Travagli nella parabola - marsilioeditori.it · vietica come libro per ragazz o i d'avventura....

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cent'anni dopo di STEFANO GARZONIO U n centenario in sordina quello della rivoluzio- ne d'ottobre del 1917: certo, sono moltissime le iniziative commemo- rative e le occasioni di studio preparate in Rus- siae nelmondo, ma nes- sun festeggiamento commensura- bile a quelli che segnarono, ad esempio, i duecento anni dellarivo- luzione francese. Nella nostra edi- toria ad alcune pubblicazioni di in- dubbio interesse e novità, per esempio il volume in uscita da Jaca Book, La rivoluzione russa di Pier Pao- lo Poggio, Giovanni Codevilla e Ste- fano Caprio, va ad aggiungersi da Carocci un importante contributo dello storico inglese, Stephen A. Smith, La rivoluzione russa Un im- pero in crisi 1890-1928 (pp. 464, € 34,00) nella introduzione al quale si chiarisce subito che scrivere di questi eventi è per forza di cose «un'impresa di carattere peculiar- mente politico», ciò che fa sceglie- re all'autore di attenersi a una trat- tazione il più possibile obiettiva. Questo stesso intento porta Smi- th ad ampliare la trattazione stori- ca della rivoluzione russa, parten- do dagli anni del regno di Alessan- dro IH, e a dedicare ampio spazio anche ai fatti di inizio secolo, dalla guerra giapponese alla rivoluzio- ne del 1905 fino alla Grande Guer- ra. Allo stesso tempo, la sua tratta- zione si estende a tutti gli anni ven- ti, al periodo della Nep, e giunge al- la Grande Svolta staliniana allavigi- lia della collettivizzazione, della grande industrializzazione e degli anni del Terrore. Una particolare attenzione, dunque, viene presta- ta a temi e questioni che nella sto- riografia precedente all991 aveva- no suscitato minore interesse e, in concreto, al problema della dimen- sione imperiale e nazionale della ri- voluzione, questione ancora mol- to viva ai giorni nostri, e che nei confronti della rivoluzione è stata a suo tempo acutamente trattata da Vittorio Strada nel suo volume Rivoluzione e impero (Marsilio). Tutti i dettagli delia storia Proprio la questione dell'impero spinge Smith ad affrontare le impli- cazioni etniche e nazionali della ri- voluzione e della guerra civile. Dal- la rassegna di quegli eventi si ottie- ne un quadro di riferimenti assai utile anche per indagare le questio- ni nazionali nel mondo post-sovie- tico dei nostri giorni, dall'annoso problema del nazionalismo gran- de russo, dell'antisemitismo, ma anche della russofobia, a quello dei nazionalismi degli altri popoli dell'impero (dal Baltico, al Cauca- so, all'Ucraina, all'Asia Centrale) e oltre. Sono tutti aspetti dei conflit- ti interni alla rivoluzione che Smi- th giustamente confronta e con- trappone agli intenti dichiarati del nascente potere proletario: affer- mare ima prospettiva internazio- nalista e universale, che avrebbe dovuto realizzarsi nella vittoria del socialismo in tutto il pianeta. Lo storico inglese ripercorre la storia dei rapporti e delle contrap- posizioni tra i bolscevichi e gli altri movimenti politici di orientamen- to socialista, caratterizza i dissidi anche all'interno dello stesso parti- to comunista, traccia tendenze e conflitti che risultano significativi anche per comprendere la storia più recente di quelle nazioni e di quei popoli che vennero inglobati nelle varie repubbliche socialiste dell'Urss. Sempre con un occhio at- tento alla storia più recente, Smith affronta il tema delle persecuzioni contro la Chiesa e la politica antire- «I QUADERNI DI MOSCA» 1931-1934 PAGINA 2 • 1 OTTOBRE 2017 • ALIAS DOMENICA I Lo storico inglese Stephen A. Smith descrive «Un impero in crisi 1890-1928», uscito da Carocci, estendendo gli effetti dei «dieci giorni che sconvolsero il mondo» fino alle attuali tensioni nazionaliste Celan e Brodskij lettori dei testi «clandestini» di Osip Mandel'stam: un saggio di Pina Napolitano di STEFANO ALOE L o stalinismo rappresenta nella produzione di Mandel'stam un oggettivo spartiacque: a partire dagli