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1 Deleghiamo a rap- presentarci e di- fenderci nel pre- sente giudizio l’Avv. Nicola COCO con studio in Roma Via Treviso n.31, eleggiamo domici- lio, conferendo agli stesso ogni ampia facoltà di legge, comprese quelle di richia- mare in causa ter- zi, conciliare, transigere, quie- tanzare, incassa- re, rinunciare a- gli atti del giu- dizio ed accettare la rinuncia, chia- mare terzi in cau- sa, nominare, so- stituire a sé e revocare altri procuratori, non- ché la facoltà di cui al D. Lgs n. 196/2003. Con pro- messa rato e vali- do. Firma Sig. Luigi MARUCCI __________________ Sig.Stefano LULLI __________________ Sono Autentiche Avv. Nicola COCO _________________ TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO ------------------------------------------ RICORSO Per: MARUCCI Luigi, nato a Isernia il 25.11.1942, C.F. MRCLGU42625E335V, Presidente Nazionale e legale rappresentante dell’O.S.Po.L. (Organizzazione Sindacale delle Polizie Locali) - CSA, con sede in Roma, Viale Trastevere, n. 66 e LULLI Stefano, C.F. LLLSFN56A14G274Q, Segretario Romano della stessa O.S., rapp.ti e difesi dall’Avv. Nicola COCO, con Studio in Roma, Via Treviso, n. 31, 00161 ([email protected] - fax 0664 525831) presso il quale eleggono domicilio ai fini del presente Ricorso. Contro: COMUNE DI ROMA - ROMA CAPITALE in persona dell’on. Sindaco pro tempore Gianni ALEMANNO, Piazza del Campidoglio, n, 1, Roma, 00186; e contro: Comandante pro tempore del Corpo di Polizia Roma Capitale, Sig. Angelo GIULIANI Via della Consolazione, n. 4, Roma, 00186. PER L’ANNULLAMENTO della Circolare n. 110, prot. 91313, del 10.06.2011, avente ad oggetto Cambiamento della denominazione del Corpo di Polizia Municipale in Corpo di Polizia Roma Capitale” e della Circolare n. 113, prot. 95273, del 17.06. 2011, avente ad oggetto “Polizia Roma Capitale Nuova deno- minazione del Corpo”, nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, con- Studio Legale Coco Prof. Avv. Nicola Coco Dott.ssa Barbara Fubelli Via Treviso, 31 – 00161 Roma Tel. 06.4403818 – Fax. 0664525831 Studio [email protected]

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Deleghiamo a rap-presentarci e di-fenderci nel pre-sente giudizio l’Avv. Nicola COCO con studio in Roma Via Treviso n.31, eleggiamo domici-lio, conferendo agli stesso ogni ampia facoltà di legge, comprese quelle di richia-mare in causa ter-zi, conciliare, transigere, quie-tanzare, incassa-re, rinunciare a-gli atti del giu-dizio ed accettare la rinuncia, chia-mare terzi in cau-sa, nominare, so-stituire a sé e revocare altri procuratori, non-ché la facoltà di cui al D. Lgs n. 196/2003. Con pro-messa rato e vali-do. Firma

Sig. Luigi MARUCCI

__________________

Sig.Stefano LULLI

__________________

Sono Autentiche

Avv. Nicola COCO

_________________

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

DEL LAZIO

------------------------------------------

RICORSO

Per: MARUCCI Luigi, nato a Isernia il 25.11.1942, C.F.

MRCLGU42625E335V, Presidente Nazionale e legale rappresentante

dell’O.S.Po.L. (Organizzazione Sindacale delle Polizie Locali) - CSA, con

sede in Roma, Viale Trastevere, n. 66 e LULLI Stefano, C.F.

LLLSFN56A14G274Q, Segretario Romano della stessa O.S., rapp.ti e difesi

dall’Avv. Nicola COCO, con Studio in Roma, Via Treviso, n. 31, 00161

([email protected] - fax 0664 525831) presso il quale eleggono domicilio

ai fini del presente Ricorso.

Contro: COMUNE DI ROMA - ROMA CAPITALE in persona dell’on.

Sindaco pro tempore Gianni ALEMANNO, Piazza del Campidoglio, n, 1,

Roma, 00186;

e contro: Comandante pro tempore del Corpo di Polizia Roma Capitale,

Sig. Angelo GIULIANI Via della Consolazione, n. 4, Roma, 00186.

PER L’ANNULLAMENTO

della Circolare n. 110, prot. 91313, del 10.06.2011, avente ad oggetto

“Cambiamento della denominazione del Corpo di Polizia Municipale in

Corpo di Polizia Roma Capitale” e della Circolare n. 113, prot. 95273,

del 17.06. 2011, avente ad oggetto “Polizia Roma Capitale Nuova deno-

minazione del Corpo”, nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, con-

Studio Legale Coco Prof. Avv. Nicola Coco

Dott.ssa Barbara Fubelli Via Treviso, 31 – 00161 Roma

Tel. 06.4403818 – Fax. 0664525831

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nessi e consequenziali a tali circolari e, in particolare, della Deliberazione

della Giunta Capitolina n. 91 del giorno 1 aprile 2011, recante il titolo

“Cambiamento della denominazione del Corpo di Polizia Municipale di

Roma in Corpo di Polizia Roma Capitale”.

FATTO

In data 22 giugno 2011, il Comandante generale del Corpo della Polizia Mu-

nicipale del Comune di Roma inviava alle segreterie delle OO.SS., al coor-

dinatore della RSU, ai due Vice Comandanti del Corpo ed al dirigente della

U.O. Risorse Umane - Sicurezza sui luoghi di lavoro, un’Informativa con-

cernente le circolari nn. 110 e 113 e, soprattutto, la DGC 91/2011 i cui ri-

spettivi testi vi erano integralmente allegati.

Peraltro, dalla datazione dell’informativa e delle medesime circolari - già

precedentemente trasmesse ai Dirigenti delle varie UU.OO. del Corpo pres-

so i corrispondenti Gruppi e settori - poteva osservarsi un notevole ritardo

nella comunicazione ai destinatari istituzionali, (circa due mesi e mezzo do-

po!) delle decisioni adottate dalla Giunta Capitolina, malgrado l’estrema ri-

levanza del loro oggetto (cambiamento di denominazione e conseguenti ef-

fetti) e malgrado la conclamata urgenza dell’entrata in vigore e

dell’applicazione della suddetta Delibera, tanto che essa risultava munita

della immediata eseguibilità stabilita con voto unanime del consesso.

Tale ritardo, non di meno, si appalesava piuttosto problematico, segnata-

mente se riferito alla posizione delle Organizzazioni Sindacali, giacché que-

ste ultime e, più specificamente, l’odierna ricorrente, non erano state poste

in grado di avviare una reale fase concertativa - la stessa Delibera, a pag. 2,

reca la dizione “Preso atto che, ai fini dell’adozione della presente delibera-

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zione si é proceduto ad inviare, alle rappresentanze sindacali del personale

del comparto e della separata area della dirigenza, apposita nota informati-

va” (sic!) - per cui il differimento comunicazionale verificatosi verso i diretti

interessati e potenziali dissenzienti, suscitava dubbi di scarsa casualità. Del

resto, che le due circolari del Comando - corredate dell’annessa “notifica-

zione” della Delibera in questione, ossia con un’allegazione documentale

sostanzialmente ultronea, rispetto alle ordinarie procedure di pubblicazione

ed affissione degli atti dell’Amministrazione - fossero state trasmesse a po-

chi giorni dalla scadenza del termine di sessanta giorni previsto formalmente

per legge ai fini di eventuali impugnative, restava vieppiù indiziante degli

obiettivi dilatori sottesi ad inerzie altrimenti poco spiegabili.

Che, poi, la natura di provvedimenti applicativi, ovvero ontologicamente

connessi e consequenziali, caratterizzante le predette circolari nei confronti

della DGC 91/2011, fosse determinante o solo concorresse a frustrare pre-

sumibili aspettative decadenziali in capo agli attuali Organi di governo di

Roma Capitale (così ridefinite dall’arti 2, D.Lgs. 15 6/2010) sembrava

scarsamente contestabile, in ossequio ai principi generali del diritto proces-

suale amministrativo.

Nel caso di specie, inoltre, il rapporto di connessione ravvisabile tra l’atto

presupposto e gli atti da esso derivanti, si caratterizzava per una pregnanza

sostanziale, talmente elevata da rappresentare una fattispecie, se non inedita,

certamente poco frequente nel modello procedimentale ordinario.

Infatti, a conclusione delle direttive impartite con la Circolare n. 110 del

10.06.2011, il Redigente vi apponeva la formula “Sono abrogate le prece-

denti disposizioni in materia esercitando, così, una potestà eminentemente

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normativa - in diverso avviso, avrebbe dovuto usare locuzioni come “revo-

care”, “ritirare”, ecc. - spettante, almeno in teoria, ad altra Autorità delibe-

rante, a cominciare dalla Giunta. Ora, che la “materia”, cui si alludeva fosse

ristretta alla modulistica degli atti comunali, da sottoporre al cambiamento

di denominazione, poco toglie alla entità di codesta appropriazione di com-

petenze, resa maggiormente critica dalla (assurda) “lacuna” inficiante l’atto

presupposto, cioè la Delibera di Giunta la quale, pur cancellando la previ-

gente denominazione del Corpo, si asteneva da qualsivoglia declaratoria, a-

brogativa o suoi sinonimi, in quella materia (ed in molte altre!).

Premesso, in breve, che la delibera mostra una simile “astensione” per

l’intero assetto istituzionale della trasformazione nominativa del Corpo della

P.M., evitando accuratamente di menzionare lo stesso termine “abrogazio-

ne” rispetto a disposizioni, comunque (e di fatto), abrogate, si assisteva

quindi, ad una sorta di delega “implicita” alla fonte (assai) subalterna delle

circolari interne laddove, anche e soprattutto per quanto attenga alla forma

dei documenti pubblici - fra i quali, in primis, i verbali di accertamento di

violazione e di infrazione alle norme del Codice della Strada, dei regolamen-

ti di polizia urbana, dei regolamenti sanitari, ecc. - la loro disciplina, pur

transitoria, andava statuita dall’organo collegiale deliberante (e competente).

Per inciso, va osservato come siffatta delega implicita fosse destinata a pro-

durre autentici disastri sul piano operativo, quali la circolazione di verbali

recanti la pregressa intestazione del Corpo di P.M., ormai inutilizzabile e

perciò, invalidante gravemente la genuinità degli accertamenti sanzionatori

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(nell’ordine di decine o centinaia di migliaia di esemplari), così da determi-

nare la paralisi delle relative procedure esecutive.

Ma, va anche constatato che, a norma delle disposizioni della legislazione

speciale (rectius, ordinamentale) della P.M. (art. 9, L. 65/86), il Comandante

del Corpo svolge funzioni rigorosamente limitate all’addestramento, alla di-

sciplina ed all’impiego tecnico-operativo degli appartenenti al Corpo stesso

e pur investito - peraltro, da fonte normativa secondaria (regolamento dei

servizi comunali) - di prerogative amministrativo-dirigenziali, non risulta

abilitato ad impartire direttive che investono il regime giurdico di atti che

incidono sulla collettività dei consociati.

Tuttavia, le questioni sollevate dal cambiamento di denominazione del Cor-

po, andavano ben oltre la sfera dei singoli vizi procedimentali ed anche se

non si registravano - con l’eccezione delle due Circolari del Comandante -

successive pronunce deliberative degli Organi istituzionali, da fonti informa-

tive accreditate (stampa e lo stesso Portale del Comune di Roma) venivano

annunciate “rivoluzioni epocali” nella struttura, nei compiti e nell’immagine

del nuovo Corpo.

In coincidenza con l’invio delle suddette Circolari (attorno alla prima metà

del mese di giugno), Sindaco, Assessori e Comandanti si prodigavano, così,

a divulgare il varo, più o meno imminente, di altrettanti progetti innovativi

che spaziavano dall’instaurazione di un diverso rapporto tra Polizia di Roma

Capitale e cittadinanza alla creazione della figura del “poliziotto” (ex “Vigi-

le”) “di prossimità”, nonché al vago accenno a (non meglio precisati) “altri

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compiti” e ad un “poliedrico” agente di servizio impegnato a “dispensare in-

formazioni ai passanti e ai turisti” (sic!).

In sintonia con simili “obiettivi”, il Sindaco si premuniva di avvisare la po-

polazione del già avvenuto acquisto di qualche centinaio... di biciclette (pe-

rò, a pedalata assistita!) da distribuire al personale da adibire a tali “nuovi

compiti”.

Al riguardo, il presuposto, reiterato costantemente dai responsabili

dell’Amministrazione capitolina, di questa “riforma”, era (ed é)

l’identificazione come fonte e, quindi, della copertura normativa delle de-

clamate “innovazioni”, nel D.lgs. 156/2010 e nelle disposizioni su Roma

Capitale, malgrado dall’intero novero delle materie cui esso rinvia (art. 24,

L. 5 maggio 2009, n. 42) non potesse trarsi, finanche, un minimo accenno

alla Polizia Municipale o alle tematiche generali della sicurezza urbana o,

peggio, dell’ordine pubblico.

Tant’é che il summenzionato Portale del Comune di Roma (11 giugno

2011), per avvalorare l’investimento mediatico intrapreso

dall’Amministrazione, era costretto ad inventare (letteralmente) un (formale)

riconoscimento della Polizia di Roma Capitale, da parte di quel Decreto,

mai avvenuto e neppure ipo-tizzato.

Per contro, tali segnali divenivano più che sufficienti per presagire, quanto-

meno, che l’intento sotteso al cambiamento del nome non consistesse uni-

camente in un’operazione di look o di mera”estetica”(?) del Corpo - manie-

ristica, oltreché illegittima - bensì tendesse a realizzare ben più radicali “mu-

tazioni” di ruolo e di identità della Polizia Municipale, adeguandone o, me-

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glio, incapsulandone le funzioni all’interno di una (o di alcune) delle catego-

rie di materie, effettivamente ma tassativamente, previste dalla succitata fon-

te legislativa (art. 24, terzo comma, L. 42/2009).

