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La progettazione incessante testo di/ text by Marcello Panzarella The Unceasing Designing Chiavetta Mario © Mario Chiavetta

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La progettazione incessante

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[…] Una volta entrai in una chiesa a pregare, proprio mentre vi si stava leggendo la lettera di Paolo ai Tessalonicesi, laddove vi è detto: pregate incessantemente.Cominciai a pensare: com’è possibile pregare incessantemente, se nello stesso tempo ci si deve oc-cupare di tutto quello che serve per vivere? Cercai nella Bibbia e anche lì trovai che occorre pregare incessantemente… Pensai a lungo, senza trovare soluzione. (1) […]

Nella sua ricerca del modo di pregare incessantemente, il pellegrino russo troverà un monaco illumina-

to, un grande mistico esperto, disposto a insegnargli parole e metodo della preghiera incessante, non

solo una pratica corrente, ma anche e soprattutto una meta spirituale agognata, verso cui la sua guida

lo condurrà per gradi, lungo il percorso che lo porterà a saper trasferire prima dalle labbra alla lingua,

poi dalla bocca alla mente, e infine al cuore, le cinque semplici parole della preghiera di salvezza da

rivolgere a Cristo. Dopo lungo esercizio, il pellegrino si renderà conto che sarà la preghiera stessa a

dettargli ciò che gli serve, in verità quasi nulla, per vivere secondo la volontà del Signore.

Nella sua didattica del progetto di architettura, verso gli ultimi tempi della sua vita, Pasquale Culotta

fece ai suoi allievi qualche cenno dei “famosi” racconti del pellegrino russo, a tutti “naturalmente”

ignoti. Niente di più che allusioni, e al massimo la lettura di pochi passi, scelti e legati con cura, del

primo di quei sette racconti, senza quasi alcuna spiegazione. In verità, nessuno capì subito cosa vera-

mente c’entrasse quel racconto mistico russo col progetto di architettura. E sempre in verità, io oggi

penso che nemmeno lui avesse ancora pienamente elaborato la potenza di senso di quell’interesse, e

la consapevolezza lucida delle conseguenze di quella intuizione.

A distanza di anni, via via che il tempo è trascorso, e a mano a mano che l’esercizio quotidiano della

didattica del progetto è divenuto forma della mia esistenza – quasi a supplire l’interdizione accademica

all’esercizio della professione, e addirittura superando ogni precedente nella presa sugli occhi e sulla

mente – allora ho creduto di comprendere quale potesse essere il senso di quel richiamo alla preghiera

incessante del mistico: un invito ad assumere la progettazione come azione che senza posa informi

la mente e il cuore dell’architetto, fino a insediarvisi come una preghiera spontanea, sorgiva, imma-

[…] Once I went to church to say my prayers there during the liturgy. The first Epistle of St. Paul to the Thessalonians was being read, and among other words I heard these - “Pray without ceasing.”I began to think: - How is it possible to pray without ceasing, since a man has to concern himself with other things, in order to make a living? I looked at my Bible, and with my own eyes I read the same words, that is, that we always ought to pray without ceasing. I thought and thought, but knew not what to make of it. (1) […]

In his search for a way to pray incessantly, the

Russian pilgrim met a wise monk, a great mystic

expert, willing to teach him words and methods to

be able to pray incessantly, not only as a current

practice, but also, and above all, as a coveted spi-

ritual goal, towards which his guide managed to

lead him gradually, along a path that enabled him

to transfer those five simple words of the saving

invocation to Christ first from his lips to his tongue,

then from his mouth to his mind, and finally to his

heart. After a long exercise, the pilgrim realized

that the prayer itself would have suggested him

what he needed – indeed almost nothing – to live

according to the will of the Lord.ginifica e incessante, mirata allo scopo di quella stessa filocalia perseguita dai mistici, la dedizione

all’arricchimento del mondo nel segno della bellezza, a partire dalla cura, dalla custodia e – quando

occorra allo scopo – dalla trasformazione in bellezza di ogni suo dettaglio.

Quando Mario Chiavetta mi ha fornito la messe copiosa ed eloquente, certamente non esaustiva, dei

suoi schizzi e disegni di architettura, tutti puntualmente tracciati a mano libera, la mente mi è corsa

subito alla vicenda del pellegrino russo, e a quella sua preghiera incessante. Mario Chiavetta professa,

esegue e vive, la progettazione incessante dell’architettura.

