Testi, Principio de No Contradiccion

15
Jan Lukasiewicz Del principio di contraddizione in Aristotele A cura di Gabriele Franci e Claudio Antonio Testi Presentazione di Maurizio Matteuzzi Quodlibet *

description

Testi, Principio de No contradicción

Transcript of Testi, Principio de No Contradiccion

  • Jan Lukasiewicz

    Del principio di contraddizione in Aristotele

    A cura di Gabriele Franci e Claudio Antonio Testi Presentazione di Maurizio Matteuzzi

    Quodlibet

    *

  • Claudio Antonio Testi"

    Il principio di contraddizione in Tommaso D'Aquino

    i. Premessa

    Quando la redazione di "Discipline Filosofiche" ha proposto all'Istituto Filo-sofico di Studi Tomistici di curare assieme la traduzione dell'opera di Luka-siewicz Del principio di contraddizione in Aristotele, la nostra risposta positiva stata unanime e immediata. E questo per un duplice ordine di motivi: da un lato l'indubbia importanza di proporre alla cultura filosofica italiana un testo che contiene apporti teorici ancora attuali e che stato fondamentale per la nascita e la diffusione della scuola logica polacca. Dall'altro, l'interesse di vedere se e come le critiche di Lukasiewicz ad Aristotele potevano valere anche per il pensiero di Tommaso d'Aquino; e proprio su questo punto ver-teranno le brevi riflessioni riportate di seguito, in cui cercher di esporre, attraverso una rassegna dei brani pi rilevanti, le intuizioni pi "originali" che Tommaso ha intorno a queste tematiche.

    2. Alcune definizioni delp.n.c.

    Riportiamo di seguito, senza pretesa di esaustivit, alcune formulazioni del principio di contraddizione (p.n.c.) che ritroviamo in Tommaso. A) Formulazioni ontologiche:

    i. "il medesimo non pu essere e non essere" ("[Non potest] idem esse et non esse": In IIIMetaph. lect. vi n. 603);

    Desideriamo ringraziare per 1 preziosi suggerimenti Arianna Betti, Maurizio Matteuzzi, Giu-seppe Barzaghi e Gustavo Cevolani: il saggio largamente debitore della loro paziente attenzio-ne e della loro competenza in materia. Naturalmente, tutta la "responsabilit" del contenuto del-l'articolo resta a totale carico dell'autore.

  • 'V>4 ( . I \ I 111 ' A ' . h ' ' . 11 I I II

    2. "una medesima cosa non pu inerire e non inerire simultaneamente allo stesso, sotto il medesimo rispetto" ("Impossibile eidem simul inesse et non inesse idem [...] secundum idem": In IVMetaph. lect. vi n. 600);

    3. "E impossibile per la stessa cosa essere e non essere nel medesimo tempo" ("Impossibile est idem simul esse et non esse": In III Metaph. lect. v n. 238);

    4. "La contraddizione non si pu verificare di una medesima cosa nello stesso tempo" ("Impossibile est simul contradictionem verificari de eodem": In IVMetaph. lect. xv n. 719);

    5. "Una cosa non pu essere e non essere simultaneamente" ("Non con-tingit idem simul esse et non esse": In XIMetaph. lect. v n. 2211);

    6. "Qualcosa non pu inerire e non inerire allo stesso nel medesimo tem-po" ("Non contingit idem de eodem simul esse et non esse": In IPeri Herm lect. xn n. 5).

    B) Formulazioni logiche: 1. " impossibile affermare e negare qualcosa della stessa cosa" ("Impossi-

    bile est aliquid idem affirmare et negare": IniSent. D.34 q. 1 a. 1 ad 2); 2. "Non possibile affermare e negare nello stesso tempo" ("Non con-

    tingit simul affirmare et negare": In IPost. An. lect. xx n. 1); 3. "Non si pu affermare e negare nello stesso tempo" ("Non est simul

    affirmare et negare": S. Th. I-II q. 1 a. 7; In ISent. D. 42 q. 2 ag. 2); 4. " impossibile affermare e negare nello stesso tempo" ("Impossibile

    est simul affirmare et negare": S. Th. II-II q. 1 a. 7); 5. "Le contraddittorie non sono simultaneamente vere" ("Contradicto-

    ria non esse simul vera": In ISent. D. 8 q. 1 a. 3). C) Formulazioni psicologiche:

    1. " impossibile credere che lo stesso sia e non sia" ("Impossibile enim est [...] opinari quod idem sit et non sit": InIVMetaph. lect. vi n. 601);

    2. " stolto ritenere che le contraddittorie si verifichino simultaneamen-te della medesima cosa" ("stultum est [...] opinari quod contradicto-ria simul verificantur de eodem": In XIMetaph. lect. vi n. 5).

    Per Tommaso, poi, il p.n.c, quale "certissimum principium", ha tre pro-priet fondamentali:

    1. "non conditionale" nel senso che per s noto, essendo "necessario per pensare qualsiasi cosa" ("necessarium ad intelligendum quod-cumque")1;

    1 In IVMetaph. lect. vi n. 598.

    Il l ' I ' IM 11 ! 1 I il 1 > r, I !' \l il ' I . li i-.l r. li iMM \M 1 [ ) ' /V il l'.i

    2. indimostrabile, dato che non si acquista con una dimostrazione ("non acquiratur per demonstrationem")2;

    3. primo e notissimo, dato che su di questo impossibile errare ("non possit aliquis mentiri sive errare"5) e quindi tutti i principi presup-pongono questo primo principio ("omnia principia reducatur ad hoc sicut ad primum, impossibile est simul affirmare et negare"4).

    In tutte queste formulazioni Tommaso segue quasi letteralmente la posi-zione dello Stagirita: l'unico fatto rilevante che le definizioni psicologiche del principio sono molto rare e che nelle formulazioni Ai, Bi e Ci non si fa alcun riferimento alla temporalit5.

    Quello che invece Tommaso affronta con maggior impegno e con una prospettiva originale la genesi e il ruolo del p.n.c; e le idee proprie di Tom-maso su tali questioni le si possono trovare soprattutto al di fuori dei com-mentari aristotelici6.

    1 ibid., n. 599.

    * Ibid., n. 597. Su tali caratteri del p.n.c. riportiamo anche i seguenti brani: "respondeo dicen-dum quod ita se habent in doctnna fidei articuli fidei sicut principia per se nota in doclrina quae per rationem naturalem habetur. In quibus principus ordo quidam invenitur, ut quaedam in alili implicite contineantur, sicut omnia principia reducuntur ad hoc sicut ad primum, impossibile esl simul affirmare et negare, ut patet per philosophum, in IV Metaphys." [S. 77;. II-II q. 1 a. 7]; "ven-tatis enunciationis reducitur in prima principia per se nota sicut in primas causas, et praecipue 111 hoc principium, quod affrmatio et negatio non sunt simul vera" \In I Sent. dist. 9 q. 1 a. 1].

    i S. Th. II-II q. 1 a. 7. ' Del resto lo stesso "simul" presente nelle altre formulazioni potrebbe intendersi come com-

    presenza in un luogo e non in un tempo [cfr. In VPhys. lect. 5 n. 3]. 6 Nella scuola tomista si molto disputato intorno ai rapporti tra p.n.c. e principio di ideii

    tit. Al riguardo, si possono consultare: G. Cottier, La contradiction dans laperspecttvearistotelico tlm miste in II problema della contraddizione, in "Verifiche" nn. 1-3, 1981, pp. 63-88; R. Verardo, Punitilo assoluto del principio di identit, in "Divus Thomas" nn. 47-49, 1944-46, pp. 69-95; L. Elders, Le pie mierprincipe de la vie intellettive, in "Revue Thomiste" n. 62, 1963, pp. 571-586; P. Courts, /. 'clic et le non-etre selon S. Tlmmas d'Aquin, in "Revue Thomiste" n. 67, 1967, pp. 387-436. Tra tanti Mudi sul p.n.c. in Aristotele ricordiamo: C. Rossitto, Opposizione e non-contraddizione nella 'Metafisica' ili An stotele in La contraddizione, Citt Nuova, Roma 1977, pp. 43-71; E. Berti, Retorica, dialettica e Illudo fia, in "Intersezioni" III n. 3, 1983, pp. 505-520; id., Analitica e dialettica nel pensiero antico, Ist Suoi Orsola Benincasa, Napoli 1993; J. Lear, Aristotle and logicai tbeory, Cambridge Univ. Press, Noilolk 1980 (spcc. cap. 6); E. Severino (a cura di), Il principio di contraddizione, La Scuola, Brescia 1, I Irwin, Aristotle's First Principles, Oxtord Univ. Press, Oxford 1988 (tr. it. Di A. Giordani, l pmuipi primi di Aristotele, Vita e Pensiero, Milano 1996).

