Tesina di maturità creata da me, riguardante i Limiti della scienza

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Introduzione In un mondo in cui appare quotidianamente all’orizzonte una nuova scoperta scientifica e, quest’ultima, diventa conoscenza di dominio pubblico in base all’interesse che le multinazionali nutrono nei suoi confronti, in cui esisterebbero obiettivamente applicazioni tecniche molto più efficienti di quelle in uso se si sfruttassero realmente le capacità e le conoscenze di ultima generazione, ho voluto ambientare la mia tesina. In questi anni di Liceo Scientifico, la scienza è stata sicuramente un denominatore comune che ci ha accompagnato dall’insiemistica e lo studio delle forze sino agli integrali e la fisica degli ultimi secoli. Con l’introduzione del Metodo Scientifico si è definito l’aspetto cangiante di questa disciplina che non si basa su credenze dogmatiche ma su tesi pubblicamente dimostrabili. Perciò ho voluto sviluppare una riflessione su quali sono, nei giorni nostri, i limiti di una scienza continuamente in crescita. Questo percorso attraverserà diverse discipline fornendo un ordine cronologico volto a dimostrare che già gli antichi Romani si interrogavano sul progresso scientifico. Proseguirà poi citando il padre della letteratura Italiana, Dante, analizzando come quest’ultimo affrontò un limite naturale che si dimostrò invalicabile senza l’aiuto di Dio. Per poi passare ad un altro illustre esponente della tradizione italiana cioè Leopardi, che ricorse all’immaginazione come mezzo di superamento di un limite imposto dalla condizione umana: l’infelicità. Arriveremo così a distinguere tre tipologie di limiti odierni: i limiti da me definiti “tecnici” poiché dettati da deficit strutturali o conoscitivi dell’uomo, i limiti “morali” generati dalle società del ventunesimo secolo e i loro valori, e una terza categoria di limiti analizzeremo in conclusione. Per prima cosa vorrei portare alla vostra attenzione il potere del sapere scientifico, in grado di manipolare l’esistenza umana nel bene e nel male (le protesi di ultime generazioni create e la bomba atomica potrebbero essere rispettivamente due esempi calzanti) da cui si deduce che è interesse di tutti capirlo e sfruttarlo nella maniera più consona e utile per l’umanità. Già Einstein, in un messaggio agli scienziati Italiani aveva fatto appello alla rinascita di un sentimento di responsabilità

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Esempio di Tesina, creata interamente da me...tratta i limiti della scienza e del progresso in questa società del 21esmo secolo

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Introduzione

In un mondo in cui appare quotidianamente all’orizzonte una nuova scoperta scientifica e, quest’ultima, diventa conoscenza di dominio pubblico in base all’interesse che le multinazionali nutrono nei suoi confronti, in cui esisterebbero obiettivamente applicazioni tecniche molto più efficienti di quelle in uso se si sfruttassero realmente le capacità e le conoscenze di ultima generazione, ho voluto ambientare la mia tesina.In questi anni di Liceo Scientifico, la scienza è stata sicuramente un denominatore comune che ci ha accompagnato dall’insiemistica e lo studio delle forze sino agli integrali e la fisica degli ultimi secoli. Con l’introduzione del Metodo Scientifico si è definito l’aspetto cangiante di questa disciplina che non si basa su credenze dogmatiche ma su tesi pubblicamente dimostrabili. Perciò ho voluto sviluppare una riflessione su quali sono, nei giorni nostri, i limiti di una scienza continuamente in crescita.Questo percorso attraverserà diverse discipline fornendo un ordine cronologico volto a dimostrare che già gli antichi Romani si interrogavano sul progresso scientifico. Proseguirà poi citando il padre della letteratura Italiana, Dante, analizzando come quest’ultimo affrontò un limite naturale che si dimostrò invalicabile senza l’aiuto di Dio. Per poi passare ad un altro illustre esponente della tradizione italiana cioè Leopardi, che ricorse all’immaginazione come mezzo di superamento di un limite imposto dalla condizione umana: l’infelicità. Arriveremo così a distinguere tre tipologie di limiti odierni: i limiti da me definiti “tecnici” poiché dettati da deficit strutturali o conoscitivi dell’uomo, i limiti “morali” generati dalle società del ventunesimo secolo e i loro valori, e una terza categoria di limiti analizzeremo in conclusione.Per prima cosa vorrei portare alla vostra attenzione il potere del sapere scientifico, in grado di manipolare l’esistenza umana nel bene e nel male (le protesi di ultime generazioni create e la bomba atomica potrebbero essere rispettivamente due esempi calzanti) da cui si deduce che è interesse di tutti capirlo e sfruttarlo nella maniera più consona e utile per l’umanità. Già Einstein, in un messaggio agli scienziati Italiani aveva fatto appello alla rinascita di un sentimento di responsabilità scrivendo:

“ .... Vediamo oggi delinearsi, per l’uomo di scienza, un tragico destino . Sostenuto dalle sue aspirazioni alla chiarezza e all’indipendenza esteriore, egli ha, con uno sforzo quasi sovrumano , forgiato da se stesso le armi del suo asservimento sociale e dell’annientamento della sua personalità . Egli deve piegarsi al silenzio di chi detiene il potere politico, ed è costretto , come un soldato , a sacrificare la propria vita , e ciò che è peggio a distruggere quella degli altri , anche se è convinto dell’assurdità di un tale sacrificio . “Egli vede con assoluta chiarezza che la situazione determinata dalla storia per cui soltanto gli stati possono disporre del potere economico e politico , e quindi anche di quello militare , deve condurre alla distruzione totale . Egli è cosciente che l’uomo può essere ancora salvato soltanto cambiando i metodi della forza bruta con un ordine giuridico soprannazionale... ”Entro mura misteriose si perfezionano con fretta febbrile i mezzi di distruzione collettiva. Se si raggiunge questo scopo, l’avvelenamento dell’atmosfera da parte della radioattività e , di conseguenza , la distruzione di qualsiasi forma di vita sulla terra , entrerebbero nel novero delle possibilità tecniche . E’ tutto concatenato, in questo sinistro svolgersi d’avvenimenti . Ogni passo si presenta come inevitabile conseguenza del precedente . Al termine del cammino , si profila sempre più distinto lo spettro della distruzione completa . Noi non possiamo cessare di ammonire ancora e sempre; non possiamo rallentare i nostri sforzi per dare coscienza alle nazioni del mondo, e soprattutto ai loro governi , dell’immagine del disastro che essi debbono esser certi di provocare se non cambieranno atteggiamento gli uni verso gli altri , e la loro maniera di concepire il futuro. Il nostro mondo è minacciato da una crisi la cui ampiezza sembra sfuggire a coloro che hanno il potere di prendere grandi decisioni per il bene e per il male. La potenza scatenata dall’atomo ha tutto cambiato , salvo il nostro modo di pensare , e noi stiamo scivolando così verso una catastrofe senza precedenti. Perché l’umanità sopravviva un nuovo modo di pensare è indispensabile. Allontanare questa minaccia è divenuto il problema più urgente del nostro tempo”.

Lucio Anneo Seneca

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Appartenente a una ricca famiglia di rango equestre nacque a Cordova, in Spagna, forse nel 4 a.C. Studiò a Roma educato dallo stoico Attalo e dal neopitagorico Sozione (quest’ultimo lo iniziò a costumi sobri e austeri). Diventò Questore ma la sua brillante carriera fu rovinata da difficili rapporti con gli imperatori: Caligola, geloso di Seneca, progettò di ucciderlo e Claudio nel 41 a.C lo condannò all’esilio istigato dalla moglie Messalina che sfruttò un’ infima amicizia con Giulia Livilla. Rientrato a Roma, avrebbe voluto abbandonare la carriera politica ma fu costretto ad accettare la carica di precettore di Nerone su richiesta della madre Agrippina (nuova moglie di Claudio). Fu testimone del terribile matricidio compiuto da Nerone nel 59 poiché la madre si opponeva al suo matrimonio con Poppea Sabina e nel 62 abbandonò definitivamente la vita politica favorendo l’ascesa del sinistro pretorio Tigellino. Accusato di complicità nella Congiura di Pisone (che mirava ad uccidere Nerone) fu costretto ad uccidersi.

