Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare · 2017-11-22 · massivo del peso....

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Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4 Trends in Medicine 243 Rassegna Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare Domenico Maugeri, Nadia Puglisi, Domenica Fichera, Salvatore Gozzo, Matilde Franco, Pietra Panebianco Dipartimento Scienze della Senescenza Urologiche e Neurologiche Azienda Ospedaliera “Cannizzaro” Catania Domenico Maugeri Cattedra di Geriatria Dipartimento Scienze della Senescenza Urologiche e Neurologiche Azienda Ospedaliera “Cannizzaro” Via Messina, 829 95126 Catania tel. 095-7263056/ fax 095-498811 e-mail: [email protected] Numerose alterazioni metaboliche sono state descritte nei pa- zienti obesi, nei quali la riduzione dell’eccesso ponderale costi- tuisce una misura obbligata per ridurre il rischio cardiovascola- re. Benché le basi genetiche del diabete di tipo 2 (DM-2) non siano ancora completamente note, importanti evidenze cliniche e sperimentali suggeriscono che l’obesità e la sedentarietà sono i principali fattori di rischio non genetici correlati allo sviluppo di questa malattia, la cui tappa intermedia è costituita dalla ridotta tolleranza glucidica (RTG). I soggetti obesi presentano un rischio di diabete, ipertensione e dislipidemia maggiore rispetto ai pa- zienti di controllo e devono quindi essere sottoposti a tutte le misure di intervento volte a ridurre tali fattori. Ne consegue, che la riduzione del peso in eccesso costituisce una misura cruciale per prevenire la progressione verso il diabete conclamato ed il conseguente aumento della mortalità cardio e cerebrovascola- re. Trends Med 2002; 2(4):243-258. © 2002 Pharma Project Group srl Key words: obesity diabetes glucose tolerance anti-obesity drugs L e malattie cardiovascolari sono oggi al centro dell’at- tenzione degli operatori sanitari per le loro implicazioni di carat- tere medico, sociale ed econo- mico. Questo interesse è detta- to dalla constatazione che le malattie cardiovascolari raggiun- gono nei Paesi industrializzati l’ampiezza dei grandi flagelli epidemici del passato. Ne con- segue che, oggi più che mai, le istituzioni preposte tendono ad attuare specifiche misure di pre- venzione, la cui realizzazione ri- mane tuttavia difficile. Le diffi- coltà sono inerenti alle caratte- ristiche della malattia vascolare, che ha le sue basi nella progres- sione lenta, subdola ed asinto- matica dell’ateroma ed alla man- canza di una precisa e ben de- terminata causa. Tutto ciò im- pegna i ricercatori su fronti di- versi, che devono tener conto in primo luogo della multifattoria- lità della malattia cardiovascola- re. La prevenzione può essere considerata come quel comples- so di attività e procedure volte ad evitare, dilazionare o rallen- tare la comparsa della malattia. La strada per dimostrare la pos- sibilità di prevenire la malattia cardiovascolare consiste nel di- mostrare la causalità dei fattori di rischio. Il Framingham Study ha introdotto il termine di fat- tore di rischio, definito come fat- tore associato ad una malattia o condizione clinica e sospettato di essere patogenetico. Sempre nello studio Framingham i fat- tori di rischio sono stati distinti in maggiori e minori. Quelli maggiori sono stati studiati più diffusamente: fumo di sigaret- ta, ipertensione arteriosa, iper-

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Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4 Trends in Medicine 243

Rassegna

Trattare l’obesità per ridurre il rischiocardiovascolare

Domenico Maugeri, NadiaPuglisi, Domenica Fichera,Salvatore Gozzo, MatildeFranco, Pietra PanebiancoDipartimento Scienze della SenescenzaUrologiche e NeurologicheAzienda Ospedaliera “Cannizzaro”Catania

Domenico MaugeriCattedra di GeriatriaDipartimento Scienze della SenescenzaUrologiche e NeurologicheAzienda Ospedaliera “Cannizzaro”Via Messina, 82995126 Cataniatel. 095-7263056/ fax 095-498811e-mail: [email protected]

Numerose alterazioni metaboliche sono state descritte nei pa-zienti obesi, nei quali la riduzione dell’eccesso ponderale costi-tuisce una misura obbligata per ridurre il rischio cardiovascola-re. Benché le basi genetiche del diabete di tipo 2 (DM-2) nonsiano ancora completamente note, importanti evidenze clinichee sperimentali suggeriscono che l’obesità e la sedentarietà sonoi principali fattori di rischio non genetici correlati allo sviluppo diquesta malattia, la cui tappa intermedia è costituita dalla ridottatolleranza glucidica (RTG). I soggetti obesi presentano un rischiodi diabete, ipertensione e dislipidemia maggiore rispetto ai pa-zienti di controllo e devono quindi essere sottoposti a tutte lemisure di intervento volte a ridurre tali fattori. Ne consegue, chela riduzione del peso in eccesso costituisce una misura crucialeper prevenire la progressione verso il diabete conclamato ed ilconseguente aumento della mortalità cardio e cerebrovascola-re. Trends Med 2002; 2(4):243-258.© 2002 Pharma Project Group srl

Key words:obesitydiabetesglucose toleranceanti-obesity drugs

Le malattie cardiovascolarisono oggi al centro dell’at-

tenzione degli operatori sanitariper le loro implicazioni di carat-tere medico, sociale ed econo-mico. Questo interesse è detta-to dalla constatazione che lemalattie cardiovascolari raggiun-gono nei Paesi industrializzatil’ampiezza dei grandi flagelliepidemici del passato. Ne con-segue che, oggi più che mai, leistituzioni preposte tendono adattuare specifiche misure di pre-venzione, la cui realizzazione ri-mane tuttavia difficile. Le diffi-coltà sono inerenti alle caratte-ristiche della malattia vascolare,che ha le sue basi nella progres-sione lenta, subdola ed asinto-matica dell’ateroma ed alla man-canza di una precisa e ben de-terminata causa. Tutto ciò im-pegna i ricercatori su fronti di-

versi, che devono tener conto inprimo luogo della multifattoria-lità della malattia cardiovascola-re. La prevenzione può essereconsiderata come quel comples-so di attività e procedure voltead evitare, dilazionare o rallen-tare la comparsa della malattia.La strada per dimostrare la pos-sibilità di prevenire la malattiacardiovascolare consiste nel di-mostrare la causalità dei fattoridi rischio. Il Framingham Studyha introdotto il termine di fat-tore di rischio, definito come fat-tore associato ad una malattia ocondizione clinica e sospettatodi essere patogenetico. Semprenello studio Framingham i fat-tori di rischio sono stati distintiin maggiori e minori. Quellimaggiori sono stati studiati piùdiffusamente: fumo di sigaret-ta, ipertensione arteriosa, iper-

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D. Maugeri, N. Puglisi, D. Fichera, et al.

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colesterolemia, diabete mellitoed età1.Tuttavia, numerosi rilievi di na-tura sia epidemiologica che cli-nica, suggeriscono la crescenteimportanza anche dei fattoriminori nell’incrementare la pro-babilità di sviluppare una coro-naropatia: l’obesità, l’inattivitàfisica, la storia familiare, l’iper-trigliceridemia, l’aumento dellelipoproteine, dell’omocisteina ele anomalie dei fattori della coa-gulazione. Ancora, i fattori dirischio vengono differenziati inmodificabili e non modificabili:i primi devono essere individuatie controllati per intraprendereuna campagna preventiva, men-tre i secondi (familiarità, età esesso) sfuggono da ogni possi-bilità di controllo. In questa ras-segna focalizzeremo la nostraattenzione sull’obesità, sia comemalattia in se sia come fattoredi rischio associato ad altre pa-tologie2.

