TOGLITI I SANDALI!

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40 ATTO DI AMORE di S. Giovanni M. Vianney - Curato D'Ars Ti amo, mio Dio, e il mio desiderio é di amarti fino all’ultimo respiro della mia vita. Ti amo, o Dio infinitamente amabile, e preferisco morire amandoti, piuttosto che vivere un solo istante senza amarti. Ti amo, Signore, e l’unica grazia che ti chiedo è di amarti eternamente. Ti amo, mio Dio, e desidero il cielo, soltanto per avere la felicità di amarti perfettamente. Mio Dio, se la mia lingua non può dire ad ogni istante: ti amo, voglio che il mio cuore te lo ripeta ogni volta che respiro. Ti amo, mio divino Salvatore, perché sei stato crocifisso per me, e mi tieni quaggiù crocifisso con te. Mio Dio, fammi la grazia di morire amandoti e sapendo che ti amo. ESERCIZI SPIRITUALI PARROCCHIALI TOGLITI I SANDALI! parrocchia s. paolo quaresima duemiladieci

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ATTO DI AMORE di S. Giovanni M. Vianney - Curato D'Ars

Ti amo, mio Dio, e il mio desiderio é di amarti fino all’ultimo respiro

della mia vita. Ti amo, o Dio infinitamente amabile,

e preferisco morire amandoti, piuttosto che vivere un solo istante senza amarti.

Ti amo, Signore, e l’unica grazia che ti chiedo è di amarti eternamente.

Ti amo, mio Dio, e desidero il cielo, soltanto per avere la felicità di amarti perfettamente.

Mio Dio, se la mia lingua non può dire ad ogni istante: ti amo,

voglio che il mio cuore te lo ripeta ogni volta che respiro.

Ti amo, mio divino Salvatore, perché sei stato crocifisso per me,

e mi tieni quaggiù crocifisso con te. Mio Dio, fammi la grazia di morire amandoti

e sapendo che ti amo.

ESERCIZI SPIRITUALI

PARROCCHIALI

TOGLITI I

SANDALI!

parrocchia s. paolo quaresima duemiladieci

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ALCUNE INDICAZIONI PRATICHE PER VI-VERE BENE

QUESTO TEMPO DI GRAZIA…

Darsi dei tempi: stabilisci degli orari per la tua preghiera personale che puoi veramente osservare in questa settimana

e restaci fedele, costi quel che costi!

Darsi un ambiente: scegli il luogo dove incontrare il Signore

(chiesa, casa…), dove ti trovi a tuo agio, dove puoi restare in silenzio e non essere disturbato

Darsi una calmata: cerca di ridurre il più possibile incontri, riunioni, chiacchere…

per non disperderti e restare raccolto

Darsi uno stile: individua come strutturare la tua preghiera*

Darsi un’opportunità: per approfondire il proprio cammino di amicizia con il Signore.

Per confrontarsi o condividere con i propri sacerdoti o con chi scegliamo noi il dono della fede.

Darsi gli strumenti: la Bibbia, anzitutto, e perché no, carta e penna!

*la preghiera potrebbe avere questa struttura: mi metto alla presenza del Signore, invoco lo Spirito. Leggo i testi

proposti, cerco i passi biblici. Mi fermo su ciò che mi colpisce di più. Chiedo di cogliere il frutto della giornata. Parlo con il Signore

da amico a amico. Finisco con un Padre nostro.

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Sono a disposizione della mia famiglia? Prendo con serietà il mio dovere di educato-re? Sono giusto verso i miei figli e li amo, oppure sono duro o troppo indulgente? Cerco di comprenderli? Contribuisco alla vita religiosa della mia famiglia? Mi preoc-cupo del tempo libero dei miei figli? Nella scelta dei programmi televisivi o nell’abbonarmi a un giornale o a delle riviste, tengo conto dei miei figli? Mi intrometto indebitamente nella vita privata dei miei figli più grandi? Manco di amore e di riconoscenza, di rispetto verso i miei genitori. Li ho aiutati se ammalati, poveri, vecchi? C’è posto in casa nostra per l’amore del prossimo e per l’ospitalità? Vivo l’amore familiare in modo da essere di esempio e incoraggiamento per le altre famiglie? Nella professione e nella testimonianza Faccio della mia professione un servizio efficace di amore verso il prossimo? Oppure la considero unicamente come strumento di guadagno, come affermazione di me stesso sugli altri? Metto al primo posto il bene delle persone oppure il denaro, la car-riera e per questo sono disposto a tutto? Lavoro con onestà? Mi lascio guidare dal senso di responsabilità e sono coscienzioso? Oppure sono pigro e vivo alle spalle degli altri? Qual è il mio rapporto con i superiori? Sono solidale con i miei colleghi di lavoro? Cerco di instaurare un rapporto di cordialità e di amicizia con loro. Oppure sono causa di discordia perché lunatico, egoista, invidioso, permaloso, disonesto? Sono retto e vero? Oppure sono falso e insincero? Ho recato danno alla mia salute, esagerando nel bere, fumare, lavorare…? Mi pro-curo un riposo giusto e sufficiente? Do un peso eccessivo al lusso e alla moda? Esage-ro nell’uso dei cosmetici? Che uso faccio dei mie beni? Li sperpero? Sono avaro? Vi è un rapporto fra ciò che possiedo e l’aiuto che offro per sollevare il bisogno degli altri? Quali sono i difetti nei quali ricado con maggiore facilità? Sono sospettoso, pre-potente, ambizioso, geloso, astioso, malizioso, permaloso, disprezzante, vendicatore, indolente imprudente? Cerco di sviluppare i miei talenti e le mie buone qualità?

PREGHIERA DI RINGRAZIAMENTO Grazie, o Dio, della tua misericordia che tutto sovrasta e pacifica. Tu mi scruti e mi conosci fino in fondo e neppure le tenebre per te sono oscure. Tu mi ami al di là del mio peccato e hai una illimitata fiducia in me, piccola e fragile creatura. Grazie, Padre misericordioso che sem-pre mi attendi sulla soglia di casa per riabbracciarmi e rivestirmi della dignità di figlio. Grazie, Gesù Pastore buono, che vieni in cerca di me, pecorella smarrita, per ricondurmi nel tuo ovile: la Chiesa. Grazie, Spirito santificatore, che vinci ogni mia resistenza e mi rinnovi ad immagine e somiglianza di Dio. Custodite, o Trinità SS.ma, i propositi che ho espresso affinché venga accolto nel vostro Regno per cantare in eterno, con tutti i santi, la vostra infinita misericordia. Amen

PRENDO UN IMPEGNO CONCRETO PER LA MIA VITA E LO 0FFR0 AL SI-GNORE

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incontriamo più o meno frequentemente, e il nostro atteggiamento apparirà chiaramen-

te: quanti di loro abbiamo ferito, ingannato, offeso, abbiamo indotto in tentazione in

un modo o nell’altro?

Possiamo infine fare ricorso al giudizio dell’evangelo con questa domanda: come ci

giudicherebbe il Salvatore se considerasse la nostra vita?

Succede di frequente che qualcuno si accosti a me per confessarsi dicendo: “Non so che

cosa confessare, è sempre la stessa cosa”. Queste parole denotano una colpevole caren-

za di attenzione nei confronti della vita. Alla sera di una qualunque giornata, c’è qual-

cuno di noi che può davvero dire di aver compiuto tutto quello che era possibile, di aver

avuto pensieri e sentimenti di purezza irreprensibile, di non aver trascurato nessuna

attività che doveva e poteva compiere, e che neanche una delle sue azioni sia stata toc-

cata dall’imperfezione? Chi può dire che i suoi peccati non sono stati confusi, che il suo

cuore non si è offuscato, che la sua volontà non ha vacillato, che il suo comportamento e

i suoi desideri non sono stati toccati dall’indegnità?

SECONDA TRACCIA Vivere con Dio Riconosco in Dio il Signore della mia vita? In tutte le cose e in ogni circostanza? Ho fiducia in lui, anche nei momenti difficili? Mi sono ribellato contro di lui? Sono indiffe-rente nei confronti della religione e della fede? Mi impegno a crescere nella cono-scenza della fede del mio battesimo? Ho agito contro la fede con pratiche supersti-ziose, discorsi o atteggiamenti irreligiosi? Cerco di istruirmi e di progredire nella co-noscenza della religione? Gesù Cristo è veramente vivo in me, presente accanto a me nella mia vita? Lo incon-tro nella mia preghiera e nei sacramenti? Mi accosto solo raramente alla mensa eu-caristica o al sacramento della penitenza? Faccio questo solo per consuetudine? Pec-cando, ho forse pensato: Tanto, Dio perdona ugualmente? Trovo il tempo per pregare per meditare la Parola di Dio, il Vangelo? E’ da tanto tempo che non prego più? Ho conservato puro e casto il mio corpo, pensando che è tempio dello Spirito Santo? Ho custodito i miei sensi e ho evitato di contaminarmi nello spirito e nel corpo con pensieri e desideri cattivi, con parole e azioni indegne? Nella Chiesa Qual è il mio rapporto con la Chiesa? Offro una presenza costruttiva in seno alla mia comunità? Partecipo attivamente alla celebrazione dell’Eucarestia? Sono disposto ad assumermi degli impegni? Le mie osservazioni e le mie critiche sono costruttive? Che cosa è la domenica per me? (Giorno del Signore, celebrazione dell’Eucarestia, riposo) ho favorito anche presso altri la partecipazione alla preghiera della Chiesa? Prego per la chiesa e per il mondo, l’unità dei cristiani, per il papa, per le vocazioni, la pace, e altre necessità cristiane? Nella famiglia Rispetto la persona e la dignità del mio coniuge? Contribuisco alla crescita del nostro amore reciproco? Oppure sono egoista, senza riguardo, permaloso, ostinato, vendi-cativo? Nel rapporto con l’altro ho cercato solo me stesso? Ho mancato di fedeltà, anche solo nel desiderio? Ho ucciso la vita con l’aborto, aiutato altri a compierlo?