anni trenta, infatti, il poe- ta scrive in clandestinità, senza speranza di poter pubblicare e consapevole della fine immi- nente. Preservati dalla vedova con la caparbietà di chi sa di custodire testi sacri, i versi di questi anni sono difficili, er- metici, e richiedono un grande impegno interpretativo sia al lettore appassionato che allo studioso. Il saggio di Pina Napolita- no, Osip Mandel'stam: i Quaderni di Mo- sca (Fup, pp. 344, € 17,90) entra dunque in un panorama critico ancora in parte da co- struire, e con l'ambizione di contribuire a colmare una lacuna (donde l'emozione che traspare da alcune pagine, quando l'autrice esibisce le sue motivazioni e de- scrive un metodo di lavoro insieme di fer- vore e rigore). Oggetto del saggio sono i cosiddetti «Quaderni di Mosca» nei quali si è traman- data la produzione poetica del periodo 1931-1934. Il libro ha una struttura sempli- ce: a un inquadramento storico segue un capitolo, breve ma centrale, dedicato alla lettura che di Mandel'stam hanno fatto al- tri due grandi poeti, Celan e Brodskij. Ser- ve per imporre un chiaro criterio poetico su cui basare il lavoro ermeneutico, senza negare valore aun'analisi «tecnica», ma su- bordinandola a una visione che non cerchi senso «altrove» dal testo. Forte di questi modelli interpretativi, l'autrice si addentra nei Quaderni con pro- cedimento sistematico: riporta i versi in or- dine rigoroso, corredandoli di una tradu- zione «di servizio», utile a coglierne la lette- ra, e di un commento capillare. Il legame fra il tutto e le parti, costitutivo del mondo poetico dei Quaderni, è recuperato nell' ana- lisi attraverso raggruppamenti logici che seguono i poryvy (gli «slanci») del poeta, se- quenze semantiche che ne contraddistin- guono i diversi cicli. Il senso delle complesse immagini e me- tafore si va ricostruendo proprio nella so- vrapposizione delle loro variate ricorren- ze. Altrettanto utili sono i raffronti con le prose del poeta, per esempio con i Dialoghi su Dante, dove Mandel'stam sviluppa la ri- flessione metapoetica facendo largo uso di metafore. Napolitano intreccia così la ri- cerca su testo, intertesto e ipotesto man- del'stamiano con l'esigenza di rimanere dentro alla poesia, per restituirla a una let- tura intensa, che ne rispetti la proprietà fondamentale, la sua natura di «flusso». Travagli nella parabola della Rivoluzione leggerà come «distaccato e disillu- Aleksandr Deyneka, so», ma Smith offre l'opportunità «La difesa unicadipoterripercorrerelediver- di Pietrogrado», 1928 se fasi della storia russa con un oc- chio al loro significato più propria- mente universale, all'opposizione tra socialismo e capitalismo anche in ima prospettiva che conduce al- la contemporaneità e alle nuove si- tuazioni conflittuali del nostro tempo tra Russia e Occidente. Certo è che lontano dai trionfali- smi e dalle aspettative che parvero dischiudere i «dieci giorni che scon- volsero il mondo», accettata la fine «della spinta propulsiva dell'Otto- bre» e lontano da qualsiasi posizio- ne di parte, sottolinea l'importan- za della rivoluzione nell'edificare uno stato che non solo seppe tener testa a lungo al capitalismo, ma so- prattutto fornì un alto tributo di sangue come decisivo baluardo contro la vittoria del fascismo. In questi tempi di dilagante rus- sofobia e riabilitazione di movi- menti nazionalistici a suo tempo al- leati del nazismo quella di Smith è una presa di posizione decisa e niente affetto scontata. ligiosa sviluppata fin dal successo del colpo di stato dell'Ottobre. Centrale, poi, l'analisi dei tratti sociali, culturali, politici del varie- gato mondo contadino russo e del suo rapporto con il nuovo potere dei Soviet. Allo stesso tempo, Smi- th sviluppa anche un fruttuoso con- fronto con la storia della cultura russa e sovietica, tra tradizione, in- novazione, pragmatismo e aspetta- tive catartiche, negli anni che pre- cedettero la piena affermazione dello stalinismo. E affronta in mo- do assai vivace il tema della violen- za rivoluzionaria, rifiutando