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1 TRACCE DI UNA GEOMETRIA NASCENTE ARCHITETTURA DEL PAESAGGIO ARCAICO DELLE CICLADI

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TRACCE DI UNA GEOMETRIA NASCENTEARCHITETTURA DEL PAESAGGIO ARCAICO DELLE CICLADI

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Tesi di laurea di Roberto De Zorzi presso il Politecnico di Milano, anno accademico 2010-2011

TRACCE DI UNA GEOMETRIA NASCENTEARCHITETTURA DEL PAESAGGIO ARCAICO DELLE CICLADI

SIMBOLO DEL POLITECNICO

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Ringrazio Georgia Karsioti per il provvidenziale aiuto portatomi durante i sopralluoghi, nella ricerca delle informazioni e dei con-tatti, per la traduzione dei testi greci e per l’ininterrotto supporto spirituale durante la scrittura della tesi.Per questi e altri motivi, dedico a lei questo piccolo lavoro.

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Sommario

11 Paesaggio agrario storico: abbandono e valorizzazione

14 Il paesaggio delle Cicladi: millenni di muri in pietra

14 Quadro cronologico generale del mare Egeo 14 Un’applicazione archeologica sull’isola di Tinos: il sito di Xobourgos 14 Un’applicazione archeologica sull’isola di Naxos: il sito di Sangrì 14 Esiodo racconta 14 Segni e attività pastorali sul territorio 14 Individuazione cronologica dei muri

14 Campo di ricerca, le isole 14 Amorgos: all’indietro nel tempo 14 Naxos: migrazioni e produzioni 14 Tinos: un patrimonio di fatiche 14 Delos e Rinia 14 Serifos

14 Dalla praxis alla metis: spazi, tecniche, miti e concetti

14 1. Apollo l’Ordinatore 14 2. Apollo il Tracciatore 14 3. Hestia e Hermes: spazio chiuso e spazio aperto 14 4. Themis: dalle fondazioni alla certezza delle leggi 14 5. L’Acropoli: principio e diffusione del centro ordinatore 14 6. La Soglia 14 7. Geo-metria

14 Patrimonio materiale e patrimonio immateriale: dalle pietre ai concetti logico-armonico-geometrici

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“Come molti altri ostacoli della vita, il muro non è che un’illusione, retto dalla fede di colui che l’ha creato”.

Greca la lingua che mi fu data;povera la casa sulle sponde di Omero.Unica cura la mia lingua sulle sponde di Omero.(...)Della patria di nuovo * ho preso le sembianzetra le pietre sono fiorito * e insieme cresciuto.

Odisseas Elitis, To axion esti, 1959

Con quali pietre quale sangue e quale ferroCon quale fuoco siamo fattiMentre sembriamo solo nuvolaE ci lapidano e ci chiamanoSognatori(...)Andiamo insieme e ci lapidino pureChiamandoci sognatoriAmico, quanti non sentirono mai con qualeferro e quali pietre e sangue e quale fuocoCostruiamo sogniamo cantiamo!

Odisseas Elitis, Elios o protòs, 1943

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Paesaggio agrario storico: abbandono e valorizzazione

Esempio di antico paesaggio agropastorale in abbandono, sull’isola di Amorgos, mare Egeo.

Italia come altrove) in nome della libertà, finisce così per dar luogo al suo contrario: la perdita di libertà è la rassegnazione nell’accettare case uguali ovunque (nelle vallate alpine in stile urbano o pseudo-tirolese), ovunque gli stessi prodotti alimentari (provenienti da tutti i continenti, indifferenti alle stagioni e ai luoghi), gli stessi paesaggi turistici (imposti agli abitanti delle Alpi dalle metropoli europee).

I musei all’aperto in EuropaL’istituzione del “museo paesaggistico” è nata per raccogliere, stu-diare e trasmettere alle successive generazioni il senso delle forme e la memoria dei valori delle civiltà rurali che per millenni hanno accompagnato l’esistenza quotidiana della stragrande maggioranza degli abitanti d’Europa.Il suo inizio coincide con il momento storico in cui, nell’impatto con l’industrializzazione, gli antichi paesaggi agrari incominciarono ad essere cancellati, le architetture rurali e i tradizionali strumenti di lavoro perduti, gli oggetti d’uso e gli arredi domestici man mano sostituiti dai prodotti standardizzati: nella seconda metà del secolo scorso le forme della cultura contadina entrarono per la prima volta nell’ambito della rievocazione romantica o della tutela. Per la prima volta nella storia, in ogni campo della produzione arti-stica, le espressioni del vivere popolare, che si capì essere destinate a finire, diventarono ricchissima fonte di ispirazione.Quasi ogni musicista d’Europa in quegli anni recuperò e riutilizzò l’enorme patrimonio di canti e musiche tradizionali del suo popolo (Liszt in Ungheria, Mahler in Germania, Grieg in Norvegia, Sibe-lius in Finlandia, Smetana in Boemia), mentre gli scrittori del centro e nord Europa raccoglievano e scrivevano fiabe e leg-gende della tradizione orale (fratelli Grimm in Germania, H.C. Andersen in Danimarca, Puskin in Russia). Nel 1873 lo svedese Arthur Hazelius fondò a Stoccolma il “Nor-diska Museet”, il primo museo etnografico, dove venivano esposti, secondo criteri scientifici, attrezzi di lavoro e oggetti d’uso quotidia-no, manufatti artigianali ed artistici, capi d’abbigliamento ed ogni altro documento capace di far comprendere la vita dei contadini scandinavi. “Può venire il giorno” - scrisse Hazelius - “in cui tutto il nostro oro non basterà a ridar-ci un ‘immagine del tempo svanito”. Nella convinzione che fossero le case e gli edifici per la produzione agricola i più effìcaci a documentare e spiegare le forme di vita, il sistema di valori e le conoscenze tecnologiche della comunità rurale,

