Tesori Sacri dalla collezione civica, catalogo della mostra di Novi Ligure

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A. Orlando, Vignola Chiara, a cura di, Tesori Sacri dalla collezione civica, catalogo della mostra di Novi Ligure, Novi Ligure 2013

Transcript of Tesori Sacri dalla collezione civica, catalogo della mostra di Novi Ligure

TESORI SACRIdal la co l lez ione c iv ica

Finito di stampare nel mese di settembre 2013 da:

DUEESSE S.R.L. - Novi Ligure

Catalogo edito dal Comune di Novi Ligure

Tutti i diritti sono di proprietà degli autori

SindacoLorenzo Robbiano

Assessore alla Cultura e al TurismoSimone Tedeschi

Vice Segretario GeneraleDirigente Settore TurismoRoberta Nobile

Conservatore del Museo dei Campionissimi e della Collezione civicaChiara Vignola

Progetto grafico Irene Parodi

Ufficio Stampa Michele Carrozzi

Comunicazione WebDaniela Piano

AssicurazioniLe Generali, Agenzia di Novi Ligure

TrasportiR.E.C.O.R.D. trasporti d’arte, Genova

Assistenza tecnica Pietro Olcese Restauri, Genova

Coordinamento dell’accoglienzaInnovando, Soc. Coop. Servizi per il Turismo, Novi Ligure

Progetto d’allestimentoStefano Bricola

Assistente all’allestimentoCarmelo Suff anti

TESORI SACRIdal la co l lez ione c iv ica

A cura di

Anna Orlando

Chiara Vignola

Novi LigureMuseo dei Campionissimi

28 settembre 2013 | 9 febbraio 2014

Contributi in catalogo

Maria Cristina Daff onchio

Giovanni Donato

Maria Clelia Galassi

Beppe Merlano

Anna Orlando

Chiara Vignola

Referenze fotograficheTommaso Mattina, Torino (cat. II. 6)

Francesca Ventre e Aurelia Costa, Genova (cat. II. 5)

Soprintendenza ai Beni Artistici, Storici e

Etnoantropologici del Piemonte (cat. pp. 45-59, fi gg. 10-15)

Studio di Restauro Gian Maria e Alberto Casella(cat. pp. 45-59, fi gg. 4-9)

RestauriStudio di Restauro Gian Maria Casella, Brescia(cat. II. 1, II. 2)

Laboratorio di Restauro delle Scuole Pie, Genova(cat. II. 5)

Laboratorio di restauro della Soprintendenza per i Beni

Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte(cat. II. 6)

I restauri sono stati co-finanziati da:Compagnia di Sanpaolo, Torino

Fondazione Carige, Genova

Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Torino

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del

Turismo

Grazie a:Enrica Carbotta, Gian Maria Casella, Alberto Casella,

Aurelia Costa, Don Stefano Ferrari, Francesco Melone,

Laura Melone, Lelia Rozzo, Emanuela Spera, Silvia

Vicini, Francesca Ventre, Don Franco Zanolli.

Un particolare ringraziamento al prof. Franco Barella e a

tutti coloro che preferiscono mantenere l’anonimato.

La mostra “Tesori Sacri” è un evento di importanza particolare, tanto per il valore intrinseco delle opere esposte, quanto

per il signifi cato storico che ricoprono per la nostra comunità. L’eccezionalità dell’evento è poi sottolineata dal fatto che

molte di esse non erano esposte al pubblico ormai da decenni.

La parte fondamentale dell’esposizione riguarda la collezione della Chiesa della Santissima Trinità. Tornano a Novi,

in particolare, le sue tele più signifi cative, lontane dalla Città dal 1985. Conservate presso laboratori di restauro, sono

state oggetto di interventi conservativi e di studi. Grazie alle ricerche avviate in questi anni, oggi sappiamo che le tele

costituiscono una unica Istituzione dell’Eucarestia di Giò. Raff aele Badaracco. Il telero, così restaurato, ritorna come vero e

proprio “tesoro nascosto” della nostra Città, esposto di fatto per la prima volta.

La mostra è stata poi occasione per ulteriori interventi e ricerche, che mettessero al centro la collezione civica: le principali

opere appartenenti alla Trinità ed al Monastero delle Clarisse (oggi Biblioteca Civica), Il Beato Salvatore da Horta di

Bernardo Strozzi, conservato presso Palazzo Pallavicini.

Verranno esposti per la prima volta dopo il restauro Il Mistero della Santissima Trinità di Giovan Battista Chiappe, pala

dell’altar maggiore dell’omonimo Oratorio, conservato presso l’auditorium del Centro Comunale di Cultura Capurro e la

Crocefi ssione con i Santi Sebastiano e Rocco di Gian Lorenzo Bertolotto, studiato in occasione di questa mostra e restituito

alla città dopo un importante restauro eseguito a cura del Laboratorio della Soprintendenza ai Beni Artistici di Torino.

Tesori Sacri off re un percorso signifi cativo dentro il periodo che plasmò alcuni tratti profondi della nostra Città e saldò

defi nitivamente il legame con Genova: quell’età barocca che vide Novi fi orire come centro commerciale e culturale di

grande rilievo. Le sue tracce sono ancora visibili nella Città e nell’identità novese, nella sua intraprendenza e nel suo essere

crocevia di culture più vaste.

In un momento storico di profonde trasformazioni, come Amministrazione abbiamo ritenuto fondamentale investire sul

patrimonio artistico della Città, come strumento attraverso cui approfondire e recuperare i tratti della nostra identità.

Questa mostra mette un primo punto nel lavoro paziente di questi anni e si inserisce in un lavoro sulla storia locale che

abbiamo cercato di consolidare, penso a Novi 1861, ma penso anche alle mostre librarie sul fondo antico della biblioteca,

il volume sulla Municipalità edito nel 2012. Si tratta però di un “inizio” e non di una “conclusione”. La speranza è che di

qui si possano aprire nuove prospettive, studi e ricerche verso la costruzione di un vero e proprio museo civico.

Infi ne un ringraziamento sincero a quanti hanno contribuito alla realizzazione della mostra. In primis a Chiara Vignola,

cui è affi data la cura della collezione cittadina, per gli sforzi compiuti in questi anni, ad Anna Orlando, esperta di pittura

genovese che ha apportato un grande contributo alle attribuzioni in catalogo, a Maria Clelia Galassi dell’Università degli

Studi di Genova per la precisione e la cura con cui ha realizzato un saggio in catalogo che inquadra perfettamente la storia

del ‘600 e del ‘700 di Novi e dell’Oltregiogo, a Giovanni Donato della Soprintendenza ai Beni Artistici di Torino che ci

affi anca nelle scelte e nell’opera di tutela della collezione, a Beppe Merlano cui dobbiamo la spinta culturale a lavorare sul

recupero dell’Oratorio della Santissina Trinità e a Maria Cristina Daff onchio per le preziose ricerche storiche.

Un ringraziamento va inoltre a tutti i nostri partner e sponsor: Compagnia di San Paolo di Torino, Fondazione Cassa

di Risparmio di Torino, Fondazione Carige, Associazione dell’Oltregiogo e naturalmente ai restauratori che hanno reso

possibile il recupero delle opere, Studio di Restauro Gian Maria e Alberto Casella, Laboratorio di Restauro delle Scuole

Pie e Laboratorio di Restauro della Soprintendenza ai beni Artistici di Torino.

Sindaco della Città di Novi LigureLorenzo Robbiano

Assessore alla Cultura e al TurismoSimone Tedeschi

La Fondazione CRT per l’arte, l’istruzione e il welfare nel Novese

La Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, da sempre attenta al recupero del patrimonio artistico del Piemonte e della

Valle d’Aosta, ha contribuito al restauro delle grandi tele seicentesche dell’Oratorio della Santissima Trinità di Novi Ligure,

recentemente tornate all’originale splendore dopo un paziente intervento di recupero condotto con la supervisione della

Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, e che oggi fi gurano al centro della mostra

“Tesori sacri dalla collezione civica”, che si tiene presso il Museo dei Campionissimi di Novi dal 28 settembre 2013 al 9

febbraio 2014.

Questo contributo della Fondazione fa parte della linea progettuale Restauri – Cantieri diff usi, dedicata al restauro e al

recupero delle ricchezze storiche, artistiche, architettoniche presenti sul territorio. Nell’ambito di questa linea di intervento,

nell’edizione 2010 è stata anche ripristinata la più antica fontana di Novi Ligure, la Fontana del Sale.

Negli ultimi cinque anni l’ente torinese ha reso possibili numerose iniziative promosse dal Comune di Novi, tra le quali

segnaliamo il sostegno al Festival di Marenco, fi nanziato dal 2008 al 2012 attraverso il bando Not&Sipari, che ogni anno

appoggia iniziative ed eventi musicali, teatrali e coreutici di Piemonte e Valle d’Aosta, e il contributo alla manifestazione

Librinmostra.

Il supporto della Fondazione CRT non ha riguardato tuttavia solo i settori dell’arte e della cultura nel comune

dell’Alessandrino: l’istituzione è intervenuta infatti a sostegno del mondo dell’istruzione, con contributi fi nalizzati ad

iniziative di formazione promosse dagli istituti scolastici locali, e del welfare, attraverso l’acquisto di beni e attrezzature

destinati alle associazioni che quotidianamente operano per il miglioramento dei servizi al territorio. Complessivamente,

negli ultimi cinque anni, la Fondazione ha erogato a favore del Novese una cifra pari a 455.000 euro.

La Fondazione Cassa di Risparmio di Torino prende vita nel 1991 dalla Cassa di Risparmio di Torino, da cui ha ereditato lo spirito fi lantropico. E’ un ente nonprofi t interamente dedicato alla crescita e allo sviluppo economico, sociale e culturale del Piemonte e della Valle d’Aosta cui ha erogato, in oltre 20 anni di attività, 1 miliardo e 500 milioni di euro.

SAGGI

Anna Orlando

Una mostra: ritrovamenti e risarcimenti “genovesi” a Novi Ligure 14

Maria Clelia Galassi

Novi Ligure: avamposto genovese di commercio e cultura 24

Chiara Vignola

L’Oratorio della Santissima Trinità: storia dell’apparato decorativo nelle carte d’archivio 34

Giovanni Donato

La Trinità di Novi: trent’anni di tutela e un impegno per il futuro 44

CATALOGO DELLE OPERE

Schede, a cura di Beppe Merlano, Maria Cristina Daff onchio, Anna Orlando e

Chiara Vignola 60

BIBLIOGRAFIA GENERALE 96

SOMMARIO

SAGGI

Una mostra: ritrovamenti e risarcimenti “genovesi” a Novi Ligure

Anna Orlando

Poche sono le sopravvivenze del tessuto artistico di Novi Ligure, che oggi appare quanto mai sfi lacciato, da un lato per le

storiche dispersioni dei beni ecclesiastici, dall’altro, per le naturali migrazioni da privato e privato e dal collezionismo al

mercato dei quadri, che per loro intrinseca natura sono beni mobili. Sono queste, a uno sguardo d’insieme, la caratteristiche

del patrimonio artistico dell’Oltregiogo, appendice storicamente assai signifi cativa della Repubblica Ligure, come bene

ricostruisce con buona sintesi il saggio in catalogo della Galassi.

Il profi lo sfuggente del patrimonio storico artistico è il risultato di studi non sistematici, che si sono limitati, non senza

fatica e con risultati non esaustivi, a segnalazioni sporadiche, elenchi di opere, considerazioni circoscritte a specifi che

situazioni locali1. Manca a tutt’oggi una ricognizione critica delle opere di pittura genovese presenti a Novi in antico

e un aggiornato sguardo d’insieme che ricostruisca le presenze, di persona o con opere, dei protagonisti del Seicento e

Settecento pittorico ligure.

Per fare ciò, anche questa sede è prematura, perché oltre a un più sistematico lavoro sul territorio, la ricerca tutta da fare è

anche nei meandri del collezionismo privato, che esige una ricerca di qualche anno, auspicalmente a cura di chi si muove

agevolmente in un contesto geografi co e storico, come quello di Novi, dove le vicende delle famiglie locali si intrecciano

con quelle genovesi da almeno quattro secoli.

Questa mostra però vuole off rire qualche spunto e soprattutto qualche nuovo tassello fi gurativo e documentario, utile a chi

voglia più sistematicamente occuparsi di questo capitolo di storia dell’arte ancora da scrivere.

Lo fa innanzi tutto rendendo noti i risultati di una campagna di restauro condotta da diversi anni a cura della Civica

Amministrazione e sotto il controllo e la guida dei funzionari della Soprintendenza del Piemonte, da cui Novi dipende2.

Secondariamente, con l’importante indagine svolta da Chiara Vignola nelle carte d’archivio inedite della Confraternita

della Santissima Trinità conservato presso la chiesa di San Nicolò, ma mai studiato.

Infi ne, con lo studio approfondito, mediante una schedatura, di una selezione di dieci opere di proprietà del Comune,

provenienti dalla chiesa del convento di San Francesco dei frati Minori Osservanti, dalla chiesa e dall’Oratorio della

Confraternita Santissima Trinità e dalla chiesa del monastero di Santa Chiara.

Dei tre edifi ci, di cui si pubblicano anche delle schede sintetiche a cura di Beppe Merlano, uno in particolare ha catalizzato

l’interesse degli studi condotti in questa occasione. Si tratta dell’Oratorio della Santissima Trinità, di cui, oltre alle novità

relative all’archivio a cui si è accennato pocanzi, si pubblicano frammenti di una decorazione ancora da studiare.

Oltre a quanto verrà considerato in relazione alle opere esposte (cfr. oltre), si segnala la presenza di due pitture murali

1. Cfr. da ultimo Cervini 2004, pp. 45-70, che contiene lo status quo degli studi e tutti i riferimenti bibliografi ci.

2. Cfr. anche il saggio di Donato in catalogo e la relativa appendice.

G. R. Badaracco, Santa Chiara che scaccia i

saraceni, Chiesa di Santa Chiara, dettaglio

15

probabilmente tardo cinquecentesche. Uno ancora in loco in una parete

corrispondente alla seconda rampa della scala a chiocciola che porta all’organo,

sopra la porta principale della chiesa (fi g. 1)3. Un altro, che si trovava sulla parete

sinistra della chiesa in corrispondenza delle prime due arcate, staccato in occasione

degli interventi di restauro dell’edifi cio avvenuto nel 2003 o 2004 e attualmente

conservato presso l’uffi cio dell’assessorato ai lavori pubblici in Palazzo Dellepiane,

sede del Comune di Novi (fi g. 2)4. Essi paiono stilisticamente coevi e potrebbero

appartenere allo stesso momento decorativo, che probabilmente coincide con

le trasformazioni della chiesa tra XVI e XVII secolo in parte indagate da Beppe

Merlano5, ma che in merito all’assetto decorativo attendono ancora sostanziali

chiarimenti.

In via del tutto preliminare si sottopone all’attenzione degli studi qualche

osservazione in merito alla porzione di aff resco staccato dalla parete esterna

della chiesa sul lato adiacente il convento dei francescani. Il soggetto, la presenza

della scritta e di uno stemma possono fornire qualche indizio sul quale lavorare.

Innanzi tutto va riconosciuto come una Elemosina di san Martino, e quindi

rifl ette una scelta iconografi ca da parte della committenza legata al tema della

carità, aspetto su cui s’impernia l’attività della confraternita6. Due date di

riferimento importante per la storia della confraternita e che potrebbero essere

un’indicazione di massima per questa decorazione, sono il 1578, anno in cui la

Confraternita si aggrega all’Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e

Convalescenti di Roma, e il 1580, quando assume la defi nitiva denominazione

di Compagnia di S. Maria e S. Trinità7.

La scritta sotto la parte fi gurata presenta tre lettere maiuscole “VES” parte di una

scritta monca, che potrebbe alludere a una delle opere di misericordia, vestire gli

ignudi, a cui allude esplicitamente l’iconografi a di san Martino.

Lo stemma raffi gurante un piede è affi ancato a sinistra delle iniziali di un nome,

probabilmente Giuseppe Maria, e a destra l’abbreviazione di un cognome

“CALEG”, che potrebbe far pensare a un cognome genovese diff uso quale Carrega

o Carega (Calega), ma che più probabilmente, per la presenza di quell’immagine

di piede o calzatura, va sciolto in Calegari8. La porzione di scritta e lo stemma

3. Devo la segnalazione a Chiara Vignola che ringrazio.

4. Cm 206 x 108. Devo la segnalazione a Chiara Vignola che ringrazio e al cui saggio in catalogo si rimanda.

5. Merlano 1985, p. 21; Merlano 1982.

6. Cfr. il saggio di C. Vignola in catalogo con i relativi rimandi bibliografi ci.

7. Idem.

8. Da una veloce indagine archivistica nello Stato delle Anime della chiesa di S. Nicolò, parrocchia di

pertinenza dell’Oratorio, Chiara Vignola e Cristina Daff onchio mi segnalano la presenza di un Maria

1. Figura inginocchiata, aff resco,

chiesa dell’Oratorio della Santissima Trinità,

fi ne secolo XVI (?)

2. Elemosina di san Martino, aff resco staccato,

proveniente chiesa dell’Oratorio della Santissima

Trinità, ora in Palazzo Dellepiane, fi ne secolo

XVI (?), sotto dettaglio

16

conducono la ricerca alla radice del cognome Calegari (o Callegari), calig, che

ha origine dal vocabolo tardo latino caligarius (calzolaio), cioè chi produceva o

commerciava in scarpe (in latino caliga)9.

Indizi e tracce frammentarie, come si vede, ma dalle quali si potrà prendere avvio

per ulteriori auspicabili studi.

Dalla chiesa del convento di San Francesco dei Frati Minori proviene lo

splendido dipinto raffi gurante il Beato Salvatore da Horta che benedice gli infermi

di Bernardo Strozzi (Genova 1582/83 – Venezia 1644) (cat. I. 1), sebbene non si

abbiano documenti circa la committenza né la storia di provenienza del quadro,

che passò al Comune unitamente all’intero edifi cio venduto dai francescani nel

1862. La chiesa rimase offi ciata fi no al 1895 ed è quindi probabile che fi no a

quella data l’opera rimase in loco10.

Il dipinto è ben noto e già studiato di recente, perché esposto nel 1995 a Genova

in occasione dell’importante rassegna monografi ca sul pittore11. Il più antico tra

i dipinti esposti, poiché databile al 1625 circa, è anche quello di maggior rilievo

dal punto di vista qualitativo, per la statura del suo autore.

Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino o il Prete Genovese, entra in convento

a Genova all’età di 17 anni circa e vi rimane per nove anni, fi no al 1608-1609

circa. Qui inizia a dipingere, ma l’attività più feconda si svolge nei due decenni

successivi, tra il 1610 e il 1630 circa, quando lavora tra gli altri, per i Doria

e i Centurione, anche come frescante. Con gli anni Venti, a cui appartiene la

pala di Novi, si assiste alla sua maturazione artistica, con l’abbandono della

grazia toscana per un maggiore accostamento al naturalismo di matrice sia

caravaggesca, sia rubensiana. Del fi ammingo Pietro Paolo Rubens, a Genova nel

1605, è tra i primi a comprendere il valore espressivo del colore, anche nella sua

valenza materica. Le due componenti si vedono bene anche nel quadro esposto:

la teatralità espressiva delle fi gure sulla sinistra (fi g. 3), accese in una luce forte

che inonda lo spazio della scena con eff etti di teatralità di tipo caravaggesco, e

la squisita corposità del colore, soprattutto nei rialzi del bianco, che si alterna

a una stesura più delicata soprattutto nelle tonalità neutre. È incerta la data di un suo più che probabile viaggio a Roma, forse nel 1625, che sarebbe proprio il

momento a cui si dovrebbe indicativamente riferire il dipinto di Novi, versimilmente da collegarsi alla peste che investì la città in quell’anno, che spiegherebbe la

Carega che abitava in contrada del Bregna nel 1592, una Giacomina Carega (Jacomina), “massara” nella cascina di un Girardengo, nello stesso anno. Inoltre l’esistenza di un Francesco Cavana Callegaro

che abitava nella casa di frati francescani vicino alla Trinità nel 1592.

9. Per la ricerca dell’etimologia dei cognomi novesi devo ringraziare l’Ing. Francesco Melone, direttore della Rivista storica “Novinostra”.

10. Cfr. la scheda sull’edifi cio in catalogo.

11. M. C. Galassi in Gavazza, Nepi Scirè, Rotondi Terminiello 1995, n. 35, p. 168 e da ultimo R. Vitiello in Astrua, Bava, Spantigati 2004, n. 4, pp. 84-85.

3. B. Strozzi, Beato salvatore da Horta che benedice gli infermi, Palazzo Pallavicini (Comune di Novi),

piano nobile, dettaglio

17

scelta del soggetto, incentrato sul santo taumatrgico Salvatore da Horta. In quello stesso anno, forse a causa della morte

di Gio. Carlo Doria suo protettore, lo Strozzi subisce un processo per esercizio illecito dell’attività di pittore, in quanto

frate cappuccino. Anche per questo deciderà nel 1630 di passare dall’ordine dei Cappuccini a quello dei Canonici Regolari

Lateranensi. Iniziano duri scontri con le autorità religiose a seguito dei quali lo Strozzi si rifugia Venezia, verso il 1632

(nel 1631 è ancora a Genova). Ma il quadro di Novi, per ragioni di stile, va posto certamente entro la partenza per la

Laguna. Resta da capire il momento del suo arrivo nella cittadina di Novi: certamente entro il 1768, anno in cui la ricorda

lì il Ratti, ma più probabilmente, come ipotizzato dalla Galassi, già all’origine, come committenza diretta dell’Ordine dei

Franti Minori che gli richiedono per il convento di Levanto (La Spezia), pagatogli nel 1625, un Miracolo di san Diego del

tutto simile per impostazione e stile alla pala di Novi12.

Sono tre le opere di Gio. Raff aele Badaracco (Genova 1645-1717) esposte in mostra: la grande tela della Comunione degli

Apostoli (cat. II. 1) dalla chiesa dell’Oratorio della Confraternita della Santissima Trinità, Dio Padre con angeli porta croce

(cat. II. 2) proveniente dall’Oratorio della stessa Confraternita e originariamente concepito unitamente alla precedente13;

infi ne, la Santa Chiara che scaccia i saraceni (cat. III. 1) della chiesa del monastero delle francescane Clarisse, intitolato

appunto a Santa Chiara, riconosciuto al pittore da chi scrive in occasione di questa mostra14.

La prima, dalle imponenti misure di quasi cinque metri di base (200x495 cm), costituisce uno dei più signifi cativi

risarcimenti che questa mostra presenta, giacché quando lasciò la cittadina di Novi nel 1985 per essere restaurata aveva

un aspetto del tutto diverso. Si trattava cioè di due tele che poi si è compreso essere parti di una tela unica, fi nalmente

ricomposta. Essa va peraltro collegata anche con il Dio Padre che doveva essere posto sopra, come nota giustamente Chiara

Vignola sulla base dell’inequivocabile confronto con la tela della controfacciata dell’Oratorio di Nostra Signora Incoronata

sopra Genova Cornigliano (località Coronata)15. Edifi cato nel XVIII dalla Confraternita genovese del Gonfalone, l’oratorio

genovese vede attivo il Badaracco per un ciclo di tredici tele nel 1696, utile data di riferimento per l’esecuzione del ciclo

di Novi16. Il nesso iconografi co, come sottolinea opportunamente Chiara Vignola in catalogo, impone altresì di intendere

la sua ideazione insieme alla pala con Dio Padre con angeli porta croce, intese, insieme, come una Istituzione dell’Eucarestia.

Le dimensioni delle due grandi tele ora in mostra, la loro inadeguatezza per gli spazi della chiesa e dell’Oratorio della

Santissima Trinità come li vediamo oggi, frutto di lavori di abbellimento e risistemazione databili al 1739-40, lasciano

ancora dubbi circa la originaria collocazione della grande tela del Badaracco, il cui unico riferimento documentario è

relativo alla sua presenza nell’oratorio nel 1871, al momento di un intervento di restauro17.

Le carte d’archivio registrano il rapporto della Confraternita con il padre di Gio. Raff aele, come sappiamo dall’importante

notizia rintracciata da Chiara Vignola in merito al pagamento per un gonfalone nel 1637 a Giuseppe Badaracco.

Sappiamo che Badaracco senior era attivo in zona: nel 1654 lo stesso Giuseppe fi rma e data un Achille riconosciuto in

12. M.C. Galassi in Gavazza, Rotondi Terminiello 1992, n. 157, pp. 260-261.

13. Cfr. oltre.

14. Cfr. le schede relative ai due edifi ci in catalogo.

15. Cfr. la ricostruzione di Chiara Vignola nella relativa scheda di catalogo.

16. Martini 1999, pp. 207-220. 17. Cfr. la scheda di Chiara Vignola in catalogo e il suo saggio relativo ai ritrovamenti d’archivio.

18

Sciro che Luigi Lanzi vide “in Novi

presso i Signori Ferrari” durante il suo

viaggio del 179318 e che è giustamente

stato identifi cato con la tela oggi in

collezione Zerbone a Genova (fi g. 4)19.

Non vi sono invece per Gio. Raff aele

notizie di un rapporto diretto con la

confraternita, e se il rapporto con

l’opera genovese dell’Oratorio di

Coronata suggerisce che nel caso

nostro di trattasse di una committenza

analoga (un oratorio, la confraternita

del Gonfalone), dobbiamo immaginare

un altro edifi cio e non quello della SS.

Trinità come destinazione originaria,

o, alternativamente e forse più

probabilmente visti i rapporti con il

padre, una diversa sistemazione interna

degli spazi rispetto a ciò che vediamo

oggi, frutto verosimilmente degli

adattamenti eseguiti intorno al 1739-

1740, e protrattisi per alcuni anni,

visto che la pala dell’altare del Chiappe

è del 175320. Anche per ragioni di stile,

e sempre in virtù del confronto con il

ciclo di Coronata del 1696, la grande

Istituzione dell’Eucarestia va datata

subito prima o subito dopo, e quindi

comunque indicativamente all’ultimo

decennio del XVII secolo.

La presenza del pittore in zona, in

questo momento, è attestata da diverse

opere: la Continenza di Scipione nell’Oratorio dei Rossi di Gavi, il San Francesco in adorazione del Santissimo Sacramento

18. L. Lanzi, Viaggio del 1793..., in Sciolla 1984, p. 7

19. Manzitti 1993, p. 15.

20. Cfr. oltre e scheda relativa in catalogo.

5. “D. Badaracco”, Allegoria della Fede, Collegiata di Santa Maria Maggiore, sacrestia, 1699

4. G. Badaracco, Giuseppe riconosciuto a Sciro, Genova, collezione Zerbone

19

nella chiesa dell’Immacolata Concezione di Sassello e la Flagellazione di Borgo

Fornari21, che la Martini indica come derivazione della tela di analogo soggetto a

Coronata, e quindi “riconducibile agli anni di poco successivi” 22.

Resta invece misteriosa la questione della lunetta con L’allegoria della Fede

attualmente nella sacrestia della collegiata di Santa Maria Maggiore a Novi (fi g.

