Tra il vedere e il credere. Paolo Veronese, San Giovanni evangelista.

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Tra il “vedere” e il “credere”

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Tra il “vedere” e il “credere”

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Paolo Veronese, San Giovanni evangelista

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Il Vangelo secondo Giovanni

Sul quarto Vangelo sono stati scritti volumi e volumi senza che questi potessero esaurirne il contenuto. Il Vangelo di Giovanni ha la forza inesauribile della fede della prima comunità dei credenti in Cristo. Una comunità che non solo annuncia il Cristo e crede in lui, ma che conosce Cristo attraverso lo sguardo amoroso e penetrante della mistica.

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Il Vangelo secondo Giovanni

L’autore di questo Vangelo, o potremmo più correttamente dire il redattore, si presenta come il credente che ha visto e ne dà testimonianza. E la sua testimonianza è vera perché si basa, non su vedute e impressioni personali, ma sullo Spirito divino che lo abita, quello Spirito che è sgorgato dalla croce come fonte perenne di grazia e chiaroveggenza, nel senso ebraico di naibis, cioè di profezia, del parlare nel nome di un altro.

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Il Vangelo secondo Giovanni

Non a caso quello di Giovanni è stato definito il Vangelo del cristiano maturo: esso infatti suppone un’esperienza spirituale elevata che non vuole spiegare una via ma la vuole indicare. Le tendenze gnostiche di cui fu spesso accusato si infrangono di fronte al tipo di sapienza nascosta che il Vangelo suppone, quella stessa di cui parla Paolo nella sua lettera ai Corinzi (1 Cor 2,6-16). Giovanni non parla mai di conoscenza (gnosi) ma declina più volte il verbo conoscere quale verbo che indica la fedeltà a Cristo, la comunione con lui e la comunione fra quei fratelli che in Cristo - e solo grazie a lui - si riconoscono tali.

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Il Vangelo secondo Giovanni

Per Giovanni il radicamento nella storia del cristiano è riflesso della radicalità dell’Incarnazione. Dio si è fatto carne. Non un semi-Dio, non una carne virtuale, ma la nostra carne di peccato. Qui il Dio nascosto si è rivelato, qui è il nascondimento del rivelarsi del Verbo. Tra le innumerevoli proposte di lettura del quarto Vangelo ce n’è una su cui tutti sono concordi: Giovanni si spiega con Giovanni. Più marcatamente rispetto agli altri evangelisti Giovanni offre una ermeneutica intratestuale densa e serrata. Eppure nessuno come questo evangelista chiede al suo lettore la conoscenza dell’Antico Testamento e degli altri Sinottici, soprattutto Marco e Luca.

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Simbolo dell’evangelista Giovanni Chiesa di San Giovanni in Villa - Bolzano

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Chi è l’autore?

L'ipotesi tradizionale, che identificava l'anonimo autore del vangelo - il discepolo che Gesù amava -, con l'apostolo Giovanni inizia a partire dalla fine del II secolo.

Ireneo, vescovo di Lione, fu il primo ad attribuire quel quarto vangelo che circolava nelle comunità dei nazareni a un Giovanni discepolo.

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Chi è l’autore?

Eusebio di Cesarea, che riporta questa notizia, ritiene che Ireneo si basasse sulle testimonianze di Policarpo vescovo di Smirne (morto martire a Roma nel 155), il quale avrebbe conosciuto personalmente Giovanni (stavolta l'apostolo) essendone stato discepolo.

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Chi è l’autore? Questo è anche confermato da Ireneo

medesimo, che nella sua lettera a Florino ricorda il suo incontro con Policarpo di Smirne, ed il fatto che Policarpo «raccontava della sua dimestichezza con Giovanni e con le altre persone che avevano visto il Signore» (Storia ecclesiastica V, 20, 4). Ireneo ricorda anche che Policarpo fu eletto vescovo di Smirne dagli apostoli, e Tertulliano asserisce che egli fu fatto vescovo proprio da Giovanni.

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Chi è l’autore? Anche il Canone muratoriano,

documento risalente al 200 circa, riporta che il quarto vangelo sarebbe opera di Giovanni, discepolo di Gesù.

Già dal XIX secolo gli studiosi hanno evidenziato che la struttura letteraria del vangelo manifesta una lenta formazione progressiva, che partendo da un substrato giovanneo attraverso rimaneggiamenti successivi sarebbe approdata alla fisionomia attuale.

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Chi è l’autore?

I discorsi presenti nel Vangelo di Giovanni, sono il frutto di teologia, di letteratura e di meditazione; il testo ha un valore anche letterario, pieno come è di richiami, di riprese e di approfondimenti al proprio interno. È un grande tessuto dove diversi fili si incrociano e si intrecciano.

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Chi è l’autore?

Il quarto Vangelo rispecchia la vita dell'autore e della sua comunità. Un discepolo o un apostolo prima di tutto ha predicato. Dalla predicazione iniziale nasce qualche scritto che a sua volta si evolve, viene riletto, riscritto, ritoccato, finché si arriva alla stesura definita.

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Chi è l’autore? Il Vangelo non è un'opera autonoma,

perché fa parte di un gruppo di scritti: è infatti strettamente legato alle tre lettere e, secondo la tradizione, all'Apocalisse. Le lettere giovannee, in particolare, ci permettono di parlare di un ambiente vitale d'origine che è una comunità con un proprio linguaggio e una particolare mentalità.

