Tesi_Nov2013_Dibattito sulla guerra al terrore negli stati uniti dopo l'11 settembre

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Thesis by Marco Bistolfi Debate on war on terror in USA after 9/11 IULM University, Milan November 2013 Language: ITA

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MARCO BISTOLFI

"DIBATTITO SULLA GUERRA AL TERRORE NEGLI STATI UNITI DOPO L'11 SETTEMBRE" TESI DI LAUREA IN COMUNICAZIONE MEDIA E PUBBLICITA'

PROFESSOR GUIDO FORMIGONI

PROFESSOR MASSIMO DE GIUSEPPE

IULM LIBERA UNIVERSITA' DI LINGUE E COMUNICAZIONE, MILANO.

NOVEMBRE 2013.

CONCLUSIONI

Una volta che la seconda guerra mondiale cessò, gli Stati Uniti si ritrovarono

impegnati su due fronti: da una parte dovevano fare in modo di fermare o contenere

l'avanzata in Europa e Asia della potenza sovietica, dall'altra dovevano dare vita ad

un nuovo insieme di istituzioni internazionali, di pratiche sia economiche che

politiche. Se la strategia del containment avesse fallito e il comunismo si fosse

espanso, la nuova rete di alleanze e il sistema economico capitalista americano

sarebbero stati un fallimento.

Oggi si combatte ancora su due fronti: da una parte si fronteggiano i terroristici

fanatici pronti a condurre una guerra senza esclusione di colpi contro gli Stati Uniti,

dall'altra vi è la necessità di restaurare il sistema americano e trovare il modo di

gestire il modello in condizioni economiche e politiche nuove, e per certi aspetti,

meno favorevoli. Se non si riuscisse a contenere il terrorismo, il sistema economico e

l'ordine politico internazionale crollerebbero. Se invece non si fosse in grado di

costruire un sistema sociale ed economico stabile, i terroristi continuerebbero a

reclutare nuovi alleati e gli alleati storici si allontanerebbero lentamente diventando

inermi o addirittura passando dalla parte del nemico.

Analizzando i dossier sui membri della squadra che mise a segno l'attacco alle torri

gemelle, scopriremmo come molti di essi provenissero da famiglie saudite

estremamente ricche. Da questo fatto, alcuni denotano ancora oggi come la lotta alla

povertà del mondo e la ricerca di una stabilità sociale globale non agisca

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automaticamente come deterrente del terrorismo globale. Ma secondo Walter Mead,

ciò è vero solo in parte.

E' vero in parte cioè che il collegamento fra povertà e terrorismo non sia così diretto

come sembri, difficilmente infatti i più poveri diventano pericolosi terroristi.

E' altrettanto vero però, che le società in crisi sociale, politica ed economica generano

ideologie radicali e raggruppano attorno a sé un'opinione pubblica maggiormente

propensa ad accogliere valori e idee totalitarie. Se ci fermassimo a riflettere sul

passato recente scopriremmo che furono anche la fame, la miseria, la voglia di

rivalsa, la sofferenza, durante il secolo ventesimo a rendere gli europei sensibili al

fascino dei totalitarismi.

Questo tipo di problema oggi riguarda da vicino gli stati mancati; essi sono governi

che non hanno il controllo del proprio territorio, costituiscono un serio pericolo per

un mondo in cui i terroristi sono alla costante ricerca di porti sicuri e di basi in cui

nascondersi e prosperare.

Se gli Stati Uniti e i loro alleati non troveranno il modo di promuovere uno sviluppo

ordinato e pacifico in gran parte del mondo, le ideologie e le organizzazioni del

terrore si svilupperanno sempre di più, e la nostra sicurezza continuerà ad essere

costantemente in pericolo.

Ma come si può fare?

Vi è bisogno di creare una nuova strategia globale nella guerra al terrorismo.

Bisognerebbe fare in modo che questa nuova strategia sia compresa da tutti, e diventi

oggetto di dibattiti accesi, discussioni da cui poter trarre profitto. Durante la Guerra

Fredda, il concetto di containment combinava la serietà della minaccia sovietica

all'approccio innovativo che avevano adottato gli americani per fronteggiarla.

