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Traduzioni telematiche a cura diRosaria Biondi, Nadia Ponti, Giulio

Cacciotti, Vincenzo Guagliardo (Casa direclusione - Opera)

Bianca Pitzorno.1. L’INCREDIBILE STORIA DI

LAVINIA.2. LA BAMBOLA VIVA.

INDICE.

L’INCREDIBILE STORIA DI

LAVINIA.Introduzione dell’autrice: pagina 3.La piccola fiammiferaia: pagina 4.Entra in scena la fata: pagina 9.La magěa dell’anello: pagina 14.

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Il signor Massimiliano Marsupiali:pagina 16.

Una strana cliente: pagina 17.Eleuterio Migliavacca: pagina 21.Lavinia si conquista una casa:

pagina 24.Vita nuova per Lavinia: pagina 29.Una colazione movimentata: pagina

33.Lavinia trova un amico: pagina 37.Spedizione allo Zoo cittadino:

pagina 41.Lavinia si copre di gloria: pagina

44.Lavinia commette un errore: pagina

50.Una situazione disperata: pagina 53.

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Tutto č bene quel che finisce bene:pagina 58.

LA BAMBOLA VIVA: pagina 62.

INTRODUZIONE DELL’AUTRICE.

La storia di Lavinia e dell’anellomagico č nata una vigilia di Nataledurante una cena a cui partecipavamo lamia amica Valentina ed io, insieme adaltre persone che non č il caso nominareperché non direttamente interessate alfenomeno “cacca”.

Giŕ da molti anni Valentina aveval’abitudine di chiedermi storie di caccae di pipě, ed io gliele raccontavo. Intotale ne avrň inventate per lei una

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cinquantina.Quella sera, quando terminai la

storia di Lavinia, Valentina mi dissesoddisfatta: “Brava! Questa volta la hairaccontata proprio bella. Piů bella ditutte le altre”.

Cosě, poiché nella primaverasuccessiva Valentina stava terminando laprima elementare e sapeva giŕ leggeremolto bene, decisi di trasferire la storiadell’anello magico dalla tradizioneorale a quella scritta e di farne un libroper lei e per altri giovani intenditori.

Ringrazio per l’ispirazione:Andersen per la fiammiferaia, Tolkienper l’anello, King per lo sguardo,Voltaire perché sě e Madre Natura per la

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cacca.

Si sconsiglia la lettura di questolibro alle persone troppo schizzinose.

LA PICCOLA FIAMMIFERAIA.

Era la vigilia di Natale a Milano.Per tutto il pomeriggio Piazza del

Duomo e le altre vie del centro con iloro negozi erano state percorse da unaquantitŕ incredibile di gente che faceva aspintoni per comprare gli ultimi regali. Imilanesi passavano carichi di pacchi epacchetti. Avevano fretta di tornare acasa, perché giŕ dal primo pomeriggio siera messo a fare un freddo terribile.

Verso le cinque cominciň a nevicare.

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Presto la statua di Vittorio Emanuele, alcentro della piazza, fu ricoperta di neve.

“Per fortuna č giŕ buio e i piccionise ne sono andati a letto.

Altrimenti si congelerebbero lezampe - osservň Lavinia -. Chissŕ poidove vanno a dormire i piccioni! Forsetra le guglie del Duomo. Ma non hannopaura, in mezzo a tutte quelle statue dimostri e di santi?”.

Anche le guglie ormai eranodiventate bianche, come se fossero fattedi zucchero filato.

La gente passava in fretta e non siaccorgeva di una piccola fiammiferaialivida di freddo che sedeva su ungradino col vestito tutto stracciato ed

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offriva ai passanti le sue scatolette difiammiferi.

Ogni tanto qualcuno inciampava neisuoi piedini nudi. Barcollava, cercandodi mantenere l’equilibrio, dicevaqualche parolaccia come “Accidenti!”“Dannazione!” e anche peggio efinalmente si accorgeva della bambina.

Ma invece di comprarle ifiammiferi, queste persone la coprivanodi insulti del tipo: “Ma torna a casa,disgraziata!”, “Ti sembra il posto dametterti con i tuoi stracci?”, “Levati daipiedi! Se fossi tuo padre ti riempirei dibotte!”.

E quando la bambina, con unavocina rauca interrotta da forti colpi di

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tosse che le squassavano il petto dicevatimidamente: “Bei fiammiferi, signore!Vuole comprare i miei fiammiferi?” ipassanti disturbati rispondevano:“Tieniteli, i tuoi fiammiferi,rompiscatole! Cosa vuoi che me nefaccia dei tuoi fiammiferi?

Credi che siamo talmente pezzenti danon possedere un accendino?”.

Oppure altri si indignavano: “Io nonfumo, lurida mocciosa! Ho appenasmesso e adesso ci si mette questastracciona a farmi ricominciare!Vergognati!”.

E se ne andavano arrabbiatissimipensando: “Ma guarda un po’ se propriola vigilia di Natale dovevamo incontrare

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questa guastafeste! Porta male incontrareuna piccola fiammiferaia affamata einfreddolita la vigilia di Natale…Adesso avremo i rimorsi per tuttol’anno…

Lavinia, poiché era proprio lei lapiccola fiammiferaia, non aveva nessunaintenzione di procurar loro dei rimorsi egratis per giunta. Lei voleva soltantovendere dei fiammiferi per guadagnareun po’ di soldi e comprarsi unacioccolata calda con la panna e ibiscotti, perché non mangiava da tregiorni. E magari anche un paio discarponcini foderati di pelliccia perchéi piedi, pieni di croste e di geloni, lefacevano proprio male.

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E invece nessuno, ma proprionessuno, le comprň una sola scatola difiammiferi.

Verso le otto le si avvicinň un vigileurbano, tutto stretto nel suo cappotto blu,e di malumore per il fatto di essere diservizio quella sera invece che a casa afare il Presepio con i suoi bambini.Toccandola da lontano col piede, un po’schizzinoso perché Lavinia era davverosporca, le disse: “Non puoi venderepuoi vendere fiammiferi senza licenza.Non puoi vendere niente. A rigore, tidovrei arrestare. Ma, visto che č Natale,chiuderň un occhio. Tu, perň, smamma!Hai capito? Fuori dai piedi! Scompari alpiů presto. Torna a casa!”.

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Facile dirlo! Lavinia una casa non cel’aveva. Era una piccola fiammiferaia ele piccole fiammiferaie non hanno casa.

Cosě fu il vigile ad andarsene,soffiandosi sulle dita per riscaldarle, ela bambina rimase sui gradini dellafarmacia, tutta intirizzita, affamata, conle tasche vuote, mentre gli ultimicompratori abbandonavano la piazzadirigendosi verso le fermate dei tram.

L’albero di Natale regalato dalsindaco alla cittadinanza scintillava dimille luci al centro della piazza. MaLavinia sapeva che, se anche gli fosseandata vicino, quelle luci nonl’avrebbero riscaldata perché non eranofiammelle di candele, ma lampadine a

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bassa tensione.E inoltre, per avvicinarsi all’albero,

avrebbe dovuto lasciare il riparo deiportici e si sarebbe dovuta esporre allaneve che continuava a fioccare in modosuggestivo come in una cartolinad’auguri.

Lavinia aveva solo sette anni, ma eramolto esperta riguardo a queste coseperché, fin da quando aveva memoria,era sempre stata una piccolafiammiferaia randagia e aveva dovutoimparare a cercarsi da sola i ripari piůconvenienti.

Scese la notte. La piazza era desertaormai. Solo le luci delle pubblicitŕ simuovevano dando un’illusione di vita e

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di calore, invece faceva sempre piůfreddo.

Stringendosi addosso i suoi stracciLavinia si raggomitolň piů stretta chepoteva nell’angolo della vetrina, poggiňla testa contro il muro e si addormentň.

ENTRA IN SCENA LA FATA.

Mentre Lavinia dormiva, in tutte lecase della cittŕ, i bambini a tavolaguardavano il padre che tagliava ilpanettone e protestavano: “No, non nevoglio! Sono pieno fin qui. Guarda chese me ne fai mangiare anche una fettinapiccola piccola, vomito!”

E i padri si scandalizzavano: “Cheindecenza! Questo č un insulto alla

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miseria Anche la notte di Natale devifare tante storie per mangiare! Pensa aquei poveri negretti affamati chedarebbero chissŕ che cosa per una fettadi panettone…”.

Lavinia non era una negretta, ma nelsonno si lamentava lo stesso per la fame,e avrebbe dato chissŕ cosa per una fettadi panettone. Se almeno quei papŕ chepredicavano cosě bene le avesserocomprato qualche scatola di fiammiferiprima di rincasare e mettersi a tavola!Sognava tacchini arrosto e grandi torte,montagne di patate fritte, lasagne,polpette, salami e zabaione. Sognavainsalate russe e “hamburger col tomato”cosě come li aveva visti nelle vetrine

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delle rosticcerie, senza potersi maipermettere di assaggiarli.

Verso mezzanotte i sogni di Laviniafurono interrotti dalla brusca frenata diun taxi. La bambina alzň gli occhi e videuna bella signora scendere dallamacchina proprio sul marciapiede difronte a lei. Era vestita in modo pocoadatto per una notte cosě fredda.

Aveva un abito scollato, di veloazzurro molto trasparente (Lavinia poténotare le mutande, anch’esse azzurre); lecaviglie nude, i piedi infilati in duepantofoline di velluto, e in testa…

…Lavinia dovette coprirsi la boccacon le mani per soffocare una risata… Intesta la donna aveva il cappello piů

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strano che si possa immaginare. Unaspecie di lungo imbuto rovesciato, tuttodecorato come un albero di Natale.

“Ce n’č di matti, in giro!” pensavaLavinia continuando a godersi lospettacolo, visto che ormai si erasvegliata La signora pagň il tassista chele fece cinque inchini profondissimi, unodopo l’altro: evidentemente avevaricevuto una bella mancia Poi si diresseverso Lavinia.

“Caspita! - pensň la bambina - sta avedere che questa matta mi compra tuttele scatole dei fiammiferi!”

Ma quando fu vicina la signora sichinň porgendo una sigaretta e chiese: ”Scusa, hai da accendere?”

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“E adesso cosa le dico? - pensňLavinia disperata - Le dico che sě, ho ifiammiferi, ma che me li deve pagare?Non sarebbe gentile. E poi gliene serveuno solo, non una scatola..”

