TRA UOMO E DONNA ATTI del CONVEGNO CONGEDI …

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Provincia Autonoma di Trento Commissione Provinciale Pari Opportunità tra uomo e donna 2005 ATTI del CONVEGNO CONGEDI PARENTALI: Quando la cura della famiglia è realmente condivisa fra mamma e papà Trento, 8 marzo 2005 Rapporto di ricerca L’USO dei CONGEDI PARENTALI nella PROVINCIA di TRENTO a cura di Barbara Poggio e Michela Cozza Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

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Provincia Autonoma di Trento

Commissione Provinciale Pari Opportunità tra uomo e donna

2005

ATTI del CONVEGNO

CONGEDI PARENTALI:Quando la cura dellafamiglia è realmentecondivisa fra mammae papà Trento, 8 marzo 2005

Rapporto di ricerca

L’USO dei CONGEDI PARENTALI nella PROVINCIA di TRENTO

a cura di Barbara Poggio e Michela CozzaDipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

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COMMISSIONE PROVINCIALE PER LE PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA

La Commissione Provinciale per le Pari Opportunità è stata istituita nel 1993 (L.P.10/12/1993 n. 41). La Commissione ha il compito di promuovere azioni positive per sostene-re le donne a concorrere con le stesse opportunità degli uomini ad apportare il proprio contri-buto allo sviluppo della nostra società, ad esprimere le proprie potenzialità e creatività, alasciare la propria impronta ed a trasmettere la propria esperienza nel corso della vita; è dun-que impegnata su molti fronti che spaziano dalla formazione, agli interventi relativi alla vitapersonale nei suoi molteplici aspetti (il campo relazionale, affettivo e sessuale, la salute, lamaternità e la paternità, la famiglia e la cultura), alla vita lavorativa (negli innumerevoli settorie a tutti i livelli), alla vita politica, sociale, ecc…

Dalla sua costituzione sono stati realizzati numerosi progetti inerenti la realtà femminile rivol-ti a tutte le donne, quelle che si occupano della propria famiglia, quelle che lavorano fuori casa inambiti e a vari livelli, quelle che, straniere, cercano di inserirsi nella nostra comunità e, natural-mente, le giovani donne. Inoltre, sono stati realizzati momenti divulgativi per tutta la collettività.

L’attuale Commissione è stata nominata dalla Giunta provinciale nel marzo del 2004 erimarrà in carica fino al termine della legislatura; è composta da quindici donne: dodici, elettedalle Associazioni, provengono da svariate culture ed esperienze della realtà femminile trenti-na, tre sono esperte di nomina diretta provinciale.

La Commissione ha sede presso gli uffici della Provincia Autonoma di Trento

in via XXIV Maggio, 2 - 38100 Trento - tel. 0461.496.276 - fax 0461.496.288e-mail: [email protected] - www.pariopportunita.provincia.tn.it

CONSIGLIERA DI PARITA’

La Consigliera di Parità è la figura istituzionale preposta ad intervenire in modo specificosulle tematiche delle Pari Opportunità tra uomo e donna legate al mondo del lavoro.

Tale figura svolge funzioni di promozione e controllo sull’attuazione dei principi di ugua-glianza di opportunità e non discriminazione per lavoratrici e lavoratori: è un organo di garan-zia e vigilanza sul rispetto della legislazioni di parità operante a livello nazionale, regionale eprovinciale; promuove azioni positive a favore dell’inserimento e della permanenza delle donnenel mondo del lavoro e ha la possibilità di agire in giudizio contro qualsiasi discriminazione,diretta o indiretta, individuale o collettiva (L. 125/91; d.lgs. 196/2000).

La Consigliera di Parità intraprende ogni utile iniziativa ai fini del rispetto del principio di nondiscriminazione e della promozione di pari opportunità per donne e uomini nel mondo del lavoro.

La Consigliera di Parità è gratuitamente a disposizione delle persone che necessitano diinformazioni, o ritengono di subire una discriminazione di genere nell’ambito lavorativo.

Tel. 0461/496256 - fax 0461/496288e-mail: [email protected] - www.pariopportunita.provincia.tn.it

Provincia Autonoma di Trento

Commissione Provinciale Pari Opportunità tra uomo e donna

2005

ATTI del CONVEGNO

CONGEDI PARENTALI:Quando la cura della famiglia

è realmente condivisafra mamma e papà

Trento, 8 marzo 2005

Rapporto di ricerca

L’USO dei CONGEDI PARENTALI nella PROVINCIA di TRENTO

a cura di Barbara Poggio e Michela CozzaDipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

© Giunta della Provincia Autonoma di TrentoCommissione Provinciale pari opportunità tra uomo e donna2005

Convegno Congedi parentali: quando la cura della famigliaè realmente condivisa fra mamma e papà, Trento, 2005Atti del Convegno Congedi parentali: quando la cura della fami-

glia è realmente condivisa fra mamma e papà : Trento, 8 marzo 2005. Rapporto di ricerca L’uso dei congedi parentali nella Pro-vincia di Trento / a cura di Barbara Poggio e Michela Cozza. – [Trento] : Provincia autonoma di Trento : Commissione provincialepari opportunità tra uomo e donna, 2005. – 94 p. ; 24 cm

Con il testo della Legge 8 marzo 2000, n. 531. Lavoratori - Congedi – Congressi – Trento – 2005 2. Lavora-

tori – Congedi - Trentino – 2000-2004 – Inchieste sociologiche I. Poggio, Barbara II. Cozza, Michela III. Tit: Congedi parentali331.25763

Coordinamento redazionale:Anna Maria BelluccioDipartimento Istruzione - Provincia Autonoma di Trento

È consentita la riproduzione totale o parzialedi quanto pubblicato con citazione della fonte.

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ATTI DEL CONVEGNO

CONGEDI PARENTALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7

Quando la cura della famiglia è realmente condivisafra mamma e papà

RAPPORTO DI RICERCA

L’USO dei CONGEDI PARENTALInella PROVINCIA di TRENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 35

A cura di Barbara Poggio e Michela CozzaDipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

SOMMARIO

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Questo convegno, sotto forma di incontro pubblico con la cittadinanza,nasce dalla consapevolezza che in Italia – come in molti altri paesid’Europa – sono ancora pochi i padri che utilizzano i congedi parentali

(Legge 8 marzo 2000, n. 53), nonostante questi siano da tempo un dirittoacquisito per legge, riservando solo alle madri il ruolo di cura dei figli.

Grazie alla Legge 53 anche il padre può stare a casa per prendersi cura deifigli, e ciò a prescindere dal fatto che la madre lavori o meno, che utilizzi omeno i congedi parentali che la legge pure a lei attribuisce. E’, certamente, unrilevante passo avanti se si pensa che la normativa in vigore prima di questalegge, riconosceva il diritto all’astensione dal lavoro alla madre e solo in casodi rinuncia di quest’ultima, al padre. Eppure i congedi parentali sono ancorapoco conosciuti e, soprattutto, poco sfruttati dai padri.

Carenza di informazione, certo, ma non solo.Il modello culturale ed il ruolo richiesto agli uomini dalla nostra società con-

tribuiscono a scoraggiare molti padri dall’utilizzare i congedi per la cura dei figlicosicchè sono solo e sempre le donne ad essere gravate dall’impegno di cura,conciliandolo con la professione.

Non è possibile parlare di conciliazione senza affrontare la questione di ridi-stribuzione dei ruoli all’interno della famiglia. Solo dividendo i compiti, poten-do contare sulla collaborazione di tutti i componenti della famiglia è possibileottenere le giuste soddisfazioni sia personali che professionali.

Ecco i motivi alla base di questo incontro, destinato agli uomini ma a favo-re di tutti i componenti della famiglia: incoraggiare i nuovi e futuri papà a vive-re una paternità attiva, passando attraverso lo strumento della conoscenza deidiritti, ma anche attraverso un confronto aperto di esperienze e di scambio, alfine di giungere ad una suddivisione equilibrata dei compiti e dell’impegno trai genitori e conciliare così, con successo e serenità per entrambi, vita privata evita professionale.

Riteniamo che una maggiore armonia nella divisione dei compiti di curadella famiglia, possa tradursi, se realizzata veramente, in un reale miglioramen-to delle relazioni affettive dei padri con i figli, e nella realizzazione di una socie-tà in cui ognuno abbia il giusto riconoscimento ed i ruoli familiari non sianopiù subordinati l’uno all’altro ma complementari.

Annelise FilzPresidente della Commissione

Pari Opportunità

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Il percorso che sta alla base del raggiungimento di una uguaglianza di mezzied opportunità fra donne e uomini nel mondo del lavoro passa anche attra-verso strumenti come i congedi parentali. Possibili per legge ma spesso

sotto utilizzati dal genere maschile, si configurano come un’occasione di fles-sibilità e di bilanciamento fra tempi di vita lavorativi e privati e come un impor-tante passaggio verso una più equa distribuzione del lavoro di cura fra i gene-ri; obiettivi questi che incontrano ancora oggi molti ostacoli ma che possonoessere raggiunti attraverso un sostanziale riesame personale e collettivo.

La speranza è che questa pubblicazione possa rappresentare uno spunto diriflessione sia per lavoratori e lavoratrici che per datrici e datori di lavoro, sti-molando quel processo di cambiamento culturale che risulta indispensabileaffinché la nostra società offra realmente pari diritti e possibilità a donne euomini nell’ambito della conciliazione tra lavoro e vita privata.

dott.a Emanuela ZambottiConsigliera di Parità

ATTI del CONVEGNO

CONGEDI PARENTALI:Quando la cura della famiglia

è realmente condivisafra mamma e papà

Trento, 8 marzo 2005

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Trento, Sala Grande ITC

8 marzo 2005

Apertura dei lavori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11Annelise Filz - Presidente della Commissione Provinciale Pari OpportunitàMargherita Cogo - Vicepresidente della Giunta Provinciale e Assessora alla culturaMarta Damaso - Assessora alle Politiche Sociali

Relazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 15Barbara Poggio - Università di Trento, Facoltà di Sociologia Presentazione della ricerca “Utilizzo dei congedi parentali in Trentino”

Eleonora Stenico - Università di Trento, Facoltà di GiurisprudenzaLa normativa sui congedi: Istruzioni per l’uso

Franca Gamberoni - ALFID Ass. Laica Famiglie in difficoltàQuando i papà si impegnano

Testimonianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 33Io sono un papà “attivo” e vi racconto la mia esperienza

APERTURA DEI LAVORIANNELISE FILZ

Desidero, innanzi tutto, salutarvi tutti: mi fa piacere vedere anche degli uomini. Porto ilsaluto della Commissione Pari opportunità e della Consigliera di Parità, che oggi non ha potu-to essere presente.

Vi spiego molto brevemente da cosa nasce l’idea di questa iniziativa, che può apparire assaicuriosa, organizzata proprio l’8 marzo: ebbene, oggi si vuole spostare l’attenzione sugli uominie quindi sui padri. L’idea è appunto di creare, di organizzare “un qualcosa”, in occasione delgiorno della Festa della donna, che fosse rivolto anche agli uomini e quindi ai padri. Questa ideanasce dalla considerazione che il lavoro di cura e la gestione dei figli sono generalmente sup-portate esclusivamente dalla madre, quindi dalla donna, malgrado che ormai da cinque anni visia in vigore una legge, la n. 53 del 2000, che prevede la possibilità di utilizzare dei periodi dicongedo, quindi di astensione dal lavoro, da parte della madre ma anche dal padre. Questa èstata la grossa innovazione della Legge, perché prima questa possibilità non era prevista.

Il nostro obiettivo quindi è fare il punto della situazione a cinque anni dall’entrata in vigo-re di questa Legge, e cioè verificare quanto è stata utilizzata, informare i padri, sensibilizzaresu questo strumento e cercare, a piccoli passi, di cambiare una cultura e degli stereotipi chevedono sempre il lavoro di cura come una tematica al femminile. Si spera un giorno di potersuperare il concetto di maternità e addirittura anche quello di paternità, per arrivare a parlaredi genitorialità, proprio perché la questione della cura dei figli sia effettivamente condivisa traentrambi i genitori, nell’ottica quindi di una redistribuzione dei ruoli all’interno della famiglia.

E’ chiaro che tutto questo ha un ritorno nei confronti delle donne, che riusciranno vera-mente a conciliare i diversi impegni. “Conciliare” è un verbo spesso ricorrente in questi ultimitempi e che, tuttavia, viene sempre coniugato al femminile; questa parola – “conciliare” viene,tra l’altro, presa in considerazione solo nell’ambito del lavoro, quindi della professione, e dellavoro di cura, quindi della gestione dei figli, degli anziani, della casa, senza tenere presente lanecessità, che è anche delle donne, di poter conciliare col proprio ozio, il proprio riposo e ipropri hobby. E’ chiaro che se vi è una condivisione dei ruoli all’interno della famiglia, rimanedel tempo alle donne; tempo che possono dedicare a se stesse, alla propria carriera o, comedicevo, ai propri ozi.

La ricerca, volta a verificare quanti uomini hanno utilizzato questi congedi in questi cinqueanni è stata commissionata alla SPS - Scuola di preparazione Sociale di Trenti, ed è stata rea-lizzata dalla dottoressa Barbara Poggio, con la collaborazione della dott.ssa Michela Cozza,entrambe del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento.

Avremo poi l’intervento dell’avvocato Eleonora Stenico, anch’essa ricercatricedell’Università, che ci esporrà in maniera tecnica quello che prevede la Legge; seguirà poi l’in-tervento di Franca Gamberoni, mediatrice familiare dell’ALFID, Associazione Laica Famiglie InDifficoltà, quale osservatrice privilegiata sul campo, proprio perché si trova a gestire moltesituazioni di mediazione familiare e quindi ad avere contatti con entrambi i genitori anche sultema di gestione e di cura.

Poi, e di questo siamo veramente onorate - francamente non speravamo tanto, perchécomunque non è stato facile - abbiamo trovato anche un padre che ci racconterà la sua espe-rienza. Noi lo abbiamo definito “padre attivo” e quindi sentiremo le cose positive e le cosenegative che ci racconterà.

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MARGHERITA COGO

Sono sei anni che faccio politica attiva, forse 11, pensando anche all’esperienza di Sindaco.Prima, scambiando delle considerazioni con le relatrici, dicevamo che noi siamo ormai stan-che di continuare a parlare di questi argomenti e di non vedere poi risultati oggettivi e sensi-bili in positivo, cioè di non riuscire a vedere che le cose cambiano e che stanno migliorando.Infatti, si segna davvero il passo in maniera negativa non solo nel mondo della politica, di cuinon voglio parlare in questo momento, ma anche nel campo del lavoro. Spesso la conciliazio-ne dei tempi di vita e dei tempi di lavoro è davvero molto difficile se non impossibile. Spesso,quando c’è un bambino, mancando dei servizi essenziali d’assistenza ai figli, è facile che lacoppia si trovi di fronte al bivio di dover scegliere “chi dei due starà a casa”: questa è una scel-ta molto “semplice”, perché non c’entra nulla la questione culturale, c’entra soltanto la que-stione economica, cioè “chi prende di più”.

Generalmente sono gli uomini che hanno stipendi più alti: sembra incredibile che, ancheall’interno della nostra società, quella italiana, pur a parità di impiego o di qualifica, non sem-pre vi sia una parità anche salariale. Questo è un dato non scontato: spesso, parlando con per-sone anche impegnate nel mondo del lavoro, nella politica e nel sociale, ci accorgiamo chenon si rendono conto che esiste tale disparità di trattamento e trovano, addirittura, che siaquasi impossibile che esista una simile situazione. Ci sono i contratti di lavoro che regolanole condizioni di lavoro e quindi non dovrebbero esistere queste disparità di trattamento ma, difatto, invece così non è. Direi addirittura che il gap salariale, o meglio stipendiale – si preferi-sce usare quest’ultimo termine perché “salario” è ormai un termine obsoleto - tra uomini edonne, è piuttosto alto (per la verità, meno alto rispetto a tanti altri Paesi europei, però è abba-stanza considerevole). Tale differenza si aggira quasi intorno al 30%; va anche detto che que-sti sono dati difficili da reperire, perché indagini serie in questo campo, in Italia, ce ne sonodavvero poche.

Qualche giorno fa, il Professor Schizzerotto, su incarico della Provincia e quindi in colla-borazione con l’Università, ha cominciato a svelare la questione, e ha dato una risposta a que-ste domande: “Chi è più a rischio di povertà?” Le donne, generalmente. “Per quali motivi?” Imotivi sono tanti ed uno di questi è sicuramente la difficoltà di poter realizzare un’attività lavo-rativa che non abbia interruzioni dovute a motivi familiari, che sia anche un’attività lavorativaimpegnata e che professionalmente proceda secondo standard medi. Infatti, nella vita di unadonna, specie se è sposata, subentra un insieme di necessità e di obblighi, che magari ladonna vuole anche assumersi e che è anche contenta di rispettare ma che, di fatto, le impedi-scono poi di realizzare una grande carriera nel mondo del lavoro, o comunque la mettono nellacondizione di subire un insieme di interruzioni di carriera.

E’ evidente quindi che noi dobbiamo ripensare il nostro welfare; innanzitutto bisogna pro-cedere ed aumentare la consapevolezza e la necessità che i problemi delle donne siano i pro-blemi della società; in secondo luogo, bisogna procedere culturalmente. In altri termini, biso-gna che gli uomini siano consapevoli e coscienti che gli obblighi devono essere parimentidistribuiti all’interno di una famiglia. In terzo luogo, bisogna anche trovare e adottare dellemisure tali da poter consentire anche alle donne di arrivare alla fine della loro carriera e nonessere poi sulla soglia della povertà quando percepiscono la pensione. Bisogna quindi struttu-rare la società in modo tale che vi sia un insieme di servizi alla famiglia.

Quindi il primo dato evidente per noi, quando si parla di congedi parentali è pensare a qualisono i servizi all’infanzia.

Com’è diffuso il servizio di asilo nido sul nostro territorio? I bimbi da 3 mesi a 3 anni, che

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nella nostra Provincia possono accedere a questo servizio, sono il 13%. La domanda non èelevatissima, perché noi riusciamo a soddisfare più dell’80% della richiesta. Questo vuol direche molti non cercano nemmeno questo servizio perché, se sanno che non c’è, non fannonemmeno la richiesta, per cui il dato non è certo. Il dato preciso è che soltanto una piccolaparte di popolazione, da 3 mesi a 3 anni, può accedere a questo servizio.

Questo servizio deve cominciare ad essere un diritto e non può essere un servizio adomanda individuale ( cioè, se ce lo domandano lo facciamo e se no non lo facciamo). Deveessere un diritto come è un diritto andare a scuola (accedere alla Scuola materna è diventatoquasi un diritto in Italia e direi che in Trentino sicuramente è un diritto) e come tale l’Ente pub-blico deve farsene carico sotto due aspetti - quello funzionale e quello strutturale - , ma anchesotto il profilo dei costi. Non è possibile che gli asili nido costino così tanto: dobbiamo riusci-re ad abbassare la quota di partecipazione delle famiglie, anche se la stessa - nella nostraProvincia - è tra le più basse del resto d’Italia. Anche questo va assolutamente detto: in altritermini, noi dobbiamo essere consapevoli che viviamo in una situazione che è positiva comestrutturazione dei servizi ed anche come costi degli stessi, però dobbiamo cercare di guarda-re a quelle realtà in cui si realizzano situazioni migliori, come per esempio nel Nord Europa.Dobbiamo, insomma, “puntare al meglio” e non dobbiamo accontentarci, anche perché lequote a carico delle famiglie sono comunque troppo alte.

Quindi si deve intervenire e rivedere le politiche di welfare per quanto riguarda la possibi-lità di conciliare i tempi di vita, ed i tempi di lavoro, per questo particolare settore. Ciò vuol direanche ri-orientare le risorse e investire maggiormente in questo particolare servizio.

Io mi limito a dirvi questi brevi flash ma è evidente che il discorso potrebbe essere moltopiù lungo ed articolato: da anni ne parliamo, discutiamo, sappiamo quali sono i punti di debo-lezza ed io credo che questa sia una sorta di emergenza di cui dovremo farci carico tutti, ognu-no per la propria parte e per il ruolo che svolge.

Grazie.

MARTA DALMASO

Buona sera a tutti ed a tutte . Buona sera anche a voi che avete organizzato e voluto que-sto momento che credo importante.

Sono venuta attirata dal titolo e dagli interventi che sono previsti e, quindi, sono qua essen-zialmente per sentire, per imparare, per capire di più anche dalle esperienze di altri; sono quiperché di persona vivo un’esperienza positiva, in questo campo, cioè proprio nella disponibi-lità ad una condivisione della cura della famiglia. Però sono qui anche nella consapevolezzache in questo settore c’è ancora molto da fare.

Per quel che riguarda anche le competenze che mi sono state affidate - che venivano primarichiamate anche dalla Vice Presidente Margherita Cogo – devo dire che, veramente, i frontiaperti sono molti in questa fase di rivisitazione normativa, sia per le politiche sociali, che perle politiche del lavoro. Questa è una delle attenzioni che io vorrei veramente potenziare e sullequali mi sto confrontando anche con le persone che lavorano con me. Infatti – e parlo in par-ticolare per quel che riguarda le politiche del lavoro - uno dei settori che, assieme ad altri, ci èstato segnalato come un settore nel quale non abbiamo saputo progredire, è proprio quellodell’occupazione femminile. Ecco quindi che, sicuramente, si tratta di intensificare l’attenzionee anche la creatività, la nostra disponibilità ad intervenire. E’ evidente che su molti dettagli

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magari si potrebbe discutere (come, ad esempio, su quanto ha affermato la mia collega prima)magari in maniera dialettica, però è certo che l’attenzione va potenziata.

Ringrazio quindi nuovamente per quest’invito e per quest’opportunità dalla quale spero diportare via spunti per il prosieguo del mio lavoro.

ANNELISE FILZ

Direi che rappresenta un messaggio bello ed importante il fatto di sentire che due donneche stanno nei luoghi dove si prendono le decisioni si facciano carico in maniera così parteci-pata di queste tematiche. Questo è sicuramente un buon inizio.

Ciò conferma la necessità di “spingere” anche per un’equa rappresentanza politica femmi-nile, che deve esserci, in maniera più presente.

Ora verrà proiettato un breve filmato sull’esperienza di alcuni padri che hanno utilizzato icongedi parentali.

________ PROIEZIONE FILMATO ________

ANNELISE FILZ

Quanti bei momenti si perdono questi padri! Tutto questo malgrado ci sia una legge inve-ce che lo consente; quindi sentiremo adesso effettivamente i dati raccolti, su quanti uomini,quanti padri, hanno utilizzato in questi anni i congedi parentali.

Volevo fare una piccola osservazione in relazione al fatto che spesso queste leggi ci sono,però non solo non vengono utilizzate, ma vengono addirittura stravolte in alcuni casi. Io horicoperto l’incarico di Consigliera di Parità negli ultimi cinque anni e quindi ho potuto verifica-re proprio sul campo questa realtà. Ci sono contratti, come ad esempio il Contratto dei dipen-denti provinciali, che prevedono la possibilità che questi sei mesi riservati, per legge naziona-le, solo agli uomini – o meglio ai padri - vengano invece utilizzati tutti dalla madre. Questo sicu-ramente potrà essere positivo in tutti quei casi in cui c’è la differenza salariale alla quale si èfatto cenno prima perché, chiaramente, una decurtazione di stipendio in un famiglia può avereun enorme peso. Certo è che, da un punto di vista culturale, questo stravolge la legge, perchéè un grosso passo indietro, è snaturare completamente il senso della legge.

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RELAZIONIBARBARA POGGIO

Buonasera a tutte, buonasera a tutti. Dover parlare di numeri dopo immagini così evocati-ve non è facile! Comunque ci proverò lo stesso.

In questo intervento presenterò i primi esiti - quindi non gli esiti complessivi, comunquegià degli esiti che danno un’idea del fenomeno - di un’indagine sull’utilizzo del congedo paren-tale nella Provincia di Trento. L’obiettivo della ricerca era proprio quello di realizzare una map-patura, una prima analisi, rispetto all’utilizzo del congedo parentale, istituito dalla Legge 53dell’8 marzo 2000, a 5 anni dalla sua entrata in vigore. Che senso aveva concentrare l’atten-zione su questi dati, cioè sui dati sul congedo e che senso ha presentarli oggi? In parteAnnelise Filz ha già introdotto questo tema ed io vorrei sottolineare alcuni aspetti.

Intanto l’asimmetria dei ruoli di uomini e donne rispetto alla cura dei figli rappresenta sicu-ramente una delle principali cause della segregazione occupazionale nel mercato del lavoro e laLegge 53 nasce proprio con l’intento sia di favorire un riequilibrio tra tempi di lavoro, tempi dicura, tempi di formazione, tempi di relazione, ma soprattutto, con l’obiettivo di favorire una piùequa ripartizione nelle responsabilità familiari e nelle responsabilità professionali tra uomini edonne. Quindi prendere in considerazione i dati relativi all’uso dei congedi parentali sul territo-rio provinciale, a distanza di 5 anni dalla loro entrata in vigore, significa - di fatto - fare un primobilancio rispetto alla sua applicazione. Direi anche che tale analisi offre altresì alcuni stimoli peruna più ampia riflessione in merito al tema della conciliazione tra tempo di lavoro e tempo fami-liare e, più in generale, rispetto allo sviluppo di concrete condizioni di pari opportunità tra uomi-ni e donne. Quali sono state le domande alla base della nostra ricerca? Prima di tutto: chi lo uti-lizza? In particolare: quanti uomini e quante donne, in che misura viene utilizzato, in quali con-testi, se c’è una differenza fra settori lavorativi diversi e, eventualmente, con quali problemi equali vincoli. Il metodo utilizzato è stato piuttosto semplice. Prima è stata realizzata una raccol-ta dei dati quantitativi relativi ai principali comparti lavorativi della Provincia. A questo proposi-to credo che sia utile segnalare fin da subito la difficoltà incontrata nel reperimento dei dati, cheha fatto sì, ad esempio, che tra i dati mancanti ad oggi ci siano anche quelli relativi alla ProvinciaAutonoma di Trento, che non è stata in grado di fornirci in tempo i dati in forma disaggregata,ovvero distinguendo i congedi parentali da altri tipi di congedo (ad esempio per malattia). Ingenerale si rileva una significativa difformità nelle modalità di raccolta di questi dati da partedelle diverse organizzazioni, aspetto che ha reso più problematico il nostro lavoro, perché nonha favorito la comparazione tra i dati e non ci consente oggi di avere uno sguardo più comples-sivo rispetto a questo fenomeno. A questo proposito intendo ringraziare Michela Cozza che halavorato con pazienza in questo lavoro difficilissimo di raccolta e recupero dei dati.

Il secondo metodo o, in altre parole, il secondo tipo di lavoro, è stato il realizzare una seriedi colloqui con testimoni privilegiati che ci aiutassero a contestualizzare i dati, a trovare delleinterpretazioni e delle spiegazioni. Quindi abbiamo incontrato rappresentanti sindacali, respon-sabili del personale dei vari enti, le persone che, all’INPS, si occupano della raccolta di questidati e così via - il Consigliere di Parità, esperti del Diritto del lavoro - in modo da avere unosguardo il più complessivo possibile rispetto a questo fenomeno. Ciò premesso, vengo dun-que ai numeri, o meglio, ai dati che abbiamo raccolto. Vi ripeto, appunto, che non rappresen-tano tutto il mercato del lavoro trentino, ma comunque una buona parte di esso e ci dannocomunque alcune indicazioni significative rispetto agli andamenti in atto.

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Questa è una prima immagine complessiva; i dati che abbiamo raccolto su quasi tutti i servi-zi vanno dal 2000 al 2004, quindi fanno riferimento a 5 anni. I dati relativi al 2000 sono parziali,perché appunto la legge è entrata in vigore a partire dall’8 marzo e poi c’è stato un periodo di asse-stamento. Più significativi sono gli altri dati che ci mostrano che, in generale, il numero di conge-di richiesto è aumentato, sia per gli uomini che per le donne. E quindi un primo dato positivo.