Il riconoscimento e la valorizzazione delle culture contadine e pasto-rali avviene in Europa nell’800 in coincidenza con il pensiero e l’arte romantica. Esso coincide con la riscoperta delle identità culturali, delle tradizioni e delle così dette “radici” delle unità nazionali. In tal senso la pittura, la musica, la raccolta di favole e racconti accompa-gnano in molte nazioni le prime metodologiche ricerche antropolo-giche e di catalogazione dei nuclei umani caratteristici per costumi, applicazioni di lavoro, produzioni di autosussitenza.“Nec proprie dicitur: tempora sunt tria, praeteritum, praesens et futurum, sed fortasse proprie diceretur: tempora sunt tria, praesens de praeteritis, praesens de praesentibus, praesens de futuris. sunt enim haec in anima tria quaedam et alibi ea non video, praesens de praeteritis memoria, praesens de praesentibus contuitus, praesens de futuris expectatio”.“Impropriamente si dice: «tre sono i tempi: il passato, il presente e il futuro». Più esatto, si dovrebbe dire: «tre sono i tempi: il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro». Queste ultime tre forme esistono nell’anima, né vedo possibilità altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l’intui-zione diretta, il presente del futuro è l’attesa”.(Sant’ Agostino, Confessionum Libri XIII, Libro XI, Capitolo XX)

Il senso delle forme tradizionali Tradizione è “consenso attraverso il tempo”. Da questo consenso dipende la continuità di una società e delle sue forme, ma anche la sua capacità di aggiornarsi e progredire armoniosamente. Il consen-so attraverso il tempo è un filo, a volte esile, che non si deve spez-zare, perché collega tra loro le successive generazioni, quando esse attribuiscono lo stesso significato, attraverso il tempo, a ciò che le caratterizza: ai propri gesti o ai propri luoghi.Non riuscire più a comprendere il senso dei gesti e dei luoghi delle precedenti generazioni, o addirittura negarlo, o perderne la memo-ria, si paga con la perdita di identità e del senso di appartenenza. Gradualmente non si riesce più a mantenere la propria autonomia di fronte all’unica cultura dominante, non si è più capaci di espri-mersi secondo forme diverse da quelle generalizzate e banali, perché tutte le espressioni locali e tradizionali perdono di vitalità e capacità di armonioso rinnovamento: così i dialetti, l’artigianato, le forme del proprio abitare e dei propri paesaggi agrari.Il rifiuto e la distruzione delle proprie tradizioni locali, attuato (in

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egli ideò una forma di museo completamente nuova, un “museo all’aria aperta”, in cui l’esperienza del visitatore fosse vivida e diretta. Il successo dell’idea di Hazelius fu immediato e diffuso: nello stesso anno, sempre in Svezia, venne aperto un museo simile a Lund, nel 1894 in Norvegia a Oslo, nel 1901 in Danimarca a Lyngby, nel 1906 in Finlandia a Turku e Kemiii, nel 1912 in Olanda ad Ar-nhem, per citare i principali. Nei primi decenni del nostro secolo, l’istituzione creata da Hazelius si diffuse, dai paesi nordici, a quelli dell’Europa centro-orientale e quindi nel resto del continente e del mondo intero. Oggi il museo all’ aperto costituisce non solo una forma museale tra le più interessanti, ma anche un centro di irra-diazione di cultura e di iniziative per la protezione del pa-trimonio architettonico rurale.In più di cento anni di vita, dal modello iniziale offerto da Skansen, l’istituzione del “museo all’aperto” si è evoluta e articolata in diversi tipi. In generale, si può dire che l’orizzonte del museo, dai fabbricati rurali ricostruiti e le loro pertinenze, si è progressivamente allargato fino a comprendere i paesaggi agrari e vasti ambiti territoriali in cui gli edifici sono conservati sul posto. Molti musei all’aperto europei sono oggi una combinazione di questi due tipi.

Musei all’aperto dell’architettura e della cultura rurale Nel 1972 la “Association of European OpenAir Museums” ha defini-to i musei all’aperto “raccolte condotte scientificamente, su un’area all’aperto, di insediamenti, costruzioni, abitazioni e forme econo-miche, rap-presentativi di tutto l’arco del loro perdurare”. Sempre più spesso, i paesaggi naturali e agrari tradizionali, ricostruiti nel rapporto con gli insediamenti, sono diventati oggetto d’esposizione in molti musei d’Europa (ad esempio Nowy Sacz e Sanok in Polo-nia, Bugac in Ungheria, Detmold, Kiel e Kommern in Germania, Bokrijk in Belgio, Ballenberg in Svizzera).Gli insediamenti conservati sul posto e quelli ricostruiti possono anche essere sparsi sul territorio (villaggi vicini o lungo una costa, malghe) e costituire un museo diffuso.

Edifici e paesaggi conservati in situ, “musei diffusi” ed “ecomu-sei”Nei musei all’aperto in cui gli edifici sono conservati sul posto la cesura tra area museale e territorio circo-stante è molto più sfumata che nei musei all’aperto di edifici ricostruiti. Nei “musei diffusi” i paesaggi con-servati e i loro insediamenti sono solo i luoghi di mag-giore intensità o bellezza, o di valore documentario, di una regione. Nell’esperienza del visitatore, i luoghi del museo e il territorio cir-costante continuamente si arricchiscono e potenziano a vicenda. Il luogo del museo diventa la chiave di lettura del territorio regionale. Ogni informazione che il museo dà sui meccanismi che storicamen-te hanno portato ad una determinata forma insediativa o di paesag

