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il latte ottobre 2016 46 Reportage Portare l’esperienza casearia italiana in un Paese in via di sviluppo significa ripartire dalle basi in un contesto culturale molto diverso dal nostro e lavorare il latte come si faceva nel primo dopoguerra in Italia e in Europa Q uando si pensa all’Africa ven- gono in mente il caldo, le sava- ne o i mari tropicali ma Njom- be in Tanzania, località in cui sorge la “latteria degli italiani”, non è niente di tutto questo. Njombe è vicina al lago Malawi sulla catena delle montagne Li- vingstone a 2000 m; il paesaggio assomiglia alla Pianura Padana e la mattina se non fosse per i sempre sorridenti locali che ti salutano con un cordiale “Habari za asubuhi” (Come va stamattina? Ndr) penseresti di esserti sve- gliato a Pizzighettone o a Zelo Buon Persico. Più di 12 anni fa nel quadro di un program- ma di implementazione dell’allevamento di vacche da latte, il governo tanzaniano fece dono di alcuni capi di bestiame a un grup- po di contadini. Presto la produzione di lat- te superò il fabbisogno familiare e il gruppo di allevatori – nel frattempo associatosi nel- la cooperativa NjoLIFA – non sapeva come impiegare le eccedenze. Baba Camillo – un missionario di Trento dal 1965 in Tanzania – non esitò a trovare una soluzione: nel 2006 coinvolse una onlus di Bologna molto attiva in Tanzania (Cefa) e subito tutto si mise in moto. Grazie al lavoro di tecnici e volontari italiani, in pochi anni la Njombe milk factory ha iniziato a trasformare il latte nell’area di Njombe facendo da volano per l’intera eco- nomia della cittadina: in tale regione si è pas- sati da una produzione giornaliera di 500 litri di latte a circa 10.000, di cui quasi 4000 litri sono lavorati dalla Njombe Milk Factory Co. Ltd. I conferenti della latteria sono circa 600 e le maestranze contano fino a 40 lavoratori. Kiwanda cha Maziwa La “Fabbrica del Latte”, o come si dice in swahili “Kiwanda cha Maziwa”, è oggi un’in- dustria di riferimento in Tanzania ed è vista dai concorrenti come un modello in termi- ni sia di tecnologia casearia sia di sviluppo sociale ed economico sostenibile. Da più di due anni l’azienda ha abbandonato la veste di progetto ed è diventata un Spa a capitale misto e lavora con bilancio in pareggio, senza sostanziali aiuti italiani a eccezione dei fondi dedicati al training di tecnici e management. Sin dall’avvio del progetto si è puntato a ren- dere la compagnia autonoma grazie a una gestione imprenditoriale. Tra le prime scelte strategiche del progetto, infatti, vi è la deci- sione di produrre inizialmente formaggio – del tipo caciotta nella variante plain, al pepe e al peperoncino – successivamente yogurt e latte pastorizzato in confezione di 250 mL per le scuole dell’area di Njombe e, infine, paste filate. Per meglio capire le scelte azien- dali operate, è importate conoscere le condi- zioni climatiche, le abitudini dei consumatori e l’organizzazione del lavoro della Tanzania. Per quanto concerne le prime, in Tanzania esistono due stagioni: quella secca e quella delle piogge. Durante la stagione secca, si ha un decremento della produzione lattiera me- dia del 20% mentre durante la stagione umida essa registra un incremento del 20%, portando così a una forbice di ben 40 punti. Il merca- to ha un’alta stagione e una bassa stagione, Tradizione italiana in Africa Flavio Levati

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il latte • ottobre 201646

Reportage

Portare l’esperienza casearia italiana in un Paese in via di sviluppo significa ripartire dalle basi in un contesto culturale molto diverso dal nostro e lavorare il latte come si faceva nel primo dopoguerra in Italia e in Europa

