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HERMES, il Messaggero del Govone Numero 3, Giugno HERMES TIRIAMO LE SOMME! Ciao a tutti! Mi sono brutalmente impossessato della prima pagina di ”HERMES, il Messaggero del Govone” a scapito del PARLIAMONE usuale per tirare un po’ le somme di quello che è stato questo anno. Rispetto a quelli precedenti, infatti, per me è stato più speciale e credo che lo ricorderò per sempre come un’esperienza entusiasmante. Essere rappresentanti d’Istituto non è certo facile ed è un compito dispendioso di tempo e di energie, bisogna dirlo, ma se è fatto con passione e con impegno, credo possa essere una delle esperienze più formative che ci siano. Non voglio entrare nel merito di cosa è stato fatto e di come è stato fatto, ma vorrei fare una considerazione sul ruolo di rappresentante d’Istituto di per sè. Credo infatti che due rappresentanti da soli servano a poco, se non a niente; deve esserci dietro un gruppo di ragazzi che abbia voglia di fare, di mettersi in gioco, che con i rappresentanti si impegni per fare qualcosa di bello e interessante al tempo stesso per questa scuola. Ed è stata questa la mia fortuna: infatti, oltre a Camilla – che ovviamente è la prima in ordine di importanza da ringraziare per questa esperienza - anche altri ragazzi mi hanno aiutato e colgo quindi l’occasione per ringraziarli: inizialmente Leonardo Forotan e Alberto Tortoroglio con cui ho trascorso anche nottate fino alle due per preparare assemblee d’Istituto e assieme ai quali abbiamo dato vita a momenti culturali credo anche molto interessanti, poi Giulia Rosa che ha aiutato me e Camilla con l’organizzazione delle felpe e Umberto Gatto che ci ha dato una mano nella preparazione del ballo di fine anno e infine Leonardo Balla, Lorenzo Germano e Ginevra Gatti assieme ai quali siamo riusciti a rilanciare il giornalino studentesco. Vorrei ringraziare anche il preside Marengo che è sempre stato disponibile a darci consigli e soprattutto a sentire il parere di noi studenti praticamente su qualsiasi tema e a tutti voi che mi avete sopportato, spero. Al prossimo anno, Alessandro Collo LA SQUADRA DI HERMES 2015 REDAZIONE: Ginevra Gatti (IB) Leonardo Balla (IIC) Lorenzo Germano (IIC) Alessandro Collo (IC) IMPAGINAZIONE: Alessandro Collo (IC) LE PENNE: Ginevra Gatti (IB) Leonardo Balla (IIC) Lorenzo Germano (IIC) Francesco Filosa (VD) Letizia Lasciarrea (ID) Ilaria Lorenzetti (VB) Leonardo Forotan (IC) Federico Ruatasio (IIIB) Andrea Lanzetti (IVD) Laura Zotaj (VD) Paola Cassinelli (IIC) Noemi Ascone (IC) Alberto Tortoroglio (IIB) Edoardo Taricco (IB) Susanna Coarezza (IIB) Giulia Graziano (IIIB) Andrea Apicella (IIIB)

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HERMES, il Messaggero del Govone Numero 3, Giugno

HERMES TIRIAMO LE SOMME!

Ciao a tutti!

Mi sono brutalmente impossessato della prima pagina di ”HERMES, il Messaggero del Govone” a scapito del PARLIAMONE usuale per tirare un po’ le somme di quello che è stato questo anno.

Rispetto a quelli precedenti, infatti, per me è stato più speciale e credo che lo ricorderò per sempre come un’esperienza entusiasmante. Essere rappresentanti d’Istituto non è certo facile ed è un compito dispendioso di tempo e di energie, bisogna dirlo, ma se è fatto con passione e con impegno, credo possa essere una delle esperienze più formative che ci siano.

Non voglio entrare nel merito di cosa è stato fatto e di come è stato fatto, ma vorrei fare una considerazione sul ruolo di rappresentante d’Istituto di per sè.

Credo infatti che due rappresentanti da soli servano a poco, se non a niente; deve esserci dietro un gruppo di ragazzi che abbia voglia di fare, di mettersi in gioco, che con i rappresentanti si impegni per fare qualcosa di bello e interessante al tempo stesso per questa scuola. Ed è stata questa la mia fortuna: infatti, oltre a Camilla – che ovviamente è la prima in ordine di importanza da ringraziare per questa esperienza - anche altri ragazzi mi hanno aiutato e colgo quindi l’occasione per ringraziarli: inizialmente Leonardo Forotan e Alberto Tortoroglio con cui ho trascorso anche nottate fino alle due per preparare assemblee d’Istituto e assieme ai quali abbiamo dato vita a momenti culturali credo anche molto interessanti, poi Giulia Rosa che ha aiutato me e Camilla con l’organizzazione delle felpe e Umberto Gatto che ci ha dato una mano nella preparazione del ballo di fine anno e infine Leonardo Balla, Lorenzo Germano e Ginevra Gatti assieme ai quali siamo riusciti a rilanciare il giornalino studentesco.