Mi concentrerò in particolare più sulle cifre relative agli uomini - anche se, per differenza,possiamo ovviamente dedurre quelli relativi alle donne - perché rispetto alle cose fin qui detteè importante e significativo vedere poi se lo spirito della Legge (che era anche quello di favo-rire un maggiore coinvolgimento degli uomini nella gestione familiare) è stato soddisfattocomunque e in che misura è presente.

La percentuale dei congedi richiesti da uomini è aumentata nei primi 3 anni; in realtà è aumen-tata nei primi 4 perché per gli enti di cui abbiamo i dati relativi al 2000 si rileva un aumento anchea partire dal primo anno, che poi sembra assestarsi con l’ultimo anno (tab. 1 e fig. 1). Il riferi-mento a questo assestamento è stato poi fatto da molte delle persone che abbiamo intervistato.

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Tab. 1 – Numero di congedi e percentuale di congedi utilizzati dagli uomini per anno

Anno Numero Congedi % Congedi uomini*2000 1059 9,12001 2278 10,42002 2451 11,32003 2544 13,32004 2736 12,9Totale 11068 11,8

*I valori relativi al 2000 non comprendono i dati INPS, non disponibili.

Fig. 1 – Andamento delle richieste di congedo di donne e uomini

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2000 2001 2002 2003 2004

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Un secondo dato interessante è quello relativo non tanto al numero di congedi richiesti, omeglio, a quanti uomini richiedono i congedi, ma ai giorni di congedo totali e a quanti di que-sti sono richiesti dagli uomini (tab.2).

Qui vediamo che la percentuale si assottiglia nel senso che, se sul totale dei congedi richie-sti c’è un 10% circa di richieste da parte degli uomini, sul totale dei giorni di congedo questapercentuale si riduce al 4%. Quindi la tendenza all’utilizzo dei congedi da parte degli uomini siriduce ulteriormente nel momento in cui si considera la durata; su questo punto ritorneremoin seguito.

Consideriamo ora la media dei giorni: qui vediamo, invece, il dato relativo al numero mediodi giorni richiesto da uomini e donne. (Fig.2).

Fig. 2 – Numero medio di giorni di congedo utilizzati da donne e uomini

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Tab. 2 – Percentuali di giorni utilizzati dagli uomini

Anno % *2000 3,52001 4,72002 5,92003 6,02004 5,9Totale 5,3

*I valori relativi al 2000 non comprendono i dati INPS, non disponibili.

Come potevamo aspettarci da quanto appena detto, il numero medio di giorni richiesti dagliuomini è inferiore – per oltre la metà – rispetto a quello richiesto dalle donne. Vediamo ancheche, complessivamente, c’è una riduzione del numero medio di giorni richiesto sia dalle donneche dagli uomini. Questo è legato a quel discorso di assestamento che facevamo prima.

Possiamo ora confrontare le organizzazioni e vedere se c’è anche una tendenza diver-sa, una propensione differente, a richiedere i congedi; esiste, come vedremo, una differenzafra pubblico e privato, ma anche all’interno, per esempio, dei contesti pubblici o semipubblicisi riscontra una significativa differenza. Ciò conferma l’idea che poi all’interno delle diverseorganizzazioni ci siano culture di genere differenti, che tendono a favorire o meno il fatto che

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2000 2001 2002 2003 2004 Totale

donneuomini

le persone si sentano a loro agio, si sentano serene nel richiedere di poter usufruire di un con-gedo.

Al primo posto troviamo l’IRST che ha una percentuale estremamente elevata di congedirichiesti da uomini, ovvero il 24%; questo dato può essere spiegato anche dal fatto che qui c’èuna forza lavoro mediamente più giovane e più istruita. Poi c’è l’Università e poi ci sono iComuni. All’interno dei Comuni - in realtà - c’è una disomogeneità molto alta, che non sembradipendere dalla grandezza dei Comuni: ci sono dei dati davvero molto difformi. Poi c’è il pri-vato, i cui dati ci sono stati forniti in forma aggregata dall’INPS e rispetto al quale quindi nonè possibile differenziare per ambiti. Per ultima troviamo l’Azienda Provinciale per i ServiziSanitari, con una percentuale pari al 10,9%.

Se operiamo un confronto tra pubblico e privato e vediamo che (Fig.3), in tutti gli anni con-siderati, la richiesta dei congedi all’interno degli enti pubblici è più elevata anche se non siriscontra una differenza particolarmente forte.

Fig. 3 – Richieste di congedo nel settore pubblico e in quello privato in base al sesso

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0200400600800

1000120014001600

Pubblico Privato

donneuomini

Questo dato sarebbe diverso se non considerassimo i dati dell’Azienda Provinciale per iServizi Sanitari: senza quel dato la differenza è molto forte, ma siccome il comparto sanitarioè molto significativo dal punto di vista numerico sul totale della forza lavoro, lo scarto com-plessivo si riduce (tab. 3).

Tab. 3 – L’utilizzo dei congedi in ambiti organizzativi differenti

% su dipendenti 2004 % congedi uomini % giorni uominiRegione T.A.A. 18,3 13,4 5,8Comuni 9,4 17,6 7,9ITC-irst 9,3 24,0 11,1APSS 8,8 10,9 4,6P.A.T. 6,6 19,8 7,8Università 4,1 19,0 7,3

Questi sono dunque i dati su cui ci è stato possibile realizzare un effettivo confronto. Il pro-blema della disomogeneità della fonti non ci ha purtroppo consentito di sviluppare riflessionipiù articolate su aspetti di interesse, ad esempio rispetto al momento in cui il congedo vieneutilizzato, se nelle prime fasi della nascita oppure dopo, o sul rapporto tra utilizzo del conge-do e posizione professionale, titolo di studio e altre variabili.

In sintesi, dunque, possiamo dire che i congedi parentali sono prevalentemente utilizzatidalle madri, che ne fanno uso per periodi più consistenti, spesso in continuazione dei conge-di di maternità. Gli uomini li utilizzano in maniera molto più limitata e anche quando vi ricor-rono lo fanno in modo molto più parcellizzato. Li utilizzano infatti prevalentemente nei primigiorni successivi alla nascita e poi in situazioni di particolare criticità, ad esempio nei momen-ti in cui sono scoperti dei servizi oppure c’è qualche emergenza per cui la madre non può occu-parsene.

L’utilizzo, abbiamo visto, è più elevato nel settore pubblico; esiste una stagionalità dell’uti-lizzo, nel senso che si utilizzano in misura maggiore nei mesi estivi, quando appunto vienemeno la copertura dei servizi pubblici.

Dai colloqui è emerso poi un altro aspetto, anche se bisogna evitare rischiose stigmatizza-zioni, e cioè che esistono casi, che però non abbiamo potuto quantificare per motivi ovvi, dipadri che utilizzano il congedo in modo improprio, cioè che prendono il congedo magari perfinire di costruire una casa, per ritornarsene al paese d’origine, se sono stranieri, o per svol-gere attività che non hanno in realtà a che fare con l’accudimento dei figli, che restano comun-que a carico delle madri. Sembra tuttavia che si tratti di un fenomeno non particolarmente rile-vante dal punto di vista quantitativo.

Se questo è lo scenario complessivo, vorrei ora riportarvi alcune delle interpretazioni chesono state raccolte dalle persone che abbiamo intervistato.

La prima puntualizzazione che va fatta riprende la preoccupazione che faceva presenteanche Annelise Filz prima e cioè che, purtroppo, non è possibile confrontare questi dati con idati di altre regioni, perché non sono ancora presenti. Per questo non sappiamo se in Trentinoci sono più padri, rispetto ad altre Regioni, che utilizzano il congedo. In ogni caso, forse, ancheuna spiegazione del numero ancora contenuto di richieste - perlomeno per quanto riguarda glienti pubblici - va messa in relazione con questa contrattazione locale che, di fatto, ha modifi-cato in maniera sostanziale lo spirito originario della Legge nazionale, che era proprio anchequello di favorire, o di incentivare, la presenza dei padri. Se nella Legge 53 - poi magari conEleonora Stenico si vedrà meglio questo punto - si prevede un limite complessivo massimo di10 mesi (11 se il padre si astiene per almeno 3 mesi), si prevede anche un limite massimo di6 mesi per ognuno dei genitori. Nella contrattazione locale questo vincolo non c’è più, spari-sce, e quindi si consente che sia un solo genitore a fruire dei 10 mesi di astensione facoltati-va e, guarda caso, tendenzialmente questo poi ricade sulle madri.

Fatta questa importante puntualizzazione, passerei a segnalarvi tre diversi ordini di inter-pretazioni che si possono dare a questo fenomeno. Il primo ha a che fare con la distinzione fraaspetti naturali e aspetti culturali, nel senso che questa significativa differenza quantitativa nel-l’uso dei congedi da parte di uomini e donne può essere, ovviamente – e lo è spesso - spiega-ta, facendo ricorso alla naturalità delle differenze sessuali. Dall’altra parte si può anche fareriferimento alla costruzione sociale di genere ed alla costruzione culturale di genere, che stadietro questa divisione asimmetrica.

I molti studi e le molte ricerche che hanno affrontato queste tematiche ci portano in qual-che modo a propendere per questa seconda interpretazione, che tende poi ad associare que-sta diversa distribuzione dei ruoli tra uomini e donne ad altre due dicotomie tipiche della

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nostra cultura: cioè la distinzione tra pubblico e privato, con l’attribuzione del pubblico almaschile e del privato al femminile e la dicotomia tra produzione e riproduzione, per cui sidistingue appunto tra i compiti maschili, che sono compiti produttivi, che quindi si esplicanoall’interno del pubblico e del mondo del lavoro e producono delle cose ed, invece, i compitidi riproduzione, che sono quei compiti della quotidianità che ogni giorno vengono ripresi inmano, rifatti e che sono i compiti per esempio della gestione della casa. Questo è il primoaspetto.

Il secondo, per restare sul terreno delle dicotomie, chiama in causa due ulteriori concetti,tradizionalmente contrapposti, spesso anche associati al maschile e femminile e che vengonorichiamati per motivare le strategie familiari non improntate ad una equa distribuzione deiruoli. Da un lato ci sono i sentimenti - ed in alcuni dei colloqui si è fatto proprio riferimento adun sentimento di ossessività, di gelosia - da parte delle madri nei confronti dei figli, che quin-di tendono a faticare, a non essere disponibili a delegare le responsabilità ed il loro rapportocon i figli, ai loro partner.

Dall’altra parte - e questo forse è anche l’aspetto più significativo - si ha invece a che farecon le strategie di tipo economico (prima Margherita Cogo parlava di gap stipendiali) e quin-di, essendoci una differenza nei redditi maschili e femminili, essendoci una differenza anchenelle prospettive di carriera di uomini e donne, nel momento in cui si deve decidere chi sta acasa, si finisce per “sacrificare” chi guadagna meno.

Ricordo che, anni fa, intervistai un manager d’azienda che mi disse: “Dopo la nascita delfiglio, abbiamo deciso di fare un sacrificio e mia moglie è stata a casa”. La definizione dellestrategie familiari procede dunque anche in termini di profitti e di perdite e spesso la rinunciadella moglie costa meno di quella del marito.

Il terzo aspetto, la terza dimensione, è quella che ha a che fare con l’atteggiamento delleaziende, perché da un lato abbiamo visto le motivazioni individuali, ma in questo ragionamen-to non è indifferente il tipo di orientamento, il tipo di atteggiamento, il tipo di cultura di cui leaziende, le organizzazioni, sono portatrici.

Un primo aspetto riguarda la mancanza di informazione, nel senso che, dalle interviste, daicolloqui realizzati, emerge una sostanziale mancanza di informazione anche da parte dei dato-ri di lavoro che, spesso, non sono neppure a conoscenza delle eventuali agevolazioni che cisarebbero nel promuovere modelli di lavoro e orari più flessibili per favorire il discorso dellaconciliazione. C’è dunque quest’aspetto, diciamo strutturale, che non va sottovalutato. Leaziende poi tendono a vedere il congedo, e più in generale le politiche di conciliazione, sottola luce dei costi che queste implicano per l’organizzazione e mai sotto la luce dei vantaggi che,invece, potrebbero portare, per esempio un clima migliore, che è dato dal benessere delle per-sone che vi lavorano. Al contrario c’è una forte enfasi sui costi e sulle ripercussioni, di tipoeconomico e di tipo organizzativo, che un congedo può comportare per l’organizzazione. Poiin generale - e questo forse è anche l’aspetto più significativo - c’è una tendenziale ostilità cul-turale dell’organizzazione verso i congedi che, in qualche modo, vengono accettati con unasorta di rassegnazione, se a chiederli sono le donne -perché si sa “sono le donne” - ma chedestano più preoccupazione se la richiesta proviene dalla parte maschile. Questo è chiaramen-te comprensibile se pensiamo quanto è importante il valore del tempo di presenza all’internodelle organizzazioni, spesso più dell’efficacia e della produttività: essere presente per tempilunghi è infatti un segno di lealtà nei confronti dell’organizzazione, quindi il ridurre questitempi o il restare a casa per dei periodi, può essere visto come un segno di disimpegno,soprattutto se riguarda la componente maschile. Va oltretutto segnalato il fatto che gli atteg-giamenti di ostilità non provengono soltanto da parte dei datori di lavoro, ma dell’organizza-

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zione nel suo complesso, spesso dagli stessi colleghi: si è parlato di situazioni anche di mob-bing, in cui la scelta degli uomini di optare per un congedo parentale viene svalutata, vienesanzionata attraverso battute (ad esempio quelle svalutanti sul “mammo”) o anche attraversogesti più gravi.

Mi rendo conto di aver toccato diversi temi che avrebbero bisogno di una più ampia trat-tazione - e credo che ci sarà spazio per farlo nel dibattito o attraverso i successivi interventi.Quello che vorrei fare, per chiudere questo intervento, è individuare alcune linee di lavoro,alcune prospettive rispetto alle quali ci si può muovere.

Una prima cosa è sicuramente quella di sollecitare una più efficace raccolta e gestione diquesto tipo di dati, non solo per facilitare chi in futuro si troverà a fare questo tipo di lavoroma, più in generale, perché credo che disporre di dati chiari, articolati ed omogenei, su questiaspetti, rappresenti una condizione necessaria proprio per una migliore programmazioneorganizzativa. Tra l’altro io credo che questa sia una precondizione tutto sommato neancheparticolarmente complicata o difficile.

Poi un secondo aspetto è quello di tornare allo spirito originario della legge, che è quellodi incentivare la presenza maschile. Questo – a mio parere - può essere fatto soprattutto dachi ha responsabilità politiche o dai sindacati.

Poi un terzo aspetto è quello di lavorare sulla promozione - e questa giornata si collocasicuramente all’interno di questa filosofia - e garantire una maggiore informazione: informa-zione per i datori di lavoro, ma anche per gli stessi lavoratori. I sindacalisti che abbiamo inter-vistato hanno parlato di una scarsa conoscenza e di una mancata valorizzazione delle oppor-tunità offerte dalla legge.

Direi che c’è un quarto punto, che fa riferimento a qualcosa che non ho citato prima, mache credo sia fondamentale, e cioè che questa legge vale solo per i lavoratori dipendenti. Sonodunque molti ad esserne esclusi e c’è una componente sempre più significativa della forzalavoro che nel futuro prossimo sarà fortemente interessata da questi tipi di problemi. Si trattadi coloro che si collocano all’interno dei cosiddetti lavori atipici: la situazione per loro, rispet-to per esempio al problema della maternità e della paternità, è sicuramente molto sconfortan-te. Per questi motivi io quindi credo che, se è sicuramente importante vedere l’implicazioneche ha avuto questa legge e prendere atto che c’è comunque una crescita per cui si devonoincentivarne e migliorarne le caratteristiche, è altrettanto importante non dimenticare coloroche non possono godere di questi benefici.

ANNELISE FILZ

Certamente i dati sull’utilizzo di questo strumento che la legge oggi mette a disposizione diper sé potrebbero sembrare deludenti perché effettivamente, rispetto all’utilizzo da parte delledonne, delle madri, i dati dimostrano che sono ancora molto pochi gli uomini che usufruisco-no del congedo parentale. Certo è che un’escalation vi è stata, perché abbiamo visto che, dai36 iniziali nel 2001, siamo arrivati a circa un centinaio e quindi c’è una certa evoluzione in posi-tivo. Poiché non sono intervenute nuove normative – ed, infatti, la Legge in vigore è semprela stessa - è chiaro che è essenzialmente una questione di cultura e in questo senso bisognalavorare.

Ma sentiamo quelli che sono gli aspetti propriamente tecnici della Legge dall’avvocatoEleonora Stenico.

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ELEONORA STENICO

La Legge 53 del 2000 è intitolata “Disposizioni per il sostegno della maternità e della pater-nità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi nelle città”.

E’ una legge che ha introdotto significative innovazioni, non soltanto dal punto di vista ter-minologico, ma anche, principalmente, sotto il profilo contenutistico, rispetto all’originariadisciplina in materia di astensione dal lavoro e di permessi per la cura e l’assistenza dei figli,sia naturali che adottivi.

Il nuovo assetto normativo, ossia la legge 53 del 2000, è poi confluita nel cosiddetto “TestoUnico sulla tutela ed il sostegno della maternità e della paternità” che è il Decreto legislativo n.151 del 2001 (Testo Unico perché ha provveduto a riunificare e coordinare le disposizioni pre-cedenti).

L’attuale disciplina costituisce, perciò, il risultato di un processo di riforma e di ampliamen-to del tradizionale sistema di tutele, incentrato sulla figura della lavoratrice madre, alla qualeera riconosciuto il diritto all’assenza dal lavoro nei due mesi precedenti al parto e nei tre mesisuccessivi; la facoltà di astenersi dal lavoro per successivi ulteriori sei mesi durante il primoanno di vita del bambino; nonché il diritto a periodi di riposo giornaliero per allattamento ed apermessi per le malattie del figlio di età inferiore ai tre anni: la lavoratrice madre restava, per-tanto, la principale destinataria della legislazione di tutela.

Radicalmente diverso è il principio sotteso alla disciplina introdotta dalla Legge 53 del2000, che recepisce i principi contenuti nella Direttiva comunitaria n. 34 del 1996.

Il principale elemento innovatore rispetto alla legislazione nazionale previgente è costituitodalla totale equiparazione del padre alla madre nelle attività di cura, assistenza ed educazionedei figli.

Non solo; la Legge 53 del 2000 prima, e il Decreto Legislativo 151 del 2001 poi, hanno por-tato a compimento anche il percorso volto alla completa equiparazione dei genitori adottivi eaffidatari rispetto ai genitori biologici.

Tutto ciò è avvenuto, come anticipato poc’anzi, in occasione del recepimento in Italia dellaDirettiva comunitaria che, proprio al fine di agevolare la conciliazione delle responsabilità pro-fessionali e familiari di entrambi i genitori che lavorano, ha imposto a tutti gli Stati membridell’Unione Europea di riconoscere ai lavoratori di ambedue i sessi il diritto individuale al con-gedo parentale, in occasione della nascita o anche dell’adozione, o affidamento, di un bambi-no.

Con la locuzione “congedo parentale” ci si riferisce al periodo di astensione facoltativa dallavoro nei primi otto anni di vita del bambino; tale diritto viene riconosciuto ad entrambi i geni-tori – come ha già accennato la mia collega - nel limite complessivo di dieci mesi (che puòperò essere esteso ad undici in una specifica ipotesi che vedremo di qui a breve).

Il congedo parentale si affianca ed arricchisce gli istituti esistenti, del congedo di materni-tà e del congedo di paternità; è necessario, pertanto, non confondere il medesimo con gli altridue, che sono istituti distinti.

Il congedo di maternità è quello che nel vigore della precedente disciplina era denominato“Astensione obbligatoria dal lavoro per maternità” e consisteva, come noto, nel divieto di adi-bire al lavoro le donne nel periodo dei due mesi antecedenti alla data presunta del parto, nelperiodo eventualmente intercorrente tra la data presunta e quella effettiva, nonché nei tre mesisuccessivi al parto.

La Legge 53 del 2000, confluita ora nel Testo Unico, ha innovato anche tale istituto, nonsolo sotto il profilo terminologico, perché adesso lo qualifica “congedo” di maternità, ma

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anche sotto il profilo contenutistico, riconoscendo maggiore flessibilità alla lavoratrice madre;in particolare, riconoscendole la possibilità di far decorrere l’astensione obbligatoria dal lavo-ro a partire da un mese precedente la data presunta del parto fino a 4 mesi successivi, man-tenendo ferma invece la durata complessiva del congedo stesso, che resta di 5 mesi.

Tale facoltà è ammessa, peraltro, a condizione che il Servizio Sanitario Nazionale certifichiche quest’opzione non comporta un eventuale pregiudizio alla salute della madre o del nasci-turo.

Inoltre questa stessa legge ha espressamente riconosciuto che, in caso di parto prematu-ro - quindi anticipato rispetto alla data presunta - la madre possa recuperare, dopo la nascitadel figlio, il periodo di assenza dal lavoro effettivamente non fruito. Anche in questo la Leggecolma una lacuna della disciplina previgente.

Accanto all’istituto del congedo di maternità la Legge 53 introduce il congedo di paternità,ossia attribuisce anche al padre un vero e proprio diritto di astenersi dal lavoro: ciò però sol-tanto in alcuni casi tassativamente elencati dalla legge. In ogni caso questo diritto si aggiungeal periodo che può essere fruito dal padre come “congedo parentale”.

Le ipotesi in cui il padre lavoratore ha diritto di fruire del congedo di paternità sono, comedetto, tassative – si tratta di casi abbastanza gravi -, proprio perché la naturale funzione diallattamento nell’immediatezza del parto è chiaramente devoluta alla madre. I casi comunquesono i seguenti: la morte o la grave infermità della madre, oppure l’abbandono del figlio daparte della stessa, o l’affidamento del bimbo esclusivamente al padre.

Per quanto riguarda il trattamento economico, durante il congedo di maternità o di pater-nità è corrisposta un’indennità giornaliera, e quindi poi mensile, pari all’80% della retribuzio-ne media globale, indennità che peraltro è solitamente migliorata dalla contrattazione colletti-va (nella maggioranza dei contratti si arriva a riconoscere il 100% della retribuzione).

Inoltre questo periodo di congedo è computato nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti,compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità, alla gratifica natalizia e alle ferie.

E’ importante sottolineare che il diritto al congedo di maternità è oggi riconosciuto dallalegge anche alle lavoratrici che abbiano adottato, oppure ottenuto in affidamento, un bambinodi età inferiore ai 6 anni, limitatamente, però, al periodo di 3 mesi successivi all’effettivoingresso del bimbo nella famiglia. (Questo limite è spiegabile alla luce del fatto che in questocaso non c’è un parto, quindi non possono essere previsti i 2 mesi o il mese antecedente alparto; lo sono invece i 3 mesi successivi).

In caso di adozione o di affidamento preadottivo internazionale, i 3 mesi di congedo dimaternità spettano alla madre anche se il bambino abbia superato i 6 anni di età e fino al com-pimento della maggiore età. Ciò è determinato dalle difficoltà oggettive sussistenti in codestefattispecie, connesse alla lingua, alle difficoltà di inserimento e di adattamento, di relazioni,ecc.; quindi la norma ha lo scopo di favorire una relazione stretta anche col bambino non ita-liano.

Questo congedo, qualora non venga richiesto dalla madre, è riconosciuto, alle stesse con-dizioni, anche al padre.

Ulteriore aspetto che dev’essere sottolineato riguarda il divieto di licenziamento per mater-nità ed il diritto al rientro sul posto di lavoro.

Già la precedente normativa sanciva il divieto di licenziamento della lavoratrice dall’iniziodel periodo di gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino: oggi la Legge,oltre a confermare questo divieto per la lavoratrice madre, lo estende anche al padre lavorato-

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re - naturalmente in caso di fruizione del congedo di paternità - per la durata dello stesso e,comunque, fino al compimento del primo anno di vita del bambino.

Inoltre, sia alla madre che al padre è riconosciuto il diritto alla conservazione del posto dilavoro, il diritto a rientrare nella stessa unità produttiva che occupava precedentemente, o inun’altra situata comunque nell’ambito dello stesso Comune, e di rimanervi sino al compimen-to di un anno di età del bambino, e il diritto ad essere adibiti alle stesse mansioni o a mansio-ni equivalenti a quelle precedentemente svolte.

Infine, le eventuali dimissioni volontarie della lavoratrice in gravidanza o del lavoratore incongedo di paternità - e fino al compimento del primo anno di vita del bambino, o, in caso diadozione o di affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore in famiglia - devono essereconvalidate dal Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro competente per territorio, al fine digarantire la genuinità del consenso, potendosi presumere che le dimissioni volontarie in que-sto periodo non siano in realtà genuine, ma frutto di qualche pressione.

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Accanto a questi istituti la Legge 53 prevede anche quello del “congedo parentale”.Come anticipato, si tratta di un’astensione facoltativa dal lavoro, riconosciuta ad entrambi

i genitori, per un periodo massimo – continuativo o frazionato - di 6 mesi per ciascun genito-re, fino al compimento di 8 anni di vita del bambino.

E’ da sottolineare che questo periodo massimo di 6 mesi è peraltro elevabile a 7 mesi, peril solo padre lavoratore, nell’ipotesi in cui egli eserciti il diritto al congedo parentale per untempo minimo di 3 mesi. Il legislatore ha evidentemente voluto incentivare l’utilizzo di questostrumento introducendo una sorta di “bonus”: in altri termini, nell’ipotesi in cui il padre frui-sca del congedo per almeno 3 mesi, ha diritto ad un mese di congedo in più rispetto ai 6 mesimassimi previsti. Quindi, alla fine, il periodo complessivo di congedo parentale può arrivare ad11 mesi, fruibili insieme dai genitori (se la madre ne fa 6 il padre ne potrà fare 4, -o 5-; se lamadre ne fa 5 il padre potrà fare gli altri 5, -o 6-; se la madre ne fa 4 il padre potrà farne 6, –o7-; la madre potrà invece farne sempre massimo 6).

Questo meccanismo di elevazione di un mese della durata complessiva del congedo paren-tale va letto in una prospettiva di promozione della condivisione e, quindi, di una maggioreripartizione dei ruoli e dei compiti familiari.

A questo punto è necessario chiarire le diverse ipotesi in cui: entrambi i genitori siano lavo-ratori subordinati, oppure la madre sia lavoratrice autonoma o imprenditrice agricola o artigia-na o esercente un’attività commerciale, o, ancora, il caso in cui un genitore sia lavoratore auto-nomo e l’altro lavoratore subordinato, oppure ci sia invece un unico genitore.

Innanzitutto, come vi ha anticipato la dottoressa Poggio, la Legge ribadisce che nell’ipote-si in cui entrambi i genitori siano lavoratori subordinati, ambedue hanno il diritto al congedoparentale, ed ambedue per un tempo massimo di 6 mesi (salva l’elevabilità a 7 mesi per ilpadre, precedentemente esaminata), per un periodo complessivo di 10 mesi (o, eccezional-mente, di 11). Ciò vale sia per l’impiego privato che per l’impiego pubblico privatizzato.

Nell’ipotesi, invece, di lavoratrici autonome o di artigiane o di esercenti un’attività commer-ciale o di imprenditrici agricole, le madri lavoratrici hanno diritto al congedo parentale per unperiodo massimo di 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino. Quindi si tratta di un dirit-to parimenti riconosciuto, ma sensibilmente ridotto, quantomeno riguardo al numero di mesi.