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IL TEMA:“TOGLITI I SANDALI! ” Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote

di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio,

l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un

roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si

consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettaco-

lo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per vede-

re e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Ri-

prese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu

stai è una terra santa!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo,

il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva

paura di guardare verso Dio. (Es 3,1-6)

Mosè sta pascolando il gregge, sta semplicemente compiendo il suo dovere. Ed è in questa quotidianità che Dio si rivela, che il Signore appare in tutta la sua bellezza. Dio si presenta a Mosè come fuoco in un cespuglio che non viene con-sumato dalle fiamme. Quando Dio interviene, all’apparenza, subentra lo straor-dinario ed inevitabilmente la storia di Mosè si distanzia dalla storia di chiunque altro, dalla nostra storia, nella quale difficilmente abbiamo avuto la possibilità di vedere roveti che bruciano ma non si consumano. Fino a questa scena invece la storia di Mosè era vicina alla nostra. E’ la straordinarietà della rivelazione di Dio a differenziarla. Ma ne siamo così certi? Proviamo a chiederci perché questo racconto, per descrivere l’ingresso di Dio nella storia di Mosè, utilizzi quest’immagine. Dio si presenta come fuoco che non consuma. Ci chiediamo: che cos’è il fuoco, che funzioni ha. Certamente il fuoco riscalda, illumina la notte, tiene lontane le bestie feroci, permette all’uomo di assaporare il gusto del cibo, migliora la qualità della vita dell’uomo, potrem-mo dire che è un bene indispensabile della vita. Ma il fuoco anche è terribile, perché distrugge ogni cosa. Dio è presentato come un fuoco che non distrugge, un fuoco che riscalda il cuore, che lo appassiona (ritorna alla mente l’espressione dei discepoli di Emmaus in Lc 24,32 “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?”), fuoco capace di illu-minare anche le tenebre più fitte, fuoco che si offre all’uomo per rivelare la pos-sibile bellezza della vita. E questo fuoco non è mai stato presente nel nostro cuo-re? Vogliamo portare questo fuoco nel nostro quotidiano, nella nostra vita di ogni giorno. Vogliamo infiammare con il fuoco dello Spirito la banalità della vita ordinaria per trasfigurarla in incontro amoroso con il nostro Signore Gesù. Per vivere con i piedi a terra e gli occhi rivolti al Cielo. Buoni esercizi!

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LUNEDÌ 22 CATTEDRA DI S. PIETRO

LA PAROLA DEL GIORNO + Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,13-19) In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Rispose-ro: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pie-tro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pie-tra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». COME VIVERE QUESTA PAROLA?

Lungo la strada, presso Cesarea di Filippo, alla vista del mare, i discepoli camminano raccontandosi le esperienze fatte, le voci che corrono sul con-to del Maestro. Arriva puntuale la domanda di Gesù: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". E gli apostoli ripetono quello che hanno sen-tito: "Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti". Da questa risposta risulta che la gente ha capito che Gesù non è uno qualunque, ma un uomo di Dio. Tuttavia, Gesù, quasi non contento, incalza con un'altra domanda: "Voi chi dite che io sia?". Il suo interrogativo non nasce dalla curiosità di sape-re che cosa i discepoli pensano di lui, ma dalla volontà di renderli più con-sapevoli di quello che dicono di credere. Egli vuole un rapporto vivo, pro-fondo con ciascuno dei suoi, e vuole che la loro scelta di seguirlo sia libe-ra, motivata. Oggi anche a noi, suoi discepoli, pone la stessa domanda. Abbiamo la stessa chiarezza di Pietro? Quella chiarezza che, come dice Cristo, gli viene dall'alto: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cie-li" (Mt 16,17). Conoscere a fondo Gesù è il fine supremo di ogni vita cri-stiana: una meta che non si raggiungerà definitivamente su questa terra,

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PER IL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE DUE PAROLE INTRODUTTIVE… Vivere il dono della misericordia del Signore è essere rinnovati in tutta la nostra persona dal suo Amore che brucia il nostro peccato e ci infiamma di vita nuova. Viviamo in modo rinnovato questo momento in questi eser-cizi. Qui di seguito troviamo due tracce per prepararci con responsabilità. Può essere anche l’occasione per fare una verifica del proprio cammino di fede: per che cosa voglio ringraziare il Signore? Cosa faccio fatica a capi-re di Lui? Quali ferite bruciano in me? Occasione preziosa per rilanciare la propria vita spirituale…

PREGHIERA DI PREPARAZIONE Illumina, Signore, il mio cuore: donami una vera conoscenza dei miei peccati ma, soprattut-to, della tua misericordia, così che li confessi sinceramente pentito e col fermo proposito di non commetterli più. Ho fiducia in te, Padre, perché tu non vuoi la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Confido in te, Figlio, perché tu non sei venuto per i sani ma per i mala-ti. Invoco la tua potenza, Spirito Santo, perché tu cambi il mio cuore di pietra in cuore di car-ne. E tu, Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte. Amen

PRIMA TRACCIA Spesso mi chiedono: come bisogna confessarsi? La risposta più diretta, più decisa che si

possa dare è la seguente: confessati come se fossi in punto di morte, confessai come se

fosse l’ultima volta che ti viene data sulla terra la possibilità di fare un atto di pentimen-

to per tutta la tua vita passata prima di entrare nell’eternità e di trovarti di fronte al

giudizio di Dio, come si trattasse dell’ultima possibilità di scaricare dalle tue spalle il

fardello di una lunga vita di menzogna e di peccato per entrare liberato nel regno di Dio

(…). In primo luogo la confessione personale deve limitarsi a una persona, alla mia per-

sona, perché è il mo destino personale a essere in gioco. Per quanto possa essere imper-

fetto il giudizio che proferisco su me stesso, è da qui che bisogna cominciare, e bisogna

farlo chiedendosi: di che cosa mi vergogno della mia vita? Quali sono le cose che vo-

glio nascondere di fronte al volto di Dio, o che voglio nascondere di fronte al giudizio

della mia stessa coscienza e che mi fanno paura? Ma ci sono altri punti da esaminare.

Basta che ci guardiamo attorno e ci rammentiamo di quello che gli altri pensano di noi,

di quali sono le loro reazioni nei nostri confronti, di ciò che succede quando ci troviamo

in mezzo a loro, per scoprire nuove ragioni per emettere un giudizio su noi stessi. Sap-

piamo bene di non essere sempre portatori di gioia e di pace, di verità e di bontà nelle

nostre relazioni con gli altri. Basta scorrere la lista dei nostri amici più vicini, quelli che

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ma che può rendersi più vicina nel vivere con amore ogni attimo alla pre-senza del suo Volto.

TOGLITI I SANDALI, PERCHE’ LA CUCINA DOVE TU STAI E’ TERRA SANTA!

Oggi per noi è il primo giorno dei nostri esercizi spiri-tuali. Vogliamo, come Mosè, fare esperienza di Dio. Un’esperienza forte, personale, che cambi la nostra vita. Vogliamo conoscere Gesù partendo dalla cucina, dalle

nostre cucine. Solitamente è il luogo più familiare in una casa, dove spes-so ci si ritrova insieme non solo per mangiare ma anche per bere un caffè in compagnia di amici e conoscenti. La parola cucina evoca nella nostra mente volti, situazioni, profumi e tavole apparecchiate. Vogliamo fissare la nostra attenzione in particolare sul gesto per eccellenza che avviene in cucina e che è quello della preparazione dei pasti. L’arte del cucinare chiede tempo e pazienza: per pulire la verdure, per aspettare che il lievito gonfi la pasta, che il borbottio sommesso cuocia con delicatezza il ragù…Prepara da mangiare chiede dedizione e cura: non è la stessa cosa prepara-re il cibo per il proprio gatto o canarino e le persone che amiamo! Si cerca di indovinare i gusti, di preparare piatti che facciano star bene il corpo ma anche il cuore, di rendere speciale un momento importante della vita. E’ un gesto gratuito, non dettato dal fare qualcosa per avere in cambio qual-cos’altro, ma unicamente mosso dal dimostrare affetto e dedizione per chi si ama. Infine, cucinare chiede fedeltà e perseveranza. Ogni giorno, per almeno due volte al giorno, il brontolio delle nostre pance ci richiama alla necessità di nutrirci. Una necessità mai finita che chiede quindi una prepa-razione mai finita di cibo per il nostro sostentamento. Cucinare per una famiglia, per se stessi, ci impegna tutti i giorni, fino alla fine. Non se ne può fare a meno: fedeltà e perseveranza sono i tratti che emergono da que-sto aspetto. Vivere la fede in cucina è scoprire in queste realtà il volto di Cristo. La pazienza e l’attesa ci richiamano in modo immediato al buon Gesù che ancora non si è stancato di noi ma aspetta la nostra conversione. Guardo la torta che sta lievitando nel forno: è la mia vita spirituale, chiamata a cre-