Quando si pensa all’Africa ven-gono in mente il caldo, le sava-ne o i mari tropicali ma Njom-be in Tanzania, località in cui sorge la “latteria degli italiani”,

non è niente di tutto questo. Njombe è vicina al lago Malawi sulla catena delle montagne Li-vingstone a 2000 m; il paesaggio assomiglia alla Pianura Padana e la mattina se non fosse per i sempre sorridenti locali che ti salutano con un cordiale “Habari za asubuhi” (Come va stamattina? Ndr) penseresti di esserti sve-gliato a Pizzighettone o a Zelo Buon Persico. Più di 12 anni fa nel quadro di un program-ma di implementazione dell’allevamento di vacche da latte, il governo tanzaniano fece dono di alcuni capi di bestiame a un grup-po di contadini. Presto la produzione di lat-te superò il fabbisogno familiare e il gruppo di allevatori – nel frattempo associatosi nel-la cooperativa NjoLIFA – non sapeva come impiegare le eccedenze. Baba Camillo – un missionario di Trento dal 1965 in Tanzania – non esitò a trovare una soluzione: nel 2006 coinvolse una onlus di Bologna molto attiva in Tanzania (Cefa) e subito tutto si mise in moto. Grazie al lavoro di tecnici e volontari

italiani, in pochi anni la Njombe milk factory ha iniziato a trasformare il latte nell’area di Njombe facendo da volano per l’intera eco-nomia della cittadina: in tale regione si è pas-sati da una produzione giornaliera di 500 litri di latte a circa 10.000, di cui quasi 4000 litri sono lavorati dalla Njombe Milk Factory Co. Ltd. I conferenti della latteria sono circa 600 e le maestranze contano fino a 40 lavoratori.

Kiwanda cha MaziwaLa “Fabbrica del Latte”, o come si dice in swahili “Kiwanda cha Maziwa”, è oggi un’in-dustria di riferimento in Tanzania ed è vista dai concorrenti come un modello in termi-ni sia di tecnologia casearia sia di sviluppo

sociale ed economico sostenibile. Da più di due anni l’azienda ha abbandonato la veste di progetto ed è diventata un Spa a capitale misto e lavora con bilancio in pareggio, senza sostanziali aiuti italiani a eccezione dei fondi dedicati al training di tecnici e management.Sin dall’avvio del progetto si è puntato a ren-dere la compagnia autonoma grazie a una gestione imprenditoriale. Tra le prime scelte strategiche del progetto, infatti, vi è la deci-sione di produrre inizialmente formaggio – del tipo caciotta nella variante plain, al pepe e al peperoncino – successivamente yogurt e latte pastorizzato in confezione di 250 mL per le scuole dell’area di Njombe e, infine, paste filate. Per meglio capire le scelte azien-dali operate, è importate conoscere le condi-zioni climatiche, le abitudini dei consumatori e l’organizzazione del lavoro della Tanzania. Per quanto concerne le prime, in Tanzania esistono due stagioni: quella secca e quella delle piogge. Durante la stagione secca, si ha un decremento della produzione lattiera me-dia del 20% mentre durante la stagione umida essa registra un incremento del 20%, portando così a una forbice di ben 40 punti. Il merca-to ha un’alta stagione e una bassa stagione,

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che sono esattamente l’inverso delle stagio-ni umide e secche. In questo modo tra luglio e dicembre si verifica una forte mancanza di latte mentre tra gennaio e giugno un grande surplus. Saper produrre formaggio durevole permette alla Njombe Milk Factory di affron-tare meglio dei competitor la variabilità di sta-gione e di mercato. Durante la stagione umida viene prodotto un simil provolone da 1 kg e da 2 kg, un formaggio a crosta lavata da 1,5 kg e un formaggio semi duro pressato da 7-8 kg. Questa pratica permette durante la stagione umida di poter ricevere tutto il latte dei con-ferenti, pena la perdita degli stessi durante la stagione secca proprio quando più forte è la penuria di latte. Al momento il latte destinato alla produzione di formaggio è il 62% del con-ferito e copre il 52% delle entrate economiche, mentre per latte pastorizzato e yogurt è uti-lizzato il rimanente 38% con resa economica del 48%. Risalta la differenza di convenienza in favore dello yogurt rispetto alla produzio-ne di formaggio, per questo i piani di sviluppo futuro prevedono l’acquisto di una macchina per produzione di vasetti da yogurt da 125g.