gio agrario è immediatamente verificabile nel territorio cir-costante.I musei di questo tipo documentano solitamente forme culturali che fanno un uso estensivo del territorio o che hanno un rapporto in-dissolubile con paesaggi particolarmente vasti: Stord e Stavanger, ad esempio, sono musei di insediamenti costieri sparsi nel paesaggio di fiordi e isole norvegesi e raggiungibili per mare; il museo di Cregne-ash (Irlanda del Nord) documenta la pastorizia e la pesca sull’Isola di Man; a Harnosand (Svezia) un insediamento conservato sul mare e uno all’interno illustrano la tradizionale economia differenziata nel Vasternorrland; il tema del museo di Bugac è l’allevamento e i pa-scoli in una regione della grande pianura ungherese; quello del mu-seo diffuso di Nova Bystrica-Vychylovka la pastorizia in Slovacchia.La varietà e la complessità dei paesaggi europei è il frutto dell’opera millenaria dell’uomo. Le tradizionali civiltà contadine hanno svilup-pato un enorme bagaglio di conoscenze, fondate sull’esperienza e sulla continuità tra generazioni, che hanno permesso, fino agli anni del dopoguerra, la conservazione di ecosistemi complessi e stabili.In Francia sono già 35 gli “ecomusei” realizzati. Gli ecomusei sono formati da un centro amministrativo e ricettivo principale e da una serie di sezioni sparse sul territorio, collegate tra loro e con il centro (chiamate dagli ideatori “antenne”). Il centro principale, ospitato spesso in un grande edificio storico ristrutturato, è dotato di sale espositive per mostre permanenti e temporanee, spazi per attività di ricerca e documenta-zione, attività culturali ed educative, laboratori di restauro, biblioteca, archivio fotografico e cartografico. I siti sparsi possono essere insediamenti rurali conservati sul posto, monumenti storici, piccoli musei comu-nali, paesaggi agrari tradizionali, aziende agricole attive, laboratori artigiani, aree naturali, pascoli.Organismi internazionali e associazioni di musei paesaggistici La collaborazione tra musei all’aperto è particolarmente importante per lo scambio di esperienze gestionali e di studi, perché le analogie di forme delle diverse culture contadine attraversano spesso regioni e stati. Le associazioni più importanti sono: I.C.O.M. (lnternational Council of Museum) organismo interna-zionale, collegato all’U.N.E.S.C.O., che si occupa di ogni tipo di museo, al quale fanno riferimento tutte le associazioni specifiche; AI.M.A (Association lnternationale des Musées de Agricolture); A.M.I.T.A. (Associazione dei Musei Agricoli Italiani);Association of European Open Air Museums.

Oggi il riconoscimento e l’assunzione, all’interno del patrimonio culturale nel senso più ampio, delle testimonianze dei diversi pe-riodi storici di civiltà contadine e pastorali, è un fatto acquisito ed è ampia, nella lista delle candidature alla nomina di “patrimonio dell’Umanità”, di luoghi significativi nel senso sopra descritto.

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Esempi di paesaggi agropastorali in Italia: il tratturoUn significativo esempio di paesaggio pastorale con le caratteristiche del paesaggio diffuso è il tratturo.Il tratturo è un largo sentiero erboso, pietroso o in terra battuta, sempre a fondo naturale, originatosi dal passaggio e dal calpestio de-gli armenti. La larghezza del suo percorso è stabilità dall’antichità a 111 metri. Il suo tragitto segna la direttrice principale del complesso sistema reticolare dei percorsi che si snodano e si diramano in sen-tieri minori costituiti dai tratturelli, bretelle che univano tra loro i tratturi principali, dai bracci e dai riposi. Questi percorsi erano utilizzati dai pastori per compiere la transumanza, ossia per trasferire con cadenza stagionale le greggi da un pascolo all’altro.In Italia l’intrecciarsi di queste vie armentizie, stimato in 3.100 km, si rileva nei territori delle regioni centro-meridionali. Le vie erbose si trovano diffuse principalmente in Abruzzo, Molise, Umbria, Basili-ca-ta, Campania e Puglia. Le loro piste erano percorse nelle stagioni fredde in direzione sud, verso la Puglia, dove esisteva, presso la città di Foggia, la Dogana delle pecore, mentre nei mesi caldi le greggi percorrevano il percorso inverso tornando ai pascoli montani

dell’Appennino centrale. L’intero apparato stradale si origina nelle zone montane e più interne dell’area abruzzese e si conclude nel Tavoliere delle Puglie. Lungo i percorsi si incontravano campi col-tivati, piccoli borghi dove si organizzavano le soste, dette stazioni di posta, chiese rurali, icone sacre, pietre di confine o indicatrici del tracciato.Le prime strade tratturali della transumanza si costituirono in modo spontaneo coprendo distanze a breve raggio. Erano probabilmente già segnate in epoca preistorica nelle terre del bacino del Mediterra-neo, se ne ipotizza l’esistenza in Italia, Spagna e Francia. Nel periodo compreso tra la il V ed il VI millennio a.C. in Abruzzo non vi fu una massiccia presenza di vie erbose che si incrementò durante la protostoria. Il ritrovamento di recinti fortificati lungo questi per-corsi nella Valle Subequana, il Castellone di Civitaretenga, vicino alla Chiesa di Santa Maria de’ Centurelli a Caporciano, luogo dove il Tratturo Magno si biforca, porrebbero essere posti in correlazione all’attività della pastorizia transumante con l’uso di questi sentieri.Non è dato conoscere quali e quante furono le vie armentizie nei tempi più lontani, ma sicuramente ancor prima della costruzione delle strade romane la sede dei percorsi tratturali vedeva il lento e copioso fluire della transumanza. I tratturi dell’Italia Centro - Me-ridionale nacquero con le civiltà preistoriche e furono particolar-mente sviluppati nel periodo sannita, con importanti centri e for-tificazioni sorte lungo il loro per-corso. Nella tradizione del popolo dei Sabelli erano le direttrici della transumanza il cui utilizzo era gratuito. L’arrivo dei Romani e l’imposizione del dazio sui capi in transito avrebbe determinato l’insurrezione di queste genti abituate alla libera circolazione. Il Regio tratturo L’Aquila-Foggia, chiamato anche Tratturo del Re o Tratturo Magno, con i suoi 244 km è il più lungo tra i tratturi italiani. Esso viene tuttora percorso ogni anno dai membri di un’as

Il Tratturo Magno, di epoca pre-romana, si sviluppa nell’Italia centro-meridionale per 244 chilometri.