L'obiettivo statunitense era distruggere il comunismo, ma i metodi utilizzati per

raggiungere l'obiettivo non furono quelli tipici di una guerra tra grandi potenze.

Secondo l'analisi di John Kennan nel suo articolo su «Foreign Affaires» dal titolo

Sources of Soviet Conduct1, la sopravvivenza tanto del comunismo quanto della

                                                                                                                         1  J. Kennan, Sources of Soviet conduct, Foreign Affairs, 25, n°4, Giugno 1947  

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stessa potenza sovietica, dipendeva dalla loro capacità di espandersi. Di conseguenza,

se gli Stati Uniti d'America fossero riusciti nell'intento di bloccare l'avanzata

comunista, era parere diffuso che lo stato sovietico si sarebbe deteriorato lentamente

e sarebbe caduto. Inoltre, la politica del containment generò ampio consenso fra

l'opinione pubblica, e i presidenti che si susseguirono alla Casa Bianca ne poterono

giovare governando più agevolmente, utilizzando una politica lungimirante e

tendenzialmente moderata.

Il containment era una strategia estremamente funzionale e flessibile, tanto da

risultare utile sia durante i periodi di forte crisi (missili di Cuba ad esempio), sia

durante quelli di apparente distensione. Quando l'attivismo sovietico minacciava di

superare la soglia del containment, i presidenti potevano immediatamente contare

sull'appoggio dell'opinione pubblica per mantenere le posizioni e fare pressione sul

nemico.

La politica del containment che vinse la Guerra Fredda era attuata su tre fronti

diversi. In primo luogo gli Stati Uniti cercavano di contenere la potenza militare

sovietica creando una rete di forti alleanze militari e politiche contro di essa,

espandendo così la propria capacità di deterrenza nucleare, e mantenendo una forte

presenza all'interno di quelle regioni in cui i sovietici intendevano espandersi

territorialmente e ideologicamente. Inoltre, gli USA cercavano di contenere

l'espansione dei governi comunisti nel mondo, anche laddove le forze filocomuniste

non erano quelle dell'Unione Sovietica o dei suoi satelliti. L'America appoggiò ad

esempio la guerriglia britannica in Malesia, si impegnò affinchè venisse limitata

l'avanzata del comunismo in Asia (Vietnam e Corea), Africa e Sud America, spesso

alleandosi con Stati tuttaltro che democratici (dottrina Mann). Infine si cercò di

contenere l'espansione dell'influenza sovietica e dell'ideologia comunista tra le

società civili, nelle strutture politiche nazionali e nel resto del mondo.

Cercando di elaborare una strategia che risulti essere ugualmente funzionale e

flessibile per l'odierna guerra al terrorismo, si dovrebbe cercare di aggiornare l'ormai

vecchio concetto di containment, adattattandolo a questa nuova sfida internazionale.

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La storia ci insegna che una guerra nuova non può mai essere condotta con metodi

vecchi.

Al Qaeda e le varie organizzazioni che collaborano con essa non sono uno stato come

abbiamo già visto; uno Stato Virtuale forse, ma non possono essere intese come un

paese tradizionale.

Da sottolineare è il modo in cui la New Economy ha permesso l'insorgere di

organismi di questo genere, che potevano e possono tutt'ora godere di finanziamenti

da parte ad esempio, di Charities per lo più saudite.

In realtà, il quadro odierno è un poco più complesso di quanto non fosse all'alba

dell'undici settembre. La struttura di queste organizzazioni infatti, è profondamente

mutata, e così anche i mezzi con i quali ottengono denaro e potere. Si registra come

accennato nel primo capitolo, un sempre più frequente paragone attuato dagli analisti

fra Al Qaeda, e quindi le organizzazioni che operano sotto il suo brand, e le

organizzazioni di stampo mafioso.

AQIM, Al Qaeda nel Maghreb Islamico, ottiene oggi la maggior parte dei

finanziamenti attraverso quattro tipologie di attività criminose: il sequestro di persona

e il traffico di droga, di armi e di persone. Le offerte di protezione in cambio di favori

e/o denaro, e le richieste di pagamenti simili ai pizzi mafiosi sono all'ordine del

giorno nei territori del Sahel.