molti degli stereotipi interpretativi fin qui accettati e mettendo a confron- to il periodo dell'autocrazia con quello del nascente stato sovietico, quello della guerra civile e quello del terrore rosso della Ceka. Appro- da così a constatare la «ubiquità del- la violenza» nella rivoluzione: nel mettere ovviamente in evidenza la tendenzadel potere sovietico a «pla- smare il corpo sociale» con pratiche di schedatura, carcerazione, depor- tazione e così via, non minimizza il carattere violento e repressivo dell'ancien regime enumerandone i numerosi antecedenti e stabilen- do interessanti analogie. Di grande rilievo è anche l'analisi offerta dallo storico inglese del rapporto tra azio- ne rivoluzionaria, gestione del pote- re e ideologia, e, allo stesso tempo, del passaggio dalla rivoluzione di popolo a quella «dall'alto» attuata da Stalin fino al recupero di molti tratti dell'autocrazia. Interpretazioni precedenti In questa prospettiva, Smith tiene conto,purtendendoasuperarle,del- le varie letture precedentemente of- ferte dellarivoluzionerussa, da quel- la di Martin Malia, che parla di «ideo- crazia», attribuendo grande impor- tanza all'ideologia anche nelle scel- te pratiche e contingenti dellagestio- ne del potere, a quella di Richard Pi- pesche vede la persistente influenza dello zarismo nel definirsi del nuovo stato sovietico e della stessa conce- zione della dittatura del proletariato che si realizza poi nell'incontrastata autorità di Stalin. Il quadro che se ne ottiene è pa- catamente obiettivo: qualcuno lo SCRITTO NEI PRIMI ANNI TRENTA, IL «MARCO POLO», RIPROPOSTO DA QUODLIBET Dietro all'impianto storico, la vena avanguardista di Viktor Sklovskij di DAMIANO REBECCHINI I n bilico fra storia, narrati- va e poesia, Il Marco Po- lo di Viktor Sklovskij - ora ripubblicato da Quo- dlibet nella traduzione di Maria Olsufìeva, con una nota di Giovanni Maccari (pp. 242, €15,00), è un libro spiazzante. Racconta la vita di Marco Polo e il suo lungo viaggio nelle terre del Kubilay Khan, ma lo fa alla maniera di Sklovskij, in un mo- do che sorprende, disorienta e a tratti affascina. Usa per la prima volta nel 1931 in una versione breve dal titolo La spia Marco Pòlo, poi venne amplia- to e rielaborato per comparire nella celebre collana di biografie ideata da Maksim Gor'kij «Vita di uomini straordinari», e fti poi più volte ripubblicato in Unione So- vietica come libro per ragazzi o d'avventura. Eppure è un'opera non focile, dal genere sfuggente, come tutte le opere di Sklovskij: costruito attraverso un montag- gio di brani da E Milione, incorni- ciati da ima narrazione sempli- ce, a volte primitiva, che li intro- duce, li commenta, a tratti diva- ga, ci parla delle ambientazioni e della geografia dell'Asia centra- le, delle lingue e della cultura di quei popoli. Ci ritroviamo fra le steppe della Manciuria, o nel pa- lazzo d'inverno del Kubilay Khan a Pechino, nel parco del suo palazzo estivo, fra cervi bian- chi, daini, antilopi e uccelli d'ogni specie, fra i vicoli di Sa- marcanda o le strade in festa di Venezia. La narrazione non è di quelle suggestive, d'atmosfera, ha piut- tosto la ruvidità delle antiche re- lazioni di viaggio o delle crona- che medievali: frasi elementari e potenti, che stupiscono e ri- mangono impresse, continua- mente scandite da punti a capo che danno un rilievo nuovo e inatteso a luoghi e oggetti. Scritto nei primi anni trenta, quando il regime staliniano non tollerava più gli esercizi funam- bolici del modernismo russo, il Marco Polo lascia intravedere, dietro al suo impianto storico e divulgativo, la prima vena avan- guardista dello scrittore. Sklovskij aveva iniziato a pubbli- care i suoi lavori di critico e teori- co della letteratura scrivendo ar- ticoli come il celebre L'arte come procedimento (1917), l'atto di na- scita del formalismo russo. Qui parla per la prima volta dello straniamento come della principale tecnica letteraria: la vera letteratura consiste nel sa- per presentare oggetti e situazio- ni in un modo strano, nuovo,

