poi escusso il dr. Giuseppe FALCONE, direttore dell’Ufficio 30 della

Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena e il giorno 14

ottobre 1985 il dr. Ugo SISTI, già direttore generale della detta Direzione

Generale.

Tali esami erano tendenti ad acclarare i motivi del richiamato

differimento del movimento di CUTOLO e consentivano di appurare

come le preoccupazioni del Ministero fossero segnatamente rivolte alle

specifiche condizioni di sicurezza (interna ed esterna) della operazione e

della custodia del CUTOLO.

In data 24 ottobre 1985 era quindi ascoltato il Dott. Cosimo

GIORDANO, già direttore del carcere di Ascoli Piceno.

Indi, il 29 ottobre 85 in Ascoli veniva ascoltato ai sensi dell’art. 348

bis c.p.p. tale SANTINI Mariano già cappellano del carcere di Marino del

Tronto; in pari data, ma in Macerata, veniva escusso il brig. SAMPAOLO

Vincenzo in servizio il giorno 1 marzo 1982 alla sezione speciale del

carcere di Ascoli, il quale, secondo le dichiarazioni di PANDICO, avrebbe

provveduto ad accompagnare il PANDICO medesimo al colloquio con il

generale MUSUMECI.

Il giorno successivo in Milano, veniva poi sentito in base all’art.348

bis c.p.p. il GUARRACINO Franco, già vicecomandante degli Agenti di

custodia dell’Istituto ascolano. Il 31 ottobre 1985, in Roma, veniva

interrogato con le garanzie dell’indiziato a mente dell’art.348 bis c.p.p. il

turco MEHMET ALI’ AGCA. In data 6 novembre 1985 era escusso quale

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teste all’Asinara il Dott. Francesco MASSIDDA, direttore del detto

carcere sin dall’epoca del trasferimento alla diramazione Fornelli del

CUTOLO e subito dopo, ma quale indiziato ex art.324-110 c.p. in

concorso con il gen. MUSUMECI, il noto Raffaele CUTOLO.

Il giorno 15 novembre 1985 veniva sentito in qualità di teste il

m.llo dei Carabinieri PICCIANI Pietro in merito alle circostanze poi

riferite con la nota già sopra richiamata a firma del m.llo BARBERINI

Erminio datata 14 novembre 84 circa la presenza in territorio di Ascoli del

gen. MUSUMECI il giorno 28 agosto 81, e cioè a pochi giorni dal

trasferimento nel carcere di Ascoli dell’attentatore del Papa, AGCA.

Lo stesso 15 novembre 85 veniva ascoltato presso il Ministero delle

Partecipazioni statali l’on. Clelio DARIDA, nel marzo/aprile 1982

Ministro della Giustizia.

Il 18 novembre veniva quindi interrogato quale indiziato di reità il

gen. Pietro MUSUMECI; mentre il 20 novembre 85 veniva resa

deposizione testimoniale dal m.llo BARBERINI.

Nel frattempo in data 26 settembre 85 era stato riunito al presente

procedimento un fascicolo proveniente dalla Procura di Campobasso

contenente dichiarazioni rese a quella Autorità dal noto MELLUSO

Giovanni, imputato per l’appartenenza alla N.C.O. di CUTOLO,

dichiarazioni con le quali si mettevano in dubbio le affermazioni del

PANDICO.

L’esame dell’incarto processuale come sopra costituito consente a

quell’ inquirente le seguenti considerazioni. Anzitutto va evidenziato

come la versione di PANDICO si riveli assolutamente isolata rispetto alle

acquisizioni testimoniali ed a tutte le altre voci processuali. In sostanza né

dal personale di custodia né dalla popolazione detenuta nel carcere di

Ascoli né dai diretti interessati alla vicenda sono venuti elementi di

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conferma, di riscontro o di asseverazione alle affermazioni fatte dal

PANDICO.

In conclusione, afferma quel P.M. - e le sue conclusioni saranno

condivise da questo Ufficio -: che la versione del

PANDICO non trova riscontri, ma “purtuttavia sussistono nel

procedimento tre circostanze che meritano attenzione in senso di

riferimento sia pure non immediato alle affermazioni del PANDICO, che

la versione del PANDICO non trova riscontri nuovi

Anzitutto va analizzata la circostanza della presenza del

MUSUMECI in data 28 agosto 1981 in territorio di Ascoli. Su tale -

circostanza, negata dall’indiziato, si è sviluppata una approfondita

indagine istruttoria che porta, con ragionevole approssimazione, a

concludere nel senso opposto a quanto detto dal MUSUMECI. “Non vi è

infatti alcun motivo apprezzabile per dubitare della buona fede e del sicuro

ricordo del M.llo BARBERINI, il quale ha affermato di aver appreso della

circostanza direttamente dal pari grado PICCIANI Pietro, che con il

MUSUMECI avrebbe avuto contatto personale la mattina del 28 agosto 81

nel corso di un normale servizio di pattugliamento stradale.

Tale circostanza va segnalata debitamente dal momento che anche

da altri atti acquisiti emerge come l’orientamento per una pista “dell’Est”

nell’attentato al Papa era presente nel nostro Servizio Segreto Militare

(SISMI). Illuminanti a tal proposito due informative SISMI datate

rispettivamente 14 e 19 maggio 81, dalla lettura delle quali un tale

orientamento basato su “fonti molto attendibili” pare evidenziarsì.

Sicché un contatto tra un alto esponente del SISMI, quale il gen.

MUSUMECI ed il turco attentatore del Papa poteva porsi nella delineata

prospettiva. Tale circostanza poi pare ventilata dallo stesso PANDICO il

quale in sede di interrogatorio manifesta la sua impressione che ì’AGCA

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ed il MUSUMECI avessero avuto modo già in precedenza di entrare in

contatto.

Sempre sullo stesso tema va peraltro considerato come dagli

accertamenti svolti il gen. MUSUMECI risulta “di fatto”

allontanato dal SISMI fin dal 13 giugno 1981. Tale evenienza comunque,

a parte la non sufficientemente definita situazione di possibili agenti

esterni o non-organici ai Servizi di sicurezza, non manifesta in toto la sua

validità (escludente), sol che si consideri come il ruolo all’interno del

SISMI già del gen. MUSUMECI verme occupato dal col.BELMONTE,

coimputato per gravi fatti di disarticolazione istituzionale con il detto

MUSUMECI e con il medesimo recentemente condannato in primo grado

dalla 5 A della Corte d’Assise di Roma.

In punto di valutazione probatoria però l’epoca del fatto (28 agosto

81) si colloca a troppi mesi di distanza rispetto al presunto dispiegato

intervento presso il carcere di Ascoli nei confronti AGCA per potersene

inferire più di un generico sospetto.

Il fatto storico, documentalmente e testimonialmente

incontestabile, e più aderente alle prospettazioni accusatorie svolte dal

PANDICO, è la avvenuta sospensione del movimento del detenuto

CUTOLO.

Non può non stupire infatti l’intervento in prima persona del Ministro

della Giustizia, teso a differire ad altra data per ragioni di “inopportunità”

il disposto trasferimento di CUTOLO da Ascoli all’Asinara.

Le emergenze istruttorie su tale fondamentale aspetto della vicenda

all’esame farebbero propendere per generiche ragioni di sicurezza insite e

connaturate con il difficoltoso movimento del noto detenuto.

Senonché a tal proposito il tentativo degli organi ministeriali

dell’epoca di far ricadere sulle sollecitazioni del direttore del carcere

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ricevente nella persona del dott. MASSIDDA le motivazioni della

sospensione trovano smentita nelle dichiarazioni del citato funzionario, il

quale venne avvisato della operazione, pochi giorni prima che questa

avesse

effettivamente luogo. Sicché correttamente può concludersi che la

decisione del differimento fu esclusivo frutto di valutazioni ministeriali, le

cui motivazioni sottostanti non si mostrano sufficientemente appaganti.

Certo anche qui non esulano motivi di perplessità, dal momento che

non pare arduo ipotizzare che il PANDICO abbia potuto costruire sulla

base della avvenuta conoscenza, per oscuri canali (forse lo stesso

CUTOLO o altri), dello slittamento del movimento, tutta la riferita

prospettazione dell’episodio. Anche sul punto e cioè sul perché del

comportamento tenuto dal PANDICO non è possibile alcun proficuo

approfondimento in termini di chiarificazione.

Va comunque sottolineato che anche negli atti prodotti dal PANDICO

nessun neppur vago accenno viene fatto alla trattativa poi rivelata dal

PANDICO. E la cosa è sintomatica trattandosi del cd. testamento

spirituale del CUTOLO, come tale indirizzato al figlio.

Un terzo riferimento va posto in luce. Si tratta dell’effettiva

presenza in servizio del brig. SAMPAOLO (ricavata dalle disposizioni

interne del carcere di Ascoli) il giorno l° marzo 82. Tale emergenza

processuale, riconducibile peraltro alla puntuale conoscenza dimostrata dal

PANDICO circa la strutturazione interna del carcere di Ascoli (teatro di

avvenimenti tuttora poco chiariti), non si mostra né particolarmente

significativa né fondatamente tranquillante, tanto da potersene inferire più

che un labile indizio di riferimento alle dichiarazioni del PANDICO.

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Da quanto sopra, emerge, in conclusione il convincimento di questo

Ufficio di non poter trarre una ricostruzione processualmente appagante

della vicenda. Ciò sia per la

discutibile posizione del “dissociato” PANDICO in veste di collaboratore

attivo della Giustizia, sia per mancanza di sicuri indici di ancoraggio alla

tesi da lui proposta.

In diritto va poi osservato: se pure si desse per provato tutto quanto

affermato dal PANDICO, si palesano forti dubbi sulla ricomprensione dei

fatti in una fattispecie penale definita.

In particolare si potrebbe, in tesi, profilare secondo lo schema

dell’art. 48 c.p. (errore determinato dall’altrui inganno ovvero del cd.

autore mediato) un caso di interesse privato negli atti del Ministro della

Giustizia (identificabili nell’atto di sospensione del trasferimento ottenuto

attraverso la prospettazione da parte del MUSUMECI di ingannevoli

ragioni di sostegno e quindi in definitiva, traendosi in inganno gli organi

ministeriali indotti alla sospensione, perché influenzati dalle non veritiere

ragioni addotte. Il MUSUMECI non avrebbe rappresentato (ragioni

incoffessabili e consistenti nel patteggiamento con il CUTOLO).

Un più attento esame fa individuare semmai un interesse privato

non già nel non-illecito, di per sé, differimento, bensì proprio nelle false

rappresentazioni fatte dal MUSUMECI; e quindi intravedere in queste

ultime un atto d’ufficio viziato da interesse.

Ma anche tale costruzione trova un ostacolo, giuridicamente insuperabile,

nella uscita dal SISMI del MUSUMECI, che ha perciò solo perso (dal

15.11.81) la qualifica di pubblico ufficiale. Per cui non può che trarsi la

determinazione ultimativa di questo procedimento nel senso della richiesta

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di archiviazione degli atti con decreto ; e ciò per un duplice ordine di

motivi.

Quanto ai fatti, non può che dirsi probatoriamente non dimostrata la

fondatezza delle dichiarazioni rese dal PANDICO giacché non paiono

sufficienti gli elementi ab esterno rispetto

alle dichiarazioni raccolte nel corso della istruttoria; i riferimenti indiretti

sopra riportati non si pongono infatti come concludenti e validi.

In punto di diritto comunque la rappresentazione dei fatti, sia pure

nella non accettata ricostruzione operata dal PANDICO, non sembra

attagliarsi ad alcuna fattispecie giuridica prevista dall’editto penale.

Un’ultima considerazione va svolta sulla ipotizzabilità, nel caso di

specie, di una evenienza di calunniosità contenuta nelle affermazioni cd.

accusatorie del PANDICO. Anche su tale corno del problema trovano

spazio e richiamo le argomentazioni già esplicitate, poiché può

fondatamente allegarsi che, non sussistendo una ipotesi di delitto

perseguibile nelle dichiarazioni comunque valutate, del PANDICO e

stante altresì la dubbiosità degli accadimenti storici riferiti, non se ne può

dedurre automaticamente una ipotesi di calunnia.

Potrebbe al più emergere una fattispecie diffamatoria a mezzo della

stampa nei riguardi delle persone chiamate in causa dal PANDICO; ma

tale ipotesi, come è legislativamente previsto, sfugge alle iniziative del

Pubblico Ministero. (v. requisitorie P.M., 09.12.85).

Questo G.I. decideva in conformità (v. decreto di archiviazione,

07.01.86).

_____________________

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Capitolo terzo

Le vicende di CARBONI Flavio

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5.3.1. I primi interrogatori.

Anche in altra istruzione, quella relativa alla banda della Magliana,

pendente all’epoca dinanzi a questo Ufficio Istruzione, sono state raccolte

dichiarazioni sull’attentato al Papa. Il noto Flavio Carboni, faccendiere

coinvolto nelle vicende dello scandalo del Banco Ambrosiano e del

banchiere Roberto Calvi, aveva narrato in quel processo della sua carriera,

della sua fittissima rete di conoscenze, amicizie, appoggi, e dei fatti che in

tali contesto si erano verificati in quel periodo, i primi anni 80, piuttosto

torbido della storia del nostro Paese.

Nei primi interrogatori il CARBONI racconta di come abbia

intrapreso la sua attività di imprenditore ed affarista; in conseguenza di

tale attività lavorativa, per il bisogno immediato ed impellente di denaro

liquido che spesso si prospettava, ebbe ad intessere rapporti con

finanziatori privati che ben presto lo portarono ad una condizione di

“strozzato”, condizione dalla quale, ad ogni modo, riuscì sempre a tirarsi

fuori; in particolare, sul finire degli anni ‘70, conobbe Florent LEY

RAVELLO nonché Domenico BALDUCCI, noto usuraio, primo referente

su Roma, finchè non venne ucciso, di Pippo CALO’, all’epoca conosciuto

con lo pseudonimo di Mario AGLIALORO; ebbe rapporti, in definitiva,

con tutti i più grossi usurai della zona di Campo de’ Fiori, a loro volta

legati con i più noti rappresentanti di quelle che poi verranno chiamate

banda del Testaccio e banda della Magliana.

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Nel 1981 CARBONI conoscerebbe CALVI, per il tramite di

Francesco PAZIENZA; a suo dire CALVI era a quel tempo osteggiato da

pesantissimi attacchi condotti da “La Repubblica” e “L’Espresso”; inoltre

non godeva della stima dell’allora Ministro del Tesoro Beniamino

ANDREATTA, il quale, anzi,

ostacolava l’assorbimento del “Corriere della Sera” da parte del Gruppo

Ambrosiano.

A CALVI occorreva che CARBONI prestasse delle garanzie reali,

come sicuramente era in grado di fare, per condurre in porto

un’operazione speculativa il cui esito positivo gli avrebbe garantito

rinnovato prestigio; inoltre CARBONI poteva offrire in “dote” un ottimo

rapporto di amicizia con Armando CORONA e con l’on. Giuseppe

PISANU, Sottosegretario al Tesoro ed autorevole esponente della sinistra

DC, entrambi suoi conterranei. Come contropartita CARBONI sarebbe

potuto entrare in rapporti con le banche che CALVI controllava tramite

l’Ambrosiano, potendosi finalmente affrancare dal mondo degli usurai e

venendo contestualmente a realizzare la condizione più importante per un

imprenditore, vale a dire agganciare un interlocutore di grosso spessore

finanziario che potesse garantire la tempestività nell’erogazione di un

prestito, laddove si intraveda un affare.

A spingere insistentemente affinché il Presidente dell’Ambrosiano

fosse messo in contatto con Armando CORONA sarebbe stato

PAZIENZA, il quale era a conoscenza del solido legame intercorrente tra

il CORONA e SPADOLINI.

Il CALVI avrebbe chiesto al CORONA, all’epoca forse Presidente del

Tribunale Massonico, di riammetterlo nella Massoneria, dalla quale era

stato sospeso per le note vicende della P2; avrebbe inoltre sollecitato un

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suo interessamento affinché Carlo DE BENEDETTI , vice Presidente

dell’Ambrosiano desistesse dall’intenzione di sottrargli la presidenza del

Banco stesso. CALVI sembrava subire la personalità del PAZIENZA, del

quale, comunque, non si fidava più. Tra le sue doglianze ricorrenti, vi era

soprattutto quella

secondo cui il Vaticano, nelle persone del mons. MARCINKUS e di Luigi

MENNINI, lo avesse “scaricato” dopo il suo arresto; in pratica l’averlo

incriminato, processato e condannato rispondeva, secondo lui, all’esigenza

di impedirgli di realizzare i suoi disegni espansionistici, per i quali gli era

indispensabile potersi muovere all’estero, ove avrebbe inoltre potuto

reperire, e li solamente, i fondi necessari a bloccare iniziative

imprenditoriali avverse. CARBONI, con le sue conoscenze, avrebbe

potuto tentare un’opera di “salvataggio” volta a sensibilizzare il Vaticano

nei suoi confronti, a far cessare le ostilità di lobbies a lui contrarie e

facenti capo al Ministro ANDREATTA, infine a far cessare la campagna

di denigrazione portava avanti dalla stampa.

Le persone sulle quali fece affidamento CARBONI, oltre ai già

citati CORONA e PISANU, erano Luigi CARACCIOLO, che sarebbe

tornato utile per il problema “stampa”, Carlos BINETTI, consigliere

economico del Ministro ANDREATTA, il quale avrebbe potuto rivalutare

ai suoi occhi la figura del banchiere, nonché Nestor COLLI Ambasciatore

del Venezuela in Italia, che diverrà poi utile allorché venne a crearsi una

piattaforma di intesa per la fornitura di petrolio da quel Paese subito dopo

lo scandalo ENI- PETROMIN, in conseguenza del quale non ricevevamo

più petrolio dai paesi arabi.

CALVI avrebbe occultato, parte in Svizzera, parte in Sud-America,

alcuni importantissimi documenti che si sarebbero potuti utilizzare nel

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tentativo di recupero della sua immagine presso il Vaticano. Tali

documenti si riferivano ad attività finanziarie dello stesso CALVI volte ad

attuare una strategia di contrasto all’avanzata comunista in Sud- America e

di penetrazione nei Paesi dell’Est, mediante il supporto di movimenti del

tipo “Solidarnosc”. Era per tale motivo che fu

indotto ad acquistare il pacchetto azionario di controllo del Banco

Ambrosiano, il cui reale controllore e proprietario era, però, il Vaticano. In

ragione di ciò il CALVI si sarebbe sentito abbandonato, perdere la

presidenza dell’Ambrosiano voleva dire vanificare tutto ciò che era stato

fatto per attuare la strategia predetta, la stessa che aveva ispirato le

operazioni che gli venivano contestate, laddove un intervento del Vaticano

avrebbe esaltato quella stessa strategia e salvato lui, il Gruppo e Io stesso

Vaticano da uno scandalo di inimmaginabili dimensioni.

Il banchiere avrebbe creato, nei Paese citati, dagli “avamposti

finanziari” e, fino al momento del suo arresto, il Vaticano aveva

appoggiato il suo operato, traendone considerevoli vantaggi; anzi, a dire di

CALVI, per come lo riporta oggi CARBONI , proprio l’appoggio del

Vaticano alla strategia, la cui efficacia costringeva i governi comunisti a

subirla in qualche misura, fu all’origine dell’attentato al Papa.

Dal momento del suo arresto, invece, il gruppo I.O.R. e quello

facente capo al Card. CASAROLI, mutarono completamente

atteggiamento nei suoi confronti, atteggiamento che poteva essere

controproducente da un lato perché vanificava quanto fin lì era stato fatto

e investito finanziariamente, dall’altro perché, screditando l’immagine di

CALVI, si sarebbe screditata anche quella del Vaticano suo complice”.