In tal modo e con il conforto delle dichiarazioni ufficiali di cui sopra, i

cc.dd. “nuovi compiti” della P.M. si sarebbero, probabilmente, mescolati as-

sieme allo “sviluppo economico e sociale con particolare riferimento al set-

tore produttivo e turistico” (lettera b) o al1’”organizzazione e funzionamen-

to dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla

mobilità” (lettera e) o, ancora, alla “valorizzazione dei beni storici, artistici,

ambientali e fluviali” (lettera a), non essendovi disponibili altri e più consoni

plessi operativi.

D’altra parte, accanto alle esplicitate prospettive di intervento nel settore del

turismo, interno ed estero, in qualità di guidance degli avventori-visitatori

(da qui, la necessità delle biciclette, posta la loro scarsa idoneità

all’inseguimento di autori di reato o all’espletamento di mansioni di polizia

attiva), in occasione di un recente fatto di cronaca, il sottosegretario ai Beni

culturali Francesco Giro (già amministratore laziale) proponeva propriamen-

te l’impiego degli agenti comunali nella vigilanza dei monumenti cittadini,

ad integrazione dei loro incombenti informativi e didattici preconizzati in

applicazione del D.Lgs. 156/2010.

Tutto ciò, unitamente alle gravi problematiche scaturenti da un cambiamento

di denominazione che esprimeva sintomi di incompatibilità con la vigente

normativa ordinaria concernente la Polizia Municipale, induceva la ricorren-

te O.S. ad inviare al Sindaco ed al Comandante del Corpo, dott. Giuliani, un

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atto di formale diffida a provvedere, nell’ambito delle rispettive attribuzioni,

alla revoca degli atti che si impugneranno, poi, nella presente sede giurisdi-

zionale.

Tale diffida, presentata il 5 agosto 2011 e ricevuta, in pari data, dal Gabinet-

to di Roma Capitale, si articolava in dieci rilievi di massima volti ad eviden-

ziare i profili di maggiore criticità giuridica, ovvero costituzionale, prodro-

mici ed effettuali, del cambiamento di denominazione del Corpo della Poli-

zia Municipale di Roma, sottolineandosi come la parcellizzazione dei com-

piti e delle funzioni istituzionali, prospettata dalla progettualità “riformisti-

ca” capitolina, oltre al degrado (anziché alla asserita promozione) in cui sa-

rebbe precipitata la struttura di polizia, se deviata dai suoi referenti ordina-

mentali (ivi compreso il Codice di procedura penale, art 57, secondo e terzo

comma), avrebbe provocato, piaccia o meno, un pericoloso allentamento, se

non un vero distacco, della Polizia di Roma Capitale dalla disciplina (ovve-

ro, diritti, prerogative e guarentigie) vigente, a livello nazionale ed uniforme

per tutti gli altri Corpi e servizi presenti sul territorio dello Stato,

Infatti, ove il nuovo Corpo avesse acquisito (o gli fosse stato imposto) un

regime giuridico eccessivamente (ed abusivamente) “distinto” dalle proprie

fonti legislative di riferimento, si sarebbe tornati ad una produzione norma-

tiva eminentemente regolamentare – avallata, questa volta dalla speciale

potestà in deroga, conferita a Roma Capitale, di emanare regolamenti mu-

niti di particolari efficacia e forza” di (quasi ) legge “ - che avrebbe riportato

la ( ex) Polizia Municipale nelle spire degli antichi statuti e di quelle codifi-

cazioni locali che, dopo l’entrata in vigore di una legge statale finalmente

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valida erga omnes, a far data dal 1986, si credevano irreversibilmente supe-

rati.

La qualcosa, avrebbe avuto, certamente, effetti devastanti sui diritti dei di-

pendenti del Corpo e sulle vicende della contrattazione che sarebbe stata

privata della propria cornice giuridica e di status o, nel migliore dei casi, la

centralità assunta dalle nuove tipologie regolamentari e statutarie avrebbe

finito per costituire un’intercapedine fra i principi generali e astratti della

legge ordinaria (nonché quelli della fonte sub-primaria regionale) e gli ac-

cordi sindacali, così condizionati, pressoché esclusivamente, da interna cor-

poris statuiti o, meglio, dettati unilateralmente dal datore di lavoro.

L’imperatività con la quale é stata gestita l’operazione del cambiamento di

denominazione rappresenta, d’altronde, un esempio significativo degli esiti

derivabili da siffatte dilatazioni potestative, consentite (o solo mutuate) dalla

super-speciale legiferazione in tema di Roma Capitale.

Infine, é di ogni evidenza come le prospettate innovazioni, organizzative e

funzionali, non contemplino la benché esigua istanza di miglioria a favore

del personale, ovvero una mera ipotesi di perequazione salariale e/o indenni-

taria, a fronte dell’incremento di mansioni e carico di lavoro per gli apparte-

nenti al Corpo, nei termini riferiti dall’Amministrazione a livello di (ufficia-

le) comunicazione mediatica.

Alla diffida presentata dalla ricorrente non é stato dato, però, alcun riscontro

da parte dei destinatari.

DIRITTO

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A) VIZI DEL PROVVEDIMENTO PRESUPPOSTO (DELIBERA DI

GIUNTA N. 91/2010)

1) Illegittimità del provvedimento per violazione e falsa applicazione

dell’art. 24, terzo e quarto comma, L. 5 maggio 2009, n. 42 e degli artt.

1, 3 e 7, D.Lgs. 17 settembre 2010. n. 156

In via preliminare, deve rilevarsi che l’impugnata Delibera presenta una ca-

ratteristica piuttosto singolare, per quanto attiene alle proprie fonti normati-

ve di riferimento o, comunque, a quelle che vengono ivi ravvisate come tali.

Infatti, a ben vedere e con i dovuti approfondimenti sui quali verterà

l’indagine inerente i vizi di legittimità individuati nel presente Ricorso, é

possibile già assumere ictu oculi la natura decisamente conflittuale del rap-

porto intercorrente tra il nucleo motivo dell’atto e quelle medesime fonti, al

punto che neppure una di esse si rivela compatibile con la struttura logico-

giuridica delle statuizioni assunte dalla Giunta Capitolina la quale, anzi,

sembra prodigarsi ad operarne una sistematica, quanto rimarchevole viola-

zione.

L’ulteriore peculiarità di questa caratteristica, poi, consiste nella estrema u-

niformità delle contraddizioni e dei contrasti che l’impugnata Delibera riser-

va all’intera gerarchia delle fonti richiamate, coinvolgendovi, indifferente-

mente, quelle di rango ordinario, quelle di livello sub-primario e, infine, fon-

ti di normazione secondaria come il Regolamento sull’ordinamento degli

Uffici e dei Servizi, emanato dalla stessa Giunta alcuni mesi prima, o come

lo Statuto del Comune di Roma, risalente ad una delibera del Consiglio co-

munale del 17 luglio 2000, n. 122, che nulla condivide con il nuovo assetto

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di Roma Capitale la cui prorogatio di vigenza fino alla promulgazione dello

Statuto di Roma Capitale – concessa dall’art.7, secondo comma, D.Lgs.

156/2010 – trova il suo limite nella compatibilità delle proprie disposizioni

con i mutamenti istituzionali già maturati o in via di attuazione e, perciò,

non può certo essere invocata nei confronti del cambiamento di denomina-

zione della (fu) P.M., trattandosi di una innovazione incidente su leggi dello

Stato (L. 65/86) alle quali, segnatamente in presenza di deroghe (cioè, viola-

zioni, nel caso di specie), le norme statutarie dovrebbero sempre fare riferi-

mento.

Per non dire, ovviamente, delle discrasie - seppur latenti, ma non meno gravi

che l’impugnata Delibera esprime nei confronti del disposto costituzionale

da intendersi, sia in ordine alla letteralità del terzo comma dell’art.114 (ove

non si contempla alcuna potestà comunale in materia di polizia, eccezionale

rispetto al comune regime di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), sia

in relazione alla tassatività dei titolari di simili competenze ai sensi del terzo

comma dell’art. 118 ove, né le Città Metropolitane, né Roma Capitale sono

abilitate ad adottare, in prima persona, forme di coordinamento con lo Stato

nella medesima materia.

A livello ermeneutico, invero, il “caso” di un provvedimento amministrativo

che contenga un cotale (e cotanto) contrasto inter-normativo dovrebbe, già

in sé, trovare la sua esatta collocazione previsionale all’interno delle tipolo-

gie dei vizi tipici del provvedimento, malgrado la presumibile rarità della

fattispecie tenderebbe a configurarne una certa atipicità utile ad immunizzar-

la da specifica censura.

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Tuttavia, non revoca in dubbio che, essendo l’indicazione delle fonti di rife-

rimento un elemento integrativo, se non della forma dell’atto, certamente

della sua motivazione - in ragione della funzione di garanzia di conformità

all’ordinamento giuridico, ovvero alle parti di questo in subiecta materia,

delle relative disposizioni - ne deriva che, propriamente su quest’ultima,

vengano a riflettersi le suddette discrasie, contribuendo, quantomeno, ad in-

ficiarne la logicità, la coerenza e, più latamente, la legittimità.

Ciò premesso ed allo scopo di inquadrare correttamente le problematiche

che emergono dalla questione di Roma Capitale - considerata come il fon-

damento stesso sul quale poggia la ratio dell’impugnato provvedimento - é

opportuno ripercorrere le fasi salienti del complesso (e, talora, controverso)

iter della normazione ordinaria elaborata in adempimento del precetto costi-

tuzionale, di cui al terzo comma dell’art. 114 cit.

In estrema sintesi, quindi, di tale percorso possono schematizzarsi le seguen-

ti quattro fasi:

a)”Disegno di legge recante delega al governo per l’attuazione dell’articolo

117, secondo comma, lettera p), della Costituzione e per l’adeguamento del-

le disposizioni in materia di enti locali alla legge costituzionale n. 5 del

2001”. Approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 19 gennaio

2007 (il titolo completo é “Delega al Governo per l’attuazione dell’articolo

117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, per l’istituzione delle

città metropolitane e per l’ordinamento di Roma Capitale della Repub-

blica. Disposizioni per l’attuazione dell’art. 118, primo e secondo comma

della Costituzione.. .ecc.” Composto di otto articoli, esso dedica l’intero art.

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5 alla previsione delle nuove competenze per materia conferite a Roma Ca-

pitale, che godono di una speciale, nonché amplissima, potestà regolamenta-

re “in deroga a specifiche disposizioni legislative”, avente come unico limi-

te, “il rispetto degli obblighi internazionali, del diritto comunitario, della

Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento giuridico”. Inoltre, si

sancisce un secondo genere di potestà regolamentare (al di fuori dell’elenco

delle nuove competenze) “in materie non disciplinate da leggi statali o

regionali, ovvero al fine di integrate le leggi statali o regionali” (la c.d. “po-

testà regolamentare indipendente”);

b) a seguito di varie vicende (controversie sulla qualifica di apparte-

nenza o meno, di Roma Capitale alla categoria delle Città Metropolitane,

presentazione di altri progetti, tra cui l’accorpamento della Capitale con la

Provincia, ecc.), l’art. 5 cit. viene “trasfuso” (con modifiche) nell’art. 24 del-

la Legge delega” in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo

119 della Costituzione”, collocato al Capo VIII del testo, ovvero tra le nor-

me transitorie e finali (L. 5 maggio 2009, n. 142). Essenziale, della nuova

versione della normativa, é il ridimensionamento della potestà regolamenta-

re, giacché sparisce quella “indipendente”, mentre quella “in deroga” torna

alla sua diretta subordinazione(“il rispetto”) anche alla legislazione statale e

regionale; Roma Capitale é qualificata “ente territoriale” (cioè, non “locale”

ma neppure “para-regionale”) e si stabilisce che, per dare attuazione alla ri-

forma, sarà emanato uno specifico Decreto (che, poi si sdoppierà) a discipli-

nare il coordinamento e la collaborazione con Stato, Provincia e Regione e

la erogazione dei fondi e delle risorse umane e mezzi, ovvero le modalità di

finanziamento del neonato “ente territoriale”;

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c) “Decreto Legislativo 17 settembre 2010, n. 156. Disposizioni re-

canti attuazione dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in mate-

ria di ordinamento transitorio di Roma Capitale”. In realtà, questo

Decreto contiene esclusivamente una ridefinizione dei nomi, delle compe-

tenze e del funzionamento degli organi di “governo” (ex-comunali) di Roma

Capitale. Non esente da rilievi di incostituzionalità (la denominazione

dell’ex Consiglio in “Assemblea Capitolina” non é previsto dall’art. 114), il

Decreto si rivela interlocutorio nei riguardi, sia del previsto coordinamento

interorganico, sia per l’attuazione del piano di finanziamento del nuovo ente.

d) il secondo Decreto, alla data odierna, non é stato ancora emanato

determinando, fra l’altro, una paralisi “tautologica” delle relative procedure,

posto che, secondo i criteri dettati dalla Legge Delega, gli Organi capitolini

sarebbero stati obbligati ad emanare il nuovo Statuto di Roma Capitale entro

sei mesi dall’entrata in vigore di tutte le disposizioni (economiche, in pri-

mis). Viceversa, mancando a tutt’oggi il secondo D. Lgs.. (o, se si preferisce

la sua seconda e più importante parte), lo Statuto non può essere emanato e

la stessa identità istituzionale dell’Ente territoriale é, praticamente, inesi-

stente.

Ciò spiega, al di là di ogni artifizio, perchè la Giunta Capitolina abbia inteso

risolvere il suo impasse semplicemente fingendo che lo Statuto elencato tra

le fonti di riferimento fosse il nuovo, anziché quello previgente, ben sapendo

che la sua operatività, relativamente all’oggetto della Delibera, sarebbe stata

inibita dall’assenza di apposite e nuove disposizioni (statutarie) e, ciò, tro-

vandosi nell’impossibilità di elaborarne il testo.

