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Teoria & Prassi ottobre 2011, numero speciale 23 rivista teorica di Piattaforma Comunista Due linee per la ricostruzione del partito comunista

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Teoria & Prassi

ottobre 2011, numero speciale 23

rivista teorica di Piattaforma Comunista

Due linee per la ricostruzione del partito comunista

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Teoria & Prassi, n. 23 - ottobre 2011rivista teorica di Piattaforma Comunista

- aderente alla Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti -

Due linee per la ricostruzione del partito comunista

La redazione di Teoria & Prassi invita i lettori ad esprimere la propria opinione sulcontenuto della rivista. Invita altresì a segnalare indirizzi email individuali o collettivi dipossibili interessati a ricevere le nostre pubblicazioni.La redazione ringrazia la giornalista E. Massimino la quale, dando prova di grandesensibilità democratica, ha assunto la direzione responsabile di questa rivistapermettendoci di adempiere alle formalità richieste dalla legge sulla stampa. Ribadisce, comunque, che la responsabilità politica degli articoli pubblicati è solo edesclusivamente redazionale.Per contatti, domande, etc. scrivere a: [email protected] il sito web: www.piattaformacomunista.com

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Redazione: via di Casal Bruciato 15, Roma.

La presente edizione, chiusa il 17.10.2011, è

stampata in proprio e pubblicata on-line.

Si autorizza la copia e la diffusione totale o

parziale, non a fini commerciali, citando la

fonte.

La redazione dedica tutte le illustrazioni di questa edizione

a manifesti sovietici per celebrare il 94° anniversario della

Rivoluzione Socialista d’Ottobre.

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Per quali scopi lotta il partito comunista? Che cosaè il socialismo? Come sorge? Sono domande difondamentale importanza, che il lavoro diDiliberto, Giacché e Sorini (più Catone) ha ilmerito di porre sul tappeto, favorendo un dibattitoche anche noi auspichiamo sia aperto, franco,scevro da formalismi e reticenze. A differenza di ieri, sono in molti oggi a parlarenuovamente di socialismo, a proclamarsi socialistie comunisti, ad affermare di voler ricostruire ilpartito comunista. E’ tutto oro quel che luccica?Per comprendere come stanno realmente le cose, vaevitato l’errore di basarci sulle opinioni e sulledefinizioni che gli uomini e i partiti esprimono e siattribuiscono. Dobbiamo saper valutare, chiarire edistinguere le parole dai fatti, dai programmi, dalruolo oggettivo che svolgono le posizioni politichee ideologiche, cercando di capire quale classesociale viene favorita da determinati punti di vistae azioni concrete. Nel corso degli anni la borghesia e i revisionistihanno creato un’enorme confusione sulla questionedell'imperialismo e della rivoluzione, così comesulla questione del socialismo, diffondendo

concezioni e modelli antimarxisti, come il"socialismo autogestito", il "socialismodemocratico e pluralista”, il "socialismo dimercato", il “socialismo del XXI secolo” e così via.Chiunque abbia studiato Marx sa che vi sonodiversi tipi di socialismo (socialismo piccolo-borghese, socialismo borghese, socialismoutopistico, etc.), i quali si differenziano dalsocialismo scientifico perché non vogliono abolirei rapporti borghesi di produzione, né difendere gliinteressi di classe del proletariato.Il primo compito che abbiamo di fronte è dunquequello di offrire una definizione corretta dellanuova società per cui lottiamo. Il socialismo, prima fase della società comunista, èun rapporto sociale di produzione superiore alcapitalismo, che ha diversi aspetti. Vediamo quelliprincipali. Prima di tutto, il socialismo èl’abolizione dello sfruttamento dell’uomosull’uomo, e l’instaurazione di relazioni dicooperazione, collaborazione e aiuto reciproco fra iproduttori associati. Questo può avvenire grazie alla proprietà socialedei mezzi di produzione e di scambio, alla gestionesociale della distribuzione e del consumo, tratti

Critica del libro “Ricostruire il partito comunista, Appunti per una discussione” di O. Diliberto, V. Giacché e F. Sorini

Il libro di O. Diliberto, V. Giacché e F. Sorini (con l’importante contributo di A. Catone) “Ricostruire ilpartito comunista. Appunti per una discussione”, è un testo che merita attenzione e approfondimento. Sitratta di un corpus articolato ed organico di tesi, volto a mettere in moto un processo politico di stamporevisionista.Gli autori del volume hanno sollecitato il dibattito ed il confronto su di esso. L’opuscolo che stateleggendo costituisce il nostro contributo in tal senso. E’ una risposta collettiva, come è nostra abitudine,che riprende e sviluppa il filo del discorso iniziato con la pubblicazione di un documento riguardantel’”Appello per la ricostruzione del partito comunista”, che costituisce l’antefatto del libro (il documentoè pubblicato, con il titolo “Vecchie deviazioni e nuove illusioni”, sulla rivista Teoria Prassi n. 22).Il presente contributo si indirizza esplicitamente ai sinceri militanti comunisti, agli elementi avanzati delproletariato, ai giovani rivoluzionari, a quanti vogliono lavorare alla formazione di un autentico partitocomunista della classe operaia.Attraverso di esso vogliamo mostrare come oggi esistano in campo due opzioni di costruzione del partitodiametralmente opposte ed inconciliabili: una è quella revisionista, l’altra quella marxista-leninista. Di fronte alla confusione teorica e alla debolezza politica in cui ancora versa il movimento comunistaed operaio, ad una situazione incresciosa in cui la volontà di “ricostruire” viene annichilita ed affossatadalla perdurante egemonia revisionista e opportunista, pensiamo che il presente scritto sia utile per farechiarezza ed avanzare nella giusta direzione. Siamo ovviamente disponibili al confronto edall’approfondimento delle questioni trattate con tutti coloro che lo richiederanno.

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essenziali che contrappongono il socialismo alcapitalismo. Senza queste condizioni, non si puòparlare di socialismo proletario e di comunismo. Il socialismo è un più elevato livello di produzionesociale rispetto al capitalismo. Si distingue perun’organizzazione razionale e pianificata dellasocietà, a differenza del caos e dell’anarchiacapitalista. Ha per scopo il massimosoddisfacimento delle esigenze materiali e culturalidei lavoratori, non il profitto. Si basa su una nuovae superiore democrazia degli operai, non suldominio di una minoranza di sfruttatori. E’ dunqueun grado di sviluppo storico superiore alcapitalismo non solo economicamente, ma anchepoliticamente, moralmente, culturalmente.I rapporti sociali nella società socialista -caratterizzati dal dominio della proprietà socialedei mezzi di produzione, dalla soppressione dellosfruttamento e dalla ripartizione dei prodottinell’interesse degli stessi lavoratori – permettono lacrescita delle forze produttive e la soluzione inpochi anni d’immensi problemi - la pienaoccupazione, la casa, la sanità, l’istruzione, itrasporti, i servizi pubblici - che il capitalismo nonpuò risolvere.

Caratteristica del nuovo ordinamento economico esociale è che non può svilupparsi gradualmenteall’interno della società borghese, basata sullaproprietà privata e regolata dal mercato. Lasostituzione del capitalismo con il nuovo modo diproduzione si compie con la rivoluzione sociale delproletariato, che diviene classe dominante edirigente nella costruzione della nuova società, ed è

possibile solo sotto la guida di un partito marxista-leninista, forte della conoscenza delle leggi difunzionamento e di sviluppo della società, chepoggi la sua attività sulla classe operaia e le masselavoratrici.Il compito della rivoluzione proletaria vittoriosa,consiste - dopo aver distrutto l’apparato stataleborghese e costruito l’apparato statale proletario -nell’eliminare la proprietà privata capitalista estabilire la proprietà sociale dei principali mezzi diproduzione, nazionalizzando le grandi imprese, lebanche, i trasporti, la terra, etc., come leva perriorganizzare su nuove basi la società, non per“coesistere” col capitalismo. Il passaggio dal vecchio sistema capitalista alnuovo sistema di produzione socialista, e quindi alcomunismo, non è immediato, ma richiede unparticolare periodo di transizione, nel quale lo Statoè la dittatura rivoluzionaria del proletariato. La sostituzione del sistema capitalista con quellosocialista richiede in ogni paese un particolareperiodo di radicali trasformazioni, durante il qualesi ha l’edificazione dell’economia socialista e lariorganizzazione di tutti i rapporti sociali, aventecome scopo la soppressione delle classi. Questo periodo di transizione dal capitalismo alsocialismo inizia con la conquista del poterepolitico da parte del proletariato e si conclude conl’edificazione completa del socialismo, prima fasedella società comunista. All’interno di questoperiodo l’economia è pluriforme, cioè sono presentimomentaneamente in esso diversi tipi di rapporti diproduzione (in URSS ve ne erano cinque). Qual è il compito più importante del proletariato inquesto periodo? Quello di abbattere i capitalisti e iproprietari fondiari, di espropriare i mezzi diproduzione nell'industria, le banche, la terra, leferrovie, etc., di riunire gradualmente i piccoli emedi produttori individuali in cooperative diproduzione.Gli autori del libro che critichiamo non confutanola necessità di questo periodo, anzi. Ma persostenere il loro punto di vista, che come ciaccingiamo a dimostrare è estraneo al marxismo-leninismo, commettono alcune mistificazioni sulpiano teorico e storico. Esaminiamole.

La prima mistificazione è l’allungamento illimitatodel periodo di transizione dal capitalismo alsocialismo, fino a farlo coincidere con l’interoperiodo storico di transizione dal capitalismo alcomunismo, che è molto più lungo. Come scrivono:“l’esperienza storica ha dimostrato che la

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transizione da un modo di produzione all’altro – equindi anche dal capitalismo al socialismo – non èun processo di breve durata, ma occupa un’interaepoca storica” (pag. 42 del libro); “il socialismovince passando attraverso una lunga competizionefra elementi di socialismo e di capitalismo,entrambi presenti nella transizione” (pag. 54), “latransizione va intesa come un lungo processostorico, ricco di fasi intermedie di avanzata earretramento” (pag. 61). La teoria dei “tempi lunghissimi” proposta daDiliberto, Giacché e Sorini per dilatare senza fine ilperiodo di transizione al socialismo, si basa sullagrossolana deformazione di frasi di Marx e diLenin - che si riferivano a tutto il periodo storico dipassaggio dal capitalismo al comunismo a livellomondiale - per sostenere l’indefinito allungamentodel periodo della transizione dal capitalismo alsocialismo a livello nazionale. Questa giustapposizione fra un periodo più limitato(quello del passaggio dal capitalismo al socialismo,prima fase della società comunista) e uno più esteso(che comprende il passaggio storico dal capitalismoal comunismo), costituisce il trucco teorico persostenere la permanente coesistenza fra proprietàsociale e proprietà privata, per confutarel’edificazione delle basi fondamentali del nuovoordinamento sociale, per impostare il compromessocon la borghesia, negando la lotta delle classi esostituendola con la “teoria” della conciliazionedelle classi. L'esperienza rivoluzionaria ci convince, invece, chela nozione di “periodo di transizione” deve essereusata in due sensi: un senso più ristretto, checomprende il passaggio dal capitalismo alsocialismo, e uno più largo, che comprende ilpassaggio storico dal capitalismo al comunismo.L’ampliamento indeterminato ed illimitato dellimite di estensione del periodo di passaggio dalcapitalismo al socialismo comporta conseguenzeassai dannose per la rivoluzione socialista e lacostruzione del nuovo e superiore ordinamentosociale. Sostenendo la nozione “indefinitamente allungata”del periodo di transizione, i moderni revisionisticercano di riempirla di un contenuto (la “doppiaeconomia”) che impedisce l’edificazione integraledel socialismo e permette invece il mantenimentodel capitalismo. Di conseguenza, a causadell’allungamento senza fine del periodo dicoesistenza, la questione del “chi vincerà?” non èmai risolta, ma viene continuamente spostata inavanti. Adottando il punto di vista antidialettico degli

autori del libro, è la permanenza del capitalismo aessere posta in primo piano, non il ritmodell’edificazione del socialismo. Il risultatoinevitabile sarà che la transizione non conosceràtermine e la costruzione della società fondata sullacomunità dei beni e degli interessi non avverrà, lalotta di classe non si svilupperà e il capitalismosopravvivrà.C’è un’altra importante questione da osservare, alproposito. Lenin, parlando del periodo ditransizione, dice che tale periodo è “tanto più lungoquanto meno la società è sviluppata” (La Nuovapolitica economica e i compiti dei centri dieducazione politica, 1921). Di conseguenzapossiamo affermare che nei paesi a capitalismoavanzato, con un alto livello di sviluppo esocializzazione delle forze produttive, delleconoscenze, etc. i tempi di edificazione dellasocietà collettivista sarebbero dunque storicamentebrevi, non straordinariamente lunghi comesostengono Diliberto, Giacché e Sorini.

La seconda mistificazione consiste inun’interpretazione liberale, antistorica e metafisica,della “Nuova politica economica” (NEP) che,secondo i tre autori si sarebbe caricata, nel pensierodi Lenin, “via via di un significato più strategico”(pag. 52). Con ciò dimostrano di non riuscireminimamente a penetrarne l’essenza.Che cosa fu infatti la NEP? Fu una politicaeconomica avviata dal partito bolscevico nel 1921,volta alla costruzione della società socialista, nonalla restaurazione o alla conservazione delcapitalismo. La ragione della NEP va cercata nelrischio che correvano i bolscevichi di staccarsi

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dalle masse lavoratrici. La sostanza di taletemporanea politica economica (Lenin affermò chebisognava “restare ancora per qualche tempo inmezzo al sistema e alle forme capitalistiche”) ful’accrescimento delle forze produttive e laricostruzione della grande industria, ilconsolidamento dell’alleanza fra la classe operaia ele masse contadine, indispensabile per la vittoriadel regime socialista. La NEP durò circa dieci anni.Il suo ultimo stadio fu caratterizzato da una politicad’intensificata offensiva contro gli elementicapitalistici, assieme al rafforzamento delle basisocialiste nell’economia. Dopo la ritirata, una voltaraggruppate le forze, il potere sovietico tornava adavanzare, ad andare all’assalto, come avevaprevisto Lenin che all’XI Congresso aveva lanciatola parola d’ordine “preparare l’offensiva contro ilcapitale privato nell’economia”: era il 1922, unanno dopo l’avvio della NEP, non un secolo dopo.Nel 1930 il settore socialista aveva già in mano leleve di sviluppo dell’intera economia nazionale eoccupava una posizione dominante, sianell’industria, sia nell’agricoltura. Con ilcompimento del secondo piano quinquennale,l’industria privata fu definitivamente liquidata e ilsistema socialista divenne l’unico sistemaindustriale dell’URSS. Terminava il periodo ditransizione dal capitalismo al socialismo e iniziavail passaggio graduale al comunismo. Per Diliberto, Giacché e Sorini invece, l’abbandonodella NEP e l’inizio della statalizzazione integraledei mezzi di produzione, la collettivizzazione delleterre, determinarono fenomeni negativi irreversibili(dal burocratismo all’assenza di democrazia, dallamancanza di partecipazione di lavoratori allaperdita di controllo sulla produzione…se così fosse

il capitalismo sarebbe dovuto crollare da unpezzo!). In sostanza gli autori del libro sostengono chefurono l’abolizione della proprietà privata e lapianificazione economica a determinare ilfallimento del socialismo, non la restaurazione delcapitalismo iniziata subito dopo la morte di Stalin,ufficializzata nel XX congresso del PCUS e portataavanti con le controriforme di Kosyghin negli anni’60 dello scorso secolo.