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cent'anni dopo

di STEFANO GARZONIO

U n centenario in sordina quello della rivoluzio-ne d'ottobre del 1917: certo, sono moltissime le iniziative commemo-rative e le occasioni di studio preparate in Rus-siae nelmondo, ma nes-

sun festeggiamento commensura-bile a quelli che segnarono, ad esempio, i duecento anni dellarivo-luzione francese. Nella nostra edi-toria ad alcune pubblicazioni di in-dubbio interesse e novità, per esempio il volume in uscita da Jaca Book, La rivoluzione russa di Pier Pao-lo Poggio, Giovanni Codevilla e Ste-fano Caprio, va ad aggiungersi da Carocci un importante contributo dello storico inglese, Stephen A. Smith, La rivoluzione russa Un im-pero in crisi 1890-1928 (pp. 464, € 34,00) nella introduzione al quale si chiarisce subito che scrivere di questi eventi è per forza di cose «un'impresa di carattere peculiar-mente politico», ciò che fa sceglie-re all'autore di attenersi a una trat-tazione il più possibile obiettiva.

Questo stesso intento porta Smi-th ad ampliare la trattazione stori-ca della rivoluzione russa, parten-do dagli anni del regno di Alessan-dro IH, e a dedicare ampio spazio anche ai fatti di inizio secolo, dalla guerra giapponese alla rivoluzio-ne del 1905 fino alla Grande Guer-ra. Allo stesso tempo, la sua tratta-zione si estende a tutti gli anni ven-ti, al periodo della Nep, e giunge al-la Grande Svolta staliniana allavigi-lia della collettivizzazione, della grande industrializzazione e degli anni del Terrore. Una particolare attenzione, dunque, viene presta-ta a temi e questioni che nella sto-riografia precedente all991 aveva-no suscitato minore interesse e, in concreto, al problema della dimen-sione imperiale e nazionale della ri-voluzione, questione ancora mol-to viva ai giorni nostri, e che nei confronti della rivoluzione è stata a suo tempo acutamente trattata da Vittorio Strada nel suo volume Rivoluzione e impero (Marsilio).

Tutti i dettagli delia storia Proprio la questione dell'impero spinge Smith ad affrontare le impli-cazioni etniche e nazionali della ri-voluzione e della guerra civile. Dal-la rassegna di quegli eventi si ottie-ne un quadro di riferimenti assai utile anche per indagare le questio-ni nazionali nel mondo post-sovie-tico dei nostri giorni, dall'annoso problema del nazionalismo gran-de russo, dell'antisemitismo, ma anche della russofobia, a quello dei nazionalismi degli altri popoli dell'impero (dal Baltico, al Cauca-so, all'Ucraina, all'Asia Centrale) e oltre. Sono tutti aspetti dei conflit-ti interni alla rivoluzione che Smi-th giustamente confronta e con-trappone agli intenti dichiarati del nascente potere proletario: affer-mare ima prospettiva internazio-nalista e universale, che avrebbe dovuto realizzarsi nella vittoria del socialismo in tutto il pianeta.

Lo storico inglese ripercorre la storia dei rapporti e delle contrap-posizioni tra i bolscevichi e gli altri movimenti politici di orientamen-to socialista, caratterizza i dissidi anche all'interno dello stesso parti-to comunista, traccia tendenze e conflitti che risultano significativi anche per comprendere la storia più recente di quelle nazioni e di quei popoli che vennero inglobati nelle varie repubbliche socialiste dell'Urss. Sempre con un occhio at-tento alla storia più recente, Smith affronta il tema delle persecuzioni contro la Chiesa e la politica antire-

«I QUADERNI DI MOSCA» 1931-1934

PAGINA 2 • • 1 OTTOBRE 2 0 1 7 • ALIAS DOMENICA I

Lo storico inglese Stephen A. Smith descrive «Un impero in crisi 1890-1928», uscito da Carocci, estendendo gli effetti dei «dieci giorni che sconvolsero il mondo» fino alle attuali tensioni nazionaliste

Celan e Brodskij lettori dei testi «clandestini» di Osip Mandel'stam: un saggio di Pina Napolitano di STEFANO ALOE