Il gruppo IOR, di MENNINI e MARCINKUS, temeva che il

mantenere rapporti con CALVI, dopo il suo arresto e la sua accertata

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appartenenza alla P2, potesse dar luogo ad un definitivo indebolimento; il

gruppo facente capo al Card. CASAROLI e coincidente con la Segreteria

di Stato, perseguiva un duplice obiettivo: a) indebolire lo I.O.R. che era

svincolato

dalla Segreteria di Stato ed aveva come diretto referente il Papa, gruppo

che poi sarebbe travolto dallo scandalo dell’Ambrosiano; b) indebolire la

posizione dello stesso Pontefice, la cui popolarità era in costante aumento,

ma che il crollo dello I.O.R. avrebbe minato.

Secondo CARBONI, intorno al maggio 1982 era divenuto

indispensabile per CALVI reperire 300 milioni di dollari onde far fronte a

scadenze improrogabili. Fu interessato, a tal proposito, mons. Franco

HILLARY, il quale il 19 maggio 1982 comunicò al banchiere che era

giunta l’ora del chiarimento, in quanto il giorno dopo sarebbe stato

ricevuto da una commissione di alti prelati del Vaticano, proprio mentre il

“vessatore” MARCINKUS si trovava a Londra con il Papa. Quello stesso

giorno vi fu una riunione cui parteciparono oltre al CALVI e

all’HILLARY, Flavio CARBONI e l’avv. D’AGOSTINO, al fine di

concordare la linea di condotta da tenere innanzi alla commissione.

In realtà lo scopo ditale audizione, per CALVI, sarebbe stato quello

di poter avere cospicui elementi in mano per poter ricattare lo IOR; non fu

più ricevuto, infatti, dalla commissione, in quanto il mattino precedente

CALVI si era recato allo IOR minacciando il MENNINI di rovinarlo e di

mettere tutto in piazza il pomeriggio stesso innanzi alla commissione. Tale

sorta di ricatto non diede i suoi frutti, di talchè CALVI si ritrovò messo

alla porta da tutti, compreso il gruppo di “salvataggio”, che tanto si era

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attivato per organizzare l’incontro chiarificatore con la commissione di alti

prelati.

Tale episodio, a dire del CARBONI, segnò la fine della credibilità

di Roberto CALVI.

Questa la ricca narrazione che investe anche temi fuori dalla portata

del presente procedimento. In questa sede più opportuno appare

soffermarsi su quelle parti degli interrogatori del Carboni che attengono

all’attentato al Papa e alle cause di questo delitto.

*************

5.3.2. Le dichiarazioni del giugno e luglio 93.

Nel corso della deposizione resa nel giugno ‘93, il CARBONI nel

descrivere quali erano stati i rapporti tra il banchiere e il noto Francesco

PAZIENZA riferisce:

“Sempre prima che io conoscessi Roberto CALVI, Francesco

PAZIENZA mi aveva accennato al fatto di essersi occupato, o comunque,

di essere stato messo a conoscenza da parte dell’interessato,

dell’occultamento, per conto del Presidente dell’ Ambrosiano, di

documenti molto importanti, in Svizzera e Sud-America. La circostanza

mi venne indirettamente confermata dal banchiere, allorchè mi parlò di

documenti molto importanti - non sono in grado di dire, però, se fossero

gli stessi del cui occultamento mi aveva parlato il PAZIENZA - che si

sarebbero potuti utilizzare nelle trattative con il Vaticano, ma che erano

nascosti, parte in posto sicuro del Sud America e parte in Svizzera, dal

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momento che non si fidava di nessuno, neanche degli uomini della sua

scorta, e che aveva paura di sempre possibili perquisizioni.

“Per quanto potei arguire dai colloqui con Roberto CALVI, tale

materiale documentale si riferiva ad attività finanziarie del Presidente del

Banco Ambrosiano, nella strategia di contrasto all’avanzata comunista in

Sud America e

di penetrazione - mediante il supporto di movimenti del tipo di

Solidarnosc in Polonia nei Paesi dell’Est: strategia implicante la

realizzazione anche di “avamposti finanziari” nei Paesi interessati ai

rispettivi fenomeni.

“In particolare, Roberto CALVI attribuiva a tali attività ed alle

relative prove, un’importanza fondamentale ai fini del suo salvataggio e di

quello del Banco Ambrosiano da un gravissimo scandalo: egli - questa era

la logica delle sue continue doglianze - si sentiva abbandonato dal

Vaticano dopo che era finito nei guai a causa dell’attuazione di un comune

disegno, l’acquisto, cioè, del pacchetto azionario di controllo

dell’Ambrosiano, da lui realizzato, ma per conto del Vaticano, vero

proprietario di tale pacchetto. Perdere la presidenza del Banco

Ambrosiano e, dunque, il controllo del relativo Gruppo, voleva dire

vanificare tutti gli sforzi sino ad allora compiuti per l’attuazione della

strategia di contenimento dell’avanzata comunista, in Sud America, e di

penetrazione nei Paesi dell’Est europeo, la quale aveva ispirato le

operazioni che a lui venivano contestate, là dove un intervento, non solo

indispensabile, ma, a quel punto, doveroso per il Vaticano, avrebbe

esaltato quella strategia e salvato lui, il Gruppo e lo stesso Vaticano, da

uno scandalo di inimmaginabili dimensioni, ma ancora certamente

evitabile.”

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Il CARBONI continua affermando che Roberto CALVI individuava

le cause dell’ “attentato al Papa” nel tentativo da parte del Vaticano

attraverso lo stesso CALVI di “fermare il comunismo in Sud America e di

penetrare nei Paesi dell’Est” con la creazione di “quelli che chiamava

“avamposti finanziari : “fino al momento del suo arresto, il Vaticano

pienamente consapevole delle strategie del Banco Ambrosiano, aveva

appoggiato l’operato del banchiere, traendone, di fatto,

considerevoli vantaggi; nel suo perseguimento ditale strategia, tramite il

suo operato, da parte dei Governi comunisti, in qualche misura costretti a

subirla, Roberto CALVI individuava, per altro, le cause dell’attentato al

Papa. Egli, pertanto, non riusciva a capacitarsi del perchè dopo il suo

arresto, l’atteggiamento del gruppo bR, in ciò su una linea comune a

quella del Cardinale CASAROLI, nei suoi confronti fosse radicalmente

cambiato e tendeva a sottolineare, riscuotendo al riguardo il consenso di

altri vertici vaticani, come il nuovo atteggiamento assunto nei suoi

confronti fosse doppiamente controproducente per gli interessi del

Vaticano, in quanto, non solo vanificava i risultati sino ad allora insieme

conseguiti, ma l’esporlo allo scandalo, accreditandolo come malfattore,

significava accreditare un’immagine del Vaticano di complice del

malfattore CALVI”.

Dopo aver riferito e puntualizzato i pensieri del banchiere in

relazione alle attività svolte a favore e per conto del Vaticano, il

CARBONI, illustra gli schieramenti che si erano costituiti, all’interno del

Vaticano, nei confronti di Roberto

CALVI:

“schieramento degli “ottusi””

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“coincidente con il Gruppo bR, dei MENNINI e dei MARCINKUS, i

quali temevano che mantenere i rapporti con Roberto CALVI dopo il suo

arresto e la sua accertata appartenenza alla P2, potesse determinare il loro

irreversibile indebolimento”

“schieramento dei “lungimiranti””

“coincidente con la segreteria di Stato e facente capo al Cardinale

CASAROLI, i quali perseguivano un duplice

obbiettivo: indebolire il Gruppo bR, lobby potentissima, svincolata dalla

Segreteria di Stato e che aveva come diretto referente il Papa, Gruppo che

sarebbe stato, per come lo fu, travolto irrimediabilmente dallo scandalo

dell’Ambrosiano; indebolire la posizione dello stesso Pontefice, la cui

popolarità era in costante ed irrefrenabile aumento, ma che sarebbe stata

minata dal crollo del Gruppo IOR ;“

“schieramento degli emarginati”

“cioè di coloro che, essendo al di fuori della reale gestione del potere,

avevano interesse a non minare l’immagine del Vaticano con uno scandalo

inutile dal loro punto di vista.”

Conclude, CARBONI, affermando che “paradossalmente, pur

portatori di interessi opposti, gli esponenti del primo e del secondo

schieramento assunsero nei confronti di Roberto CALVI lo stesso

atteggiamento di disinteresse alla sua sorte.” (vd. interrogatorio

CARBONI,21 .06.93)

Nell’interrogatorio reso nel luglio successivo CARBONI continua a

parlare del salvataggio di CALVI e dei problemi che aveva avuto e

continuava ad avere quest’ultimo con il gruppo bR, che faceva capo a

MARCINKUS ed a MENNINI, delineando peraltro il proprio ruolo nelle

trattative finalizzate a “istituire il rapporto fiduciario” con il Vaticano così

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da “indurre gli organi Vaticani della utilità di rilevare il pacchetto

azionario dell’Ambrosiano in suo possesso”. E così riferisce dei rapporti

con il cardinale PALAZZINI e con Monsignor FRANCO, specificamente

sui contatti con il Cardinale PALAZZINI.

“Il mio intervento in Vaticano si esplicò inizialmente nei confronti

del Cardinale PALAZZINI, e questo dopo essermi

consigliato, per come già riferito, con i vari BINETTI, PISANU,

CARACCIOLO, CORONA, D’AGOSTINO ed altri. Il cardinale

PALAZZINI si mostrò disponibile, tanto che ricevette Roberto CALVI,

presenti io e l’avvocato Luigi D’AGOSTINO, nella casa dove abitava con

la sorella nei pressi di Via delle Medaglie d’Oro. In occasione ditale

incontro, Roberto CALVI ebbe modo di esporre il proprio punto di vista e

le proprie preoccupazioni, ed il cardinale si impegnò a valutare la

situazione ed ad intervenire su esponenti dello bR, dichiarando tuttavia di

non poter esplicare il suo intervento direttamente nei confronti di

MARCINKUS e MENNINI, i quali, ci avverti, non avrebbero accettato

interferenze esterne all’istituto. In effetti, il cardinale PALAZZINI ebbe a

rappresentare quanto detto da Calvi a Donato DE BONIS, dirigente dello

bR, ancorchè in posizione subordinata e senza troppi poteri decisionali

rispetto ai predetti MENNINI e MARCINKUS. Le notizie che ci furono

portate dal PALAZZINI, all’esito dei suoi colloqui con DE BONIS, non

furono per nulla rassicuranti, in quanto confermavano l’assoluta chiusura

degli organi della banca vaticana verso le richieste di CALVI”.

Specificamente su quelli con Monsignor HILLARY Franco.

“..furono presi contatti con HILLARY Franco, prelato ritenuto molto

influente in Vaticano, il quale vantava la personale conoscenza e

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l’amicizia di Ronald REAGAN, allora Presidente degli Stati Uniti e del

suo entourage.

“A prescindere dalla posizione che occupava nella gerarchia

vaticana, HILLARY Franco svolgeva il ruolo di mantenimento dei contatti

tra il Vaticano ed i vertici statunitensi, sia religiosi che politici. Di qui la

convinzione che il suo intervento non soltanto avrebbe consentito una

penetrazione nella cittadella dello bR, ma avrebbe anche consentito che

dei problemi sollevati da Roberto CALVI sarebbero stati informati degli

alti prelati vaticani, influenti quanto altrimenti irraggiungibili.

“Tra HILLARY Franco e Roberto CALVI si istitui un buon

rapporto ... Ho avuto occasione di presenziare a svariati incontri tra il

FRANCO ed il CALVI: nel corso di questi incontri il banchiere non

mancava di illuminare l’interlocutore sui rapporti che aveva avuto con

Paul MARCINKUS e con Michele SINDONA.

“In particolare, Roberto CALVI ricordava all’interlocutore che

Michele SINDONA aveva provveduto a collocare alcune società detenute

illegalmente dal Vaticano, tra le quali le società Condotte e

l’Immobiliare .... Aggiungeva, inoltre , che Paul MARCINKUS lo aveva

costretto a firmare delle lettere, le quali avrebbero dovuto liberare il

Vaticano o lo IOR da impegni nei suoi confronti: in quel momento non ero

in grado di collegare queste lettere, di cui il CALVI parlava al FRANCO,

alle lettere di patronage; tale collegamento potei istituirlo soltanto in

seguito, allorchè Roberto ROSONE si recò in Vaticano esibendo copia

delle lettere di patronage e Paul MARCINKUS gli oppose l’esistenza delle

lettere di manleva...”

“In occasione degli incontri con HILLARY Franco, questi ascoltava

con interesse e, inizialmente, si mostrava rassicurante, nel senso che

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diceva che gli sarebbe stato possibile procurare al CALVI l’opportunità di

esporre il proprio punto di vista ad influenti personalità vaticane, anche

facendo leva sui suoi buoni rapporti con le Autorità politiche e religiose

mordamericane.

“L’atteggiamento di HILLARY Franco era estremamente

incoraggiante, dal momento che dopo alcuni incontri promise

al CALVI che sarebbe stato ricevuto da una commissione di alti prelati.

(vd interrogatorio Carboni 05.07.93)

CARBONI, ritorna a parlare dei contatti e dell’interessamento di

Monsignor Franco HILLARY nel successivo interrogatorio di quello

stesso luglio.

“Intorno al 19 maggio del 1982 Monsignor HILLARY Franco prese

contatto con me e con lo stesso CALVI per comunicarci che era giunto

finalmente il momento della chiarificazione, in quanto il giorno successivo

CALVI sarebbe stato ricevuto da una commissione di alti prelati vaticani,

dove avrebbe potuto esporre con tranquillità il proprio punto di vista, le

proprie ragioni e avanzare se era il caso, le proprie doglianze, tanto che

monsignor MARCINKUS si trovava a Londra con il Papa...”

“gli telefonai sul mezzogiorno, onde sentire di che umore fosse

prima dell’incontro con la commissione fissato per le ore 15.00. Al

telefono udii il CALVI, il quale con voce lugubre mi disse che ormai era

tutto finito ed anche lui era finito poichè si era recato allo IOR dove era

stato messo alla porta ...”

“Contestai la sua doppiezza, dal momento che l’incontro con la

commissione vaticana non era l’obbiettivo che lui perseguiva, bensì lo

strumento attraverso il quale ricattare lo IOR…”

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“... il CALVI si era recato da MENNINI, sostanzialmente

minacciandolo di rivelare tutto alla commissione che nel pomeriggio

l’avrebbe ricevuto, in modo di convincere il direttore dello IOR a fare

tutto ciò che fino a quel momento gli aveva rifiutato ...” (vd. Interrogatorio

Carboni 09.07.93).

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Capitolo quarto

Le conclusioni

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Le cosiddette grandi inchieste hanno sempre esercitato un fascino

negativo sui cosiddetti pentiti; è fatto notorio. Non pochi tra coloro che

hanno dato contributi, a volte anche modesti, ad inchieste di mafia,

‘ndrangheta e camorre varie, si sentono in dovere di offrire la propria

“collaborazione” ai processi che sono spesso sulla stampa, a volte per

acquisire ulteriori benefici, o salvare quelli che stanno giungendo a

termine.

Questo fenomeno si è verificato con le dichiarazioni di CALCARA,

che pur se animato dalle migliori intenzioni, non ha trovato conferme su

quanto detto nell’istruzione compiuta. Il riscontro principale, cioè il

rinvenimento del cadavere del turco, non s’è mai verificato. Il resto delle

dichiarazioni, dal nome del bulgaro, alla sua macchina, all’incontro di

ponte Vittorio può benissimo provenire dalla lettura dei giornali. Il resto

dalla fantasia, di cui i pentiti in genere non difettano.

Lo stesso deve dirsi della storia narrata da PANDICO, che è stato

sconfessato addirittura dal leader della NCO e cioè da Raffaele CUTOLO.

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Parte sesta

Altre aree di indagine

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Capitolo primo

Il sequestro presso STERLING Claire

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6.1.1. Le dichiarazioni di STERLING Claire

Nel settembre 95 questo Ufficio ordina una serie di perquisizioni e

sequestri, tra cui quelli di maggior rilievo furono quelli a carico di Claire

STERLING e FERRACUTI.

La STERLING famosa scrittrice americana, che aveva pubblicato

libri sull’attentato al Papa, sul terrorismo internazionale e la criminalità

organizzata; fu sentita in questo processo a seguito di un’intervista

concessa nel maggio del 91 a Linea Notte del TG1, nel corso della quale

ebbe a dichiarare che vi erano due persone in grado di testimoniare e

comunque contribuire alla ricerca della verità sull’attentato al Papa.

La prima sarebbe stata un cittadino turco, trafficante di droga

arrestato in Svizzera, che aveva affermato ad un Tribunale di quel Paese di

essere a conoscenza di circostanze relative al pagamento di 1.200.000

dollari a MEHMET ALI’ AGCA da parte di BEKIR CELENK, somma

proveniente dalla ditta GLOBUS, all’epoca denominata KINTEX, gestita

dai Servizi di Sicurezza dello Stato bulgaro. Il processo era quello

celebrato nell’90 a carico dei fratelli MAGHARIAN ed altri dinanzi alla

Corte di Bellinzona.

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La STERLING, che era in possesso del rapporto della DEA di

Berna datato 3 gennaio 81, esibì la parte d’interesse in questa richiesta.

Aggiunse anche che avendo interpellato il direttore della DEA di Roma,

era venuta a conoscenza che la fonte della detta notizia era persona diversa

da AGCA, coinvolta nel processo MAGHARIAN. Questa inchiesta che

aveva avuto ad oggetto fatti rilevanti di riciclaggio internazionale, era stata

istruita dalla polizia e dalla procura di Bellinzona.

Fu richiesto tale processo alle competenti Autorità svizzere in data

13.06.91. L’Ufficio Federale di Polizia -Divisione Assistenza Giudiziaria

Internazionale - Sezione Assistenza Giudiziaria Internazionale, rispose, in

data 04.07.91, che era necessario presentare maggiori dettagli soprattutto

in ragione del fatto che la rogatoria doveva essere presentata al Tribunale

Federale di Losanna. Aggiungendo una frase, che nell’ambito della

collaborazione internazionale, su un delitto così grave, sarebbe stata

meglio evitare: “Visto il contenuto della rogatoria in oggetto, si ha infatti

l’impressione che l’Autorità richiedente sia alla ricerca disperata di prove

L’altra persona era un italiano che l’aveva contattata qualche giorno

prima della trasmissione. Costui diceva di essere stato agente della CIA e

del SISMI. Per questo secondo servizio si sarebbe infiltrato

nell’Ambasciata dell’URSS a Roma ed avendo guadagnato la fiducia di un

agente del KGB avrebbe appreso che la “fonte” del rapimento della

ORLANDI era stata la stessa dell’attentato al Papa; che la direzione

dell’organizzazione era a Mosca, che tale organizzazione “lavorava”

attraverso Sofia; che il rapimento era stato affidato a un gruppo italiano di

destra; di essere i possesso di documentazione a sostegno delle sue

dichiarazioni (v. esame STERLING 14.05.91).

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La perquisizione delle abitazioni della STERLING a Roma e a

Cortona, portò al sequestro di copiosissimo materiale documentale. Le

carte di maggior interesse sono quelle di seguito indicate. (v. perquisizione

e sequestro 15.09.95).

**************

6.1.2. Il sequestro presso l’abitazione romana.

Documentazione rinvenuta e sequestrata presso l’abitazione di

Roma.

1 - Contenitore di colore verde contraddistinto con il nr. “Al”, nel cui

interno, tra l’altro:

- Cartellina di colore bianco contenente:

- Fotocopia di documento in lingua inglese contenente informazioni sul

libro “NEXT TO GO ...POLAND: Politics and Religion in Contemporany

Poland by Bogdan Szajkowski, Department of Sociology, University

College, Cardiff”;

- nr.3 fogli manoscritti in lingua inglese, emergono riferimenti a

SCRICCIOLO, SOLIDARNOSC, WALESA, CASAROLI, GIOVANNI

PAOLO Il, BREZNEV;

- documento composto di 8 pagine dattiloscritto in lingua inglese dal

titolo “Visit to Rome by Lech Walesa” ;

- fotocopia del documento dattiloscritto in lingua inglese dal titolo “THE

KREMLIN AND THE POPE” di Alex Alexiev, contenente sottolineature

e richiami;

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- nr.1 foglio datato “March 10, 1983”, che inizia con “MEMO OF

CONVERSATION - Hilary Franco (not for attribution - no copies but my

carbon copy) 1 hour of conversation”

Cartellina di colore bianco dal titolo “TURKISH MAFIA” contenente:

- foglio di carta di colore giallo contenente annotazioni manoscritte in

lingua inglese, da dove si evincono riferimenti a CELIK, MERSAN ed

altri;

- missiva su carta intestata “EMBASSY OF THE UNITED STATES OF

AMERICA - Ankara, Turkey” datata “June 21, 1982” a firma “Mark A.