Le Naturales quaestiones

In quest’opera, redatta negli anni del ritiro, è possibile individuare una particolare concezione di sapere scientifico, visto come elemento per elevarsi a Dio, volto al superamento del limite della superstizione colpevole della presenza di timori infondati nella mente umana.

Affrontando il testo, infatti, troviamo fin dal primo libro una chiara presa di posizione di Seneca nella quale si scopre l'intento primo dell'opera: permettere all'uomo, una volta libero dalle false credenze che avvolgono la natura, di ascendere ad una dimensione più divina. Di particolare importanza sono il paragrafo 8-9:

Hoc est illud punctum quod tot gentes ferro et igne dividitur? O quam ridiculi sunt mortalium termini!

("È tutto qui quel punto [la Terra] che viene diviso col ferro e col fuoco fra tante popolazioni? Oh quanto ridicoli sono i confini posti dagli uomini!")

Sviluppate in sette libri, le Naturales quaestiones sono di fatto un trattato di scienze naturali suddiviso in sette libri che venne dedicato a Lucilio (il destinatario delle Epistole). In particolare l’opera tratta di argomenti metereologici; l'edizione a noi giunta non è integrale e differisce quasi sicuramente dall'edizione originale per ordine e composizione. Questi, principalmente, sono gli argomenti su cui Seneca si sofferma:

• 1. libro: I fuochi - Gli specchi• 2. libro: Lampi e folgori• 3. libro: Le acque terrestri (completo)• 4. libro: il Nilo - Neve, pioggia e grandine

• 5. libro: I venti• 6. libro: I terremoti• 7. libro: Le comete

È importante ricordare che, fine ultimo dell’opera, non è raccogliere ordinatamente ogni conoscenza dell'epoca (cosa che invece possiamo intendere almeno in parte nel “Naturalis historia” di Plinio il vecchio) ma è uno scopo morale. Questi intenti sono esplicitamente trattati nelle prefazioni e negli epiloghi dei singoli libri che si rivelano digressioni di carattere moralistico. In questi Seneca si dimostra fiducioso nella ricerca ma critica la tendenza ad utilizzare conoscenze scientifiche e ritrovati della tecnica in funzione di un accrescimento dei vizi e della corruzione.

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L’impostazione formale e argomentativa delle “Naturales Quaestiones” è simile a quella dei “Dialogi”, come anche quella degli altri trattati: il “De clementia” e il “De Beneficiis”. Anche qui infatti l’autore parla in prima persona rivolgendosi a un dedicatario con cui immagina di discutere e dialogare; anche qui è individuabile un impianto argomentativo e dialettico energico e impegnato oltre che l’uso di procedimenti diatribici.

Dante Alighieri

Proseguendo nell’analisi generale del concetto di limite nel corso della letteratura incontriamo l’ineffabilità Dantesca, in altre parole l’incapacità di dire, di esprimersi perché la grandezza degli argomenti non consente a Dante di tradurre tutto ciò di cui è testimone. Questo concetto è dalui chiaramente descritto all’inizio dell’ultima cantica, nel primo canto del paradiso infatti

Nel ciel che più de la sua luce prendefu.io, e vidi cose che ridirené sa né può chi di là sù discende;perché appressando sé al suo disirenostro intelletto si profonda tanto,che dietro la memoria non può ire. (Pd I, 4-9)

Nel cielo che più riceve del raggio divino io giunsi, e lì vidi cose che chi ritorna da lassù non riesce e non ha la possibilità di riferire, poiché avvicinandosi all’oggetto del suo desiderio, l’intelletto umano si addentra a tal punto che la facoltà di ricordare non riesce a tenergli dietro.

L’elevatezza degli argomenti non rende possibile comunicare la materia trattata, questo è unvero e proprio limite umano, di cui Dante è pienamente consapevole. Salendo sempre più nel cammino intrapreso nella “Commedia”, arrivato al Paradiso, Dante raggiunge l’Empireo, la sede di Dio. E’ proprio la grandezza, l’immensità di Dio, la materia teologica che diventa inesprimibile. Il 33° canto del Paradiso si apre con la preghiera di S.Bernardo alla Vergine che può essere divisa in due parti (secondo la struttura liturgica tipica di tutte le preghiere), nella prima troviamo lode e benedizione della divinità mentre nella seconda è presenta la richiesta di aiuto e l’invocazione. Dopo questa preghiera Dante prova ugualmente a descrivere ciò che vede nonostante le difficoltà, rimanendo fedele fino all’ultimo al compito assegnatogli dalla divina provvidenza: testimoniare a tutti quello che ha visto. Inizia dunque la “poesia dell’indicibile” dal 55° verso.

Da quinci innanzi il mio veder fu maggioche ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede,e cede la memoria a tanto oltraggio.Qual è colui che sognando vede,che dopo ‘l sogno la passione impressarimane, e l’altro a la mente non riede,cotal son io, ché quasi tutta cessamia visione, e ancor mi distillanel core il dolce che nacque da essa.Così la neve al sol si disigilla;così al vento ne le foglie levisi perdea la sentenza di Sibilla.(Pd XXXIII, 55-66)

Da qui in poi ciò che vidi fu maggiore di ciò che diranno le mie parole, che cedono ad una visione tanto sublime, come la memoria a tanta meraviglia. Come colui che ha un sogno, e in cui dopo il sogno rimane impresa la sensazione di esso, mentre il resto torna alla memoria, così mi trovo io, che quasi tutte le immagini di quella vista sublime scomparse, ma ancora la dolcezza che derivò da essa scende goccia a goccia nell’anima. Così la neve si scioglie ai raggi solari, così i responsi della Sibilla scritti su foglie leggere si perdevano nel vento.

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Con queste tre similitudini Dante cerca di descriverci la situazione in cui si trova: non puòraccontarci quello che ha visto ma solamente la sensazione di dolcezza che ancora glirimane in cuore. Per esprimere questo Dante evoca l’immagine di chi svegliatosi ha perso ilricordo di quanto ha sognato ma reca ancora nel cuore l’emozione mentre l’ultima similitudine, si riferisce al mito della Sibilla, mitica profetessa cumana, che scriveva i suoi responsi su foglie che poi il vento disperdeva, per cui era difficilissimo ricostruirli.

Omai sarà più corta mia favella,pur a quel ch’io ricordo, che d’un fanteche bagni ancor la lingua a la mammella.(Pd XXXIII, 106-108)

Ormai le mie parole, anche solo rispetto a quello che ricordo, saranno più brevi di quelle di un bambino che ancora prende il latte dal seno.

Chiara dichiarazione d’ineffabilità: d’ora in avanti il suo parlare sarà talmente inadeguatorispetto a quanto a visto, da essere superato dal balbettio di un infante che bagni ancora lalingua al seno della madre.

Oh quanto è corto il dire e come fiocoal mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.(Pd XXXIII, 121-123)

Quanto è insufficiente e debole la parola rispetto all’immagine che conservo! E anche questa, rispetto a quella visione, è tale che dir “poco” non è sufficiente.

Dante sospira e ancora una volta denuncia l’inadeguatezza del suo linguaggio rispetto al ricordo che conserva dell’immagine della Trinità. L’umana ragione è sconfitta, non c’è soluzione se non l’intervento gratuito di Dio che illumina con un fulgore la mente di Dante facendogli comprendere l’incomprensibile. A questo punto non si può dire più niente, la poesia ha raggiunto il suo limite e lascia il posto al silenzio proprio nel momento in cui desiderio e volontà, per Dante, finalmente coincidono grazie all’intervento divino.