Vorrei ringraziare anche il preside Marengo che è sempre stato disponibile a darci consigli e soprattutto a sentire il parere di noi studenti praticamente su qualsiasi tema e a tutti voi che mi avete sopportato, spero.

Al prossimo anno,

Alessandro Collo

LA SQUADRA DI HERMES 2015

REDAZIONE:

Ginevra Gatti (IB) Leonardo Balla (IIC)

Lorenzo Germano (IIC) Alessandro Collo (IC)

IMPAGINAZIONE:

Alessandro Collo (IC)

LE PENNE:

Ginevra Gatti (IB) Leonardo Balla (IIC)

Lorenzo Germano (IIC) Francesco Filosa (VD) Letizia Lasciarrea (ID) Ilaria Lorenzetti (VB)

Leonardo Forotan (IC) Federico Ruatasio (IIIB) Andrea Lanzetti (IVD)

Laura Zotaj (VD) Paola Cassinelli (IIC) Noemi Ascone (IC)

Alberto Tortoroglio (IIB) Edoardo Taricco (IB)

Susanna Coarezza (IIB) Giulia Graziano (IIIB) Andrea Apicella (IIIB)

HERMES, il Messaggero del Govone Numero 3, Giugno

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Armeni: un genocidio

dimenticato

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Al    centenario  del  genocidio  del  1915,  gli  Armeni  di   tutto   il  mondo   sono   ancora   persi   nel   baratro  dell’oblio  e  della  negazione.  Al  centenario  da  uno  dei   peggiori   stermini   del   ‘900,   la   comunità  mondiale  continua  a  chiudere  gli  occhi  di   fronte  alla   negazionismo   illogico   della   Turchia   e,   anzi,  sembra  spalleggiarlo  silenziosamente  destinando  al  dimenticatoio  un  pezzo  di  storia  e  le  memorie  di   morte   e   disperazione   di   un   genocidio  considerato  di  serie  B.  Il  genocidio  armeno    inizia  nel   1915   sotto   le   spinte   nazionaliste   del   partito  dei   Giovani   Turchi   in   particolare   dei   leader  politici  Talaat,  Enver  e  Djemal.  Un  altro  politico,  Mustafa   Kemal   ha   poi   avvallato   il   loro   operato  con   nuovi   massacri   e   con   la   negazione   della  premeditazione   di   uno   sterminio   di   massa.   Nel  1915   il   popolo   armeno   vive   in   territorio   turco  ormai   da   1500   anni,   fin   dal   VII   secolo,   ma  nonostante  ciò  costituisce  un  nucleo  fortemente  indipendente,   di   religione   cattolica   e   stampo  occidentale  all’interno  di  un  contesto  fortemente  islamista.  La  ricerca  di  un’unità  politica,  etnica  e  religiosa  porta  nel   1915  a  quello   che   gli   Armeni  chiamano   “Medz   yeghern”,   il   grande   crimine.  Nella  notte  tra  il  23  e  il  24  aprile  incominciano  le  retate   con   l’incarcerazione   dell’élite   armena   di  Costantinopoli;   nel  mese   successivo   più   di  mille  intellettuali   armeni   tra   cui   giornalisti,   scrittori,  poeti   e   parlamentari   vengono   imprigionati   e  deportati   verso   l’interno   dell’Anatolia.   Il   resto  della   popolazione   subisce   la   stessa   sorte   non  molto  dopo  in  una  marcia  della  morte  verso  Deir  ez   Zor   in   Siria   in   cui   periscono   di   fame,   stenti,  