  • 196 CLAUDIO ANTONIO TESTI

    3. La genesi dei principio di contraddizione nei testi di Tommaso d'Aquino

    Riporter dapprima i testi principali in cui emergono le idee proprie dell'A-quinate sul p.n.c; dopo di che cercher di spiegare questi testi awaiendomi anche di alcuni strumenti di logica formale.

    a) Innanzitutto, Tommaso afferma esplicitamente che il p.n.c. si conosce per induzione7, e questo del resto in linea con tutta l'impostazione degli Analitici Secondi [cfr. sotto], secondo cui tutti i primi principi delle dimo-strazioni si conoscono per via induttiva:

    a 1. "I primi principi sono conosciuti grazie alla luce naturale che emana l'intelletto agen-te, e non sono acquisiti con ragionamenti, ma per il solo fatto che si ha notizia dei loro termini. E questo avviene cos: dalle sensazioni si genera la memoria, dalla memoria l'esperimento e da questo la conoscenza dei termini, da cui segue la cono-scenza delle proposizioni comuni che sono i principi delle arti e della scienza. E tale deve essere il principio certissimo o fermissimo, circa cui non si pu errare, che non ipotetico e che conosciuto naturalmente" [In IVMetaph. lect. vi n. 599] ;

    7 Induzione in termini tommasiani significa il passaggio dai singolari percepiti dai sensi al pia-

    no universale: dopo aver fatto esperienza e memoria dei singolari e generato tramite la cogitati-va gli 'schemi percettivi' corrispondenti, si possono astrarre le nozioni universali (ricavate dal-l'intelletto agente e comprese nella "simplex apprehensio" [cfr. nota 16] dall'intelletto possibile) e riapphcarle agli enti di partenza (giudizio [cfr. nota 17]). Da notare che per passare dal singola-re all'universale basta anche una sola esperienza di un singolo oggetto: l'esempio classico di Tom-maso quello dell'eclissi lunare, per cui se noi fossimo sulla luna capiremmo immediatamente, alla prima esperienza, che questa eclissi lunare dovuta all'interposizione della terra rispetto al sole (definizione della nozione di eclissi lunare), e che questo vale per tutte le eclissi lunari [In II Post. An. lect. 1 n. 417]. Altro esempio tipico quello della nozione di "sole", che era considera-ta universale anche se ai tempi di Tommaso era noto un unico sole esistente nell'universo [In Peri Herm. lect. x n. 5]. Del resto per Tommaso un nome singolare non indica tutte le perfezioni pos-sedute da un individuo, ma indica una particolare realizzazione di una forma universale [In I Peri Herm. lect. x n. 6]. Sul tema, ovviamente vastissimo, sono da ricordare i seguenti studi: C. Fabro, Percezione e Pensiero, Vita e Pensiero, Milano 1947, pp. 226 sgg: G. Basti-C.A. Testi, Lafondazwne aristotelico tomista dell'induzione, in "Con-tratto" n. 1-2,1996, pp. 31-96; G. Basti, Filosofia della Natu-ra e della Scienza, PUL, Roma 2002. Evidentemente, l'induzione in senso tomista differente dal-la nozione moderna di induzione, intesa come semplice passaggio da enunciati singolari a un enunciato universale (il quale non potr che essere probabile): qui si tratta invece della costitu-zione di un nuovo concetto (e di un conseguente enunciato) che si pu sempre specificare ulte-riormente: in questo senso "nel Tomismo, le due teorie dell'induzione e dell'astrazione descri-vono lo stesso processo - l'acquisizione progressiva dell'intellegibile - ma da due punti di vista differenti: l'induzione 'fenomenologicamente' quasi raccontando, l'astrazione 'metafisicamente' 111 funzione di una determinata concezione della realt"[C. Fabro, Percezione e Pensiero e 11., p. i(sl

    s "F'x ipso enim lumine naturali intellectus agentis prima principia fiunt cognita, nei ai qui

    runtur per ratiocinationes, sed solum per hoc quod eourum termini mnotesiiint. Quod quidctn fit per hoc, quod a sensibilibus accipitur memoria et a memoria experiinentoruin et ab espiti mento illorum terni inorimi cognilio, quibus cognitis cognoMimtur Imitisi] iodi pioposiiiones min

    II. PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONI-, IN TOMMASO D'ACHIINI )

    a2. "anche i principi indimostrabili li conosciamo astraendoli dai smyiTu, ^ 1 a. 5 co]'.

    b) Tommaso ritiene poi che il p.n.c. sta fondato sulla nozione di ". i,-. che tale tesi sia da attribuirsi propriamente all'Aquinate, conimn.itu .m. ':,. dal fatto che in diversi luoghi (anche differenti dai commentari .itisi..1, li, ,1 egli riprende e chiarifica queste intuizioni:

    bi. "dal fatto che le cose prodotte hanno una certa natura per cui hanno un esseic dm 1 minato, ne segue che sono distinte dalle loro negazioni: e da tale distinzione segui che l'affermazione e la negazione non sono simultaneamente vere" [De Ventate q > a. 2 ad 7 ] " ;

    b2. "il nostro intelletto conosce per natura l'ente e le propriet che appartengono all'en-te in quanto tale; e in questo si fonda la nostra conoscenza dei primi principi, quali il principio secondo cui non si pu affermare e negare simultaneamente, e altri simi-li. Quindi il nostro intelletto conosce naturalmente solo i principi, mentre le conclu-sioni le raggiunge servendosi di questi" [Stimma Cantra Cent. II e. 83 n. 29] , 2 ;

    munes, quac sunt artium et scientiarum principia. Manifestimi est ergo quod certissimum princi-pium sivc firmissimum, tale debet esse, ut circa d non possit erran, et quod non sit suppositum et quod adveniat naturaliter".

    '' "etiam ipsa principia indemostrabilia cognosimus abstrahendo a singulaibus"; "Le prime con-cezioni dell'intelletto preesistono in noi quasi fossero 1 semi delle scienze, che vengono imme-diatamente conosciuti dall'intelletto agente per mezzo delle specie astratte dalle cose sensibili, sia-no queste concezioni complesse (come le degniti) o semplici (come le nozioni di ente e di uno)" ("Preexixtunt in nobis quaedam scientiarum semina scilicet pnmae conceptiones intellectus, quae statini lumine intellectus agentis cognoscuntur per species a sensibihbus abstractas, sive sint com-plexa, ut dignitates, sive nicomplexa, sicut ratio entis, et unius" [De Ver. q. n a. i|).

    "' Ens significa "d quod est", ovvero un soggetto ("id") con un'essenza determinata ("quod") che ("est"). E quindi un termine analogo al termine "oggetto" usato anche nella logica contem-poranea, che pu dirsi di ogni cosa, sia questa un ente naturale (un individuo, una propriet di individuo) o un ente di ragione (una proposizione, un termine, un pensiero). In questo senso corretto affermare "Socrate un ente" o "il bianco un ente" oppure "la chimera un ente" ( infatti un ente di ragione), cos come "il nome 'Socrate' un ente" o anche "l'enunciato 'Socrate un ente' un ente". Tutto ci per dire che "ente" un termine trascendentale, dato che trascen-de tutte le categorie ontologiche (sostanza/accidente, ente nautrale/di ragione ecc..) e semanti-che (nome, proposizione).

    " "Ex hoc enim quod res productae sunt in tali natura, in qua habent esse termmatum, sunt distinctae a suis negationibus: ex qua distinctione sequitur quod affirmatio et negano non sunt simul vera ".

    '' "Naturahter gitur intellectus noster cognoscit ens, et ea quae sunt per se entis iiiquantum huiusmodi; 111 qua cognitione fundatur prmiorum prmeipiorum notitia, ut non esse simul a ('fir-mare et negate, et alia huiusinodi. I Liei igitur sola principia intellectus noster naturaliter loglio-si il. 1 uni limone-, .mirili pei ipsa: per loloicni lognositl visus Uni comniunia iiu.mi sensibilia per

    1 .11 1 l ' I r l i ' .

  • I9 ( I \ l M' ' A . I ' '' ,|. I ! ! I

    b3. "una cosa pu essere nota in due maniere: primo, per s slessa; secondo, nspetio .1 noi. E nota per se stessa infatti qualsiasi proposizione in cui il predicato 1 lentia nella nozione del soggetto: tuttavia per chi ignora la definizione del soggetto tale proposi zione non per s nota. Per es. la proposizione ' l 'uomo un animale razionale' pei s nota nella sua natura, poich chi dice uomo dice anche razionale; ma per chi igno-ra cos' l 'uomo codesta proposizione non per s nota. Ecco perch, come nota Boe-zio, alcune sono degnit o proposizioni universalmente note; e tali sono quelle 1 cui termini sono conosciuti da tutti come, per esempio, 'il tutto maggiore della parte'; 'cose uguali a una terza sono uguali tra loro'. Ci sono invece proposizioni che sono per s note ai soli sapienti che ne capiscono 1 termini: a chi sa, ad esempio, che un angelo non un corpo, per s noto che nessun angelo si trova circoscritto in un luo-go; ma ci non evidente a chi ignora cosa sia un angelo. Infatti, ci che per primo cade nell 'apprensione dell'intelletto l'ente, la cui conoscenza implicata da ogni cosa conosciuta. E quindi il primo principio indimostrabile che non si pu affer-mare e negare simultaneamente, il quale fondato sulle nozioni di ente e non ente, e sopra tale principio si fondano tutto gli altri" [S. Th. I-II q. 94.2]'';

    b4. "ci che per primo cade nell'immaginazione dell'intelletto l'ente, senza di cui nul-la pu essere conosciuto dall'intelletto; cosi come la prima cosa che cade nella capa-cit giudicativa dell'intelletto sono le degnit, e principalmente quella secondo cui 1 contraddittori non sono simultaneamente veri" [In 1 Scnt. D. 8 q.i a. 3 co j ' 4 .

    Come risulta dai testi b} e bq., va rilevato che Tommaso parla di "molti" pri-mi principi immediati (indimostrabili), e dal punto di vista logico non vi tra di essi una gerarchia di importanza'5. La loro differenza soprattutto "estensio-

    '' "Dicitur autem aliquid per se notum dupliciter, uno modo, secundum se; alio modo, quoad nos. Secundum se quidem quaelibet propositio dicitur per se nota, cuius praedicatum est de ratio-ne subiech, contingit tamen quod ignoranti defnitionem subiecti, talis propositio non erit per se nota. Sicut ista propositio, homo est rationale, est per se nota secundum sui naturam, quia qui dicit hominem, dicit rationale, et tamen ignoranti quid sit homo, haec propositio non est per se nota. Et inde est quod, sicut dicit Boetius, in libro De Hebdomad., quaedam sunt dignitates vel propositiones per se notae communiter omnibus, et huiusmodi sunt llae propositiones quarum termini sunt omnibus noti, ut, omne totum est maius sua parte, et, quae uni et eidem sunt aequa-ha, sibi invicem sunt aequalia. Quaedam vero propositiones sunt per se notae sohs sapientibus, qui terminos propositionum intelligunt quid significent, sicut intelligenti quod angelus non est corpus, per se notum est quod non est circumscriptive in loco, quod non est manifestum rudibus, qui hoc non capiunt. In his autem quae in apprehensione omnium cadunt, quidam ordo inveni-tur. Nam illud quod primo cadit in apprehensione, est ens, cuius intellectus includitur in omni-bus quaecumque quis apprehendit. Et ideo primum pnncipium indemonstrabile est quod non est simul affirmare et negare, quod fundatur supra rationem entis et non entis, et super hoc principio omnia alia fundantur, ut dicitur in IV Metaphys".