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scere e a giungere alla pienezza in Cristo! Pazientemente sbuccio le pata-te: ma quanta pazienza ha il Signore nei miei confronti! non si stanca ma rinnova il suo amore per me! Oggi ho spadellato tutto il giorno…hanno mangiato senza dirmi neanche “brava!” o “complimenti!”…ma io ringra-zio il Signore per quello che fa per me? Oggi è domenica: bistecca e insa-lata…tanto è solo la settima volta che la faccio questa settimana…la cura e la dedizione per la mia famiglia, per me stesso…la fedeltà e la perseve-ranza…il Signore non si stanca di prendersi cura di me con mille attenzio-ni e premure. Quante persone, quanti situazioni sono segni del suo amore! Il Signore non mi abbandona mai, io invece… PER LA NOSTRA RIFLESSIONE E PREGHIERA

Questo testo ci aiuta a riflettere sulla GRATUITA’ delle nostre azioni 15. Se hai donato a Dio, non aspettarti lodi In questo monte (Natron) abitò anche il beato Pambo, maestro del vesco-vo Dioscoro e dei fratelli Ammonio, Eusebio ed Eutimio, ed anche di Ori-gene, nipote di Draconzio; fu un uomo illustre ed ammirabile. Questo Pambo dunque compí molte belle azioni ed ebbe varie doti eccezionali, fra gli altri suoi grandi successi, in questo particolarmente si dimostrò su-periore: disprezzava l'oro e l'argento, come ci impone la parola del Signo-re. A questo riguardo, ecco cosa mi narrò la beata Melania. « Appena io giunsi da Roma ad Alessandria, il presbitero addetto all'ospitalità mi parlò delle virtú di Pambo e mi condusse da lui nell'eremo; e a lui io portai og-getti d'argento per il peso di trecento libbre, supplicandolo di voler pren-der parte ai miei beni. Ed egli, — diceva Melania — standosene seduto e continuando ad intrecciare rami, mi benedisse a gran voce dicendo: " Il Signore ti ricompensi " Poi soggiunse al suo amministratore Origene: " Prendili e distribuiscili a tutti i fratelli in Libia e nelle isole: quei monaste-ri ne hanno bisogno piú degli altri" E gli prescrisse di non dar di quei beni a nessuno in Egitto essendo questa una regione ricca. E io—continuava Melania— me ne stavo aspettando che mi benedicesse, mi glorificasse, o almeno mi dicesse una parola di lode per un tale dono. Ma non udii da lui assolutamente nulla, allora gli dissi. " Signore, perché tu sappia quanto è, sono trecento libbre d'argento" Ed egli, neppur alzando la testa né badan-do alla cassa con gli oggetti, mi rispose: " Colui a cui l'hai portata, o figlia,

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per non distinguere i nemici dagli amici e lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato, del carcerato, dell’omicida, di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio, finché tutti abbiano capito nel mio il tuo Amore.

( Madeleine Delbrel )

FRUTTO DELLA GIORNATA

Nella mia preghiera di oggi chiedo al Signore ⇒ di scoprire la fraternità come segno della nuova umanità ⇒ di far crescere in me il desiderio del servizio ⇒ di gustare la forza dell’amore di Dio capace di grandi cose

TESTI BIBLICI DI RIFERIMENTO Sulla fraternità: Gn 4, 1-16 Rm 12, 3-13 1 Cor 12, 12-27 Sul servizio: Gv 13, 1-2o 1 Pt 2, 21-25 Sull’amore di Dio: Rm 8, 31-39 1 Cor 12, 12-27

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né tre, ma un'enorme moltitudine quelli che potrebbero dedicarsi alla cura dei negligenti, non certo d'altra fonte, ma solo dalla nostra neghittosità dipende che i più cadono e si perdono per debolezza. Non è assurdo che, se vediamo sulla piazza una contesa, accorriamo e separiamo i contenden-ti—e perché parlo di una contesa? se vediamo un asino cadere, tutti por-giamo la mano e tentiamo di rialzarlo; invece non ci prendiamo cura dei fratelli che si perdono? Il bestemmiatore è un asino, che non sopportando più il peso dell'ira è caduto: accorri, sollevano con parole, opere, dolcezza ed energia. sia varia la medicina! Se disponiamo così le nostre cose e ci addossiamo la salvezza del prossimo diventeremo subito cari e desiderabi-li a coloro che desiderano la correzione; e, ciò che è più grande di tutto, godremo dei beni riposti, che sia dato a noi tutti di raggiungere, per l'amo-re e la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, per il quale e con il quale al Padre insieme con lo Spirito Santo sia gloria, potenza, onore, ora e sem-pre, e nei secoli dei secoli. Amen. (Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue, 1, 12) Un bel brano per ravvivare il desiderio di PORTARCI a vicenda - I pesi degli altri Chi sono coloro che portano a vicenda i pesi altrui, se non quelli che han-no la carità? Coloro che non hanno la carità son di peso l'un l'altro; ma quelli che hanno la carità, si sorreggono a vicenda. Se qualcuno ti ha offe-so e ti chiede scusa, se tu non gliela concedi, tu non porti i pesi di tuo fra-tello; ma, se gliela concedi, tu sorreggi chi è infermo... Tu però dici. « So-no piccolezze, sono minuzie inevitabili in questa vita ». Ma raccogli le piccolezze e ne avrai un mucchio gigantesco! Anche i granelli di frumento sono piccoli, eppure formano una massa enorme, anche le gocce sono pic-cole, eppure riempiono i fiumi e trascinano i macigni. (Agostino, Esposi-zioni sui Salmi, 129, 4-5) IL CATINO DI ACQUA SPORCA…. Se dovessi scegliere una reliquia della tua Passione prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede cingermi dell’asciugatoio e curvarmi giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio

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non ha bisogno di saperne da te il peso. Lui infatti che pesa i monti e mette i boschi sulla bilancia (cf. Is. 40, 12), quanto meglio conoscerà la quantità di questo argento. Se lo avessi dato a me avresti fatto bene a dirmene il peso; ma poiché l'hai offerto a Dio, il quale non disprezzò neppure le due moneti-no della povera vedova, ma anzi la stimò più di tutto, taci! " Cosí operava la grazia del Signore —concluse Melania—quando visitai quel monte. (Palladio di Elenopoli, Vita dei santi padri, 10) Al centro di questi brani il tema della PAZIENZA e CURA di Dio 26. - Dio ha cura di noi come l'agricoltore del suo campo Noi ci occupiamo di Dio nel culto, e Dio ha cura di noi. Ma noi non ce ne occupiamo in modo che il nostro culto lo renda migliore: lo facciamo ado-randolo, non curandolo. Egli invece ha cura di noi come l'agricoltore del campo. E in quanto ha cura ci rende migliori, proprio come l'agricoltore rende migliore il campo coltivandolo. Ed anche in noi cerca frutto: che noi abbiamo cura di lui. La cura per il suo campo, che siamo noi, consiste in ciò: egli non cessa di strappare dal nostro cuore, con la sua parola, le se-menti cattive, di aprire il nostro cuore con l'aratro della predicazione, di spargervi la semente dei comandamenti, attendendo il frutto della pietà. Se noi accogliamo nel nostro cuore questa sua cura in modo da dedicarci a lui, non siamo ingrati al nostro agricoltore, ma gli porgiamo i frutti di cui possa rallegrarsi. E i nostri frutti non fanno più ricco lui, ma rendono più beati noi. Ciò che ci spinge ad esercitare la pazienza non è un impulso umano ad u-n'imperturbabilità simile al torpore degli animali, ma la divina disposizione e l'ammaestramento vivo e celestiale, perché Dio stesso per primo ci ha dato esempio di pazienza. Innanzi tutto egli diffonde la rugiada della luce egual-mente sui giusti e sugli ingiusti, fa che si presentino i benefici delle stagioni, il servizio degli elementi, i beni della forza rigeneratrice, sia ai degni che agli indegni, sostiene così i pagani ingrati, che adorano il misero frutto delle arti, le opere delle loro mani e perseguitano il Suo nome e la Sua famiglia, la loro lussuria, la loro avarizia, la loro scelleratezza, la loro malvagità che ogni giorno si manifesta, tanto che la Sua pazienza sembra nuocere al Suo onore: molti infatti non credono al Signore perché non lo vedono adirarsi contro il mondo. Questa specie di pazienza divina la consideriamo forse lontana, adatta agli esseri superiori. Ma che è di quella specie di pazienza che si manifestò tra gli uomini e sulla terra e si rese quasi palpabile e afferrabile? Dio si com-

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piacque di venir concepito nel seno materno, e attese con pazienza il mo-mento della nascita. Nato, sopportò di crescere; cresciuto, non desiderò di farsi conoscere. Egli stesso osteggiò il proprio onore, si fece battezzare dal suo servo e solo con parole si oppose agli attacchi del tentatore. E così il Signore si fece maestro per insegnare agli uomini ad affrontare la morte, dopo aver insegnato come la pazienza offesa sappia riconciliarsi piena-mente. Egli non gridò, non contese, e nessuno udì la sua voce nelle piaz-ze; non spezzò la canna fessa, non smorzò il lucignolo fumigante. Il profe-ta non ha mentito Dio stesso, che ha posto il suo Spirito con tutta la sua pazienza nel suo Figlio, gli ha piuttosto reso testimonianza. Tutti coloro che volevano seguirlo, egli li accolse, non si vergognò di nessuna mensa, di nessun tetto, anzi, si fece egli stesso servo, lavando i piedi ai discepoli. Non disprezzò i peccatori e i pubblicani, neppure si adirò per la città che non lo volle accogliere, mentre i suoi discepoli chiedevano perfino di far cadere il fuoco dal cielo su quel luogo iniquo. guarì gli ingrati e perdonò ai persecutori. Ancor troppo poco! Anche il suo traditore egli aveva pres-so di se e non lo stigmatizzò energicamente. Quando fu tradito e fu con-dotto come una pecora al macello—- ed egli non aprì la sua bocca, come un agnello davanti al tosatore —, egli, alla cui semplice parola, se avesse voluto, sarebbero apparse legioni di angeli. non volle neppure che la spada di uno solo dei suoi discepoli facesse vendetta. La magnanimità del Si-gnore venne ferita nella persona di Malco; per questo egli maledì, anche per il futuro, l'opera della spada, e beneficò colui che fu, non da lui, colpi-to, ridonandogli la salute, per la Sua magnanimità, che è madre della mi-sericordia. Taccio la sua crocifissione, perché proprio a questo scopo egli venne. Ma, per subire la morte erano necessari anche gli insulti? No; ma egli volle saziare in pieno la sua brama di sopportare. Vien ricoperto di sputi, flagellato, disprezzato, in modo oltraggioso vestito e, peggio ancora, incoronato. Mirabile perseveranza e imperturbabilità! Egli, che si era pro-posto di nascondersi sotto l'aspetto umano, non imitò in nulla l'impazienza dell'uomo. Proprio per questo, o farisei, avreste dovuto riconoscerlo Si-gnore... Nessun uomo mai avrebbe mostrato una tale pazienza. (Agostino, Discorsi)