Qualità del latte crudo Le caratteristiche climatiche e la necessità di avere specie bovine rustiche in grado di resistere a condizioni epidemiologiche non sempre ideali non permettono di disporre di bovine fortemente selezionate. La grande maggioranza dei capi deriva da zebù che, nelle generazioni, sono stati incrociati con bruno/grigio alpine, frisone e pezzate rosse/nere. Lo zebù, autoctono della zona, dà grande resi-stenza al bovino ma abbassa notevolmente

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la resa di latte. La fecondazione avviene per mezzo di tori ma l’inseminazione artificiale è sempre più comune. Gli allevatori sono spes-so poco competenti perché l’allevamento del-la vacca da latte è una pratica recente e non di tradizione millenaria come in Europa. Le famiglie possiedono di media tra 1 a 3 capi; il costo di acquisto di una vacca è tra i 400 euro per le razze meno pure e i 1400 euro per una frisona nazionale. È da considerare che lo sti-pendio di un operaio è di circa 60-70 euro al mese. L’alimentazione è principalmente al pa-scolo libero; i mangimi sono pressoché inesi-stenti e la pratica di raccogliere fieno per la stagione secca è poco diffusa. Inoltre, il fieno è spesso lasciato sotto il sole equatoriale che ne diminuisce le qualità nutrizionali. La man-canza di acqua durante la stagione secca fa il resto. La produzione per vacca risulta solo tra i 6 e gli 18 litri giorno. Le azioni correttive introdotte da esperti italiani hanno migliorato notevolmente la situazione e hanno rettificato errori tipici di allevatori che affrontano per la prima volta l’allevamento della vacca da latte. Il prezzo pagato dalla latteria è di 29 euro per 100 litri franco fabbrica e su questo costo pe-sa il trasporto per il 12%. Sono state messe le