    14 "Primum enim quod cadit in imagmatione intellectus, est ens, sine quo nihil potest

    apprehendi ab intellectu; sicut primum quod cadit in credulitate intellectus, sunt digmtates, et praecipue ista, contradictoria non esset simul vera".

    15 Che il p.n.c. sia il "principium firmissimum" o "certissimum" affermato unicamente all'in-

    terno del commentari Aristotelici, in cui Tommaso cerca di essere fedele espositore dello Stagiri-

    li i r r .< n i ' > i 11 1 ' >\ 11' \i ' l ' i . ii .-.i v. l'e IMM.V-I > I )'/V >i 1:.' ' ,,,,,

    naie": vi sono alcuni principi che sono basati su nozioni elementari conosc m te da tutti (ad es. quella di ente, quella di tutto e parte) e per questo sono conni ni a tutti; altri invece sono basati su nozioni che solo gli esperti conoscono fui es. le definizioni di certi enti quali l 'uomo, il triangolo, e c c . . ) e quindi non sono cos comunemente noti [In IPost. An. lect. v e xvin; cfr. sotto par.

  • 2 ( ) ( ) ( . I M I 'h ' A ' . I

    non si pu conoscere nulla se prima non si conosciuto questo principio. E quindi come il tutto e la parte non sono conosciuti se prima non conosciuto l'ente, cosi il principio 'il tutto maggiore della parte' non conosciuto se prima non si conosciu-to il suddetto principio fermissimo" [In IVMetapb. lect. vi n. 605]'".

    d) Tommaso infine chiarifica ulteriormente la sua prospettiva, e in pi luoghi offre una dettagliata descrizione dell'ordine con cui 1 primi concetti vengono afferrati dall'intelletto. Ecco i testi pi completi:

    di. "l'ente ci che per primo cade nell'intelletto; secondariamente vi cade la negazione dell'ente; e da queste due ne segue in terzo luogo la conoscenza della divisione (dal fatto che qualcosa conosciuto come ente, e come non essere quell'ente, l'intelletto conosce che da esso diviso); la quarta nozione dell'intelletto l 'uno, con cui si capi-sce che questo ente non in s diviso; la quinta nozione quella di molteplicit, con cui un ente compreso esser diviso dall'altro e entrambi sono intesi come uno in s. E cos chiaro come non vi sia circolo nella definizione dell 'uno e della moltitudi-ne" [De Poi. Q. 9 a.7 ad 15]19;

    d2. "bisogna capire che, per quanto l 'uno implichi una implicita privazione, tuttavia non implica la privazione della molteplicit: infatti, poich la privazione posteriore a ci di cui privazione, ne seguirebbe che l 'uno posteriore alla moltitudine. E cos la moltitudine verrebbe posta nella definizione dell'uno. Infatti la privazione non si pu definire se non facendo riferimento al suo opposto, come quando si dice che la cecit privazione della vista. Quindi se nella definizione di molti tudine ci fosse l 'uno (dicendo che la moltitudine un aggregato di unit), ne seguirebbe un circolo nelle definizioni. E quindi quando si dice che l 'uno implica la privazione della divisione, non ci si riferisce alla divisione della quantit, che riguarda un particolare genere di enti, e quindi non pu ricadere nella definizione dell 'uno. Ma l'uno che si converte

    ,s "Duplex sit operatio intellectus: una, qua cognoscit quod quid est, quae vocatur indivisibi-

    lium mtelligentia: alia, qua componit et dividiti in utroque est aliquod primum: in prima quidem operationem est aliquod primum, quod cadit in conccptionc intellectus, scilicet hoc quod dico ens; nec aliquid hac operatione potest mente concipi, nisi intelhgatur ens. Et quia hac prmeipium, impossibile est esse et non esse simul, dependet ex intellectus entis, sicut hoc princpium, omne totum est maius sua parte, ex intellectus totius et partis: ideo hoc etiam principium est naturaliter primum in secunda operatione intellectus, scilicet componentis et dividentis. Nec aliquis potest secundum hac operationem intellectus aliquid intelhgere, nisi hoc principium mtellecto. Sicut enim totum et partes non intelliguntur nisi mtellecto ente, ita nec hoc princpium omne totum est maius sua parte, nisi intellecto praedicto princpium frmissimo".

    "* "Primum enim quod in intellectum cadit, est ens; secundum vero est negatio entis; ex his autem duobus sequitur tertio intellectus divisionis (ex hoc enim quod aliquid mtelhgitur ens, et intelhgitur non esse hoc ens, sequitur in intellectu quod sit divisum ab eo); quarto autem sequi-tur in intellectu ratio unius, prout scilicet intelhgitur hoc ens non esse in se divisum; quinto autem sequitur intellectus multitudinis, prout scilicet hoc ens intelhgitur divisum ab alio, et utrumque ipsorum esse in se unum. Quantumcumque enim aliqua intelligantur divisa, non intelligetur mul-titudo, nisi quodlibet divisorum intelligatur esse unum. Et sic etiam patet quod non erit circulus in definitione unius et multitudinis".

    I l l ' I T . i 1 1 - I 1 1 - l i I . 1 I " . I ' > M M V . ' > I V A ' ' I I ' . ' 2 ( ) 1

    1011 l'ente implica la privazione della divisione formale che si ha con gli opposti, la cui prima radice l 'opposizione tra affermazione e negazione. Infatti le cose che si dividono reciprocamente sono tali per cui questa non quella. Quindi per primo si comprende l'ente, e conseguentemente il non ente, e quindi la divisione, e poi l 'uno che priva della divisione, e conseguentemente la moltitudine, nella cui nozione cade la divisione, cos come nella nozione di uno compresa l'indivisione; per questo cose divise in tal modo non possono essere intese come moltitudine se prima non stata loro attribuita la nozione di uno [In IVMetapb. lect. in n. 566]2".

    211 "Sciendum est autem quod quamvis unum importct privationem impilatali!, non tamen est

    dicendum quod importet privationem multitudinis: quia cum privatio sit posterior naturaliter eo cuius est privano, sequeretur quod unum esset postenus naturaliter multitudine. Item quod multi-tudo poneretur in defnitione unius. nani privatio defmiri non potest nisi per suum oppositum, ut quid est caecitas? Privatio visus. Unde cum in defnitione multitudinis ponatur unum (nani multi-tudo est aggregano unitatum), sequitur quod sit circulus in definitionibus. Et ideo dicendum quod unum importat privationem divisionis, non quidem divisionis quae est secundum quantitatem, nam ista divisio determinatur ad unum particulare genus entis, et non posset cadere in defnitione unius. Sed unum quod cum ente convertitur importat privationem divisionis formahs quae tt per opposi-ta, cuius prima radix est oppositio affrmationis et negationis. Nam lla dividuntur adinvicem, quae ita se habent, quod hoc non est illud. Primo igitur intelhgitur ipsum ens, et ex consequenti non ens, et per consequens divisio, et per consequens unum quod divisionem privat, et per consequens mul-titudo, in cuius ratione cadit divisio, sicut in ratione unius indivisio; quamvis aliqua divisa modo praedicto rationem multitudinis habere non possint nisi prius cuilibet divisorum ratio unius attri-buatur". Anche in altri luoghi Tommaso riprende tali tesi: "patet autem ex praedicta ratione, non solum quod sunt unum re, sed quod differunt ratione. Nam si non differrent ratione, cssent penitus synonyma; et sic nugatio esset cum dicitur, ens homo et unus homo. Sciendum est enim quod hoc nomai homo, imponitur a quidditate, sive a natura hominis; et hoc nomai res imponitur a quid-ditate tantum; hoc vero nomen ens, imponitur ab actu essendi: et hoc nomen unum, ab ordine vel mdivisione. Est enim unum ens indivisum. Idem autem est quod habet essentiam et quidditatem per illam essentiam, et quod est in se indivisum. unde ista tna, res, ens, unum, signiticant omnino idem, sed secundum diversas rationes" [In IVMetapb. lect. 11 n. 6]; "ad secundum diccndum, quod, ut ex praedictis, in corp. art., patet, unum non importat negationem nisi in ratione. Unde secundum rem magis se habet ad positionem quam multitudo, in qua importatur rcahs negatio, secundum quam res a re distinguitur. Et ideo unum in intellectu est prius quam multitudo, quamvis secundum sensum vcl imaginationem sit e converso, ut dicit philosophus; quia sic composita priora sunt sim-plicibus et divisa indivisis: et ideo in defnitione unius non cadit multitudo, sed illud quod est prius secundum intellectum umtate. Primum enim quod cadit in apprehensione intellectus, est ens et non ens: et ista suffciunt ad defnitionem unius, secundum quod intelligimus unum esse ens, in quo non est distinctio per ens et non ens: et haec, scilicet distiller per ens et non ens, non habent rationem multitudinis, nisi postquam intellectus utrique attnbuit intentionem unitatis; et tunc definit nuilti-tudinem d quod est ex unis, quorum unum non est alterum; et sic in defnitione multitudinis cadit unitas, licet non e converso"|/ / Seni. Dist. 24 q. 1 a. 3 ad 2; da notare che in questo testo vi anco-ra confusione tra la nozione di moltitudine e di divisione, che poi verranno opportunamente distili te"]; "sic ergo primo in intellectu nostro cadit ens, et deinde divisio; et post hoc unum quod divi sionem privat, et ultimo multitudo quae ex unitatibus constituitur. Nam licet ea quae sunt divisa. multa sint, non habent tamen rationem multorum, nisi postquam huic et 1II1 attribmlur quod su unum. Quamvis etiam nilnl prohiberet dici rationem multitudinis dependere ex uno, sci nudimi quod est mensurata per unum, quod am ad rationem numeri pertinet" [InXMetapb. lect. iv 11. h|

  • ( i M i - . i L i i i

    4. Spiegazione dei testi sulla genesi ileiprincipio di contraddinonc

    E quindi chiaro che per Tommaso vi un certo ordine tra i primi concetti (ens, negatio, divisio, unum, multitud), i quali sono tutti conosciuti per indu-zione; su tali primi concetti si fonda poi, sempre per induzione, lo stesso p.n.c. Tale ordine non corrisponde a una descrizione strettamente "fenome-nologica" e cronologica della genesi dei concetti, ma vuole indicare soprat-tutto una dipendenza logica tra le nozioni. Infatti, come prima conosciamo in modo indeterminato tutta la casa e poi ne conosciamo distintamente le parti (tetto, mattoni, finestre), cos prima conosciamo gli individui in quan-to sono un qualcosa (ovvero sono enti), e solo successivamente ne com-prendiamo le caratteristiche pi specifiche che li differenziano l'un l'altro21. Cercher ora di esaminare queste tesi avvalendomi della simbologia ideata da S. Lesniewski, che ritengo la pi adatta per esplorare analiticamente que-ste questioni22.