Definizione e classifica-zione

In modo assai semplice, l’obe-sità consiste in un eccesso di tes-suto adiposo nell’organismo,una condizione che esita fre-quentemente in importanti alte-razioni dello stato di salute.L’obesità è provocata da unosquilibrio fra l’apporto calorico

in eccesso ed il consumo ener-getico in difetto. Le cause piùfrequenti di obesità sono, oltrealla componente genetica cheincide fino al 33%, l’eccessivoapporto alimentare di calorie,l’insufficiente attività fisica, l’ab-bandono del fumo, i contraccet-tivi orali, i farmaci che influisco-no sul metabolismo (fenotiazi-nici, corticosteroidi, antistamini-ci) ed alcuni squilibri ormonali.L’influenza genetica è stata stu-diata nei topi, nei quali è statoindividuato un gene ob, la cuimutazione induce aumentomassivo del peso. Questo genecodifica una proteina, la leptina,che è prodotta nelle cellule adi-pose ed esplica azione regolatri-ce sul peso corporeo. Essa agi-sce da segnale tra il tessuto adi-poso e l’area del cervello checontrolla il metabolismo ener-getico. Il trattamento con lepti-na di ratti con mutazione delgene ob, provoca diminuzionedell’appetito e riduzione delpeso. Inoltre, la somministrazio-ne di leptina determina norma-lizzazione del tasso insulinico edella tolleranza al glucosio.Le alterazioni ormonali con ruo-lo determinante nell’obesitàsono l’ipercorticosurrenalismo el’iperinsulinismo. L’insulina èuna proteina con peso moleco-lare di 5734 kD composta dadue catene di aminoacidi tenute

assieme da due ponti disulfidri-lici. La catena A è costituita da21 aminoacidi e la catena B ècostituita da 30 aminoacidi. Se-creta dalle cellule β delle insuledi Langherans, l’insulina facilital’ingresso cellulare del glucosio,del potassio, degli aminoacidi efacilita la sintesi proteica. L’in-sulina facilita inoltre la trasfor-mazione dei carboidrati in gras-si ed il loro accumulo nei tessu-ti; infine, inibendo la lipolisi puòessere considerata l’ormone del-l’ingrassamento.Fino ad oggi ogni definizione diobesità è risultata arbitraria onon esaustiva, in quanto la di-stribuzione del peso della popo-lazione generale descrive unacurva continua piuttosto che bi-modale, senza una chiara distin-zione fra individui normopesoe sovrappeso. Negli anni ‘40-’60,utilizzando i concetti di pesoideale, altezza e sesso si eranodefinite tre “taglie” dell’indivi-duo: la taglia piccola, media egrande.Un certo accordo si è ormai tro-vato nel mondo scientifico uti-lizzando l’indice di massa cor-porea (Body Mass Index-BMI),che si ottiene dal rapporto frapeso corporeo, espresso in kg,e statura espressa in metri al qua-drato, secondo l’equazione BMI= Peso (Kg)/H (m2). Sulla scor-ta di numerosi rilevamenti epi-

Tabella 1. Classificazione della massa corporea e correlazione con il rischio cardiovascolare. Nelladefinizione posta dai NIH il rischio relativo è stato correlato alla circonferenza addominale, un predittoredi adiposità viscerale. (Adattata da NHI 19984).

BMI (kg/m2) <18,5 18,5-24,9 25-29,9 30-34,9 35-39,9 >40

Definizione Sottopeso Normopeso Sovrappeso ObesitàClasse I Classe II Classe III

Rischio relativo di altre malattieCirconferenza vita:Uomini ≤≤≤≤≤102 cm + ++ +++ ++++Donne ≤≤≤≤≤88 cm + ++ +++ ++++

Uomini >102 cm ++ +++ +++ ++++Donne >88 cm ++ +++ +++ ++++

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Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare

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demiologici e delle correlazioniesistenti fra peso corporeo edaltre malattie, l’OrganizzazioneMondiale della Sanità (OMS) edi National Institutes of Health(NHI) hanno definito separata-mente che cosa debba intendersiper sovrappeso ed obesità, conrisultati pressoché sovrapponi-bili3,4. I soggetti con BMI <18,5sono sottopeso, quelli con va-lori compresi fra 18.5 e 24,9sono normopeso e quelli convalori maggiori sono classificaticome sovrappeso o obesi. Deveessere notato che valori inferio-ri o superiori al range di norma-lità (BMI =18,5-24,9) identifica-no comunque una condizionepatologica (tabella l). Notevoleimportanza viene inoltre attribu-ita, soprattutto nel mondo an-glosassone, alla circonferenzaaddominale, un marcatore sur-rogato attendibile di adipositàviscerale.In termini pratici si può quindiaffermare che un uomo alto 180

cm (1,8 m) diventa sovrappesoquando il suo BMI è >24,9, ov-vero quando supera gli 81 Kg dipeso corporeo (BMI = 81 Kg/1,82 = 81/3,24 = 25) e diventaaffetto da obesità lieve (classe I;BMI >30) o severa (classe III;BMI >40) quando il suo pesosupererà rispettivamente i 98 Kg(BMI = 98/1,82= 98/3,24=30,2) o i 130 Kg (BMI = 130/1,82= 130/3,24= 40,1).Un metodo precedente e meno“raffinato” rispetto a quello quidescritto, consiste nel mettere inrapporto la circonferenza addo-minale, misurata due dita sottol’ombelico, con quella misurataalle anche all’altezza della crestailiaca superiore: nei maschi obesiil rapporto risulta essere ≥1,mentre nelle donne obese, ca-ratterizzate da un accumulo adi-poso prevalentemente localizza-to all’altezza delle cosce e deiglutei, tale rapporto risulta es-sere ≤0,8 (figura 1A); un meto-do più immediato che tenga

conto dell’indice di BMI per idue sessi, è quello di impiegareun nomogramma che mette inrapporto peso ed altezza conl’impiego di un segmento che in-tersechi i due parametri (figura1B).

Epidemiologia

Sulla base di questa classificazio-ne è possibile individuare inmodo univoco la prevalenza disovrappeso ed obesità nella po-polazione generale. Numerosidati indicano che l’obesità è incontinuo aumento in tutte le po-polazioni occidentali. Stime re-centi indicano che nei Paesi delnord-Europa, il 10-20% dellapopolazione generale è obeso(BMI >30) e quasi la metà è insovrappeso (BMI>25), con untrend positivo (figura 2).Le stime derivanti dall’IndagineMultiscopo condotta dal-l’ISTAT nel periodo Settembre-Dicembre 1999 su un campio-

Figura 1. Distribuzione del pannicolo adiposo nel maschio e nella femmina: la circonferenza ombelicalesarà maggiore di quella misurata all’altezza delle anche nel maschio e minore nella femmina (A);nomogramma per il calcolo della massa ponderale nei due sessi (B).