Cosě, con un gesto da gran signora,aprě una scatola nuova, accese unfiammifero e lo porse alla donna. Questaaccese la sigaretta senza avvicinarla allabocca e senza aspirare, come se sitrattasse di una candela, poi tesevelocemente il braccio verso l’alto.Dalla sigaretta scaturě una fontanaluminosa, uno zampillo di scintille comequelle dei fuochi artificiali…

“E proprio matta - pensň Lavinia -non ha di meglio da fare a quest’ora di

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notte? Non ha una casa dove andare adormire al caldo? Le verrŕ un accidentecon questo vestito leggero e scollato!”

Poi si fece coraggio e le chiese:“Scusi, signora, va forse a una festamascherata?”

“No, perché? - rispose lasconosciuta.

“E allora perché č vestita a quelmodo? - ribatté Lavinia.

“Ma perché sono una fata, no? -rispose la donna, come se fosse la cosapiů naturale del mondo.

Lavinia pensň: “E’ proprio matta. Lefate stanno solo nei libri”.

Come se le avesse letto nel pensiero,la donna la osservň pensierosa e poi

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disse: “Strano… Di solito le piccolefiammiferaie si trovano nei libri difiabe…”

Si guardarono a vicenda, diffidenti.Nessuna delle due aveva intenzione dilasciarsi imbrogliare.

Poi la donna disse a Lavinia “Iosono vera. Prova a darmi un pizzicotto!”E senza aspettare allungň una mano epizzicň Lavinia su un braccio. “Ahi! -strillň la bambina - ero io che dovevopizzicare te!” e le sferrň un calcio, cheper la veritŕ non le fece molto maleperché Lavinia era a piedi nudi.

“Cosě adesso siamo pari, - disse concalma la fata - ora siamo certe dellareciproca esistenza Lavinia, sei stata

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gentile e generosa. Ti voglioricompensare per avermi offerto gratis iltuo fiammifero”.

“Adesso mi regala un sacco di soldi!- pensň eccitata la bambina -

adesso mi trasporta nella reggia diun Principe che mi sposerŕ…

Adesso mi fa diventare bellissima…E cosa me ne faccio della bellezza? Ah,sě, la gente pagherŕ per vedermi e con isoldi mi comprerň un sacco di roba damangiare”.

“Voglio farti un regalo eccezionale, -continuň la fata - un anello magico.Eccolo!”

Se lo tolse da una tasca del vestitodi velo e lo infilň al dito di Lavinia. Era

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un anellino neanche d’oro, liscio, senzanessuna pietra.

“A cosa serve?” - chiese Laviniasperanzosa che all’aspetto modestocorrispondesse un potere sensazionale.

La fata si mise a ridere da sola, daquella mattacchiona che era.

“A cosa serve?” insistette Lavinia.“A trasformare le cose in cacca”.“Cosaaa?!”“A trasformare le cose in cacca. Sei

diventata sorda, per caso?”-le domandň l’altra con un sorriso

angelico.

LA MAGIA DELL’ANELLO.

Lavinia cominciň a piagnucolare.

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“Bel regalo! Non mi mancava che questoanello! Sono giŕ cosě disgraziata, senzacasa, senza mamma, assiderata, a panciavuota… e tu mi vieni a fare un regalocosě!” E cercava di sfilarsi l’anello daldito; ma quello non si staccava piů.

“E tuo per sempre - disse la fata -.Non potrai mai perderlo. Ma guarda chenon č un regalo di poco valore comepensi… Anzi! Se userai la tuaintelligenza, vedrai che col poteredell’anello riuscirai a fare grandi cose.Solo, bisogna che aguzzi l’ingegno…”.

Mentre Lavinia, a bocca aperta,continuava a rigirarsi l’anello intorno aldito, improvvisamente il cartellonepubblicitario che era lě davanti diventň

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di color marrone, poi si afflosciň su sestesso e diventň un mucchietto molle epuzzolente sul marciapiede.

“Visto? - disse la fata - hai imparatoda sola come si fa.

Comunque le istruzioni per l’usosono queste: SE VUOITRASFORMARE

QUALCOSA IN CACCA, LADOVRAI FISSARE INTENSAMENTEFACENDOTI RUOTARE L’ANELLOINTORNO AL DITO IN SENSOORARIO. SE VORRAI CHE

TORNI ALLA CONDIZIONEORIGINALE LA DOVRAI FISSAREGIRANDO L’ANELLO

IN SENSO INVERSO. Attenta a non

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sbagliare, mi raccomando”Con un fischio improvviso fermň un

altro taxi che passava in quel momento,vi balzň sopra e scomparve alla vista diLavinia Sconcertata, la piccolafiammiferaia pensň: “Ho forse sognato?”

Ma l’anello era al suo dito, e davantia lei il mucchietto di cacca fumava nelfreddo della notte.

Allora, per controllare l’esattezzadelle istruzioni, lo fissň turandosi il nasoe girň l’anello nell’altro senso. Subito ilpannello pubblicitario si drizzň al suoposto, pulito e lucente com’era prima.

“Bene, - disse Lavinia - almeno leistruzioni erano esatte. Adesso perňdevo pensare seriamente al modo

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migliore di usare questa strana magěa”.

IL SIGNOR MASSIMILIANOMARSUPIALI.

Era la notte della vigilia di Natale aMilano.

Il signor Massimiliano Marsupiali,proprietario di un elegante negozio dicalzature, non era ancora tornato a casadove la moglie Cunegonda e i duebambini lo aspettavano per il cenone.Come sua abitudine il signor Marsupialisi era attardato in negozio a contare isoldi incassati durante la giornata.

Un mucchio di soldi: perché ilnegozio si trovava su un lato dellapiazza del Duomo e nel corso della

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mattina e del pomeriggio, fino all’ora dichiusura, erano entrate migliaia dipersone a comprare scarpe, stivali,scarponcini, pantofole, come seimprovvisamente tutti i milanesi sifossero trovati scalzi e avessero avutouna gran fretta di provvedere aricoprirsi i piedi. Con la conseguenzache gli scaffali del negozio erano rimastiquasi vuoti e la cassa del signorMassimiliano Marsupiali traboccava dibiglietti da centomila lire.

I commessi erano andati a casa dopoaver messo tutto in ordine, ed ora ilsignor Massimiliano se la godeva alcalduccio nel negozio deserto,sistemando le banconote in tanti mazzetti

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e fantasticando su quello che avrebbecomprato dopo averne depositato lamaggior parte in banca.

UNA STRANA CLIENTE.

Il signor Marsupiali era lě, tuttoassorto nei suoi sogni natalizi e non siaccorse della bambina che schiacciavail naso contro il vetro della vetrina e glifaceva dei segni.

Finalmente perň il toc-toc loriscosse e gli fece alzare lo sguardo. Eimmediatamente un grande rossore dirabbia gli salě dal collo grasso allagrassa faccia. Come? Anche aquell’ora? Un’altra di quelle maledettemendicanti? Furibondo si precipitň allaporta, la spalancň e aggredě la bambina

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“Vattene subito, pezzente! Via quellemanacce sporche dalla mia vetrina!”.

La bambina tolse le mani e leallacciň dietro la schiena,nascondendole alla sua vista, ma avanzňverso la porta del negozio. Poggiavaappena i piedini nudi e lividi sullo stratodi neve che ricopriva il marciapiede.Aveva circa sette anni, i capelli arruffatiche forse erano biondi sotto la sporcizia,e una faccina angelica piena di croste dimoccio secco e di baffi neri, dove si erasfregata per asciugare le lacrime.

Il signor Massimiliano Marsupialiindietreggiň sotto il suo sguardotranquillo e si mise sulla porta come persbarrarle il passo.

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“Cosa vuoi?” - ringhiň.“Un paio di stivaletti foderati di

pelliccia. Quelli! Numero trentatré perfavore” - disse la bambina indicando unpaio di stivali celesti su uno scaffale.

“E i soldi? Ce li hai i soldi perpagarli? - chiese aggressivo il signorMarsupiali - E poi a quest’ora il negozioč chiuso. Fila!”.

“La prego! - insistette gentilmente labambina, - non ha visto che sono scalza?Ho freddo e mi prenderň unraffreddore… E poi, č la notte di Natale.Sia buono e mi dia quegli stivali…”

“Razza di impudente sfacciata! Losai quanto costano quelle scarpe?”

“No, - confessň Lavinia - e non me

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ne importa neanche. Tanto non ho i soldiper pagarle. Le vorrei in regalo”.

“Ah, sě?! In regalo? E perché maidovrei regalartele?”

“Perché sono scalza e fa freddo”, -ripeté la bambina cercando con losguardo sugli scaffali tutte le scarpe cheerano rimaste.

Poche, per la veritŕ. Sembrava che ilnegozio fosse stato saccheggiato.

“Fuori! - gridň il signorMassimiliano Marsupiali -. Vattenestracciona!” e si girň per chiudere laporta.

Ma restň di sasso vedendo sugliscaffali, al posto delle scarpe e dellepantofole, altrettanti mucchietti di cacca.

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Fuori, nella piazza, la bambina siallontanava a passettini poggiando conprecauzione i piedi nudi sulla neve.

“Torna un po’ qua, disgraziata! Cosami hai combinato?” - le gridň dallasoglia il signor Marsupiali, e il suogrido echeggiň stranamente nella piazzadeserta. La bambina si girň e gli sorrise:“Ha cambiato dea? Bene. In fondo č lanotte di Natale”. E

tornň verso il negozio.“Ma che cambiato idea! Chiamerň la

polizia. Ti farň arrestare, stracciona!Guarda cosa mi hai combinato!”

“Io? - chiese la bambina conmeraviglia, - ma se non sono neppureentrata nel negozio!”

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Il signor Massimiliano Marsupiali sigrattň la testa.

Evidentemente c’era qualcosa chenon andava.. Ma mentre era lě incerto,sentě l’odore della cacca alle sue spallefarsi piů forte e penetrante.

Si girň. Il cassetto del registratore dicassa, che aveva lasciato mezzo apertomentre contava i soldi, adesso era pienodello stesso materiale degli scaffali:cacca fumante e puzzolente. Anzi eratalmente pieno, che un bel po’ di caccastava traboccando sul pavimento.

“Il guadagno di tutta una giornata…”- sussurrň diventando pallido -. “Forseho un incubo”

pensň. Ma l’odore era sempre piů

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forte. La bambina gli sorrideva dallasoglia del negozio, attenta a non metterei piedini sporchi sulla moquetteimmacolata.

“Puoi farci qualcosa, strega?” chieseil signor Marsupiali.

Stringendo le mani dietro la schienala bambina sorrise fissando gli scaffali.“Vorrei quegli scarponcini - disse -celesti. Numero trentatré, per favore”.

Il signor Marsupiali si girň. Sugliscaffali erano ricomparse le scarpe.