    1-Ens. per esperienza ovvero per induzione [cfr. nota j\ conosciamo all'i-nizio semplicemente questo a e, nel capire che qualcosa, capiamo che a un ente. Usando la simbologia di Lesniewski, dapprima capiamo che a un qualcosa ( un certoy, ancora da determinarsi):

    I) [3y] a e y25

    -' Ctr. Cantra Gentes I. e. 55 [si conosce prima il tutto continuo e poi le parti]; S. TI). I q. 58 a. 2 [si conosce prima la proposizione e poi i suoi elementi]; In IPbys. lect. 1 [la conoscenza universale va dal-l'indeterminato al determinato] ; ctr. C. Fabro, Fenomenologia della percezione, Vita e Pensiero, Milano 1941, pp. 442-446; P. Hoenen, La Tlorie du Judegemetit d'apres St. Tomas d'Aquin, Ed. Univ. Grego-riana, Roma, 1955, pp. 11 sgg.

    22 In questo senso, il primo ad usare con successo questo sistema per analizzare la metafisica

    medievale stato D.P. Henry [ctr. Medieval Logie andMctapbysics, Ilutchinson Univ. library, Lon-dra 1972; MedievalMereology, B. R. Griiner, Amsterdam-Philadelphia 1991; Tliat Most Subtle Qicestion, Manchester University Press, Manchester 1984]. Tra 1 tanti studi su Lesniewski, ricordo qui: E. Luschei, Tlie logicai system of Lesniewski, North Holland Publish. Company, Amsterdam 1962; J. Slu-pecki, Lesniewski calcuk ofname, in Lesniewski Sysytem: Ontology and Mereology, Martinus Nijluft Publishers, Boston-Lancaster 1984.

    -' Spieghiamo intuitivamente il significato della simbologia qui usata, premettendo che per fun-tore si intende un'entit linguistica sincategorematica, ovvero che forma un certo ente linguistico signi-ficante (proposizione, nome, verbo ecc.) solo quando completata da opportuni enti linguistici (nomi, verbi o proposizioni):

    - '[x]' = 'per ogni x' (simbolo del quantificatore universale); - '[3x]' = 'per qualche x' (simbolo del quantificatore particolare, da interpretarsi come privo di

    riferimenti esistenziali); - 'a, b, e, ...' sono costanti individuali, mentre 'x, y, z, ...' sono variabili individuali; - ' ' = 'e' (funtore di congiunzione, ovvero sincategorema che forma un enunciato vero solo

    quando completata da due enunciati veri, altrimenti forma un enunciato falso);

    I l l ' I ' I M ll ' l< ; ! . 1 I I . i . 1 l \ l ' i A I M . V . i ' 1 ) ' A i ' I 1 M 1 _ . , , {

    Dove "... e..." un funtore che forma un enunciato vero quando comple-tato da un nome individuale a sinistra e da un nome dicibile del soggetto a destra (indice S/ n n2-+). Ad es. vero se si dice "Socrate e bianco", "Socrate E maestro di Platone", falso se si afferma "la chimera e bianca" (il soggetto un nome vuoto) o "l'uomo e animale" (il soggetto un nome generale)2^

    Quindi possiamo comprendere (ovvero definire) la nozione di ente vale-vole in generale per ogni oggetto che sia qualcosa:

    def I) |x] x e Ens [3y] x e y (x un ente se e solo se per qualche y, x un y)

    "Ens" dunque un termine generale che si dice di ogni singolo esistente, ed simile ai termini "oggetto", "cosa", "positivo", "individuo".

    //- Negatio entis. Un ente, essendo determinato, implica la propria nega-zione da altri enti26, e quindi immediatamente si comprende la differenza reale di questa cosa da quella. Questa appunto la negatio entis, ovvero la dif-ferenza di questo da quello: ma di che negazione si tratta? In Tommaso infat-ti troviamo almeno due tipi di negazioni:

    Ni) la negazione proposizionale, indicata dal simbolo "~" un funtore di categoria semantica S/S che quindi viene applicato a enunciati e come risulta-to d enunciati. Esempi ne sono "non (la mela bianca)" e in generale:

    ~(x e y)

    N2) la negazione nominale, indicata dal simbolo "n(..)", invece un fun-tore di indice n/n che applicato a un nome forma un nome. Esempi ne sono:

    - '.. v ..' 'o' (funtore di disgiunzione, che forma un enunciato vero solo se e completato da due enunciati di cui almeno uno vero, altrimenti forma un enunciato falso);

    - '..=>..' = 'se.. .allora...' (funtore di implicazione, che forma un enunciato vero solo se l'antece-dente falso o se sia l'antecedente che il conseguente sono veri, altrimenti forma un enunciato falso);

    - '....' = 'se e solo se' (s.s.s.: funtore di bi-implicazione, che forma un enunciato vero solo se 1 due enunciati che lo completano sono ambedue o veri o falsi, altrimenti forma un enun-ciato falso).

    2J| L'indice "S / n n" significa che il funtore in questione forme un enunciati (S) quando com-

    pletato da due nomi (n n). 25

    In questo senso la copula "E" in armonia con la tesi secondo cui il primo oggetto cono-sciuto a livello sensibile l'individuo (il soggetto del funtore "f") mentre a livello intellettuale l'universale pi indeterminato [cfr. nota 21].

    26 "In hoc ens includitur negatio illius entis" [In Boethhi De Trinitene q. 4 a. 1 (1. 1 q. 2 a. i)|.

  • 204 CLAUDIO ANTONIO TESTI

    "la mela non(bianca)" e formalmente si pu definire attraverso la negazio-ne proposizionale:27

    x e n(y) x e x , ~(x e y)

    Ora, a mio avviso, nei testi citati, la negatio entis va intesa come negazio-ne proposizionale, ovvero:

    II) ~(a e b) (a non b)

    Tommaso dice infatti "hoc non est illud" e non "hoc est non illud"28. Si potr poi usare tale negazione per definire la nozione di "divisio".

    ///- Divisio. Infatti, nel comprendere che a un ente (I) e che a non b (II), si capisce che a un ente diviso da b. In simboli:

    III) a e div(b) (a diviso da b)

    Dove, in generale qualcosa diviso da qualcos'altro, se e solo se un ente e non quell'altro ente:

    defili) [x,y] x e div(y) x e Ens . ~(x e y) (x diviso da y s.s.s. x un ente e non y)

    17 Vi poi un terzo tipo di negazione, ("p( )") intesa come privazione. anch'essa una nega-

    zione nominale (funtore di indice n /n) che per vera quando di un ente si afferma che privo di una caratteristica che dovrebbe avere. Ad esempio, se Antonio un u o m o cieco, la frase "Anto-nio cieco" ovvero "Antonio e p(vedente)" vera. Diversamente, se il funtore viene applicato a enti che non dovrebbero avere la perfezione che non hanno si ha che frasi del tipo "la pietra cie-ca" ("pietra e p(vcdente)") o "la chimera cieca" sono false [In Post. An. lect. v n. 5; /;; X Metapb. lect. vi n. 8]. Se invece con "non vedente" si intende la semplice negazione nominale (semplice assenza di una perfezione), allora anche le frasi "la chimera non vedente" ("chimera e ^ v e d e n -te)") e "la pietra non vedente" sono vere \ln 1Peri Herm: lect. iv n. 13; In IVMetapb. lect. 111 11. 565]: nel pr imo caso si ha addirittura una negazione nominale che non richiede che il soggetto sia un ente esistente. Definire formalmente tale funtore mol to complesso, perch sembrano ncics sarie nozioni modal i e /o mereologiche. Da notare, infine che in "Tommaso non sempre c|uesie distinzioni vengono mantenute rigorosamente, cosi che si passa spesso da negazioni nominali a proposizionali [es. In IVMetapb. lect. HI n. 565]. Sulla stona della negazione si pu vedeie 1 K Horn , A Naturai llhtory of Negatimi, University ol Chicago Press, 19N9.

    -* Cfr. De Poi. Q. 9 a. 7 ad 15; In IVMetapb. lei 1. 111 11. sMi.

    II. PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONK IN TOMMASO D'AQUINO 2()5

    IV- Unum. Compresa cos la nozione di divisione, si vede poi che questa non riguarda l'interno dell'ente a, cos che l'ente risulta un unum, ovvero un ente non diviso da s stesso:

    IV) ~(aediv(a))

    Per cui si pu dare la seguente definizione:

    def IV) [x] x e Unum 0 x 8 Ens . ~(x e div(x)) (x uno s.s.s. un ente non diviso da s)

    V- Multitudo. Infine, quando la nozione di unit viene intesa per enti divi-si l'un l'altro, si coglie la nozione di moltitudine, e nel giudizio di dir che "questo unum e quello unum, e sono entrambi divisi". Nel caso, gli enti sono a e b, dunque:

    V) a e Unum . b e Unum . a e div(b). b e div(a)

    E la nozione di moltitudine vale in generale tra due enti tra loro divisi e indivisi in s stessi:

    defV) [x,yj Mult(x, y ) x e Unum . y e Unum . x e div(y). y e div(x)''"

    VI-p. n. e: Quanto al principio di non contraddizione, esso si fonda sul-la nozione di ente e negazione dell'ente e sulla loro reciproca opposizione'1.

    M Poich vi un unico oggetto in gioco, questa quindi una negazione di sola ragione |clr.

