Tirannidi

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1 Erodoto V 92 – A governare Corinto erano i cosiddetti Bac- chiadi, che contraevano matrimoni solo al proprio interno. Anfione, uno di loro, aveva una figlia storpia, di nome Labda; poiché nessun Bacchiade voleva sposarla, se la pre- se Eezione figlio di Echecrate, nativo del demo di Petra. Eezione non riusciva ad avere figli né da questa donna né da un’altra; partì, quindi, per Delfi per avere lumi sulla sua capacità di procreare. Mentre entrava nel tempio la Pizia lo salutò direttamente con queste parole: «Eezione, nessuno ti rende onore, benché tu ne sia assai degno. Labda è incinta e partorirà un macigno; cadrà su chi ha il potere e punirà Corinto». La profezia resa a Eezione giunse in qualche mo- do alle orecchie dei Bacchiadi; essi non erano riusciti a in- terpretare il precedente responso relativo a Corinto, che veniva a coincidere con quello di Eezione e diceva: «Un’aquila è gravida sulle pietre, e darà alla luce un leone feroce carnivoro: a molti fiaccherà le ginocchia. Pensateci bene, Corinzi, che abitate intorno alla bella Pirene e alla ripida Corinto». Il responso precedentemente dato ai Bacchiadi era o - scuro, ma quando appresero quello ricevuto da Eezione, subito capirono anche il primo, che gli si accordava. Ma poi, benché avessero compreso pure questo, se ne stettero quieti, con l’intenzione di eliminare il figlio che doveva nascere a Eezione. Appena sua moglie ebbe partorito man- darono dieci di loro nel demo in cui viveva Eezione per uccidere il neonato. Giunti a Petra, costoro si presentarono nella dimora di Eezione e chiesero del bambino. Labda, ignorando le ragioni della loro venuta e credendo che lo volessero vedere per amicizia verso il padre, lo andò a prendere e lo diede in braccio a uno di loro. Essi strada fa- cendo avevano deciso che il primo ad avere in mano il bambino doveva scaraventarlo per terra. Ma quando la donna lo portò e lo diede a loro, per sorte divina il neonato sorrise all’uomo che l’aveva ricevuto; e questi ci pensò e gli pianse il cuore all’idea di ucciderlo: mosso a compassione lo porse al secondo e il secondo al terzo; e così il bambino passò fra le braccia di tutti e dieci senza che nessuno si de- cidesse ad ammazzarlo. Restituirono l’infante alla madre e uscirono; fermatisi sulla soglia, cominciarono ad accusarsi a vicenda, rimproverando soprattutto al primo che l’aveva avuto in mano di non aver agito come convenuto, finché, trascorso del tempo, non decisero di entrare di nuovo e di assassinarlo tutti assieme. Labda, stando proprio accanto alla porta, udì i loro di- scorsi; nel terrore che, cambiata idea, prendessero un’altra volta il bambino e lo uccidessero, lo andò a nascondere in quello che le parve il luogo più impensabile, in una cassa, sapendo che se fossero tornati indietro per cercarlo avreb- bero frugato dappertutto. E così fu. Entrarono e perquisi- rono, ma, visto che il bambino era sparito, decisero di an- darsene e di riferire a chi li aveva mandati di essersi atte- nuti fedelmente agli ordini. Così raccontarono al loro rito r- no. Poi il figlio di Eezione crebbe: per essere scampato a questo pericolo, fu chiamato Cipselo, dal nome della cas- setta. Ormai adulto, Cipselo, consultando a Delfi l’oracolo, ricevette un responso indiscutibilmente propizio, fidando nel quale attaccò Corinto e se ne impadronì. (...) Dopo tren- ta anni di regno compì felicemente il corso della sua esi- stenza e gli successe al potere il figlio Periandro. Periandro all’inizio era più mite del padre, ma, dopo essere entrato in rapporto, per mezzo di ambascerie, con il tiranno di Mileto Trasibulo, divenne ancora più sanguinario di Cipselo. In- fatti aveva inviato a Trasibulo un araldo per chiedergli quale era il metodo di governo più sicuro da adottare per reggere la città nel modo migliore. Trasibulo