Questa ultima riflessione ha come tema la CURA e la BELLEZZA L’amore penetra la materia A partire dal vestito, dalla stanza in cui abitiamo, dobbiamo dare

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tive da attuare nel segno della saggezza, della comunione e del coraggio evangelico. «Non basta, però, aggiornare i programmi pastorali, i linguag-gi, gli strumenti della comunicazione, non bastano neppure le attività cari-tative. Occorre una fioritura di santità. Essere santi significa vivere in co-munione con Dio, che è il solo Santo, e, poiché Dio è carità, lasciarsi pla-smare il cuore e la vita dalla forza della sua carità» Per questo il Sinodo invita a fissare lo sguardo su Maria, Madre della Chiesa. «Alla scuola di Maria si apprende ad essere, come Lei, anime ecclesiali, ardenti di amore, nelle quali dimora Dio per mezzo dello suo Spirito» In Maria, che nella vita terrena incarnò la forma perfetta del discepolo”, troviamo la guida sicura per entrare più profondamente nel mistero di Cristo e della Chiesa e il sostegno nel cammino di conversione pastorale, per divenire sempre più

capaci di seguire Gesù sulla strada dell’amore incondizionato al Padre e ai fratelli. Lo stile co-munionale della parrocchia si caratterizza per l’accoglienza, che è principalmente ascolto e ac-compagnamento delle persone, per aiutarle a tro-vare il senso di quello che stanno vivendo e per avviare con loro un cammino di riscoperta della fede, a partire dalle domande che magari confusa-mente affiorano nella loro vita. L’accoglienza ri-sponde alle attese dell’uomo contemporaneo che chiede alla parrocchia «autenticità e prossimità» Vissuta con uno stile di gratuità, l’accoglienza dà

credibilità all’agire pastorale ed è via per «l’annuncio, fatto di parola ami-chevole e, in tempi e modi opportuni, di esplicita presentazione di Cristo, Salvatore del mondo. Per l’evangelizzazione è essenziale la comunicazio-ne della fede da credente a credente, da persona a persona. Il volto comu-nitario della parrocchia trova visibilità convincente e costruttiva nella cura per la qualità del cammino ordinario di fede e nella realizzazione di pochi e importanti eventi, unitari e ben curati, da cui far trasparire il Mistero del-la Grazia e l’apertura alla missione e alla cattolicità.

(Dalle Costituzioni sinodali) Il testo seguente ci invita ad essere RESPONSABILI gli uni de-gli altri l. - Responsabilità per la comunità Occupiamoci della salvezza dei nostri fratelli. Un uomo infiammato di fede riesce a raddrizzare un popolo intero. Perciò, non essendo uno né due

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fiducioso spalancarci ad essa. Credo, Signore! Sì, credo che la fede, senza l’impegno di una sincera fraternità con tutti, è cosa morta. Credo, Signore! Sì, credo che la devozione rende davvero devoto il cuore impregnandolo di un sentimento profondo e riverenziale per te, se pen-so bene, dico bene degli altri e voglio loro bene.

Credo, Signore! Sì, credo, col tuo aiuto, che l’acqua della carità che verso nel cuore degli altri zampilla poi, in getto puro e lieto a lode del tuo nome anche dentro di me. TOGLITI I SANDALI, PERCHE’ LA PARROCCHIA DOVE TU STAI E’ TERRA SANTA!

Il sogno di Dio è ricomporre la frattura causata dal peccato originale che ha trascinato il mondo nel baratro della violenza, della morte, dell’egoismo e del prevalere sul mio fratello. In Cristo questo sogno è di-ventato realtà, certezza. La nostra vita di fede non solo è chiamata a crede-re a questo meraviglioso dono ma a realizzarlo, fin da adesso. La pienezza sarà alla fine ma a noi prepararla. La parrocchia diventa allora il grembo di questo nuovo nuova umanità. La mia comunità cristiana è il luogo dove costruire relazioni fraterne prendendomi cura dei miei fratelli. Io sono membro del Corpo di Cristo, che è la Chiesa. La mia presenza è preziosa e insostituibile: ognuno di noi, con il proprio carisma, contribuisce a edifi-care questa meravigliosa casa che è la mia parrocchia. Ci si da una mano a vicenda, per stare tutti bene: se un membro soffre, tutto il corpo soffre, ci ricorda S. Paolo. Corresponsabilità, impegno, legami fraterni e familiari: pensiamo a che forza avrebbe la nostra testimonianza se li nostre comuni-tà fossero così! Che gioia se un non-credente, guardandoci, esclamasse “Ma che bella la vita dei cristiani! Guarda come si vogliono bene!”. Non solo la nostra testimonianza è fondamentale ma anche quella comunitaria è altrettanto preziosa. PER LA NOSTRA RIFLESSIONE E PREGHIERA

Il dono del Sinodo ci invita a costruire una comunità dal VOLTO FRATERNO L’edificazione di una parrocchia dal volto conciliare comporta la ricerca di nuove strade, l’adozione di stili diversi di fare pastorale e nuove inizia-

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un’impronta personale al mondo intorno a noi. La bellezza è trasformante. Se abbiamo delle case in cui si respira l’armonia, chi entra coglie già un ambiente spirituale, è colpito. Questo qualche volta può essere la massima evangelizzazione possibile, se uno viene in casa nostra ed esce con la “nostalgia” di quest’ambiente. Cucinare, mangiare, anche queste cose so-no molto importanti. Mangiare non è il mangiare soltanto, ma è una sorta di atto liturgico che sarebbe un peccato banalizzare. È una vera evangeliz-zazione se il tavolo è bello, se colpisce l’occhio con la sobrietà e l’eleganza, se ha sopra un cibo come si deve. Tutto quanto esprime infatti ciò che vogliamo dire alla persona con la quale condividiamo questo atto. La nostra attenzione verso di lei deve essere visibile sul tavolo e sul nostro volto, e le due cose si devono corrispondere. C’è una corrispondenza tra il crocifisso della parete, il modo in cui è apparecchiata la tavola, il cibo sul piatto, la parola che si scambia sulla politica, sul lavoro, sulla salute, la Scrittura…È questa la bellezza. Ed è questa anche la liturgia, quella della piccola Chiesa, quella dei nostri corpi, quella di ogni giorno, che San Pao-lo offre come immagine alla quale tende la vita dell’uomo su questa terra. Questo non dipende nient’altro che dall’amore che irradia da noi. (Card. T. Spidlik, Teologia pastorale) FRUTTO DELLA GIORNATA

Nella mia preghiera di oggi chiedo al Signore ⇒ la grazia di riconoscere con gratitudine la sua pazienza nei miei con-

fronti ⇒ di leggere i segni del suo amore (persone, fatti, esperienze) con cui

si prende cura di me e mi resta fedele, sempre ⇒ di stupirmi del suo agire che non chiede nulla in contraccambio ma

dona senza nulla aspettarsi ⇒ di saper rispondere alla sua domanda: “Chi sono io per te?”

TESTI BIBLICI DI RIFERIMENTO

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Sulla pazienza: 2 Pt 3, 8-9 Salmo 136 (135) Sap 11, 23-26 Sulla gratuità: 1 Gv 3,1-2 Gal 4, 1-7 Rm 8, 14-17 Sulla fedeltà: Dt 32, 1-43 Is 49, 14-16 Lm 3, 21-25 Salmo 27(26)

MARTEDÌ 23 LA PAROLA DEL GIORNO

+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 6,7-15) In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire a-scoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vo-stro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in ter-ra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti co-me anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla ten-tazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

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VENERDÌ 26

LA PAROLA DEL GIORNO

+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,20-26) In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratel-lo: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avver-sario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spiccio-lo!». COME VIVERE QUESTA PAROLA?