Come la Guerra Fredda, la guerra al terrorismo necessita di tutta una serie di attività

militari, di intelligence, politiche, economiche e culturali convergenti. E sempre come

la Guerra Fredda, la sfida contro il Jihadismo armato globale è fatta di momenti di

relativa calma alternati a momenti di forte crisi, e soprattutto richiede al contempo

una politica solida e costante, attuata su un lungo periodo.

Ma va da sé che l'odierna guerra al terrorismo non è un clone della guerra fredda, e

l'approccio dovrà essere profondamente diverso. Una delle differenze maggiori è che

la deterrenza attuata durante il conflitto con l'Unione Sovietica non potrebbe mai

funzionare nei confronti dei terroristi. Perchè?

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Prima di tutto le loro motivazioni sono basate su ideologie religiose invece che sulla

ricerca di potenza; i leader dei gruppi terroristi non sono facilmente individuabili, e il

loro potere non è necessariamente collegato a un solo paese. Essi inoltre, non

potrebbero subire la deterrenza dell'arsenale nucleare americano allo stesso modo in

cui la subivano i russi. Di contro però, nemmeno gli Stati Uniti subirebbero la

deterrenza del terrorismo, sono liberi infatti di dare loro la caccia e di distruggere le

loro reti quando e come vogliono.

L'obiettivo del jihadismo armato è lo stesso del jihadismo del cuore o quello detto

della parola2, ovvero la creazione di un unico grande califfato islamico. Quello che

varia da un jihadismo all'altro sono i mezzi con il quale l'obiettivo viene inseguito.

Per alcuni l'Islam radicale è un epifenomeno 3 , è una risposta al processo di

globalizzazione che è stato accompagnato a sua volta da un forte processo di

secolarizzazione e di laicizzazione delle società. L'obiettivo di fondo dei jihadisti,

ovvero quello della riunificazione sotto un unico califfato della popolazione islamica

e del ritorno all'età dell'oro dell'Islam, va chiaramente in cortocircuito con l'epoca

contemporanea. Alcuni degli elementi caratteristici della globalizzazione, come

l'abbattimento dei confini, le culture convergenti, la libertà dei costumi, corrono in

direzione opposta al radicalismo islamico, e vengono di fatto fortemente rifiutati. Per

l'Islamico radicale infatti, la modernità deve essere islamizzata poiché infettata

dall'occidente. Si sta vivendo un'era della Jahiliyya ( ignoranza ) che il buon

musulmano è chiamato a mutare, combattendo il proprio Jihad ( impegno sulla via di

Dio ), sia esso del cuore, della parola o della spada, e contrastando i miscredenti,

anche qualora questi ricoprissero cariche sociali rilevanti, o fossero stranieri in

territorio sacro, o ritenuti responsabili della sofferenza della popolazione islamica.

                                                                                                                         2  Jihad significa sforzo, dedizione, impegno sulla strada di Dio. Ogni islamico è chiamato a compiere il proprio. Si riconosce il Jihad del cuore che consiste nel migliorare se stessi in quanto islamici, quello della parola che contempla tutte le opere di diffusione della religione islamica nel rispetto del prossimo, delle mani che riguarda le opere caritatevoli e l'aiuto verso l'islamico in difficoltà, e quello armato o della spada che, qualora l'Islam venisse minacciato, chiama la comunità islamica ad agire in difesa di esso. Il Jihad della spada è quello tristemente più noto e che spesso sfocia nelle sue interpretazioni più violente e cruente, ed è quello di cui si è occupato questo elaborato.    3  R. Redaelli, Fondamentalismo Islamico, Giunti Editore, Firenze 2003.  

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Qualunque nuovo concetto di conteinment relativo alla minaccia terroristica per

Mead, deve contemplare anche la possibilità di attacchi diretti e spietati contro le

organizzazioni che lo promuovono.

Walter Mead chiama la nuova strategia globale contro il terrorismo con il termine

"forward containment", ossia un "contenimento avanzato". Esso si attuerebbe sul

triplo fronte storico visto poco sopra, con il quale era stato possibile in passato

sconfiggere l'Unione Sovietica, ma comprenderebbe anche diversi altri fattori

fondamentali, primo fra tutti una maggior presenza degli Stati Uniti nei territori da

cui il terrorismo si dirama, e una maggiore disponibilità ad ingaggiare il nemico in

uno scontro militare.