Una condizione esistenziale assunta come forma consueta, pervasiva, perfezionata dalla costanza

dell’esercizio.

Egli mi ha fornito i suoi schizzi alla rinfusa, per lo più privi di data, registrati su file d’immagine de-

signati da cifre o sigle generiche, più che da eloquenti riferimenti all’oggetto. In queste condizioni,

ciò che d’acchito ha catturato la mia attenzione è stata appunto la copia della sua produzione. Oltre

centoventi progetti, forse molti di più. E un’attitudine torrenziale all’esplorazione di ognuno di essi,

per lo più attraverso la prospettiva, utilizzata a tutte le scale, quale vero figlio della sua scuola di for-

mazione. Per la maggior parte, tranne alcuni esempi delle prime occasioni, si tratta di disegni rapidi,

però sempre accurati, ricchi di dettagli, così nelle vedute a volo d’uccello di ampi brani territoriali

di contesto, come nella rappresentazione dei particolari costruttivi, questi ultimi densi di appunti,

misure, didascalie, spiegazioni minute della costruibilità. Il controllo contestuale è preciso, a volte

amorevole, e anche in questo la genealogia culturale conta, e si vede. Non so se a ogni progetto sia

corrisposta una commessa, vorrei sperarlo per lui, ma non ne sono certo. E la mancanza di certezza

risiede esattamente nella considerazione della sua opera come atto di devozione continua a questo

mestiere, di sua esplorazione inesausta, capace di superare le secche delle occasioni, e di inventarsi

compiti ad ogni angolo di mondo incontrato. Sono certo, ahinoi, che non a tutte le commesse sia poi

seguita la costruzione. Per Mario, però, nella cura dell’immaginazione e del disegno, la differenza tra

loro non è mai esistita. Alcuni schizzi recano la scritta “casa probabile”, “residenza probabile”, ma

sono certo della realizzazione di pochi.

Come avviene per ogni paragone, al suo potere illuminante raramente corrisponde una coincidenza

perfetta dei fatti o argomenti messi a confronto. Se il paragone a volte balza alla mente a suggerire

nuovi punti di vista, talora anche fornendo ragioni favorevoli all’avanzamento concettuale e teorico di

una disciplina differente – e mi pare ne sia stato il caso quando, alla lettura dei racconti del pellegrino,

Culotta intravide la fertilità di una dedizione perpetua al progetto – è anche vero che a tale dedizione,

costante e metodica, non corrisponde in architettura l’identico esito che il pellegrino si è atteso, e

In his teaching on architectural design, towards

the end of his life, prof. Pasquale Culotta gave

his students some references to those “famous”

stories collected in “The Way of a Pilgrim”, which

“naturally” none of them knew. Those references

constituted little more than allusions, nothing but

the reading of a few carefully chosen or well linked

passages of the first of those seven stories, with

almost no explanation. In fact, no one immedia-

tely understood how that Russian mystical story

could really relate to the practice of architectural

design. In the same way, today I think that even

him, he had not yet fully understood the significant

capacity of his interest, and that he had not yet

become straightly aware of the consequences of

that insight.

After so many years, as time has elapsed, and the

daily practice of project teaching has become a

form of my existence - almost to supplement the

ban on the exercise of architecture incumbent

upon Italian academics, and even surpassing

every previous take on my eyes and mind - then

I believed to have understood what could be the

sense of that call to the incessant mystical prayer:

an invitation to take on design as a never-ending

action, a habit assumed by the mind and heart of

every architect, to the point of becoming a sort of

spontaneous, spring-like, imaginative and inces-

sant prayer, aimed at the purpose of that same

philokalia pursued by the mystics, their very dedi-

cation to the enrichment of the world in the name

of beauty, starting from the care, custody or any

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needed transformation of every detail into beauty.

When Mario Chiavetta gave me his copious, elo-

quent, and certainly not exhaustive set of sketches

and architectural drawings, all punctually hand-

drawn, my mind immediately ran to the story of

that Russian pilgrim, and to his incessant prayer,

because of Mario’s inclination to experience archi-

tecture as an incessant invention, profession and

performance, in every moment of his life.

An existential condition assumed as a usual, per-

vasive habit, perfected by the constancy of the

exercise.