    //; ISeni. D. 24, Q.i a. 3 ad 2 cit. in nota 20], diversamente dalla II e dalla III, dove di a veniva nega-to qualcosa in relazione a un // realmente diverso da a. Similmente, per Tommaso la relazione di identit, di sola ragione, perch non riguarda due enti diversi, ma un ente che viene "reduplica-to" col pensiero: "idem eidem idem" infatti una relazione di ragione perch "realtio non h.ibel aliqua realem dist inctionem inter extrema" \In ISent. D. 26 q. 2 . i |. Del resto l'identit anche per Tommaso vicina al concet to di unit: "identitas nulla importat d is tmet ionm, sed magis uni tatem" \ln ISent. D. 19 q. 1 a. 1 ad i\.

    in Ovviamente tale concet to vale anche se gli elementi sono pi di due e addirittura infiniti.

    Per Tommaso, infatti possono esistere molti tudini di enti infinite in atto, proprio perch distin-gue tra unum trascendentale e unum numerico. Su questo mi permet to di rinviare al mio saggio L'infinito numerilo in Tommaso DAquino e Georg Cantor, 111 "Discipline filosofiche" n. 2/9S, 199(1, pp. 207-237.

    '' "il pr imo principio indimostrabile che non si pu allermare e negare simultaneamente, e questo principio fondato sulle nozioni di ente e non ente" | " p n m u m principimi) iiuleinon strabile est quod non est simul affirmare et negare, quod hindalui supi.i lat ionem cniis et min entis": S. Tb. I-1I q. 94.2].Cfr. De Ventale q. s a. ,' .ni / 1 il. sopia.

  • 2o6 CLAUDIO ANTONIO TESTI

    Dapprima infatti si comprende che l'ente a, che un qualcosa (I), non pu esserlo non esserlo:

    VI) ~ ( a e y . ~ ( a e y ) )

    Quindi si comprende che, questo vale per qualsiasi caratteristica di a:

    VII) [y] - (a e y . ~(a e y) )

    Infine, si comprende che ci vale non solo per a ma per tutte le cose:

    p.n.c.) [x, y] ~( x e y . ~(x e y) )

    Ora, che il p.n.c. sia "fondato" sulla nozione di ente e negatio entis, non significa che sia da queste derivabile logicamente: infatti, da nessuna delle proposizioni I-VII segue p.n.c. E del resto, se questo avvenisse, il p.n.c. non sarebbe conosciuto per induzione ma per deduzione: per questo l'ho intro-dotto come un vero e proprio assioma, il che conforme al fatto che per Tommaso il p.n.c. appunto conosciuto nel giudizio [testo ci], e quindi non la semplice "registrazione" di un fatto o di una nozione.

    Se poi si interpreta "x" come una proposizione qualsiasi, e "y" come il predicato "vero" si ha che ogni proposizione non pu essere vera e non vera: ecco cos che dal principio ontologico di contraddizione segue la sua "ver-sione" logica (p.n.c.l.):

    p.n.c.l.) ~(P . ~P)

    Dunque, perch l'ente determinato, che il p.n.c. vero (versione onto-logica), e da ci segue che anche il p.n.c.l. vero (versione logica del p.n.c: cfr. testi bi e bz). E allo stesso tempo il p.n.c. assieme alle prime nozioni conosciute, "spiega" in cosa consista la determinatezza dell'ente: ogni ente si oppone a ci che non {negatio entis, divisio) e se qualcosa non pu non esserlo.

    II. PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONI- IN TOMMASO D'AQUINO

    5. Valore e ruolo del p.n.c. per Tommaso D'Aquino

    E indubbio che Tommaso riconosce grande importanza al p.n.c, 111.1 m consiste concretamente il suo ruolo? Cosa vuol dire Tommaso quandi' -ma che "sopra questo principio si fondano tutti gli altri principi"'? Voli .> innanzitutto alcune interpretazioni errate di queste affermazioni.

    Prima di tutto, il p.n.c. non serve a dimostrare gli altri principi imim .1. > Infatti per Tommaso il p.n.c. non l'unico primo principio. Ce ne som > n>. . altri che sono primi e indimostrabili ad eguale titolo. Per Tommaso inl.itti > . proposizione immediata se indimostrabile, ovvero se tra soggetto e \n< .l> to non possibile trovare alcun medio". Se ci fosse, infatti, si potrebbe- 1 " > sillogismo in Barbara tale che la proposizione ne sarebbe una conclusi, >i>.

    L'Aquinate poi, commentando Aristotele [cfr. In IPost. An. Ice 1 \, VM. . xix], dice che i principi immediati di una dimostrazione possono l>ll > \ > te), e sono studiati principalmente dal metafisico [In IPost. An. lei 1 \ t. . 50];

    2. "Positio" (theseis): sono principi che non sono noti a tutti e quindi caratteristici delle diverse scienze. Si possono distinguere in:

    2.1. Definzioni (ad es. "animale razionale" come definizione di ii>>m. . quali non sono n vere n false perch non dicono l'essere e il non e--.-., r. 1 qualcosa [In I Post. An. lect. v n. 51-2]

    2.2. Suppositiones: sono enunciati veri e propri i quali si consideiann n>>>. diati, per un duplice ordine di motivi:

    2.2.1. Sono immediati perch derivano direttamente dalle clcfim/i>>i>> 1 cui una volta comprese le definizioni si capiscono i relativi enuiu i.m \. >. -IPost. An. lect. v n. 51]. E qui vi sono due casi fondamentali \ln I /'.>/ 1-lect. x]:

    2.2.1.1. un enunciato immediato nel primo modo dicendiper se s 1 > naie" o "ogni animale razionale conosce al modo dell'animale n/in.il>

  • io8 CLAUDIO ANTONIO THSTI

    con "conosce al modo dell'animale razionale" intendo il modo di conosce-re tipico dell'uomo.

    2.2.2. L'altro tipo di supposizioni, che per a noi interessano meno, sono immediate relativamente a una scienza, nel senso che sono indimostrabili in questa, ma potrebbero essere in qualche modo dimostrate".

    Ora, va ricordato che per Tommaso tutte queste proposizioni immedia-te, eccettuato il tipo 2.2.2, sono tali per cui "non ce n' una prima" ("non est altera prior" [In Post. An. lect. v n. 45]) e dunque non ci sono proposizioni "immediate" dimostrabili da altre proposizioni "pi" immediate. E questo vale anche per il p.n.c. In una parola, il metafisico che indaga il p.n.c. non pu aver la presunzione di conoscere da questo (o dalle altre verit metafisi-che) la natura dei diversi enti: per sapere che l'uomo animale razionale occorre indagare scientificamente i diversi uomini concreti, e questo vale per ogni altro asserto scientifico. Infatti, sia l'esistenza degli oggetti di studio che il tipo di oggetto che si studia sono "precomprensioni" necessarie alle dimo-strazioni, e quindi si conoscono solo per induzione [In 1 Post. An. lect. 11; In Il Post. An. lect. 1].

    Il p.n.c. ha per un ruolo fondamentale: ci garantisce infatti che, una vol-ta conosciuto che un certo ente qualcosa, tale ente non pu non esserlo. Conosciuto dunque per induzione che ogni uomo animale razionale (pre-messa minore di una dimostrazione propter quid), possiamo esser certi, grazie a tale principio, che non pu esserci qualche uomo che non sia animale razionale, e che a livello logico (grazie a p.n.c.l.) l'enunciato "non (ogni uomo animale razionale)" non vero. E se questo vale per le premesse immediate della dimostrazione, vale anche per le conseguenze sillogistiche che da queste derivano. Concretamente, nel sillogismo dimostrativo:

    " Vi sono poi tre tipi di suppositiones 2.Z.2.: alcune sono dimostrabili da un'altra scienza [In I Post. An. lect. v n. 51], altre non sono ancora state dimostrate (ad cs. la teoria tolemaica degli eccen-trici e epicicli che si supponeva vera [In IIDe Coelo lect. xvn n. 451; S. T>. I. 32. 1. ad 2]), altre anco-ra sono indimostrabili di principio (ad es. "il mondo eterno" o "il mondo iniziato nel tempo" sono enunciati per Tommaso entrambi indimostrabili, per cui l'eternit o meno del mondo un problema razionalmente indecidibilc [S. TI). I. q. 46]). Aristotele e Tommaso dividono poi tutte le suppositiones o ipothesis [2.2] a seconda che chi le usa nella dimostrazione le ritenga vere (sup positio in senso stretto, quali le 2.2.1 [In Posi. An. lect. xix n. 163]), incerte (pelilioncs o aithana in Ari stotele, aithemata in Euclide; tali termini vengono di solito tradotti con postulati.) a false (quaestio). Da notare inoltre che per Tommaso e Aristotele le degnit sono principi comuni a piti scienze (koin, koinaiennoiatin Euclide), ma non tutti 1 principi comuni a pi scienze sono degnila: ad cs il principio comune secondo cui "se da eguali tolgo eguali ottengo eguali" tonnine .1 tulle le scienze matematiche, e quindi si distingue dai principi propri della geometria (quale ad es. Li deh nizione di linea), e tuttavia non una degnila \Iu I Post. An. lect. xvm n. is.| issi

    IL PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONI-: IN TOMMASO D'AQUINO 2 0 9

    Si ogni animale razionale conosce al modo dell'animale razionale ogni uomo animale razionale ogni uomo conosce al modo dell'animale razionale^6

    il p.n.c. (nelle sue due versioni, ontologia e logica) serve a garantire che date le premesse vere, queste non possono essere false; e data la conclusione, non pu essere vero che "qualche uomo non conosce al modo degli animali razionali" (negazione della conclusione).

    5. Tommaso dAquino, Aristotele e Lukasiewicz

    Si tratta ora di vedere brevemente se e quanto le critiche che Lukasiewicz rivolge ad Aristotele siano applicabili anche a Tommaso. Naturalmente, non possibile passare in rassegna tutte le argomentazioni del polacco57 e dun-que mi limiter a esaminare le quattro critiche che mi sono sembrate pi per-tinenti al presente saggio.