5), che presenta una fi rma in basso a destra con la data 1699 e il nome “D.CUS:

BADARACVS PING:/1699”. L’opera, restaurata nel 2006, è stata presentata in

occasione di un recente incontro pubblico da Giovanni Donato, funzionario di

zona per la Soprintendenza del Piemonte, che ipotizzava trattarsi di Domenico

Badaracco23. Del pittore però andrebbe verifi cata l’esistenza, l’identità e il

rapporto con gli altri Badaracco noti. Dalle biografi e del Soprani, le cui notizie

sono riprese dal Ratti, che Giuseppe Badaracco aveva quattro fi gli, dei quali due

pittori. Il maggiore, Gio. Raff aele, ci è noto; dell’altro, che sappiamo solo essere

più giovane di Gio. Raff aele, non è indicato nemmeno il nome di battesimo,

ma solo l’informazione che “si trattiene in Roma a studiare” al momento della

stesura della biografi a di Soprani (1672 circa)24.

Per tornare invece a Gio. Raff aele, alle opere già note, se ne viene ad aggiungere

un’altra che era considerata fi nora di autore ignoto e che va riconosciuta senza

esitazione allo stesso Badaracco (cat. III. 1). Il soggetto, Santa Chiara che scaccia

i saraceni, porta a pensare che la sua presenza nella chiesa del monastero intitolato

alla santa, oggi auditorium, in cui è conservata, fosse la sua destinazione originaria.

La chiesa, costruita dal 1633, bombardata durante la guerra e poi ricostruita25,

dovette prevedere un momento dedicato alla sua decorazione interna, al quale

possiamo pensare che appartenesse il dipinto del Badaracco. Visto il soggetto del

dipinto è diffi cile pensare di escludere che si tratti di una committenza diretta. Per

ragioni di stile, dobbiamo intenderla più tarda rispetto al ciclo con l’Istituzione

dell’Eucarestia, e immaginare dunque un’attività per Novi del pittore ancora nel

primo decennio del Settecento.

Questa mostra è stata occasione profi cua per un altro risarcimento: quello

relativo al dipinto della Crocifi ssione con i santi Sebastiano e Rocco e la città di

Novi sullo sfondo (cat. II. 3), sia perché ha consentito di aff rontare su basi nuove

21. Quest’ultima restituitagli da C. Manzitti in Meriana, Manzitti 1973, p. 123.

22. Martini 1999, p. fi g. 139 p. 220.

23. Cfr. anche A.R. Nicola in Donato 2012, n. 20, pp. 70-71.

24. Soprani 1674, p. 206; Ratti 1768, I, p. 213.

25. Cfr. la scheda sull’edifi cio in catalogo.

6. G.B. Merano e aiuti (?), I santi Nicola da Tolentino, Caterina d’Alessandria, Michele Archangelo e Monica (?) che intercedono a favore delle anime purganti, Tortona, Seminario Vescovile, proveniente

dall’Oratorio della Misericordia

20

la pratica di restituzione alla proprietà da parte della Soprintendenza di Torino26, sia perché, sottoposta all’attenzione di chi

scrive, la si è potuta riferire senza esitazione alla mano del pittore genovese Gian Lorenzo Bertolotto (Genova 1646-1720)

27. Inoltre, la presenza della città di Novi, secondo un punto di vista ricostruito da Beppe Merlano28, è un documento di

estremo interesse per attestare il rapporto del pittore genovese con la committenza novese. Sottratta dunque all’anonimato,

la bella tela tardo seicentesca proviene dall’Oratorio della Trinità, e costituisce un altro scampolo del rarefatto tessuto

pittorico ligure nell’Oltregiogo.

A proposito di risarcimenti, varrebbe la pena di approfondire l’attribuzione della tela con I santi Nicola da Tolentino,

Caterina d’Alessandria, Michele Archangelo e Monica (?) che intercedono a favore delle anime purganti, conservata presso il

26. Cfr. il saggio di G. Donato in catalogo.

27. Sul Bertolotto cfr. da ultimo Orlando 2010, pp. 38-43 e 199, con bibliografi a precedente di riferimento.

28. Cfr. la scheda di chi scrive in catalogo per ciò che concerne l’attribuzione e la nota di Beppe Merlano in calce alla stessa scheda per la descrizione

della veduta della città di Novi sul fondo.

7. Ignoto pittore ligure-piemontese “P.C.”, Sacrifi cio di Isacco, pittura murale, sala capitolare dell’Oratorio della Santissima Trinità, metà del XVIII secolo

21

8. Ignoto pittore ligure-piemontese, Abramo e i tre angeli, pittura murale, sala capitolare dell’Oratorio della Santissima Trinità, metà del XVIII secolo

Seminario Arcivescovile di Tortona ma proveniente proprio dall’Oratorio della Misericordia di Novi, che Fulvio Cervini

rende nota come anonima (fi g. 6)29. Cervini non avanza ipotesi attributive, ma solo di datazione al 1650-60 circa, laddove

credo che vada spostata più avanti. L’opera è stata in seguito pubblicata da Valeria Moratti, sempre come scuola genovese,

nel 200530 e da Mary Newcome, sempre nel 2005, con il riferimento a Giovanni Battista Merano, autore che però la stessa

studiosa ha poi escluso in occasione della monografi a del 201031. Se il ripensamento della Newcome è comprensibile per

alcune cadute di qualità nel dipinto, va detto che Merano resta a oggi il riferimento più plausibile e si può forse ipotizzare

l’intervento di aiuti al suo fi anco.

Negli anni in cui a Novi lavorava il Badaracco, nasceva a Genova Francesco Campora (Genova, 1693-1753), la cui

attività in zona è documentata, questa volta da carte d’archivio per l’Oratorio della SS. Trinità. Le ricerche di Chiara

29. Cervini 2004, p. 59 e nota 48 p. 69, fi g. p. 59.

30. V. Moratti in Tesori d’arte..., 2005, p. 33.

31. Newcome 2005, fi g. 43; Newcome Schleier, Cirillo 2010, p. 166, n. R17.

22

Vignola hanno potuto rintracciare agli anni 1739 e il 1740, nell’ambito del rinnovamento iconografi co della chiesa, un

pagamento eff ettuato dalla confraternita di 800 lire al pittore a Francesco Campora per le due pale degli altari nuovi. Come

nota la Vignola le misure delle due pale con la Mater Divinae Providentiae (cat. II. 4) e con San Carlo Borromeo (cat. II.

5) corrispondono esattamente alle nicchie in stucco a destra e a sinistra della pala d’altare con il Mistero della Santissima

Trinità (cat. II. 6) di Giovanni Battista Chiappe realizzato nel 1753 (cfr. oltre).

L’attività del Campora in zona è attestata da altre opere: la Natività presente nella collegiata dei SS. Martino e Stefano

di Serravalle Scrivia e la pala con San Giuseppe con Bimbo e san Giovanni Nepomuceno nella parrocchiale di Senarega32.

La datazione delle due tele di Novi Ligure, accertabile oggi su base documentaria, è importante ai fi ni anche di una più

precisa ricostruzione dell’iter pittorico dell’artista. Per quegli anni non si poteva a oggi contare su alcun preciso riferimento

e si faceva genericamente risalire “allo scorcio degli anni ‘30 il soggiorno romano”, al rientro da Napoli33. La successiva

data utile era a oggi il 1742 della Madonna del Rosario dell’Oratorio della confraternita di San Giacomo e Filippo di

Borzonasca nell’entroterra di Chiavari, accostata da Daniele Sanguineti alla pala di Senarega per prossimità stilistiche. I

nuovi documenti novesi suggeriscono dunque di circoscrivere più precisamente l’attività nell’Oltregiogo del Campora agli

anni 1739-174034.

Ciò premesso, la sola presenza del Campora in zona e all’opera nell’oratorio non giustifi ca il riferimento al pittore dei

dipinti murali nella sala capitolare dell’oratorio stesso. Ancora visibili, seppur in parte danneggiati per forti infi ltrazioni35,

sono due scene dall’Antico Testamento, il Sacrifi cio di Isacco e Abramo e i tre angeli, di cui il primo siglato “P.C.F.” (fi gg. 7 e

8). Questa stessa sigla, dove la “F.” va verosimilmente sciolta in “fecit”, dovrebbe più ragionevolmente riferirsi a un pittore

con le iniziali “P.C.” al momento ignoto.

Il breve itinerario pittorico che questa mostra propone si conclude con la fi gura di Giovanni Battista Chiappe, questa

volta natio di Novi stessa (1723-1765). Vuoi per la cultura genovese respirata nella sua cittadina di nascita, vuoi perché a

Roma studiò sotto la guida del genovese Giuseppe Paravagna, vuoi, infi ne, perché dopo una permanenza a Milano svolge

anche a Genova parte della sua attività di pittore36, il Chiappe è fi gura sintomatica dei rapporti di dare e avere tra Genova

e l’Oltregiogo anche in fatto d’arte che questa mostra vuole contribuire a documentare. I suoi dipinti murali eseguiti tra

il 1760 e il 1765 circa nel convento di Nostra Signora delle Grazie in Valle a Gavi si mostrano peraltro debitori dello stile

di Giovanni Battista Carlone, pittore seicentesco di cui il Campora restaurò gli aff reschi nella cupola della basilica di San

Siro a Genova.

Chiara Vignola pubblica qui dettagli documentari della tela con Il Mistero della Santissima Trinità che già si sapeva

commissionata al Chiappe nel 1753: un altro tassello preciso per il mosaico pittorico “genovese” a Novi che attende ora

che si prosegua a indagare per un doveroso sempre più completo risarcimento storico artistico.

32. Quest’ultima restituitagli da C. Manzitti in Meriana, Manzitti 1973, p. 145, dove san Giovanni Nepomuceno è confuso con san Luigi; cfr. anche

Sanguineti 1997, p. 302, nota 84.

33. Cfr. Sanguineti 1997, p. 301.

34. Per la cronologia del pittore cfr. anche il recente contributo di D. Sanguineti in Zanelli 2012, pp. 30-33.

35. Cfr. Merlano 1982 e la scheda dell’edifi cio in catalogo.

36. Cfr. P. Ciliberto in Gavazza, Magnani 2000, p. 424.

23

Novi Ligure: avamposto genovese di commercio e cultura

Maria Clelia Galassi

Università degli Studi di Genova

Al portamento fedelissimi de’ Novesi, corrispose altrettanto la grandezza dei

personaggi che compone la sovranità genovese, con tali e tanti benefi ci, così

del pubblico, che del privato, la memoria de’ quali presso di noi sarà eterna in

virtù di loro opere insigni a comune benefi cenza della nostra città

(T.Cavanna, Saggio storico della città di Novi, XVIII sec.)

Novi genovese (1529-1815)

Novi è uffi cialmente annessa ai territori della Repubblica genovese nel 1529 con dignità di Podestaria intermedia1. Si

realizzava così il piano di espansione territoriale verso la pianura padana voluto da Andrea Doria, che aveva individuato

nel borgo d’oltregiogo un avamposto strategico - tra ducato di Milano, ducato di Savoia e marchesato del Monferrato

- , destinato a diventare dinamico crocevia di commerci, grazie ai buoni collegamenti viari con Tortona e Alessandria, e

fl orido centro agricolo, per la coltivazione del grano e della vite2. I Genovesi ne faranno la loro capitale d’Oltregiogo, luogo

di lavoro, di rappresentanza e di villeggiatura, trasformandolo in un centro urbano monumentale e moderno, lussuoso e

comodo.

L’interesse per l’agricoltura e per la rendita fondiaria non farà sottovalutare, a queste famiglie di mercanti e banchieri, i

vantaggi che un centro logisticamente così strategico poteva off rire per consolidare la leadership genovese proprio nei

campi a loro più congeniali. L’istituzione delle fi ere di Santa Caterina, nel 1607, di San Giorgio e di San Bartolomeo

trasforma Novi in un dinamico e frequentato emporio di vino, bestiame, derrate alimentari e prodotti tessili, in particolare

seta. L’attenzione del Governo della Repubblica nel favorire questi eventi commerciali è dimostrata dalle norme che

assicurano ai mercanti, durante le giornate di contrattazione, esenzioni dal pagamento dei pedaggi e speciali salvacondotti

e immunità nei confronti della giustizia civile e dei creditori: “Nemo possit molestari in rebus, mercibus, nec in persona pro

debitis, obbligationibus civilis, privatis”3.

È però del 1622 l’evento che cambia la storia di Novi: la decisione del Governo di farne la sede di quelle Fiere di Cambio

il cui controllo consentiva ai fi nanzieri della Superba di imporre il proprio predominio sui mercati di tutta Europa -

1. Nel 1606 sarà promossa Uffi cio maggiore affi dato a un Capitano e infi ne portata al rango di sede di Governo per il comprensorio dell’Oltregiogo, con

il decreto del 6 maggio 1716 emesso dal doge Lorenzo Centurione: Morana 1993. Le sedi di Governo periferico istituite dal decreto erano dieci. Oltre a

Novi fi guravano San Remo, Finale, Savona, Sestri Ponente, Polcevera, Bisagno, Chiavari, la Spezia e Sarzana.

2. Allegri 1987, pp. 61-86.

3. Archivio Storico di Novi Ligure, Copie di patenti, f. 27 r; Leardi 1962, p. 69; Allegri 1987, p. 78; Melone 2012.

Piazza Dellepiane, Palazzo Negrone, dettaglio

25

tanto da far “invidia a tutto il Cristianesimo, ridotto il mondo pecuniario a prender il moto dalla Nazione genovese”4 – e

che in precedenza si erano tenute a Besançon e più recentemente a Piacenza5. Per comprendere la fi oritura di Novi nel

Seicento dobbiamo quindi cercare di immaginare l’impatto che queste fi ere ebbero sul suo sviluppo, non solo per la

favorevole ricaduta economica sulla popolazione locale, ma anche, più in generale, per l’eff etto di sprovincializzazione

che esse comportarono, in una sinergia sempre più stretta con Genova, di cui Novi divenne l’immagine agli occhi dei

protagonisti dell’alta fi nanza internazionale. Quattro volte l’anno, per otto giorni, per settant’anni, i Genovesi accolsero

a Novi banchieri veneziani, lombardi, toscani, romani, napoletani, ma anche stranieri, venuti per scambiare valuta e

lettere di cambio, contratti di trasporti e di assicurazioni emessi sulle piazze di tutta Europa6. E’ stato calcolato che circa

quattrocento businessmen affl uissero ogni anno nel centro dell’Oltregiogo, “membri di una specie di club in cui si entrava

versando altissime cauzioni e con il voto favorevole di personaggi altolocati”7, recando con sé un nutrito seguito di segretari

e collaboratori, uomini di scorta e domestici. E’ facile immaginare come questi appuntamenti abbiano infl uito sullo

sviluppo urbanistico e “ricettivo” della città che dovette prontamente attrezzarsi per garantire un’adeguata accoglienza a

tanti ospiti. Vetrina dell’opulenza genovese, Novi acquisisce nel corso del Seicento l’aspetto di un quartiere della Superba,

una sorta di sua succursale in Oltregiogo, rispecchiandone, seppure in tono “minore”, i caratteri architettonici negli edifi ci

di nuova costruzione, e le scelte di decoro urbano, in particolare nell’uso delle facciate dipinte8. Sono Genovesi, infatti,

i proprietari dei palazzi che vengono a nobilitare le vie di recente lastricate9; la storia ci ha consegnato i nomi delle casate

interessate ad avere una propria base locale in centro – Adorno, Lomellini, Spinola, Pallavicini, Negrone, Durazzo, tra i

primi - dove possiamo immaginare avvenivano le contrattazioni e trovavano ospitalità gli uomini d’aff ari più ragguardevoli

di questa élite della fi nanza europea.

La fi ne delle fi ere, nel 1692, non sembra aver provocato grossi contraccolpi sullo sviluppo di Novi che nel frattempo aveva

iniziato ad aff ermarsi come luogo per la villeggiatura. I palazzi, nati per motivi di rappresentanza e di business, conoscono

nel corso del Settecento interventi di restyling e rifacimento, che li trasformerà in splendide residenze arredate secondo i

più recenti dettami della moda rococò – questo, a leggere gli inventari che ci sono pervenuti10 - atte a ospitare le famiglie e i

loro ospiti durante la stagione della caccia e della vendemmia. Economicamente, Novi conosce un periodo particolarmente

fl orido, grazie all’aff ermazione delle manifatture per la fi latura della seta, e poi della canapa, del lino e del fustagno11. Nel

1716 era intanto stato istituito il Governo dell’Oltregiogo e Novi ne era divenuta la capitale. Il Governatore, eletto ogni

anno dal Senato della Repubblica tra i membri del Minor Consiglio, era una sorta di doge locale. Aveva giurisdizione

4. Per la citazione: Costantini 1978, p. 151.

5. Lo spostamento delle Fiere a Novi venne inizialmente presentato come fatto momentaneo e transitorio. Di fatto le manifestazioni si svolsero

nell’Oltregiogo fi no al 1692, tranne due brevi interruzioni nel 1642 (fi era a Rapallo) e nel 1672 (fi era di Sestri Levante). Cfr. Allegri 1980; Monteverde

2006, p.58; Melone 2012, pp. 25-32.

6. Le piazze europee coinvolte in questo giro di transazioni sono, tra le altre, Valenza, Siviglia, Barcellona, Anversa, Amsterdam, Londra, Parigi, Lione e

Vienna: Cavazza 1970, pp. 241-245.

7. Monteverde 2006, p. 59.

8. Ceschi 1959; Galassi 1983; Merlano 1983; Galassi 1984; Merlano, Galassi 1984; Merlano 1988; Traverso 1987-1989. Sull’argomento sta ora

lavorando Daniela Barbieri, nell’ambito del Dottorato di ricerca in Storia e conservazione dei beni culturali artistici e architettonici presso l’Università di

Genova, con un progetto intolato Il sistema palazzo di città e “masseria” in una città dell’Oltregiogo. Novi Ligure.

9. I lavori di lastricatura del centro di Novi risalgono infatti al 1562: Allegri 1987, p. 86.

10. Barberis 1991; Rescia 1991.

11. Allegri 1987, p. 78.

26

sull’amministrazione pubblica e sui procedimenti della giustizia civile e penale, sovrintendeva alla sanità e svolgeva il

compito di Commissario delle Armi, cui faceva capo un reparto di settanta soldati còrsi. Come recitava la formula del

solenne giuramento, il suo compito era quello di conservare nella loro integrità “la reputazione, la giurisdizione, i beni

patrimoniali e i diritti” del Comune di Novi, sulla base delle disposizioni emanate dalla Serenissima Repubblica. Come

nel caso del Doge, egli rispondeva direttamente ai Supremi Sindacatori, che alla fi ne del mandato dovevano verifi care e

approvare la correttezza e la legittimità degli atti della sua conduzione12.

L’innalzamento della dignità del ruolo di Novi all’interna della politica territoriale genovese dovette senza dubbio favorirne

lo sviluppo urbanistico – nel corso del secolo assistiamo a una signifi cativa crescita demografi ca13 - anche se non comportò

investimenti pubblici particolarmente vistosi, tali da competere con quelli messi in atto, invece, a livello privato dalle

famiglie dell’aristocrazia della Superba, che per tutto il corso del secolo continueranno a edifi care o a rinnovare le loro

dimore di villaggiatura. Lo stesso Palazzo del Governatore era un edifi cio che la Repubblica affi ttava in caso di necessità,

negli anni in cui il Governatore designato non poteva usufruire di un proprio palazzo familiare, e che nel corso del Settecento

cambiò diverse sedi. Quello di via Abba (civico 29), conosciuto tradizionalmente come il Palazzo del Governatore14, non

fu infatti l’unica sede documentata in tal senso15. Sappiamo per esempio che Giovanni Battista Gritta, governatore nel

1766, risedette durante il mandato in un “Palazzo del Governo posto in vicinanze della insigne chiesa Collegiata mediante

la via”16, mentre un documento del 1772 ricorda come i governatori privi di casa propria fossero alloggiati a spese della

Repubblica in vari edifi ci situati “sulla Piana Pubblica, in via de’ Perolis (oggi via Gramsci), in Strada della Valle, in via

delle Monache di Novi, in via Nuova nel quartiere Capanna”17.

I Genovesi di Novi

Chi sono dunque questi Genovesi che decidono di aprire casa a Novi? Sono personaggi estremamente facoltosi, spesso

passati alla storia anche per le loro committenze artistiche, come Filippo Lomellini di Francesco che nel 1592 acquista

il terreno su cui sarà edifi cato il palazzo di via Roma (il cosiddetto Palazzo della Dogana) e che poco dopo inizierà la

costruzione della villa “La Lomellina”, al centro di una fl orida tenuta agricola lungo la strada Gavi-Tassarolo-Novi18.

Filippo è il primogenito del ramo dei Lomellini Tabarca, banchieri e mercanti che da una generazione erano diventati

signori dell’isola antistante le coste tunisine, fonte di immense ricchezze per i suoi fondali coralliferi, di cui i Lomellini

avevano ottenuto – probabilmente da Carlo V, in seguito alla spedizione contro Tunisi - il diritto esclusivo di pesca e di

commercio. Suo fi glio Giacomo, detto il Moro, cui si deve probabilmente l’edifi cazione nel corso del primo Seicento

del palazzo di via Roma, è personaggio ben nota alla storia dell’arte genovese per essere stato il munifi co fi nanziatore

della ricostruzione della chiesa genovese della Santissima Annunziata, offi ciata dai Frati Minori Osservanti, e della sua

12. Morana 1993.

13. Tra il 1690 e il 1798 la popolazione passa da 6.000 a oltre 8.000 anime: Allegri 1987, pp. 80-82.

14. Merlano 1988, pp. 79-80.

15. Il palazzo fu certamente sede del Governatore negli anni 1750-53, quando dai documenti sappiamo che ospitò le reliquie di san Prospero, dono del

papa Benedetto XIV, poi collocate nella chiesa della Maddalena: Traverso 1989, 1, pp. 17-23.

16. Gritta 1978.

17. Cattaneo Mallone 1988.

18. Sivori Porro 1991, p. 607.

27

decorazione con preziosi marmi policromi, aff reschi e stucchi19.

Anche gli Adorno sono tra i primi a investire nel territorio novese. E’ Giovanni Battista Adorno, uomo dell’alta fi nanza

internazionale e uno dei massimi asientistas di Filippo III, che nel 1603 inizia ad acquistare vaste masserie e alcuni edifi ci

di pregio a Capriata e che nel 1635, tre anni prima di morire, estende le sue proprietà a Novi, dove risulta proprietario, tra

l’altro, del palazzo di via Girardengo20. Senatore nel 1621 e procuratore della Repubblica nel 1626, è lecito veder in lui uno

degli artefi ci dello spostamento a Novi delle fi ere di cambio. La sua immensa ricchezza, derivatagli da ingenti operazioni

fi nanziarie condotte in Spagna, in particolare dagli investimenti nel commercio dei preziosi provenienti dall’America,

sarà in parte impiegata a Genova in imprese artistiche, in particolare nella costruzione del coro e dell’altare maggiore

della chiesa di San Carlo in via Balbi e della cappella maggiore della chiesa di Sant’Anna, dei padri Carmelitani Scalzi21.

Alla sua morte, è il terzogenito Michele a ereditare i beni novesi, compreso il palazzo “in contrada Girardenga” che da

lui passerà al secondogenito Baldassarre22. Si devono ai fi gli di quest’ultimo, Agostino e Antonio, gli importanti lavori

di ristrutturazione attuati tra il 1749 e il 1754, che ci hanno consegnato il palazzo nella sua facies attuale, compresa la

facciata su via Girardengo che esibisce al centro lo stemma dipinto della famiglia23. Sospetto che risalga proprio a questo

intervento la realizzazione del secondo piano nobile, per garantire analoga dignità abitativa ai due fratelli, entrambi molto

legati a Novi. Antonio ne sarà governatore nel 1756, Agostino nel 1762, dopo essere stato Sindacatore dell’Oltregiogo nel

176124. L’ impegno profuso da quest’ultimo per garantire alla popolazione novese un’effi ciente e giusta amministrazione è

documentato da una serie di suoi scritti presenti nell’archivio Durazzo Giustiniani di Genova che, oltre ad una pragmatica

“Grida per portar via la neve dalle strade”, conserva anche un’interessante “Guida di buon governo” intesa a regolamentare

minuziosamente l’ordine in seno alla giurisdizione con norme di vita cittadina molto dettagliate25.

Tra i Genovesi che nel corso del Settecento possiedono casa a Novi sono anche i fratelli Gio.Francesco, Gio.Giacomo,

Giuseppe Maria e Ridolfo Brignole Sale. E’ Filippo Lomellini di Carlo che nel 1730 cederà loro un “palazzo con casa,

e cortile ad esso unito, come pure altra casa con due piccoli cortili uniti alla stalla e neviera” per ripianare un debito di

quasi 40.000 lire di Genova26. Si tratta del già citato palazzo “della Dogana” di via Roma e, probabilmente, dell’edifi cio

situato in piazza Carenzi che Gio.Francesco nel 1758 donerà alla Compagnia di Gesù, destinandolo alla sede del Collegio

al cui interno verrà attivata una scuola di retorica, umanistica e grammatica27. I Brignole erano per altro legati da tempo

a Novi, le cui fi ere di cambio avevano rappresentato per loro un appuntamento irrinunciabile già dai tempi di Gio.

Francesco Seniore e del fi glio Anton Giulio, come si ricava dai libri contabili di famiglia28; i fratelli in questione vi avevano

anche passato alcuni anni della giovinezza, allievi del Collegio dei Padri Somaschi, prima di passare, in tempi diversi, al

19. Per la genealogia Lomellini Tabarca: Battilana 1833, III, c. 28; per le notizie sulla famiglia e sulla committenza di Giacomo il Moro: Bitossi 1990,

pp. 167-182; Belloni 1979.

20. Le proprietà novesi comprendevano anche due case verso il castello, due osterie, una neviera, la masseria San Rocco e La Maccherina: Di Raimondo

1993.