A questo proposito è bene chiarire un concettobasilare: durante il periodo di transizione dalcapitalismo al socialismo si conserva, per questomomento particolare, la produzione mercantile e lacircolazione delle merci, che però non dominano,né regolano, per i suoi aspetti fondamentali,l’economia socialista. Nel periodo di transizione evidentemente sicontinuano a utilizzare, per un certo tempo, laproduzione mercantile (specie per i rapportieconomici città-campagna), le categorieeconomiche del commercio, del denaro, del credito.Ma la loro finalità cambia radicalmente. Con ilpotere statale proletario questi fattori agiscononell’interesse dell’edificazione della nuova societàe a detrimento del capitalismo. La legge del valorecontinua ad esistere, ma in maniera ristretta,residuale; influisce senza avere un'importanzaregolatrice nella produzione socialista. Non puòfarlo soprattutto perché con la socializzazione deimezzi di produzione la forza-lavoro non è più unamerce e pertanto la produzione non è piùcapitalista.Dunque, il mercato nella prima fase del comunismoè presente in modo residuale per un breve periodostorico, nei primi momenti della sua costruzione,costretto entro limiti rigorosi dallo Stato socialista,grazie alla proprietà collettiva dei mezzi diproduzione, alla liquidazione del sistema del lavorosalariato e dello sfruttamento capitalistico. Contrariamente a questa impostazione, ilsegretario, l’economista e l’animatore dell’Ernestonel loro lavoro travisano le tesi leniniste sul periododi transizione e la NEP. Vedono solo un lato (lalibertà di commercio entro certi limiti),dimenticando l’altro (la funzione dello Statooperaio sul mercato). Come tutti i democraticipiccolo-borghesi s’inginocchiano di fronte alla“potenza del capitalismo”, teorizzano l’inferioritàdel socialismo, la sua incapacità di sviluppare leforze produttive, non credono alla possibilità dellacostruzione di un’economia socialista.

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Malgrado quanto sostenuto dagli autori del libro,l’affermazione della proprietà sociale el’eliminazione della proprietà privata dei mezzi diproduzione non avvengono spontaneamente, e nonsono nemmeno il frutto di una lunga compresenzadi piano e mercato, di elementi di capitalismogradualmente metabolizzati nelle compatibilità delsocialismo. Sono il risultato di una lotta furibondafra il nuovo che nasce e il vecchio che muore.Lo scopo dei comunisti non è quello di mettere lebriglie al capitalismo, ma quello di costruire ilsocialismo e il comunismo. Nel periodo ditransizione è perciò necessario applicare tutti imezzi per liquidare la borghesia e la piccola-borghesia, strappandogli il capitale ecentralizzando i mezzi di produzione nelle mani delnuovo Stato operaio. Certamente la durata di questoprocesso dipende dalle condizioni particolari diogni paese, ma quello che i tre autori non intendonoriconoscere è che questo processo vede un’accanitalotta di classe fra il proletariato vittorioso e laborghesia sconfitta, ma non ancora sparita dallascena.A fronte delle inconsistenti critiche degli autori dellibro al modello d’industrializzazione “accelerata eforzata” dell’URSS di Stalin - che mettono in luceil loro orrore per la lotta di classe dopo la presa delpotere e la loro irrefrenabile tendenza allaconciliazione di classe - la vittoriosa esperienzasovietica ha dimostrato che lo Stato operaio nonserve per convivere con la borghesia per un’interaepoca storica, ma a schiacciare le vestigia delcapitalismo e a costruire il nuovo ordinamentodella società umana.La politica del partito del proletariato non è quelladi attenuare la lotta di classe, di salvaguardare ilmercato e la proprietà privata, ma quella di limitarlisempre più, fino a eliminarli completamente, peraffermare in maniera piena e totale lasocializzazione dei mezzi di produzione, le leggieconomiche proprie del socialismo e risolvere unavolta per tutte il problema del “chi vincerà?”

La terza mistificazione sta dietro molte delle tesi edelle posizioni espresse nel libro di Diliberto,Giacché e Sorini. Consiste nel recupero, tantotardivo quanto ingannevole, delle riflessioni chel’economista ungherese Varga espose su“Rinascita” nel giugno 1947, a proposito delle basieconomiche nelle democrazie popolari. Su questa base, gli autori prefigurano un gradualeprocesso di transizione nell’ambito di un’economiamista, trasferendo la problematica dalle democrazie

popolari alle democrazie borghesi, in perfettacontinuità con le tesi revisioniste sulla “democraziaprogressiva” e la “via italiana al socialismo” diTogliatti. Il problema fondamentale dell’edificazione dellasocietà regolata è così “risolto” proponendo unriadattamento della teoria della cooperazione edell’integrazione opportunista fra capitalismo esocialismo (“un nuovo rapporto fra Stato e mercato,pubblico e privato, proprietà pubblica e proprietàindividuale o di comunità, società e individui, main misura e modalità e soluzioni differenti dalpassato”, pag. 27). Un brillante esempio delleitmotiv del libro.Gli autori ripristinano dunque la vecchia teoriadelle “riforme di struttura”: nazionalizzazione diuna parte delle imprese da parte dello Statoborghese, rafforzamento del capitalismomonopolistico di Stato; restrizione (non abolizione)del potere dei monopoli e del mercato capitalista,introduzione di alcune riforme democratiche eborghesi; controllo sociale sulla produzione (nonproprietà sociale dei mezzi di produzione). In dueparole: “sistema misto”, cioè “compresenza dipiano e mercato, di pubblico e privato, di elementidi socialismo e di capitalismo” (pag. 53). Dov’è l’errore? Sta nel fatto che le tesi di Varga, seapplicate ai paesi capitalisti, invece che nei paesi ademocrazia popolare, costituiscono un appoggio alcapitalismo, servono a conservare intatto il sistemadi sfruttamento capitalista, come lo stesso Vargariconobbe, facendo autocritica nel 1949.

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L’errore commesso da Diliberto, Giacché e Sorini –epigoni del socialismo borghese (ieri pre-monopolistico, oggi monopolistico) e delledeformazioni kautskiane - consiste nello staccarel’economia dalla politica, ignorando le differenzedi principio, qualitative, esistenti fra il caratteredello stato capitalista, in cui la borghesia è alpotere, e il carattere degli stati di democraziapopolare, in cui la classe operaia è al potere. La competizione o la compresenza fra economiapubblica e privata di per se non porta alla societàdei produttori associati, ma riproduconocontinuamente il capitalismo. La proprietà statale non è sinonimo di socialismo,non apporta nessun cambiamento nella sfera deirapporti di produzione, se la classe al potere rimanela borghesia e il capitale finanziario ne beneficia.Viceversa, in una società in cui sono al potere glioperai la proprietà statale non ha similitudine conquella esistente nell’ambito del capitalismo. Le nazionalizzazioni dei monopoli in regimedemocratico-borghese e in regime di democraziapopolare hanno un significato del tutto differente. Ilcapitalismo di Stato in regime borghese è cosa deltutto diversa del capitalismo sottomesso al poterestatale proletario. Nel primo caso la direzione delloStato e dell’economia resta nelle mani dellaborghesia, dei capitalisti, che continuano a fareprofitti. Nel secondo caso lo Stato proletario ha inmano le leve del potere, la terra, le banche, i settoridecisivi dell’economia, i trasporti, e utilizza la suaforza contro gli sfruttatori. Dunque c’è una differenza sostanziale fra la piùdemocratica delle repubbliche borghesi e lademocrazia popolare. Nello specifico, il regime

politico delle democrazie popolari sorte neldopoguerra nell’est europeo, assunse le funzionidella dittatura del proletariato, divenne una formadel potere del proletariato sulla borghesia, dopoaver operato la trasformazione della rivoluzionedemocratico borghese in rivoluzione socialista. Suquesta base le riforme, le nazionalizzazioni, furonoun effettivo progresso verso una democrazia di tiponuovo, verso il socialismo. Sulla base del potereborghese, invece, è solo un inganno e una truffa,volte ad abbellire il capitalismo, a conservare erafforzare lo Stato oppressore esistente, poiché èimpossibile superare le contraddizioni e gli errori difondo della attuale società conservando il dominiodella borghesia.

Vi è poi una quarta pericolosa mistificazione nelletesi espresse nel libro. E’ quella relativa alla“unicità” della costruzione del socialismo in URSS.I tre autori ci vogliono cioè far credere che la viadell’edificazione della nuova società è dipesa dacondizioni eccezionali, uniche e irripetibili. Occorre infatti notare che richiamarsi alle“condizioni storiche eccezionali e le scelte cheprevalsero nel gruppo dirigente bolscevico dopo lamorte di Lenin” (pag. 54) per lamentare “il prezzoumano pagato” (ibidem) è un tipico luogo comuneborghese che serve a un duplice scopo: eludere leresponsabilità dell’imperialismo e raffigurarel’esperienza sovietica come non riproponibile. Non a caso Krusciov al XX Congresso del PCUSqualificava la Rivoluzione d’Ottobre come “giustasoltanto in quelle particolari condizioni storiche”.In realtà queste tesi servono a sconfessare larivoluzione socialista e la dittatura del proletariato,ad attaccare la linea marxista-leninista, a negarel’esistenza della scienza della rivoluzione,l’economia politica del socialismo, ed a giustificarela linea revisionista.Diliberto, Giacché e Sorini formulano lacostruzione del nuovo ordine sociale in modoidealistico, la concepiscono senza un’accanitaresistenza della borghesia, senza pressione ostile,senza minacce e attacchi, senza aspra lotta di classeall’interno e all’esterno. I rapidi ritmi dell’industrializzazione socialista inURSS furono certamente determinati dallecondizioni interne ed esterne del primo paesesocialista al mondo. Il problema dellasocializzazione accelerata dell’economia nazionalesi pose in modo acuto, ma è un errore credere che iritmi furono troppo veloci. In realtà, gli economistisovietici in un primo momento avevano

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sottovalutato le possibilità della produzionesocialista, che si sviluppava più rapidamente deiritmi previsti, attuando e superando gli obiettiviassegnati dal piano, proprio per la relativariduzione del settore privato. A cosa puntano gli autori del libro con la loro tesidella “unicità”? A denigrare l’edificazione delsocialismo, che secondo loro non poteva essereportata a termine in un paese arretrato; a ridurre lastorica esperienza compiuta in URSS a livello diesperimento contingente, particolare, da nonripetere; a giustificare le varie deviazionirevisioniste nell’edificazione del socialismo, dallaJugoslavia alla Cina.Al contrario degli autori del libro “Ricostruire ilpartito comunista”, i marxisti-leninisti sostengonoche la vittoria del socialismo in URSS è stata unevento di portata storica mondiale. Lasocializzazione economica, la realizzazione deipiani, rappresentarono dure sconfitte del sistemaeconomico capitalista, e costituiscono la prova delpiù elevato livello di produzione sociale raggiunto. Per la prima volta dopo migliaia di anni si realizzòuna società senza sfruttamento dell’uomosull’uomo. Al capitalismo per dimostrare la suasuperiorità sul feudalesimo occorsero secoli. Ilsistema socialista ha invece dimostrato la propriaindiscutibile superiorità sul capitalismo già neglianni del periodo di transizione, cioè in meno diventi anni, nonostante gli inevitabili errori e gliscacchi subiti, nonostante le previsioni infauste deicritici borghesi di allora e le denigrazioni deirevisionisti di oggi. Chi sostiene, al pari di Diliberto, Giacché e Sorini,che non esistono “modelli” per la nuova societàcade in un grave errore. Alla prima fase dellasocietà comunista si può giungere per vierivoluzionarie che non saranno del tutto identiche,che avranno le loro particolarità, dettate dalleconcrete condizioni storico-sociali. Ogni paese,ogni popolo darà il suo contributo, con questa oquella forma di alleanza del proletariato con lemasse lavoratrici della città e della campagna,questo o quel sistema di trasformazione socialista.Ma il contenuto fondamentale non potrà che essereunico e comune, perché le forze fondamentali e leforme essenziali dell’economia sociale sono lestesse.Gli eventi storici provano la tesi leninista secondocui la soluzione dei problemi concretidell’edificazione del socialismo può essere ottenutacon tratti e metodi differenti, fermo restando ilcontenuto e i mezzi essenziali (dittatura delproletariato, potere sovietico in luogo della

democrazia borghese, abolizione della schiavitùsalariata, proprietà dei mezzi di produzione e discambio nelle mani dello Stato operaio) per fondareuna nuova epoca storica, chiudendo quella dellosfruttamento. Di certo, non si può costruire ilsocialismo se la proprietà privata dei mezzi diproduzione non è sostituita dalla proprietà sociale ese non si sostituisce il lavoro salariato col lavoroassociato.

Gli autori del libro criticano la costruzione delsocialismo in URSS, denigrano l’esperienzauniversale sovietica del periodo di Lenin e diStalin, delle democrazie popolari, dell’Albaniasocialista. Si dilungano sui limiti storici di quellaprima grande conquista, senza mai affrontare laquestione della restaurazione del capitalismo peropera del revisionismo (il grande assente di un libroche si propone di non rimuovere alcuna questionefondamentale!). Evidentemente per costoro, ladegenerazione revisionista non ha alcunaresponsabilità nella tragica sconfitta subita dallaclasse operaia e dai popoli.Allo stesso tempo, l’approccio “critico” sostenutonel testo riguardo alle prime esperienze disocialismo, serve a confutare il principio dellatransizione diretta alla dittatura del proletariato neipaesi a capitalismo avanzato, come l’Italia. Questoprincipio viene sostituito con quello della“economia mista, con un potere politico orientato alsocialismo” (pag. 56). Che natura ha questo potere politico? Quali sono lesue caratteristiche di classe? Nel libro non si dicequal è la classe che detiene il potere in questoprocesso. Non si riconosce l’abolizione dei rapportiborghesi di produzione, il dominio del proletariato

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sulla borghesia, che come hanno spiegato Marx,Engels, Lenin e Stalin sono assolutamentenecessari - indipendentemente dalla varietà diforme politiche che assume nelle diversecondizioni storiche - nella transizione al socialismoe in tutto il periodo di aspra lotta di classe che vafino al comunismo. Non si parla di settore socialistadell’economia, ma di “settore pubblico” (v. pag.58), di “poli pubblici produttivi, tecnologici efinanziari sottoposti a controllo democratico” (pag.70), ad ulteriore dimostrazione che la società cui gliautori alludono non fuoriesce dagli angusti rapportidi produzione borghesi. Dal testo emerge una concezione anti-scientificadella produzione collettiva su scala sociale, cosìcome un’impostazione anti-materialistica e anti-dialettica del processo di costruzione delsocialismo e del comunismo. Manca altresì unavisione chiara dell’antagonismo e dell’inimiciziaesistente fra borghesia e proletariato. Emergeinvece un quadro straordinariamente confuso eambiguo, in cui la lotta di classe fra proletariato eborghesia è sostituita dalla teoria dell’armonia frale classi, dalla transizione pacifica al socialismo eal comunismo.