Analogo diritto è riconosciuto, a parità di condizioni, in caso di adozione e di affidamento. Nell’ ipotesi, invece, in cui ci sia compresenza di un genitore lavoratore autonomo e di un

altro genitore lavoratore subordinato, bisogna distinguere a seconda che il lavoratore auto-nomo sia la madre oppure il padre. Questo perché, se lavoratrice autonoma è la madre, ellaavrà diritto - come vi ho appena chiarito – ai 3 mesi di congedo, ed il padre, lavoratore subor-dinato, all’utilizzo dei 6 mesi di congedo parentale (7 nel caso in cui ne utilizzi quantomeno3), e si perverrà, anche in codesto caso, ad un periodo complessivo di congedo parentale di10 mesi.

Nell’ipotesi, invece, in cui lavoratore autonomo sia il padre, la normativa è diversa: la leggenon prevede - per il lavoratore autonomo padre - il diritto al congedo parentale e quindi la fami-glia potrà fruire soltanto del congedo parentale riconosciuto alla madre, cioè i 6 mesi previstidalla Legge 53 del 2000, nei primi 8 anni di vita del bambino.

L’ultima ipotesi a cui ho accennato ricorre quando il genitore è unico: in questo caso laLegge riconosce il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato nonsuperiore a 10 mesi.

Al riguardo sorge spontanea una domanda: Quando il genitore può considerarsi “unico?”Evidentemente, nell’ipotesi di morte della madre, di abbandono del figlio da parte della madre,di affidamento esclusivo del bimbo al padre ed anche nell’ipotesi di non riconoscimento del

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figlio. Quest’ultima ipotesi è rilevante perché significa che le situazioni di ragazza madre e digenitore single non sono considerate dalla legge di per sé ipotesi di “genitore unico”: è neces-sario, in questo caso, per poter fruire del periodo di congedo di 10 mesi, il mancato ricono-scimento del figlio da parte dell’altro genitore: solo in tale ipotesi vi è l’unicità del genitore.

Nell’ipotesi invece di genitore di minore con handicap in situazione di gravità - situazioneche, peraltro, deve essere accertata dalla competente Azienda Sanitaria Locale - è riconosciu-to alla madre, in alternativa al padre, il prolungamento del congedo parentale sino ai 3 anni;tutto questo, a meno che il bambino sia ricoverato, a tempo pieno, in un istituto specializzato(in tale ipotesi mancano i presupposti per poter godere di tale diritto).

Il Legislatore quindi è stato sensibile anche sotto questo profilo, perché ha avuto presentela situazione di un minore con handicap grave che richiede un’assistenza costante, profonda elunga.

Per quanto riguarda le modalità di esercizio, va precisato che l’esercizio del diritto a fruiredel congedo parentale è subordinato al solo obbligo di preavviso non inferiore a 15 giorni,mentre non è consentito al datore di lavoro rifiutare il congedo parentale oppure posticiparlo,cioè concederlo successivamente, adducendo giustificati motivi organizzativi dell’azienda.

Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto, in effetti, la giurisprudenza si era già pro-nunciata nel senso della illegittimità del comportamento di quel datore di lavoro che avesseimpedito la fruizione del congedo parentale adducendo la necessità di soddisfare esigenzeorganizzative imprenditoriali.

Ancora: anche nell’ipotesi di fruizione del congedo parentale, come già abbiamo visto peril congedo di maternità e di paternità, il lavoratore o la lavoratrice che usufruiscono di tale dirit-to hanno diritto alla conservazione del posto, ovvero, di rientrare nella stessa unità produttivaprecedentemente occupata, o comunque, in un’altra sita nello stesso Comune, ed hanno dirit-to di rimanervi quantomeno fino al compimento del primo anno di vita del bambino e di esse-re adibiti alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte.

Per quanto riguarda il trattamento economico, invece, è prevista un’indennità pari al 30%per un periodo complessivo massimo di 6 mesi fino al compimento del terzo anno di vita delbambino, salva, naturalmente, l’eventuale disciplina migliorativa, sempre possibile, del con-tratto collettivo. E’ noto, infatti, che la legge indica “i minimi retributivi indispensabili” al disotto dei quali non si può scendere, ma la contrattazione collettiva spesso innalza queste per-centuali, quantomeno per i primi mesi di congedo parentale.

Per i congedi che eccedono i 6 mesi, oppure goduti dopo i primi 3 anni di vita del bambi-no, l’indennità retributiva del 30% è prevista soltanto in presenza di soglie minime di reddito:è quindi un’indennità strettamente commisurata al reddito individuale di chi intende godere delcongedo.

Va poi sottolineato - ma di questo ci parlerà poi anche “il padre attivo” - che la disciplinavigente non contiene disposizioni regolative del regime transitorio, ossia relativo ai figli natiprima dell’entrata in vigore della Legge del 2000 ma che non abbiano ancora compiuto 8 anni,e che quindi rientrerebbero nella facoltà di utilizzo del congedo parentale. Al riguardo si ritie-ne, in effetti, che il congedo parentale possa essere fruito anche da questi genitori ma, natu-ralmente, dovrà essere sottratto il periodo di astensione facoltativa eventualmente già fruito inforza della vecchia normativa.

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Qualche parola va spesa anche per i c.d. “riposi giornalieri”. Il Decreto legislativo 151 ha introdotto il diritto, per le lavoratrici madri, di ottenere, duran-

te il primo anno di età del bambino, due periodi di riposo giornaliero di un’ora ciascuno. Questipermessi sono ridotti alla metà nell’ipotesi in cui nella struttura - quindi nell’azienda, pubblicao privata che sia - sia istituito un asilo nido, così come le stesse due ore vengono ridotte adun’ora nel caso, invece, in cui la giornata lavorativa sia complessivamente inferiore alle 6 ore.

Anche il padre ha diritto ai riposi giornalieri qualora non vi sia la madre: quindi, nell’ipote-si di morte della madre o di sua grave infermità, nell’ipotesi di abbandono del figlio o di affi-damento esclusivo al padre, o anche nell’ipotesi in cui la madre non se ne avvalga.

Come vedete, c’è una leggera differenza rispetto agli altri istituti: in questo caso non c’è unpari diritto del padre e della madre a fruire dei riposi giornalieri perché il diritto del padre èsubordinato al fatto che la madre vi rinunci perché non se ne avvale, altrimenti è riconosciutoin prima battuta alla madre.

Una disciplina particolare è riscontrabile, poi, nel caso di parto plurimo (parto gemellare otri-gemellare….): in tali casi il permesso è raddoppiato (non moltiplicato quanti sono i figli:quindi se 2, 3 o più gemelli il permesso rimane raddoppiato).

Il diritto ai riposi giornalieri ed ai permessi spetta anche in caso di adozione o di affidamen-to, comunque entro il primo anno dall’ingresso del bambino nella famiglia.

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Infine un accenno merita anche l’istituto del “congedo per la malattia del figlio”.E’ noto che la precedente disciplina prevedeva il diritto della madre lavoratrice o, in alter-

nativa, del padre lavoratore, ad assentarsi dal lavoro durante la malattia del bambino di etàinferiore ai 3 anni. Anche in riferimento a questo istituto la disciplina innova in maniera sensi-bile, perché il diritto di astensione dal lavoro è riconosciuto oggi sia alla madre che al padreper tutto il periodo della malattia, senza limiti di tempo, fino al compimento del terzo anno divita del bambino (termine che, in caso di adozione o di affidamento, è elevato ai 6 anni).Talediritto all’astensione viene invece limitato a 5 giorni all’anno per ciascun genitore, dai 3 agli 8anni di età del figlio (e dai 6 agli 8 anni in caso di adozione o di affidamento).

C’è da sottolineare, infine, che nel caso in cui entrambi i genitori siano lavoratori subordi-nati, essi non possono usufruire contemporaneamente di queste astensioni per malattia, equindi il genitore che se ne avvale deve presentare una dichiarazione, nelle forme di un’auto-certificazione, che attesta che l’altro genitore non è in congedo nello stesso periodo, per lestesse ragioni.

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ANNELISE FILZ

L’avvocato Stenico è stata, come al solito, chiarissima. In ogni caso volevo ricordare chesia la sua relazione con gli schemi, sia i contenuti della ricerca che ci ha esposto la dottores-sa Poggio, sono disponibili sul nostro sito, che è www.pariopportunita.provincia.tn.it.

Volevo poi ricordarvi anche che, all’interno della Commissione Pari Opportunità, c’è unafigura che è quella della Consigliera di Parità, ricoperta attualmente dalla dottoressa EmanuelaZambotti - che oggi non ha potuto essere presente.

La dottoressa Zambotti tiene uno sportello completamente gratuito, aperto al pubblico,dove vengono date queste informazioni, ma non solo.

Presso lo sportello si può anche trovare un appoggio per eventuali interventi nel caso incui questi diritti non vengano concessi o si creino delle situazioni di ritorsione, a seguitoappunto dell’utilizzo di questi congedi.

FRANCA GAMBERONI

Con questo intervento vi vorrei dare dei flash di ragionamento che coincidono con alcunesituazioni, molto interessanti, che abbiamo visto nel video.

Mi sono sentita molto motivata e stimolata nell’essere qui oggi a rappresentare i padri:sembra una contraddizione.

Mi ricordo le lotte delle donne negli anni ’70 alle quali ho partecipato e i tanti “8 marzo”trascorsi discutendo di temi al femminile.

Per questo mi sembra una contraddizione: rappresentare i padri nel giorno della donna…ed invece non lo è perché i cambiamenti culturali che stiamo vivendo ci portano a delle curio-sità e al desiderio di esserne partecipi.

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Voi sapete che nel sistema familiare attuale sono avvenute delle profonde mutazioni che,di frequente, ci rimandano a situazioni di grande confusione e che, nell’ambito psicologico,vengono evocate spesso con toni cupi e d’inquietudine: più divorzi, meno figli, unioni instabi-li, atipiche, figli del primo matrimonio, figli del secondo, ecc.

Capita che il caos che ne deriva ci disturbi e la velocità dei cambiamenti non ci aiuta.In tutto questo scenario c’è un fenomeno correlato, semplice, comune e ben visibile a tutti

che, invece, almeno a prima vista, è tenero e rassicurante: è quello dei nuovi padri. Desidero dirvi, prima di proseguire, tre cose che, secondo me, voi dovreste tenere assolu-

tamente presenti altrimenti questo mio intervento potrebbe risultare da una parte “carico dienfasi” e dall’altra “superficiale .“ Il primo aspetto è che la maggioranza dei padri è fortemen-te distratta in merito alla vita dei figli e questo è noto. Ci sono molti padri lontani, giovani uomi-ni che diventano padri senza mai aver smesso di essere figli, padri che rimangono spaventatiper troppo tempo da questo evento mettendo così in crisi il loro rapporto di coppia, (vedimolte separazioni con la nascita del primo figlio) padri guerrieri, autoritari, violenti, padroni e,in ogni caso, spesso inadeguati ad offrire ai figli modelli validi.

La seconda cosa da ricordare è legata alla novità del fenomeno ed alle numerose zoned’ombra che qualunque mutamento di tipo culturale, psicologico e sociale porta con sé. Quelloche dico, dunque, può essere molto criticabile. Per ultimo una preoccupazione rispetto a que-ste mie riflessioni e cioè il timore che le stesse possano essere strumentalizzate: tra qualchegiorno in Parlamento sarà ripresa la discussione sull’affidamento condiviso e, francamente,devo dire che è lungi da me essere favorevole ad allargare questa nicchia di padri al mondointero. I padri che cerco oggi di rappresentare sono, come dicevo prima, una piccola partenelle costellazioni familiari odierne. I padri che hanno usufruito dei congedi parentali e nonsolo sono padri che “si sono rimboccati le maniche” quando hanno saputo che sarebberodiventati papà. Chi sono questi padri?

Sono uomini - e l’abbiamo visto nel filmato precedente - capaci di rivoltare abilmente nelleloro mani il neonato da cambiare, disponibili ad alternarsi con le madri al biberon e/o ad accor-rere se il piccolo si sveglia di notte. Sono persone sensibili e gentili- nel video uno di loro l’hadetto molto bene - svolgono quasi tutte le funzioni con grande naturalezza e senza alcuna osten-tazione ideologica. Nelle passate generazioni avveniva che molti uomini quando eccezionalmen-te ed occasionalmente, prendevano il posto della mamma , se ne facevano un vanto tanto è veroche c’era una frase significativa che veniva detta e cioè: “Ti aiuto a tenere il bambino”.

Qui è necessario accennare al fatto che i rapporti tra uomini e donne sono cambiati e l’au-torità viene sempre più frequentemente divisa fra padre e madre.

I mezzi di comunicazione hanno coniato un termine che definisce questi padri che si occu-pano in prima persona dei bambini e li accudiscono, che è “il mammo”. Questo, secondo me,è un brillante ed infelice esempio di uno stereotipo di cui è difficile liberarsi e della pervicaciacon cui esso circola nel nostro modo di pensare. Speriamo che questo termine abbia i giornicontati perché non è proprio il caso di farne una caricatura.

Questi nuovi padri sono quelli che sono; sono uomini senza modelli da imitare, sono geni-tori il cui genitore molto spesso non può essere un esempio da seguire. Loro sono il prototi-po di una nuova generazione di padri, l’anello non più mancante ma ancora fragile di una rivo-luzione familiare destinata a rimanere altrimenti incompiuta.

Questi uomini giocano la carta di una nuova paternità. Seguono la vita prenatale del figliocondividendone il momento della nascita; si assentano dal lavoro per poter stare accanto allamoglie che ha appena partorito e, soprattutto,se possono si mettono in congedo per alternar-si con la mamma nella cura della prole così da poter vivere assieme con i loro figli.

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Dunque è importantissimo che, simbolicamente, un figlio possa situarsi tra un polo pater-no ed un polo materno, anche se le differenze sono oggi più legate alle caratteristiche indivi-duali e di genere che a dei ruoli definiti in anticipo ed uguali per tutti.

Un papà che spinge una carrozzina è sempre un papà ed una mamma che punisce è sem-pre una mamma. Padri che desiderano i figli e hanno voglia e soprattutto motivazioni per met-tersi in gioco. La prima cosa che salta agli occhi a me quando parlo con loro, è proprio que-sto “mettersi in gioco” ed è forse il segreto del buon genitore.

Significa essere presenti, mettersi a disposizione, volersi coinvolgere nella vita dei figli.Certo non c’è da gridare al miracolo; molte donne sono ancora lì a reggere il peso di una con-dizione che le vuole onnipresenti dentro e fuori casa, come madri, come mogli, come lavora-trici, produttrici di un doppio reddito, protagoniste di carriere a scarsa visibilità sociale, ecc.

Siamo e restiamo, in Europa, il Paese con la maggiore asimmetria di ruoli all’interno dellacoppia, quello in cui la partecipazione maschile alle minute e opprimenti fatiche della quotidia-nità domestica è irrisoria. Questi nuovi padri sono persone molto vulnerabili e con pochi puntidi riferimento e si trovano a fianco mamme che questo ”mettersi in gioco” sul piano emotivolo danno per scontato. Questi nuovi padri affrontano il groviglio delle emozioni che accompa-gnano il percorso della paternità concretamente; sanno piangere e ridere, hanno speranza efiducia, sanno parlare delle loro emozioni e delle loro ansie e, come dicevo, hanno pochimodelli di riferimento. I modelli che loro hanno introiettato sono quelli “dell’uomo forte, del-l’uomo che non piange, dell’uomo che non deve chiedere mai”. Dunque, per me, sono anchemolto coraggiosi. Il pregiudizio che le “cose affettive” fossero “robe da mamme” aveva conta-minato anche le teorie psicologiche: il padre è l’autorità e la madre è il calore. Anche qui, per-ché stupirsene? Non esiste “un vuoto pneumatico” nel quale nascono le teorie degli esperti:anche gli esperti crescono in un determinato clima culturale, lo respirano e se ne cibano.Quelle teorie che rispecchiavano la cultura che le aveva generate hanno spesso contribuito asollevare i padri dal coinvolgimento nelle faccende emotive dell’educazione.

Hanno relegato il padre, se mai, nel ruolo del burbero guardiano delle norme e distaccatodalla gestione dell’autorità in famiglia. Oggi accade di sentire questi nuovi padri raccontare checondividono i loro pensieri di padri ai giardini con altre mamme ma pochissimo fra loro e, inquesto senso, mi auguro che gli uomini possano avere la possibilità di vincere l’ostacolo delblocco emotivo. Dovrebbero trovare spazi d’ascolto e di fiducia, momenti di confidenza e didialogo nel quale aprirsi con altri uomini, sul significato profondo associato all’esperienza didiventare padre. L’attenzione e l’impegno che dimostrano nell’attraversare quest’esperienza liportano poi a stare nelle emozioni che sentono e ad occuparsi, come dicevo, sia manualmen-te ma anche psicologicamente così da diventare per i figli una guida autorevole che li aiuti acrescere, a capire il mondo, ad acquistare sicurezza, autonomia e identità.

In questo senso il padre è veramente un punto di riferimento importante per il bambino checresce e questa è la funzione paterna, non tanto dunque “il mammo”.

I padri che ho incontrato sono perfettamente consapevoli del compito che li aspetta, di pre-senza affettiva oltre che normativa, di figura accudente anche “al di là del portare a casa il pane”.

Li ho sentiti consapevoli e desiderosi di migliorarsi, forse un po’ spaventati; certo stimola-ti da un compito che stanno costruendosi, inventandosi pazientemente, mentre alle loro com-pagne tale compito è stato consegnato dalla storia e dalla cultura.

Nel mio lavoro, oltre che avere appunto il privilegio - come diceva l’avvocato Filz - di vive-re dall’interno i cambiamenti familiari e poter così avere molti stimoli di ragionamento, incon-tro spesso padri che si separano e padri, chiamiamoli, “putativi”, nel senso che non sono ipadri naturali ma si occupano a tutto tondo dei bambini della compagna.

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In questo senso non esiste nemmeno una terminologia adeguata: si chiamano patrigni(vale anche per le matrigne). Non ci sono nuovi vocaboli e il nome “patrigno” però ha una con-notazione negativa.

Invece loro sono degli educatori: non entrano in competizione con il padre naturale ma“stanno accanto”, “accompagnano” e “si prendono cura”. Sono figure adulte di riferimento edi possibilità d’identificazione significative e può anche essere, a lungo termine, un effettobenefico per questi bambini che spesso emergono dai tormenti di un’unione non riuscita.

Quando questi nuovi padri si separano riescono benissimo nel percorso di mediazionefamiliare a capire le esigenze dei figli, a trovare quasi subito non tanto gli accordi di visita,quanto le modalità di visita, che sono delle cose ben precise.

Vi faccio un esempio: un padre che ha quest’esperienza capisce benissimo che è meglioche i figli rientrino qualche ora prima nella casa della mamma dopo il fine settimana che stan-no con loro e non alle 20 come spesso sancisce il Giudice.

Infatti i bambini, che non vogliono mai la separazione dei genitori, sono tesi e nervosisoprattutto quando devono lasciare uno per andare dall’altro. Ai figli questa situazione nonpiace e la loro tristezza passa spesso anche attraverso il nervosismo; ecco perché comprende-re questo stato d’animo, riportare il bimbo in tempo affinché possa avere lo spazio per decon-gestionarsi e arrivare ad andare a dormire abbastanza tranquillo è segno di grande attenzione.

Se i bambini vengono portati a casa verso le 20, 20.30 è comprensibile che a dormirevanno alle 23. E così in mille altre situazioni.

Padri e madri che si dividono se sono in grado di tener conto dello stato d’animo deifigli, fanno sì che l’evento della separazione sia vissuto dai figli stessi come un ostacolo dellavita e non come un trauma. Per concludere vorrei sottolineare che l’impegno che gli uominimettono in quest’esperienza a me dà molta gioia e soddisfazione. Numerose ricerche maanche nostre semplici osservazioni di vita quotidiana, dimostrano che anche gli uomini pos-sono prendersi cura dei piccoli rispondendo alle loro necessità.

I modi maschili non sono uguali a quelli femminili: ciò però non vuol dire che siano menoefficaci o dannosi e non significa neppure che un uomo rinunci alla propria identità maschile.Certamente alcuni uomini continueranno a sentirsi inadeguati ma anche le donne comincianoad avere delle difficoltà. Devo dire che la maternità, per molti aspetti, è un argomento terribil-mente complesso e ambivalente. Nonostante ciò un numero crescente di giovani padri avver-te che questo è un ambito in cui è possibile impegnarsi, mettersi in gioco, esprimersi e da cuisi possono ricevere soddisfazioni e gioie.

Finisco con una preoccupazione che la dott.ssa Poggio prima ha toccato solo marginal-mente in cui però mi ritrovo in pieno ed è una preoccupazione che rivolgo a noi donne.

Cosa succede oggi? Nelle situazioni delle quali ho parlato - ossia laddove osserviamo que-sti nuovi padri prendersi cura delle figlie e dei figli, dove li vediamo crescere e percorrere stra-de di rinnovamento e modificazione rispetto al passato - sovente accade che ad entrare in crisisiano le madri. E’ uno spiazzamento cognitivo ed affettivo sorprendente, legato non solo allaperdita di ruolo ma proprio ad uno spostamento di cultura.

Cosa accade allora? Non c’è da preoccuparsi; mi pare che l’apprendimento avvenga pro-prio attraverso la sorpresa e lo spiazzamento. Se le donne, le madri, s’interrogano seriamenteassieme al partner, padre dei loro figli, magari a passi lenti la cultura cambia perché cambia-no le identità di un ruolo perpetrato in millenni di storia. Dunque anche noi donne di fronte aquesti nuovi padri dovremmo trovare un’ulteriore duttilità e disponibilità a condividere la fati-ca di svolgere funzioni adulte; le donne dovrebbero imparare a “decentrare le responsabilitàfamiliari” mentre gli uomini dovrebbero “imparare a decentrarsi”.

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TESTIMONIANZAROBERTO LISIMBERTI

Buonasera. Devo stare attento a quello che dico perché è qui presente tutta la mia famigliae quindi, se sbaglio, “mi bastonano tutta la sera”.

Io ho usufruito di questo congedo parentale e sono molto contento di avere fatto questascelta, nostante tutta la cultura che c’è dietro faccia in modo che il padre sia una persona chepur tendendo a stare con i bambini, lo fa però in maniera più limitata rispetto alla madre. Sonomolto felice di aver trascorso dei periodi in più coi miei figli e condivido appieno i filmati cheho visto in apertura di questo dibattito.

Dovete scusarmi perché non sono abituato a parlare in pubblico…Che altro dirvi; al di là che sono un pioniere di questa cosa, infatti ne ho fatto uso pratica-

mente agli esordi di questa legge, ed ho trovato delle grandi perplessità a livello lavorativo. Leaziende non sono preparate ad avere dei padri di questo genere, perché ci sono delle ripercus-sioni che ricordano la sit-com televisiva “camera – cafè”: bisbigli, commenti ironici, ecceterao magari dei capi che non condividono appieno questa scelta e quindi tendono ad assumerecomportamenti che sono propri del mobbing … cose di questo genere. Devo comunque direche, tutto sommato, è stata un’esperienza positiva, che ha portato altri colleghi a utilizzare que-sto tipo di congedo, che ha dato anche a loro grande soddisfazione.

Devo anche precisare che non ho avuto nessuna difficoltà a stare coi miei figli, anche per-ché si dall’inizio mia moglie mi ha coincolto moltissimo nella loro cura. Mi ricordo, quandonacque il nostro primo figlio, che durante i primi sei giorni d’ospedale chiedeva continuamen-te dove fosse suo marito.

Io ero sempre al nido a lavare il bambino, a cambiarlo, a fare tutte le cose che comunqueuna cultura - secondo me sbagliata - porta a delegare essenzialmente alla donna; anche noisiamo in grado di farle benissimo insomma.

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SPSScuola di Preparazione Sociale

Rapporto di ricerca

L’USO dei CONGEDI PARENTALI nella PROVINCIA di TRENTO

a cura di Barbara Poggio e Michela CozzaDipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

Università di Trento

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INDICE

PREMESSA pag. 39

1. NOTA METODOLOGICA “ 41

2. LE “COORDINATE” LEGISLATIVE: UN BREVE EXCURSUS “ 43

2.1 I contenuti della legge 53/2000 2.2 Nazionale e locale: testi a confronto

3. I DATI SULL’UTILIZZO DEI CONGEDI “ 51

3.1 Il numero e la durata dei congedi3.2 La distinzione per settore3.3 In sintesi

4. GLI APPROFONDIMENTI “ 57

4.1 Il lavoro di cura4.2 Un principio disatteso4.3 Ragione e sentimento4.4 Il valore della presenza4.5 Una scelta condizionata4.6 Gli effetti sul lavoro4.7 Soluzioni possibili

5. CONSIDERAZIONI FINALI “ 73

ALLEGATI “ 75

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI “ 91

PREMESSA

Oggetto di questa ricerca è l’utilizzo dei congedi parentali previsti dalla legge 8 marzo 2000,n. 53 (“Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e allaformazione e per il coordinamento dei tempi delle città”) nella Provincia Autonoma di Trento.

Il lavoro nasce, a cinque anni dall’entrata in vigore della legge, dall’esigenza di verificare ilgrado di conoscenza e di utilizzo di uno degli strumenti più importanti che il panorama legisla-tivo italiano mette a disposizione, ovvero la già citata legge 53/2000. Tale normativa naziona-le – in primis attraverso la definizione dei congedi parentali – sostiene e invita all’adozione dimodalità organizzative e di orario a favore della conciliazione. Il tema dei congedi familiari rap-presenta infatti una questione particolarmente significativa nel dibattito relativo al rapporto tralavoro e famiglia e alla promozione di pari opportunità. L’esistenza di modelli asimmetrici nellacura e nella gestione delle responsabilità genitoriali è infatti uno dei principali fattori alla basedei fenomeni di segregazione e discriminazione di genere nel mercato del lavoro. A loro volta,i fenomeni di segregazione e discriminazione di genere presenti nel mondo lavorativo e nei luo-ghi delle decisioni, tendono a rinforzare l’asimmetria dei ruoli familiari. Tra i due fattori –modelli normativi di famiglia e condizioni del mercato del lavoro – si crea dunque un rappor-to circolare, che tende ad autoalimentarsi. Condizione essenziale per il raggiungimento di unaeffettiva equità di genere sembra dunque essere la capacità di interrompere tale circolo vizio-so, favorendo una ridefinizione dei ruoli e delle responsabilità di uomini e donne non soltantoall’interno dei contesti lavorativi, ma anche all’interno delle famiglie, a partire proprio dalleresponsabilità genitoriali, alimentando una azione sinergica volta da un lato a sostenere leopportunità professionali delle donne e dall’altro a promuovere una nuova immagine di uomo,finalmente riconciliato al ruolo di compagno e di padre.

Con questa ricerca vorremmo pertanto stimolare attraverso la lettura dei dati raccolti, leamministrazioni locali e le altre realtà produttive a progettare ed implementare azioni e buoneprassi più incisive sul territorio provinciale, contribuendo anche al dibattito nazionale sullanecessità di un cambiamento – nelle aspettative, negli atteggiamenti e nei comportamenti diuomini e donne – già in atto, ma non ancora pienamente diffuso all’interno della popolazione.

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1. NOTA METODOLOGICA

Le fasi della ricerca

1) Analisi della normativa nazionale e della corrispondente Contrattazione locale È stato avviato un lavoro di approfondimento della conoscenza della normativa vigente inmateria di parità e pari opportunità attraverso la raccolta di materiale documentario e lostudio sia delle leggi italiane precedenti la normativa n. 53/2000 e il successivo DL n.151/2001, anch’essi oggetto di approfondimento, sia del testo della Contrattazione localevigente in Provincia di Trento, considerandone le eventuali differenze fra i comparti e fra learee all’interno di ciascun comparto.