condusse l’incaricato di Periandro fuori della città ed entrò in un campo coltivato: camminando in mezzo alle messi, lo in- terrogava e reinterrogava sul motivo della sua venuta da Corinto e nel contempo recideva tutte le spighe che vedeva più alte delle altre, le recideva e le gettava per terra, finché così facendo non ebbe distrutto la parte più bella e rigo - gliosa delle messi. Traversato il campo, congedò l’araldo senza avergli dato alcun consiglio. Al ritorno a Corinto del suo incaricato, Periandro era impaziente di udire la rispo- sta; l’araldo invece gli riferì che Trasibulo non gli aveva suggerito nulla; e aggiunse di stupirsi che lo avesse man- dato da un uomo simile, un demente, uno che si autodan- neggiava: e raccontava quanto aveva visto fare da Trasibu- lo. Ma Periandro comprese la faccenda; sicuro che Trasibu- lo gli consigliava di eliminare i cittadini più eminenti, a questo punto mostrò ai Corinzi l’intera sua malvagità. Gli assassinî e le persecuzioni non eseguiti da Cipselo, Perian- dro li condusse a termine. Aristotele , Athenaion politeia 14: Pisistrato, che godeva fama di uomo quanto mai democratico e si era coperto di gloria nella guerra contro Megara, si procurò da solo una ferita e persuase il popolo, dichiarando di avere subito ciò da parte degli avversari politici, a concedergli una guardia del corpo, su proposta di Aristione. Ricevuti dunque i co- siddetti mazzieri, fece insieme a loro una rivoluzione con- tro il popolo e occupò l’Acropoli trentun anni dopo la legi- slazione di Solone, sotto l’arcontato di Comeo. (...) Pisistra- to, preso il potere, amministrò la cosa pubblica più da con- cittadino che da tiranno. Ma prima che il suo potere si con- solidasse, i partigiani di Megacle e quelli di Licurgo si mi- sero d’accordo e lo scacciarono al sesto anno dopo la prima conquista del potere, sotto l’arcontato di Egesia. Ma undici anni più tardi Megacle, soccombendo alla discordia civile, richiamò Pisistrato alla condizione che questi sposasse sua figlia, e gli restituì il potere in un modo molto tradizionale e molto semplice. Diffusa infatti preventivamente la voce che Atena stava riconducendo Pisistrato in patria, e avendo trovato una donna alta e bella, la travestì da dea e la fece entrare in Atene insieme a Pisistrato; e questi avanzava su un cocchio affiancato dalla donna, e i cittadini lo accolsero con venerazione e meraviglia. [15] Così avvenne dunque il suo primo ritorno. Ma poi perse di nuovo il potere, esatta- mente sei anni dopo il ritorno: infatti non riuscì a mante- nersi a lungo, e poiché non voleva convivere con la figlia di Megacle, temendo entrambi i partiti, fuggì di nascosto. E dapprima colonizzò presso il golfo Termaico una località

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Erodoto V 92 – A governare Corinto erano i cosiddetti Bac-chiadi, che contraevano matrimoni solo al proprio interno. Anfione, uno di loro, aveva una figlia storpia, di nome Labda; poiché nessun Bacchiade voleva sposarla, se la pre-se Eezione figlio di Echecrate, nativo del demo di Petra. Eezione non riusciva ad avere figli né da questa donna né da un’altra; partì, quindi, per Delfi per avere lumi sulla sua capacità di procreare. Mentre entrava nel tempio la Pizia lo salutò direttamente con queste parole: «Eezione, nessuno ti rende onore, benché tu ne sia assai degno. Labda è incinta e partorirà un macigno; cadrà su chi ha il potere e punirà Corinto». La profezia resa a Eezione giunse in qualche mo-do alle orecchie dei Bacchiadi; essi non erano riusciti a in-terpretare il precedente responso relativo a Corinto, che veniva a coincidere con quello di Eezione e diceva: «Un’aquila è gravida sulle pietre, e darà alla luce un leone feroce carnivoro: a molti fiaccherà le ginocchia. Pensateci bene, Corinzi, che abitate intorno alla bella Pirene e alla ripida Corinto». Il responso