Tratamente de C-r Pentru Materialele Imbibate de Apa

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 L e par tic ol ari condizio ni di gia cit ura del dep osito ar- cheologico nel Cantiere delle Navi Antiche di Pisa, hanno consentito il ritrovamento di una quantità eccezionale di reperti in materiale organico: oggetti in le- gno, intrecci di fibra vegetale, manufatti in cuoio, etc. Il re cup ero , il conso lid ament o e la con ser vazione di tal e ma- teriale ha aperto la strada, al momento del ritrovamento fortuito nel 1997, a diversi problemi, dovuti da una parte al lo stato di co ns er va zi on e ed al fac ile de pe rime nt o di qu e- sto genere di manufatti, dall’altra alla composizione degli str ati di gia cit ura costit ui ti pr eva le nte me nte da sab bi a (Fi- gura 1) e argilla (Figura 2). Per quanto riguarda lo scavo dei reperti inglobati nella sa bb ia, vi sta la scar sa coesione de i de po siti e a ca us a de llo stato di conservazione spesso altamente degradato, si è reso necessario l’approntamento di supporti di conteni- mento (Figura 3), senza i quali non sarebbe stato possibile prelevare gli oggetti ed assicurarne un adeguato trasp or to pr ess o il Cen tro di Re sta uro del Legno Ba gna to. Al cont rar io, pe r i ma nu fatti ri nv en ut i al l’ in ter no de i li ve ll i di tipo argilloso, trattandosi di un ambiente sempre co- sta ntementeumid o, la pl ast ici del sed imen to ha res o pi ù agevole la loro asportazione, rendendo tuttavia più pro- blematiche, a causa delle caratteristiche di alta viscosità, le successive fasi di pulitura in laboratorio. Dur ante la fas e di as po rta zi on e dei rep ert i in si tu , ci siamo av val si di di ve rse me to dich e di in ter ve nto , va lu tat e in ba se alla dimensione dei manufatti, al loro specifico degrado, e alle caratteristiche litologiche del luogo di giacitura. Le scelte effettuate, ed andate raffinandosi in base all’espe- rienza maturata negli anni intercorsi tra i primi concitati momenti della scoperta ad oggi, hanno visto una alter- nanza di soluzioni che vanno dalla realizzazione di veri e propri gusci in vetroresina (Figura 4), modellati sui re- perti direttamente in situ, a calchi in gesso bloccati con l’ausilio di incassettature (Figura5), poi asportate operando il taglio del pane di terra tramite lamine me- talliche (Figura 6). Tra tt ame nti conserva ti vi per il rest au ro di ma te riali organici imbibiti d’acqua F.Fiesoli, F.Gennai F.Fieso li, F .Gennai  T rattamenti conservativi per il restauro dei materiali... pp. 9 - 16  9 Figura 1:  un cesto ancora nel deposito sabbioso di rinvenimento (foto SBAT) Figura 2: cuoio in uno strato agilloso  (foto SBAT) Figura 3:  borsa in corda con contenimento in VTR per l'asporta- zione (foto Coop. Archeologia Firenze) Figura 4:  guscio in vetroresina (foto A.Sentineri SBA T)

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Le particolari condizioni di giacitura del deposito ar-cheologico nel Cantiere delle Navi Antiche di Pisa,hanno consentito il ritrovamento di una quantità

eccezionale di reperti in materiale organico: oggetti in le-gno, intrecci di fibra vegetale, manufatti in cuoio, etc. Ilrecupero, il consolidamento e la conservazione di tale ma-teriale ha aperto la strada, al momento del ritrovamentofortuito nel 1997, a diversi problemi, dovuti da una parteallo stato di conservazione ed al facile deperimento di que-sto genere di manufatti, dall’altra alla composizione deglistrati di giacitura costituiti prevalentemente da sabbia (Fi-gura 1) e argilla (Figura 2).

Per quanto riguarda lo scavo dei reperti inglobati nellasabbia, vista la scarsa coesione dei depositi e a causa dellostato di conservazione spesso altamente degradato, si èreso necessario l’approntamento di supporti di conteni-

mento (Figura 3), senza i quali non sarebbe statopossibile prelevare gli oggetti ed assicurarne un adeguatotrasporto presso il Centro di Restauro del Legno Bagnato.Al contrario, per i manufatti rinvenuti all’interno dei livelli

di tipo argilloso, trattandosi di un ambiente sempre co-stantemente umido, la plasticità del sedimento ha reso piùagevole la loro asportazione, rendendo tuttavia più pro-blematiche, a causa delle caratteristiche di alta viscosità,le successive fasi di pulitura in laboratorio.