He gave me his sketches in bulk, mostly without

any date, recorded on image files named with ge-

neric numbers or symbols, rather than eloquent

references to the contents. Under these condi-

tions, what immediately caught my attention was

precisely the abundance of its production. Over

one hundred and twenty projects, perhaps many

more. And a torrential attitude to the exploration

of each one of them, mostly through the use of

perspective on all scales, showing in this way to

be a true heir of his training school. Most of these

drawings, except for some examples of his first job

opportunities, are executed quickly, but always ac-

curately, rich in details, so in the bird’s eye views of

large territorial portions of a context, as in the re-

presentation of design details. The latter are full of

notes, quotas, captions, minute explanations con-

cerning constructability. The contextual control is

precise, sometimes delicate and thoughtful, and

this also shows how much the cultural genealogy

counts and how it always appears. I don’t know

if every project is the result of a real assignment;

I’d like to hope for him, but I’m not sure. This lack

of certainty lies precisely in the consideration of

his work as an act of continuous devotion to his

profession, explored in its infinite possibilities,

thus overcoming the scarcity of opportunities, and

always remaining able to invent new tasks where-

ver he happened to come or stay. I am sure, alas,

that an actual construction did not really follow

any assignment. For Mario, however, in his care

of imagination and design, there has never been

a real difference between real or fictitious assi-

gnments. Some sketches show captions as “pro-

bable house”, or “probable residence”, but I am

sure that only a few of these were actually built.

It is a fact that the illuminating power of any

comparison rarely implies a perfect coincidence

between the facts or subjects compared. Some-

times, a comparison can suggest new points of

view, or even provide some favorable reasons for a

conceptual or theoretical advancement of a diffe-

rent discipline; for instance, when in the classroom

prof. Culotta read the first story of “The Way of a

Pilgrim”, he certainly sensed the fruitfulness of a

che parrebbe aver raggiunto con la costanza della preghiera. La progettazione incessante è una virtù,

informa la tua vita, ed è come un sacerdozio. Ti dispone alla cura del mondo. Ti rende abile a imma-

ginarne una nuova organizzazione, a trarre sempre kosmos dal chaos, a vedere bellezza dove ancora

non appare. Ma ti illude anche, perché ti seduce con l’idea di esserne un demiurgo, quasi sempre

deludendoti, allorché appuri che il mondo se n’è andato lesto da un’altra parte.

I disegni di architettura di Mario Chiavetta questo dicono, e questo si conferma anche quando, in man-

canza delle date, riesci a collocarne qualcuno in una cronologia relativa. La precisione del disegno a

mano di alcune prospettive curatissime, le più giovanili, che sembrerebbero ricalcate su una fotografia,

non si perde nella produzione più recente, ma solo si agita, si muove, ondeggia, quasi nell’ansia di

compiersi comunque, di essere di per sé, se non dovesse poi risultare del mondo.

Nella con-fusione del repertorio di disegni pervenutomi vedo naturalmente, e distinguo, patrie ed epo-

che e influenze differenti. Anche questo potrebbe servirmi a datarli. Mi chiedo però perché dovrei farlo,

dato che Mario non l’ha pensato necessario. Ci sarà una ragione, per questo, che non credo banale.

Voglio perciò dare credito e senso a questa indifferenza, benché le differenze ci siano, quali correnti

distinguibili tra questo e quel tratto del suo impetuoso torrente architettonico (La scuola di Palermo,

naturalmente, ma anche la Tendenza, la scuola tipologica lussemburghese, la Decostruzione e tant’al-

tro). Mi pare dunque che per Mario non tanto contino nel disegno della sua architettura la contingenza

e la successione delle differenze e delle influenze, pure se sensibili, quanto piuttosto un dato costante.

Qual è, quale può essere questo?

Credo che sia giustappunto la dedizione, l’amore, la totalità del suo essere devoto all’architettura, che

lui esplora incessantemente in tutti i suoi recessi, saggiandone le possibilità, suscitandone in sé stes-

so il desiderio, cercando sempre di coglierne le relazioni prossime e lontane, nella città, nel territorio,

e di esaltarne la figura, l’iconicità, la persona di ogni opera. Facendo questo con arte combinatoria

sapiente, rifondendo elementi anche disparati, ma tutti legati dalla capacità di rendersi inconfondibili.