precedentemente dato ai Bacchiadi era o-scuro, ma quando appresero quello ricevuto da Eezione, subito capirono anche il primo, che gli si accordava. Ma poi, benché avessero compreso pure questo, se ne stettero quieti, con l’intenzione di eliminare il figlio che doveva nascere a Eezione. Appena sua moglie ebbe partorito man-darono dieci di loro nel demo in cui viveva Eezione per uccidere il neonato. Giunti a Petra, costoro si presentarono nella dimora di Eezione e chiesero del bambino. Labda, ignorando le ragioni della loro venuta e credendo che lo volessero vedere per amicizia verso il padre, lo andò a prendere e lo diede in braccio a uno di loro. Essi strada fa-cendo avevano deciso che il primo ad avere in mano il bambino doveva scaraventarlo per terra. Ma quando la donna lo portò e lo diede a loro, per sorte divina il neonato sorrise all’uomo che l’aveva ricevuto; e questi ci pensò e gli pianse il cuore all’idea di ucciderlo: mosso a compassione lo porse al secondo e il secondo al terzo; e così il bambino passò fra le braccia di tutti e dieci senza che nessuno si de-cidesse ad ammazzarlo. Restituirono l’infante alla madre e uscirono; fermatisi sulla soglia, cominciarono ad accusarsi a vicenda, rimproverando soprattutto al primo che l’aveva avuto in mano di non aver agito come convenuto, finché, trascorso del tempo, non decisero di entrare di nuovo e di assassinarlo tutti assieme. Labda, stando proprio accanto alla porta, udì i loro di-scorsi; nel terrore che, cambiata idea, prendessero un’altra volta il bambino e lo uccidessero, lo andò a nascondere in quello che le parve il luogo più impensabile, in una cassa, sapendo che se fossero tornati indietro per cercarlo avreb-bero frugato dappertutto. E così fu. Entrarono e perquisi-rono, ma, visto che il bambino era sparito, decisero di an-darsene e di riferire a chi li aveva mandati di essersi atte-nuti fedelmente agli ordini. Così raccontarono al loro rito r-no. Poi il figlio di Eezione crebbe: per essere scampato a questo pericolo, fu chiamato Cipselo, dal nome della cas-setta. Ormai adulto, Cipselo, consultando a Delfi l’oracolo,

ricevette un responso indiscutibilmente propizio, fidando nel quale attaccò Corinto e se ne impadronì. (...) Dopo tren-ta anni di regno compì felicemente il corso della sua esi-stenza e gli successe al potere il figlio Periandro. Periandro all’inizio era più mite del padre, ma, dopo essere entrato in rapporto, per mezzo di ambascerie, con il tiranno di Mileto Trasibulo, divenne ancora più sanguinario di Cipselo. In-fatti aveva inviato a Trasibulo un araldo per chiedergli quale era il metodo di governo più sicuro da adottare per reggere la città nel modo migliore. Trasibulo condusse l’incaricato di Periandro fuori della città ed entrò in un campo coltivato: camminando in mezzo alle messi, lo in-terrogava e reinterrogava sul motivo della sua venuta da Corinto e nel contempo recideva tutte le spighe che vedeva più alte delle altre, le recideva e le gettava per terra, finché così facendo non ebbe distrutto la parte più bella e rigo-gliosa delle messi. Traversato il campo, congedò l’araldo senza avergli dato alcun consiglio. Al ritorno a Corinto del suo incaricato, Periandro era impaziente di udire la rispo-sta; l’araldo invece gli riferì che Trasibulo non gli aveva suggerito nulla; e aggiunse di stupirsi che lo avesse man-dato da un uomo simile, un demente, uno che si autodan-neggiava: e raccontava quanto aveva visto fare da Trasibu-lo. Ma Periandro comprese la faccenda; sicuro che Trasibu-lo gli consigliava di eliminare i cittadini più eminenti, a questo punto mostrò ai Corinzi l’intera sua malvagità. Gli assassinî e le persecuzioni non eseguiti da Cipselo, Perian-dro li condusse a termine. Aristotele , Athenaion politeia 14: Pisistrato, che godeva fama di uomo quanto mai democratico e si era coperto di gloria nella guerra contro Megara, si