Durante la fase di asportazione dei reperti in situ, ci siamoavvalsi di diverse metodiche di intervento, valutate in base

alla dimensione dei manufatti, al loro specifico degrado,e alle caratteristiche litologiche del luogo di giacitura. Lescelte effettuate, ed andate raffinandosi in base all’espe-rienza maturata negli anni intercorsi tra i primi concitatimomenti della scoperta ad oggi, hanno visto una alter-nanza di soluzioni che vanno dalla realizzazione di verie propri gusci in vetroresina (Figura 4), modellati sui re-perti direttamente in situ, a calchi in gesso bloccati conl’ausilio di incassettature (Figura5), poi asportateoperando il taglio del pane di terra tramite lamine me-talliche (Figura 6).

Trattamenti conservativi per il restauro di materialiorganici imbibiti d’acqua 

F.Fiesoli, F.Gennai 

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Figura 1: un cesto ancora nel deposito sabbioso di rinvenimento(foto SBAT)

Figura 2: cuoio in uno strato agilloso (foto SBAT)

Figura 3: borsa in corda con contenimento in VTR per l'asporta-zione (foto Coop. Archeologia Firenze)

Figura 4: guscio in vetroresina (foto A.Sentineri SBAT)

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Cordame, oggetti in legno e intrecci vegetali (cesti,nasse, ecc.), dopo lo stacco vengono posizionati su assidi legno, opportunamente rivestite con pellicola di po-lietilene (Figura 7) e portati in laboratorio per i successivitrattamenti di pulitura e restauro (Figura 10).Per quanto riguarda gli oggetti in cuoio invece, dopo loscavo e l’asportazione dal deposito, si giudica preferibile,ove possibile, una immediata liberazione dal sedimentotramite lavaggi effettuati direttamente sul cantiere, per poiimmergerli in contenitori con acqua e soluzione antifun-gina in attesa dei trattamenti successivi (Figure 8-9).In laboratorio, sul pane di terra viene eseguito un micro-scavo per portare il reperto alla luce e, dopo accurata pu-litura (Figura 11-13), sarà possibile effettuate le necessarieanalisi per approfondire la comprensione del livello di de-grado subito dal reperto e valutare i metodi di interventopiù adatti e la scelta del consolidante più idoneo.

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Figura 6: dettaglio del procedimento di asportazione con laminametallica (foto SBAT)

Figura 7: posizionamento del reperto su tavole di legno rivestite dipolietilene e bloccaggio per il trasporto inlaboratorio (foto SBAT)

Figura 10: microscavo sul pane di terra (foto A.Sentineri SBAT)

Figura 8: rinvenimento di un cuoio in uno strato sabbioso (foto SBAT)

Figura 9: elemento in cuoio dopo la pulitura effettuata sul cantiere (foto

Coop. Archeologia Firenze)

Figura 11: creazione di un supporto per il contenimento del reperto(foto A.Sentineri SBAT)

Figura 12: fase di pulitua in laboratorio (foto A.Sentineri SBAT)

Figura 5: incassettatura (foto A.Sentineri SBAT)

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A volte quello che apparentemente sembrava un manu-fatto ancora comprensibile, si è rivelato un calco costituitodal sedimento, con solo poche tracce di materiale ormai

degradato in maniera irreversibile; in questo caso l’unicomodo per salvare il manufatto, dopo la sua pulitura e leopportune analisi di laboratorio, è consolidare sia il repertoche il pane di terra che lo contiene, per evitarne la perdita,affidando alle tecniche di documentazione grafica e fo-tografica il massimo possibile delle informazioni.Nel corso dello scavo di oggetti in materiale organico, l’im-portanza della presenza del restauratore fin dalle primefasi è basilare, sia per l’estrazione, come si è visto per imolteplici problemi dovuti principalmente alla natura deglioggetti e del sedimento in cui si presentano inglobati, sia

per il mantenimento dell’umidità una volta avvenutal’asportazione dal deposito, visto che un eventualecollasso subito dal reperto in sede di asportazionesarebbe infatti irreversibile, sia nelle delicate operazionidi immagazzinamento, perché dal buon trattamentonelle fasi iniziali, dipenderà anche il risultato finale delrestauro.Fin dalla metà degli anni ’80 presso il Centro di Restaurodella Soprintendenza ai Beni Archeologici di Firenze, sonostati sperimentati trattamenti di impregnazione dimateriale organico di provenienza archeologica (legno,