    1) Accusa di psicologismo. In Tommaso poco o nulla presente la proble-matica psicologica del p.n.c: le formulazioni psicologiche dello stesso sono meno frequenti delle altre [cfr. paragrafo 2 supra] e Tommaso sembra sostan-zialmente non interessato a questa tematica. In questo senso le accuse di psi-cologismo che Lukasiewicz rivolge ad Aristotele [cap. IV], appaiono in Tom-maso ancor meno motivate;

    2) Il circolo nelle dimostrazioni del p.n.c. Nei testi propri di Tommaso non si trova, a quanto mi consta, nessun tentativo di dimostrazione del p .n.c: il problema non sembra interessarlo particolarmente. Dunque da questo pun-

    "' Questo sillogismo il primo sillogismo della catena di dimostrazioni propter quid, essendo che la prima premessa maggiore immediata nel secondo modo per s, e la premessa minore lo nel primo modo per s [In Post. An. I lect. xin; II. i, II. xix]. Si noti tra l'altro come sul piano esten-sionale 1 tre termini del sillogismo sono tutti equiestensivi, il che vuol dire che la distinzione dei modi difendiper s, fondamento di tutta la teoria della dimostrazione anstotelico-tomista, non estensionale ma mtensionale.

    1 Tra gli scritti che contengono riflessioni critiche sul pensiero di Lukasiewicz intorno al p.n.c.

    ricordo: A. Betti, Lukasiewicz and Lesniewski on contradiction, in Barghramian-Simons, Lukasiewicz iind moderi! logie, Dordrecht, Kluwer, (di prossima pubblicazione); d. Tlje incomplete Stoty of Luka-siewicz unii Bivalente, in Atti de] 150 Simposio Internazionale Logica 2001, Zahradky Gasile, G/.cch Republic, m-22 Giugno 2001; V. Raspa, Lukasiewicz versus Aristotele, in "Paradigmi" n. S3, 2000, pp. .|i(-.|.)S; d. In-conlraddizione, Ed. Parnaso, Trieste 1999; D. Marconi, Lajormalr/zazioue della ilialcl-//.

  • ZO ( .1 \1 I III ' A ' , i ' M i I I .11

    to di vista l'Aquinate non sembra cadere nella fallacia aristotelica clic pi vol-te Lukasiewicz ravvisa (il p.n.c. detto indimostrabile e poi lo si cerca dispe-ratamente di dimostrare [capp. XIII-XIV]);

    3) Esistenza di altre verit prime. Tommaso parla esplicitamente di molte verit indimostrabili, ovvero immediate, e tutte sono tali che "prima" non c' una proposizione da cui si dimostrino: dunque, in questo senso, il p.n.c. uno dei primi principi, ma non il primo, n la "prima veritas". Inoltre, Tom-maso afferma che ci sono altri giudizi veri che precedono lo stesso p.n.c, come ad es. "qualcosa un qualcosa" (I), "questo non quello" (II)'X, "que-sto in s indiviso" (IV) o "le cose hanno un essere determinato"59. Per que-sto, che esistano delle verit ancor pi definitive del p.n.c. (come afferma Lukasiewicz criticando Aristotele [capp. VII-VIII]) non contrasta con la pro-spettiva tommasiana4".

    4) Il p.n.c. fondato su verit empiriche solo probabili. Tommaso, infatti, ammette esplicitamente che il p.n.c. conosciuto per induzione e che appunto basato sulla determinatezza dell'ente4'. Al riguardo, anche in Ari-stotele si trova un argomento abbastanza simile a questa tesi tommasiana, e quindi vale la pena esaminare come Lukasiewicz critica nel merito lo Stagi-rita [cap. XI]. Il polacco espone cos l'argomentazione aristotelica:

    Se P un oggetto, esso deve essere nella sua essenza una cosa determinata [...]; Se P nella sua essenza una cosa determinata, esso non pu nella sua essenza essere e e non essere e nello stesso tempo; Conclusione: se P un oggetto, esso non pu nella sua essenza essere e e non essere e nello stesso tempo [p. 68].

    Da cui, per modus ponens, dato un oggetto P, allora questo non pu nella sua essenza essere e e non essere e nello stesso tempo [ibid.\ In altri termini, come Tommaso fonda il p.n.c. sulla determinatezza dell'en-

    iH "hoc non est llud" [In IVMetaph. lect. in n. 566].

    w "res habent esse terminatimi" [De Ver. q. 5 a. 2 ad 7].

    4" E del resto, se la realt deve essere il fondamento della verit del pensiero (realismo) sareb-

    be assurdo voler dimostrare l'esistenza della realt, ovvero di ci che fonda la verit della dimo-strazione. Infatti Tommaso ammette esplicitamente che l'esistenza di qualcosa [In IPost. An. lect. 11; In IIPost. An. lect. 1] o del mondo intero [cfr. S. Th. I. 46. Art. 1 co.] sono indimostrabili, e lo stesso dicasi per la dimostrazione delle distinzioni veglia/sonno e sano/malato [In IVMetaph. lect. xv n. 709].

    41 Tra gli insigni tomisti che hanno sottolineato il carattere induttivo dei primi principi ricor-

    diamo: C. Fabro, Percezione e pensiero cit., p. 242; P. Hoenen, De origine primorum principiorum sden-tine, in Gregorianum, X (1933), pp. 153-184. Non tutti per concordano con questa lettura "indutti-va" ed affermano che in Tommaso la conoscenza dei primi principi "a-priori" [cfr. P. Hoenen, De Origine cit. ].

    l i i l i ' . i n . > i i . > 1 ! h i . i i ' M 1:. h >\r.i v.i I >'Ai ' i I : . I , , |

    te, cos Aristotele ricorre qui all'unit dell'essenza. A questo ragionamento Lukasiewicz rivolge, tra le altre, le seguenti obiezioni:

    4a) possono esistere cose che nella loro essenza non sono una cosa sola: ad es. la parola "ippocentauro" indica un oggetto che met uomo e met cavallo, e quindi contraddittorio poich l'ippocentauro ad un tempo uomo e non-uomo (cavallo). Ma gi su questo Lukasiewicz mostra di non afferrare completamente le basi della semantica aristotelico-tomista. Infatti, per Tommaso (come gi per Aristotele) il nome "voce significativa di cui nessuna parte, presa separatamente, dotata di significato" [In Peri Herrn. I, lect. iv]: in questo senso il nome "ippocentauro" non significa uomo+caval-lo, cos come equiferus (l'esempio di Tommaso) non indica cavallo+selvag-gio, infatti "la parte di un nome composto che viene posto a significare un concetto semplice non significa la parte della concezione composta dalla quale viene preso il nome per significare" [ibid. n. 11]. In altri termini, "nel nome 'equiferus' la parte 'ferus' preso da solo non significa nulla di quanto significa per esempio nel discorso 'equus ferus'"42. La critica di Lukasiewicz, dunque, non tiene presente il significato unitario che deve avere un nome4 ' .

    4b) Lukasiewicz sostiene poi che quest'argomentazione aristotelica, "se anche fosse giusta, dimostrerebbe il principio di contraddizione per un grup-po ristretto di oggetti: riguarderebbe soltanto l'essenza delle cose, non gli attributi accidentali" [p. 68]. Ma questo rimprovero non vale certamente per Tommaso: egli infatti parla di determinatezza dell' "ente", termine che, essen-do trascendentale, "trascende" appunto la divisone delle categorie e quindi vale sia per la sostanza che per gli accidenti44.

    4c) infine Lukasiewicz afferma al riguardo:

    Tale prova si basa sull'ipotesi che negli oggetti ci sia un'essenza concettuale diversa dagli attributi accidentali, un universale in re. Questa tesi costituisce la base metafisica di tutta la logica di Aristotele. [...] Che cosa sono questi universalia in rei Ci che Aristo-tele chiama "essenza delle cose" un insieme di attributi che si presentano sempre uniti alle cose, come ad esempio alcuni caratteri della struttura organica dell 'uomo quali il bipedismo. Per spiegare il tatto che questi attributi si presentano sempre insie-me, si ipotizza che alla loro base ci stia qualcosa di unico che li unisca, un ente sostan-

    42 Per le citazioni in italiano, mi sono avvalso della traduzione del Commento di Tommaso

    al Peri Hermeneias, curata da P. Bertuzzi e S. Parenti, ESD, Bologna 1997. 41

    Questa preziosa osservazione mi stata suggerita, con il solito acume teoretico, dal prol. Giuseppe Barzaghi.

    44 Sul tema 1 testi sono innumerevoli: basti per tutti De Ver. 1. 1. In S. Th. I. 29.1 si afferma che

    la nozione di individuo vale sia per la sostanza che per gli accidenti.

  • 212 CLAUDIO ANTONIO TKSTI

    ziale di cui nulla sappiamo [...]. La seconda dimostrazione del principio di contrad-dizione si fonda dunque sul concetto di sostanza. [...] Aristotele cerca di provare l'e-sistenza degli enti sostanziali attraverso altre dimostrazioni. Tralascio queste argo-mentazioni poich a mio avviso la storia del concetto di sostanza dimostra definitivamente che il giudizio comprovante l'esistenza degli enti sostanziali o dell'"essenza" delle cose, diversa dagli accidenti, pu essere soltanto un'ipotesi pi o meno probabile, ma mai sicura. Ne risulta che anche le conseguenze basate su que-st'ipotesi possono essere soltanto probabili per cui la seconda prova elenctica [quella sopra esposta: nota mia], se anche fosse vera, dimostrerebbe solo la probabilit del principio di contraddizione [p. 68-70].