“Ti sbatto fuori!” - stava peresclamare, ma lo sguardo gli cadde sullacassa. Lě c’era ancora un bel mucchio dicacca al posto del denaro.

“Dopo che avrň le scarpe” - disse la

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bambina gentilmente, leggendogli nelpensiero.

Dieci minuti dopo Lavinia, sedutasul basamento della statua di VittorioEmanuele, si allacciava gli scarponcininuovi. Attraverso la gonna lacera sentěil freddo e il bagnato della neve.

“Adesso pensiamo ai vestiti” dissefra sé, alzandosi e avviandosi verso laGalleria.

ELEUTERIO MIGLIAVACCA.

Erano le tre del mattino del giorno diNatale a Milano.

Il portiere notturno dell’albergo piůelegante della cittŕ, l’ExcelsiorExtralusso, sonnecchiava tenendo

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d’occhio svogliatamente la lucida RollsRoyce posteggiata davanti all’ingresso adisposizione dei clienti.

Nell’atrio dell’albergo c’era stato unpo’ di movimento fino a circa mezz’oraprima, quando gli ultimi nottambulierano rientrati dai cenoni della vigilia.Ora tutto era deserto e silenzioso.

Fuori, nella strada, cadeva la neve esul tetto della Rolls Royce si eraformato uno strato soffice ebianchissimo. Camminando leggera suquesto tappeto bianco, una bambinaapparve al portiere notturno.Sfregandosi gli occhi l’uomo, che sichiamava Eleuterio Migliavacca,osservň che i piedini della bambina

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quasi non lasciavano traccia sulla neve.Era una strana creatura, osservň.

Indossava un paio di bellissimi stivaletticelesti e un cappotto di pelliccia colcappuccio tirato sulla fronte anascondere quasi completamente unelegante berretto a maglia. Dall’orlodella pelliccia sbucavano un paio dipantaloni alla zuava di puro Shetlandinglese - il portiere di notte questi abitidi lusso li riconosceva al primo sguardo- e attorno al collo si attorcigliava due otre volte una sciarpa colorata all’ultimamoda.

Una bambina ricca, senza dubbio.Ma perché mai non si era lavata lafaccia prima di uscire? E i capelli? Quei

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capelli lunghi e ricciuti erano arruffati inmodo inverosimile, pieni di grumi e disudiciume, tanto che non si capiva di checolore fossero.

La bambina si avvicinň alla porta divetro dell’hotel. Poggiň una mano sullamaniglia, ed Eleuterio Migliavacca videche le mani erano ancora piů sporchedella faccia, con le unghie listate di neroe le dita rosse e screpolate dai geloni…

“E’ di quelle che perdono sempre iguanti - pensň l’uomo indulgente -. Forseha avuto un incidente stradale. Forse haperduto i genitori o la governante.Probabilmente mi chiederŕ ditelefonare”.

Non gli passň neppure per la mente

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di cacciarla trattandola da stracciona,perché gli abiti che la piccolasconosciuta indossava non erano straccie chi si puň permettere degli indumenticosě costosi, puň permettersi anche lastravaganza di lavarsi poco…

“Questi ricchi originali! - sospirň ilportiere di notte Guarda un po’ comemandano in giro i loro figli!”

Si alzň rispettoso e mosse incontroalla bambina “Vuoi telefonaredirettamente a casa? - le chiese sollecito-, o preferisci che avvisiamo la poliziafemminile?”

“Niente affatto - rispose tranquilla labambina -. Vorrei una camera. Lacamera piů bella che c’č in questo

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albergo”.

LAVINIA SI CONQUISTA UNACASA.

Il portiere allungň il collo, sotto laneve, per scrutare in fondo alla strada, adestra e a sinistra, se per caso nonstessero arrivando i genitori dellabambina. Ma la strada era deserta.

“Dove guardi? Non c’č nessuno.Sono sola” - disse Lavinia. Era lei,infatti rivestita a nuovo dopoun’avventura simile a quella vissuta perprocurarsi le scarpe.

“Non possiamo ospitare bambinisoli - disse il portiere - ma forse perquesta volta farň un’eccezione. Guarda,

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lo faccio per te e perché oggi č Natale”.“Grazie. A proposito, tanti auguri!” -

disse dolcemente Lavinia.“Tanti auguri a te. Allora, lo sai

quanto costa una camera in questoalbergo? Probabilmente sě. Ci saraistata altre volte con i tuoi…”.

Sicuramente no - rispose Lavinia -.Non ci ho mai messo piede prima d’oraE non mi importa niente di quanto costauna camera.

Tanto non ho un soldo in tasca perpagarla”.

“Non potremmo accettare assegni dauna bambina. Ma forse anche in questocaso farň un’eccezione - disse il portiere-. Vuoi essere cosě gentile da mostrarmi

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un tuo documento?”“Un… cosa?”“Una carta d’identitŕ, un

passaporto… Qualcosa dove ci siascritto il tuo nome”.

Lavinia sbottonň la pelliccia,sbottonň i pantaloni alla zuava, e sotto losguardo allibito del portiere si frugňnelle mutande, dove aveva l’abitudine diconservare un piccolo notes e unamatita.

Prima di quella notte miracolosa, lemutande erano state l’unico suoindumento senza strappi e buchi, equindi ci teneva al sicuro i suoi tesori.

Con difficoltŕ, tracciň con la matitaalcune lettere su un foglio del notes, lo

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strappň e lo tese al portiere.“E questo cosa sarebbe?” chiese

Eleuterio Migliavacca.“Non sai leggere? - rispose la

bambina - E’ qualcosa con su scritto ilmio nome”.

Infatti sul pezzetto di carta sporco espiegazzato c’era scritto: LAVINIA.

“Ma non basta tesoro mio! dissel’uomo divertito - Ci vuole undocumento ufficiale”. E intanto pensava:“Questi bambini!” Anche lui ne avevasette a casa, il maggiore dei quali era ilsuo orgoglio e la sua consolazione.

Senti un po’; - disse Laviniaspazientita - le scarpe le ho prese senzapagare. I vestiti pure me li hanno dati

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senza chiedermi nessun documento.Perché invece tu mi devi fare tantestorie?”

L’uomo cominciň a guardarla condiffidenza. Senza pagare? Si trattavaforse di una ladra? Allora la questionecambiava aspetto, e di molto…

“Dunque questi vestiti non sonotuoi…” - cominciň in tono d’accusa.

“Adesso sono miei” - risposeLavinia.

“Ma prima?”“O bella. Prima erano del

negoziante. Mica sono nata con i vestitiaddosso. E i tuoi, non li hai forse presida un negozio?”

“Sě, ma li ho pagati!”

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“Io no. Me li hanno dati e basta”.“Te li hanno regalati vorrai dire”.“Diciamo che me li hanno regalati…

in cambio di un piccolo favore”.“Senti bambina, non farmi perdere

tempo. Io non ho bisogno di nessunfavore e non ti posso dare una cameraper niente”.

“Ah, no?” - chiese Lavinia. Sollevňla testa e fissň i due grandi lampadari dicristallo che pendevano al centro delsalone. Intanto teneva le mani allacciatedietro la schiena.

Il portiere di notte seguě il suosguardo e si aggrappň al bordo delbanco pensando: “Forse ho bevutotroppo spumante a casa prima di

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prendere servizio”.Infatti gli sembrava che i lampadari

tremolassero, cambiassero colore… Inun attimo li vide diventare marroni,mollicci, ondeggiare sulla catena che lisosteneva, staccarsi come un fruttotroppo maturo e, splash! caderespiaccicandosi sul bel tappeto persiano.

Contemporaneamente uninconfondibile puzzo di cacca fresca sidiffuse in tutto il salone.

“Adesso hai bisogno anche tu di unfavore” - disse Lavinia allontanandosicon aria schizzinosa verso la colonnadegli ascensori.

“Ma… ma… - balbettava il poveroEleuterio esterrefatto cosa č successo?

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Oh, Dio! Come farň a pulire prima chesi svegli il Direttore?”

“Attento a non metterci i piedidentro” - lo ammoni Lavinia vedendoloprecipitarsi fuori dal banco per andare aprendere stracci, acqua e scope…

Lo lasciň entrare nello sgabuzzino,poi girň al contrario l’anello.

Quando Eleuterio tornň tuttoaffannato, i due lampadari pendevanoscintillanti in alto, contro il soffittopieno di stucchi.

“Visto? - disse la bambina alportiere, che si era fermato come colpitoda un fulmine -, poco fa anche tu avevibisogno di un favore, ed io te l’ho fatto.Adesso mi dai la chiave della piů bella

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camera che c’č in questo albergo?”“Guarda la chiave io te la do. Ma

domani dovrai fare i conti col Direttore,e credo che lui non te la lascerŕ passaretanto liscia…”.

VITA NUOVA PER LAVINIA.

Quella notte Lavinia dormi in unletto morbidissimo e caldo, con lelenzuola pulitissime. Era talmentestanca, che non le passň neppure per lamente l’idea di farsi un bagno prima dicoricarsi (non dimentichiamo che eranole tre di notte) e quindi sporcň ben benesia la federa del cuscino che le lenzuola,soprattutto dalla parte dei piedi.

L’indomani si alzň abbastanza presto

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per godersi la sua stanza.C’erano la televisione a colori, il

telefono e persino uno sportello chedistribuiva le bibite. Una porta dava nelbagno, tutto luccicante di marmi e dirubinetti dorati. Un’altra porta si aprivasu un salottino privato, con i mobiliantichi e i fiori freschi nei vasi sullamensola del caminetto e sul tavolinodella prima colazione.

Lavinia entrň nel bagno. Si fece losciampo e una bella doccia e penso:“Oggi č festa. Domani anche. Ma appenai negozi riaprono, dovrň rifornirmi dibiancheria”.

Infatti le vecchie mutande, anche seprive di strappi, e la canottiera tutta

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sbrindellata stonavano con gli abitieleganti che si era procurata la seraprima. Di calze poi non ne aveva, néintere né rotte… D’altra parte, si č maivista una piccola fiammiferaia con lecalze? Per fortuna aveva scelto deglistivaletti alti e la assenza di calze non sinotava.

Vestitasi, ebbe un attimo diincertezza. Non sapeva se suonare ilcampanello per ordinare la colazione incamera o se scendere a farla alristorante dell’albergo.

Decise di scendere, perché era unabambina socievole e voleva fareamicizia con gli altri ospiti.