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Ma, se questo dato, già da solo, suffraga i vizi del provvedimento impugna-

to, un migliore esame dei testi di legge succitati (nonché delle loro progres-

sive “mutazioni”) fornisce ben più vasti e gravi elementi di censura verso il

modus cogitandi atque procedendi degli Organi di Roma Capitale. Il primo

di essi investe, ovviamente, le tipologie di materie assegnate dall’art. 24, L.

42/2009, fra le quali, come dianzi accennato, la presenza della Polizia Muni-

cipale é un atto di pura (ma pericolosa) fantasia.

È c’è di più: nell’originario novero delle competenze attribuite a Roma Ca-

pitale dal Ddl. di Delega approvato dal Consiglio dei Ministri nel 2007, al

secondo comma, n. 2, del succitato art. 5, accanto alla valorizzazione del pa-

trimonio artistico, alla qualità dello sviluppo urbano, ecc., era esplicitamente

contemplata la “sicurezza pubblica mediante programmi del Ministero

dell’Interno, sentito il Sindaco”.

Tale dizione, invero, avrebbe potuto essere indicativa di una qualche dilata-

zione delle nuove competenze di Roma Capitale in tale specifico settore, an-

che se da attuarsi in via concertativa con l’Autorità statale.

Non di meno, l’inciso in discorso risulta totalmente soppresso nella versio-

ne delle nuove competenze definite dall’art. 24 della L. 42/2009, né riappa-

re, ovviamente, in altri successivi atti.

Ora, é sufficientemente chiaro come il Legislatore ordinario abbia manife-

stato la sua peculiare volontà di escludere la materia-sicurezza - e, per

l’effetto, l’intera area delle attività e funzioni di polizia - dalle prerogative di

. Roma Capitale, per cui, ogni eventuale tentativo di interpretazione, allarga-

ta e/o analogica, delle materie rimaste assegnate alla competenza speciale

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dell’Ente, che fosse finalizzato a farvi ricomprendere la Polizia Municipale e

le sue caratteristiche istituzionali), confliggerebbe apertamente con preclu-

sioni ben più che sottintese.

Tuttavia, indubbiamente, il fattore di maggior rilievo che si profila, allo stato

dell’opera, ovvero nell’impianto giuridico dell’art. 24 cit., é rappresentato

dalla incisiva reductio (qualcuno, al contrario, parla di “normalizzazione”)

della potestà regolamentare pre-conferita a Roma Capitale la quale, senza

troppi infingimenti, era stata confezionata con tali requisiti da assurgere, ad-

dirittura, ad una novellata competenza esclusiva nei confronti della stessa

legge ordinaria, oltrepassando di gran lunga i poteri delle Regioni che la Ri-

forma del Titolo V, promulgata nel 2001 (la “madre” del medesimo art.

114!), aveva sostanzialmente incanalato nelle categorie delle funzioni con-

correnti.

Dissoltosi, ora, il modello utopico (ed inedito, per gli ordinamenti italiano e

comunitario) della Città-Stato, o suoi facsimili, e recuperate al Legislatore

ordinario tutte le titolarità costituzionali della riserva, la potestà normativa

attualmente riconosciuta all’Ente territoriale, rientra, a pieno titolo, nelle ti-

pologie dei regolamenti di integrazione ed attuazione secondo la nota classi-

ficazione dell’art. 17 della L. 400/88.

Per quanto interessa direttamente il caso di specie, ricordato che il fulcro

della questione si individua nel rapporto fra i poteri della Giunta Capitolina

e la legislazione ordinaria, cui appartiene inoppugnabilmente la normativa

ordinamentale (la L. 65/86 é, nella stessa intitolazione, una Legge-Quadro),

possono, allora, trarsi alcuni dati esplicativi.

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Giova, , intanto, osservare come l’impugnata Delibera tenda a configurare il

cambiamento del nome della P.M. alla stregua di un atto dovuto, stante la

sussistenza di altrettante disposizioni imperative, in tal senso, in adem-

pimento delle quali la motivazione del provvedimento recita testualmente

“...occorre modificare la denominazione del Corpo di Polizia Municipale di

Roma, rendendolo coerente con la denominazione dell’Amministrazione

Capitolina...ecc.”, pretendendosi in tal modo, di richiamare una “necessità”

individuata del tutto arbitrariamente.

Peraltro, l’inesistenza di una norma, formale e tassativa, ricavabile dalla le-

gislazione vigente e, in particolare, dall’intero contesto delle nuove disposi-

zioni su “Roma Capitale” che, addirittura, imponesse formalmente un simile

cambiamento di denominazione, si coglie dal medesimo inciso della Delibe-

ra capitolina dove si sostiene che tale provvedimento é , “in linea con le di-

sposizioni di cui al sopra richiamato Decreto Legislativo (n. 156/2010, ndr.

)”, cioè, che é stato emanato sulla semplice base di un’operazione interpreta-

tiva del testo di quello.

In realtà, il D.Lgs. 17 settembre 2010, n. 156, come s’è visto, riguarda esclu-

sivamente funzioni, competenze e composizione degli organi comunali, cui

si aggiungono alcune innovazioni in materia di statuto, di indennità per gli

incarichi, ecc., e naturalmente, conferisce un notevole risalto alla ridefini-

zione in “capitolino/a” della previgente aggettivazione “comunale”, cam-

biandone le denominazioni.

Viceversa, della Polizia Municipale (o, anche di qualche suo sinonimo come

“locale”, “del Comune”, ecc.) non viene fatto il benché minimo accenno,

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malgrado quella del Decreto Legislativo dovesse ritenersi 1’unica vera sede

normativa abilitata ad introdurre deroghe o modifiche alle disposizioni di

una legge ordinaria, qual’é la L. 65/86. Prova ne sia che, in passato, tutte le

innovazioni di maggior rilievo attinenti alla Polizia Municipale erano state

introdotte mediante quel tipo di fonte (D.Lgs. 3 febbraio 1993; D.Lgs. 31

marzo 1998, n. 112; D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) , ovvero con decreti-

legge e leggi di conversione, come le stesse, recenti disposizioni inserite nel

testo del “pacchetto sicurezza” (L. 125/09). D’altra parte, considerato che il

D.Lgs. 156/10 é dedicato agli “organi di governo di Roma Capitale”, la

cui elencazione va intesa in senso letterale e tassativo (art. 2), la P.M. non

poteva (e non avrebbe potuto in alcun modo) esservi ricompresa, stante la

sua difformità dalla nozione medesima di “organo” della compagine comu-

nale. Tale (banalissima) osservazione, tuttavia non solo non giustifica

l’operato della Giunta Capitolina, nell’assumere una funzione di “supplen-

za” rispetto a presunte lacune o “manchevolezze” del Legislatore ordinario,

ma, al contrario, induce a ritenere che quest’ultimo, ancora una volta, si fos-

se ben guardato dall’intervenire, in forma diretta o mediata, sul testo e

sull’intitolazione originari della Legge Quadro, pur soltanto attraverso una

norma di appendice o un qualsivoglia inciso utile a legittimare quella “coe-

renza” nominale, che la Giunta si proponeva di perseguire con la suddetta

delibera e che si rivela totalmente sfornita di presupposti giuridici, concet-

tuali ed istituzionali.

E, se è facile constatare come neppure un solo rigo, un solo riferimento o

una sola allusione risulti ivi dedicata alla Polizia Municipale, Corpo o servi-

zio che sia, per quanto possa riguardare, in astratto, le potestà di Roma Capi-

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tale, il citato D.Lgs. 156/2010 si premunisce di fissare altrettanti “paletti”

con l’enunciare (art. 1) che “Le norme di cui al presente decreto costituisco-

no limite inderogabile per l’autonomia normativa dell’Ente e possono es-

sere modificate, derogate o abrogate dalle leggi dello Stato solo espres-

samente”.

Ma, anche ove si pretendesse di enucleare il potere o la facoltà di incidere

sull’Ordinamento della Polizia Municipale con altri strumenti, i risultati non

sarebbero certamente migliori.

Infatti, l’elenco delle ulteriori attribuzioni riconosciute dalla L. 42/2009

all’Ente Roma Capitale (art. 24, terzo comma), comprende competenze e

settori di intervento, non soltanto completamente estranei a qualsivoglia rife-

ribilità alla P.M., ma trattandosi di tipiche sfere amministrative, esse sono

strettamente separate da ogni relazione con le funzioni di polizia, così come

si evince all’art. 117 della Costituzione che le annovera tra le materie di le-

gislazione concorrente (terzo comma) fra lo Stato e le Regioni, laddove la

polizia (amministrativa) regionale e locale è menzionata al secondo comma

in posizione, giustappunto, “residuale”, rispetto alle competenze esclusive

statali in materia di ordine pubblico e sicurezza. Fermo restando, poi, che

anche nel caso della polizia amministrativa, la (limitatissima) potestà legi-

slativa in tale settore é riservata alla Regione e mai, in assenza di un formale

disposto di legge (ordinaria), essa potrebbe attribuirsi, in prima persona,

all’Ente locale.

Ancor meno praticabile, infine, sarebbe l’utilizzazione (analogica) del gene-

rico rinvio che il comma terzo, lettera g), dell’art. 24 cit., compie alle “ulte-

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riori funzioni conferite dallo Stato e dalla Regione Lazio” a Roma Capitale,

“ai sensi dell’articolo 118, secondo comma, della Costituzione”, sia perché

trattasi di una disposizione indeterminata e chiaramente rivolta a (eventuali)

conferimenti futuri, sia in ragione dell’ambito egualmente amministrativisti-

co (e non normativo) delle funzioni di cui Comuni, Province e Città metro-

politane possono essere titolari secondo il suindicato enunciato costituziona-

le.

2) Illegittimità del provvedimento per violazione degli artt. 1, 3, 4 e 5, L.

7 marzo 1986, n. 65 in combinato disposto con l’art. 24, L. 5 maggio

2009, n. 42. Profili di illegittimità in relazione all’art. 117, secondo

comma, lettera h), prima parte, della Costituzione

La suddetta delibera annovera nella sua premessa, l’art. 2 della L. 65/86,

laddove si stabilisce che il sindaco o l’assessore delegato, “... nell’esercizio

delle funzioni di cui al precedente articolo 1 (organizzazione e gestione del

servizio di polizia municipale; ndr.) “impartisce le direttive, vigila

sull’andamento del servizio e adotta i provvedimenti previsti dalle leggi e

dai regolamenti”. Orbene, salvo a sostenere che tali “direttive” ricompren-

dano anche la facoltà, ovvero la potestà normativa di innovare ad libitum de-

finizioni e denominazioni stabilite con leggi dello Stato, il richiamo alla

Legge Quadro è totalmente inconferente o, se si preferisce, privo di signifi-

cato dovendosi, per inciso, considerare come il cambiamento di denomina-

zione sia stato operato con un atto della Giunta che, nell’esercizio di una po-

testà regolamentare esecutiva, avrebbe dovuto indicare quale disposizione

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della fonte citata, magari soltanto omeomorfica, la abilitasse e la legittimas-

se ad adottare una simile decisione.

Vero é, invece, che la stessa Giunta e, con essa, l’intera Amministrazione

comunale, si è appropriata di prerogative che non possono riconoscersi nep-

pure alla Regione, anche con le teorizzazioni più temerarie delle competenze

(peraltro, residuali!) di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Co-

stituzione.

Considerato, infatti, che codesta disposizione inerisce esclusivamente alla

polizia amministrativa regionale e locale e che non permette ad alcun Ente

di alterare, interpolare o, comunque, intervenire su disposizioni gerarchica-

mente superiori, il cambiamento di denominazione di strutture, apparati e

funzioni disciplinati dalla L. 65/86,disegna un virtuale conflitto di attribu-

zioni fra pubblici poteri di latitudine anche più estesa di quelli già verificati-

si negli ultimi anni a riguardo di “esperimenti” istituzionali vertenti sulla ti-

tolarità delle funzioni di polizia.

A fronte, dunque, della labilità del richiamo alla 1. 65/86 - cui si contrappo-

ne un generalizzato e totalizzante disattendimento del testo e delle finalità

istituzionali della normativa ordinamentale – l’amministrazione capitolina

ha escogitato un ennesimo espediente strategico, appellandosi alla “filosofia

del Precedente”, ossia alla “normalità” di una ridenominazione del Corpo di

P.M., essendo questa già avvenuta in un passato più o meno remoto, senza

che tale evento suscitasse particolari problematiche attuative.

Mediante, allora, 1’accorgimento di evitarne una più ampia trattazione nella

parte motiva dell’impugnata Delibera di Giunta, la menzione di siffatto Pre-

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cedente risulta “delegata” (sempre, implicitamente) al Comandante Giuliani,

il quale, nella Circolare n. 113/2011, riconnette la presente iniziativa ad un

pregresso cambiamento nominativo, effettuato dal Comune di Roma nel

1993, che sostituì la vecchia locuzione “Corpo dei Vigili Urbani” con quella

di “Corpo della Polizia Municipale”.

In base a questa narrativa, quindi, il transito alla denominazione “Corpo di

Polizia Roma Capitale”, viene prospettato, non soltanto come una procedura

di routine, alla stregua giustappunto, di un atto dovuto la cui obbligatorietà

si fonda (o, meglio, si fonderebbe) sulla (falsa) rappresentazione della “ne-

cessità” (inderogabile ed indifferibile) dell’adeguamento del Corpo di P.M.

alle prescrizioni etimologiche ed onomastiche rese dal D.Lgs. 156/2010.