Sanna - Regional Security Officer”, diretta alla STERLING. Si rilevano

riferimenti a GALIP YILMAZ, OMER AY, ABUZER UGURLU, OMER

MERSAN, MEHMET TANER, HASAN KARAGULLE;

- documento dattiloscritto in lingua italiana che inizia “DAL LIBRO

““ANARCHIA E TERRORE IN TURCHIA LE FASI SALIENTI,

CONSEGUENZE E INTERVENTO DELLE FORZE DELL’ORDINE””

PARTE III ELEMENTI ESTERNI CHE MINACCIANO DI

ABBATTERE LO STATO TURCO”. Trattasi di uno studio sul terrorismo

e sulle organizzazioni comuniste turche in Turchia ed all’Estero, dei vari

collegamenti con le organizzazioni armene, del PKK Curdo ed infine dei

Partiti Comunisti Europei;

- documento dattiloscritto in lingua italiana che inizia “(pag.83)

COLLEGAMENTI DELLE ORG. DI CONTRABBANDO CON

QUELLE DEL TERRORE ATTIVE IN TURCHIA”. Trattasi di uno

studio sul contrabbando di armi dell’organizzazione di sinistra DEV SOL,

con allegato uno specchio dei collegamenti tra le “organizzazioni di

terrore e contrabbando”;

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- documento dattiloscritto in lingua italiana che inizia con “(pag.68)

Partito Comunista Rivoluzionario Turco (TDKP)”; trattasi di uno studio

sulle organizzazioni di sinistra in Turchia e all’estero (TDKP - TKEP -

THKP/C ML SPB - THLP/C M-L DHY - THKP/C DEV - SOL);

Cartellina di colore bianco dal titolo “W. Germany Record” contenente:

- documento dattiloscritto in lingua inglese che inizia con “Hurriyet daily

8 November 16, 1980 issue”; trattasi,

verosimilmente, di uno articolo in cui viene fatto riferimento all’ingresso

clandestino nella Germania Federale di terroristi turchi; si fa riferimento a

AGCA, killer di IPECKI ed al suo complice MEHMET SENER; ad ALI

BATMAN, killer del Dr. Nected GUCLU ed a SAMI BAL; viene fatto

anche riferimento a MUSAR CELEBI, Presidente della Federazione dei

Lavoratori Turchi in Germania;

Materiale sparso nel contenitore:

- documento in lingua francese dal titolo “LE BILAN TOTAL DES

ATTENTATS PERPETRES PAR LE TERRORISM ARMENIEN

CONTRE LES MISSIONS DIPLOMATIQUES ET ETABLISSEMENTS

TURCS ET CONTRE LES INTERETS DES PAYS TIERS”;

- documento in lingua inglese dal titolo “SETTING THE RECORD

STRIGHT ON ARMENIAN PROPAGANDA AGAIST TURKEY”,

- documento in lingua inglese dal titolo “GOAL DESTABILIZATION -

Soviet Agitational Propaganda, Instability and Terrorism in NATO South”

di Paul B. HENZE, datato Agosto 1981. Trattasi, verosimilmente di una

bozza di lavoro preparata per “The European American Institute for

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Security Research Workshop” per il convegno dal tema “NATO’S

Southern Flank, the Mediterranean and the Persian Gulf” che si sarebbe

tenuto a Napoli nei giorni 21-23 Settembre 1981. L’autore, HENZE, fa

riferimento, tra l’altro, al terrorismo turco e italiano. Fa anche riferimento

a pag. 21 al “Case AGCA”

- documento in lingua inglese dal titolo “CONFESSION BY A PKK

MILITANT ON TRT/TV”;

- documento in lingua inglese dal titolo “STATEMENT BY THE

MARTIAL LAW COORDINATION OFFICE OF THE GENERAL

STAFF ON INCIDENT OF ANARCHY AND TERROR” trattasi,

verosimilmente, di uno studio sul terrorismo in Turchia a seguito della

legge marziale instaurata in quel paese a partire dal 12 settembre 1980;

- documento manoscritto in lingua inglese; trattasi verosimilmente, di

appunti relativi a formazioni terroristiche di sinistra in Turchia (DEV-

SOL) ed ai collegamenti con altre forme terroristiche nel Mondo (FLP);

- cartellina di colore verde contenente documento di più pagine in lingua

turca;

- nr.2 fogli manoscritti in lingua inglese, vi si rivelano riferimento a gruppi

terroristici turchi di estrema sinistra;

- appunti manoscritti in lingua inglese, su alcuni fogli di colore giallo e

bianco; trattasi, verosimilmente, di appunti relativi ad organizzazioni di

sinistra in Turchia;

-documento in lingua inglese dal titolo “THE EFFECT OF

INTERNATIONAL TERRORISM ON NATO” di V. Admiral SEZAI

ORKUNT, datato 05 ottobre 1982; trattasi di documento preparato in

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occasione della conferenza organizzata dalla “SISAV” sul tema “NATO

IN 1980’S” a Istanbul il 5 ottobre 1982;

- cartellina trasparente con base di colore bleu contenente documentazione

in lingua turca sul terrorismo; si rileva un capitolo dedicato a

“TERRORIST MEHMET ALI’ AGCA NIN CEZAEVIDEN

KACTIKTAN SONRA GITTIGI YERLER”;

Cartellina di colore trasparente contenente:

- numerosi appunti manoscritti in lingua inglese relativi all’attentato al

Papa, si rilevano, tra l’altro, citazioni su AGCA,

MIT, BEKIR CELENK, UGURLU, OMER AY, KINTEX, IPEKCI,

CASAROLI, GLEMP, BREZNEV, MERSAN, MARTELLA,

MARCHIONNE (DIGOS), UGURLU, ANDREASSI (DIGOS), CATLI,

DURMUS UNUTMAZ, SEDAT SIRRI KADEM, TURKOGLU,

GRILLMAYER, OTTO TINTNER, SIMONE (DIGOS), D’ANDREA,

SISMI;

- documento dattiloscritto in lingua inglese dal titolo “FOREIGN

SOURCES OF TERRORISM”, senza data; -

- documento in lingua inglese all’oggetto “PLO and the Armenian

Underground Movement”;

- vari articoli stampa e volantini di organizzazioni di estrema sinistra

turche in Germania.

2 - Contenitore di colore verde contraddistinto con il nr. “A2”, nel cui

interno tra l’altro:

Cartellina di colore bianco, senza titolo, contenente:

- fotocopie di documenti bancari in lingua turca, concernenti MEHMET

ALI’ AGCA e relativi agli anni ‘78 e ‘79;

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- nr. 2 copie di documento di 13 pagine in lingua italiana, senza data,

concernente ALI’ AGCA. Nel documento si fa riferimento alla famiglia di

ALI’ AGCA ed alla vita di AGCA in Turchia fino alla fuga da Maltepe;

- missiva dattiloscritta di due pagine, con annotazioni manoscritte in calce

al secondo foglio di “Prof. Dr. MUKERREM HIC I.U., Economic

Faculty” e diretta alla STERLING ed a Paul HENZE; nella lettera viene

fatto riferimento agli studi AGCA. Allegati alla lettera alcuni documenti

scolastici, in copia alcuni con fotografia, tutti relativi ad AGCA;

- documento in lingua inglese dal titolo “AN AGCA CHRONOLOGY”; il

documento ripercorre la vita di AGCA dalla nascita a settembre 1981

evidenziando tutti gli spostamenti in Europa a seguito dalla fuga dal

carcere di Maltepe; nel primo foglio si rileva l’annotazione manoscritta

“HENZE”;

- nr.5 fogli dattiloscritti in lingua inglese comprendenti anche una copia di

tre pagine dalla cronologia di cui al punto precedente; trattasi di

documento sempre relativo AGCA; si rileva sul primo punto foglio

l’annotazione manoscritta “NENZE prep. R-D”;

- fotocopia di lettera in lingua italiana scritta da AGCA in data 24

settembre 1982 e diretta al Cardinale Silvio ODDI;

Cartellina di colore bianco dal titolo “ANTONOV etc.” contenente:

- documento in lingua inglese datato” “Dec. 4, 1982” dal titolo “MEMO

OF CONVERSATION” di “Judith HARRIS”; si rilevano i nomi di La

Russa, Consolo, Martella, ANTONOV;

Cartellina di colore bianco dal titolo “OMER AY” contenente:

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- nr.10 fotocopie documenti in lingua tedesca relativi all’arresto ed alla

richiesta di estradizione dalla Turchia di OMER AY con allegata relativa

traduzione in lingua italiana;

- fotocopia di missiva in lingua tedesca datata “10. may 1982”, diretta al

Presidente del S.P.D. Willy BRANDT a Bonn scritta dal difensore di

OMER AY, con allegata traduzione in lingua italiana; in detta missiva

l’estensore, fa appello a BRANDT per intercedere al fine di evitare che

OMER AY, che si è qualificato socialdemocratico possa essere estradato

nel proprio Paese;

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- fotocopia di missiva in lingua tedesca datata “Bonn, DEN 25. May 1982”

a firma di Klaus- Henning Rosen, dell’Ufficio Personale di Willy Brandt,

diretta a “Herr Rechtsanwalt Dr. Matthias K. Scheer”, con allegata

traduzione in lingua italiana che si trascrive integralmente “..Willy

BRANDT mi prega di ringraziarti per il tuo scritto, nel quale intercedi per

il cittadino turco OMER AY che chiede asilo. Su richiesta di Willy Brandt

ho pregato- il Ministero della Giustizia Jurgen Schmude di accogliere la

pratica;

Cartellina di colore bianco dal titolo “BULGARIAN CONNECTION”,

contenente:

- lettera dattiloscritta in lingua inglese con annotazione a mano datato

“June 15,1983” diretta alla STERLING, scritto su carta intestata JUDITH

HARRIS AJELLO, Piazza del Collegio Romano, 1/A Roma 00186 - Tel

678-5971”; si rilevano riferimenti al giornalista Marco NESE, ai Giudici

MARTELLA e IMPOSIMATO, ad AGCA, CELENK,WALESA,

ANTONOV, D’AMATO, omicidio CALVI, MARCINKUS, CAVALLO,

SANTOVITO, SCRICCIOLO, Ivan DONTCHEV;

- nr. 5 fogli di carta intestata a ‘COSMOS CLUB - WASHINGTON”

interamente manoscritti in lingua inglese relativi alla società bulgara

KINTEX;

- 4nr. 2 fogli dattiloscritti in lingua inglese che inizia con “interview,

domenica del corriere, jan 2, 1983 with Barbara Karovic in Swintzerland,

age 36. Former Hungarian spy now supported (the authors, Norberto

Valentini and Marcella Zacconi, say) by the CIA”; nel documento si

rilevano riferimento a Guido GIANNETTINI, FELTRINELLI ed

all’attentato al Papa;

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Cartellina di colore bianco dal titolo GRILLMAYER, contenente:

- nr.1 fotocopia in cui sono riprodotti nr.3 documenti in lingua tedesca dai

quali si rilevano i nominativi di GRILLMAYER e AGCA;

Cartellina di colore bianco dal titolo “CELENK”, contenente:

- nr.8 fogli di colore giallo manoscritti, in lingua inglese; all’inizio del

primo foglio si rileva il nominativo “Raymond Kendall”; si rilevano

riferimenti a AGCA, BEKIR CELENK, ORAL CELIK, CELEBI,

VALENTINO DI PERSIO (INTERPOL ROMA), ARSAN, GALIP

YILMAZ, RAMAZAN SENGUN, ERDAL UENAL ed altri;

- fotocopia di telex nr.3901/10 del 19.10.1982, in lingua tedesca,

trasmesso da “WDR - Koel, Tuerk-Redaktion” alla “reportredaktion,

Bayerisches Fernsehen”, con allegato documento di due pagine in lingua

italiana, verosimilmente, traduzione del telex; il documento in lingua

italiana fa riferimento alle ricerche di BEKIR CELENK;

- telex nr.”4221 1310 1629” in lingua tedesca trasmesso da “Muenchen,

Bayersches Fernsehen, “Report-Redaktion” a “Frau Sonnhuter” e “Frau

Matthies”, con allegato documento di due pagine in lingua italiana,

verosimilmente, traduzione del telex; in quest’ultimo documento vengono

elencate alcune risposte a quesiti su BEKIR CELENK, posti,

verosimilmente, dal destinatario del documento;

- documento in lingua italiana in cui vengono elencate una serie di quesiti

sul conto di OMER MERSAN, sulla ditta di import-export Warda

collegata con ABUZER UGURLU, sulle illecite attività di BEKIR

CELENK e di SARAL, questi ultimi

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collegati con l’attentato al Papa, quesiti rivolti da Silvia MATTHIES e

Beatrice SOUHUETER della Redazione di Report ai Dr. VOLMANN

della Procura della Repubblica di Monaco;

- foglietto “MEMORANDUM” contenete annotazioni manoscritte in

lingua inglese; si rilevano riferimenti ad ATTILA SARAL e CELENK;

- messaggio, in lingua inglese, “UNCLASSIFIED” trasmesso dall’

Ambasciata di Ankara al Consolato di Istanbul, datato Dicembre 1981,

all’oggetto “VEHICLE TRACE” ;nel messaggio vengono richieste

informazioni su un veicolo da fornire alla STERLING;

- documento di 3 pagine “MEMO OF CONVERSATION - Cil Ackerson”

datato “Dec. 9, 1982”; si rilevano riferimenti a BEKIR CELENK, SAMIR

ARIS, HENRI ARSAN, MUSA CELEBI, ERDAL UENAL, ORAL

CELIK, CATLI, SENER ed altri;

- nr.6 fogli manoscritti in lingua inglese, da cui di rilevano riferimenti a

CELENK, ATALAY SARAL ed altri;

3 - Contenitore di colore verde contraddistinto con il nr. “A3”, nel cui

interno tra l’altro:

Cartellina di colore bianco dal titolo “TERPIL”, contenente:

- opuscolo in lingua inglese “THE ANTITERRORISM AND FOREIGN

MERCENARY ACT” relativo all’udienza innanzi la sottocommissione

sulla sicurezza ed il terrorismo del Senato degli USA datata 23 settembre

1982; si rilevano evidenziazioni nella parte relativa alle illecite attività di

Edward TERPIL e Paul WILSON;

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Cartellina di colore bianco dal titolo “RUSSIA - KGB”, contenente:

- documento di 5 pagine in lingua inglese; si rilevano ampi riferimenti al

KGB ed all’attentato al Papa;

- fotocopia di documento di 3 pagine in lingua inglese “from:

URSS Oggi June 1981” “WHERE DOES THE TRACK OF THE

ASSASSINATION ATTEMPT ON THE POPE LEAD? -

Vladimir Katin, political observer of the Novosti Agency”; in alto alla

prima pagina del documento si rileva il timbro con dicitura

“TRASLATION - American Embassy - Rome” datato 18 agosto 1981,

allegato al documento un ritaglio stampa del New York Times dal titolo

“U.S. Protest Soviet Innuendo on Shooting of Pope”;

Cartellina di colore bianco dal titolo “SCRICCIOLO”, contenente:

- documento di tre pagine, in lingua inglese, datato 13 aprile 1983:

“MEMO OF CONVERSATION - Giuliano Torrebruno, Scricciolo’ s

lawyer”;

N.B. TORREBRUNO Giuliano potrebbe identificarsi nel difensore di

Luigi Scricciolo, così come viene riportato a pag. 251 del libro “Anatomia

di un attentato” della STERLING;

- nr. 3 fotocopie di documenti di cui i primi due in lingua inglese ed il

terzo in lingua francese; il primo su carta intestata “AMERICAN

FEDERATION OF LABOR AND CONGRESS OF INDUSTRIAL

ORGANIZATIONS” datato 8 aprile 1981 a firma IRVING BROWN e

diretto a Luigi SCRICCIOLO; il secondo sempre sulla stessa carta

intestata, datato 10 marzo 1981 a firma di IRVING BROWN e diretto a

OTTO KERSTEN; il terzo datato “Paris, le 8 november 1982” che inizia

con “Cher Ami” e

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termina con” Avec les salutations cordiales d’un ami, qui dans sa fonction

actuelle ne peut se nommer”.

Cartellina di colore bianco dal titolo “JUDICIAL”, contenente:

- documento in lingua inglese datato 11 settembre 1982 “MEMO OF

CONVERSATION - FROM : Judith HARRIS, Rome to: Tony Potter,

NBC News, New York REF: Meetings 9/10 and 9/11 with Dr.

Marchionne of DIGOS”; nel documento viene fatto riferimento a OMER

AY, GRILLMAYER, TINTNER e MAJORCA CONNECTION.

Cartellina di colore bianco dal titolo “NBC etc.”, contenente:

- documento di 14 pagine in lingua tedesca di Lutz Bergann

(documentazione di Silvia Matthies e Trixi Sonhueter) con allegata

traduzione in lingua italiana, dalla lettura di quest’ultimo documento si

evince trattasi di notizie relative all’arresto avvenuto a Stoccarda il 10

marzo 1982 di tre siriani fortemente sospettati di aver preparato un

attentato terroristico ad Aquisgrana contro i membri della comunità

musulmana ortodossa. Dalle indagini emerse che il responsabile

dell’Ufficio Stranieri di Aquisgrana, Udo B., concedeva illegalmente

permessi di soggiorno a stranieri. L’autore, proseguendo, evidenzia che

anche all’ufficio stranieri di Monaco è stato scoperto nella primavera dello

stesso anno uno scandalo simile , infatti venivano concessi, dietro

compenso di grosse somme di denaro, permessi di soggiorno a stranieri

illegalmente entrati in Germania. Il cittadino turco RUHAN IZIDES era

l’intermediario di questa illecita attività avrebbe trovato beneficio il turco

RAFET MERSAN, zio di OMER MERSAN, quest’ultimo in

collegamento con AGGA espulso dalla

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Germania nel 1979 e rientrato dalla Jugoslavia attraverso Aquisgrana;

- documento dattiloscritto di 7 pagine in lingua tedesca di Beatrice

SONHUETER e Silvia MATTHIES con allegata traduzione in lingua

italiana; tema del documento “Mandanti dell’attentato al Papa”; si rilevano

riferimenti alla estradizione di OMER BAGCI in Italia; alle connessioni

tra la mafia turca e gli estremisti di destra turchi; alla società WARDAR di

Monaco; a RAFET MERSAN, zio di OMER; a BEKIR CELENK e

ATALAY SARAL;

- fotocopia di documento di tre pagine in lingua inglese con annotazioni

manoscritte, si rilevano riferimenti a OPUS DEI, IOR, CALVI,

MARCINKUS, HILLARY Franco, CARBONI e CORONA;

- documento dattiloscritto in lingua inglese composto da 28 pagine dal

titolo “TO KILL A POPE” di JUDITH HARRIS AJELLO;

- documento dattiloscritto in lingua inglese, composto di l0 pagine, dal

titolo “YURSRASLAN Intvw”; si rilevano riferimenti a CATLU

(CATLI), AGCA e SENER;

Cartellina di colore bianco dal titolo “OMER MERSAN”, contenente:

- documento dattiloscritto in lingua inglese dal titolo “Excerpt, Turkish

Military Court Indictment ABUZER UGURLU; si rilevano riferimenti

allo stesso ABUZER UGURLU, a traffici attraverso il trasporto a mezzo

TIR, alla società KINTEX, alla società VARDAR, a SELAM GULTAS e

BEKIR GULTAS;

- documento dattiloscritto in lingua inglese composto di 4 pagine

“TRASLATION - At the Dorneck-Thierstein Judical Office - Dornach,

May 15, 1984”; trattasi verosimilmente della

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traduzione del documento allegato in lingua tedesca; si rilevano

riferimenti a OMAR MERSAN, alla KINTEX, a Marcel Thommen;

allegati al gruppo di documenti altri due fogli in lingua inglese datati 17

maggio 1984 e relativi a MERSAN;

- Telefax trasmesso da Karl Mahne ; Stuttgart a W.B. McHerny e D.O.