Scelse un tavolino in mezzo alla sala

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per potersi guardare attornocomodamente e ordinň una colazioneabbondantissima: cioccolata calda conpanna, pane fresco, burro, cinque tipi dimarmellata, focaccine al miele appenacotte, uova al prosciutto, spremuta dipompelmo, noccioline, patatine fritte,biscotti, fiocchi d’avena col latte freddo,riso soffiato e formaggio.

Forse a voi sembrerŕ troppo per unaprima colazione. Ma ricordatevi cheLavinia era completamente digiuna datre giorni, ed erano anni che nonmangiava a sazietŕ. La notte prima, tuttaeccitata per i risultati della magěadell’anello, si era solo occupata dirivestirsi da capo a piedi e per

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l’emozione le era passata la fame.Col sonno perň la fame era ritornata

piů forte di prima ed č logico che lapiccola fiammiferaia non potesseresistere alla tentazione di riempirsi ilpiatto davanti a quei carrelli ricolmi diogni ben di Dio.

Fra l’altro la poverina non avevaricevuto una educazione raffinata, quindisi buttň sul cibo con aviditŕ,ingozzandosi per la fretta esbrodolandosi tutto il vestito nuovo.

A quel punto entrň nella sala ilDirettore dell’albergo, vestito di nerocome un pinguino.

Il portiere di giorno gli avevariferito una strana storia raccontatagli

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dal portiere di notte che smontava. Ma ilracconto era stato piuttosto confuso. IlDirettore era riuscito a capire soltantoche una bambina sconosciuta si erainstallata nel piů bell’appartamentodell’albergo, e che non era in grado dipagare il conto.

Si fece indicare Lavinia, le siavvicinň con aria decisa e le dissebruscamente: “E’ vero che non hai unsoldo?”

“Verissimo. Buon Natale, signore” -rispose educatamente Lavinia colcoltello a mezz’aria.

“Allora te ne devi andare!” ringhiň ilDirettore ignorando gli auguri.

“Davvero?” - chiese Lavinia, che

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ormai aveva imparato la lezione.“Chiamerň la polizia, - disse il

Direttore - e ti farň arrestare.Mi devi pagare una notte e la

colazione. E se non puoi pagare andraiin prigione. Fuori i soldi!”

“Ma se le ho detto che non ne ho!” -ribatté la bambina.

“Allora smetti subito di mangiare!Lo sai quanto costa la roba che haiordinato? Che faccia tosta. Sputa quelformaggio! Non č tuo.

Non te lo puoi permettere!”Lavinia sputň per terra facendo un

gran rumore, e poi si mise a piangerefragorosamente, non tanto perché fossedisperata ma perché si divertiva a

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mettere il Direttore in imbarazzo.

UNA COLAZIONEMOVIMENTATA.

Al pianto di Lavinia, da tutti gli altritavoli la gente si girň a guardareincuriosita, infastidita, scandalizzata Eratutta gente abituata ad ambientisilenziosi e raffinati e che nonsopportava simili scene.

Furibondo il Direttore afferrň labambina per il colletto e la sollevň dallasedia. Ma Lavinia si afferrň allatovaglia, rovesciando addosso alDirettore le uova fritte, mentre tutti glialtri piatti finivano per terra.

“Guarda cosa hai combinato!” -

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sibilň furibondo il Direttore.“Oh, se č per questo!” - disse

Lavinia unendo le mani e fissando ildisastro che aveva combinato.Immediatamente sulla moquette grigiochiaro, al posto dei piatti rotti e dei cibirovesciati, apparve una macchiapesticciata di cacca, come se qualcunoci avesse camminato sopra spargendolatutto intorno.

“Cosaa?!” - esclamň il Direttoreimpietrito.

“E’ inaudito!” - esclamarono isignori eleganti dei tavoli viciniportandosi il tovagliolo al viso pertuffarvi il naso.

Lavinia perň non era soddisfatta.

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Vide un cameriere che passava reggendoalto sulla testa un vassoio di cibo. Lofissň girando l’anello e il vassoio fupieno di cacca, senza che il cameriere sene accorgesse. Cosě lo depositň congesto elegante sul tavolo dove sedevauna ricchissima signora col suocorteggiatore.

Sul piatto la cacca fumava e puzzavache era una bellezza. La signora dette unurlo e svenne, e il suo amico feceappena in tempo a reggerla perché nonfinisse con la testa nel vassoio.

Dagli altri tavoli la gente guardavaesterrefatta. Ma ormai Lavinia usava losguardo come una frusta, toccando untavolo dopo l’altro, e su ogni piatto al

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posto delle vivande apparivanomucchietti di cacca di tutte le qualitŕ.

Gli ospiti si alzarono inferocitispingendo indietro le sedie.

“Basta! - gridavano - E’un’indecenza! Chiameremo la polizia! Videnunceremo all’Istituto d’Igiene! Nonmetteremo piů piede in questo luridoristorante!”.

Il Direttore piangeva dalladisperazione. Lavinia faceval’indifferente, asciugandosi il moccio ele lacrime con un angolo della tovaglia

“Sono rovinato” - gemette ilDirettore, accasciandosi sulla sediadavanti a lei.

“Posso restare nel mio

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appartamento? - chiese Lavinia - Se milascia restare, farň tornare tutto comeprima. Guardi!”.

E con uno sguardo circolare, unrapido giro di anello, in un balenorimise a posto piatti e tovaglie, vassoi emoquette…

persino il puzzo sparě in un attimo.La gente era rimasta allibita come tantestatue di sale.

Ma il Direttore afferrň Lavinia perun braccio: “Altro che restare! Ti sbattofuori immediatamente, brutta stregasporcacciona. E licenzio subito quelcretino di Migliavacca che ti hapermesso di entrare”.

La aveva afferrata per il collo e la

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trascinava nell’atrio. Ma Lavinia riuscěa liberarsi le mani, girň l’anelloguardando in alto ed uno degli enormilampadari, trasformato in una montagnadi cacca, piombň addosso al Direttore,sommergendolo completamente.

“E questa non la faccio tornare comeprima - disse Lavinia che si era scansataall’ultimo secondo -. Questa te la devilevare di dosso da solo. E ti resterŕ ilpuzzo per un bel po’. Ascoltami bene,perché altrimenti ti riduco in cacca tuttol’albergo.

Migliavacca resta al suo posto ed iome ne vado nel mio appartamento. E chenessuno mi disturbi, capito?”.

Fu cosě che per Lavinia cominciň

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una vita nuova.Aveva un posto confortevole dove

andare a dormire, era vestita a nuovo,poteva mangiare a volontŕ… Mille voltein cuor suo ringraziň la fata dell’anellomagico e fu attenta a usare il suo donocon discrezione.

Ora che non aveva piů né fame néfreddo e non doveva chiederel’elemosina né cercare di venderefiammiferi che nessuno voleva, imparň anon giudicare le cose dall’apparenza.

Chi l’avrebbe mai detto infatti cheun materiale disprezzato da tutti come lacacca, potesse rivelarsi cosě prezioso?

LAVINIA TROVA UN AMICO.

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Naturalmente, se avete appena un po’di sale in zucca, avrete capito benissimoche la storia di Lavinia non puň finirecosě.

Infatti il regalo che la fata le avevadato in quella gelida notte di Natale lepermetteva finalmente di soddisfare isuoi bisogni piů urgenti, come vestirsi,mangiare e dormire al caldo. Perňpoteva anche accontentare capricciirragionevoli, e questa possibilitŕ hasempre avuto conseguenze movimentate,almeno nelle storie dei libri.

Lavinia viveva felice al Grand HotelExcelsior Extralusso riverita da tutti,coccolata da Eleuterio Migliavacca chele era riconoscente per come lei lo

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aveva difeso col Direttore, evitandoglidi essere licenziato. Adesso anche ilDirettore era diventato gentilissimo.Valla a capire, la gente!.

Lavinia cercava di non perdere ilsuo tempo. Tutte le mattine ordinava laRolls Royce e se ne andava al GiardinoZoologico a chiacchierare con glianimali. Imparava da loro una quantitŕ dicose interessantissime riguardo ai loropaesi d’origine, ma soprattutto imparavache tutte le bestie, chiuse nelle lorogabbie a farsi guardare e stuzzicare daivisitatori dello zoo, erano molto infelici.

Avevano tutte le cose che di solitomancano alle piccole fiammiferaie: unacasa dove stare al calduccio e da

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mangiare tutti i giorni. Ma a loro nonimportava niente. Avrebbero preferitomille e mille volte avere fame e freddo,ma essere libere.

E siccome Lavinia era convinta cheognuno deve avere ciň che preferisce,qualunque sia l’opinione degli altri,decise di servirsi della sua magěa perliberare i suoi amici animali.

Ma l’operazione non si presentavafacile. Il piano andava studiato conattenzione e magari discusso conqualcuno piů esperto di lei.

In questo, come in molti altri casi, diuna cosa soprattutto Lavinia sentiva lamancanza di un amico. E un amico,l’anello magico non glielo poteva

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procurare.Una persona trasformata in cacca o

minacciata di veder cambiare in caccale cose cui tiene di piů, forse vi ubbidirŕe vi temerŕ, ma certo non vi vorrŕ bene.Di questo Lavinia se ne rendeva contoperfettamente.

ln febbraio perň venne a lavorareall’albergo, in qualitŕ di addettoall’ascensore, il figlio primogenito diEleuterio Migliavacca. Si chiamavaClodoveo ed era un ragazzo buffo,magrissimo, con i denti sporgenti e leorecchie a sventola. Era cosěintelligente, ma cosě intelligente, cheaveva finito le scuole elementari a setteanni e le medie a undici. Ma, terminata

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la scuola dell’obbligo, era dovutoandare a lavorare per aiutare lafamiglia.

“Tutti mi dicevano: Bravo! Chefortuna essere cosě intelligente!

Bella fortuna, guarda tu! Mentre glialtri ragazzi della mia etŕ vanno a scuolae passano il resto del tempo a giocare,io per il fatto di essere cosě intelligentedevo far andare su e giů un ascensoreper otto ore al giorno, e nessunpoliziotto puň venire a protestare conmio padre o con il Direttore, perché hogiŕ compiuto l’obbligo scolastico”.

Lavinia non capiva bene quelleparole difficili come “obbligoscolastico”, perň capiva la nostalgia del

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ragazzo per la scuola.Lei non c’era mai andata e le

sarebbe piaciuto moltissimo. Ma quandomai si č sentito di una piccolafiammiferaia che va a scuola?

Quelle poche lettere che sapevascrivere - il suo nome per esempio - leaveva imparate faticosamente daicartelloni pubblicitari o guardando latelevisione nelle vetrine dei negozi dielettrodomestici. Perň le dispiacevamoltissimo essere cosě ignorante.