Si cercherà inoltre di contenere come è stato fatto in questi anni, il pericolo di

attacchi terroristici negli Stati Uniti attraverso misure di polizia e intelligence ( vedi

l'ampliamento delle misure di controllo introdotte dal Patriot Act ), si tenterà di

indebolire i legami che queste organizzazioni hanno con i governi stranieri, e di

limitare l'accesso alle armi nucleari.

Si cercherà di contenere la diffusione e l'influenza ideologica che sta alla base del

terrorismo.

Bisognerà secondo Mead, contenere l'espansione e il consolidamento del potere

politico di quanti abbracceranno quelle ideologie, in modo pacifico se sarà possibile o

tramite l'uso della forza se sarà necessario.

Con il tempo, indebolendo queste organizzazioni e mantenendole sulle difensiva, si

potrà sperare che si disgreghino come fece l'Unione Sovietica. Il risentimento nello

stile di Bin Laden forse resisterà, ma verrà limitato a gruppi minori e meno

pericolosi.

Durante la Guerra Fredda le amministrazioni americane chiudevano spesso un occhio

sul fatto che alcuni stati mantenessero legami più o meno forti con gruppi terroristici

vari. Era di dominio pubblico che certi paesi come la Germania dell'Est o la Siria,

dessero asilo ai terroristi e che in molti casi ci fossero forti legami tra i loro servizi

segreti e questi gruppi seminatori di morte. Il conflitto arabo-israeliano era un altro

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elemento che legittimava queste pratiche agli occhi di alcuni stati, in molti paesi del

mondo è considerato normale e legittimo supportare i gruppi palestinesi, anche quelli

la cui strategia si fonda sugli attacchi a civili innocenti.

Il crollo dell'Unione Sovietica mise fine ai legami fra gli stati europei e le

organizzazioni terroristiche, ma in Medio Oriente la situazione persiste ancora oggi, e

si è aggravata negli anni: vi sono paesi che ospitano campi di addestramento, che

permettono alle reti bancarie e finanziarie di funzionare a pieno regime ( e questo

aspetto fu fortemente alimentato dall'avvento della New Economy ), oppure vi sono

nazioni che gestiscono direttamente le loro ricchezze e le aumentano tramite lauti

finanziamenti, e spesso questi paesi non fanno parte della lista nera ( l'esempio

dell'Arabia Saudita proposto nel primo capitolo è rilevante ).

L'obiettivo primario nel lungo periodo per gli Stati Uniti, rimane quello di creare un

forte consenso internazionale attorno alla convinzione che il supporto alle

organizzazioni terroristiche sia sbagliato. Se ciò avvenisse, sarebbe possibile

sostituire l'azione diplomatica unilaterale basata sulla minaccia e l'intervento bellico,

con una più moderata strategia di pressione, controllo, ispezioni e sanzioni collettive.

Quanto ai tentativi di limitare l'estendersi dell'ideologia terroristica va fatta un

ulteriore precisazione, la Guerra Fredda mi verrà nuovamente in aiuto in questa

analisi.

Dal 1940 fino agli anni sessanta, il potere ideologico del comunismo era in

un certo senso più pericoloso della potenza militare dell'Unione Sovietica, ciò che

marciava in Cina, in Europa, in Asia sudorientale e in America Latina erano le idee

del comunismo più che gli apparati militari russi.

E' chiaro come il conteiment forward dovrebbe consistere anche nel contenimento

delle ideologie terroristiche. C'è chi a questo proposito rivedrebbe il termine

fondamentalismo islamico tanto utilizzato da media e amministrazioni politiche negli

ultimi dieci anni, questo perché lascerebbe intendere che l'ideologia di Bin Laden

possa essere considerata come una variante legittima dell'Islam.