2) Disegno della ricerca e campionamentoSono state individuate le domande di ricerca (Chi utilizza i congedi parentali? In che misu-ra? In quali contesti? Con quali problemi e vincoli?) in base alle quali circoscrivere il campoper la raccolta dei dati (qualitativi e quantitativi).Il periodo di tempo considerato è quello compreso tra il 2000 (anno di entrata in vigoredella legge) e il 31 dicembre 2004. Il campo di ricerca, entro il quale raccogliere i dati quantitativi, e il campione di soggetti daintervistare, sono stati definiti in base a criteri di rappresentatività (del settore pubblico eprivato), di conoscenza della legge e competenza nella sua applicazione. Le organizzazionicontattate comprendevano cinque enti pubblici, tre sedi sindacali, l’INPS, l’ASL,l’Università, un Istituto di Ricerca.I colloqui sono stati realizzati con le rappresentanze sindacali, alcuni dirigenti e responsa-bili del personale presso gli enti pubblici e privati, esperte del Diritto del Lavoro, rappre-sentanti della Commissione Provinciale per le Pari Opportunità.

3) Raccolta dei dati quantitativiIl progetto iniziale prevedeva la raccolta di una pluralità di dati che consentissero di pren-dere in considerazioni differenti variabili potenzialmente in relazione con l’utilizzo dei con-gedi (dalla posizione professionale e al tipo di contratto dei genitori, all’età dei figli).Va tuttavia segnalata fin da subito la significativa difficoltà nel reperire anche i dati essen-ziali per delineare le caratteristiche del fenomeno: ciò è dovuto in alcuni casi al fatto che idati relativi ai congedi risultano aggregati ai dati relativi ad altre forme di astensione dallavoro (come le malattie), in altri all’introduzione di nuovi sistemi informatici e modelli diarchiviazione nel periodo considerato, in altri ancora al ritardo accumulato dalle organizza-zioni nell’archiviazione degli stessi dati, tanto che in alcune situazioni le cifre sono addirit-tura state calcolate “a mano”, senza l’ausilio di un software informatico.La necessità di confrontare dati omogenei ha così portato a limitare l’analisi alle pochetipologie di dati disponibili in tutti le organizzazioni considerate. In questo rapporto presen-teremo pertanto i dati relativi all’utilizzo dei congedi nel periodo 2000-2004, distinti in baseal sesso, suddivisi per anno e relativi sia al numero di congedi che di giorni utilizzati, senzadistinzione fra lavoratori/lavoratrici a tempo determinato e indeterminato.

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4) Realizzazione delle intervisteOltre alla raccolta dei dati quantitativi, sono state realizzate una serie di intervista semi-strutturate, la cui griglia è stata opportunamente integrata e declinata nel corso degli incon-tri sulla base della specifica competenza dell’interlocutore e di quanto emerso dalla con-versazione. Le interviste sono state realizzate nel mese di febbraio 2005, presso le singo-le strutture, ad eccezione di un caso. Ciascun colloquio è stato registrato con il consensodell’intervistato/a. Tutte le interviste realizzate sono state trascritte ed analizzate.

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2. LE “COORDINATE” LEGISLATIVE: UN BREVE EXCURSUS

La promozione delle pari opportunità è un importante obiettivo politico e sociale. Una con-dizione necessaria per il suo raggiungimento è legata al fatto che uomini e donne conoscanogli strumenti, innanzitutto legislativi, attualmente a disposizione.

Si tratta di leggi che, se conosciute e correttamente applicate, consentono un effettivosuperamento delle asimmetrie di genere: basti pensare alle leggi per la conciliazione del lavo-ro con la funzione genitoriale, o alle altre leggi di parità e pari opportunità con impatto sulledinamiche aziendali e contrattuali.

Fra le altre possiamo ad esempio ricordare la legge 9 dicembre 1977, n. 903, sulla “pari-tà di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, la legge 10 aprile 1991, n. 125 perla promozione di “azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”, ela legge 8 marzo 2000, n. 53, avente per oggetto “disposizioni per il sostegno della materni-tà e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempidelle città”, cui è seguito il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 contenente il “testounico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e dellapaternità”.

La legge 53 rappresenta per l’Italia uno strumento rivoluzionario, ponendo le condizioni diun effettivo superamento degli ostacoli che a tutt’oggi riproducono la tradizionale divisione digenere del lavoro domestico ed extrafamiliare.

Le difficoltà tuttavia non mancano, soprattutto laddove si tratti di applicare la normativa suicongedi parentali nei contesti lavorativi.

Prima di entrare nel merito dei risultati emersi dalla ricerca sull’uso dei congedi parentalinella Provincia Autonoma di Trento, pensiamo sia utile ripercorrere brevemente le tappe prin-cipali di un iter che riteniamo giunto ad un passo decisivo, ma non risolutivo.

Il percorso della legislazione italiana per la tutela e la promozione del lavoro femminile ini-ziò nel 1902, con la legge 242 che vietava alcune tipologie di lavoro per le donne e, in partico-lare, imponeva una sospensione nel periodo precedente e in quello immediatamente succes-sivo al parto, in un’ottica esclusiva di tutela e protezione, e in ultima analisi, di marginalizza-zione del lavoro femminile.

La legge 1176 del 1919 sulla capacità giuridica della donna era ispirata dallo stesso prin-cipio: la legge sanciva il divieto di impiegare personale femminile in attività relative all’uso deipoteri pubblici e giuridici e dei diritti politici.

Tristemente noto è il periodo fascista per le norme introdotte a tutela della donna in quan-to soggetto debole all’interno del mondo del lavoro, della quale era riconosciuta essenzialmen-te la funzione riproduttiva e di cura all’interno della famiglia.

Solo con l’estensione del diritto di voto alle donne e l’entrata in vigore della carta costitu-zionale, fu introdotto nel nostro ordinamento il concetto di uguaglianza (salariale e di tratta-mento: artt. 3, 37, 51), pur mantenendo un’ottica di tutela della madre e del nascituro limita-tamente al periodo di maternità.

Negli anni Cinquanta e Sessanta furono varate leggi quali la 860/1956 di tutela delle madrilavoratrici e la 7/1963 che dichiara nulle le clausole di nubilato.

È a partire dagli anni Settanta che vennero finalmente introdotte una serie di leggi (cfr.tabella 1), funzionali alla promozione delle pari opportunità tra donne e uomini, a partire dallalegge 1204/1971 per la tutela del posto di lavoro in caso di maternità, che assicura la prote-zione fisica delle gestanti e un insieme di diritti per la cura del bambino.

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Tabella 1 – Principali leggi sulle pari opportunità (1971-2001)

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LEGGE MATERIALegge 1204, 30 dicembre 1971 Tutela delle lavoratrici madriDPR 1026, 25 novembre 1976 Regolamento di esecuzione della legge 1204/1971Legge 903, 9 dicembre 1977 Parità di trattamento tra uomini e donne in materia

di lavoroLegge 194, 22 maggio 1978 Norme per la tutela sociale della maternità

e sull’interruzione volontaria della gravidanzaLegge 125, 10 aprile 1991 Azioni positive per la realizzazione della parità

uomo-donna nel lavoroLegge 215, 25 febbraio 1992 Azioni positive per l’imprenditoria femminileLegge 476, 1998 Legge che modifica la 184/1983Legge 53, 8 marzo 2000 Disposizioni per il sostegno della maternità e della

paternità, per il diritto alla cura e alla formazione eper il coordinamento dei tempi delle città

DL 151, 26 marzo 2001 Testo unico delle disposizioni legislative in materia ditutela e sostegno della maternità e della paternità, anorma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53

Nel 1977 viene emanata la legge 903 per la “parità di trattamento tra uomini e donne inmateria di lavoro”, in attuazione dell’art. 37 della Costituzione e della direttiva comunitaria76/207/CEE del 9 febbraio 1976 sulla parità di trattamento nell’accesso al lavoro, alla forma-zione, alla promozione professionale e delle condizioni di lavoro. Come ci ricordano LeaBattistoni e Gianna Gilardi (1992) la legge 903 non è stata molto fortunata, non avendo pro-dotto gli effetti e i risultati che il legislatore si augurava potesse avere. Secondo le due studio-se quando fu emanata se ne parlò molto, ma più come fatto di costume, che come strumentolegislativo e contrattuale capace di modificare le condizioni di lavoro delle donne e aumentar-ne le opportunità. Fra i motivi socio-culturali addotti come causa della scarsa efficacia dellalegge, viene citato innanzitutto il fatto che non sia nata dal movimento delle donne, allora nonancora sufficientemente attento al rapporto donne-lavoro, alla difficoltà di accesso ai diversilavori e alle diverse professionalità, ai percorsi di carriera, all’organizzazione del lavoro.L’attenzione della legge era prevalentemente rivolta ai condizionamenti che la lavoratrice subi-va per l’assenza di servizi sociali. Lo stesso sindacato non si era molto adoperato al momen-to della contrattazione, anche perché la rappresentanza femminile tra i delegati, i dirigenti sin-dacali, era piuttosto scarsa. Solo più tardi, sotto la spinta di direttive e programmi d’azionecomunitari e della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, il sistema legislativo italia-no è venuto a dotarsi di strumenti più efficaci, in particolare ricordiamo la legge 125 del 1991,con la quale il sistema stesso è stato allineato ai dettami del secondo comma dell’art. 3 dellaCostituzione1.

1 “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando, di fatto la libertàe l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti ilavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Con la legge 125 si passa da una politica di difesa delle donne alla promozione del lavorofemminile come risorsa per il mondo della produzione e viene rafforzata l’efficacia della legge903, con l’inversione dell’onere della prova: pur obbligando la lavoratrice a motivare “con ele-menti precisi e concordanti” la discriminazione, è previsto che sia il datore di lavoro chiama-to in giudizio a dover “dimostrare l’inesistenza del comportamento discriminatorio”. Accantoa questo primo importante strumento, la legge 125 introduce in Italia le “azioni positive” perla rimozione degli ostacoli di fatto sulla via dell’eguaglianza, azioni già note a livello europeodagli inizi degli anni Ottanta. Tale strumento presuppone azioni di lungo periodo che, parten-do da una seria analisi del contesto organizzativo, mirino a realizzare un cambiamento cultu-rale profondo nella vita aziendale2 e sociale.

La complessità della conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di vita, essenziale ai fini delraggiungimento della parità effettiva tra donne e uomini, è finalmente affrontata dalla legge 53del marzo 2000, più spesso identificata come legge sui congedi parentali. Il concetto di “con-ciliazione”, introdotto in Italia con tale legge, sta a significare la possibilità di bilanciare tempidi vita pubblica e tempi di vita privata attraverso una riorganizzazione del lavoro e la predispo-sizione di un sistema di servizi che permettano, soprattutto ai “genitori lavoratori”, di potersvolgere attività retribuite e non retribuite personali e di cura. Poiché si tratta di una materiacomplessa e impegnativa, la cui trattazione non può essere demandata unicamente ai soggettidel mondo del lavoro, con gli artt. 22-28 sono previste incentivazioni per Regioni e Comuni cheprovvedano all’attuazione di piani territoriali degli orari e la costituzione di banche del tempo, alfine di coordinare il funzionamento dei servizi urbani agli orari dei lavoratori e delle lavoratricie delle attività commerciali. Nel testo di legge assume particolare rilevanza la concezione di“genitore lavoratore” la quale sostituisce il riferimento esclusivo alla “madre lavoratrice” con unnuovo e rivoluzionario modo di intendere la gestione familiare e di cura dei figli/e. Nel periodoprecedente l’emanazione della legge 53/2000, un padre poteva prendere il congedo parentalesolo se sposato con una donna che godeva di questo diritto. Non era cioè un diritto individua-le. La recente legge ha cancellato questa discriminazione: con essa il legislatore ha volutosoprattutto riconoscere alla figura paterna il diritto di conciliare il lavoro e la cura dei figli, indi-pendentemente dalla lavoratrice madre. Si tratta quindi di un diritto riconosciuto in capo al lavo-ratore stesso al fine di ampliare non solo le possibilità per l’accudimento dei figli, ma di atte-nuare la tradizionale attribuzione del ruolo di cura alla donna. Di seguito cercheremo di sinte-tizzare i contenuti della legge 53/2000, rinviando alle sezioni successive per una lettura più det-tagliata del testo normativo in relazione al contesto locale trentino e agli esiti della ricerca.

2.1 I contenuti della legge 53/20003

Sebbene lo strumento dei congedi sia disciplinato dall’art. 3 della legge 53, occorre preci-sare che è il decreto legislativo 151/2001 a chiarire la distinzione tra le varie tipologie di con-gedo, modificando la terminologia usata dalle vecchie leggi come segue:

• per “congedo di maternità” si intende l’astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice;• per “congedo di paternità” si intende l’astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alter-

nativa al congedo di maternità;

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2 La legge 125 contempla l’obbligo per le aziende con più di 100 dipendenti di fornire ogni due anni alla Consiglieradi parità regionale ed alle Rappresentanze Sindacali Unitarie un rapporto sulla situazione occupazionale del persona-le maschile e femminile; ciò consente di avere a disposizione uno strumento basilare di conoscenza e monitoraggio.3 vd allegato

• per “congedo parentale” si intende l’astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore;• per “congedo per la malattia del figlio” si intende l’astensione facoltativa dal lavoro della

lavoratrice o del lavoratore in dipendenza della malattia stessa;• per “lavoratrice” o “lavoratore”, salvo che non sia altrimenti specificato, si intendono i

dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche,di privati datori di lavoro nonché i soci lavoratori di cooperative.

I congedi parentali implicano il diritto ad un congedo di durata massima di 6 mesi, da uti-lizzare nei primi 8 anni di vita della figlia o del figlio. L’utilizzo del congedo va coordinato conil congedo del partner lavoratore, fino ad un massimo di 10 mesi per la coppia (estendibile a11 mesi qualora il padre utilizzi almeno 3 mesi anche frazionati4). La legge, in tal senso, havoluto dare maggiori incentivi “regalando” ai padri che chiedono almeno 3 mesi di congedoparentale un mese in più. Marina Piazza (2003), commentando la legge, riconosce che si trat-ta di misure di incentivazione che funzionano particolarmente bene nei settori del pubblicoimpiego, dove meno forte è la competizione per la carriera e la penalizzazione operata dalleaziende. Degna di nota è la possibilità offerta ai genitori di fruire anche contemporaneamentedel congedo, trasformando – almeno potenzialmente – un periodo di permanenza a casa perla cura del figlio/a in un momento di crescita comune e di condivisione dei piaceri/doveri con-nessi al ruolo genitoriale.

Proseguendo nell’analisi del testo normativo, leggiamo che – in base a quanto stabilito –se la madre è, o diventa, single le spettano interamente i 10 mesi. Il congedo può essere uti-lizzato intero o frazionato. A livello nazionale non è stabilita una durata minima ma, a tutelaanche del datore di lavoro, è richiesto un preavviso di 15 giorni, salvo casi di oggettiva impos-sibilità (e salvo previsioni contrattuali diverse). Per quanto riguarda il trattamento economicoè prevista dalla legge la corresponsione del 30% della retribuzione, per un periodo massimocomplessivo di 6 mesi tra i due genitori, entro i primi 3 anni del figlio/a, coperti da contribu-zione figurativa. Se la lavoratrice ha una soglia di reddito inferiore alla soglia individuale di red-dito annua (pari a 2,5 volte la pensione sociale), la copertura economica riguarda l’intero perio-do di congedo fino agli 8 anni di vita. I periodi di congedo parentale sono computati nell’an-zianità di servizio, esclusi gli effetti su ferie e gratifiche.

Una diversa e migliore distribuzione del lavoro di cura tra uomini e donne, attraverso lafruizione di congedi per maternità, paternità, di congedi parentali, delle possibilità offerte perla formazione e il coordinamento dei tempi delle città, consentono di equilibrare le disparità difatto e di contrastare la segregazione con cui spesso molte donne, nonostante tutto, si devo-no confrontare nel mondo del lavoro. È forte il paradosso di fronte al quale si trovano ancoraoggi molte lavoratrici e lavoratori italiani: nonostante gli strumenti previsti dalla normativanazionale e quelli messi a punto nelle diverse realtà amministrative locali ed aziendali (telela-voro, banca delle ore, asili aziendali) per consentire la conciliazione della vita professionale congli impegni della famiglia, permangono notevoli disagi nella ricerca di un equilibrio tra vita pub-blica e vita privata. Oggi la presenza delle donne in più mondi vitali porta ad un aumento dellacomplessità dell’identità femminile adulta che sempre meno è in grado di riflettere il tradizio-nale modello di “moglie-madre” full time. Sempre più spesso la donna assume, attraverso illavoro, una visibilità e una valenza pubblica rilevanti ai fini di una ridefinizione dei ruoli geni-toriali e della gestione familiare. A questa crescente presenza pubblica femminile non corri-

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4 Esempio: 6 mesi la madre + 5 mesi il padre; 4 mesi la madre + 7 mesi il padre; 5 mesi la madre + 6 mesi il padre.

sponde però una riduzione dei problemi, delle ambivalenze e delle contraddizioni che minac-ciano la ricomposizione e l’armonia tra tempi di vita e, in primo luogo, tra responsabilità fami-liari e impegni lavorativi, tra pubblico e privato, quasi confermando quel mito delle sfere sepa-rate cui frequentemente la letteratura ha fatto riferimento (Scisci, Vinci 2002). La resistenzache molti padri continuano a dimostrare verso la condivisione delle responsabilità di cura deifigli/e non agevola il processo di cambiamento degli atteggiamenti e dei rapporti tra uomini edonne.

Nel prossimo paragrafo cercheremo di analizzare, in una prospettiva comparata, come laProvincia Autonoma di Trento abbia cercato di favorire il cambiamento intervenendo – secon-do le modalità previste – sul testo normativo. Ci limiteremo tuttavia ad indicare e commenta-re le modifiche sostanziali apportate alla legge 53/2000 nell’intento di condividere le conside-razioni derivate dal confronto fra la normativa nazionale e la contrattazione locale.

2.2 Nazionale e locale: testi a confronto

Di seguito riportiamo alcuni estratti della normativa nazionale (T.U. 151/2001: “Testo Unicodelle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità anorma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”) e, in sintesi, le parti corrispondentidella Contrattazione Collettiva Provinciale cui maggiormente hanno fatto riferimento gli inter-vistati.

Nel BOX 1 facciamo riferimento alle disposizioni vigenti in materia di tempi previsti per lafruizione del congedo parentale. In questo caso la differenza principale riguarda da un lato larigidità con cui la legge nazionale fissa i limiti massimi di astensione facoltativa dal lavoro perciascun genitore, dall’altro come nella Contrattazione Provinciale, mancando un’indicazioneprecisa, la possibilità di fruire dell’intero periodo di congedo sia lasciata anche ad un solo geni-tore.

Nel BOX 2 il focus è sul diverso trattamento economico previsto a livello nazionale e loca-le. Meritano particolare attenzione le disposizioni di maggior favore dettate dalla ContrattazioneCollettiva.

È necessario specificare sin d’ora che abbiamo preferito sintetizzare anziché citare il testodella normativa locale, poiché all’interno dei singoli comparti di Contrattazione Collettiva(Autonomie locali, Scuola, Sanità, Ricerca) esistono aree specifiche alle quali sono applicate ledisposizioni del T.U. 151/2001. Al fine di evitare inutili confusioni ogni riferimento allaContrattazione locale andrà pertanto inteso a prescindere dai casi specifici (es.: area dirigen-ziale medica; area dirigenziale non-medica del comparto Sanità).

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BOX 1: I TEMPI

E LA NORMATIVA NAZIONALE: “I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessi-vamente eccedere il limite di dieci mesi […] Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dallavoro compete: alla madre lavoratrice, trascorso il congedo di maternità […] per un periodo conti-nuativo o frazionato non superiore a sei mesi; al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un perio-do continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette […]; qualora vi sia un sologenitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi. Qualora il padre lavo-ratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore atre mesi, il limite complessivo dei congedi parentali dei genitori è elevato a undici mesi” (art. 32, T.U.151/2001)

È facile constatare come i principali cambiamenti apportati dalla Contrattazione localeriguardino due aspetti di per sé critici della conciliazione, sui quali vale la pena soffermarsianticipando quanto sarà oggetto di discussione nei prossimi paragrafi.

Per quanto riguarda la gestione dei tempi riteniamo che la questione possa essere affron-tata anche da un punto di vista generale, connesso ad un’interpretazione gendered del tempoe del suo utilizzo per la cura dei figli/e. C’è infatti – come ci spiegano Maria Cristina Bombellie Simona Cuomo (2003) – una specificità di genere anche nella concezione e nel modo di vive-re lo scorrere del tempo, tanto più se associamo questo al lavoro di cura, all’impegno che essorichiede in termini di coinvolgimento e dedizione richiesta, alla complessità di conciliare mater-nità e paternità con il lavoro extrafamiliare. Con gli occhi delle donne potremmo affermare che“l’esperienza della maternità, in particolare dell’attesa, porta con sé una visione assolutamen-te peculiare del tempo. È esperienza di tempo biologico, naturale, contro quello veloce e arte-fatto della tecnologia; è esperienza di abbandono e di espropriazione contro la logica di con-trollo e di programmazione insita nel tempo organizzativo” (Bombelli, Cuomo 2003, 18). Masoprattutto – per ritornare al tema dei congedi e alle implicazioni che la loro diversa fruizionedetermina – il lavoro di cura connesso alla presenza di figli/e ha in sé un aspetto interessantesul piano macro-sociologico: l’allocazione dei tempi, così come la dimensione culturale delgenere, nasce e si sviluppa sul rapporto tra l’universo familiare e quello lavorativo, universipresieduti da logiche opposte, non riconducibili una all’altra e per questo tanto più problema-tiche da “governare” in solitudine, come capita a molte madri. Lo confermano anche i dati rac-colti nella Provincia di Trento, dove cioè i congedi parentali sono in massima parte usati dallemadri piuttosto che dai padri: fenomeno in gran parte legato alla – e in molti casi determina-to dalla – Contrattazione locale, la quale prevede la possibilità che ad astenersi sia anche unsolo genitore (solitamente la madre) per l’intero periodo di congedo concesso. In questo con-testo qualunque ipotesi sulla naturalità del lavoro di cura associato alla figura materna è inde-bolita, mentre assume spessore un’interpretazione culturale delle scelte familiari che in parte

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E LA CONTRATTAZIONE LOCALE: Nei primi otto anni di vita del bambino la madre lavoratrice e ilpadre lavoratore possono astenersi dal lavoro, anche contemporaneamente, per la durata massimacomplessiva tra gli stessi di dieci mesi. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dallavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite complessivo (dieci mesi) delle astensioni dallavoro è elevato a undici mesi.

BOX 2: TRATTAMENTO ECONOMICO

E LA NORMATIVA NAZIONALE: “Le lavoratrici hanno diritto ad un’indennità giornaliera pari all’80per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità” (Trattamento economico enormativo: art.22, T.U. 151/2001). Al padre che intenda fruire del congedo di paternità spetta lo stes-so trattamento economico e normativo previsto per la madre nel periodo del congedo di maternità(Trattamento economico e normativo: art.29, T.U. 151/2001). “Per i periodi di congedo parentale […]alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino, un’indennità pari al 30per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi”(Trattamento economico e normativo: art.34, T.U. 151/2001)

E LA CONTRATTAZIONE LOCALE: Il congedo parentale è considerato assenza retribuita per i primitrenta giorni di calendario ed è prevista la corresponsione dell’intera retribuzione

ancora riflettono un contesto sociale tradizionale, quanto a divisione del lavoro domestico edelle responsabilità di cura. Laddove quindi – dal punto di vista istituzionale – esisterebbero lecondizioni per un “riscatto” della figura paterna (possibilità di astenersi dal lavoro per seimesi), questa rimane generalmente ancorata ad una pratica di delega alla partner delle com-petenze di cura dei figli/e: operazione che nasce dalla distanza che molti uomini spesso intro-ducono tra l’“essere” – sigillo di designazione sociale – e il “fare” il padre – dimensione di rela-zione quotidiana (Ventimiglia 1994).

Se tuttavia – come discuteremo oltre – rimangono dei dubbi sulla bontà delle disposizionipreviste dalla Contrattazione locale nella Provincia di Trento, pur essendo evidente il vantaggioeconomico che essa detta rispetto alla normativa nazionale, anche la questione economica nonè esente da considerazioni legate al genere. L’entità della retribuzione infatti gioca un ruolo nonsecondario nella determinazione della “scelta” all’interno della coppia: se consideriamo chemediamente lo stipendio percepito dalla popolazione femminile è inferiore a quello della partemaschile, e generalmente nelle famiglie è proprio l’entrata meno consistente ad essere “sacri-ficata” per la cura della casa e dei figli/e, ne consegue che ancora una volta l’onere del ruologenitoriale grava in massima parte sulla donna.

Questo e altri aspetti saranno oggetto, nei prossimi paragrafi, di una discussione puntua-le e approfondita. Nella prossima sezione infatti dedicheremo per ciascuna delle evidenzeemerse nel corso della ricerca, singoli paragrafi privilegiando nell’argomentazione quegliaspetti che – di volta in volta – ci sono sembrati fornire indicazioni funzionali sia alla succes-siva interpretazione dei dati raccolti sia alla caratterizzazione della ricerca come contributo aldibattito sui congedi parentali in Italia.

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3. I DATI SULL’UTILIZZO DEI CONGEDI

Prima di addentrarci nella presentazione e nell’analisi dei dati sull’utilizzo dei congedi parenta-li in provincia di Trento ci pare utile richiamare l’attenzione su alcune criticità relative alle modalitàdi raccolta e gestione di tali dati da parte degli enti e delle organizzazioni considerati, che non cihanno consentito una analisi più approfondita del fenomeno in questione. Al di là delle difficoltàdovute all’introduzione di nuovi sistemi operativi nel periodo considerato dalla ricerca, che impli-cano una mancanza di uniformità nei modi di registrazione, o addirittura al persistere di modalitànon informatizzate di gestione dei dati, che impediscono del tutto di accedervi, abbiamo riscontra-to notevoli problemi dovuti alle modalità di categorizzazioni: in alcune organizzazioni ad esempio idati sui congedi parentali sono assimilati ad altri tipi di assenza dal lavoro (come la malattia) e nellaquasi totalità dei casi risulta molto difficile ottenere dati disaggregati in base a variabili che sareb-bero significative per avere un quadro più completo del fenomeno, come l’età e la collocazione pro-fessionale dei genitori, l’età dei figli o la distribuzione temporale del congedo. Gli unici dati che èstato possibile recuperare in modo uniforme per tutte le realtà considerate sono quelli relativi ainumeri di congedi richiesti, distinti per sesso. Tutto ciò ci pare sintomatico di una scarsa attenzio-ne delle organizzazioni nei confronti di un aspetto che invece richiederebbe un accurato monito-raggio, se non in un’ottica di sviluppo delle pari opportunità, per lo meno in una prospettiva di pia-nificazione organizzativa. In questa sezione verranno dunque presentati i dati relativi alla distribu-zione delle richieste di congedo delle principali realtà lavorative della provincia dal 2000 al 2004,distinti per anno, per sesso del richiedente, per ambito lavorativo. Verrà inoltre presentato il datorelativo al numero complessivo di giorni di congedo richiesti, ma relativo ai soli enti pubblici e fun-zionali. I dati relativi al settore privato, sono stati forniti dall’INPS in modo aggregato e quindi nonconsentono una distinzione né tra le varie aziende, né tra i diversi settori lavorativi. Oltre ai datidell’INPS (che riguardano un totale di 60.442 lavoratori dipendenti presso aziende collocate nellearee di Trento, Val Giudicarie, Val di Cembra e Valsugana5), sono stati considerati i dati relativi ailavoratori della Provincia Autonoma di Trento, dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, deiComuni di Trento, Rovereto, Pergine e Riva del Garda, dell’Università di Trento, dell’ITC-irst, dellaRegione Trentino Alto Adige che complessivamente fanno riferimento a 78.084 lavoratori su untotale complessivo di circa 150.000 occupati alle dipendenze nella Provincia Autonoma di Trento.