Quindi colse al volo l’occasione chele si offriva con l’arrivo di Clodoveo.Cominciň a passare gran parte del suotempo in ascensore, anche lei su e giůdal pianterreno al decimo piano.

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Se non c’erano altri ospiti,Clodoveo le insegnava delle cosedivertentissime come le tabelline,l’analisi logica, gli affluenti del Po e lepoesie di Giovanni Pascoli.

Cosě, salendo e scendendo, ancheLavinia imparava tante cose.

SPEDIZIONE ALLO ZOOCITTADINO.

“Allora, - chiese Lavinia aClodoveo - quand’č che andiamo aliberare gli animali del GiardinoZoologico?”

“Appena ho un pomeriggio liberodal lavoro” - rispose il ragazzo.

“E quand’č che hai un pomeriggio

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libero?”“Lasciami guardare l’agenda.

Uhmmm… Esattamente giovedě”.Giovedě pomeriggio Lavinia e

Clodoveo si incamminarono insiemeverso lo Zoo, che non era molto lontanodal Grand Hotel Excelsior Extralusso.Strada facendo discutevano sul modomigliore di portare a termine la loroimpresa.

“Io trasformerei in cacca le sbarredelle gabbie, ed anche i guardiani” disseLavinia sbrigativa.

“Brava! Cosě gli animali, anche ipiů feroci, se ne andranno in giro per lacittŕ combinando chissŕ quanti disastri. Icarnivori si mangeranno la gente…

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“Me no. Me, non mi mangeranno,perché io sono loro amica”.

“Non č un buon motivo perchédivorino gli altri. E in una cittŕ come lanostra poi gli erbivori moriranno difame. Ti pare giusto?”

“Tu allora cosa proponi?“Io avrei un piano. Bisogna noi due

ci nascondiamo nello Zoo e aspettiamola notte. Dopo chiameremo gli animalifuori dalle tane e tu li trasformerai incacca”.

“Ma io voglio liberarli!” - protestňLavinia.

“Aspetta. Noi due ci nasconderemotra i cespugli e aspetteremo il mattino.Quando arriveranno i guardiani,

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crederanno che le bestie stiano ancoradormendo dentro alle loro tane, e con leloro pale dal manico lunghissimo chepassano dentro le sbarre, puliranno legabbie e raccoglieranno la cacca comefanno sempre per mandarla a una ditta diconcimi naturali. Mi sono informato e soche la mettono in un furgone a chiusuraermetica che parte verso mezzogiorno.

Prima di quell’ora noi ruberemo ilfurgone e lo faremo imbarcare su unanave diretta in Africa. Ma prima tu avraitrasformato di nuovo la cacca in animali,cosě quando arriveranno, se ne potrannoandare liberi verso la foresta senza faredel male a nessuno”.

“Ma come farň a trasformarli di

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nuovo, se saranno rinchiusi nel furgone?- si lamentň Lavinia -. Sai bene che devoguardarli, mentre giro l’anello,altrimenti la magěa non funziona”.

“Ho pensato anche a questo. Guarda,ho portato con me un trapano.

Ci servirŕ a fare dei buchi nelfurgone perché gli animali possanorespirare durante il viaggio. Uno diquesti buchi lo farň un po’

piů grande, cosě tu potrai guardaredentro e fare la contromagěa”.

“Cosě va bene - disse Lavinia -. Haipensato proprio a tutto. Come seiintelligente!”.

Alle nove del mattino gli animali siimbarcarono per l’Africa, e i due amici

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soddisfatti si avviarono verso il GrandHotel Excelsior Extralusso doveClodoveo doveva riprendere il suo turnoall’ascensore.

LAVINIA SI COPRE DI GLORIA.

Mentre Lavinia e Clodoveoattraversavano piazza Cavour, sentironoun gran frastuono. Urla disperate, lasirena dei pompieri, il fischiettoassordante dei vigili urbani, e un altrorumore piů forte, sibilante, un rombo chediventava sempre piů minaccioso.

Guardarono da quella parte e videroche un grande incendio stava divorandorapidamente una casa di cinque piani.Dalle finestre si innalzavano fiamme

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altissime e dense colonne di fumo nero.“Che bello!” - disse Lavinia

fermandosi a guardare incantata quellospettacolo insolito. (Alle piccolefiammiferaie e sempre piaciuto moltoscherzare col fuoco anche se č un giocopericoloso).

“Sei proprio una scema!” - la sgridňClodoveo, prendendola per un braccio etirandola verso il gruppo di persone checercavano invano di spegnerel’incendio. C’erano i pompieri con iloro camion rossi, le scale, gli idranti e iteloni. C’erano le ambulanze; c’era lapolizia che teneva lontano i curiosi. Ma,nonostante i getti d’acqua potentissimiche uscivano dagli idranti, le fiamme

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continuavano a salire sempre piů alte,divorando le imposte delle finestre efacendo crollare i muri e i soffitti degliappartamenti.

“C’č qualcuno li dentro?” - chiesepreoccupato Clodoveo.

“No. Fortunatamente gli inquilini sisono messi tutti in salvo”-

rispose un vigile urbano. Ma, comeper dargli torto, da una finestra al pianoterreno si sentě il pianto improvviso diun bambino piccolo.

Una ragazza che stava tra la follacircondata da un gruppo di bimbetti,gettň un grido e svenne tra le braccia diun pompiere.

Era la maestra di un asilo nido che si

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trovava appunto al pianterreno dellacasa in fiamme. Quando era stato datol’allarme, la ragazza aveva radunato tuttii bambini che si trovavano nella salagiochi e li aveva fatti uscire dallafinestra, passandoli uno ad uno nellemani dei pompieri. I bambini si eranodivertiti moltissimo, e non ne avevanovoluto sapere di andarsene a casa, maerano voluti restare a godersi lospettacolo sino alla fine.

La maestra li aveva contati, e le erasembrato che ci fossero tutti.

Si era completamente dimenticatadel piů piccolo, che era stato messo afare un sonnellino nella culla. Era unbambino di un anno che si chiamava

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Ambrogio Testadiroccia e frequentaval’asilo solo da pochi giorni. La maestranon si era ancora abituata acomprenderlo nel numero dei suoipiccoli allievi e, non vedendolo insiemeagli altri, nel momento della fuga si eracompletamente dimenticata di lui.

Adesso il piccolo Ambrogio,svegliato dal rumore e dal caldo,gridava come un’aquila attaccato allesbarre del lettino.

Sua madre, che faceva la cassieranella pasticceria di fronte, era arrivatadi corsa e adesso gridava: “Fatequalcosa, per caritŕ!

Qualcuno vada a salvare il miobambino!”

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Ma le fiamme erano ormai cosě alteche nessuno poteva piů entrare nellacasa. I pompieri non poterono far altroche dirigere il getto dei loro idrantidentro la finestra e inondare la stanza,facendo una bella doccia al piccoloAmbrogio, che tutto inzuppato espaventato continuň a gridare ancora piůforte. Le fiamme invece si limitarono aoscillare leggermente e tornarono subitopiů alte di prima a circondare il lettino,in un cerchio sempre piů stretto.

Lavinia osservava la scena a boccaaperta, affascinata e paralizzata dallapaura, quando sentě un urto in mezzoalla schiena. Era Clodoveo che laspingeva oltre lo sbarramento della

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polizia, proprio sotto la finestra. “Faqualcosa, presto! - le ordinň,sollevandola in braccio perché potesseguardare dentro la stanza -. Spegni ilfuoco!”

“E come faccio, se non ci riescononeppure i pompieri?” piagnucolňLavinia.

“Usa l’anello, stupida!”Cosě Lavinia fissň le fiamme che

ormai sfioravano la culla, fece girarel’anello attorno al dito, e sotto gli occhiesterrefatti della folla le fiammesparirono e il piccolo Ambrogio si trovňcircondato da un mare di cacca.

Visto che c’era, Lavinia detteun’occhiata anche alle finestre dei piani

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alti e immediatamente le fiamme siafflosciarono sui davanzali, cambiandocolore e consistenza. All’interno, dovelo sguardo di Lavinia non potevaarrivare, il fuoco crepitava ancora, ma ilpericolo maggiore ormai era statoscongiurato.

Il piccolo Ambrogio perň non avevaancora capito di essere in salvo econtinuava a strillare.

La sua mamma, due pompieri, unvigile urbano, un infermieredell’ambulanza, si erano precipitaticontemporaneamente verso la finestra.C’era anche la maestra, che qualcunoaveva fatto rinvenire con due ceffoni.

Ma, arrivati al davanzale, tutti quanti

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si erano fermati di colpo e avevanocominciato a fare i complimentosi,cercando ognuno di far passare avantigli altri.

“Prego, signora, vada lei! - dissegentilmente il vigile urbano alla mammadi Ambrogio -. Non vogliamo toglierlela gioia di stringere per prima al cuore ilsuo piccino!”

“Per caritŕ - rispose la signoraTestadiroccia -. Non vorrei offendere ipompieri… Tocca a loro portare insalvo la gente in pericolo, no?”

“Ma adesso il pericolo č cessato -dissero i pompieri -. Forse il bambinosta male. E’ meglio che sia un infermierea occuparsi di lui…”

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“Dannazione! - gridň il capo del lapolizia - decidetevi! Che qualcuno entrie lo faccia smettere. Questo marmocchioci sta rompendo i timpani”.

“Vada lei, allora!” - disse lamaestra.

“Guaaah! Ghuaaaaa!” - gridava ilpiccolo Ambrogio disperato.

Seccata, Lavinia strappň di mano aun pompiere l’idrante e lo diresse versoil bambino. “Che schifiltosi!” - pensavaintanto fra sé e sé. Il getto d’acquaraggiunse in pieno il lettino e il piccoloAmbrogio fu inondato e inzuppato per laseconda volta.

“Aaahhh! aaaaah!” - gridavaAmbrogio bagnato fradicio tendendo le

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manine verso i suoi salvatori.Ma l’acqua lavň via tutta la cacca e i

salvatori poterono entrare e metterlo insalvo. Con lo stesso metodo Laviniaripulě tutta la facciata della casa, e ipompieri salirono con le loro scale aspegnere gli ultimi fuocherelli che eranorimasti all’interno.

E’ inutile dire che Lavinia fu salutatacome un’eroina e ricevette dal sindacouna medaglia d’oro al valor civile.

La mamma del piccolo Ambrogio legiurň eterna riconoscenza e la invitň adandare nella sua pasticceria tutte le volteche avesse voluto, tanto lei nonl’avrebbe mai fatta pagare, neppure se sifosse mangiata tutto il negozio.