Gesù aveva proclamato che il modo di essere giusti (cioè di mirare alla santificazione) di chi lo segue deve superare quello degli scribi e dei fari-sei che, con puntigliosa acribia, osservano tutte le prescrizioni della Leg-ge. Ma in che modo vivono l’osservanza della Legge? Con un’adesione esteriore, formalistica, priva dunque di amore. Ecco allora che anche qui Gesù fa ‘saltare’ decisamente questo modo di sentirsi a posto, dentro determinate pratiche religiose. Il punto nodale, il parametro di tutto è l’amore di carità. È inutile, anzi dannoso pretendere di offrire sacrifici a Dio, se questi sacrifici sono avulsi dalla pratica della carità che è anzitutto perdonare le offese. E ciò che sprizza fulgore da questa prescrizione evangelica non è solo l’invito a riconciliarsi ma quell’ingiungermi a fare io il primo passo nei confronti della persona che ha qualcosa contro di me. A volte è davvero cosa ardua ma, in altre pagine del Vangelo, ci è detto che “niente è impos-sibile a chi crede”. Perché credere è soprattutto aprire il cuore all’impeto della grazia di Dio che c’inonda e ci fortifica proprio a misura del nostro

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FRUTTO DELLA GIORNATA

Nella mia preghiera di oggi chiedo al Signore ⇒ di rinnovare il mio desiderio di cammino con Gesù ⇒ di voler crescere nell’amicizia con Lui ⇒ di scoprire quanto desidero arrivare alla meta che è Lui ⇒ di lasciarmi “bruciare” dal suo amore esigente

TESTI BIBLICI DI RIFERIMENTO Sul cammino : Gn 12, 1-9 Ct 2, 8-14 Lc 24, 13-35 Sulla crescita: Ef 6, 10-2o Sulla meta : Fil 3, 12-21 Sull’esigenze del suo amore: Ger 1, 4-10 Ger 20, 7-9 Giona 1,1-4,11

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COME VIVERE QUESTA PAROLA?

"Non sprecate parole": l'esagerazione delle parole nella nostra preghiera è sintomo di un cuore che ancora non si è liberato dall'ego, che non si vive come figlio, conosciuto e accolto nel suo bisogno dal Padre. Come quando un bambino cerca di per-suadere il proprio genitore con tanti ragionamenti, affinché faccia quel che lui desidera, convinto che

la quantità o la logicità delle parole possano produrre l'effetto sperato. Il muoversi della preghiera è molto diverso, perché parte da presupposti diffe-renti. Essa non è solo "cosa nostra", opera dell'uomo, coronamento dei no-stri sforzi, ma è dono di Dio, spazio in cui lo Spirito parla in noi, per noi e di noi al Padre. È lo Spirito Santo che suscita, guida, sostiene la preghiera, ne mantiene vivo il desiderio. È Lui a darci la forza quando ogni gratifica-zione sensibile viene a mancare. Il cammino di preghiera è un cammino di desiderio, che ci porta a condividere la stessa preghiera dello Spirito in noi e ci unisce alla preghiera di Gesù. Ecco perché è così importante imparare il silenzio interiore della preghiera. Tacere significa lasciare posto ad un Altro che parla, significa mettersi sulla lunghezza d'onda del Signore e non delle nostre richieste. Le troppe parole confondono la preghiera, la chiudono in se stessa, la soffocano, le impediscono di scoprire la paternità di Dio, che tutto conosce. Ecco perché Gesù dopo questo invito ci prende per mano e ci invi-ta a dire "Padre". Vuole farci conoscere l'identità profonda di Colui al quale ogni giorno ci rivolgiamo. Se è Padre, fidati, se è Padre, sei perdonato, ac-colto. Tu poi fai altrettanto con chi incontri. TOGLITI I SANDALI, PERCHE’ IL SALOTTO DOVE TU STAI E’ TERRA SANTA!

Al centro della seconda giornata dei nostri esercizi ci sta il salotto. Nelle case d’oggi questo ambiente è quasi scomparso oppure unito alla cucina: diventa sia soggiorno che sala da pranzo. Noi lo vogliamo considerare come il luogo delle relazioni della nostra vita, quelle vere e autentiche che co-struiamo con i nostri cari, i nostri amici, con coloro che amiamo e stimiamo. Questo luogo a volte quindi diventa la cucina come piuttosto anche un ritro-vo all’interno della comunità dove “perdiamo tempo” nell’incontro vero con

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l’altro: la parrocchia, l’Oratorio… Vogliamo vedere questi posti come quelli dove viviamo quegli incontri che danno un tono diverso alla nostra giornata, dove potersi confrontare, condividere fatiche ma anche gioie, dove raccontarsi le proprie vicende e crescere nel dono reciproco. Le pa-role-chiave che ci potrebbe aiutare nella nostra riflessione sono tre: ascol-to, com-passione e rendimento di grazie. Parlare con qualcuno è vitale: chi

non ha nessuno, sa quanta è drammatica la solitudine. L’uomo è relazione ed è diven-tato tale perché qualcuno fin da piccolo gli ha parlato. La mia parola fa esistere se riconosco l’altro, altrimenti lo posso ucci-dere. Ma altrettanto importante

è anche ascoltare: se non avessi ascoltato la voce della mamma o del papà, non avrei mai capito il mio nome. Ascoltare è accogliere. Quindi se è im-portante parlare, è altrettanto importante ascoltare. Com-passione: è bello avere qualcuno con cui spartire le cose belle della vita e con cui sfogarsi nei momenti tristi e difficili. Una presenza amica tante volte diventa l’aiuto più forte per superare gli ostacoli legati alla no-stra esistenza. Infine, rendere grazie per il dono dell’altro: chi ha perso tutti, sa bene co-me la propria vita risulti essere più povera. Perdere una persona che si a-ma ci lascia svuotati: anche un pezzetto di noi se va insieme a lei. Ogni volta che viviamo l’esperienza dell’incontro con l’altro, siamo chia-mati a vivere la fede proprio in questi tre atteggiamenti. L’ascolto sincero e attento dell’altro. Ascoltare quello che vuole dirmi, con pazienza e atten-zione. Ascoltare con umiltà anche eventuali osservazioni: se le fa, è per-ché mi vuole bene! Non voler ascoltare quello che piace a me. All’inizio della fede d’Israele c’è un comando ben preciso: “Ascolta, Israele!”. La nostra preghiera non è un luogo dove dobbiamo dimostrare qualcosa a Dio ma accogliere il nostro essere figli! La condivisione è il frutto di un ascol-to sincero: se parlo solo io, faccio un monologo! Condividere è un sapien-te alternarsi di parola e di silenzio per accogliere l’altro e insieme illumi-nare il proprio cammino. La preghiera, dove metto davanti a Lui la mia vita per ricevere da Lui una sua parola. Da amici a amici. Da Padre a fi-glio amato. Infine, il grazie per la presenza degli altri. Viviamo con inten-sità il dono dell’Altro (ossia Gesù) nella mia vita, desideriamo l’incontro con Lui nel mio cammino quotidiano. Ringraziamo per il dono della sua

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presenza nella mia vita. Del dono dell’amicizia con Lui. PER LA NOSTRA RIFLESSIONE E PREGHIERA

Un testo suggestivo per riflettere sul PARLARE CON GESU’ Ascolta. Comprendi. Raccogli. Assimila. Metti in pratica. È difficile, lo so, darmi ascolto quando la testa è piena di chiasso. È necessario il silenzio, è necessario il deserto. Si ha terrore dell’aridità e del vuoto. Ma se tu sei fede-le, se perseveri, lo sai, il tuo Diletto farà sentire la sua voce, il tuo cuore brucerà e questo ardore interiore ti darà la pace e la fecondità. Allora assa-porerai fino a che punto il tuo Signore è soave, fino a che punto il suo peso è leggero. Esperimenterai, al di là del tempo che consacrerai esclusivamente a me, la realtà del “Tu sei il mio diletto”. Raccontami la tua giornata. Certo io già la conosco, ma mi piace sentirtela narrare, come alla madre piace il chiacchierio del suo bambino al ritorno da scuola. Esponimi i tuoi desideri, i tuoi progetti, i tuoi fastidi, le tue difficoltà. Forse che non sono in grado di aiutarti a superarli? Ho ancora molte cose da farti capire e su questa terra non ne conoscerai se non una piccola parte. Ma per capire tali verità, per quanto limitate, è necessario che tu mi venga maggiormente incontro. Se ti rendessi più accogliente ti parlerei di più. Essere accogliente significa essere anzitutto umile, considerarsi come un ignorante che ha molto da imparare. Significa rendersi disponibile per venire ai piedi del Maestro e soprattutto vicino al suo cuore, dove si capisce tutto senza bisogno di formule. Signifi-ca essere attenti ai movimenti della grazia, ai segni dello Spirito Santo, al soffio misterioso del mio pensiero. (G. Courtois)

Rendiamo grazie per i TALENTI che abbiamo ricevuto La grazia di Dio: un tesoro affidato in custodia Supponiamo che un re affidasse ad un povero la custodia del proprio tesoro Questi, dopo essersi assunto questa responsabilità, non riterrebbe certo quel tesoro come proprio, ma, al contrario, continuerebbe a riconoscere aperta-mente la propria povertà, senza azzardarsi a spendere del capitale altrui. Quel povero, infatti, sarebbe in ogni istante consapevole del fatto che, non soltanto il tesoro appartiene ad un'altra persona, ma anche che quel sovrano cosí potente, dopo averglielo affidato, potrebbe, quando lo ritenesse oppor-tuno, richiederglielo. Ebbene, non diversamente debbono ritenere coloro i quali abbiano conseguito la grazia divina: non si inorgogliscano e confessi-no la loro povertà! Allo stesso modo come, infatti, qualora il povero che ha ricevuto in deposito un tesoro da un re lo considerasse come di sua proprietà