Alla luce di questa situazione, la storia del quarto Vangelo può essere schematizzata in cinque stadi:

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Chi è l’autore?1. nella fase della predicazione si costituiscono

lentamente le tradizioni evangeliche;

2. il materiale tradizionale assume una forma particolare e viene strutturato in raccolte letterarie;

3. tutto questo molteplice materiale subisce un coordinamento organico, che equivale a una prima edizione:

4. in seguito il testo viene aggiornato tenendo conto delle difficoltà e dei problemi insorti nel frattempo, e si può parlare di una seconda edizione;

5. l'edizione definitiva è curata da un redattore diverso dall'autore, forse dopo la morte dell'apostolo.

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Chi è l’autore? Gli studiosi hanno scorto nel Vangelo

almeno due voci o, forse sarebbe meglio dire, due sguardi: quello dell’Autore del Vangelo e quello dello Scrittore. Autore del Vangelo è l’apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo, pescatore di Galilea con il fratello Giacomo, che fu discepolo prima del Battista e poi del Signore, nominato in terza persona dal Redattore ultimo del Vangelo come ”il discepolo che Gesù amava”.

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Chi è l’autore?

Lo Scrittore o Redattore ultimo è una persona indubbiamente colta, identificata con un discepolo anziano - Giovanni il presbitero appunto - che sull’isola di Patmos, rapito in estasi, stenderà le suggestive pagine dell’Apocalisse.

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Chi è l’autore?

Tutto questo avviene nella comunità di Efeso (capitale della provincia romana d'Asia, sulla costa occidentale dell'odierna Turchia). Giovanni visse ad Efeso probabilmente gli ultimi 20-30 anni della sua vita, nella seconda metà del I secolo. È appunto tra il 60 ed il 100 che viene collocata la stesura definitiva dell'ultimo Vangelo.

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Chi è l’autore? Il manoscritto più antico contenente un

brano del Vangelo secondo Giovanni è il Papiro P52, che è stato datato intorno all'anno 125. Questo frammento di cm 9 x 6 è chiamato anche Papiro Rylands 457 ed è uno dei più vecchi frammenti di papiro del Nuovo Testamento. È stato ritrovato in Egitto ed è in forma di codice, scritto da ambo i lati e contiene Giovanni 18,31-33 e 18,37-38, ovvero un brano della Passione del vangelo giovanneo. Attualmente è conservato presso la John Rylands Library di Manchester, Inghilterra.

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Chi è l’autore?

Il Vangelo è presente anche nel Papiro 66 o papiro Bodmer II, risalente all'anno 200 circa, nei papiri P45 e P75 del 250, nel Codex Vaticanus del 300 e infine nel Codex Sinaiticus del 350.

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Rylands Library Papyrus P52

The recto of Rylands Library Papyrus P52 from the

Gospel of John.

Papyrologist Bernard Grenfell (1920), as

preserved at the John Rylands Library. Photo:

courtesy of JRUL.

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Contenuto Il vangelo di Giovanni ha diversi punti di

contatto con i Sinottici: si riconoscono però in esso fonti e tradizioni proprie risalenti alle chiese giovannee come, ad esempio, nei lunghi discorsi di addio (Gv cap 15-17); in alcuni miracoli – che nella tradizione giovannea sono sempre definiti segni – come quello delle nozze di Cana o di Lazzaro (Gv 2,1-12 e Gv 11,1-54); nel discorso sul Pane della Vita a Cafarnao (Gv 6); in alcune figure come Natanaele (Gv 1,45-51), la Samaritana (Gv 4,1-42) e Nicodemo (Gv 3,1-21).

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Contenuto Il quarto Vangelo differisce dagli altri

sinottici anche nella forma: è scritto - per così dire - a cerchi concentrici e gli elementi, i temi sono concatenati. Da qui derivano diverse proposte di lettura. È possibile leggere il Vangelo guardando alla scansione delle feste giudaiche. A differenza dei Sinottici, infatti, Giovanni distribuisce il ministero di Gesù nell’arco di tre Pasque, variando anche l’ambientazione geografica del suo Vangelo.

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Contenuto È possibile ancora ripercorrere l’intero

Vangelo inseguendo alcuni temi fondamentali, come quello dell’«ora» connesso al tema della gloria, oppure quelli della luce e dell’acqua connessi al tema della vita e della morte. Si può guardare al Vangelo anche attraverso i segni o i miracoli, che hanno il compito risuscitare la fede in Gesù.

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Contenuto A differenza dei Sinottici, che ci

testimoniano fino a trenta miracoli, Giovanni ne racconta solo sette. Numero certo non causale che ha il compito di condurre all’ottavo e ultimo grande segno, quello della Pasqua di Gesù, della sua risurrezione. In questa prospettiva alcuni dividono il Vangelo in due grandi parti definendo la prima - quella che interessa la vita pubblica di Gesù - il libro dei segni e la seconda parte - quella degli ultimi eventi della vita di Gesù - il libro della gloria.

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Contenuto L’arco dei sette segni è così composto:1. Le nozze di Cana2. La guarigione del figlio del funzionario di Cana 3. La guarigione del paralitico alla piscina di

Betzaetà4. La moltiplicazione dei pani5. Gesù che cammina sulle acque6. La guarigione del cieco nato7. La resurrezione di Lazzaro

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Contenuto Noi vogliamo leggere il quarto vangelo

cercando di entrare nello sguardo del suo Autore, attraverso lo sguardo di grandi artisti. Il verbo «vedere» ha un’importanza particolare in Giovanni. Il biblista Ignace de la Potterie rileva quattro diversi verbi per dire una particolare maniera di vedere.

Il primo verbo, il più neutro è βλέπειν (blèpein - blepo) cioè scorgere. Lo troviamo nelle prime pagine del Vangelo quando il Battista scorge Gesù (Gv 1,29).