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LAVINIA COMMETTE UN

ERRORE.

Purtroppo l’avventura dell’incendionon migliorň il carattere di Lavinia.Anzi, la bambina cominciň a inorgoglirsicome se il merito di quello che eracapitato fosse tutto suo, e nondell’anello o della fata che glielo avevaregalato.

Invano Clodoveo nelle sue lezioni inascensore, cercava di farla ragionare ele raccomandava la modestia.

A poco a poco Lavinia cominciň atrovarlo noioso. Non si interessava piůalle tabelline, ai verbi irregolarifrancesi, al solfeggio e alla

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circonferenza del cerchio. Persinol’insiemistica la lasciava del tuttoindifferente.

Quando Clodoveo cercava distupirla con la sua cultura, Laviniadiceva subito: “Uffa! Cosa ti credi diessere, in fondo? Vuoi metterti con meche ho salvato dal fuoco un bambino euna casa di cinque piani?”.

E dai, e dai, la bella amicizia tra idue si andň raffreddando.

Fra l’altro Lavinia, chissŕ per qualemotivo, si era messa in testa di esserebellissima. Forse perché tutti laguardavano con interesse quandopassava.

Evidentemente ciň succedeva perché

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la gente sapeva della sua magěa e laconsiderava un essere straordinario. Labellezza c’entrava poco, anche perché,nonostante i bei vestiti, i capelli lavati etutto il resto, Lavinia era esattamente lapiccola fiammiferaia di un tempo.

Ma la vanitŕ, una volta che metteradici nella mente di una persona, čdifficile da controllare, e questo vizioprocurň a Lavinia una disavventura chepoteva costarle cara.

Una mattina Lavinia si preparava aduscire per la solita lezione diequitazione. La Rolls Royce la aspettavacon il motore giŕ acceso davanti allaporta del Grand Hotel.

Lavinia si fermň davanti al suo

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specchio per sistemarsi il berretto dafantino. Era uno di quei ridicolissimiberretti neri con la visiera che danno achiunque l’aria di un papero in lutto.

Figuriamoci se poteva imbellire unabambina che era solo cosě cosě!

Ma Lavinia, accecata dalla vanitŕ, sifermň a lungo davanti allo specchio,sistemandosi i riccioli dietro alleorecchie, grattandosi il naso, leccandosile labbra per farle diventare piů lucide efacendo tutte le smorfie e le scemenzeche fanno talvolta le donne quando sipreparano ad uscire. E mentre siguardava, pensava “Come sono bella!Sono davvero la bambina piů bella ditutta Milano!”

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Nel cervello a questo punto lerisuonň una voce che poi somigliava allavoce di Clodoveo, e che diceva: “Nonmontarti la testa. Sei una bambinanormalissima. Ce ne sono almeno mille,solo a Milano, piů belle di te!”

“Cosě dunque pensa di me quelcretino di Clodoveo! - si disse Laviniache aveva riconosciuto benissimo quellavocina -. Ma io lo so che č tutta invidia.E se avrŕ il coraggio di dirmeloguardandomi in faccia, lo ridurrň incacca… Cosě!” e prontamente girňl’anello intorno al dito.

Non dimenticate checontemporaneamente si stava guardandoallo specchio. Cosě che la magěa

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dell’anello si rivolse contro di lei.In men che non si dica la povera

Lavinia si sentě le gambe molli, tutto ilcorpo molle, e… splashhh!… siafflosciň sul pavimento ridotta a un belmucchio verdino di cacca fresca.

Tutta, era diventata cacca: la testa, lapancia, i piedi, le unghie, i capelli, ivestiti, le scarpe. Persino quelridicolissimo berretto da fantino con lavisiera! Tutto, tranne l’anello, che nonpoteva farsi la magěa da solo, marestava sempre se stesso.

UNA SITUAZIONE DISPERATA.

Chi fosse entrato nella stanza nonavrebbe piů trovato alcuna traccia di

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Lavinia, tranne un frustino gettato su unapoltrona. E

in questo caso avrebbe pensatosemplicemente che Lavinia era una grandistratta e che se lo era dimenticato almomento di uscire.

Perň, malgrado la trasformazione,Lavinia era ancora in grado di pensare.E pensava furiosamente, cercando unmezzo per uscire da quella sgradevolesituazione. Pensava tanto, che le fumavail cervello. Ma poiché anche il cervelloera diventato cacca, sembrava che fossequella ad esalare vapori, e che quindinon si trattasse di semplice cacca, ma dicacca fresca.

Lavinia sapeva che sarebbe bastato

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girare l’anello in senso contrarioguardandosi allo specchio per tornarecome prima. Ma non era una cosa cosěsemplice!

Prima di tutto, poiché l’anellogalleggiava in mezzo a un materialemolle e sfuggente: impossibile quindifarlo girare nel senso voluto.

E se anche ci fosse riuscita, erasuccesso che, afflosciandosi, la massa siera sparsa sul pavimento, quindi non erapiů in grado di guardarsi nello specchiodel cassettone che si trovava un bel po’

piů in alto.Lavinia era furibonda. Infatti

riducendosi in cacca, non aveva perdutole altre facoltŕ umane. Poteva guardare,

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sentire, pensare, persino odorare. Equesta era la cosa piů tremenda, perchéil puzzo che emanava da tutto il suonuovo corpo era davvero fortissimo, enon se ne poteva liberare in alcun modo.Era un puzzo cosě forte, che le sembravadi svenire. Ma puň svenire la cacca?

Quello che sicuramente non potevafare era muoversi, perché non aveva piůmuscoli da comandare e con tutti i suoisforzi di volontŕ, riusciva soltanto aprocurare alla massa del suo corpo unleggero tremolěo, del tutto insufficientea far girare l’anello.

Dalla disperazione si mise apiangere. Ma dovette smettereimmediatamente perché le lacrime non

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facevano altro che sciogliere ancor dipiů la poltiglia sul pavimento facendolascorrere in rivoletti sotto al cassettone.

Mentre cercava di controllarsi e ditrovare qualche nuova soluzione, laporta della camera si aprě ed entrňClodoveo tutto arrabbiato.

“Lavinia! - chiamava - č maipossibile che tu sia sempre in ritardo!Stai diventando davvero maleducata daun po’ di tempo a questa parte. Quelpovero autista č lě che aspetta colmotore acceso da mezz’ora…”

Ma si fermň di botto sulla soglia. “Obella! La stanza č deserta!

Lavinia deve essere uscitapassandomi davanti senza che me ne

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accorgessi. Oppure ha attraversatol’atrio mentre io portavo l’ascensoreall’ultimo piano… Ma allora, perchénon ha preso la macchina? Deve averdeciso di andare a piedi e si čdimenticata di avvertire l’autista.. Lasolita maleducata che se ne infischiadegli altri… Boh! Scenderň a direall’autista che riporti la Rolls Royce ingarage…”.

Intanto Lavinia da terra cercavadisperatamente di farsi notare in qualchemodo per chiedergli aiuto.

Ma il cassettone era messo in modotale da non poter essere visto dallaporta, e quindi Clodoveo non potevaaccorgersi di lei.

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“Ora se ne andrŕ… - pensavaLavinia disperata - ed io resterň qui finoalla fine dei secoli. Mi seccherň, morirňforse… Che bella fine, ridotta a unacacca secca senza che nessuno sappiache dentro ci sono io… Dentro? Nondentro. Che la cacca SONO IO, poverame!”.

E nonostante sapesse che la cosa erapericolosa si rimise a piangere a dirotto.

Clodoveo, da parte sua, non sidecideva a andarsene perché glisembrava che nella stanza ci fossequalcosa di strano… Un odore,un’atmosfera che non avrebbe saputodefinire, ma che non lo convinceva.

Cosě a un certo punto vide un

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rivoletto giallo-verdino sbucare dietrouna poltrona di pelle ed avanzare versola porta. Fece un salto all’indietro.

Clodoveo era un ragazzo pulitissimoe tutti i giorni si lucidava da solo lescarpe di vernice fino a farle brillarecome due specchi. Figuratevi se se levoleva sporcare di cacca!

Quella Lavinia - esclamň indignato-. Ecco perché č uscita senza farsivedere. Ne ha combinata un’altra dellesue. Chissŕ cos’č che ha trasformatooggi… Ma, visto che c’era poteva anchefare l’antimagěa e ripulire la stanza,invece di lasciare questo lavoroschifoso alle cameriere… Ma giŕ! L’hosempre detto, da quando si č montata la

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testa non ha piů rispetto per nessuno.Chissŕ cosa ha trasformato in caccaquesta volta”.

Invano Lavinia cercava dicomunicargli, dal pavimento su cuiscorreva sciogliendosi in lacrime didisperazione: “Sono io!

Questa volta ho trasformato in caccame stessa! Aiutami, Clodoveo, e tiprometto che diventerň umile, chetornerň modesta come quando ero solouna piccola fiammiferaia”.

Ma Clodoveo, naturalmente, nonpoteva sentire quel linguaggio muto eguardava pieno di disgusto quella cheera stata la sua amica Lavinia, senzariconoscerla.

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A un certo punto, trascinato dalrivoletto di lacrime, arrivň sotto i suoiocchi anche l’anello.

“Adesso lo raccoglierŕ… - pensňLavinia sollevata - lo farŕ girare perguardarlo e magari la magěa funzionerŕ emi farŕ tornare come prima!”

Ma Clodoveo non riconobbel’anello, e poi era un tipo schizzinoso.

“Guarda lŕ quel pezzo di metallomezzo coperto di cacca! - disse.

Che schifo! Preferirei morire,piuttosto che sporcarmi le dita araccoglierlo!”.

TUTTO E’ BENE QUEL CHEFINISCE BENE.

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La situazione era arrivata a un puntomorto. Da un lato c’era Clodoveo cherestava sulla soglia incerto seandarsene, infischiandosi del disastroche aveva combinato l’amica, oppure seripulire in qualche modo la camera pernon far arrabbiare le cameriere.

Dall’altro c’era Lavinia che siscioglieva sempre di piů sul pavimento,si allontanava sempre di piů dallospecchio e non riusciva a farsiriconoscere da Clodoveo.

Fortunatamente, grazie alla magěaoriginaria, l’anello non si potevastaccare da lei, altrimenti, trasportatodalle lacrime, si sarebbe allontanatodalla cacca, e allora per la povera

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Lavinia non ci sarebbe stato piů nienteda fare.

Finalmente Clodoveo prese unadecisione. Il suo animo gentile vinsesulla schizzinositŕ. “Non permetterň chele cameriere debbano svolgere unlavoro cosě sgradevole - esclamň -.Pulirň io!”. E corse fuori in cerca degliattrezzi adatti.