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ed il suo cuore se ne insuperbisse, il re gli toglierebbe il proprio tesoro e quel-lo, dopo averlo tenuto in custodia, tornerebbe come prima, cioè povero; si-milmente accade per coloro i quali, dopo aver ottenuto la grazia, si inorgogli-scono e coltivano la superbia nel loro cuore. Il Signore, infatti, non esita a privare costoro della propria grazia perché tornino ad esser tali, quali erano sino al momento di conseguire la grazia da parte del Signore. (Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 15, 27) Chiamati all’ACOLTO ACCOGLIENTE per dare un’anima al mondo «[…] Riuniamo questa sera, attorno alla tavola del Signore, l’intera umanità che lui chiama, totalizzando nella nostra offerta ogni male, ogni catastrofe, ogni malattia, ogni agonia, ogni difficoltà, ogni solitudine, ogni violenza ed ogni follia, affinché chiunque sia toccato, rianimato, trasfigurato dalla presen-za del nostro amato Signore, e perché anche noi, convertiti infine in maniera autentica alla sua presenza, facciamo il vuoto in noi per portare agli altri lo spazio infinito e meraviglioso in cui Dio si rivela ed è respirato. […] Vivere la Messa significa vivere nell’umanità intera, è vivere nel cuore di Gesù Cri-sto, significa formare il corpo mistico del Signore, nel quale non c’è più spa-zio né tempo. Vivere la Messa significa diventare un silenzio immenso, illi-mitato, in cui sono seppelliti tutti i rumori: si è all’ascolto del cuore del Si-gnore che vuole battere nel nostro cuore e per mezzo di esso, e che vuole co-municarsi all’universo intiero. (M. Zundel) La relazione con Cristo è il TUTTO della mia vita 7. La ricchezza dello stato di grazia Tutto abbiamo in Cristo. Ogni anima si avvicini a lui, sia che si senta sfinita per i peccati carnali o inchiodata dalle brame terrene, sia che, per quanto pro-ficiente con la continua meditazione, si ritrovi ancora imperfetta oppure sia già in qualche modo perfetta per le molte virtú. tutto è nelle mani del Signore e tutto è per noi Cristo. Se desideri curare la tua ferita, egli è il medico; se bruci di febbre, egli è la sorgente ristoratrice; se sei oppresso dalle colpe, egli è la giustizia, se hai bisogno di aiuto, egli è la forza; se temi la morte, egli è la vita, se desideri il cielo, egli è la via; se fuggi le tenebre, egli è la luce; se hai bisogno di alimento, egli è cibo. Gustate e vedete come il Signore è soave: beato l'uomo che spera in lui (Sal. 33, 9). (Ambrogio, La verginità) La bellezza di scoprirci FIGLI Dio fa di me suo figlio

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sono tutte trappole del diavolo. Questo ultimo testo ci invita a scoprire la fede come PERPETUO CAMMINO

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no. L'uomo che ancora non crede nel Cristo, non è neppure in cammino: va errando e anche se egli pure cerca la patria, non sa per quale via e dove cercarla. Dico che cerca la patria perché ognuno cerca la quiete, cerca la b e a t i t u d i n e . Chiunque, interrogato se desideri essere felice, risponde senza esitazione di desiderarlo perché questa è l'aspirazione propria dell'uomo; ma gli uomini ignorano per quale via raggiungerla o dove si trovi, e perciò vanno erran-do. Non va errando chi non si muove. Se non si sa per dove andare, è facile deviare. Ci riconduce sulla via il Signore e, quando diventiamo fedeli ade-rendo con la fede al Cristo, già cominciamo a camminare sulla via, anche se ancora non siamo in patria. E se siamo ben consapevoli di essere cristia-ni esortiamo tutti quelli che ci sono più cari, che ancora errano tra le vane credenze e le eresie, a porsi sulla via e a camminare. Ma dobbiamo anche esortarci a vicenda noi che già siamo in cammino, perché, se è vero che arrivano in patria solo quelli che sono sulla via, però non tutti quelli che sono in cammino giungono alla mèta. Se chi non è sulla via è esposto a pericolo maggiore, gli altri tuttavia non possono ancora es-sere sicuri che i piaceri che si trovano sulla via stessa non li ostacolino, fre-nando il loro slancio verso la patria, nella quale soltanto si trova riposo. Quello che fa avanzare sulla via è l'amore di Dio e del prossimo. Chi ama corre, e la corsa è tanto più alacre quanto più è profondo l'amore. A un a-more debole corrisponde un cammino lento, e se addirittura manca l'amore,

ecco che uno si arresta sulla via, e se rim-piange la vita mondana, è come se volges-se indietro lo sguardo (Cf. Lc 9, 62.), non mirando più alla patria. Non giova che uno si metta sulla via e poi invece di cammina-re torni indietro. Se uno si è posto sulla via, cioè, fuori di immagine, si è fatto cri-stiano cattolico, e guarda indietro volgen-do ancora il suo amore al mondo, non fa che ritornare là donde era parti-to. Addirittura smarrisce la via e torna a errare colui che cede alle insidie del nemi-co che ci tenta e assale durante il nostro cammino, ed eccolo staccarsi dalla Chiesa cattolica per seguire un'eresia o tornare ai riti pagani o a credenze superstiziose, che

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Altro è fare una stella altro è fare un figlio. Altro è fare un fiore altro è fare un figlio. Altro è fare una libellula altro è fare un figlio. Dio mi ha fatto prima come un frammento di stella e mi ha dato la vita, poi mi ha disegnato come un fiore e mi ha dato la forma, poi ancora mi ha infuso la coscienza e mi ha fatto amore. Io credo all'evoluzione nella creativi-tà di Dio e mi piace pensare che Dio prese materiale dalle rocce per fare il mio corpo e disegni dei fiori per mettere assieme le mie cellule nervose. Ma quando pensò alla mia coscienza cercò il modello dentro di sé, nella sua vita trinitaria, e mi fece a sua immagine e somiglianza: comunicazione, libertà, vita eterna. Tutto ciò significa fare un figlio, perché il figlio è vita della stessa vita del Padre, è libertà della stessa libertà del Padre, è comunicazione della stessa comunicazione del Padre. Ci sono molti disegni nel cosmo visibile e nel cielo invisibile, ma tutti sono espressione di un unico disegno da parte di Dio: fare di me un figlio. Un figlio che abbia la stessa vita sua e sia eterno, la stessa libertà e sia felice, la stessa comunicabilità e sia come lui Amore. Naturalmente il piano non è finito e il lavoro non è compiuto (...) perché non è un lavoro facile. (...) La storia dell'uomo sulla terra non è che la storia lunga e drammatica e impegnativa della sua trasformazione, che è un'autentica ge-stazione a figlio di Dio (...) fino al giorno della vera nascita, quando pronun-cerà con perfetta coscienza "Padre mio"... e...entrare nella sua casa a titolo di figlio, non di un quadro che decora la parete; a titolo di figlio, non di un vaso di fiori; a titolo di figlio, non di un animale ignaro o assente perché incapace della conoscenza del Padre. (...) Dio si serve del cosmo e della storia per fare l'ambiente divino della mia nascita a suo figlio. (Carlo Carretto)

FRUTTO DELLA GIORNATA

Nella mia preghiera di oggi chiedo al Signore ⇒ di imparare ad ascoltare con attenzione la voce del Signore ⇒ di ringraziare per il dono di tante persone che arricchiscono la mia vita;

chiedo scusa per le mie infedeltà e durezze ⇒ di stupirmi per questo Dio che diventa uno di noi per com-patire la no-

stra vita ⇒ di scoprirmi figlio amato da questo Padre in modo straordinario

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TESTI BIBLICI DI RIFERIMENTO Sull’ascolto : Dt 6, 4-9 Is 55, 1-3 Mt 13, 10-17 Gc 1, 19-25 Sul rendimento di grazie: Es 15, 1-18 Salmo 4o(39) Lc 1, 46-56 Sulla compassione : Lc 2, 1-20 Mc 8, 1-10 Mt 9, 35-38 Sull’essere figli: Rm 8, 14-17 Gal 4, 1-7 1 Gv 3, 1-2

MERCOLEDÌ 24 LA PAROLA DEL GIORNO

+ Dal Vangelo secondo Luca (Lc 11,29-32) In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Gio-na fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alze-rà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomo-ne. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona». COME VIVERE QUESTA PAROLA?

La smania di vedere "segni" e prodigi non sembra legata a nessun'epoca né cultura. Era così ai tempi di Gesù ed è così oggi. Si va a caccia di noti-zie sensazionali, senza preoccuparsi di "leggere" i "segni". Ed ecco il ri-chiamo forte di Gesù: c'è chi affronta i disagi di una sofferta ricerca, inter-rogandosi e interrogando. Persone assetate di verità che cercano la luce. Forse nostri vicini di casa che attendono da noi una testimonianza limpida di vita che convalidi quanto diciamo di credere e convinca. Forse giovani che disturbano il nostro "quieto vivere" con le loro trasgressioni. Forse proprio chi si proclama ateo convinto... Persone che nascondono in sé u-n'insospettata disponibilità ad accogliere la Parola che salva. E noi che ci siamo trovati tra le mani, fin da bambini, il dono incalcolabile del Battesi-mo e forse, proprio per questo, non lo apprezziamo abbastanza. È un dato scontato, come un dato scontato è l'aria che respiriamo. Viviamo di esso, ma non sempre possiamo dire che "lo" viviamo, che lo assumiamo consa- 25

l’impressione che tutto ciò è artificiale! Che questo non è il Vangelo! Il Vangelo del falegname di Nazareth è un Vangelo che si è radicato nel suolo! È un Vangelo che sconfina nella vita, che ci domanda di viverla integralmente; e scavando così in profondità nella ricchezza del mondo