Mercato lattiero-caseario in TanzaniaLa Tanzania è il decimo Paese africano per PIL. Il suo tasso di crescita annuale è stato nel 2015 del +7,20% mentre la stima per i due anni successivi è di +7,10%. Il tasso di inflazione si è ridotto dal 20% nel 2012 all’attuale 5,5%. Gli istituti bancari rilasciano finanziamenti con interessi fino al 20% se garantito da immobili o all’8-9% con un deposito vincolato. La percentuale di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà (meno di 1,25 dollari al giorno) continua a diminuire. Lo scorso ottobre il partito Chama Cha Mapinduzi (CCM), fondato dal Padre della Nazione Julius Nyerere, ha vinto ancora le elezioni. Il nuovo presidente, Magufuli, affronta con vigore le problematiche del Paese tra cui corruzione, debito estero e debolezza dello scellino tanzaniano. Tra le molte misure correttive adottate: l’introduzione dell’IVA sui prodotti caseari a eccezione del latte alimentare.L’industria lattiera in Tanzania è in continua evoluzione. Il governo ha individuato la filiera del latte come un ottimo volano per l’economia del Paese. Le potenzialità di sviluppo per l’industria lattiero-casearia sono alte e grandi sono gli spazi di crescita: si registra, infatti, un ritardo rispetto al vicino Kenia in termini di latte lavorato. Attualmente in tutta la Tanzania si trasformano solo 260.000 litri di latte al giorno per una popolazione di oltre 40 milioni di abitanti. La lavorazione del latte avviene in numerose (62) piccole unità di trasformazione da 500 a 50.000 litri al giorno. Tuttavia, la produzione di latte è troppo bassa e non riesce a sostenere la richiesta delle ditte di trasformazione, senza contare poi che la vendita di latte crudo molto spesso segue canali non ufficiali nonostante la legge lo vieti. Le proiezioni per la Tanzania mostrano che il gap tra la domanda e l’offerta di latte crudo continuerà ad allargarsi. Secondo stime recenti della FAO infatti, fino al 2020 la domanda annua di latte e di prodotti lattiero-caseari nei Paesi in via di sviluppo crescerà tra il 3,2% e il 3,5% l’anno. I principali driver di crescita della domanda di latte e prodotti lattiero-caseari sono il rapido incremento della popolazione, l’urbanizzazione e l’aumento del reddito pro capite di alcuni strati della popolazione. È un peccato vedere che molte aziende italiane, che hanno buoni prodotti o servizi, non riescono a vendere in Tanzania, lasciando il campo libero ad aziende spesso cinesi, indiane, turche o ucraine.In Tanzania si contano circa 220.000 allevatori di vacche da latte, soprattutto piccoli proprietari con una media di due bovini. Msuya (2012) ha riportato una dimensione media di 3,6 e 3,7 nei distretti di Rungwe e Njombe. L’utilizzo del latte in polvere è permesso e infatti molte aziende concorrenti alla Njombe milk factory lo utilizzano soprattutto per la produzione dello yogurt, per aumentarne la concentrazione. Con l’entrata nel mercato dairy del colosso alimentare locale Azam sugli scaffali è comparso latte ricostituito UHT con emulsionanti e stabilizzanti (E471, E401, E 407 e E 412). Questa concorrenza provoca grande preoccupazione tra gli allevatori e altri trasformatori ma, per ora, non alla Njombe Milk Factory grazie alla sua produzione di formaggio. In ragione del microclima, la zona delle Southern Highlands è stata scelta dal governo come area ad alta vocazione lattiero-casearia e non a caso Njombe è stata scelta per ospitare in giugno la settimana nazionale del latte dal Dairy Board of Tanzania in collaborazione con il ministero dell’Allevamento e della Pesca.

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Tabella 1: Valori medi del latte crudo a novembre 2015Componenti Valori medi

Grassi 3,88%

Proteine 2,90%

Solidi non grassi 7,70%

Densità 26,60%

Punto crioscopico -0,513 °C

pH 6,58

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raggiunge pH 5,2 e supera la prova di filatura dopo 150-180 minuti. La resa è molto bassa ed è compresa tra il 7,8 e il 9,8%. I fattori che compromettono la resa sono la qualità della materia prima e la scarsa esperienza dei ca-sari locali. Le azioni correttive per migliorare la resa sono state due: selezionare gruppi di conferenti con latte a tenori proteici più alti; sensibilizzare gli allevatori circa la densità del latte (il punto crioscopico del latte è spesso sopra 0,518 °C, tabella 1). La lavorazione è essenzialmente artigianale e quando i tempi di coagulazione non sono stati rispettati, e la rottura della cagliata è avvenuta in anticipo o con tempistica errata, il siero a fine matura-zione raggiunge fino all’1% di materia grassa (metodo Gerber). La resa, mediamente pari al 7,8-9,8%, risulta inferiore per la lavorazione sotto siero rispetto alla maturazione su tavolo di stufatura. La mozzarella dopo filatura, for-matura e raffreddamento rimane circa un’o-

mente, sono prodotti formaggi di nicchia co-me scamorza liscia o affumicata, fior di latte, formaggio a crosta lavata tipo taleggio e for-maggio spalmabile. La mozzarella da pizza è il core business dell’azienda e gli sforzi mag-giori sono volti a mantenere standard qualita-tivi più alti possibile. La lavorazione avviene previa pastorizzazione del latte a 72° C e la maturazione è effettuata con metodo tradi-zionale sotto siero oppure su tavolo sperso-io. La curva di acidificazione è sempre molto incostante data l’elevata variabilità del latte: la standardizzazione non è possibile e non si può avere un abbattimento della carica batte-rica costante. Il caglio è di qualità, in polvere di pura chimosina mentre i fermenti dispo-nibili in Tanzania sono di un unico fornitore che commercializza solo due ceppi. Questo è un fattore di rischio che può favorire l’insor-genza di fagi. Il lattofermento impiegato varia da 1,1 a 1,5 litri ogni 100 litri di latte. La pasta