150

140

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100959085

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65

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200

205

210

Peso (kg)

Statura (cm)Indice di massa corporea[peso(kg)/altezza(m)2]

Donne Uomini

Obesità

Eccesso ponderale

Peso accettabile

Obesità

Eccesso ponderale

Peso accettabile

70

60

50

40

30

20

10

A B

a

b

a

b

ab

≤≤≤≤≤0,8 ≥≥≥≥≥1ab

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ne di italiani adulti rappresenta-tivo della popolazione generale,evidenziano una situazionemeno critica di quella USA enord-Europea ma comunquepreoccupante; la metà degli ita-liani è in condizione di normo-peso ed il 33.4% risulta sovrap-peso, valori non distanti da quelliprecedentemente citati per altriPaesi della Comunità Europea;più rassicuranti risultano i datirelativi all’obesità (figura 3).Sulla base dei risultati di questaindagine si stima in circa 4 mi-lioni il numero di persone obe-se in Italia, con un incrementodel 25% rispetto ad un analogorilevamento condotto nel 1994,un valore in linea con la mediaeuropea (30%). E’ interessantenotare che i soggetti in sovrap-peso sono circa 15 milioni e nonsono sostanzialmente aumentatirispetto al 1994. L’obesità au-menta al crescere dell’età, conparticolare rilevanza nella fascia

45-65 anni, dove si raggiungo-no valori prossimi al 15%. Pa-radossalmente si registra un gra-diente Nord→Sud con maggio-re prevalenza del fenomeno nel-l’Italia meridionale ed insulare(tabella 2).Un fenomeno allarmante è quel-lo dei bambini obesi, che rischia-no di rimanere tali anche daadulti e quindi aggiungono ri-schio a rischio per più tempo7,8.

Obesità e comorbilità

Il sovrappeso e l’obesità incre-mentano significativamente ilrischio di diabete, ipertensione,cardiopatia ischemica ed ictus;correlazioni importanti sono

Figura 2. Prevalenza dell’obesità in soggetti adulti in vari Paesi europei. I dati indicano l’andamento neltempo del BMI. (Dati adattati da Watson R 20005).

30

20

10

0

1975 1980 1985 1990 1995 2000

Uomini Donne

Germania EstGermania Ovest

FinlandiaOlanda

Inghilterra

Prev

alen

za (

%)

Figura 3. Prevalenza di soprappeso ed obesità in un campione diitaliani adulti omogeneo per regione e ceto sociale. Rilevamento ef-fettuato nell’ambito dell’Indagine Multiscopo sulle “Condizioni disalute e ricorso ai Servizi Sanitari” nel 1999. (Dati ISTAT6).

A fronte dei continui tenta-tivi della popolazioneadulta di ridurre il propriopeso corporeo, negli ultimisei anni il numero degliobesi è aumentato in Italiadel 25%.

60

50

40

30

20

10

0

%Maschi

Femmine

Totale

Normopeso Sovrappeso Obeso

state rilevate anche per la calco-losi biliare e l’osteoartrosi (tabel-la 3). L’esame di questi dati evi-denzia che la correlazione fraaumento del peso corporeo epatologie associate è costante apartire dalla condizione di so-prappeso, e ciò vale non solo peril diabete di tipo 2 ma per tuttele comorbilità prese in esame. Intermini pratici ciò significa chein un soggetto alto 1,75 metri,un’eccedenza del peso corporeocomunemente giudicata “mode-rata” (8-10 Kg), raddoppia il ri-schio di diabete, calcolosi bilia-re ed osteoartrosi. Se si raffron-tano i dati di un soggetto nor-mopeso con quelli di un sogget-to con obesità di grado lieve si

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Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare

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osserva che il rischio di diabeteaumenta di oltre 5 volte, men-tre il rischio di ipertensione emalattia coronarica aumenta diquasi 3 volte.L’obesità costituisce un fattoredi rischio cardiovascolare indi-retto, in grado cioè di indurreuna maggiore incidenza di infar-ti cardio- e cerebrovascolari, in-crementando la frequenza e lagravità di altri fattori noti di ri-schio (figura 4). Dati recenti sug-geriscono però che l’obesitàpotrebbe essere anche un fatto-re di rischio cardiovascolare “in-dipendente” ed esercitare cioè i

Indice di Massa Corporea (distribuzione %)

Ripartizione Sottopeso Normopeso Sovrappeso Obesità Totalegeografica popolazione

Italia nord occidentale 4,7 56,4 30,8 8,0 12.646.000Italia nord orientale 3,4 53,6 33,5 9,5 8.841.000Italia centrale 3,3 55,8 32,5 8,4 9.214.000Italia meridionale 2,6 49,8 36,9 10,7 10.910.000Italia insulare 4,2 52,4 33,9 9,4 5.244.000Italia 3,6 53,8 33,4 9,1 46.854.000

Tabella 2. Stratificazione della popolazione adulta (%) per aree geografiche sulla base del BMI. (DatiISTAT6).

Tabella 3. Prevalenza delle più frequenti patologie associate al sovrappeso ed all’obesità. (Dati elabo-rati da NHLBI Obesity Task Force9).

Categoria di peso

Patologia / Normopeso Sovrappeso Obesità Obesità Obesità Sesso Lieve Media Severa

BMI=18,5-24,9 BMI=25,0-29,9 BMI=30,0-34,9BMI=35,0-39,9 BMI≥40,0

UOMINIDibete tipo II 2,03 4,93 10,10 12,30 10,65Calcolosi biliare 1,93 3,39 5,38 5,80 10,17CAD 8,84 9,60 16,01 10,21 13,97Ipercolesterolemia 26,63 35,58 39,17 34,01 35,83Ipertensione 23,47 34,16 48,95 65,48 64,53Osteoartrosi 2,59 4,55 4,66 5,46 10,04DONNEDiabete tipo II 2,38 7,12 7,24 13,16 19,89Calcolosi biliare 6,29 11,84 15,99 19,15 23,45CAD 6,87 11,13 12,56 12,31 19,22Ipercolesterolemia 26,89 45,59 40,37 40,96 36,39Ipertensione 23,26 38,77 47,95 54,51 63,16Osteoartrosi 5,22 8,51 9,94 10,39 17,19

suoi effetti indipendentementedall’insulinoresistenza e dalladislipidemia ad essa associati10,11.Esiste ormai una correlazionefranca fra obesità e diabete cheha fatto coniare il termine diabe-sità, una correlazione che preve-de l’esistenza di un continuum che,partendo dall’obesità sfocereb-be nel diabete franco. La corre-lazione fra sovrappeso e diabe-te risulta più forte nella donnarispetto all’uomo a parità diBMI. I dati del Nurses HealthStudy suggeriscono che nelladonna, partendo da un BMIbasale <22, il rischio di diabete

aumenta di 5 volte quando sipassa ad un indice di massa cor-porea pari a 25, di 28 volte perBMI pari a 32 ed addirittura di58 volte per valori di BMI ≥3512.Sulla scorta di queste osserva-zioni appare evidente che l’in-cremento del sovrappeso nellapopolazione generale deve ac-compagnarsi ad un parallelo in-cremento del diabete: anchequesta correlazione è stata am-piamente dimostrata. Recente-mente Mokdad e collaboratorihanno esaminato la prevalenzadi diabete negli Stati Uniti edhanno associato i valori registrati

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nella decade 1990-2000 all’anda-mento dell’indice di massa cor-porea13. Durante questo perio-do è stato registrato un incre-mento nella prevalenza del dia-bete pari al 49%: nel 1990 il dia-bete era presente nel 4.9% dellapopolazione studiata, mentrenel 2000 la diagnosi di diabete èstata posta nel 7.3% dei casi (fi-gura 5). Durante questo perio-do, il peso medio dei soggettiesaminati è aumentato di ~0.5kg/anno, passando da 72,5 a 77kg, con un aumento del rischiorelativo (RR) di diabete pari al

Il sovrappeso e l’obesitàsono strettamente correlatial rischio di diabete: si sti-ma che per ogni kg di pesocorporeo oltre il range dinormalità (BMI=18,5→→→→→24,9) si ha un aumento delrischio di diabete pari al9%.