che ne facciamo sgorgare qualunque sorgente di gioia e bellezza. Il distacco cristiano, in realtà, è un attaccamento infinito a tutte le realtà infinite. Vuol dire che non s’attacca egoisticamente alle cose, ben-sì le vede nella luce dell’amore, che ne fa un im-menso dono e che realizza così la pienezza della

libertà, poiché non esiste altra libertà che quella per cui la nostra vita inte-ra diventa dono. Non si tratta quindi di abbandonare il campo. Non si trat-ta di allontanarci dalla vita, bensì di entrarci [per davvero]! (M. Zundel) Due testi di S. Agostino sul CAMMINO Cantiamolo dunque adesso, fratelli miei, non per esprimere il gaudio del riposo ma per procurarci un sollievo nella fatica. Come sogliono cantare i viandanti, canta ma cammina; cantando consolati della fatica, ma non a-mare la pigrizia. Canta e cammina! Cosa vuol dire: cammina? Avanza, avanza nel bene, poiché, al dire dell'Apostolo ci sono certuni che progre-discono in peggio Se tu progredisci, cammini; ma devi progredire nel be-ne, nella retta fede, nella buona condotta. Canta e cammina! Non uscire di strada, non volgerti indietro, non fermarti! Siamo in cammino: nei cieli è la nostra patria. In questa nostra vita, caris-simi fratelli, noi siamo in cammino come pellegrini, lontano dalla Gerusa-lemme celeste che è la patria dei santi: ce lo insegna in modo chiaro l'apo-stolo Paolo: Finché viviamo nel corpo, siamo pellegrini, lontano dal Si-gnore (2 Cor 5, 6.). E poiché ogni pellegrino ha indubbiamente una patria, noi dobbiamo conoscere quale sia la patria verso la quale ci dobbiamo af-frettare, mettendo da parte allettamenti e piaceri di questa vita, verso la quale siamo diretti e nella quale soltanto possiamo trovare riposo. Dio ha disposto che non avessimo quiete vera altrove perché, se anche qui avessi-mo quiete, non avremmo desiderio di tornare là. Dice nostra patria la Ge-rusalemme celeste, non quella terrena che - come insegna ancora l'Aposto-lo - è schiava insieme con tutti i suoi figli (Cf. Gal 4, 25.). Ma v'è l'altra Gerusalemme, quella che l'Apostolo dice posta nei cieli: La Gerusalemme di lassù è la nostra madre (Gal 4, 26.) Dunque ci dobbiamo affrettare ver-so di essa, ben conoscendo di essere pellegrini e ancora in cammi-

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tor”, cioè viaggiatore. La strada quindi diventa un connotato importante per definire chi è l’uomo: un essere che sempre è in cammino, in movimento, mai fermo. L’uomo è sempre rivolto verso una meta da raggiungere. Questa realtà profondamente umana diventa anche profondamente cristiana. Es-sere cristiani non significa raggiungere una certez-za che una volta acquisita ci mette al sicuro da pe-ricoli e rischi del viaggio. Troppo spesso conside-riamo la fede un’assicurazione generale sulla vita. Niente di più sbagliato. Il cristiano è l’uomo che

cammina. Con tutti i rischi del caso. Ci si può perdere, si può essere assa-liti dai briganti. Si può smarrire l’orientamento ma si può anche smarrire anche la ragione del viaggio. E ci si siede. Nel cristiano dovrebbe invece abitare un fuoco divorante che continuamente lo mantiene in tensione, verso nuove mete e nuovi orizzonti. Ogni giorno il Signore spiana davanti a me una nuova strada: appiana monti, colma burroni, stende il filo della sua presenza nella trama dei miei giorni per condurmi a Lui. Il cristiano è un nomade: zaino in spalla, carico leggero, ogni giorno desidera crescere. Nell’incontro con l’altro, in un cuore che si dilata nell’amore per il creato, per le creature, per il Creatore. In un desiderio infinito di crescere in que-sto amore che non da tregua e sosta. PER LA NOSTRA RIFLESSIONE E PREGHIERA

“Non che l’OGGI per amarti” (S. Teresa di Lisieux) Vivere oggi «[…] La vita cristiana è una vita qui [sulla terra], ora! Ciò significa che l’aldilà di cui tanto si parla è un essere-dentro – un essere- dentro! Questo aldilà è un al-di-là di noi stessi, un al-di-là dei nostri limiti; è un al-di-là delle nostre passioni disordinate; ma è pure un essere-dentro, uno spazio immenso di luce che si apre dentro noi e nel quale la nostra libertà respira nel dialogo di vita con il Dio Vivente. Ecco perché si può definire il cri-stianesimo come un realismo mistico. Il cristianesimo non ci chiede di abbandonare la terra per osservare un cielo immaginario, ma di diventare noi stessi il Cielo, di diventare il Regno di Dio, di trasfigurare la nostra vita lasciando trasparire in noi tutta la Luce e tutta la Gioia di Dio. Si vede talvolta, nelle immagini delle canonizzazioni, dei santi o delle sante con gli occhi rivoltati, girati verso il cielo di nuvole. E si ha talmente

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pevolmente cercando di assumerne tutte le esigenze. Diciamo che Gesù è in mezzo a noi, percorre le nostre strade, condivide la nostra storia, ma quanto tutto ciò incide sulla nostra vita? Le nostre parole, le nostre scelte, le nostre opere lo rivelano? È qui che ci raggiunge il richiamo di Gesù. TOGLITI I SANDALI, PERCHE’ IL SUPERMERCATO DOVE TU STAI E’ TERRA SANTA!

Un luogo che frequentiamo con una certa regolarità è sicuramente il nego-zio sotto casa per comprare il pane quotidiano. Ma non disdegniamo nep-pure una puntuta in quei nuovi santuari sorti come funghi in questi anni: i centri commerciali. Il classico mercato è diventato dapprima super, poi iper ed ora centro commerciale. Luogo dove si va non solo dettati dalla necessità di procurarsi il sostentamento per la propria vita ma anche come luogo di svago e di divertimento, dove fare un giro il sabato o la domenica con la propria famiglia o gli amici. Lì troviamo tutto: ma proprio tutto! Essi sono il frutto di quello che siamo considerati e ci piace essere consi-derati: consumatori voraci, pieni di desideri mai sazi che vanno riempiti ad ogni costo. E se non abbiamo bisogni, ci pensa la pubblicità a farceli venire: come è possibile vivere senza questo prodotto o senza questo ve-stito! Ci si danna, si lavora con ritmi impressionati per spendere, per con-sumare, per mantenere una certa immagine che viene mostrata e che ci fa sentire “normali”. Chi si pone fuori dagli stereotipi comuni è “out”, ovve-ro “fuori”: fuori dal tempo, fuori di testa, fuori dalla norma. Non possiamo come cristiani sottrarci dal coraggio di portare la nostra fede anche all’interno di questi luoghi. In modo particolare, la nostra riflessione vor-rebbe concentrarsi sull’utilizzo dei beni. I beni sono strumenti per pro-muovere uno stile di condivisione. Dovrebbero essere improntati alla so-brietà, che si coniuga con salvaguardia di quel grande dono che è il mon-do. Comprare le ciliegie a Natale non è la stessa cosa che a maggio. Com-prare la ventesima borsetta per completare la mia collezione... ha senso? Lavorare come dannati, dimenticando affetti e Dio, per avere l’ultima mo-dello di auto che ha il mio vicino... possiede una logica cristiana? Essere in fastidio a mettere 5 euro nella busta natalizia per la parrocchia ma esse-re pronti a spenderne 50 ogni settimana in trucchi e rossetti: è testimo-nianza cristiana? Le testimonianze più belle di generosità e di altruismo vengono sempre dai poveri. Il Vangelo di oggi ci invita a non ha cercare segni ma ad essere segno per gli altri. La nostra presenza trasparenza di Cristo. Partendo anche dal supermercato.

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PER LA NOSTRA RIFLESSIONE E PREGHIERA

Un testo provocatorio sul valore della POVER-TA’ Povertà come denuncia Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distri-buzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori,

il cristiano non può tacere. Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali. Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere na-zioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impie-gano capitali da capogiro. Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei so-cialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà! Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ric-chezza. E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai para-dossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opu-lenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze. La condivisione dei pro-pri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta. Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere. Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio pre-stigio, o turpe occasione per scalate rampanti. Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona. Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'an-nientamento. L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine. (Mons. To-

nino Bello)

Il discorso che viene presentato ci invita alla SOBRIETA’ quoti-23

COME VIVERE QUESTA PAROLA?

Di nuovo un insegnamento sulla preghiera profondamente inserito in quel “sentire umano” che è tipico di Gesù: il Figlio dell’Altissimo ma uomo fino in fondo. Qui tocca le corde più profonde della paternità con una do-manda volutamente retorica che mette KO ogni possibilità di fraintendere. Tu a un prossimo (così prossimo da essere tuo figlio!) ti guarderesti bene dal non dare quel che ti chiede per il suo elementare benessere. E dunque, quel Padre, che è anche Madre, che è il TUTTO-AMORE della creazione e della redenzione, assolutamente non può trattenersi dal dare quel che è più necessario per il bene di noi, sue creature e figli nel Figlio. Nella regi-strazione dell’evangelista Luca la promessa è ancora più completa e inco-raggiante. “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli quanto più il Padre vostro darà lo Spirito Santo a chi glielo chiede”. Ecco, qui tocchiamo la profondità del tema riguardante la preghiera. In effetti, non solo per pregare veramente ma per vivere la nostra fede cristiana e amare anche quelli che a volte pare ti trattino proprio male, non basta as-solutamente lo sforzo del nostro piccolo amore umano. Occorre la forza di Colui che è Amore-Persona. E dunque, in questo quieto raccogliermi pur col cuore forse ferito, la consolazione è sapere che posso chiedere lo Spi-rito Santo e che, se lo chiedo con fede (che è vera fiducia), l’otterrò sicu-ramente. E mi è gioia riposare in questa certezza. Signore, a questa tua promessa mi appoggio. Concedimi lo Spirito Santo. Con Lui e in Lui sarò nuovo e sereno e coraggioso nelle difficoltà del vivere relazionandomi con chi è tanto diverso da come lo vorrei. TOGLITI I SANDALI, PERCHE’ LA STRADA DOVE TU STAI E’ TERRA SANTA!