cuoio e fibre imbibiti d’acqua) con colofonia1

e zuccheri,metodi peraltro già applicati in Europa dagli anni ’60, perla conservazione di manufatti archeologici.Il ritrovamento delle navi di Pisa, e la successiva nascitadel Centro di Restauro del Legno Bagnato adiacente alcantiere delle navi, ha permesso sia di continuare tale spe-rimentazione, che di integrare il restauro di repertiorganici precedentemente iniziato, con nuove metodo-logie: Peg2 e Kauramina®3, sistemi usati in vari laboratorid’Europa con successo da molti anni.La scelta del prodotto più idoneo viene effettuata in basealla valutazione del reperto da conservare: degrado, di-mensioni, natura del materiale (legno, corde, cuoio, in-trecci, spazzole, anche materiali compositi) e non ultima,la stima dei relativi costi.

Si presenta, qui di seguito, una carrellata dei trattamentieffettuati presso il CRLB di Pisa.

ZUCCHERIL’impregnazione tramite zuccheri costituisce un metododi facile applicazione ed economico, che può essere ef-fettuato sia a caldo che a freddo, in soluzione acquosa (fi-gura 14).

Consiste nell’immergere i reperti in una soluzione a cuiverrà aggiunto periodicamente zucchero fino al raggiun-gimento della saturazione. Finita l’impregnazione ireperti verranno estratti dal bagno, puliti dalla soluzionein eccesso, fasciati con tessuto di cotone per controllaree prevenire eventuali crettature e fessurazioni. Il bendaggioservirà inoltre ad assorbire lo zucchero che sale in super-ficie durante l’evaporazione nel momento dell’asciugatura.

Questa avverrà in maniera lenta e controllata, e sarà seguitada una finitura delle superfici con cera microcristallina(Figura 15).

Questo metodo appare, nella sua realizzazione, piuttostosemplice ed economico; le caratteristiche dei reperti, qualiforma, peso e colore, tendono a rimanere molto naturali,a fronte di una buona resistenza meccanica acquisita conil trattamento.Tuttavia presenta notevoli limiti: l’alta igroscopicità ne con-

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Figura 13: reperto pronto per il trattamento di impregnazione (foto

A.Sentineri SBAT)

Figura 14: punta di palafitta proveniente da Stagno (LI) trattata conimpregnazione di zucchero (foto A.Sentineri SBAT)

Figura 15: vasca per il trattamento con zucchero (foto A.SentineriSBAT)

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diziona fortemente le modalità espositive, necessitandodi ambienti a umidità e temperatura controllate, e il forterischio di attacchi biotici, come batteri ed insetti, ne mol-tiplica i costi e i rischi gestionali a restauro ultimato. Acausa di queste considerazioni, questo metodo nonviene attualmente più praticato presso lo CRLB.

COLOFONIALa colofonia è una resina solida naturale, utilizzata perle impregnazioni del legno bagnato, in solvente diacetone (Figura 16). Tale trattamento viene eseguito sureperti di legno bagnato di misure medio-piccole, in quan-to l’uso di solventi ad alta infiammabilità non permettel’utilizzo di vasche di grandi dimensioni, per l’immersionedegli oggetti.

A tale scopo dal 2006 è stato realizzato, presso il CRLB,un apposito impianto composto da quattro vasche, consistemi di aspirazione e serpentine di riscaldamento, peril trattamento di oggetti fino 2 metri di lunghezza(Figura 17-18).

Dopo aver eseguito le procedure preliminari, tra cui lacompilazione, per ogni reperto, di una scheda di restaurocon foto, disegni, misure, peso, analisi chimiche e autop-tiche e tutte le informazioni che lo riguardano sin dal suo

ritrovamento, si passa alla pulitura meccanica conpennelli e spazzolini di setola morbida.Il processo di impregnazione vero e proprio inizia con unafase di desalinizzazione, realizzata con risciacqui diacqua demineralizzata; segue una fase di disidratazione,ottenuta sottoponendo gli oggetti a tre bagni in acetone;questo procedimento serve a far meglio veicolare, in unsecondo momento, la soluzione impregnante di colofoniaall’interno dell’oggetto.L’impregnazione con Colofonia viene effettuata in vaschetermoriscaldate a 50°C ed ha una durata variabile nel tem-

po in base alle dimensioni del reperto (Figura 19). Ter-minato il trattamento, i reperti vengono tolti dal bagnoe ripuliti dai residui di colofonia con bende imbevute diacetone; successivamente inizia la fase di asciugatura con-trollata.