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sociazione che ne organizza la fruibilità, relazionandosi con i punti di accoglienza esistenti ed effettuando un rilievo delle emergenze storiche e naturali. Viene infatti percorso anche da pastori che, con il loro gregge, guidano chiunque voglia rivivere questa transumanza a piedi, lungo un’antichissima via così a lungo percorsa e oggi in recupero.

I vigneti della ValtellinaLa geomorfologia della Valtellina, il suo clima e la sua orientazio-ne sono particolarmente indicate per la viticoltura. Con pazienza inesorabile, i suoi abitanti hanno terrazzato la valle, e facendo fron-te agli svantaggi di questo suolo sabbioso, limoso, arido e molto permeabile, hanno sfruttato l’orientazione spiccatamente favorevole della valle per la crescita della vite, ottenendo una produzione di vino di alta qualità. La valle è infatti una delle poche valli di grandi dimensioni ad essere orientata Est-Ovest, con un versante quindi completamente affacciato a Sud.

Il sistema del terrazzamento tramite muri a secco è comunemente utilizzato nell’agricoltura delle aree prealpine; l’eccezionale caratte-ristica qui riscontrata è l’estensione di questi terrazzamenti (quasi 2500 chilometri distribuiti lungo 30 chilometri di pendii) e il fatto che essi rappresentano il risultato di un’attività sperimentale che si è protratta per secoli, in particolare tra la seconda metà del 1500 e il 1700, quando l’area faceva parte del Cantone dei Grigioni.Il paesaggio dei vigneti in Valtellina, così come nelle Langhe, nel Roero e nel Monferrato, è stato largamente celebrato nelle arti e in letteratura. La modellazione della terra attraverso laboriose tecniche di coltivazione, seguite da periodi di grande produzione – raccolta, fermentazione e imbottigliamento del vino – hanno dato luogo ad una vasta eredità di antiche tradizioni e leggende associate anche ai fenomeni di devozione. Infine, questi paesaggi viniferi sono il risul-tato di una lunga ricerca e sperimentazione riportata in numerosi trattati scientifici.

L’UNESCO ha inserito i paesaggi viticoltu-rali della Valtellina (foto), del Roero, delle Langhe e del Monferrato nella “Tentative List” del Patrimonio dell’Umanità. Si tratta di un riconoscimento del valore intrinseco di una cultura agraria tuttora viva ed economi-camente sostenibile.

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In basso: recinti pastorali sulle isole Incoro-nate, nella Dalmazia settentrionale.

A destra: un approdo sull’isola di Lygra, Parco Nazionale norvegese.

L’isola di Lygra in NorvegiaL’isola di Lygra si trova nella Norvegia centro-occidentale, lungo le coste frastagliate della tundra scandina-va. Peculiarità dell’isola è il suo ecosistema relazionato ad antichi fenomeni di pastorizia ancora latenti. Si tratta infatti di una località in cui è rimasto superstite l’equilibrio della brughiera atlantica, una conforma-zione vegetale dovuta al pascolo di pecore in stato semi-selvatico. Il libero pasco-lo mantiene la vegetazione bassa, con prevalenza di erica; le pecore brucano l’erica d’inverno in modo da limitarne la crescita. Il pae-saggio che ne consegue è tanto caratteristico da costituire un “tipo” storico che si ritiene giusto conservare e valorizzare. L’isola di Lygra è divenuta a tal ragione patrimonio nazionale e meta di numerosis-simi turisti.Si può notare come i paesi dell’Europa settentrionale siano più sen-sibili alla salvaguardia istituzionalizzata di paesaggi che permettano la conservazione di identità locali. Gli elementi che caratterizzano la tipicità dell’isola non sono forse di sorprendente attrazione, ciono-nostante rappresentano sicuramente una testimonianza, ed una ric-chezza biologica, di un equilibrio naturale di matrice antropologica che i norvegesi hanno saputo valorizzare.

Le isole Incoronate in CroaziaL’arcipelago delle isole Incoronate (in croato Kornati) è situato nel nord della Dalmazia, di fronte alla città di Sebenico. Con 35 km di lunghezza e 140 isole, alcune grandi, altre molto piccole, in un’area di mare di 320 km2, quello delle Incoronate è il più denso arcipela-go del mar Mediterraneo. Le isole sono in gran parte disabitate, ma presentano rilevanti monumenti che documentano un passato stori-co intenso. L’arcipelago venne infatti colonizzato dagli Illiri (VII-IV millennio a.C.), dopodichè dai romani, dai bizantini, dai veneziani

e dai croati. Un aspetto interessante di queste isole è la presenza di recinzioni di muri in pietra costruiti per la pratica della pastorizia. I muri sono rigorosamente lineari, e solitamente sono trasversali all’andamento longitudinale delle isole, da costa a costa senza mai essere intersecati. Le isole risultano quindi essere scandite in parti rettangolari di dimensioni quasi costanti. Oltre al pascolo estensivo, è presente anche la tradizionale coltura dell’olivo e della vite. L’ar-cipelago divenne Parco Nazionale Croato nel 1980, mentre oggi è entrato nella “Tentative List” del Patrimonio dell’Umanità Unesco.