Le tesi contenute nel libro di Diliberto, Giacché eSorini sono vicine a quelle della “economiasocialista di mercato” sostenute dai revisionisticinesi, vietnamiti, etc., basate sulla crescenteprivatizzazione delle industrie di stato, le “zonespeciali”, l’apertura al mercato e alle multinazionali

estere, la liquidazione del sistema di sicurezzasociale, etc. I paesi in cui si afferma di costruire il “socialismodi mercato”, sono paesi in cui dominano le leggi delmodo di produzione capitalista, in cui i monopolifinanziari internazionali svolgono un ruolo nodale econseguono immensi profitti, in cui si sfruttaintensamente la classe operaia e cresce ladisoccupazione, la miseria e le altre delizie delcapitalismo. In Cina la maggioranza del PIL è prodotta daimprese private. Il 20% della popolazione detienecirca la metà della ricchezza prodotta. Perfinosettori come la sanità e l’istruzione sono statiprivatizzati. Si può chiamare “socialista” un paeseche rivaleggia con altri paesi imperialisti ecapitalisti per i mercati e le zone d’influenza, doveun pugno di sfruttatori, per il fatto di controllare ilpartito e lo Stato, sono divenuti grazie alla frode,alla corruzione, nuovi oligarchi borghesi? Puòessere definito socialista un sistema che rispetta laproprietà privata della borghesia, che si appoggiasullo sfruttamento intensivo e prolungato deglioperai (i veri “topi da acchiappare” nella metaforadi Deng), sui licenziamenti di massa,sull’approfondimento delle differenze sociali?E un partito che ha nel suo comitato centrale imascalzoni profittatori capitalisti può esseredefinito comunista? Di là del caso cinese, le questioni che si devonoporre riguardo al “socialismo di mercato” sononumerose. Come si deve chiamare un sistema chepretende di differenziarsi dal capitalismo senzacambiare la sua essenza, i rapporti sociali diproduzione e di scambio, la forma in cui siorganizza la produzione? Che cosa ha a che vederela pianificazione centralizzata, la regolazionerazionale dell’economia da parte dei produttoriassociati, con la concorrenza e l’anarchiacapitalista? Com’è possibile l’affermazione delleleggi economiche del socialismo, la soddisfazionedelle esigenze materiali e culturali dei lavoratori, lavera giustizia sociale, se non si abolisce ilcapitalismo? In che modo separare l’aspettospeculativo, parassitario, del capitale da quelloproduttivo? Sono compatibili il capitalismo, che haper scopo il massimo profitto, e il socialismo, cheha per scopo il benessere dei lavoratori? Siamo difronte a domande che gli autori del libro nemmenosi pongono, nascondendosi dietro “la manopubblica”. Contro certe tesi di comodo, è bene ripetere chel’intervento statale, una certa regolamentazione equalche “misura correttiva” per superare le

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cosiddette “imperfezioni del mercato”, sonosempre funzionali agli interessi dei monopolipoiché non eliminano le contraddizioni e i vizi difondo del sistema vigente, non aboliscono losfruttamento, né le leggi obiettive del capitalismo.In tal modo s’ingannano solo gli operai, spargendospudorate illusioni sulla possibilità che ilcapitalismo possa in qualche modo divenire unregime “sociale”. Oggi il “socialismo di mercato” si presenta agliocchi della borghesia (e di tutti quelli che hanno datempo smesso di lottare per la distruzione delcapitalismo) come l’unica forma di socialismoaccettabile e perfino desiderabile per i suoi affari,specie se connesso a istituzioni “democratiche epluraliste”.A chi teorizza la costruzione della società fondatasulla comunità dei beni e degli interessi mediantel’economia di mercato, a chi vuole sostituire ilprogramma rivoluzionario dell’edificazione delsocialismo con la parola d’ordinecontrorivoluzionaria “Arricchirsi è magnifico!”(Deng), dobbiamo ricordare che non è possibilegiungere alla prima fase della società comunista sesi mantiene il fondamento economico delcapitalismo: la proprietà privata dei mezzi diproduzione. Il “sistema misto” genera di continuola borghesia e il capitalismo, riproduce losfruttamento di una merce peculiare, la forza-lavoro del proletariato, protrae la contraddizioneprincipale del capitalismo, quella tra produzionesociale e appropriazione privata.

Abbiamo mostrato la distanza esistente tra ilmarxismo-leninismo e il socialdemocraticismo diDiliberto, Giacché e Sorini (più Catone). Secondocostoro è necessaria l’assegnazione allo Statoborghese di “una più complessiva funzione diregolazione dell’economia, in direzione di unaprogrammazione democratica dello sviluppoeconomico” (pag. 249). Ciò include un elementopolitico estremamente pericoloso, perché significache la classe operaia deve abbandonare la lotta perla conquista rivoluzionaria del potere e fare sual’esigenza di tornare al Welfare state, che laborghesia ha utilizzato per decennio comemeccanismo di accumulazione e sviluppocapitalista e mezzo politico per far fronte alsocialismo in ascesa. La strategia per la costruzione del regime socialistasostenuta dai co-autori del libro che critichiamonon ha nulla a che vedere con il socialismo

proletario, scientifico. Dietro la “pacificaintegrazione di capitalismo e socialismo” in realtàsostengono l’impossibilità di superare ilcapitalismo, di distruggerlo. Il loro “socialismo” è capitalismo controllato”,organizzato, democratico, risanato, riformato (“sitratta di un sistema che esige di essereregolamentato con ben altra energia rispetto aquella consentita ai governi e ai parlamenti deipaesi capitalistici” (pag. 33), è capitalismocamuffato da socialismo, “socialismo” senzacontenuto proletario che assicura la sopravvivenzadelle basi capitaliste, che lascia campo libero aglielementi capitalisti, alla concorrenza, al plusvaloree al profitto. Quelle divulgate nel libro sono tesiliberali, antisocialiste, che i comunisti non possonoaccettare.I tre autori non concepiscono alcuna rotturarivoluzionaria con la borghesia e il capitalismo, maun lunghissimo processo evolutivo dal capitalismoal socialismo, nel quadro di processi d’integrazioneborghesi sovranazionali. Non puntano ad abbattereil capitalismo, non vogliono la rivoluzioneproletaria e la dittatura del proletariato, nonaspirano all’abolizione delle classi sociali, ma soloa porre qualche rimedio alle ingiustizie sociali pergarantire la sopravvivenza del modo di produzionecapitalista, dello sfruttamento operaio, perperpetuare l’esistenza delle classi sociali.Predicano così l’integrazione del capitalismo nelsocialismo e del socialismo nel capitalismo, lacoesistenza fra due sistemi fra cui vigeun’irriducibile opposizione d’interessi. Il corollario del loro elaborato è l’adozione dellademocrazia liberal-borghese nel socialismo, delpluripartitismo, al posto del dominio politico delproletariato. Siamo qui di fronte ad un altro

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pregiudizio piccolo-borghese, tipico di tutti irappresentanti dell’opportunismo che concepisconola democrazia al di sopra delle classi.Le concezioni delineate in “Ricostruire il partitocomunista” sono quelle illusorie e fallimentari – inteoria e in pratica – di Kautsky, Bucharin, Krusciove Gorbaciov, con tutte le sue varianti in salsajugoslava (la c.d. autogestione), cinese (ilcosiddetto “socialismo di mercato), sudamericana(il socialismo piccolo-borghese del XXI secoloteorizzato da Dieterich), filtrate attraverso levecchie ricette europee (l’“economia sociale dimercato” di Eucken, Müller-Armack ed Erhard, oraaccolta dall’ala sinistra della socialdemocraziatedesca). Il programma sostenuto dagli autori non ha nulla ache vedere col regime socialista di produzione, maè il programma della socialdemocrazia, un misto dicapitalismo liberista e regolamentazione statale. Aben vedere la loro tesi centrale è che i bisogni dellaclasse operaia possono essere soddisfatti senza ilrovesciamento del capitalismo, purché il poterepolitico assicuri l’appropriato terreno, approvi unalegislazione sociale, stabilisca strette regole edefinisca i “beni comuni”. Le tesi economiche e politiche delineate nel librocostituiscono in effetti una catena ininterrotta con letendenze socialdemocratiche e riformiste. Ciò nondeve stupire perché il revisionismo moderno e lasocialdemocrazia sono due manifestazioni dellastessa ideologia: la putrida ideologia borghese.

Senza dubbio i nostri lettori, a questo punto,avranno capito la falsità delle tesi sulla costruzionedel socialismo diffuse da Diliberto, Giacché e

Sorini (più Catone). Ma dobbiamo chiederci: a checosa servono queste tesi, dov'è il senso, lo scopo diquesti scritti?E’ chiaro che non si tratta di questioni astratte. Illibro è dichiaratamente scritto in funzione diun’operazione politica che ruota attorno al PdCI(non a caso nelle tesi congressuali di questo partitofigurano buona parte delle posizioni espresse nellibro). Un’operazione che va capita per bene e finoin fondo. Stiamo vivendo un periodo di acuta crisi economicae politica del capitalismo. Il movimentorivoluzionario della classe operaia e dei popoli è dinuovo in ascesa in numerosi paesi. Maturano lecondizioni per grandi battaglie di classe. Di frontea questa realtà, si pone di nuovo al centro deldibattito la domanda: “c’è un’alternativa alcapitalismo?”. In questo dibattito che riguarda ilfuturo di miliardi di esseri umani riprendono vigorele proposte che guardano al socialismo come unicareale alternativa. E immancabilmente appare la “terza via”:socialismo sì, però del secolo XXI, di mercato,cinese, etc., in tempi biblici. Nel mentre si proseguecon la politica della “alleanza democratica” con isocialdemocratici, i social-liberali, i liberal-rifomisti, gli ecologisti e altre forze borghesi (cioè irappresentanti di quei “poteri forti” da cui si vuolrimanere indipendenti). Intorno a questa dialetticarovesciata si definisce la linea del partito cheDiliberto, Giacché e Sorini desiderano ricostruire,rimanendo nell’alveo elettorale della Federazionedella Sinistra. Si tratta dunque di proposte che vengono lanciate,ancora una volta, per generare sfiducia nelsocialismo proletario, per confondere le idee allaclasse operaia e ai popoli, per opporsi al marxismo-leninismo, In esse si riflettono gli interessi e leaspirazioni dell’aristocrazia operaia, della piccolaborghesia, di settori di capitalisti non monopolisti. In regime capitalista la funzione della deviazione didestra come quella esposta dal libro di Diliberto,Giacché e Sorini (più Catone) è quella di indebolireil movimento comunista e operaio, di impedire ildistacco degli elementi comunisti dalle posizionirevisioniste e opportuniste, di prevenire larivoluzione proletaria e salvaguardare la proprietàprivata capitalista. In regime socialista è quella disviluppare le condizioni necessarie allarestaurazione del capitalismo. In entrambi i casiessa rappresenta il rifugio dell’opportunismo nelmovimento comunista.Lo sviluppo di una nuova ondata rivoluzionaria inEuropa e nel mondo impone come compito

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l’intensificazione della lotta contro il revisionismo,la socialdemocrazia e i riformisti, control’opportunismo in tutte le sue varianti. La classeoperaia, i lavoratori sfruttati e i popoli devonolasciarsi alle spalle i canti di sirena che parlano dirivoluzioni pacifiche, di “socialismo del XXIsecolo”, che costituiscono progetti funzionali alcapitalismo, poiché non prendono misure percolpire la pietra angolare sulla quale si erige questosistema: la proprietà privata dei mezzi diproduzione. Al contrario di Diliberto, Giacché, Sorini (piùCatone), i marxisti-leninisti lottano per una societàin cui i mezzi di produzione e di scambio siano inmano alla collettività, in cui la produzione e ladistribuzione siano pianificate, in cui il consumosia gestito socialmente, in cui il potere politico siasaldamente nelle mani della classe operaia e deglistrati sociali suoi alleati. Il socialismo è tale a condizione di stabilire laproprietà sociale dei mezzi di produzione, espressanella proprietà socialista di Stato e nella proprietàcooperativa socialista, a condizione di sopprimereogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.Questa forma di organizzazione dell’economiapresuppone uno Stato qualitativamente differenteda quello borghese.Il socialismo è l’indispensabile soluzionerivoluzionaria delle contraddizioni, degli errori edegli orrori della società capitalista. Non si puòcostruire il socialismo con un partito dalleconcezioni piccolo-borghesi, con un partito nonproletario, subalterno alla borghesia, che fa sue leconcezioni propugnate nel libro in questione. La costruzione del socialismo e la continuazionedella lotta di classe fino al comunismo, si ottengonosolo attraverso la dittatura del proletariato e laguida di un autentico partito marxista-leninista.Nessun’altra classe e nessun’altra ideologia potràfarlo.

“Ricostruire il partito comunista” traccia un’ampiaanalisi degli attuali assetti economico-politici alivello internazionale e nazionale. Che cosa mancain quest’analisi? Manca la lotta di classe, di cui nonc’è traccia nei capitoli dedicati al quadro mondialee alla crisi economica. Gli autori colgono infatti alcune contraddizioniinterborghesi, ma non quelle di classe. Non vedonoche nell’ultimo decennio si è svolto un importanteprocesso di rianimazione e di riorganizzazione, dilotte e di vittorie dei lavoratori e dei popoli, che siè espresso in varie forme, dagli scioperi operai alle

mobilitazioni giovanili, dai momenti elettorali allesollevazioni popolari. La crisi economica capitalistica e la crescenteaggressività dell’offensiva capitalista non hannofermato questo processo. Al contrario! La classeoperaia, le masse lavoratrici, la gioventù e i popoliche sono le principali vittime della crisi, non siconciliano le misure imposte dall’oligarchiafinanziaria, le combattono; non sono rassegnati,resistono, lottano e avanzano propostecontrassegnate dall’esigenza che la crisi deveessere pagata dai capitalisti, da chi l’ha causata e neè responsabile.La crisi economica in corso acuisce lecontraddizioni tra i lavoratori e i capitalisti, tra ipopoli e l'imperialismo, fra i monopoli e i paesiimperialisti. Dentro un quadro di aggravamentodella crisi generale del sistema capitalista (checomprende tutti gli aspetti dei rapporti fra gliuomini e con la natura), procede il risveglio dellemasse e la lotta della classe operaia, dei lavoratori,dei giovani e dei popoli si estende in tutto il mondo. La marcia intrapresa dai lavoratori e dai popoli perla propria emancipazione riprende il suo corso,avanza, raggiunge vittorie importanti. In alcunicontinenti, come in America Latina, vi è stato uncambiamento nei rapporti di forza politici e sociali:la borghesia e i suoi partiti hanno sofferto sconfittepolitico-elettorali in vari paesi ed hanno perso spazinegli apparati amministrativi dello Stato; sonoemersi alcuni governi progressisti come risultato

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della ricerca del cambiamento da parte dei popoli. All’interno di questo nuovo scenario si è sviluppatoil desiderio di cambiamento tra le masse, si èaffermata la loro fiducia nella possibilità disuperare un sistema che porta alla miseria e alladisperazione i lavoratori e i popoli. Aspetto essenziale, il nuovo periodo ha posto dinuovo sul tappeto del dibattito la prospettiva delsocialismo come alternativa al decadente sistemacapitalista, ha riaffermato la sua validità. C'èdunque un importante processo di sviluppo dellacoscienza politica della classe operaia e dei popoliche, a diversi livelli, hanno saputo identificare,denunciare e smascherare gli esponenti e i difensoridal sistema capitalista. Ma di tutto questo non v’è traccia nel libro diDiliberto, Giacché e Sorini (più Catone). Costoronon danno importanza alla lotta di classe,disconoscono la nuova potente ascesa delmovimento operaio, negano che la lotta di classesia il motore della storia fino al comunismo,fornendo così una base ideologica alla politicaopportunista, che continua a giocare un ruolonefasto nell’evoluzione degli avvenimenti.

Che il nuovo partito in gestazione non abbia alcuncarattere rivoluzionario, alcun aggancio reale con ilmarxismo ed il leninismo, è dimostratoampiamente anche dalla parte del libro dedicataalla «struttura di classe in Italia». Viene criticato il“banale sociologismo della classificazione perprofessioni, tipi di attività, reddito”, tipico dellestatistiche borghesi; ma l'analisi di classe dei treautori, che pur vorrebbe dichiaratamente partire (p.191) dalla definizione scientifica di classe data daLenin nel 1919, in realtà è interamente subalterna,

da un lato, a certe categorie del vecchio«operaismo» italiano degli anni '60 edell'«autonomia operaia» (la crescente«sussunzione dello Stato nel capitale», la«composizione di classe», ecc.) e ad alcune piùrecenti teorie sociologiche sul cosiddetto«capitalismo cognitivo», dall'altro alle categoriegiuridiche borghesi di «lavoro dipendente»,«lavoro subordinato», in contrapposizione - sempresul terreno giuridico borghese - al «lavoroautonomo».“La struttura di classe italiana si è in buona partesemplificata. Il lavoro dipendente, cherappresentava nel 1960 meno del 50 % della forzalavoro occupata, costituisce oggi i tre quarti deglioccupati 17.277.000 persone su un totale di23.025.000”. Colpisce, nell'analisi di classe diDiliberto, Giacché e Sorini, la totale assenza di unaimprescindibile categoria marxista, quella di«proletariato», di cui gli operai di fabbricarappresentano, leninisticamente, l'avanguardia. (Sidimentica spesso che nel Manifesto del partitocomunista di Marx ed Engels (cap. I) lacontrapposizione fondamentale sul piano sociale epolitico non è posta fra «capitalisti e operai», mafra «Borghesi e proletari»). E' taciuta interamente,nel libro che noi critichiamo, la condizione socialedella massa proletaria, dell'insieme dei proletari:quella di rimanere proletari per l'intera esistenza,senza poter sfuggire (come classe, non per quantoriguarda singoli individui) a tale condizione dimoderna schiavitù salariata fino a quando esistonosocietà borghese e Stato borghese. E' questo che fadel proletariato l'antagonista irriducibile dellaclasse a lui nemica, la borghesia. E' questo che,quando le condizioni sono mature, spinge ilproletariato come classe alla rivoluzione,all'abbattimento violento dello Stato borghese permetter mano all'«espropriazione degliespropriatori».Per questo Lenin, in I destini storici della dottrinadi Karl Marx, scriveva: “Il punto essenziale delladottrina di Karl Marx è l'interpretazione dellafunzione storica mondiale del proletariato comecreatore della società socialista”.