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Una riflessione estremamente interessante è quella sviluppata da Paul Berman

all'interno del suo libro Terrore e Liberalismo, egli definisce i nemici dell'America

come fascisti4, e Walter Mead pare essere d'accordo con questa sottile ma efficace

analogia. Secondo i due analisti, il "fascismo arabo" è un ideologia totalitaria ispirata

a una visione mitica del passato. Esso non attrae soltanto gli arabi, ma anche tutti

quelli che pensano alle guerre di religione e di conquista del primo Islam come a

un'età dell'oro, e mira a restaurare questo passato non solo nel mondo islamico ma

anche in tutto il resto del pianeta.

Come il fascismo europeo durante gli anni venti, anche il fascismo arabo presenta

due forme: una di tipo scolare e una prettamente religiosa. Alcuni dei movimenti

fascisti europei, specialmente in Francia e Spagna, erano legati a settori della chiesa

cattolica. Altri, come i nazisti ad esempio, erano anticristiani, o laici o neopagani.

Allo stesso modo tra le ideologie totalitarie presenti oggi nel mondo musulmano, è

possibile trovare sia fascismi secolari ( come quello del partito Baathista in Iraq ), sia

fascismi prettamente religiosi ( come quello di Osama Bin Laden ). Entrambi

agiscono per affermare una politica totalitaria al fine di restaurare le glorie, spesso

esagerate, di un passato mitizzato.

Nella storia europea il bianco è stato spesso il colore associato ai movimenti totalitari

che si rifacevano alla tradizione religiosa, e si è spesso parlato di terrore bianco per

distinguerlo dal terrore rosso attribuito alla sfera comunista. Mead sostiene che

qualora estendessimo questo tipo di linguaggio al Medio Oriente, sarebbe possibile

chiamare fascismo bianco quello di Osama Bin Laden e fascismo nero quello

secolare dei leader come Saddam Hussein. Entrambi erano nemici mortali della

libertà e della pace.

Ad oggi l'obiettivo principale degli Stati Uniti resta quello di combattere il fascismo

bianco, e non quello nero dei radicali baathisti.

Ciò che è altrettanto importante fare è distinguere il fascismo bianco dall'Islam

conservatore. Bush si è sempre sforzato sin dai primi interventi pubblici a mantenere

                                                                                                                         4  P. Berman, Terrore e Liberalismo, Einaudi, Milano 2004  

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distanti due realtà profondamente differenti, quelle appunto del terrorismo e

dell'islamismo radicale.

Se considerassimo i musulmani pii e religiosi, potremmo affermare senza problemi

che hanno ragione di opporsi ad alcune politiche americane in Medio Oriente e

altrove. Questo perché è perfettamente comprensibile che non tutti nel mondo

islamico siano pronti ad accogliere gli standard occidentali di abbigliamento, di

relazioni tra i sessi e altre forme culturali e sociali che reputano oltraggiose. E'

evidente anche, che si possano avere opinioni differenti riguardo la questione arabo-

israeliana.

Gli Stati uniti devono accettare che alcuni aspetti della loro presenza e delle loro

politiche nel resto del mondo siano motivo di forti opposizioni, ma non

necessariamente un oppositore è anche un nemico. Anzi, quello che è auspicabile è

rafforzare i rapporti e trovare una comunanza con i musulmani moderati, in modo da

allearsi in modo solido e funzionale contro il comune nemico fascista.

Se ci pensiamo, la famiglia reale saudita non risponde ai criteri del fascismo bianco, e

come loro moltissimi altri radicali islamici rifiutano gli ideali fanatici del gruppo di

Al Qaeda. Questo dovrebbe suggerirci che a livello teorico, potenziali alleati sono

avvicinabili anche all'interno dei salotti dei musulmani più conservatori.

Quanto all'influenza culturale americana e occidentale nella regione, gli americani e

gli europei stanno da sempre collaborando nello sforzo di promuovere un'apertura

intellettuale e culturale del Medio Oriente, traducendo sempre più libri di ogni genere

ad esempio. Gli Americani cercano da anni di creare contatti accademici sempre più

stretti e contribuiscono a dare opportunità a studiosi promettenti del Medio Oriente.