A questo punto Lavinia raddoppiň lelacrime. Capiva che ormai era perduta.Sarebbe stata lavata e dispersa con unapompa d’acqua o comunque raccolta egettata in un gabinetto, dove avrebbeperduto l’anello, sarebbe annegata,chissŕ cosa le sarebbe successo…

Quando Clodoveo tornň nella stanza

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trovň che la massa di cacca, a causadelle lacrime, si era sciolta ancora dipiů. “Strano…-

pensň -. Meno male che ho portatoun sacco di segatura bello grosso…”.

Bisogna sapere che, oltre adoccuparsi dell’ascensore, Clodoveodoveva anche portare a spasso i duecani del Direttore del Grand Hotel.Perciň, da persona civile qual era,possedeva una bella paletta e dei sacchidi segatura speciale con cui ogni voltaasciugava e raccoglieva le cacche deicani. Ora intendeva usare lo stessometodo per ripulire la stanza.

Rovesciň dunque su Lavinia l’interosacco di segatura, aspettň che la cacca

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fosse ben assorbita, poi prese la palettae cominciň a passare il tutto in un grossosacco di plastica…

Cosě facendo, con la paletta mossel’anello, facendolo girare nel sensocontrario alla magěa.

“Uno specchio! Uno specchio!” -pensň con ansia Lavinia, ben sapendoche, se non si guardava, non poteva farscattare la magěa, e non volendo perderequella occasione preziosa. Ma la caccaera in terra e lo specchio era in alto,ricordate? Povera Lavinia, essere a unpasso dalla salvezza e non poterneapprofittare per la mancanza di unospecchio! Era davvero una durapunizione per la sua vanitŕ.

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Ma avete forse dimenticato le scarpedi vernice di Clodoveo?

Quelle scarpe che tutte le mattinevenivano lucidate fino a brillare comeuno specchio? Fu lě che cadde losguardo disperato di Lavinia, la qualevide riflettersi sulla vernice nera lapaletta che raccoglieva la cacca.

Allora fissň intensamentel’immagine riflessa nella scarpa,aspettando che l’anello girasse ancora…e l’anello girň!

Quale non fu lo spavento diClodoveo quando Lavinia gli sbucň tra ipiedi scrollandosi di dosso la segatura!

“Ehi, tu! Da dove spunti?” chiesestrabiliato.

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“Dalla cacca! - rispose Laviniatrionfante - ero io la cacca, questa volta!Meno male che hai usato la segatura enon l’acqua, per pulire, e che hai fattogirare l’anello!”.

Tutto č bene quel che finisce bene. Idue ragazzi dettero aria alla stanza perfare uscire gli ultimi residui di odore.Sebbene la magěa avesse fatto sparireogni traccia della cacca, entrambi sifecero una bella doccia fregandosi colsapone e con la spazzola.

Poi dissero all’autista che volevanoandare al cinema e passarono unabellissima serata insieme.

Ora Lavinia non si dava piů tantearie. Essere stata lei stessa cacca anche

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se solo per un’ora, l’aveva riempita disaggezza.

Capiva di non valere molto di piůdelle altre persone, e capiva anche chel’amicizia tante volte serve piů di unanello magico.

Non abbiamo piů notizia di suenuove avventure. Sappiamo che,nonostante i consigli di Clodoveo, non sič disfatta dell’anello, anche perché le čimpossibile staccarselo dal dito. Quindič ancora in possesso della suastrabiliante magěa. Ma evidentemente hadeciso, per ora, di non usarla piů, e dicomportarsi come una bambinaqualsiasi.

Se per caso verremo a sapere che ha

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ricominciato a servirsi dell’anellomagico, vi promettiamo di venirvelo araccontare.

LA BAMBOLA VIVA.

Il giorno in cui Chiara e CarlottaRodini compirono sette anni, la loromamma tornň dall’ospedale con unfratellino appena nato.

Sulle prime le gemelle pensaronoche si trattasse di un regalo per il lorocompleanno e si gettarono sul bebčurlando di gioia.

Andavano matte per i bambinipiccoli e non vedevano l’ora diprenderlo in braccio, di spogliarlo, dimetterlo sotto al rubinetto per fargli il

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bagno, di portarlo in giro nella suabellissima carrozzina blu. Restaronoquindi molto deluse quando la mamma leinformň che si erano sbagliate. Ilbambino era suo, disse con fermezza, eloro non dovevano azzardarsi a toccarlo.Era stata una pura coincidenza che fossenato quella settimana. Non era ungiocattolo e non aveva niente a che farecon i regali. Al massimo le gemellepotevano avvicinarsi alla culla in puntadi piedi e dargli un bacino di benvenutosulla testa. Dopo di che, era meglio chegirassero alla larga.

Chiara e Carlotta ci restarono cosěmale che la zia Giulia, che aveva giŕportato in regalo un paio di pattini a

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rotelle, corse al piů vicino negozio digiocattoli e comprň per loro unbellissimo bambolotto che sembrava intutto e per tutto un bambino di sette mesi,col suo corredino, il biberon, la cullaportatile e altri vari accessori. Non eraproprio la stessa cosa, ma le duegemelle, che erano di buon carattere,cercarono di accontentarsi. Il fratellinosi chiamava Marco e il bambolotto fubattezzato Mirco.

Quando Chiara e Carlotta erano ascuola, Mirco dormiva nella sua cullaportatile di stoffa, sistemata vicino aglialtri giocattoli.

Ma quando le gemelle erano a casanon perdevano d’occhio la mamma per

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un attimo, e tutto quello che lei facevacon Marco, loro lo facevano con Mirco,tanto che in poco tempo diventarono dueperfette bambinaie, o, se preferite, duemammine perfette.

Poiché erano entrambe moltoespansive e molto energiche nelle loromanifestazioni d’affetto, non passň moltotempo che Mirco cominciň a portarne isegni. Il meccanismo di uno degli occhisi bloccň, alcuni sgorbi di penna biro sifissarono cosě stabilmente sulle suegambe che né lavaggi con acqua esapone né strofinamenti con cotoneimbevuto d’alcol riuscirono acancellarli. Il braccio destro si staccňdalla spalla e non ci fu verso di

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riattaccarlo, ma non era un problemagrave, perché bastava che Mirco non sene andasse in giro a torso nudo. Quandoera vestito, la manica di qualsiasigolfino o vestito teneva il bracciostaccato al suo posto.

La mamma rideva quando vedeva legemelle affaccendate a rimediare allevarie disavventure del bambolotto. Alsuo Marco, maneggiato sempre congrande cautela, non era mai capitatoniente di simile.

In compenso, pensavano le gemelle,Marco si annoiava a morte, mentreMirco conduceva una vita avventurosaed eccitante. Le due paia di pattini arotelle erano state legate sotto alla sua

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culla di stoffa, che veniva spinta giů perla discesa del garage a gran velocitŕ.Spesso il bambolotto veniva appeso peri vestiti al manubrio della biciclettadell’una o dell’altra mammina e portatoin giro sul marciapiede attornoall’isolato. Aveva fatto un bel tuffo nellavasca dei giardini pubblici, per cui lasua pancia imbottita di ovatta era statastrizzata come un asciugamano e luistesso era stato appeso ad asciugare aifili del bucato. Due volte era volato giůdalla finestra e una volta era stato rubatodal cane del vicino che volevaportarselo nella sua cuccia, e perriaverlo le gemelle avevano dovutoingaggiare una lotta furibonda.

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Marco e Mirco avevano circa sei

mesi quando la maestra delle gemelle, ascuola, lesse una storia appassionanteintitolata “La bambola dell’alchimista”.Raccontava di una bambola magica chenon solo somigliava perfettamente(come Mirco) a un bambino vero, mache aveva, dietro un orecchio, unbottoncino, premendo il quale diventavaviva: si muoveva, rideva, piangeva,beveva il latte, riconosceva il suopadroncino… Aveva anche un’altraqualitŕ: faceva la cacca d’oro.

Chiara e Carlotta furono affascinateda questa storia. Cosa avrebbero datoperché anche il loro Mirco

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all’improvviso si animasse, si mettessea fare versi e a scalciare come Marcoquando qualcuno si avvicinava alla suaculla! Della cacca d’oro non importavaloro un gran che. L’importante era che labambola diventasse viva. Tutte le nottiprima di addormentarsi confabulavano alungo, e ogni tanto guardavano fuoridella finestra, verso il balcone dellaloro camera, nella speranza che, comenel libro, vi comparisse la fata capacedi operare la straordinaria magia. Manon succedeva mai niente.

Marco continuava a crescere. Avevaraggiunto le dimensioni esatte di Mircoe dopo un mese le aveva superate.Dentro alla carrozzina non ci stava piů,

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toccava i bordi con la testa e con i piedi,e poi non voleva stare sempre coricato.Cosě il papŕ gli comprň un passegginopieghevole, piů leggero e menoingombrante della carrozzina, dove ilbambino poteva stare seduto e osservareil mondo circostante.

La carrozzina, benché fosse ancoranuovissima, fu portata nel garage, inattesa di essere regalata a qualcuno.Chiara e Carlotta non avevano niente perportare a spasso Mirco, a parte ilportapacchi della bicicletta e la culla distoffa con i pattini legati sotto, e simisero a fare la corte alla carrozzina,finché la mamma non permise loro diusarla. “Solo in giardino e sul

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marciapiede, perň. Dopo la riportate ingarage. In camera vostra c’č giŕabbastanza babilonia”.

Cosě un bel pomeriggio di tardaprimavera le gemelle adagiarono Mirconella carrozzina, lo coprironorincalzando bene la coperta, tirarono sula capote perché il sole non gli dessefastidio in faccia e lo portarono a fareuna passeggiata.

Non avevano il permesso diattraversare la strada: potevano faresolo il giro dell’isolato senza scenderedal marciapiede. Ma anche quelpercorso era interessante. C’erano moltigiardini protetti da siepi o da cancellate.C’erano una cartoleria, piů avanti un

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negozio di caccia e pesca, poi un fioraioe una lavanderia a gettone.

Sul lato opposto alla loro casa c’eraun grande supermercato, arretrato dallastrada, con davanti uno spiazzo - per icarrelli, dove le clienti legavano i cani -che non potevano entrare - e lasciavanoparcheggiate le carrozzine dei bambini.Anche le gemelle, sentendosi moltoimportanti, parcheggiarono la carrozzinacon dentro Mirco ed entrarono nelsupermercato per comprare cioccolata eun pacchetto di gomma da masticare.