In realtà, le divergenze di contenuti e di fini, fra l’odierna ridenominazione e

quella intervenuta, a suo tempo, con la Delibera n. 327 del 26 ottobre 1993,

sono abissali. Al riguardo, infatti, va osservato che:

a) tale deliberazione venne adottata dal Commissario Straordinario con i po-

teri del Consiglio comunale;

b) la stessa, rappresentava la mera e pedissequa applicazione delle disposi-

zioni della Legge Quadro (che, nel Lazio, era già munita di legislazione re-

gionale, varata tre anni prima: v. L.R. 24 febbraio 1990, n. 20), potendosi, al

più, eccepire il notevole ritardo con il quale era stato effettuato

l’adeguamento nominale (quattro anni dopo!);

c ) quel cambiamento si presentava realmente necessario, al fine di rendere

omogenee ed uniformi tutte le strutture dei Corpi e servizi di polizia munici-

pale j (e provinciale) esistenti sul territorio nazionale, dipartendosi, così, da

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un’esigenza (e da obblighi di legge) di carattere generale, nello spirito e nei

significati di un Ordinamento diretto a ricomprendere il pur vasto, e soven-

te disorganico, complesso delle singole situazioni locali.

Con tali presupposti, la “coerenza” e la “necessità di adeguamento” predica-

te dall’impugnata Delibera - che, tra l’altro, non disdegna dal vagheggiare

anche un’urgenza nel varare il provvedimento in esame (necessità e urgenza

sono il sintagma fondativo della decretazione eccezionale), malgrado una

cotanta sollecitudine riuscisse, quantomeno apparentemente, incongrua ed

immotivata - si presentano concettualmente capovolte, rispetto allo stato del-

la legislazione nonché alla fonte ed all’oggetto di riferimento, posto che la

prima doveva attenere ad una normativa vigente e reale (la L.65/86 e dispo-

sizioni ad essa connesse) e non a mere astrazioni mentre, per la seconda,

l’obbligo di procedervi era semplicemente insussistente perché non può as-

sumersi un adeguamento, oltre tutto “necessitato”, a contesti eteronomi in

luogo dei referenti formali ed istituzionali.

Peraltro, v’é da ricordare che proprio questo genere di “distrazioni” norma-

tive della Polizia Municipale, “vanta” un altro precedente nella storia, piut-

tosto vicina cronologicamente, del Corpo. Infatti, nel 1996, a seguito di una

sequela di progetti, ricerche e pareri tecnici elaborati e presentati alla biso-

gna, il Consiglio comunale aveva varato una corposa delibera (quasi cento

pagine, allegati compresi) con la quale il Corpo stesso veniva trasformato in

“Istituzione, denominata Polizia Municipale del Comune di Roma”, in ap-

plicazione degli artt. 22, terzo comma, lettera D) e 24 della 1. 142/90.

Per certi versi, codesta trasformazione si evidenziava ben più complessa e

innovativa del semplice cambio di denominazione - che, comunque, si veri-

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ficava, scomparendo il titolo “Corpo” e subentrandovi l’appellativo “Istitu-

zione” - poiché si trattava di un vero processo di privatizzazione della strut-

tura, dei suoi organi (veniva insediato un Consiglio di amministrazione al

vertice della persona giuridica) e dei rapporti di lavoro del personale. Tutta-

via, le analogie con l’odierno provvedimento capitolino non mancano: intan-

to, anche in quel caso, la P.M. veniva sostanzialmente enucleata dall’ambito

previsionale della L. 65/86 e sottoposta alla disciplina di un’altra normativa

(la L. 142/90), egualmente eteronoma rispetto all’ambito ordinamentale di

appartenenza, giacché, more solito, non menzionava, finanche di sfuggita,

la medesima P.M.

Né vale a differenziare molto la condizione di “acefalia giuridica” in cui

versa l’impugnata Delibera, inseguendo riscontri ed appigli inesistenti, con

quella che caratterizzava la più datata “consorella”, visto che l’applicabilità

alla P.M. del disposto di cui all’art. 22 cit., poggiava su un’operazione er-

meneutica parimenti abusiva ed azzardata,consistente nel configurare le atti-

vità, le funzioni ed i compiti del Corpo in qualità di un servizio, di interesse

sociale ed eziandio economico (!).

L’esito dell’”esperimento” fu, notoriamente, infausto per gli artefici del pro-

getto, considerato che il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio

(Sez. II bis, sent. 3 luglio - 30 settembre 1997, n. 1512) annullò la Delibera

comunale, su ricorso di alcune OO.SS. di categoria, con una pronuncia suc-

cessivamente ed integralmente confermata dal Consiglio di Stato (Sez. V,

sent. 12 agosto 1998, n. 1261).

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Orbene, é chiaro come la statuizione del G.A. si incentrasse a smentire la as-

similabilità delle funzioni pubbliche di polizia ad una nozione di servizio

sociale (o, peggio, economico) che atteneva - secondo gli stessi obiettivi del-

la L. 142/90 - a tutt’altra tipologia di enti ed organi delle amministrazioni

locali.

Ma é altrettanto evidente che la vera sconfitta, in quella occasione ed in sen-

so lato, fosse l’utilizzazione, fin troppo disinvolta per una P.A., di certi pa-

radigmi interpretativi delle leggi, eccessivamente “evolutivi” e destinati,

come tali, a trabordare nella sfera della illegittimità o, addirittura,

dell’illiceità.

D’altra parte, non va trascurato - e, in proposito, sia il TAR Lazio che il

CdS. non mancarono di rilevarlo - come la L. 65/86 integrasse il modello ti-

pico di legislazione speciale, essendo rivolta esclusivamente alla Polizia

Municipale, per cui, secondo il parametro di prevalenza sulla lex generalis

(ieri, la L. 142/90, oggi, la L. 42/2009, specialis per Roma Capitale ma ge-

neralis in rapporto alla 1. 65/86), la norma ordinamentale non può essere de-

rogata, modificata o abrogata che da una fonte di eguale natura e, ovviamen-

te, di pari o superiore livello gerarchico.

Nel caso di specie, la Delibera di Giunta - la cui funzione esecutiva o inte-

grativa di un disposto di legge ordinaria non é logicamente sostenibile per i

motivi di cui sopra - ha perpetrato una violazione della L. 65/86 senza alcu-

na plausibile giustificazione o, men che mai, esigenza giuridicamente ap-

prezzabile disattendendo, in particolare le disposizioni contenute all’art. 1

(“Servizio di polizia municipale”), all’art. 3 (“Compiti degli addetti al ser-

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vizio di polizia municipale”), all’art. 4 (“Regolamento comunale del servi-

zio di polizia municipale”) e, soprattutto, al1’art. 5 (“Funzioni di polizia

giudiziaria, di polizia stradale e di pubblica sicurezza”), che comprende an-

che la delicatissima tematica dell’armamento degli appartenenti al Corpo

(quinto comma).

L’incidenza dei denunciati vizi di illegittimità, peraltro, e specificamente per

gli effetti che essi producono nel corpo stesso della normativa ordinamenta-

le, condurrebbero alla necessità di adottare una prospettiva di indagine ol-

trepassante la sola, seppur fondamentale, questione del cambiamento di no-

me della struttura, giacché il (riprovevole) semplicismo con il quale la Giun-

ta Capitolina ha ritenuto di assolvere a tutti gli incombenti ed alle conse-

guenze tecnico-giuridiche ed organizzative di tale “innovazione” - il classico

“tratto di penna”! - apre una vera concatenazione (si potrebbe parlare di “ef-

fetto-domino”) di fattori ostativi alla stessa vigenza della produzione norma-

tiva (a cominciare da quella del Regolamento del Corpo) varata sotto

l’imperio della precedente intitolazione.

E se é vero - come non sembra oggettivamente contestabile - che i verbali di

accertamento di violazione elevati a far data dal 1° aprile 2011, nei termini

già accennati e sui quali si tornerà in prosieguo, sono affetti da invalidità o,

addirittura, da nullità perché recanti l’intestazione di un organo estinto, a

fortiori é presumibile che eguale sorte vada riservata all’intera congerie di

norme, provvedimenti, atti e regolamenti tratti in nome di un’identità cancel-

lata (e, per di più, urgentemente!) dicasi pure, dall’ordinamento giuridico

vigente.

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Non di meno, l’entità e la gravità di tali effetti non offuscano certamente

l’importanza degli elementi intrinseci alla motivazione dell’impugnata Deli-

bera e delle loro inerenze nei riguardi dello stesso dettato costituzionale.

Analizzata, dunque nella sua letteralità, la nuova denominazione “Corpo di

Polizia Roma Capitale” esprime due fondamentali caratteristiche.

La prima, più evidente (e “vistosa”), consiste nella già osservata soppressio-

ne dell’aggettivo “Municipale”, mutuato dalla L. 65/86 ma risalente a pro-

cessi storici e giuridici, sia remoti (l’ordinamento napoleonico), che recenti

(la legislazione sulle autonomie locali dalla IX Leg. in poi), fino alla aboli-

zione delle circoscrizioni (istituite dalla L. 8 aprile 1976, n. 278) ed alla loro

sostituzione con i municipi. Da notare, peraltro, che il ripristino di questa

denominazione, nel diverso significato di zona o quartiere, in luogo del vec-

chio sinonimo dell’intero Comune, si accompagnava, già nei primi disegni

di legge sulle autonomie, alla definizione delle “aree metropolitane” (città

con popolazione residente non inferiore ad un milione di abitanti), successi-

vamente inserite nella Carta costituzionale a seguito della riforma del Titolo

V.

Alcuni Autori, partendo dalla prima normativa disciplinante tali materie (il

R.D. 690/1907), hanno più volte sottolineato come, inizialmente, venisse

operata una netta distinzione tra “polizia locale” e “polizia municipale” in-

tendendosi, con la prima, un insieme di funzioni mentre, con la seconda, ci

si riferiva alle strutture, alla loro organizzazione ed alla loro soggettività.

Di conseguenza, sia per evitare confusioni ed ibridi istituzionali, alcuni (po-

chi) giuspubblicisti che si sono occupati della questione, hanno ripetutamen-

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te optato per la conservazione del termine “municipale” che, in effetti, é sta-

to recepito dalla Legge Quadro, anche se, dopo alcuni anni, ha finito per ce-

dere il posto all’aggettivo “locale” riproponendosi, così, i rischi di mescolare

di nuovo i compiti e funzioni con i Corpi e gli apparati operativi.

Anche in ragione di simili evenienze - che certamente non giovano alla iden-

tità ordinamementale delle strutture - l’aggettivo “municipale” andava e va j

preservato, propriamente in qualità di quelle “tradizioni” incautamente ri-

chiamate I dalla delibera 91/2011 la quale, peraltro, si astiene dal precisarne

natura e cronologia.

Di singolare, invece, é la rimozione dell’aggettivo “metropolitano” che, non

soltanto si colloca al centro della storia della Polizia Municipale di Roma

(forse, anche più della stessa locuzione “vigili urbani”), ma, specificamente

dopo l’elevazione del termine a disposto costituzionale (le Città Metropoli-

tane), avrebbe rappresentato una scelta più felice, “tradizionale” e non anta-

gonista alle leggi vigenti (es., Polizia Municipale Metropolitana). Tuttavia,

ad onta dell’apparente infinitesimalità del dato, il fattore di maggiore (e più

grave) rilevanza è ancora un altro e si individua nella mancanza della parti-

cella “di” tra j le parole “Polizia” e “Roma Capitale”.

Infatti, ove tale particella fosse stata ivi inserita, il significato di declinare al

genitivo il rapporto intercorrente fra quelle tre locuzioni (Polizia di Roma

Capitale), sulle quali si impernia l’innovazione nominativa, avrebbe eviden-

ziato una cesura semantica utile ad evitare la simbiosi, ovvero l’unificazione

delle stesse locuzioni allarmare un solo titolo.

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Trasferito sul piano istituzionale, ciò equivale a dire che é stato creato un

nuovo Corpo di polizia chiamato, giustappunto, “Roma Capitale” che,

piaccia o meno, si aggiunge al già folto novero delle Polizie preesistenti o

neo-costituite con l’aggravante, per di più, della sua incerta appartenenza di

comparto. Infatti essendo stato eliminato l’aggettivo “municipale” e non ri-

sultando alcuna sua surrogazione con equipollenti come “locale”, “comuna-

le”, “civico”, “metropolitano”,ecc., ecc., lo j | stesso Corpo potrebbe, indif-

ferentemente, venir catalogato come una Polizia j i paritetica a quelle statali

(es.,Penitenziaria, Guardia Costiera, ecc. che non hanno, I nella loro deno-

minazione la parola esplicita “Stato”), o come un istituto di vigilanza priva-

ta, visto che varie di queste agenzie adottano il titolo dì “Corpo”, magari ab-

binato a quello di “Urbe” (o “dell’Urbe”).

Naturalmente, trattasi di una “creazione” totalmente illegittima, sia per la ti-

pologia degli organi “generatori” (amministrazioni locali), che in relazione

alle procedure adottate, dovendosi considerare che non si ritrova, agli atti, la

benché j estemporanea autorizzazione (con Decreto!) rilasciata dal Ministero

dell’Interno o, al limite, un parere di conformità del medesimo dicastero: per

meglio dire, non sembra neppure che il Comune, il Sindaco o altri uffici ab-

biano inoltrato alle competenti Autorità alcuna richiesta di un bulla osta, o,

al limite, di un semplice studio di fattibilità (e legalità) del relativo Progetto.

Né, a ridurre l’entità della “creazione”, può servire il conclamato (e neanche

! troppo) permanere del “Corpo di Polizia Roma Capitale” nel regime giuri-

dico j della L. 65/86, data la sua sconnessione con il “Municipale” e,

fors’anche con il “Locale” della stessa Legge Regionale la quale, a dispetto

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di ogni più larga i accezione con cui possono intendersi le “specifiche dispo-

sizioni per il corpo della polizia municipale della Capitale della Repubbli-

ca”, non consente certamente (manca l’apposito disposto) l’invenzione di un

organismo recante un titolo ed una denominazione estranei al suo Oggetto

(“Norme in materia di Polizia Locale”). Per restituire un minimum di le-

gittimità, ovvero di supporto legislativo alla suddetta “creazione” non po-

trebbe, dunque, che ricorrersi allo strumento dell’analogia: in virtù delle si-

militudini di materie e funzioni (per le qualifiche, si vedrà) del nuovo Corpo

con quelle disciplinate dalla legge statale e da quella regionale, le stesse si

applicherebbero al primo in via interpretativo-analogica anche se esso reca

un nome diverso ! Salvo, ovviamente a verificare la correttezza (e praticabi-

lità) di un simile espediente, alla luce dei principi generali dell’ordinamento

giuridico ed alle scarsissime simpatie che l’analogia riscuote presso questi

ultimi! E poi, sarebbe anche comico che una struttura, privata del titolo della

legge di appartenenza, si ricollegasse a quella per similitudine di materia.