    E qui, a mio avviso, si tocca un punto davvero essenziale per comprendere il senso della logica aristotelico-tomista. Infatti, ben vero che questa dimo-strazione basata su una tesi "empirica" (la distinzione sostanza-accidenti), che in quanto tale fondata sull'esperienza, e quindi sull'induzione. Ma que-sto non pu valere come critica, poich proprio della logica tomista l'esse-re fondata sull'induzione, attraverso cui si costituiscono le prime nozioni e i primi assiomi delle dimostrazioni:

    Per induzione infatti conosciamo qualche principio e qualche universale cui arrivia-mo dall'esperienza dei singolari, com' detto all'inizio della Metafisica; e da questi principi universali in tal modo preconosciuti procede poi il sillogismo. E cos risulta che ci sono dei principi da cui procede il sillogismo, che non si dimostrano con un sillogismo; altrimenti si procederebbe all'infinito nei principi del sillogismo, il che impossibile, come si dimostrato negli Analitici posteriori. Dunque il principio del sillogismo l'induzione**5

    in realt, le proposizioni che hanno un medio vengono provate attraverso questo medio, mentre le proposizioni che non l 'hanno sono provate attraverso l'induzione [Art. Pr. II cap. 23 68b 30-32]

    Vi un duplice modo di acquisire la scienza. Uno attraverso la dimostrazione, l'al-tro attraverso l 'induzione. I due modi sono per differenti, in quanto la dimostra-zione procede dagli universali mentre l ' induzione procede dai particolari. Se infatti gli universali, da cui procede la dimostrazione, fossero conoscibili senza l'induzione,

    45 "Inductio autem inducitur ad cognoscendum aliquod principium et aliquod universale in

    quod devenimus per experimenta smgularium, ut dicitur in principio Metaphysicae; sed ex uni-versalibus principiis praedicto modo praecogmtis procedit syllogismus. Sic ergo patet quod sunt quaedam principia ex quibus syllogismus procedit, quae non notifcantur per syllogismum, alio-quin procederetur in infinitum in pnncipiis syllogismorum, quod est impossibile ut probatur 111 primo postenorum. Sic ergo relinquitur quod principium syllogismi sit inductio" \ln Elhit. I.ib. VI, lect. ni n. 1148I.

    Il PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONI- IN TOMMASO D'AQUINO 213

    ne seguirebbe che l 'uomo potrebbe avere scienza di ci di cui non ha sensazione. Ma impossibile che si possa speculare sugli universali senza induzione4 .

    poich dai singolari che conosciamo gli universali, [Aristotele] conclude che neces-sario che anche i primi principi universali siano conosciuti per induzione. E infatti per via induttiva che la sensibilit costituisce nell'anima l'universale, in quanto ven-gono considerati alcuni singolari47.

    Per quanto riguarda il p.n.c, per induzione che noi comprendiamo imme-diatamente (senza medi dimostrativi) la nozione di ente e la sua determina-tezza (semplice apprensione), e formulando per esteso il p.n.c. (giudizio) espri-miamo proprio questa determinatezza. A questo discorso, Lukasiewicz obbietterebbe che la tesi secondo cui gli enti sono determinati non una verit definitiva ma solo probabile [supra] : un domani si potrebbe incontrare un ente contraddittorio che in quanto tale non determinatamente n una cosa n un'altra. Ma anche in questo caso, la critica non centra il bersaglio. Per Tom-maso, infatti, le verit a cui si giunge per induzione non sono probabili, ma sono ad un tempo vere e parziali, e dunque sono sempre ulteriormente specificabili a seconda di quanto l'esperienza insegna. In altri termini: - se si intende l'induzione come una procedura costitutiva dei termini pri-mitivi e degli assiomi; - e si ammette che la nostra conoscenza della realt sempre incompleta; allora ne segue che con l'induzione possiamo sempre riadeguare gli assiomi e le definizioni in base a nuove informazioni, mantenendo invariata la verit degli assiomi medesimi.

    E questo discorso non vale solo per le leggi "fisiche", ma anche per i pri-mi principi logici: del resto, non forse vero che Aristotele e Tommaso dap-prima affermano il principio del terzo escluso [Metaph. Lib. IV] e poi ne spe-cificano la portata ai soli oggetti passati e presenti [PeriHerm. Lib I cap. 9I? Similmente, alla luce delle indagini cantoriane sugli insiemi transfiniti, oggi non forse necessario limitare il principio "il tutto maggiore della parte"

    '' "quod duplex est modus acquirendi scientiam. Unus quidem per demonstrarionem, altus autem per inductionem; quod edam in principio huius libri positum est. Differuni autem bis duo modi, quia demonstratio procedit ex universalibus; inductio autem procedi! ex parttcularibus. Si ergo universale, ex quibus procedit demonstratio, cognosci posscnt absque inductionc, sequele tur quod homo posset accipere scientiam eorum, quorum non liabet sensum. Sed impossibile est universalia speculari absque tnductione" [///1 Post. An. lect. xxx 1111. 251-2551.

    ; i li in >l.i

  • 2 I 4 CLAUDIO ANTONIO TESTI

    ai soli enti di cardinalit finita? E forse che questi (il p.t.e. e il principio sul tutto maggiore delle parti) non sono degnit, proprio come il p.n.c?

    Anche in questo senso, il sistema logico moderno che pi si avvicina alla prospettiva tommasiana quello di Stanislaw Lesniewski, essendo un siste-ma "in divenire" in cui, rispettando certe regole formali, possono introdursi sempre nuove definizioni. Facciamo un esempio proprio con il p.n.c: ponia-mo il caso che per esperienza si comprenda che vi sono casi in cui possi-bile affermare che qualcosa se stesso e non se stesso (ad es. il circoloqua-drato, o il barbiere che rade tutti quelli che non si radono da s). Questi casi metterebbero immediatamente in crisi tutta la teoria, visto che si darebbe un x che x e non x, e questo violerebbe p.n.c. Ma se la nostra teoria logica "dinamica", baster dire che questi non sono enti, ma dei nulla, attraverso la seguente definizione:

    Def NU) [a] a e NU a e a . -(a e a)

    Ove l'intero defmiens indica un nulla proprio come qualcosa di contrad-dittorio. Allo stesso tempo, si comprende anche che questi nulla sono ben diversi dagli enti si cui ci si era basati per formulare il principio di non con-traddizione: quindi il principio di non contraddizione va ridefinito e rispe-cificato, limitandolo solo agli enti determinati:

    p.n.c.) [x, y] x e Ens => ~( x e y . ~(x e y) )

    Aggiungendo la condizione "x e Ens", si limita cos il "dominio" del p.n.c. ai soli enti. E questa un'operazione indubbiamente "scandalosa" per il logi-co contemporaneo, che si vede cambiare alcuni assiomi in corso d'opera48; tuttavia un'operazione lecita e necessaria nella prospettiva tomista, in cui la verit intesa come adeguazione alla realt implica appunto un continuo riadeguamento delle nostre nozioni (ivi inclusi i primi principi) alla luce di quanto l'esperienza ci fa conoscere49.

    -

    ,s In questo senso, lo "scandalo" non sta tanto nel passaggio da "[x,y] ~( x e y . ~(x E y) )" a

    "[x, y] [ x E Ens => ~( x e y . ~(x e y) ) ]", visto che vale la tesi proposizionale "P => (Q=> P)", quan-to nell'aver usato le stesso nome "p.n.c." per indicare l'ultima versione del principio.

    49 Se poi, come gi abbiamo fatto, si interpreta "x" come una proposizione qualsiasi e "y"

    come il predicato "vero", si ha che: p.n.c.l.z) P E Ens => ~(P . ~P) Ora, essendo che ogni enunciato (P) un ente, l'antecedente vero, e quindi per modus pancia

    viene confermato il p.n.c.l.: p.n.c.l.) --(!'. --P").

    li. PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONI; IN TOMMASO D'AQUINO 2IS

    In questo modo, per i nulla non vale il p.n.c5 e quindi permane la verit del p.n.c. per gli enti. Ed infatti, date queste definizioni, si pu poi dimo-strare che se qualcosa un ente allora non un nulla5':

    Teor. i) [x] x e Ens => ~(x e NU)52

    Non solo, ma si pu anche dimostrare che qualcosa un ente e non un nulla:

    s" Anche se poi, per la nota legge "ex absurdum quodhbet", pure dei nulla vale il p.n.c.

    51 Nelle dimostrazioni (fatte col metodo supposizionale: sia parte dall'antecedente per deri-

    varne il conseguente indicando le righe su cui agiscono le regole richiamate, e quindi si usa il teo-rema di deduzione) user tesi valide del calcolo delle proposizioni ('CP'), la regola di sostituzio-ne e le usuali regole di inferenza per il calcolo dei predicati, ovvero:

    1- OMU (omissione del quantificatore universale): [x]A(x) > A(v). Nell'espressione *[x|A(x)', in cui 'x' sotto l'azione del quantificatore e A sta per un'espressione qualsiasi, si pu omettere il quantificatore universale e sostituire in A(x) ad ogni occorrenza libera di V un suo esempio individuale V (ove V pu essere una costante 'a' o una variabile indivi-duale 'y' o 'x') che non appare nella conclusione. Ad es. da "Per ogni x, x ente" posso derivare "Socrate ente" o "qualunque cosa ente".

    2- OME (omissione del quantificatore esistenziale): [3x] A(x) > A(a). Nell'espressione '[3x| A(x)' si pu omettere '[3x]' e sostituire a 'x' un suo esempio arbitrano determinato, ovve-ro una costante 'a' che non appare nel contesto (non n nelle premesse n nella con-clusione della prova). Ad es. da "qualche x uomo" derivabile "Socrate uomo" a pat-to che prima non abbia mai usato il nome "Socrate": se prima avessi ad es. dedotto da "qualche y tigre" la tesi "Socrate tigre" non potrei eseguire, da "qualche x uomo" la deduzione "Socrate uomo" (ma al massimo "Platone uomo").

    5- AGLI (aggiunta del quantificatore universale): A(y) [x]A(x). Nell'espressione 'A(y)', 111 cui V denota un individuo qualsiasi scelto arbitrariamente, si pu aggiungere la quanti ficazione universale sulla variabile 'x' e sostituire 'x' ad 'y'. Ad es. da "qualsivoglia y ente" derivabile "ogni x ente". Invece dalle premesse "a uomo" e "se a uomo allora a animale" posso dedurre che "a animale", ma da questa non si pu dedurre "ogni x ani-male": "a" infatti non un esempio arbitrano dato che dalle premesse derivabile solo che "a animale" e non che "b" o quant'altro animale.

    4- AGE (aggiunta del quantificatore esistenziale): A(v) > [3x] A(x). Nell'espressione 'A(v)' (ove V pu essere sia una costante 'a' che una variabile 'y') si pu aggiungere il quantifi-catore esistenziale e sostituire 'x' ad 'a' o a 'y'. Ad. es. da "Socrate buono" o "quel tale buono" derivabile "qualche x buono".