Gli oggetti vengono posizionati in vasche e ricoperti disabbia, dopo essere stati protetti con strati di pellicola dipolietilene, in modo che l’evaporazione dell’acetonecontenuto all’interno del reperto avvenga in maniera lentae graduale, evitando così fessurazioni e torsioni del legno.

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Figura 16: cristalli di resina di colofonia nella vasca di trattamento(foto A.Sentineri SBAT)

Figura 17: vasche per il trattamento con colofonia presso il CNAP(foto A.Sentineri SBAT)

Figura 18: impianto per il trattamento con colofonia preso ilCNAP (foto A.Sentineri SBAT)

Figura 19: vaschetta per il trattamento con colofonia di oggetti dipiccole dimensioni (foto A.Sentineri SBAT)

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Questa fase è molto delicata e la sua riuscita è fondamen-tale per il buon esito di tutto il processo e per il mante-nimento della forma originale dei reperti.Terminata l’asciugatura, il manufatto viene pulito da even-tuali residui superficiali di colofonia, incollato se fram-mentario e rifinito con una mano di cera microcristallina.(Figure 20-21).

Tra i pregi di questo trattamento, oltre la comprovata ca-pacità conservativa, è sicuramente la facile musealizzazio-ne, in quanto la soluzione non è igroscopica e non necessitadunque, almeno alle nostre latitudini, di particolari ac-corgimenti di climatizzazione ambientale. Il legno una vol-ta consolidato si presenta di aspetto e colore abbastanza

naturali, acquisendo una buona resistenza meccanica ei tempi di durata del trattamento non risultano eccessi-vamente lunghi.Di contro, la necessità di utilizzare sostanze che, senza inecessari accorgimenti, possono rivelarsi pericolose allasalute degli operatori, la conseguente impossibilità di trat-tare oggetti di grandi dimensioni e, non ultimo, un no-tevole incremento del peso specifico dei reperti, ne ren-dono l’impiego suscettibile di valutazioni da effettuarsiin sede di progettazione dell’intervento di restauro.

PEG (glicole polietilenico)Il PEG è solubile in acqua, alcool ed acetone. Esiste incommercio liquido, a basso peso molecolare (400-600)utilizzabile a temperatura ambiente, e solido, ad alto peso

molecolare (1000-4000) solubile a caldo.Il PEG è spesso utilizzato anche in miscela di differentipesi molecolari, a seconda del degrado del materiale daimpregnare.I trattamenti possono essere eseguiti per immersione (Fi-gura 22), metodo più frequentemente applicato perchérelativamente semplice, per atomizzazione, adatto per re-perti di grandi dimensioni ma problematico sia per il con-trollo del livello di impregnazione raggiunto dall’interomanufatto, che per le problematiche tecniche collegatealla realizzazione degli impianti necessari.

Un altro metodo di utilizzo del PEG è l’impregnazionea spruzzo, adatta per oggetti fragili e di piccole dimensioni.Attualmente costituisce il metodo di consolidamento deireperti archeologici in materiale organico bagnato più uti-

lizzato in Europa, ed è stato uno dei primi metodi spe-rimentati già a partire dalla prima metà del secoloscorso. Tuttavia recenti dati indicano una sostanziale in-compatibilità di questo prodotto con la presenza di even-tuali ossidi di ferro contenuti all’interno dei reperti da trat-tare. Nel Centro di Restauro del Legno Bagnato di Pisa,vista la grande quantità di ossidi di ferro presenti, a causadella presenza di palancole metalliche infisse nel terrenodal 1997, questo tipo di trattamento viene impiegato, conottimi risultati, quasi esclusivamente per alcuni manufattiin cuoio (Figura 23), o in fibra vegetale (corde, intrecci,

cesti, Figure 24-25).