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Le Andenes in PerùIn numerosi località della catena Andina esistono terrazzamenti in-caici. La località più nota dove si possono ammirare è Machu Pichu, ma negli ultimi anni sono stati posti in evidenza altri luoghi. Uno di questi è la città di Cuzco, dove l’architetto Darko Pandakovic ha progettato un museo che mette in risalto proprio la presenza di tale struttura paesaggistica. Il museo è parte del complesso monumenta-le di Qorinancha.La coltivazione in terrazzamenti, detti Andenes, è costituita da muri in pietra a secco e un riporto di terra coltivabile. La tecnica di co-struzione delle andenes era anteriore all’arriva dell’impero Inca, che la apprese e la perpetuò, conferendo alle coltivazioni un aspetto mo-numentale con l’apporto di scalinate e di canali di irrigazione. L’ap-porto dell’acqua era ad ogni modo fondamentale per la coltura del mais. Le andenes più spettacolari sono situate nei pressi di Cuzco: in particolare Pisac, Ollantaytambo, Machu Pichu.

Sono opere di architettura civile a dimensioni ciclopiche che dovet-tero mobilitare migliaia di operai e che richiesero la necessità di tra-sportare milioni di metri cubi di terreno fertile e di pietre sagomate.Questi lavori del genio agricolo illustrano certamente il dominio dell’arte costruttiva dove sicuramente l’impero incaico ha realizzato opere meravigliose con mezzi non certamente moderni raggiungen-do risultati sorprendenti, spesso ancor oggi per noi difficili da capire. Una delle opere più sorprendenti sono le andenes di Moray, presso il rio Urumamba: sembrano quasi delle miniere a cielo scoperto. Si tratta di una gigantesca escavazione dove le terrazza sono disposte ad anfiteatro e che dovettero servire da laboratorio agronomico per creare dei microclimi idonei alla crescita di piante cerimoniali o spe-rimentali.MachuPichu, una città costruita sulla vetta di una montagna sco-scesa, è completamente circondata da andenes: gli abitanti potevano coltivare quanto serviva per vivere. Forse erano anche giardini colti-vati dalle “figlie del Sole”.Questo sistema di terrazzamenti aveva un triplice scopo: (1) per-metteva di frenare l’erosione del terreno; (2) aumentava il terreno coltivabile in luoghi scoscesi e rocciosi e (3) grazie alla sapiente for-mazione di pic-coli canali comunicanti, raccoglieva l’acqua necessa-ria ad irrigare il terreno.Le avanzate tecniche di agricoltura degli Incas furono la ragione del successo del loro impero. Essi conoscevano come migliorare la qua-lità delle verdure, il loro gusto e la loro resistenza al freddo, e come innestare le piante per migliorarle. Il più alto successo nell’agricol-tura Inca era il fatto di poter garantire un’abbondante e permanente scorta di cibo per tutte le parti dell’impero.

A fianco: le andenes di Moray, presso il rio Urumamba. Servivano da laboratorio agro-monico per creare nuove specie.

Più a sinistra: terrazzamenti particolarmente verticali sui pendii di Machu Pichu.

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Il paesaggio delle Cicladi: millenni di mura in pietra

I paesaggi delle isole Cicladi sono una ricchissima testimonianza di come è stata la vita dei popoli dell’Egeo per migliaia di anni. Per capire la peculiarità delle isole bisogna comprendere anzitutto il loro paesaggio naturale.Le isole sono picchi di un terreno montuoso sommerso, con l’ec-cezione di due isole vulcaniche, Milos e Thera (Santorini). Il clima è generalmente secco e mite, ma, con l’eccezione di Naxos, il suolo non è molto fertile: viti, frumento e ulivi sono tra le poche essenze benefiche che il terreno può nutrire. Temperature più fresche si tro-vano alle altitudini più elevate, e tendenzialmente queste isole non ricevono un clima invernale. Durante tutta la stagione estiva non cade una goccia di pioggia, il terreno è quasi completamente secco, l’erba è gialla e sembra paglia e il caldo è intenso. Bassi arbusti, cardi e cespugli spinosi sono gli elementi di una vegetazione legnosa e spezzata. Solo lungo gli incavi delle valli, gli oleandri e qualche eu-calipto forestiero sfruttano un distillato di umidità, mentre le poche ombre nette sul suolo invitano animali e uomini all’attesa.Durante i mesi invernali il sole più basso e le piogge nell’entroterra rinfrescano e rinvigoriscono le piante, i prati tornano momentane-amente verdi e i bassi globi spinosi si riempiono di boccioli pronti alla fioritura primaverile.E sassi, sassi ovunque. Sono loro i veri protagonisti di queste terre montuose dalla natura di pietraie. Qualsiasi attività si sia voluta pra-ticare sulle coste, sulle colline e sugli altipiani ha dovuto affrontare il problema delle pietre, poiché queste tappezzano la terra.Ora, il punto di partenza è il seguente: i popoli nomadi delle steppe continentali si spostano sempre con il loro bestiame, che mangia ciò che trova nel suo eterno migrare. Ma quando c’è insediamento, c’è agricoltura stabile e pascolo stabile. Come vivere, come coltivare e come far pascolare il gregge su questi ossuti pendii dove ogni passo è un ostacolo?Ecco vediamo gli antichi abitanti che si piegano e spostano a mano le pietre per liberare il terreno. Inconsapevoli, compiono quell’an-tichissimo gesto che per generazioni e generazioni costituirà l’unica via per sopravvivere su queste terre. Da secoli, questi arcaici abitanti conoscono per tradizione la tecnica di coltivare le piante comme-stibili, addomesticate nella notte dei tempi, e questo antico sapere di certo non è stato abbandonato nelle loro terre d’origine, di là del mare. Viene spontaneo per loro sfruttare le occasioni che la terra offre, perché pochi sono i regali e perenne la fame. Le pietre raccolte