Bisogna ricordare che la storia ci insegna che i cambiamenti profondi all'interno di

una società, difficilmente partono dall'alto, ma sono più efficaci se si alimentano

autonomamente all'interno dei nuclei famigliari e quindi quando si diffondono "dal

basso". E questo ci rimanda immediatamente al pericolo che può avere una forte

ideologia jihadista tra le popolazioni povere e prive di controllo istituzionale ( vedi il

Niger e il Mali, due regioni nelle quali AQIM sta agendo in modo rilevante ).

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Secondo molti analisti, il modo migliore di contenere il fascismo arabo e di relegarlo

alle fasce più fanatiche, è quello di rimuovere le cause che giustificano l'ira degli

arabi, ossia prima di ogni altra cosa l'appoggio da parte degli Stati uniti a Israele, che

essi giudicano da sempre eccessivo e ingiusto.

Cercare di sconfiggere le singole organizzazioni terroristiche, significa occuparsi solo

degli aspetti più evidenti e superficiali del problema mediorientale. Gli Stati Uniti

dovrebbero occuparsi invece di eliminare le cause profonde ( così le definisce Mead

), delle tensioni nella regione, per poi risolvere facilmente tutti gli altri problemi.

L'opinione pubblica e i governi d'Europa hanno spesso mosso delle critiche

sull'atteggiamento americano nella regione arabo israeliana. Va ricordato però, che le

prima cause profonde dell'instabilità nella regione derivano dall'imperialismo

europeo, e dal risentimento che ciò causò tra le popolazioni, in certi casi vibrante

ancora oggi, non certo dalle operazioni americane successive nella zona.

Gli imperi europei si dividevano il Medio Oriente arabo, infliggendo ferite profonde

alla loro società. Fummo noi occidentali a designare la Palestina come luogo di

accoglienza delle masse disperate di ebrei, e ora predicare pazienza e moderazione a

entrambe le parti, o lamentarsi dell'incapacità statunitense di rimettere a posto

l'ennesimo disastro che l'imperialismo europeo si è lasciato alle spalle, suona un poco

arrogante per alcuni analisti come Maed.

In ultima analisi, un accordo di pace tra israeliani e palestinesi che venisse percepito

come soddisfacente, definitivo e giusto nel mondo arabo, potrebbe migliorare di

molto la situazione politica e militare del Medio Oriente e renderebbe enormemente

più semplice fronteggiare le minacce del fascismo arabo.

Infine, un ultimo elemento della strategia di "containment forward" nasce anch'esso

dalle strategie dei tempi della Guerra Fredda.

Come l'America resistette ai tentativi della Russia di estendere il comunismo durante

la seconda metà del novecento, oggi siamo chiamati a resistere ai tentativi del

fascismo arabo ( e dei movimenti che lo sostengono ), di stabilire il proprio controllo

politico su qualunque stato del mondo. Questo perché l'instaurazione di governi

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religiosi per mezzo di violenze e dell'inganno è qualcosa a cui bisogna opporsi ( si

spera con l'aiuto di tutti gli alleati possibili ), tanto all'interno quanto all'esterno del

mondo islamico. Mead usa questo parallelismo che a tratti potrebbe sembrare un

poco forzato: Hitler fu nominato cancelliere in maniera legittima dice, secondo le

leggi della Repubblica di Weimar. Le leggi che hanno dato vita alla sua dittatura sono

state approvate dal Reichstag. Ciononostante, in pochi sosterrebbero oggi seriamente

che il resto del mondo non avrebbe avuto il diritto di porre fine al suo regime, se non

dopo che egli aveva invaso la Polonia nel 19395.

E' chiaramente impossibile prevedere come si possa evolvere la lotta politica al

fascismo arabo in Medio Oriente o altrove, ma non si può criticare in toto la

legittimità con la quale gli Stati Uniti si opporranno all'acquisizione di poteri statali

da parte di movimenti fascisti.

Forti della lezione regalataci dalla seconda guerra mondiale e gli orrori che l'hanno

caratterizzata con l'avvento dei fascismi, è impegno comune fare in modo che le

odierne amministrazioni dei paesi non abbiano legami di nessuna natura con i gruppi

terroristici.  

                                                                                                                         5  W. Mead. Potere, Terrore, Pace e Guerra, Garzanti Milano 2004.