Fuller, New York Office, Legal Department datato 14 ottobre 1983, in cui

tra l’altro si rileva il riferimento alla STERLING, con allegato documento

in lingua inglese relativo a OMER MERSAN; in questo documento si

rilevano riferimenti a MERSAN, S.N. TOPUZ, AGCA;

- foglio manoscritto in lingua inglese in cui si rilevano riferimenti a

UGURLU;

- missiva dattiloscritta in lingua inglese, datata 1 settembre 1983 diretta al

Giudice Ilario MARTELLA con la quale, quest’ultimo, veniva informato

su notizie relative a OMER MERSAN, come personaggio coinvolto in

traffico di eroina e conosciuto dalla DEA americana;

- due biglietti manoscritti in lingua inglese relativi ad OMER MARSAN e

contenenti le informazioni di cui alla lettera precedente;

- lettera “CONFIDENTIAL” in lingua inglese, datata 30 agosto 1983,

diretta al Giudice MARTELLA; nella missiva si fa riferimento a tale

Bernard Baecher, del quale si fornisce l’indirizzo ed il numero telefonico

francese e a tale Marcel Thommen, con l’indirizzo svizzero;

- foglio di colore giallo manoscritto che inizia con “INTERPOL”, Paris” ;

si rilevano riferimenti a MUSA CERDAR CELEBI, ABUZER UGURLU,

MEHMET SENER, DURMUS, ATTILA SARAL;

- documento dattiloscritto in lingua turca, composto di 22 pagine datato

4.5.1982 con timbri a secco di colore rosso; si rilevano numerosi nomi

turchi tra i quali ABUZER UGURLU;

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- documento dattiloscritto di 12 pagine in lingua francese che inizia con

“Rapport de la Brigade des Stupefiants de la Police cantonale de ZUG, du

17 juin 1980 par l’assistante de police Berther a l’intention du parquet de

Bale-ville, si rilevano riferimenti alla società “WARDA ou WARTAR” e

“Interprise Continental” di Monaco, a tale “Oemer (phonetique), Selon

Thomen e Chavit. Il documento fa riferimento, verosimilmente, ad un

traffico di stupefacenti dalla Turchia verso l’Europa attraverso il trasporto

con TIR;

-messaggio in lingua tedesca del “BUNDESKRIMINALAMT

WIEBSADEN nr.5744” trasmesso alla “01 Paris REDAKTION

READER’S DIGEST” con allegata verosimile traduzione, in lingua

italiana, in cui si informa, facendo seguito ad un telefax del 16.06.1982,

che competenti per le indagini sull’attentato al Papa sono le Autorità

italiane e che pertanto “Ad esse sono perciò riservate anche le

informazioni sulle inchieste da Voi promosse nella Repubblica Federale

Tedesca” consigliando, di voler prendere contatti con le Autorità Italiane;

- documento composto di due pagine, in lingua inglese, che inizia con

“Cumhuriyet (December 20, 1982) Gultas Brothers are Perteners with

UGURLU”; si rilevano riferimenti a OMER MERSAN, alla società

VARDAR di Monaco, a UBUZER UGURLU, ad AGCA;

- documento in lingua inglese di tre pagine che inizia con “December 21,

1982 (Cuhuriyet)” trattasi verosimilmente della continuazione del

documento precedente; anche qui si rilevano riferimenti ad AGCA,

MERSAN, UGURLU, HARUN GURUL, alla società VARDAR;

- nr.3 fogli di colore giallo manoscritti contenente riferimenti ad AGCA,

UGURLU MERSAN ed alla società VARDAR di Monaco;

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- fotocopia di missiva in lingua turca datata “Bayreuth, 12. August. 1981”

diretta a UGUR MUMCU; si rilevano riferimenti a OMER MERSAN,

AGCA, alla CIA, al MIT e ad altri;

- mitssiva, in lingua inglese, diretta a “Dott. Ilario MARTELLA” datata

“August 30,1983”; si rilevano riferimenti a OMER MERSAN, alla

compagnia VARDAR, a MARCEL THOMMEN, a UGURLU, ad AGCA,

a CELENK e ad altri;

- missiva in lingua italiana, “CONFIDENZIALE”, diretta al Dott. Ilario

MARTELLA a firma STERLING, con la quale si informa che: ““Walter”

è Bernard Baecher, 6 Place Mont-Dore -68720 Wittennheim (presso

Mulhouse) - FRANCIA - tel: 00331/89/50/501169”.

Il suo datore di lavoro è: Marcel Thommen - Thalstrasse 60 -CH -4113

Fluh - Svizzera”;

- missiva su carta intestata “VERLAG DAS BESTE”, in lingua inglese,

diretta alla STERLING a firma di INGEBORD WEISS, datata June

9,1983, con allegato dattiloscritto composto di 8 pagine, in lingua tedesca,

relativo alla trascrizione dell’intervista a OMER MERSAN.

4 - Cartella di colore verde, con scritto sul dorso “TURKEY” contenente:

- vari fogli manoscritti, block-notes in lingua inglese; non si rilevano

riferimenti all’attentato al Pontefice, tutta la documentazione contenuta

sembra riferirsi a fatti anteriori alla vicenda di cui è processo.

***********

6.1.3. Il sequestro nell’abitazione di Cortona.

Anche la documentazione rinvenuta e sequestrata presso il rustico

in località Vallecchie Montanare 23 del Comune di Cortona (AR) è

particolarmente ponderosa e di rilievo.

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Contenitore intitolato “CAVALLO - ROULETTE - AGCA -COVERT

ACTION - LIBEL”, contenente:

- documento dattiloscritto in lingua inglese relativa a:

“Memo of Conversation - April 11 and 13, 1984” con “YUSUF AYDIN,

Deputy Director, Turkish National Security”;

“Memo of Conversation - April 11, 1984” con “Ankara police chief

ISMAIL BAYCHIL, Assistant head of external relationals, National

Security Police”;

“Memo of Conversation - April 15, 1984” con SAMI SOYDAN, deputy

chief, narcotics investigations, National Security Police”;

“Prof. Sharif Erman - April 17, 1984”.

Cartellina di colore marrone riportante l’annotazione manoscritta a penna

di colore rosso “CAVALLO”, contenente:

- documento dattiloscritto, in lingua inglese, che inizia da pag.2 fino a pag.

10; si rilevano riferimenti alla “caso SCRICCIOLO”, alla vicenda CALVI-

IOR, PAZIENZA, CARBONI, CAVALLO e ANTONOV;

Fascicoletto dal titolo “Roulette” contenente:

- missiva del “CSIS - Center for Strategic & International Studies -

Georgetown University - Washington DC” datata il febbraio 1987 a firma

del Presidente AMOS A. JORDAN, con allegata traduzione della missiva

dalla quale si evince che la STERLING non risulta mai essere stata

consulente o impiegata retribuita dal Centro di Studi Strategici ed

internazionali;

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- foglio manoscritto in lingua inglese, nel quale sono riportati riferimenti a

LEDEEN e ad HENZE;

- documento datifioscritto in lingua inglese, composto da 3 pagine, con

correzioni a mano, datato “Nov.18,1986”, si rilevano riferimenti ad

AGCA e alla pista bulgara;

- pubblicazione statunitense dal titolo “COVERT ACTION -Information

Bulleetin - Number 23” contenente vari articoli sulla pista bulgara con

riferimenti alla STERLING ed ad HENZE. Si rileva, peraltro a pag. 21, un

capitolo intitolato “Martella, Priore, and Italy’s Unfunny Judicial Farce”;

- articolo dal titolo “A EST DI PRAGA” di Mario SCIALOJA, pubblicato

sul settimanale “L’ESPRESSO” del 29 novembre 1987, contenente

un’intervista alla STERLING sulla pista bulgara. Si rilevano riferimenti

alla pubblicazione di cui al punto precedente “COVERT ACTION”

definita da SCIALOJA come “specializzata in problemi di spionaggio”

che ha sostenuto “che la bulgarian connection è stata ideata e messa a

punto per la protezione politica di Kissinger e Haig da un trust di

specialisti radunato attorno al Centro di ricerche strategiche internazionali

della Georgetown University. Tra questi ci sarebbe lei (la STERLING

n.d.r.) HENZE, Robert MOSSE allegato alla CIA ed ideologo della guerra

psicologica antisovietica) e Michael LEDEEN (ex consigliere di HAIG e

politologo specializzato in affari italiani”. La STERLING alla domanda di

SCIALOJA risponde che la pubblicazione “COVERT ACTION” è una

rivista semi clandestina più che sospetta che fa informazione

filocomunista. Io non ho mai fatto “parte del centro di ricerche della

Georgetown University...”.

Cartellina di colore marrone dal titolo “LAW SUITS” contenente:

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- missiva in lingua inglese, datata 20 ottobre 1984, a firma “Michael A.

Ledeen” diretta alla STERLING con allegati documenti riguardanti il

Generale Jan SEJNA relativi a “the list of person he told me had been trained

by the GRU in Czechoslovakia for terrorist activies” che “At the time I

received it, I sent one copy you and another copy to Cossiga, who was -then

Interior Minister. The writing in ballpoint is Sejna’s the writing in ink is

mine”.

Allegati alla lettera: un foglio manoscritto con elenco di nomi e annotazioni

varie;

- fotocopia di un’intervista al Generale Sejna a “Giancesare Flesca of

L’Espresso in my office at the Washington Quertely. L’Espresso never

published it”; articolo, in lingua inglese, dal titolo “From Prague to Rome by

Michael LEDEEN” scritto per “Il Giornale Nuovo” di Milano;

- missiva dattiloscritta della STERLING all’Avv. FLAMMINI relativa alla

querela di Cesare CAPPELLINI, in cui la scrittrice informa che LEDEEN le

ha mandato della documentazione autografa del Generale SEJNA,

comprendete una lista di nomi scritta di pugno dallo stesso Generale;

- documentazione, in lingua inglese, raccolta insieme da un foglio riportante

la scritta “Pleaser”, avvocato dello studio BLUM e Nash di Washington; la

documentazione è relativa ad una richiesta di informazioni alla FBI

statunitense di documentazione declassificata relativa al “caso Curiel”. Si

rileva corrispondenza tra l’ufficio legale di BLUM e NASH a firma

PLESSER con la CIA e fotocopia di alcuni documenti dell’FBI, in parte

obliterati, trasmessi all’Ufficio Legale dall’FBIFreedom of Information -

Privacy Acts Section Recorde Management Division;

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Busta di colore giallo riportante l’armotazione “FRANCESCO PAZIENZA”,

contenente:

- missiva in lingua inglese, scritta su carta intestata “ALFRED SHERZ

VERLAG” datata “Berne, May 25, 1983”, diretta alla STERLJNG, a firma

JURGEN LUTGE;

- minuta di una lettera in lingua inglese diretta a “Bob BARTLEY- Wall St.

Journal 22 Cortland St. New York. NY 10007”; si rilevano riferimenti alla

pista bulgara, PAZIENZA e SANTOVITO; sulla prima pagina si rilevano le

annotazioni manoscritte “Telex RCA - 232011” e “Aug 20/85”;

- minuta di una lettera, in lingua inglese, diretta a “Ambassador Maxwell

Rabb - US Embassy Rome, Italy” in cui la STERLING fa presente che è in

atto una campagna di disinformazione internazionale sulle investigazioni da

lei portate avanti per l’attentato al Papa precisando che non ha mai lavorato

per la CIA nè mai conosciuto Francesco PAZIENZA.

Contenitore riportante sul dorso la scritta “AGCA update e triai”, contenente:

- dattiloscritto, in lingua inglese, relativo a conversazione con “Johann

Gassert, German of BKA attached to Italian Criminalpol last four years,

leaving this Sunday. Lunch in Via S.F. di Sales Sept. 28, 1984. (Phone

Munich); si rilevano riferimenti a CELENK, CELEBI, MARTELLA,

ATALAY SARAL, Cristoforo LA CORTE e giudice PALERMO;

- telex dattiloscritto in caratteri di colore rosso, in lingua inglese, datato 9

luglio 1983, trasmesso da “NAGORSKI/ROME” a

“WHITAKER/FOREIGN” ; si rilevano riferimenti al sequestro di Emanuela

ORLANDI, AGCA,

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ANTONOV, AYASOV; la seconda parte del telex sembra riferirsi ad una

intervista AGCA;

- documento dattiloscritto, in lingua turca di due pagine datato “Bayreuth, 2

A.ralik.1980” a firma di Suleyman Necati Topuz, diretto a Sayn Cithat Alpan;

il documento risulta allegato ad altro documento dattiloscritto in lingua

italiana, verosimilmente, traduzione dal primo TOPUZ porta a conoscenza

delle Autorità turche presso l’Ambasciata Sofia due fatti. Il primo che OMER

MERSAN non avrebbe nessun legame con ambienti politici ma egli è

“l’aiutante di Fikri Kocakerim che lavora per conto della famiglia UGURLU”

e che la denuncia nei confronti di MERSAN “oppure se vogliamo diceria, è

stata fornita alla vostra Ambasciata, proprio dagli uomini della famiglia

UGURLU che lavorano insieme ai Servizi Segreti della Bulgaria, a scopo di

confondere le idee”; il secondo punto èrelativo alla morte di MEHMET

OMER Topal a Sofia in quanto “vittima di un complotto organizzato dalla

polizia segreta Bulgara e dalla famiglia UGURLU” per la quale aveva

lavorato mantenendo i contatti con gli autisti dei TIR di nazionalità tedesca

per il contrabbando di sigarette. Motivo della morte sarebbe stata la

conoscenza della circostanza che la famiglia UGURLU era collegata per il

traffico di stupefacenti con le società KINTEX bulgara;

- foglio dattiloscritto in lingua inglese in cui si rilevano riferimenti ad AGCA,

ANTONOV ed alla Mafia turca;

Cartellina di colore arancione contenente:

- fotocopia di documento dattiloscritto in lingua inglese, classificato

“CONFIDENTIAL”, datato 31.1.1984, proveniente dall’Ambasciata degli

Stati Uniti di Roma all’oggetto

““BULGARIAN CONNECTION” TO PAPAL

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ASSASSINATION ATTEMP: CASE AGAINST ANTONOV”” si rilevano

riferimenti a ANTONOV, MARTELLA e FORLANI;

- due foglietti manoscritti in lingua inglese che iniziano con la dicitura

“Tanino Scelba, …”;

- dattiloscritto in lingua inglese che inizia con “John: An immediate

precedent to a prisoner swap betwen Bulgaria and Italy was the case of Victor

Pronin… “ e termina “Judith – 12/20/83”; in calce annotazioni manoscritte;

- foglietto dattiloscritto in lingua francese relative a informazioni

sull’Ambasciatore della Bulgaria a Roma, RAIKO MARINOV MIKOLOV;

Contenitori riportanti sul dorso la dicitura “DALLA CHIESA –

BADALAMENTI – MAFIA WOMEN – PIPPO CALO’ – CARLO

PALERMO – SINDONA – AMBROSOLI – PAZIENZA – MAFIA REST

OF ITALY – LIGGIO – MESSINA – CHINNICI – TRAPANI –

EPAMINONDA” contenente:

- busta trasparente dal titolo “Palermo Judge Carlo Interviews –

Corrispondence”, contenente:

- fotocopia di dattiloscritto in lingua inglese “FROM: Judy TO:

Mike/Paola” datato 9 dicembre 1986, relativo ad un articolo stampa scritto da

Pino BUONGIORNO sulla rivista PANORAMA, concernente l’esportazione

di armi da parte della SELENIA e OTO MELARA all’Iran ed Iraq;

- Dattiloscritto in lingua inglese composto da tre pagine dal titolo

“MEMO OF CONVERSATION – judge CARLO PALERMO – Sept. 7,

1983, Trento”, verosimilmente, trattasi di una intevista al Giudice

PALERMO; si rilevano riferimenti ad

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ARSLAN, WAKKAS AL DIN, UGURLU, PAZIENZA, CELENK ed altri;

- dattiloscritto in lingua inglese composto di 4 pagine dal titolo “Excepts from

interview, judge Carlo PALERMO - Trento March 22-23, 1983”;

- dattiloscritto in lingua inglese di 5 pagine dal titolo “MEMO OF

CONVERSATION - Judge Carlo PALERMO - Trento March 22-23, 1983”;

- foglio dattiloscritto in lingua inglese “Memo of conversation Oct.28,1983.

At Trento. His bodyguards, two, break in with coffee”; si rilevano riferimenti

a ARSLAN, giudice PALERMO, P2, CELENK, UGURLU;

- nr.6 fogli intestati alla “CAMERA DEI DEPUTATI” con annotazioni

manoscritte in lingua inglese che iniziano con “Questions - Trento”, si

rilevano riferimenti a AGCA, ARSLAN, ANDREOTTI, CELENK, CARLO

PALERMO, WAKKAS AL DIN, OZDEMIR, ROSSANO BRAZZI,

GIOVANNELLI, PAZIENZA, SANTO VITO, KOFLER, Sen. D’AMATO

ed altri;

-foglio dattiloscritto in lingua inglese “Carlo Palermo, Trento 11.19.84”; si

rilevano riferimenti a GIOVANNONE, CELENK, GAMBA, KINTEX,

GHASSAN, ARSLAN e PARTEL;

- copia di lettera dattiloscritta in lingua italiana diretta al Giudice PALERMO,

datata 27 settembre 1983; nella missiva viene fatto riferimento al libro “the

Puzzle Palace”, sulla N.S.A. che si occupa, secondo quanto precisato nella

lettera, “di ascolto elettronico e perciò sistemi di ascolto”;

- foglio manoscritto in lingua inglese che inizia con la dicitura “PALERMO”;

si rilevano riferimenti alla DEA, CIA, NSA, ARSLAN, CANTAS, CELENK,

PAZIENZA, GHASSAN, CHINNICI, CIACCIOMONTALTO, UGURLU;

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Documento sparsi

- fotocopia del verbale di interrogatorio di AGCA reso il 20 maggio 1981 al

P.M. Dr. SICA, recante la numerazione progressiva degli atti del processo nr.

184-185;

- fotocopia del telex nr.63/81 del 22 maggio 1981 trasmesso dall’UCIGOS al

BKA di Wiesbaden, concernente i contatti di AGCA con MERSAN;

- fotocopia dell’interrogatorio reso da AGCA innanzi al G.I. MARTELLA in

data 28 giugno 1983;

- fotocopia della requisitoria della Procura Generale della Repubblica presso

la Corte d’Appello di Roma nel procedimento contro BAGCI OMER + altri;

- fotocopia della sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma nel

procedimento contro BACCI OMER + altri;

- fotocopia della sentenza della Corte di Assise di Roma contro AGCA

emessa in data 22 luglio 1981;

- documento dattiloscritto su carta intestata “Questura di Roma” composto di

7 pagine numerate progressivamente, le prime cinque da 67 a 71 mentre le

ultime due da 181 a 182: nel primo foglio (67) si legge l’annotazione

manoscritta “official translation in Italian on AGCA’s memorandum”;

- raccolta delle deposizioni rese da AGCA al Giudice MARTELLA nelle

seguenti date: 8/9-11-82; 31-3-83 (stralcio); 8-1-83 (confronto tra

AGCA/ANTONOV); 16-6-83 (stralcio); 28-6-83 (stralcio); 28-5-82

(stralcio); 8-1-83 (confronto AGCA /ANTONOV); 23-6-83 (stralcio); 29.6.83

(stralcio); 7-1-83 (stralcio); 20-12-82; 22-12-82; 29-4-82: 28/29/30-10 e 1-11-

82; 1/2/4/6/7-5-82;

- fotocopia di manoscritto in lingua turca firmato MEHMET ALI’ AGCA,

scritto su carta intestata “Questura di Roma”.