21. Chiavari Cattaneo della Volta 2002, pp. 75-76.

22. Chiavari Cattaneo della Volta 2002, p. 151.

23. Di Raimondo 1993.

24. Chiavari Cattaneo della Volta 2002, pp. 81-82.

25. Chiavari Cattaneo della Volta 2002, nota 23, p. 86.

26. Tagliaferro 1995, pp. 61, 67, nota 14.

27. Merlano 1988, pp. 43-44.

28. Archivio Storico del Comune di Genova (ASCG), Archivio Brignole Sale, Libri di fi era (1560-1736).

28

Seminario Romano, al Collegio Tolomei di Siena e al Collegio dei Nobili di Milano29. Con il passaggio di proprietà, il

palazzo di via Roma, prontamente dotato di un Oratorio privato30, diventerà la residenza più lussuosa della città. Dopo la

morte di Gio.Giacomo (1734) e il matrimonio di Giuseppe Maria (1735), vi risiederanno con continuità Gio.Francesco

e Ridolfo. I nuovi proprietari sono ricchissimi, notoriamente amanti del lusso e al tempo stesso della cultura e delle

arti. Essi fi gurano tra i maggiori contribuenti della Repubblica, avendo sommato all’ingente patrimonio Brignole Sale

quello proveniente dall’eredità della nonna paterna Maria Durazzo, comprendente tra l’altro raccolte di argenti, mobili ed

eccezionali dipinti, che nel 1714, alla morte di Maria, erano confl uiti nelle magnifi che stanze del Palazzo Rosso di Strada

Nuova31. Gio.Francesco, in particolare, doge nel 1746, è passato alla storia non solo per la vasta cultura – formato preso i

Gesuiti del Collegio Tolomei, a lui si deve un cospicuo incremento della biblioteca di famiglia - , gli interessi collezionistici

e l’impegno politico-militare, ma anche per l’evidente propensione alla bella vita e alla magnifi cenza. Un inedito inventario

degli arredi del palazzo novese, datato 1771, consente di percorrere idealmente l’infi lata di salotti culminanti nella galleria

dorata, dotati di consoles dai piani marmorei, specchiere, mobili di radica di noce ed eleganti cortinaggi32, sui passi

dell’astronomo francese Joseph De La Lande che nel 1765, durante il suo tour d’Italie, aveva giudicato casa Brignole la

più bella della città33. Da parte sua, Giuseppe Maria, dopo il matrimonio con Anna Maria Teresa Balbi, acquisterà alcuni

edifi ci aff acciati sull’attuale piazza Dellepiane, procedendo all’edifi cazione del palazzo poi Cambiaso Negrotto34. Anche in

questo caso, inedite carte del fondo Brignole Sale forniscono utili notizie, da cui ricaviamo il nome all’artefi ce di questi

lavori di “variazione dall’antico al moderno”: si tratta di Gio.Antonio Ricca jr, l’architetto più in voga in questo momento

a Genova, autore tra l’altro delle chiese di Sant’Ignazio e di San Torpete, che presenta il progetto nel 1736 e lo realizza

entro il 174135. È però Gerolamo Durazzo, governatore di Novi nel 1775-76, il personaggio maggiormente radicato

nella capitale dell’Oltregiogo, e quello che probabilmente vi soggiornò più a lungo. Figlio di Marcello di Gerolamo

e di Maria Maddalena “Manin” Durazzo, egli aveva ereditato e consolidato un patrimonio ingente, frutto di questo

matrimonio tra cugini. A Genova vive con grande sfarzo nel palazzo familiare di via Balbi (quello che poi verrà rinominato

Palazzo Reale, dopo l’acquisto da parte dei Savoia); a Novi nel palazzo di via Paolo da Novi. Figlio dell’età dei lumi e

simpatizzante giansenista, si interessa di fi losofi a, di scienze esatte e di economia, promuove le arti e il teatro. E’ membro

fondatore dell’Accademia Ligustica di Belle Arti e della Società Patria delle Arti e Manifatture che dirige tra il 1786 e il

1789. Ambasciatore presso la corte di Vienna e la Repubblica di Venezia, egli metterà a frutto le sue doti diplomatiche

all’interno della delegazione inviata a trattare con Napoleone la resa di Genova e il suo nuovo assetto istituzionale. La

sua carriera politica in patria culminerà nel 1802 quando, caduta ormai la Repubblica aristocratica, sarà nominato doge

– primo e unico - della Repubblica Ligure36. Esponente del movimento riformatore genovese, durante il periodo del suo

29. Gio. Giacomo è documentato nel Collegio di Novi nel 1706-07; Ridolfo tra il 1717 e il 1720: Tagliaferro 1995, pp. 49-50, nota 51.

30. La richiesta al vescovo di Tortona risale allo stesso anno: Spantigati 1991, p. 32.

31. Tagliaferro 1995, pp. 27-30.

32. ASCG, Archivio Brignole Sale, Miscellanea estimi, successioni, inventari, n.1, Eredità G.FR.Brignole. Estimo de’ mobili in Novi.

33. «A huit milles de Tortone et 32 de Gênes, on entre sur l’Etat de la République de Gênes; et deux milles plus loin, on trouve la ville de Novi, remplie

des maisons très agréables, où beaucoup de riches Génois viennent passer l’automne; le palais Brignole près de l’Eglise de Saint Pierre, est le plus beau de

la ville ; il était ci-devant à la Maison Lomellino»: De La Lande 1786, IX, p. 290.

34. La Municipalità di Novi nei suoi simboli 2012, pp. 92-94.

35. Il nome di Giovanni Antonio Ricca emerge nell’inedita documentazione reperita presso l’ASCG, Archivio Brignole Sale, Serie Atti, n.50, Spese fatte nel palazzo acquistato dall’ora q. signor Carlo Lomellini, q. Stephani, che sarà oggetto di prossimi approfondimenti.

36. Assereto 1993.

29

governatorato novese si distinse per le opere fi lantropiche, per aver abbellito la città e per aver allestito spettacoli teatrali.

Il suo impegno nel promuovere lo sviluppo di Novi e migliorare le condizioni di vita dei suoi abitanti sono d’altra parte

documentate anche negli anni seguenti, in particolare nel 1780 quando, appena rientrato dal periodo viennese, metto in

atto un progetto di bonifi ca dell’allora incolto terreno circostante il demolito castello, impiantando a sue spese un bosco

di gelsi – per incrementare l’allevamento del baco da seta a favore delle fi lande locali - e realizzando, al tempo stesso, un

giardino scenografi co collegato al suo palazzo, “luogo di pubblico e comodo passaggio” aperto alla cittadinanza37. Il Tributo

di riconoscenza e di amore scritto a nome “del popolo novese”, nel rimpiangere la fi ne del mandato del “Durazzo eroe”, ne

celebra “la bella avidità di rendere felici i popoli a lui commessi”38, l’equità e la sagacia, ma anche “gli aurei tesori” del suo

casato, testimoniati dallo stile di vita fastoso, dalle “imbandite mense su cui festeggia l’opulenza, e dove Dovizia splende,

e i rilucenti cocchi, e i pomposi corteggi, i ricchi arredi, gli argentei scrigni, e le magion dorate”39.

Episodi di collezionismo e committenze artistiche

Alcuni interessanti inventari settecenteschi, come il già citato inventario Brignole Sale, ci consentono di “fotografare” gli

interni di queste “magioni dorate”, ricavandone un vivido senso di lusso e di eleganza. Più diffi cile trovare notizie utili per

ricostruire la consistenza delle quadrerie presenti, a volte perché i quadri furono elencati a parte in carte non pervenutici,

più di frequente perché essi furono descritti in modo sommario, con scarsa cura nella defi nizione dei soggetti e nessuna

indicazione circa il loro possibile autore. Sono questi i casi degli inventari dei palazzi di Bendinelli Negrone e di Gio.

Stefano Spinola, stilati rispettivamente nel 1741 e nel 174340.

Le vicende costruttive e i passaggi di proprietà del palazzo “della Meridiana”, che i Negrone acquistano dal nobile locale

Nicolò Girardengo nel 1661 e rinnovarono fastosamente nel corso del primo Settecento per volere di Bendinelli, sono

stati puntualmente ricostruiti da Beppe Merlano41. L’inventario in questione, stilato alla morte di Bendinelli, rispecchia

in modo puntuale lo splendore della casa che era caratterizzata da un largo impiego di tessuti e da mobile à la page, con

le immancabili cineserie, le consoles e le grandi specchiere dorate, i mobili laccati. La descrizione della quadreria lascia

invece delusi. L’inventario elenca infatti le opere in blocco, senza indicare i soggetti oppure suddividendoli in modo molto

aff rettato – paesaggi, santi diversi, vedute – , impedendone quindi una valutazione critica più ponderata. E’ comunque

interessante notare la presenza di quattro carte geografi che e di una rappresentazione del “mappamondo”, che potrebbero

testimoniare una passione dei Negrone per questo genere, così come degno di interesse risulta un “paesaggio fi gurante

i stabili delle masserie Motta e Cassandra”, appartenente dunque alla tipologia di veduta di cascina che dovette essere

molto diff uso e apprezzato. Anche l’inventario allegato al testamento di Gio.Stefano Spinola, del 1743, restituisce un’idea

generica della quarantina di dipinti presenti nel palazzo novese di via Roma (civico 90), comprendenti ritratti di famiglia,

paesaggi, marine, soggetti sacri di cui non si fornisce alcuna attribuzione42. Attribuzioni presenti invece nella lista dei

37. Galliano 1972; Repetto 1977.

38. Tributo di riconoscenza 1776, p. 42.

39. Ibidem, p. 16.

40. Barberis 1991.

41. Merlano 1991.

42. Barberis 1991, pp. 72-73. Per l’identifi cazione del palazzo: Merlano.

30

quadri che lo stesso Gio. Stefano custodiva nella sua casa di Genova, comprendenti opere di celebri maestri della scuola

genovese, tra cui Giovan Battista Paggi, di Gio. Angelo Vicino, di Gian Lorenzo Bertolotto e di Pietro Paolo Raggi. E’

dunque probabile che anche i dipinti di Novi fossero di buona mano, così come di grande pregio dovevano essere “li due

quadri della pesca di san Pietro” attribuiti al “Pittore Castelli” che il testatore destinò all’ospedale di San Giacomo e di cui

si sono perse le tracce43.

A fi ne secolo, nel 1798, l’inventario di Palazzo Adorno ci restituisce l’immagine di un’abitazione raffi nata e arredata di

tutto punto, nel momento in cui Filippo Adorno la cede in uso temporaneo alla Municipalità, che aveva sostituito il

governatorato con l’avvento della Repubblica Ligure44. Accanto agli arredi, i seggioloni rivestiti di tappezzeria di Fiandra,

le consoles e le grandi specchiere, i trumeau impiallacciati e guarniti di bronzo dorato, gli stipi “fasciati di tartaruga”,

troviamo ventisette dipinti, prevalentemente ritratti, elencati senza indicazioni d’autore.

Un caso a sé è costituito dagli inventari dei dipinti appartenuti ai Brignole Sale, per cui invece disponiamo di una

documentazione più consistente, rimasta fi no ad oggi inedita. I documenti che ci interessano in questa sede sono due: il

primo, senza data, si trova all’interno del fascicolo relativo ai già citati lavori eseguiti dal Ricca e dovrebbe dunque riferirsi

alla quadreria di Giuseppe Maria. I dipinti elencati sono pochi, per la maggior parte soprapporte raffi guranti paesaggi

che testimoniano una scelta di arredo piuttosto che una volontà collezionistica45. Di ben altra consistenza risulta invece la

quadreria presente nel palazzo “della Dogana” nel 1771, anno in cui viene stimata l’eredità di Gio.Francesco. In questa

occasione, i pittori Agostino Ratti e Giuseppe Galeotti vennero chiamati dagli eredi a valutare le quadrerie delle residenze

estive del defunto: si partì con la villa di Albaro, per seguire poi con quella di Voltri. Un terzo elenco, defi nito “rimanente

estimo”, non cita esplicitamente al palazzo di Novi, ma deve essere riferito con buona probabilità a quella residenza, sia

per motivi di esclusione, sia per la presenza, tra i pezzi elencati, di una “mappa dei stabili di Novi”, che pare trovare la sua

ragione d’essere solo in loco, come utile promemoria per proprietari e ospiti46. Nell’inventario vennero elencati più di

centocinquanta dipinti, per un totale di 1700 lire di Genova. Purtroppo i periti non si sbilanciarono nelle attribuzioni,

ma i soggetti, descritti con una certa precisione, sono suffi cienti a dare un’idea dei caratteri di questa collezione: accanto

ai numerosi ritratti di famiglia, troviamo un buon numero di “boscherecci” e paesaggi la cui descrizioni, con riferimenti a

scene sacrifi cali, uomini e animali, bestiami, volatili e stagnare, alludono a temi cari alla tele animaliste di Sinibaldo Scorza

e alle scene vetero-testamentarie del Grechetto. Non mancano i temi sacri – tra le opere più pregiate una Sacra Famiglia con

san Giovannino e una Lapidazione di santo Stefano –, le scene di genere come le due tavole con “fi gure vestite alla turca” e

le nature morte con fi ori e frutti. Insomma, una quadreria completa di tutto punto, in cui troviamo anche una miniatura

con la Flagellazione di Nostro Signore, probabile opera di Battista Castello.

La dispersione delle quadrerie esistenti nei palazzi nobiliari novesi, accanto alla perdita di gran parte degli arredi pittorici

43. Barberis 1991, p. 72. Il documento risulta equivoco, dal momento che potrebbe riferirsi sia a Bernardo Castello, sia al fi glio Valerio. Come mi

suggerisce Anna Orlando, è possibile che l’estensore dell’inventario abbia equivocato i soggetti delle tele, che forse raffi guravano la chiamata dell’Apostolo

Giacomo, e non di Pietro, rendendo più logica la decisione di destinarle all’Ospedale novese dedicato appunto a Giacomo, Se così fosse, potremmo

ipotizzare che l’autore ne fosse Valerio, che aff rontò questo tema in più occasioni: Manzitti 2008, pp. 90-96.

44. Rescia 1991.

45. ASCG, Archivio Brignole Sale, Serie Atti, n. 50.

46. ASCG, Archivio Brignole Sale, Miscellanea Estimi, successioni, inventari, n. 1, Copia del rimanente estimo de quadri fatto da Sig.r Giuseppe Galeotti ed Agostino Ratti.

31

in dotazione alle molte cappelle private presenti nelle masserie e negli oratori di

campagna47, non dà ragione di un patrimonio artistico un tempo diff usamente

presente nel territorio novese, che probabilmente dovette essere in buona parte

riconducibile alla scuola genovese. Che Novi sia stata profondamente investita,

nel suo passato, di una cultura di emanazione genovese è d’altra parte la naturale

conseguenza dei fatti fi n qui delineati, che contribuirono a farne una sorta di

“succursale” della Superba. Emblematico, in questo senso, l’arrivo della pala

raffi gurante la Predicazione di san Francesco Saverio eseguita nel 1672 da padre

Andrea Pozzo che, rifi utata dai Gesuiti di Genova, trovò la sua collocazione

nella chiesa novese della Compagnia, dove la vide Luigi Lanzi, apprezzandone

“il colorito bassanesco, le pieghe vere, gli scorci grandi”48. Non sappiamo

esattamente chi decise questa nuova destinazione, forse gli eredi di Damiano e

Carlo Pallavicini documentati a Novi a partire dal 1644 – Carlo ne è Capitano

nel 1652 -, il cui nonno Giovanni Battista era cugino primo di Marcello, padre

Gesuita, committente e fi nanziatore della chiesa del Gesù di Genova49. Se così

fosse, l’episodio perderebbe i connotati di quella “subalternità periferica” notata

dalla Spantigati, per diventare invece esempio di un’avveduta gestione delle

committenze artistiche di famiglia.

Gli episodi di committenza che arricchirono gli edifi ci religiosi novesi di molti

capolavori dell’arte genovese50, alcuni dei quali esposti in questa mostra, sono

al momento poco sostanziati da riscontri documentari e per tanto possono

essere ricostruiti solo per via ipotetica. E’ questo il caso dell’Annunciazione di

Domenico Fiasella, eseguita per la cappella della Madonna della Lacrimosa

della Collegiata en pendant con la Natività della Vergine di Giovanni Battista

Casoni, per il cui committente – ritratto in veste di donatore nell’angolo sinistro

della tela – è stata proposta l’identifi cazione con Padre Alessandro Spinola51.

Personalmente, ho il sospetto che i già citati Lomellini Tabarca , presenti sulla

scena novese già all’inizio del Seicento, poterono avere una responsabilità nella

commissione del Beato Salvatore da Horta di Bernardo Strozzi. Il dipinto,

47. Le descrizioni di queste cappelle, oltre a quelle presenti nei palazzi nobiliari, ci sono fornite dalle

visite pastorali del 1784 e del 1824, data in cui il patrimonio artistico in esse custodito risulta ancora

consistente: Decarlini 1986; Castiglioni 1991.

48. L. Lanzi, Viaggio del 1793... in Sciolla 1984, p. 69. Il dipinto si trova ora nella chiesa della

Collegiata di Santa Maria Maggiore: Spantigati 1991, p. 35.

49. Per i Pallavicini di Novi, proprietari nel Settecento del palazzo di via Paolo da Novi, oggi sede

del Municipio si veda: La Municipalità di Novi nei suoi simboli 2012, pp. 70-75. Per la parentela con

Marcello Pallavicini: Battilana 1833, III, tavv. 20, 24, 25. Per la chiesa del Gesù di Genova: Gavazza

1975.

50. Cervini 2004.

51. Cervini 2004, scheda 7, pp. 90-91.

1. G.David, San Nicola da Tolentino che supplica la Vergine per la liberazione delle anime purganti, in

deposito a Tortona, Curia Arcivescovile

32

oggi conservato nel Palazzo Comunale, proviene infatti dal Convento di San

Francesco dei frati Minori Osservanti52, lo stesso Ordine che, negli stessi anni

Venti, stava edifi cando a Genova la chiesa della Santissima Annunziata del

Vastato, committente e fi nanziatore proprio Giacomo “il Moro” di Filippo

Lomellini Tabarca53. Sempre ipoteticamente – ma in questo caso l’ipotesi sfi ora

la certezza, seppure non sostenuta da prove documentarie – propongo di vedere

in Gerolamo Durazzo il committente della splendida tela con San Nicola da

Tolentino che supplica la Vergine per la liberazione delle anime purganti, eseguita da

Giovanni David per l’Oratorio della Confraternita della Morte e Orazione (detta

anche della Misericordia), oggi in deposito presso la Curia di Tortona (fi g.1)54.

Sappiamo infatti che la famiglia Durazzo aveva protetto Giovanni David fi n

dagli anni della formazione romana presso Domenico Corvi e che nel 1774 era

stato mandato a perfezionarsi a Venezia proprio su richiesta di Gerolamo55.

Tutta da scrivere, invece, è la storia di un dipinto che desidero segnalare

a conclusione di questo mio intervento. Si tratta della tavola con San Pietro

in cattedra e i santi Giuseppe e Rocco, tuttora nella sua collocazione originaria

sull’altar maggiore della chiesa di San Pietro (fi g.2), dove nel 1780 la vide Carlo

Giuseppe Ratti, attribuendola a Teramo Piaggio56. Il riferimento al Piaggio,

accettato con riserve da Gian Vittori Castelnovi57, sembra giustifi cato, sia

per le analogie compositive con opere certe dell’artista, quali il Trittico di san

Bartolomeo a Varazze datato 1535, sia per la presenza di tipologie fi siognomiche

e per la conduzione pittorica, che rimandano ai suoi modi. Il raffi nato paesaggio

di sfondo si avvicina invece ad analoghe soluzioni presenti nelle opere di Antonio

Semino, artista che collaborò con Teramo e che anche in questo caso potrebbe

aver spartito con lui la commissione58. Sull’opera, sicuramente di grande interesse

e stranamente rimasta pressoché ignorata dagli studi, bisognerà ritornare con

indagini più accurate.

52. Sul dipinto, si veda la scheda di C.Vignola in questa sede, con bibliografi a precedente.

53. Belloni 1979.

54. In Newcome Schleier-Grasso 2003, p. 62 erroneamente con provenienza dall’Oratorio “della SS.

Trinità della Misericordia”, evidentemente equivocando sulla denominazione.

55. Newcome Schleier-Grasso 2003, pp. 5, 62-63; l’attività di David a Novi dovette essere stata

abbastanza consistente: Luigi Lanzi (L. Lanzi, Viaggio del 1793... in Sciolla 1984, pp. 20, 31), ricorda

un secondo San Nicola da Tolentino nella sacrestia della chiesa del Carmine (sospetto però che lo

scrittore possa aver fatto confusione, nella stesura dei suoi appunti di viaggio), mentre la Spantigati

(1991, pp. 33-34) gli attribuisce la tela con L’Educazione della Vergine nella chiesa della Collegiata di

Santa Maria Maggiore.

56. Ratti 1780, II, p. 20.

57. Castelnovi 1970, p. 175.

58. Calligaris 1978, con un riferimento a Teramo Piaggio e Antonio Semino. Per l’attività dei due

artisti: Lagomarsino 1999, con bibliografi a precedente, che ignora il dipinto novese.

2. Teramo Piaggio (e Antonio Semino?), San Pietro in cattedra e i santi Giuseppe e Rocco, Novi Ligure,

Chiesa di San Pietro

33

L’Oratorio della Santissima Trinità: storia dell’apparato decorativo nelle carte d’archivio

Chiara Vignola

Et in più una Ternità da portare in prosesione, una Ternità per coprire li

fratelli et sorelle con un palio rosa quando si porteno a sepelire, et libri trei

per dire li offi tii

(M. Silvano, Inventario degli arredi sacri della Confraternita della SS. Trinità, 1567)

La consolidata abitudine a fi ssare ogni accordo con scrittura privata o con atto notarile ha consegnato ai posteri una tale

quantità di testimonianze grazie alle quali è ancora oggi possibile un’attendibile ricostruzione storica, relativamente a

luoghi e periodi. Archivi pubblici e cartari hanno d’altra parte subito nel corso dei secoli distruzioni, ammanchi e vuoti

per via di incendi, sommosse, occupazioni militari o per incuria. Il saccheggio dei fondi documentari è avvenuto per una

richiesta recente del mercato antiquario che ha valorizzato manoscritti e carte da usarsi a scopi decorativi per la presenza di

stemmi, iniziali ornate, monogrammi di notai o anche solo per il fascino delle grafi e antiche. In particolare i registri delle

confraternite riscuotono consenso per la ricca rilegatura in pergamena con i riporti in cuoio impunturato.

Premessa generale applicabile alla situazione novese, a cui si aggiungono anche le vicende della metà del Settecento

raccontate da Pier Francesco Ricchini nella sua relazione autografa, quando ricorda che le carte delle chiese novesi venivano

bruciate dagli austriaci per scaldarsi il rancio nel 1745-17491, oppure si pensi all’epistolario di santa Caterina Fieschi

Adorno venduto dal nuovo castellano di Silvano d’Orba ai bottegai del paese per incartocciare il tabacco negli anni ’70

dell’Ottocento2.

Disastrosa la dispersione avvenuta a Novi dei documenti della Confraternita della Misericordia e sorte travagliata è toccata

anche a quello della Confraternita della Santissima Trinità.

Quest’ultima fu una delle associazioni laiche più attive in città, certamente sodalizio devozionale, ma che assunse assai

presto compiti di benefi cenza con l’istituzione del Monte frumentario, la cui istituzione da parte della Confraternita della

Santissima Trinità avvenne nel 16023. Era destinato a soccorrere la parte più povera della classe degli agricoltori senza

avere fi ni di lucro: il frumento era distribuito equamente in tempo utile per le semine ai soci più bisognosi, i quali erano

tenuti a restituire una quantità di grano pari a quella ricevuta, l’anno seguente, a raccolto ultimato. Non era ammessa

1. Cresca 1994, p. 61; Cfr. sulla trascrizione del manoscritto di Pietro Francesco Ricchini, Calcagno 2004, pp. 3-48.

2. Rescia 1988, p. 27.

3. Della vicenda relativa al Monte frumentario Firpo 1984, pp. 3-18. Il testo originale è stato consultato dalla scrivente in occasione delle recenti ricerche

presso l’Archivio della Confraternita, si tratta di un volume rilegato in pergamena all’interno del quale sono stati inseriti i vari quaderni del Monte

frumentario rilegati e anticipati dal testo dell’istituzione risalente al 1602.

1. Archivio della Confraternita della Santissima

Trinità, f. 1, libro 1, anno 1594

35

alcuna forma di interesse o pegno, si accettavano off erte in denaro o in natura, a totale discrezione dei benefi ciari4. Tra gli

obiettivi della compagnia naturalmente quello devozionale che si esprimeva attraverso un imponente apparato decorativo:

la chiesa, l’Oratorio e al suo interno, altari, statue, croci e ancone. Di questo complesso sistema decorativo sul quale si

focalizza l’attenzione di chi scrive, alcune opere sono arrivate sino a noi, di altre purtroppo abbiamo notizia solamente dalla

documentazione cartacea, in quanto di notevole entità è stata la dispersione nel corso degli anni.

Gli studiosi di storia locale Angelo Daglio, Mario Silvano, Guido Firpo e Mario Cresca pubblicano tra il 1960 ed il 1994

un fondamentale corpus di documenti con il fi ne di ricucire i nessi della storia locale, a cui questo contributo cercherà di

dare ulteriore impulso5.

Prima di presentare l’analisi dei documenti della Confraternita che è stato possibile leggere ed interpretare recentemente

grazie al fortunoso ritrovamento, è necessaria una premessa su questa istituzione che ne inquadri origine e trasformazioni6.

È accertato che esisteva a Novi nel 1482 una compagnia, altrimenti detta «Casa» dei Disciplinati di N. S. delle Grazie.

Nel 1536 si chiama Oratorio dei Disciplinati di Santa Maria; nel 1578 si aggrega all’Arciconfraternita della SS. Trinità dei

Pellegrini e Convalescenti di Roma e prende l’abito rosso e nel 1580 assume la defi nitiva denominazione di Compagnia di

S. Maria e SS. Trinità di Nove: da questo momento il campo di azione caritatevole si estese all’assistenza e al conforto dei

pellegrini che allora transitavano numerosi e molto spesso erano costretti a far tappa nel nostro borgo7.

Angelo Daglio riporta i documenti sulla fondazione e sulle prime attività della Confraternita e tra questi di grande interesse

quello del 1621 laddove viene dichiarata la più antica tra quelle esistenti in città e come tale reclama la precedenza nelle

processioni e nei funerali. Nel 1677 viene costruita e benedetta la cappella del SS. Crocefi sso, mentre venti anni dopo

circa, nel 1693 dovendo fabbricare il proprio Oratorio la Confraternita si indebita di L. 1000 da pagarsi con il reddito del

forno torchio. L’Oratorio viene costruito a lato della chiesa per adunarsi nelle opportune congregazioni, recitare i santi

uffi ci e lasciare la chiesa alle funzioni proprie. Vengono impegnati anche gli argenti da riscattare poi con le elemosine8.

Prima che tutto ciò avvenga uno dei primi documenti rilevanti per l’interesse verso l’apparato decorativo per le processioni

lo troviamo datato 1594, quando Andrea Semino pittore viene incaricato per realizzare un gonfalone e un notaio genovese

redige il contratto per l’acquisto del damasco cremisi9 (fi g. 1):

Precedentemente a questa data Mario Silvano nella prima metà del Cinqucento ci propone, con tanto di foto e traduzione

successiva10, il documento in latino riguardante Franceschino Boxilio, incaricato nel 1513 di dipingere un’ancona, oggi

perduta, per la chiesa della Confraternita, ancora dei Disciplinati della Beata Vergine Maria:

L’anno della natività del Signore 1513 (…) ed ivi il maestro Franceschino Boxilio, cittadino di Tortona, pittore da una parte

ed il maestro Giacomo Bovone, Matteo Cavanna, il maestro Lorenzo Clavario, Luchino Pelli, Bartolomeo Bianco, Franceschino

4. Silvano 1983, p. 213.

5. Daglio 1960, pp.7-15; Silvano 1983, pp. 211-234.; Firpo 1984, pp. 133-135; Cresca 1994, pp. 61-65.

6. Con il 1994, anno della pubblicazione dell’ultimo contributo sui documenti conservati all’interno della parrocchia di San Nicolò, si perdono le tracce

di tale archivio. Nell’estate del 2012, grazie alla disponibilità di Don Stefano Ferrari, che ringrazio, è stato possibile fare delle ricerche negli armadi della

parrocchia che hanno restituito la documentazione. Si tratta di ben 14 faldoni che raccolgono un importante corpus di documenti che necessitano di

un riordino archivistico.