Figura 4. L’obesità come fattore di rischio cardiovascolare. Sulla basedi dati epidemiologici e di intervento, l’obesità è in grado di influen-zare sia direttamente (linea continua) sia indirettamente (linea trat-teggiata) la mortalità cardiovascolare.

OBESITA’

Insulinoresistenza

Iperinsulinemia

IpertensioneRTGDiabete

Dislipidemia

↑↑↑↑↑ coronaropatia↑↑↑↑↑ cerebrovasculopatia

6%. Nello stesso studio è statocalcolato che per ogni incremen-to del peso corporeo di 1 Kg siha un incremento del rischio didiabete pari a circa il 9%14. E’utile ricordare che dal 1997,l’American Diabetes Associa-tion (ADA) ha imposto criteripiù restrittivi per la diagnosi didiabete e ridotta tolleranza glu-cidica (RTG). Sulla base di que-sta nuova classificazione vieneposta diagnosi di diabete in pre-senza di glicemia a digiuno ≥126mg/dL e di RTG per valoricompresi fra 115 e 125,9 mg/dL15.Un altro aspetto cruciale e pur-troppo sottovalutato, è quellorelativo al rapporto fra duratadel sovrappeso ed insorgenza didiabete. Numerosi rilevamentisuggeriscono il crescente au-mento del sovrappeso nei bam-bini, fenomeno che non sempreviene corretto nelle fasi più pre-coci e si mantiene per tutta l’ado-lescenza e l’età adulta. È stato

osservato che nei soggetti consovrappeso sin dall’infanzia, lacomparsa di diabete è più pre-coce: questi soggetti presentanoridotta tolleranza glucidica già altermine dell’adolescenza e ma-nifestano diabete franco primadei 40 anni16,17. Ne conseguequindi che la sorveglianza delpeso corporeo deve costituireun’importante misura preventi-va già a partire dall’età scolare,con coinvolgimento del pedia-tra prima e del medico di medi-cina generale poi.Nello studio Framingham l’obe-sità è risultata chiaramente as-sociata ad aumentata comparsadi coronaropatia e scompensocardiaco congestizio. In questostudio non è stato però possibi-le evidenziare se gli effetti del-l’obesità siano diretti (obesitàcome fattore di rischio indipen-dente) o indiretti (l’obesità agi-sce predisponendo al diabete,all’ipertensione arteriosa ed alledislipidemie), che sarebbero daconsiderare i veri fattori di ri-schio (diretti).La correlazione fra obesità edipertensione arteriosa non è deltutto chiara: si può ipotizzare unaumento delle resistenze perife-riche e/o della gittata cardiaca.Inoltre gli obesi hanno livelli dinoradrenalina più elevati rispet-to ai controlli e questo può gio-care un ruolo importante nel-l’aumento delle resistenze peri-feriche. Inoltre un ruolo pato-genetico nell’ipertensione puòessere anche sostenuto dalla fre-quente iperinsulinemia, attraver-so un aumentato riassorbimen-to di sodio a livello renale: in-fatti, un’elevata percentuale didiabetici di tipo 2 risulta obesaed iperinsulinemica. E’ inoltreprobabile che esista una resi-stenza insulinica periferica sia alivello dei recettori delle mem-brane cellulari nei tessuti “ber-saglio”, (down-regulation) che

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Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare

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un difetto post-recettoriale al-l’interno delle cellule stesse.Anche in questo caso il dima-grimento è in grado di correg-gere l’insulinoresistenza perife-rica e costituisce il cardine dellaterapia nel diabete tipo 2.La colelitiasi negli obesi è assaipiù frequente rispetto ai nonobesi: la spiegazione di ciò risie-de nel fatto che la bile degli obesiè supersatura a causa dell’au-mentata secrezione biliare di co-lesterolo. La saturabilità aumen-ta nello stato di digiuno, in quan-to la concentrazione dei fosfo-lipidi stabilizzanti precipita,mentre la produzione di coleste-rolo resta invariata.Un’altra complicanza dell’obesi-tà riguarda l’apparato respirato-rio: gli obesi tendono a respira-re più frequentemente e super-ficialmente, inducendo ipossie-mia ed ipercapnia che, a lorovolta, determinano policitemiae cuore polmonare.

Approccio al pazienteobeso

La diagnosi di obesità si accom-pagna nella stragrande maggio-ranza dei casi anche alla presen-za di un alterato profilo glucidi-

co e lipidico. In modo partico-lare deve essere posta attenzio-ne a ricercare oltre al diabete oalla ridotta tolleranza glucidica(RTG), anche la presenza diipertensione, ipertrigliceridemia,ipercolesterolemia, iperuricemiaed elevate concentrazioni di Ini-bitore dell’Attivatore del Plasmi-nogeno di tipo 1 (PAI-l). L’in-sieme di questi fattori determi-na una condizione definita Sin-drome Plurimetabolica (Sindro-me X), nota per essere forte-mente aterogena e gravata daelevato rischio cardiovascola-re18,19. Ne consegue che di fron-te ad un paziente in sovrappesoo francamente obeso, qualunquetrattamento deve essere rivoltosia al raggiungimento del pesodesiderabile sia alla riduzione deifattori di rischio associati all’ec-cesso ponderale. Ciò comportaun approccio più ampio ed arti-colato, nel quale la riduzione delpeso corporeo (causa primaria)costituisce solo uno degli obiet-tivi del trattamento. Alla riduzio-ne del BMI devono associarsianche il controllo del diabete edella dislipidemia eventualmen-te presenti (figura 6). Inoltre,poiché l’obesità è una condizio-ne cronica, il trattamento farma-

cologico deve essere pianificatocon modalità a lungo termine eciò richiede l’educazione e la di-sponibilità del paziente20. Nu-merosi studi suggeriscono pur-troppo che, analogamente aquanto avviene nel trattamentodell’ipertensione, la sospensio-ne delle misure comportamen-tali e farmacologiche anti-obe-sità determina il recupero delpeso corporeo perso in un’am-pia percentuale di soggetti.In presenza di un paziente so-vrappeso o francamente obeso,le Linee Guida NIH prevedonouna suddivisione in 4 gruppi dirischio. Il primo gruppo è co-stituito da soggetti in sovrappe-so (BMI = 25-29,9) senza altrifattori di rischio cardiovascola-re. Questo è l’unico caso in cuiil trattamento del sovrappeso èesclusivamente finalizzato al rag-giungimento del peso ideale enon coinvolge altri aspetti; pur-troppo questa condizione è rarapoiché, come precedentementeriportato, già in questa fase lapresenza di RTG/diabete, iper-tensione e dislipidemia è moltoelevata. Di fronte ad un pazien-te con queste caratteristichedeve essere prevista una restri-zione calorica ed un aumento

Figura 5. Correlazione fra incremento del peso corporeo e diabete. (Dati adattati da Mokdad 200013 e200114).