A l’alta fantasia qui mancò possa;ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,sì come rota ch’igualmente è mossa,l’amor che move il sole e l’altre stelle.(Pd XXXIII, 142-145)

Alla mia pur eccezionale facoltà immaginativa vennero meno a questo punto le forze; ma Dio, il sommo amore che imprime movimento al sole e agli altri astri, faceva già girare il mio desiderio e la mia volontà come una ruota gira con moto uniforme.

Giacomo Leopardi

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Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati, un borgo appartenente allo Stato Pontificio. Il padre era un uomo colto ma di cultura attardata e accademica mentre la madre, donna dura e gretta, si fece dominatrice della vita familiare. Intorno ai dieci anni abbandonò lo studio con precettori ecclesiastici poiché non aveva più nulla da imparare da loro e continuò i suoi studi da solo per quei “sette anni di studio matto e disperatissimo”.Dopo aver cercato più volte di uscire dal paese natio riuscì ad avere alcune esperienze fuori da Recanati, a Roma, ma quegli ambienti letterari lo delusero fortemente per meschinità e mancanza di valori. Dopo aver lavorato per alcuni anni con l’editore Stella tornò a Recanati per motivi economici e di salute, si trasferì ancora a Firenze per poi terminare la propria vita a Napoli nel 1837.

Il pensiero del Leopardi

Trae origine dalla concezione meccanicistica del mondo, che egli aveva appreso dall’illuminismo e fatta propria al tempo della conversione filosofica. Meditando su di essa, egli giunse a una forma di materialismo assoluto. Il mondo dunque per il Leopardi è governato da leggi meccaniche in cui l’uomo, Non solo è una creatura debole e indifesa, ma è anche un essere insignificante nel contesto della vita universale. La stessa concezione, che per i pensatori del ‘700 era motivo di orgoglio e di ottimismo, per il senso di liberazione che esso comportava dalle superstizioni del passato e per la nuova fede nella scienza, per il Leopardi è motivo di tristezza e di pessimismo, perché egli avverte dolorosamente i limiti della natura umana, in contrasto con l’innata aspirazione dell’uomo all’infinito.

La poetica del “Vago e Indefinito” e lo Zibaldone

La “teoria del piacere” elaborata nel luglio 1820 costituisce il nucleo germinale della filosofica pessimistica del Leopardi.

E perciò tutti i piaceri debbono essere misti di dispiacere, come proviamo, perché l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato. Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono.(Zibaldone, 165-172)

A proposito del nostro discorso sui limiti, la ricerca dell’infinito nell’immaginazione, costituisce proprio un tentativo di superamento di un limite naturale (ricordiamo che in una prima fase Leopardi attribuisce la causa dell’infelicità all’uomo stesso, in seguito aderisce all’ideale di natura maligna per poi approdare a un pessimismo cosmico in cui l’infelicità è un dato di fatto per natura). È infatti impossibile raggiungere IL piacere (infinito) nella realtà, la realtà immaginata costituisce una compensazione indispensabile al soddisfacimento dei bisogni umani.Nello Zibaldone Leopardi passa minuziosamente in rassegna, in chiave sensistica, tutti gli aspetti della realtà sensibile che, per il loro carattere indefinito, possiedono una forza suggestiva. Si viene quindi a definire la “Teoria della Visione” individuabile nel Bello Poetico. Quest’ultimo concetto si manifesta in parole dal carattere vago e indefinito come “lontano, antico, notte” e nella “Rimembranza” cioè immagini suggestive che permettono il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la memoria, oppure il ricordo di immagini trovate in altri poeti. Ecco espresso la prima tipologia, riferita al fanciullo; seguita dalla spiegazione del concetto di rimembranza poetica:

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Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una pittura, un suono [..] ci piace e ci diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e indefinito: l’idea che ci desta è sempre indeterminata e senza limiti [..]. Da grandi [..] non sarà più simile in nessun modo all’infinito, o certo non sarà così intensamente, sensibilmente, durevolmente ed essenzialmente vago e indeterminato [..]. Anzi osservate che forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei e dipendono da lei e derivano da lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei.(Zibaldone,514-516)

Un oggetto qualunque, per esempio un luogo, un sito, una campagna, per bella che sia, se non desta alcuna rimembranza, non è poetica punto a vederla: La medesima, ed anche un sito, un oggetto qualunque, affatto impoetico in se, sarà poetichissimo a rimembrarlo.(Zibaldone,4426)

Le parole lontano, antico e simili sono poeticissime e piacevoli, perché destano idee vaste, e indefinite, e non determinabili e confuse. [..](Zibaldone, 1789)

Le parole notte notturno ec., le descrizioni della notte ec., sono poeticissime, perché la notte confondendo gli oggetti, l’animo non ne concepisce che un’immagine vaga, indistinta, incompleta, sì di essa che quanto ella contiene. Così oscurità, profondo ec. ec. (28 Sett 1821)(Zibaldone, 1798)

Alla teoria del vago e indefinito si collega strettamente quella della “doppia visione” cioè della realtà attraverso l’immaginazione, indispensabile al fine della compensazione della finitudine del piacere reale:

Egli vedrà una torre, una campagna, udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un'altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose.(Zibaldone,4418)

L’infinito

Nell’ottica di individuare applicazioni della “Teoria del piacere” leopardiana all’interno della sua poetica, che permettano di individuare le metodologie di superamento del limite dell’infelicità umana nella realtà, consideriamo questa famosissimo componimento in cui il poeta varca un limite fisico, costituito dalla presenza di una siepe che gli impedisce lo sguardo, attraverso l’immaginazione. Fu composto a Recanati nel 1819 (un anno prima della formulazione della “Teoria del Piacere” e pubblicato per la prima volta con gli altri Idilli nel periodico bolognese “Il Nuovo Raccoglitore” nel 1825, poi nell’edizione bolognese dei “Versi” ed infine nei “Canti” nel 1831.

« Sempre caro mi fu quest'ermo colle,e questa siepe, che da tanta parte

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dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.Ma sedendo e mirando, interminatispazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quieteio nel pensier mi fingo, ove per pocoil cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quelloinfinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l'eterno,e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questaimmensità s'annega il pensier mio:

e il naufragar m'è dolce in questo mare. »

Riferendosi anche all’anno di produzione, si può affermare che “L’infinito” anticipa, in forma poetica e nucleo tematico, la “teoria del piacere” del 1820, da cui si sviluppa la teoria del “vago e indefinito”. Come si è potuto notare in alcuni passi dello Zibaldone soprariportati, Leopardi sostiene che particolari sensazioni visive o uditive, per il loro carattere vago e indefinito, inducono l’uomo a crearsi con l’immaginazione quell’infinito a cui aspira, e che è irraggiungibile, perché la realtà non offre che piaceri finiti e perciò deludenti. L’infinito è appunto la rappresentazione di uno di questi momenti privilegiati, in cui l’immaginazione strappa la mente al reale, che è il “brutto”. Supera un limite umano per immergere l’animo nell’infinito e, significativamente, le teorizzazioni dello Zibaldone richiamano proprio questo testo come esempio. Nella prima parte (vv. 1-8) l’impossibilità della visione, cioè la siepe che chiude lo sguardo impedendo a quest’ultimo di spingersi fino all’estremo orizzonte, esclude il reale e fa subentrare il fantastico. Potremmo esprimere questo concetto utilizzando alcuni passi dello Zibaldone dicendo “allora in luogo alla vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale”. Il pensiero si costruisce dunque l’idea di infinito spaziale “interminati spazi di là da quella” caratterizzati da “sovrumani silenzi” e “profondissima quiete”.Nella seconda parte invece, (vv. 8-15), l’immaginazione prende l’avvio da una sensazione uditiva, lo stormire del vento tra le piante. La voce del vento, che nella tradizione poetica ha sempre evocato immagini effimere e vane, viene paragonato all’infinito silenzio creato dall’immaginazione e suscita l’idea del perdersi delle labili cose umane nel silenzio dell’oblio: un infinito temporale.Particolare è il disegno strutturale in cui i due momenti sopracitati sono scanditi da sette versi e mezzo ciascuno e da un punto di blocco grammaticale che si oppongono all’unità processuale del passaggio psicologico dell’io. Quest’ultimo, dinanzi alle immagini interiori dell’infinito spaziale prova un senso di sgomento giungendo “ove per poco il cor non si spaura”; ma nel secondo momento l’io si “annega” nell’ “immensità” dell’infinito temporale. Finisce con il perdere la propria identità, e questa sensazione di naufragio dell’io è piacevole (“e il naufragar m’è dolce in questo mar”) secondo il tema “dell’orrore dilettevole” di Lucrezio che, secondo il sensismo, è suscitato dall’immaginazione dell’infinito (Cellerino, 1972).Sarebbe sicuramente semplice interpretare il componimento in chiave mistico/religiosa, il perdersi dell’io infatti è base di ogni esperienza mistica; il linguaggi della mistica è inoltre richiamato dalla metafora del mare in cui l’io naufraga e Leopardi stesso, nello Zibaldone, usa il termine di “estasi” per indicare simili rapimenti generati da sensazioni indefinite. Già De Sanctis fornì una lettura in chiave religiosa della lirica dicendo “Così i primi solitari scopersero l’Iddio) e la stessa interpretazione venne fornita dalla successiva critica idealistica. Ma bisogna fare attenzione poiché no è ravvisabile alcun riferimento al sovrannaturale, l’infinito Leopardiano non ha le caratteristiche del divino, di un’entità spirituale trascendente. Anche perché, lo stesso