3.1 Il numero e la durata dei congedi

Il primo dato considerato riguarda la distribuzione complessiva dei congedi distinti peranno e per sesso del richiedente. Dalla tabella 1 si può prima di tutto osservare che il numerodi congedi utilizzati è aumentato progressivamente di anno in anno.

Tab. 1 – Numero di congedi e percentuale di congedi utilizzati dagli uomini per anno

51

5 I dati relativi alle altre zone sono attualmente non utilizzabili perché non incompleti e comunque non ancora inseri-ti nel sistema elettronico.

Anno Numero Congedi % Congedi uomini*2000 1059 9,12001 2278 10,42002 2451 11,32003 2544 13,32004 2736 12,9Totale 11068 11,8

*I valori relativi al 2000 non compren-dono i dati INPS, non disponibili.

I dati confermano inoltre l’esistenza di una significativa asimmetria nella propensione adusufruire del congedo parentale da parte di donne e uomini (fig. 1): se consideriamo il datorelativo alla percentuale di congedi utilizzati dagli uomini vediamo infatti come nell’ultimo annoconsiderato, il 2004, soltanto un congedo su otto è usufruito dalla componente maschile. Dal2000 al 2003 la percentuale di congedi richiesti dagli uomini è andata lentamente aumentan-do e sembra assestarsi nel 2004 intorno al 13%. Il dato risulta comunque più favorevolerispetto a quello campionario nazionale fornito dall’ISTAT, pari al 7% .

Fig. 1 – Andamento delle richieste di congedo di donne e uomini

52

6 Va ricordato che i dati relativi al numero di giorni non comprendono il settore privato.

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

2000 2001 2002 2003 2004

UominiDonne

La differenza tra donne e uomini si accentua qualora si prendano in considerazione i datirelativi al numero di giorni utilizzati6 (tab.2). In tal caso le percentuali relative alla componen-te maschile si assottigliano ulteriormente, arrivando ad un dato complessivo del 5,3%, anchese pure in questo caso si nota una lieve tendenza ininterrotta di crescita che vada 3,5% del2000 al 5,9% del 2004.

Tab. 2 – Percentuali di giorni utilizzati dagli uomini

Anno % *2000 3,52001 4,72002 5,92003 6,02004 5,9Totale 5,3

*I valori relativi al 2000 non comprendono i dati INPS, non disponibili.

Se prendiamo ora in considerazione il numero medio di giorni richiesti sia dagli uomini chedalle donne si osserva che tale indice presenta un andamento negativo: da una media di 63giorni nel 2000 si perviene ad una media di 38 giorni nel 2004.

Fig. 2 – Numero medio di giorni di congedo utilizzati da donne e uomini

53

0

20

40

60

80

100

120

2000 2001 2002 2003 2004 Totale

donneuomini

Dopo un primo significativo calo tra il 2000 e il 2001 (particolarmente rilevante per la com-ponente femminile che scende da una media di 103 giorni ad una di 71), dovuto probabilmenteal fatto che al momento della sua entrata in vigore la legge viene utilizzata in maniera consisten-te anche da coloro che non hanno avuto occasione di farlo in precedenza, si assiste ad un lentoassestamento discendente, che riguarda sia le donne (che arrivano ad una media di 54 giorni)che gli uomini (che scendono ad una quota di 23), come è possibile osservare nella figura 2. Ilconfronto tra uomini e donne mostra che i primi tendono ad utilizzare il congedo per periodi ditempo più limitati (e più frammentati, come è emerso dalle interviste) rispetto alle donne. A diffe-renza delle donne, infatti, che spesso utilizzano il congedo parentale come prolungamento del con-gedo obbligatorio di maternità, gli uomini ne fanno maggiormente uso in situazioni di criticità o diemergenza, in molti casi per coprire la compagna quando non può essere lei stessa a farne uso.

3.2 La distinzione per settore

Un ulteriore aspetto che ci pare utile prendere in considerazione riguarda le differenze esi-stenti tra realtà lavorative ed organizzative differenti, in primis tra settore pubblico e privato epoi considerando in particolare il settore pubblico, non disponendo di dati disaggregati relati-vi al privato. Il confronto tra settore pubblico e privato consente di rilevare nel pubblico un piùelevato utilizzo di congedi parentali ed in particolare di mettere in evidenza una più significati-va percentuale di richieste da parte dei padri (15,2% vs. 10,6%) nel settore pubblico, come èpossibile osservare nella figura 3.

Fig. 3 – Richieste di congedo nel settore pubblico e in quello privato in base al sesso

0200400600800

1000120014001600

Pubblico Privato

donneuomini

Una delle principali ragioni di questa differenza sta sia nei diversi costi che le queste assen-ze possono avere per organizzazioni di dimensioni differenti, sia nell’esistenza di differenti cul-ture organizzative e quindi anche di conseguenze diverse in termini di sviluppo di carriera osemplicemente di riconoscimento e accettazione all’interno dell’organizzazione.

Il dato trentino può essere confrontato con quello nazionale, considerando una ricercacampionaria condotta dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia che ha riguardato i soli dipen-denti di enti pubblici: a differenza di quanto si rilevava per la totalità dei lavoratori sembra inquesto caso emergere un deficit da parte della nostra provincia, che nel 2003 presentava unapercentuale di congedi utilizzati da parte degli uomini pari al 14,8% rispetto al 19,4% segna-lato dalla ricerca nazionale.

La tabella 3 mostra la distribuzione nell’utilizzo complessivo dei congedi, nella richiestada parte degli uomini e nella percentuale di giorni richiesta dagli uomini all’interno dei diver-si ambiti nel corso dell’ultimo anno considerato, ovvero il 2004. L’organizzazione che presen-ta la maggiore incidenza di congedi sul totale dei dipendenti é la Regione (con una percen-tuale del 18,3%, significativamente al di sopra delle altre) seguita a distanza dai Comuni(9,4%), mentre all’estremo opposto troviamo l’Università (4,1%). La percentuale complessi-va di congedi sembra essere in relazione con il grado di femminilizzazione delle organizzazio-ni, con la sola eccezione dell’ITC-irst, che pur avendo alle dipendenze circa una quota diuomini pari al 66%, presenta una percentuale di congedi sul totale dei dipendenti piuttostosignificativa (9,3%).

Tab. 3 – L’utilizzo dei congedi in ambiti organizzativi differenti

54

% su dipendenti 2004 % congedi uomini % giorni uominiRegione T.A.A. 18,3 13,4 5,8Comuni 9,4 17,6 7,9ITC-irst 9,3 24,0 11,1APSS 8,8 10,9 4,6P.A.T. 6,6 19,8 7,8Università 4,1 19,0 7,3

Se poi prendiamo in considerazione la percentuale di congedi richiesti dagli uomini nel2004 possiamo osservare che tale valore risulta positivamente correlato con la percentuale diuomini presenti nelle organizzazioni: la quota più elevata riguarda questa volta l’ITC-irst (24%),seguita dalla Provincia Autonoma di Trento e dall’Università (la presenza maschile in quest’ul-tima organizzazione risulterebbe più elevata rispetto alla precedente, ma intervengono in que-sto caso alcuni fattori di tipo strutturale, come l’età mediamente elevata del corpo docente, odorganizzativo, come la maggiore flessibilità relativa ad orari e luoghi di lavoro, che tendono aridurre l’utilizzo dei congedi da parte della componente maschile). Il valore più circoscritto èquello dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (10,9%), che presenta appunto la percen-tuale più elevata di personale femminile (68%). L’eccezione in questo caso è rappresentata dauno dei quattro Comuni considerati, quello di Pergine, che pur essendo caratterizzato da unapari componente di uomini e donne, presenta una percentuale particolarmente elevata di con-gedi richiesti da uomini (29,4%).

Il terzo dato presentato nella tabella 3 è quello relativo alla percentuale di giorni di congedousufruiti, che in tutte le organizzazioni risulta più circoscritta rispetto alla percentuale di conge-di. Anche in questo caso la percentuale più elevata riguarda l’ITC-irst (11%), cui fanno seguito iComuni, con una media del 7,9% (ma che presentano tra loro significative differenze, che vannodal 4,6% del Comune di Rovereto, al 35,8% del Comune di Riva del Garda). Il dato più conte-nuto è quello relativo all’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, che risulta inferiore al 5%.

Fig. 4 – Numero medio di giorni utilizzati da donne e uomini per organizzazione

55

0,0

20,0

40,0

60,0

80,0

100,0

120,0

140,0

APSS università RegioneT.A.A.

uominidonne

Concentrando infine l’attenzione sul numero medio di giorni richiesti da uomini e donne(fig. 4) possiamo osservare che entrambi i valori risultano più elevati all’interno dell’APSS,seguita dall’Università nel caso delle donne e dai Comuni nel caso degli uomini. L’ITC-irst, cheaveva mostrato valori particolarmente significativi rispetto al numero di congedi usufruiti e allapercentuale di giorni richiesti dagli uomini, presenta in questo caso un dato medio particolar-mente circoscritto sia per la componente maschile che per quella femminile.

3.2 In sintesi

In conclusione è possibile sintetizzare i dati emersi dall’analisi in alcuni punti principali: - L’obiettivo della legge 53 di incentivare una redistribuzione dei ruoli di cura nei nuclei

familiari sembra ancora lontano: la quota di uomini che usufruiscono del congedo paren-tale è ancora fortemente minoritaria rispetto a quella delle donne. Se i primi anni di attua-zione della legge hanno visto un andamento di progressiva crescita, i dati relativi agli ulti-mi due anni mostrano un assestamento della percentuale di congedi utilizzati dai padriintorno al 13%, una soglia davvero ancora molto bassa e sicuramente al di sotto delleaspettative alla base della formulazione della legge.

- Il ricorso al congedo da parte degli uomini risulta in un certo senso residuale rispetto aquello delle donne: spesso infatti gli uomini lo utilizzano in situazioni di eccezionalità e/oquando le donne sono impossibilitate a farlo. Per questo i congedi dei padri sono di piùbreve durata e spesso utilizzati in modo più frazionato rispetto a quelli delle madri.

- L’utilizzo dei congedi è legato al tipo di organizzazione e di settore di appartenenza. Inparticolare i dati mostrano che esso è più elevato nel settore pubblico, dove sembraavere costi meno rilevanti sia in termini economici per l’organizzazione, che in termini disviluppo di carriera e di riconoscimento professionale per i lavoratori.

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4. GLI APPROFONDIMENTI

Di seguito abbiamo approfondito e sintetizzato i temi emersi dalle interviste privilegiandole questioni ricorrenti e gli aspetti maggiormente interessanti ai fini della ricerca, riportando inappositi riquadri citazioni ad hoc tratte dalle interviste7. Del più ampio e articolato dibattito sul-l’uso dei congedi parentali abbiamo affrontato e discusso in particolare il tema del lavoro dicura e della tradizionale divisione dei ruoli sociali; il testo della Contrattazione Provinciale nellaparte in cui, non specificando i limiti di tempo massimo concesso a ciascun genitore, pone lepremesse per un consolidamento della tradizionale divisione del lavoro di cura all’interno dellafamiglia; il tema della costruzione dei ruoli sociali e dell’identità femminile e maschile. Abbiamoinoltre commentato alcune riflessioni, emerse nel corso delle interviste, sull’uso dei congedida parte dei padri e sulle condizioni che concorrono a determinare scelte e rinunce all’internodella coppia; vengono inoltre proposte alcune considerazioni sugli effetti concreti che la frui-zione dei congedi parentali può avere sulla vita lavorativa di donne e uomini. Al termine dellasezione proponiamo una sintesi critica delle ipotesi formulate dagli intervistati su modalità estrategie per incentivare un maggiore utilizzo dei congedi parentali da parte dei padri.

4.1 Il lavoro di cura

La maggioranza degli intervistati è concorde nell’affermare che i congedi parentali sonoprevalentemente utilizzati dalle madri; solo una minoranza dei padri fruisce infatti del diritto diastensione (facoltativa) dal lavoro per la cura dei figli/e. Il carattere residuale del fenomenomaschile viene ricondotto innanzitutto ad una matrice culturale che sembra ancora orientarele scelte familiari e determinare una limitata condivisione del lavoro di cura tra i due genitori.Si tratterebbe insomma di una scelta “culturale” legata alla tradizionale assegnazione del lavo-ro di cura alle donne.

[con riferimento al trattamento di maggior favore previsto dallaContrattazione locale] “la domanda ricorrente che ci facciamo è: chi usufruirà diquesti benefici? E la risposta è stata “sempre e comunque la donna”, dando perscontato che sia la donna” (D1)

“è una faccenda culturale. È molto faticoso seguire i figli e probabilmente èanche questo che in alcuni casi limita i padri … lo stare a casa non è legato auna situazione di rilassamento” (U1)

“ritengo ci sia conoscenza rispetto alla possibilità di usare lo strumento, poidipende anche dalla ripartizione dei ruoli all’interno della famiglia, dal profiloculturale” (U6)

Del resto non è nuova l’idea che il “prendersi cura dell’altro” sia naturalmente parte dellavita delle donne ed è tutt’oggi diffusa l’opinione che l’attenzione alle esigenze altrui qualifichi econtraddistingua l’essere donna, madre, moglie, figlia. Stiamo quindi parlando di un modod’intendere il femminile e il maschile basato su astratti criteri di distinzione fra comportamen-

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7 Al fine di mantenere l’anonimato delle persone intervistate abbiamo scelto di utilizzare le sigle D (= Donna) o U (=Uomo) numerandole in modo casuale, quindi senza alcun riferimento all’ordine cronologico con cui gli incontrihanno avuto luogo, in modo da preservare una certa logica nell’attribuzione delle citazioni.

ti ed etiche di uomini e donne. Non è di per sé evidente che l’etica della cura abbia un genere,perlomeno per chi si sforzi di andare oltre un’interpretazione determinista dei fatti sociali o nonsi limiti a dare per scontato, naturale ed ovvio il senso e il significato dell’ambiente circostan-te. Già nell’età vittoriana era radicata l’idea che le donne possedessero certe virtù femminili chele rendevano adatte al compito di assistere i malati. Idee simili circa l’esistenza di virtù speci-ficamente femminili e maschili, e di un ordine naturale con specificità legate al genere, si pos-sono trovare in molti scritti filosofici, da Jean-Jacques Rousseau a Schopenhauer, senzadimenticare il contributo di Sigmund Freud – ritenuto il padre della psicanalisi – secondo ilquale “per le donne il livello di ciò che è eticamente normale è diverso dal livello di ciò che ètale per gli uomini”.

Alcune studiose, a partire da Mary Wollstonecraft (1759-1797), guardarono con sospettoalla distinzione tra virtù femminili e ragione maschile e iniziarono ad interrogarsi sull’origineculturale della divisione del lavoro produttivo e riproduttivo. Più recentemente NancyChodorow (1978) e Carol Gilligan (1982), utilizzando un approccio psicologico assai discus-so, hanno sostenuto e argomentato l’esistenza di una prospettiva morale essenzialmentediversa fra donne e uomini.

Su questa materia, tutt’ora largamente dibattuta, rimane la pericolosità di un appiattimen-to a spiegazioni essenzialiste, che riconducono a fattori psicologici e/o biologici i modelli dicomportamento umano, a scapito parziale o totale dei fattori sociali di costruzione, organizza-zione e divisione di ruoli, competenze, sfere di azione. Il mito delle sfere separate (Scisci, Vinci2002) è centrale nella definizione e comprensione del lavoro di cura. Siamo concordi nell’af-fermare che il lavoro retribuito e quello non retribuito sono entrambi basilari per il buon fun-zionamento della vita familiare.

Nonostante questo rileviamo una tendenza persistente a considerare il lavoro retribuitocome l’unica vera forma di lavoro, a scapito del lavoro non retribuito che sappiamo esserecomunque sostanziale nella gestione della quotidianità familiare. Al di là delle specificità diogni singolo nucleo familiare nel definire priorità e quantità dei bisogni, vi sono compiti ele-mentari quali la pulizia della casa e il far da mangiare, cui si aggiunge eventualmente l’accudi-mento dei figli, che devono essere svolti da qualcuno; spesso lo svolgimento di queste man-sioni resta invisibile per bambini e uomini che ne sono i principali beneficiari, ma è un granpeso per le donne che quotidianamente lo affrontano.

Il lavoro per la famiglia ha poca visibilità perché svolto in ambito privato ed è spesso sot-tovalutato, o addirittura non riconosciuto, in base allo stereotipo culturale secondo cui unamoglie e una madre dovrebbero comunque, anche in presenza di un’attività extradomestica,occuparsi del lavoro di casa. D’altra parte il lavoro retribuito, che si svolge per lo più in un con-testo pubblico e quindi più visibile, tende per lo stesso meccanismo ad essere associato agliuomini, in quanto da un marito e un padre di famiglia responsabile ed affidabile ci si aspettache abbia un lavoro e uno stipendio regolari.

Delle molteplici implicazioni, reali e simboliche, e quindi della “densità” del concetto di curac’è generalmente scarsa consapevolezza, se non da parte di quanti ne hanno fatto materia distudio o di coloro che coltivano un interesse specifico – non necessariamente professionale –sull’argomento. Marina Piazza (2001) ha efficacemente sintetizzato i significati che il lavoro dicura ha assunto nel corso del tempo, evidenziando l’enorme complessificazione e diversifica-zione che oggi lo caratterizzano. Il lavoro di cura può quindi essere definito come:

1. Lavoro multiplo: è un lavoro materiale di cura della casa (lavare, stirare, cucinare, ecc.);è un lavoro di consumo (collegamento tra mercato privato e bisogni della famiglia); èun lavoro di rapporto (attenzione, risoluzione dei conflitti interni alla famiglia e con

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l’esterno); è un lavoro di manutenzione dell’apparato tecnologico-domestico; è il lavoromaterno (con il suo aspetto “moderno” di intensificazione dell’interazione psico-affetti-va rispetto alla cura materiale); è un lavoro di mediazione con le istituzioni e le agenziedel welfare (nidi, scuole, ospedali, ecc.); è un lavoro amministrativo e organizzativo(delle risorse monetarie e umane della famiglia)

2. Lavoro legato ai cambiamenti demografici degli individui e delle famiglie: è un lavoroconnesso alle diverse fasi della vita e quindi riguarda principalmente la cura dei bambi-ni e degli anziani. In questa accezione va sottolineato come il concetto stesso di solida-rietà e responsabilizzazione siano stati a tal punto tematizzati ed enfatizzati da causareun diffuso senso di inadeguatezza. Infatti l’associazione del concetto di cura con risor-se e capacità “professionali”, può determinare una crescente percezione di incapacitàrispetto ad un lavoro che professionale non è, ma che comunque dev’essere svolto. Ciòpuò significare la chiusura della persona (nella gran parte dei casi donna) in una morsache aumenta il senso di solitudine e di oppressione

3. Lavoro simbolico: un’operazione filtrata nei secoli, attraverso miti e letteratura, ha fattosì che l’“umile” lavoro di cura assumesse una specifica connotazione femminile; il lavo-ro di cura è diventato un modo di produzione definito dalla relazionalità, dall’espressivi-tà, dall’orientamento ai bisogni, dalla disponibilità, dalla comunicatività

4. Lavoro che si trasforma nel tempo: si modella infatti sul corso di vita della famiglia,intrecciandosi con le vicende dei cicli di vita dei singoli membri, tracciando scenarimutevoli in cui si definiscono volta a volta maggiori o minori simmetrie e asimmetrie.

Queste definizioni del lavoro di cura ci aiutano a chiarire l’oggetto della ricerca: quando par-liamo di congedi parentali facciamo riferimento alla possibilità, per entrambi i genitori, di vive-re il rapporto di coppia e quello con i propri figli/e in tutta la sua complessità, contraddittorie-tà e ricchezza ma, ciò che è più importante, di condividere responsabilità altrimenti gravose edestabilizzanti. Con questa considerazione ci avviamo alla discussione di un aspetto partico-larmente rilevante ai fini della ricerca e che noi abbiamo identificato con uno dei punti di mag-giore criticità della Contrattazione locale.

4.2 Un principio disatteso

I testimoni intervistati evidenziano come – a livello provinciale – il testo dellaContrattazione Collettiva – pur stabilendo condizioni di maggior favore per i genitori rispettoalla normativa nazionale – abbia disatteso la ratio con cui era stata formulata la legge 8 marzo2000, n. 53 per il sostegno alla maternità e alla paternità. Per alcuni testimoni che sia concre-tamente la madre ad assumersi per intero il compito della cura dei figli nell’arco dei mesi con-cessi, non può che essere positivo, un ulteriore vantaggio derivante dalla ContrattazioneProvinciale. Per altri si tratta di un limite fondamentale che sminuisce la portata innovativa edil valore originario della normativa. Il testo della Contrattazione infatti sembra non incoraggia-re i padri ad esercitare il loro ruolo all’interno della famiglia: la maggioranza fra loro sembraancora “immatura” ed impreparata a condividere il lavoro di cura.

“Penso sia comunque un vantaggio lasciando la libetà ai genitori di scegliere.Abbiamo avuto dei casi in cui i padri hanno usufruito dell’intero periodo: sonopochi casi ma penso sia un vantaggio non mettere limiti” (D9)

“La battuta ‘piuttosto che restare a casa preferisco andare a lavorare’ … èindicativa di un certo atteggiamento da parte dei padri che vedono la propriapresenza in casa in termini di convenienza per la coppia più che per i figli, ragio-nando nei termini ‘per noi due qual è la soluzione migliore?’ Forse dobbiamoconcludere che il padre non è ancora sufficentemente maturo … laContrattazione esplicitamente non favorisce la madre; nei fatti porta a delle scel-te quasi obbligate. Nel caso di coniugi con parità di condizione lavorativa la scel-ta cade comunque sulla madre” (U4)

“Avendo tolto l’obbligo di cumulo si è un po’ disatteso lo spirito della 53perché sicuramente non incita i padri a prendere il permesso … molti genitorilavorano entro il contesto provinciale con una tendenza a far fruire comunquealla madre i benefici della Contrattazione” (D7)

Poiché nella maggioranza dei casi la scelta cade naturalmente sulla madre, alla quale èaffidata la cura pressoché esclusiva dei figli, è lecito pensare che – allo stato attuale – la nor-mativa provinciale contribuisca indirettamente a determinare le scelte genitoriali e, più ingenerale, all’affermazione di un’etica della cura femminile in un contesto ancora evidentemen-te impreparato a valorizzare, autonomamente nel privato, la paternità. Del resto è solo nell’ul-timo decennio che, soprattutto attraverso le ricerche condotte attorno alla condizione femmi-nile, è emersa una certa attenzione alle pratiche differenziate delle donne e degli uomini all’in-terno della famiglia (Bimbi, Castellano 1990). Se numerosi sono infatti gli studi sulla mater-nità, pochi sono quelli sulla paternità e scarsi gli sforzi compiuti sinora per recuperare l’uo-mo al suo ruolo di padre reale e presente nelle vicende che scandiscono la quotidianità dome-stica. Carmine Ventimiglia (1994) riconduce questa secolare latitanza dei padri all’assenza dimemoria culturale, di tracce precedenti nella loro biografia, ovvero di modelli analoghi a quel-li di madre che da sempre sono oggetto di comunicazione interpersonale nell’esperienza didonne tra donne. Analisi di questo tipo, che potrebbe suonare ad un tempo come ennesimagiustificazione di mancanze spesso consapevoli e strategiche, portano ad un livello superiorela nostra riflessione sulla paternità. Se da un lato va riconosciuta la mancanza di riferimentivalidi per i giovani padri, dall’altro proprio l’assenza di modelli dà la possibilità di “inventare”il proprio ruolo all’interno della famiglia e nel rapporto con i figli/e. Permangono tuttavia delleambivalenze sulle quali è bene interrogarsi. Ambivalenze che riguardano ad esempio nontanto il desiderio maschile di appropriarsi anch’esso della cura e dell’esperienza della cura delfiglio/a, quanto il rischio di strutturare tali aspirazioni più in chiave competitiva con la madre.C’è poi un altro rischio: quello di assumere il modello dell’altra (il “mammo”) eludendo il pro-blema di fondo che non è quello dell’inversione di un modello di paternità virile ed emotiva-mente staccata con un modello di paternità affettuosa e “adorabile”, quanto quello di ricono-scere che ciascuna identità – proprio perché portatrice di specificità – ha il diritto di ricerca-re ed esprimere proprie modalità relazionali. La transizione ad una paternità vissuta, il “pen-sarsi” padre diventa un pensarsi materiale solo attraverso i piccoli eventi che fanno la storiaquotidiana delle relazioni. Se queste rimangono astratte e disancorate dall’impegno etico delfarsi carico concreto e globale, tanto dei vincoli quanto delle possibilità inscritte nell’eserciziodella paternità, allora il rischio è quello di vivere la condizione di padre assumendo tacitamen-te la madre come il proprio doppio o delegando interamente ad essa il ruolo affettivo e l’im-pegno di cura.

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Un ulteriore elemento di criticità in tal senso è dato dall’assenza di possibilità per il padredi astenersi dal lavoro nel giorno del parto: è paradigmatico che, laddove la legge ha comeprimo obiettivo la ri-conciliazione dei padri alla cura dei figli, prevedendo anche la contempo-raneità della fruizione dei congedi da parte dei genitori, non sia ancora riconosciuta la possi-bilità di astensione dal lavoro il giorno del parto.

Esistono quindi molte ragioni per sostenere una maggiore partecipazione degli uomini nellavoro di cura. Non solo una più equa divisione del carico familiare agevolerebbe le donne neltentativo di conciliare tempi e impegni pubblici e privati, ma darebbe loro l’opportunità di ridefi-nire la propria identità arricchendola di esperienze e stimoli prezioni di crescita individuale. Unapiù equa condivisione – adeguatamente supportata a livello istituzionale – potrebbe anche miglio-rare il benessere fisico e psicologico di uomini e donne ponendo le premesse per una società piùsana ed “equilibrata” (Commissione delle Comunità Europee-Rete di esperti per l’infanzia 1993).

La legge 53/2000 sui congedi parentali ha fatto intravedere l’inizio di un processo di rie-quilibrio all’interno delle coppie nella cura dei figli. Laddove la Contrattazione locale ha invece– suo malgrado – causato un indebolimento del principio guida riteniamo serva innanzittointervenire con un’attenta analisi della situazione presente cercando di capire cosa guida icomportamenti e le scelte di uomini e donne.

4.3 Ragione e sentimento

Fra le testimonianze raccolte c’è chi – con riferimento al territorio provinciale e ai vincoliposti dalla Contrattazione locale – ritiene che all’origine della scarsa o nulla partecipazione delpadre al lavoro di cura ci sia anche una sostanziale “gelosia” delle madri nei confronti di unruolo che storicamente appartiene a loro; tale gelosia si tradurrebbe quindi nella difesa di unospazio privato del quale, per secoli, sono state “padrone”: esattamente e specularmente comegli uomini vedono con apprensione e ostilità l’avventurarsi delle donne nel campo, fino a ieriloro riservato, del lavoro per il mercato.