8

7

6

5

4

78

76

74

72

Prev

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za d

i dia

bet

e (%

)

Prevalenza di diabete

Peso corporeo medio

Peso

cor

por

eo m

edio

(kg

)

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

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D. Maugeri, N. Puglisi, D. Fichera, et al.

250 Trends in Medicine Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4

dell’attività fisica, con monito-raggio periodico del peso cor-poreo, dei valori pressori, dellaglicemia e dei lipidi almeno unavolta l’anno24 (figura 7).

Riduzione del pesocorporeo

La riduzione dell’apporto calo-rico e l’incremento dell’attivitàfisica costituiscono le misurepreliminari da attuarsi in tutti ipazienti sovrappeso. Nella mag-gior parte dei soggetti con so-vrappeso lieve-moderato (BMI<27), tali misure sono sufficientia ridurre l’indice di massa cor-porea ai valori desiderabili e, senon sono presenti altri fattori dirischio, il trattamento farmaco-logico non è indicato. La restri-zione calorica può essere più omeno intensa in relazione al ri-schio basale.

Dieta ed esercizioUna dieta a basso contenutocalorico (Low-Calorie Diet -LCD-) contiene una media di800-1400 Kcal/die ed è suffi-ciente per ridurre sensibilmen-

Figura 6. Trattamento integrato del paziente obeso: è opportuno che la riduzione del peso corporeo siaccompagni, nei soggetti a maggior rischio a contemporaneo trattamento del diabete e della dislipidemia.

L’inizio del trattamento far-macologico deve esserepreso in considerazione giàa partire dalla fase di so-vrappeso moderato (BMI>27) se sono presenti altrifattori di rischio.

te la massa corporea per valoridi BMI compresi fra 25 e 35.Restrizioni più severe (VeryLow-Calorie Diet -VLCD-) concontenuto calorico di 250-799kcal/die, devono essere attenta-mente valutate ed i benefici nonsembrano essere proporzionali.Tuttavia, l’inizio del trattamen-to dovrebbe essere personaliz-zato, sulla base del consumoenergetico a riposo calcolatocon l’equazione di Mifflin22.Nei pazienti con BMI pari a 25-27 ed almeno due fattori di ri-schio, che non abbiano rispostoadeguatamente ad un ciclo die-tetico di 6 mesi, ed in tutti quellicon BMI >27, deve essere pre-visto il trattamento farmacolo-gico in associazione alle misuredietetiche ed uno stile di vita piùappropriato, iniziando con l’in-cremento dell’attività fisica.L’esercizio muscolare, più cheprovocare un dispendio energe-tico, è benefico per le funzionicardiovascolare, respiratoria emotoria. I programmi di riabili-tazione si devono quindi asso-ciare ad un invito da attuare unostile di vita “più attivo”, ovvero

a prendere consapevolezza del-le condizioni di vita sedentarieesercitate dai pazienti obesi. Nel-l’ambito di un auspicabile stiledi vita più attivo ed adeguato,vanno inquadrati anche gli inter-venti psicocomportamentali.

Interventi psico-comportamentaliSono tecniche comportamentaliassociate ad informazioni ali-mentari corrette nel contesto diun terapia di gruppo. Per tecni-che comportamentali si inten-dono una serie di esercizi psi-cologici il cui scopo è quello dinormalizzare il comportamen-to alimentare al fine di ridurrel’introito calorico e facilitare laperdita di peso. Questo tipo diterapia presuppone anche la pra-tica costante di esercizi di tipo

Infarto

Ictus

Trattare le cause Trattare le complicanze Trattare gli effetti

Ipertensione Dislipidemia

Diabete tipo 2

Obesità Fattori di rischio Eventi

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Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare

Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4 Trends in Medicine 251

Figura 7. Albero decisionale per il trattamento del paziente sovrappeso/obeso. L’aspetto importante diquesto algoritmo è quello relativo all’inizio del trattamento farmacologico. I pazienti da trattare confarmaci antiobesità devono essere selezionati non solo sulla base del BMI ma anche in relazione allapresenza di eventuali fattori di rischio cardiovascolare (FRC). In presenza di almeno 2 fattori di rischio, iltrattamento con farmaci antiobesità può essere iniziato già per valori di BMI >27. (Adattata da NHI2000: Practical Guide4)

Continuare conmonitoraggio ogni anno

BMI=25-29,9(sovrappeso)

No FRC

BMI=25-27+ 2 FRC

BMI>27+ 2 FRC

oBMI ≥30

BMI ≥35+ ≥2 FRC

oBMI ≥40

• Riduzione intake calorico• Attività fisica

Restrizione dietetica di 500-1000Kcal/giorno

Grassi ≤30% Kcal totaliAttività fisica moderata x 30-45min almeno 3 volte/settimana

(x 6 mesi)

Terapia farmacologica:orlistat ± statine ± metformina

piùRestrizione dietetica

piùAttività fisica (x 6 mesi)

Riduzione BMI a valoredesiderabile?

Continuare conmonitoraggio ogni anno

Verificare complianceAggiungere altro

farmaco antiobesità

OrlistatRestrizione calorica (<1000

Kcal/giorno)Attività fisica (x 6 mesi)

AggiungereAcarbose

±Levotiroxina

Continuare fino araggiungimento BMI

target

Riduzioneprevista BMI?

Pianificare trattamentochirurgico

Paziente sovrappeso/obeso

Valutazione obiettiva e di laboratorio•BMI•Circonferenza addominale•Profilo glucidico•Profilo lipidico•Valori pressori•Fumo di sigaretta

NOSI

Riduzione BMI a valoredesiderabile?

NOSI

NO SI

Riduzioneprevista BMI?

NO SI

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252 Trends in Medicine Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4

aerobico che, pur avendo mo-desti effetti dimagranti, ha effettibenefici di tipo emodinamico erespiratorio. Praticare ginnasti-ca o uno sport leggero non au-torizza pertanto la prescrizionedi una dieta con maggior appor-to calorico. La cura del compor-tamento non significa soltantoinfluenzare la scelta delle porta-te, controllare i tempi della ma-sticazione e gli intervalli tra unboccone e l’altro, ma intendecoinvolgere l’intero comporta-mento dell’individuo.Questa visione integrata dellaterapia comportamentale vienealtrimenti definita terapia cogni-tivo-comportamentale e rappre-senta oggi il sistema più accre-ditato per l’obesità moderata odi medio grado.In questi pazienti è evidente cheprevalgano componenti am-bientali su quelle genetiche edesiste ancora una struttura dellapersonalità sufficientemente in-tegrata da poter accettare ed ela-borare un impegnativo pro-gramma di riabilitazione; le se-dute di terapia cognitivo-com-portamentale si svolgono ingruppi di 5-12 pazienti con fre-quenza settimanale. I risultati diquesta terapia sono senz’altro

migliori rispetto alla sola terapiadietetica e migliorano il numeroe la durata delle risposte anchenei pazienti in terapia farmaco-logia23,24.

Terapia farmacologicaQuando la riduzione caloricaaccompagnata ad altre misuredello stile di vita non raggiungegli obiettivi previsti, deve esserepresa in considerazione la tera-pia farmacologica. In linea ge-nerale i farmaci antiobesità pos-sono essere classificati in treclassi (tabella 4):• farmaci che riducono l’assor-

bimento gastrico di alcuninutrienti

• farmaci che inibiscono il sen-so della fame

• farmaci che aumentano il me-tabolismo energetico.