Non di meno, come già accennato, l’operazione della Giunta Capitolina si

pone ai margini della criticità costituzionale, oscillando verso quegli sconfi-

namenti di potere già verificatisi con la creazione di nuovi corpi di polizia e

l’attribuzione di competenze riservate allo Stato da parte di alcune Regioni

(Lombardia, Friuli Venezia Giulia, ecc.), sui quali é caduta pesantemente la

scure della Consulta (sent. 313/2003, sent. 129/2009; sent. 274/2010 e sent.

35/2011). Ora, se la Corte costituzionale ha delimitato, spesso severamente,

i poteri delle Regioni per quanto appartiene alla sfera applicativa dell’art.

117, secondo comma, lettera h), in tema di polizia amministrativa regionale

e locale, ancor più marcate si palesano le inibitorie apposte a Province, Co-

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muni e Città metropolitane ove si superino gli spazi della autonomia e pote-

stà regolamentari, in materie interessanti, a vario titolo, la gestione

dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza.

E, se é vero che la Consulta è, talora, intervenuta a difesa della competenza

regolamentare degli EE.LL., contro le “invasioni” perpetrate ai loro danni

dalla legislazione di determinate Regioni, in relazione a profili strettamente

organizzativi (es. disciplina del contingente numerico degli addetti, modalità

di strutturazione dei servizi, trattamento economico del personale, ecc.) re-

sta, però, incontrovertibile che tale casistica abbia riguardato apparati di po-

lizia locale e municipale pienamente rispondenti alle caratteristiche (anche

nominative!) indicate dalla legge 65/86 e non trasformati in “qualcos’altro”,

ad iniziativa “autarchica” delle singole amministrazioni territoriali.

Ben altra situazione, viceversa, si verificherebbe ove l’iniziativa

dell’Amministrazione Capitolina fosse addotta ad esempio da altre Città

Metropolitane o, persino, da “semplici” Comuni che si ritenessero facultiz-

zati a fondare (o rifondare) i propri Corpi e servizi di polizia locale intito-

landoli ai loro luoghi di pertinenza (es, la Polizia Città di Castello, le Guar-

die Città di Rieti o la Milizia Milano Metropolitana) od a nomi di fantasia

tipo City Angels o Garanti dell’ordine), sulla base - comunque reale - della

par condicio con una Roma Capitale che ha esercitato poteri non previsti

dalla legge istitutiva dello speciale status ex art. 114 Cost., ma li ha con mo-

tivati da ragioni altamente sociali, culturali (e archeologiche), sufficienti a

staccare la P.M. dal regime legislativo ordinario cui erano sottoposti. In tal

senso, occorre pur sottolinearlo, la peggiore “dimenticanza”, in cui é incorsa

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l’impugnata Delibera n. 91/2011, va rintracciata nell’aver sorvolato sul car-

dine costituzionale dei rapporti Stato-Enti Locali (ed Enti Territoriali) in ma-

teria di funzioni di polizia, ossia il meccanismo della delega, da parte del

primo (titolare) ai secondi (esercenti; art. 1, L. 65/86: “I Comuni svolgono le

funzioni, di polizia locale”), che “perimetra”, con estrema chiarezza, le ri-

spettive attribuzioni.

Non solo: se prima della Riforma del Titolo V e dell’art. 117 Cost., vigeva

un doppio circuito di delega (Stato-Regione) e di sub-delega (Regione-

Comune o Provincia), successivamente al varo di quella ed al restringimento

delle potestà regionali alla sola polizia amministrativa locale, le funzioni

di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza risultano delegate direttamente

dallo Stato all’Ente locale.

Ciò comporta, accanto al rispetto dei limiti dell’esercizio di quelle funzioni,

il correlativo obbligo di svolgerle unicamente ai loro fini istituzionali: in tal

modo, la polizia giudiziaria va esplicata alle dipendenze, ovvero direttive

della Magistratura ordinaria, mentre la pubblica sicurezza, nei termini tassa-

tivamente stabiliti dall’art. 3 e dall’art. 5, quarto comma, L. 65/86, è eserci-

tata dal personale della P.M. alle dipendenze operative dell’Autorità statale

di P.S. (Prefetto, Questore e loro delegati).

Ora, anche a prescindere dal rischio che un Corpo di Polizia concentrato su

Roma Capitale finisca per diluire il proprio impegno nell’assolvere ai doveri

inerenti lo svolgimento delle suddette funzioni ledendo, contestualmente,

l’obbligo di assoluta e diuturna disponibilità della p.g. da parte

dell’Autorità Giudiziaria - presidiato da norma costituzionale, art. 109 della

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Carta, e da norme codicistiche, art. 58 C.p.p. - destano notevole allarme i

ventilati progetti dell’Amministrazione Capitolina di investire il Corpo di

nuovi incarichi (e, quindi, nuove destinazioni del personale), in un modo o

nell’altro, attinenti alle materie conferite dalla L. 42/2009.

È, infatti, ovvio ritenere che le priorità asserite dal Sindaco e da altri Asses-

sori e dirigenti amministrativi, che enfatizzano i rapporti con la cittadinanza,

con i turisti, con i servizi civici, con l’efficienza del trasporto pubblico, ecc.,

preludano al distoglimento del personale del Corpo dai compiti formalizzati

dalla L. 65/86 (si é mai vista, da oltre mezzo secolo, la dotazione di biciclet-

te alle Forze dell’ordine per lo svolgimento di attività di prevenzione e re-

pressione dei reati ?) recidendo, illegalmente, i vincoli e gli obiettivi della

delega statale.

Tant’é che inizia a prosperare il sospetto che quella del Corpo di Polizia

Roma Capitale sia una riedizione, seppur strisciante ma non meno pericolo-

sa, della Istituzione di pessima memoria che, senza sancire la privatizzazio-

ne e 1’aziendalizzazione esplicite del Corpo stesso, ne induca la mutazione,

non strutturale, bensì funzionalisitica, questa volta, in un modello misto che

comprende in sé la ronda (diurna), l’ausiliario del traffico (per le multe di

viabilità) e l’operatore culturale.

3) Illegittimità del provvedimento per violazione degli artt.42, secondo

comma, e 48, secondo e terzo comma, nonché degli artt. 49 e 97, secondo

comma, D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

La deliberazione n. 91/2011 riporta, tra le sue fonti, il T.U.E.L., peraltro,

senza specifiche indicazioni di parti dell’articolato, mentre, nel descrivere le

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procedure preliminari, ne cita gli artt. 49 e 97, secondo comma, in ordine a-

gli adempimenti di cui all’art. 29 (lett. h e i) del Regolamento degli uffici ed

alle incombenze del Segretario Generale.

A titolo di mero inciso, vi sarebbe da osservare che il compito espletato,

nell’occasione, dal Comandante del (fu) Corpo di P.M., ovvero ”attestazione

di coerenza della proposta di deliberazione”, relativa al cambiamento di de-

nominazione del Corpo stesso, “con i documenti di programmazione

dell’Amministrazione”, presenta aspetti di notevole problematicità.

Al riguardo, va premesso che la fonte regolamentare richiamata

nell’impugnata Delibera non disciplina unicamente i suddetti adempimenti,

ma dedica un ampio spazio (com’è ovvio, trattandosi di un Regolamento ge-

nerale gli uffici e dei servizi) al Corpo della P.M. inserita nel novero delle

Strutture di staff (pag. 41).

Deve, altresì, segnalarsi che il testo integrale, già recante l’intitolazione di

Roma Capitale, era stato approvato in data 29 dicembre 2010 (Deliberazione

di Giunta Capitolina n. 161, stante la necessità di ultimare il “riassetto com-

plessivo della macrostruttura capitolina”, disposto “al fine di garantire

l’attuazione delle Linee programmatiche e il razionale esercizio delle fun-

zioni e dei servizi dell’Ente”, sostanziatosi nella emanazione del nuovo “Re-

golamento sull’ordinamento degli Uffici e dei Servizi di Roma Capitale”.

In particolare, all’art. 27 di tale Regolamento, vengono dettate alcune dispo-

sizioni riguardanti la Polizia Municipale, la prima delle quali stabilisce che

“L’ordinamento e l’organizzazione del Corpo di P.M., in coerenza e a inte-

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grazione di quanto previsto nel precedente Capo IV, sono disciplinati con

deliberazione della Giunta capitolina”.

La seconda, poi, enuncia che “La Polizia Municipale esercita le funzioni di

cui alla legge 7 marzo 1986, n. 65 e successive modifiche e integrazioni”.

Infine, stesso regolamento ha inscritto la P.M. nella categoria delle “Specifi-

che Strutture Organizzative” (Capo V), assieme al’Ufficio Stampa ed

all’Avvocatura. In separata sede, peraltro, dovrà verificarsi la compatibilità

di queste scelte con gli orientamenti di un’ormai costante giurisprudenza

amministrativa di legittimità, che censurano aspramente ogni subordinazio-

ne, diretta o indiretta, della P.M. a strutture burocratiche più ampie (anche le

cc.dd. “macrostrutture”!), in relazione ai compiti istituzionali conferiti dalla

legge in materia di p.g., p.s. e polizia amministrativa (Consiglio di Stato,

sent. 17 febbraio 2006, n. 616).

Nella presente sede, invece, é necessario rilevare subito l’esistenza di una

prima contraddizione: il Regolamento nulla dispone circa la denominazione

del Corpo, riproducendo invariabilmente la locuzione previgente di “Polizia

Municipale” e, pur intestandosi diffusamente a Roma Capitale, non formula

alcun rinvio ad una, prossima o remota, mutazione nominativa.

Non solo: anche se potrebbe sembrare un’ovvietà o un mero formalismo,

l’art. 27, al secondo comma, si prodiga a riportare, per esteso, un roboante

richiamo alla L. 65/86 che, qualunque ne fosse lo scopo “strategico”, espri-

me la conferma e la continuità dell’adesione (integrale) a quelle norme,

compresa la loro intitolazione la quale però, appena quattro mesi dopo,

non sarebbe stata più tale. Tuttavia, ancor maggiori interrogativi desta l’aver

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spostato, da parte della Giunta Capitolina, ad una fase successiva alla pro-

mulgazione del suddetto (ed onnicomprensivo) Regolamento, la questione

del cambio di denominazione dovendosi, quantomeno, presumere che anche

questo passaggio fosse programmato da ben più “antica” datazione e non na-

to nell’espace d’un matin come, forse, si vorrebbe lasciare intendere.

Ma, anche ammettendosi che il motivo della posticipazione di codesto cam-

bio risiedesse nel presentarlo come “necessitato” dall’esigenza di adegua-

mento all’esistente, ovvero al già avvenuto varo della ristrutturazione gene-

rale degli uffici e dei servizi, il “rimedio” si connota peggiore del “male”

giacché, allo stato attuale, esso determina una pericolosa schizofrenia con-

cettuale e normativa che vede, da una parte, il mega-testo del Regolamento

pacificamente uniformato alla Legge Quadro e suoi istituti, mentre una deli-

bera autonoma, forse ritenuta capace di prevalere su quello, magari soltanto

perché emanata in epoca successiva (quattro mesi dopo!), introduce una de-

finizione assolutamente nuova e diversa. Il tutto, peraltro, senza che la Giun-

ta si sia preoccupata di aggiornare o di dichiarare decaduta la disposizione

dell’art. 27 Reg. ed anzi, perseveri nell’annoverarla tra le fonti di riferimento

della delibera n. 91/2011.

A puro corollario di quanto rilevato, l’”attestazione” di coerenza rilasciata

dal Comandante del Corpo, nonché la consulenza (“assistenza”) giuridico-

amministrativa prestata dal Segretario Generale rasentano il falso ideologi-

co, essendo, a dir poco, incredibile asseverare (l’attestazione é sinonimo di

certificazione, con tutti gli effetti di legge che vi comporta) pur soltanto una

compatibilità (figurarsi la “coerenza”) tra due deliberati che si smentiscono

vicendevolmente svelando, per di più, come il cambiamento di nome della

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P.M., stralciato e “trattato” al di fuori della fonte regolamentare principale,

sia stato il frutto di scelte, postume come strumentali.

Non di meno, il quesito di fondo, che discende dall’analisi della prassi e/o

dell’azione amministrativa esplicata dalla Giunta Capitolina con il suddetto

cambio di denominazione, attiene all’effettiva competenza di quest’ultima

nello statuire in tale specifica materia.

Anche a voler prescindere dai rilievi dianzi espressi circa le più gravi viola-

zioni di legge riscontrabili nell’invasione di funzioni riservate al Legislatore

ordinario e, in subordine, a quello regionale, e restando, quindi, nel solo am-

bito della disciplina degli organi ed attribuzioni dell’Ente locale, v’é seria-

mente da dubitare che, al caso di specie, possa (o debba) applicarsi la deroga

alle competenze dei Consigli comunali formalizzata, a favore delle Giunte,

dal terzo comma dell’art. 48, D.Lgs. 267/2000.

E, ciò, per un dato fin troppo banale: la competenza generale dei Consigli in

materia regolamentare è sottoposta all’unica eccezione (lett. “ipotesi”, se-

condo quanto recita il secondo comma dell’art. 42) rappresentata dai rego-

lamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.