basi per il pagamento del latte per qualità ma è ambizioso pensare in breve tempo di poter replicare quanto è in uso in Italia. Il latte con-ferito arriva in azienda a 20-25 gradi dopo 2-3 ore dalla mungitura a seconda della distan-za della stalla. La catena del freddo è ancora un obiettivo da raggiungere, e la carica bat-terica è elevatissima. Tutto il latte arriva alla latteria in bidoni di alluminio ed è accettato dopo la determinazione per ogni contenitore dei seguenti parametri: odore e colore, alcol test a 72°, prova CMT, densità e pH (tabella 1). Per ogni gruppo di allevatori ogni settimana viene fatta un’analisi completa su proteine e grassi, mentre la crioscopia è effettuata ogni giorno e registrata per accertare l’onestà dei conferenti. In mancanza sul mercato di test specifico per verificare la presenza di antibio-tici, ogni sera a fine ricevimento l’operatore del laboratorio inocula un campione da cia-scun serbatoio con lattoinnesto. Se dopo una notte in termostato la coagulazione è avve-nuta, il latte è ammesso alla trasformazione.Il latte che l’azienda ha disposizione ha un te-nore molto basso in proteine ma ricco di gras-so (tabella 1). Questo è riconducibile all’ali-mentazione dei bovini povera di carboidrati fermentescibili e di soia o erba medica, la cui semente è difficile da trovare se non a prezzi troppo alti per gli agricoltori locali. Durante la stagione secca l’alimentazione ad elevata fibrosità acuisce il problema aumentando il divario tra grassi e proteine.

La produzione della mozzarella da pizzaI formaggi prodotti dalla Njombe Milk Factory sono: mozzarella per pizza, caciotte, simil pro-volone, ricotta e semiduro pressato. Stagional-

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Yogurt e latteSono prodotti destinati alla popolazione locale perché molto apprezzati e a prezzo accessibile. In media i formaggi costano tra i 6 e i 14 euro al kg, prezzo proibitivo per la maggior parte dei consumatori. Lo yogurt è venduto a 80 centesimi al litro quando è sfuso e a 1,30 euro quando è confezionato. La confezione incide fino al 30% del costo. Il latte pastorizzato costa invece 50 centesimi sfuso e 90 centesimi confezionato. Lo yogurt a coagulo rotto è prodotto in fermentiere da 600 litri. L’incubazione avviene per circa sette ore fin quando il pH raggiunge 4,4. Il confezionamento è fatto il giorno seguente in bottiglie da un litro. Con coagulo intero sono prodotte confezioni in pouch da 250 mL: il latte viene pastorizzato a 88 °C e inoculato direttamente a circa 20 °C quindi prontamente confezionato e posto in camera calda a 40-42° C per circa 6 ore e raffreddato al raggiungimento di pH circa 4,5. Al contrario dei competitor locali, l’azienda non utilizza addensanti, coloranti e latte in polvere. I problemi maggiori sono la presenza di fagi e lieviti. Per avere un riscontro immediato su eventuali gonfiori o innalzamento di pH, le bottiglie e i pacchetti sono posti in termostato per 3 giorni; la vendita avviene solo dopo quest’ultima prova, empirica ma efficace. Il latte alimentare è venduto sfuso presso i negozi in città o in confezioni

tamente. Durante la stagione delle piogge so-no prodotte grande quantità di formaggi simil provolone e pressato. Con la stagionatura nel periodo secco, il pro-volone perde in 4 mesi circa il 35% del peso e il semiduro circa il 25%. Per aumentare l’u-midità relativa e rallentare la traspirazione si pongono bacinelle di acqua negli ambienti di stagionatura; il pressato viene stagionato in una cella ricavata sotto terra a ventilazione forzata. La scamorza è affumicata in modo tradizionale con segatura umida in ambienti costruiti ad hoc.

ra in salamoia, quindi viene pesata e posta in cella frigorifera in stampi per 24 ore e quindi confezionata sotto vuoto. Prima della vendita vengono ricercati coliformi e provata la fusio-ne in forno. Alla scadenza è fatta una prova organolettica e di pH.