I farmaci ad azione noradrener-gica, come la fendimetrazina el’amfepramone sono anoressiz-zanti analoghi dell’amfetamina,con cui condividono gli effetticollaterali tipici. I maggiori rischiassociati a questa classe di far-maci sono quelli relativi al po-tenziale abuso e la loro sommi-nistrazione non deve protrarsiper oltre 12 settimane25. Gli stu-di che ne hanno valutato l’effi-

cacia e la sicurezza per cicli piùprotratti, e comunque non su-periori a sei mesi, sono pochis-simi e ciò li rende poco idonei aprogrammi terapeutici di lungoperiodo26. Questa classe di far-maci è gravata da effetti collate-rali connessi all’iperattivazionedel tono simpatergico: insonnia,costipazione, palpitazioni, iper-tensione e secchezza delle fau-ci. Promettenti sono risultatianche i farmaci in grado di agi-re sul sistema serotoninergico(fenfluramina, dexfenfluraminae sibutramina). Queste moleco-le non hanno tuttavia superato icontrolli di farmacovigilanzasuccessivi alla commercializza-zione e sono state progressiva-mente ritirate dal commercioper la probabile associazionecon l’insorgenza di ipertensio-ne polmonare (fenfluramina) odi valvulopatie (dexfenflurami-na e sibutramina). Allo stato at-tuale quindi, l’unico farmacoespressamente approvato per iltrattamento dell’obesità, cheabbia dimostrato efficacia clini-ca e maneggevolezza anche nellungo periodo, rimane l’orlistat.In alcuni casi può essere utilel’impiego degli analoghi dell’or-mone tiroideo per accelerare il

Tabella 4. Classificazione dei farmaci antiobesità per il trattamento a medio (1) e lungo termine (2). InItalia l’unico farmaco oggi approvato per il trattamento long-term dell’obesità rimane l’orlistat. Gli or-moni tiroidei ed i loro analoghi sintetici (3), ancora oggi molto utilizzati in alcuni Paesi europei, non sonoapprovati per tale indicazione.

Molecola Meccanismo d’azione Dosaggio Controindicazioni erischi

Fendimetrazina(1) Sistema noradrenergico 105-210 mg/die Ipertensione, glaucoma,tossicodipendenza,ipertiroidismo

Amfepramone(1) Sistema noradrenergico 75 mg/die Ipertensione, glaucoma,tossicodipendenza,ipertiroidismo

Orlistat(2) Lipasi-inibitore 120 mg t.i.d. Colestasi, sindromi damalassorbimento

Levotiroxina(3) Stimolazione tiroidea 100-150 mcg/die Ipertensione, glaucoma,tireotossicosi, aritmie

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Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare

Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4 Trends in Medicine 253

metabolismo basale, benchè icasi di ipotiroidismo franco nonsuperino il 10-15%27,28.

Orlistat

L’orlistat inibisce l’azione dellalipasi intestinale, riducendo dicirca il 30% l’assorbimento deigrassi. In tutti gli studi clinici neiquali questa molecola è stata im-piegata si sono ottenute riduzio-ne del peso corporeo compresefra il 5% ed il 10%29-32. Inoltre,in combinazione con una dietaa basso tenore calorico, orlistatha dimostrato di mantenere ivalori ponderali raggiunti anchedopo due anni di trattamento33.Un aspetto molto interessantedi questo farmaco è quello rela-tivo al miglioramento del profi-lo glucidico nei pazienti diabeti-ci o con una ridotta tolleranzaal glucosio. Nei pazienti obesicon sindrome X, il trattamentocon orlistat ha comportato in-fatti sia la riduzione della massaadiposa sia il miglioramento del-l’insulinoresistenza, con riduzio-ne dei fattori di rischio corona-rico31. In un recente studio ran-domizzato, in doppio cieco, pla-cebo controllato, condotto su675 pazienti adulti con obesitàdi vario grado (BMI = 30-43Kg/m2), Heymsfield ha osserva-to che orlistat associato a restri-zione dietetica ha rallentato laprogressione da una condizio-ne di ridotta tolleranza glucidi-ca verso il diabete conclamato

in misura significativamentemaggiore rispetto al gruppotrattato con la sola dieta. Risul-tato ancora più interessante èquello relativo ai pazienti con ri-dotta tolleranza glucidica che,alla fine del trattamento, presen-tavano normalizzazione del pro-filo glucidico in una percentua-le di casi assai maggiore rispet-to ai controlli32.I risultati di questo studio sonoriassunti in tabella 5. I pazientitrattati con la terapia combinata(dieta+orlistat) hanno ridotto di6,7 Kg il loro peso corporeo, unvalore >56% rispetto ai controllitrattati con le sole restrizioni die-tetiche (3,7 Kg). Questi valorisono simili a quelli riportati inaltri studi con la stessa moleco-la. Inoltre, il peso raggiunto allafine del primo anno è stato man-tenuto più facilmente dai pazien-ti in terapia con orlistat rispettoa quelli che pure avevano conti-nuato il trattamento dietetico.Infine, la progressione dalla fasedi pre-diabete (RTG) a quella didiabete conclamato si è registra-ta in una percentuale 2,5 voltemaggiore nei pazienti che nonassumevano orlistat. Ancoramaggiore rilevanza assume ildato relativo al ritorno alla nor-male tolleranza glucidica nei pa-zienti con RTG: il ritorno del-l’insulinemia a valori fisiologiciè avvenuto nel 49,1% dei sog-getti sottoposti al solo tratta-mento dietetico e nel 71,6% di

Tabella 5. Efficacia di orlistat (120 mg x 3/die) in pazienti trattati indue anni (Dati da Heymsfield et al 200032).

End-point Trattamento

Placebo+dieta Orlistat +dieta

↓Peso corporeo (Kg) 3,79 6,72RTG→Diabete (% ) 7,6 3,0RTG→NTG (%) 49,1 71,6

RTG=Ridotta tolleranza glucidica; NTG=Normale tolleranza glucidica

quelli in trattamento con orlistat.Ciò significa che il trattamentocon orlistat consente di ripristi-nare il corretto profilo glicemi-co nel 20% dei pazienti, altri-menti “persi”con la sola dieta.Molto recentemente Muls e col-laboratori hanno verificato l’ef-ficacia e la sicurezza del tratta-mento con orlistat in un grup-po di 294 pazienti in sovrappe-so o obesi (BMI=27-40) e disli-pidemici (colesterolo-LDL=158-259 mg/dL) trattati in dop-pio cieco contro sola dieta per24 settimane, con successivaestensione in aperto per altre 24settimane34. In questo caso i pa-zienti sono stati selezionati pergli elevati valori di LDL-C, il piùimportante marcatore di atero-sclerosi coronarica. Deve esse-re ricordato che sulla base delleLinee Guida del National Cho-lesterol Education Program(NCEP), i valori di LDL-C nondevono superare i 130 mg/dLin assenza di precedente infarto(IMA) e devono essere <100mg/dL se il soggetto ha già su-bito un IMA o precedenti inter-venti di ricanalizzazione corona-rica35. I risultati di questo studiosono presentati in tabella 6.I risultati di questo studio sonodi particolare rilevanza, poichésuggeriscono che l’inibizionedella lipasi gastrointestinale daparte di orlistat esercita un ef-fetto ipocolesterolemizzante di-retto ed indipendente dalla ridu-zione del peso corporeo. Inol-tre, i risultati ottenuti durante le

II trattamento con orlistat(120 mg t.i.d.) riporta ad unnormale profilo glicemico il71,6% dei pazienti con ri-dotta tolleranza glucidicae riduce in modo sensibilecolesterolo totale (-11,9%)e colesterolo-LDL (-17,6%).