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Figura 20: bozzello in legno trattato con impregnazione di colofonia(foto A.Sentineri SBAT)

Figura 21: pettine in legno trattato con impregnazione di colofonia(foto A.Sentineri SBAT)

Figura 22: trattamento con impregnazione di polietilenglicoli (fotoA.Sentineri SBAT)

Figura 23: cuoio trattato con impregnazione di PEG (foto A.Senti-neri SBAT)

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Il trattamento, dopo le consuete fasi di schedatura, prelievodi campionature analitiche, pulitura e desalinizzazione,consiste nell’immersione dei materiali in una soluzioneo miscela di PEG con percentuali di peso molecolare va-riabile, a seconda del degrado del manufatto e del tipodi asciugatura che si intenderà applicare. I tempi dell’im-pregnazione saranno variabili, in base alle dimensioni delreperto, che verrà periodicamente monitorato con

prelievi per verificare la buona riuscita del trattamento.Seguirà una asciugatura lenta, misurando l’umidità finoa portarla ai valori desiderati in modo che l’evaporazionedell’acqua contenuta all’interno avvenga in maniera gra-duale. Un’altra tecnica di asciugatura prevede un prece-dente passaggio per liofilizzazione, nel CRLB viene im-piegata in alternativa e/o in concomitanza con l’asciugaturanaturale controllata, soprattutto per elementi di non grandidimensioni, come per tutti i metodi di restauro l’asciu-gatura è la fase più delicata e da essa dipende molto il ri-sultato finale del trattamento.Nonostante sia ancora oggi il metodo più usato per il re-stauro di materiali organici, durante le varie sperimenta-zioni si sono riscontrati vari problemi quali il cambiamentodelle proprietà chimico-fisiche del materiale costituente

originario, ritiri e fessurazioni, l’ottenimento finale di uncolore molto scuro, lontano da quello originale riferibilealle varie specie legnose, ed una moderata igroscopicità,che ne determina quindi una musealizzazione a tempe-ratura e umidità controllate, con conseguenti alti costi,determinati anche da una lunga durata dei tempi di trat-tamento e dalla necessità di costose apparecchiature idoneeal trattamento stesso.

KAURAMINA®

Nel 2008, primi in Italia e in collaborazione del laboratoriodel Römisch-Germanischen Zentralmuseum di Magonza,lo CNAP ha iniziato il restauro di reperti lignei con il me-todo dell’impregnazione con Kauramina®4.In particolare sono iniziati i trattamenti delle porzioni con-servatesi della cosiddetta “Nave Ellenistica” (fasciame edordinate non più in connessione, II sec. a.C.), di vari altrireperti di minori dimensioni e complessità, ma soprattutto

è stato possibile superare gran parte delle difficoltà sinoad oggi incontrate per il trattamento delle grandi navi, pro-cedendo al trattamento della Nave D, un barcone per iltrasporto fluviale di grandi dimensioni, databile in epocaTardo antica (fine VI- inizi VII sec. d.C.).L’imbarcazione costruita con tecnica mista, è assemblatacon mortase e tenoni lignei, ma prevede anche l’impiegodi numerose chiodature in ferro.La Kauramina® è una sostanza di brevetto BASF a basedi melammina e formaldeide, solubile in acqua a tempe-ratura ambiente, che viene addizionata con trietanolam-

mina, butandiolo e urea, elementi che permettonoritardare la catalizzazione del bagno, rendere più viscosala soluzione ed elastico l’oggetto, una volta trattato.I manufatti vengono immersi nella soluzione (Figura 26),che ha una durata dai 2 ai 6 mesi a seconda della tempe-ratura dell’ambiente circostante. Il bagno deve essere con-trollato settimanalmente, fino a raggiungere un PH infe-riore a 7 (Figura 27).

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Figura 24: parte di cesto trattata con impregnazione di PEG (fotoA.Sentineri SBAT)

Figura 25: frammenti di corde trattati con PEG (foto A.SentineriSBAT)

Figura 26: preparazione della vasca per il trattamento con resina dikauramina (foto A.Sentineri SBAT)

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Quando la soluzione inizia ad opacizzarsi è indice dell’ini-zio della catalizzazione della resina melamminica, a

questo punto é possibile togliere i legni dalle vasche diimpregnazione, sciacquarli e ripulirli dalla sostanza im-pregnante rimasta in superficie con spazzole e pennellidi setola morbida.Per il completamento della fase di catalizzazione del pro-dotto impregnate è necessario eseguire una serie di pro-cedure. Una volta rivestiti di carta, per assorbirel’eventuale resina in eccesso, gli elementi trattati dovrannoessere posizionati in sacchetti di polietilene, o rivestiti dipellicola, e sottoposti ad una temperatura di 50°C per unadurata di circa 7-14 giorni. Il processo di catalizzazione

verrà tenuto sotto controllo tramite un campione di liquidodi impregnazione posto anch’esso all’interno del forno.Terminato il processo i reperti lignei verranno tolti dal for-no e, eliminate le pellicole protettive, messi ad asciugarein maniera lenta e controllata sotto pellicola di polietilene,con coperture e scoperture giornaliere (Figura28), finoal raggiungimento del grado di umidità residua desiderato(Figura 29).Come di consueto, ultimata la fase di asciugatura, sui re-perti verrà applicata una mano di cera a finitura (Figura30).