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malattia,   sfinimento   e   massacri   due   milioni   di  persone.  negli  anni  successivi  molti  pretesti  sono  stati   addotti   come   giustificazione   tra   i   quali   la  manovra  difensiva  contro  le  spinte  insurrezionali  armene   e   la   vendetta   per   le   sconfitte   subite  all’inizio  della  Grande  Guerra,  ma  in  realtà  con  il  genocidio   degli   Armeni     assistiamo   nella   storia  del   XX   secolo   al   primo   sterminio   di   un   popolo,  non   per   le   sue   idee   politiche   o   il   suo  orientamento  religioso  ma  semplicemente  per  la  loro   identità   etnica.   E   questo   centenario   non   è  l’occasione   di   ricordare   e   dare   dignità   a   un  popolo  massacrato,  ma  anzi   è   stato   il   luogo  per  ribadire   l’indifferenza   di   Paesi   che   pur  riconoscendo   formalmente   il   genocidio   non   ne  parlano  e  di  altri,  addirittura  Israele  che  ha  subito  una   sorte   simile   e   che,   forse,   per   questo  dovrebbe  sentirsi  particolarmente  coinvolto,  che  girano   la   testa  e  preferiscono  alla   verità   storica,  alla   giustizia,   alla   dignità   umana   la   tranquillità  politica  con  una  nazione  che  non  si  assume  le  sue  responsabilità  e  non  riconosce  le  sue  colpe,  come  persino  la  Germania  ha  fatto.  La  polemica  che  si  è   scatenata   in   seguito   alle   parole   del   papa,   che  ha   esplicitamente   definito   la   deportazione   degli  Armeni   un   genocidio,   è   la   lampante  dimostrazione  di  un  atteggiamento  diffuso  che  si  può   riassumere   alla   perfezione   con   le   parole   di  Adolf   Hitler   alla   vigilia   dell’olocausto:   “Chi   si  ricorda  oggi  dello  sterminio  armeno?”.  Vogliamo  dargli  ragione?  

Ginevra  Gatti,  IB  

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«Il  Piave  mormorava  calmo  e  placido  al  passaggio/  dei  primi   fanti   il   ventiquattro   maggio…»   questi   sono   i  celebri   versi   con  cui   inizia   la  Leggenda  del  Piave,  una  delle  più  note  canzoni  patriottiche   italiane,  composta  nel   1918   dal   napoletano   E.A.   Mario   per   esaltare   la  vittoria  italiana  nella  Prima  Guerra  Mondiale,  o,  come  fu   chiamata   allora,   la   Grande   Guerra.   Si   dice   che   il  conflitto   scoppiò   a   causa   dell’assassinio   a   Sarajevo  dell’erede   al   trono   austriaco   Francesco   Ferdinando,  ma   in   verità   le   ragioni   dell’«inutile   strage»   (così   la  guerra   fu   definita   da   papa   Benedetto   xv)   vanno  ricercate   nel   clima   di   nazionalismo   che   aleggiava   in  quasi   tutti   i   paesi   d’Europa,   divisa   nei   due   blocchi  contrapposti  della  Triplice  Alleanza   (Austria-­‐Ungheria,  Germania   e   Italia)   e   della   Triplice   Intesa   (Inghilterra,  Francia   e   Russia):   molti   stati   rivendicavano   territori  considerati  parte   integrante  della   loro  nazione,   come  l’Alsazia   e   la   Lorena   (tolte   alla   Francia   dall’Impero  Tedesco   nl   1870)   o   le   Terre   Irredente   che   l’Italia  reclamava   all’Austria   (Trentino-­‐Alto   Adige,   Friuli   ed  Istria,  Dalmazia).  La  guerra  non  poteva  non  scoppiare:  scoppiò,  e  fu  combattuta  nel  fango  delle  trincee  sotto  i   fuochi  delle  mitragliatrici,   le  nuvole  di  gas   tossici  e   i  primi  bombardamenti  aerei  della   storia.   La   realtà  era  sicuramente   ben   più   cruda   di   quella   di   placido  eroismo  celebrata  da  Mario.  Finita  la  guerra  nel  1918,  si   assistette   alla   “caduta   dei   giganti”:   crollarono   i  millenari   e   multietnici   imperi   tedesco,   austriaco,  ottomano   e   russo   (quest’ultimo   a   causa   della  rivoluzione   bolscevica).   La   Germania,   umiliata   e  distrutta   sia   moralmente   che   economicamente,   fu  facile   preda   nel   nazismo   di   Hitler,   mentre   in   Italia   il  clima   di   scontento   per   la   “vittoria   mutilata”   (non  furono   confermate   le   pretese   italiane   sulla  Dalmazia,  sul  giacimento  carbonifero  di  Adalya  in  Turchia  e  sulle  colonie  tedesche   in  Africa)  portò  all’impresa  di  Fiume  prima,  alla  Marcia  su  Roma  poi.  E  tutto  ricominciò  da  capo:  morti,  stragi,  sangue.  Tra  pochi  giorni,  il  24  maggio  2015,  saranno  celebrati  i  cento   anni   dall’entrata   in   guerra   dell’Italia   nella  Grande   Guerra   (l’anno   scorso   si   è   commemorato   lo  scoppio  del  conflitto,   in  cui   il  nostro  Paese  non  entrò  subito,   diviso   com’era   tra   pacifisti   e   interventisti):  cento   anni   sono   passati   da   quel   fatale   24   maggio,   e  nell’Europa   di   oggi   non   c’è   più   posto   per   reticolati   e  