“Molte donne hanno riconosciuto la difficoltà, dettata culturalmente, di per-mettere al proprio partner di prendere parte alla cura della casa, sono consape-voli della possibilità che lui effettivamente prenda parte ai lavori domestici. C’èun ostacolo culturale che impedisce di lasciare che sia il proprio partner a por-tare avanti determinate tipologie di lavoro … Molte donne ci hanno testimonia-to anche della disponibilità del partner e hanno ammesso la bontà del loro pos-sibile operato, tuttavia hanno anche riconosciuto di essere loro stesse a nonpermetterglielo per timore di non sentirsi più ‘madri’ ” (D1)

“C’è una certa gelosia nei confronti del padre che porta a non ‘concedergli ilfiglio’, la cura della casa, per timore di sentir vacillare il proprio ruolo …Affermazioni del tipo ‘lui non è capace, arriva tardi, è lento, è sempre troppo impe-gnato’, non sembrano del tutto fondate oppure, a forza di ripeterle, ingabbiano ilpartner in una scarsa consapevolezza del suo ruolo e delle sue capacità” (D8)

Ancora oggi per molte donne l’identità femminile coincide innanzitutto con la maternità ela possibilità di esercitare il ruolo di madre all’interno di uno spazio (domestico) nel quale ilpadre occupa una posizione solo marginale. La paura di “sentir vacillare il proprio ruolo” nascedalla natura del cambiamento che il legislatore si proponeva di avviare con la legge 53/2000:

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un aumento della partecipazione degli uomini nella cura ed educazione dei bambini significadefinire e essumere nuovi ruoli, nuove identità e nuove relazioni. Questo mutamento che sem-brerebbe coinvolgere esclusivamente la popolazione maschile agisce invece anche sulle donneche pertanto da un lato non dovrebbero essere escluse dal problema, dall’altro andrebbero aiu-tate – assieme ai loro partner – in questo percorso di trasformazione. Tuttavia fin tanto che frale donne ci saranno resistenze, fino a che molte continueranno a non permettere agli uomini,loro compagni e mariti, di assumersi maggiori responsabilità di cura dei bambini e sino aquando mancherà l’intenzione unanime di sostenere questo processo di cambiamento, saràdifficile che esso si realizzi (Commissione delle Comunità Europee-Rete di esperti per l’infan-zia 1993). La maggiore partecipazione degli uomini nella cura ed educazione dei figli/e com-porta modificazioni importanti nell’identità maschile e femminile, ma non implica la loro fusio-ne in un’unica identità comune. Non significa che gli uomini e le donne debbano agire, comegenitori e come individui, omologandosi ad un’unica identità di genere, ma vuol dire creare lecondizioni affinchè ciascuno possa sperimentare proprie strategie d’intervento all’interno dellafamiglia. Questo per non incentivare il ricorso a formule autogiustificative di assenze o mani-festazioni di noncuranza verso problematiche pertanto riversate sulla propria partner o – sep-pur accada di rado – sul proprio partner. Non sarebbe un caso che dalla gelosia di qualchemadre derivasse una sorta di effetto perverso in base al quale il partner accetta un ruolo affet-tivo e gestionale residuale che, al momento opportuno, può anche diventare un comodo alibiper demandare alla partner l’intero lavoro cura.

Per interpretare e superare questa pratica diffusa e la tradizionale distinzione tra sfera pub-blica maschile, centrata sulla gestione degli affari, e privata femminile, sede degli affetti e delleincombenze domestiche, occorre innanzitutto comprenderne il carattere derivato, non natura-le. Il pensiero filosofico moderno ci ha lasciato in eredità l’opposizione fra pubblico e privato,tra ragione e sentimento, tra passioni pubbliche e sentimenti privati, tra produzione e riprodu-zione, affidando il dominio delle due sfere rispettivamente agli uomini e alle donne, con riper-cussioni significative nelle vite di entrambi.

Il superamento delle dicotomie dipende innanzitutto dalla possibilità per le donne di rag-giungere l’autonomia all’esterno della famiglia. Introducendo nella sfera pubblica parte deivalori di cura a cui è stata suo malgrado socializzata, la donna ha la possibilità di trasformareuna scomoda eredità culturale nell’occasione per farsi promotrice di una nuova etica della curaispirata al dialogo fra le parti (Pulcini 2003). Ad esempio attraverso il coinvolgimento del par-tner nelle attività domestiche e di formazione dei figli/e è possibile aggirare ostacoli di cuispesso la donna stessa è artefice oltre che vittima. L’eventuale considerazione dell’altro comeincapace e inadatto allo svolgimento di determinate mansioni infatti non favorisce la collabo-razione, ma alimenta l’ostilità e la resistenza alla condivisione degli impegni familiari. È neces-sario che la donna sappia riconoscere ciò che “intrappola” la conciliazione e impedisce il ri-equilibrio della sfera pubblica e privata. Il primo passo consiste nell’applicazione del principiodi delega: il passaggio di responsabilità va fatto lasciando al partner la libertà di agire speri-mentando il proprio stile. Ancora oggi infatti per molte donne non è facile delegare la gestio-ne di ambiti, relazioni e spazi che consentono un pur limitato esercizio del potere. Il secondopassaggio consiste nel trasmettere quanto di più positivo c’è nel “governare” la casa e gli affet-ti che essa custodisce: l’aspetto sgradevole delle mansioni di cura non sarebbe un buon incen-tivo alla collaborazione e condivisione del carico familiare.

Sul piano istituzionale e sociale occorre procedere all’attivazione di misure a sostegno delledonne affinchè possano iniziare e completare il proprio inserimento nella sfera pubblica, altempo stesso valorizzando ed incentivando il contributo che la figura paterna può dare nella

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dimensione domestica, affettiva ed emotiva. In questo senso pare che un maggior sforzo daparte delle istituzioni e dei datori di lavoro per ricompensare il lavoro di cura, che molte donnegià svolgono pazientemente e con grandi sacrifici, non solo sarebbe un riconoscimento perl’importante contributo che esse offrono in silenzio e gratuitamente alla collettività, ma potreb-be agire da incentivo anche per la parte maschile. Su questo punto tuttavia riteniamo di doversoffermarci per chiarire il carattere controverso della questione.

Attualmente nessuno può permettersi di ignorare il prezzo – in gran parte simbolico – dellavoro di cura. Tuttavia il valore sociale, seppur in crescita (in questo senso pensiamo ancheall’importanza di avere una baby sitter, una badante, una persona che aiuti nelle faccendedomestiche e possa coprire ogni altra urgenza “domestica”), è ancora piuttosto basso e siriflette nello scarso riconoscimento economico del lavoro di cura. Questa è anche una delleragioni per cui molti uomini – innanzitutto nel ruolo di padri – ritengono che occuparsenepotrebbe costituire un passo indietro nella scalata personale al successo o al raggiungimentodi determinati obiettivi professionali. Se quindi è lecito supporre che da un lato un innalzamen-to del valore sociale e quindi economico del lavoro di cura potrebbe attirare più uomini, dal-l’altro sarebbe giustificabile l’atteggiamento di riprovazione da parte di quelle donne che già losvolgono senza alcuna forma di riconoscimento. In questo senso molte potrebbero desidera-re il cambiamento, un maggior coinvolgimento degli uomini nella cura della casa e dei figli, matale desiderio potrebbe contenere una commistione comprensibile di ansia e dubbio. Questaambivalenza dev’essere oggetto di grande attenzione nello sviluppare strategie appropriate perincoraggiare e sostenere il cambiamento, senza alimentare nuove occasioni di scontro oincomprensione fra uomini e donne.

4.4 Il valore della presenza

Fra gli intervistati c’è accordo nel riconoscere che fra i cambiamenti più significativi appor-tati dalla legge n. 53 del 2000, il principale riguarda il riconoscimento di un diritto del padread astenersi dal lavoro per destinare parte del suo tempo alla cura dei figli. Fermo restando ilmaggiore utilizzo dei congedi da parte delle madri, i giovani padri che usufruiscono del con-gedo parentale si assentano dal lavoro soprattutto nel periodo immediatamente successivoalla nascita del figlio/a.

Da un lato questo fa supporre una loro maggiore attenzione – rispetto al passato – nei con-fronti della partner; alcuni testimoni affermano si tratti di una scelta dichiarata di “qualità”: ilpadre sceglie, quando non sussistano condizioni sfavorevoli, di seguire subito il propriofiglio/a, riconoscendo il valore della presenza di entrambi genitori. Sarebbe questo un modoper dare spessore ai rapporti familiari attraverso un uso consapevole del tempo.

“I giovani padri,diversamente dal passato, scelgono di vivere momenti comeil periodo successivo alla nascita, accanto alla compagna. È una scelta dettatada una valutazione del valore del momento. C’è un approccio diverso, c’è unadiversa mentalità, la maternità e la paternità sono vissute in modo diverso daigiovani padri. Si tratta di condividere certi momenti” (D3)

“Sono scelte maturate, proprio ponderate all’interno della famiglia, indipen-dentemente dal ruolo ricoperto dal padre nella struttura perché abbiamo avutorichieste di congedo parentale non solo dal personale non dirigenziale, maanche dal personale dirigenziale” (U2)

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Dall’altro lato c’è chi ipotizza che la corresponsione dell’intera retribuzione, come previstodalla Contrattazione nei primi trenta giorni di congedo, rappresenti un incentivo importante peri padri, laddove prevalga la ragione economica.

“Il primo mese retribuito al 100% lo hanno usato tutti, mentre prima nessu-no si è mai interessato di accudire il figlio … il padre, fatta eccezione per ilprimo mese al 100%, non prende ulteriori mesi” (D7)

“Noi possiamo dire di essere molto avvantaggiati rispetto al settore privatoin virtù di queste disposizioni contrattuali provinciali che prevedono la retribu-zione al 100% per i primi trenta giorni di congedo parentale … Questo è ungrosso vantaggio” (D2)

Prima che la legge n. 53 del 2000 introducesse in Italia il concetto di “conciliazione”rispondendo all’urgenza di una maggiore partecipazione maschile al lavoro di cura, si sonosucceduti anni di accesi dibattiti e polemiche – all’origine sollecitate dal movimento femmini-sta – attorno al famoso paradigma della doppia presenza (Balbo 1978; Zanuso 1987). Come ciricorda Marina Piazza (2003) è dalla metà degli anni Settanta, e quindi a partire dal fenomenodi un accesso allargato e più qualificato delle donne e dal fatto che cominciavano a restare sulmercato anche se sposate e con figli, che si è appunto formato il paradigma della doppia pre-senza. Il termine “presenza” (invece di lavoro) stava ad indicare il significato, non puramentestrumentale, che le donne attribuivano al loro esserci nel mercato del lavoro: quindi non unapresenza dettata dalla pura necessità economica – che oggi è percepita in modo sempre piùconcreto – bensì dalla volontà di esprimere una parte importante della loro identità.

Accanto a queste problematiche, solo oggi si comincia a parlare oltre che dell’“invisibiledilemma del daddy stress” (Piazza 2003) – un conflitto non esplicitato tra i doppi doveri dellafamiglia e del lavoro che i padri spesso temono e stentano ad affrontare – anche dei primi datiincoraggianti relativi ai padri che prendono i congedi parentali e offrono testimonianze confor-tanti, se non esaltanti, della loro esperienza. Della prima questione in parte abbiamo giàdiscusso e sarà oggetto di ulteriori argomentazioni nei prossimi paragrafi. Vorremmo quindidare maggior risalto proprio al secondo tema.

I giovani padri sembrano essere, nonostante tutto, più vicini ai loro figli di quanto non losiano state le generazioni precedenti. Chi offre la propria testimonianza parla di esperienze, avolte non solo limitate al periodo di congedo, molto gratificanti in virtù dalla maggiore vicinan-za emotiva ai proprio figli/e. Del resto esistono nuove aspettative verso i padri, non più soloconsiderati come i responsabili del mantenimento della famiglia, ma anche come figure dicura. Parlare di paternità oggi non significa creare – come sottolinea Ventimiglia (1994) unacontrapposizione tra una figura paterna di ieri, superata perché arida e priva di sentimenti, euna figura paterna di oggi, moderna e nuova perché capace di vivere i proprio sentimenti contrasparenza e orgoglio.

Si tratta piuttosto di considerare e studiare i processi di evoluzione delle identità di gene-re a partire dai segnali positivi che la nuova immagine di padre – fortemente attesa e incorag-giata – lancia all’interno dei contesti pubblici e privati. Il segno di relativa novità, se si vuole,che oggi sembra caratterizzare i comportamenti paterni, specie quelli delle ultime generazioni,riguarda la possibilità e la ricerca della configurazione espressiva dei sentimenti, di un’esteti-ca dell’amore oggi finalmente legittimata e legittimante. Ciò non deve comunque infondere unaeccessiva sicurezza, perché molto c’è ancora da fare, soprattutto per accrescere la consape-

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volezza nei padri che il loro ruolo non va esercitato esclusivamente per coprire le urgenze esvolgere compiti limitati – fornendo una “presenza su richiesta” (Piazza 2003) – né tanto menoper presenziare ai soli momenti di gioco nella vita dei propri figli/e – offrendo di sé un’imma-gine esclusiva e “mono-espressiva” (Ventimiglia 1994) –. Ciò significa che gli uomini dovreb-bero imparare a farsi carico anche dei lavori domestici, dell’aspetto meno gratificante del lavo-ro di cura per offrire un contributo sostanziale all’interno della famiglia e dare valore concretoalla propria presenza.

4.5 Una scelta condizionata

La scelta e le modalità di fruizione del congedo non dipendono solo da ragioni culturali, main larga parte sono determinate dal trattamento economico e dalla condizione lavorativa deigenitori: come già sottolineato, mediamente la retribuzione delle madri è inferiore a quella deipadri e ciò influisce pesantemente nella scelta di chi fra i coniugi si asterrà dal lavoro, dove sicercherà di arrecare il minor danno possibile all’economia familiare.

Quando entrambi i coniugi sono lavoratori dipendenti in strutture tutelate dallaContrattazione Collettiva, la scelta tende a ricadere sulla madre; laddove solo uno dei dueconiugi può godere delle misure previste dalla Contrattazione, la scelta converge tendenzial-mente su tale genitore, per ovvie ragioni di convenienza economica. Più complessa risulta lascelta nel caso di genitori lavoratori del settore privato, liberi professionisti, oppure lavoratoricon forme contrattuali atipiche scarsamente tutelate dalla Contrattazione e dalla legge.

“Il trattamento di favore previsto dalla nostra contrattazione fa sì che difficil-mente, se la madre è dipendente pubblica sia lei a rinunciare a favore del padre,perché ha un migliore trattamento economico … Nel privato le difficoltà sonomaggiori: la minor fruizione di questi benefici evita di compromettere il rappor-to col datore di lavoro” (U4)

“Dipende anche dalla realtà circostante: nel Trentino ci sono molti lavoratoriautonomi, commercianti, piccoli imprenditori, artigiani per cui ovviamente quisono in maggior parte le madri a prendere il congedo. I lavoratori autonomisono pur sempre lavoratori, ma non hanno la possibilità del congedo, e questofa ricadere l’onere sulle madri” (D6)

“Strumenti come la legge 53 stanno facendo il loro tempo di fronte alla nuovalegislazione del lavoro che permette una sempre maggiore precarietà: la legisla-zione del lavoro è recentemente cambiata e quindi non ha più senso parlare dileggi come queste con la gran parte dei lavoratori che lavorano a tempo deter-minato se non adirittura per pochi giorni (anche per sostituzioni maternità) …questi strumenti interessano sempre lavoratori protetti in settori già protetti …sono strumenti basati su prospettive di lavoro di lungo periodo” (D8)

La possibilità di astenersi dal lavoro è inoltre commisurata alla posizione lavorativa: media-mente chi svolge funzioni dirigenziali o assimilate da un lato può contare su un trattamentoeconomico che rende meno impegnativo l’affidamento dei figli a strutture esterne durantel’orario di lavoro, dall’altro deve però fare i conti con la richiesta di una costante presenza sullavoro.

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“Un lavoro semplice, operativo, non lascia grandi possibilità di carriera; il pro-blema dell’assenza dal lavoro è forse più sentito per i lavori di responsabilità edove ci sono possibilità di carriera. Se l’assenza non incide sulla carriera, inci-de comunque sulla disponibilità temporale che si dà all’azienda e l’ordine dellepriorità: l’azienda ha mille modi per renderti la vita difficile, ad esempio nonfavorire la flessibilità degli orari, dei turni, in modo compatibile con l’organizza-zione degli impegni familiari. Se si lavora in aziende grandi, con molti dipenden-ti l’assenza di una persona conta meno che in un’azienda di quindici venti per-sone” (U1)

“Un professionista … dirigente ha maggiori necessità di essere presente equesto fa sì che ancora una volta sia tendenzialmente la madre a richiedere ilcongedo … la dirigenza è prevalentemente maschile, rispetto al comparto nondirigenziale che è in larga parte femminile” (U4)

Non sono mancate le riflessioni sulla relazione tra conciliazione e funzionalità dei servizi sulterritorio (asili nido, scuole, strutture di assistenza all’infanzia …) che potrebbero costituire unreale aiuto al problema dell’accudimento dei figli per i genitori lavoratori (Tempi delle città:Capo VII, legge n. 53/2000). Laddove invece i servizi sul territorio sono erogati secondo tempie modi che prescindono dalle reali necessità di gran parte delle famiglie, rimane – come unicasoluzione – la tradizionale rinuncia, totale o parziale, da parte della madre al proprio lavoro e,nei casi migliori, la scelta del padre di usufruire del congedo proprio nel periodo estivo, inalternativa alla partner. A questo proposito Chiara Saraceno (2002) ha individuato la radice delproblema nell’organizzazione dei tempi delle città e dei suoi servizi in quanto concepiti su stan-dard obsoleti rispetto alle profonde modifiche che il mercato e l’organizzazione del lavoro stan-no subendo.

“Nel periodo estivo si sovrappongono assenze di questo tipo per l’assenzadelle strutture esterne come gli asili nido, le scuole materne e elementari. Se giàil periodo estivo è critico per le ferie, lo diventa ancora di più per la fruizione deicongedi” (D3)

“Le astensioni si concentrano nei periodi estivi … le suole chiudono e quindic’è l’esigenza di essere presenti in famiglia” (D9)

Gli aspetti a cui viene dato maggior rilievo riguardano quindi la complessità del settore pri-vato; la crescente precarizzazione del mercato del lavoro cui non corrisponde un adeguamen-to normativo sufficientemente rapido; le priorità che i genitori lavoratori, con ruoli dirigenzialie responsabilità organizzative, sono in parte costretti a stabilire fra sfera pubblica e sfera pri-vata: aspetto che tocca anche il tema delle difficoltà che le donne incontrano nello sviluppodella propria carriera lavorativa.

Per quanto riguarda il settore privato, il dibattito sulla necessità di attuare azioni positiveper favorire l’occupazione femminile e la conciliazione tra vita familiare e professionale trovanella rappresentanza imprenditoriale un interlocutore spesso reticente e ostile. Innanzitutto varicordato che in questi anni – per quanto riguardo il settore privato – si è verificata una note-vole trasformazione sia rispetto alle modalità di accesso, sia per quanto riguarda l’organizza-

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zione interna delle imprese. Questo mutamento è focalizzato su due cardini o parole chiave:flessibilità e competenze.

Da un lato è pressante il “bisogno” delle aziende di assicurarsi il controllo del rapporto coni lavoratori e le lavoratrici, dall’altro è più forte la richiesta ai propri dipendenti di dimostrarela propria affidabilità e capacità di sintonizzarsi con l’ambiente aziendale aderendo ai suoivalori.

“La difficoltà è a monte: l’azienda non è ben disposta al fatto che si faccianofigli, ci si costruisca una famiglia. Questo è il problema perchè il lavoratore olavoratrice ha scelto e posto fra le priorità la propria vita privata e non l’azienda,il lavoro” (U1)

“Chiedere la maternità ‘disturba’ … Nelle aziende la maternità è da sempre unproblema. Lo vedo all’interno della mia struttura: se una donna va in maternitàè un dramma … il datore di lavoro tende a non dare responsabilità a donne configli: i figli infatti tendono ad assorbire l’attenzione delle madri” (U5)

Queste priorità del mercato lavoro gravano come macigni sulle agende private dei “genito-ri lavoratori” di cui parla la legge 53/2000. Silvia Gherardi a proposito ribadisce che “non bastache ci siano le leggi; occorre che vengano utilizzate, che nascano culture organizzative di gene-re, capaci di sostenere l’uso delle leggi con un atteggiamento attivo: la legislazione esistenteva conosciuta, fatta conoscere, e il ricorrervi deve essere legittimato nella cultura organizzati-va di riferimento” (2002, 21).

E proprio dalle testimonianze raccolte si evince come spesso le resistenze dei datori dilavoro non equivalgano unicamente ad una tendenza a tutelare i propri interessi economici.

In alcuni casi manca un’informazione corretta e completa: non tutti gli imprenditori cono-scono la normativa sull’utilizzo dei congedi parentali e non sempre sono al corrente delle age-volazioni fiscali – previste dal fondo per l’occupazione – per gli imprenditori che promuovo-no forme di flessibilità sul lavoro. In Italia è la legge 125 del 1991 a contenere le disposizio-ni volte a favorire l’occupazione femminile, la realizzazione dell’uguaglianza sostanziale trauomini e donne nel lavoro mediante l’adozione di misure per la realizzazione di pari opportu-nità.

Tuttavia, nonostante la presenza di leggi come questa, senza una reale condivisione degliobiettivi fra istituzioni, imprese e lavoratori è difficile immaginare un’alternativa sostanziale allediscriminazioni che non solo danneggiano la popolazione femminile, ma imprigionano l’interosistema sociale ed economico in schemi e scelte solo apparentemente remunerativi.

Va comunque detto che il mutamento può ricevere un forte impulso dalle numerose inizia-tive e movimenti “dal basso”, ad esempio nel contesto dei rapporti familiari o nei luoghi dilavoro fra colleghi: il cambiamento nei ruoli e nei rapporti tra i sessi non può essere decisodall’alto, né tantomeno si possono obbligare uomini e donne ad accettarlo se non lo desidera-no. In questo senso gli interventi a livello sociale possono svolgere un ruolo importante offren-do opportunità, sostegno e incoraggiamento.

Come dimostrano le testimonianze che discuteremo tra poco, la genitorialità non è unaccadimento privato o individuale, ma un fatto sociale, che – in quanto valore di tutti – va pro-tetto, valorizzato e accompagnato da misure che la riconoscano come momento importantenella vita della persona e della collettività.

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4.6 Gli effetti sul lavoro

Ferma restando la diversità fra settore pubblico e privato, nelle interviste sono evidenziateda un lato le difficoltà cui devono far fronte amministrazione o impresa in assenza di persona-le, dall’altra gli effetti spesso deleteri sul lavoratore/lavoratrice al rientro al lavoro, soprattuttose dipendente privato.

Nel primo caso è particolarmente sentita la difficoltà di gestire, dal punto di vista ammini-strativo e contabile, i congedi parentali frazionati più volte dalla stessa persona. Per questo, adesempio, alcuni enti locali – entro i margini di interpretazione consentiti – hanno fissato al pro-prio interno alcuni vincoli per limitare gli effetti negativi che la frazionabilità del congedopotrebbe avere sull’erogazione del servizio pubblico. Per quanto riguarda il privato, oltre ai casidi inadempienza per mancata o errata conoscenza della legge, vi sono testimonianze che par-lano di una cattiva predisposizione del datore di lavoro sull’uso dei congedi determinata daragioni prettamente economiche: il datore di lavoro infatti deve corrispondere sin dall’inizio,per conto dell’INPS – l’ente erogatore – la somma prevista.

“I diversi enti hanno diversamente regolamentato alcuni aspetti non dettaglia-ti dal contratto e che riguardano misure organizzative: questo per far fronte aproblematiche di gestione delle risorse. Nel nostro caso abbiamo adottato unamisura organizzativa interna che prevede che i periodi richiesti siano di almenouna settimana, perché è successo che il congedo fosse frazionato in singoligiorni” (D3)

“Ci sono datori di lavoro non disponibili, nonostante la legge, soprattutto perle realtà piccole, dove subentra il problema della sostituzione. Poi subentra lamotivazione economica: il datore di lavoro deve anticipare, per legge e subito,per conto dell’INPS” (D6)

Dal punto di vista dei dipendenti, l’ostacolo maggiore è rappresentato dall’atteggiamentodei colleghi che, tanto più nei confronti dei padri che scelgono di fruire del congedo, nonrisparmiano derisione e contrarietà. Perché? Da un lato – come ci spiega Piazza (2003) – ledifficoltà originano in una cultura esistente e condivisa per cui la cura dei figli/e è compito dellamadre. Siamo quindi in presenza – e la provincia di Trento non sembra fare eccezione – di uncondizionamento sociale e culturale ancora molto forte, che non solo delegittima e ridicolizzacomportamenti peraltro promossi da una legge dello Stato, ma produce notevoli effetti di stig-matizzazione negli ambienti di lavoro. Dall’altro lato c’è appunto l’ostilità di molte aziende apermettere ai propri dipendenti di usufruire di tali congedi. Il mutamento – auspicato e già par-zialmente in atto – dei comportamenti maschili non dovrebbe sbattere contro l’insofferenza ela resistenza dei datori di lavoro che, al contrario, dovrebbero riconoscere e prendere atto delcrescente numero di lavoratori che vivono in maniera conflittuale il rapporto tra lavoro e fami-glia, con conseguenti ripercussioni sulla loro professionalità e sulla produttività. Più in gene-rale i datori di lavoro, di fronte ad una forza lavoro con delle responsabilità familiari importan-ti, trarrebbero in prima persona vantaggio da iniziative a favore delle famiglie. La volontà diaumentare la produttività e di contare su una forza lavoro motivata potrebbe quindi contribui-re ad aprire un ventaglio di possibilità per nuove condizioni di lavoro che favoriscano la con-ciliazione e una più equa condivisione (Commissione delle Comunità Europee-Rete di espertiper l’infanzia 1993).

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“Alcuni uomini che sono venuti da noi hanno riportato una difficoltà sottol’aspetto culturale dimostrata dal proprio ambiente lavorativo nei loro confrontial momento della richiesta da parte loro di prendere il congedo di paternità: adesempio la derisione da parte dei colleghi di lavoro” (D1)

“Danno fastidio le donne quando entrano in gravidanza … lascio immaginarecome possa essere giudicato il padre qualora chiedesse il congedo” (U5)

Le reazioni peggiori – nell’ambiente di lavoro – si manifestano al rientro: cambia il “clima” el’atteggiamento nei confronti della persona; alcune persone sono persino costrette ad accettarespostamenti d’ufficio e ridimensionamenti dell’incarico professionale. Spesso accade che l’orga-nizzazione, ancor prima di verificare la minore affidabilità del dipendente, riduca le proprie aspet-tative nei confronti di questo/a alimentando in lui o in lei una spiacevole sensazione di isolamento.

“Come tutte le leggi e i contratti le possibilità ci sono, ma nei fatti spessol’azienda fa capire che magari le prospettive di carriera non sono più le stesse,le responsabilità difficilmente ti saranno assegnate, e quindi chi viene da noi hagià interiorizzato la possibilità che ci sia un risvolto negativo” (U1)

“Il peso della scelta è dato anche dall’ostilità del mondo circostante che spes-so non è disponibile ad accogliere anche questi aspetti della vita del lavoratore,lavoratrice. È l’ufficio che dovrebbe cambiare. Non è solo una questione di cop-pia: è un fatto sociale” (D8)

“Le persone in alcuni casi sono soggette ad umiliazioni e atteggiamenti di col-pevolizzazione verso chi si è assentato oltre i mesi che sarebbero stati graditiall’azienda; nel privato molti meno uomini hanno avuto accesso ai congediparentali, spesso non fanno neppure richiesta” (D5)

Sono di particolare rilevanza, soprattutto per la gravità dei fenomeni cui fanno riferimento,le considerazioni sugli effetti che la fruizione dei congedi parentali può avere sulla vita lavora-tiva del genitore. Fenomeni di mobbing o forme più attenuate di “violenza organizzativa”(Casilli 2000) riguardano quasi esclusivamente il settore privato, laddove cioè la persistenza ditaluni comportamenti è favorita dalla gestione privata del lavoro. La dedizione incondizionatae la fedeltà assoluta all’azienda sono parte di un’ideologia del lavoro che detta condizioni inso-stenibili per qualunque persona desideri conciliare vita pubblica e vita privata. Il “tempo di fac-ciata”8 (Gherardi, Poggio 2003) da trascorrere al lavoro oltre l’orario minimo pattuito diventauna richiesta insostenibile in presenza di figli da accudire. L’aggravarsi del “clima” sul lavoroperò non solo pesa sulla vittima, ma costa all’impresa in termini simbolici e reali: da un latopeggiora il morale complessivo dell’azienda e fa calare la motivazione dei dipendenti, dall’altrocompromette la produttività anche di elementi competenti. Antonio Casilli ci fornisce un brevema significativo elenco – che riportiamo in tabella 2 – dei costi prettamente economici che ilmobbing ha sulle aziende e le casse dello Stato, se quindi considerassimo i casi peggiori.