servono per sostenere i terrazzamenti, così da avere piatte fasce di terra, su cui l’acqua non scorre via come sui pendii. E, soprattutto, le pietre, impilate in muri, bloccano la via agli animali. È infatti necessario che le capre e le pecore e gli asini consumino con logica l’erba disponibile, mangiandola quando è alta e lasciandola crescere quando è bassa. Con le pietre, infatti, si possono creare dei confi-ni: le terre di riferimento di una famiglia o di un genos vengono recintate, separate e a loro volta ripartite. È necessario anche che gli animali non invadano i terreni coltivati, e ovviamente che non scappino. Così fecero le prime tribù meglio organizzate, mentre al-tre copiavano la tecnica o scomparivano senza risorse. E così faranno per centinaia di anni, perpetuando questo faticoso artificio di padre in figlio. Dobbiamo immaginare, infatti, che queste dinamiche sono durate secoli, che niente è avvenuto all’improvviso e che ciò che per noi può sembrare ovvio, è frutto in realtà di una lunghissima fase di tentativi e miglioramenti.Le isole Cicladi ancora oggi raccontano questa storia, poiché la vita delle loro genti si è protratta nei secoli con una organizzazione af-fine, e con pochi cambiamenti fino agli inizi del XX secolo. Oggi questa autarchia millenaria è scomparsa, lasciando in eredità mil-lenni di muri in pietra, infiniti monumenti litici all’ingegnosità del pensiero umano. Pensiero che fa della tecnica una prassi … e forse qualcosa di più.

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Segni e attività sul territorio

Sull’isola di Tinos sono innumerevoli i segni di un’attività agropastorale dal carattere intensamente produttivo.

raccolta, che si faceva di buon ora, le greggi venivano condotte in montagna per buona parte dell’anno, di modo che i villaggi erano doppi: durante il periodo dei lavori agricoli, i contadini abitavano in pianura, e in estate in montagna. Al di sopra di Kavusi, località prei-storica, sono state scoperte fondamenta e cocci dell’età minoica su una cresta dove la scarsa estensione del sito e i venti d’inverno non avrebbero consentito un soggiorno permanente. Era, senza dubbio, un casale estivo, una metoichìa, come la chiamano i greci, abitata nel periodo tra la falciatura e la vendemmia.La razza bovina contribuiva largamente alla ricchezza dei cretesi, ai quali i buoi non servivano solo come animali da macello, poiché per lungo tempo non ebbero altre bestie per tirare i carri. Gli dèi e i morti chiedevano per vittime tori e torelli, le cui corna erano con-sacrate nei templi e nei luoghi sacri, e i conciatori avevano bisogno di belle pelli dal pelo grigio, bruno o nero, per farne scudi e cinture. Del resto, il bue fu di buonora e restò per molti secoli l’unità di scambio (in greco antico boi è uno dei termini di carattere pecunia-rio, come del resto pecunia in latino era la pecora). Non accadeva certo di sovente che un proprietario possedesse una mandria quale quella che si vede sulla scodella di Palecastro, duecento bestie che si pigiano e si spingono; ma di bovini ce n’erano in ogni località dell’isola, e non c’è da stupirsi che tutti gli atteggiamenti del toro, al pascolo o infuriato, e della vacca che allatta il suo vitello siano stati familiari ad artisti dalla visione pronta.Le varietà di buoi allevate a Creta erano parecchie. La varietà primi-tiva, il Bos primigenius, si riconosce grazie alle ossa trovate in mol-tissimi luoghi, ai denti, alle vertebre e ai grandi e massicci crani dalle corna lunghe sino a 40 centimetri e dalla circonferenza di 30 alla base. Questo ruminante vorace viveva nelle macchie e nei pascoli dei bassipiani. Feroce, ma atto per la sua forza a ogni sorta di lavoro, era catturato giovane e veniva addomesticato quando gli spuntavano le corna. Dalle acrobazie abituali dei mandriani ebbero forse origine le corse dei tori, di cui i cretesi erano appassionati, e il cui scopo era di operare la selezione. Questo possente animale fu l’animale sacro per eccellenza, il Minotauro. Due altre varietà, il Bos brachyceros e il Bos domesticus, erano di tipo straordinariamente vigoroso, ma i continui incroci fecero sparire il secondo verso il XVI secolo.Il bestiame minuto abbondò a Creta in tutti i tempi. La carne suina faceva parte dell’alimentazione quanto l’ovina e la caprina. In un mucchio di ossa trovate a Tilisso, sono state contate trentadue ma-

Si può ammirare, sulle isole greche, il tracciato di muri in pietra a secco che si allineano, s’incrociano, divaricano formando una in-terminabile rete di figure geometriche sui terreni scoscesi e sassosi; oppure la successione altimetrica di muri di sostegno a formare ter-razzamenti per le coltivazioni. Moltissime isole sono state produtti-vamente abbandonate tra ‘800 e ‘900, senza subire le trasformazioni di una meccanizzazione poco probabile considerata l’orografia, e l’immagine di un mondo fermo a tremila anni fa è rimasta quasi intatta, immobile nel silenzio del mare, irradiando il “senso di soli-tudine” degli spazi privati delle loro attività. Questi segni rimasti sul territorio sono innumerevoli, e ci narrano un mondo fatto di attività manuali e di gestione degli spazi. Agricoltura e pastorizia sono pro-tagonisti in un paesaggio promiscuo davvero affascinante.

L’allevamento del bestiameLa pratica della pastorizia accompagna l’uomo da millenni, da quan-do cioè praticava una vita essenzialmente nomade.I nuclei famigliari che occupavano le isole dell’Egeo durante il perio-do cicladico erano sicuramente capaci di gestire i grandi mammiferi, di condurli al pascolo, di manovrarli e di controllarne la gestazio-ne. Una breve descrizione del rapporto che aveva la civiltà arcaica dell’Egeo con l’allevamento, tratta dal volume di Gustave Glotz “La civiltà egea”, sarà utile per capire quanto gli antichi isolani vivevano fianco a fianco con gli animali.