7. Daglio 1960, p. 7.

8. Daglio 1960, p. 8.

9. Archivio della Confraternita della Santissima Trinità, f. 1, libro 1, anno 1594.

10. Firpo 1984, p. 134.

36

d’Orio, disciplinati della Casa di Santa Maria del territorio di Nove, dall’altra (…) che il detto maestro Franceschino sia tenuto

ed obbligato a dipingere detta ancona e cioè a dipingere a fi anco dell’immagine di Santa Maria che si trova nella detta casa,

due fi gure da ciascun lato, con i loro diademi d’oro fi no e con le vesti delle dette fi gure d’azzurro fi no (…) che il detto maestro

Franceschino sia tenuto ed obbligato ad apporre nella detta ancona, tra le dette fi gure e a lato delle stesse, quattro colonne di legno,

intarsiate ed arricchite d’oro, con i loro capitelli, così come ora il bozzetto eseguito da detto maestro Franceschino, depositato presso

di me, notaio infrascritto, per volontà delle parti (…).

Un primo elenco degli arredi sacri datato 1567 viene studiato e pubblicato da Mario Silvano. Importante in questo

documento un primo riferimento alle casse processionali: vengono elencate tra gli altri arredi una Madonna e una Ternità

da portare in processione, fatta per coprire i fratelli e le sorelle, segno della cospicua attività della Confraternita fi nalizzata

alle opere per le processioni che appunto già nella seconda metà del Cinquecento commissiona e utilizza casse processionali

raffi guranti la Trinità11.

Nel 1607 il Conte Agostino Spinola diviene protettore “a vita” della Compagnia, tre anni dopo, nel 1610 Stefano Cavana,

priore, comunica che si è dato fi ne a la sacristia e al campanile; l’altare viene spostato in avanti nel 1614, per realizzare un

coro per cantare i divini uffi zi. Nel 1617 a dì 24 setembre: si conviene di costruire un altare dedicato a San Carlo Borromeo.

Si ricaverà con un nichio nel muro verso il cortile di soto de le due fi nestre12.

Sin qui le notizie tratte dai documenti d’archivio trasmesse dagli storici locali. L’insieme dei documenti studiati e pubblicati

venne dal 1994 riposto dietro una fi nta porta e da allora se ne perse memoria, fi no a che una ricerca accurata con il

supporto del parroco della Chiesa di San Nicolò e della curia di Tortona ha permesso a chi scrive di ritrovare l’intero corpus

d’archivio presso la medesima parrocchia. La lettura dei documenti permette di aggiungere alcuni particolari importanti.

Nel 23 aprile 1633 viene confermato l’incarico per la realizzazione della cappella di San Carlo fatta dal maestro Tubino

millanese, la licenza dal Vescovo per realizzare detto altare era stata ottenuta nel 161713.

Nel 1643 viene eff ettuato un pagamento al maestro Pietro Riva stuccatore per la fattura dell’altare maggiore; nel 1636 5

lire spese per un quadro della santissima Trinità da mettere in mezzo all’ancora dell’altare maggiore; nel 1637 viene pagato il

pittore Giuseppe Badaracco per fattura di un gonfalone14.

Le ultime due notizie ci dicono che nel 1636 viene realizzata un’ancona per l’altare maggiore e non si fa già più menzione

dell’opera del Boxilio e che nel 1637 c’è un primo contatto con la bottega di Badaracco, fatto che ci conferma la conoscenza

e il rapporto tra la Confraternita e la bottega del pittore genovese.

Tra la fi ne del Seicento e i primi anni del Settecento il grande rinnovamento accompagnato dall’importante impegno

economico dei confratelli conferisce agli altari della chiesa e all’apparato decorativo la confi gurazione attuale.

Fondamentale per ricostruire il percorso della Confraternita mirato al rinnovamento settecentesco il Libro di Cassa delle

entrate et uscite di anno per anno dal 1709, all’interno del quale le commissioni, gli incarichi e i notevoli impegni economici.

Nel 1709 i confratelli sono impegnati in un’importante operazione che ha la durata di un intero anno: è possibile leggere

11. Silvano 1983, p. 217.

12. Daglio 1960, p. 10.

13. Archivio della Confraternita della Santissima Trinità, Libro de’ mandati di anno per anno, 1633.

14. Archivio, Libro de’ mandati, 1636, 1637, 1643.

37

tutta la vicenda della raccolta fondi e degli incarichi per la realizzazione della statua da processione che rappresenta la

Santissima Trinità. Questo documento d’archivio ci fornisce la datazione della cassa processionale in cartapesta che, seppur

oggetto nel corso dei secoli di numerosi e invasivi restauri, è giunta sino a noi.

Il deputato a tale incarico è Gio Tomaso Cambiaggio che insieme a Carlo Masardo nell’intento di dare all’Oratorio una

Maestà in statua che rappresentasse la Santissima Trinità (fi g. 2) da portare in processione nel giorno della festa omonima,

affi dano tale incarico a Paolo Serra e Pio Mario Bovone impegnandosi a pagare per tale opera L. 50015. Come si legge sul

documento originale la Confraternita deteneva un disegno di tale opera, che era stato approvato dalla congregazione e

riposto in archivio segreto. Il Serra e il Bovone vengono incaricati di realizzare la statua con l’obbligo di farla tale e quale e

fi nita di tutto punto, sulla base del disegno di cui però non viene indicato l’autore.

La vicenda non si conclude con il semplice pagamento del lavoro ai due incaricati, ma si sviluppa ulteriormente con

il ricorso a un giudice per la maggior richiesta di denaro dai due. Curiosa per noi contemporanei la lettura tra le righe

della preoccupazione crescente del Cambiaggio e del Masardo che si vedono sempre più impegnati economicamente per

l’attuazione della proposta di realizzare la statua.

I due artigiani infatti, per aver realizzato una Maestà riusita di tutta perfetione con gran aplauso universale per tutti, li fu di

motivo alli d. Operari di pretendere più del’acordato con pretensione di non darla se non si cresceva una grosa soma, con farne

chapire in varie chose il gran dischapito che le avevano, e bisogno richore dal Giudice, e dal Med.o fu ben inteso le N.re Ragioni,

doppo di che si intermise altre persone et apersuasiva del Med.o Giudice fu amichalbimente achordata, che a titolo di benemerito

le dovesimo fare un regalo di venti fi lippi dimmodo però che I’ Med. Operari facessero quelle gionte che si achordo come da’ poliza

si vede il tutto, e d.a pliza si e mesa nel sopra d. archivio asieme del sopra d.o Instrumento, dove che dinovo abiamo sborsato

£11216.

Il giudice accorda ragione agli artigiani per cui la Confraternita è costretta ad un esborso ulteriore cui si andò ad aggiungere

anche il lavoro di muratura per l’abbattimento della la porta grande della Chiesa, e dinovo refatta, con la porta e tutte le spese

necessarie, a fi ne che sia capace di poter intrare e sortire la d.ta N.ra Maestà, perché prima non si poteva; et anche altre spese fatta

nella Cassa e le stanghe In tutto speso 114.10. Eff ettivamente l’obiettivo era quello di avere una statua per la processione che

avesse una collocazione in chiesa per la devozione quotidiana dei fedeli, da cui la necessità di poter agevolmente entrare

ed uscire dalla chiesa, cosa alquanto complessa data l’imponenza della cassa processionale che nella sua complessità ha

un’altezza di circa cinque metri.

E più dopo che fu passato il giorno della N.ra Solenità che è quando si Mise in Veneratione la d. Maestà, bisognò fare un’altra

spesa per ben colocarla per adeso, e facesimo tutto quello che oggi si vede sopra l’altar magiore, ….(…) tra I gradini dal’altare, e

pitura, et ogni altra cosa In tutto si è speso £ 73.6.

È a questo punto che la vicenda si concentra sulla ricerca serrata da parte dei due deputati di elemosine per tentare

di pareggiare un bilancio ormai sforato: il documento di cinque pagine si chiude con uno sconsolato Cambiaggio che

riassume i crediti dei deputati nei confronti della compagnia.

Quali si dovranno rimborsare secondo l’ordine che li è stato assegnato dalla congregasione come al libro delli uffi ciali si vede.

15. Archivio, Libro di Cassa, 1707-1756.16. Archivio, Libro di Cassa, 1707-1756.

38

Si dichiara per le sudette lire ducentocinquantasette che restano creditori li sud.tti

deputati essendo anche Guardiani; per suo solievo li altri due compagni Guardiani

hanno voluto hancor loro essere à parte di (…..) si che restano traò quattro creditori

di questa partita.

Il sig. Gio’ Tomaso Cambiaso Guardiano e deputato L. 75:16

Sig. Carlo Fran.co Massardo Guardiano e deputato L. 88:12

Sig. Fran.co M.a Vaccaro Guardiano L. 46:6

Sig. Gio’ Batta Massa Guardiano L. 46:6

Si chiude così la vicenda di un’opera tra le più interessanti dell’apparato

decorativo della Confraternita, realizzata interamente in cartapesta e tessuto,

quella scultura denominata nella cultura popolare novese Il Padreterno che sarà

oggetto di numerosissimi interventi già pochi anni dopo la sua consegna, che

rappresentava un vanto per i confratelli e che ancora negli anni ’70 del Novecento

veniva portata in processione per le vie della città: giunta sino a noi è ora in attesa

di un restauro conservativo che la restituisca alla storia della città.

Torniamo alle carte d’archivio e proseguiamo nell’avvicendamento degli eventi

settecenteschi. Nei primi anni ’20 un Chiappe lavora già per la Confraternita,

infatti nel 1721 viene pagato Giacomo Chiappe orefi ce per acconciare l’ostensorio

come da mandato e allo stesso nel 1739 pagato L 12:16 per aver agiustato la

lampada, turibile, navetta, ostensorio e pace d’argento e il tutto imbiancato17.

Giovanni Battista Chiappe nasce a Novi nel 1723 e Ratti ci dice che apprese i

rudimenti in città non specifi cando la bottega18, forse questa notizia di un orefi ce

attivo a Novi negli anni ’20 di nome Giacomo Chiappe fa un po’ di luce sulle

origini di Giovanni Battista: potrebbe essere un parente diretto orefi ce che lo

avvia alla pittura.

Dal 3 agosto 1738 si inizia a parlare delle spese per il rinnovo delle cappelle e

i primi interventi di restauro sulla statua da processione, nonché tutte le spese

per realizzare l’altare e la relativa nicchia per custodirla. A tal fi ne viene conferito

dal deputato Giacomo Maria Guencio un grosso incarico a Antonio Beretta

stuccatore, con gli atti correlati del notaio sig. Clavario19.

Beretta deve, tra i vari lotti affi datigli, realizzare il nicchio che a noi viene

tramandato come macchina per la collocazione della statua da processione. Tale nicchio è composto da un altare mobile in legno dipinto a fi nto marmo, il vetro è

dotato di un sistema di carrucole per essere sollevato e consentire l’uscita della statua posizionata e poi fatta scorrere sui binari di legno.

17. Archivio, Libro di Cassa 1707-1756, 1721; 1739.

18. Ratti 1769, pp. 310-314.

19. Archivio, Libro di Cassa 1707-1756, 1738.

2. P. Serra, P. M. Bovone, Il Padreterno, cassa processionale in cartapesta, 1709

39

Viene altresì incaricato con il pagamento di L 40 per fattura del stucco dell’Oratorio.

Nello stesso anno viene incaricato l’intagliatore Gio. Batta Roncallo per

realizzare sedici raggi in legno aggiunti alla sfera della corona della statua, primo

questo dei vari e successivi interventi sulla cassa con aggiunte che si stratifi cano

nel corso degli anni. Lo stesso autore della statua da processione, Paolo Serra,

viene chiamato più volte con vari acconti su un onorario importante di L 200

nel 1738, e di L 45 a saldo di altro incarico, nel 174220. Tra le commissioni a

Serra si riesce ad individuare la richiesta di intervento per restaurare (ristorare)

la statua, con il contemporaneo acquisto di calcina e gesso. Al termine della

seconda pagina che elenca le spese fatte per “le Cappelle della chiesa” leggiamo

un pagamento considerevole di L. 770 di Genova moneta corrente quali sono

L. 900 di Milano a saldo del lavoro di Luigi Fasce e fi glio e Antonio Beretta

per la gessatura delle due cappelle. Siamo nel 1738 e per rinnovare le cappelle

viene pagata un’ingente commissione all’impresario Beretta e allo stuccatore

Luigi Fasce. Questo ritrovamento risulta fondamentale per rilevare la presenza e

l’opera del Fasce per l’Oratorio della Confraternita. Luigi Fasce nacque nel 1695

con ogni probabilità a Genova e si trasferì a Ovada in seguito al matrimonio

con la moglie Giulia, dove visse fi no alla morte sopraggiunta nel 176021. L’opera

di Luigi Fasce viene messa in luce da Daniele Sanguineti che identifi ca su base

documentaria alcune piccole sculture risalenti agli anni ’40 e ’50 del ‘700

provenienti dalla chiesa di San Remigio di Parodi Ligure e giunte nell’Oratorio

di San Giovanni a Cadepiaggio22. Fulvio Cervini riferisce agli stessi anni il

Battesimo di Cristo dell’Oratorio del Santissimo Sacramento di Serravale Scrivia

e attorno al 1730 l’immagine dinamica del San Rocco in Nostra Signora Assunta

in Ovada e quella maggiormente classicheggiante del San Rocco nella chiesa

parrocchiale dei Santi Pietro e Marziano di Bosio23. Fabrizio Ferla attesta a Luigi

Fasce i lavori all’altare della Santissima Annunziata di Ovada testimoniati al 15

aprile 173624. A Novi Ligure viene attestata la presenza del Fasce nella chiesa

di San Pietro25 rilevata dalla documentazione dell’archivio parrocchiale per la

realizzazione della Cappella del Crocefi sso (fi g. 3) costituita da statue di legno e

gesso e altresì nel 1756 (pochi anni prima della scomparsa) viene eff ettuato un pagamento ad un signor Luigi di Ovada per la realizzazione della statua di San Pietro

20. Archivio, Registro de’ mandati 1716-1751, 1742.

21. Cfr. Arditi 2006, pp. 125-126.

22. Cfr. Sanguineti 2005, pp. 117-118.

23. Cfr. Cervini 2005, p. 61.

24. Ferla 2005, pp. 30-43.

25. Cfr. Donato 2012, pp. 19-20, n. 29, pp. 90-91.

3. L. Fasce e bottega, Cappella del Crocefi sso, legno e gesso, 1728-54, Chiesa di San Pietro, Novi L.

40

4. L. Fasce, San Pietro, gesso, 1756, Chiesa di

Sant’Andrea, Novi L.

nel coro della Parrocchia di Sant’Andrea (fi g. 4)26. Sia le statue della Ceppella del Crocefi sso di San Pietro sia la statua di

San Pietro dell’altare della chiesa di Sant’Andrea possono essere stilisticamente accostabili, nella postura classicheggiante

delle forme, mentre molto diff erenti e pregne di maggior tensione manieristica sono il San Bartolomeo e il Sant’Andrea

dell’omonima chiesa.

Il Libro di Cassa del 1738 della Confraternita attesta il lavoro per le cappelle e le statue di Nostra Signora della Guardia

(fi g. 5) e dell’Umiltà (fi g. 6) della chiesa della Santissima Trinità di Luigi Fasce e del fi glio Lazzaro che egli aveva avviato

alla professione di scultore27. Diversa la vicenda delle statue e degli stucchi dell’altar maggiore. Non solo l’osservazione

delle statue, cariche e guizzanti di vitalità barocca, molto diff erenti dalla classica e serena fattura delle sculture dei due altari

laterali, ma anche alcuni studi locali ci permettono di attribuirne ad altro stuccatore la realizzazione. Mario Cresca proprio

a proposito del Fasce e del Beretta infatti ci illustra una vicenda alquanto singolare avvenuta esattamente l’anno succesivo.

Lo studioso riporta un elenco di carte documentarie catalogate nel 1811: in tale lista al n. 188 viene rubricata una carta del

31 agosto 1739, un anno esatto dopo la realizzazione delle cappelle, che tratta l’affi damento di lavoro ad Antonio Beretta

per eseguire una reincorniciatura di adattamento alla sacra immagine dell’altare maggiore. Per un confacente adattamento

alla parete di fondo occorreva una nuova incorniciatura per il dilatamento delle dimensioni: il Beretta secondo la carta

d’ordinazione per il compenso di L. 500 deve provvedere a tutto quanto viene richiesto per un corretto lavoro, facendo

eseguire un nuovo riquadro e murarlo assoldando maestri e garzoni e ad ingaggiare un qualsiasi pittore che potrebbe essere

anche un suo cugino di Pavia, ma non tal Luigi Fasce28. Avendo ora la possibilità di confrontare i due incarichi a distanza

di un anno esatto per l’assetto delle cappelle e dell’altare, possiamo dedurre che qualcosa sia accaduto nel rapporto tra i

confratelli e il Fasce. Cresca, non avendo visionato il documento del 1738, ipotizza un’antipatia preconcetta, mentre in

realtà il veto al Fasce era il risultato di un rapporto già avviato e probabilmente non soddisfacente per le parti.

L’impegno della Confraternita prosegue l’anno seguente, nel 1740. In una nota delle spese fatte dai deputati per l’ancona

e i quadri principiata l’anno 1739, 29 agosto e terminato l’anno suddetto (1740)29.

In tale nota l’incarico a Francesco Campora per due quadri (Mater Divinae Providentiae e San Carlo Borromeo, cat. II. 4 e 5) a fronte del pagamento di L. 800,

il concomitante acquisto per L. 22 di oltremare, delle tele e dell’imprimitura per L. 39,16 e di una maschera di San Carlo da Milano per L. 1,4; un impegno

economico nel complesso molto corposo di L. 1.605,6 per cui si procede immediatamente alla “raccolta fondi” tramite deputati e sindaci.

Giovan Battista Chiappe lavora per la prima volta per la Confraternita nel 1743 (nota del 30 luglio) quando viene pagato L. 20 per agiustar, ovvero restaurare, uno

stendardo e ancona: probabilmente restaurò l’ancona esistente. Dieci anni dopo gli venne commissionato l’incarico per la realizzazione del Mistero della Santissima

Trinità (cat. II. 6) per l’altare maggiore30.

Per quel che è stato possibile trarre dalle documentazioni, questo fervente periodo di rinnovamento si conclude nella seconda metà del Settecento nell’assetto attuale

dell’Oratorio e in ciò che ci rimane delle opere mobili realizzate. Come recita il cartiglio appeso sulla volta centrale tutti gli altari vennero consacrati nel 1750 per

decreto speciale di Papa Benedetto XIV31.

26. Cfr. F. Zanolli 1979, p. 31

27. Laguzzi, Bavazzano 2006, pp. 286-291.

28. Cresca 1994, pp. 61-66.

29. Archivio, Libro di Cassa 1707-1756, anno 1740.

30. Per la vicenda dell’incarico a Giovan Battista Chiappe per la realizzazione dell’ancona per l’altar maggiore si rimanda alla relativa scheda in catalogo (cat. II. 6).

31. “Tutti gli altari di questa chiesa ed Oratorio sono privilegiati cotidiani in perpetuo pel decreto speciale di ss. Benedetto XIV emanato nell’anno MDCCL alli XXVI di 7bre a favore de confratelli e

consorelle di questa Ven. Confraternita della SS. Trinita’ e de’ Pellegrini”.

41

L’Ottocento è sostanzialmente dedicato ad un’attività di conservazione

dell’esistente, con ripetuti interventi di stuccatura, muratura e restauri alle

ancone e alla statua da processione.

Attivo in questo senso il pittore Sansebastiano che interviene più volte sulle

ancone e sui quadri32.

Nel 1864 al pittore vengono pagate L. 50 per aver dipinto nr. 3 bandiere per la

processione33; nel 1871 in una nota di cassa per la cifra di L. 12 viene nuovamente

pagato per restauri al quadro Cena Domini. Quest’ultimo rappresenta un

ritrovamento notevole per lo studio sui dipinti della chiesa della Trinità. È il

primo e unico riferimento fi no ad ora accertato che ci informa della presenza in

chiesa nel 1871 del dipinto di Gio.Raff aele Badaracco Comunione degli Apostoli34

(fi g. 7)35.

Nel 1875 verrà ancora una volta chiamato ad intervenire per la cifra di L. 60 sul

gonfalone dei morti.

Non è specifi cato in queste note se si tratti del padre decoratore o del fi glio

scultore, ma ritengo di poter aff ermare che si tratti almeno nelle note del 1871

e 1875 dello scultore Michele Sansebastiano, confortata da una nota del 1872

tramite la quale viene incaricato il Montecucco con L. 26,50 per colorire gli

emblemi della Passione e ristorare nr. 4 quadri grandi: Sansebastiano studia e

lavora alla bottega del Montecucco di Gavi e l’intervento indistinto di botteghe

di scultori locali anche sulle opere pittoriche rientra nella normalità dell’epoca36.

Il riferimento del 1872 secondo il quale Montecucco interviene per colorire gli

emblemi della Passione potrebbe essere riferito alla croce lignea intagliata con

Arma Christi, ovvero con i simboli della Passione, esposta in mostra e oggetto

di studio (cat. II. 8).

Altresì sulla cassa processionale sono numerosi gli interventi ottocenteschi. Nel

1865 viene pagata l’ingente somma di L. 160 all’indoratore della ditta “Carlo

Magno” per restauri agli angeli della statua della Santissima Trinità, nonché alla

32. Vincenzo Michelangelo Sansebastiano (Novi Ligure 1852 – Genova 1908) scultore, giovanissimo

fu avviato dal padre pittore e decoratore, all’apprendistato artistico presso la bottega di Luigi

Montecucco a Gavi. Si iscrisse poi all’Accademia Ligustica di Genova di cui fu nominato nel 1898

Accademico di merito. Stabilitosi a Genova aprì uno studio che raggiunse una certa fama e partecipò

tra il 1871 ed il 1892 alle Esposizioni della Società Promotrice. A Novi realizzò la fontana con

un grazioso putto in via Roma davanti alla chiesa di San Pietro e le tombe Cambiaggio-Minetto,

Vernetti e Gambarotta. Sulla vita di Michele Sansebastiano, Castiglioni 1987, pp. 210-215.

33. Archivio, Libro di entrate e spese dall’anno 1864 al 1883, anno 1864.

34. Si veda la relativa scheda a p….

35. Archivio, Libro di entrate e spese dall’anno 1864 al 1883, anno 1871.

36. Castiglioni 1987, pp. 210-215.

5. L. Fasce, A. Beretta, Cappella di Nostra Signora della Guardia, 1738, Chiesa della Santissima

Trinità, Novi L.

42

rispettiva piramide37. La stessa ditta trasformatasi in Premiata Fabbrica di Arredi

Sacri Parodi Filiberto fu Carlomagno e fi gli interviene con un ulteriore restauro alla

cassa nel 1924, ricevendo la cifra di Lire 1.400 di cui è giunta sino a noi la relativa

fattura (fi g. 8).

Questo sino ad ora è ciò che è emerso dalle ricerche eff ettuate sulle carte e sui

documenti appartenenti all’archivio di questa Confraternita e molto si potrà

ancora scoprire per la storia della città nell’analizzare i libri delle sorelle e dei

fratelli, gli atti notarili, nonchè le entrate e le uscite del Monte frumentario.

Un ritrovamento importante che aggiunge notizie rilevanti per le ricerche e le

attribuzioni delle opere che, con questa mostra, vengono restituite alla città di

Novi.

37. Archivio, Libro di entrate e spese dall’anno 1864 al 1883, anno 1865.

6. L. Fasce, A. Beretta, Cappella dell’Umiltà, 1738, Chiesa della Santissima Trinità, Novi L.

7. Archivio, Libro di entrate e spese dall’anno 1864 al 1883, anno 1864

8. Sacri Parodi Filiberto fu Carlomagno e fi gli, ricevuta, 1924

43

44

La Trinità di Novi: trent’anni di tutela e un impegno per il futuro

Giovanni Donato

Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte

La volontà della Città di Novi Ligure di far luce sul patrimonio civico (in particolare la dotazione di tele del Sei-Settecento)

trae spunto da lavori di riqualifi cazione e restauro degli ultimi anni e da signifi cative novità documentarie che, pur soggette

alla verifi ca di ulteriori approfondimenti archivistici, meritano di essere presentate all’attenzione della critica.

Novi è terra di frontiera con una gloriosa storia culturale di aperture, sia verso lo stato di Milano e la pianura piemontese,

sia verso Genova. In particolare gli avvenimenti storici, nel Seicento con le fi ere di cambio (1622-1692) e nel primo

Settecento, quando diventa capitale del Governo dell’Oltregiogo (1716), hanno fatto della città una vera enclave genovese

nei territori di qua dai monti. Della cornice storica complessiva di questa vicenda e delle novità documentarie più

promettenti per il patrimonio artistico, danno ragione altri contributi presentati in questo catalogo, che riportano anche

proposte di orientamento attributivo; qui sono rimarcati gli aspetti più legati ai compiti istituzionali di tutela e alla relativa

documentazione d’archivio.

L’Oratorio della Trinità (fi g. 1) è uno dei tre maggiori di Novi che assicuravano alla città una meritata fama dell’arte anche

in ambito confraternale1: con i suoi spazi pensati, gli splendidi altari settecenteschi “alla romana”, gli arredi sorprendenti

–sia pure impoveriti come si vedrà–, costituisce uno dei tasselli qualifi cati dell’identità novese e non è casuale che sia stato

al centro di recenti operazioni di recupero. I quadri restaurati che oggi andiamo a presentare sono il risultato di queste

attenzioni, anche se i motivi di soddisfazione saranno pieni solo al momento in cui sarà garantita una totale funzionalità

dell’organismo architettonico, tale da consentire il ricollocamento stabile degli arredi.

La storia della Trinità (e di altri edifi ci confraternali novesi come la Misericordia) si presta bene a ricostruire le contraddizioni

in cui si dibatte la moderna conservazione dei beni culturali, a livello nazionale e locale, perché davvero non si può dire che

sia trascorsa sempre su binari pacifi ci e condivisi (testimone l’arch. Beppe Merlano che nell’ultimo trentennio ha dedicato

al complesso più di un intervento in qualità di studioso e professionista). Va premesso che l’Oratorio era arrivato ai tempi

recenti usurato ma pressoché integro dei suoi beni. Il passaggio di proprietà dalla Curia di Tortona al demanio comunale

nel 1983 non ha assicurato automaticamente la svolta che si attendeva.