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8 Erving Goffman definisce “facciata” “quella parte della rappresentazione dell’individuo che di regola funziona inmaniera fissa e generalizzata allo scopo di definire la situazione per quanti la stanno osservando” (1959, tr. it. 32)

Attraverso questa ricerca non ci è stato possibile né riscontrare direttamente casi di mob-bing, né approfondire la problematica, ma abbiamo raccolto testimonianze che allertano e invi-tano – soprattutto le autorità pubbliche ed istituzionali – a prestare attenzione ad un fenome-no certamente presente, ma evidentemente sommerso, la cui trattazione richiederebbe altritempi di analisi, metodi di rilevazione e specifici interventi.

Tabella 2

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I costi per le aziende …

Il mobber (= molestatore), al posto di lavo-rare, impiega fino al 15% del proprio tempoa molestare colleghi e sottoposti

Il mobbing peggiora il morale dell’azienda e facalare la motivazione dei dipendenti (“sabo-taggio motivazionale” o “social loafing”)

L’azienda rischia di essere coinvolta in causecivili in cui le vittime chiedono risarcimentiper danni fisici e morali

Il mobbing spesso fa licenziare elementi pro-duttivi e competenti dell’organizzazione

Se la vittima si licenzia l’azienda deve pagar-gli la liquidazione

Sostituire un lavoratore licenziato costa inmedia 15.000.000 di lire, fra inserzioni, sele-zioni, formazione di base ecc.

I costi per lo Stato …

Il mobbing provoca malattie professionali

La malattia professionale si traduce in uncosto per la sanità pubblica

La sanità sovraccarica diventa sempre menoefficiente e non soddisfa più la domandasociale

Per venire incontro alla domanda socialebisogna aumentare la spesa pubblica e quin-di il carico fiscale per tutti (compreso unaumento del prelievo alle imprese e unaumento del costo del lavoro)

Se, per venire incontro alla domanda socia-le, si scegliesse di ricorrere alle strutture pri-vate di assistenza, questo farebbe aumenta-re il tasso di inflazione

Riteniamo sia necessario un reale cambiamento nel modo di guardare la maternità e lapaternità al lavoro: “bisogna cambiare filosofia” e cominciare a pensare che, ad esempio, unadonna che torna al lavoro dopo una maternità ed è contenta e motivata porta energia e rendedi più rispetto a una neomamma frustrata e poco considerata. È addirittura GiuseppreMorandini, di Confindustria, a suggerire la necessità di “nutrire” un cambiamento culturalenelle aziende: “nelle realtà della piccola industria la maternità è ancora percepita come uncosto. Un costo che nella nostra cultura deve diventare un guadagno perché la maternità è unpatrimonio della società: genera capitale umano, il vero e unico motore per il nostro sviluppo”(Retico 2004). La citazione è particolarmente rilevante se rapportata alla realtà produttiva dellaprovincia di Trento, dove sono soprattutto le piccole-medie imprese a crescere sul territorio.

Per quanto riguarda la pubblica amministrazione ci troviamo di fronte ad una realtà lavo-rativa di tutt’altro genere, ma non per questo meno interessata a produrre cambiamento. Unarinnovata concezione della madre come risorsa che all’occorrenza può trasformarsi in valore

economico per i datori di lavoro e l’attivazione di misure a sostegno dei padri che intendanoaffiancare la partner nel difficile lavoro di cura sono obiettivi ambiziosi, ma premianti nel lungoperiodo.

4.7 Soluzioni possibili

Osservando i dati sull’uso dei congedi c’è chi ritiene sia in atto un cambiamento culturale,ancora poco visibile, ma destinato a crescere, relativo soprattutto ai giovani padri, più presen-ti e attivi che in passato; c’è chi invece si limita a constatare l’esiguità del fenomeno e la neces-sità di attivare azioni a sostegno della paternità più incisive sul piano economico, nella convin-zione che anche questa possa essere una strada percorribile per ottenere, in un secondotempo, risultati migliori sotto il profilo di una crescita culturale. Le ipotesi vanno dall’innalza-mento delle indennità per congedo, eventualmente corrisposte senza effettuare la verifica del-l’ammontare del reddito individuale, all’estensione dei limiti temporali previsti per il padre,senza tralasciare l’importanza di un’azione di sensibilizzazione dei datori di lavoro. La visibili-tà di modelli positivi e una maggiore attenzione su questi da parte dei media potrebbero con-tribuire ulteriormente ad incentivare l’uso dei congedi da parte dei padri, nonostante qualcunoritenga si tratti piuttosto di una libera scelta dell’individuo da maturare all’interno della fami-glia.

“[ci vorrebbero degli incentivi] economici: vediamo che laddove c’è la retribu-zione per intero, il papà tende ad avvalersi della possibilità di congedo, a menoche non ci siano gravi problemi. Anche perché se la moglie è casalinga o dipen-dente presso un altro ente il marito difficilmente sceglie di stare a casa” (D7)

“Potrebbe solo essere un incentivo economico; la scelta comunque è fattaall’interno del nucleuo familiare. Altra soluzione potrebbe essere quella diaumentare i mesi del padre” (U4)

“Sarebbe importante la sensibilizzazione da parte di alcuni datori di lavoro, maquesto è un discorso vecchio” (D6)

“A livello culturale sarebbe utile dare visibilità a chi, già in posizione di presti-gio professionale, ha comunque scelto di utilizzare il congedo: potrebbe funge-re da ‘modello positivo’ ” (D1)

“I media potrebbero dedicare maggiore attenzione e parlare in termini posi-tivi” (D8)

Gli interventi di carattere sociale possono promuovere il cambiamento in almeno tre modi:• a livello culturale, affrontando la complessa tematica relativa ai comportamenti che sono

considerati “appropriati” e ridefinendo la “cura dei bambini” come una priorità cheriguarda sia gli uomini che le donne;

• offrendo sostegno e maggiori opportunità a uomini e donne che desiderino introdurrecambiamenti nella loro vita e nei loro rapporti o che almeno siano interessati ad affron-tare questi temi;

• influenzando gli equilibri di potere per quanto riguarda la negoziazione all’interno dellafamiglia, dei luoghi di lavoro e negli altri contesti dove può avvenire il cambiamento.

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La transizione verso un cultura che rifiuta l’inferiorità della donna e ne ritiene necessaria lapromozione accanto alla rivalutazione della paternità e del maschile non più come antagonistabensì come complice, ruota attorno alla presa di coscienza della discriminazione culturale vis-suta dalle donne in quanto donne, e dagli uomini in quanto tipicamente socializzati ad un ruoloaffettivo e di cura marginale; al conseguente rifiuto di tale discriminazione avvertita come pro-fondamente ingiusta; all’individuazione dei nodi culturali, degli orientamenti di valore e deicomportamentali intorno ai quali tale discriminazione si è costruita e che si fondano sulla divi-sione sessuale dei ruoli;

all’elaborazione e alla promozione di nuovi valori e orientamenti nel comportamento che,da una parte, cancellino la discriminazione, dall’altra, positivamente concorrano alla promozio-ne di una “cultura dell’equivalenza”, di una cultura cioè che, pur nella differenza che assoluta-mente non va negata, riscatta l’uguale valore di donne e di uomini.

Un’azione strutturata a partire da questi quattro assi fondamentali e correttamente declina-ta sul tema della conciliazione e della tutela della maternità e della paternità, contiene le pre-messe per un cambiamento radicale ma necessario.

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5. CONSIDERAZIONI FINALI

Attraverso l’analisi di quanto emerso nel corso delle interviste e dalla lettura dei dati rac-colti è possibile trarre alcune semplici conclusioni.

Innanzitutto è nostra precisa intenzione sottolineare che la conciliazione e il lavoro di curanon riguardano o non dovrebbero riguardare esclusivamente le donne. Ha quasi la forza di unammonimento l’affermazione di Chiara Saraceno laddove sostiene che il tema della concilia-zione “è cruciale per le donne perché nella pratica quotidiana esse rappresentano lo strumen-to fondamentale di conciliazione per gli uomini. Bisogna ripensare la questione in questi ter-mini, altrimenti non la risolveremo mai: gli uomini con responsabilità familiari non hanno glistessi problemi di conciliazione perché in famiglia continuano a far riferimento a quel ‘natura-le’ strumento di conciliazione che sono da sempre le mogli, le madri e le figlie” (2002, 11).Qualunque politica attuata per favorire la mediazione fra esigenze private e necessità pubbli-che non è politica solo per le donne: questa strada purtroppo rischia di condurre in un vicolocieco dal quale tuttavia è possibile uscire comprendendo che certamente le donne – in questomomento – sono quelle che potrebbero avere i maggiori benefici, ma – inevitabilmente e spe-riamo a breve – le loro esigenze potrebbero essere indifferentemente quelle di donne e uomi-ni. Se i numeri da un lato testimoniano ancora un’esigua partecipazione dei padri al lavoro dicura e di formazione dei figli, dall’altro sono comunque la prova che un cambiamento c’è statoe potrebbe svilupparsi positivamente in futuro.

In secondo luogo dobbiamo ricordare che le opportunità offerte dalla legge n. 53 del 2000sui congedi parentali riguardano una questione complessa, che richiede l’impegno di tutti peressere compresa e tradotta in azioni realmente positive ed efficaci. La problematica infatti inve-ste più ambiti: da quello strettamente personale, intimo, familiare dei rapporti tra uomo edonna, alla sfera sociale, all’organizzazione dei servizi, fino alla dimensione organizzativa delleaziende. Tutto questo fa apparire lontana e irraggiungibile una soluzione che invece si nascon-de nello sforzo congiunto fra persone, istituzioni e aziende di percorre strade magari un po’più brevi e meno ambiziose, ma concrete. Si tratta infatti di temi che toccano non solo gli indi-vidui, ma anche la cultura pubblica, politica e sociale.

Per questo occorre affrontare i problemi relativi alla sostenibilità del lavoro di cura innan-zitutto parlandone, diffondendo una corretta informazione sulle risorse legislative a disposizio-ne della cittadinanza.

È nell’ottica di un superamento delle barriere culturali e strutturali che torneremo quindi atrattare il tema della conciliazione e del lavoro di cura: è chiaro infatti che si tratta di questio-ni aperte sulle quali non basta intervenire legislativamente. Occorre fare un lavoro di formazio-ne e sensibilizzazione capillare, molto delicato, a cui dedicarsi e riservare spazi di discussionein modo continuativo e mirato.

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Allegati

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TRACCIA DI INTERVISTA

• Ritiene che la legge 53/2000 sia una “buona” legge?

• Quali sono i principali benefici apportati dalla legge per lavoratori e lavoratrici?

• Secondo lei sono diverse le conseguenze che l’applicazione della legge può averesu lavoratori e lavoratrici in termini di possibilità di lavoro/carriera?

• Quali sono le principali difficoltà incontrate nell’applicazione della legge e/o nellafruizione dei congedi parentali?

• Secondo lei è una legge sufficientemente conosciuta?

• Ci sono differenza nell’uso dei congedi in base ai settori occupazionali?

• Viene usata/applicata in modo “appropriato”?

• Ci sono delle specificità nell’applicazione della legge nella realtà trentina?

• In che misura i congedi sono richiesti e usati dai padri?

• Perché così poche richieste sono fatte dai padri?

• Quali iniziative potrebbero essere avviate per stimolare un utilizzo maggioredel congedo anche da parte dei padri?

• Secondo lei ci sono degli aspetti particolari di cui tener conto nellainterpretazione/applicazione della legge?

LEGGE 8 MARZO 2000, N. 53DISPOSIZIONI PER IL SOSTEGNO DELLA MATERNITÁ E DELLAPATERNITÁ, PER IL DIRITTO ALLA CURA E ALLA FORMAZIONEE PER IL COORDINAMENTO DEI TEMPI DELLE CITTÁ

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Capo IPRINCIPI GENERALI

Art. 1. (Finalità).1. La presente legge promuove un equilibriotra tempi di lavoro, di cura, di formazione e direlazione, mediante:a) l’istituzione dei congedi dei genitori e

l’estensione del sostegno ai genitori disoggetti portatori di handicap;

b) l’istituzione del congedo per la formazionecontinua e l’estensione dei congedi per laformazione;

c) il coordinamento dei tempi di funziona-mento delle città e la promozione dell’usodel tempo per fini di solidarietà sociale.

Art. 2. (Campagne informative).1. Al fine di diffondere la conoscenza delledisposizioni della presente legge, il Ministroper la solidarietà sociale è autorizzato a predi-sporre, di concerto con il Ministro del lavoroe della previdenza sociale, apposite campa-gne informative, nei limiti degli ordinari stan-ziamenti di bilancio destinati allo scopo.

Capo IICONGEDI PARENTALI, FAMILIARI EFORMATIVI

Art. 3. (Congedi dei genitori).1. All’articolo 1 della legge 30 dicembre 1971,n. 1204, dopo il terzo comma è inserito ilseguente: “Il diritto di astenersi dal lavoro dicui all’articolo 7, ed il relativo trattamentoeconomico, sono riconosciuti anche se l’altrogenitore non ne ha diritto. Le disposizioni dicui al comma 1 dell’articolo 7 e al comma 2dell’articolo 15 sono estese alle lavoratrici dicui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546,

madri di bambini nati a decorrere dal 1° gen-naio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti pre-visti dal comma 1 dell’articolo 7 e dal comma2 dell’articolo 15 spettano limitatamente adun periodo di tre mesi, entro il primo anno divita del bambino”.

2. L’articolo 7 della legge 30 dicembre 1971,n. 1204, è sostituito dal seguente:Art. 7. - 1. Nei primi otto anni di vita del bam-bino ciascun genitore ha diritto di astenersidal lavoro secondo le modalità stabilite dalpresente articolo. Le astensioni dal lavoro deigenitori non possono complessivamenteeccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo ildisposto del comma 2 del presente articolo.Nell’ambito del predetto limite, il diritto diastenersi dal lavoro compete:a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo

di astensione obbligatoria di cui all’artico-lo 4, primo comma, lettera c), della pre-sente legge, per un periodo continuativo ofrazionato non superiore a sei mesi;

b) al padre lavoratore, per un periodo conti-nuativo o frazionato non superiore a seimesi;

c) qualora vi sia un solo genitore, per unperiodo continuativo o frazionato nonsuperiore a dieci mesi.

2. Qualora il padre lavoratore eserciti il dirittodi astenersi dal lavoro per un periodo noninferiore a tre mesi, il limite di cui alla letterab) del comma 1 è elevato a sette mesi e illimite complessivo delle astensioni dal lavorodei genitori di cui al medesimo comma è con-seguentemente elevato a undici mesi.3. Ai fini dell’esercizio del diritto di cui alcomma 1, il genitore è tenuto, salvo casi dioggettiva impossibilità, a preavvisare il dato-re di lavoro secondo le modalità e i criteridefiniti dai contratti collettivi, e comunque

con un periodo di preavviso non inferiore aquindici giorni.4. Entrambi i genitori, alternativamente, hannodiritto, altresì, di astenersi dal lavoro durantele malattie del bambino di età inferiore a ottoanni ovvero di età compresa fra tre e otto anni,in quest’ultimo caso nel limite di cinque gior-ni lavorativi all’anno per ciascun genitore, die-tro presentazione di certificato rilasciato da unmedico specialista del Servizio sanitarionazionale o con esso convenzionato. La malat-tia del bambino che dia luogo a ricovero ospe-daliero interrompe il decorso del periodo diferie in godimento da parte del genitore.5. I periodi di astensione dal lavoro di cui aicommi 1 e 4 sono computati nell’anzianità diservizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e allatredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui alcomma 4, la lavoratrice ed il lavoratore sonotenuti a presentare una dichiarazione rilascia-ta ai sensi dell’articolo 4 della legge 4 genna-io 1968, n. 15, attestante che l’altro genitorenon sia in astensione dal lavoro negli stessigiorni per il medesimo motivo”.3. All’articolo 10 della legge 30 dicembre1971, n. 1204, sono aggiunti, in fine, i se-guenti commi: “Ai periodi di riposo di cui alpresente articolo si applicano le disposizioniin materia di contribuzione figurativa, nonchédi riscatto ovvero di versamento dei relativicontributi previsti dal comma 2, lettera b),dell’articolo 15. In caso di parto plurimo, iperiodi di riposo sono raddoppiati e le oreaggiuntive rispetto a quelle previste dal primocomma del presente articolo possono essereutilizzate anche dal padre”.

4. L’articolo 15 della legge 30 dicembre 1971,n. 1204, è sostituito dal seguente:“Art. 15. - 1. Le lavoratrici hanno diritto adun’indennità giornaliera pari all’80 per centodella retribuzione per tutto il periodo di asten-sione obbligatoria dal lavoro stabilita dagliarticoli 4 e 5 della presente legge. Tale inden-nità è comprensiva di ogni altra indennitàspettante per malattia.

2. Per i periodi di astensione facoltativa di cuiall’articolo 7, comma 1, ai lavoratori e allelavoratrici è dovuta:a) fino al terzo anno di vita del bambino,

un’indennità pari al 30 per cento della retri-buzione, per un periodo massimo com-plessivo tra i genitori di sei mesi; il relativoperiodo, entro il limite predetto, è copertoda contribuzione figurativa;

b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino alcompimento dell’ottavo anno di vita delbambino, e comunque per il restante perio-do di astensione facoltativa, un’indennitàpari al 30 per cento della retribuzione, nel-l’ipotesi in cui il reddito individuale dell’in-teressato sia inferiore a 2,5 volte l’importodel trattamento minimo di pensione a cari-co dell’assicurazione generale obbligatoria;il periodo medesimo è coperto da contribu-zione figurativa, attribuendo come valoreretributivo per tale periodo il 200 per centodel valore massimo dell’assegno sociale,proporzionato ai periodi di riferimento,salva la facoltà di integrazione da parte del-l’interessato, con riscatto ai sensi dell’arti-colo 13 della legge 12 agosto 1962, n.1338, ovvero con versamento dei relativicontributi secondo i criteri e le modalitàdella prosecuzione volontaria.

3. Per i periodi di astensione per malattia delbambino di cui all’articolo 7, comma 4, èdovuta:a) fino al compimento del terzo anno di vita

del bambino, la contribuzione figurativa;b) successivamente al terzo anno di vita del

bambino e fino al compimento dell’ottavoanno, la copertura contributiva calcolata conle modalità previste dal comma 2, lettera b).

4. Il reddito individuale di cui al comma 2, let-tera b), è determinato secondo i criteri previ-sti in materia di limiti reddituali per l’integra-zione al minimo.5. Le indennità di cui al presente articolo sonocorrisposte con gli stessi criteri previsti perl’erogazione delle prestazioni dell’assicurazio-ne obbligatoria contro le malattie dall’ente

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assicuratore della malattia presso il quale lalavoratrice o il lavoratore è assicurato e nonsono subordinate a particolari requisiti contri-butivi o di anzianità assicurativa”.

5. Le disposizioni del presente articolo trova-no applicazione anche nei confronti dei geni-tori adottivi o affidatari. Qualora, all’atto del-l’adozione o dell’affidamento, il minore abbiaun’età compresa fra sei e dodici anni, il dirit-to di astenersi dal lavoro, ai sensi dei commi1 e 2 del presente articolo, può essere eserci-tato nei primi tre anni dall’ingresso del mino-re nel nucleo familiare. Nei confronti dellelavoratrici a domicilio e delle addette ai servi-zi domestici e familiari, le disposizioni dell’ar-ticolo 15 della legge 30 dicembre 1971, n.1204, come sostituito dal comma 4 del pre-sente articolo, si applicano limitatamente alcomma 1.

Art. 4.(Congedi per eventi e cause particolari).1. La lavoratrice e il lavoratore hanno dirittoad un permesso retribuito di tre giorni lavora-tivi all’anno in caso di decesso o di documen-tata grave infermità del coniuge o di un paren-te entro il secondo grado o del convivente,purché la stabile convivenza con il lavoratoreo la lavoratrice risulti da certificazione ana-grafica. In alternativa, nei casi di documenta-ta grave infermità, il lavoratore e la lavoratri-ce possono concordare con il datore di lavo-ro diverse modalità di espletamento dell’atti-vità lavorativa.

2. I dipendenti di datori di lavoro pubblici oprivati possono richiedere, per gravi e docu-mentati motivi familiari, fra i quali le patologieindividuate ai sensi del comma 4, un periododi congedo, continuativo o frazionato, nonsuperiore a due anni. Durante tale periodo ildipendente conserva il posto di lavoro, nonha diritto alla retribuzione e non può svolgerealcun tipo di attività lavorativa. Il congedo nonè computato nell’anzianità di servizio nè ai finiprevidenziali; il lavoratore può procedere alriscatto, ovvero al versamento dei relativi

contributi, calcolati secondo i criteri della pro-secuzione volontaria.

3. I contratti collettivi disciplinano le modali-tà di partecipazione agli eventuali corsi di for-mazione del personale che riprende l’attivitàlavorativa dopo la sospensione di cui alcomma 2.

4. Entro sessanta giorni dalla data di entratain vigore della presente legge, il Ministro perla solidarietà sociale, con proprio decreto, diconcerto con i Ministri della sanità, del lavoroe della previdenza sociale e per le pari oppor-tunità, provvede alla definizione dei criteri perla fruizione dei congedi di cui al presente arti-colo, all’individuazione delle patologie specifi-che ai sensi del comma 2, nonché alla indivi-duazione dei criteri per la verifica periodicarelativa alla sussistenza delle condizioni digrave infermità dei soggetti di cui al comma 1.

Art. 5. (Congedi per la formazione).1. Ferme restando le vigenti disposizioni rela-tive al diritto allo studio di cui all’articolo 10della legge 20 maggio 1970, n. 300, i dipen-denti di datori di lavoro pubblici o privati, cheabbiano almeno cinque anni di anzianità diservizio presso la stessa azienda o ammini-strazione, possono richiedere una sospensio-ne del rapporto di lavoro per congedi per laformazione per un periodo non superiore adundici mesi, continuativo o frazionato, nell’ar-co dell’intera vita lavorativa.

2. Per “congedo per la formazione” si intendequello finalizzato al completamento dellascuola dell’obbligo, al conseguimento deltitolo di studio di secondo grado, del diplomauniversitario o di laurea, alla partecipazionead attività formative diverse da quelle poste inessere o finanziate dal datore di lavoro.

3. Durante il periodo di congedo per la forma-zione il dipendente conserva il posto di lavo-ro e non ha diritto alla retribuzione. Tale pe-riodo non è computabile nell’anzianità di ser-vizio e non è cumulabile con le ferie, con lamalattia e con altri congedi. Una grave e

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documentata infermità, individuata sulla basedei criteri stabiliti dal medesimo decreto dicui all’articolo 4, comma 4, intervenutadurante il periodo di congedo, di cui sia datacomunicazione scritta al datore di lavoro, dàluogo ad interruzione del congedo medesimo.

4. Il datore di lavoro può non accogliere larichiesta di congedo per la formazione ovveropuò differirne l’accoglimento nel caso di com-provate esigenze organizzative. I contratti col-lettivi prevedono le modalità di fruizione delcongedo stesso, individuano le percentualimassime dei lavoratori che possono avvaler-sene, disciplinano le ipotesi di differimento odi diniego all’esercizio di tale facoltà e fissanoi termini del preavviso, che comunque nonpuò essere inferiore a trenta giorni.

5. Il lavoratore può procedere al riscatto delperiodo di cui al presente articolo, ovvero alversamento dei relativi contributi, calcolatisecondo i criteri della prosecuzione volontaria.

Art. 6.(Congedi per la formazione continua).1. I lavoratori, occupati e non occupati, hannodiritto di proseguire i percorsi di formazioneper tutto l’arco della vita, per accrescereconoscenze e competenze professionali. LoStato, le regioni e gli enti locali assicuranoun’offerta formativa articolata sul territorio e,ove necessario, integrata, accreditata secon-do le disposizioni dell’articolo 17 della legge24 giugno 1997, n. 196, e successive modifi-cazioni, e del relativo regolamento di attuazio-ne. L’offerta formativa deve consentire percor-si personalizzati, certificati e riconosciuticome crediti formativi in ambito nazionale edeuropeo. La formazione può corrispondere adautonoma scelta del lavoratore ovvero esserepredisposta dall’azienda, attraverso i piani for-mativi aziendali o territoriali concordati tra leparti sociali in coerenza con quanto previstodal citato articolo 17 della legge n. 196 del1997, e successive modificazioni.

2. La Contrattazione Collettiva di categoria,nazionale e decentrata, definisce il monte oreda destinare ai congedi di cui al presente arti-colo, i criteri per l’individuazione dei lavorato-ri e le modalità di orario e retribuzione con-nesse alla partecipazione ai percorsi di forma-zione.

3. Gli interventi formativi che rientrano neipiani aziendali o territoriali di cui al comma 1possono essere finanziati attraverso il fondointerprofessionale per la formazione conti-nua, di cui al regolamento di attuazione delcitato articolo 17 della legge n. 196 del 1997.

4. Le regioni possono finanziare progetti diformazione dei lavoratori che, sulla base diaccordi contrattuali, prevedano quote di ridu-zione dell’orario di lavoro, nonché progetti diformazione presentati direttamente dai lavo-ratori.Per le finalità del presente comma è riservatauna quota, pari a lire 30 miliardi annue, delFondo per l’occupazione di cui all’articolo 1,comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993,n. 148, convertito, con modificazioni, dallalegge 19 luglio 1993, n. 236. Il Ministro dellavoro e della previdenza sociale, di concertocon il Ministro del tesoro, del bilancio e dellaprogrammazione economica, provvedeannualmente, con proprio decreto, a ripartirefra le regioni la predetta quota, sentita laConferenza permanente per i rapporti tra loStato, le regioni e le province autonome diTrento e di Bolzano.

Art. 7. (Anticipazione del trattamento di finerapporto).

1. Oltre che nelle ipotesi di cui all’articolo2120, ottavo comma, del codice civile, il trat-tamento di fine rapporto può essere anticipa-to ai fini delle spese da sostenere durante iperiodi di fruizione dei congedi di cui all’arti-colo 7, comma 1, della legge 30 dicembre1971, n. 1204, come sostituito dall’articolo 3,comma 2, della presente legge, e di cui agliarticoli 5 e 6 della presente legge.

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L’anticipazione è corrisposta unitamente allaretribuzione relativa al mese che precede ladata di inizio del congedo. Le medesimedisposizioni si applicano anche alle domandedi anticipazioni per indennità equipollenti altrattamento di fine rapporto, comunquedenominate, spettanti a lavoratori dipendentidi datori di lavoro pubblici e privati.

2. Gli statuti delle forme pensionistiche com-plementari di cui al decreto legislativo 21aprile 1993, n. 124, e successive modificazio-ni, possono prevedere la possibilità di conse-guire, ai sensi dell’articolo 7, comma 4, delcitato decreto legislativo n. 124 del 1993,un’anticipazione delle prestazioni per le speseda sostenere durante i periodi di fruizione deicongedi di cui agli articoli 5 e 6 della presen-te legge.

3. Con decreto del Ministro per la funzionepubblica, di concerto con i Ministri del teso-ro, del bilancio e della programmazione eco-nomica, del lavoro e della previdenza socialee per la solidarietà sociale, sono definite lemodalità applicative delle disposizioni delcomma 1 in riferimento ai dipendenti dellepubbliche amministrazioni.