Che si tratti di una deroga alla disciplina comune é, altresì, suffragato dal

ruolo potestativo, comunque mantenuto dagli stessi Consigli anche in que-

ste’”ipotesi”, visto che ad essi resta riservato il potere/dovere di stabilire i

criteri generali dei medesimi regolamenti al cui rigoroso rispetto le Giunte

sono istituzionalmente obbligate.

Ma la “deroga”, come tale ed in virtù dei vincoli che vi pone la legislazione

ordinaria, é subordinata all’altrettanto (e più) rigoroso principio di tassatività

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dell’oggetto (“derogabile”), con il conseguente effetto, nel caso in esame, di

attenere esclusivamente al Regolamento emanato con la delibera di Giunta

n. 161/2010, restando preclusa ogni “deriva”per materie collaterali, o meno,

similari o addirittura estranee (e, finanche in contrasto!) all’ambito dell’ or-

ganizzazione/funzionamento di uffici e servizi.

D’altronde, che il cambiamento di denominazione (e solo quello) potesse

considerarsi un’ appendice o una semplice integrazione del predetto Rego-

lamento, equivale ad un’offesa all’intelligenza altrui, rilevandosi, tra l’altro,

che non soltanto una “modifica” di quella portata avrebbe dovuto situarsi

all’interno del testo e non successivamente ed al di fuori di esso, ma che

una presunta “integrazione” mal si concilierebbe con un provvedimento

amministrativo che incide (retroattivamente) su un atto precedente, smen-

tendolo, di fatto, e contraddicendolo con l’introduzione di una definizione

tanto difforme da rendere altrimenti impossibile la sopravvivenza delle pro-

posizioni originarie.

A questo punto, è lecito ipotizzare che la Giunta Capitolina abbia preferito

evitare la “contaminazione” del testo del Regolamento con l’innestarvi la

questione del cambio di nome del Corpo di P.M. che, probabilmente, avreb-

be provocato “complicazioni” per la sua approvazione suscitando, parimenti,

pareri difformi, sia nella compagine comunale, sia da parte di altri Enti, dal-

la Regione al Ministero degli Interni ed alle Conferenze Unificate. Nel con-

tempo, la medesima Giunta deve essersi erroneamente convinta che la sepa-

razione fra i due oggetti - Regolamento e cambio del nome - sarebbe stata in

grado di farle ottenere entrambi i risultati, senza reciproche interferenze o

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ostacoli di sorta e, per di più, la già completata approvazione del primo a-

vrebbe potuto determinare uno stato di fatto che rendesse (credibilmente)

“necessario” e “necessitato” l’adeguamento di nomenclatura della P.M.

La ricaduta di una simile operazione, invece, é stata (ed é) la delegittimazio-

ne (autoprocuratasi) dell’organo esecutivo ad esercitare una competenza che

non gli apparteneva, giacché non é sostenibile che il mutamento di nome di

una pubblica istituzione, dotata di una normativa speciale di fonte primaria

possa, anche con i peggiori artifici interpretativi, rientrare in un provvedi-

mento di riassetto interno di strutture organizzative alla cui emanazione é

preposta, con tutti i condizionamenti imposti dal T.U.E.L., la Giunta comu-

nale.

A riprova della inammissibilità ed illegittimità di questa stessa operazione

potrebbero, poi, citarsi innumerevoli esempi, quali i vari cambi di denomi-

nazione delle Polizie statali, dal Corpo delle Guardie di P.S., ridefinito in

Polizia di Stato, al Corpo degli Agenti di Custodia, divenuto Polizia Peni-

tenziaria, ecc., ossia variazioni di nomenclatura attuati con leggi ordinamen-

tali emanate dal Parlamento, prima o in prologo alle norme di ristrutturazio-

ne dei rispettivi assetti organizzativi.

Ricordato, ancora, che nessuna disposizione delle leggi su Roma Capitale

conferisce al Comune il potere di derogare alle norme del T.U.E.L., è oppor-

tuno anche sottolineare come nulla si conosca circa l’esistenza di una pre-

ventiva elaborazione, da parte del Consiglio (ovvero, Assemblea Capitolina)

di quei criteri generali da stabilirsi, invece, obbligatoriamente nella “ipote-

si”contemplata al terzo comma dell’art. 48, D.Lgs. 267/2000 cit.

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Deve, perciò, concludersi che per i suoi contenuti, il suo oggetto ed i suoi

obiettivi, la delibera 91/2011 andava emanata dal Consiglio comunale il

quale, a sua volta, avrebbe dovuto adempiere ad altri incombenti procedurali

di cui si dirà tra breve.

3) Illegittimità del provvedimento per violazione degli artt. 3, terzo

comma, 8, primo comma, lettera b), n. 2 e art, 15, terzo comma, L.R.

Lazio 13 gennaio 2005, n. 1

Il ruolo istituzionale della Regione in materia di polizia municipale é apposi-

tamente enunciato e definito dalla L. 65/86 che, all’art. 6, descrive le aree di

competenza della potestà legislativa conferitale dall’ordinamento costituzio-

nale.

Invero, dopo le vicende della c.d. “devolution” e della mancata ratifica refe-

rendaria dell’attribuzione di competenze esclusive di polizia locale, l’istituto

regionale ha conservato i confini posti dalla L, cost. 3/2001, che, comunque,

le assicurano una importante funzione di coordinamento, organizzazione e

controllo sull’assetto e sulle attività dei Corpi e servizi degli EE.LL. operan-

ti nel proprio territorio - secondo le più accreditate ed autentiche interpreta-

zioni della nozione di polizia amministrativa regionale e locale di cui all’art.

117, secondo comma, lettera h) - come evidenziato, del resto, della comples-

sità dei compiti descritti nelle rispettive norme di legislazione sub-primaria.

In particolare, l’impianto normativo della L.R. Lazio n. l/2005, si presenta

dotato di notevole ampiezza previsionale, sia per la esaustività

dell’articolato e sia perché, a livello cronologico (o, se si preferisce, “stori-

co”), essa ha introdotto delle disposizioni inerenti il rapporto tra Polizia Mu-

nicipale e la nuova entità denominata Roma Capitale, precorrendo notevol-

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mente il varo della L. 42/2009 e situandosi nella contiguità

dell’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione e della for-

mulazione del terzo comma dell’art. 114 (“Roma é la capitale della Repub-

blica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”).

In tal senso, e “in considerazione del ruolo di Roma, sancito dall’art. 114”

la L.R. 1/2005, all’art. 15, terzo comma, prevede l‘emanazione di “specifi-

che disposizioni per il corpo della polizia municipale della Capitale della

Repubblica, allo scopo di salvaguardarne le tradizioni e l’identità, concer-

tate con il Comune di Roma nel rispetto del principio di leale collaborazio-

ne”. La stessa stabilisce, altresì, che (anche) le specifiche disposizioni per la

P.M. della Capitale debbano essere inserite nell’apposito Regolamento re-

gionale disciplinante, ai sensi del primo comma del medesimo art. 15, la in-

dividuazione dei compiti riservati alla Regione, che vanno dalle caratteristi-

che dei mezzi, strumenti operativi, divise e simboli distintivi (stemmi), alle

tipologie dei dispositivi di autodifesa, ai corsi di addestramento all’uso delle

armi da fuoco, ecc., ivi compresi i “criteri per l’adozione di una modulisti-

ca uniforme a livello regionale”, per i corpi e servizi di polizia locale.

Parimenti essenziali sono, poi, le competenze riguardanti l’istituzione del

vigile di quartiere, da attuarsi mediante nuclei o unità operative, nell’ambito

di quella che si definisce la “polizia di prossimità” (art. 8, primo comma,

lett. b, n.2).

Ciò premesso, si osserva che:

a) il Comune di Roma, ante- e post-investitura delle attribuzioni di cui alle

succitate leggi e decreti, non ha proceduto, in alcun modo, ad intraprendere

concertazioni di sorta con la Regione Lazio in materia di polizia locale, tra-

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valicando, con abituale disinvoltura, le disposizioni ed i vincoli posti (e im-

posti) dalla L.R. 1/2005;

b) il processo di trasformazione del Corpo, nei suoi aspetti di maggiore visi-

bilità (insegne, stemmi, loghi, ecc.), sancito dal provvedimento della Giunta

Capitolina, dimostra il radicale disattendimento degli obiettivi - che rappre-

sentano la stessa ragion d’essere della legislazione regionale - della omoge-

neità, della uniformità e del coordinamento delle caratteristiche strumentali,

organizzative e finanche estetiche, di tutte le strutture di polizia locale esi-

stenti ed operanti nel territorio di appartenenza;

c ) anche la modulistica, che dovrebbe sostituire quella adottata dal 1993 in

poi, recando l’intitolazione di “Polizia di Roma Capitale”, sembra ben lon-

tana dall’assoggettarsi a quel regime di uniformità “predicato” dall’art. 5,

primo comma, lettera f).

Ma, il dato di maggiore contrasto, che emerge tra le rispettive disposizioni, é

certamente individuabile nella (corretta) definizione che la legge regionale

esprime a riguardo del “Corpo della polizia municipale della Capitale del-

la Repubblica”, a fronte della (scorretta) denominazione di “Corpo di Poli-

zia Roma Capitale”, inaugurata con la suddetta delibera ed atti connessi.

Infatti, alla pari di quel che é stato dianzi rilevato nei confronti della Legge

Quadro, anche la normativa regionale conserva l’uso dell’aggettivo “muni-

cipale”, segnatamente quando si riferisce al Corpo istituito presso il Comu-

ne di Roma e, sulla scorta delle osservazioni già precedentemente svolte,

come la L. 65/86, la stessa L.R. 1/2005 non ha subito, ad oggi, la benché

minima modifica, sia a riguardo dell’art. 15, che per il resto delle sue dispo-

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sizioni, con l’effetto di precludere ogni “sanatoria”, passata o presente, delle

discrasie prodotte dall’iniziativa della Giunta Capitolina.

Tuttavia, le violazioni della normativa regionale possono ravvisarsi anche

nei “programmi” che dovrebbero scaturire a seguito e per effetto del cam-

biamento del nome. Anche a prescindere dall’”autogestione” degli aspetti

formali ed estetici (dei mezzi, delle divise, dei loghi, delle insegne, ecc.) ai

quali, peraltro, l’Amministrazione Capitolina rivolge molta enfasi, il previ-

sto piano di attribuzione di nuovi compiti ed incombenti, già in re ipsa con-

traddice al disposto di cui all’art. 3, terzo comma, L.R. 3/2001, che testual-

mente recita: “Gli addetti ai servizi e ai corpi di polizia locale non possono

essere destinati, di norma, a svolgere funzioni e compiti diversi da quelli

previsti dal presente articolo”. Ed é sufficiente rilevare come, dall’annesso

elenco di mansioni (polizia amministrativa, p.g., p.s., polizia stradale, poli-

zia tributaria, prevenzione e repressione delle infrazioni ai regolamenti ur-

bani, ecc.) non siano ravvisabili tipologie di attività eguali od analoghe a

quelle di cui all’art. 24, L. 42/2009.

Quanto alla istituzione del Vigile o Agente di Prossimità - ampiamente cita-

to dal Sindaco come fulcro dei migliori rapporti con la cittadinanza e della

rinnovata immagine del Corpo - la suindicata disposizione dell’art. 8, primo

comma, non lascia molti dubbi sulla inderogabilità della competenza regio-

nale a procedervi con proprio (ed esclusivo) Regolamento.

Quest’ultimo profilo presenta, però, notevoli problematiche attuative “a

monte”.

Premesso che la tipologia di regolamento, ravvisato dalla suindicata legge,

ricomprende prerogative ed incombenti ben più ampi e numerosi delle (po-

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che) aree di attività enumerate dalla normazione ordinaria, a cominciare da-

gli interventi in tema di armamento che, invece, l’art. 5, quinto comma, L.

65/86 aveva estrapolato dalle disposizioni sui “mezzi” e “strumenti” opera-

tivi, lasciandone ogni competenza alla legislazione statale ed ai regolamenti

comunali. Sotto il profilo della gerarchia delle fonti, quindi, con la riforma

del Titolo V della Costituzione, sia per la dotazione delle armi e oggetti di

autodifesa, sia nei riguardi di numerose altre materie, tra i due preesistenti

livelli normativi, rappresentati dalla decretazione statale e dai regolamenti

emanati dagli Enti Locali, é stato inserito il livello “intermedio” regionale

destinato, comunque, ad esercitare un ruolo di notevole rilevanza sulla pro-

duzione normativa già espressa da Comuni e Province.

Il tutto, naturalmente, non senza il verificarsi di una certa potenziale conflit-

tualità. In special modo, nel caso dei regolamenti concernenti il porto di ar-

mi (da fuoco) e di strumenti autotutori, l’egemonia decisionale, che era stata

attribuita ai Consigli comunali dalla L. 127/97 (il noto “comma 133”), ha

subito un consistente ridimensionamento in virtù del conferimento alla Re-

gione di competenze ben oltrepassanti la semplice supervisione, visto che

esse entrano nel merito delle scelte tecniche e delle strategie organizzative e

gestionali dell’armamento stesso. Ad accrescere le problematiche, generali e

particolari, scaturenti dall’applicazione del (riformato) disposto costituzio-

nale militano, certamente, varie contingenze, prima fra tutte, la mancata

promulgazione dei suddetti regolamenti da parte delle Regioni (o di alcune

di esse), così come si constata nei riguardi delle polizie locali del Lazio, an-

cor oggi - ossia, a distanza di dieci anni dall’entrata in vigore della Legge

1/2005 - prive del Regolamento di cui all’art. 15 cit.

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Che un simile, inspiegabile ritardo - indipendentemente da eventuali respon-

sabilità - determini effetti di non poco conto sul sistema giuridico e procedu-

rale dei rapporti tra Regione ed Enti locali, (e territoriali!), non sembra con-

futabile. In realtà, mancando la fonte regolamentare di collegamento tra la

legislazione regionale e gli atti e provvedimenti comunali vertenti su tali

materie, questi ultimi, ove siano egualmente emanati, risultano ab origine

viziati da illegittimità ed improcedibilità.