Il proletariato: una classe internazionale che - alivello mondiale - è in continuo aumento e contanelle proprie file centinaia di milioni di uomini e didonne. Una classe a struttura complessa, che non siidentifica con il solo proletariato industriale(proletariato di fabbrica, tradizionalmente chiamato

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«classe operaia», anche se quest'ultimo nerappresenta una parte cospicua e di importanzafondamentale dal punto di vista politico), maricomprende - secondo l'analisi scientifica di Marx- tutti quei lavoratori salariati che valorizzano invario modo il capitale perché sottoposti al rapportodi sfruttamento capitalistico (proletariatodell'industria manifatturiera, chimica, estrattiva,ecc.; proletariato agricolo; proletariato dell'edilizia;proletariato dei trasporti, delle comunicazioni etelecomunicazioni).Tutti coloro, cioè, che nella sfera della produzionemateriale (compresi i lavoratori a domicilio),producono direttamente un plusvalore per ilcapitale, in quanto in una parte della loro giornatalavorativa reintegrano il valore del loro salario(lavoro necessario) e in altre ore della loro giornatalavorativa lavorano gratuitamente per il capitalista(pluslavoro non retribuito).E, insieme a loro, tutti i salariati appartenenti alproletariato commerciale che, che pur nonproducendo alcun neovalore, consentono col lorolavoro ai capitalisti commerciali di appropriarsiquella quota del plusvalore complessivo che è ilprofitto commerciale.Del proletariato fanno parte integrante, nell'analisimarxista, non solo gli operi occupati, ma anche levarie componenti dell'«esercito industriale diriserva», le migliaia di disoccupati che solo inseguito a una trasformazione rivoluzionaria dellasocietà potranno scomparire. E' significativo che inun testo riformista come quello che stiamoesaminando vi siano alcune righe dedicate allaprecarizzazione dei rapporti di lavoro, ma nonun'analisi del potenziale rivoluzionario insito neiproletari senza lavoro, nell'esercito industriale diriserva (nativo o immigrato), qualora esso sappiatrovare, sul terreno della lotta, la sua unità colproletariato sfruttato dal capitale nelle fabbriche,nelle imprese agricole di trasformazione, nellecatene della grande distribuzione commerciale. Ci troviamo di fronte, nel testo in esame, anzichéalle fondamentali categorie dell'analisi di classemarxista, a un continuo scambio di concetti, a unacontinua confusione, fra «classe lavoratrice»,«classe dei lavoratori salariati», «classe deilavoratori» (cioè all'indistinzione fra proletariato epiccola borghesia). E' sorprendente (ma è davverocosì sorprendente?) che venga utilizzato unconcetto generico come quello di «classelavoratrice» che non ha mai avuto diritto dicittadinanza nel marxismo e nel leninismo, ma cheè sempre stato il cavallo di battaglia del laburismoe della socialdemocrazia (dall'Ottocento fino alle

moderne socialdemocrazie europee). In base aquesta logica, andrebbe “superata” - ci dicono i treautori – “la vecchia distinzione tra colletti bianchi etute blu, tra impiegati e operai, mantenuta ancora indiverse classificazioni sociologiche e nel codicecivile italiano”. E ciò per giungere ad “unaricomposizione unitaria della classe lavoratrice”.Un obiettivo che è quanto di più lontano possaesservi dal tema leninista delle alleanze della classeoperaia nella sua strada verso la rivoluzione.Un esempio? «Vi è - scrivono Diliberto, Giacché eSorini – “un fondamentale motivo di unità di tuttoil lavoro dipendente: la peculiare questione fiscaleitaliana, caratterizzata da una macroscopicaevasione ed elusione fiscale”. Con una politica di«giustizia fiscale« (fatta da chi? da quale governo?)sarebbe possibile «unificare su questo terreno lastragrande maggioranza del lavoro dipendente».Sul piano tattico, un ampio movimento di Frontepopolare basato su un'alleanza fra proletariato epiccola borghesia, può oggi avanzare giustamentela rivendicazione che la ricca borghesiacapitalistica «paghi il conto», anche sotto l'aspettotributario, della profonda crisi economica da essaprovocata. Ma porre la questione in modo diverso,come un esempio di «ricomposizione di classe»(come fatto i tre autori), è assolutamente sbagliato.Non a caso Marx ed Engels, nel Manifesto delpartito comunista) (Cap. III, 2) parlavano di quel«socialismo borghese» il quale punta a deiprovvedimenti “che non cambino affatto il rapportotra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore deicasi, diminuiscano alla borghesia le spese del suodominio e semplifichino l'assetto della finanzastatale”.

I tre autori del libro che critichiamo ritengonoindispensabile “il riferimento al leninismo” eaffermano perentoriamente (p. 271) la necessità di“far emergere con rigore le questioni di fondo”.

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Ora, per il leninismo - quale marxismo della nostraepoca - vi sono due questioni di fondo che, non acaso, formano il titolo dell'opera con la quale Leninpone il discrimine fondamentale fra marxismo etutto ciò che marxismo non è (anche se si rivestedelle più varie formulazioni teoriche e politicheopportuniste): la questione dello «Stato» e quelladella «rivoluzione», nel loro inscindibile nessodialettico. Ora, ciò che colpisce a prima vista il lettore delvolume di Diliberto, Giacché e Sorini (più Catone)è l'assenza del tema dello Stato quale strumento delpotere politico di una classe, la classe dominante,che esercita la sua dittatura su altre classi dellasocietà. In un libro che intende contribuire a un compitocosì ambizioso come quello di «ricostruire il partitocomunista» in Italia manca un'analisi concretadell'attuale Stato borghese italiano, delle sueistituzioni, della loro natura di classe (mentrenotevole spazio è dedicato alle sue funzionieconomiche): in 345 pagine che illustrano i piùsvariati argomenti non c'è un capitolo, unparagrafo, dedicato con ampiezza ed in modospecifico a quel tema. Affermando che, per latrattazione di questo come di altri problemi, sarànecessario “un immenso lavoro” (sic!), i tre autorise la sbrigano con 10 righe della loro Introduzione(p. 28), nella quale dicono che occorrerà “ristudiareil tema dello Stato e delle sue istituzioninell'Occidente capitalistico, spiegando cosasignifica, per un comunista, centralità delParlamento come paradigma della democraziasostanziale - nella sua declinazione più vera -

quella dell'art. 3 della Costituzione repubblicana”.Nulla di nuovo, dunque, se non la solita, stantiaripetizione dei luoghi comuni del revisionismotogliattiano, con il richiamo canonico al significato(miracolistico!) dell'art. 3 della Costituzione.Sulla questione, decisiva per il marxismo, delpotere politico le posizioni dei tre autori del volumesi richiamano falsamente a Gramsci e al cosiddettoproblema della «rivoluzione in Occidente», masono in realtà una riproposizione in chiave piùaggiornata delle classiche posizioni kautskyane,battute in breccia da Lenin in scritti di importanzacapitale come Stato e rivoluzione e La rivoluzioneproletaria e il rinnegato Kautsky. Su ciò èindispensabile fare finalmente chiarezza, controtutto ciò che il togliattismo revisionista ha occultatoper decenni, nascondendo il suo opportunismosotto richiami formali a Marx e a Lenin. Questochiarimento è oggi indispensabile soprattutto per legiovani e giovanissime generazioni che, nella loroprassi di lotta anticapitalistica, cominciano oggi adavvicinarsi a posizioni rivoluzionarie.

Contro il revisionismo bernsteiniano, contro il«ministerialismo» socialista, contro ogni posizioneche esprimesse un'ideologia puramenteminimalista, un'ideologia delle «piccole riforme»,Kautsky affermò sempre la necessità che ilproletariato dovesse essere sufficientemente forteda intraprendere vittoriosamente la lotta control'intero mondo borghese.Una volta che il proletariato si fosse organizzato inpartito politico indipendente che conduceva inmodo cosciente la lotta di classe, questo partito nondoveva limitarsi a rivendicare soltanto dellelimitate riforme democratiche e sociali, ma dovevaessere un partito rivoluzionario, un «partito dellarivoluzione sociale» che perseguivacoscientemente l'obiettivo di rivoluzionare in sensosocialista l'intera struttura della società. Qual era lagaranzia del suo successo? Era, per il centrismoopportunista kautskyano, la forzadell'organizzazione capillare e centralizzata delPartito che avrebbe garantito al proletariato lavittoria, senza rottura violenta dell'apparato stataleborghese. Di qui la nota e lapidaria affermazione di Kautsky:“Noi siamo un partito rivoluzionario, non un partitoche fa delle rivoluzioni”. E l'altra, non meno caricadi significato:“Per noi il socialismo non è pensabile senza lademocrazia- Per socialismo moderno noiintendiamo non soltanto un'organizzazione sociale

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della produzione, ma anche un'organizzazionedemocratica della società; perciò il socialismo èindissolubilmente legato con la democrazia. Nonesiste socialismo senza democrazia”. Quale democrazia? Kautsky non ha mai negato in assoluto il concettomarxiano di dittatura del proletariato, ma - comeLenin esattamente gli rinfacciò - ha costantementeinteso questa dittatura non come un potere fondatosulla violenza necessaria a reprimere la borghesiaespropriata e avida di rivincita, ma come unsemplice «dominio» politico del proletariato sullasocietà, un «dominio» conseguito mediante laconquista della maggioranza parlamentare, cioèattraverso l'esercizio delle libertà costituzionalidemocratico-borghesi. “Il fine della nostra lottapolitica - affermava Kautsky - rimane semprequello che è stato finora: conquista del poterestatale attraverso la conquista della maggioranza inParlamento e elevazione del Parlamento a padronedel governo” (1912). Lo riproporrà il revisionistaKrusciov nel XX Congresso del PCUS (1956), esarà, in Italia, l'eterno ritornello sull'indissolubile«nesso democrazia-socialismo» che, da Togliatti aBerlinguer, caratterizzerà la lunga parabolaliquidatrice di quel Partito che, nato a Livorno,aveva riaffermato - con Gramsci - a Lione il suoleninismo rivoluzionario. Ponendo la questione della rivoluzione e del poterein rigorosi termini di classe e non di «maggioranzaparlamentare» o di «maggioranza dellapopolazione», Lenin scriveva fin dal 1905: “Ilproletariato deve fare la rivoluzione socialistalegando a sé la massa degli elementi semiproletaridella popolazione, per spezzare con la forza laresistenza della borghesia e paralizzare l'instabilitàdei contadini e della piccola borghesia”.

In proposito, vale la pena di riportare per esteso,soprattutto per la formazione e l'educazione politicadei giovani operai e dei giovani rivoluzionari dioggi, questa pregnante pagina di Lenin: “Ilproletariato non può vincere senza conquistare lamaggioranza della popolazione. Ma limitare ocondizionare queste conquiste al raggiungimentodella maggioranza dei voti nelle elezioni, sotto ildominio della borghesia, significa dar prova diincurabile ristrettezza mentale o semplicementeingannare gli operai. Per conquistare lamaggioranza della popolazione il proletariato deve,in primo luogo, abbattere la borghesia eimpadronirsi del potere statale; deve, in secondoluogo, organizzare il potere sovietico spezzando il

vecchio apparato statale, e con ciò distruggere dicolpo il dominio, l'autorità, l'influenza dellaborghesia e dei conciliatori piccolo-borghesi tra lemasse lavoratrici non proletarie. Deve, in terzoluogo, distruggere definitivamente l'influenza dellaborghesia e dei conciliatori piccolo-borghesi tra lamaggioranza delle masse lavoratrici non proletariesoddisfacendo in modo rivoluzionario i lorobisogni economici a spese degli sfruttatori” (1919). Significa questo che i comunisti non comprendonoil significato e l'importanza del suffragio universalee della stessa partecipazione alle elezioni borghesie al parlamento borghese per le esigenze dellapropaganda e della denuncia politica lungo la viache conduce alla rivoluzione proletaria?Assolutamente no.“Il suffragio universale - scrive Lenin - è indicedella maturità delle diverse classi nellacomprensione dei loro compiti. La soluzione stessadi questi problemi non è data dalle votazioni, ma datutte le forme della lotta di classe, compresa laguerra civile”.Per chi, come ogni leninista, è saldamente ancoratoal materialismo, c'è un prima e un dopo, che ogniidealismo storico (generatore - sul piano politico -di tutte le forme di opportunismo) tende a invertire.Il discorso di Lenin è quanto mai chiaro edilluminante su questa questione così dirimente:«"Prima, conservando la proprietà privata,conservando cioè il giogo e il potere del capitale, lamaggioranza della popolazione si pronunci per ilpartito del proletariato. Soltanto allora questo potrà

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e dovrà prendere il potere". Così parlano queidemocratici piccolo-borghesi che sono di fatto iservitori della borghesia e che si chiamano"socialisti".«"Prima il proletariato rivoluzionario abbatta laborghesia, spezzi il giogo del capitale, distruggal'apparato statale borghese, e allora il proletariato,riportando la vittoria, potrà rapidamente attrarredalla sua parte le simpatie e l'appoggio dellamaggioranza delle masse lavoratrici non proletarie,soddisfacendo i bisogni di queste masse a spesedegli sfruttatori, diciamo noi"» (1919).Il prima e il dopo di Lenin era valido solo nel 1919?Tutta l'esperienza storica da allora ad oggi lo hapienamente convalidato, perché radicatonell'essenza stessa del marxismo. Per Marx(«Critica al programma di Gotha») la “repubblicademocratica” è “l'ultima forma statale della societàborghese», e in essa «si deve definitivamentedecidere con le armi la lotta di classe”. Il modernorevisionismo è, invece, interamente prigioniero diquelle che Lenin chiamava «illusionicostituzionali».

Eccoci dunque a un punto risolutivo. Per icomunisti la conquista del potere politico statalenon è che l’inizio di una rivoluzione che porta finoal comunismo. Il periodo storico del passaggiorivoluzionario dalla società capitalista alcomunismo è contraddistinto dal punto di vistapolitico dalla dittatura del proletariato. Già Marx, dopo aver affermato che prima di lui gliintellettuali borghesi avevano già esposto ladottrina della lotta fra le classi, esprime questiconcetti in modo mirabile e categorico: “Quel cheio ho fatto di nuovo è stato di dimostrare: 1) chel’esistenza delle classi è soltanto legata adeterminate fasi di sviluppo storico dellaproduzione, 2) che la lotta di classenecessariamente conduce alla dittatura del

proletariato, 3) che questa dittatura stessacostituisce soltanto il passaggio alla soppressionedi tutte le classi e a una società senza classi”.(Marx, Lettera a Weydemayer, 5 marzo 1852).Ancora, nella Critica al programma di Gotha” Marxsostenne che “Tra la società capitalistica e lasocietà comunista vi è il periodo della transizionerivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad essacorrisponde anche un periodo politico ditransizione, il cui Stato non può essere altro che ladittatura rivoluzionaria del proletariato”. Lenin opera una netta scissione fra il marxismo etutte le altre correnti di pensiero politico quando in“Stato e rivoluzione” afferma che: “Marxista èsoltanto colui che estende il riconoscimento dellalotta delle classi sino al riconoscimento delladittatura del proletariato. In questo consiste ladifferenza più profonda tra il marxista e il banalepiccolo borghese (e anche il grande). E’ questo ilpunto attorno al quale bisogna mettere alla prova lacomprensione e il riconoscimento effettivi delmarxismo”. Ed ancora, Lenin nella sua opera “La rivoluzioneproletaria ed il rinnegato Kautsky” scrive che: “Laquestione della dittatura del proletariato è laquestione più importante di tutta la lotta di classeproletaria”. Lo stesso Gramsci, che i nostri autori vorrebberofar passare per “anello di congiunzione” fra latradizione della III Internazionale e il partitotogliattiano, escluderà nelle Tesi di Lione che unoStato veramente operaio possa avere “una formache non sia quella della dittatura delproletariato”(tesi n. 44). Insomma la dittatura del proletariato – il potere chepoggia sull’alleanza del proletariato con le massecontadine per il rovesciamento completo delcapitale e l’instaurazione definitiva e ilconsolidamento del socialismo - è la questionedirimente, il punto decisivo vitale del marxismorivoluzionario, la pietra angolare della strategiapolitica dei veri comunisti.Il riconoscimento della necessità e dell’attualitàdella rivoluzione proletaria, del coerente sviluppodel concetto dell’egemonia del proletariato, non èrelativo ad una determinata fase storica. Costituisceinvece un’indispensabile premessa per la vittoriadel proletariato sulla borghesia e la costruzionedella società socialista. Bisogna aver chiaro che la rivoluzione socialista ela dittatura del proletariato non sono due categoriedel marxismo separabili l’una dall’altra; non èpossibile sostenerne l’una (la rivoluzione) senzal’altra (la dittatura proletaria), in quanto la dittatura

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proletaria è “il contenuto essenziale dellarivoluzione proletaria” (Stalin, Questioni delleninismo). La borghesia stessa riconosce la lotta di classe epuò perfino ammettere, in determinate circostanze,una rivoluzione politica, purché essa non distruggai rapporti sociali esistenti. Quello che non può, inalcun modo, riconoscere è la direzione della classeoperaia di tutta la massa lavoratrice e di tutti glisfruttati nella lotta per abbattere il giogo delcapitale e creare un nuovo regime sociale.Il solo riconoscimento della lotta delle classi, lavolontà di costruire un altro mondo, possibile enecessario, il socialismo, la stessa rivoluzioneproletaria sono dunque una condizione necessaria,ma non sufficiente per definirsi marxisti e leninisti.Ciò che contraddistingue il comunista è ilriconoscimento della dittatura del proletariato,quale tratto distintivo tra il marxismorivoluzionario e tutte le altre teorie revisioniste eopportuniste.C’è questo riconoscimento nel libro? Vediamo.