Salatura e stagionaturaLa salamoia è mantenuta a 18,6° Bè e pH 5,2; per evitare contaminazioni ogni settimana è riportata a livelli di concentrazione salina corretti e rigenerata in doppio fondo a 90 °C. Ogni tre mesi circa viene cambiata comple-

Progetto vincitore del primo premio come migliore Best Practice all’Expo di Milano 2015Con il progetto “Africa Milk Project”, Cefa il seme della solidarietà, Granarolo, il ministero degli Affari Esteri e l’Associazione tanzaniana di allevatori NjoLIFA hanno vinto il primo premio come migliore Best Practice all’Expo di Milano 2015 nella categoria: “Sviluppo sostenibile nelle piccole comunità rurale in aree marginali”. Gli obiettivi primari di Cefa il seme della solidarietà era promuovere l’economia dei piccoli produttori di latte e favorire il suo consumo tra gli alunni delle scuole primarie di Njombe, al fine di offrire una dieta più variata rispetto a quella abituale a base principalmente di carboidrati e povera di proteine. Gli alunni raggiunti sono stati a oggi 12.000; sono state privilegiate soprattutto scuole in aree rurali dove la malnutrizione è più grave. Il prezzo della confezione per i genitori degli scolari è calmierato da Granarolo S.p.A.

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da 250 mL. La pastorizzazione è fatta a 82 °C (perossidasi di regola negativa) per abbattere la carica patogena. Il confezionamento avviene il giorno prima della distribuzione: viene fatta una campionatura all’avvio, a metà e al termine della produzione. Alcuni campioni sono tenuti a temperatura ambiente per una notte. Il laboratorio libera i lotti alla mattina solo se si è in assenza di coliformi e se il pH dei

pacchetti non ha subito variazioni.

Etichettatura e Haccp Pur ispirata al modello del Regno Unito,

la legislazione è meno stringente se com-parata a quella europea. L’Haccp e traccia-bilità al momento non sono un obbligo ma una raccomandazione. In latteria il sistema di autocontrollo e tracciabilità è seguito in

tutti in punti per il latte distribuito alle scuo-le e per i prodotti freschissimi come ricotta e fior di latte. Per i rimanenti prodotti al momen-to sono previste solo la numerazione per lot-ti e la registrazione della data di produzione. L’etichettatura deve essere bilingue (inglese e swahili) e prevede: indirizzo completo del produttore con un numero di telefono e/o indi-rizzo email, data di produzione e di scadenza, lotto, ingredienti, peso o volume e metodo di conservazione. Il codice a barre inizia a essere richiesto dalla nascente grande distribuzione.

Le attrezzature di Kiwanda cha MaziwaSono presenti tre doppi fondi Magnabosco per la produzione di formaggio, una formatrice per mozzarella CMT, un pastorizzatore da 1000 L/h con omogeneizzatore Pietribiasi, 2 fermentiere Pietribiasi da 600 L per lo yogurt, una salamoia da 1200 L, una caldaia Biasi con bruciatore Riello e serbatoi di raffreddamento per latte crudo per 6000 L totali. Per la stagionatura e stoccaggio vi sono 6 celle frigo. Le tubature sono completamente in acciaio e questo pone la latteria in una posizione di eccellenza rispetto agli standard tanzaniani. Vale la pena tenere in conto che a Njombe non è possibile fare saldature per acciaio e tanto meno saldature alimentari. Tutti i macchinari sono stati importati dall’Italia avendo cura che ogni tubatura non richiedesse alcuna modifica sul posto al momento dell’assemblaggio.

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