Già nel 1960 (30 maggio) Noemi Gabrielli per motivate ragioni si esprimeva in termini assai lusinghieri sulla Trinità come

«uno degli esempi più signifi cativi ed originali dell’architettura settecentesca piemontese con infl uenze liguri ed il più

notevole della provincia di Alessandria», assieme al contiguo Oratorio, per concludere che «non possono essere modifi cati

nelle loro forme e nel loro aspetto originale e tanto meno demoliti». Tale dichiarazione lungi dal ritenersi pleonastica,

rispondeva in realtà alle preoccupazioni del rettore don Sereno il quale già in precedenza aveva richiesto sussidi e assistenza

per il grande gruppo in legno e cartapesta della Trinità, ormai inadatto ad essere portato in processione (lettera all’ispettore

onorario Pietro Lagostena del 1955).

1. Cfr. Merlano 1982; Cfr. Cavazza, 1967; Cfr. Cavazza, 1970; Cfr. Merlano, 1988.1. Interno dell’Oratorio della Santissima Trinità

45

Da allora la vicenda ha avuto sviluppi imprevedibili fi no ai drammatici

avvenimenti degli inizi degli anni ottanta e si è voluto darne una sintesi ragionata

in appendice2, non esaustiva ma fondata, nella sua burocratica scansione, sul

ritmo incalzante dei fatti e delle iniziative intraprese, sino ai giorni nostri.

Una stagione di restauri

Gli interventi compiuti sulla struttura della chiesa nell’ultimo decennio hanno

portato alla scoperta di alcuni tasselli fi gurativi, non eclatanti ma rivelatori

di epoche e campagne decorative non più documentate dalla rivisitazione

settecentesca del complesso3. Nel corso dei lavori compiuti tra il 2003 e il 2005,

era emerso sul lato di controfacciata un frammento di scena recante la fi gura

di un pastore con la pecora, le mani di un musico, altri due volti di profi lo

di pastori (fi gg. 2-3). Si tratta di una fase sconosciuta riferibile forse al tardo

Cinquecento o inizio Seicento.

Nel corso degli stessi lavori, un frammento di aff resco posto all’esterno della

chiesa sul lato N è stato staccato e trasportato su supporto con il contributo del

Lions Club di Novi Ligure (2003-2004). La porzione recuperata presenta quattro

fi gure maschili a fi anco di una cavalcatura, al di sotto della quale compaiono una

scritta e uno stemma - per la cui interpretazione si riamanda al contributo di

Anna Orlando - e documenta una campagna relativamente più tarda. Lo stacco

eseguito da Barbara Poggio (Alessandria) si è reso necessario in quanto la sua

conservazione in loco non era consentita dalla tempistica degli interventi edili.

Il frammento era coperto da scialbo, schizzi di cemento e vari strati di polvere e

depositi superfi ciali. Erano visibili numerose crettature e crepe fra gli intonaci.

La pellicola pittorica risultava abrasa e lacunosa con diff use perdite di colore e di

superfi cie dipinta. Si è proceduto pertanto con la rimozione meccanica degli strati

di scialbo, la pulitura della superfi cie con acqua deionizzata e spugne naturali, la

pulitura a vapore e mediante impacchi di sepiolite e ammonio carbonato; quindi

con la stuccatura provvisoria a gesso scagliola di crepe e fessurazioni.

Dopo il parziale fi ssaggio della pellicola pittorica, l’applicazione del bendaggio

di sostegno e l’allestimento della controforma in legno hanno reso possibile il

distacco della pittura per mezzo di martellinatura e sciabole.

Le operazioni sono proseguite a tergo con assottigliamento dell’intonaco con

2. Appendice I, Compendio della corrispondenza e dei provvedimenti a tutela della Trinità di Novi.

3. Si veda il saggio in catalogo di Anna Orlando.

2 - 3. Dettagli degli aff reschi in controfacciata,

chiesa dell’Oratorio della Santissima Trinità,

fi ne secolo XVI (?)

46

raspe e mole, consolidamento con resina acrilica, stuccatura delle discontinuità con malta a base di grassello di calce,

sabbia e resina acrilica. In tal modo si è potuto procedere all’adesione della tela di supporto in vetro resina e alle operazioni

fi nali: pulitura della pellicola pittorica dai residui di colla, rimozione della stuccatura provvisoria in gesso e reintegrazione

pittorica a selezione cromatica, a sottotono con colori ad acquerello.

Il restauro delle tele depositate a Brescia (fi gg.4-9)

Le tre tele ricoverate a Brescia presso il laboratorio di restauro di Gian Maria Casella (ridotte a due dopo l’ultimo

intervento) sono state oggetto di un primo intervento rispondente alle canoniche operazioni di restauro conservativo. Nel

1986 fu la volta del Dio Padre con angeli portacroce (cm 200 x 275) (cat. II. 2), nel 1989 della tela rubricata sotto il titolo

convenzionale di Soggetto sacro con quattro fi gure (cm 200 x 195), entrambi restauri condotti con fi nanziamenti ministeriali

sotto la direzione lavori di Carla Enrica Spantigati; infi ne nel 1994 fu il turno della grande tela della Comunione degli

Apostoli (cm 200 x 350) (cat. II. 1) con fi nanziamento ministeriale capitolo 2102 del 1993 (direttore Alessandra Guerrini).

L’intervento conclusivo sui dipinti è questione degli ultimi anni (tra 2011 e 2012: direttore Giovanni Donato), con

contributo risolutivo della Compagnia di San Paolo.

Da Brescia le tele ritornano per la prima volta a Novi per questa occasione espositiva (e per una restituzione defi nitiva

alla città) con attribuzioni importanti a Giovanni Raff aele Badaracco (Genova 1648-1717), per rapporto con la scena

dell’Istituzione dell’Eucarestia nell’Oratorio di Santa Maria Incoronata di Genova Cornigliano4. Rimangono dubbi sulla

loro provenienza e sul periodo di approdo alla Trinità di Novi (ante 1871), anche se Orlando e Vignola suggeriscono

altre attribuzioni a Badaracco in città lasciando intravedere una presenza della bottega di una certa consistenza, dopo

l’attestazione cinquecentesca dei Semino e forse della ditta Semino-Piaggio di cui si riferisce in altri contributi in questo

volume (ricordo per inciso il restauro recente e la valorizzazione di una splendida maiolica di produzione savonese, presente

a Tassarolo, ispirata in qualche misura dalle composizioni Semino-Piaggio) (fi g. 10)5 e la vitalità mediosecentesca nel basso

alessandrino dei Carlone, particolarmente di Giovanni Battista (fi g.11)6. Per restare sul tema della bottega dei Badaracco, i

restauri recenti hanno già riservato una suggestiva sorpresa nella tela con Trionfo della Fede della Collegiata di Novi, fi rmata

da “D.CUS: BADARACVS” con la data 1699 (fi g. 12)7, che pone una seria ipoteca di identifi cazione dell’autore con un

altro fi glio, innominato, di Giuseppe, di cui tuttavia conosciamo la qualifi ca di pittore.

Un primo intervento sulle opere fu programmato fi n dal 1° ottobre 1985. In tale data Giovanni Romano affi dava i dipinti

a Brescia per un’operazione strettamente conservativa, atta a recuperare i supporti (foderatura) e la materia della superfi cie

pittorica (fi ssaggio e pulitura del colore). Questa prima fase dei lavori, come si è già osservato, era destinata a essere

dilazionata nel tempo in base alla disponibilità di fi nanziamenti.

Le tele degli Apostoli in origine facevano parte di un unico dipinto che nel corso del tempo, per cause sconosciute, fu

tagliato con conseguente separazione delle due parti. Circa a metà Ottocento furono ricongiunte in orizzontale ma dal

lato non corretto (il tassello minore sulla destra anziché a sinistra). Al momento della rimozione dalla Trinità si preferì

4. Cfr. Vignola, 2011, pp. 24-39; Cfr. Donato 2012, pp. 17-18, n. 35.

5. Donato, 2012, pp. 137-145; Donato,Vaschetti, in Un capolavoro della maiolica ligure cinquecentesca nell’Oltregiogo, 2013, pp. 179-192.

6. Donato, 2012.

7. Donato, 2012, pp. 17-18, n. 35, scheda 20.

47

4 - 6. G.R. Badaracco, Padre Eterno con angeli portacroce, Comunione degli Apostoli, prima del restauro

48

7 - 9. G.R. Badaracco, Padre Eterno con angeli portacroce, Comunione degli Apostoli, durante e dopo il restauro

49

separare e foderare autonomamente le due tele, in attesa di ulteriori decisioni che

sono maturate a partire dal 2007 –per i primi ragionamenti– con il rimontaggio

conclusivo di un unico grande telero e la necessaria messa a punto delle

metodologie d’intervento per la saldatura tecnica e iconografi ca, non agevole,

delle due parti (e più in generale per la restituzione estetica del dipinto). Le

dimensioni fi nali della Comunione degli Apostoli risultavano pertanto essere cm

205 x 550.

Il dipinto aveva subito presumibilmente nell’Ottocento un restauro disastroso.

Era stata eseguita una drastica pulitura, e siccome si presentavano numerose

cadute di colore, era stato prima stuccato con mastice durissimo e debordante

e poi completamente ridipinto con colori a olio che avevano alterato la cromia

originale. Inoltre nella parte bassa la tela presentava tre grandi buchi. Il telaio

tarlato e mal ridotto non risultava più atto a sostenere l’opera.

Si è proceduto con il doppio fi ssaggio totale del colore a freddo, la rimozione

completa di tutti gli strati delle vecchie ridipinture e stuccature, in parte con

emollienti ed in parte a bisturi fi no al rinvenimento del pigmento originale;

quindi con l’inserimento di elementi di tela integrativa nei grandi buchi,

l’applicazione di fasce perimetrali di rinforzo, la doppia foderatura in tensione con

tele di canapa e lino e con colle reversibili; la predisposizione di un nuovo telaio

in legno stagionato-mobile, concepito a fi bre invertite ed impermeabilizzato ai

siliconi; il montaggio della tela sul nuovo telaio e l’applicazione di una prima

verniciatura di protezione.

Il Soggetto sacro con quattro fi gure si presentava ugualmente in condizioni

estreme per i disastrosi interventi del XIX secolo: completamente off uscato

per la presenza di uno strato spesso di polveri grasse miste a vernici indurite e

ossidate, ma soprattutto per la totale stuccatura e ridipintura eseguite nel corso

del restauro ottocentesco. In particolare l’operazione di stuccatura, atta a coprire

i moltissimi danni della tela, oltre a risultare debordante sul colore originale

fu eseguita in modo rudimentale, utilizzando non l’ideale composto reversibile

di gesso e colla, ma un impasto di olio e cementite che nel tempo si è andato

ossidando e pietrifi cando. La tela rimaneva molto allentata, segnata da borse

e da sollevamenti a cresta, mentre il telaio era inutilizzabile. Dopo un iniziale

intervento di fermatura a freddo del colore pericolante si è proceduto ad un completo fi ssaggio della superfi cie pittorica, sono state rimosse le polveri grasse, le

vernici rigide e ossidate, i ritocchi e le ridipinture, mentre le vecchie stuccature pietrifi cate sono state asportate in modo meccanico a bisturi. Smontata la tela dal

vecchio telaio, sono state applicate fasce perimetrali di tela fi ne, per poter tendere la tela stessa, permettendo il ritorno del colore sollevato nella sua sede originaria.

Dopo un’infi ltrazione di sostanze fi ssanti-isolanti si è proceduto alla doppia foderatura, utilizzando tela di canapa e tela di lino fi ne e medio-grossa, unitamente a

colla speciale antimuff a. Ultimata la delicata pulitura, si è potuto recuperare la cromia originale, anche se fortemente debilitata dalla pulitura forzosa degli interventi

10. Agostino Grixo e Bartolomeo Trulla, Cristo

Crocefi sso tra i santi Sebastiano e Rocco, Tassarolo,

San Rocco

11. G.B. Carlone, Pala dei santi protettori

Rocco e Sebastiano, San Cristoforo, parrocchiale

12. “D. Badaracco”, Allegoria della Fede, Collegiata di Santa Maria Maggiore, sacrestia, 1699, dettaglio

della fi rma

50

pregressi e dalle diff use cadute di colore.

Quindi la tela è stata montata su di un nuovo telaio, dotato di espansori

meccanici e costruito con legno tagliato in fi bre invertite e impermeabilizzato

con silicone. Infi ne il dipinto è stato verniciato con vernice mastice sopraffi na.

L’ultimo intervento ha portato alla ricomposizione del dipinto smontando

i due telai. Con l’ausilio di fasce perimetrali di rinforzo le due sezioni sono

state “agganciate” fra loro con un minuzioso lavoro “fi lo a fi lo” e congiunte.

Successivamente è stata realizzata una foderatura per il rimontaggio su di un

nuovo telaio. Sia per il dipinto ricomposto che per il Padre Eterno è stata eseguita

una stuccatura di base delle lacune più profonde, una seconda stuccatura a

pennello di tutte le lacune e microlesioni, infi ne la stesura testurizzante per

riprodurre la texture del colore originale, favorendo una buona riuscita del

ritocco pittorico.

Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, le piccole lacune sono state chiuse

a tono, mentre le grandi sono state trattate con un tratteggio intensifi cato, ben

riconoscibile a distanza ravvicinata, capace di permettere una corretta lettura

storica ma anche di creare un armonioso eff etto d’insieme. Infi ne si è dedicata una

particolare cura alle parti fi gurate, utilizzando sempre il tratteggio ed evitando la

chiusura mimetica. Al termine è stata stesa una verniciatura equilibrata.

La Crocifi ssione con i santi Sebastiano e Rocco (fi g.13-14) (cat. II. 3)

Due tele legate da trent’anni alle alterne vicende dei rapporti tra Novi e gli organi

statali di tutela, sono alla base, in un intreccio inestricabile con la vicenda degli

arredi della Misericordia – dipendente, come la Trinità, dalla parrocchia di San

Niccolò –, di una polemica dai tratti duri e francamente incomprensibili (anche

vista a distanza di tempo e con gli occhi di chi non è stato tra i protagonisti della

vicenda). Non si intende qui ripercorrere sul versante della Misericordia questi

tratti – che pure servirebbero a ridefi nire il principio di una sana memoria storica

ad uso in particolare dei più giovani – se non per gli sviluppi attuali che attengono

alla tutela dei beni in oggetto. A prescindere dunque dalla vicenda nota della

indebita alienazione di tele del complesso della Misericordia, per la quale si attivò

una lunga e non indolore vicenda giudiziaria, la prima menzione di due tele “scorporate” di provenienza novese è contenuta in una dettagliata relazione di Marie

Ighina, ispettore onorario della zona, datato Ovada 16 novembre 1981. Ighina riferiva di un lungo colloquio esplorativo condotto con il parroco di San Niccolò,

don Ezio Gatti, al contempo rettore della Confraternita della Trinità. Le due tele non erano purtroppo specifi cate nelle rispettive iconografi e ma si dichiarava che

erano “collocate nella chiesa della SS. Trinità di cui il Sacerdote era Rettore”. Don Gatti ebbe modo di esprimere perplessità sulla priorità del loro restauro, che

avrebbe dovuto essere eseguito con fondi ministeriali, adducendo il fatto che l’edifi cio richiedeva interventi strutturali e che pertanto sarebbe trascorso lungo tempo

13. G. L. Bertolotto (attr.), Crocefi ssione con i santi Sebastiano e Rocco e la città di Novi sullo sfondo,

prima del restauro

51

prima che i dipinti potessero tornare «di pubblico godimento». Delle due tele

(che fi nalmente possiamo qualifi care come un Cristo Crocefi sso tra Santi e una

Pietà) si riparla nel 1983 per la possibilità di un ricovero presso il laboratorio di

restauro della Soprintendenza di Torino, in vista di un restauro da avviarsi con

i necessari tempi burocratici della pubblica amministrazione. Il funzionario di

zona Carla Enrica Spantigati si rivolge al nuovo parroco don Gugliemo Giani

ricordando che sono state da lui “recentemente recuperate abbandonate nei

locali della Confraternita della Trinità” (e quindi ricoverate presso San Niccolò).

Il profi lo si va pertanto defi nendo in termini più precisi e delle tele si rilascia

quietanza di accettazione da parte della Soprintendenza in data 20 settembre

1983. L’occasione della querelle innescata nel 2000 sulla stampa novese, circa la

“sorte” di alcune tele ritirate dalla Soprintendenza per motivi di sicurezza e non

ancora restituite, è colta dall’uffi cio torinese per dichiarare uffi cialmente che la

Crocefi ssione (cm 167,5X120) proviene dalla Trinità ed è stata restaurata tramite

il laboratorio di restauro della Soprintendenza; non altrettanto possiamo dire

della piccola Pietà che risulta appartenere, almeno nel 1973, alla Confraternita

della Misericordia (come documentato da foto Aprato di quell’anno).

Pur in un contesto problematico che induce a grande cautela, possiamo

aff ermare che la sia pur scarna documentazione conservata agli atti, soprattutto

quella originaria relativa ai primi anni Ottanta, unitamente alla memoria diretta

di alcuni protagonisti della storia recente della Soprintendenza, dimostra con

suffi ciente precisione la provenienza della tela della Crocefi ssione dal contesto

novese e precisamente dalla Trinità. Pertanto è in fase conclusiva la defi nizione

della pratica di restituzione dell’opera alla città di appartenenza.

L’occasione di esporla e studiarla per questa mostra ha consentito di avanzare

da parte di Anna Orlando un’attribuzione di paternità al pittore genovese Gian

Lorenzo Bertolotto (cat. II. 3).

L’intervento di restauro del dipinto è stato eseguito in due fasi presso il

Laboratorio di restauro della SBSAE-Piemonte. L’intervento del 1990 condotto

da Pietro Piazza (foderatura e pulitura) è stato recentemente rivisto e completato

nel 2001, sotto la direzione lavori di Paola Astrua, da Enrica Carbotta (alla

collega, che ringrazio, devo le brevi indicazioni qui riportate).

Il dipinto a olio su preparazione rossa era ricoperto da spessi depositi di polveri

sedimentate e vernici alterate, con deformazioni e difetti di adesione, cadute diff use

e sollevamenti di colore e preparazione. Il dipinto è stato sottoposto a foderatura,

eseguita a colla pasta, e quindi tensionato su nuovo telaio ligneo con crociera 15 G.B. Chiappe, Mistero della SS. Trinità,

dettaglio (in corso di restauro)

14. G. L. Bertolotto (attr.), Crocefi ssione con

i santi Sebastiano e Rocco e la città di Novi sullo sfondo, dettaglio di San Rocco a restauro

terminato

52

ad espansione. La pulitura, condotta

a tampone con l’utilizzo di miscele

di solventi organici preventivamente

testati, ha comportato la rimozione

delle vernici ossidate e dei ritocchi

localizzati. Le stuccature sono state

eseguite con colla di coniglio e gesso di

Bologna. L’integrazione delle lacune è

stata eseguita a tratteggio con colori ad

acquerello e a vernice, con verniciatura

fi nale.

Il Mistero della SS. Trinità di

Giovanni Battista Chiappe (fi g.15)

Chiude in ordine cronologico

il restauro recentissimo (2012 -

2013) della tela dell’altare maggiore

con il Mistero della SS. Trinità,

commissionata al novese Giovanni Battista Chiappe nel 1753 e collocata nel 1756 come conferma la scritta presente sul

telaio. L’intervento è stato curato dal Laboratorio delle Scuole Pie di Genova. Dopo la canonica rimozione dello strato

di sporco e della ridipintura rossa sulla veste di Cristo, si è proceduto ad asportare gli accumuli di vernice ossidata e gli

stucchi debordanti sul colore originale. Le operazioni successive hanno comportato lo smontaggio del telaio e la pulitura

del verso della tela, la rimozione di tele perimetrali, il consolidamento degli strati pittorici dal retro, il tensionamento su

nuovo telaio con angoli estensibili; quindi stuccatura delle lacune con gesso di Bologna e colla di coniglio e loro imitazione

di superfi cie, reintegrazione pittorica delle lacune a spuntinato.

Con il restauro del quadro di Chiappe arriviamo ai margini più recenti del “dossier Trinità”, considerando però che la

“fabbrica” dell’Oratorio è tutt’altro che esaurita e vede, fra le iniziative in corso, l’avvio del recupero della grande statua in

cartapesta e legno della Trinità, la cui attribuzione a Paolo Serra e Pio Mario Bovone (1709) (fi g.16) viene presentata da

Chiara Vignola in catalogo.

16. P. Serra, P. M. Bovone, Il Padreterno, cassa processionale in cartapesta, 1709, dettaglio

53

Appendice I

Compendio della corrispondenza e dei provvedimenti a tutela della Trinità di Novi

a cura di Giovanni Donato

Torino, Archivio Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantroplogici del Piemonte

Oratorio della SS. Trinità, Oratorio della Misericordia.

-Prot. 1790 del 21 giugno 1955

Il cav. prof. Pietro Lagostena scultore e ispettore onorario su pressione del canonico don Mario Sereno, rettore

dell’Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini, segnala alla Soprintendenza per un sussidio il gruppo plastico della

Trinità «opera insigne del Seicento in legno e cartapesta dipinta». Si segnala che circa trent’anni prima «fu riparata da un

artigiano di poca capacità e scrupolo» per cui «così com’è non è opportuno scortarla per le vie della città in processione.

Per rimettere in sesto detta opera occorre rifare tutta l’intelaiatura di legno, sia della cassa che del gruppo […] portare la

modellazione e la pittura a quell’intonazione e armonia tipica dell’epoca» (la somma necessaria, di massima, è stimata in

L. cinquecentomila).

La Comunione degli Apostoli negli anni ottanta appena rimossa dalla Trinità (Archivio SBSAE-Piemonte)

54

-Prot. 986 del 5 aprile 1960

Il canonico don Mario Sereno segnala i suoi timori in merito «a sondaggi od al tentativo di una possibilità di abbattere

questa magnifi ca chiesa settecentesca». Il soprintendente Noemi Gabrielli risponde prontamente per una ispezione,

richiedendo documentazione fotografi ca (interni ed esterni della chiesa e gruppo della Trinità).

-Prot. 1444 del 30 maggio 1960

Il soprintendente Noemi Gabrielli provvede in tempi rapidissimi a informare le autorità competenti per territorio che

la Trinità è «uno degli esempi più signifi cativi ed originali dell’architettura settecentesca piemontese con infl uenze liguri

ed il più notevole della provincia di Alessandria», assieme al contiguo Oratorio rivestito parimenti di stucchi, aff reschi e

stalli lignei, per concludere che «non possono essere modifi cati nelle loro forme e nel loro aspetto originale e tanto meno

demoliti».

-Prot. 1606 del 4 settembre 1974

Si segnala da parte di cittadini di Novi e tramite l’ispettore onorario Marie Ighina la sparizione di parti di arredi lignei della

confraternita (la diatriba dura almeno dal 1973 e coinvolge don Mario Sereno e i sopralluoghi del funzionario di zona

Giovanni Romano, con recupero di un confessionale e del pulpito).

-Prot. 1890 del 5 agosto1980

Si risponde negativamente alla richiesta di don Ezio Gatti parroco di San Nicolò di poter alienare l’arredo ligneo della

chiesa della Trinità (in particolare un confessionale e il coro ligneo dell’aula di confratelli) per contribuire a spese di

rifacimento del tetto della chiesa.

-Prot. 1344 del 28 marzo 1981

A seguito delle segnalazioni dell’arch. Merlano il Comune di Novi dettaglia lo stato di precarietà sempre più allarmante

delle strutture, a seguito delle infi ltrazioni d’acqua che hanno già determinato crolli parziali di volta. Si tratta del preludio

a una stagione di gravi danneggiamenti a tutto l’organismo, con avvio di un vorticoso programma di sopralluoghi,

riunioni e carteggi, protagonisti il comune, la diocesi, la soprintendenza attraverso l’azione del funzionario di zona Carla

Enrica Spantigati, del soprintendente reggente Rosalba Tardito Amerio e del soprintendente per i Beni Architettonici e

Paesaggistici, Liliana Pittarello).

-Prot. 4221 del 11 luglio 1984

A seguito dell’ispezione in data 6 luglio 1984 si richiamano il parroco don Guglielmo Giani e il Comune di Novi Ligure,

d’intesa con la Soprintendenza e con il sussidio del Ministero per i Beni Culturali, al rispetto degli impegni, dopo le

proposizioni rimaste inevase della mostra- programma del 1982 tenuta al Teatro Romualdo Marenco (con apparato critico

di Beppe Merlano) per lo sviluppo di un progetto complessivo di recupero della Trinità. La citata verifi ca ha evidenziato «il

desolante abbandono in cui versa l’edifi cio», aggravato dal parziale crollo avvenuto nel giugno 1982 della volta aff rescata

55

posta a copertura dell’aula di riunione dei confratelli (fi ne XVII secolo). In quello stesso mese il parroco dichiarava

l’intento di alienare la chiesa già avallato dalla Curia Vescovile di Tortona.

-Prot. 5377 del 14 settembre 1985

Perviene all’Uffi cio della Soprintendenza dalla Città di Novi Ligure copia conforme del contratto di permuta tra il Comune

(nella persona del sindaco pro tempore Armando Pagella) e la Parrocchia di San Nicolò (il parroco don Guglielmo Giani,

rettore della confraternita) datato 25 febbraio 1985:

«All’art. 4- Nella cessione dell’immobile è compresa la proprietà dei seguenti beni mobili situati all’interno:

-bussola d’ingresso in legno composto da tre aperture, la centrale a due ante e le laterali ad anta unica

-oleografi a con cornice raffi gurante la Sacra Famiglia (XIX sec.)

-organo (sec. XVIII) nella cui balaustra i pannelli di tamponatura sono in compensato

-due dipinti ai lati dell’organo

-mensola in legno (XIX sec.) sostenente statua in gesso di S. Antonio e candeliere elettrico a quattro fi amme

-tela con cornice raffi gurante l’ultima Cena (XVIII sec.)

-oleografi e raffi guranti S. Rita (XIX e XX sec.)

-tela con cornice (XVIII sec.)

-due tele raffi guranti stemmi di famiglie nobiliari

-mensola in legno sostenente statua in gesso del Sacro Cuore

-composizione in gesso e stucco con due statue laterali posta all’altare della Madonna della Guardia

-composizione in gesso e stucco con due statue laterali racchiudente olio su tela con cornice dorata posta sull’altro altare

laterale

-altare maggiore a tarsie marmoree

-balaustra intarsiata a mano

-due tele con cornice dorata

-retroaltare contenente composizione in stucco o gesso. Olio su tela completo di cornice dorata (G. B. Chiappe XVIII). E

pochi elementi in legno degli arredi del coro.

Aula riunione dei confratelli:

-stalli lignei (sec. XVIII) mancanti di alcune cimase

-alcuni pannelli decoranti gli inginocchiatoi

-bussola d’ingresso in legno (sec. XX)

-statua della Trinità in cartapesta

-struttura portante di pulpito, mancante di pannelli

-confessionale ligneo mancante di ante (sec. XVIII)

-sopraporta in olio su tela (sec. XVIII) in supporto di stucco

-due portacandele in legno.

Sacrestia:

56

-lapide marmorea con iscrizione, murata

-tavola in legno

-oleografi a con cornice (sec. XIX)

-sopraporta con cornice».