E’ estremamente significativo che nelle oltre 300pagine del libro, l’idea della rivoluzione e delladittatura proletaria sia presente esclusivamente inchiave “storica”, come materia da dibattito fraintellettuali “impegnati”, ma completamenteestranea ai principi e agli scopi dal partito che inostri autori mirano a ricostruire. Gli autori definiscono la dittatura del proletariatocome una fase storica prevista da Marx ed Engelsquale “premessa indispensabile per avviare latransizione ad un nuovo modo di produzione”; si“azzardano” ad affermare che il proletariato non haavuto (all’epoca) altra scelta che la “conquista delpotere politico per avviare attraverso esso latrasformazione dei rapporti di produzione” (pag.39). Si spingono perfino a parlare di “… ogniprospettiva comunista o socialista, … ogniprogramma che si ponga come fine –indipendentemente dalla strada che si sceglie perraggiungerlo, “rivoluzionaria” o “gradualista” – lasocializzazione dei mezzi di produzione.” (pag.241). Ma al capitolo sesto, titolato “Perché un partitocomunista, quale partito comunista” (a pag. 288)gli autori – alla faccia della teoria rivoluzionariamarxista-leninista – non vanno oltre la conclusionesecondo cui “parlare di socialismo e comunismosignifica evocare una prospettiva ed un modello

sociale alternativo al capitalismo”. Dopo lasuggestiva allusione, il vuoto totale, la scissionecompleta fra teoria e prassi. Nell’incerto mondo dei“nuovi” ricostruttori non c’è spazio per il potere delproletariato.Nel libro la rivoluzione sociale del proletariato, latrasformazione rivoluzionaria della società, laconquista del potere con la violenza rivoluzionaria,la distruzione dello stato borghese, la dittatura delproletariato come arma indispensabile per spezzarela resistenza della borghesia e garantire la pienaconquista del socialismo, semplicemente noncompaiono. Questa prodigiosa sparizione non solo dimostra lasiderale distanza che li separa dal leninismo (chesignifica altrettanta distanza dal marxismo), magetta piena luce sui reali obiettivi ideologici epolitici degli autori. In altri termini, il loro concettodistorto e limitato della lotta di classe serve dapuntello ideologico al programma politico cheteorizza la conquista della nuova società attraversola “via pacifica”, le “riforme di struttura”, etc. Inquesto modo la rivoluzione proletaria e la dittaturadel proletariato scompaiono affogate inun’incredibile miscellanea di “rivoluzionidemocratiche, nazionali o popolari”, “movimentiprogressivi”, “processi di trasformazionedemocratica e progressiva”, “poteri pubbliciorientati in senso antimperialista, antiliberista”, edaltre amenità assortite.

Gli autori del libro affermano che “la nozione dicomunista e di partito comunista ha un precisoriferimento nella elaborazione leninista” (pag.286). Già, ma quale concezione del leninismoesprimono gli autori? Come accolgono i suoiprincipi?

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La lettura attenta del libro conferma in modoinconfutabile che gli autori, al di là di rimandi ecitazioni, si limitano ad operare una vera e propriadecostruzione del leninismo, una suascomposizione in parti separabili e modificabili apiacere. Il libro accetta cioè solo alcuni aspetti teorici delleninismo (contaminati da una quantità di concettie posizioni eclettiche che nulla hanno a che fare colleninismo stesso), per giunta deformandoliintenzionalmente. Un metodo frequentemente utilizzato dagli autori èquello di tenere il “piede in due staffe”, per poi allafine scegliere concretamente la strada opposta alleninismo. Se ne certifica l’importanza nellatradizione del movimento comunista, ma se rifiutail valore politico rivoluzionario per l’attuale epocastorica. Ciò che importa agli autori del libro è da un latoosannare la lezione leniniana quale contributo“storico” allo sviluppo del movimento comunistainternazionale, ma dall’altra metterne in rilievo, peri compiti politici, gli aspetti più “digeribili” per laborghesia.Nella visione di Diliberto e soci, il leninismo èsoltanto una delle tante dottrine (oggi non piùapplicabile) utilizzate per giungere al socialismo. Inostri autori del leninismo possono ammettere edaccettare di tutto (a parole), anche qualche suoaspetto più “spendibile” nell’analisi dell’attualità,ma non la sua essenza: l’essere “la teoria e la tatticadella rivoluzione proletaria in generale, la teoria ela tattica della dittatura del proletariato inparticolare” (Stalin).Insomma, fra il dire (la riappropriazione deglielementi del leninismo quale elemento della base

teorica) e il “fare”, c’è di mezzo il maredell’opportunismo e della deviazione revisionista.Noi, come marxisti-leninisti, contrariamente ainostri “ricostruttori” non “navighiamo in terreincognite” (pag. 28) per poi approdare sulle costedel revisionismo, ma riaffermiamo con fermezza lavalidità universale della teoria e della politica delleninismo, vale a dire il marxismo dell’epocadell’imperialismo e della rivoluzione proletaria. Inquesto senso facciamo pienamente nostro ilconcetto gramsciano di ortodossia: la piattaformaideologica e politica marxista-leninista non habisogno di essere integrata, emendata, surrogatacon brandelli di altre ideologie.

Le posizioni politiche espresse dagli autori sonoperfettamente coerenti con la tradizionerevisionista, particolarmente con le tritemistificazioni ideologiche sulla cosiddetta“democrazia progressiva”, che hanno avuto perdecenni ampia diffusione fra le masse popolari. Sedunque per gli autori la lotta per il socialismo “nonè un pranzo di gala” (pag. 290), essi si dimostranoperò interessati a ben altre “tavolate”.La linea generale politica e ideologica, in pienacontinuità con la storia politica degli autori,consiste in un programma integralmentedemocratico-borghese e riformista. Diliberto e glialtri autori si scherniscono (involontariamente)quando affermano che “Non è questa la sede peruna dettagliata elaborazione del programma” (pag.246). Nella stessa pagina, infatti, esprimono il lorovero programma politico con poche, esaurienti,parole: “Il programma è la Costituzione”. Piùchiaro di così!Ma come è pensabile che la liberazione deiproletari dalle catene dello sfruttamento capitalistapossa realizzarsi attraverso una carta costituzionaleborghese, che sancisce e tutela cioè la proprietàprivata dei mezzi di produzione, il mercatocapitalista, la compravendita della forza lavoro, losfruttamento del lavoro salariato, l’apparato stataleborghese di oppressione? Come possono, coloro che si definisconocomunisti, abbandonare totalmente (o relegare inun “passato” più o meno glorioso) quelli che glistessi padri del socialismo scientifico consideranotra i pilastri portanti della loro teoria ed azionepolitica? L’affermazione che “nella lotta per il socialismo” èe rimane oggi centrale “la questione del poterepolitico” (pag. 316) sembra una frase impeccabile.Ma essa è in realtà un esempio di liquidazione dei

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principi della dottrina marxista, in quanto essa tacela parte essenziale. La necessità cioè dell’egemoniadella classe operaia nel processo della rivoluzioneproletaria, della rottura rivoluzionaria dellamacchina statale borghese e della dittatura delproletariato, della costruzione del socialismo senzale quali – nei paesi ad alto sviluppo capitalistico –non c’è alcuna presa del potere possibile da partedella classe proletaria. E’ indicativo che le “illusioni costituzionali”, la via“pacifica” al socialismo vengano riproposte propriooggi, mentre infuria la crisi del sistemaimperialista, l’oligarchia finanziaria passaall’assalto della classe operaia, il periodo dievoluzione pacifica del capitalismo sta volgendo altermine e l’attuale società borghese si presentagravida di rivoluzione. Non siamo di fronte, come si potrebbe credereingenuamente, all’ennesimo “abbaglio”. Per quantogli autori si sforzino per presentare il loro progettoin senso contrario, la via “democratica” verso unasocietà migliore, verso il socialismo si dimostra unavolta di più una maschera atta a difendere lo statoborghese.

Proseguiamo nella nostra critica. La categoria diimperialismo subisce forti oscillazioni nel libro. Adesempio: a pag. 31 del libro si afferma che: “nonesiste, da oltre un secolo un capitalismo nazionaleed evoluto separabile dalla forma imperialistica cheil sistema ha assunto nella sua dimensioneplanetaria”; a pag. 93 si sostiene che “l’attualeordine mondiale... rappresenta una forma di nuovoimperialismo”. Questa concezione dell’imperialismo è di tipoprettamente kautskiano Essa derivadall’incomprensione delle caratteristiche e dellanatura dell’imperialismo che non è concepito comela fase o lo stadio finale dell'economia capitalistica,ma come una forma del moderno capitalismo, chequindi è possibile mutare, correggere in sensoriformista invece di approfondirne lecontraddizioni.Tale concezione serve per impostare laconciliazione con l'imperialismo, giacché una"lotta" contro la politica dei monopoli capitalisticiche non colpisca le loro basi economiche “si riducead un pacifismo e riformismo borghese condito diquieti quanto pii desideri” (Lenin).Da ciò ne consegue che, per gli autori del libro, isoli paesi imperialisti sono quelli della “triade”(USA, EU e Giappone), cioè quelli che attuano lepolitiche “più spiacevoli” agli occhi degli

opportunisti. Insomma è tutto un sistema diconcezioni in aperto contrasto con la teoria e laprassi marxista-leninista.

Le priorità politico-programmatiche delineate apag. 69-70 del libro, e le alleanze strategichedefinite a pag. 96, sono spaventosamente chiare.Per Diliberto, Giacché e Sorini (più Catone) ilmotore del processo storico sono le classi dirigentinazionali dei paesi capitalistici che si oppongonoalla “Triade imperialista” (USA, UE e Giappone). Costoro operano così un capovolgimento completodella questione essenziale dell’egemonia delproletariato, cioè della direzione politica e dellabase sociale della dittatura del proletariato. Nellastrategia delineata dagli autori (nonché da Catone edall’Associazione Marx XXI che ha il copyrightdel libro), l’egemonia rimane nelle mani dellaborghesia e dei suoi partiti politici, particolarmentedella borghesia di quei paesi capitalistici che“perseguono un progetto “nazionale” che entraobiettivamente in contrasto con le strategiedell’imperialismo”. Questi paesi sono “Cina,Russia [e] paesi emergenti dell’Asia, dell’Africa edell’America Latina” (ibidem). Il partito che gliautori vorrebbero ricostruire – ricomponendo icomunisti “diversamente collocati” - è componentesubalterna, ideologicamente e politicamente,all’interno dello schieramento rappresentato dalleborghesie che dominano in tali paesi. Partendo da questa impostazione, gli autori dellibro definiscono quali paesi imperialisti solo la“triade USA, EU e Giappone”, negano il carattereimperialista della Russia (Lenin e Stalin = Putin?),e definiscono la Cina quale “fattore decisivo delprocesso di avanzata al socialismo” (pag. 68)confondendo il socialismo proletario con il

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“socialismo di mercato” alla Deng, conclusione cheè in effetti alla base teorica dei nostri“ricostruttori”; definiscono i paesi del c.d. BRICquali potenze emergenti e non-allineate. L’obiettivo strategico che si pongono Diliberto,Giacché e Sorini non è il socialismo, bensì un“ordine mondiale multipolare” (pag. 91), èl’emergere di un “altro mondo, non imperniato suldominio imperialista” attraverso il trainodeterminato dal “processo di trasformazionedemocratica e progressiva su scala mondiale”guidato dal “fronte dei paesi e dei popoli non-allineati” (pag. 96). Questa strategia, non sfiorando minimamente lebasi del regime imperialista-capitalista,disconoscendo la missione storica e l’insostituibileruolo egemonico del proletariato, esclude anchepriori la necessità di un vero partito comunista. Allostesso tempo snatura l’essenza dei fronti popolari,respingendo l’egemonia del proletariato neiprocessi di liberazione nazionali, antimperialisti,preconizzando la conciliazione di classe.La “convergenza programmatica” propugnata per ilmovimento comunista e rivoluzionariointernazionale su questi temi (vedi pag. 70), non hanulla a che vedere con la capacità di approfittaredelle contraddizioni inter-imperialiste. Significainvece mancanza di autonomia politica eideologica, subalternità a quei settori di borghesiaimperialista che si oppongono alla superpotenzaUSA. Di fronte a queste proposte ultra-revisioniste, icomunisti devono sostenere attivamente edecisamente la formazione di un fronte comune dilotta composto dal movimento rivoluzionario degli

sfruttati nei paesi a capitalismo avanzato e dalmovimento antimperialista e di liberazione deipopoli dei paesi dipendenti. Un fronte nel quale sipuò riunire la stragrande maggioranza dellapopolazione del globo, composta in maggioranzada giovani, su cui pesa il giogo intollerabile di uncomune nemico: l’imperialismo.

Secondo Diliberto, Sorini e Giacché, la crisiaccelera la tendenza graduale verso un mondomultipolare. Partirebbe dunque oggi una sfida allacompetizione pacifica con i tre maggiori poliimperialisti, per l’affermazione di un “processo ditrasformazione democratica e progressiva su scalamondiale” volto all’emergere di “un “altro mondo”,non imperniato sul dominio imperialista” (pag. 96). Dietro queste belle parole il vero obiettivo cheDiliberto, Giacché e Sorini sostengono è ilmultilateralismo, cioè una governance globale delcapitalismo, che faccia perno su organismisovranazionali. Siamo di fronte a tesi cosmopoliteborghesi, opposte all’internazionalismo proletario.Come abbiamo visto, per far avanzare questa“nuova dinamica internazionale progressiva”(pag.97), Diliberto, Giacché e Sorini mettono ilproletariato e i popoli a rimorchio degli Staticapitalisti che lottano per il dominio mondialecontro la “triade imperialista” USA-Giappone-UE.Propongono così una sorta di fronte unito delproletariato e dei popoli con le rapaci classidirigenti di taluni paesi (citati nel paragrafoprecedente), subordinando il movimento operaio ecomunista a questo sistema di alleanze, riducendola sua funzione a quella di forza sussidiaria. Sitratta, allo stesso tempo, di una forma dicollaborazione di classe su scala internazionale e diun’esplicita rinuncia alla missione storica dellarivoluzione proletaria mondiale.La linea che Diliberto, Giacché e Soriniindividuano come linea generale del movimentocomunista e operaio, è la versione aggiornata ecorretta, della linea kruscioviana della “coesistenzae della competizione pacifica”, della conciliazionecon l’imperialismo, dell’integrazione economica,politica e sociale con l’imperialismo. La differenza fondamentale con le tesi krusciovianesta nel fatto che questa nuova competizionepacifica non viene più proposta fra due campi, fradue sistemi economici contrapposti (che oggi nonesistono), ma dentro il solo campo esistente, quellocapitalista. Questa linea – che è in flagrante contraddizione conil principio dell’internazionalismo proletario –

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lascia l’impronta su tutte le pagine del libro. Essa èsenza dubbio volta a cancellare la contraddizionefondamentale fra proletariato e borghesia, a frenarel'estensione della lotta della classe operaia e deipopoli, a smentire che le contraddizioni esistentipossano essere risolte con la rivoluzione proletaria,a scongiurare il dominio del proletariato sullaborghesia. Ma, per quanto facciano, i revisionistivedranno i loro sforzi fallire, poiché le rivoluzioniscoppieranno, la classe operaia e i popoli oppressisi organizzeranno e scateneranno l’assalto al cielo,abbattendo un sistema storicamente superato.