Numerosi sono i pregi dell’impiego di questo impregnate:la rapidità dei tempi di trattamento, il mantenimento co-

stante della forma originale dei reperti, che conservanoanche, grazie al basso peso molecolare dell’impregnante,notevole leggerezza, l’acquisizione di una notevole resi-stenza meccanica e, non ultima, la considerevole econo-micità rispetto ai tradizionali trattamenti con PEG e Co-lofonia.Di contro bisogna considerare che, oltre all’ottenimentodi un effetto cromatico molto chiaro, cui è possibile ovviarecon l’utilizzo di cere di finitura in grado di riportare il co-lore all’originale aspetto dei reperti, questo trattamentopresenta un potenziale grado di tossicità per gli operatori,

a causa della presenza di pur basse quantità di formaldeide,e soprattutto, è un procedimento che deve essere consi-derato del tutto irreversibile.Il bilancio di più di dieci anni di esperienze sul Cantieredelle Navi Antiche di Pisa e di tre anni di trattamenti al-l’interno del Centro di Restauro del Legno Bagnato di Pisaè da considerarsi molto positivo.I fattori salienti si concentrano intorno alla sperimenta-zione e messa in opera di nuove metodologie di interventodurante le fasi di scavo e alla sperimentazione di tecnicheper il trattamento di impregnazione con quelli che, ad oggi,risultano i materiali migliori e più utilizzati nel campo delrestauro del legno archeologico imbibito. Tale attività, av-viata presso il Centro di Restauro della Soprintendenzaper i Beni Archeologici di Firenze, ha avuto poi la pos-

Figura 29: asciugatura finale (foto A.Sentineri SBAT)

Figura 30: reperto con finitura di cera microcristallina (foto A.Sen-tineri SBAT)

Figura 27: preparazione della vasca per il trattamento con resina dikauramina (foto A.Sentineri SBAT)

Figura 28: fase di prima asciugatura dei reperti (foto A.SentineriSBAT)

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sibilità di continuare ad arricchirsi, con la creazione delcentro pisano nel 2006, potendo usufruire di una moleimportante di reperti, sia di provenienza locale, che dagliscavi di molte altre regioni d’Italia.L’esperienza maturata nel corso degli anni ed oggi in pos-sesso dello CNAP ha infatti reso possibile la sua fattivacollaborazione con diverse Soprintendenze per i Beni Ar-cheologici su tutto il territorio della Penisola, nonché connumerosi altri enti ed istituzioni italiane ed estere.

Note1 Colofonia, resina vegetale solida,di colore giallo trasparente, resi-duo della distillazione delle trementine (resine conifere), è nota an-che come Pece Greca2Glicole polietilenico, resina sintetica prodotta per polimerizzazio-

ne dell’ossido di etilene3 Kauramina®,Prodotto di condensazione a base di melammina eformaldeide in acqua, parzialmente eterificato, modificato. Si trattadi un brevetto BASF3 L’impiego di questo metodo è il frutto della operazione tra loCNAP-CRLB e il Römisch-Germanischen Zentralmuseum diMainz, ed in particolare con Markus Wittcöpper, che in questa oc-casione si desidera ringraziare

BibliografiaWITTKÖPPER  1998: M. Wittköpper, Der aktuelle Stand der Kon-servierung archäologischer Naßhölzer mit Melamin/Aminoharzenam Römisch-Germanischen Zentralmuseum, Arbeitsblätter fürRestauratoren. Gruppe 8, n. 2, 1998, pp. 277 - 283

WITTKÖPPER  2001: M. Wittköpper, Current developments in the preservation of archaeological wet wood with melamine/aminoresins at the Romisch-Germanisches Zentralmuseum, inhttp://www2.rgzm.de/navis/Conservation/ConservationUK.htm

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