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D. Maugeri, N. Puglisi, D. Fichera, et al.

254 Trends in Medicine Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4

prime 24 settimane di trattamen-to in doppio cieco, sono staticonservati o migliorati nella suc-cessiva fase “in aperto”, sia perquanto riguarda il peso corpo-reo sia per quanto riguarda i pa-rametri lipidici.

Riduzione dei fattori dirischio cardiovascolareNonostante i significativi risul-tati ottenibili con un’adeguatariduzione del peso corporeo, il30-40% dei soggetti con obesi-tà di grado II e III non ripristi-na entro i valori di normalità lealterazioni glucidiche e lipidiche.Questi soggetti sono ad elevatorischio cardiovascolare e, sullabase delle Linee Guida emanatedall’ADA per quanto riguarda ildiabete e dall’NCEP per quan-to riguarda la dislipidemia, do-vrebbero essere trattati in modoaggressivo. Come noto, la disli-pidemia diabetica si caratterizzaper la presenza di una triade:basse concentrazioni sieriche diHDL-C, elevate concentrazionidi trigliceridi e VLDL ed LDL-C poco alterate ma caratterizza-te da struttura anomala, poichépiù piccole e dense. La presen-za di LDL piccole e dense co-stituisce un ulteriore fattore dirischio, poiché questa frazioneè fortemente aterogena. In moltipazienti con diabete II, il rap-porto fra colesterolo totale e co-lesterolo HDL e >5. Questorapporto è spesso indicato come

indice aterogeno essendo asso-ciato ad un rischio di infarto 8volte maggiore rispetto alla con-troparte con valore <536. Que-sto profilo è già molto frequen-te nei paziente con sindrome X,per diventare “la norma” nel pa-ziente con diabete di tipo 2 malcompensato. In presenza di dia-bete franco, il compenso glice-mico migliora sensibilmente an-che il profilo lipidico e, per talemotivo, il controllo glicemicodovrebbe essere raggiunto pri-ma di instaurare qualunque trat-tamento ipolipemizzante. E’ sta-to osservato che HDL-C, LDL-C e trigliceridi possono esserenormalizzati nel 60-70% deisoggetti con il solo migliora-mento dell’omeostasi glicemica(HbA1c <7%); numerosi studihanno inoltre evidenziato cheun buon controllo della glicemiasi associa anche a miglioramen-to del pattern B delle LDL37,38.

Controllo dell’intolleranzaglucidicaNumerosi farmaci sono in cor-so di studio per la correzionedell’intolleranza glucidica. Allostato attuale, la condizione pre-diabetica può essere miglioratain oltre il 70% dei soggetti conrestrizioni dietetiche ed aumen-to dell’attività fisica. Numerosistudi clinici controllati hannodimostrato il miglioramento del-l’omeostasi glicemica con la ri-duzione dell’introito calorico e

l’esercizio fisico regolare. Peresercizio fisico regolare si deveintendere una seduta di attivitàaerobica per almeno 45-60 mi-nuti a giorni alterni, portando lafrequenza cardiaca al 65-75% diquella massima registrata al ci-cloergometro.

MetforminaLa metformina, un inibitore del-la glicogenesi epatica, sembraessere uno dei farmaci più pro-mettenti per correggere l’iperin-sulinemia presente nell’obeso.Questa molecola, impiegata consuccesso da anni nel trattamen-to del diabete di tipo 2, è in gra-do di aumentare la sensibilitàall’insulina e, quando impiegatanei soggetti obesi, ha dimostra-to di ridurre il peso corporeo e/o di prevenirne l’aumento39,40.Per questi motivi, numerosi stu-di ne stanno valutando l’utilitànegli adulti e negli adolescentisovrappeso con iperinsulinemiae RTG.

AcarbosioUn’altra possibile via per ridur-re l’iperinsulinemia è rallentarel’assorbimento intestinale deicarboidrati provenienti dalla die-ta. Ciò consente di ridurre sial’iperglicemia che l’iperinsuline-mia post-prandiale. Questo ri-sultato può essere raggiuntoaddizionando elevate quantità difibre naturali alla dieta, ma dalpunto di vista pratico risultapoco agevole impostare un taleregime dietetico a causa degli ef-fetti indesiderati. All’inizio de-gli anni ‘90 sono stati introdottigli inibitori della α-glucosidasiche, inibendo gli enzimi presentisull’orletto a spazzola della mu-cosa intestinale preposti alla de-gradazione degli oligo- e disac-caridi in monosaccaridi, consen-tono una notevole riduzionedell’assorbimento degli zucche-ri semplici. Il più importante diquesti composti è l’acarbosio.

Tabella 6. Efficacia di orlistat (120 mg t.i.d.) in pazienti sovrappesoo obesi e con ipercolesterolemia trattati per 24 settimane (Dati daMuls et al. 200134).

End-point Trattamento

Placebo+dieta Orlistat+dieta

↓Peso corporeo (%) 3,4 6,8↓Peso corporeo>5%(%) 39,0 64,0↓Peso corporeo>10%(%) 13,0 23,0↓Colesterolo totale (%) 4,0 11,9↓Colesterolo LDL (%) 7,6 17,6

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Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare

Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4 Trends in Medicine 255

Dopo somministrazione pro-lungata di acarbosio, si ha unariduzione dell’iperinsulinemiapostprandiale >30%. Il minorassorbimento di glucosio a par-tire dai carboidrati complessi edai disaccaridi induce una mino-re stimolazione delle β-cellulepancreatiche, la cui capacità se-cretoria è quindi risparmiata. Lariduzione dell’ipertrigliceridemiapostprandiale è quindi riportataad una più modesta sintesi epa-tica di VLDL, non essendo ul-teriormente stimolata dall’ipe-rinsulinismo postprandiale.

Controllo delladislipidemiaI pazienti diabetici e quelli consindrome X devono essere con-siderati ad elevato rischio cardio-vascolare ed è quindi indispen-sabile intervenire con misure ag-gressive sui singoli fattori di ri-schio. Gli obiettivi del tratta-mento ipolipemizzante sonostati posti dalla American Dia-betes Association in modo piùrestrittivo rispetto a quelli sug-geriti dall’NCEP per i non dia-betici, con valori soglia presso-ché simili a quelli ipotizzati per ipazienti con precedente infarto(tabella 7). Sulla base delle indi-cazioni recentemente fornite dalNCEP-III, gli stessi valori desi-derabili nel soggetto diabeticodovrebbero essere previsti an-

che per il soggetto con sindro-me X35.