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Da questo breve excursus sull’ ingentissimo materiale sequestratole e sulle

sue dichiarazioni al Congresso degli Stati Uniti emerge in tutte le sue

dimensioni l’attivismo della STERLING al riguardo dell’attentato,

dell’ambiente turco in cui s’erano mossi gli Ulkulu, della Bulgarian

Connection. Ella ha infiniti rapporti in Europa, negli Stati Uniti, in Turchia e

Medio Oriente; moltissime persone dei più disparati ambienti le riferiscono;

colleziona, connette elabora, dai Governi dei grandi Stati alle organizzazioni

terroristiche, dai disegni di politica estera alle attività dei Servizi e delle

istituzioni pubbliche e private, dai mass media agli atti processuali. E’ al

centro di ogni relazione che riguardi l’attentato, si prende carico dei

collegamenti con il sequestro ORLANDI. Ha i riflettori su ogni novità in

Turchia e Bulgaria. Canalizza senza dubbio le sue informazioni ed

elaborazioni verso gli opportuni terminali istituzionali. Fa giornalismo

investigativo e forse più. Quasi si può dire che sia la coordinatrice delle

investigazioni sul caso. Certo si può affermare che se l’inchiesta ne avesse

tempestivamente seguito le mosse, maggior luce ne sarebbe derivata sui nodi

di essa più intricati e ad oggi ancora non dipanati.

***********************

6.1.4. L’audizione dinanzi alla Commissione del Congresso U.S.A..

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Di rilievo per la comprensione della figura e delle attività di Claire

STERLING i testi della sua audizione dinanzi alla Commissione del

Congresso degli Stati Uniti sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa in

udienza pubblica sull’attentato al Papa, in Washington il 23 settembre 82.

Cioè nello stesso mese in cui era uscito - preceduto di poco dall’altrettanto

noto libro bianco dell’NBC “The man who shot the Pope. A study in

Terrorism”- sul Reader’s Digest il famoso articolo della detta STERLING

“The plot to murder the Pope”.

La scrittrice così esordisce “Spero di non sembrare immodesta se dico

che il crimine di cui stiamo parlando non si sarebbe mai avvicinato alla

soluzione, se i membri della stampa come me non avessero tentato di seguire

gli indizi disponibili”. Aggiunge poi una perspicace intuizione - ben 16 anni

fa –”….. nessuno dei Governi interessati ha mai desiderato che l’indagine

giungesse a conclusione, che tutti in qualche modo hanno evitato di seguire

gli indizi anche più promettenti, che puntavano ad Est, per non guardare in

faccia la realtà, anche se ritengo che tutti sapessero, in via generale, senza

avere una conoscenza precisa o specifica dei dettagli, chi stesse dietro a

questo atto mostruoso.

Stima poi - e anche qui percepisce un’altra fondamentale verità - che

non si è trattato di un complotto semplice. Il mandante doveva assolutamente

trovarsi “distante”, a parecchi meridiani di distanza, ella dice, tanto da avere

la totale garanzia che sarebbe stato impossibile trovare prove dirette che

potessero collegarlo al crimine, qualsiasi cosa che andasse oltre le prove

circostanziali e le congetture. La STERLING abbraccia quindi la tesi del

diaframma: l’entità che dà il mandato si premura - ma non potrebbe essere

altrimenti - di frapporre tali e tante distanze, tali e tanti passaggi, tra sè e gli

esecutori, da rendere più che difficile se non impossibile risalire ad essa.

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Anche il governo più inesperto o il servizio più rozzo non avrebbero mai

operato senza il diaframma.

Individua quindi un altro obbiettivo nella entità mandante. L’attentato

doveva apparire un crimine di matrice turca. Queste le sue parole: “E’ stato

fatto ogni sforzo, uno sforzo accurato e minuzioso, affinchè sembrasse

l’opera di un turco condannato in Turchia come un assassino fascista, in

modo che il mondo avesse l’impressione che questa società strana,

mussulmana, fanatica, turbolenta, caotica, estranea al mondo cristiano, ma

pur sempre un Paese membro della NATO, fosse il Paese che ha inviato

l’emissario che doveva uccidere il Papa”. La ulteriore ricaduta

dell’operazione doveva perciò consistere in un allargamento della frattura già

esistente tra la Turchia e il resto della NATO inclusi gli Stati Uniti.

La STERLING passa di seguito ad enumerare le sue scoperte. La prima

quella dei conti bancari aperti a nome del terrorista, cioè di MEHMET ALI’

AGCA, a partire dal dicembre 77. Costui aveva dichiarato che proprio

nell’estate di quell’anno era entrato in un campo di addestramento palestinese

a Beirut, della formazione “Fronte Popolare per la liberazione della Palestina”

cioè il PFLP di George HABBASH. Egli vi era stato condotto da TESLIM

TORE, istruttore in quel campo, che lo aveva prelevato a Damasco, lo aveva

portato al campo e al termine del periodo di istruzione, lo aveva fatto rientrare

via Damasco in Turchia.

Riferisce inoltre, a parte commenti sui comportamenti di AGCA nel

periodo di tempo che va sino alla fuga da Kartal Maltepe, le scoperte sul

passaggio in Bulgaria e cioè il visto di uscita dalla Turchia era falso mentre

quello d’ingresso in Bulgaria era autentico, così come era autentico il visto di

uscita dalla Bulgaria per la Jugoslavia. Redige poi lo schema dei rapporti

di AGCA in Bulgaria nelle sette settimane di

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permanenza a Sofia. Quindi la successione dei suoi viaggi, mettendo in

evidenza come il turco, uscito dalla Turchia con una personalità falsa

appositamente costruita, abbia lasciato forti tracce dei suoi contatti con i Lupi

Grigi, cioè con una formazione neonazista; come telefonando a figure di

primo piano degli Ulkulu dagli alberghi passando per il centralino, o portando

la Browining con la matricola originale, di modo che si risalisse

all’organizzazione di destra e all’armaiolo neonazista. Evidenzia infine la

“messinscena” che doveva indurre, nell’ambito di poche ore dall’attentato, i

media mondiali a ritenere che si fosse trattato di un attentato della destra, che

non aveva nulla a che fare con le forze o i terroristi di sinistra e i Paesi

dell’Est.

Nelle dichiarazioni esibite a detta Commissione la STERLING riassume

i suoi accertamenti ed indica le persone con cui ha avuto contatti, che pertanto

sono stati le sue fonti oltre che di fatti e circostanze anche di penetranti analisi

politiche con conseguenze sulla ricostruzione delle premesse dell’attentato. E

conclude con frasi inquietanti: “Un giorno AGCA forse racconterà i suoi

segreti a un indulgente giudice italiano, che senza dubbio li passerà ad un

governo italiano in apprensione. In Italia, come, quasi dappertutto in

Occidente, i leaders politici difficilmente vedono di buon occhio le prove

certe della complicità dell’URSS in un atto terroristico diretto

deliberatamente a scandalizzare e scioccare il mondo. L’impatto sulle

relazioni internazionali potrebbe essere disastroso. La tentazione di girarsi

dall’altra parte potrebbe essere ancora una volta troppo forte, come già

successo di frequente” .(v. audizione STERLING, Commissione del

Congresso USA 23.09.82).

Queste parole sono state pronunciate e scritte sedici anni fa, quasi ai

primi passi dell’inchiesta sull’attentato.

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6.1.5. Commenti.

Nella documentazione sequestrata nelle abitazioni della STERLING,

come s’è detto, numerosissimi atti di rilevante interesse, che solo l’angustia

del tempo ha impedito di esaminare a fondo e che nella prossima inchiesta a

stralcio si spera lo siano, in tutte le loro valenze.

In primo luogo, tra le carte dell’abitazione romana di via S.Francesco di

Sales, i quattro volumi dell’ordinanza cd. MARTELLA, di cui non risultano

nè le modalità nè il tempo dell’acquisizione, esaminata e commentata a fondo

con sottolineature e glosse a margine o su centinaia di stick applicati su

numerosissime pagine, tutte in lingua inglese. Quindi una infinità di appunti

manoscritti e sempre in inglese su eventi e persone di Turchia, note

dattiloscritte e ritagli di giornali anch’essi di origine turca, schizzi sulle

guerriglie kurde in Turchia, Irak e Iran, appunti su attentati di matrice armena

ad obbiettivi turchi consumati anche in Italia. Infine - sempre per quanto

concerne il sequestro nella casa romana, contenitori con raccolte di

pubblicazioni varie sulla destabilizzazione della Turchia, sui problemi della

sicurezza nel Golfo Persico; un saggio redatto da Paul HENZE dal titolo

“Coping with terrorism. What do we know? What can be done?” per una

conferenza della SISAV ad Istanbul nell’ottobre dell’82; un secondo saggio

sempre del predetto dal titolo “Goal: destabilization. Soviet Agitational

Propaganda, Instability and Terrorism in NATO South” per il seminario

“NATO’S Southern Flank, the Mediterranean and the Persian Gulf”, a Napoli

nel settembre 81; appunti su tutti i personaggi del processo, in particolare su

AGCA, di cui annota ogni particolare, a partire dalle sue prime attività e

delitti; appunti su contatti a Roma;

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appunti dettagliatissimi sui suoi viaggi; una serie di documenti a stampa

dattiloscritti e manoscritti in lingua turca.

Sempre nell’abitazione romana sono state rinvenute numerosissime

copie degli atti istruttori compiuti sia a Roma che in commissioni rogatorie da

quest’Ufficio, anch’essi abbondantemente sottolineati, evidenziati e glossati.

Altri contenitori con ritagli di stampa italiana e turca, copia della lettera del

settembre 82 spedita da AGCA al Cardinale ODDI, fotografie di

documentazione bancaria turca del 79 intestata a MEHMET ALI’ AGCA,

appunti con “official statement” dell’inquirente, memo di conversazioni con

funzionari di polizia e difensori di imputati, appunti su voci provenienti dagli

inquirenti e riversate a giornalisti sul complotto ai danni del Pontefice e su

quello a danni di WALESA, copie di atti del BKA e di altre autorità tedesche.

Nell’abitazione di Cortona in Vallecchie Montanare altrettanti, ed

interessantissimi, reperti.

In primo luogo rubriche con recapiti telefonici di magistrati inquirenti e

giudicanti, funzionari di polizia addetti al caso, avvocati, tra cui il difensore di

AGCA. Le agende dell’86,90,91,92,93 ove sono riportati incontri con

funzionari FBI,DEA, dell’Ambasciata USA e numerosissime telefonate anche

a magistrati italiani e stranieri, e in Paesi dell’Est europeo. L’originale della

lettera di Michael A. LEDEEN alla STERLING sul generale Jan SEINA e le

sue rivelazioni sul terrorismo italiano, con allegata la nota di pugno di questo

generale sui nomi degli italiani addestrati in Cecoslovacchia. Copie delle

pubblicazioni “The crime in St Peter’s square” di Eduard KOVALYOV e “Il

complotto dei neocrociati” di Bojan TRAIKOV, “Gli assurdi di

un’istruttoria” di Bogonul RAINOV. Copie di dossier dell’Agenzia A su

CALVI, il Papa, l’Islam e la

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CIA. Raccolte di carte su DALLA CHIESA, BADALAMENTI, le donne

della mafia, Pippo CALO’, Carlo PALERMO, SINDONA, AMBROSOLI,

PAZIENZA, LIGGIO, MESSINA, CHINNICI, TRAPANI, EPAMINONDA.

Videocassette sull’attentato e appunti su rogatorie in Turchia. La copia di un

telegramma “confidenziale” dell’Ambasciata USA a Roma alla Segreteria di

Stato e per conoscenza alle Ambasciate USA di Sofia, Mosca e Belgrado, e a

“NATO collective”, con oggetto la Bulgarian Connection nell’attentato al

Pontefice; telegramma nel quale si riportava un’informazione proveniente

dall’interno del Gabinetto del Primo Ministro, secondo cui il magistrato

istruttore ““had” gone too far” in pushing his case against bulgarian airlines

employee ANTONOV, and that the matter had now become a “delicate

problem””; telegramma che interpretava questo testo nel senso che il

magistrato istruttore “had committed himself to ANTONOV’s guilt beyond

what evidence would bear and that the Italian Government is now in a pickle

as to what to do next”.

___________________

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Capitolo secondo

Il sequestro presso FERRACUTI Franco

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Altra perquisizione e conseguente sequestro è stata quella nei confronti

delle abitazioni del professor Franco FERRACUTI, figura più volte emersa

nella presente istruzione, i cui collegamenti saranno confermati dalla

documentazione rinvenuta, anche se essa appare minima rispetto a quella che

doveva essere conservata dal FERRACUTI prima della sua morte.

In effetti presso l’abitazione di Roma, alla Via Giuseppe MARCHI,

furono rinvenuti soltanto due fascicoli contenenti più cartelline, molte delle

quali vuote o con documenti pubblici, come risulta dal relativo verbale di

sequestro.

Documentazione sequestrata presso l’abitazione di Roma via Giuseppe

MARCHI, contenente due fascicoli:

- cartellina di colore rosso, riportante sul dorso la dicitura “TERRORISM

MISCELLANEOUS”, all’interno vuota;

- cartellina di colore beige riportante sul dorso la dicitura “SISDE”,

all’interno vuota;

- cartellina di colore beige riportante sul dorso la dicitura “CIS”,

all’interno vuota;

- cartellina di colore rosso riportante sul dorso la dicitura “AGCA”,

all’interno vuota;

- cartellina di colore marrone, riportante sul dorso la dicitura

“ANTONOV” contenente, tra l’altro,:

-diario clinico della Casa Circondariale Roma - Rebibbia di

ANTONOV SERGHEJ IVANOV;

- sentenza nr.571 datata 14.3.84 della Corte Suprema di Cassazione, che

disponeva la ritraduzione dell’ANTONOV nella Casa Circondariale di

Rebibbia;

- consulenze PSICHICO-FORENSI sulla persona di SERGHEJ

ANTONOV, eseguite dai Prof. DE VINCENTIS e Prof. Ivan TEMKOV;

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- copia del processo verbale di perizia con il quale il Dott. MARTELLA -

G.I. - titolare dell’inchiesta dell’attentato al Papa, nominava i periti per

procedersi a perizia medico-legale collegiale sulla persona di ANTONOV

SERGHEJ; periti nominati: Prof. Franco FERRACUTI - Prof. Mario

SANGIORGI - Prof. Angelo FIORI.;

- perizia psichiatrica sulla persona di SERGHEJ ANTONOV a firma dei

Prof. : FERRACUTI, FIORI e SANGIORGI;

- missiva manoscritta in lingua inglese, datata Washington 9 giugno 1984

a firma di Paul B. HENZE. Si rilevano riferimenti all’attentato al Papa ed a

Claire STERLING.

-rir. 2 videocassette (SISTEMA BETAMAX) con la seguente dicitura:

1) “MISTER GAME” - Reg. 8.6.82-1 parte;

2) “THE MAN WHO SHOT THE POPE” - 9.12.82 -record - ch/4

NBC;

- missiva dattiloscritta in lingua inglese datata 19 june 1984, su carta intestata

“BASYC - BEHAVIORAL ASSESSMENT SYSTEMS CONSULTANTS”

con allegato un dattiloscritto in lingua inglese, relativo, verosimilmente ad un

profilo di soggetto.

Analogo risultato anche nella perquisizione di MONTOTTONE ove le

stesse cartelline dedicate ad interessanti argomenti appaiono contenere

soltanto ritagli di stampa. Unico sequestro di rilievo la copia di una lettera su

carta Semerari al Direttore dell’Unità sull’affare MARESCA.

Così il verbale di sequestro:

cartellina di colore grigio riportante sulla copertina un foglietto spillato con la

dicitura “AGCA”, contenente:

- copia redatta in lingua straniera e relativa traduzione del rapporto di

osservazione emesso dalla Repubblica Turca nei

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confronti di MEHMET ALI’ AGCA, per l’imputazione di omicidio

volontario del giornalista ABDI IPEKCI;

- opuscolo in lingua inglese del “CENTER FOR STRATEGIC AND

INTERNATIONAL STUDIES GEORGETOWN UNIVERSITY” all’oggetto

“THE INTERNATIONAL IMPLICATIONS OF THE PAPAL

ASSASSINATION: A CASE OF STATE-SPONSORED TERRORISM”, a

firma ZBIGNIEW BRZEZINSKI e ROBERT H. KUPPERMAN;

- ritagli stampa estera;

- fotocopie di un articolo dal titolo “Clandestine Operations in Italy: the

Bulgarian Connection by Vittorfranco 5. Pisano”, Winter 1984;

- “THE ADJECTIVE CHECK LIST”, relativo al profilo di AGCA;

- cartella di colore azzurro riportante sul dorso la dicitura “SEMERARI”,

contenente ritagli di stampa;

- cartella di colore azzurro riportante sul sorso la dicitura “TERRORISMO

VARIE”, contenente ritagli stampa;

- cartella di colore azzurro riportante sul dorso la dicitura “AGCA”,

contenente ritagli di stampa;

- cartella di colore verde riportante sul dorso la dicitura “SISDE”, contenente

ritagli stampa;

- fotocopia di una lettera manoscritta su carta intestata “Prof. Dott. ALDO

SEMERARI”, di cui si trascrive il contenuto;

“Roma 24.3.1982 - Egregio Dott. Claudio PETRUCCIOLI, non le sto a

spiegare il perché di questa mia decisione. Chiaro e crudo le dico che sono io

la reale e veritiera fonte fomitrice dell’informazione che la cara Marina

MARESCA coraggiosamente ha sbandierato a onor del vero agli italiani. Mi

riferisco a quella parte degli italiani che amano la patria e che mal sopportano

le angherie di questo governo ladro e burattino. Sono il perito di RAFFAELE

CUTOLO e da egli ho

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appreso la successione degli eventi relativi al rapimento CIRILLO e alla

intercessione ditale PATRIARCA, al fine di trovare il modo più comodo

(tramite la camorra) per il pagamento del riscatto e il consequenziale riscatto

dell’ostaggio. Marina non mi ha detto dell’intervento segreto del Banco di

Napoli e ne’ ci ha detto che la prima richiesta fatta dalle BR (per bocca di

CUTOLO) fu di presentare un carico di armi in cambio della vita miserabile

di CIRO CIRILLO. Che rilasciassero MARINA MARESCA. La verità fa

tanta paura.

________________________

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Capitolo Terzo

Le dichiarazioni di BRUNO Francesco

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6.3.1. L’intervista del febbraio 94

Nel febbraio del 94 fu rilasciata dal noto professor BRUNO

un’intervista sul delitto a giudizio, nella quale veniva riproposta l’ipotesi del

progetto di ferimento e non d’uccisione del Sommo Pontefice. Questo il testo.

L’attentato al Papa del 13 maggio 1981? “E’ stato organizzato

appositamente per ferire e non per uccidere Giovanni Paolo Il. E

l’avvenimento non veniva certo da Est”.

Francesco BRUNO, docente di Psicologia forense all’Università La

Sapienza di Roma, già insegnante di Criminologia all’Istituto superiore di

Polizia, dal 1978 al 1987 funzionario nella divisione tecnico-scientifica del

SISDE (il servizio di sicurezza civile), non si cela dietro fumosi giochi di

parole.

Prima di abbandonare i Servizi, in coincidenza con l’arrivo della

cosiddetta “banda dei quattro”, il vertice SISDE oggi al centro dello scandalo

dei fondi neri, il professore BRUNO ha lavorato a lungo sul caso

dell’attentato al Papa.

Con i documenti alla mano, in questa intervista esclusiva concessa a 30

Giorni, getta una nuova luce sul caso. “Anche se dall’87 non faccio più parte

del SISDE sarei tenuto al segreto. Ma se ho deciso di parlare è perché credo

sia finita un’epoca. E ritengo opportuno che finalmente si accerti la verità

anche su questi fatti”.

Lei afferma che ALI’ AGCA, l’attentatore turco che sparò a papa

Wojtyla in piazza San Pietro, non aveva l’ordine di uccidere ma solo di ferire

il Pontefice. Su quali elementi basa la sua ipotesi?

BRUNO: La mia è più che un’ipotesi, si basa su elementi concreti. In

primo luogo l’analisi della traiettoria. Anche se i giornali dell’epoca,

opportunamente “imbecca ti “, hanno

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descritto il colpo come sparato dal basso verso l’alto. Pura disinformazione.