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scritto di Recanati, specifica fermamente nello Zibaldone che “L’infinità della inclinazione dell’uomo è una infinità materiale”. Inoltre, prestando attenzione al verso 7°, si nota che l’infinito in questione non è neanche oggettivo (“io nel pensier mi fingo”) ma è evocato in maniera soggettiva a partire da sensazioni fisiche, in chiave prettamente sensistica. Per questi motivi è possibile affermare che il disegno costruttivo, nonostante si articoli in due momenti scanditi dallo stesso numero di versi, un punto grammaticale e due tipi di infinito (spaziale e temporale); esiste in realtà in processo unico rappresentato dal passaggio psicologico e da un elemento sintattico, una congiunzione coordinativa (“E” che inizia il secondo periodo), e da uno metrico, una sinalefe che collega “spaura” con la congiunzione successiva (per sinalefe si intende la fusione della vocale finale di una parla con quella iniziale della parola successiva del verso. Si pronunciano distinte ma metricamente si contano come fossero una sillaba sola.

Limiti Odierni Di ordine Tecnico

Passiamo ora ad analizzare i limiti “contemporanei” distinguendoli nelle categorie anticipate nell’introduzione: la prima di queste riguarda i limiti “tecnici” in cui l’impossibilità del progresso nasce da deficit strutturali o conoscitivi dell’odierna cultura scientifica. Il primo aspetto che analizzerò sarà l’incapacità dell’uomo del ventunesimo secolo di controllare la fusione nucleare per poterla utilizzare a scopi industriali ed energetici.

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La fusione nucleare

Prima di tutto occorre paragonare la fusione nucleare all’altra reazione nucleare: la fissione nucleare. Quest’ultima, oltre ad essersi “macchiata” di stragi nucleari come Cernobyl e Fukushima e militari come Hiroshima e Nagasaghi, ha un potere energetico molto minore rispetto alla fusione nucleare. Basti pensare che quest’ultima alimenta il Sole (come altre stelle) in cui due atomi di Idrogeno si fondono creando un atomo di Elio e l’energia sprigionata è in grado di illuminare l’interno sistema solare.Attualmente nel centro di….si stanno portando avanti ricerche per creare …in grado di sopportare le altissime temperature sprigionate dalla fusione nucleare.

Scienze della Terra

Proprio parlando di fusione nucleare è possibile collegarsi al Sole, stella intorno a cui orbita l’intero sistema solare, alimentata costantemente da reazioni di fusione nucleare. Ricordando sempre il filo conduttore dei limiti della scienza e applicando questo concetto alla materia in questione è possibile riscontrare argomenti tutt’ora spiegati attraverso ipotesi più o meno sicure e dimostrate; ma pur sempre ipotesi.Prima di tutto, parlando dell’origine e dell’evoluzione dell’universo, si notano due teorie completamente distinte:

1) Teoria dell’Universo Stazionario: che si basa sul Principio Cosmologico della Fisica secondo cui l’Universo, su larga scala, dovrebbe essere immutabile. Per questo il reciproco allontanamento delle galassie e la diminuzione della densità (stabilito dagli studi di Hubble che portarono alla formulazione della legge di hubble “v/d = Ho” dove quest’ultima è la costante che prese il suo nome) sarebbero compensati da una continua creazione di materia nello spazio.

2) Teoria dell’Universo Inflazionario: che si basa sul famoso “Big Bang” cioè l’esplosione di un uovo cosmico (in cui era concentrato tutto l’Universo ad una pressione pressoché infinita e a una temperatura di miliardi e miliardi di gradi) che sarebbe avvenuta dagli 11 ai 15 miliardi di anni fa. In realtà l’immagine dell’esplosione rischia di essere forviante in quanto non esisteva un dentro ed un fuori dato che lo spazio si generò proprio insieme all’espansione. Dopo la sua nascita, l’Universo sarebbe passato in una fase in cui le forze fondamentali si sarebbero comportate in modo diverso. Si sarebbe dunque generata una violentissima espansione che, nel giro di 10(-32) avrebbe fatto aumentare il volume dell’Universo di miliardi e miliardi di volte mentre la temperatura sarebbe scesa rapidamente. Al termine di questa fase di inflazione la “sfera di fuoco” avrebbe preso ad espandersi a ritmo più lento, l’energia si condensò in particelle elementari come quark ed elettroni e poi in protoni e neutroni. Solo dopo 300.000 anni si formarono i primi atomi di idrogeno e la sfera si spense. Con la nascita di questo elemento la luce potè viaggiare liberamente ed è proprio di questa fase primordiale che si è trovata traccia. Nel 1965 infatti, due scienziati verificarono l’esistenza di una radiazione di fondo rilevabile coi i radiotelescopi in ogni direzione dello spazio corrispondente alla temperatura di circa 3 K (-270 °C). Tale

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radiazione residua è nota con il nome di “Eco del Big Bang”. L’analisi sistematica di queste radiazioni di fondo, rappresentata dal lancio in orbita del satellite COBE nel 1989, ha permesso di individuare minuscole variazioni nella radiazione di fondo che sono state interpretate come disuniformità della distribuzione della materia. Una sorta di “increspature” da cui avrebbe preso origine la struttura dell’Universo: non omogenea ma alla periferia di “bolle”vuote.

Sebbene la prima delle teorie sopracitate abbia indubbi limiti al suo interno, dati dalla mancanza di qualunque prova sulla possibilità di formazione di nuova materia e dal conteggio di oggetti lontanissimi (come i Quasar) che sembrano indicare un aumento della densità media dell’Universo nel lontano passato, anche la teoria dell’Universo Inflazionario non è stata del tutto dimostrata. La scoperta dell’eco del Big Bang è stato solo il primo passo per arrivare ad una dimostrazione certa dell’ipotesi, ancora oggi si cerca di spiegare in maniera più esaustiva cosa avvenne nell’attimo immediatamente successivo alla presunta esplosione. Il 6 marzo 2013 è stata confermata l’esistenza della “particella di Dio” ma non sono ancora state scoperte le sue caratteristiche e (per lavori di aggiornamento sull’LHC volti al raggiungimento di un’energia massima di 14 TeV) resteranno ignote almeno fino al 2015.Considerando invece il futuro dell’universo si aprono scenari del tutto incerti caratterizzati da ipotesi molto più incerte. Non si sa infatti se l’espansione continuerà, portando così l’Universo ad essere un cimitero buio poiché le stelle esauriranno il loro combustibile lasciando il Cosmo nell’oscurità, oppure se l’inflazione verrà interrotta dalla forza di gravità e inizierà così un inversione di movimento per le galassie che potrebbe tornare alla condizione originaria di uovo cosmico attraverso un aumento della temperatura e della densità universale: il “Big Crunch” (Grande collasso).