Cento anni dalla “inutile strage” Ricordiamo chi è morto per il nostro Paese

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trincee,  ma   per   il   nostro   continente   vediamo   iniziata  una   nuova   era   di   pace   e   coesione   nelle   comuni  istituzioni   dell’UE.   È   giusto   dunque   ricordare   oggi   il  conflitto  che  più  di  tutti  fece  nascere  odio  tra  i  popoli  europei?  A  parer  mio,  è  doveroso:  primo  per  mostrare  alle   forze   antieuropeiste   dove   porta   la   rivalità   tra  nazioni,   fino   a   che   punto   l’uomo   può   arrivare   ad  odiare   un   altro   uomo.   Ma   anche   per   onorare   la  memoria  di   quei  milioni   di   soldati,   tra   i   quali   c’erano  eroi   e   disertori,   che   hanno   insanguinato   i   campi  d’Europa   andando   all’assalto   sotto   la   sferza   della  mitragliatrice:   per   amore   della   loro   Patria   o   perché  costretti,   ci   andarono,   e   qui   in   milioni   trovarono   la  morte.  Ecco  perché  non  si  può,  non  si  può  sentire  chi,  come  gli   altoatesini,   vogliono   la   secessione  dall’Italia:  tanti   giovani   hanno   dato   il   loro   sangue   per   unirli   ai  loro   fratelli   italiani,   e   con   tali   insulsi   e   insultanti  discorsi   essi   infangano   la   loro   memoria.   Onoriamoli,  onoriamo   i   nostri   morti,   e   amiamo   la   nostra   grande  Nazione,  grande  perché  in  milioni  sono  morti  per  essa,  grande   perché   voce   potente   nel   coro   d’Europa,  grande   per   la   sua   storia,   la   sua   cultura,   la   sua  tradizione  gastronomica,  grande  perché  unica  e  amata  da  tutti  nel  mondo.  Amiamola  anche  noi,  pur  con  tutte  le   ferite   che   quotidianamente   vediamo   nel   suo   bel  corpo,   in   questa   commemorazione   storica,   crediamo  in   essa   e   lottiamo   per   darle   un   futuro   luminoso,  ricordando  anche  il  suo  grande  passato.    Edoardo  Taricco,  IB    

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Il  18  giugno  1917  apparve  sulla  scena  del  teatro  Olimpia  di  Milano   l’opera   teatrale   “Così   è   (se   vi   pare)”   di   Luigi  Pirandello.   A   quasi   cent’anni   di   distanza   dalla   sua   prima  rappresentazione,  il  dramma  è  stato  nuovamente  proposto  in  tutta   la  sua  provocatoria  modernità  dagli  attori  e  attrici  del  laboratorio  teatrale  dei  licei  Classico  e  Artistico.  Il   titolo   dell’opera   suggerisce   già   quanto   l’autore   siciliano  voglia   liberarsi   delle   regole,   operando   per   una   più   alta  originalità   rivoluzionaria,   capace   di   destare   tanto   stupore  quanto   disprezzo   presso   i   suoi   contemporanei.  L’eccezionale   finezza   di   pensiero,   che   traina   l’intera  rappresentazione,   nei   primi   anni   del   XX   secolo   non   fu  affatto   compresa,   bensì   sottoposta   a   pesanti   critiche.  Pirandello,   effettivamente,   contribuì   all’abbattimento   di  granitiche  certezze,  obbligando  così  il  pubblico  a  mettere  in  discussione  l’esistenza  di  un'unica  verità.  Rappresentare   tale   autore   di   teatro   non   è   facile,   per  ammissione   degli   stessi   attori.   Il   linguaggio,   infatti,   ormai  desueto  e  complesso,  costringe  ad  uno  sforzo  mnemonico  non   indifferente,   mentre   la   staticità   delle   scene,  prevalentemente   dialogiche,   impone   agli   attori   una   cura  costante  dell’espressività   linguistica  e  gestuale;   il   copione,  

Così è (se vi pare)