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Contenuto Il secondo verbo, usato più spesso nel

Vangelo, è Θεωρειν (theorein - theoreo da cui teoria). Il verbo descrive lo sguardo attento, osservatore e viene usato da Giovanni nei riguardi di chi vede i segni che Gesù fa (Gv 2,23; Gv 6,29). È già lo sguardo della fede, anche se non una fede piena, bensì quella di un cuore che è potenzialmente aperto al Mistero.

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Contenuto Il terzo verbo è Θεασθαι (theasthai - da cui

deriva il termine teatro). È il verbo che indica il contemplare, è lo sguardo stupito da ciò che si vede e, in qualche modo, già si è conquistato. Quando è applicato al modo con cui i discepoli guardavano Gesù, indica il loro vedere oltre la sua umanità per considerarne già la gloria della divinità. Esempio tipico lo troviamo nel Prologo di Giovanni: “Abbiamo contemplato la sua gloria, la gloria dell’unigenito, venuto da presso il Padre” (Gv 1,14).

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Contenuto Il quarto verbo è il più comune dal punto di

vista lessicale, ma è anche il più denso di significato, la forma verbale più completa: si tratta del verbo comune orao - vedere usato però al perfetto: έώρακα (èoraka da cui eureka). È il verbo appunto di chi ha visto e ne dà testimonianza perché ne conserva memoria. L’espressione implica l’aver visto e compreso, indica il vedere simbolico che di fronte a una fatto è capace di rievocare, mediante la memoria, molti altri fatti e giungere alla comprensione che trasforma la vita (es. Gv 14,9).

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San Giovanni a Patmos, recto

Hieronymus Bosch

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Sullo sfondo azzurrino di un panorama sereno e dal sapore giorgionesco si staglia la figura dell’Apostolo. Un san Giovanni giovane come quando seguì il Signore lungo le strade della Palestina e, nello stesso tempo, collocato a Patmos dove, secondo la tradizione, egli ormai anziano, subì l’esilio e scrisse l’Apocalisse. Bosch, dunque, condensa in un’unica immagine Apostolo ed Evangelista.

Giovanni è colto nell’atto di scrivere il suo testo, quasi assistito dalla Vergine che, come la Donna dell’Apocalisse, tiene la luna sotto i suoi piedi e ostende il Figlio maschio che ha partorito.

Lo sguardo dell’Apostolo è fisso sul Mistero del Verbo Incarnato; così, del resto, incomincia il suo Vangelo: il Verbo si è fatto carne. Colui che era presso Dio, che era Dio, il Logos, ha preso una carne mortale nel grembo di una donna. Questa Donna e il mistero che la riguarda, è collocata all’inizio e alla fine del suo vangelo.

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Con Cristo la storia viene ricapitolata e comincia un nuovo principio, una nuova creazione. Lo testimonia proprio il paesaggio in cui Bosch pone l’Evangelista: un monte sopra il quale compare un Angelo il cui colore azzurrino invita a volgere lo sguardo all’orizzonte retrostante.

Tutto il cosmo viene qui rappresentato nei suoi elementi fondamentali: acqua, aria, terra, fuoco, il regno vegetale (che ritroviamo non solo nella natura rigogliosa del paesaggio, ma anche nelle ali dell’angelo) e il regno animale simbolicamente rappresentato da un volatile - forse un’aquila, attributo dello stesso Giovanni, e da un curioso grillo, in basso a destra della tavola.

Il monte rimanda simbolicamente al monte della creazione e l’angelo, oltre ad essere un rimando all’apocalisse, fa pensare all’essere divino che custodì le porte del paradiso terrestre dopo la caduta.

Da tutto il paesaggio sprigiona comunque una grande armonia e una grande bellezza.

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Non manca il tocco del male in questo nuovo ordine. Lo vediamo infatti significato sia nella nave in fiamme, simbolo delle guerre e degli odi che devastano la terra che, sia nell’animaletto che sta alle spalle di San Giovanni, chiaro simbolo del demoniaco.

L’animaletto, un grillo, ha un volto umano, occhialuto, reca ali di farfalla (come l’angelo, ma rivolte verso il basso) e coda da scorpione. Il male dunque rimane nel nuovo ordine di cose instaurate da Cristo, ma regna tuttavia in esso una grande armonia perché ogni cosa rimane sotto la sapienza provvidente del Logos.

Il piccolo grillo diabolico tiene fra le mani un rastrello con il quale cerca di sottrarre all’Evangelista il calamaio. Giovanni però pare non lasciarsi minimamente turbare né dalla presenza di quel demonio né dal suo tentativo di furto.

Un volatile, alla sinistra della tavola, sorveglia minaccioso i movimenti del grillo. Si tratta di un’aquila, che veglia sul suo protetto.

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San Giovanni a Patmos, verso

HieronymusBosch

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Se nel recto della tavola traspare dal panorama la pace e l’armonia della creazione così come è scaturita dall’opera del Logos Creatore, una pace tale che anche la presenza del male non può turbare, nella parte retrostante la tavola il male esplode e rivela tutta la sua oscurità.

Il recto rappresenta ciò che Dio vede nel mondo nonostante il male.

Egli vede la sua grazia e l’instancabile opera della sua bontà provvidente che sempre sostiene la sua creazione.

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Il verso della tavola, in cui Bosch ha dipinto un cerchio in grisaglia con alcune scene della passione, vuole invece descrivere come l’uomo vede il mondo.

Se ci allontaniamo solo un poco dalla riproduzione del verso, possiamo notare che non si tratta semplicemente del gioco cromatico di due cerchi concentrici, ma di una cornea con la sua pupilla.