« (…) L’allevamento ebbe infatti altrettanta importanza che la colti-vazione, anche quando non fu più la risorsa quasi unica. Gli abitanti di Preso e di Palecastro, a Creta, lo tenevano in gran conto, perché, come sappiamo, il latte e la carne avevano un notevole posto nella loro alimentazione. Il bestiame era, inoltre, indispensabile per le ve-sti, per i trasporti e per gli scambi, per i giochi e per i sacrifici.Tutte le incombenze della vita pastorale erano riservate agli uomini, e questo privilegio aveva indubbiamente la sua nobiltà, come ebbe più tardi ai tempi di Omero: su di una scodella di Palecastro spicca in rilievo, nel mezzo di un’immensa mandria, la figure di un adole-scente che munge una vacca. Un rilevante numero di sigilli rappre-senta caprai e lattai con sulle spalle bastoni da cui pendono otri o giare piene di latte. La maggior parte di questi pastori esercitava, a quel che sembra, anche un qualche piccolo mestiere accessorio.Come anche oggi, i cretesi praticavano la transumanza. Dopo la

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scelle di montone e di capra su diciassette di maiale.Il cavallo restò sconosciuto a Creta fino all’arrivo dei Micenei, che lo importarono dalle loro terre di origine balcaniche o asiatiche. I vo-latili da cortile non mancavano nei paesi dell’Egeo. L’apicoltura era prospera, come in tutti i paesi che non conoscono lo zucchero. Ai prodotti dell’allevamento s’aggiungevano in notevole quantità quelli della caccia».

Pastori e pastorizia a NaxosDalla preistoria fino ai primi del Novecento, l’economia delle iso-le Cicladi è quasi sempre stata di carattere autarchico. Ogni isola ha dovuto produrre il necessario per sopravvivere, soprattutto per quanto riguarda la produzione di cibo. Per questo motivo, l’organiz-zazione produttiva delle campagne dell’arcipelago è rimasta simile a se stessa lungo l’arco dei secoli. Rispetto alla terraferma, qui il paesaggio produttivo ha avuto un’inerzia particolare, conservando – anche a causa della regressiva dominazione turca – lo stesso aspetto arcaico che è sempre esistito in concomitanza degli insediamenti umani. Le strutture pastorali, diffusissime sulle isole e oggi quasi tutte abbandonate, sono quindi una testimonianza preziosa di come si è protratta la vita per decine di secoli. L’isola di Naxos è stata og-getto di uno studio inerente proprio al tema della pastorizia (Iannis Veronis, Βόσκοι και βοσκόσυνη στην ορεινή Ναξο”).L’intero arcipelago delle Cicladi soffre di invasioni di pirati saraceni, algerini, tunisini, genovesi e veneziani dall’VIII secolo al 1830. Per questo, il Sud Est di Naxos non pesenta insediamenti permanenti,

ma solo recinti per il pascolo e strutture per la pastorizia, che de-scriveremo in seguito. Le prime stalle dell’isola erano le caverne. Il termine “Δέμα, δέματα” indica una superficie estesa montuosa di decine di ettari recintati che appartengono al pastore o vengono af-fittati. Il recinto è detto τράφος, l’altezza del muro è di 2 metri, se questo è più basso vengono aggiunti cespugli con spine. Il dema de-finisce recinti per pecore o capre, ma anche superfici libere, boschi. Al suo interno è presente il Μάντρα, il recinto interno che ospita le principale attività. La famiglia del pastore vive nel paese, dove il pa-store torna ad intervalli a seconda dei lavori e delle stagioni. All’in-terno del mandra, infatti, vi è un alloggio per il pastore. Negli ultimi anni dell’Ottocento, a Naxos, il pastore viveva dentro il mantra con la sua famiglia e con i bambini.I pastori usavano corteggiare le donne spedendo a casa loro formaggi e invitandole al ballo durante le festività. Spesso succedeva che un pastore “rapisse” una giovane donna, portandola nel suo mandra. Faceva spesso più di 5 figli. Si sa che i pastori vicini di dema litigava-no in continuazione. Mangiavano pane, olive, patate, latte, caglio, e raramente formaggio e carne. Non aveva stoviglie né bicchieri. Se un animale era ammalato, veniva mangiato a seconda della malattia che aveva, o ne venivano mangiate solo alcune parti: se per esempio aveva la malaria lo mangiava solo il cane. In molte parti, i pastori festeggiano ancora il giorno dell’Ascensione di Cristo non produ-cendo formaggio. La gente del paese portava regolarmante regali al mandra. Molti pastori usano far entrare le loro pecore in mare per lavarle.

Due dema nella Naxos meridionale.