Lo stalinismo rappresenta nella produzione di Mandel 'stam un oggettivo spartiacque: a partire dagli anni trenta, infatti, il poe-ta scrive in clandestinità, senza speranza di poter pubblicare e consapevole della fine immi-nente. Preservati dalla vedova

con la caparbietà di chi sa di custodire testi sacri, i versi di questi anni sono difficili, er-metici, e richiedono u n grande impegno interpretativo sia al lettore appassionato che allo studioso. Il saggio di Pina Napolita-no, Osip Mande l ' s t am: i Q u a d e r n i d i Mo-sca (Fup, pp. 344, € 17,90) entra dunque in un panorama critico ancora in parte da co-struire, e con l 'ambizione di contribuire a colmare una lacuna (donde l 'emozione che traspare da alcune pagine, quando l 'autrice esibisce le sue motivazioni e de-scrive u n metodo di lavoro insieme di fer-vore e rigore).

Oggetto del saggio sono i cosiddetti «Quaderni di Mosca» nei quali si è traman-data la produzione poetica del periodo 1931-1934. Il libro ha una struttura sempli-ce: a u n inquadramento storico segue u n capitolo, breve m a centrale, dedicato alla lettura che di Mandel 'stam hanno fat to al-tri due grandi poeti, Celan e Brodskij. Ser-ve per imporre u n chiaro criterio poetico su cui basare il lavoro ermeneutico, senza negare valore aun'analisi «tecnica», m a su-bordinandola a una visione che non cerchi senso «altrove» dal testo.

Forte di questi modelli interpretativi, l 'autrice si addentra nei Quaderni con pro-cedimento sistematico: riporta i versi in or-dine rigoroso, corredandoli di una tradu-zione «di servizio», utile a coglierne la lette-ra, e di u n commento capillare. Il legame fra il tut to e le parti, costitutivo del mondo poetico dei Quaderni, è recuperato nell' ana-lisi attraverso raggruppamenti logici che seguono i poryvy (gli «slanci») del poeta, se-quenze semantiche che ne contraddistin-guono i diversi cicli.

Il senso delle complesse immagini e me-tafore si va ricostruendo proprio nella so-vrapposizione delle loro variate ricorren-ze. Altrettanto utili sono i raffronti con le prose del poeta, per esempio con i Dialoghi su Dante, dove Mandel 'stam sviluppa la ri-flessione metapoetica facendo largo uso di metafore. Napolitano intreccia così la ri-cerca su testo, intertesto e ipotesto man-del 'stamiano con l'esigenza di r imanere dentro alla poesia, per restituirla a una let-tura intensa, che ne rispetti la proprietà fondamentale, la sua natura di «flusso».

Travagli nella parabola della Rivoluzione

leggerà come «distaccato e disillu- Aleksandr Deyneka, so», ma Smith offre l'opportunità «La difesa unicadipoterripercorrerelediver- di Pietrogrado», 1928 se fasi della storia russa con un oc-chio al loro significato più propria-mente universale, all'opposizione tra socialismo e capitalismo anche in ima prospettiva che conduce al-la contemporaneità e alle nuove si-tuazioni conflittuali del nostro tempo tra Russia e Occidente.

Certo è che lontano dai trionfali-smi e dalle aspettative che parvero dischiudere i «dieci giorni che scon-volsero il mondo», accettata la fine «della spinta propulsiva dell'Otto-bre» e lontano da qualsiasi posizio-ne di parte, sottolinea l'importan-za della rivoluzione nell'edificare uno stato che non solo seppe tener testa a lungo al capitalismo, ma so-prattutto fornì un alto tributo di sangue come decisivo baluardo contro la vittoria del fascismo.

In questi tempi di dilagante rus-sofobia e riabilitazione di movi-menti nazionalistici a suo tempo al-leati del nazismo quella di Smith è una presa di posizione decisa e niente affetto scontata.

ligiosa sviluppata fin dal successo del colpo di stato dell'Ottobre.