All’art. 6 «Il Comune di Novi Ligure si obbliga a rimuovere a proprie spese le quattro campane attualmente esistenti

sulla torre campanaria della Chiesa della SS. Trinità ed a provvedere al trasporto di n. 3 di esse presso la parrocchia ed

all’installazione della quarta sul campanile del centro religioso situato in zona GIII del P.E.E.P. di cui allegato “C” al

presente atto».

In allegato:

«Si dichiara che i dipinti raffi guranti:

-L’ultima cena (lato nord),

-Padreterno e angeli (?) (lato nord),

-2 dipinti con stemmi (ai lati dell’organo);

-2 dipinti con stemmi (lato nord),

-Madonna con Bambino e angeli (altare lato nord),

-Deposizione (a lato dell’altare maggiore - parete nord),

-Santo Vescovo (?) (a lato dell’altare maggiore - parete sud),

-La Trinità (dietro all’altare maggiore);

siti nell’Oratorio della Trinità sono pervenuti insieme ad altri oggetti e arredi dell’Oratorio stesso (1 organo, stalli dell’aula di

riunione della confraternita, statua della Trinità, croce in legno) in possesso del Comune a seguito del contratto preliminare

di permuta stipulato tra il Comune e la parrocchia di S. Nicolò in data 25.2.85, approvato dal Consiglio Comunale con

deliberazione n° 262 del 4.12.84 e autorizzato preventivamente dalla Curia Vescovile di Tortona in data16.2.85.

Novi ligure, lì 11.9.1985».

- Prot. 6517 del 2 novembre 1985

Dichiarazione di scomparsa di tela con stemma nobiliare (cm 100x70) già sulla parete ovest dell’Oratorio a destra

dell’organo.

- Prot. 2967 del 5 maggio 1986

Pronto intervento alla Trinità, dopo il parziale crollo avvenuto nel giugno 1982 della volta aff rescata posta a copertura

dell’aula di riunione dei confratelli.

Si prende atto dell’impossibilità di restaurare sul posto e si ripristina solo la volta.

Si ricorda che nel mese di ottobre 1985 sono state allontanate le tele dalla chiesa, nel mese di novembre è avvenuto lo

smontaggio della parte meccanica dell’organo, nell’aprile 1986 lo spostamento di un sovrapporta e della boiseries dell’aula

57

di riunione dei confratelli.

Tele e altri elementi vengono ricoverati presso l’ex convento delle Clarisse di Novi. Nell’Oratorio rimangono da rimuovere

la statua della Trinità in papier mâché e alcune panche.

L’anno 1986 risulta cruciale e fi ttissimo di appuntamenti per gli sforzi di conservazione del complesso.

- Prot. 6734 del 9 ottobre 1986

Il soprintendente Giovanni Romano e Carla Enrica Spantigati, funzionario di zona, nel ribadire l’urgenza degli interventi

sulla volta dell’aula dei confratelli «pena la perdita totale delle fi gure eseguite con la tecnica del mezzo fresco (fattore anche

questo che sollevava non poche diffi coltà tecniche)» dichiarano la necessità di «procedere allo strappo, reso necessariamente

solo parziale (due fasce con angeli in prossimità della zona crollata) dallo stato disgregato della superfi cie cromatica». Si

registra al contempo «la viva soddisfazione nell’aver visto procedere i primi urgentissimi interventi che, già nel proporre

una situazione meno drammatica del complesso, fanno sperare per una sia pur lenta e graduale soluzione positiva di

insieme, con la fi ducia del recupero delle notevolissime fi gure allegoriche in stucco agli altari, il riordino delle tele relative,

il restauro dell’importante organo ottocentesco e della boiserie dell’Aula. A proposito delle tele si comunica che è stata

verifi cata dalla dott.ssa Spantigati l’avvenuta esecuzione del primo lotto di restauro conservativo su uno dei due dipinti [si

tratta dell’Eterno in gloria] a suo tempo ritirati presso il Laboratorio di G. Casella d Brescia (restauro eseguito con fondi

assegnati dal superiore Ministero a questa Soprintendenza». Nel contempo si prendono impegni per proseguire la ricerca di

fondi pubblici per il restauro conservativo del secondo dipinto la Comunione degli apostoli (lavori ultimati dal Laboratorio

Casella nel novembre 1994).

- Prot. 7063 del 21 ottobre 1986

Una relazione tecnica a fi rma dell’arch. Merlano informa sullo stato della volta dell’aula dei confratelli, fotografando la

gravità della situazione. Il laboratorio di Guido Nicola di Aramengo ha eff ettuato una prima lettura della quantità di

umidità presente sulla volta dove la consistente formazione di sali limita alquanto la possibilità di eff ettuare degli stacchi

di dipinti. Vengono individuate alcune zone limitate dove è possibile intervenire, ne nasce lo stacco di una porzione di

cornice e altra con Putti portacroce.

- Prot. 7739 del 21 ottobre 1988

La Società Rava comunica l’ultimazione dei lavori condotti nei mesi di agosto-settembre 1988. Tali lavori hanno riguardato

le decorazioni in stucco settecentesche, in particolare metà dell’altare sinistro (consolidamento, pulitura, presentazione

estetica) con estensione di tasselli di pulitura delle specchiature di fondo della chiesa e delle lesene. L’intento è di svolgere

una campionatura al servizio di un più vasto progetto di pulitura e sistemazione dell’intera chiesa.

- Prot. 2039 del 14 marzo1989

Si autorizza il trasferimento delle campane alla chiesa parrocchiale di San Nicolò.

58

-Prot. 9659 del 12 ottobre 1990

Affi damento restauri a Mario Marzi di San Maurizio d’Opaglio (NO) con fi nanziamento ministeriale - cap. 2102 anno

1989, Perizia di spesa n. 37 del 20 ottobre 1988- per il restauro dell’organo dell’Oratorio della Trinità di Novi Ligure,

autore Tommaso Roccatagliata di Santa Margherita Ligure (1777).

- Prot. 8393 del 1 agosto1992

Si approva il progetto architettonico esecutivo ai sensi della legge 145/1992 (per interventi organici di tutela e valorizzazione

dei beni culturali) da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici e, per le parti di competenza, della

Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici.

- Prot. 13121 del 19 settembre 2003

Viene autorizzato alla restauratrice Barbara Poggio di Alessandria lo stacco del frammento di aff resco esterno (2 mq.

circa) «che non può venire restaurato sul posto per esigenze legate alla tempistica dei lavori di consolidamento della parete

settentrionale dell’edifi cio, ove il lacerto è stato ritrovato sotto gli scialbi». Rappresenta una scena con quattro personaggi

e un cavallo che sormonta uno stemma con iscrizione.

- Prot. 7337 del 19 maggio 2004

Aggiudicazione lavori alla ditta Terreni Gian Luigi di Parabiago per lavori alla cantoria e bussola della Trinità.

- Prot. 11291 del 14 ottobre 2010

Autorizzazione allo studio di Gian Maria Casella di Brescia del restauro delle tele Comunione degli Apostoli, Soggetto sacro

con quattro fi gure, Padre Eterno con angeli portacroce.

- Prot. 11619 del 29 novembre 2011

Autorizzazione al Laboratorio di restauro delle Scuole Pie (ditta Aurelia Costa) di Genova del restauro del gruppo in

cartapesta della SS. Trinità di Paolo Serra e Pio Mario Bovone.

- Prot. 5473 del 23 maggio 2012

Autorizzazione al Laboratorio di restauro delle Scuole Pie di Genova per una serie di analisi diagnostiche del restauro del

gruppo in cartapesta della SS. Trinità, in collaborazione con l’Istituto di Chimica e Chimica industriale dell’Università di

Genova (Dott.ssa Silvia Vicini).

- Prot. 8883 del 29 agosto 2012

Autorizzazione al Laboratorio di restauro delle Scuole Pie di Genova del restauro della tela con Mistero della SS. Trinità di

Giovan Battista Chiappe.

59

CATALOGO DELLE OPERE

Maddalena che rappresenta anche

l’unica Confraternita novese rimasta

in attività5. In via Gramsci è ubicato

l’Oratorio della Misericordia 6, mentre

in via Cavanna quello della Trinità7,

adiacente al quale, fi no al 1959,

era posta la chiesa di San Francesco

dipendente dal convento dei frati

Minori Osservanti8. In vicolo Asilo

Vecchio era situato, invece, l’Oratorio

della Santissima Annunziata9 e in via

Paolo Giacometti il monastero delle

madri Agostiniane10. In via Marconi,

il convento delle Francescane con

cappella dedicata a Santa Chiara è

stato recentemente trasformato in

polo culturale con sede della Civica

Biblioteca11 e in piazza Matteotti

sono ancora documentati gli edifi ci

del collegio dei padri Somaschi con

cappella dedicata a San Giorgio12.

In via Solferino era posto, invece,

il convento delle Carmelitane, oggi

trasformato in scuola materna, mentre

l’adiacente chiesa di Santa Maria del

Carmine è stata abbattuta nel 1799

dalle truppe napoleoniche13.

Beppe Merlano

ORATORI, CONVENTI E CAPPELLE, SIMBOLI URBANI E RIFERIMENTI CULTURALI DEL TRASCORSO DI NOVI

A partire dal secolo XV, il tessuto urbano

di Novi si arricchisce di innumerevoli

insediamenti per accogliere quelle

attività e quelle funzioni svolte da

istituzioni morali, confraternite,

congregazioni ed ordini religiosi che

la società del tempo riconosce come

componenti della vita comunitaria.

Pertanto, accanto alle abitazioni, alle

chiese ed agli edifi ci pubblici, sorgono

oratori, conventi e cappelle che si

distribuiscono nell’ambito urbano

occupando genericamente gli spazi più

periferici rispetto al cuore cittadino,

individuabile in piazza Collegiata.

La povertà di attestazioni storiche

attualmente in possesso non consente

di risalire alle date di fondazione di

questi insediamenti, che, attraverso

l’architettura delle loro sedi e

l’operosità degli aderenti alle svariate

compagnie e consorterie, hanno

contribuito sia a profi lare l’aspetto

urbano della cittadina sia ad animarne

la vita sociale fi no alla prima metà del

Novecento.

Sull’attuale via Cavour sorgeva fi no al

1952 l’Oratorio di San Bernardino1,

nelle vicinanze del quale è ancora

riconoscibile l’Oratorio di San

Giacomo, un tempo collegato al

vecchio ospedale2. In via Roma, nel

tratto più prossimo alla piazza XX

Settembre, era ubicato l’Oratorio dei

Sacerdoti Secolari dedicato ai Santi

Giovanni e Paolo3, mentre all’altezza

dell’attuale piazza Carenzi sorgeva

il convento dei Padri Gesuiti con

cappella dedicata a San Francesco

Saverio4. Con aff accio sull’attuale via

Abba, è invece ubicato l’Oratorio della

1. L’Oratorio di San Bernardino si sviluppava ad

unica navata e aveva due ingressi, uno sul fronte

principale e l’altro sul prospetto ovest. L’abside

occupava la parte di una delle torri della cerchia

muraria. Venne abbattuto per la precarietà delle

sue condizioni statiche. Cfr. Trucco 1901; Cavazza

1962; Cavazza 1970.

2. Dell’Oratorio di San Giacomo si hanno

notizie a partire dal secolo XV, ed aveva anche

la funzione di cappella dell’ antico ospedale

fondato anche’esso intorno al 1400. A partire

da secolo XVIII, accanto all’ospedale, viene

costruito il primo teatro di Novi ed i ricavati

delle rappresentazioni andavano ad incrementare

i fondi per il mantenimento dello stesso servizio.

Con l’apertura del Teatro Carlo Alberto il vecchio

teatro viene trasformato in corsia d’ospedale.

Cfr. Daglio 1923; Cavazza 1966; Cavazza 1970;

Merlano 1988.

3. Cfr. Leardi 1962; Merlano 1988.

4. Nella seconda meta del secolo XIX lo spazio

ricavato dalla demolizione della Cappella dedicata

a San Francesco Saverio è denominata Nuova

piazza del mercato della legna. Il convento

dei padri Gesuiti viene chiuso nel 1773.

Probabilmente, a seguito della demolizione della

chiesa la bella pala con la predica di San Saverio

di padre Andrea Pozzo viene trasferita nella chiesa

Collegiata. Un approfondimento delle vicende

che hanno interessato il convento dei Gesuiti è

contenuto nella tesi di laura di Davide Ferraris

dal titolo Esordi, scelte artistiche e protagonismo

dei Gesuiti nella vicenda postridentina a Genova”,

relatore Lauro Magnani, anno accademico 2011-

2012. “Scuola di Specializzazione in Beni Storico

Artistici”, Università degli studi di Genova. Cfr.

Leardi 1962; Goggi 1965; Cavazza 1971.

5. Cfr. Leardi 1962; Cavazza 1967; Ieni 1983;

Rinaldi 1989; Spantigati, Merlano 1989.

6. Cfr. Leardi 1962; Cavazza 1967; Cavazza 1970.

7. Per quanto riguarda l’individuazione delle

principali fasi costruttive ed artistiche relative

all’Oratorio della SS. Trinità si rimanda a testo di

C. Vignola e ed al regesto a cura di B. Merlano

presenti nel catalogo. Per un inquadramento

generale invece si rimanda a: Daglio 1960, pp.

12-16; Cavazza 1970; Merlano 1982; Merlano

1988.

8. La chiesa di San Francesco risale al secolo XVI

e presentava una pianta, a croce latina, ad unica

navata , con cinque cappelle per lato. È stata

demolita nel 1960 con una parte del convento.

Attualmente sopravvivono due ali del convento

inglobati in ambienti di stoccaggio dell’industria

farmaceutica che dal 1960 ha occupato l’area.

Cfr. Cavazza 1967; Cavazza 1970; Merlano 1988.

9. Cfr. Vinzoni 1773; Novara - Genova 1955;

Cavazza 1967; Cavazza 1970.

10. Cfr. Capurro 1855; Cavazza 1970.

11. Cfr. Capurro 1855; Monaco 1936; Goggi

1965; Cavazza 1967;

12. Cfr. Daglio 1960; Leardi 1962; Goggi 1965;

13. Cfr. Goggi 1945; Cavazza 1971.

62

Sec. XVI

1529. In seguito all’abbattimento

del Convento di san Francesco in

località a Tachino , fuori le mura, è

costruito il nuovo convento all’interno

della cerchia muraria. La nuova

costruzione risulta documentata

nell’atto del 9 febbraio 1529 rogato

dal notaio Gian Giacomo Carezzano.

La planimetria della chiesa, ad unica

navata, presentava cinque cappelle per

lato che nel corso degli anni assunsero

diversi titoli. Nel secolo XVIII

le intitolazioni erano le seguenti:

Cappella di San Pasquale, apparteneva

alla famiglia Maino, qui era sepolto

Giovanni Maria Sauli, governatore di

Novi dal 1725 al 1726; Cappella di

San Antonio da Padova, apparteneva

all’Ordine francescano; Cappella della

Madonna del Rosario; Cappella di

Santa Margherita, apparteneva alla

famiglia Merlano; Cappella del Beato

Salvatore da Horta, apparteneva alla

famiglia Cursi. Qui era custodito

il dipinto di Bernardo Strozzi oggi

conservato nel palazzo comunale.

Cappella della Presentazione della

Beata Vergine, apparteneva alla

famiglia Montemerlo; Cappella della

SS. Croce, apparteneva alla famiglia

Canefri; Cappella di San Francesco;

Cappella di San Diego, apparteneva

alla famiglia Girardengo poi passata

all’Ordine; Cappella di San Pietro

d’Alcantara, Cappella dell’Immacolata

Concezione, apparteneva alla famiglia

Gianelli poi passata ai Cavanna.

1582, 11 maggio. Nel chiostro di

San Francesco si riuniscono Padre

Jacopo da Novi, Padre Giovanni

della Guazzora, Padre Giovanni

da Castellaro, Padre Giuseppe da

Mondovi ed alcuni rappresentanti

Della Congregazione della Trinità.

La ragione dell’incontro è trovare

un accordo tra le parti in quanto i

frati intendono costruire un muro in

aderenza alla parete est dell’Oratorio

della Trinità in quanto devono

completare il chiostro. Al termine

della discussione si conviene che i frati

dovranno costruire un arco sulla parete

esterna del lato est dell’Oratorio, alto

quanto l’ancona che sta sopra l’altare,

e consentire ai Confratelli di aprire un

varco in questo muro affi nché si possa

ricavare una nicchia. I frati dovranno

quindi raccogliere le acque pluviali del

chiostro.

16 maggio. Padre Jacopo da Novi

protesta con le autorità civili in quanto

i Confratelli della Trinità hanno aperto

un varco sulla parete settentrionale

dell’Oratorio ed usurpano il sedime

del convento. Il perito, chiamato a

dirimere la contestazione, stabilisce

che i Disciplinanti, usufruendo

del diritto di stillicidium, possono

mantenere il varco, però potranno

uscire solo per lo spazio di un pede

liprandum tantum che costituisce il

limite di tale diritto.

Sec. XVIIAll’interno della chiesa di San

Francesco sono attestate le sepolture

dei confratelli della SS. Trinità e della

Maddalena.

Sec. XIX

Nei primi anni del secolo, a seguito

dei provvedimenti napoleonici, il

convento è soppresso.

1862. Il Municipio di Novi acquista

chiesa e convento dall’Amministrazione

del fondo del culto.

1894. A cura dell’ingegnere civico

Arnaldo Lodi è redatto il progetto di

conversione dell’ex convento in sede

per le scuole elementari femminili.

Sec. XX

1914. La chiesa è sottoposta a interventi

di consolidamento e restauro fi nanziati

dall’Amministrazione Comunale, mentre

nel chiostro sono ricavate nuove aule

per le scuole elementari femminili.

1959, 31 marzo. La chiesa e il

convento sono venduti dal Comune di

Novi Ligure al sig. Giuseppe Caraccia.

1960. La chiesa e parte del chiostro

sono demoliti. All’interno dell’area

oggi completamente trasformata

per ospitare attività produttive

sopravvivono due maniche del vecchio

chiostro.

Beppe Merlano

I. San Francesco e Convento Dei Padri Minori Osservanti

64

Pianta della chiesa di San Francesco

Olio su tela, cm 203 x 145

Novi Ligure (AL), sede comunale di Palazzo

Pallavicini, piano nobile

Provenienza: Novi Ligure, convento di San

Francesco dei Frati Minori Osservanti, fi no

al 1861; in collezione civica presso Palazzo

Pallavicini dal 1902.

Bibliografi a: Mortari 1955, pp. 217-333;

Matteucci 1956, p. 198; Un quadro dello Strozzi

in Municipio 1961, pp. 20-23; Matteucci 1962,

p. 292; Mortari 1966, p. 158; Donzelli e Pilo

1967, p. 387; Cavazza 1970, p. 184; Benso

1991, p. 12; M.C. Galassi n. 35 in Gavazza,

Nepi Scirè, Rotondi Terminiello 1995, p. 168;

Mortari 1995, p. 158 fi g. 349; A. Orlando n.

45 in Gavazza, Nepi Scirè, Rotondi Terminiello,

1995, p. 188-189; R. Vitiello n. 4 in Astrua,

Bava, Spantigati 2004, p. 84-85.

La tela proviene dalla chiesa dell’ex

convento di San Francesco dei frati

Minori Osservanti di Novi, edifi cato

a partire dal 1529. Il Convento,

divenuto di proprietà del comune

di Novi Ligure nel 1861 quando lo

acquistò per alloggiarvi una caserma

militare di cavalleria nel 1861, fu

defi nitivamente liberato dai religiosi

nel 1893, al termine di una lunga

vertenza conclusasi con la concessione

all’Ordine di una nuova area cittadina

su cui fu ricostruito il nuovo convento1.

Ricordato dalle fonti con un breve

cenno che ne indica la collocazione

“in Novi”2 il dipinto raffi gura il

beato Salvatore da Horta nell’atto

della benedizione degli infermi.

In un inventario del 1902 relativo

ai beni appartenenti alla chiesa di

San Francesco non c’è menzione

dell’opera, a conferma che questo era

già passato in proprietà del Comune

all’epoca della dismissione dello stabile

in via Cavanna3.

Non è dato sapere a chi debba essere

attribuita la committenza di una pala

di tale prestigio, ma non stupisce che

la richiesta si orientasse verso un artista

di origine ligure dal momento che

Novi fu capitale di un capitanato della

Repubblica di Genova sino alla caduta

di quest’ultima.

Maria Clelia Galassi, in occasione

della mostra su Bernardo Strozzi

tenutasi a Genova nel 1995, ipotizza

una commissione da parte di una

famiglia aristocratica genovese che a

Novi poteva aver stabilito la propria

dimora o sede di villeggiatura. Seppur

il Casini attribuisca il giuspatronato

alla fi ne del Settecento alla famiglia

Cursi dell’altare dedicato al santo4, ciò

non sembra suffi ciente per risolvere

la questione della committenza per la

quale Galassi è orientata a ipotizzare

l’attenzione rivolta allo Strozzi

concertata con l’Ordine dei Minori

Osservanti che, proprio in quel

periodo, ovvero alla metà del terzo

decennio del Seicento, richiedono al

pittore genovese la tela con il Miracolo

di san Diego per il loro convento di

Levanto5.

Il quadro di Novi sembra attribuibile

al periodo in cui lo Strozzi si dedicò a

una nutrita serie di dipinti devozionali,

ancor oggi presenti, in buon numero,

nei conventi e nelle raccolte pubbliche

o private. La datazione intorno ai

primi anni del terzo decennio del XVII

secolo6, deriva dall’analisi comparativa

con la Santa Teresa di Palazzo Bianco

di Genova e la Vergine in gloria con

Santa Teresa e il Beato Salvatore da

Horta conservati in collezioni private.

1. Sul dipinto, conservato presso la sede

comunale di Palazzo Pallavicini, sono stati

eseguiti due interventi di restauro: il primo

nel 1950 dal laboratorio di restauro della

Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del

Piemonte, il secondo nel 1995 dal laboratorio

di restauro della Soprintendenza per i Beni

Artistici e Storici della Liguria.

2. Ratti, I 1768, p. 189; Lanzi 1809, p. 213

3. Un quadro dello Strozzi... 1961, pp. 20-23

4. Casini 1951, p.244

5. M. C. Galassi, A. Lomi, G.B. Paggi, B. Strozzi,

in Gavazza, Rotondi Terminiello 1992, pp. 258-

290

6. Matteucci 1962, pp.292-293

7. Cavazza 1970, pp. 184-185

Un nesso molto stretto dal punto di

vista stilistico e anche iconografi co

unisce il dipinto in questione con la

Vergine in gloria in cui si ritrova lo

stesso Beato Salvatore, per la quale

Anna Orlando ha potuto argomentare

una proposta di committenza da parte

della famiglia Centurione. Raff ronti

calzanti per lo stile sono anche con il

San Diego della chiesa dei frati Minori

di Levanto, pagato al pittore nel 1625.

Di poco posteriore dovrebbe essere il

dipinto di Novi, caratterizzato dalla

ricerca di una materia pittorica più

leggera e di un colore più fuso, nonché

da incarnati più trasparenti.

Serafi no Cavazza ipotizza che la

commissione del dipinto, nella scelta

particolare del soggetto raffi gurante la

guarigione miracolosa degli infermi,

possa essere in qualche modo collegata

alla cessazione della terribile epidemia

di peste documentata a Novi proprio

nel corso del 16257. San Salvatore Da

Horta, infatti, nato a Gerona nel 1520,

beatifi cato nel 1606, svolse la sua

attività a Cagliari a partire dal 1565,

distinguendosi per gli straordinari

poteri taumaturgici.

Chiara Vignola

I. 1 BERNARDO STROZZI(Genova 1581 – Venezia 1644)

Il Beato Salvatore da Horta benedice gli infermi, 1630 circa

66

Sec. XV

Secondo il pensiero di Angelo Daglio,

fondato sullo studio di fonti storiche

a lui note, nel 1482 esisteva una

Compagnia, altrimenti detta “Casa” dei Disciplinanti di Nostra Signora delle Grazie e la chiesa in quel periodo

presentava una confi gurazione

assai diff erente rispetto a quella

attuale. Attraverso l’esecuzione dei

lavori relativi ad un primo lotto di

intervento teso al recupero funzionale

dell’immobile, realizzato nei primi

anni del Duemila, è stato possibile

riportare in luce alcuni aspetti propri

delle fasi più antiche della chiesa.

Sulla controfacciata è stata individuata

la traccia dell’antica bucatura a

semicerchio che sovrastava l’ingresso

principale poi modifi cata e ridotta

nelle dimensioni e nelle forme, quindi

tamponata e nascosta defi nitivamente

con l’installazione dell’organo.

Nell’area circostante l’antica fi nestra

semicircolare sono affi orati interessanti

testimonianze dell’apparato decorativo

assegnabile alle prime attività della

chiesa: sono, infatti, leggibili alcuni

lacerti con due profi li di pastori,

un angelo ed un musico, mentre in

corrispondenza del lato nord della

chiesa, sulla superfi cie più prossima

alla controfacciata, a seguito di alcuni

saggi eseguiti in profondità, nella

muratura, in corrispondenza del livello

originale dell’intonaco, è emersa la

bella fi gura di un pastore inserita in

un contesto tematico che suggerisce

l’appartenenza del personaggio ad

una composizione, che probabilmente

occupava una ampia superfi cie di

II. Oratorio della SS. Trinità.

intonaco, ed illustrava la nascita di

Gesù.

Sec. XVI

Il l3 di agosto 1513, Franceschino

Boxilio è incaricato dai Disciplinanti

della “Casa” di Nostra Signora

delle Grazie per la realizzazione di

un’ancona, in realtà si tratta di un

“ammodernamento” di una icona

preesistente raffi gurante l’immagine

di S. Maria che dovrà essere posta al

centro della composizione tra due

fi gure per lato che il pittore dovrà

eseguire. La cornice, intagliata e dorata

dovrà inquadrare tali fi gure. Il tutto

dovrà essere sormontato da una Pietà

e da una Annunciazione, mentre nella

predella dovranno essere raffi gurati

i dodici apostoli. Due angeli, infi ne,

dovranno reggere la corona d’argento

posta al capo di Maria.

1536. La congregazione assume

la denominazione di Oratorio dei

Disciplinanti di Santa Maria

1578. La consorteria si aggrega

all’Arciconfraternita della SS. Trinità

dei Pellegrini e Convalescenti di

Roma.

1580. La consorteria assume la

denominazione Compagnia di Santa

Maria e Santissima Trinità di Nove.

1586. ….. per osservanza delli Statuti,

(i confratelli) sono tenuti a servare

Hospitalità delli pellegrini che alla

giornata concorrano in detta Terra di

Nove, né havendo loco dove possano

ponere il vino che si racoglie per

elemosina dalli detti Confratelli et per

uso a detti pelegrini, hanno pensato

con bona licenza del Vescovo di fare un

canevino soteraneo

1594. Il pittore genovese Andrea

Semino (1525 -1594?) è incaricato per

la realizzazione di un Gonfalone1.

Sec. XVII

1610. Sono ultimati sia la sacrestia,

sia il campanile. In corrispondenza del

setto murario che divide la sacrestia dal

campanile, nel corso dei lavori eseguiti

nel biennio 2003-2004, è emersa una

colonna, probabilmente assegnabile

agli edifi ci preesistenti alla sacrestia.