In realtà è avvenuto l’esatto contrario. Il colpo che ha ferito il Papa è stato

sparato dall’alto verso il basso: èpenetrato nel ventre ed è uscito dal gluteo,

non viceversa. Lo si può vedere molto chiaramente dalle foto che ritraggono

AGCA in una posizione innaturale per un killer che vuole uccidere:

con la mano che sporge tra la gente e la canna della pistola puntata verso il

basso. Per colpire mortalmente un bersaglio che stava più in alto di lui -

ricordiamo che il Papa si trovava in piedi sulla camionetta - bastava fare

esattamente il contrario. Tenere il braccio più al sicuro da sguardi indiscreti e

puntare la canna dell’arma verso l’alto, verso il tronco. In qualsiasi scuola di

tiro insegnano a puntare al tronco: è la parte più grande del corpo umano e

non c’è il rischio di sbagliare. Mentre l’innaturale movimento di AGCA è

l’unico modo per colpire il bersaglio nella parte bassa del corpo.

Non potrebbe trattarsi di un errore, magari dovuto all’emozione o alla

posizione di AGCA in mezzo alla folla?

BRUNO: Non credo. Anche perché la traiettoria non èl’unico elemento

tecnico che mi fa dire che si voleva ferire e non uccidere. C’è anche la pistola.

Uno che vuole colpire mortalmente il Papa - cioè un attentato non ripetibile e

contro il più importante bersaglio che esista al mondo - usa uno strumento

adeguato. Se si vuole uccidere bisogna adoperare un arma dal calibro adatto.

Invece la Browning usata dall’ attentatore era una pistola che nessun killer

serio utilizzerebbe mai per ammazzare qualcuno. Lo dimostra il fatto che il

Papa, colpito, si accascia su se stesso ma non viene spostato indietro dalla

forza d’urto del proiettile, pur essendo stato colpito da una breve distanza. E

ciò che uccide è la forza d’urto della pallottola. Qualunque killer lo sa. Per

uccidere avrebbe usato una P38, una pistola seria. AGCA è un killer

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professionista, è uno che spara e ammazza al primo colpo. Lo ha già fatto,

uccidendo con freddezza il giornalista turco ABDI IPECKI nel febbraio del

79. Inoltre un killer spara tutto il caricatore, mentre il 13 maggio furono

sparati tre o quattro colpi, anche se questo ancora oggi non è stato ben

chiarito, e ciò dimostra che fin dal primo giorno si è cercato di attribuire la

paternità dall’attentato al KGB attraverso i bulgari e non di accertare la verità

e l’esatto svolgimento dei fatti. Mi sembra quasi impossibile che nessun

giornalista si sia mai chiesto come si sia potuta ritenere credibile la versione

ufficiale che parla di un colpo sparato dal basso in alto e quindi entrato dal

gluteo e uscito dal ventre: come poteva AGCA’ sparare in questo modo se si

trovava davanti e non dietro al Pontefice?

Lei afferma che questi sono elementi evidenti a tutti. Perché non si è

mai saputa la verità?

BRUNO: Nell’ambiente degli addetti ai lavori fu chiarissimo fin dal

primo momento che l’attentato doveva servire da avvertimento, anche se poi

il colpo, pur sparato verso il basso, per poco non uccideva il Papa, che si è

salvato solo grazie all’inadeguatezza dell’arma e quindi al calibro delle

pallottole usate. Bastava un qualunque perito balistico per dimostrarlo,

bastava uno studio serio sulla traiettoria dei colpi. Purtroppo di questo non si

è neanche parlato al processo, tutto è imbastito per dimostrare la cosiddetta

“pista bulgara”, per attribuire all’ “impero del male” sovietico l’attentato

contro il Papa polacco. Nei documenti e negli appunti interni ai Servizi credo

che invece non ci fossero dubbi al riguardo. Poi però gli appunti e le relazioni

interne vengono inoltrate ai vertici dei Servizi e quindi diramate alle autorità

ufficiali: e lì allora molte volte le cose cambiano. Per noi comunque era

chiaro che si voleva mandare un segnale a Giovanni Paolo Il e non veniva da

Est.

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Allora lei non ha mai creduto alla pista bulgara?

BRUNO: Lo stesso ex capo del Servizio di Intelligence americano Bilì

Casey, in una intervista concessa quando ormai era morente al famoso

giornalista americano Bob Woodword affermò che la pista bulgara fu

“confezionata” dalla CIA. E che l’attribuzione della responsabilità

dell’attentato all’Est comunista, operata grazie ai libri di una disinformatrice

professionale come Claire STERLING, ha accelerato la crisi dei regimi

d’oltrecortina.

Inoltre non dimentichiamoci che è la scelta del killer che indica la

matrice: non si poteva scegliere un killer più affidabile di AGCA, un

esponente di un gruppo fascista turco. Un uomo che probabilmente sapeva di

dover mettere in conto almeno una decina d’anni di carcere nel caso non fosse

riuscito a scappare. Un uomo che comincia a parlare al momento giusto, che

accusa ANTONOV e i bulgari, che parla di Fatima...

Dal momento in cui AGCA spara al Papa esistono poche immagini.

Quel giorno c’erano pochi fotografi e solo in qualche inquadratura è possibile

scorgere la mano del giovane turco con la pistola rivolta verso il basso. Ma

oggi il Giudice Rosario PRIORE, titolare dell’inchiesta sull’attentato, sta

lavorando su alcune nuove immagini. Che cosa può dire al riguardo?

BRUNO: Non so dire su quali nuove immagini sia puntata l’attenzione

degli investigatori. So solo che molte delle foto dell’attentato casualmente

vennero fornite dalla CIA...

Come fa ad affermarlo con tanta sicurezza?

BRUNO: All’epoca lavoravo al SISDE. Vidi in anteprima queste foto

fornite dagli americani. Poi vennero inoltrate alla magistratura.

Ciò significa che forse non c’erano molti fotografi ufficiali ma ve ne

erano di ufficiosi.

************

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6.3.2. L’articolo di CUBEDDU Giovanni.

In effetti, nel corso degli anni, molti sono stati i dubbi sollevati sulla

pista bulgara. In particolare presso la CIA americana. Di tali critiche redige

una breve storia, sempre nel Servizio predetto, Giovanni CUBEDDU, che

sotto il titolo “I passi perduti di AGCA” riferisce di un documento datato 12

marzo 1992 ad oggetto “Sommario di analisi nel tentato assassinio del Papa”

di cui s’è detto nella parte quarta, al capitolo sui Servizi statunitensi. Tale

sommario esplora i cd “Scenari alternativi” nell’ organizzazione dell’attentato

a Giovanni Paolo Il, esulando cioè dalla pista bulgara. Pista, sottolinea il

redattore, smentita da ORAL CELIK ed abbandonata più volte dallo stesso

ALI’ AGCA.

“Molte delle nostre informazioni - riferisce la CIA -precedenti al

processo dell’84/85 (quello tenuto alla Corte di Assise di Roma, ndr)

concordavano con quelle italiane su “ipotesi alternative” incluse le teorie che

AGCA avesse agito da solo o con la complicità di criminali /terroristi...”

“.. .Sulla base di informazioni molto frammentarie, e spesso contraddittorie,

avevamo sviluppato alcune tesi in larga parte fondate sulla vita di AGCA - i

suoi contatti con criminali, contrabbandieri e terroristi, ed il suo tenore di vita

nel periodo dalla fine del 1979 ai primi del 1981... A partire da ciò avevamo

ipotizzato che egli quasi certamente aveva fatto ricorso a tali contatti nel

preparare l’attentato e che potesse aver avuto uno o più complici.. .Avevamo

supposto che durante questo periodo AGCA fosse stato coinvolto in una serie

di crimini, compresi il contrabbando, traffico di droga, estorsione e

terrorismo. Tale supposizione veniva confermata dalla disponibilità di fondi

dell’interessato e dal rapido cambiamento del suo tenore di vita - dalla

povertà al lusso. Egli era già un terrorista condannato

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per omicidio, evaso da una prigione turca e complice di terroristi e

contrabbandieri turchi. L’identikit di MEHMET ALI’ AGCA dunque - una

volta che lo si tiri fuori dalla cornice “prefabbricata” della pista bulgara - è

quello di un mercenario dedito al traffico di droga e al terrorismo”. Giunta a

questo punto la CIA nega però di essere in possesso di una prova

schiacciante.” ...Benché le nostre analisi si sviluppassero su tali linee, non

abbiamo mai potuto avere di queste ipotesi conferme che fossero basate su

prove evidenti, indipendenti e di fonte affidabile. . .In definitiva, non

disponiamo di elementi concreti a sostegno di tali “ipotesi alternative” o di

ciò che èeffettivamente accaduto”.

L’informativa è completata nel marzo 92, quando èdirettore della CIA

Robert GATES, già oggetto di una audizione del Senato USA sui casi di

“politicization” della CIA. E uno dei casi più scottanti di “politicizzazione”,

erano di certo quello delle indagini relative all’attentato al Papa.

Questa è la cronologia redatta dal giornalista: “ Nel settembre ‘91 il

Comitato senatoriale sui servizi di sicurezza, dovendo decidere se ratificare la

nomina di Robert GATES a capo della CIA, si trovò di fronte a vari casi di

“politicization”. In particolare venne alla luce che nell’85, sotto la gestione di

William CASEY, GATES - vicecapo della Direzione Intelligence della CIA,

dopo essere stato assistente del consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniw

BRZEZINSKI - era stato al centro di un caso di “forzatura” dalle indagini

della CIA. Ovviamente per accreditare la responsabilità del blocco sovietico

nell’attentato al Papa. Dalle audizioni di funzionari della CIA, divisa in

fazioni pro e contro la tesi del coinvolgimento URSS.

Da una parte la Commissione senatoriale affermò che “l’attentato non

era stato previsto dalla comunità informativa

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…tuttavia, almeno fino al 1981, gli analisti si erano convinti che Mosca

avesse un accordo ufficioso con il Papa per moderare le agitazioni in Polonia,

in cambio della promessa sovietica di non intervento. L’opinione generale era

che i sovietici non avrebbero avuto alcun vantaggio a rovinare questa intesa,

anche se non avesse dato risultati da loro sperati”. Dall’altra ricostruì gli

sforzi fatti dalla CIA per alimentare la pista bulgara.

Nel marzo dell’83 vi fu un primo approssimativo rapporto (titolo: “Il

tentativo di uccidere il Papa: una raccolta di notizie”) che escludeva la

responsabilità dell’Est. Nell’84 esce “il tempo degli assassini”, scritto dalla

giornalista Claire STERLING-notoriamente amica di CASEY -‘ che lancia

pubblicamente la tesi della pista bulgara. Dicono gli atti del Senato USA che

CASEY “fu impressionato”, dal lavoro investigativo della giornalista, perciò

commissionò a GATES un altro rapporto - titolo: “Un tentativo di AGCA di

assassinare il Papa: il caso del coinvolgimento sovietico”, aprile ‘85 - per

dimostrare il coinvolgimento dell’URSS. “CASEY e GATES” testimoniò

Melvin GOODMAN, funzionario CIA addetto all’Ufficio analisi sovietiche,

“tentarono inutilmente per diversi anni di ottenere che il DI (la Direzione

Intelligence della CIA guidata da GATES, ndr) trovasse la prova flagrante

che stabilisse la complicità sovietica”. Neanche stavolta gli analisti del DI ce

la fecero. E GATES, disse ancora GOODMAN, per accontentare CASEY fu

costretto a “riscrivere di suo pugno i punti fondamentali e la sintesi della

valutazione”, e a dichiarare in una nota anteposta alla valutazione che “i

sovietici erano direttamente coinvolti”.

La manovra dovette però risultare davvero sfacciata agli stessi

funzionari della CIA. Neanche un mese dopo seguì una nota duramente

critica voluta dal Capo dell’Ufficio studi

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sovietici CIA, Douglas MC EACHIN. Anche questa nota del maggio ‘85

esplora le “teorie cospirative alternative”. E dice che “in modo assai veloce è

stata scartata la possibilità che AGCA, da solo o con qualche esponente della

mafia turca, possa aver pianificato l’attacco indipendentemente dai bulgari o

dai sovietici”. E che comunque “le somme di denaro e i supporti operativi

ricevuti da AGCA. . .indicano che è coinvolto in un qualche complotto”.

Per mettere fine alla guerra interna GATES stesso dovette

commissionare uno studio conclusivo, il rapporto COWEY:

una sorta di “operazione trasparenza” che esaminò i circa 30 documenti

sull’attentato al Papa prodotti dalla CIA dall’ 82 all’85. Ecco il giudizio: “Nei

casi di mancanza di prove evidenti, i documenti furono falsati, le deduzioni

assunsero il ruolo delle prove ed il testo divenne sempre più finalizzato”, cioè

politicizzato. Anche il rapporto COWEY si sofferma sulle “ipotesi

alternative”, dicendo che “meritevole di nota per la sua unicità nel

menzionare scenari alternativi è un appunto dl 17 settembre 1982... Dopo

aver discusso con considerevole accuratezza il materiale a conoscenza della

CIA sul caso, l’appunto concludeva che “le notizie concrete ...supportano

differenti scenari i quali escludono tutti reciprocamente~~~~ .Ese AGCA

fosse stato assassino” su commissione i suoi mandanti sarebbero stati

probabilmente i terroristi turchi”.

*****************

6.3.3. Gli interrogatori di BRUNO Francesco

“Ci fu questa cosa delle fotografie. FERRACUTI era andato via dal

SISDE, ma apparentemente si comportava come ancora ci fosse, almeno per

un certo periodo è stato così. Quindi riceveva ancora molti contatti, molte

cose. E quando ci fu questo attentato al Papa, lui entrò in contatto con i suoi

contatti all’ambasciata americana ed ebbe queste fotografie . . .Non è che

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lui me lo disse, lui mi disse “dagli americani”. Se è stata l’Ambasciata

americana o qualcun altro non lo so. Sta di fatto che lui dette queste fotografie

al Giudice che seguiva all’epoca la vicenda. Anzi un giorno addirittura io

uscivo e lui entrava per prendere proprio queste fotografie ?. . .Io uscivo da

casa del FERRACUTE e il Giudice MARTELLA entrava... Abitava in Via

Marchi, vicino a Viale 21 aprile. Per ora si parlava solo di fotografie,

l’attentatore era stato arrestato e non ci furono commenti particolari . . .SI, le

vidi, numerose, in bianco e nero, grandi, e che facevano vedere molto bene le

persone attorno al Papa e sia la scena dell’attentato da diverse

angolazioni.. .Sì, diverse e fatte dalla piazza, non dall’alto. Non diverse da

quelle che si vedevano sui giornali, non le stesse ma dello stesso tipo. Poi, per

quanto riguarda la vicenda dell’attentato del Papa, naturalmente ne abbiamo

parlato con FERRACUTI. Ne abbiamo parlato volta per volta, man mano che

questo problema diventava nuovamente di interesse dell’opinione pubblica,

che usciva sui giornali e così via.

E quindi lui mi raccontò diverse cose riguardo a questo fatto specifico.

In particolare mi raccontò che una volta, in un suo viaggio negli Stati Uniti,

presso questa fondazione.. .non presso la sede di questa associazione, ma in

un posto dove si era trovato per delle vicende che avevano a che fare con

qué~ta associazione, i suoi ospiti gli fecero vedere questa fialetta, una fialetta

rotta, credo che fosse una fialetta di Sparterina, e gli disse “questa e la fiala

dell’iniezione che è stata praticata a Giovanni Paolo I quando l’hanno trovato

privo di vita per rianimarlo, e tramite le suore era arrivato a questa casa . . .

delle suore in America e da lì era in mano a queste persone. Sulla

interpretazione della morte di Papa LUCIANI, FERRACUTI non si è mai

sbilanciato, non mi ha mai detto “e stato ucciso”. Però mi riportava sempre

questo episodio, me lo ha raccontato

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diverse volte, a riprova che c’era qualcosa di poco chiaro in questa morte e

che probabilmente questo qualcosa di poco chiaro aveva a che fare con lo bR,

con fatti economici, MARCINKUS e così via. Questo è appunto quello che

lui mi diceva.

Successivamente, quando poi è venuta fuori la cosiddetta pista bulgara,

a un certo punto AGCA, decide di collaborare, parla e tira fuori queste sue

confessioni su cui si impianta il processo. E a causa di queste conclusioni qui

vedo praticamente che il processo poi va a finire all’anno 84. Le confessioni

di AGCA sono della fine dell’anno e poi nell’82 credo che arrestino

ANTONOV e ci sia poi l’istruttoria, e poi si arriva al processo che è nell’84 -

85. In queste occasioni lui venne nominato perito di ANTONOV, e mi disse

che ANTONOV era un soggetto poco credibile e che tra l’altro stava male,

aveva una forte depressione, e credo che lui ne dichiarò l’incompatibilità col

regime carcerario e fu ridotto agli arresti domiciliari.

Lui non disse mai “che la pista bulgara non esiste”. Lui disse però che

non avrebbe mai utilizzato ANTONOV o questo tipo di personaggi, perché

non erano assolutamente all’altezza della situazione; gli sembravano più

vittime che non autori. Lui aveva un modo molto particolare di trattare questo

argomento dell’attentato al Papa, perché da una parte lui era apertamente

fiboamericano, aveva collaborato apertamente e scopertamente alla

costruzione della Bulgarian Connection e quindi era stato in contatto con la

CIA, e con strutture della CIA. In particolare aveva fatto una ricerca sui

terroristi italiani, che appunto venne promossa da questa struttura di ricerca

della CIA, la Tetan System Corporated di Washington. Alla fine di questa

ricerca,

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poichè era una ricerca sulla psicologia dei terroristi, non si poneva il

problema politico.

Però per quanto riguarda la droga in particolare, c’era questa tendenza

a voler sottolineare l’importanza dei paesi dell’Est. Quindi la droga arrivava

in Europa e negli Stati Uniti seguendo la via della Bulgarian Connection, che

la portava ad invadere l’Occidente.. .Poi però, quando parlavamo in termini

scientifici del problema, allora analizzavamo un po’ le varie possibilità, e con

lui abbiamo discusso varie volte della dinamica dell’attentato. Io dicevo che,

secondo me, questo attentato era un attentato che non aveva lo scopo di

uccidere il Papa, e lui concordava con questa ipotesi. Anzi lui stesso mi fece

osservare alcune cose riguardanti appunto il fatto che AGCA era un killer

professionista e che invece si era limitato a sparare soltanto due colpi o tre. E

poi appunto la traiettoria, e poi il tipo di arma usata, e tutta una serie di

elementi che lasciavano presupporre nettamente. Lui mi disse che questa

analisi - che peraltro io avevo fatto autonomamente - era condivisa negli Stati

Uniti. Mi disse anche chi l’aveva fatta, però non lo ricordo.

Lui conosceva criminologi, e poi lui conosceva un mondo

estremamente variegato. Cosa c’è da dire riguardo a questo? C’è da dire che

in particolare il FERRACUTI a me dava la sensazione - riguardo alla vicenda

dell’attentato al PAPA in particolare - di saperne molto di più di quello che

lui stesso mi diceva e che esternamente appariva. Perché lui, una volta andato

via dal SISDE, ebbe una grossa depressione . E non soltanto una grossa

depressione, ma un grosso problema di ordine economico, perchè ebbe una

grossa perdita economica e una grossa ferita narcisistica, non sapeva che cosa

fare. Prima voleva ritornare all’ONU; lui era stato funzionario dell’ONU per

parecchio tempo. Però poi se ne fece niente.

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Poi se ne voleva andare in America, poi non andò in America, e

insomma poi alla fine si buttò un po’ sul privato, ma non gli bastava, aveva

bisogno di avere rapporti con centri di ricerca, organizzazioni pubbliche,

eccetera. In particolare si rivolse agli americani, e gli americani fecero due

cose: una èquella ricerca della CIA, che fu un modo anche indiretto di

aiutarlo, lui veniva pagato, e lo fecero poi partecipare a questi meeting che

c’erano in Turchia.