Oggi ci mettiamo in viaggio, lungo le strade della nostra vita. Quelle che percorriamo ogni giorno a piedi, per andare a prendere figli o nipoti a scuola, per raggiungere la chiesa o il fornaio. Quelle che ci permettono di raggiungere chi è lontano per una visita, per riannodare amicizie o per portare sollievo. Quelle per andare a lavorare o quelle che intasiamo con le nostre auto per raggiungere le mete turistiche delle nostre vacanze esti-ve. Chissà quanti chilometri facciamo nella nostra vita, a piedi, in biciclet-ta piuttosto che in aereo! Non per niente l’uomo viene definito “homo via-

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⇒ di riconoscere nel mio vicino il mio fratello, perché figli dello stes-so Padre

⇒ di desiderare di essere segno per gli uomini di questo tempo

TESTI BIBLICI DI RIFERIMENTO Sulla povertà : Qoe 2, 1-25 Mt 19, 16-3o 1 Tm 6, 17-19 Sulla condivisione: Lc 16, 19-31 Atti 2, 42-47 Fil 2, 1-11 Sull’essere segno: Gal 5, 16-26 Rm 12, 1-2 Gal 2,2o

GIOVEDÌ 25 LA PAROLA DEL GIORNO

+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 7,7-12) In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Per-ché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Tutto quanto volete che gli uomi-ni facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Pro-feti».

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diana Diventa inevitabile a questo punto interrogarci sulle concrete applicazioni quotidiane della sobrietà come via alla solidarietà nell’ambito della nostra città, in rifèrimento, ad esempio, alle strutture e al loro funzionamento, alle risorse pubbliche e al loro impiego e dunque agli eccessi, agli sprechi. Milano è spesso etichettata come città «del fare». Lo stile della sobrietà allora può rinverdire questo nobile appellativo: un «fare» che non deve riguardare solo la dimensione produttiva, ma che vuole mirare ai risultati concreti a beneficio di tutti gli abitanti della città; un risultato che si rag-giungerà eliminando tutto ciò che è superficiale, vuota apparenza, perdita di tempo e spreco di risorse. Non abbiamo forse la sensazione che si punti alla costruzione di campagne di comunicazione e d'immagine. nasconden-do la consistenza reale dei problemi, più che alla soluzione dei problemi stessi e all’offerta di servizi efficienti e per tutti? Sono convinto che chi per vocazione, per lavoro, per servizio, per mandato pubblico. per elezio-ne è chiamato a operare per gli altri debba essere sobrio per incontrare re-almente le donne e gli uomini nelle loro esigenze, per mettere al centro delle proprie attenzioni i problemi delle persone e delle famiglie e, quindi, per risolverli. (…) In ambito ancor più personale vivere secondo sobrietà aiuta in modo decisivo a verificarsi su quale sia la vera sorgente della felicità. Con uno stile di vita sobrio è facile smascherare l'illusione che la felicità provenga dal possesso delle cose, dall'abbondanza dei beni, dalle comodità, da un'e-sistenza condotta sempre «oltre il limite». Troppe persone - e non solo i giovani - sembrano alla ricerca di uno «stato di ebbrezza permanente» da perseguire con eccessi (di sostanze stupefacenti, di alcool, di sensazioni ed emozioni forti) quasi per dimenticare quanto sia seria e impegnativa la vita, quasi a voler sfuggire alle proprie responsabilità, quasi per volersi sottrarre al compito di ricercare quella felicità duratura e profonda che de-riva dalla piena e autentica realizzazione di sé. Questi stili di vita esaltano l'individualismo, corrono il rischio di distruggere i soggetti, allentano i legami sociali, indeboliscono la città. Persone autenticamente felici, inve-ce, arrecano un grande contributo alla costruzione di una città migliore: la vera gioia, infatti, non presenta mai i tratti dell'egoismo bensì del dono di sé, scaturisce dalla ricerca del bene dell'altro. Se anzitutto i fedeli di que-sta città - ed è il pastore il vescovo a esprimersi così - vivranno con sem-pre maggiore coerenza il loro essere cristiani, la paziente e generosa ricer-ca del bene dell'altro genererà un intreccio virtuoso che renderà Milano forte, coesa, capace di curare e guarire le ferite dei suoi abitanti. Stili di

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vita personali virtuosi sprigionano la forza per rinnovare la città. (…) In questo senso ripropongo la chiamata alla conversione, esattamente nella linea proposta da Benedetto XVI il 1° gennaio 2009 e - in termini ampi e dal valore profetico nell'enciclica Caritas in Veritate. (…) La direzione tracciata è precisa e puntuale: si tratta di favorire, diffondere e condividere a raggio sempre più ampio modelli e stili di vita insieme profetici e praticabili, capaci di far crescere le virtù e le opere della sobrie-tà e della solidarietà: nell'ambito personale e interpersonale, in quello co-munitario e istituzionale. (…) Scrive Benedetto XVI: “Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l'amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui pro-cede l'autentico sviluppo, non è da noi prodotto, ma ci viene donato. Per-ciò anche nei momenti più difficili e complessi, oltre a reagire con consa-pevolezza, dobbiamo soprattutto riferirci al suo amore. Lo sviluppo impli-ca attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla provvi-denza e alla misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace” (Caritas in veri-tate, n. 79). E dunque a Cristo che dobbiamo guardare, noi come singole persone, noi come città di Milano, a lui che è il «buon samaritano» per antonomasia e che vuole continuare a essere presente e operante nella storia dell'umanità ferita e bisognosa di «cura» tramite la nostra mediazione. E non dimentichiamo che quella di Cristo è una presenza che ha i segni del Crocifisso, che sa attraversare le situazioni umane di fatica e di soffe-renza assumendole, facendosene carico. (Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, Discorso alla città di Milano

in occasione della Festa di S. Ambrogio, 6 dicembre 2009)

Chiamati ad ESSERE SEGNO dell’amore folle di Cristo “Come io vi ho amati”. Questo non è un consiglio, non è da scegliere. Da duemila anni in cui tentiamo di ubbidire a Gesù Cristo, noi abbiamo fatto un tale catalogo di virtù che non sappiamo ben discernere l’essenziale dall’accidentale. Povertà, giustizia, onestà, obbedienza…E tutto il resto. Sì, certo, “ma tutto questo non serve a nulla se voi non avete la carità”. Ci tocca amare di quella carità che non è fatta di mani d’uomo, di quella cari-tà che è divina. E quale caricatura non ne sarà già stata data: la filantropia,

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l’altruismo, la solidarietà (…). Noi abbiamo fatto delle distinzioni che non ci era stato chiesto di fare. Da un lato i comandamenti con i quali siamo, in linea di principio, d’accordo: “Tu non ucciderai, tu non ruberai”. Dall’altro, quelli che noi consideriamo in pratica esagerati: “Se qualcuno ti chiede il mantello, dagli anche la tunica”. Tendere l’altra guancia quan-do ti hanno schiaffeggiato, rendere servizio a coloro che esigono che li si serva; trattare come figli coloro che fanno cattiverie e ci deridono. Amare in quel modo là, sarebbe veramente fare scandalo, poiché non si è abituati a quel modo là (…). Prendiamo un pezzettino della nostra vita, mettiamoci la carità del Cristo in libertà: vediamo tutto ciò che può fare, tutto ciò che vuole fare, e lascia-mola fare. Voi cambierete treno, aspetterete in una sala d’attesa in piena notte. La carità del Signore è in voi in mezzo a questa sala d’attesa. Che farà? Che dirà questa signora dai modi così convenevoli, questo signore così corretto quando condividerete il caffè del vostro termos con il vostro vicino di destra, il vostro pane e il vostro formaggio con la vostra vicina di sinistra, se voi avvolgete quel bambino nel vostro mantello… Ma che dirà il Cristo se voi non lo farete? (…) Dio ha detto al mondo intero: “Il primo e il maggiore dei comandamenti è questo: tu amerai il Signore tuo Dio”. A tutti, a ogni persona è stato detto questo. E’ il fatto di averlo compreso che ha generato i missionari. Com-prendere che si deve amare Dio, anche come un folle, questo può fare del-le persone virtuose. Ma comprendere che Dio desidera tutto questo amore, l’amore di tutti gli uomini che sono nati, che nascono e che nasceranno: è questo che fa i missionari. “L’amore non è amato”, gridano i missionari di ogni tempo e di tutti i generi. Questo li consola molto poco circa il fatto di avere qualche briciola d’amore di Dio nel cuore, se delle moltitudini resta-no di ghiaccio davanti a “quella cosa così buona che migliore non potreb-be essere”. Se essi sapessero che Dio non desidera che loro stessi, senza dubbio il loro povero amore sarebbe loro sufficiente: ma Dio desidera il mondo e cosa non farebbero per donarglielo. (Madeleine Delbrêl, Missio-nari senza battello) FRUTTO DELLA GIORNATA

Nella mia preghiera di oggi chiedo al Signore ⇒ di scoprire la vera povertà guardando Lui nudo sulla croce