1614. L’assemblea dei confratelli

delibera di costruire un coro dietro

l’altare e di spostare in avanti l’altare.

1617, 15 agosto. Si conferisce

l’incarico a Giovanni da Meda, che

provvederà anche all’indoratura per

l’esecuzione di quattro bredoni o sij

ceroforarij da portare in processione.

24 settembre. L’assemblea delibera

di costruire un altare dedicato a San

Carlo Borromeo, l’altare sarà realizzato

con nichio nel muro verso il cortile di

soto de le due fenestre.

1630, 17 marzo. Il muro verso la

chiesa di San Francesco è in cattive

condizioni statiche e Fa bisogno far de

pilastri sotto le catene inserendoli ne la

muraglia di terra verso il Convento.

16 agosto. I disciplinanti degli

oratori di S. Maria Maddalena, di

San Bernardino, della Beata Vergine

Maria della Misericordia si riuniscono

nell’Oratorio della SS. Trinità per

rendere omaggio a San Rocco e quindi,

insieme di procedere in processione

fi no alla chiesa intitolata al santo, posta

fuori Porta della Valle. La circostanza è

determinata per allontanare i pericoli

di contagio di peste che aveva aggredito

i borghi vicini.

1633. Nel libro dè mandati è

confermato l’incarico per la

realizzazione della cappella di San

Carlo eseguita da Maestro Tubino

millanese.

1636. Nel libro dè mandati è registrata

l’uscita di cinque lire per l’acquisto

di un quadro con la SS. Trinità da

apporre sull’altar maggiore.

1637. Nel libro dè mandati è registrato

il pagamento a Giuseppe Badaracco

(Genova 1588 –Genova 1657) per

l’esecuzione di un gonfalone.

1643. Nel libro dè mandati è registrato

il pagamento allo stuccatore Pietro

Riva per la fattura dell’altar maggiore.

1677. È costruito l’altare del SS.

Crocefi sso di fronte a quello di S.

Carlo Borromeo.

1693. Si rende necessaria la costruzione

della sala capitolare da adibire a

spazio per riunioni dei confratelli e

per la recita del Santo Uffi zio. L’aula

capitolare sorge accanto alla chiesa.

1694. Sono terminati i lavori di

edifi cazione dell’aula capitolare.

68

Pianta della chiesa della SS. Trinità e del tessuto urbano adiacente

Sec. XVIII

1709. Nel Libro di Cassa è registrato

l’affi damento dell’incarico a Paolo

Serra e Pio Mario Bovone per la

realizzazione della cassa processionale

con la Santissima Trinità da utilizzarsi

nelle ritualità del giorno della festa

dell’Oratorio. Nello stesso periodo,

per consentire l’ingresso nell’Oratorio

della cassa processionale, è allargata la

porta d’ingresso.

1738. Nel Libro di Cassa sono

registrate le spese per realizzare nell’aula

capitolare l’altare e il retrostante nicchio

per custodire la cassa processionale in

cartapesta. Incaricato ad eseguire i

lavori è lo stuccatore Antonio Beretta

che realizza anche gli stucchi. Inoltre

all’intagliatore Gio Batta Roncallo

è affi data la realizzazione di una

raggiera di legno per arricchire la cassa

processionale.

1740. Nel Libro di Cassa sotto l’anno

1740 è registrato il pagamento saldato

al pittore Francesco Campora (Genova

1693 – Genova 1753) per l’esecuzione

di due quadri iniziati nel 1739.

1742. Nel Registro dè mandanti per

il periodo tra il 1716 e 1751 sono

annotate diverse uscite di denaro per

acquisto - già avvenuto - di calce, gesso

e polvere di marmo per il rinnovo

degli altari laterali della chiesa; ad

occuparsi dei lavori compaiono i

seguenti maestri: Paolo Serra, al quale

è affi dato anche l’incarico di restaurare

la cassa processionale da lui realizzata

nel 1709, Antonio Beretta, già autore

degli stucchi dell’aula capitolare, e

Luigi Fasce (Genova? 1695 - Ovada

1760), maestro formatosi a Genova,

alla scuola di Anton Maria Maragliano,

e poi trasferitosi ad Ovada, la cui

fortunata attività risulta documentata

oltre che nelle chiese novesi di San

Andrea (statua di San Bartolomeo,

eseguita nel 1759 e posta nel coro) e

di San Pietro (Cappella del Crocifi sso -

statue dell’ Addolorata, San Giovanni,

Amore divino e Misericordia - 1754

circa) anche in diverse località e

dell’oltregiogo genovese (Voltaggio

- Oratorio di San Giovanni Battista,

Ovada – chiesa dell’Immacolata dei

Cappuccini, chiesa dell’Assunta,

Oratorio della SS. Annunziata,

Mornese chiesa di San Silvestro,

Serravalle – Oratorio della SS. Trinità.

Ecc.)

Nello stesso anno Antonio Beretta

è interpellato per modifi care la

sistemazione della pala dell’altar

maggiore, probabilmente è rinnovata

la pala di Franceschino Boxilio.

1743. Il pittore Giovanni Battista

Chiappe (Novi 1723 – Novi 1765) è

incaricato di restaurare uno stendardo

e un’ancona, probabilmente quella

esistente sull’altar maggiore. Nel 1753

il Chiappe esegue la tela con il Mistero

della Santissima Trinità per l’alar

maggiore.

Sec. XIX

1828. È rifatto il pavimento in marmo

dell’Oratorio.

1864. Nel Libro di entrate e spese è

registrato il pagamento al pittore

Vincenzo Michelangelo Sansebastiano

(Novi 1852 – Genova 1908) per aver

dipinto tre bandiere per la processione 1865 dalla ditta novese Carlo Magno

Parodi viene eseguito un importante

restauro della sacca processionale

1871. Vincenzo Michelangelo

Sansebastiano esegue un restauro

alla tela con la Cena Domini di Giò

Raff aele Badaracco.

Beppe Merlano

1. Per lo studio della documentazione d’Archivio

della Confraternita, si rimanda al saggio di

Vignola in catalogo.

70

Interni della chiesa della Santissima Trinità

Olio su tela, 200 x 495 cm

Provenienza: Novi Ligure (AL), Chiesa della

Confraternita della Santissima Trinità, fi no al

1985.

Bibliografi a: Vignola 2012, pp. 24-39

La vicenda di questa Comunione degli

Apostoli di Gio.Raff aele Badaracco è

alquanto lunga e travagliata. Il dipinto

appeso alle pareti laterali della chiesa

dell’Oratorio della SS. Trinità fi no

al 1985, anno in cui venne rimosso

per un primo intervento di restauro,

era costituito da due tele tagliate e

successivamente unite sul lato destro,

probabilmente per un riadattamento

e un cambiamento di destinazione del

dipinto1. Nel corso della prima fase di

restauro venne decisa la separazione,

e da allora le tele vennero segnalate

come due dipinti separati con due

diversi titoli: Comunione degli Apostoli

e Quattro Santi2.

Nel corso del 2010 in seguito allo

studio diretto presso il laboratorio

di restauro chi scrive ne attribuì

l’esecuzione a Gio.Raff aele Badaracco

e ne studiò l’accostamento sul lato

corretto, ovvero quello a sinistra3.

Il soggetto della tela è una Comunione

degli Apostoli che, unitamente al Dio

Padre con angeli porta croce, vanno a

formare un’Istituzione dell’Eucarestia.

Gesù dona con la mano destra a Pietro

un’ostia tenendo nella sinistra la patena

e nei due piani individuati dal tavolo

eucaristico gli Apostoli si dispongono

in attesa, rapiti dall’evento ormai

assunto come dogma, i personaggi

dimostrano ancora vivi e chiari i

sentimenti di stupore e incredulità

di fronte a un evento di così grande

portata simbolica.

La scena ora a sinistra del dipinto,

ha come soggetto un inserviente,

Giuda rappresentato di schiena con

il sacchetto di denari, e, a seguire

più avanzati, due Apostoli in piedi in

torsione intenti a indicare la scena.

I volti dei personaggi, la ricerca

di luminosità unitamente a un

importante utilizzo del blu oltremare,

la struttura della narrazione, la mano

veloce dell’artista, suggeriscono un

Badaracco in un momento non troppo

avanzato del suo percorso, ancora

entro il XVII secolo. Seppur nel

clima di rinnovamento settecentesco,

ritroviamo qui una forte derivazione

dei modi pittorici del padre Giuseppe,

da cui apprese i rudimenti della

pittura, soprattutto nella metodologia

delle narrazione e nell’accostamento

delle fi gure.

Risulta qui evidente che Gio.Raff aele

si muove ancora entro quel solco

della tradizione che il padre Giuseppe

aveva percorso, in linea di continuità

pur nell’urgere di nuovi stimoli

moderni4. All’età di nove anni, alla

morte del padre, Gio.Raff aele si

trasferì a Roma per otto anni laddove

lavorò con Carlo Maratta, anche se il

riferimento imprescindibile per un

genovese che giungeva nella capitale

in pieno Seicento era Pietro da

Cortona, che rimarrà una costante

nella sua opera5. In particolare, in

questo dipinto, la scelta della sequenza

narrativa con le fi gure di tre quarti

è un omaggio evidente al passato e

proprio il confronto con le opere

1. Cfr. sui restauri della Diocesi di Tortona

Donato 2012.

2. Il primo intervento conservativo promosso

dalla Soprintendenza ai Beni Artistici del

Piemonte curato dalla Dott.ssa Carla Enrica

Spantigati è stato svolto tra il 1985 ed il 1989

dal Laboratorio di Restauro Gian Maria Casella

di Brescia che ha conservato i dipinti sino alla

seconda fase di intervento, iniziata nel mese di

febbraio del 2011 e conclusa a dicembre 2012.

3. Il primo suggerimento sulla strada da

percorrere per studiare il dipinto mi è stato

dato da Franco Boggero, Soprintendenza Beni

Artistici di Genova, di cui sono ex allieva e che

ringrazio per la disponibilità.

4. Cfr. sul rapporto stilistico di padre e fi glio

Orlando 2010. p. 29.

5. Orlando 2010, p. 29.

6. Cfr. sul ciclo di Gio. Raff aele Badaracco per

Coronata Martini 1999, p. 207-212, fi g. 93 p.

186.

7. Archivio della Confraternita della Santissima

Trinità, Chiesa di San Nicolò, “Libro di entrate

e spese dall’anno 1864 al 1883”, anno 1871.

8. Archivio della Confraternita della Santissima

Trinità, Chiesa di San Nicolò, “Libro di cassa del

N.stro Oratorio della Santissima Trinità di tutta

l’entrata et uscita di anno per anno” dal 1605.

precoci del pittore ci induce a proporre

questa datazione. L’accostamento

con il dipinto gemello l’Istituzione

dell’Eucarestia dell’Oratorio di Nostra

Signora Assunta di Coronata a Genova

Cornigliano6 (fi g. 1) evidenzia il legame

con la tradizione ancora fortemente

presente in questo dipinto novese, in

particolar modo nel dipanarsi della

narrazione dei personaggi. Che l’opera,

una grande Istituzione dell’Eucarestia

sia stata realizzata da Gio.Raff aele per

l’Oratorio della Santissima Trinità non

è confermato tutt’oggi dalle ricerche

nei documenti d’archivio. Sappiamo

però che nel 1871 il dipinto è di

proprietà della Confraternita in quanto

in una nota di cassa viene pagato il

pittore Sansebastiano per il restauro

della Cena Domini7. Dalle ricerche non

sono emerse commissioni al pittore in

tardo Seicento, ma è certo il legame

con la bottega del padre, visto che nel

1637 viene pagato il pittore Giuseppe

Badaracco per fattura di un gonfalone8.

È confermata peraltro l’opera di Gio.

Raff aele per le chiese di Novi e per gli

oratori dell’Oltregiogo: La continenza

di Scipione dell’Oratorio dei Rossi di

Gavi, San Francesco in adorazione del

Santissimo Sacramento della Chiesa

dell’Immacolata Concezione di

Sassello.

Chiara Vignola

II. 1 GIO.RAFFAELE BADARACCO (Genova 1645-1717 )

Comunione degli Apostoli, ultimo decennio del ‘600

72

Olio su tela, 195 x 275 cm.

Provenienza: Novi Ligure (AL), Oratorio della

Confraternita della Santissima Trinità, fi no al

1985;

Bibliografi a: Vignola 2011, pp. 24-39

Vediamo qui rappresentato Dio Padre

con Angeli portacroce. Così come la

Comunione degli Apostoli, anche questo

dipinto ha una storia lunga decenni e

viene per la prima volta mostrato al

pubblico al termine di un impegnativo

restauro1. La collocazione del 1985

è frontale rispetto alla Comunione,

sulla parete destra dell’Oratorio

della Santissima Trinità, come si

deduce dalla fotografi a pubblicata

da Giuseppe Merlano, tre anni

prima della consegna da parte della

Soprintendenza al restauratore2.

La composizione, dotata di grande

vitalità e dinamicità, presenta un

buon numero di personaggi divisi in

due gruppi. Nella metà di destra, Dio

Padre presentato con l’attributo della

sfera celeste con la fascia dello zodiaco

sorretta dagli Angeli, volge lo sguardo

verso il basso, e ha le braccia allargate,

protettive e benedicenti. Il gruppo

nel suo insieme è caratterizzato da

un movimento circolare ricercato e

dinamico nel quale si riconoscono i

modi e le fattezze dei personaggi che

spesso ricorrono nell’opera di Gio.

Raff aele Badaracco, confermata dal

confronto del volto del Dio Padre con

quelli dipinti dal pittore per l’Oratorio

di Nostra Signora Assunta di Coronata

a Genova Cornigliano3.

Per l’Istituzione dell’Eucarestia e

l’Assunzione della Vergine, facenti parte

del ciclo della Passione, il pittore ebbe

incarico dalla Confraternita genovese

del Gonfalone nel 1696, anche se viene

proposta altresì una datazione ante

quem al 1705. Non essendo in possesso

di fonti certe, l’osservazione dei metodi

compositivi della Comunione e del Dio

Padre suggerirebbero un’appartenenza

dell’opera ancora al Seicento.

Anche questo dipinto, così come

la Comunione è stato rimaneggiato,

probabilmente in epoca ottocentesca,

forse a seguito di spostamenti forse

per motivi di spazio. In particolare,

sull’angolo in alto a sinistra, è evidente

il segno sulla tela di una centina

a indicare una forma originale a

semicerchio, così come gli inserti di

un piccolo gruppo di teste di putti in

alto a destra. Proprio il confronto con

l’Istituzione dell’Eucarestia genovese,

composta da due dipinti separati e

sovrapposti, di cui Dio Padre nella

parte superiore, e nel piano inferiore

la Comunione, portano a considerare il

Dio Padre novese come facente parte di

un unico progetto, poi successivamente

modifi cato. Anche le dimensioni

imponenti dei dipinti ricomposti

fanno sospettare una provenienza

diff erente: non si riscontra all’interno

dell’Oratorio una zona che possa

ospitare un telero di tale imponenza

e la separazione stessa, nonché il

ridimensionamento, suggeriscono una

destinazione originaria diff erente dalle

pareti laterali dell’Oratorio.

1. Il primo intervento conservativo promosso

dalla Soprintendenza ai Beni Artistici del

Piemonte curato dalla Dott.ssa Carla Enrica

Spantigati è stato svolto tra il 1985 ed il 1989

dal Laboratorio di Restauro Gian Maria Casella

di Brescia che ha conservato i dipinti sino alla

seconda fase di intervento, iniziata nel mese di

febbraio del 2011 e conclusa a dicembre 2012.

2. Merlano 1982, p. 10, fi gg. 15-16. La

documentazione fotografi ca fornita dal

restauratore ha reso altresì possibile ricostruire le

fasi di recupero dei dipinti appesi frontalmente

alle pareti laterali della chiesa della Trinità.

3. Cfr. sul ciclo di Gio. Raff aele Badaracco per

Coronata Martini 1999, p. 186

4. Documenti dell’Archivio della Confraternita

della Santissima Trinità, Chiesa di San Nicolò,

“Libro di cassa del N.stro Oratorio della

Santissima Trinità di tutta l’entrata et uscita di

anno per anno” dal 1605.

Nessuna notizia ci viene fornita dalle

fonti a nostra diposizione, se non il

rapporto confermato nel 1637 della

Confraternita con il padre di Gio.

Raff aele, Giuseppe, anch’egli pittore4.

Chiara Vignola

II. 2 GIO.RAFFAELE BADARACCO (Genova 1645-1717 )

Dio Padre con angeli portacroce, ultimo decennio del 600

74

Gio. Raff aele Badaracco, Istituzione dell’Eucarestia, Oratorio di Nostra Signora di Coronata, Genova Cornigliano

76

Gio. Raff aele Badaracco, Istituzione dell’Eucarestia, Oratorio della Santissima Trinità, Novi Ligure

77

Olio su tela cm 167,5 x 120

Novi Ligure, Comune, in deposito temporaneo

dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici

ed Etnoantropologici del Piemonte

Provenienza: Novi Ligure, Oratorio della

Confraternita della Santissima Trinità, fi no al

1983; Torino, in deposito presso il Laboratorio

di Restauro della Soprintendenza per i Beni

Storici, Artistici ed Etnoantropologici del

Piemonte fi no al 2013

Inedito

Le complesse vicende di provenienza

della tela, che nell’occasione di questa

mostra viene restituita alla città di

Novi Ligure, sono state ricostruite da

Giovanni Donato nel contributo in

questo catalogo, almeno per ciò che

concerne le vicende recenti della presa

in consegna dell’opera, nel 1983, da

parte della Soprintendenza torinese

che ne aveva potuto constatare lo

stato di conservazione non buono e

l’ubicazione non idonea ai suoi fi ni

conservativi (cfr. Donato in catalogo).

Se è pressoché certo ormai che

l’opera fosse nel secolo scorso ubicata

nell’Oratorio della Confraternita

della Santissima Trinità, non vi sono

notizie documentarie in merito

alla sua provenienza antica, né alla

commissione al pittore da quella o

altra istituzione religiosa.

Il soggetto e la presenza della città

raffi gurata in basso sono indizi sui

quali lavorare.

La preziosa argomentazione di Beppe

Merlano, che si pubblica in calce a

questa scheda, consente di riconoscere

proprio in Novi la città raffi gurata, così

da collegare direttamente il suo autore

a una committenza locale, se non

II. 3 GIAN LORENZO BERTOLOTTO(Genova 1646-1720)

Crocifi ssione con i santi Sebastiano e Rocco e la città di Novi sullo sfondo

addirittura a una sua presenza in città.

È possibile che il pittore abbia lavorato

su disegni o stampe della veduta

urbana, ma è altrettanto probabile che

invece si sia direttamente recato a Novi

per questo incarico.

In merito alla cronologia, un indizio

viene fornito dal soggetto, anche

se va inteso come tale senza essere

probatorio né defi nitivo. Nel 1677

viene costruita e benedetta la cappella

del SS. Crocefi sso, nel momento di

grande rinnovamento della chiesa

dell’Oratorio della SS. Trinità, che

dipende dalla parrocchia di S. Nicolò,

come l’Oratorio di S. Rocco. Santo,

quest’ultimo, fi gurato insieme a

Sebastiano nella pala in questione e

notoriamente chiamato, ricordato e

venerato in occasioni di pestilenze e

contagi. Lontana la peste genovese

del 1656/57 dalla datazione probabile

del dipinto, l’iconografi a è possibile

che non abbia un legame diretto con

una particolare epidemia, ma che si

colleghi a una venerazione popolare

nei confronti di questi santi, e in

particolare a S. Rocco, molto diff usa

in zona.

Per ciò che concerne l’attribuzione, essa

si risolve nell’occasione dello studio di

questa mostra, poiché dall’anonimato

in cui giaceva da tempo anche presso

la Soprintendenza torinese, può

essere restituita al catalogo del pittore

genovese Gian Lorenzo Bertolotto per

evidente coincidenza stilistica. Basterà

confrontarla con alcune opere note del

pittore per verifi carne l’autografi a e per

avere alcune indicazioni di cronologia

alla prima maturità del pittore, lontano

dalla sua fase giovanile di matrice

asseretiana ma già improntato alle

forme barocche dettate dalla bottega

leader guidata da Domenico Piola (cfr.

da ultimo Orlando 2010, pp. 38-43 e

199).

Figlio del pittore Michelangelo e nato

a Genova nel 1646, Gian Lorenzo si

forma col padre per poi passare nelle

botteghe di Giovanni Benedetto

Castiglione e di Domenico Piola, fu

attivo soprattutto nel capoluogo, ma

si conoscono alcune sue opere anche

in territori periferici della Repubblica.

Nell’Oltregiogo si segnalano un San Filippo Neri coi santi Ignazio e Francesco Saverio di probabile committenza

gesuita e ubicato nella parrocchiale

di Ronco Scrivia (Meriana, Manzitti

1973, p. 140), il San Carlo Borromeo in preghiera della Pinacoteca di Voltaggio

(A. Acordon in La Pinacoteca..., 2001, pp. 136-137) e il San Giovanni Evagelista della stessa Pinacoteca

riferito da Franco Boggero (ivi, pp.

132-133), ma forse piuttosto di

Gian Lorenzo giovane, come ricordo

avermi suggerito Angela Acordon.

Varrebbe inoltre la pena, per rimanere

in zona, di riconsiderare la tela con

I santi Nicola da Tolentino, Caterina d’Alessandria, Michele Archangelo e Monica (?) che intercedono a favore delle anime purganti, conservata presso il

Seminario Vescovile di Tortona ma

proveniente proprio dall’Oratorio

della Misericordia di Novi (cfr. Cervini

2004, p. 59 e nota 48 p. 69, fi g. p. 59).

Cervini non avanza ipotesi attributive,

ma solo di datazione al 1650-60 circa,

laddove credo che vada spostata più

avanti e non mi pare così lontana

dai modi del Bertolotto stesso (cfr. il

saggio di chi scrive in catalogo).

Diffi cile, in mancanza di notizie,

tracciare un’ipotesi di committenza

della tela qui esposta. Si segnala però,

per ora a livello di sola suggestione,

la notizia relativa all’attività del

Bertolotto intorno al 1679-80 per la

famiglia Brignole Sale a Palazzo Rosso

a Genova. Sono pressappoco gli anni

a cui dovrebbe ascriversi questa tela,

se è corretto collegarla all’arredo della

cappella della Crocifi ssione benedetta

nel 1677, e la famiglia genovese aveva

contatti costanti con Novi in ragione

della presenza delle fi ere di cambio che

qui si tenevano (cfr. il saggio di Galassi

in catalogo).

Anna Orlando

78

Ai piedi della crocifi ssione incuriosisce

osservare la raffi gurazione di un nucleo

urbano protetto dalle mura e risulta

immediato analizzarne i dettagli nel

tentativo di comprendere se la città

rappresentata possa essere Novi. Il

raff ronto di tale immagine con il

disegno di Clemente Rovere, eseguito

nel 1848, che ritrae Novi con un punto

di vista prossimo alla porta di Genova,

può essere d’aiuto. Nel disegno di

Rovere non compare il tratto murario

di Corso Piave perché nascosto dal

crinale collinare nel quale si dirama

la vecchia strada che collegava Novi

a Genova, attraverso la Lomellina,

ma sono perfettamente individuabili

il profi lo della chiesa di Sant’Andrea

e quello della Collegiata con una

dislocazione rispetto all’abitato, assai

prossima a quella rappresentata del

dipinto del Bertolotto. Certamente

la rappresentazione del Bertolotto è

impreziosita di alcuni dettagli, non

rintracciabili nel disegno di Rovere,

che potrebbero essere però semplici

arricchimenti d’immaginazione. Va

inoltre ricordato che il dipinto del

Berolotto è assegnabile allo scadere del

Seicento: cioè nel periodo in cui Novi,

anche per i forti legami con Genova,

è ritratta con una “vista” dalla strada

verso Genova, come documenta il

disegno del 1648, di G.B. Massarotti,

conservato presso L’Archivio di Sato di

Genova.

Beppe Merlano

Studio del dettaglio della città di Novi sullo sfondo

Clemente Rovere, 1848, Novi - veduta presa fuori porta S. Andrea (mm 143 x 115) G.B. Massarotti, Delineazione dei confi ni che dividono il territorio di Novi da quelli di Pozzolo, Bosco, Fersennara, Basaluzzo, Pastorana e Tassarolo (1645 giu. 16 - 1648 nov. 12), Archivio di Sato di Genova

80

Olio su tela, 306 x 186 cm

Novi Ligure (AL), chiesa di Santa Chiara,

auditorium del Centro Comunale di cultura G.

Capurro.

Iscrizioni: in basso al centro MATER DIVINAE

PROVIDENTIAE

Provenienza: Novi Ligure, Oratorio della

Confraternita della Santissima Trinità, fi no al

1985; Oratorio del Collegio San Giorgio, fi no

al 2006.

Bibliografi a: Merlano 1982, p. 7 fi g. 10

Questa pala ha dimensioni identiche

a quella con San Carlo Borromeo qui

esposta, ed era posizionata sull’altare

laterale nord, a sinistra dell’ingresso.

Parte del motto ai piedi della statua

che sull’altare raffi gura Sant’Agnese

recita “HUMILITATE CONCEPIT”.

L’attribuzione del dipinto a Francesco

Campora deriva da vari ritrovamenti

e recenti ricerche condotte dalla

scrivente sui documenti dell’archivio

della Confraternita, che consentono

di confermare quanto fi no a oggi

sostenuto a livello attributivo su basi

stilistiche.

È importante quanto rinvenuto

nelle carte dell’archivio: tra il

1739 e il 1740, nell’ambito del

rinnovamento iconografi co della

chiesa, la Confraternita eff ettua un

pagamento di L. 800 a Francesco

Campora per le due pale degli altari

nuovi1. In questa nota spese, oltre

all’incarico e al pagamento dell’artista,

viene riconosciuta una spesa di ben

L. 22 per l’acquisto di “oltramare”

(sic), il costosissimo blu lapislazzuli

dai bellissimi eff etti cromatici che

Campora utilizza diff usamente e

copiosamente per il manto di Maria

nella pala in oggetto e per i panneggi

della pala raffi gurante San Carlo

Borromeo.

La somiglianza evidente tra i volti della

Vergine Maria di questa pala novese e

la Natività presente nella Collegiata

dei SS. Martino e Stefano di Serravalle

Scrivia, unitamente all’incarico

citato dai documenti, ci confermano

l’attività del Campora in Valle Scrivia

proprio negli anni Quaranta del ‘700.

Per ciò che concerne l’iconografi a, va

notato che essa può essere facilmente

confusa con un’Ascensione. Ma si tratta

in realtà del soggetto della Mater

Divinae Providentiae, per il diverso

rapporto tra Maria con il Figlio e con

l’Umanità.

Il dipinto è diviso in due parti e ci

presenta colonne spezzate e un altare

crepato, con un angelo che ci indica

la scena al piano superiore, in cielo,

porgendo spighe di grano e coprendo

con un fascio la lastra rovesciata

riportante inciso il tema devozionale.