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Quest’occhio potrebbe essere una sorta di gigantesco ingrandimento di quanto, sul recto della tavola, l’apostolo Giovanni contempla nel cerchio di Luce in cui appare la Donna con il Figlio. Egli vede cioè il destino a cui il Verbo di Dio va incontro, accogliendo l’Incarnazione.

All’interno di quella che dovrebbe essere l’iride dell’occhio vediamo, infatti, il susseguirsi delle scene della passione.

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Teatro di questo male è, sullo sfondo, la città di Gerusalemme, disegnata qui con il medesimo profilo della città del recto dell’opera.

Il parallelismo tra le due scene è esplicito ma, mentre nella prima il male pur presente è controllato e innocuo, qui il demoniaco pare serpeggiare ovunque nelle forme fluttuanti e luminose degli uomini che si muovono agilmente anche dentro la più grande oscurità.

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È una chiara rappresentazione dell’ora a cui Giovanni fa continuo riferimento nel suo Vangelo. Quest’ora, verso cui egli riporta instancabilmente l’attenzione del credente, è l’ora delle tenebre per l’occhio miope dell’uomo, ma è l’ora della Gloria per lo sguardo penetrante del Creatore.

Nella pupilla dell’occhio troviamo ripreso il simbolo dell’aquila che appare però piuttosto come un pellicano che ciba i suoi piccoli della sua stessa carne.

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I temi fondamentali del prologo che si ritrovano poi in tutto il Vangelo, e specialmente il tema del contrasto fra luce e tenebre, fra l’ora del male e l’ora del trionfo del bene, si trovano degnamente descritti in questa mirabile opera di Bosch.

Lo sguardo divino che tutto abbraccia sa scorgere anche nelle trame del male il suo progetto di Bene che avanza inesorabile.

Infatti nell’occhio è la pupilla che "vede“.

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Le nozze di Cana

Giotto

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La prima settimana Giovanni non a caso inizia il suo Vangelo con le

stesse parole del libro della Genesi: in principio - en archè. Giovanni presenta infatti Gesù come il Verbo creatore che inaugura una nuova creazione. Dopo il prologo, il Vangelo continua con la narrazione di una settimana in cui si celebra il passaggio dall‘antica alla nuova economia, una settimana dove Giovanni il Battista compie la sua missione e Gesù la incomincia. Ricalcando i ritmi del primi sette giorni della creazione l‘evangelista colloca nel primo giorno la testimonianza del Battista, cioè il diradarsi delle tenebre attorno al Messia grazie allo sguardo capace di verità del Battista.

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La prima settimana Nel secondo giorno ecco che le acque benedette

del Giordano vedono arrivare il Benedetto, Colui che solo è in grado di santificare e purificare: Gesù il Cristo, additato dallo stesso Battista. Terzo giorno: germogliano i primi virgulti attorno al Germoglio per eccellenza, quello della radice di Jesse, il Cristo. Gesù chiama a dimorare con lui (cioè a mettere radici): Andrea - che in quello stesso giorno porterà a Gesù il fratello Simon Pietro - e un discepolo ignoto, tradizionalmente identificato con lo stesso apostolo Giovanni.

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La prima settimana Nel quarto giorno, che nella Genesi vede nascere

la scansione del tempo in giorno e notte per mezzo dei luminari grandi e piccoli, ecco che Cristo si reca in Galilea e chiama altri suoi discepoli. Isaia aveva predetto che la Galilea, terra di Zabulon e di Neftali, terra tenebrosa, avrebbe visto sorgere la vera Luce e qui Gesù si manifesta come colui che ha adempiuto la legge e i profeti (le luci minori della storia della salvezza che indicano la Grande Luce della Presenza di Dio nel mondo) e chiama altri due discepoli i quali a loro volta risplenderanno come fiaccole di verità.

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Le nozze di Cana

Giotto

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Tre giorni dopo Si giunge così all‘episodio delle nozze di Cana che

inizia con un‘annotazione temporale: tre giorni dopo. Calcolando i precedenti quattro giorni siamo, pertanto, al settimo giorno. Siamo nel giorno del compimento, siamo nel giorno del riposo, siamo nel giorno della comunione fra Dio e l‘uomo. Siamo però anche nel giorno delle nozze. L‘episodio delle nozze di Cana si apre dunque all‘insegna di un giorno benedetto, il giorno delle nozze eterne fra Dio e l‘umanità.

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Tre giorni dopo La menzione del terzo giorno, tuttavia, getta su

questa festa anche l‘ombra del dramma. Tutta la Scrittura è costellata da accenni a questa scansione temporale: tre giorni durò il cammino di Abramo verso il monte Moria; tre giorni Giona rimase nel ventre del pesce; per tre giorni Gesù restò chiuso nel sepolcro. Tre giorni segnano lo scoccare di un‘ora, quella per cui Cristo è nato. Sul numero tre gioca anche Giotto che, nella celebre Cappella degli Scrovegni, ci permette di entrare nella sala del banchetto di nozze e vedere con Maria, il primo dei sette grandi segni narrati da Giovanni nel suo Vangelo.

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Tre giorni dopo Tre, infatti, sono gli invitati per ogni lato del tavolo, tre

hanno l‘aureola e tre sono senza aureola, tre sono le giare in primo piano, tre i testimoni del miracolo. Tre sono anche i lati della sala che ci è consentito vedere, opportunamente sottolineati da un elegante cornicione di legno intarsiato. La sala, dunque, si apre generosa allo sguardo dell‘osservatore: vediamo tuttavia solo tre dei suoi quattro lati. Il quarto lato è quello in cui noi siamo immersi ed è anche quello in cui è chiamato in causa il nostro vedere. Fedele agli intenti dell‘Evangelista, Giotto ci avverte che a questo banchetto tutti siamo invitati perché si tratta del banchetto ultimo, quello messianico promesso dai profeti.