In diversi paragrafi del libro viene evidenziata latendenza alla guerra imperialista, esacerbata dallacrisi economica in atto, ma essa non è maiconcepita come un fenomeno inevitabile fra i paesicapitalisti. Al contrario, si sparge l’illusione che siapossibile “vincere la lotta per la pace e il disarmo”(pag. 90) senza sconfiggere definitivamentel’imperialismo. In altre parole Diliberto, Giacché e Sorini, nonammettono che lo sviluppo delle contraddizioniinsite nel sistema attuale conduconoinevitabilmente a una lotta accanita fra paesi emonopoli imperialisti, in cui la politica di rapina, disfruttamento, di oppressione, sarà proseguita conaltri mezzi: quelli militari.Niente di più normale che per questa via si giungaall’accettazione delle risoluzioni dell’ONU,organismo che “in taluni casi può contribuire afrenare o delegittimare internazionalmente alcunescelte più aggressive dell’imperialismo” (pag. 253).Si legittimano così gli interventi imperialisti,purché avvengano “su esplicito mandato delConsiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite” (pag.253). Come nel caso della guerra di rapina contro laLibia. Anche su questo problema la posizione dai treautori è perfettamente in linea con la tradizione didestra (rappresentata in Italia da Togliatti). Lastoria ha dimostrato la falsità della conclusionerevisionista secondo cui è necessario abbandonarela tesi leninista sull’inevitabilità delle guerrenell’epoca dell’imperialismo. Gli insegnamenti leninisti sulla guerra non sono pernulla superati, a dispetto di quanto pretendono irevisionisti. Dopo la seconda guerra mondiale,l’imperialismo, le classi dominanti sfruttatrici eoppressive, hanno scatenato centinaia di conflitti(ve ne sono 31 in corso), ed esiste il pericolo delloscatenamento di un nuovo conflitto mondiale.

Non discutiamo qui dell’importanza della lotta perla pace – che può impedire lo scoppio di alcuneguerre, può rinviarle, può costringere a certiaccordi sul disarmo, etc. - ma dell’obiettivaesistenza delle basi della guerra (il dominio deimonopoli capitalistici), dell’esistenza di Stati eforze sociali che possono risolvere le lorocontraddizioni solo mediante la forza. L’imperialismo non ha cambiato natura, e perquanto la classe operaia e i popoli si frappongonoallo scoppio delle guerre, sarà solo con la suasoppressione che questo pericolo potrà esseredefinitivamente scongiurato. Indipendentemente daquello che pensano Diliberto (che di guerreimperialiste se ne intende), Giacché e Sorini.

I tre autori hanno ben presente la natura di classedell’UE e la criticano, senza però spingersi al puntodi sostenere la sua dissoluzione, né l’uscitadell’Italia da questa istituzione imperialista. Alcontrario, accettano l’UE dei monopoli e illudono ilavoratori sulla possibilità di trasformarla, diriformarla, di aggiustarla con “l’apertura di unprocesso politico che alla partecipazione dei popoli,sappia coniugare un’apertura a paesi (e popoli)finora fuori dal processo di integrazione” (pag.166). Di fatto Diliberto, Giacché e Sorini auspicano un“progetto di integrazione europea con elementi diriequilibrio economico e sociale” (pag. 164),ipotizzano una “Europa unita e autonoma dagliUSA e dalla NATO, fondata ……sullacooperazione in Europa fra Stati sovrani, nonimperialista, bensì amica e cooperante con i paesiin via di sviluppo” (pag. 165), come se fosse

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possibile scindere l’essenza economicadell’imperialismo dalla sua politica. Per costoro, dunque, la lotta è dunque non è controla UE, in quanto istituzione ad esclusivo serviziodei monopoli capitalistici, ma “contro l’attualeconfigurazione della UE” (pag. 166), per un’altraEuropa di cui non vengono mai definiti i caratteri diclasse. E’ evidentemente puro illusionismo, puroimbroglio, che serve solo a ritardare l’interventodeciso e rivoluzionario del proletariato per spezzareil quadro delle politiche e delle istituzioni europeeche lo asfissiano, impedendo una reale solidarietàfra lavoratori e popoli. Le posizioni di Diliberto, Sorini e Giacché (piùCatone) sull’UE sono tipiche delle forzesocialdemocratiche e riformiste. Si basano sullaostinata necessità di “ripensare l’UE”, di rimuoverelo “strapotere”, gli abusi più evidenti, le pratichemeno difendibili dell’imperialismo, affermandoallo stesso tempo teorie che non hanno nulla disocialista, come quella dei “beni comuni” in ambitocapitalista. Il modello seguito dagli autori rimane ilpragmatismo revisionista di Berlinguer che vedeva“l’Unione europea come terreno ineludibile diconfronto e di lotta” (pag. 261). A ben vedere, tutte le proposte che spazianodall’“Europa del lavoro” del PdCI, alla “secondaMaastricht di D’Alema” – senza mai mettere indiscussione l’esistenza stessa dell’UE (nuova eassoluta “realtà dell’idea etica” di hegelianamemoria) e senza mai indicare l’uscita dalla UE edall’euro, oltre che dalla NATO - hanno un soloscopo: quello di evitare la rottura delle gabbiaimperialiste da parte della classe operaia e deipopoli e di perpetuare la scelta strategica delcapitalismo italiano.

La questione della crisi, della fragilità e del declinodel capitalismo italiano è impostata nel libro apartire dalla questione della sparizione del settorestatale dell’economia, delle privatizzazioni diimprese e banche. Questo approccio è assolutamente deviante. Il veroproblema è la struttura e la dimensione deimonopoli in un mercato sempre più ristretto ecaratterizzato da iper-concorrenza, non il fatto chele imprese siano controllate da privati o dallo Statoborghese. Le tesi sostenute da Diliberto, Giacché e Sorini (piùCatone) sono propedeutiche alla strategia politicadi ri-nazionalizzazione, di “controllo pubblico”delle imprese in ambito capitalista, che gli autori sipropongono di rilanciare, in continuità con latradizione togliattiana dell’economia “mista”. Percostoro il neoliberismo, le privatizzazioni, sonosolo un’eccezione, una deviazione, nella storia delcapitalismo italiano. Il dilemma che gli autori si pongono è “lapossibilità che l’economia italiana risalga la china,invertendo la rotta che ha rovinosamente intrapresonegli ultimi decenni” (pag. 187). Come? Attraversoil conflitto sociale, che è “il migliore “stimolo”all’economia” (ibidem), nonché rivendicando“l’intervento pubblico e la proprietà pubblica”(pag. 205). Ciò non ha nulla a che vedere con lalotta per il socialismo, ma è una palesedimostrazione della vicinanza delle posizioni degliautori con le tesi della scuola di Oxford e con quellesocialdemocratiche che predicano l’interventoregolatore dello Stato borghese.La questione meridionale viene presentata comeuna questione nazionale da affrontare “con sceltenette, possibilmente di classe” (pag. 191). Nellavisione degli autori tale questione diventa un temadi politica industriale, di politica economica efiscale, del tutto interna al sistema, e non unaquestione legata alla capacità di direzione politicadel proletariato, delle necessarie alleanze di classeche devono sorgere sulla base di un programma permobilitare le masse, organizzare la rivoluzione,prendere e mantenere il potere.Anche le trasformazioni reazionarie nell’ambitoistituzionale e politico sono viste come frutto delridimensionamento della presenza dello Statonell’economia. Questa lettura, oltre ad esserefuorviante, è molto pericolosa, perchè volta asostenere la pretesa funzione “democratica” delcapitalismo monopolistico di stato. Concretamente, le controriforme politiche eistituzionali esprimono l’esigenza dei monopoli

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(sia privati, sia di stato), di aumentare il lorodominio, di inasprire la reazione in tutti i campi,poichè essi si trovano in una situazione di maggioredifficoltà (concorrenza più aspra, chiusura mercatidi sbocco, etc.). L'involuzione reazionariacorrisponde alle esigenze dell’oligarchiafinanziaria, al suo aumentato peso nella vitapolitica, che provoca contrasti più intensi. Questoprocesso è stato incarnato Berlusconi, ma gli autorisostengono che il ducetto di Arcore rappresenta“soprattutto la piccola e media impresa” (pag. 238).Cecità congenita o sconsideratezza?

Diliberto, Giacché e Sorini negano che il loro«progetto di ricostruzione di un partito comunistain Italia» equivalga al progetto di «ricostruire unasorta di nuovo Pci» (p. 293). In realtà, tuttol'impianto del loro libro, con le motivazioniteoriche e le giustificazioni storiche che losorreggono, mira proprio a questo. Un PCIrinnovato e aggiornato rispetto alle condizioniparticolari del presente storico che stiamo vivendo,ma del quale restano immutati i fondamentiideologico-politici: un partito revisionista che nonsolo non rompe con le radici opportuniste deltogliattismo, ma le rivendica in pieno e si presentacome suo erede. Gli autori polemizzano con chi ritiene che oggi siapossibile ricostruire un partito «di massa», unpartito «capace di organizzare nelle sue strutturegrandi masse, capace di raccogliere milioni di votisu una sua lista di partito» (ricordiamo a chi cilegge che il PCI ebbe nelle prime elezioni politicheitaliane del 1946 2 milioni di voti), e - giocandofurbescamente con la terminologia del leninismo -affermano che si tratta «prima di tutto di ricostruireun'avanguardia». Di più: «un partito di quadri e dimilitanti con influenza di massa». Tutto il capitolo del libro dedicato al problema delpartito si muove su due piani, strettamente collegatie complementari fra loro.Da un lato, una continua polemica contro quelletendenze movimentiste e, alla lunga, liquidatorie (ilbertinottismo in primo luogo) che hanno dominatoper lunghi anni in «Rifondazione», portandolainfine alla frantumazione e alla dissoluzione (unapolemica giusta in astratto, ma vuota di contenutorealmente comunista, perché non finalizzata allaricostruzione di un partito autenticamente leninista,cioè rivoluzionario).Dall'altro, un recupero formale (contro il sistemadei «circoli» di «Rifondazione») di tutte le struttureorganizzative (le cellule di fabbrica, di strada e di

villaggio, le sezioni territoriali) che furono proprie,per alcuni decenni, del vecchio PCI secondo latradizione della III Internazionale, ma che la lineaopportunista e revisionista togliattiana mise poi alservizio della parlamentare, pacifica ecostituzionale «via italiana al socialismo».Non è la struttura organizzativa di per sé chedefinisce la natura di un partito politico. Il grandepartito socialdemocratico tedesco della finedell'Ottocento aveva un profondo radicamentosociale, una grande presenza organizzata framigliaia di lavoratori che si traduceva poi inmilioni di voti alle elezioni parlamentari e in quelleper le amministrazioni locali, un'attività di partitocapillare che investiva tutti gli ambiti del conflittodi classe e tutti i settori della cosiddetta «societàcivile». Ma, come tutti i partiti socialdemocratici diieri e di oggi, non era un partito che si ponessel'obiettivo di guidare la classe operaia allaconquista rivoluzionaria e violenta del potere, masoltanto un partito democratico di riforme sociali.Nel secondo dopoguerra, anche il PCI di Togliatti,di Longo, di Berlinguer non fu nient'altro chequesto: un partito democratico che surrogava lalotta rivoluzionaria con le rivendicazioni parziali:l’esatto contrario di un partito leninista che utilizzaogni rivendicazione parziale per dimostrare allemasse la necessità della rivoluzione.

E' interessante la ricostruzione storica, tentata daitre autori del libro, di alcuni mutamenti e passaggiche precedettero la finale liquidazione del PCI adopera della segreteria Occhetto: la crescente

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emarginazione dei dirigenti e dei quadri intermediche avevano operato negli anni della clandestinità edella lotta contro il fascismo; la diminuzione - dinumero e di ruolo - delle cellule di luogo di lavoroe la loro sostituzione con le sezioni territoriali;l'idea del partito «laico» e non «ideologico», chenon ha più una teoria e tende a identificarsisemplicemente con «un'area politico-programmatica». Ma Diliberto, Giacché e Sorininon ricercano le cause profonde di questimutamenti. Era nella forza delle cose che quelletrasformazioni degenerative avessero, alla fine,partita vinta se la «via italiana al socialismo» eraquella parlamentare, pacifica e costituzionale!Quella stessa che viene indicata attualmente daDiliberto, Giacché e Sorini, per i quali «ilprogramma è la Costituzione»!Lenin lottò incessantemente non solo contro ilcretinismo parlamentare, ma anche contro le«illusioni costituzionali».In Italia, dal 1947 a oggi, è stata costruita da politicie costituzionalisti borghesi e revisionisti una vera epropria «mitologia» della Costituzione italiana,nata - dopo la fine della seconda guerra mondiale -dal compromesso istituzionale fra i partiti disinistra e la Democrazia Cristiana. UnaCostituzione che, sotto la spinta della Resistenza edella guerra di liberazione contro il nazifascismo,contiene una serie di diritti di libertà (libertà diparola, di stampa, di organizzazione politica esindacale, di sciopero, ecc.) che la classe proletariapuò e deve utilizzare nella sua lotta quotidiana perla difesa del suo lavoro e dei suoi bisogni vitali; maquella stessa Carta costituzionale garantisce laproprietà privata, l'impresa capitalistica, il profitto

capitalistico, e disegna una democrazia borgheseche ha la sua base in un esecutivo forte incarnatonel governo, con un parlamento sempre piùsvuotato delle sue funzioni legislative. La«sovranità popolare» è una pura mistificazione e ilfondamento ideologico della Costituzione italiana èl'ideologia della «conciliazione delle classi».Un partito politico che non abbia compreso tuttoquesto, e che - non diversamente dal vecchio PCI -continui a nutrirsi di mistificazioni ideologiche e diillusioni costituzionali non è il Partito marxista-leninista di cui il proletariato ha bisogno per la sualiberazione dalla schiavitù del capitale.Per il partito rivoluzionario del proletariato che ènecessario costruire in Italia il programma non è laCostituzione. Il programma è quello scolpito nelleparole che concludono il Manifesto del partitocomunista di Marx ed Engels, valide oggi più chemai: «I comunisti sdegnano di nascondere le loroopinioni e le loro intenzioni: essi dichiaranoapertamente che i loro scopi non possono essereraggiunti che con l'abbattimento violento di ogniordinamento sociale esistente».