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infine,   richiedendo   una   presenza   continua   dei  personaggi   sulla   scena,   sottopone  questi   ultimi   ad  una  forte   tensione.   Tuttavia,   l’abilità   degli   interpreti   ha  permesso   loro  di   superare   tali  difficoltà,   restituendo  al  pubblico   una   rappresentazione   alquanto   fresca   e  intrigante.    Il   dramma   si   sviluppa   tra   le   pareti   di   un   tipico   salotto  ottocentesco,   in   cui   l’autore   non   si   risparmia   di  mostrare   con   sottile   ironia   un   infimo   campionario   di  difetti  propri  della  classe  dirigente,  che  gli  attori  hanno  saputo  efficacemente  impersonare.    Immediatamente,   infatti,   i   borghesi   danno   prova   della  curiosità,   inopportuna,   ma   in   un   certo   qual   modo  comprensibile,  che  li  caratterizza:  l’arrivo  in  paese  di  tre  forestieri   stuzzica   fortemente   la   loro   attenzione,  soprattutto  quella  delle  donne,   tanto  da  fare  dei  nuovi  arrivati,  circondati  da  un’aura  di  mistero,  l’oggetto  delle  loro   chiacchiere.   Il   signor   Sirelli,   inoltre,   con   la   sua  tendenza   al   ridicolo   e   al   goffo,   è   la   prova   palese   ed  emblematica   anche   di   quanto   l’ottusità   impregni  

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l’animo  borghese,  proprio  perché  si  rivela  una  semplice  marionetta   succube   delle   decisioni   altrui,   capace  solamente  di  vagare  da  una  parte  all’altra  del  palco  per  seguire   gli   ordini   della  moglie   e   degli   altri   componenti  del  salotto.  Il   pubblico  moderno  non  può   che   sorridere  di   fronte  a  tali   comportamenti,   in   particolare   davanti   all’impegno  con  il  quale  i  personaggi,  scioccamente,  cercano  di  fare  la   conoscenza   del   signor   Ponza   e   di   sua   suocera,   la  signora   Frola,   desiderosi   di     scoprirne   l’identità   e  attribuire   loro   una   maschera.   Tuttavia,   quest’ultima  impresa   si   rivela   più   ardua   del   previsto   e   costringe   i  borghesi   ad   assumere   atteggiamenti   non   del   tutto  onorevoli.   La   signora   Amalia   e   sua   figlia   Dina,   infatti,  raccontano   con   disinvoltura   di   aver   seguito   e   spiato   i  loro   movimenti   fin   sotto   casa,   di   essersi   presentate  addirittura  alla  porta,  da  benevole  vicine  quali  sono,  per  dare  loro  una  consona  accoglienza.  Tuttavia,  gli  ambigui  comportamenti   della   signora   Frola,   che   più   volte   al  giorno  si  reca  dalla  figlia,  senza  mai  salire  in  casa,  e  del  signor   Ponza,   suo   genero,   non   fanno   che   accrescere  vertiginosamente   l’indiscrezione   del   salotto.   Lo  spettatore,   allora,   si   ritrova   ben   presto   catapultato   in  un’aula   di   tribunale,   dove   genero   e   suocera,   vittime  indifese,  finiscono  per  andare  in  pasto  a  famelici  lupi  in  giacca   e   cravatta:   tra   concitate   conversazioni,   che  prendono   le   sembianze   di   veri   e   propri   interrogatori  processuali,  pare  che  la  verità  possa  finalmente  venire  a  galla.  Nondimeno,   l’accusa   reciproca  di  pazzia  da  parte  di  Frola  e  Ponza  getta  i  personaggi  in  confusione.  La   spasmodica   ricerca,   pertanto,   continua:   i   distinti  borghesi   si   arrovellano  cercando  di   trovare  documenti,  partoriscono   ipotesi,   ne   confutano   altre,  molto   spesso  sfociando   nel   sadismo   e   nella   freddezza   più   assoluta.  Molti,  infatti,  una  volta  scoperta  la  terribile  sciagura  che  ha   costretto   la   misteriosa   “famiglia”   a   traslocare,  (ovvero  il  terremoto  che  ha  provocato  la  morte  di  tutti  i  loro   parenti   e   amici),   paiono   goduti   e   soddisfatti   per  quanto   accaduto,   proprio   perché   credono   di   essersi  finalmente   avvicinati   alla   risoluzione   del   mistero   che  coinvolge  i  nuovi  arrivati.  Ma   essi   si   dimostrano   capaci   di   una   cattiveria   che  sembra  non  avere   limiti.  Con   la  progressiva  scoperta  di  nuovi   dettagli,   infatti,   i   borghesi,   assettati   di   risposte,  mostrano   tutta   la   loro   più   estrema   insensibilità,  abbattendo   quella   facciata   di   apparente   umanità   che  avevano   abilmente   costruito.     Alla   fine   della  rappresentazione,   risultano,   infatti,   ciechi   e   sordi   di  fronte  al   terribile  dramma  che   inizia  a   soffocare  con   le  sue   spire  velenose  genero  e   suocera.  Tra  questi  ultimi,  poi,   la   tensione   accumulata   lungo   tutto   il   corso  