Centrale, poi, l'analisi dei tratti sociali, culturali, politici del varie-gato mondo contadino russo e del suo rapporto con il nuovo potere dei Soviet. Allo stesso tempo, Smi-th sviluppa anche un fruttuoso con-fronto con la storia della cultura russa e sovietica, tra tradizione, in-novazione, pragmatismo e aspetta-tive catartiche, negli anni che pre-cedettero la piena affermazione dello stalinismo. E affronta in mo-do assai vivace il tema della violen-za rivoluzionaria, rifiutando molti degli stereotipi interpretativi fin qui accettati e mettendo a confron-to il periodo dell'autocrazia con quello del nascente stato sovietico, quello della guerra civile e quello del terrore rosso della Ceka. Appro-da così a constatare la «ubiquità del-la violenza» nella rivoluzione: nel mettere ovviamente in evidenza la tendenzadel potere sovietico a «pla-smare il corpo sociale» con pratiche di schedatura, carcerazione, depor-tazione e così via, non minimizza il carattere violento e repressivo

dell'ancien regime enumerandone i numerosi antecedenti e stabilen-do interessanti analogie. Di grande rilievo è anche l'analisi offerta dallo storico inglese del rapporto tra azio-ne rivoluzionaria, gestione del pote-re e ideologia, e, allo stesso tempo, del passaggio dalla rivoluzione di popolo a quella «dall'alto» attuata da Stalin fino al recupero di molti tratti dell'autocrazia.

Interpretazioni precedenti In questa prospettiva, Smith tiene conto,purtendendoasuperarle,del-le varie letture precedentemente of-ferte della rivoluzione russa, da quel-la di Martin Malia, che parla di «ideo-crazia», attribuendo grande impor-tanza all'ideologia anche nelle scel-te pratiche e contingenti dellagestio-ne del potere, a quella di Richard Pi-pesche vede la persistente influenza dello zarismo nel definirsi del nuovo stato sovietico e della stessa conce-zione della dittatura del proletariato che si realizza poi nell'incontrastata autorità di Stalin.

Il quadro che se ne ottiene è pa-catamente obiettivo: qualcuno lo

SCRITTO NEI PRIMI ANNI TRENTA, IL «MARCO POLO», RIPROPOSTO DA QUODLIBET

Dietro all'impianto storico, la vena avanguardista di Viktor Sklovskij di DAMIANO REBECCHINI

In bilico fra storia, narrati-va e poesia, Il Marco Po-lo di Viktor Sklovskij -ora ripubblicato da Quo-dlibet nella traduzione di Maria Olsufìeva, con una nota di Giovanni Maccari (pp. 242,

€15,00), è un libro spiazzante. Racconta la vita di Marco Polo e

il suo lungo viaggio nelle terre del Kubilay Khan, ma lo fa alla maniera di Sklovskij, in un mo-do che sorprende, disorienta e a tratti affascina.

Usa per la prima volta nel 1931 in una versione breve dal titolo La spia Marco Pòlo, poi venne amplia-to e rielaborato per comparire nella celebre collana di biografie ideata da Maksim Gor'kij «Vita di uomini straordinari», e fti poi più

volte ripubblicato in Unione So-vietica come libro per ragazzi o d'avventura. Eppure è un'opera non focile, dal genere sfuggente, come tutte le opere di Sklovskij: costruito attraverso un montag-gio di brani da E Milione, incorni-ciati da ima narrazione sempli-ce, a volte primitiva, che li intro-duce, li commenta, a tratti diva-ga, ci parla delle ambientazioni e della geografia dell'Asia centra-

le, delle lingue e della cultura di quei popoli. Ci ritroviamo fra le steppe della Manciuria, o nel pa-lazzo d'inverno del Kubilay Khan a Pechino, nel parco del suo palazzo estivo, fra cervi bian-chi, daini, antilopi e uccelli d'ogni specie, fra i vicoli di Sa-marcanda o le strade in festa di Venezia.

La narrazione non è di quelle suggestive, d'atmosfera, ha piut-tosto la ruvidità delle antiche re-lazioni di viaggio o delle crona-che medievali: frasi elementari e potenti, che stupiscono e ri-mangono impresse, continua-mente scandite da punti a capo che danno un rilievo nuovo e inatteso a luoghi e oggetti.

Scritto nei primi anni trenta, quando il regime staliniano non tollerava più gli esercizi funam-bolici del modernismo russo, il Marco Polo lascia intravedere, dietro al suo impianto storico e divulgativo, la prima vena avan-guardista dello scrittore. Sklovskij aveva iniziato a pubbli-care i suoi lavori di critico e teori-co della letteratura scrivendo ar-ticoli come il celebre L'arte come procedimento (1917), l 'atto di na-scita del formalismo russo.

Qui parla per la prima volta dello straniamento come della principale tecnica letteraria: la vera letteratura consiste nel sa-per presentare oggetti e situazio-ni in un modo strano, nuovo,