Quali sono le particolarità del partito che i nostriautori dicono di voler ricostruire? E’ esso unautentico partito leninista? La riaffermazionepositiva di concetti chiave quali il rapportospontaneità-coscienza e i quadri; la citazione dellecellule, del centralismo democratico, sonocompiutamente rispondenti a quella di un autenticopartito rivoluzionario definita da Lenin (e da Staline Gramsci)? Gli autori teorizzano in modo esplicito, anche sullascorta della loro analisi delle classi odierne checonfonde il proletariato nella nebbia del “lavorosubordinato e proletarizzato”, il superamento delconcetto tradizionale di partito comunista quale“compatto reparto di avanguardia della classeoperaia della grande industria” (pag. 294), ed al suoposto concepiscono un partito formato da cetopolitico, da militanti e dirigenti nazionali e localidelle organizzazioni revisioniste esocialdemocratiche pre-esistenti, da intellettuali. Sitratta di un partito che non compie una sceltaprecisa di classe, ma che “rappresenta” diversisoggetti sociali. Le cellule (o meglio i nuclei) sono viste solo comestrumento per avere una “influenza di massa nontestimoniale” (pag. 302) e non in funzione delladirezione del movimento di massa della classeoperaia, nonché a garanzia del carattere proletariodell’organizzazione. Il centralismo democratico

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viene ridotto a metodo di garanzia della “liberadialettica interna circolare e trasversale” (pag. 292).Il compito del partito è “concorrere all’attivitàlegislativa in parlamento o a quella del governo”(pag. 206). Che perla! In più punti gli autori ribadiscono che laricostruzione del partito va compiuta “dentro ilprocesso unitario a sinistra” (pag. 284), cioè nelcartello elettorale a sinistra del PD. Addirittura nesanciscono la “complementarità” (pag. 278). Ciòcomporta l’impossibilità di una vera e definitivarottura con la socialdemocrazia, comporta che ilpartito comunista rimarrà un’appendice della lottaparlamentare portata avanti dalla sinistra borghese.Natura, funzione e compiti del partito politico sonoquindi completamente interni al quadro del sistemacapitalista. In definitiva, gli autori voglionoricostruire il partito su solide basi… riformiste esocialdemocratiche.Contrariamente alle posizioni espresse dagli autoridel libro, noi marxisti-leninisti, sulla base degliinsegnamenti del pensiero e dell’opera dei maestridel proletariato, affermiamo che il partitocomunista: è prima di tutto il reparto diavanguardia, organizzato e cosciente, di una solaclasse, il proletariato (classe che è assente nellibro); ha la propria base organizzativa nelle celluledi luogo di lavoro e lavora per legarsiprofondamente con la claasse operaia e le massepopolari; è strutturato sulla base del centralismodemocratico e al suo interno vige una rigorosadisciplina proletaria; ha come ruolo e scopistrategici quelli di guidare la classe operaia e i suoialleati alla rivoluzione proletaria e all’abolizionedel capitalismo, di instaurare la dittatura delproletariato e dirigere guidare l’edificazione delsocialismo e del comunismo.

Abbiamo dunque visto che le tesi e le posizioni dellibro sono tipiche del revisionismo. Hanno in setratti sia del vecchio revisionismo, sia del modernorevisionismo. E’ dunque necessario caratterizzarebrevemente queste deviazioni. Il marxismo ha conquistato storicamente la testadel movimento comunista e operaio internazionaleattraverso una lotta implacabile contro le variecorrenti e tendenze della borghesia e delle altreclassi non proletarie all’interno del movimento. Lalotta fra due linee, il marxismo rivoluzionario el’opportunismo, fra la linea rivoluzionaria e quellacontrorivoluzionaria, è stata una costanteall’interno del movimento comunistainternazionale negli ultimi centocinquanta anni.

Già Marx ed Engels, agli albori del movimentocomunista hanno dovuto affrontare una durabattaglia di principio e sconfiggere le tendenzeestranee o ostili al socialismo scientifico (le varieforme di socialismo pre-scientifico, gli hegelianiradicali, il proudhonismo, Bakunin e il movimentoanarchico). Il partito bolscevico, con Lenin e Stalin alla guida,ha dovuto fare altrettanto contro correnti quali il“socialismo-rivoluzionario”, il bukharinismo, iltroskismo, il nazionalismo. Ugualmente, il Partito Comunista d’Italia haformato se stesso come partito indipendente erivoluzionario nella lotta contro il riformismo, ilpacifismo borghese, il socialpatriottismo,l’operaismo massimalista e l’opportunismo. Il vecchio revisionismo, in particolare, è unacorrente ostile al marxismo che ha la caratteristicadi essersi sviluppata proprio in seno al marxismostesso e di operare sul suo terreno. Padre riconosciuto di questa corrente è Bernsteinche, a partire dagli anni 90 dell’800 e con lamotivazione di voler apportare delle correzioni aMarx, ha inteso appunto revisionare il marxismo.Elementi essenziali del revisionismo originariosono in filosofia: il ritorno alle tesi “critiche” ed“evolutive” neokantiane, e il ripudio della dialetticarivoluzionaria. Nel campo dell’economia politica:il tentativo della correzione della legge del valoredi Marx e, sulla scorta della tesi della nuova

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situazione economica venutasi a creare, e dellepretese capacità taumaturgiche dell’allora nascenteimperialismo, la critica alla teoria marxiana dellecrisi capitalistiche e del “crollo” verso il qualemarcia il capitalismo. Nel campo della lottapolitica: la teoria della tendenza all’attenuazionedelle contraddizioni di classe, il tentativo cioè dinegare di fatto il principio fondamentale delmarxismo, e cioè la dottrina della lotta di classe.

Il moderno revisionismo, affermatosi nel secondodopoguerra, è un fenomeno internazionale,generato da cause storiche, economiche, politiche,sociali. In generale, possiamo dire che esso è ilprodotto dell’enorme pressione (interna ed esterna,politica e militare, ideologica e tecnica) esercitatadall’imperialismo sulla classe operaia e le sueorganizzazioni di lotta, in primo luogo i partiticomunisti. Tale pressione produce effetti devastantiquando elementi dell’aristocrazia operaia, quadriburocratici e dalla mentalità borghese e piccoloborghese, oltre a veri e propri nemici mascherati,riescono a prendere la testa dei partiti comunisti e aimpadronirsi delle leve di comando politiche eideologiche. Da queste posizioni essi si allontananodai principi del marxismo-leninismo, liquidano glielementi rivoluzionari nei partiti e avviano unapolitica di riappacificazione, di accordo e dicapitolazione di fronte agli imperialisti, direstaurazione del capitalismo. Tutte le varianti delmoderno revisionismo hanno questa caratteristicadi fondo, sebbene adottino forme diverse, adattateai differenti contesti nazionali.Il revisionismo e l’opportunismo dilagati negliultimi sessanta anni sono legati alla lotta condottadalla borghesia imperialista contro il proletariato el’espressione teorica dei suoi interessi, ilmarxismo-leninismo; sono parte dellacontroffensiva strategica volta a distruggere ilsocialismo e opporsi alle rivoluzioni proletarie, cosìda salvaguardare e rafforzare l’ordine borghese. Le

forze, i mezzi e i fondi usati a questo scopo, per lopiù messi a disposizione dall’imperialismo USA,sono stati enormi.Dopo la seconda guerra mondiale, in unacondizione di approfondimento della crisi generaledel capitalismo, si svilupparono diverse correntirevisioniste (la prima fu in USA, il browderismo,seguita dal titismo jugoslavo), al fine di contenerel’avanzata del socialismo, delle lotte di liberazionenazionale, dei movimenti democratici eantimperialisti. L’emergere del krusciovismo e in seguito laproclamazione ufficiale del revisionismo sovieticoal XX Congresso del PCUS furono di enorme aiutoper la strategia dell’imperialismo. La confusioneideologica si diffuse a macchia d’olio, le pressioniper un cambio di linea aumentarono, ilrevisionismo si propagò e sviluppò. Leconseguenze su scala internazionale furonotragiche e possiamo ben dire che da quelladisastrosa sconfitta il proletariato mondiale non si ètuttora ripreso.Una delle caratteristiche peculiari del revisionismoè quella di deviare sistematicamente dal marxismo-leninismo per andare verso la socialdemocrazia e ilcapitalismo, facendo però vedere di trovarsi ancorasul terreno del socialismo specie nel camposovrastrutturale. Questo significa che assume leapparenze, la terminologia, le forme, perfino alcuneparole d’ordine comuniste, come ad es. faceva ilrevisionismo kruscioviano, brezneviano (che siavvaleva del potere statale per manovrare congrandi mezzi). Ciò serve a confondere le idee allaclasse operaia, che altrimenti reagirebbe. Bastipensare che molti traditori (persino il giudaGorbaciov, com’è ricordato nel libro), per lungotempo hanno mantenuto un’adesione formale almarxismo-leninismo, mentre deformavano,sabotavano, demolivano l’essenza della teoria edella pratica rivoluzionaria, e le ultime vestigia delsocialismo. L’affermazione del moderno revisionismo hadeterminato la divisione del campo socialista, delmovimento operaio e comunista internazionale, lamessa in crisi di quasi tutti i partiti comunisti(specie nel mondo occidentale), la loro successivaliquidazione e trasformazione in forze politiche alservizio della borghesia. La traiettoria del PCI inItalia è esemplare, in tal senso.

Nel libro, come segnalato, non c’è nessun accennoalla questione del revisionismo, alle sue

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responsabilità nella sconfitta transitoria delle primeesperienze del socialismo e nella degenerazione deipartiti comunisti. Non è difficile capire il perché. La concezione dello sviluppo del movimentocomunista come un unicum temporale senza scontrie fratture (per gli autori la sconfitta del movimentocomunista e operaio internazionale viene collocata,con oltre un trentennio di ritardo, tra il 1989 e il1991 durante la cosiddetta “seconda fasegorbacioviana” - v. pag. 48 - mentre giudicanopositivamente la prima fase della perestrojka!), lamancata distinzione fra l’URSS di Lenin e di Staline quella revisionista di Krusciov e Breznev,consentono a Diliberto, Giacché e Sorini non solodi affermare che questo paese sia stato fino al suocrollo un paese socialista, ma anche di gettare alleortiche la lotta condotta dai comunisti contro ilrevisionismo e per la difesa del marxismo-leninismo. Addirittura, l’intransigente battaglia di principiocontro i rinnegati kruscioviani, seguente al XXCongresso, viene denunciata come causa delledannose “fratture” che hanno favoritol’imperialismo e danneggiato il socialismo! Gli autori non hanno evidentemente alcun interessea individuare dove e come si è verificata la cesuradecisiva, ma si dedicano a spargere ad arteconfusione.Sulla base di questa impostazione gli autori dellibro rivendicano la piena continuità storica,ideologica, politica e programmatica con latradizione togliattiana. Definiscono l’VIIICongresso del PCI del 1956, quello che varò lastrategia togliattiana della “via italiana alsocialismo”, come “un grande passo in avantinell’elaborazione del PCI, un congresso di grandeinnovazione qualitativa” (pag. 256). Questa rivendicazione è altamente significativa econferma meglio di mille analisi l’origine e ilpedigree ideologico degli autori e il tipo di progettopolitico che essi intendono portare avanti. Infatti, è proprio con l’VIII Congresso, cheTogliatti e il gruppo dirigente del PCI, sotto lapressione dell’imperialismo statunitense esull’onda della restaurazione kruscioviana,bruciarono le tappe nel processo di degenerazioneborghese del partito e di integrazionenell’ordinamento capitalistico italiano, sancendocosì la svolta revisionista in Italia. Ed è propriol’VIII Congresso che decreta la sconfitta deidirigenti e dei quadri più devoti all’ideale delcomunismo, che vengono scalzati dalla direzione edall’apparato del partito (Togliatti li definirà“revisionisti di destra”!) e l’avvento della

“generazione dell’VIII congresso”, tanto coccolatae benvoluta nei salotti illuminati e che finirà perapprodare alle più alte poltrone dello statoborghese. In sostanza, il gruppo di dirigentiopportunisti, revisionisti e riformisti che avrebbecostituito il nerbo del gruppo dirigente del PCIrevisionista e che è primo responsabile delladistruzione del partito.

Abbiamo visto di che stampo sono le posizioniideo-politiche contenute nel libro. Gli autori sipresentano a un tempo come eredi delle correntirevisioniste che hanno attraversato il secolo scorso(Kautsky, Bucharin, Krusciov, etc.), nonché delpatrimonio teorico e politico del PCI togliattiano.Su questa base devono risolvere il problema delcollegamento con i partiti che a livellointernazionale rappresentano il modernorevisionismo. In questo c’è una contraddizione, perché il vecchioPCI, abbracciando dapprima la “via nazionale alsocialismo” e poi il fallimentare eurocomunismo, siera gradualmente allontanato dalle altre correntirevisioniste, per poi passare al campo liberal-democratico dopo il 1991. Il dilemma è quindiscavalcato nell’unico modo possibile: andando arichiamarsi a quei partiti revisionisti che pureavevano contrastato le scelte del gruppo dirigentedel PCI berlingueriano, ma che sono sopravvissutial crollo dell’URSS e alla dissoluzione del PCUS,mantenendo il nome “comunista”. I riferimenti internazionali citati degli autori dellibro “Ricostruire il partito comunista” sonodunque una decina di partiti revisionisti. Fra questispiccano quelli con più presa elettorale, il KKEgreco, il PCP del Portogallo e l’Akel cipriota, piùchiaramente il partito cinese e quello cubano alpotere. Sono partiti tutt’altro che uniti, che hanno una retedi relazioni con numerosi partiti di altre tendenzerevisioniste, opportuniste e socialdemocratiche, ma

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che stanno cercando di riorganizzarsi,promuovendo incontri tematici e azioni coordinate. Certamente questi partiti non hanno oggi la stessaforza, autorità e consenso del revisionismosovietico - tant’è vero che gli autori giudicano lasituazione odierna “più sfavorevole che non neglianni ‘70” (pag. 331). Allo stesso tempo cercano didifferenziarsi da altre forze “di sinistra eprogressiste”, pur perseguendo la stessa linea difondo: il sacrificio degli interessi storici e strategicidel proletariato al vantaggio del momento. La scelta compiuta dagli autori di collocarsi suquesto versante del revisionismo, specie su scalacontinentale, è però a tutt’oggi “a metà”.Certamente tale scelta influisce su molti elementidell’analisi e dei giudizi contenuti nel libro, adesempio la non-valutazione del revisionismosovietico e la posizione da tenere nei confrontidella “Sinistra Europea”. Ma finora è una scelta piùdi tipo ideologico che politico-pratica, poiché essacomporta almeno tre serie difficoltà. In primo luogo, il partito che auspicano sorge suuna base prettamente nazionale, e ciò cozza conl’appartenenza organica a centrali internazionali.In secondo luogo, il PCdI, che dovrebbe fornirel’ossatura al nuovo partito revisionista non è ancorapronto a tagliare il cordone ombelicale con latradizione del vecchio PCI e mettersi alla corte(come fa il partito di Rizzo per esempio) dei partitiuna volta giudicati “filosovietici”. In terzo luogo,alla scelta di rimanere nel contenitore elettoraledella Federazione della Sinistra corrispondel’appartenenza al gruppo parlamentare europeoGUE/NGL, infarcito di anticomunisti senza guanti. In ogni caso parliamo di processi in corso, cheavranno rilevanza nelle questioni italiane, e chemeritano di essere seguiti con attenzione, poiché la

lotta fra marxisti-leninisti e revisionisti tanto alivello internazionale, quanto a livello nazionale,non è destinata a risolversi, ma a inasprirsiinevitabilmente nel procedere della crisi.

Il libro di Diliberto, Giacché e Sorini si chiude concapitolo dedicato al “nostro internazionalismo”.Che carattere ha questo internazionalismo? Inperfetta coerenza con i capitoli precedenti, non èmai definito proletario. E’ piuttosto uninternazionalismo opportunista, come abbiamo giàvisto.Sappiamo bene che non si può costruire un partitocomunista senza basarlo sul principiodell’internazionalismo proletario. E’ necessarioquindi esporre brevemente il punto di vistamarxista-leninista, contro i travisamenti piccolo-borghesi del concetto di internazionalismo e dellapolitica internazionalista. L’Internazionalismo proletario ha il suo punto dipartenza con la pubblicazione del “Manifesto delpartito comunista” (“I lavoratori non hanno patria”,“Proletari di tutti i paesi, unitevi!”) e la successivafondazione, da parte di Marx, della I Internazionale(1864-1872). Essa gettò le basi della grande operadella rivoluzione proletaria, della sostituzione delsistema capitalista con un sistema comunistamondiale.La II Internazionale (1889-1914), ebbe il merito disviluppare in estensione l’organizzazioneinternazionale degli operai, abbassandone però illivello rivoluzionario e scadendonell’opportunismo. Il suo internazionalismoesistette solo a chiacchiere. Nei fatti fu sostituitodalla collaborazione della classe operaia con laborghesia di ogni paese. Ciò determinò il suocrollo.La III Internazionale (1919-1943) spazzò vial’opportunismo, il socialsciovinismo borghese epiccolo-borghese, cominciando a tradurre in praticala parola d’ordine della dittatura del proletariato,nella quale si riassume lo sviluppo del socialismo edel movimento operaio. Lenin ha apportato profonde innovazioni alcontenuto e alla prassi dell’internazionalismoproletario, in base a due esigenze fondamentali: a)subordinare gli interessi della lotta proletaria in unpaese agli interessi di questa lotta nel mondo intero;b) la vittoria del socialismo in un paese deve servirea sviluppare, ad appoggiare a portare avanti larivoluzione in tutti i paesi, per rovesciarel’imperialismo mondiale.