A maggior ragione, codesti vizi si presentano radicali ed insanabili allorché,

come nel caso di specie, la norma di legislazione regionale contenga riferi-

menti ben precisi (e tipicizzati) all’oggetto della delibera di Giunta (il terzo

comma dell’art. 15, L.R. 1/2005 é interamente ed esclusivamente dedicato

al “corpo di polizia municipale della Capitale della Repubblica”: più specia-

le di così...!), per cui, qualsivoglia difforme interpretazione che, magari, po-

trebbe innestarsi su un testo di legge vago, generico o “implicito”, qui trova

una barriera letteralmente insormontabile, tanto per quel che attiene alla de-

finizione di “municipale”, quanto per l’impossibilità di “legiferare” pre-

scindendo dalla riserva di potestà normativa regionale nei limiti posti dalla

Carta costituzionale.

D’altronde, se si considera che l’art. 15 cit. prescrive l’inserimento, nel (fu-

turibile) Regolamento regionale, di specifiche disposizioni aventi finalità di

salvaguardia delle tradizioni e dell’identità del Corpo di P.M. di Roma,

l’appropriazione, da parte dell’Amministrazione ex comunale delle preroga-

tive appartenenti alla Regione, porterebbe al paradosso di una autoreferen-

zialità, concettuale e normativa, secondo la quale gli organi capitolini stabi-

lirebbero da sé quali siano le proprie specificità, dettandosi (meglio: auto-

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dettandosi) disposizioni, istituzioni, regole e potestà a loro pieno arbitrio e

piacimento.

Da ultima - anche se, per molti versi, dovrebbe considerarsi prodromica - si

delinea la grave violazione di legge regionale che l’impugnata Delibera ha

realizzato attraverso, specificamente, le “procedure” seguite per il cambia-

mento del nome del Corpo.

Giova, infatti, prendere atto come l’insieme dei “transiti” (dei beni patri-

moniali e strumentali, dei rapporti giuridici, degli stemmi, emblemi, ban-

diere, decorazioni e titolarità) dal Corpo di P.M. a quello di Polizia Roma

Capitale, integri,a tutto tondo, la figura della estinzione del primo, previo

suo scioglimento, e costituzione, ex novo, del secondo.

Diversamente, allora, da quanto ritenuto dalla Giunta Capitolina, la fattispe-

cie che ne emerge, non può in alcuna misura connotarsi, ovvero, ridursi ad

un mero passaggio delle consegne - tipico, in diritto privato(es. condomi-

nio, spa, associazioni, ecc.) ed in diritto amministrativo, del subentro, al tito-

lare di un incarico, del suo successore designato, ma senza che la persona

giuridica, 1’ente, l’organo o l’ufficio subiscano la benché minima modifica-

zione - laddove, nel caso in esame, é proprio la struttura ad estinguersi, poco

contando che quella nuova e diversa abbia il suo fatto (o momento) genetico

in contiguità o contemporaneità con la scomparsa di quella preesistente.

Una più ortodossa (secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico)

prospettazione della fattispecie consente, allora, di stabilire che un cotale

scioglimento avrebbe dovuto (e, latamente, deve) compiersi con le segg.

procedure:

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a) deliberazione consiliare di indirizzo, ai sensi dell’art. 42, secondo

comma, lettere a), g), i) e l), D.Lgs. 267/22, sulla estinzione del vecchio

Corpo e la costituzione del nuovo;

b) delibera di Giunta per implementazione delle procedure di sciogli-

mento e costituzione di altra struttura, predisposizione dei bilanci, nonché

inventario dei beni, dei rapporti giuridici e patrimoniali del Corpo da scio-

gliere con indicazione degli incombenti da effettuare e la relativa tempistica;

c) delibera consiliare su controllo bilanci, rendiconto di cassa e con-

formità legale delle procedure di scioglimento, ai sensi dell’art. 42 cit., lett.

b) e i): trasmissione della delibera al Presidente della Regione ed

all’Assessorato regionale di polizia locale, per rilascio del provvedimento di

nulla osta all’esecuzione delle suddette procedure, nonché trasmissione della

stessa al Prefetto, ai sensi dell’art. 11, L. 65/86;

d) delibera di Giunta che dispone l’estizione del vecchio Corpo e ne

disciplina gli effetti giuridici ed organizzativi;

e) delibera consiliare di costituzione del nuovo Corpo e fissazione dei

criteri generali per la redazione del nuovo Regolamento;

f) delibera di Giunta con il testo definitivo del Regolamento del Corpo

e fissazione della data di entrata in vigore della nuova intitolazione del Cor-

po stesso,

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B) VIZI DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI (Circolare n. 110 del

10.6.2011, emessa dal Com.te pro tempore della Polizia Municipale di Ro-

ma e Circolare n. 113 del 17.6.2011, emessa dal Com.te prò tempore della

Polizia Roma Capitale

1) Illegittimità del provvedimento per vizi insanabili dell’atto presuppo-

sto (DCG 91/2011) e violazione dell’art. 20 del Regolamento del Corpo

di Polizia Municipale approvato con DGC n. 249 del 7 maggio 2002 ed

integrato con DGC n. 50 del 4 marzo 2009, per eccesso di potere, nonché

violazione dell’art. 8, (secondo comma), L. 7 agosto 1990, n.341

Per quanto attiene alla Circolare 110/2011, è agevole osservarne, prelimi-

narmente, l’assoluta nullità. Infatti, come si legge nell’intestazione, essa reca

ancora il vecchio titolo “ROMA Polizia Municipale il Comandante”: ora,

considerato che la DGC n. 91/2011 é entrata immediatamente in vigore in

data 1° aprile, sancendo il cambio di denominazione del Corpo - ergo, de-

cretandone la contestuale estinzione - e che tale Circolare risulta emanata

oltre due mesi dopo quella (improcrastinabile, per espresso volere della

Giunta!) scadenza.

Per migliore precisione, stante la mancata diffusione della dovuta documen-

tazione, allo stato degli atti non risulta, formalizzata alcuna nomina, a Co-

mandante del costituito Corpo di Polizia Roma Capitale, dello scrivente

dott. Giuliani, per cui deve ritenersi che costui si rappresentasse a capo di

una struttura ormai più che estinta ed egli stesso si trovasse decaduto dalla

relativa carica.

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Tant’é che, nella Circolare successiva, emanata dopo appena sette giorni

dalla prima, il medesimo si premuniva di utilizzare la nuova intestazione

(tutta in maiuscolo) “POLIZIA ROMA CAPITALE”, mentre della sua no-

mina per il nuovo Corpo, continuava o non conoscersi alcunché.

Non solo: allo scopo di prevenire (con scarso successo, in verità) ogni con-

testazione, il dott. Giuliani, nella Circolare in esame si dava, da solo, un

termine-proroga, al 13 giugno 2011 (tre giorni dopo) con il quale, evidente-

mente, egli mirava a “coprire” tutto il pregresso, intercorrente fra il 1° aprile

e le datazioni delle “sue” Circolari.

Viceversa, non soltanto con questo espediente non é stata sanata alcuna delle

nullità che inficiano la prima circolare ma, in tal modo, il Comandante (già

decaduto o meno) é incorso in un ulteriore vizio di eccesso di potere, poiché

l’eventuale concessione di una proroga dell’entrata in vigore della Delibera

n. 91/2011 sarebbe rientrata nella esclusiva competenza dell’autorità, ovvero

dell’organo emittente, che era la Giunta Capitolina.

Ma la Circolare n. 110/2011 offre ben altri elementi di censura, che discen-

dono dall’”invenzione” del doppio binario o, in altri termini, del doppio

regime giuridico degli atti (tutti!) amministrativi (interni ed esterni) con-

cernenti il funzionamento stesso del Comune/Ente Territoriale di Roma.

Recita testualmente l’impugnato provvedimento: “A partire da lunedi 15

giugno p.v., la corrispondenza e la modulistica autoprodotta dovranno esse-

re adeguate alla nuova denominazione, mentre la modulistica prestampa-

ta con la precedente denominazione verrà utilizzata fino ad esaurimen-

to”.

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Rilevata, intanto, l’improprietà etimologica del termine “prestampato” - che

va inteso, a quel che sembra, come pre-stampato, ossia previgente e non nel

più diffuso significato di modello cartaceo recante a stampa le sue parti es-

senziali - é opportuno tornare brevemente alla ratio di una scelta, altrimen-

ti...irrazionale, nonché foriera di effetti devastanti, giuridici ed economici, a

danno della stessa Amministrazione e, ovviamente, dei cittadini.

Come va ricordato, la DCG 91/2011 si era resa garante dell’assoluta gratui-

tà del cambio di nome del Corpo (“Atteso che il presente provvedimento non

comporta impegno di spesa”) con la quale la Giunta riusciva a cautelarsi da

ogni intervento di controllo (ed eventuale censura) da parte del Consiglio

comunale. Ciò, anche in ragione di una situazione, pressoché identica, veri-

ficatasi, propriamente in quel periodo, che aveva riguardato l’Arma dei Ca-

rabinieri. A causa, infatti, di un (non meglio precisato) errore, era stata pro-

dotta una cospicua modulistica intitolata a “Regione” e non “Legione” dei

comandi territoriali dell’Arma, che aveva costretto il Comando Generale a

disporre l’immediato ritiro di tutti i modelli (nell’ordine di centinaia di mi-

gliaia di esemplari) e la ri-stampa di quelli corretti, con un’operazione com-

portante costi assai elevati, il che rappresentava un pessimo esempio per a-

dottare una eguale soluzione seppur finalizzata a sostenere la mutuata gratui-

tà dell’incombente.

Tuttavia, la teoria del “doppio binario”, per di più, a tempo indeterminato -

fino ad un futuribile ed incerto esaurimento - confliggeva (e confligge) con i

principi basilari della trasparenza amministrativa stabiliti dalla L. 7 agosto

1990, n. 241 e s.m.i., la quale, all’art. 8, secondo comma, prescrive una serie

di requisiti inderogabili dell’atto amministrativo, primo fra tutti,

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l’indicazione dell’amministrazione competente. Della quale, naturalmente,

la legge pretende, anzitutto, l’esistenza, nonchè la titolarità delle funzioni

che essa svolge.

In proposito, ed a fronte delle numerose contestazioni insorte circa la invali-

dità degli atti resi con la modulistica “ad esaurimento”, a cagione della pre-

gressa estinzione dell’Autorità procedente, alcuni portavoce dell’Ente Terri-

toriale hanno replicato che nella legislazione italiana non esiste alcuna speci-

fica norma che imponga, per i provvedimenti amministrativi, l’obbligo

dell’intitolazione. In particolare, per le infrazioni di viabilità, nell’elenco dei

requisiti del verbale di accertamento, riportato all’art. 383 D.Lgs. 16 dicem-

bre 1992, n. 495: Reg. esec. Codice della Strada), si parlerebbe generica-

mente dell’“accertatore” (id., all’art. 13, L. 689/91), senza alcuna prescri-

zione identificativa.

Ora, a parte la (banale) paradossalità di questa autodifesa - la mancata o er-

ronea o falsa intestazione determinerebbe, prima ancora dei paventati annul-

lamenti da parte dei Giudici di Pace, l’impossibilità, per l’Ente cui appartie-

ne l’accertatore, di incassare i proventi degli illeciti amministrativi (a chi si

intesterebbero i modelli di versamento dei relativi importi ?) - v’é da ritenere

che il carente apprezzamento dell’art. 8. cit., da parte dei suddetti rappresen-

tanti, destituisca di fondamento siffatte argomentazioni.

Vero é, invece, che l’adozione del “doppio binario”, per la modulistica co-

munale costituisca, innanzitutto, un vulnus alla certezza giuridica dell’azione

amministrativa giacché potrebbe verificarsi, per la contestuale utilizzazione

di modelli ad intitolazione eterogenea, l’assurda condizione di due accerta-

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menti di violazione elevati, contemporaneamente o consecutivamente, da

due Enti diversi a carico dell’identica persona!

Non di meno, presupponendosi che, anche (e soprattutto) in queste evenien-

ze, la competenza a disciplinare il regime (e la testualità) della modulistica

amministrativa nel suo insieme, ovviamente, unitario (i verbali di accerta-

mento di violazione non godono di alcun privilegio, rispetto all’universo dei

prestampati in uso presso l’intera compagine della P.A.), non possa mini-

mamente derogare ai dettami della legge ordinaria (art. 48, terzo comma

T.U.E.L.) e delle norme regolamentari (art. 20, Reg. Corpo di Polizia Muni-

cipale vigente), deve dedursi la determinazione del vizio di eccesso di potere

da parte del Responsabile dell’impugnata Circolare.

D’altronde, così come l’esercizio del potere di abrogazione di precedenti di-

sposizioni, riportato in calce alla medesima, non rientra fra i compiti istitu-

zionali attribuiti alla figura del Comandante dall’art. 9, L. 65/86, dall’art. 13,

L.R. 1/2005 e dal succitato art. 20 Reg. Corpo, le direttive concernenti il re-

gime degli atti pubblici esulano totalmente dalla sfera delle funzioni interne

alla struttura, stante la loro imperatività e la loro efficacia nei confronti dei

terzi, ovvero della generalità dei consociati.

2) Illegittimità del provvedimento per vizi insanabili dell’atto presuppo-

sto (DCG 91/2011) e violazione dell’art. 48, terzo comma, D.Lgs. 18 ago-

sto 2000, n. 267, violazione degli artt. 7, terzo comma e 9, primo comma,

L. 7 marzo 1986

La Circolare n. 113/2011, premesso che “La nuova denominazione del Cor-

po ... si riverbera su tutte le denominazioni e definizioni in uso all’interno

della nostra struttura organizzativa”, procede disinvoltamente a formulare

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le qualifiche (o, meglio, alcune qualifiche) del personale “traslato” nel costi-

tuito Corpo di Polizia Roma Capitale.