Matematica

La parola “limite” è suggestiva, ha un significato intuitivo ma spesso nel linguaggio comune assume differenti significati. Parlando di un oggetto capita di dire che questi è limitato, cioè che ha una forma finita o dei confini, oltre i quali probabilmente non è possibile andare, e forse non sarebbe neppure opportuno sconfinare al di là di essi. Seguendo questa interpretazione è importante comprendere quali siano questi limiti e che contorno definiscono. Nonostante assuma differenti significati, il concetto di limite in matematica è ben definito e parte fondamentale dell’analisi infinitesimale.

Fu Newton a rendere comprensibile il concetto d’infinitesimo: una grandezza “infinitamente piccola” ma diversa da zero. La sua definizione richiedeva di considerare il rapporto di due quantità e di determinare quindi ciò che accadeva a questo rapporto quando le due quantità tendevano simultaneamente a zero. Definendo questo rapporto “ultima ratio” (“ratio” dal latino : rapporto) affermando che:

“E’ da intendersi il rapporto delle quantità non prima che esse svaniscono, né dopo che sono svanite, ma con il quale esse svaniscono”

Ma una frase del genere non è di aiuto per una precisa definizione matematica del concetto. All’inizio dell’Ottocento, infatti, schiere di matematici si occuparono della questione cercando di dare una definizione al concetto di limite. Nel 1821 il francese Augustin-Louis Cauchy propose questa definizione:

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“Allorché i valori successivamente assunti da una stessa variabile si avvicinano indefinitamente a un valore fissato in modo da differirne alla fine tanto poco quanto si vorrà quest’ultima quantità è chiamata il limite di tutte le altre.”

E’ da notare che la rigorosa definizione di Cauchy evita termini imprecisi come “infinitamente piccolo” ma non determina ciò che succede nel preciso istante in cui la variabile raggiunge il limite. Nonostante questo la definizione ebbe successo soprattutto perché Cauchy riuscì a dimostrare i più importanti teoremi dell’analisi.

L’ultima opera di consolidamento di questa definizione venne scritta dal matematico tedesco Karl Weierstrass e i suoi allievi. Nelle sue lezioni Weierstrass definiva il limite L della funzione f(x) nel punto x0 nel modo seguente:

“Se data una qualsiasi grandezza esiste una tale che per 0<δ<δ0 la differenza f(x0±δ)- L è minore di e in valore assoluto, allora L è il limite di f(x) per x=x0”

Notiamo dunque che la definizione di Weierstrass è ben diversa ma esprime lo stesso concetto di quella formuata da Cauchy. E’ una definizione per buona parte simbolica e fornisce una definizione “statica” del limite.

La definizione di limite usata ai giorni nostri è la seguente:

Limiti Odierni Di ordine Morale

Causati da un precedente uso improprio delle nuove scoperte scientifiche

Passiamo ora ad analizzare l’altra parte dei limiti “contemporanei” analizzando i limiti imposti dalle società del ventunesimo secolo, la cultura occidentale e l’etica religiosa, alla scienza. Suddividerei ancora i limiti, che ho definito “morali”, in due categorie caratterizzate dalla motivazione di fondo di queste giustificazioni. Nel primo sottogruppo inserirò limiti che la

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società nutre verso il progresso per timore e preoccupazione generati da un suo precedente uso improprio, che ha portato morte e distruzione sull’intera umanità. La seconda famiglia di limiti morali invece, tratterà diverse tipologie di rifiuto degli ultimi ritrovati della tecnica, basate sulla naturale condizione di dipendenza in cui l’uomo si è posto nel momento in cui si è creato degli enti superiori da adorare.

Storia – La Bomba Atomica

Già nella sezione inerente alla fusione nucleare si è accennato alla fissione nucleare come altra reazione nucleare che ha portato morte e distruzione in diverse occasioni negli ultimi 100 anni. Sorvolando dunque sulle indubbie qualità e risorse energetiche, testimoniate dall’intenso utilizzo di energia nucleare in diversi paesi, analizzerò il primo disastro nucleare che costò la vita di migliaia di persone. Potremmo prendere questo evento come causa della nascita di un limite morale all’interno dell’inconscio umano, una sfiducia nei confronti del progresso generata dalla scelleratezza. L’attacco a Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945 compiuto dall’aviazione Americana, è diventato il simbolo della distruzione portata dalla guerra e ci obbliga a pensare che portata potrebbe avere la nascita di un terzo conflitto mondiale sfruttante le armi di ultima generazione.

L’applicazione pratica della potenza sviluppata dai neutroni provocò quel giorno una vampata generata dallo scoppio che fu percepita chiaramente da aerei in volo ad oltre 200 Km dalla città di Hiroshima (la prima colpita). Una nube di vapori rosso-giallognoli dalla caratteristica forma di fungo si elevò in cielo per circa 10.000 metri, in un raggio di 1,6 Km dal punto centrale dello scoppio i due terzi degli edifici esistenti andarono distrutti.

Quando la nuvola a fungo creata dalla bomba si dissipò 70.000 dei 343.000 abitanti giacevano morti per gravi ustioni, 80.000 erano i feriti e una parte di loro morì successivamente per le irradiazioni. La bomba atomica di Hiroshima era lunga sette metri e pesava 4 tonnellate e fu sganciata da un grosso bombardiere B/29 appositamente attrezzato (battezzato ENOLA GAY); il suo pilota disse che, dopo 45 secondi:

“... una luce fortissima riempì l’aeroplano. La prima onda d’urto ci colpì. Eravamo già a diciotto chilometri e mezzo in linea d’aria dall’esplosione atomica, ma tutto l’aereo scricchiolò e cigolò per il colpo... Ci girammo a guardare Hiroshima. La città era nascosta da quella nuvola orribile, ribollente, a forma di fungo, terribile e incredibilmente alta”

Una bambina che all’epoca aveva cinque anni ricordò:

“Proprio mentre guardavo su in cielo, ci fu un lampo di luce bianca, e in quella luce il verde delle foglie prese improvvisamente il colore delle foglie secche”

E ancora Truman, in un rapporto via radio alla nazione dichiarò quanto segue:

"Having found the bomb we have used it. We have used it against those who attacked us without warning at Pearl Harbor, against those who have starved and beaten and executed American prisoner of war, against those who have abandoned all pretense of obeying international laws of warfare. We have used it in order to shorten the agony of war, in order to save the lives of thousands of young Americans."

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Da un punto di vista militare la seconda guerra mondiale si svolse rapidamente, soprattutto a causa dei nuovi mezzi di trasporto, di comunicazione e delle nuove armi messe a disposizione dalla scienza e dall’applicazione tecnica. Nel Blitzkrieg (guerra lampo) tedesco la popolazione nemica veniva dapprima fiaccata con la propaganda e poi messa in fuga con i bombardamenti , in modo che ostacolasse i movimenti delle forze difensive mentre l’aviazione mitragliava le strade. Per conquistare la Polonia ci volle meno di un mese; nell’aprile 1940 il Blitzkrieg colpì la Norvegia e la Danimarca; in maggio le forze tedesche marciarono verso l’Olanda e il Belgio sino alle coste della Manica e invasero la Francia che si arrese in giugno.

Nel giugno 1940 entrò in guerra anche l’Italia con Mussolini e le truppe italiane si spinsero dalla Libia verso Suez dall’Albania penetrarono in Grecia ma con poco successo. Allora intervenne Hitler occupando la Grecia, aggredendo la Jugoslavia e occupando l’Africa settentrionale. All’Asse vittorioso si unirono Ungheria, Romania e Bulgaria. Dopo la caduta della Francia ci si aspettava che Hitler invadesse l’Inghilterra, ma le incursioni aeree non riuscirono a sconfiggere l’aviazione britannica poco numerosa ma efficiente e con un primo ministro Winston Churchill dotato di grandi capacità organizzative.