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dell’opera   sfocia   nella   scena   culminante   del   loro  incontro,   in  cui   il   signor  Ponza   tenta  di   riportare   tutto  all’ordine:   un’intensa   drammaticità   si   impossessa   del  palco,  trainata  tanto  dalle  suppliche  strazianti  di  Frola,  quanto  dalle  grida  ammonitrici  e  minacciose  di  Ponza.  Tale   scena,   così   ricca   di   sofferenza,   non   distoglie,  tuttavia,   i   ricchi   borghesi   dal   loro   proposito.  Ostentando,   infatti,   uno   sfrontato   egoismo,   pur   di  soddisfare  la  propria  curiosità,  essi  appaiono  disposti  a  soverchiare   definitivamente   già   i   precari   equilibri   tra  genero  e  suocera,  mandando  a  chiamare  la  moglie  del  signor   Ponza.   Solo   lei,   effettivamente,   è   in   grado   di  rivelare  la  propria  identità  e  porre  fine  alle  tribolazioni  borghesi.   Ma   l’arrivo   della   donna   produce   l’effetto  contrario,  lasciando  sospese  in  eterno  le  fantasticherie  dei  personaggi  e  del  pubblico.  Con  un  velo  che  le  cela  il  viso,   pronuncia   parole   dalla   forte   ambiguità   che  rivelano,   presumibilmente,   il   suo   carattere   oracolare:  “Io   sono   colei   che   mi     si   crede”.   La   moglie   può,  pertanto,  assumere  tutte  le  maschere  possibili  che  le  si  vogliono   attribuire,   dal   momento   che   un’unica   verità  non  esiste.    Un  finale  così  aperto  non  può,  dunque,  che  proiettare  il  pubblico   di   ieri   e   di   oggi   verso  mille   altre   alternative,  dal  momento  che   tutto  è  possibile,  nulla  è  veramente  certo.    Ci   complimentiamo,   infine,   con   tutti   gli   attori,   che  hanno   saputo   abilmente   tener   testa   ad   un   copione  impervio  e  non  sempre  fluido,  tanto  più  trasmettere  un  messaggio   disarmante   qual   è   quello   di   “Così   è   (se   vi  pare)”;   inoltre,   enfatizzare   i   vari   vizi   borghesi   ha  permesso   al   pubblico   di   cogliere   al   meglio   la   velata  ironia  pirandelliana.    Il   loro  merito   e   la   loro   bravura   sono   stati   riconosciuti  anche   dalla   critica,   che   ha   gratificato   il   laboratorio  teatrale   con   il   premio   “Dino   Lavagna”,   nella   sezione  scuole  superiori,  all’interno  della  rassegna  “Il  teatro  dei  ragazzi”   2015,   organizzata   dal   Comune   di   Alba   e   dal  Teatro  Sociale  “Giorgio  Busca”,  in  collaborazione  con  la  Fondazione  Teatro  Ragazzi  e  Giovani  Onlus.        Andrea  Apicella,  III  B  Susanna  Coarezza,  III  B    

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23  maggio  2015,  sabato  pomeriggio.  Nel  cuore  del  risveglio  primaverile   che   ci   scuote   dal   gelido   torpore   invernale,  anche   la   nostra   anima   sembra   più   propensa   a   fresche,  vibranti   emozioni.   Paradossalmente,   questa   occasione   ci   è  stata   offerta   dalla   poesia,   arte   ormai   relegata,  nell’immaginario  comune,  all’apprendimento  nozionistico  e  antiquato  di   una   scuola   di   stampo  ottocentesco;   eppure,   i  ragazzi   del   Liceo   Classico   di   Alba,   abilmente   diretti   dal  professore   Luca   Franchelli,   hanno   saputo   accendere,  nell’ingente   pubblico   (secondo   i   registri   più   di   trecento  persone),   un  nuovo   interesse  per  questo   genere   letterario  tanto  trascurato  in  tempi  moderni.  