In tal modo, la precedente denominazione “U.O. Gruppo Municipale” divie-

ne “U.O. Gruppo”, quella di “Istruttore di Polizia Municipale” passa a “I-

struttore di Polizia”, mentre il “Funzionario di Polizia Municipale” assume

il titolo di “Funzionario di Polizia”.

A riguardo, é opportuno osservare che:

a) la soppressione dell’aggettivo “municipale” rende l’U.O. Gruppo (a

cui dovrebbe seguire l’indicazione numerica in caratteri latini) completa-

mente sfornita di identificabilità, non riuscendo, obiettivamente, a spiegarsi

il motivo di non avervi aggiunto “Polizia Roma Capitale” ;

b) eguali rilievi possono rivolgersi alla incompletezza della denomi-

nazione dell’Istruttore e del Funzionario, entrambi definiti “di Polizia” senza

la (presumibilmente, necessaria aggiunta di “Roma Capitale”;

c) l’adeguamento delle qualifiche, effettuato dall’impugnata Circola-

re, non si estende, né ai vertici del Corpo (che diverrebbero “Comandante di

Polizia” e “Dirigente di Polizia”), né ai livelli inferiori (che dovrebbero

comprendere 1’”Agente di Polizia” e cosi via), con grave detrimento per tut-

te queste fasce di personale le quali, ad oggi, non sono in grado di conoscere

esattamente il proprio status lavorativo...!

Naturalmente, il primo effetto di una totale indeterminazione, cagionata dal-

la scomparsa dell’aggettivo (più che qualificativo) di “municipale”, si indi-

vidua nell’estrema confondibilità, quantomeno, dei ruoli sui quali é “inter-

venuto” il Comandante, con quelli della Polizia di Stato e degli altri Corpi di

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Polizia ad ordinamento civile che ne hanno mutuato l’assetto organico e le

qualifiche.

Da questo punto di vista, il distacco dalle intitolazioni della fonte ordina-

mentale di riferimento, parrebbe sospingere il Corpo di Roma Capitale verso

l’ambito della L. 121/81, peraltro, del tutto arbitrariamente.

Infatti, al di là di ogni - più o meno ricorrente - aspettativa di parificazione

del personale della P.M. con quello appartenente alle altre Forze dell’ordine,

sotto i profili dello stato giuridico, dei livelli retributivi, salariali e previden-

ziali, dell’inserimento nel Comparto Sicurezza e del rientro della contratta-

zione di categoria nel regime di diritto pubblico, le problematiche istituzio-

nali afferenti i Corpi e servizi di polizia locale (locuzione che ricomprende

anche le strutture provinciali) si dimostrano sufficientemente complesse da

non poter certamente essere risolte con l’ennesimo “tratto di penna”, come

parrebbe intendere l’impugnata Circolare.

Semmai, é vero il contrario, poiché, rilevata l’assoluta inidoneità dei prov-

vedimenti comunali, degli EE.LL. e della stessa Roma Capitale come Ente

Territoriale, ad incidere su fonti normative quali gli ordinamenti dei Corpi di

Polizia dello Stato, determinerebbe ulteriori conflitti di attribuzione e contri-

buirebbe, così, a rendere, finanche più caotica, la collocazione della Polizia

Municipale nel sistema giuridico delle pubbliche funzioni. Quanto, poi, alla

gravità del contrasto che il disposto della Circolare n. 113/2011 esprime av-

verso la vigente normativa ordinaria e regionale, é appena il caso di ricorda-

re che:

a) la L. 65/86, all’art. 7, terzo comma, stabilisce che l’ordinamento e

l’organizzazione del Corpo di polizia municipale si articolano “di norma” in:

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responsabile del Corpo (Comandante), addetti al coordinamento e al control-

lo e operatori (vigili);

b) la L.R. 1/2005, più laconicamente, distingue “di norma” tre livelli:

ufficiali, sottufficiali e agenti.

Ovviamente, tutte queste qualifiche restano corredate dell’aggettivazione di

appartenenza, ossia municipale, provinciale o, al più, locale. Del resto, la

stessa legge ordinamentale, all’art. 6, secondo comma, n. 4), si premunisce

di precisare che “Le uniformi della P.M. devono essere tali da escludere la

stretta somiglianza con le uniformi delle Forze di polizia e delle Forze ar-

mate dello Stato” per cui, a fortiori andrebbe esclusa qualsivoglia similitu-

dine dei titoli e delle qualifiche, visto che queste ultime, oltre a questioni e-

stetiche o etimologiche, ineriscono alla medesima compagine organizzativa

e funzionale della struttura.

Ma, anche a voler posporre la rilevanza intrinseca del problema-qualifiche,

resta inoppugnabile che, vertendosi in materie attinenti all’ordinamento de-

gli uffici e dei servizi, un’innovazione di tale portata - previa verifica di le-

gittimità (assai opinabile) - rientrerebbe indefettibilmente nell’ambito della

normazione regolamentare con automatico deferimento, ratione materiae,

della relativa competenza, alla Giunta o, più precisamente, per i motivi sue-

sposti, al Consiglio, ora Assemblea Capitolina, Ancora una volta, pertanto,

l’Amministrazione comunale dimostra di aver applicato una procedimentali-

tà invertita (rectius, sovvertita), operando su disposizioni di natura regola-

mentare (o, addirittura, di ruolo esecutivo e applicativo dei regolamenti) e

statutaria, posticipando, a cronologia indefinita, il varo dei dovuti provvedi-

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menti e limitandosi ad agire sulla scorta di norme obsolete la cui contraddit-

torietà con l’esistente assume ormai carattere fisio(pato)logico.

P.Q.M.

si chiede all’Ill.mo T.A.R. intestato che disponga l’annullamento della DGC

91/2011 e delle Circolari del Comando della P.M. - Polizia Roma Capitale

n. 110/2011 e n. 313/2011.

--------------------

SULLA DOMANDA DI SOSPENSIVA

1) Il fumus boni juris si individua dall’esposizione dei motivi del presente

Ricorso;

2) La necessità ed urgenza di sospendere l'impugnata Deliberazione di Giun-

ta e le due Circolari del Comando Generale del Corpo risiedono nell’estrema

rilevanza dei segg. effetti:

A) Sulla scorta di dati ancora ufficiosi, ovvero ricavati in via di media

statistica, l’entità quantitativa dei verbali di violazione elevati limitatamen-

te alle infrazioni di viabilità – nell’arco temporale sussistito fra il 1° aprile

2011 (data dell’entrata in vigore del provvedimento presupposto) ed il 1°

settembre dello stesso anno - porterebbe a stimarne il valore patrimoniale,

approssimativamente, in 50 milioni di euro, così come riferito da fonti di

stampa quotidiana che qui si allegano. Trattasi, ovviamente, di verbali re-

canti ancora la previgente intestazione "Corpo di Polizia Municipale" che ri-

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sultano già essere stati massivamente contestati dagli interessati relativa-

mente alla invalidità che vi deriverebbe essendo stati tratti con la denomina-

zione di un ente dichiarato estinto, ovvero di un organo soppresso.

A ben vedere, peraltro, le entità ormai inesistenti sarebbero due, giacché,

prima ancora dello scioglimento del vecchio Corpo di P.M. del Comune di

Roma, é stato estinto lo stesso Comune - quale Ente Locale e persona giu-

ridica per cui la modulistica recante la previgente dizione sarebbe, addirittu-

ra, affetta da un duplice ordine di nullità.

Di estremamente significativo, sulla situazione venutasi, così a determinare,

é stato, poi, il recente intervento mediatico della Unione dei Giudici di Pace

- sotto la cui giurisdizione ricadono i ricorsi avverso i verbali di violazione a

norme del C.d.S. - che, in persona del Presidente Nazionale, ha espresso una

severa censura circa la perseveranza dell’uso di atti intestati al disciolto

Corpo, definendo, così un solido orientamento giurisprudenziale destinato a

provocare l’annullamento generalizzato del cartaceo affetto da siffatti vizi.

La qualcosa, a sua volta (e, pressoché automaticamente), sostanzia un gra-

vissimo danno erariale di cui si rende responsabile in toto

l’Amministrazione capitolina che, con ogni probabilità, sarebbe sottoposta a

giudizio da parte della Magistratura contabile e, per l’effetto, costretta a

consequenziali, ingenti risarcimenti.

In quest'ottica, la sospensione degli impugnati provvedimenti soccorrerebbe,

quantomeno, a limitare il danno a quello prodottosi fino ad oggi, poiché non

risulta che la medesima Amministrazione abbia provveduto a mutare consi-

glio, contribuendo ad una moltiplicazione di importi fattualmente dovuti

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dai trasgressori che essa, però, non sarà punto in grado di riscuotere. A ciò,

naturalmente, vanno aggiunte le somme che dovranno essere erogate a favo-

re dei ricorrenti a titolo di spese legali il cui ammontare, parimenti, rischia di

raggiungere, da solo, importi iperbolici.

B) La condizione di invalidità della modulistica ancora impiegata dal

Corpo di Polizia Roma Capitale non é ristretta all’ambito del Codice della

Strada, bensì affligge l’intera gamma degli interventi in materia di regola-

menti di polizia urbana, di polizia del commercio, edilizia, ecc., come già

accennato nel presente Ricorso, A sostegno della richiesta di sospensiva de-

gli impugnati provvedimenti milita, pertanto, anche l’insieme dei danni era-

riali relativi all’invalidità della documentazione in tutti questi ulteriori setto-

ri che concorreranno ad incrementare a dismisura il contenzioso e gli esiti

debitori che possono, credibilmente, ritenersi assiomatici.

C) Ma se i profili economici di cui sopra, risultano rilevanti per la ge-

stione amministrativa della cosa pubblica, altrettanto (o più) essenziali sono

da considerare gli effetti di annullamenti (o declaratorie di nullità) degli atti

di polizia giudiziaria (che implicano l’applicazione di provvedimenti re-

strittivi patrimoniali e, ancor più gravemente, della libertà personale), con

ripercussioni incalcolabili sul funzionamento della Giustizia e dell’attività

dell’Autorità Giudiziaria.

D) Inoltre, ove, assieme alla previgente denominazione siano venuti

meno il Regolamento della P.M. (e non sembra che l’invocatissimo D.Lgs.

156/2010 abbia esteso la prorogatio, condizionata, dello Statuto del Comune

di Roma e del Regolamento dell’ex Consiglio comunale anche a tale norma-

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tiva!) ed il Regolamento sull’armamento della P.M. di Roma, promulga-

to in applicazione del D.M. 145/87 ed approvato (con quella denominazione

del Corpo!)) dal Ministero dell’Interno, si versa, a carico del personale mu-

nito di pistola, nel gravissimo pericolo dell’uso di un’arma privo di ogni le-

gittimità e giustificazione dei motivi di servizio e, persino del porto stesso

dello strumento difensivo.

E) Infine, deve rilevarsi come, contrariamente alla asserita gratuità

dell’operazione eseguita dalla Giunta, il solo cambiamento di nome ha com-

portato notevoli costi (dalla riverniciatura degli automezzi al conio dei di-

stintivi, emblemi, targhe, vestiario, dotazione di casermaggio, di uffici, ecc.)

che, se non verranno sospese le procedure di esecuzione dell’impugnata De-

libera, produrranno una lievitazione delle spese e degli oneri finanziari a ri-

schio di vanificazione e di proporzionale voragine di bilancio per il Corpo

ed il neonato Ente, tutto a carico del cittadino contribuente.

----------------

Si dichiara che il presente Ricorso, vertendo in materia di lavoro, é e-

sente dal versamento del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 115/02.

Si allegano:

1) Ricorso di pagg. 61 : originale + 4 copie;

2) Provvedimenti impugnati (DGC n. 91/2011 - Circolare Comando n.

110/11 - Circolare Comando n. 113/11) + 4 copie;

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3) Statuto dell’O.S.Po.L. + 2 copie;

4) Atto di formale Diffida O.S.Po.L. 5 agosto 2011 + 2 copie;

5) Statuto Comune di Roma + 2 copie;

6) Disegno di legge del 21 marzo 2007 + 2 copie;

7) Regolamento ordinamento Uffici e Servizi di Roma Capitale (DGC n.

161/10 del 29 dicembre 2010) + 2 copie;

8) Modifiche e integrazioni del Regolamento del Corpo di P.M. di Roma

(DGC n. 50/09 del 4 marzo 2009) + 2 copie;

9) Regolamento armamento appartenenti al Corpo di P.M. (DCC n. 7/09

del 27/28 gennaio 2009 + 2 copie;

10) D.M. 4 marzo 1987, n.145 + 2 copie;

11) Deliberazione n. 327/93 del 26.10.1993 (Comm. Straordinario) su

cambiamento denominazione Corpo dei Vigili Urbani di Roma in

Corpo della P.M. di Roma,+ 2 copie;

12) Estratto verbale deliberazioni Consiglio comunale - Delib. n. 209/96

dell’11.11.1996 “Costituzione di una Istituzione denominala “Polizia

Municipale” + 2 copie;

13) Legge Regionale del Lazio n. 1/05 “Norme in materia di Polizia Loca-

le” + 2-.copie ;

14) Portale del Comune di Roma 10 giugno 2011 + 2 copie

15) Sentenza n. 616/06 Consiglio di Stato + 2 copie;

16) Sentenza Corte costituzionale 13-21 ottobre 2003, n. 313+2 copie;

17) Articoli “Sono nulle le multe dell’estate” (il Tempo, Cronaca Roma,

14.9.2011; “Multe, possono saltare 6 mesi di introiti”, Il Corriere della

Sera, Cronaca Roma, 20.9.2011; “Multe nulle dal 1° aprile. Basta il

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ricorso (Il Tempo, Cronaca Roma, 20.9.2011; “Sulle multe é braccio

di ferro” (il Tempo, Cronaca Roma, 15.9.2011 ) + 2 copie ca. ;

18) Relata di notifica.

Roma, 26 settembre 2011

(Avv Nicola COCO)

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