È tanto.

Note

(1) I racconti del Pellegrino Russo, è il titolo di un’opera letteraria della Russia dell’Ottocento, che

narra le vicende dello stesso autore (o forse di più autori, tutti incerti), presentato come un pellegrino

vagabondo e mendicante, dedito alla “Preghiera di Gesù” o “Preghiera del cuore”, la cui formula, da

ripetere incessantemente, è: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me».

perpetual dedication to the project; nevertheless

it is also true that in the field of architecture such

a dedication, even when applied in a constant

and methodical way, does not always produce the

same outcome the Russian pilgrim expected, fi-

nally achieved through the constancy of his prayer.

Unceasing designing is a virtue. It can become a

way of life, and somehow it is like a priesthood.

It invites you to take care of the world. It makes

you adept at imagining a new organization of re-

ality, always drawing kosmos from the chaos, and

seeing beauty where it doesn’t yet appear. But it

also deceives you, because it seduces you with

the idea of being a demiurge, almost always disap-

pointing you, when you discover that the world has

gone swiftly towards another direction.

This is what Mario Chiavetta’s architectural dra-

wings say, also confirmed when, in the absence of

dates, you manage to place someone of them in a

relative chronology. The precision of the hand-dra-

wing of some very accurate perspectives, above all

the earliest ones - those that would seem to have

been traced on a photo - is confirmed in his most

recent production, even if in a more agitated, mo-

ved, undulating way, perhaps due to a sort of com-

pelling need to achieve a performance anyway, to

give that imagined reality a way of being in itself,

in the event that it could not actually be realized.

In the mixed and untidy repertoire of drawings that

Mario Chiavetta submitted me, I can naturally see

and distinguish different belongings, epochs and

influences. These differences could help me ar-

range them in chronological order. But I wonder

why I should do it, since Mario didn’t think it was

necessary. There will be a reason for this, and I

believe it is not trivial. I therefore want to give a

credit and a sense to the undifferentiated delivery

he made of his sketches, although the differences

do exist, like well distinguishable currents along

different stretches of his impetuous architectural

stream (The School of Palermo, of course, but also

the Tendenza, the Luxembourg typological school,

the Deconstruction and much more).

Consequently, in designing his architecture, Mario

does not seem to give so much importance either

to the contingency or succession of differences or

influences - which in any case remains sensitive.

Instead, he seems to rely on another constant da-

tum. What is it, what can it be?

I believe that it is precisely dedication, love, the

totality of dedicating himself to architecture, which

he constantly explores in all its recesses, testing

its possibilities, fostering the desire for architec-

ture within himself, always trying to grasp its re-

lationships, both the near and far, in the city and

the territory, and to exalt the figure, the iconicity

and personality of each work. He does all this with

wise combinatorial art, putting together disparate

elements, connecting them in an indistinguishable

way, all united by the ability to make themselves

unmistakable. It’s a lot.

Note

(1) The Way of a Pilgrim, or The Pilgrim’s Tale is

the English title of a 19th-century Russian collec-

tion of stories, written by one or more uncertain

authors, recounting the narrator’s journey as a

mendicant pilgrim while practicing the unceasing

“Jesus Prayer”, or the “Prayer of the Heart”. Its re-

petitive formula is: «Lord Jesus Christ, have mercy

on me».

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Disegno, progetto, futuro.Una ricerca paziente verso l’architettura.

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testo di/text by Gaetano Manganello

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I disegni e gli schizzi di Mario Chiavetta, provengono da una pratica legata al passato, al disegno ma-

nuale.

In un mondo dove i software la fanno da padrone, il disegno manuale rappresenta però, sempre più il

futuro. Non possiamo affidarci interamente a software e hardware per progettare, abbiamo bisogno di

una pratica quella del disegno manuale per me comune, fatto di innumerevoli ore passate a disegnare,

con il tecnigrafo, con gli strumenti del disegno che le nuove giovani generazioni disconoscono. Al dise-

gno si collegano oggetti ormai dimenticati, la matita a mina, le 2H per il disegno tecnico, le B per gli

schizzi, il temperamine a campana, da utilizzare con un movimento circolare e veloce.