E lui fece due viaggi in Turchia, un primo viaggio nell’ottobre 83 e un

secondo viaggio nell’aprile-maggio dell’84. La cosa che mi stupì molto è che

lui in Turchia praticamente andò e fece conferenze su AGCA, e tornò con la

perizia che era stata fatta da AGCA durante il suo ricovero in un istituto

turco.. .E questa era la copia di un giornale turco in cui si vede FERRACUTI

che ha fatto delle interviste su AGCA. Da questi meeting in Turchia - non

soltanto FERRACUTI ha partecipato, ma anche molti esperti internazionali di

droga e di terrorismo -uscì fuori uno studio grosso pubblicato, e che fu la base

per confermare il discorso della Bulgarian Connection. Quindi la droga arriva

dall’Est, segue la strada della Romania, eccetera, e poi finisce in Turchia e da

lì segue le vie fino al Nord dell’Italia e all’Europa.

C’era STERLING, c’erano tutti questi personaggi qui. Oltre a questo ci

furono tante altre cose. In particolare ci fu questa intervista - io ho il giornale

da qualche parte, ma non sono riuscito a trovarlo - che lui fece all’Unità nel

‘92, poco tempo prima di morire, in cui fu intervistato a testamento. Lui dice

tantissime cose.. .E’ morto il 15 marzo 1992. Quindi l’intervista sarà stata

fatta a gennaio forse o a dicembre. Io non ho trovato quel giornale; ho trovato

questo secondo, e il momento quando lui è morto.

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Quindi c’è un articolo fatto da SETTIMELLI, che era lo stesso

giornalista che aveva registrato le confessioni precedenti. Qui il giornalista

dice “si occupa anche di ALI’ AGCA, dell’attentato al Papa” e c’è la sintesi

di quello che era l’altro articolo. “Di AGCA, l’attentatore del Papa, aveva

detto che era un matto lucidissimo, che era stato pagato da qualcuno per quel

lavoro”. Sulla pista bulgara tirata fuori dagli americani a proposito

dell’attentato al Papa, FERRACUTI aveva parlato di pura e semplice

propaganda. Subito dopo aveva aggiunto “ANTONOV era così cretino che

non l’avrei assunto neanche nel SISMI, altro che un uomo dei Servizi Segreti

bulgari”. Queste sono testuali parole sue. Quindi questo riassume grosso

modo la vicenda delle cose.

Poi ho avuto modo di analizzare un po’ tutto quel che era pubblico su

AGCA, non è che abbia analizzato sul Papa. Per il sevizio mi sono occupato

prevalentemente di alcune lettere che lui mi scrisse quando era in carcere. Lo

è tuttora in carcere, comunque scrisse a un certo punto a vari personaggi, e

allora l’analisi di queste lettere dimostra che il soggetto non è matto come

intendeva farsi passare in un certo momento durante il processo, ma è lucido

e ha scritto delle lettere cercando di fare il matto. Però era evidente che non lo

era. Per il resto direi che di questo tipo di analisi ne ho fatte anche per il

Servizio, div~7rsi appunti e diverse cose, e poi non so che fine hanno fatto,

perché seguivano la strada burocratica.

Naturalmente il fatto dell’attentato al Papa non si esaurisce soltanto

con l’attentato al Papa, perché c’è poi la vicenda ORLANDI, e

successivamente il processo, momento in cui AGCA continua con il suo

atteggiamento di minaccia. Quindi la mia convinzione è che fino a qualche

anno fa il Papa sia stato effettivamente …almeno fino al periodo del processo

e

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anche dopo il processo , sia stato minacciato dai gruppi di cui AGCA in un

certo tempo era l’espressione di killer, con l’intenzione di condizionarlo

politicamente. Poi ho anche tentato di interpretare e di capire quale potesse

essere questo condizionamento...

Secondo me va in quadrato in quel clima particolare di quegli anni a

livello internazionale. Quindi noi abbiamo delle vicende che sono più o meno

contemporanee, in particolare l’elezione di REAGAN negli Stati Uniti.

REAGAN era noto per il suo estremismo e non si sapeva ancora che tipo di

Presidente sarebbe stato. Lui aprì intanto forti preoccupazioni ad Est, perchè

sapevano che avevano a che fare con un avversario che non era duttile e che li

qualificava come impero del Male, che si sarebbe riarmato, e così via. Apri

invece molte speranze ... mi ricordo proprio che il giorno dell’elezione di

REAGAN mi trovavo in Argentina, che ancora c’erano i generali, e nel

giornale argentino c’era scritto “REAGAN, sei le nostre speranze”, perchè

chiaramente era visto come a destra. REAGAN poi si dimostrò in effetti un

buon Presidente, e anche dotato di realismo e di capacità. Però una delle cose

che fece subito . . .intanto aveva da pagare un prezzo a HAIG, per cui HAIG

venne nominato ministro della difesa. E lì ci fu un momento molto critico.

Io tra l’altro mi trovavo in America quando ci fu l’attentato a

REAGAN, ma nel momento dell’attentato a REAGAN, HAIG tentò di

prendere, anche se per pochi minuti, in mano la situazione. HAIG era

purtroppo un soggetto non facilmente controllabile, un falco, ma non era

soltanto un falco, aveva probabilmente anche aspetti megalomani che

potevano essere preoccupanti. Tant’è che fece questo clamoroso errore di

presentarsi agli americani dicendo “adesso ci sono io in carica”. Lui aveva

approfittato del fatto che il vicepresidente era in

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viaggio e quindi, per pochi minuti, secondo lui, in successione, avrebbe

dovuto essere il capo. Questa cosa tra l’altro non era vera perchè prima di lui

non so chi altro c’era. Di fatto fu costretto alle dimissioni subito dopo, perchè

appunto se ne riconobbe la pericolosità. Però il gruppo di HAIG rimase, che

era il gruppo che aveva in mano il Consiglio di Sicurezza, quindi i Servizi

Segreti, le attività della CIA e tutto ciò che dipende dal Consiglio di

Sicurezza degli Stati Uniti.

Questo da una parte. Dall’altra c’era stata l’elezione del Papa polacco.

E significava, dopo un periodo tra l’altro di grossa contrapposizione a livello

di linee politiche all’interno della chiesa, rappresentato dal breve pontificato

di Papa LUCIANI, e delle crisi che avvennero nella Curia in quel momento ...

morto Papa LUCIANI c’era questo nuovo Papa, che tutti sanno molto legato

alla sua terra. E conoscendo il valore del cattolicesimo in Polonia, il ruolo

storicamente avuto, eccetera, era evidente che si potesse preconizzare uno

squilibrio che il Papa avrebbe potuto portare, che avrebbe portato anche

semplicemente la sua presenza fisica andando in Polonia. Cosa tra l’altro che

il Papa fece subito.

E allora è comprensibile in questo clima capire come da parte

dell’Unione Sovietica ci fosse una grossa preoccupazione e quindi potesse

essere venuto il desiderio di far fuori direttamente il Papa. Dall’altra parte

naturalmente il discorso

-era diverso, nel senso che dall’altra parte si è visto il Papa come un

potenziale alleato. Per cui mettendo insieme la politica decisa di REAGAN, il

riarmo e un Papa disponibile a poter fare un gioco politico internazionale

sfavorevole ... ci si è resi conto che probabilmente nell’itinerario per giungere

all’attentato si sono innestati a un certo punto anche questi interessi che sono

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diventati prevalenti e hanno agito. Direi che l’attentato non ha sortito l’effetto

che doveva sortire. Cioè il Papa,

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successivamente all’attentato, non ha cambiato di una virgola la sua politica.

Ma successivamente con la vicenda ORLANDI invece no. Se noi

andiamo a vedere che cosa è successo ci rendiamo conto che il ricatto è stato

molto maggiore. D’altro canto è ovvio che un Papa sia molto più

impressionato da un fatto che riguarda la vita di una ragazzina innocente, che

aveva solo il guaio di essere nata lì e di stare li, rispetto all’attentato alla sua

persona. E questo è ciò che, come mia interpretazione, mi pare che sia

avvenuto in tutto questo periodo, cioè il tentativo di tenere il Papa in una

situazione ricattuale. Non so quanto poi questo periodo si sia tradotto in

effetti, quello che so è che il Papa si èmostrato sicuramente più moderato e ha

cominciato a manifestare nuove attenzioni in seguito alla caduta dell’impero

dell’Est, e lì abbiamo visto che poi la politica del Papa èdiventata una politica

potenzialmente capace di entrare in contrasto con quelli che sono gli interessi

degli Stati Uniti. L’abbiamo visto nella guerra del Golfo. Quindi credo che lo

scopo sia stato ottenuto solo in parte. (v. esame BRUNO Francesco,

24.02.94).

Nel successivo esame, così continua: “Non ho mai avuto rapporti

diretti o mediati con i Reparti operativi del SISDE. Anzi preciso che solo una

volta ebbi contatto con elementi di un Centro operativo in quanto avevo

ricevuto minacce telefoniche. Ritengo che tali minacce erano da riferirsi al

concorso per cattedra universitaria al quale stavo partecipando e gli anonimi

intendevano farmi desistere dal partecipare in quanto avevo molte probabilità

di vincere.

Ritengo che il motivo per il quale FERRACUTI consegnò direttamente

al Magistrato le foto dell’attentato al Papa è che

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FERRACUTI era già fuori dal Servizio e perché si riteneva il n.2 del

Servizio.

Ricordo che FERRACUTI, in contrasto con il proprio carattere, non si

era mai sbilanciato sulle responsabilità relative all’attentato al Sommo

Pontefice. Diceva che il suo attivismo nei confronti della ricerca di libertà per

i Paesi dell’Est poteva essere probabilmente un motivo scatenante per un

eventuale attentato al Papa. Secondo lui l’attentato era opera di “servizi” ad

alto livello e sofisticati, e ciò anche per la vicenda della ipotesi di AGCA

pazzo, che egli faceva rientrare nel piano degli organizzatori dell’attentato.

Questa è stata la sua prima impressione. Andando più avanti nel tempo,

quando FERRACUTI venne coinvolto nel processo come perito d’ufficio per

ANTONOV ritenuto dallo stesso un “cretino”, disse che i Servizi bulgari

erano un covo di incapaci, associandoli per analogie alla CIA, che secondo lui

era piena di persone incapaci. Per FERRACUTI il migliore Servizio Segreto

era il “MOSSAD”. Aveva anche molta fiducia nella “F.B.I.” e nella “D.I.A.”,

il servizio militare statunitense.

La “Bulgarian Connection” nasce scientificamente all’interno del

“National Security Council”. Parteciparono a questo progetto il colonnello

Oliver NORTH e Mike LEDEEN, che erano appoggiati in parte da una

struttura della “CIA”, il “Centro Studi Strategici” di Washington molto vicina

àlla politica di HAIG. Secondo i loro studi ciò che succedeva di negativo nel

mondo era causa della Russia che veniva indicata come l’impero del male.

Tutto il traffico di stupefacenti, secondo i loro studi, passava dalla Bulgaria

ed attraverso i TIR giungeva in Occidente. Al fine di pubblicizzare tale teoria

vennero pubblicati alcuni libri scritti dalla nota Claire STERLING e da altri

scrittori legati a questi ambienti. La “Bulgarian Connection” e “l’attentato al

Papa” sono due cose

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probabilmente diverse, ma hanno come comune denominatore la

partecipazione della Bulgaria e della Turchia cioè degli stessi gruppi.

“FERRACUTI non credeva minimamente alla teoria della “Bulgarian

Connection” ma contribuì alla costruzione di questa teoria.”

Chiestomi la motivazione di questo atteggiamento contraddittorio di

FERRACUTI rispondo: dopo la scoperta della sua appartenenza alla P2 ha

avuto alcuni problemi con la propria famiglia, che non aveva mai approvato

l’iscrizione alla massoneria, in quanto la moglie era cattolica e i figli su

posizioni di sinistra; per effetto dell’allontanamento dal SISDE per cui veniva

a perdere le entrate economiche che gli arrivavano dal “servizio”; con la

perdita delle entrate che gli derivavano dalla sua attività di consulente per

l’ONU; ha avuto problemi anche con l’Università ove gli era stata inflitta

anche una censura. A tutto ciò si aggiunse, tempo dopo, una accusa di falso in

perizia nei confronti del mafioso BADALAMENTI. Contemporaneamente

cominciavano ad uscire sui giornali notizie che lo attaccavano e lo

accomunavano a SEMERARI accusato della strage di Bologna. A causa di

tutto ciò dopo alcuni anni e precisamente Ìiel febbraio 1985 decise di lasciare

l’Italia per un lungo periodo, essendosi nel frattempo, legato con gli

Americani. Ricordo che già nell’1982 aveva iniziato i contatti con il sopra

citato DSI e nell’ottobre del 1983 aveva già fatto il primo viaggio in Turchia

per uno studio sul narco-terrorismo, ospite del governo turco.

Motivi della sua partenza dall’ Italia sono stati principalmente la storia

di SEMERARI e la vicenda della perizia di BADALAMENTI.

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Avendo dei problemi in Italia FERRACUTI capì che doveva

avvicinarsi a qualcuno che lo potesse proteggere e sostenere, quindi si rivolse

agli americani. Lo spinsi anch’io ad andare in America. Ritengo che

FERRACUTI lavorando per gli americani non poteva sottrarsi a tale lavoro,

cioè alla c.d. costruzione della “Bulgarian Connection”, quindi lo fece, anche

perché non poteva rifiutarsi per i motivi che ho accennato.

Per la vicenda dell’ “attentato al Papa” il “servizio” poco fece nella

immediatezza del fatto, in quanto i vertici erano in subbuglio per la vicenda

della P2. Dopo qualche tempo io venni interessato per analizzare le lettere che

l’AGCI scriveva e dalle quali si notava, apparentemente, che l’estensore non

era probabilmente nelle piene facoltà psichiche. Io analizzai il contenuto delle

lettere e capii che il loro contenuto era artefatto cioè che l’estensore voleva

farsi passare per pazzo ma in realtà non lo era. Ravvisai nelle lettere una

minaccia per il solo fatto che fossero state spedite. Ricordo che una era diretta

al Papa ed un’altra invece era diretta ad una personalità influente degli Stati

Uniti.

L’ipotesi mia e del FERRACUTI relativa alla volontà dei mandanti di

ferire il Papa e non ucciderlo nasce molto tempo dopo probabilmente dopo il

secondo processo AGCA. Per quanto mi riguarda la mia ipotesi nasceva dalla

lettura dei giornali e ricordo che FERRACUTI mi diceva che anche qualcuno

in America era della stessa opinione. Egli basava la sua ipotesi di ferimento

sull’utilizzo di AGCA della pistola Browning e della traiettoria del proiettile.

Io invece ero convinto e basavo la mia ipotesi basandomi più sull’analisi

politica.

Non ho mai avuto a disposizione per le mie analisi documenti del

“Servizio” che si riferivano all’attentato al Papa.

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Ricordo che quasi sicuramente accennai di questa mia ipotesi al capo

del “Servizio” PARISI. Non ricordo i commenti espressi da PARISI. Anzi

preciso di non essere sicuro se ne parlai con PARISI mentre esercitava le

funzioni di Capo del SISDE o mentre esercitava quelle di Capo della Polizia.

Ricordo che ne parlai nel contesto relativo ad un colloquio sulla vicenda del

sequestro di Emanuela ORLANDI.

Non conosco i nominativi degli elementi del SISDE che si sono

occupati, nel tempo, della vicenda relativa all’ “attentato al Papa”.

Ricordo che un elemento del “Servizio”, probabilmente nel periodo che

AGCA scriveva le lettere, si recò in carcere per parlare con AGCA. Non

conosco il nominativo o i nominativi dell’elemento che si incontrò con

AGCA. Probabilmente, poiché CRISCUOLO era il direttore di uno dei settori

operativi, egli potrebbe essere uno di questi elementi. Forse è andato anche

BONAGURA, che era un direttore di divisione. Io venni a conoscenza di

queste visite, in quanto un mio collega mi disse di essere stato fortunato in

quanto se fossi stato presente, mi sarei dovuto recare da AGCA. Dai

commenti fatti a seguito di questa visita ricordo che il “Servizio” rimase

deluso in quanto ritenne AGCA un disinformatore.

Il giornalista che ha firmato la mia intervista al settimanale “30giorni”

ha travisato in alcuni passaggi il mio pensiero. Laddove egli scrive “Per noi

comunque era chiaro che si voleva mandare un segnale a Giovanni Paolo Il e

che questo segnale non veniva da Est”, per “noi” deve intendersi per me e

FERRACUTI e non per il “Servizio”. Anzi preciso per me solo in quanto

questa è soltanto una mia interpretazione.

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Il mio convincimento secondo cui “l’attentato al Papa” è stato l’invio

di un messaggio deriva proprio dal fatto del ferimento del Pontefice, cioè nel

senso che si voleva ferirlo e non ucciderlo. Il messaggio, come ho già riferito

precedentemente, non veniva dall’Est, in quanto si voleva condizionare

l’attivismo del Papa nei confronti di questi Paesi. Il messaggio veniva

chiaramente dall’Occidente o meglio dagli americani di REAGAN in quanto

il vero obiettivo di questi ultimi, era condizionare la politica del Papa, a fare

che questi cioè il Papa, mettesse il suo potere al servizio dell’Occidente e non

dell’Est. Poiché il potenziamento bellico dell’Est era in continua espansione,

gli americani erano preoccupati dalla politica di apertura del Pontefice; si

voleva perciò rallentare questa apertura e secondo me, il mezzo è stato

l’attentato.