Non erano passati tre minuti che unaragazza parcheggiň accanto alla loroun’altra carrozzina blu, precisa identicaa quella di Mirco, ed entrň a precipizio

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nel supermercato.La ragazza si chiamava Berenice,

aveva sedici anni, ed era la prima voltache faceva la baby-sitter. Era moltocarina, ed anche molto vanitosa. Perquesto motivo non portava gli occhiali,nonostante fosse miope come una talpa.Dentro alla carrozzina c’era unabambina di otto mesi chiamata Roberta.La sua mamma, la signora Ferlotti, quelpomeriggio aspettava l’idraulico per unariparazione urgente e non poteva uscire.Perciň aveva chiamato Berenice, cheabitava al piano di sotto, e l’avevapregata di portare a spasso Roberta e dipassare al supermercato a comprare unpacco di pannoloni da gettare.

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Berenice aveva una gran fretta disbrigare questa commissione, perchévoleva andare al parco dove aveva unappuntamento col suo innamoratoZebedeo. Perciň, dopo nemmeno cinqueminuti, uscě trafelata dal supermercato,prese la carrozzina e la spinse via digran carriera in direzione del parco.Miope e distratta com’era, non si eraaccorta che le carrozzine parcheggiateerano due. E

soprattutto non si era accorta di averpreso quella sbagliata, quella dove c’eraMirco.

Dopo un po’, lemme lemme,uscirono anche Chiara e Carlotta,sgranocchiando due tavolette di

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cioccolata. Trovarono una solacarrozzina come quando erano entrate ese la portarono via senza sospettare chenon era la loro e che dentro, invece diMirco, c’era la piccola Robertaprofondamente addormentata.

Tornarono a casa e, obbedientiall’ordine della mamma, riportarono lacarrozzina in garage. Chiara abbassň lacapote e la sorella sollevň la copertinaper prendere in braccio Mirco e portarlosu a casa. A quel punto Roberta sisvegliň e fece “Ghč” agitando le manine.Le gemelle la guardarono folgorate.“Mirco č diventato vivo come nellibro!”. Non riuscivano a credere che illoro desiderio fosse stato esaudito.

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Chiara, tutta contenta, prese inbraccio la bambina. “Accidenti, quantoč diventato pesante!”, e la portň in casa.

“Mamma, mamma, guarda! C’č statauna magia. Mirco adesso č un bambinoin carne ed ossa!”.

La mamma stava preparando lapappa per Marco e trafficava ai fornelli.

“Ne inventate sempre una nuova, voidue!” disse senza girarsi a guardare.

Le gemelle portarono Roberta nellaloro stanza e la poggiarono su uno deidue lettini. “Dai, spogliamolo, eguardiamo se ha fatto la cacca d’oro!”disse Carlotta.

Controllarono, ma quella di Robertaera una cacca normalissima.

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Perň c’era un’altra sorpresa.ŤMamma, mamma!” annunciň

Carlotta correndo in cucina. “Lo sai checi eravamo sbagliate? Mirco non č unmaschio, č una bambina. La chiameremoMirca”.

“Sě, sě, va bene. Non fate disordine,perň” disse la mamma, tutta intenta agirare la pappa col cucchiaino di legnoperché non si attaccasse al fondo delpentolino.

“E il braccio non č piů staccato!”disse ancora Carlotta. “Meglio cosě”,rispose la mamma.

Chiara andň a prendere un pannolonedall’armadio di Marco e, con un po’ difatica, le gemelle cambiarono la

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bambina.Marco era di lŕ con la mamma,

seduto sul suo seggiolone, ma lamamma, occupata a versare la pappa nelbiberon, non lo guardava.

Di lŕ in camera, maneggiatabruscamente da Carlotta, Robertacominciň a strillare.

“Sě, sě, amore, adesso arrivo. Haifame, eh? Sei impaziente?”

disse la mamma a Marco, che invecese ne stava tranquillo a ciucciarsi undito.

Per tutto il pomeriggio le coseandarono a questo modo. Le gemellecontinuavano a informare la mammadelle prodezze di Mirca e lei, credendo

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che si trattasse di un nuovo gioco,continuava a dire “Sě, va bene”. Ma nondegnava di uno sguardo il “bambolotto”e non si accorgeva che invece eradavvero una bambina in carne ed ossa.

“Nel pentolino č rimasta un po’ dipappa di Marco. Possiamo darla aMirca?”.

“Dategliela. Ma non sporcate ingiro”.

“Quando hai finito di fare il bagno aMarco, mamma, non gettare via l’acqua.Vorremmo usare la vaschetta per fare ilbagno a Mirca”.

“Sě, ma non allagatemi il bagno congli schizzi”.

Evidentemente, come la bambola del

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libro, anche la piccola Roberta avevauna fata madrina, perché nonostante leattenzioni delle gemelle riuscě a nonmorire soffocata dalle croste di pane chele cacciavano in bocca, a non affogarenell’acqua insaponata, a non sbattere latesta contro uno spigolo e persino a nonprendersi un raffreddore.

“Adesso portiamola a fare un girosul portapacchi della bicicletta” avevaproposto a un certo punto Chiara, eproprio in quel momento dal televisoreera risuonata la sigla d’inizio dei cartonianimati preferiti dalle gemelle. Sě,decisamente c’era qualcuno in cielo, unafata o un angelo custode, che proteggevala povera Roberta.

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Finalmente dunque le gemelle lamisero a dormire nella culla di stoffa ela lasciarono in pace. Se ne andarono insoggiorno a guardare la televisione. Lamamma stirava e Marco zampettava nelbox.

“Come mai il tuo bambino č ancoraalzato? La nostra dorme giŕ da un pezzo.Non lo sai che i bebč devono andare aletto presto?”

disse Chiara alla mamma in tono dirimprovero.

Vediamo adesso cos’era successonel frattempo al vero Mirco.

Berenice lo aveva portato ai giardinipubblici senza degnarlo d’un’occhiata.Si era seduta su una panchina, aveva

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aspettato che arrivasse Zebedeo e si eramessa a fare la scema col ragazzo. Ognitanto diceva: “Che angelo, questaRobertina! Beata lei che continua adormire tranquilla!”.

Col suo sguardo miope vedevaconfusamente un visetto rotondoimmobile sul cuscino, e questo lebastava. Non riusciva a credere che farela baby-sitter fosse cosě facile.

All’imbrunire aveva salutato il suoinnamorato e aveva fatto ritorno a casa.

“E’ stata buona la mia bambina?”aveva chiesto la mamma di Roberta,tenendo aperta la porta del suoappartamento.

“Buonissima” aveva risposto la

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baby-sitter. “Ha sempre dormito.Dorme ancora”.“Che strano! Di solito a quest’ora č

affamata e strilla come un’aquila” avevadetto la signora Ferlotti. “Fammi unpiacere: svegliala e tirala su. Io corro dilŕ perché ho il latte sul fuoco”.

Berenice non era pratica di bambinipiccoli, perň le sembrň che al tattoRoberta fosse un po’ troppo fredda, eanche troppo dura.

“Oh, Dio! Le avrň fatto prendere ilraffreddore!” pensň. La prese in braccio.Com’era leggera! E perché le braccia ela testa ciondolavano a quel modo?“Che si senta male? Uno svenimento?

Santo cielo, non la sento respirare”.

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Chinň la testa preoccupatissima perguardarla da vicino, ma l’aveva presamale e il braccio í destro sgusciň fuoridalla manica del vestito, e le rimase inmano.

Fortunatamente Berenice avevaappena capito che si trattava di unabambola, altrimenti avrebbe pensato diessere in un film dell’orrore e sarebbesvenuta.

Ma Roberta dov’era andata a finire?“Signora!”, si mise a strillare comeun’aquila. “Signora! Hanno rapito la suabambina!

Bisogna avvertire la polizia.Bisogna aspettare la telefonata con larichiesta del riscatto”.

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In casa Rodini Marco dormiva a

fianco del lettone dei genitori.Nel cuore della notte la mamma fu

svegliata da un pianto infantile e nelbuio allungň una mano e si mise adondolare la culla. Ma il pianto noncessava. Allora accese la luce, Marcodormiva pacifico.

Gli strilli venivano dalla stanzadelle gemelle. Sospirando la mamma sialzň e si infilň la vestaglia. “Eppuregiurerei che si tratta di un bambinopiccolo. Quelle due! Adesso si mettonoanche a imitare le voci. Non sanno piůcosa inventare”.

Anche nella camera delle gemelle

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c’era la luce accesa. La mamma entrň erestň a bocca aperta.

Seduta sul letto Carlotta, conun’espressione stanca epreoccupatissima, faceva saltare sulleginocchia un bebč che urlava aperdifiato, mentre Chiara, esausta,cantava sottovoce una ninna nanna”

“E questo bambino da dove arriva?Dove l’avete preso?” balbettň la mammaincredula.

“Ma č Mirca!” protestň Chiara. “Cel’ha regalata la zia Giulia, non tiricordi?”.

“Te l’abbiamo detto che č diventataviva per magia. Solo che nel libro sepremevi un bottoncino stava subito

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ferma e zitta. Questa invece non ne vuolesapere. E’ piů di un’ora che strilla.Come facciamo a farla smettere?”aggiunse Carlotta che crollava dalsonno.

La mamma le strappň dalle bracciaRoberta, la esaminň velocemente.

“Meno male! Sembra che sia tutto aposto. Probabilmente ha fame.

Le darň un po’ di latte. Voi correte asvegliare il papŕ e ditegli di chiamare lapolizia”.

“Cosa c’entra la polizia!” chieseCarlotta perplessa.

La restituzione, anzi lo scambio,avvenne al commissariato alle quattrodel mattino. Mirco, nella sua carrozzina,

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era giŕ lě dalle otto di sera, trattenutocome “corpo del reato”.

Quando le gemelle lo videro gli sigettarono addosso coprendolo di baci.La notte insonne passata con Robertaaveva tolto loro la voglia di unabambola viva.

La mamma di Roberta, quando presein braccio la sua bambina sana e salva,fu cosě contenta che quasi quasi svenivaper la gioia.

Il commissario mise accanto le duecarrozzine, vide che erano identiche edisse: “Tutto si spiega. Non c’č statonessun sequestro di persona. Solo unoscambio”.

“Se quella scema di Berenice si

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decidesse una volta per tutte a portaregli occhiali!” sospirň la signora Ferlotti.

“Ma voi, com’č che non ve ne sieteaccorti subito?” chiese suo marito aigenitori delle gemelle.

La signora Rodini gli porse insilenzio un libro dalla copertina azzurra.Si intitolava “La bamboladell’alchimista”.