Il rapidograph dalle varie punte 0,1-0,2-0,3-0,4-0,5. E poi il paralleligrafo con la riga unita da due fili

che le permettevano lo scorrimento parallelo in verticale sul foglio da disegno, e la squadra appoggiata

sopra che facevamo scorrere in orizzontale per tracciare le righe parallele verticali.

Noi siamo cresciuti così, a pane e disegno. Un disegno però mai fine a se stesso, ma un disegno che

possa servire a prefigurare e progettare lo spazio e l’architettura. In quei lontani anni ‘80 il disegno era

per noi, continua ad esserlo fortemente ancora oggi, un mezzo espressivo che ci consentiva e consente

di tracciare sulla carta da spolvero o sulla carta lucida, le nostre idee; di dare forma ai nostri progetti.

Con Mario ci siamo conosciuti relativamente di recente, ma è come se ci conoscessimo da decenni,

tale è la contiguità dei nostri percorsi formativi che si sono incrociati nella sostanza, ma non nella

temporalità. I suoi eccezionali disegni suscitano in me sensazioni familiari, rappresentano un modo

di vivere l’architettura, una passione mai sopita, una grande occasione di ricerca sui temi della città e

del territorio dell’architettura. In comune abbiamo pure i maestri e i libri che divoravamo in quegli anni

formativi. Mario ha una produzione incredibile, il suo disegnare è una pratica quotidiana tramite la quale

esplora i temi dell’architettura: edifici residenziali, scuole, complessi edilizi che con un segno grafico di

rara efficacia, interpretano lo spazio, prospettano soluzioni, provano e riprovano. Una “ricerca pazien-

te” e costante, che presuppone amore per l’Architettura. Un amore che, complementare al disegno,

riversa sulla promozione dell’architettura di qualità tramite l’organizzazione di eventi, convegni, mostre

che scandagliano l’esigenza di avere città più vivibili, dotate di una bellezza che fa bene al cuore. Mai

come in questi momenti, la pratica quotidiana del disegno può e anzi deve assumersi il compito di co-

struire il futuro delle nostre città e territori. Senza progetto non si può costruire il futuro, senza disegno

non c’è progetto, quindi disegno, progetto e futuro coincidono. Questa pratica quotidiana è per Mario,

penso ormai, come una estensione della sua mente, il bisogno di incidere per sempre sui quaderni il

suo mondo dell’architettura. Un mondo, ed è questo l’augurio più bello, che tramite il suo instancabile

disegnar progettando si tramuti il più possibile in costruzione fisica dell’architettura del nostro futuro.

Mario Chiavetta’s drawings and sketches come

from a practice linked to the past, to manual draf-

ting.

In a world where softwares dominate, drawing is

always more and more the real future. We cannot

rely entirely on softwares and hardwares to design:

we need manual drafing. In fact, this practise is

common to me: countless hours spent drawing on

the drafting table with tools the new young genera-

tions do not even know. A lot of forgotten tools can

be related to manual draft: leads and pencils, 2H

pencils for the technical drawing, B pencils for the

sketches, bell shaped sharpeners, to be used with

a circular and fast movement.

Rapidographs and their various tips: 0.1-0.2-0.3-

0.4-0.5. And then the paralleligrafo with its ruler

held by two wires that allowed to slide vertically, and

the set square used to draw vertical parallel lines.

We have grown up like this, lived and breathed

manual drafting. A kind of drawing never endind in

itself but something needed to prefigure and de-

sign spaces and architectures. In those distant 80s,

drawing was for us, still being so strongly today, an

expressive way to trace our ideas on the sketching

paper; to give shape to our projects. I have met Ma-

rio relatively recently, but it is as if we have known

each other for decades, such is the contiguity of our

formative paths that have crossed in substance, but

not in temporality. His exceptional drawings evoke

familiar feelings in me, they represent a way of ex-

periencing architecture, a never-ending passion, a

great opportunity for research on the themes of the

city and the territory of architecture. We also share

the masters and books that we devoured in those

formative years. Mario has an incredible produc-

tion, his drawing is a daily practice through which

he explores the themes of architecture: residential

buildings, schools, building complexes that with a

rare effective graphic sign, interpret space, present

solutions, try and try again.