    5- Valgono infine le usuali leggi dei quantificatori ovvero: (Qi)[x]P(x) o ~[3x] ~P(x); (Qz) [3x1 P(x) - | x l - P ( x )

    Per le dimostrazioni di alcuni teoremi qui solo riportati (e di altri ancora) rimandiamo .1 Slupci ki. Lesniewski cit.

    DIM. [x] 1) x E Ens hp 2) [y] ~(x y . ~(x E y) 1, p.n.c. 3) x E N U hp 4) x e x . ~(x E x) 3, def. Di NI) s) [3y| (x r y . (x f v) 4, AGE; 6) .1 r NU s-, .>, , e CI': (!' > ((.) . (.)) ) > I'

  • 2l6 CLAUDIO ANTONIO TESTI

    Teor. 2) [3x] x e Ens . ~(x e NU)

    Da ci risulta (dal teor. 2 e da p.n.c.) anche che esiste qualcosa di non contraddittorio:

    Teor. 3) [3a] [y] ~(a e y . ~(a e y)

    Di contro, invece, nessuna cosa un nulla:

    Teor. 4) [x] ~(x e NU)

    Infine, se qualcosa un ente, non pu essere un ente e non esserlo:

    Teor. 5) [x] ( x e Ens => ~(x e Ens . ~(x e Ens)) )55

    Ora, a ben vedere, tutti questi teoremi sono in fondo molto vicini al "postulato di esistenza" di cui parla Lukasiewicz, in cui si afferma l'esistenza di un oggetto che non un non oggetto. Per il polacco, infatti,

    se P un oggetto, allora non pu possedere a e non possederlo nello stesso tempo. Ma da ci non risulta che P sia un oggetto, ovvero che esso semplicemente un ogget-to, non essendo nello stesso tempo un non-oggetto51 [p. 176].

    Per avere questa certezza, per Lukasiewicz occorre introdurre appunto un

    DIM. 1) |3y] a e y 2) a Ens 3) [3a] a e Ens 4) - (a e NU) 5) [3a] a e Ens . -(a

    DIM. |x|: 1) x e NU 2) x e x . ~(x e x) 3 )~(xfNU)

    DIM. (x] 1) x e Ens

    2) |y] - ( x E y . ~ ( x y ) 3) ~(x f Ens . ~(x E En:

    NU)

    s))

    par. 4, enunciato I) 1), def. Di "Ens", 2), AGE 3), teor. 1 3), 4)AGE.

    hp 1, def. Di NU .), 2) CP: P =(Q.~Q)

    hp 1), p.n.c. 2), OMU

    *6 Le frasi si Lukasiewicz "P un oggetto" e "P possiede a" sono traducibili nel simbolismo

    sopra usato con "x Ens" e "x y" e quindi la formulazione di Lukasiewicz del principio di non contraddizione equivale nel nostro formalismo all'ultima versione di p.n.c.

    II. PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONI-! IN TOMMASO D'AQUINO 217

    "postulato di esistenza" che garantisca che nessun oggetto non contraddit-torio un oggetto contraddittorio ("1 ^ 0") e questo significa:

    postulare /'esistenza di oggetti non contraddittori. Il principio di non contraddizione non garantisce di per s l'esistenza di tali oggetti. Come ogni legge della logica simbolica, esso soltanto un enunciato ipotetico [p. 176]57.

    Invece, in una prospettiva tomista, tale "postulato" non affatto estrin-seco alla teoria logica, proprio perch in Tommaso la logica sempre fonda-ta sull'esperienza ("il principio del sillogismo l'induzione" \In Ethic. Lib. VI, lect. in n. 11-48]): che ogni oggetto (ovvero ogni ente) non sia al tempo stesso un non-oggetto (un nulla) [teor. 1], che un tale oggetto non contrad-dittorio esiste [teor. 2 e 3] e che non pu essere ad un tempo un oggetto e non esserlo [teor. 5], divengono cos tesi dimostrabili dai concetti di ente, nulla e da p.n.c, i quali sono conosciuti induttivamente. In questo senso il logico, per quanto non si interessi direttamente dell'esistenza degli enti tut-tavia, nel momento in cui esamina le forme argomentative corrette e i primi principi logici, non pu prescindere dal fatto che qualcosa esiste. Certo, estremamente importante avere una logica che permetta di parlare anche di qualcosa che non c' (qual ad es. 1' "Ontologia" di Lesniewski) ma, nel momento in cui si vuole concretamente dimostrare qualcosa di qualcosa, occorre che questa cosa esista [In Post. An. Lib. I lect. 11; Lib. II lect. ij: e tale esistenza, pur non essendo dimostrabile, una verit che non pu conside-rarsi un postulato, visto che il fondamento induttivo di tutta la teoria dimo-strativa cos com' elaborata negli Analitici Secondi.

    Da quanto detto, ben si capisce che ci troviamo di fronte a una prospet-tiva logica molto lontana da quelle attuali, visto che in Tommaso logica ed

    i7 Infatti, per Lukasiewicz (come per Meinong) esistono degli oggetti contraddittori. Per Lesniew-

    ski, invece, se qualcosa un oggetto (ovvero un ente) non contraddittorio: in questo senso "NU" non indica oggetti contraddittori, ma semplicemente un nome vuoto. Su questo da un lato Tom-maso si avvicina a Lesniewski, in quanto per lui non esistono oggetti contraddittori (e dunque "chi-mera" o altri nomi simili sono nomi vuoti). D'altro canto, per, Tommaso afferma anche che la chi-mera, come il nulla, "sono" (sono appunto detti essere "ens rationis" [De Ver. ci. a. n ad y. De Mulo Q. 1 a. 1 corpus e ad i; In IVMetapb. lect. in n. 565; sulla distinzione tra ens naturar e ens rationis di In IVMetapb. lect. iv n. 5]). E qui si incontra la distinzione tommasiana tra la nozione di "essere" e quella di "ente" ("Ens" sopra definito): il primo un verbo che si pu predicare di qualsiasi cosa di cui si possa parlare (ivi incluse le chimere o il Nulla), mentre il secondo un nome che si dice- con verit di soli individui esistenti. Formalmente, indicando con "E" la nozione di essere, si ha che

    [x] E(x) Ove "x" ndica enti linguistici appartenenti a qualsiasi categoria semantici (n, S, S/n...). I. 1 Ina

    ro che questa nozione andrebbe analizzata in maniera pi adeguala, visto che pone immediata niente dei pmblnni eh autorc-ferenziaht: intani d.\ essa segue- banalmente 1 he- 'T.(I-)".

  • 2l8 CLAUDIO ANTONIO TESTI

    esperienza (ovvero deduzione e induzione) non possono mai essere netta-mente separate, e questo vale anche per i primi principi della conoscenza. Da qui anche le difficolt a percorrere la via della formalizzazione per cer-care di chiarire nel modo pi rigoroso possibile le idee dell'Aquinate, visto e considerato che la logica simbolica nasce con motivazioni ben distanti da quelle aristotelico-tomiste.

    Inutile quindi dire che occorrerebbe uno spazio ben maggiore per esa-minare adeguatamente tali tematiche; spero tuttavia che i pochi cenni dati possano contribuire alla comprensione del p.n.c. all'interno della prospetti-va logica tommasiana la quale, pur nella diversit, ritengo essere tuttora di notevole importanza anche per gli sviluppi delle attuali ricerche logico-for-mali58.

    s8 In questo senso opportuno ricordare come anche dall'interno della logica contemporanea

    inizino a emergere idee che sono abbastanza vicine alla prospettiva logica anstotelico-tomista [eIr. C. Celucci, Le ragioni della logica, Laterza, Bari 1998; id., Filosofa e matematica, Laterza, Bari 2002; si veda anche, per un inquadramento tomista di queste nuove ricerche, (J. Basti, Filosofili ilclla Natura cit.l.

    Indice delle citazioni da Aristotele

    Analitici

    Analtici Primi II 2 0 , 6 6 b 4-15

    II 2 0 , 6 6 b 6-13

    Analitici Secondi

    I 3, 72 b 18-20

    I 11, jy a 10-22

    De anima

    I I I 3 , 4 2 8 a 20-21

    III 4

    De interpretatione

    1, 16 a 16-18

    4 , 17 a 1-3

    (>, U a 32"35 9, 18 a 39- b 1

    9, 18 a 39- b 2

    9, 18 b 1-2

    4 14, 23 a 27-39

    14, i) b 17 14, 23 b 20-21

    14, 23 b 22-23

    14, 23 b 25-27

    14, 24 b 1-3

    Elenchi sofistici 165 a 1-3, 170 b 1-2

    2 1 , 9 2 ,

    9 0 , 9

    2 1 , 2 7 ,

    98,137

    13511 56

    9011

    4 2 1,13711

    29 2 i n

    32> 34 2211

    22tl

    2 0 24

    13411

    25 3 2 , 3 4 , 1 3 4 1 1

    Metafisica 16, 11, 29, 4 2 , 56, 59, B 2 , W t , b | M r i. ;.. -H

    2 7 , 2 8

    V 32

    3'

    22, 28

    5611

    3. ^7 19

    r

    r

    I

    3, 1005 a 22-23

    1005 b 12

    1005 b 19-20

    1005 b 20-22

    1005 b 23-24

    1005 b 23-26

    1005 b 26-32

    1005 b 52-34

    4 , 1 0 0 6 a 3-4

    1006 a 3-11

    1006 a 3-15

    1006 a 5-7, 13-15

    1006 a i o - n

    1006 a 11-12

    1006 a 11-13

    1006 a 15-18

    1006 a 18-25

    1006 a 28-31

    1006 a 28-1007 b li

    1006 a 29-31

    1006 a 31-34

    1006 b 7-9

    1006 b 11-15, 18

    1006 b n-13

    1006 b 11-22

    1006 b 28-34

    10(57 a T7"i8 1 0 0 7 a 20-21

    1007 a 25-26

    1006 a 27-29

    1007 b 16-18

    1007 b 17-18

    1007 b 19-21

    1 0 0 7 b 2 6

    ; b .-N-.w