StatineLe statine costituiscono i farma-ci ipolipemizzanti maggiormen-te usati nel diabetico per la loromaneggevolezza. Le statinesono molto efficaci nel ridurreil colesterolo totale e la frazioneLDL, ma meno efficaci nel ri-durre l’ipertrigliceridemia e nel-l’aumentare i valori di HDL. Percontro, la dislipidemia diabeticasi caratterizza proprio per bassivalori di HDL-C ed ipertriglice-ridemia di grado moderato-se-vero. Ne consegue che in que-sto gruppo di pazienti, la som-ministrazione di statine riduce leLDL-C ai valori desiderabili malascia frequentemente al di fuo-ri del range di normalità sia latrigliceridemia (<150 mg/dL)che l’HDL-C (>35 mg/dL). Perquesto motivo sarebbe oppor-tuna l’associazione con i fibrati;tuttavia, tale associazione è no-toriamente gravata da un’eleva-ta incidenza di effetti collaterali.Molto utile in questo gruppo dipazienti risulterebbe quindi ladisponibilità di una statina do-tata di elevata efficacia anche suitrigliceridi. Numerosi sforzisono stati compiuti per ricerca-re statine con maggiore attivitàipotrigliceridemizzante. Nel1997 è stata introdotta atorva-

statina, una nuova molecola do-tata di notevole efficacia anchesui trigliceridi. Rispetto alle al-tre statine, atorvastatina risultapiù efficace a parità di dose som-ministrata (figura 8).Alla dose massima atorvastati-na consente di dimezzare la tri-gliceridemia ed aumentarel’HDL-C di circa il 10%. Questirisultati consentono di riporta-re nel range di normalità il pro-filo lipidico della maggior partedegli obesi e dei diabetici disli-pidemici. Molto recentementePontrelli e collaboratori hannostudiato gli effetti di atorvasta-tina sul profilo lipidico di pa-zienti con ridotta tolleranza glu-cidica46. I risultati di questo stu-dio sono riportati in tabella 8.Poiché numerosi studi hannoconfermato che la riduzione delrischio è tanto maggiore quan-to maggiore è il rischio basale,riduzioni così importanti deivalori lipidici determinano ridu-zioni altrettanto ampie del ri-schio relativo nei pazienti conridotta tolleranza glucidica.Come è stato osservato da Haf-fner in un sottogruppo di pa-zienti RTG inclusi nello Scan-dinavian Simvastatin SurvivalStudy (4S), la riduzione del ri-schio aumenta progressivamen-te dal 32% nei soggetti euglice-mici al 42% nei diabetici. In que-sta sub-analisi, il concetto di in-

Tabella 7. Valori desiderabili e range di tollerabilità dei principali parametri metabolici nel pazientediabetico. (Adattata da Garber AJ 199241 e ADA 199842).

Parametro Desiderabile Al limite* Elevato

Glicemia a digiuno (mg/dL) <115 126 >200Glicemia postprandiale (2 ore) <140 200 >235Emoglobina A1c <6 >7 >10Colesterolemia totale (mg/dL) <200 200-239 ≥≥≥≥≥240Trigliceridemia (mg/dL) <200 200-299 ≥≥≥≥≥400Colesterolemia-LDL (mg/dL) <100 (≥≥≥≥≥100 se CAD) 100-129 ≥≥≥≥≥130Colesterolemia-HDL (mg/dL) >45 35-45 <35*Misure terapeutiche per valori superiori

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256 Trends in Medicine Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4

cremento del rischio paralleloall’aumento dei valori glicemiciè molto evidente (tabella 9).L’insieme di questi dati suggeri-sce non solo l’utilità ma anchela tempestività del trattamento,poiché quando la diagnosi didiabete viene posta la maggiorparte del danno cardiovascola-re è gia avvenuto.

Conclusioni

Il Framingham Offspring Stu-dy48 ha correlato l’incrementodell’indice di massa corporea, inuna popolazione di uomini edonne seguita per circa sei anni,

Figura 8. Variazione dei livelli sierici di TG, LDL-C e HDL-C dopo somministrazione di varie statine alladose massima prevista (Dati da Jacotot B 199543, Stein EA 199844 e Gmerek AM 199645).

Tabella 8. Efficacia di atorvastatina su vari parametri lipidici in pa-zienti sovrappeso o obesi. (Dati da Pontrelli et al. 200246).

10

0

-10

-20

-30

-40

-50

-60

LDL-C TG

HDL-C

Pravastatina (40 mg)

Fluvastatina (80 mg)

Simvastatina (80 mg)

Simvastatina (160 mg)

Atorvastatina (80 mg)

Var

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one

per

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dal

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bas

ale

Parametro Variazione (%)

Colesterolo totale -41Colesterolo LDL -55Trigliceridi -32apoB -40Trigliceridi -32LDL diametro 25,2→26,5

con l’incidenza di malattia car-diovascolare.Partendo da un BMI di circa 22kg/m2, un incremento di pesoequivalente ad un’unità di BMIè apparsa correlata ad un incre-mento di mortalità cardiovasco-lare pari al 4-5%. In altre paro-le, un incremento del peso cor-poreo di 1 kg aumenta l’incre-mento della mortalità per ma-lattia cardiovascolare di 1-1,5%.La relazione tra diminuzione delpeso corporeo ed incidenza del-le malattie cardiovascolari è sta-ta riesaminata in 5.209 uomini edonne della coorte dello studiooriginale di Framingham. L’in-

Tabella 9. Correlazione fra livelli glicemici e rischio relativo di eventi coronarici maggiori dopo tratta-mento ipocolesterolemizzante nella subanalisi del4S. (Dati da Haffner et al 199947).

Euglicemici RTG Diabetici

Rischio relativo 0,68(↓32%) 0,62(↓38%) 0,58(↓42%)N°eventi evitati ogni 100 pazienti trattati 8,3 12,5 14,2

cidenza della malattia, registratanell’arco di 26 anni indica chel’obesità è un predittore indipen-dente di malattia cardiovascola-re, particolarmente nelle don-ne49. Sempre dallo studio Fra-mingham è emerso che l’obesi-tà e le sue conseguenze cardio-vascolari originano in età giova-nile. Un bambino obeso diven-terà un adulto obeso, inoltre unbambino con familiari obesi ten-derà ad essere obeso.Concludendo, il controllo delpeso corporeo è parte integran-te della prevenzione delle malat-tie cardiovascolari. La questio-ne se l’obesità sia un fattore dirischio indipendente o se sia le-gato alla presenza contempora-nea di altri fattori quali l’iperten-sione, il diabete o le dislipidemienon ha molta importanza nellapratica clinica, poiché non sipossono separare le due cose.Da qui l’importanza di una sanaabitudine alimentare sin dall’in-fanzia, utilizzando programmialimentari che valorizzino l’uso

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Trattare l’obesità per ridurre il rischio cardiovascolare

Ottobre 2002 Volume 2 Numero 4 Trends in Medicine 257

della “dieta mediterranea” el’importanza di una corretta at-tività fisica: entrambe questeprocedure contribuiscono acontrollare il peso corporeo ed,

controllare la “globesità”,un’epidemia che continua a co-stare ancora alcuni milioni dimorti ogni anno nel mondo oc-cidentale.

indirettamente, i valori pressorie lipidici. Allo stato attuale sitratta delle uniche misure real-mente applicabili su vasta scalaed a basso costo, in grado di

Treating obesity to reduce cardiovascular risk

SummaryNumerous metabolic alterations have been described in obese subjects and weightreduction is indicated as essential in order to decrease cardiovascular risk. Althoughthe genetic basis of type 2 diabetes (DM-2) is not yet completely understood, strongclinical and experimental evidence suggests that obesity and physical inactivity are itsmain non-genetic risk factors. The development of diabetes passes through an inter-mediate stage of reduced glucose tolerance (RGT). Obese subjects are at greater riskof developing diabetes, hypertension and dyslipidaemia than control patients andmust take every possible step to reduce these factors. Reducing excess weight is the-refore crucial in order to avoid the onset of diabetes and the consequent increase incardiovascular and cerebrovascular mortality.Maugeri D, Puglisi N, Fichera D, et al. Treating obesity to reduce cardiovascular risk. Trends Med2002; 2(4):243-258.

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