Art. 8.(Prolungamento dell’età pensionabile).1. I soggetti che usufruiscono dei congediprevisti dall’articolo 5, comma 1, possono, arichiesta, prolungare il rapporto di lavoro diun periodo corrispondente, anche in derogaalle disposizioni concernenti l’età di pensio-namento obbligatoria. La richiesta deve esse-re comunicata al datore di lavoro con un pre-avviso non inferiore a sei mesi rispetto alladata prevista per il pensionamento.

Capo IIIFLESSIBILITÀ DI ORARIO

Art. 9. (Misure a sostegno della flessibilitàdi orario).

1. Al fine di promuovere e incentivare formedi articolazione della prestazione lavorativavolte a conciliare tempo di vita e di lavoro,nell’ambito del Fondo per l’occupazione di cuiall’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20maggio 1993, n. 148, convertito, con modifi-cazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, èdestinata una quota fino a lire 40 miliardiannue a decorrere dall’anno 2000, al fine dierogare contributi, di cui almeno il 50 percento destinato ad imprese fino a cinquantadipendenti, in favore di aziende che applichi-no accordi contrattuali che prevedono azionipositive per la flessibilità, ed in particolare:a) progetti articolati per consentire alla lavo-

ratrice madre o al lavoratore padre, anchequando uno dei due sia lavoratore autono-mo, ovvero quando abbiano in affidamen-to o in adozione un minore, di usufruire diparticolari forme di flessibilità degli orari edell’organizzazione del lavoro, tra cui parttime reversibile, telelavoro e lavoro adomicilio, orario flessibile in entrata o inuscita, banca delle ore, flessibilità suiturni, orario concentrato, con priorità per igenitori che abbiano bambini fino ad ottoanni di età o fino a dodici anni, in caso diaffidamento o di adozione;

b) programmi di formazione per il reinseri-mento dei lavoratori dopo il periodo dicongedo;

c) progetti che consentano la sostituzione deltitolare di impresa o del lavoratore autono-mo, che benefici del periodo di astensioneobbligatoria o dei congedi parentali, conaltro imprenditore o lavoratore autonomo.

2. Con decreto del Ministro del lavoro e dellaprevidenza sociale, di concerto con i Ministriper la solidarietà sociale e per le pari opportu-nità, sono definiti i criteri e le modalità per laconcessione dei contributi di cui al comma 1.

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Capo IVULTERIORI DISPOSIZIONI A SOSTEGNODELLA MATERNITÀ E DELLA PATERNITÀ

Art. 10.(Sostituzione di lavoratori in astensione).1. L’assunzione di lavoratori a tempo determi-nato in sostituzione di lavoratori in astensio-ne obbligatoria o facoltativa dal lavoro aisensi della legge 30 dicembre 1971, n. 1204,come modificata dalla presente legge, puòavvenire anche con anticipo fino ad un meserispetto al periodo di inizio dell’astensione,salvo periodi superiori previsti dallaContrattazione Collettiva.

2. Nelle aziende con meno di venti dipenden-ti, per i contributi a carico del datore di lavoroche assume lavoratori con contratto a tempodeterminato in sostituzione di lavoratori inastensione ai sensi degli articoli 4, 5 e 7 dellalegge 30 dicembre 1971, n. 1204, comemodificati dalla presente legge, è concessouno sgravio contributivo del 50 per cento. Ledisposizioni del presente comma trovanoapplicazione fino al compimento di un anno dietà del figlio della lavoratrice o del lavoratorein astensione e per un anno dall’accoglienzadel minore adottato o in affidamento.

3. Nelle aziende in cui operano lavoratriciautonome di cui alla legge 29 dicembre 1987,n. 546, è possibile procedere, in caso dimaternità delle suddette lavoratrici, e comun-que entro il primo anno di età del bambino onel primo anno di accoglienza del minoreadottato o in affidamento, all’assunzione di unlavoratore a tempo determinato, per un perio-do massimo di dodici mesi, con le medesimeagevolazioni di cui al comma 2.

Art. 11. (Parti prematuri).1. All’articolo 4 della legge 30 dicembre 1971,n. 1204, sono aggiunti, in fine, i seguenticommi:“Qualora il parto avvenga in data anticipatarispetto a quella presunta, i giorni non goduti

di astensione obbligatoria prima del partovengono aggiunti al periodo di astensioneobbligatoria dopo il parto. La lavoratrice ètenuta a presentare, entro trenta giorni, il cer-tificato attestante la data del parto”.

Art. 12.(Flessibilità dell’astensione obbligatoria).1. Dopo l’articolo 4 della legge 30 dicembre1971, n. 1204, è inserito il seguente:“Art. 4-bis. - 1. Ferma restando la duratacomplessiva dell’astensione dal lavoro, lelavoratrici hanno la facoltà di astenersi dallavoro a partire dal mese precedente la datapresunta del parto e nei quattro mesi succes-sivi al parto, a condizione che il medico spe-cialista del Servizio sanitario nazionale o conesso convenzionato e il medico competente aifini della prevenzione e tutela della salute neiluoghi di lavoro attestino che tale opzione nonarrechi pregiudizio alla salute della gestante edel nascituro”.

2. Il Ministro del lavoro e della previdenzasociale, di concerto con i Ministri della sanitàe per la solidarietà sociale, sentite le partisociali, definisce, con proprio decreto daemanare entro sei mesi dalla data di entrata invigore della presente legge, l’elenco dei lavo-ri ai quali non si applicano le disposizioni del-l’articolo 4-bis della legge 30 dicembre 1971,n. 1204, introdotto dal comma 1 del presentearticolo.

3. Il Ministro del lavoro e della previdenzasociale, di concerto con i Ministri della sanitàe per la solidarietà sociale, provvede, entrosei mesi dalla data di entrata in vigore dellapresente legge, ad aggiornare l’elenco deilavori pericolosi, faticosi ed insalubri di cuiall’articolo 5 del decreto del Presidente dellaRepubblica 25 novembre 1976, n. 1026.

Art. 13.(Astensione dal lavoro del padre lavoratore).1. Dopo l’articolo 6 della legge 9 dicembre1977, n. 903, sono inseriti i seguenti:

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“Art. 6-bis. - 1. Il padre lavoratore ha diritto diastenersi dal lavoro nei primi tre mesi dallanascita del figlio, in caso di morte o di graveinfermità della madre ovvero di abbandono,nonché in caso di affidamento esclusivo delbambino al padre.2. Il padre lavoratore che intenda avvalersidel diritto di cui al comma 1 presenta al dato-re di lavoro la certificazione relativa alle con-dizioni ivi previste. In caso di abbandono, ilpadre lavoratore ne rende dichiarazione aisensi dell’articolo 4 della legge 4 gennaio1968, n. 15.

3. Si applicano al padre lavoratore le disposi-zioni di cui agli articoli 6 e 15, commi 1 e 5,della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e suc-cessive modificazioni.

4. Al padre lavoratore si applicano altresì ledisposizioni di cui all’articolo 2 della legge 30dicembre 1971, n. 1204, e successive modi-ficazioni, per il periodo di astensione dal lavo-ro di cui al comma 1 del presente articolo efino al compimento di un anno di età del bam-bino.Art. 6-ter. - 1. I periodi di riposo di cui all’ar-ticolo 10 della legge 30 dicembre 1971, n.1204, e successive modificazioni, e i relativitrattamenti economici sono riconosciuti alpadre lavoratore:a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo

padre;b) in alternativa alla madre lavoratrice dipen-

dente che non se ne avvalga;c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice

dipendente”.

Art. 14. (Estensione di norme a specifichecategorie di lavoratrici madri).

1. I benefici previsti dal primo periodo delcomma 1 dell’articolo 13 della legge 7 agosto1990, n. 232, sono estesi, dalla data di entra-ta in vigore della presente legge, anche allelavoratrici madri appartenenti ai corpi di poli-zia municipale.

Art. 15. (Testo unico).1. Al fine di conferire organicità e sistematici-tà alle norme in materia di tutela e sostegnodella maternità e della paternità, entro dodicimesi dalla data di entrata in vigore della pre-sente legge, il Governo è delegato ad emana-re un decreto legislativo recante il testo unicodelle disposizioni legislative vigenti in mate-ria, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteridirettivi:a) puntuale individuazione del testo vigente

delle norme;b) esplicita indicazione delle norme abrogate,

anche implicitamente, da successivedisposizioni;

c) coordinamento formale del testo delledisposizioni vigenti, apportando, nei limitidi detto coordinamento, le modifichenecessarie per garantire la coerenza logicae sistematica della normativa, anche al finedi adeguare e semplificare il linguaggio

normativo;d) esplicita indicazione delle disposizioni, non

inserite nel testo unico, che restanocomunque in vigore;

e) esplicita abrogazione di tutte le rimanentidisposizioni, non richiamate, con espressaindicazione delle stesse in apposito allega-to al testo unico;

f) esplicita abrogazione delle norme seconda-rie incompatibili con le disposizioni legisla-tive raccolte nel testo unico.

2. Lo schema del decreto legislativo di cui alcomma 1 è deliberato dal Consiglio dei mini-stri ed è trasmesso, con apposita relazionecui è allegato il parere del Consiglio di Stato,alle competenti Commissioni parlamentaripermanenti, che esprimono il parere entroquarantacinque giorni dall’assegnazione.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigo-re del decreto legislativo di cui al comma 1possono essere emanate, nel rispetto deiprincìpi e criteri direttivi di cui al medesimocomma 1 e con le modalità di cui al comma 2,disposizioni correttive del testo unico.

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Art. 16.(Statistiche ufficiali sui tempi di vita).1. L’Istituto nazionale di statistica (ISTAT)assicura un flusso informativo quinquennalesull’organizzazione dei tempi di vita dellapopolazione attraverso la rilevazione sull’usodel tempo, disaggregando le informazioni persesso e per età.

Art. 17. (Disposizioni diverse).1. Nei casi di astensione dal lavoro disciplina-ti dalla presente legge, la lavoratrice e il lavo-ratore hanno diritto alla conservazione delposto di lavoro e, salvo che espressamente virinuncino, al rientro nella stessa unità produt-tiva ove erano occupati al momento dellarichiesta di astensione o di congedo o in altraubicata nel medesimo comune; hanno altresìdiritto di essere adibiti alle mansioni da ulti-mo svolte o a mansioni equivalenti.

2. All’articolo 2 della legge 30 dicembre 1971,n. 1204, è aggiunto, in fine, il seguentecomma: “Al termine del periodo di interdizio-ne dal lavoro previsto dall’articolo 4 della pre-sente legge le lavoratrici hanno diritto, salvoche espressamente vi rinuncino, di rientrarenella stessa unità produttiva ove erano occu-pate all’inizio del periodo di gestazione o inaltra ubicata nel medesimo comune, e di per-manervi fino al compimento di un anno di etàdel bambino; hanno altresì diritto di essereadibite alle mansioni da ultimo svolte o amansioni equivalenti”.

3. I contratti collettivi di lavoro possono pre-vedere condizioni di maggior favore rispetto aquelle previste dalla presente legge.

4. Sono abrogate le disposizioni legislativeincompatibili con la presente legge ed in par-ticolare l’articolo 7 della legge 9 dicembre1977, n. 903.

Art. 18. (Disposizioni in materia di recesso).1. Il licenziamento causato dalla domanda odalla fruizione del congedo di cui agli articoli3, 4, 5, 6 e 13 della presente legge è nullo.

2. La richiesta di dimissioni presentata dallalavoratrice o dal lavoratore durante il primoanno di vita del bambino o nel primo anno diaccoglienza del minore adottato o in affida-mento deve essere convalidata dal Servizioispezione della direzione provinciale del lavo-ro.

Capo VMODIFICHE ALLA LEGGE 5 FEBBRAIO1992, N. 104

Art. 19. (Permessi per l’assistenza a porta-tori di handicap).

1. All’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992,n. 104, sono apportate le seguenti modifica-zioni: a) al comma 3, dopo le parole: “permesso

mensile” sono inserite le seguenti: “coper-ti da contribuzione figurativa”;

b) al comma 5, le parole: “, con lui conviven-te,” sono soppresse;

c) al comma 6, dopo le parole: “può usufrui-re” è inserita la seguente: “alternativamen-te”.

Art. 20. (Estensione delle agevolazioni per l’assistenza a portatori di handicap).

1. Le disposizioni dell’articolo 33 della legge5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dal-l’articolo 19 della presente legge, si applicanoanche qualora l’altro genitore non ne abbiadiritto nonché ai genitori ed ai familiari lavo-ratori, con rapporto di lavoro pubblico o pri-vato, che assistono con continuità e in viaesclusiva un parente o un affine entro il terzogrado portatore di handicap, ancorché nonconvivente.

Capo VINORME FINANZIARIE

Art. 21. (Copertura finanziaria).1. All’onere derivante dall’attuazione delledisposizioni degli articoli da 3 a 20, esclusi gliarticoli 6 e 9, della presente legge, valutato in

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lire 298 miliardi annue a decorrere dall’anno2000, si provvede, quanto a lire 273 miliardiannue a decorrere dall’anno 2000, mediantecorrispondente riduzione dell’autorizzazionedi spesa di cui all’articolo 3 del decreto-legge20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modi-ficazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52,concernente il Fondo per l’occupazione;quanto a lire 25 miliardi annue a decorreredall’anno 2000, mediante corrispondenteriduzione dell’autorizzazione di spesa di cuiall’articolo 1 della legge 28agosto 1997, n. 285.

2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e dellaprogrammazione economica è autorizzato adapportare, con propri decreti, le occorrentivariazioni di bilancio.

Capo VIITEMPI DELLE CITTÀ

Art. 22. (Compiti delle regioni).1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigo-re della presente legge le regioni definiscono,con proprie leggi, ai sensi dell’articolo 36,comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142,e successive modificazioni, qualora non viabbiano già provveduto, norme per il coordi-namento da parte dei comuni degli orari degliesercizi commerciali, dei servizi pubblici edegli uffici periferici delle amministrazionipubbliche, nonché per la promozione dell’usodel tempo per fini di solidarietà sociale,secondo i principi del presente capo.

2. Le regioni prevedono incentivi finanziariper i comuni, anche attraverso l’utilizzo dellerisorse del Fondo di cui all’articolo 28, ai finidella predisposizione e dell’attuazione deipiani territoriali degli orari di cui all’articolo24 e della costituzione delle banche dei tempidi cui all’articolo 27.

3. Le regioni possono istituire comitati tecni-ci, composti da esperti in materia di progetta-zione urbana, di analisi sociale, di comunica-zione sociale e di gestione organizzativa, con

compiti consultivi in ordine al coordinamentodegli orari delle città e per la valutazione deglieffetti sulle comunità locali dei piani territoria-li degli orari.

4. Nell’ambito delle proprie competenze inmateria di formazione professionale, le regio-ni promuovono corsi di qualificazione e riqua-lificazione del personale impiegato nella pro-gettazione dei piani territoriali degli orari e neiprogetti di riorganizzazione dei servizi.

5. Le leggi regionali di cui al comma 1 indica-no:a) criteri generali di amministrazione e coor-

dinamento degli orari di apertura al pubbli-co dei servizi pubblici e privati, degli ufficidella pubblica amministrazione, dei pubbli-ci esercizi commerciali e turistici, delle atti-vità culturali e dello spettacolo, dei tra-sporti;

b) i criteri per l’adozione dei piani territorialidegli orari;

c) criteri e modalità per la concessione aicomuni di finanziamenti per l’adozione deipiani territoriali degli orari e per la costitu-zione di banche dei tempi, con priorità perle iniziative congiunte dei comuni conpopolazione non superiore a 30.000 abi-tanti.

6. Le regioni a statuto speciale e le provinceautonome di Trento e di Bolzano provvedonosecondo le rispettive competenze.

Art. 23. (Compiti dei comuni).1. I comuni con popolazione superiore a30.000 abitanti attuano, singolarmente o informa associata, le disposizioni dell’articolo36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n.142, e successive modificazioni, secondo lemodalità stabilite dal presente capo, nei tempiindicati dalle leggi regionali di cui all’articolo22, comma 1, e comunque non oltre un annodalla data di entrata in vigore della presentelegge.

2. In caso di inadempimento dell’obbligo dicui al comma 1, il presidente della giunta

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regionale nomina un commissario ad acta. 3.I comuni con popolazione non superiore a30.000 abitanti possono attuare le disposizio-ni del presente capo in forma associata.

Art. 24. (Piano territoriale degli orari).1. Il piano territoriale degli orari, di seguitodenominato “piano”, realizza le finalità di cuiall’articolo 1, comma 1, lettera c), ed è stru-mento unitario per finalità ed indirizzi, artico-lato in progetti, anche sperimentali, relativi alfunzionamento dei diversi sistemi orari deiservizi urbani e alla loro graduale armonizza-zione e coordinamento.

2. I comuni con popolazione superiore a30.000 abitanti sono tenuti ad individuare unresponsabile cui è assegnata la competenzain materia di tempi ed orari e che partecipaalla conferenza dei dirigenti, ai sensi dellalegge 8 giugno 1990, n. 142, e successivemodificazioni.

3. I comuni con popolazione non superiore a30.000 abitanti possono istituire l’ufficio dicui al comma 2 in forma associata.

4. Il sindaco elabora le linee guida del piano. Atale fine attua forme di consultazione con leamministrazioni pubbliche, le parti sociali, non-ché le associazioni previste dall’articolo 6 dellalegge 8 giugno 1990, n. 142, e successivemodificazioni, e le associazioni delle famiglie.

5. Nell’elaborazione del piano si tiene contodegli effetti sul traffico, sull’inquinamento esulla qualità della vita cittadina degli orari dilavoro pubblici e privati, degli orari di apertu-ra al pubblico dei servizi pubblici e privati,degli uffici periferici delle amministrazionipubbliche, delle attività commerciali, fermerestando le disposizioni degli articoli da 11 a13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114, nonché delle istituzioni formative, cultu-rali e del tempo libero.

6. Il piano è approvato dal consiglio comuna-le su proposta del sindaco ed è vincolante perl’amministrazione comunale, che deve ade-

guare l’azione dei singoli assessorati allescelte in esso contenute. Il piano è attuatocon ordinanze del sindaco.

Art. 25. (Tavolo di concertazione).1. Per l’attuazione e la verifica dei progetticontenuti nel piano di cui all’articolo 24, il sin-daco istituisce un tavolo di concertazione, cuipartecipano:a) il sindaco stesso o, per suo incarico, il

responsabile di cui all’articolo 24, comma 2;b) il prefetto o un suo rappresentante;c) il presidente della provincia o un suo rap-

presentante;d) i presidenti delle comunità montane o loro

rappresentanti;e) un dirigente per ciascuna delle pubbliche

amministrazioni non statali coinvolte nelpiano;

f) rappresentanti sindacali degli imprenditoridella grande, media e piccola impresa, delcommercio, dei servizi, dell’artigianato edell’agricoltura;

g) rappresentanti sindacali dei lavoratori;h) il provveditore agli studi ed i rappresentan-

ti delle università presenti nel territorio;i) i presidenti delle aziende dei trasporti urba-

ni ed extraurbani, nonché i rappresentantidelle aziende ferroviarie.

2. Per l’attuazione del piano di cui all’articolo24, il sindaco promuove accordi con i sogget-ti pubblici e privati di cui al comma 1.

3. In caso di emergenze o di straordinarienecessità dell’utenza o di gravi problemi con-nessi al traffico e all’inquinamento, il sindacopuò emettere ordinanze che prevedano modi-ficazioni degli orari.

4. Le amministrazioni pubbliche, anche terri-toriali, sono tenute ad adeguare gli orari difunzionamento degli uffici alle ordinanze dicui al comma 3.

5. I comuni capoluogo di provincia sonotenuti a concertare con i comuni limitrofi,attraverso la conferenza dei sindaci, la riorga-nizzazione territoriale degli orari. Alla confe-

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renza partecipa un rappresentante del presi-dente della provincia.

Art. 26.(Orari della pubblica amministrazione).1. Le articolazioni e le scansioni degli orari diapertura al pubblico dei servizi della pubblicaamministrazione devono tenere conto delleesigenze dei cittadini che risiedono, lavoranoed utilizzano il territorio di riferimento.

2. Il piano di cui all’articolo 24, ai sensi deldecreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, esuccessive modificazioni, può prevederemodalità ed articolazioni differenziate degliorari di apertura al pubblico dei servizi dellapubblica amministrazione.

3. Le pubbliche amministrazioni, attraversol’informatizzazione dei relativi servizi, posso-no garantire prestazioni di informazioneanche durante gli orari di chiusura dei servizimedesimi e, attraverso la semplificazionedelle procedure, possono consentire agliutenti tempi di attesa più brevi e percorsi piùsemplici per l’accesso ai servizi.

Art. 27. (Banche dei tempi).1. Per favorire lo scambio di servizi di vicinato,per facilitare l’utilizzo dei servizi della città e ilrapporto con le pubbliche amministrazioni, perfavorire l’estensione della solidarietà nellecomunità locali e per incentivare le iniziative disingoli e gruppi di cittadini, associazioni, orga-nizzazioni ed enti che intendano scambiareparte del proprio tempo per impieghi di reci-proca solidarietà e interesse, gli enti locali pos-sono sostenere e promuovere la costituzione diassociazioni denominate “banche dei tempi”.

2. Gli enti locali, per favorire e sostenere lebanche dei tempi, possono disporre a lorofavore l’utilizzo di locali e di servizi e organiz-zare attività di promozione, formazione einformazione. Possono altresì aderire allebanche dei tempi e stipulare con esse accor-di che prevedano scambi di tempo da desti-nare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di

singoli cittadini o della comunità locale. Taliprestazioni devono essere compatibili con gliscopi statutari delle banche dei tempi e nondevono costituire modalità di esercizio delleattività istituzionali degli enti locali.

Art. 28. (Fondo per l’armonizzazione dei tempi delle città).

1. Nell’elaborare le linee guida del piano di cuiall’articolo 24, il sindaco prevede misure perl’armonizzazione degli orari che contribuisca-no, in linea con le politiche e le misure nazio-nali, alla riduzione delle emissioni di gasinquinanti nel settore dei trasporti. Dopo l’ap-provazione da parte del consiglio comunale, ipiani sono comunicati alle regioni, che li tra-smettono al Comitato interministeriale per laprogrammazione economica (CIPE) indican-done, ai soli fini del presente articolo, l’ordinedi priorità.

2. Per le finalità del presente articolo è istitui-to un Fondo per l’armonizzazione dei tempidelle città, nel limite massimo di lire 15miliardi annue a decorrere dall’anno 2001.Alla ripartizione delle predette risorse provve-de il CIPE, sentita la Conferenza unificata dicui all’articolo 8 del decreto legislativo 28agosto 1997, n. 281.

3. Le regioni iscrivono le somme loro attri-buite in un apposito capitolo di bilancio, nelquale confluiscono altresì eventuali risorseproprie, da utilizzare per spese destinate adagevolare l’attuazione dei progetti inclusi nelpiano di cui all’articolo 24 e degli interventi dicui all’articolo 27.

4. I contributi di cui al comma 3 sono conces-si prioritariamente per: a) associazioni di comuni;b) progetti presentati da comuni che abbiano

attivato forme di coordinamento e coope-razione con altri enti locali per l’attuazionedi specifici piani di armonizzazione degliorari dei servizi con vasti bacini di utenza;

interventi attuativi degli accordi di cui all’arti-colo 25, comma 2.

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5. La Conferenza unificata di cui all’articolo 8del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, è convocata ogni anno, entro il mese difebbraio, per l’esame dei risultati conseguitiattraverso l’impiego delle risorse del Fondo dicui al comma 2 e per la definizione delle lineedi intervento futuro. Alle relative riunioni sonoinvitati i Ministri del lavoro e della previdenzasociale, per la solidarietà sociale, per la fun-zione pubblica, dei trasporti e della navigazio-ne e dell’ambiente, il presidente della societàFerrovie dello Stato spa, nonché i rappresen-tanti delle associazioni ambientaliste e delvolontariato, delle organizzazioni sindacali edi categoria.

6. Il Governo, entro il mese di luglio di ognianno e sulla base dei lavori della Conferenzadi cui al comma 5, presenta al Parlamentouna relazione sui progetti di riorganizzazionedei tempi e degli orari delle città.

7. All’onere derivante dall’istituzione delFondo di cui al comma 2 si provvede median-te utilizzazione delle risorse di cui all’articolo8, comma 10, lettera f), della legge 23 dicem-bre 1998, n. 448.La presente legge, munita del sigillo delloStato, sarà inserita nella Raccolta ufficialedegli atti normativi della Repubblica italiana.E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservar-la e di farla osservare come legge dello Stato.

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Finito di stamparenel mese di Novembre 2005

dalla Litografica Editrice Saturniain Roncafort di Trento

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Commissione Provinciale Pari Opportunità tra uomo e donna

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ATTI del CONVEGNO

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Rapporto di ricerca

L’USO dei CONGEDI PARENTALI nella PROVINCIA di TRENTO

a cura di Barbara Poggio e Michela CozzaDipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

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COMMISSIONE PROVINCIALE PER LE PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA

La Commissione Provinciale per le Pari Opportunità è stata istituita nel 1993 (L.P.10/12/1993 n. 41). La Commissione ha il compito di promuovere azioni positive per sostene-re le donne a concorrere con le stesse opportunità degli uomini ad apportare il proprio contri-buto allo sviluppo della nostra società, ad esprimere le proprie potenzialità e creatività, alasciare la propria impronta ed a trasmettere la propria esperienza nel corso della vita; è dun-que impegnata su molti fronti che spaziano dalla formazione, agli interventi relativi alla vitapersonale nei suoi molteplici aspetti (il campo relazionale, affettivo e sessuale, la salute, lamaternità e la paternità, la famiglia e la cultura), alla vita lavorativa (negli innumerevoli settorie a tutti i livelli), alla vita politica, sociale, ecc…

Dalla sua costituzione sono stati realizzati numerosi progetti inerenti la realtà femminile rivol-ti a tutte le donne, quelle che si occupano della propria famiglia, quelle che lavorano fuori casa inambiti e a vari livelli, quelle che, straniere, cercano di inserirsi nella nostra comunità e, natural-mente, le giovani donne. Inoltre, sono stati realizzati momenti divulgativi per tutta la collettività.

L’attuale Commissione è stata nominata dalla Giunta provinciale nel marzo del 2004 erimarrà in carica fino al termine della legislatura; è composta da quindici donne: dodici, elettedalle Associazioni, provengono da svariate culture ed esperienze della realtà femminile trenti-na, tre sono esperte di nomina diretta provinciale.

La Commissione ha sede presso gli uffici della Provincia Autonoma di Trento

in via XXIV Maggio, 2 - 38100 Trento - tel. 0461.496.276 - fax 0461.496.288e-mail: [email protected] - www.pariopportunita.provincia.tn.it

CONSIGLIERA DI PARITA’

La Consigliera di Parità è la figura istituzionale preposta ad intervenire in modo specificosulle tematiche delle Pari Opportunità tra uomo e donna legate al mondo del lavoro.

Tale figura svolge funzioni di promozione e controllo sull’attuazione dei principi di ugua-glianza di opportunità e non discriminazione per lavoratrici e lavoratori: è un organo di garan-zia e vigilanza sul rispetto della legislazioni di parità operante a livello nazionale, regionale eprovinciale; promuove azioni positive a favore dell’inserimento e della permanenza delle donnenel mondo del lavoro e ha la possibilità di agire in giudizio contro qualsiasi discriminazione,diretta o indiretta, individuale o collettiva (L. 125/91; d.lgs. 196/2000).

La Consigliera di Parità intraprende ogni utile iniziativa ai fini del rispetto del principio di nondiscriminazione e della promozione di pari opportunità per donne e uomini nel mondo del lavoro.

La Consigliera di Parità è gratuitamente a disposizione delle persone che necessitano diinformazioni, o ritengono di subire una discriminazione di genere nell’ambito lavorativo.

Tel. 0461/496256 - fax 0461/496288e-mail: [email protected] - www.pariopportunita.provincia.tn.it