A constant and “patient research” that presuppo-

ses love for architecture. A love that, complemen-

tary to drawing, emerges into the promotion of qua-

lity architecture through the organization of events,

conferences, exhibitions. Those examine the need

to have more livable cities, endowed with a beauty

that is good for the heart. Never as in these mo-

ments, the daily practice of drawing can and indeed

must take up the task of building the future of our

cities and territories. Without project the future can-

not be built, without drawing there is no project,

so drawing, project and future coincide. This daily

practice is now for Mario, I think, as an extension

of his mind, the need to engrave forever his world

of architecture on his notebooks. A world, and this

is the most beautiful wish, that through his untiring

drawing transforms into the physical construction of

the architecture of our future.

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Riqualificazione Sacello dei caduti partigiani della Canova di Neive

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testi critici/critical texts

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“Memoriale ai Partigiani caduti a Neive”, un approccio psicoso-fico all’architettura

L’ultimo decennio è caratterizzato da alcuni urlatori, da “santoni” dell’architettura naturalista e mi-

nimalista. Da guru della comunicazione e tuttologi -dalla risposta sempre pronta, su ogni cosa-. A

differenza di ciò Diego Repetto palesa con sobrietà una particolare propensione per la passione civile

del progetto e quella “sentimentale” della corretta esecuzione, in ogni sua fase del processo, fino alla

realizzazione dell’Architettura.

Diego, riqualifica la cappella dedicata a Maria Consolatrice; eretta in commemorazione dei partigiani

resistenti neivesi morti per mano Fascista dei soldati della Repubblica Sociale.

I segni che incide sul sedime dell’area sono pochi e decisi, ben calibrati, rigenerano il luogo trasfor-

mandolo in un piccolo parco memoriale. Con misura ritraccia al suolo il perimetro del preesistente

sacello. Opera nella tradizione, immaginata come somma di contemporaneità; con simile criterio della

costruzione e ricostruzione, sui resti degli edifici antichi, con un linguaggio schietto e contemporaneo.

Fa palesare la cultura progettuale “oltre confine” a volte derivante dalla mistica orientale.

La campana è uno dei superstiti. E’ un “segnale” attivo, che ognuno può rintoccare, anche il vento.

Diventa monito, memoria, suono, pietà.

La demolizione del sacello preesistente gravemente lesionato, non costituisce la rimozione totale della

memoria. Con il progetto la rielabora, la ricostruisce, la riscrive.

La memoria è l’esercizio dinamico del ricordo, è attiva, e va continuamente alimentata. Non è mai

statica (roba superata), pertanto va continuamente rigenerata.

Allo stesso modo delle straordinarie riflessioni poetiche di Marguerite Yourcenar delle Memorie di

Adriano, «Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro

un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire». Parafrasando potremmo dire

che in questo periodo pervaso da pericolosi segnali di rigurgiti reazionari e negazionisti “rigenerare la

memoria del sacrificio di tanti giovani caduti in battaglia o per rappresaglia equivale a tenere attive e

sempre vitali le biblioteche, le riserve, i granai dello spirito contro l’inverno della ragione”.

Diego Repetto, Memorial to the fallen Partisans

in Neive The last decade is characterized by

some howlers, “holy men” of naturalist and mi-

nimalist architecture. As a communication guru

and a scientist - from the always ready answer,

on everything -. Unlike this, Diego Repetto shows

with sobriety a particular propensity for the civil

passion of the project and the “sentimental” one

of the correct execution, in every phase of the pro-

cess, up to the realization of the Architecture.

Diego re-qualifies the chapel dedicated to Maria

Consolatrice; erected in commemoration of the

resistant neivese partisans who died at the hands

Fascist of the soldiers of the Social Republic.

The signs that affect the area are few and decisi-

ve, well calibrated, regenerate the place turning it

into a small memorial park. With measurement, it

retraces to the ground the perimeter of the existing

chapel. Work in tradition, imagined as a sum of

contemporaneity; with similar criteria of construc-

tion and reconstruction, on the remains of ancient

buildings, with a frank and contemporary langua-

ge. It reveals the design culture “beyond the bor-

der” sometimes deriving from Eastern mysticism.

The bell is one of the survivors. It is an active “si-

gnal” that everyone can play, even the wind. Beco-

me a warning, memory, sound, pity.

The demolition of the pre-existing severely dama-

ged chapel does not constitute the total removal of

memory. With the project he reworks it, rebuilds

it, rewrites it.