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Nel suo rapporto “Sulla situazione internazionale ei compiti fondamentali della IC”, pronunciato al IIcongresso della Terza Internazionale Comunista hachiarito l’essenza dell’internazionalismo proletarionell’epoca dell’imperialismo: “L’unione deiproletari rivoluzionari dei paesi capitalisti con lemasse rivoluzionarie dei paesi dove il proletariatonon esiste, o quasi, con le masse oppresse dellecolonie, dei paesi orientali… L’imperialismomondiale dovrà cadere, quando l’assaltorivoluzionario degli operai sfruttati e oppressi diogni paese, vincendo la resistenza degli elementipiccolo-borghesi e l’influenza di un esile stratosuperiore di aristocrazia operaia, si unirà all’assaltorivoluzionario di centinaia di milioni di uomini chesono rimasti finora fuori dalla storia”. Queste parole ci forniscono una formulazionematura dell’internazionalismo proletario, fondatosu una concezione del processo rivoluzionariomondiale caratterizzato dalla partecipazione attivadelle grandi masse sfruttate e oppresse. Unsignificato non deformabile da nessuna concezioneborghese e revisionista. Dopo la Terza Internazionale si costituì neldopoguerra il Kominform, che si disintegrò, primaancora di assumere una forma completa, a causadella degenerazione revisionista kruscioviana.Il lavoro internazionalista non si è interrottodurante il periodo della degenerazione revisionistae del conseguente sfascio organizzativo. Lanecessità dell’avvicinamento, dell’unione deiproletari e delle masse lavoratrici dei diversi paesi,di tutti i popoli e le nazioni oppresse del mondo percombattere l’imperialismo e far trionfare ilsocialismo è rimasta la pietra angolare dellapolitica internazionalista dei partiti e delleorganizzazioni comunisti. L’attuale Movimento Comunista Internazionale ècostituito dai partiti e dalle organizzazioni chehanno proseguito i tentativi di organizzazione,lottando contro la degenerazione revisionista e lealtre correnti piccolo-borghesi, ponendosi sulterreno del marxismo-leninismo come fondamentodella linea generale del Movimento e basandosifermamente sulla classe operaia.Le iniziative sviluppate fin dalla Conferenza diQuito del 1994, hanno portato alla costruzione dellaConferenza Internazionale di Partiti eOrganizzazioni Marxisti-Leninisti, che esprimel’obiettivo della emancipazione della classe operaiae la prospettiva della rivoluzione mondiale. La Conferenza – composta da partiti eorganizzazioni che operano come reparti delmovimento operaio e comunista mondiale - è oggi

la più alta espressione dell’internazionalismoproletario e lavora per sviluppare l’unità e lasolidarietà attiva con tutte le forze che sipropongono di lottare seriamente per sviluppare ilpartito marxista-leninista nel proprio paese, diorganizzare il proletariato e i suoi alleati per fare larivoluzione. La Conferenza sta registrando importantiavanzamenti in campo ideologico, politico eorganizzativo, ed è divenuta un punto diriferimento indispensabile per i comunisti erivoluzionari di tutti i continenti, in prospettiva diuna nuova Internazionale comunista. PiattaformaComunista, in quanto organizzazione legata alMovimento Comunista Internazionale, si onora diapportare il suo modesto contributo a questa grandeimpresa.

Il libro di Diliberto, Giacché e Sorini èl’espressione di una corrente politica, quellarevisionista, la cui esistenza è praticamenteinevitabile. Lo è perché in ogni paese capitalista (e,per un certo periodo, nella stessa società socialista)esistono, accanto al proletariato, larghi strati dipiccola borghesia, di piccoli produttori, di “stratimedi”. Questi strati sociali vengonoinevitabilmente a contatto con il proletariato,influenzandolo con i propri interessi, concezioni,atteggiamenti, psicologia, penetrando tra le filadegli stessi partiti comunisti e generando unapressione volta a correggere, a rivedere, i principifondamentali e gli obiettivi del marxismo e delleninismo in tutti i campi. Questo fenomeno va combattuto risolutamente esconfitto per affermare la concezione e la praticaproletaria volta alla trasformazione del mondo. Lalotta di principio contro fronti del revisionismo

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costituisce dunque una delle cartine di tornasole perindividuare se un partito è autenticamentecomunista o meno. In questa lotta va evidenziato un punto cardinale:quanta più importanza assumono le questioni chedeterminano la direzione della lotta di classe delproletariato, quanto più il problema delrovesciamento della borghesia, dell’affermazionedel socialismo diviene un problema pratico, tantopiù sono acute le divergenze e le scissioni con irevisionisti. E non va mai dimenticato che laquestione del partito è una questione strategica,decisiva. Ci rendiamo conto che un approccio del genere siaostico da digerire in una situazione di profondaconfusione ideologica e politica come quellaattuale, in cui diventa sempre più pressante lanecessità sentita da molti sinceri comunisti erivoluzionari di arrivare senza ulteriori indugi epolemiche ad una nuova unità dei comunisti. Ma sul desiderio, tanto generoso quanto confuso,che fra i comunisti vi sia meno lotta intestina, vi siaun punto di aggregazione purchessia, non èpossibile ricostruire il partito. Noi dobbiamo saper riconoscere che laframmentazione, la confusione, l’eclettismo, losbandamento ideologico sono un prodotto stessodel revisionismo. Occorre perciò tener presente ilpericolo del carattere non comunista di determinateconcezioni, posizioni politiche, piattaformeprogrammatiche e il danno irreparabile per ilmovimento operaio di talune deviazioni. Di qui ilrifiuto del conciliatorismo con le correnti politicherevisioniste, che nonostante le diverse forme cheprendono hanno un tratto comune inconfondibile:dimenticano gli interessi vitali del proletariato,sacrificano questi interessi al vantaggio delmomento. Se facciamo nostra questa linea l'unificazione potrà

venire più lentamente, con difficoltà supplementari,con esitazioni e con ricadute, ma non potrà nonprogredire in quanto poggerà sempre su solide basi.Viceversa ci sarà l'illusione ottica dell’unitàraggiunta in quattro e quattr'otto, ma in pratica siostacolerà l'avvicinamento, la fusione ideale epratica delle diverse realtà in un’organizzazioneunica. Si favorirà nei fatti l’eclettismo e si sbarreràla strada verso il Partito comunista.Da questo punto di vista il processo di unificazionedei comunisti è inseparabile dai suoi fondamentiideologici, politici, programmatici e organizzativi.Esso è inoltre strettamente connesso alla lottacontro le deviazioni, le degenerazioni, ledeformazioni del marxismo-leninismo, che sonoaltrettante manifestazioni dell’influenza borghese epiccolo-borghese sul proletariato e che in ognimomento - essendo tendenze suscitate dallecondizioni oggettive - possono aprirsi una strada.L'unità viene allora a configurarsi come l’obiettivoe l’oggetto di una lotta accanita fra l'ideologiaproletaria e tutte le altre tendenze non-proletarie. E’ del tutto evidente che il partito comunista nonpuò rappresentare gli interessi di classicontrapposte, ma solo quelli della classe operaia,che gli elementi migliori del proletariato nonpossono unirsi nello stesso partito con irappresentanti della borghesia e della piccolaborghesia. Il partito che vogliamo, il Partito di cui ha bisognola classe operaia, dovrà essere un’organizzazioneaffiatata, fondata su unità monolitica,un’organizzazione unica degli autentici comunisti,non un puzzle, non un sistema di circoli tenutiassieme con la colla dell'eclettismo senza principi. Perciò facciamo nostra la massima leninistasecondo cui «prima di unirsi, e per unirsi, ènecessario innanzi tutto definirsi risolutamente enettamente» (Lenin).

Gli autori del libro hanno sollecitato unadiscussione aperta e libera. Abbiamo raccolto illoro invito e portato avanti il dibattito dal nostropunto di vista, criticando le loro argomentazioniall’altezza cui meritavano di essere affrontate.Abbiamo esposto ciò che pensiamo a cuore apertoe in tutta franchezza, perché non siamo mai statiipocriti e non lo saremo mai. Ci batteremmo senza sosta contro gli oppositori delmarxismo-leninismo, poiché, quando si tratta didifendere i principi, non possiamo entrare innegoziati e compromessi. Allo stesso tempo siamopronti a dibattere, ad approfondire l’analisi, ad

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aiutare sul piano della crescita ideologica i tantionesti comunisti, i compagni proletari, che ancoramilitano nei partiti revisionisti. In questo lavoro collettivo di vari compagni dellanostra organizzazione, che consegniamo aicomunisti e agli elementi avanzati del proletariato,abbiamo dimostrato l’opposizione frontale, diprincipio, delle tesi e delle posizioni adottate daDiliberto, Giacché e Sorini sulla formazione delpartito con quelle che sostengono i comunistimarxisti-leninisti organizzati in PiattaformaComunista.Agli occhi dei lettori emergeranno due lineeinconciliabili per la ricostruzione del partitocomunista. Sono diversi i punti di partenza(nazionali per loro, internazionali per noi), i mezzi(lotta parlamentare per loro, lotta rivoluzionaria delproletariato per noi), lo strumento (una riedizionedel PCI togliattiano per loro, il partito leninista pernoi), i fini (un nuovo rapporto fra Stato e mercatoper loro, il socialismo e il comunismo per noi). E’diversa l’analisi della situazione reale, delle forzedella rivoluzione e la strategia da seguire. Traqueste due linee occorre scegliere.Se c’è chi considera che la nostra lotta sia purapolemica, impregnata di dogmatismo o disettarismo, gli consigliamo di togliersi gli occhialirevisionisti per vederci chiaro. Da sempre tutti coloro che - in varie forme - hannocombattuto l’ideologia proletaria, hanno accusato imarxisti-leninisti, contrapponendo loro le piùsvariate combinazioni eclettiche con questa oquella scuola borghese. Il revisionismo, in particolare, ha camuffato la sualotta contro il marxismo-leninismo adottandoalcuni slogan demagogici: “la lotta contro ildogmatismo”, “la creativa applicazione delmarxismo-leninismo nelle particolari condizioni”,etc. Lo fanno anche Diliberto, Giacché e Sorini nel lorolibro, condannando l’uso “talora grottesco ecaricaturale del marxismo-leninismo”. Una criticache dovrebbero rivolgere a se stessi.Costoro sono i successori dei rinnegatisocialdemocratici, dei revisionisti e degliopportunisti della II Internazionale, di Kautsky, diBucharin e di Krusciov, i continuatori, incircostanze e condizioni differenti, della loro operaingloriosa. Per molto tempo costoro - che non sono mai statidei rivoluzionari bensì dei difensori dello statusquo incapaci di concepire altro sistema di potere,altre istituzioni che quelli attuali - hanno condivisole scelte più scellerate della borghesia (perfino la

guerra imperialista). E oggi hanno la pretesa divoler ricostruire il Partito, di elaborare presunteidee nuove per “correggere” e “completare” ilmarxismo-leninismo, in sintonia con lo “spirito deitempi”, ecc. In realtà costoro, nonostante le irrilevantidifferenze formali che manifestano nei loro giudizie nella loro condotta, hanno lo stesso scopo di tuttii revisionisti: combattere il marxismo-leninismo,negare l'ineluttabilità della rivoluzione proletaria,minare il socialismo, soffocare la lotta di classe eimpedire la costruzione di un vero partitocomunista. E con ciò la distruzione totale dellavecchia società capitalista.L’esperienza storica ha dimostrato che i revisionistie gli opportunisti sono i migliori difensori dellaborghesia, a volte meglio degli stessi borghesi. Al giorno d’oggi, l’approfondimento della crisicapitalista, lo sviluppo della lotta di classe su scalainternazionale, hanno fra le loro conseguenze ilfatto che la borghesia è costretta ad appoggiarsi suiriformisti, sui socialdemocratici e sui revisionisti.E’ una collaborazione stretta quella che si stabiliscela borghesia e tali correnti politiche, per mantenerela “pace e la coesione sociale” ed evitare lotterivoluzionarie. Essa si traduce nell’affossamentosistematico degli interessi della classe operaia e, inalcuni paesi, nella partecipazione al governo disocialdemocratici e revisionisti. Ai comunisti diciamo: non lasciatevi ingannare dinuovo, riflettete attentamente sui problemi digrande rilevanza per voi e per il mondo intero.Acconsentirete a essere scherniti ancora da questagente? Accetterete di portare ancora il giogo delcapitalismo, dissimulato sotto il manto delsocialismo? Accetterete di essere ancora ingannatisulla possibilità di pacifici avanzamenti nei limitidel capitalismo, sulla possibilità di trasformare lo

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stato borghese in strumento della classe operaia?Per quanto tempo permetterete che siaulteriormente ritardato il processo di formazione diun autentico partito comunista? Noi pensiamo che i sinceri comunisti – e ve ne sonotanti! – che militano ancora nelle formazionirevisioniste e socialdemocratiche sparanno trarre leloro conclusioni e agire di conseguenza.La classe operaia non ha bisogno di un nuovopartito revisionista, che funga da copertura asinistra di un blocco socialdemocratico, diun’appendice del cartello elettorale e del cretinismoparlamentare della sinistra borghese. Ha invece bisogno di un autentico partitocomunista che sia guidato dai principi delmarxismo-leninismo e dell’internazionalismoproletario: il Partito comunista del proletariatod’Italia!Ma questo partito non si può fare avendo nelleproprie fila i rappresentanti del revisionismo, dellasocialdemocrazia, dell’opportunismo. Se voiromperete decisamente e definitivamente conquesti rappresentanti, se vi unirete ai marxisti-leninisti, se seguirete la via della rivoluzioneproletaria, allora il partito sarà più vicino, e si potràfondare lo strumento indispensabile per inquadraree dirigere gli sforzi del proletariato, per portare allavittoria la sua rivoluzione sociale. La lotta per la formazione di un autentico partitocomunista nel nostro paese, non può avanzaresenza allontanarsi dal pantano del revisionismo,senza combattere a fondo chi vuole restarci ofinirvi dentro.Perciò la lotta continuerà fino a quando il

revisionismo, che nasce e si sviluppa come agentedella borghesia e dell’imperialismo, non saràcompletamente liquidato, in Italia e nel mondo. Noi compagni di Piattaforma Comunista seguiamola causa e gli insegnamenti di Marx. Engels, Lenine Stalin, la causa del socialismo e del comunismoche rappresentano il futuro del mondo.Vogliamo costruire il reparto di avanguardia,organizzato e cosciente, di una sola classe, ilproletariato; un partito di quadri con una linea dimassa, capace di applicare i principi del marxismo-leninismo alla situazione concreta. Su questa via continueremo a marciare, convintiche il nuovo periodo che sta davanti a noi, periododi conflitti aperti fra proletariato e borghesia, porràil problema del partito in modo più acuto e genereràle basi materiali per la soluzione del problema.Oltre mezzo secolo di egemonia revisionista rendel’opera complessa, specie in Italia, dove c’era il piùgrande dei partiti degenerati nell’occidentecapitalista. Ma è l'offensiva stessadell'imperialismo che non lascia margini, che faràcompiere passi in avanti al processo di formazionedel partito politico indipendente e rivoluzionariodella classe operaia. Noi abbiamo fiducia nella forza rivoluzionaria delproletariato, che non può e non vuole rassegnarsialla sconfitta, che può e deve dirigere l’alleanza diclasse con le masse lavoratrici per l’abbattimentorivoluzionario del dominio borghese e la vittoriadefinitiva del socialismo. Perciò siamo certi che questa forza prima o poi simanifesterà e che essa, con la sua lotta e a prezzo disacrifici, si eleverà all'altezza delle esigenze. La situazione non è facile, ma ricordiamo le paroledi Stalin: “Non c'è fortezza che i comunisti nonriescano ad espugnare”. Questo ottimismorivoluzionario deriva dalle leggi obiettive disviluppo della società. Il capitalismo è un sistemamorente, un ordinamento sociale condannato asparire dalla storia, a essere soppiantato da unnuovo e superiore ordinamento sociale in marciaverso la società senza classi. Né l’accanitaresistenza della borghesia, né il tradimento delrevisionismo potranno salvarlo. Il futuro appartieneal comunismo, avanti compagni!

Ottobre 2011

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