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Le nozze di Cana

Giotto

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Il vedere di Maria I personaggi sono, in totale, 11. Questo è l‘inizio, è

il luogo dove si svela qualcosa della sua gloria, ma non è ancora il compimento, manca ancora quell‘uno all‘appello per realizzare la totalità simbolicamente inscritta nella dozzina. E che questo banchetto sia per la totalità lo dicono gli intarsi e le decorazioni lungo le pareti della sala che propongono il tema del quadrifoglio, antico segno bene augurale ma anche, nella sua forma quadripartita, rimando alla totalità della terra (i quattro punti cardinali).

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Il vedere di Maria Ad affrettare il manifestarsi della gloria di Gesù è

la Madre. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Siamo lontani qui dall‘insistenza con cui Giovanni ha usato nel capitolo precedente il verbo vedere. Giovanni infatti, per dirci che Maria si è accorta della carenza di vino, in questo caso non usa il verbo vedere. Qualche riga sopra l‘evangelista aveva narrato di come Gesù avesse detto a Natanaele «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!» (Gv 1,50).

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Il vedere di Maria Maria vede già, prima di ogni altro, queste cose

maggiori. Ella partecipa intimamente allo sguardo di Gesù. Perciò vede e il vedere di Maria è tutto racchiuso in quella frase lapidaria: non hanno più vino. Nell‘affresco di Giotto nessuno pare essersene accorto: non il paggetto che si appresta a tagliare il pane, non quello ozioso e tranquillo a braccia conserte. Vede solo Maria e pare oltretutto vedere ben oltre la semplice mancanza di vino, continua infatti il testo: Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,4-5).

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Il vedere di Maria Pare un battibecco familiare e sconcerta un po‘ la

frase di Cristo a sua Madre. Sconcerta ma lascia nel contempo intravvedere un oltre a cui la Madre allude con la sua richiesta, un oltre che Cristo intuisce. Non è ancora giunta l‘ora di Gesù l‘ora, cioè, della sua rivelazione che sarà sigillata dalla croce e dalla relativa risurrezione gloriosa. Ma come si può parlare di morte e di risurrezione durante un banchetto di nozze? E perché poi considerare un anticipo dell‘ora, il miracolo sul vino? Perché non un miracolo sulla morte, una risurrezione, come quella che verrà operata di lì a poco con Lazzaro?

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Le nozze di Cana

Giotto

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Lo sguardo triste della sposa

Nella bibbia il vino è detto sangue dell’uva e nell’acino d’uva è racchiusa la benedizione di Dio. Un rabbino non sciuperebbe mai un acino d’uva, perché il suo nettare ricorda il patto d’amore fra Dio e l’uomo. Il vino è anche la bevanda della festa, appunto, e dunque è simbolo di gioia e di quelle realtà spirituali cui l’uomo anela. Qui, due sposi, non hanno più vino, non hanno la gioia. Hanno, sì, l’amore ma un amore svuotato del suo significato più recondito.

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Lo sguardo triste della sposa

Lo sposo che siede accanto a Gesù è l’apostolo Giovanni, senza aureola però. Come vuole l’antica tradizione è lui lo sposo e le nozze si celebrarono quando non era ancora discepolo di Cristo. Il viso è sereno eppure distante, sembra guardare nel vuoto più che verso la sposa. Le mani sono conserte, inattive. Forse Giovanni guarda verso l’antro buio che si apre alle spalle della Vergine Madre.

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Lo sguardo triste della sposa

La sposa, vicina a Maria, è seria, quasi presaga del dramma. Si tratta della Maddalena, identificata con la Maria sorella di Marta e di Lazzaro. Quando Giovanni l’abbandonerà per seguire il Maestro, ella non si darà pace, per questo verrà simbolicamente invasa dai sette demoni, sarà cioè in balia dei sette vizi capitali.

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Le nozze di Cana

Giotto

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Maria, Marta e Lazzaro La Maddalena porta l’abito rosso, come il

vino che manca, come la tappezzeria della sala, come l’abito di Gesù, di Maria, del Maestro di Tavola, dell’altro discepolo con l’aureola, forse Andrea. (Andrea fu discepolo del Battista e questo apostolo è lo stesso presente al Battesimo di Gesù e possiede lo stesso volto e lo stesso abito dell’Andrea che siede in trono nella schiera dei dodici che attorniano Cristo giudice).

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Maria, Marta e Lazzaro L’abito rosso della Maddalena dice il suo

legame con l’amore che solo può dar senso al miracolo, ella però è ancora imbrigliata dentro le strettoie delle sue prospettive umane, non è capace di vedere oltre l’amore per Giovanni. Con la mano destra compie un gesto singolare. Non si comprende bene perché, pare che regga qualcosa. Forse un fior d’arancio, come le porrà in mano Caravaggio secoli più tardi? Forse traccia con le dita una sorta di scongiuro per il presentimento della tragedia imminente? Non sappiamo.

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Maria, Marta e Lazzaro Resta un gesto misterioso che non sembra

sfuggire allo sguardo attento della donna accanto a lei. Questa donna potrebbe essere la sorella Marta. C’è Maria di Magdala, c’è Marta ma dov’è Lazzaro? Lazzaro è oltre la porta buia. Non a caso, infatti, Giotto colloca al di là di quella porta buia, nell’affresco successivo, l’episodio della risurrezione di Lazzaro. A questo affresco è rivolto il gesto della Maddalena, della Madonna e quello benedicente di Gesù.