Hitler allora, nel giugno del ’41, rivolse la sua attenzione a oriente invadendo la Russia. Nel novembre del 1942 toccò l’apice del suo successo: la Germania occupava e controllava 16 paesi europei. Nei paesi conquistati l’ industria e l’agricoltura furono riorganizzate in modo da rispondere alle esigenze tedesche, centinaia di migliaia di operai furono deportati in Germania, mentre 5-6 milioni di ebrei vennero messi a morte organizzando il più grande sterminio della razza ebraica.

Gli Stati Uniti fecero da spalla all’Inghilterra fornendole armi e risorse, ma nel dicembre 1941 con un incursione aerea su Pearl Harbor (Hawaii ) il Giappone affondò metà della flotta statunitense e gli USA furono costretti ad entrare in guerra. Entro il settembre 1943 le forze anglo-americane avevano allontanato gli eserciti dell’Asse dall’Africa ed erano sbarcati in Italia, mentre a Oriente l’armata rossa travolgeva il fronte tedesco.

Nel giugno del 1944 gli anglo-americani aprirono un secondo fronte in Normandia con l’operazione “Overlord” (la più grande operazione di mezzi anfibi) datata 6 giugno 1944; nell’aprile del ‘45 si incontrarono con i Russi sull’Elba e il 30 aprile Hitler si uccise.

Per mettere fine al conflitto mondiale gli Americani decisero di utilizzare le armi atomiche di recente invenzione. Dopo lo sgancio della bomba su Hiroshima, tre giorni dopo sganciarono un secondo ordigno ancor più potente sulla città di Nagasaki. Il Giappone distrutto e annientato si arrese. La seconda guerra mondiale era finita portandosi dietro tante vite umane innocenti e una minaccia che incombe tuttora sulla popolazione mondiale.

I due ordigni nucleari che misero il ginocchi il Giappone furono frutto di una corsa agli armamenti iniziata dagli Stati Uniti intorno al 1939, in quell’anno infatti Einstein inviò all’allora presidente Franklin D.Roosvelt alcune lettere, facendogli presente la sua preoccupazione per la possibile disponibilità tedesca di armi nucleari.

On August 2, 1939, Albert Einstein sent a letter to the US President Franklin D.Roosvelt suggesting that the USA should begin its own research on nuclear weapons because of the potentially destructive power of the atomic bombs. In fact there were scientists, as Einstein, who were concerned about the development of Nazi German technologies that could have led their army to the victory. The letter said that:

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In the course of the last four months it has been made probable (through the work of Joliot in France as well as Fermi and Szilard in America) that it may become possible to set up a nuclear chain reaction in a large mass of uranium, by which vast amounts of power and large quantities of new radium-like elements would be generated. Now it appears almost certain that this could be achieved in the immediate future. This new phenomenon would also lead to the construction of bombs, and it is conceivable (though much less certain) that extremely powerful bombs of a new type may thus be constructed. A single bomb of this type, carried by boat and exploded in a port, might very well destroy the whole port together with some of the surrounding territory. However, such bombs might very well prove to be too heavy for transportation by air.

It also specifically warned about Germany:

I understand that Germany has actually stopped the sale of uranium from the Czechoslovakian mines which she has taken over. [che lei controlla] That she should have taken such early action might perhaps be understood on the ground that the son of the German Under-Secretary of State, von Weizsäcker, is attached [impegnato] to the Kaiser-Wilhelm-Institute in Berlin where some of the American work on uranium is now being repeated.

After hearing the letter, Roosevelt authorized the creation of the Advisory Committee on Uranium [comitato consultivo sull’uranio]. Six thousand dollars were budgeted by the committee for neutron experiments performed by Fermi at the University of Chicago. The Advisory Committee on Uranium did not vigorously pursue development of a weapon, and two other organizations superseded it. Eventually the work of fission research was taken over by the Manhattan Engineering District (MED) in 1942 that started a clear project to build a bomb.

Einstein did not work on this last one because he was considered to be a risk cause of his pacifist ideas, so he was moved to another department aimed to the improvement of naval arms.

Einstein later regretted having signed the letter because it led to development and use of the atomic bomb against citizens. He justified his decision because of the greater danger that Nazi Germany would have developed the bomb first.

Causati dalla condizione di sottomissione ad un essere superiore

Questa seconda categoria di limiti morali tratterà quei limiti che hanno caratterizzato la mentalità umana in seguito alla nascita delle prime divinità preistoriche. Nel momento in cui l’uomo ha posto il seme della propria creazione nelle mani di un essere superiore si è anche posto in una condizione di dipendenza da lui. Il romanticismo e la rinascita di ideali antropocentrici hanno solamente restituito all’uomo parte di quella dignità che era stata dimenticata nelle epoche precedenti; ma non l’hanno reso arbitro di vita e di morte, funzione che ancora oggi la coscienza umana e le religioni attribuiscono ai propri Dei. Questo concetto ci impone dunque di rifiutare gli ultimi ritrovati della medicina e dell’ingegneria genetica per ragioni prettamente etiche. Prendendo in considerazione la letteratura inglese è possibile notare come già all’epoca di Christopher Marlowe fosse forte questo concetto di limite invalicabile della conoscenza e delle possibilità umane (Dottor Faustus fu costretto a vendere la propria anima al diavolo tramite

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Mefistofele per ottenere poteri divini). Anche in epoca Vittoriana, Robert Louis Stevenson rappresentò l’ipocrisia della società a lui contemporanea attraverso il superamento di un limite scientifico: l’impossibilità di isolare la parte buona dell’uomo da quella malvagia.

Robert Louis Stevenson

He was born in Edinburgh in 1850, the only son of a successful civil engineer. He went to Edinburgh University where he studied engineering and law; he always preferred literature and had decided to become a professional writer. He moved to the French Riviera to recover from respiratory illness (he suffered from tuberculosis), in 1879 he went to California and there he got married with Frances Osbourne, an American divorcee. He published an adventure novel, “Treasure Island”, which gave him immediate fame; this increased with the publication of “The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde” in 1886. For reasons of health, Stevenson sailed for the South Pacific. He visited Tahiti, Hawaii, Polynesia and Australia and settled in Samoa. He died there in 1894 after a haemorrhage.

He belonged to the third phase of Victorian literature in which the sense of isolation of the writer broke out into shocking forms of denunciation. Authors as Oscar Wilde and Robert Louis Stevenson strongly criticized the Victorian establishment characterized by widespread hypocrisy and superficiality. In these years Jeremy Bentham claimed that everything that is profitable is justified, representing the existence of a strong materialism, but the Victorian society always refused to admit it preferring to cover the unpleasant aspects of progress under a veil of respectability and facile optimism. For instance the Victorian upper classes could not tolerate the word “leg” spoken in polite society but actually they were guilty of the prostitution of thousands of women. Anyway the reaction to liberalism and industrialism was strong, Prime Minister Benjamin Disraeli defined England as “the two nations”, a country made up of just two classes: the rich and the poor. But also Karl Marx and Friederich Engels, who wrote together the “Communist Manifesto” in 1848, sided with the exploited class of the poor that was risking starvation; they wanted in fact a violent revolution of the proletariat.

In this awful background Oscar Wilde, other exponents of the Aestheticism (like Joris-Karl Huysmans who created the archetypal decadent Des Esseintes) and Robert Louis Stevenson, represented and criticized the faults of the Victorian Age in different ways. On the one hand these authors used scandalous behaviours, which were defined “Decadent”, to stress their disapproval towards the values of the society. On the other Stevenson overcame a scientific limit to represent the real features of the bourgeoisie. He could be considered one of the best writers in the horror and crime tradition, and his masterpiece would become an horror story influenced by Gothic tradition and even more by Edgar Allan Poe’s tales of terror. But Actually “The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde” is a strong critical to the Victorian Compromise. By reading the book we understand that we all have two sides that love together, a good and an evil one, but we can never separate them also using science (that in those ages was becoming really important thanks to many researches).