Memory is the dynamic exercise of memory, it is

active, and it must be continually fed. It is never

static (outdated stuff), therefore it must be conti-

nuously regenerated.

In the same way as the extraordinary poetic reflec-

tions of Marguerite Yourcenar of the Memories of

Hadrian, “Founding libraries is like building public

granaries again, amassing reserves against a win-

ter of the spirit that gives many clues, in spite of

myself, I see coming”. Paraphrasing we could say

that in this period pervaded by dangerous signals

of reactionary and denialist regurgitations “to re-

generate the memory of the sacrifice of so many

fallen youths in battle or in retaliation is to keep the

libraries, the reserves, the granaries of the spirit

active and always vital ‘winter of reason’.

testo di/text by Vincenzo Latina

Diego Repetto, Memoriale ai Partigiani caduti a Neive

“Senza modifiche all’ambiente sociale e materiale, non si può cambiare mentalità. Qui ci troviamo in presenza di un cerchio che mi porta a postulare la necessità di fondare un’ecosofia che colleghi l’ecolo-gia ecologica all’ecologia sociale e all’ecologia mentale”Felix Guattari

Pur nella apparente semplicità costruttiva, il progetto di Diego Repetto offre un contributo alla discus-

sione dell’architettura come strumento ecosofico.

Attraverso la smaterializzazione della corporeità dell’edificio, scarnificato fino alla sua sua riduzione a

pura metafisica, Repetto traccia un chiario solco tra le prospettive ambientali tradizionali che oscu-

rano la complessità del rapporto tra l’uomo e il suo ambiente naturale. La separazione dualistica dei

sistemi umani (culturali) e non umani (naturali) scompare, sostituita da una costruzione ecologica, nel

senso guattariano. Le tre ecologie descritte da Guattari, interattive e interdipendenti della mente, della

società e dell’ambiente, sono infatti evidentemente rappresentate dall’opera di Repetto che è conse-

guentemente capace di sintetizzare fenomeni complessi, come la soggettività umana, l’ambiente e le

relazioni sociali, tutte intimamente interconnesse. Allo stesso tempo non è un’opera olistica nel senso

che privilegia l’eterogeneità e la differenza, attraverso assemblaggi di elementi che tracciano strutture

rizomatiche (per parafrasare Gilles Deleuze).

Su un piano piu’ prosaico si potrebbe anche dire che l’impatto ambientale del progetto, o il carbon

footprint come si definirebbe oggi, è quasi nullo, eppure rimane intatta tutta la funzione comunicativa

dell’opera. Si dirà che queste sono anche le caratteristiche dell’arte, ed in particolare la scultura. Ma

qui la differenza è proprio nella capacità, mostrata dal progettista, di circoscrivere e di segnalare uno

spazio con modalita’ che sono proprie dell’architettura.

A questo punto, viste le premesse, attendiamo con ansia di vedere il prossimo passo di Repetto pro-

gettista.

“Memorial to fallen Partisans in Neive”, a psycho-

sophical approach to architecture

“Without changes to the social and material envi-ronment, one cannot change mentality. Here we find ourselves in the presence of a circle that leads me to postulate the need to found an ecosophy that links ecological ecology to social ecology and mental ecology”Felix Guattari

Despite the apparent constructive simplicity, Die-

go Repetto’s project offers a contribution to the

discussion of architecture as an eco-philosophical

tool.

Through the dematerialisation of the building’s

body, stripped down to its reduction to pure me-

taphysics, Repetto traces a clear line between tra-

ditional environmental perspectives that obscure

the complexity of the relationship between man

and his natural environment. The dualistic separa-

tion of human (cultural) and non-human (natural)

systems disappears, replaced by an ecological

construction, in the Guattarian sense. The three

ecologies described by Guattari, interactive and

interdependent of mind, society and the envi-

ronment, are evidently represented by Repetto’s

work which is consequently capable of synthesi-

zing complex phenomena, such as human subjec-

tivity, the environment and social relations, all

intimately interconnected. At the same time it is

not a holistic work in the sense that it favors he-

terogeneity and difference, through assemblages

of elements that trace rhizomatic structures (to

paraphrase Gilles Deleuze).

On a more prosaic level it could also be said that

the environmental impact of the project, or the

carbon footprint as it would be defined today, is

almost nil, yet the entire communicative function

of the work remains intact. It will be said that these

are also the characteristics of art, and in particular

sculpture. But here the difference is precisely in

the ability, shown by the designer, to circumscribe

and signal a space with modes that are specific to

architecture.