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Le nozze di Cana

Giotto

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Fate quello che vi dirà Gesù benedice tre volte nello stesso modo

in questa parete: nelle nozze di Cana, nella risurrezione di Lazzaro, nell’ingresso trionfale di Gerusalemme. La gloria che si manifesta a Cana è quella stessa che si rivela con la signoria di Cristo sulla morte nella risurrezione di Lazzaro e quella che si compirà in pienezza nell’ultima settimana della sua vita a Gerusalemme, iniziata appunto con l’ingresso trionfale di Cristo nella città santa.

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Fate quello che vi dirà Lo sguardo triste della Maddalena non è

allora semplicemente presago dell’imminente abbandono da parte del marito, ma è lo sguardo miope di chi si sente in balia degli eventi, di chi è incapace di una lettura di fede della storia. Nel vino esaurito ella rischia di vedere semplicemente e superstiziosamente il segno tragico di un destino avverso. La vita le darà peraltro ragione perché Giovanni l’abbandonerà e Lazzaro morirà.

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Fate quello che vi dirà Ma lo sguardo fatalista e ottuso, oggi

purtroppo ancora così diffuso, viene come interrotto e chiamato a conversione dallo sguardo di Maria la quale, incurante della resistenza del figlio dice ai servi: fate quello che vi dirà. In greco abbiamo qui un presente storico. Non «disse ai servi» ma «dice». Non lo disse solo allora in quella determinata circostanza: dice ancora oggi a noi di fare secondo la parola del Figlio.

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Le nozze di Cana

Giotto

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Credettero in lui Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in

Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui (Gv 2,11) Così termina l‘episodio Giovanni, senza alcun commento. Il commento è la fede, una fede che ci viene discretamente illustrata da Giotto attraverso altri due servi, quasi estranei agli eventi che si consumano nella sala.

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Credettero in lui Uno, con l‘abito rosa (il rosso trasfigurato dalla

luce), è nella quiete della contemplazione e si volge verso il lato sinistro dell‘affresco. È come rimasto fisso nella contemplazione dello squarciarsi dei cieli avvenuto durante il Battesimo di Gesù. In questo servo è rappresentata la diaconia della preghiera, della vita contemplativa, quella che la stessa Maria, sorella di Marta abbraccerà. Questo servo, restando ancorato alle cose invisibili, vede le visibili conferendo loro la giusta prospettiva e il giusto significato. La sua posizione infatti è tale da fare da perno a tutta la scena.

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Credettero in lui L‘altro servo vestito di verde, colore della

vita e della terra, è invece intento all‘azione. Si appresta ad affettare il pane. Egli rappresenta la diaconia della carità. La sua laboriosità è serena e composta, non c‘è attivismo, c‘è vero servizio reso ai fratelli in nome di Dio. È questa la diaconia a cui Cristo richiamerà Marta nel celebre episodio che riguarda le due sorelle.

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Credettero in lui Al banchetto futuro saranno invitati tutti

quelli che avranno aderito a questi due comandamenti, l‘amore a Dio e l‘amore al prossimo, la contemplazione e la missione. Questo è il vero amore, quello che tinge di rosso le vesti dei credenti, quello a cui il banchetto eucaristico prepara: come Maria vedere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio.

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La resurrezione di Lazzaro

Rembrandt

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Questa malattia non è per la morte

Il fatto che Gesù ritardi nel soccorrere l’amico aspettando che muoia e l’equivocare continuo dei discepoli nei confronti delle reali intenzioni del Maestro, dicono chiaramente come le tenebre di cui Gesù parla siano quelle che calano sugli occhi dell’uomo incapace di comprendere il disegno di Dio che si realizza dentro una storia travagliata.

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Questa malattia non è per la morte

Gesù colloca la malattia di Lazzaro in stretta relazione con la sua ora: non teme di tornare in Giudea dove già avevano tentato di ucciderlo perché è certo che la sua «ora» non è ancora giunta. E la sua ora coinciderà con il trionfo solo momentaneo e apparente dell’ora delle tenebre. Mentre Lui opera si è in pieno giorno e nulla potrà accadere. Quanto però sta per fare su Lazzaro dimostrerà che per un credente in Cristo il giorno non tramonterà mai.

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Questa malattia non è per la morte

Di queste tenebre entro le quali «si vede» parla sapientemente Rembrandt, in una delle più suggestive rappresentazioni della risurrezione di Lazzaro della storia dell’arte: un pannello dipinto a olio nel 1630 e ora conservato a Los Angeles. L’antro buio della tomba rivela la presenza di armi appese sulla parete di destra. Una presenza inquietante anche per la facilità con cui si distinguono a dispetto della scarsissima luminosità di cui gode la parete che le ospita.

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Questa malattia non è per la morte

Quelle armi dicono l’ora a cui i discepoli di Cristo devono essere di lì a poco introdotti. Sono armi che avvertono il cristiano di ogni tempo che seguire Cristo non risparmia dal dramma dell’inimicizia. Come i sinottici preparano i discepoli allo scandalo della croce attraverso l’episodio della Trasfigurazione, Giovanni li prepara mediante la risurrezione di Lazzaro.

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La resurrezione di Lazzaro

Rembrandt

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Marta e Maria

Di fronte all’oscurità della morte Giovanni registra le diverse posizioni dei vari personaggi. Anche Rembrandt le racconta rappresentando i convenuti al miracolo in posizione ricurva e, dunque, con dimensioni più ridotte rispetto a Cristo e racchiudendoli entro la corona di luce che sprigiona dal fondo del dipinto. La prima a notarsi, proprio come nel Vangelo di Giovanni, è Marta.