procurò da solo una ferita e persuase il popolo, dichiarando di avere subito ciò da parte degli avversari politici, a concedergli una guardia del corpo, su proposta di Aristione. Ricevuti dunque i co-siddetti mazzieri, fece insieme a loro una rivoluzione con-tro il popolo e occupò l’Acropoli trentun anni dopo la legi-slazione di Solone, sotto l’arcontato di Comeo. (...) Pisistra-to, preso il potere, amministrò la cosa pubblica più da con-cittadino che da tiranno. Ma prima che il suo potere si con-solidasse, i partigiani di Megacle e quelli di Licurgo si mi-sero d’accordo e lo scacciarono al sesto anno dopo la prima conquista del potere, sotto l’arcontato di Egesia. Ma undici anni più tardi Megacle, soccombendo alla discordia civile, richiamò Pisistrato alla condizione che questi sposasse sua figlia, e gli restituì il potere in un modo molto tradizionale e molto semplice. Diffusa infatti preventivamente la voce che Atena stava riconducendo Pisistrato in patria, e avendo trovato una donna alta e bella, la travestì da dea e la fece entrare in Atene insieme a Pisistrato; e questi avanzava su un cocchio affiancato dalla donna, e i cittadini lo accolsero con venerazione e meraviglia. [15] Così avvenne dunque il suo primo ritorno. Ma poi perse di nuovo il potere, esatta-mente sei anni dopo il ritorno: infatti non riuscì a mante-nersi a lungo, e poiché non voleva convivere con la figlia di Megacle, temendo entrambi i partiti, fuggì di nascosto. E dapprima colonizzò presso il golfo Termaico una località

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che si chiama Rechelo; da lì si trasferì nella regione del Pangeo, dove si arricchì e raccolse soldati. Recatosi a Ere-tria all’undicesimo anno, tentò dapprima di riconquistare il potere con la forza, incoraggiato da molti e specialmente dai Tebani e da Ligdami di Nasso e anche dai cavalieri che erano al governo di Eretria. Vinta una battaglia presso il tempio di Atena Pallenide, conquistata la città e disarmato il popolo, conservò stabilmente la tirannide; e occupata Nasso, vi pose al governo Ligdami. (...) [16] Pisistrato go-vernava la città con equilibrio, più da concittadino che da tiranno: nel complesso, infatti, era generoso, mite e clemen-te con i delinquenti; e per di più prestava denaro ai poveri per i lavori, cosicché si guadagnavano da vivere facendo gli agricoltori. Agiva così per due ragioni: affinché essi vi-vessero non ammassati in città ma sparsi per la campagna e affinché, godendo di una modesta agiatezza e occupan-dosi dei loro affari privati, non desiderassero né avessero il tempo di occuparsi di quelli pubblici. Contemporaneamen-te gli accadeva di aumentare anche le entrate grazie al la-voro della terra: sui prodotti riscuoteva infatti le decime. Perciò appunto creò i giudici dei demi ed egli stesso usciva spesso in campagna a ispezionare e a mettere pace fra i contendenti, affinché quelli non trascurassero il lavoro scendendo in città. Durante una di tali visite dicono che avvenne l’incontro fra Pisistrato e il contadino dell’Imetto, nella località detta poi «campo franco». Vedendo un tale che scavava e lavorava una terra tutta di pietre, si meravi-gliò e disse al suo schiavo di chiedergli che cosa produces-se quel terreno; e il contadino: «Soltanto disgrazie e dolori, e su queste disgrazie e dolori bisogna dare la decima a Pi-sistrato!». Quell’uomo aveva risposto così perché non lo conosceva, ma Pisistrato, compiaciuto della sua franchezza e laboriosità, lo esentò da ogni tributo. Nemmeno nel resto egli tormentava il popolo con il suo governo, anzi gli pro-curava sempre tranquillità e manteneva la pace: per questo si ripeteva spesso che la tirannide di Pisistrato era come vivere al tempo di Crono; ma quando gli successero i figli, il potere divenne molto più duro. Ma soprattutto si elogia-va il suo carattere democratico e socievole. In