At this point, given the premises, we look forward

to seeing the next step by Repetto designer.

testo di/text by Alessandro Melis

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Page 8: testo di/ Marcello Panzarella Chiavetta · ignoti. Niente di più che allusioni, e al massimo la lettura di pochi passi, scelti e legati con cura, del primo di quei sette racconti,

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Un piccolo progetto si nutre di un tema.

In questo caso, più della memoria, ancor più della celebrazione e della tensione con il paesaggio, il

luogo è sottesa dall’assenza.

Dove era una sorta di chiesetta [la cappella dedicata a Maria Consolatrice] ora c’è un nulla. O quasi,

una doppia teoria di aste in acciaio zincato piantate lungo il perimetro del vecchio edificio segnato da

una fascia di pietrame bianco, la campana montata su una coppia di pilastri bianchi e poco altro. Tra

le canne si infila il paesaggio, si cammina sull’erba e si può stare all’ombra degli ulivi vicini o sotto

la pioggia. Tutto qua. E tutto racchiuso in una specie di slargo della strada, spaccata e rappezzata,

che curva e lascia un lembo di terreno affacciato sulla linea verde e gialla dell’orizzonte. Ti siedi sulla

panca e guardi lontano.

Ma dove c’è assenza c’è lo spazio per immettere un senso. Si sa. Il progetto è stato presentato e condi-

viso con le persone del posto. Ed è la meta di una passeggiata [sentiero memorie partigiane] che parte

dalla stazione di Nieve fino al Sacello, attraverso strade sterrate [caussagne] e lungo i filari delle vigne

autoctone. Bene. Ognuno che ora approdi lì, semplicemente ci vada e faccia un pensiero, si affacci

tra le canne o raccolga un fiore di campo, o soltanto ripulisca il prato da un ramo secco e pianti un

seme, ognuno che faccia questo avrà costruito il suo personale monumento alla memoria. Una parte

svanirà non appena se ne sia allontanato. Ma per far posto ad un nuovo gesto che porti commozione.

Una specie di costruzione dedicata che si rinnova ad ogni presenza umana.

Il progetto mette in scena le condizioni e questo è un merito.

Sacello/Absence A small project feeds on a the-

me.

In this case, more than memory, even more than

celebration and tension with the landscape, the

place is subtended by absence.

Where there was a sort of church [the chapel dedi-

cated to Maria Consolatrice] now there is nothing.

Or almost, a double theory of galvanized steel rods

planted along the perimeter of the old building

marked by a strip of white stone, the bell mounted

on a pair of white pillars and little else. Among the

reeds the landscape is threaded, you walk on the

grass and you can stand in the shade of the ne-

arby olive trees or in the rain. That’s all. And all

enclosed in a kind of widening of the road, split

and patched, which curves and leaves a strip of

land overlooking the green and yellow line of the

horizon. You sit on the bench and look away.

But where there is absence there is space to enter

a sense. You know. The project was presented and

shared with the locals. And it is the destination of

a walk [partisan memories path] that starts from

the Nieve station up to the Sacellum, through dirt

roads [caussagne] and along the rows of native

vineyards. Well. Everyone who now arrives the-

re, simply go there and make a thought, look out

through the reeds or pick up a field flower, or just

clean the lawn from a dry branch and plant a seed,

everyone who does this will have built his personal

monument to memory. A part will vanish as soon

as it’s gone. But to make way for a new gesture

that brings emotion. A kind of dedicated construc-

tion that is renewed with every human presence.

The project stages the conditions and this is a

merit.

testo di/text by Davide Vargas

Sacello/Assenza

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progettazione architettonica e D.L./architectural design and D.L. arch. Diego Repetto, studio DoTarchitettureimpresa esecutrice/executing company IBG Costruzioni S.r.l.s. di Alba CNperiodo di esecuzione/execution period giugno - agosto 2017

coordinate/coordinates latitudine/latitude 44°43’11.98”N - longitudine/longitude 8°8’12.30”E, Comune di Neive CNinquadramento territoriale/territorial framework Buffer Zone 50° sito iscritto alla/site registered at World Heritage List dell’Unescofotografie/photos Beppe Tarditi