Adagiata sulle nuvole, nella parte alta

del dipinto, Maria ci presenta avvolto

in un manto bianco il Bambino

che poggia i piedi sulla sfera celeste,

accerchiato da una teoria di putti e

angioletti.

Con questo soggetto l’autore pone

l’accento sulla benevolenza di Gesù

e sulla carità della Madonna che lo

porge a protezione dell’Umanità e

dei mali del mondo, simboleggiati

rispettivamente dalla sfera e dalle

rovine di marmo.

La propensione a dipingere

architetture, archi, colonne, nonché

la conduzione dei panneggi e la

1. Archivio della Confraternita della Santissima

Trinità, Chiesa di San Nicolò, “Libro di cassa del

N.stro Oratorio della Santissima Trinità di tutta

l’entrata et uscita di anno per anno” dal 1705.

2. Francesco Solimena, pittore e architetto

(1657-1747), attivo a Napoli sottolinea spesso

le scene rappresentate nei quadri con elementi

architettonici, quali balaustre, archi, scale,

colonne.

3. Ratti, II 1769, pp. 284-288.

4. Cfr sulla formazione di Francesco Campora

Sanguineti 1997, pp. 281-306

5. Sanguineti 1997, p. 287

6. Sanguineti 1997, p. 303

disposizione delle nubi sono per il

Campora derivazione dal soggiorno

napoletano alla scuola di Francesco

Solimena2 presso la quale studiò il

“bel colorire”, avendo già le basi del

disegno3. Il biografo Carlo Giuseppe

Ratti indica due soggiorni del pittore

a Napoli, ma fornisce due versioni

diff erenti della notizia: nel manoscritto

indica i due viaggi dilatati nel tempo,

mentre nella versione di stampa li

distanzia impercettibilmente4. I due

viaggi dovrebbero essere avvenuti

negli anni Dieci e tra la fi ne degli

anni Trenta e il decennio successivo,

seppur è probabile che si fosse recato

a Roma nel corso degli anni Venti,

considerando la mutazione linguistica

della produzione del terzo decennio5.

Questo dipinto, commissionato tra

il 1739 ed il 1740, si collocherebbe

proprio nel periodo del secondo

viaggio a Napoli, e in ogni caso nella

fase matura del lavoro del pittore.

È qui che possiamo ritrovare quel

linguaggio marattesco caratterizzato

dal ridimensionamento del barocco

in termini classicistici che Francesco

aveva già appreso dalla lezione

genovese di Domenico Parodi. Proprio

nella fase matura il Campora si orienta

sempre più verso una sempre maggior

compostezza delle forme ed elaborando

soluzioni di retorica catechistica che

ritroviamo sia in questo dipinto che

in quello successivo raffi gurante San

Carlo Borromeo, verso un processo di

«raggelamento linguistico»6.

La composizione nel suo insieme

è piacevole e ben distribuita e si

inserisce perfettamente nelle necessità

comunicative di benevolenza e carità

della Confraternita.

Chiara Vignola

II. 4 FRANCESCO CAMPORA(Genova, 1693 – Genova, 1763)

Mater Divinae Providentiae, 1739/40

82

Olio su tela, 306 x 186 cm

Novi Ligure (AL), chiesa di Santa Chiara,

auditorium del Centro Comunale di cultura G.

Capurro.

Provenienza: Novi Ligure, Oratorio della

Confraternita della Santissima Trinità, fi no al

1985; Oratorio del Collegio San Giorgio, fi no

al 2006.

Inedito

Dall’archivio delle spese di cassa della

Confraternita della Santissima Trinità,

indagato dalla scrivente in occasione

dei preparativi per questa mostra, si

evince l’impegno economico per la

realizzazione della cappella dedicata a

San Carlo e la commissione a Francesco

Campora nel 1739 dell’ancona per

l’altare a lui dedicato: “L. 800 a

Francesco Campora per le due pale

degli altari nuovi e L 22 per acquisto

di oltramare”. In concomitanza con

la spesa per la commissione, viene

ordinata a Milano una maschera

raffi gurante il santo1.

San Carlo, cardinale e arcivescovo

di Milano morto nel 1584, è stato

canonizzato nel 1610 da Papa Paolo

V. Viene rappresentato dal Campora

nella sua veste cardinalizia intento

in preghiera inginocchiato davanti

all’altare. Conosciuto per i suoi digiuni,

Carlo Borromeo negli ultimi anni di

vita non si asteneva completamente

dal cibo, ma invece, secondo l’uso

ecclesiastico antico, consumava un

solo pasto al giorno, dopo il vespro,

dando seguito alla raccomandazione di

Ambrogio e di Agostino di destinare ai

bisognosi il denaro risparmiato con il

digiuno2.

Durante la vita adulta Carlo Borromeo

portò sempre la barba, anche se

la vasta iconografi a seicentesca lo

raffi gura rasato. Egli cominciò infatti

a radersi solo nel 1576, al tempo della

peste e mantenne il volto rasato in

segno di penitenza durante gli ultimi

otto anni di vita: il Campora qui

lo rappresenta rasato, segno che la

maschera sulla quale si basò si atteneva

alla rappresentazione comune del

santo rasato.

L’iconografi a seicentesca e settecentesca

legata al culto di questo santo si

riferisce ad alcuni momenti della vita,

in particolare al digiuno e all’amore

per il Crocefi sso.

Molto noto è il ritratto che ne fa

Daniele Crespi (Busto Arsizio, 1598

– Milano, 19 luglio 1630), conservato

nella chiesa di Santa Maria della

Passione a Milano, in cui il santo

viene rappresentato proprio nell’atto

del digiuno e con un fazzoletto per

il pianto. L’amore per il Crocefi sso,

altro fondamentale nell’iconografi a del

santo, viene riproposto da molti artisti

in pieno Seicento, sia nel nord che

nel centro Italia: viene rappresentato

in adorazione della Croce e del Santo

Chiodo.

Francesco Campora nel dipinto

realizzato per la Confraternita della

SS. Trinità propone un San Carlo

inginocchiato, lo zucchetto color

porpora appoggiato sull’altare, un

libro di taglio, attorniato da angeli che

recano il Crocefi sso. Alle sue spalle due

putti recanti bastone pastorale e mitria

vescovile e sullo sfondo a sinistra di

taglio una colonna marmorea. Nella

1. Archivio della Confraternita della Santissima

Trinità, Chiesa di San Nicolò, “Libro di cassa del

N.stro Oratorio della Santissima Trinità di tutta

l’entrata et uscita di anno per anno” dal 1705.

2. Cfr. sulla vita e le opere di San Carlo

Borromeo Rossi di Marignano 2010

3. Santa Apollonia (Alessandria

d’Egitto, 249 circa), santa egiziana, patrona di

dentisti, igienisti dentali e odontotecnici,

in quanto la tradizione vuole che sia stata

una vergine martire alla quale furono cavati i

denti di bocca: tra i suoi attributi le tenaglie e la

palma del martirio.

4. Sant’Agata (Catania, 246 circa – Catania, 5

febbraio 261) è stata, secondo la tradizione

cristiana, una giovane martire vissuta tra il

III e il IV secolo, durante il proconsolato

di Quinziano.

parte alta del dipinto, attorniate

da angeli e adagiate sulle nuvole,

guardano la scena da sinistra a destra,

Santa Apollonia3 con la palma del

martirio e le tenaglie e Sant’Agata

recante un vassoio con i due seni recisi4.

La scelta ricaduta sulle due sante è un

chiaro riferimento all’importanza che

Carlo Borromeo ebbe nell’ambito

dell’ultima fase del Concilio di Trento,

riaperto nel 1562 dallo zio, papa Pio

IV. Dal punto di vista stilistico, nei loro

volti dal mezzo sorriso e nell’utilizzo

copioso dell’oltremare ritroviamo forti

affi nità con la Mater Divinae, oltre che

con la Natività di Serravalle Scrivia.

Chiara Vignola

II. 5 FRANCESCO CAMPORA (Rivarolo, 1693 – Genova 1753)

San Carlo Borromeo, 1739/40

84

Olio su tela, 320 x 186 cm

Novi Ligure (AL), chiesa di Santa Chiara,

auditorium del Centro Comunale di cultura G.

Capurro.

Iscrizioni: sul telaio “collocato l’anno 1756 à 12

giugno. La cornice l’anno 1763 à 2 aprile – opera

del Sig. Chiappe di Nove. Deputati a detta opera

i S. Francesco Maria Perolo e Giuseppe A.nto

Formentano”

Provenienza: Novi Ligure, Oratorio della

Confraternita della Santissima Trinità, fi no al

1985; Oratorio del Collegio San Giorgio, fi no

al 2006.

Bibliografi a: Daglio 1960, p. 6; Silvano 1983, p. 230;

Rescia 1991, p. 16; Cresca 1994, p. 61; Barberis 1992,

f. I/II.

La pala d’altare proviene dall’Oratorio

della Confraternita della Santissima

Trinità, entrata in collezione civica

nel 1985. È stata conservata sino al

2006 presso l’Oratorio del Collegio

San Giorgio per poi essere collocata

all’interno della chiesa del Monastero

di Santa Chiara, utilizzato attualmente

come auditorium del Centro Comunale

di cultura G. Capurro.

Un’immagine del 1960 ritrae l’interno

dell’Oratorio e rappresenta una fonte

importante per la collocazione sugli altari

delle rispettive pale. Nei primi anni del

‘700, quando la Confraternita rinnova

l’apparato decorativo1, il tema trinitario

riveste un ruolo chiave nelle commissioni

delle pale d’altare, degli aff reschi e

dell’apparato per le processioni. Il

culmine si ha con l’incarico a Giovanni

Battista Chiappe per la realizzazione

della pala per l’altar maggiore, laddove

rimane sino al momento del distacco

per motivi conservativi nel 1985.

L’opera viene commissionata al pittore

nel 1753. Nella lista archivistica del

fondo della Trinità indagato da chi

scrive in questa occasione, si leggono tre

regesti di manoscritti che si riferiscono

all’esecuzione della tela d’altare a tema

“la Trinità”, per mano del pittore

novese Giovanni Battista Chiappe. Le

dizioni del catalogo sono le seguenti:

n° 224, 1753. Ricevuta di L. 200 pagate

a G.B.Chiappe per l’ancona dell’altar

maggiore; n° 225, 1753. Polizza per la

pittura dell’altar maggiore; n° 226, 1753.

Obbligo di varj confratelli per la spesa

dell’ancona.

La prima scrittura è la quietanza d’una

caparra anticipata all’artista, prima

di redigere altri atti di garanzia per

assicurare la collaborazione, mentre

la seconda carta ritrovata contiene un

impegno, una polizza, interno alla

congregazione, con cui i confratelli

si obbligano ad assicurare al pittore

Giovanni Battista Chiappe il compenso

di lire 950 per l’esecuzione della tela

ordinata. La fi deiussione viene rilasciata

ai due membri Francesco Maria Perolo

e Giuseppe Antonio Formentano, della

pia congregazione, sicuramente abbienti,

dagli altri confratelli che confortano i

primi con la promessa di suddividere la

preoccupante somma.

I nomi dei due deputati alla buona

riuscita dell’iniziativa vengono incisi

sul telaio dell’ancona insieme alle date

di realizzazione dell’opera, della posa

e cornice: collocato l’anno 1756 à 12

giugno. La cornice l’anno 1763 à 2 aprile

– opera del Sig. Chiappe di Nove. Deputati

a detta opera i S. Francesco Maria Perolo e

Giuseppe A. nto Formentano.

I due si vincolano direttamente con

1. Archivio della Confraternita della Santissima

Trinità, Chiesa di San Nicolò, “Libro di cassa del

N.stro Oratorio della Santissima Trinità di tutta

l’entrata et uscita di anno per anno” dal 1705.

2. Lanzi 1809, p. 379.

3. L’intervento di restauro, iniziato nel mese di

ottobre 2012 e terminato nel mese di aprile c.a.,

è stato eseguito dal Laboratorio delle Scuole Pie

di Genova.

il pittore Tomaso Chiappe, fratello

dell’artista, al pagamento rateizzato

dell’onorario. La promessa viene fi rmata

dal fratello in quanto Giovanni Battista

si trova momentaneamente assente da

Novi, probabilmente a Milano per una

non precisata commissione. Tale trasferta

viene confermata dallo storiografo

Luigi Lanzi che segnala un Battista

Chiappe di Novi, esercitatosi lungamente

a Roma nel disegno e divenuto coloritore

assai ragionevole in Milano, parve molto

prometter2.

Ritroviamo un pagamento al pittore

anche dieci anni prima circa, quando nel

1743 nel registro di cassa viene annotata

una spesa per due lavori di restauro ad una

non precisata ancona e a uno stendardo:

spese per ordine de’ SS. Guardiani per far

agiustare il N.stro stendardo ed ancona al

Pittore Gio’ Batta Chiappe – 20.00 – seta

e tela per il medesimo – 1,20.

Il dipinto del Chiappe per l’altar

maggiore rappresenta la Trinità con

il Dio Padre che protegge l’umanità

posando il piede sulla sfera celeste e a

destra il Figlio ormai divino con Angeli e

Croce. Al centro in alto lo Spirito Santo

rappresentato dalla Colomba e ancora

più in alto ad adornare la scena ancora

angeli. Le tinte utilizzate sono tenui e i

colori risultano assai deboli, anche se

la pulitura e il seguente intervento di

restauro hanno portato alla luce aspetti

decisamente interessanti e caratterizzanti

l’artista. Il dipanarsi dei personaggi

risulta essere in alcune zone un po’ rigido

e piatto, come ad esempio la postura ed

il volto di Cristo. Di grande delicatezza

e umanità invece il volto del Padre, la

cui pulitura ha rivelato un’espressività

marcata e solenne: maggiore movimento

e gradevole animazione le due zone alte

e basse del dipinto. Nella parte alta una

fastosa teoria di angioletti è emersa in

tutta la sua delicatezza in seguito alla

fase di pulitura del dipinto, mentre

nella zona bassa di grande eff etto i due

angeli in posizioni fl uttuanti e l’angelo

portacroce, potente ma con espressione

al tempo stesso delicata e polverosa3.

Chiara Vignola

II. 6 GIOVANNI BATTISTA CHIAPPE (Novi Ligure 1723 – 1765)

Il Mistero della SS. Trinità, 1753

86

Olio su tela, 314 x 196 cm

Novi Ligure (AL), chiesa di Santa Chiara,

auditorium del Centro Comunale di cultura G. Capurro.

Provenienza: Novi Ligure, Oratorio della

Confraternita della Santissima Trinità, fi no al

1985; Oratorio del Collegio San Giorgio, fi no

al 2006. Attuale collocazione: auditorium del

Centro Comunale di cultura G. Capurro.

Inedito

Questa tela, di autore ignoto,

rappresenta il momento drammatico

in cui Cristo viene deposto dalla croce.

L’Arciconfraternita della S.S.Trinità

di Novi doveva avere in notevole

considerazione la tela, poiché la sua

posizione era quella a sinistra dell’altare

maggiore laddove l’iscrizione incisa ai

piedi della cappella recita venit Joseph et tulit corpus (“venne Giuseppe e

depose il corpo”)1.

Le dimensioni di questa pala si

diff erenziano di pochi centimetri

rispetto alle due tele del Campora qui

esposte.

I personaggi rappresentati, oltre al

Cristo morto, sono suddivisi in due

gruppi: il primo radunato ai piedi

della Croce è costituito da Maria

(madre di Gesù), Maria Maddalena e

Maria di Cleofa, il secondo gruppo,

maschile, si snoda attorno al Cristo

con una composizione a spirale che

vede Gesù al centro sostenuto da un

lenzuolo. La scena risulta, dunque,

molto aff ollata, benché si tratti dei

personaggi essenziali presenti in tutti i

racconti evangelici della Crocefi ssione.

Ai piedi della Croce sono posti in

evidenza gli strumenti della Passione.

Dietro ai protagonisti della tela si

1. Archivio della Confraternita della Santissima

Trinità, Chiesa di San Nicolò, “Libro di cassa del

N.stro Oratorio della Santissima Trinità di tutta

l’entrata et uscita di anno per anno” dal 1705.

Le prime note d’archivio relative all’attività

della Confraternita della Santissima Trinità sono

opera dello studioso Mario Silvano che nel 1983

ebbe modo di visionare una parte dei documenti

originali e li pubblicò in Silvano 1983, pp. 211-

234.

2. Cresca 1994, pp. 61-65.

intravvede una città murata, dominata

da una grande cupola e da una

moltitudine di campanili svettanti:

ricorda alcune rappresentazioni

grafi che della Novi settecentesca,

ma più probabilmente si tratta

di una fantasiosa ricostruzione di

Gerusalemme e del suo Tempio.

Nulla si sa dell’autore della tela2: è

ipotizzabile un pittore minore, forse di

ambito locale. Alcune fi gure risultano

meglio eseguite, quali ad esempio

la donna dolente inginocchiata in

basso a destra e i due uomini sul lato

destro del quadro; la Madonna e la

Maddalena, invece, presentano volti

inespressivi, mentre il tronco del corpo

di Cristo rivela una certa debolezza

nell’esecuzione.

Alcuni accenni nella composizione

sembrano rinviare alla Deposizione dalla Croce di Pieter Paul Rubens,

conservata nella Cattedrale di Anversa,

nota probabilmente al pittore attivo a

Novi per il tramite di un’incisione. A

conferma di questa ipotesi è il fatto che

l’impostazione compositiva della tela

dell’Oratorio della S.S.Trinità appare

speculare rispetto alla tavola di Rubens,

così come avviene nell’incisione.

Maria Cristina Daff onchio

II. 7 ANONIMOAttivo nella metà del ‘700

Deposizione dalla Croce, seconda metà del ‘700

88

Legno intagliato, 310 x 184 cm

Novi Ligure (AL), chiesa di Santa Chiara,

auditorium del Centro Comunale di cultura G.

Capurro.

Provenienza: Novi Ligure, Oratorio della

Confraternita della Santissima Trinità, fi no al

1985; Oratorio del Collegio San Giorgio, fi no

al 2006.

Inedito

La Croce lignea entra a far parte della

collezione civica con l’acquisizione

della proprietà dell’Oratorio della

Santissima Trinità nel 1985. Poco

si sa di quest’opera. Un unico

riferimento tra i manoscritti della

confraternita risale al 1872 anno

durante il quale Montecucco viene

chiamato per colorire (sic) gli emblemi

della Passione1.

Si tratta di un pregevole esempio

di cura con cui l’intagliatore ha

ricreato i numerosi simboli della

Passione di Cristo. Di fattura

artigianale ma curata nei particolari,

mostra il probabile intento di creare

un percorso didatticamente corretto

e approfondito sulle vicende di

Passione, Morte e Resurrezione del

Cristo.

Il termine latino Arma Christi,

nella traduzione letterale le Armi

di Cristo, indica, caricandosi

di significato simbolico, gli

strumenti che furono utilizzati

appunto durante la Passione. In

maniera dettagliata e fortemente

devozionale, l’intagliatore ha creato

un’opera quasi enciclopedica, la cui

forma ci suggerisce fosse destinata

alle processioni. Nel panorama della

scultura lignea è un interessante

esempio di analisi e presentazione

dei simboli: tutti sono intagliati

come singole sculture e posizionati

all’interno della Croce che è formata

da due barre lignee parallele, cui

sono inchiodati via via dall’alto

verso il basso, da sinistra a destra,

separati al centro della Croce dalla

corona di spine che va a circoscrivere

il Velo della Veronica.

Dall’alto verso il basso la fitta

citazione inizia con il gallo a

ricordare il tradimento di Pietro

seguito dalla corda con cui venne

battuto e, come già accennato in

premessa, al centro dei bracci della

croce, la corona di spine che gli venne

posizionata sul capo che circoscrive

il Velo della Veronica. Questo velo,

da non confondersi con la Sacra

Sindone il lenzuolo funebre che reca

impressa una fi gura intera umana, è

una reliquia consistente in un panno,

presumibilmente di lino, in origine

possesso di Santa Veronica, nel quale è

impresso un volto che si ritiene essere

quello di Gesù.

Alla destra della corona di spine

vediamo il guanto di sfi da dei

centurioni romani, l’ulivo dell’Orto

del Getsemani, le tenaglie per estrarre i

chiodi dai piedi del Cristo.

A sinistra: la frusta della fl agellazione,

la spugna imbevuta di acqua e aceto

utilizzata per ritardare la morte e

mantenere vigile il crocefi sso, i chiodi,

il martello.

Al di sotto, nell’ultimo spazio a

1. Archivio della Confraternita della Santissima

Trinità, Chiesa di San Nicolò, Libro di entrate e spese dall’anno 1864 al

1883, anno 1872

2. I cristezanti sono coloro che portano il cristo,

la loro funzione principale all’interno della

confraternita è quella di occuparsi di portare

il crocifi sso ed insegnare ai giovani tutte le

pratiche per portarlo.

3. Documenti dell’archivio della Confraternita

della Santissima Trinità, Chiesa di San Nicolò.

disposizione, quello più vicino

all’occhio del fedele, sono le lance,

il calice dell’Ultima Cena, la veste

di Giuseppe di Arimatea, il titulus

crucis, ovvero l’iscrizione INRI «Iesus

Nazarenus Rex Iudaeorum». Infi ne,

nell’ultima zona in basso, il sacchetto

di denari di Giuda, la campana della

resurrezione e ancora la lancia per

infliggere la ferita al costato.

Data la forma del braccio lungo

destinata ad essere inserita nella

cintura della veste dei cristezanti2,

questa croce era destinata alla

processione probabilmente nei

giorni di Giovedì e Venerdì Santo.

In molte occasioni i rendiconti di

cassa della Confraternita riportano

nelle spese i relativi pagamenti per

le processioni: cera per le candele,

lavaggio delle vesti dei confratelli e

trasporto delle croci3.

Chiara Vignola

II. 8 ANONIMOAttivo nella metà del ‘700 (?)

Arma Christi

90

III. Santa Chiara e Monastero delle Francescane

Sec. XVI

1536. Nonostante siano andate perse

le attestazioni storiche riguardanti

la vita del monastero a causa di un

incendio che ne ha devastato l’archivio,

le fonti letterarie riportate da Clelio

Goggi sostengono che il monastero

possa risalire a un periodo antecedente

al 1536, poiché proprio in quest’anno

è siglato l’atto uffi ciale della messa in

clausura del convento.

Sec. XVII

1645. La chiesa dedicata a Santa

Chiara ed annessa al convento

subisce un importante intervento di

trasformazione.

Sec. XVIII

1757, 24 aprile. La Chiesetta di Santa

Chiara è consacrata da Monsignor

Andujar.

Sec. XIX

1823. Il monastero viene soppresso

1824. Nell’antico monastero di Santa

Chiara, in questo anno di proprietà

demaniale, è istituito il stabilimento dell’orfanotrofi o. Con tale circostanza

sono trasformati, oltre al prospetto

principale sud, gli ambienti interni ed i

chiostri che in passato ospitarono fi no

a 50 suore, per accogliere le fanciulle

senza famiglia. Tale istituzione

interruppe la propria attività nel 1976

quando il complesso divenne proprietà

comunale.

Sec. XX

Nel corso dell’ultimo evento bellico i

bombardamenti hanno pesantemente

danneggiato l’area ovest del complesso

edilizio arrecando gravi danni alla

chiesa ed all’attiguo chiostro. La

chiesa fu completamente ricostruita

intorno ai primi anni Cinquanta del

Novecento.

Beppe Merlano

Monastero di Santa Chiara, oggi Biblioteca Civica

92

Monastero di Santa Chiara, oggi Biblioteca Civica, cortile interno

Olio su tela, 322 x 233 cm

Novi Ligure (AL), chiesa di Santa Chiara,

auditorium del Centro Comunale di cultura G.

Capurro.

Provenienza: Oratorio del Collegio San Giorgio,

fi no al 2006.

Inedito

Il dipinto, conservato presso la

chiesa di Santa Chiara dell’omonimo

monastero, oggi auditorium della

Biblioteca civica, è inedito e viene

attribuito da Anna Orlando a Gio.

Raff aele Badaracco1.

Non esistono notizie certe riguardo

la sua provenienza, ma il soggetto

suggerisce che sia stato commissionato

al Badaracco per il Monastero delle

Clarisse. Purtroppo non esiste

documentazione a riguardo, in quanto

la chiesa, originariamente edifi cata

nel 1633, è stata oggetto di un

bombardamento durante la seconda

guerra mondiale ed è stata pressoché

interamente ricostruita nell’immediato

dopoguerra2.

L’episodio narrato è quello relativo

alla vita di Santa Chiara, quando,

nell’estate dell’anno 1241, Assisi era

assediata dalle truppe di Federico Il.

La gente era rinchiusa dentro le mura

della città; la Santa era già malata, ma

quando i soldati, guidati da Vitale

d’Aversa, ten tarono la scalata alle mura

del convento, Chiara aiutata da due

consorelle, si alzò dal letto, prese la

teca col Santissimo e, tenendola alta,

si aff acciò alla grande fi nestra che dava

sul sagrato della chiesa. Fu a questo

punto che i famigerati nemici presi

da grande spavento, abbandonarono

in tutta fretta i muri del convento e il

mattino seguente tolsero l’assedio alla

città.

Confrontando quest’opera con

l’Istituzione dell’Eucarestia esposta

in mostra risulta evidente il debito

nei confronti dell’arte di Pietro da

Cortona, studiata a Roma, che Anna

Orlando indica come caratteristica

dello stile del pittore3. Quanto

osservato dalla studiosa a proposito di

una tela con Il giudizio di Salomone4,

può essere applicato anche al

nostro, in quanto, seppur ribaltata,

l’impostazione generale risulta

alquanto similare. In particolare,

nell’osservazione dalla parte destra del

quadro, laddove i Saraceni formano

un vortice di braccia, teste e mani a

rendere la fuga impaurita di fronte alla

Santa.

Le due fi gure centrali in primo piano,

di cui una rappresentata di schiena

e una frontale ma in forte torsione,

accompagnate dalle fi gure in secondo

piano di cui scorgiamo i volti concitati,

fanno da contraltare alla pacata postura

della Santa accompagnata dalle

consorelle e aiutata da un arcangelo

armato di spada.

In questo dipinto la necessità di

animazione e concitazione colloca il

pittore in una fase decisamente più

matura rispetto alla sequenza narrativa

della Comunione degli Apostoli, in quel

periodo “proprio quando Badaracco,

rientrato a Genova, si trova a dover

ritagliare il suo spazio tra la bottega

di casa Piola e quella dei Carlone per

1. La studiosa ne dà comunicazione orale a

chi scrive durante le fasi preparatorie di questa

mostra.

2. Camerino, Santaniello 1989, pp. 304-310.

3. Orlando 2010, p. 30.

4. Orlando 2010, p. 30.

5. Orlando 2010, p. 31.

conquistare la piazza locale”5.

Nel soggetto scelto non si rileva alcun

riferimento alla storia contemporanea,

dal momento che Novi nei decenni

del Settecento è ancora sotto il pieno

dominio Genovese come città di

riferimento dell’Oltregiogo.

Chiara Vignola

III. 1 GIO.RAFFAELE BADARACCO (Genova 1645 - 1717)

Santa Chiara che scaccia i saraceni, primo decennio ‘700

94

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