Il Pontefice probabilmente non recepisce o non vuole recepire il

messaggio. Gli americani allora intervengono mettendo in atto il sequestro di

Emanuela ORLANDI. Nella continuazione di questa mia ipotesi, in una fase

preordinata di questo sequestro si inserisce la figura di AGCA che dopo

qualche mese afferma che il sequestro è da addebitare ai “Lupi Grigi” e che

l’obiettivo sarebbe stato quello della sua liberazione. Successivamente

interviene questo fronte del “Turkesh” che comincia a mandare dei chiari

elementi che giustificano la loro effettiva gestione del sequestro. Questi

messaggi fanno capire che dietro l’organizzazione si trovano i “preti”, tant’è

che i messaggi arrivano alla curia e nelle parrocchie. Il Papa comincia a

seguito di questo sequestro ad essere molto più prudente. Questo si nota nei

viaggi in Polonia. L’atteggiamento del Papa in questi viaggi è stato molto più

prudente. In particolare nel viaggio in Polonia fatto dopo il rapimento di

Emanuela ORLANDI si vede cambiato il suo atteggiamento, nel senso che

invita alla calma, cioè diventa un

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moderatore invitando ad un compromesso tra il leader di “Solidarnosc” ed il

premier della Polonia. L’atteggiamento del Papa cambia nuovamente dopo lo

scandalo IRANGATE in quanto riesce a liberarsi dal ricatto del gruppo che

aveva organizzato, secondo la mia ipotesi, prima 1’ “attentato al Papa” e poi

il sequestro di Emanuela ORLANDI. (v. esame di BRUNO Francesco,

26.03.94)

“Continuando il discorso relativo alla mia ipotesi sull’attentato al Papa,

cioè che si voleva ferirlo e non ucciderlo, faccio presente che oltre all’articolo

di MONTANELLI, di cui ho parlato nel corso della mia ultima testimonianza

alla S.V., ho avuto modo di leggere un articolo pubblicato sul n. gennaio-

febbraio del 1984 di “Polizia Moderna” a firma di Bruno BARTOLONI en di

Vittorio CITTERICH. In questo articolo intitolato “Un Papa un uomo si

fanno vasti riferimenti all’attentato subito dal Pontefice si riportano tra

virgolette le parole che AGCA avrebbe confidato “Io ho mirato giusto, io

volevo uccidere” inoltre si esprimono giudizi sia sulla morte di Giovani Paolo

I attribuita solo ad un problema di salute sia sull’attentato a Giovanni Paolo Il

che si attribuisce all’esaltazione religiosa ed alla scarsa sicurezza del Papa di

quel periodo, dicendo chiaramente” che non furono nè i servizi dell’Est, nè i

servizi deviati dell’Ovest ad organizzarlo”. Anche tale articolo secondo la mia

interpretazione ha lo scopo, probabilmente ispirato da ambienti vaticani, di

sottolineare l’intenzione di uccidere manifestata da AGCA e di togliere

qualunque importanza politica all’avvenimento. Tutto ciò potrebbe

confermare, sempre a mio parere, l’esistenza di uno sforzo, da parte della

Curia, in questo momento, tendente a banalizzare l’attentato e a ricondurlo al

semplice atto

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inconsulto di un fanatico e non sano di mente.(v. esame di BRUNO

Francesco del 16.04.94)

“Ritornando al discorso relativo all’attentato al Pontefice voglio

sottolineare che nella giornata di ieri è comparso sui quotidiani “IL

MATTINO” e “L’UNITA”’ un articolo non firmato dal titolo “E il Papa

confidò a MONTANELLI: “Il dramma di AGCA”? Non avermi ucciso.” Il

contenuto dell’articolo si riferisce ad una cena riservata tra Indro

MONTANELLI e Papa Giovanni Polo Il avvenuta in Vaticano il 5 luglio

1986. Nel corso di questa cena il Papa avrebbe confidenzialmente raccontato

al giornalista che durante il suo incontro del dicembre 83 con ALI’ AGCA

avrebbe notato che l’attentatore “era rimasto traumatizzato non dal fatto di

avermi sparato ma dal fatto di non essere riuscito, lui che come killer si

considerava infallibile, ad ucciderlo”. Secondo la mia interpretazione posso

notare alcune caratteristiche che mi pongono dei dubbi riguardo al contenuto

dell’articolo, e soprattutto al suo significato. Innanzitutto mi pare da

sottolineare la coincidenza della pubblicazione di questo articolo che avviene

dopo otto anni il fatto e solo dopo il mese scorso quasi tutti i giornali hanno

pubblicato la notizia che AGCA probabilmente secondo la mia

interpretazione non voleva uccidere il Papa, quindi sembra quasi una risposta

alla mia intervista. Da questo punto di vista sostanziale mi colpisce il fatto

che il detenuto AGCA abbia manifestato tanta arroganza nei confronti del

Papa, che pure andava a rendergli visita ed implicitamente a perdonarlo, da

riferire una confidenza cioè da rammaricarsi di non averlo ucciso, peraltro

anche l’atteggiamento dello stesso Pontefice, così come viene descritto mi

sembra “poco cristiano” poichè tra le tante cose, riferisce l’unica che non ha

che vedere con il pentimento. In altri termini

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tutto ciò mi sembra poco plausibile sul piano psicologico e sul piano logico; e

se ciò è avvenuto effettivamente secondo quanto riferito dal Papa e dal

giornalista ciò avrebbe, a mio parere, un implicito valore di conferma della

mia ipotesi in quanto AGCA avrebbe utilizzato parte di questo colloquio, pur

andando contro se stesso, proprio allo scopo di convincere del contrario di

quelle che erano le sue intenzioni. Ritengo importante sottolineare che la data

del colloquio con MIONTANELLI, 5 luglio 1986, potrebbe essere utilizzata

come simbolica della fine concreta delle condizioni ricattuali legate alle

vicende dell’ “attentato al Sommo Pontefice” ed al “rapimento di Emanuela

ORLANDI” e ciò in quanto lo scandalo IRANGATE colpisce Washington

nel 1985, costringe MAC FARLAINE alle dimissioni nel dicembre 85 e porta

allo sgretolamento del gruppo di potere a cui si è fatto riferimento nei primi

mesi del 1986. (v. esame BRUNO Francesco, 09.04.94).

^^^^^^^^^^^^^

6.3.4. Commenti.

Le dichiarazioni del prof. BRUNO mostrano più aspettfdi rilevante

interesse e sono sostenute da argomentate motivazioni. La tesi centrale però

del discorso di BRUNO, che l’attentato cioè non avesse come fine la morte

del Pontefice bensì il suo ferimento, ovvero che fosse un atto di minaccia per

coartarne la volontà, si scontra con gli esiti della perizia in atti. Giacchè, se a

sostegno della sua tesi BRUNO pone un tiro dal basso verso l’alto, la perizia

conclude, con motivazione allo stato indiscussa, in senso contrario.

_______________________

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Capitolo quarto

Conclusioni

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Le dette aeree di indagini purtroppo non sono state percorse per intiero.

La prossima inchiesta dovrà affrontare al riguardo più questioni: l’effettivo

ruolo, cioè, della STERLING nelle indagini; le ragioni e le circostanze della

scomparsa dei dossier di FERRACUTI, la fondatezza dell’ipotesi BRUNO.

__________________

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Parte settima

Gli ultimi fatti

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Capitolo primo

L’attentato di Sarajevo dell’aprile 97

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Che il Sommo Pontefice resti obiettivo privilegiato del terrorismo

internazionale ed in particolare di quello di origine islamica, che potrebbe

tutt’oggi avvalersi di manovalanza turca ed attuarsi su territori a forte

prevalenza musulmana, èconfermato dal fallito attentato, che doveva

consumarsi il 12 aprile scorso, a poco più di due mesi dal termine di questa

istruzione, a Sarajevo in occasione della visita papale a quella città martire.

Il fatto apparve l’indomani sulla stampa, che indicava come sospetti

autori del progetto quattro cittadini turchi apparentemente collegati con

l’organizzazione di ORAL CELIK e compagni, cioè dei Lupi Grigi.

Allertata l’Interpol, la sezione bosniaca da ultimo così rispondeva:

“Secondo la versione ufficiale del Ministero dell’Interno della Federazione

della Bosnia-Herzegovina, il 12.04.1997 alle ore 11,30 circa durante

l’attuazione delle misure di protezione del Sommo Pontefice, la squadra della

Divisione antisabotaggio ha rinvenuto e dismnnescato un ordigno esplosivo

che era stato collocato sotto un ponte sul fiume Miljacka, dove doveva

transitare Sua Santità ed in prossimità del quale si trova l’edificio ove ha sede

la Radio-Televisione della Bosnia-Herzegovina. In quel luogo è stato

rinvenìiito quanto segue: 23 mine anticarro, un sacco in plastica pieno di

sostanza esplosiva, due cariche esplosive di forma cilindrica, un apparecchio

manuale per radioamatori, un pacchetto di batterie, cinque differenti capsule

detonanti elettriche, una scatola di cartone posta all’interno di un sacchetto in

plastica. Secondo il rapporto dei competenti servizi di polizia, si tratta di un

ordigno esplosivo terroristico adattato per essere fatto brillare tramite radio.

Quest’ordigno era composto di 23 mine anticarro, due panetti di “Tolite” da

200 grammi cadauno e

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1710 grammi di esplosivo plastico, un apparato per radioamatori, un tiristore

facente parte del congegno detonante e cinque capsule elettriche detonanti per

l’mnnesco delle cariche esplosive. L’apparato radio poteva essere messo in

azione tramite un altro apparato sintonizzato sulla stessa o una più ampia

frequenza. Per attivare le capsule detonanti elettriche, erano state collegate in

parallelo, cinque batterie da 4,5 volt. L’apparato radio sopra descritto era

stato sintonizzato sulla frequenza 139,0375 MHZ (gamma standard: da 144 a

146 MHZ). Parallelamente al diodo verde di ricezione, che serve

all’identificazione della ricezione, era stato collegato tramite fili elettrici, un

tiristore “TYN 612” la cui funzione era di ricevere la tensione proveniente

dall’apparato radio e di lasciar passare un flusso di corrente che doveva

raggiungere le capsule detonanti che, a loro volta, dovevano far detonare

l’ordigno esplosivo composto da quattro pani di TNT avvolti nell’esplosivo

plastico, la cui esplosione avrebbe fatto brillare le 23 mine anticarro.(v. telex

Servizio Interpol at G.I. PRIORE del 07.11.97).

Questo ordigno con la quantità di esplosivo di cui era composto e cioè

circa 127 chilogrammi poteva distruggere completamente il ponte e causare

grandi danni nella zona circostante.

Il Ministero dell’Interno di quel Paese smentiva però l’ipotesi che

sospettati di questo attentato fossero dei cittadini turchi. (v. telex SERVIZIO

INTERPOL del 07.11.97)

Capaci ha fatto scuola anche nella Bosnia-Erzegovina.

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Capitolo secondo

Il dirottamento dell’Air Malta del giugno 97

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Il caso AGCA tuttora determina azioni di clamore internazionale, a

dimostrazione che egli non è stato dimenticato in Turchia; che egli vi gode,

specie nella regione di Malatya, di diffuse simpatie; che un giorno per quello

che ha compiuto e per le valenze religiose della sua figura egli ben potrebbe

meritare un mandato del popolo. E a conferma che vi è tuttora

un’organizzazione che lo segue e si propone di tutelarlo.

L’ultima iniziativa in suo favore è stato il dirottamento di un aeromobile

dell’Air Malta, compiuto il 9 giugno 97 sul volo Malta-Istanbul verso

l’aeroporto di Colonia in Germania, da parte di due dirottatori e due

simpatizzanti.

Questi i fatti. Il decollo dell’aeromobile era avvenuto a Malta alle ore

01.50, con destinazione, come detto, Istanbul. Durante il volo, due persone,

che presumibilmente avevano addosso materiale esplosivo, hanno ordinato al

pilota di far rotta su Bonn in Germania. I dirottatori affermavano di non voler

ricorrere all’uso della forza, ma che desideravano parlare ad una troupe

televisiva. Dopo si sarebbero arresi. Uno dei dirottatori, avrebbe avuto legati

intorno al corpo, due oggetti a forma di barre, da cui fuoriuscivano dei cavetti;

inoltre teneva in mano una piccola scatola con un bottone di colore acceso.

Dopo l’atterraggio all’aeroporto Colonia/Bonn alle 04,45, vi sono state

alcune negoziazioni con la torre di controllo e

tardi è stato convocato un interprete. I dirottatori hanno proposto di rilasciare i

passeggeri (tre membri dell’equipaggio e due passeggere erano già stati

autorizzati a lasciare l’aereo) e poi di parlare ad una troupe televisiva, oppure

di uscire dall’aereo con il pilota per parlare con un giornalista televisivo.

Immediatamente dopo i dirottatori hanno visto una troupe televisiva all’interno

dell’aeroporto e così la seconda alternativa è stata accettata. I dirottatori hanno

poi consegnato il falso esplosivo, che il pilota ha lanciato fuori dell’aereo. I

due

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dirottatori quindi sono usciti dall’aereo con il pilota. Mentre il pilota si

trovava in cima al corridoio di passaggio, i dirottatori sono stati arrestati in

fondo allo stesso.

I dirottatori erano: NUSRET AKMERCAN - nato a Malatya il 15

settembre 1972, presumibilmente residente a Bageilar, Conker Sok nr.7/d-3,

Cuengoeron/Istanbul e ISMAIL BEYAZPINAR nato a Ikizdere, Turchia, il 5

febhraio 1972, presumibilmente residente a Istanbul.

AKMERCAN ha reso una dichiarazione completa, secondo cui, a

seguito della pubblicazione, qualche tempo prima di informazioni sulle

condizioni carcerarie di MEHMET ALI’ AGCA, era stato deciso di compiere

azioni in suo favore. L’obiettivo era quello di porre AGCA nella condizione

di poter scontare la propria condanna in Turchia. Il Papa e il Governo italiano

lo avevano presumibilmente perdonato per il crimine commesso. Tuttavia, il

governo turco avrebbe dichiarato di non volere la restituzione di AGCA. In

tal senso vi erano state dichiarazione secondo cui se AGCA fosse stato

estradato sarebbe stato assoggettato ad altra condanna per il reato commesso.

I due hanno riferito poi di essersi recati in aereo a Malta dal momento

che per quello Stato non era richiesto visto dalla Turchia; avrebbero dovuto

soltanto presentare un biglietto per il viaggio di ritorno. Quando sono giunti

sul punto di restare senza denaro, hanno deciso di lasciare Malta, senza però

far ritorno in Turchia. Avevano così deciso di recarsi in Germania, ove i

diritti umani sono rispettati e non avrebbero ricevuto una pena severa per il

dirottamento aereo. Avevano in precedenza già pensato alla possibilità di

dirottare un aereo o di occupare un consolato. Nell’attuare i loro intenti,

volevano che le loro

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opinioni fossero rese note in Turchia e compiere un’azione in favore di

AGCA.

Il materiale per fabbricare i falsi esplosivi era stato acquistato a Malta e

trasportato a bordo dell’aereo senza problema. Avevano dichiarato di non

voler ricorrere all’uso della forza. L’unico scopo era “quello di mettersi in

una posizione tale da poter parlare di fronte alla stampa del problema di

AGCA “.

______________

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Capitolo terzo

Le conclusioni

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I fatti esaminati in questa parte dimostrano che, a distanza di un

quindicennio dall’attentato di piazza S.Pietro, i Lupi Grigi tuttora esistono,

che questa organizzazione e suoi simpatizzanti tuttora operano, non hanno

dimenticato il condannato in Italia e per lui si adoprano, con azioni

spettacolari e di grave pericolo per la sicurezza dei voli e l’incolumità dei

singoli come il sequestro di un aeromobile. Dimostrano altresì che il

Pontefice romano non è affatto un personaggio oramai trascurato dal

terrorismo, anzi costituisce tuttora un obbiettivo primario da perseguire in

ogni luogo anche a costi elevatissimi come quelli di una strage, in special

modo da terrorismi di matrice islamica con l’impiego sempre di Ulkulu.

Questa situazione comprova l’esistenza di un complotto all’epoca e di

un progetto che tuttora persiste. Progetto che comporta tuttora alti rischi per

l’Augusta Persona e pericoli di gravissimi ricatti per le istituzioni del nostro

Paese. Progetto che non può esser sottovalutato, anzi deve essere contrastato

con intelligenza e forza sul piano della prevenzione da parte di coloro che ad

essa sovraintendono.

_______________________

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Conclusioni finali

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Le conclusioni sono brevi, e se fosse concesso un giudizio di tal

genere, amare.

In primo luogo non possono che essere di conferma alle considerazioni

che via via sono emerse nelle singole parti, giacchè la visione d’insieme non

induce che a un rafforzamento delle tesi che ne scaturivano.

La collaborazione tra gli Stati, anche per un delitto si grave, unico da

più secoli a questa parte, e definito il crimine del secolo, in un contesto

internazionale che fa continui proclami, di collaborazione totale nel contrasto

della criminalità, è stata minima e con alcuni Stati di fatto nulla. Per citare, la

Francia e la Città del Vaticano. La prima ha ostacolato per anni l’estradizione

di un personaggio prezioso per l’inchiesta, nascondendone persino l’identità

ed accettando per queste sue condotte un costo elevato in perdite di credibilità

e prestigio. Non solo: anche lì ove ha mostrato di collaborare, come quando

ha consentito l’escussione del direttore dello SDECE, di fatto con la

protezione delle fonti ha impedito di appurare l’origine, e quindi gli ambienti

che avevano generato il piano, dell’informativa sull’attentato. Così come la

Città del Vaticano, che con una formale esecuzione delle rogatorie ha di fatto

impedito che di questa notizia si accertassero fonti, natura e destinatari. In

effetti a distanza di diciassette anni, tuttora non è possibile conoscere

elementi e circostanze dell’informativa sul progetto di attentato. S’è stabilito

solo un tratto del percorso che essa ha compiuto, dallo SDECE ai

Premonstratensi.

In secondo luogo, la pista tradizionale ha subito colpi violenti, da parte

delle dichiarazioni di AGCA e CELIK, delle indagini concernenti la CIA,

delle dichiarazioni di PAZIENZA e di BRUNO, delle novità provenienti dalle

carte della STERLING. Essa però resta tuttora in piedi, grazie alle

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documentazioni rinvenute presso la ex STASI - anche se esse appaiono

suscettibili di più interpretazioni. Di fatto però essa, proprio perchè è rimasta

sulla scena ed ha richiesto profusione di sforzi per approfondimenti e

verifiche, ha impedito - ma non solo essa; di certo anche l’inanità degli

strumenti giudiziari, principalmente delle rogatorie nei confronti degli archivi

non solo di Francia e Città del Vaticano, ma anche di Paesi come l’Iran - che

si percorressero altre strade d’indagini.

Da ultimo, una forte percezione - ma questo non èelemento di giudizio

- che in più parti, nelle più alte sedi degli Stati vi fosse, oltre ad una istintiva

protezione dei propri arcani, una diffusa volontà di porre una definitiva e

inamovibile pietra sulla vicenda.

************

Per nessuno degli imputati e degli indiziati si raggiunge una situazione

probatoria tale da imporre il rinvio a giudizio.

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P.Q.M.

Visti gli artt. 378 C.p.p. e 74 C.p.p.’30, e disp.trans. C.p.p.; Sulle

conformi richieste del Pubblico Ministero;

DICHIARA

Non doversi procedere, per non aver commesso il fatto, nei confronti di :

AKKUZU FERIDUN, BILICEN NEVZAT, COPUROGLU YUSUF,

ERDAL UENAL, ERDEM EYUP, KOKAL FUAT, RAMAZAN

SENGUN, SENER MEHEMET, SEREF BENLI e VAHDETTIN

OEZDEMIR in ordine al reato loro ascritto;

DICHIARA

Non doversi promuovere l’azione penale nei confronti di: ALBARANO

Alfredo, ARSLAN SAMET, LUCCHETTA Maurizio, OMER AY,

SCALERA Epifanio e SEDAT SIRRI KADEM in ordine ai reati loro

rispettivamente ascritti;

ORDINA

procedersi a separazione degli atti, meglio specificati in elenco analitico

che si allega, disponendo la trasmissione degli stessi all’Ufficio del

Pubblico Ministero per la prosecuzione delle indagini, secondo le norme

del vigente Codice di rito.

Roma, 21 marzo 1998

Il Giudice Istruttore Dott. Rosario PRIORE

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

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21 MARZO 1998

ELENCO ATTI

1. Processo verbale di interrogatorio a fini d’identificazione personale di

ORAL CELIK del 05.09.91

2. Processo verbale di ricognizione di persona di ORAL CELIK del 17.09.91

3. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 17.09.91

4. Processo verbale di confronto tra ORAL CELIK e MEHMET ALI’

AGCA del 17.09.91

5. Processo verbale di ricognizione di persona di ORAL CELIK del 23.09.91

6. Processo verbale di confronto tra ORAL CELIK e NEDIM SENGUN del

23.09.91

7. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 20.12.93

8. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 12.01.94

9. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 20.01 .94

10. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 17.02.94

11. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 09.03.94

12. Processo verbale di interrogatorio di ORALCELIK del 16.04.94

13. Dichiarazioni spontanee di ORAL CELIK del 07.06.94

14. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 23.06.94

15. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 05.07.94

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16. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 19.09.94

17. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 21.09.94

18. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 22.09.94

19. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 23.09.94

20. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 28.09.95

21. Processo verbale di interrogatorio di ORAL CELIK del 16.11.95

22. Processo verbale di interrogatorio di MEHMET ALI’ AGCA del

26.07.95

23. Processo verbale di interrogatorio di MEHMET ALI’ AGCA del 01.08.95

24. Processo verbale di interrogatorio di MEHMET ALI’ AGCA del 18.09.95

25. Processo verbale di interrogatorio di MEHMET ALI’ AGCA del 27.09.95

26. Processo verbale di confronto tra MEHMET ALI’ AGCA e ORAL

CELIK del 28.09.95

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27. Processo verbale di interrogatorio di FRANCESCO PAZIENZA del

04.08.95

28. Processo verbale di confronto tra FRANCESCO PAZIENZA e

MEHMET ALI’ AGCA del 11.09.95

29. Lettera inviata da MEHMET ALI’ AGCA al giudice Martella nel

settembre 1997

30.Commissione Rogatoria Internazionale diretta all’Autorità Giudiziaria

della BULGARIA del 03.06.91

31. Commissione Rogatoria Internazionale diretta all’ Ufficio del

Dipartimento di Giustizia U.S.A. del 03.03.94

32. Commissione Rogatoria Internazionale diretta all’ Ufficio della Procura

Generale presso l’Alta Corte Federale di KARLSRUHE (GERMANIA)

del 26.07.96

**********************