Dr Jekyll is the archetype of the bourgeoisie, he helped people, he was a respectable and he followed all social conventions man on his every day life but actually he had an evil side (like everyone). He managed to divide his two parts with the aim to isolate and then eliminate his bad one but he quickly lost the control over them, therefore Dr Jekyll was obliged to commit suicide in order to kill the crooked Mr Hyde who was ruling him.

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For these reasons Stevenson’s most famous novel stroke the core of the Victorian hypocrisy using the double personality theme. He anticipated modern psychology but even more he represented an insurmountable limit of his contemporary science that was improving day by day but couldn’t demand to divide the self.

We have read two passages taken from the novel, the first one is “Jekyll turns into Hyde” and describes the transformation into Hyde made by Dr Jekyll to discover a new part of human mind. He knew the risks but anyway he did it. Firstly he felt happier, younger and freer since the doctor was too limited by social conventions. He became also shorter because, symbolically, the tall and virtuous Dr Jekyll turned into the wicked and little Mr Hyde. In the last part he understood to have divided his soul and eventually he drank off a potion to change again into the doctor.

In the second passage named “Jekyll can no longer control Hyde” we can see the loss of control over Hyde from Jekyll. In fact after one of his adventurous night he woke up and recognized to be in Soho in a small room where he used to stay when he was the terrible Hyde. Firstly he saw his hands, which were wild and full of hairs, therefore he understood that he couldn’t control the transformation. Hyde was also growing in stature so, on a moral side, the evil was triumphing over good; this also led the protagonist to kill himself.

La bioetica

Tornando ai limiti odierni, sentiti dalla nostra coscienza, occorre analizzare ancora questa disciplina che racchiude in sé discussioni volte a stabilire entro quali canoni debba agire la condotta umana nell’area delle scienze della vita. Il termine è infatti composto dalle due parole greche “bios”, cioè vita, e “ethos”, morale; venne coniato dal cancerologo statunitense Van Rensselaer Potter tuttavia, mentre quest’ultimo alludeva ad un etica della biologia capace di garantire la sopravvivenza dell’uomo anche dopo la rivoluzione scientifica, il termine è stato successivamente codificato nell’Enciclopedia della Bioetica con questa definizione:

lo studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto tale condotta viene esaminata alla luce di valori e principi morali.(Encyclopedia of Bioethics, 1995)

Questa accezione standard non annulla le profonde divergenze sui compiti di questa disciplina, infatti potrebbe essere intesa sia come attività tesa a porre dei limiti alla pratica tecnico-scientifica sia come discussione libera, spregiudicata e pluralistica. La Bioetica è diventata, dagli anni 90 del secolo scorso, caratterizzati da una condizione di incertezza dei valori e dei codici stabiliti, un fenomeno culturale di rilevanza planetaria; che, oggi, “fa parte del bagaglio culturale del cittadino comune” (M.Mori).I problemi della bioetica, vista come ramo dell’etica, vertono soprattutto su questioni normative e morali sollevate in campo biomedico come l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale e la manipolazione genetica. Molto stretto è il legame con la filosofia, infatti, discutere su temi del genere, significa imbattersi in talune questioni di fondo come la vita, la morte e il dolore.All’interno del policromo quadro della bioetica possiamo individuare due grandi modelli teorici ispirati rispettivamente a due distinte filosofie: una di matrice religiosa e l’altra laica.

La bioetica di matrice religiosa si basa in particolar modo sulla bioetica cristiana di tipo cattolico-ortodosso che pone al suo principio la sacralità e l’inviolabilità della vita ovvero, la

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dottrina secondo cui l’esistenza, essendo un “dono” di Dio, non appartiene all’uomo ma a colui che lo ha creato.Se la vita è sacra vuol dire che sacro è anche il corpo, con tutti i suoi organi, i quali hanno ognuno un fine specifico (gli occhi hanno come fine la vista). Ogni intervento tecnico che modifichi il naturale finalismo del corpo e dei suoi organi è pertanto da ritenersi illecito. Il medico può soltanto intervenire a ristabilire l’ordine naturale qualora un organo o una funzione “si ammalino”, ma non può sostituirsi a Dio, modificandone i piani.Questo pensiero, ovviamente appoggiato dalla chiesa di Roma, venne espresso da Papa Paolo VI e ribadito da Giovanni Paolo II tramite queste frasi:

[..] l’uomo e la donna non sono arbitri, non sono padroni, chiamati [..] ad essere partecipi della decisione creatrice di Dio. [..] pertanto [..] la contraccezione è da giudicare, oggettivamente, così profondamente illecita da non potere mai, per nessuna ragione, essere giustificata.(17 settembre 1983)

La bioetica cattolica inoltre, tende a porsi come un’etica normativa basata sul concetto di un metodo triangolare che funziona in questo modo: da una preliminare informazione scientifica risale ad alcuni principi ontologici e antropologici universali, per derivarne delle univoche applicazioni particolari.

La Bioetica di matrice laica invece, che si ispira ai valori di autonomia e libertà e all’atteggiamento di coloro che ragionano indipendentemente dall’ipotesi di Dio (“come se Dio non ci fosse” secondo l’incisiva formula di Grozio, ripresa da Scarpelli). Incarnazione emblematica di questa posizione è quella che insiste sul principio della qualità della vita, essa nega infatti l’esistenza e la validità di leggi indipendenti dal consenso degli individui, non accettando dunque i dogmi imposti dal paradigma della sacralità della vita. Inoltre pone come prioritario criterio di scelta il benessere e la libera progettualità degli individui singoli e associati che possa portare a conclusioni del tutto aperte e modificabili. Infine, rifiuta qualsiasi legittimazione del dolore.

Si nota dunque una differenza fondamentale tra il paradigma di matrice religiosa e quello della qualità della vita. Il primo infatti tende a porsi in una condizione di dovere assoluto, di rispetto della sacralità, che non ammette eccezioni. Viceversa il secondo principio ammette eccezioni ispirandosi soprattutto al principio di benevolenza. Riepilogando tale diversità Elena Soetje scrive:

Il principio assoluto che non ammette eccezioni [..] è il principio [..] della sacralità della vita che impone il rispetto assoluto del finalismo intrinseco nel progresso biologico-naturale [..] ma il suo dovere resta l’obbedienza a tali norme rispetto alle quali [..] la valutazione individuale della qualità della vita è un fatto del tutto contingente [..] Qualora si decida per la non obbedienza [..] il suo agire viene giudicato moralmente illecito e incorre dunque nella condanna morale [..]

Notiamo quindi che nel descrivere la bioetica di matrice religiosa la Soetje sottolinea la sua volontà di controllo delle passioni che, se violata, porta inevitabilmente alla condanna. Proseguendo con il secondo paradigma dice:

Caratteristica fondamentale e discriminante dell’etica della qualità della vita è [..] garantire un livello di vita giudicato sufficientemente adeguato. [..] La moralità diviene allora un’impresa

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umana in quanto l’uomo è libero di stabilirne le norme, [..] In tale prospettiva l’etica tende non al controllo delle passioni, ma alla soddisfazione delle aspirazioni e dei desideri umani.(Entrambi da: La responsabilità della vita. Introduzione alla bioetica, pp 20-21, 1997)

Ecco invece che nel descrivere il paradigma della qualità della vita molta attenzione viene posta al soddisfacimento delle passioni e dei desideri umani, che porta ad una valutazione dei casi volta per volta in cui l’etica deve essere subordinata alla qualità dell’esistenza. Questa valutazione altamente variabile “ad personam” è diventato punto di debolezza del paradigma di matrice laica poiché la pluralità delle opzioni etiche e il potere decisionale degli individui elevato all’ennesima potenza sembra aprire le porte al relativismo. Tant’è che l’etica “forte” della sacralità della vita accusa l’etica laica di “soggettivismo” e viceversa l’etica “debole” della qualità della vita accusa l’etica religiosa di “dogmatismo”. A mio parere, da parte dei rigidi canoni religiosi, bisognerebbe avere un minimo di coscienza e responsabilità indispensabili per valutare casi eccezionali poiché sconvolge pensare che nel 1993, centinaia di suore vittime di rapimenti e stupri avvenuti durante la guerra in Bosnia, furono costrette dal Vaticano a mettere al mondo i loro “figli della violenza” nonostante avessero votato fedeltà eterna a Dio. In quei giorni infatti ci fu una diatriba sollevata da padre Aldo Bergamaschi di Reggio Emilia che, dopo aver criticato il Papa di utilizzare due pesi e due misure (alludendo ad una precedente legittimazione di aborto da parte del Pontefice), fu subito richiamato all’ordine da monsignor Piero Pennacchini, portavoce della Santa Sede, che dichiarò che “mai, in nessun caso, è stato legittimato l’aborto” costringendo le suore ad essere vittime fino in fondo.