genere tene-va a governare ogni cosa secondo le leggi, senza concedersi nessun privilegio; e un giorno, citato in giudizio per omi-cidio davanti all’Areopago, si presentò personalmente per discolparsi, mentre l’accusatore, impaurito, lasciò cadere l’accusa. Perciò rimase a lungo al potere, e quando venne cacciato lo riprese facilmente. Infatti gli era favorevole la maggioranza dei nobili e dei democratici: gli uni infatti se li conciliava con le relazioni personali, e gli altri soccorren-doli nei loro affari privati, ed era proprio fatto per piacere a entrambi. [17] Pisistrato dunque invecchiò al potere e morì di malattia sotto l’arcontato di Filoneo, trentatre anni dopo la sua prima tirannide, rimanendo in carica per diciannove anni, mentre gli altri li passò in esilio. Aristotele , Politica IV 1279 b: Poiché “costituzione” signifi-ca “governo” e il governo è l’autorità sovrana dello stato, è necessario che sovrano sia o uno solo o pochi o i molti. Quando l’uno o i pochi o i molti governano per il bene co-

mune, queste costituzioni necessariamente sono rette, men-tre quelle che badano all’interesse o di uno solo o dei pochi o della massa sono deviazioni (...) Delle forme monarchi-che quella che tiene d’occhio l’interesse comune siamo soli-ti chiamarla “regno”: il governo di pochi, e comunque, di più d’uno, “aristocrazia” (o perché i migliori hanno il pote-re o perché persegue il meglio per lo stato e per i suoi membri); quando poi la massa regge lo stato badando all’interesse comune, tale forma di governo è detta, col nome comune a tutte le forme di costituzione, “politia”. (…) Deviazioni delle forme ricordate sono, la tirannide del regno, l’oligarchia dell’aristocrazia, la democrazia della politia. La tirannide è infatti una monarchia che persegue l’interesse del monarca, l’oligarchia quello dei ricchi, la democrazia poi l’interesse dei poveri: al vantaggio della comunità non bada nessuna di queste. Aristotele , Politica IV 1295a: Quanto alla tirannide, nel no-stro esame della regalità abbiamo proposto di distinguerne due specie, perché la loro natura si avvicina anche in qual-che modo alla natura della regalità, e perché questa due forme di potere si fondano l'una e l'altra sulla legge (infatti presso certi barbari si eleggono i mo narchi al potere assolu-to e un tempo, presso i Greci antichi, certe persone in que-sto modo diventavano monarchi chiamati aisymnetes); ma queste due specie hanno tra loro qualche differenza: esse sono, diremmo, di tipo regale, in quanto il monarca regna secondo la legge e col consenso dei sudditi, ma è di tipo tirannico, poiché il potere si esercita in modo dispotico e secondo il loro arbitrio. Una terza specie di tirannide è proprio quella che passa per essere la tirannide per eccel-lenza e che corrisponde alla regalità assoluta. È a questo genere di tirannide che appartiene necessariamente il re-gime in cui il monarca esercita un potere senza responsabi-lità su uomini che sono uguali o superiori a lui, in vista del suo proprio interesse, e non nell'interesse dei governati e perciò non è voluto: nessun uomo libero acconsente volo n-tariamente di sopportare una simile autorità. Tirannidi in Asia Minore Mileto: Trasibulo (fine VII secolo a.C.) Mitilene: Melancro, Mirsilo, Meleagiro Samo: Demotele (600 a.C.); Polic rate Tirannidi in Grecia: Sicione: Ortagoridi Corinto: Cipselo (657); Periandro Atene: Pisistrato (561-527); Ippia (527-514) Tirannidi occidentali: Lentini: Panezio (615 a.C.) Agrigento: Falaride (571-555); Telemaco? (dal 555); Alcmene e Alcandro; Terone (489-472); Trasideo (472 a.C.) Gela: Cleandro (505-498); Ippocrate (498-491): Gelone (491-478) Siracusa: Gerone I (485-466); Trasibulo (466-465); Dionisio I (405-367); Dionisio II (367-357); Dione (357-354); Callippo (354-353); Ipparino (353-351); Niseo (351-347); Dionisio II (347-344); Timoleonte (344-336)