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Marta e Maria

Marta porta nel nome l’indole del suo temperamento deciso e capace. Il suo nome significa, infatti, la Signora, colei che coordina la casa e viene dipinta e dal Vangelo e da Rembrandt con le medesime caratteristiche psicologiche. La schietta e fiera determinazione della donna si rivela in quel ripetuto oida: so! Nel suo dialogo col Signore viene a delinearsi il percorso delle sue certezze di fede.

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Marta e Maria

Totalmente illuminata dal cono di luce che da Cristo giunge a Lazzaro è, infatti, la Marta rembrandtiana. Ella tiene le mani levate tra lo stupore e la certezza ed è l’unica, in qualche modo, a ripetere lo stesso gesto del Maestro. Marta è anche l’unica a dirigere lo sguardo verso lo spettatore e a coinvolgerci direttamente nell’evento.

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La resurrezione di Lazzaro

Rembrandt

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Marta e Maria

Il Vangelo di Giovanni continua ponendo in scena Maria. Questa sorella “rimasta in casa” viene chiamata da Marta “di nascosto”. Già con queste annotazioni s’individua il carattere più schivo di Maria, il cui nome tra i probabili significati include quello di Amata da Dio. Pur nel nascondimento cercato, e tutelato anche dalla sorella Marta, Maria si nota: Maria viene seguita. È lei che conduce tutti a vedere Gesù. La preghiera di Maria è tutta supplica e adorazione: invoca la presenza del Maestro e si getta ai suoi piedi piangendo.

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Marta e Maria

Rembrandt ce la dipinge proprio così, di spalle, vestita di nero segno del lutto e del pianto, ma segno anche dell’oscurità da cui ella volentieri si lascia avvolgere. Maria è tuttavia la sola ad essere rivolta verso Gesù. Pur rimanendo fuori campo, anch’ella, per quanto timidamente, solleva la mano come la sorella e con il ritrarsi leggero del suo corpo sembra far spazio alla fede degli altri.

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Marta e Maria Le due sorelle, proprio nei loro

atteggiamenti, incarnano le due dimensioni fondamentali della fede: la missione e la contemplazione. Ma come nella dinamicità di Marta è presente lo sguardo profondo della contemplativa che “vede” in Gesù il Cristo il Figlio di Dio e l’atteggiamento contemplativo di Maria si rivela missionario, tanto che attraverso di lei altri vedono il Cristo, così nella Chiesa la dimensione contemplativa e quella missionaria sono intrinsecamente unite.

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La resurrezione di Lazzaro

Rembrandt

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Vieni fuori! Guardando Maria anche noi ci accorgiamo

di quanto Gesù veda. Vede il dolore dell’uomo, vede la fragilità umana di fronte alla morte, ma vede anche la poca fede di quelli che dubitano. Il dubbio, tuttavia, ha il pregio di porre in relazione il miracolo del cieco con questo grande settimo segno, come la professione di Marta, getta luce sul senso misterioso delle parole di Gesù poste all’inizio del brano. Questa malattia rivela la gloria del Figlio di Dio.

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Vieni fuori! Rembrandt esprime il segno della

resurrezione con una possanza senza pari. Cristo è il vero punto focale della scena sebbene la sua posizione sia leggermente spostata rispetto al centro della tela.Il braccio alzato totalmente nella luce dice l’energia che sprigiona da lui. È proprio dal braccio che pare uscire tutta la luce del quadro e diffondersi all’intorno. La potenza del braccio divino rivela la sua vittoria sul male (le spade) e sulla morte (Lazzaro).

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Vieni fuori! Lazzaro da par suo sembra adagiato in un

oltre lontano. Il volto cadaverico, è proprio quello di un uomo morto da quattro giorni, cioè un tempo sufficiente per essere annoverati tra i dimenticati dello sheol. La sua posizione non è quella di un cadavere che improvvisamente si rianima, ma solo il capo sembra languidamente sollevarsi come richiamato in vita dalla forza misteriosa del Signore Gesù.

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La resurrezione di Lazzaro

Rembrandt

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Vieni fuori! Tra il braccio di Cristo e il volto di Lazzaro

s’instaura un dialogo di luce, una corrente invisibile che narra una nuova creazione. Solo Marta tra i presenti si trova inghiottita nel flusso di questa corrente di vita. Lei, a cui Cristo ha rivelato poc’anzi: «Io sono la risurrezione e la vita». Io sono l’impronunciabile nome di Dio rivelato qui ad un’altra donna. Sette capitoli prima, infatti, era accaduto già, infatti, con la Samaritana.

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Vieni fuori! Guardando questo cono di luce ci

avvediamo, forse solo ora, che il piede di Cristo poggia sopra un lastrone immenso di pietra. È la pietra sepolcrale che serrava la tomba di Lazzaro. Un braccio di Lazzaro sembra essere ancora imprigionato in essa, ma il volto di Cristo e la postura del suo corpo dicono la certezza della vittoria.

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La resurrezione di Lazzaro

Rembrandt

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Alcuni andarono dai farisei … Attorno i convenuti con la gamma dei loro

sentimenti. Sono la maggior parte e non sembrano cogliere profondamente il senso del miracolo. Rembrandt, che fu anche grande ritrattista capace di introspezione psicologica dei personaggi, assegna a ciascun volto una particolare espressione di fronte al mistero. La stessa che individua Giovanni l’evangelista. Alcuni, forse quelli che prima del miracolo dubitavano di lui, andarono, dice il Vangelo, ad avvertire i sommi sacerdoti e i farisei.