Limiti Odierni Di matrice ignota

Passiamo ora all’ultima categoria di limiti “contemporanei”, di matrice ignota perché ad oggi non sono state riscontrate ragioni, motivazioni e/o colpevoli per la presenza di questi limiti imposti agli ultimi ritrovati della tecnica. Questo argomento potrebbe di per se sviluppare una tesina e sicuramente anche accese ore di dibattito ma per diverse ragioni, come la mancanza di fonti certe e ipotesi plausibili, ho deciso di portare alla vostra attenzione una parte dei casi in questione senza addentrarmi troppo alla ricerca di risposte.

Un primo particolare caso degno di nota è quello dell’americano Stan Meyer, un inventore dell’Ohio, che nel 1995 annunciò in televisione di aver costruito un’auto alimentata ad acqua capace di percorrere 184 Km con 4 litri d’acqua. Si basava su una tecnologia in grado di produrre

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una miscela di idrogeno e ossigeno con un minimo utilizzo di energia.Meyer è considerato da alcuni il secondo miglior inventore del XX secolo, dopo Nikola Tesla, egli riuscì a cambiare il sistema di iniezione di una comunissima auto aggiungendo una cella per l’elettrolisi che si ricaricava automaticamente con la dinamo.Lo scienziato ottenne i brevetti per la sua invenzione ed era pronto per la produzione: infatti con soli 1500 dollari, avrebbe trasformato qualunque automobile in una water car. Com’era ovvio però questa geniale invenzione che avrebbe rivoluzionato in positivo le vite (e i portafogli) di molti, rischiava di dar fastidio ai magnati del petrolio.Pare che in molti si proposero come acquirenti della sua invenzione, tra cui l’Arab Oil Corps e il governo degli Stati Uniti che voleva impiegare usare la sua invenzione per l’alimentazione dei mezzi militari. Poiché Meyer non aveva alcuna intenzione di venderla a nessuno, adducendo come motivazione il fatto che “la tecnologia è al servizio delle persone”, cominciò ad essere oggetto di minacce e intimidazioni, fino a che fu ritrovato senza vita nel marzo del 1998 in un parcheggio, dopo aver cenato presso un ristorante di Grove City, sua città natale.L’autopsia dichiarò che la morte avvenne a seguito di un aneurisma cerebrale, ma i “teorici della cospirazione” insistono nel dire che fu avvelenato per togliere di mezzo la tecnologia da lui inventata e che nella sua morte erano coinvolte le compagnie petrolifere e il governo degli Stati Uniti. Il fratello di Meyer racconta che la settimana successiva alla sua morte, “gli avvoltoi” si appropriarono dell’auto e tutti gli strumenti di sperimentazione.Al di là delle circostanze misteriose in cui avvenne la sua morte, pare che un alone di mistero avvolga il nome di Stan Meyer, sul quale si trovano pochissime notizie (Wikipedia ne dedica una voce in pochissime lingue) e di lui parlano diffusamente soltanto blog o forum o piccoli siti. Un altro fatto singolare è che il sito www.stanmeyer.com sia attualmente offline.

Altre storie potrebbero riguardare Nikola Tesla e le sue scoperte come la creazione di una macchina in grado di sfruttare la corrente alternata già negli anni 30, la capacità di ricavare energia pulita e libera (o “free energy”) sfruttando le correnti elettriche della Terra, il primo sistema di antinquinamento della storia (creato in collaborazione con Mary Walton) sembrerebbero scomparse nel nulla, dimenticate o per lo meno non abbastanza sponsorizzate dai magnati della Terra per diventare invenzioni utili all’intera umanità.

Lo stesso Henry Ford, fondatore della casa automobilistica più famosa di tutti i tempi e inventore della produzione in serie, fu l’ideatore di una delle prime automobili completamente ecologiche sia per via dei materiali che la costituivano sia per il combustibile che la alimentava. La “Hemp Body Car” creata nel 1941 era infatti costituita da fibre di cellulosa biodegradabili derivate dalla canapa e dalla paglia di grano, mentre il suo motore era alimentato da etanolo di canapa. Già nel 1925 Ford aveva azzardato l’ipotesi di riuscire a creare un’auto completamente realizzata ed alimentata grazie alla canapa; era inoltre convinto che la maggior parte dei vegetali più comuni (come mele, patate ed erbacce) potessero essere trattate nello stesso modo per diventare combustibile utile al rifornimento degli stessi macchinari agricoli.

La “Hemp Body Car” era alimentata dalla canapa distillata, il suo valore inquinante venne stabilito come pari a zero, ma non venne mai prodotta su larga scala. A prescindere dalle teorie di complotto riguardanti queste invenzioni “di nicchia” oggi si continua a discutere di proposte per trovare una valida alternativa al petrolio, idrocarburo che regge l’economia mondiale ma è destinato ad una fine (più o meno vicina). Nasce quindi spontaneamente un interrogativo più che lecito: se queste nuove tecnologie fossero già alla nostra portata sia dal punto di vista conoscitivo che produttivo, l’umanità le sfrutterebbe? O meglio, la nostra società basata su capitalismo, speculazione e falso liberismo le accetterebbe?

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Già il grande Manzoni, nel chiedersi se la vita di Napoleone “fu vera gloria?”, riuscì solamente a rispondersi “ai posteri l’ardua sentenza”. Pertanto io credo che, al giorno d’oggi, sarebbe necessario fare una riflessione, ammettendo l’esistenza di limiti della scienza e del progresso, dettati da mancanze conoscitive, strutturali e anche da eventi che hanno segnato il nostro passato. Questi limiti però, in casi particolari, non sembrano presentare motivazioni plausibili che giustifichino la difficoltà di procedere verso il futuro, costringendoci a rimanere ancorati ad un passato che si sta già dimostrando troppo stretto per contenere in maniera adeguata l’intera umanità.

Andrea Griffone

Bibliografia

Nova Opera, terzo volume – Giovanna Garbarino Naturales Quaestiones – Seneca La Divina Commedia – Dante Alighieri (vers. S.Jacomuzzi, A.Dughera, G. Ioli, V.

Jacomuzzi) Zibaldone – Giacomo Leopardi L’infinito – da Canti di Giacomo Leopardi La Letteratura, volume 4 – Baldi, Giusso, Razzetti, Zaccaria La Terra nello spazio e nel tempo – Palmieri, Parotto Nuovi profili storici – Giardina, Sabbatucci, Vidotto Truman’s Radio report to the American people on the Potsdam Conference Einstein’s letters to Roosvelt Cakes and ale, volume 2 – Cattaneo, De Flaviis Dr Jekyll and Mr Hyde – Robert Lousi Stevenson

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Encyclopedia of Bioethics – Kennedy Institute of Ethics Il nuovo protagonisti e testi della filosofia – Giovanni Fornero La responsabilità della vita. Introduzione alla bioetica – Elena Soetje Corriere della sera – 4 marzo 1993, pagina 7, Bruno Bartolini www.nikolatesla.it - Il sito italiano di Nikola Tesla