Il   progetto,   intitolato   “Poesie   di   Poesie”,   prevedeva   un  breve   ma   significativo   percorso   itinerante   in   diversi  ambienti  scolastici:  scendendo  dalle  aule  ai  sotterranei,  per  poi   risalire   e   assistere   alla   recitazione   dell’ultimo  componimento   nel   cortile   esterno,   gli   spettatori   si   sono  mossi  in  una  sorta  di  νεκύια  che  si  è  aperta  con  la  granitica  perentorietà  dei  Sepolcri  foscoliani  e  si  è  conclusa  con  A  Dio  di   Vittorio   Gassman,   grande   inno   alle   più   profonde    incertezze  umane.    

Per   questo   emozionante   cammino   letterario,   il   regista   e  professore   Franchelli   ha   accuratamente   selezionato   le  poesie   più   emblematiche   di   Foscolo,   Leopardi,   Pascoli,  D’Annunzio,   Gozzano,   Saba   e   Montale;   nonostante   la  decisione  consapevolmente  rischiosa  di  presentare  le  opere  “senza   alcun   filtro   didattico,   nella   loro   purezza   e  autenticità”,   la   bravura   degli   attori   e   alcune   acute   scelte  registiche   hanno   permesso   al   pubblico   eterogeneo   di  sfondare   la   complessità   dei   testi   e   accedere   alla   loro   più  profonda  essenza  comunicativa.  Ad  esempio,   la  recitazione  spiccatamente   teatrale   dell’impegnativa   Digitale   purpurea  di  Pascoli,  con  due  ragazze  nei  panni  di  Maria  e  Rachele  di  cui   è   stato   riproposto   il   dialogo,   ha   travolto   gli   spettatori  con   un   pathos   pregno   della   sessualità   problematica   e  repressa  del  poeta.    

Nella   rappresentazione   dell’Amica   di   nonna   Speranza     di  Gozzano,   invece,   l’estetica   dal   basso   dell’autore   è   stata  rievocata  tramite  una  fotografia  incorniciata,  buona  cosa  di  pessimo   gusto   che   ha   permesso   di   esemplificare   la   sottile  ironia  gozzaniana.  

A  metà  circa  del  percorso,  è  stato  inserito  un  piacevolissimo  intermezzo   musicale   in   cui   due   studenti   hanno,   con   una  coinvolgente   complicità   di   sguardi   e   cenni,   unito   i   suoni  classici   di   un   violoncello   e   un   pianoforte   ai   ritmi   rock   di  November   Rain   (Guns’n’Roses),   Yesterday   (Beatles)   e  

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Follow  you,   follow  me   (Genesis).   Con  questi   brani   che  hanno   fatto   la   storia   della  musica,   il   regista   ha   voluto  creare   un   singolare   contrasto   con   la   poesia   italiana   di  cui   il   pubblico   era   ebbro,   ma   anche   instaurare   un  contatto  generazionale  fra  ragazzi  e  genitori.  

A  questo  momento  è  seguita  l’epifanica  recitazione  dei  testi   di  Montale:   la   delicatezza   con   cui   essi   sono   stati  interpretati   e   la   location   –   gli   antichi   sotterranei   del  liceo,  illuminati  da  una  luce  soffusa  –  hanno  instillato  in  tutti   la   dolcissima   illusione   di   veder   spuntare  veramente,  da  dietro  una  colonna  scalcinata,  un  angelo  nero  spazzacamino.  

Infine,   tornati   alla   luce   dopo   un   viaggio   nelle   disilluse  speranze   montaliane,   siamo   stati   sorpresi  dall’interpretazione   del   professor   Franchelli   stesso,   il  quale   ha   voluto   concludere   questo   percorso   con   una  breve   ma   intensa   poesia   di   Vittorio   Gassman,   A   Dio,  che   ci   ha   elevato   ad   una   riflessione   sul   punto   di  incontro  fra  la  nostra  quotidianità  e  l’assoluto.  

Montale   avrebbe   probabilmente   annoverato   questo  intenso   pomeriggio   fra   i   suoi   pochissimi   barlumi,   quei  rari   momenti   in   cui   veramente   viviamo;   io   desidero  concludere   la   mia   riflessione   con   una   frase   del  professor  Franchelli:  “a  scuola  facciamo  tanto,  ma  fuori  rimane  un  mondo  intero  da  scoprire”,  perché  il  Liceo  ci  fornisce  gli   strumenti  per   cercarli,  ma  poi   spetta  a  noi  cogliere  i  barlumi  della  nostra  esistenza.  