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Alcuni andarono dai farisei … Questi sono coloro che ostinatamente si

chiudono alla verità, ciechi che credendo di vedere guidano altri ciechi, gli eredi delle spade appoggiate alla parete della roccia. Forse Rembrandt li individua nell’uomo posto di profilo che guarda in una direzione ambigua (non Gesù non Lazzaro), in un punto non definito della tela. Questo personaggio veste un manto che ha lo stesso colore, appunto, delle spade e delle faretra dipinte nell’oscurità, denunciando così una triste parentela.

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La resurrezione di Lazzaro

Rembrandt

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Molti credettero … Altri invece sono tra quelli che vedono

e giungono alla fede; dice infatti Giovanni: alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Il verbo vedere usato è theosai, cioè il verbo della contemplazione, della capacità di vedere con l’occhio pieno di meraviglia, le grandi opere di Dio.

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Molti credettero … Questi infatti, circondano più

direttamente Gesù e Marta. Il primo, dietro a Gesù veste un abito identico al colore dell’abito del Maestro, mentre il secondo veste un broccato che è in continuità con il broccato dell’abito di Marta. Quest’ultimo poi ha il volto illuminato quasi come quello della sorella di Lazzaro Egli vede le cose nella luce del Verbo.

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La resurrezione di Lazzaro

Rembrandt

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Ed io? Ma c’è ancora qualcuno, proprio sotto

la grande ombra che sta nel vero centro del quadro. In questo punto oscuro a ben vedere guarda il personaggio vestito in rosso, come le spade. Questo qualcuno è un bimbo. È proprio accanto a Gesù, dietro la pietra tombale e sembra voltarsi proprio in quel momento. Chi sarà?

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Ed io? Giotto nell’affresco che, ad Assisi,

raffigura il medesimo episodio evangelico tra quelli che tolgono la pietra al sepolcro di Lazzaro raffigura un bambino e un ragazzo di colore. Quasi a dire: a questi, a quelli che verranno dopo è dato più dei presenti di capire la forza grande dello sguardo di Gesù, che sprigiona vita.

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La resurrezio

ne di Lazzaro

Giotto

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Ed io? Allo stesso modo Rembrandt sembra

affidare a questo bimbo la domanda per noi. Il centro del quadro è proprio l’oscurità della domanda: da un lato le armi, strumenti di quella morte che circonda il quotidiano dell’uomo, fatto di violenza e di finitudine, dall’altro Cristo, la sua luce, il suo sguardo misericordioso, il suo braccio alzato che chiama alla vita.

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Ed io?

In mezzo un bambino, cioè ciascuno di noi che, chiamati a rivivere in Cristo dobbiamo scegliere da che parte stare, sotto quale luce porre le nostre certezze.

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L’incredulità di San TommasoCaravaggio

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Fede come visione di segni In Giovanni il miracolo è concepito

come segno, manifestazione dell'esperienza di fede, vissuta come opzione esistenziale. Dinanzi al segno o si crede o non si crede: dal modo con cui si reagisce muta la vita. In base a questo schema, possiamo individuare tre tipi di persone che variamente rispondono ai segni:

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Fede come visione di segni

1. Coloro che vedono i segni senza credere.

Questa tragedia del popolo d'Israele è spiegata da Giovanni in due modi:

appello all’accecamento predetto nella Scrittura;

appello alla responsabilità dei Giudei.

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Fede come visione di segni

2. Coloro che vedono i segni, ma li giudicano come "miracoli", grandiosi segni taumaturgici.

Gesù si oppone a questa fede miracolistica (Gv 2,23-25): la fede dei molti non è degna di fiducia secondo Gesù che non si fida di loro, in quanto conosce la profondità dei cuori.

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Fede come visione di segni

3. Coloro che comprendono i segni come rivelazione di Gesù e della sua opera di salvezza.

È lo schema che troviamo in 2,11 “manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”: in Giovanni i miracoli sono visti come segni diafanici di Gesù e della sua opera salvifica.

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Visione di San GiovanniAlonso Cano

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Concludendo

I. In Giovanni sussiste una dialettica permanente tra il carattere “miracoloso” del segno e il carattere suo “simbolico”: l'evangelista, tuttavia, spinge fortemente affinché si passi da una fede popolare ad una fede personale in Gesù; mette quindi in moto una dinamica di “cammino” di fede.

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Concludendo

II. Giovanni non ha coniato ex novo la parola “segno” come per altre parole ha fatto S. Paolo: Giovanni usa parole già presenti nell' area cultura tradizionale, ma dando un significato nuovo, tenendo presente sia l'interpretazione “sapienziale” dei segni dell’Esodo, sia l’orizzonte “profetico” dove le azioni simboliche dei profeti erano prefigurazioni creatrici del futuro.

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Concludendo

III. La comprensione dei segni è opera della comunicazione del Paraclito. L'anamnesi ricorda il Cristo esaltato in quanto è lo stesso Gesù terreno: l’esperienza che Giovanni ha fatto di Gesù e ciò che la tradizione dice e testimonia di Gesù sono identiche. Le parole dello Spirito sono le parole del Gesù esaltato.

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ConcludendoIV. Giovanni utilizza il metodo del simbolo e

non quello dell’allegoria. L'interpretazione del fatto non è giustapposta o aggiunta: tra fatto ed interpretazione c’è un’unità teologica, di tipo ipostatica. Gli eventi hanno in sé la parola: é quindi una lettura inversa del principio di incarnazione. Agostino, nel commento al Vangelo di Giovanni, dice infatti che poiché Cristo è Parola di Dio, i gesti del Verbo anch’essi sono Parola.