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Le attività agricoleLa coltura promiscua è sempre stata un espediente necessario all’in-terno delle comunità autarchiche. Presso ogni unità produttiva, in-fatti, si trovano spesso dei terreni per le vigne, con annessi i pigiatoi, una sorgente per l’acqua o una cisterna, un albero di melograno, delle piante di fico, e via dicendo. Era molto importante avere un pigiatoio per evitare i costi di trasferimento dell’uva e del vino e possibili inganni sul prezzo. A grande scala, la coltura promiscua di cereali ha sempre abbondato: orzo, grano, poco mais. Le tasse dipendevano dalle produttività del suolo (tendenzialmente a valle maggiori che in montagna).Durante il 17° secolo gli orti occupavano il 7% della totalità dei campi. In un paesaggio in prevalenza coltivato a grano e cereali, erano presenti anche macchie di orti e frutteti. Anche durante l’an-tichità spesso i frutteti erano di proprietà diversa rispetto al possi-dente terriero, quindi il contadino possedeva le piante ma non la terra. Ampie superfici dedicate agli orti erano presenti presso le case, e qui erano coltivati vari legumi e verdure, durante tutto l’anno. I campi che non venivano coltivati potevano diventare proprietà di un gruppo di due o più persone (share-cropping arrangement) a cui era affidato il compito di pulire e rifertilizzare il campo. Per riferti-lizzarlo dovevano bruciare tutto, pratica comune in tutte le Cicladi.La recinzione era importante per tutti i tipi di campo. La costru-zione e la manutenzione dei muri a secco (trafi) era responsabilità del proprietario. I muri a secco dovevano essere abbastanza alti per bloccare gli animali. I confini delle proprietà erano in concomitan-za di canali d’irrigazione, piccoli torrenti, alberi, case, rocce, e altri caratteristiche naturali, oppure di una strada comune. I campi ave-vano una superficie pari a quella che una coppia di buoi poteva arare in un giorno.La presenza dell’acqua era importante per determinare il tipo di coltivazioni da istituire, e influenzava la comodità dell’agricoltore e degli animali. Per quanto riguarda l’acqua, Naxos era un’isola pri-vilegiata, con pozzi, fontane, sorgenti, piccoli laghi, cisterne. Nella maggioranza dei casi c’era un autorità (il comune o il feudatario) che disponeva l’acqua comune attraverso una rete di canali.Gli abitanti di Naxos esportavano orzo, vino, fichi, lino, cotone, grappa, olive e frutta. Dopo il 1670 si esporta anche grano, piccoli fagioli, lenticchie, veccia, miele. Anche se non vi era una grande esportazione di orzo, se ne produceva molto per i bisogni interni. Le olive e i fichi selvatici erano in abbondanza. Nelle montagne si trovano tuttora molti ulivi selvatici, questo perché nei secoli scorsi gli alberi erano di proprietà del feudatario e non del mezzadro, e così la piantumazione era alta, ma il raccolto e la manutenzione erano poco efficaci. Al contrario, dai fichi selvatici – soprattutto le piante maschio – traevano rami che innestavano nei fichi coltivati per una maturazione anticipata. Nel 1670 vi erano 4991 fichi, 4817 ulivi e 1843 altre piante da frutto. I fichi, essendo molto nutrienti, ap-partenevano nella maggioranza alla popolazione contadina. L’ ulivo veniva essenzialmente coltivato per la sua facilità di esportazione e di trovare compratori. I frutteti erano considerati come un lusso e solo il 20% di loro apparteneva alla popolazione agricola -che era la maggioranza della popolazione isolana- mentre il restante 80% era di proprietà dei più abbienti.

Metodi e tecniche agricoleFino al XX secolo le tecniche dell’agricoltura nel Mediterraneo erano rimaste quasi immutate dall’antichità, per lo meno rispetto alle in-novazioni dell’ultimo secolo. La tecnica di far trainare l’aratro da un animale era già descritta da Esiodo. Questa tecnica non poteva essere utilizzata nelle vigne e nei campi lungo i declivi più frammentati delle colline. Inoltre l’aratura a mano presentava grandi fatiche. Vi erano metodi precisi di fertilizzazione del terreno, di bonifica degli stagni, di creazione di canali di irrigazione, di concimazione, di pratica del maggese.Pratica comune era la divisione del campo in due parti e il suo sfrut-tamento alternato di anno in anno. La coltivazione dei fagioli era spesso praticata successivamente ad un altra coltivazione, per rifer-tilizzare il terreno grazie alla produzione di azoto che, in contatto con l’acqua piovana, produce ammoniaca (NH3), presente anche nei concimi e nei fertilizzanti odierni. L’essenza coltivata nel campo cambiava ogni anno con flessibilità, a seconda delle condizioni del terreno, dei bisogni dei coltivatori o dei feudatari.Presso le isole più piccole delle Cicladi, come ad esempio Kimolos, l’intero suolo di una comunità veniva diviso in due parti (spesso una a valle e una a monte) e annualmente ne si alternava lo sfruttamen-to, passando da agricolo a pastorale, o viceversa. Una di queste due parti poteva consistere anche in un unico recinto. I due campi erano separati da un muro a secco e comunicavano attraverso una porta. A Sikinos questo dualismo era categorico: un campo era destinato alla coltivazione del grano, e dopo la raccolta, veniva aperto al pasco-lo degli animali; l’altro campo ospitava le altre colture estive quali i frutteti. A Naxos questo sistema era più complesso a causa delle di-mensioni dell’isola, e poiché qui la mezzadria è esistita anche durante l’occupazione ottomana.

Calendario dei lavori agricoliA causa della presenza di coltura promiscua e del clima temperato dell’arcipelago, il lavoro dell’agricoltore era sviluppato durante tutto l’arco dell’anno.• ottobre:seminadell’orzo• novembre:seminadelgrano,• daottobreagennaio:raccoltadelleoliveasecondadella varietà, piantumazione delle nuove vigne e dei nuovi uliveti nelle zone costiere• gennaio:piantumazonedellevigneinaltamontagna• primavera:seminadicetrioli,meloni,legumieverdure• aprile:seminadelcotone• finemaggio:raccoltadell’orzo• giugno:raccoltadelgrano

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Il Mandraσωμάντρι: il recinto interno per la mungitura, di solito copertoαρμεόπετρες: pietre dove porre i contenitori per il latteσταύρωμα: ingressoριφότρυπα: doppio muro dove vengono posti gli animali neonati per prottegerli dai pre-datoriμιτάτος: la casa ruraleπροβόλι (ξώμαντρι): il recinto esterno

Il Mitatosα) Στεν’ομακρος μιτάτος με μάσκες (casa con stanze divise da un muro)προστεάδα: recinto piccolo dove mettere gli animali più grandi (mucche, cavalli, asini)χώρος τυροκομιού: spazio dove si produce il formaggioθυρίδα: conca per gli utensili con cui produrre il formaggioξωφίλι: un muro secondario piu’ basso dal mitatos (1m circa) in supporto al muro primarioαποθήκη: magazzinoκιούπια: ceramica dove è posto il latteμπαλέστρα: piccola apertura molto stretta (20 cm) per la circolazione dell’ariaχώρος ύπνου: spazio per dormireκαντουνόπετρες: pietre ad angolo

b) Mιτάτος με παριανάδες (casa con divisione ottica)λαηνοθυρίδα: buco all’ingresso dove porre un contenitore

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