Giulia  Graziano,  IIIB  

POESIE DI POESIE

HERMES, il Messaggero del Govone Numero 3, Giugno

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Cinque   giorni   all’insegna   dello   studio   per   i   ragazzi  della   seconda   liceo   sezione   internazionale   del   Liceo  Classico   Govone   di   Alba.   Ben   17   le   ore   passate   in  classe   nel   prestigioso   Centro   Internazionale   di  Valbonne   dall’1   al   5   giugno   in   compagnia   di  professori  del  Lycée  International  per  approfondire  la  conoscenza  della  lingua  attraverso  corsi  di  storia  e  di  letteratura   francese,   accompagnati   dalle   loro  professoresse  Marie  Huot   e  Marie-­‐France  Bousquet.                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Gli   studenti   hanno   avuto   la   possibilità   di   compiere  uno   splendido   viaggio   nella   poesia   con   la  professoressa   Ndouma   tramite   autori   francesi   di  epoche  diverse,  dal  XVI  al  XX   secolo,   come  Ronsard,  Lamartine,   Rimbaud,   Vian,   Aragon.   Inoltre   hanno  assistito  agli  interessanti  corsi  del  professore  di  storia  Cazaux   sulle   tematiche   della   Seconda   Rivoluzione  Industriale   e   sulla   Colonizzazione.   Lavoro   utile   non  solo  per  scoprire   l’importanza  e   il  ruolo  della  poesia,  espressione   dei   sentimenti   ma   anche   impegno  politico   e   sociale,   o   per   approfondire   alcuni   periodi  storici  di  estrema  rilevanza,  ma  anche  per  prepararsi  all’Esabac,   ovvero   alla   maturità   in   francese   che   gli  allievi   del   Govone   dovranno   affrontare   il   prossimo  anno,   dato   che   durante   la   loro   permanenza   a  Valbonne   hanno   avuto   di   modo   di   svolgere   prove  molto   simili   a   quelle   a   cui   saranno   sottoposti   il  prossimo   giugno.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Ma  c’è  di  più,  oltre  al   faticoso  ma   stimolante   lavoro  con   professori   madrelingua,   i   ragazzi   hanno  sperimentato   a   360   gradi   la   vita   di   uno   studente  francese  dormendo  in  una  sorta  di  college,  forse  non  proprio   munito   di   tutti   i   comfort   ma   che   ha  

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comunque  permesso  loro  di  misurarsi  con  una  realtà  molto   vicina   a   quella   universitaria,   visto   che   i   bagni  erano  in  comune  e  non  sempre  era  facile  organizzare  i  turni  per  la  doccia,  e  mangiando  con  gli  altri  studenti  a  mensa,   dove   peraltro   il   cibo   non   era   niente  male.  Non   bisogna   però   dimenticare   che   i   ragazzi   si   sono  divertiti   molto   visitando   nei   pomeriggi   liberi   le  bellissime   città   della   Costa   Azzurra   come   Antibes,  Cagnes-­‐sur-­‐mer  e  Nizza,   facendo  shopping,  giocando  sulla   spiaggia,   facendo   lunghi   bagni   nel   mare  cristallino,   organizzando   partite   serali   di   calcio   o  assaporando   i  prodotti   tipici,   come  successo   l’ultima  sera  quando  la  compagnia  ha  cenato  in  una  crêperie  di  Cagnes  gustando  le  sfiziose  crêpes  e  assaggiando  il  sidro   di   mela.   Si   dichiarano   infatti   tutti   molto  soddisfatti   per   questa   settimana   di   scuola  “alternativa”   e  di   vacanza,   in  primis   gli   studenti   e   le  professoresse   per   il   lavoro   fatto   e   per   il   bel   tempo  passato   insieme,   ma   anche   gli   stessi   professori   di  Valbonne,   tra   cui   la   simpaticissima   professoressa  Ndouma,  che  alla  fine  del  corso  ha  richiesto  una  foto  della  classe  per  poterla  mettere   insieme  a  quelle  dei  suoi   alunni.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    E  se  è  vero  che  <<nulla  sviluppa  l’intelligenza  più  del  viaggio>>  come  diceva  Emile  Zola,  quest’esperienza  è  stata   sicuramente   utile   per   migliorare   la   propria  conoscenza   del   francese,   ma   anche   le   proprie  capacità   di   sapersi   adattare   ad   un   tipo   di   scuola  differente  dal  nostro,  senza  dimenticare  l’aspetto  del  divertimento,  che  non  è  mai  mancato.  

Lorenzo  Germano,  IIC  

STUDENTI FRANCESI PER UNA

“SEMAINE”

HERMES, il Messaggero del Govone Numero 3, Giugno

5 2 8 1 7 95 2

4 81 3 6 5 8

5 7 1 8 42 7

9 66 8 2 3 1 4

5 7 2 88 5 6 4

4 8 52 9 7 5

9 86 1 8 21 2 75 7 3 1

7 2 5 4

I SUDOKU DI HERMES