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INDICE
PRIMO CAPITOLO: IL MIO INCONTRO CON L’O.I.C. ………………………………….……….. pag. 1 SECONDO CAPITOLO: LA STRUTTURA DELL’O.I.C. …………………………………………….. pag. 6 1. Rosa dei Varchi …………………………………………………………………………………….…..…… pag.6 2. I gruppi ………………………….…………………………………………………………………….……….. pag. 9 3. I temi fondamentali: le separazioni e le paure ……………………………………………… pag. 12 4. Lo Staff………………………………………………………….……………………………………………… pag. 12 TERZO CAPITOLO: LA NASCITA DELLA OSHO CIRCLE SCHOOL E LE MIE SEPARAZIONI FONDAMENTALI……………………..…….…...…………………………. pag. 13 QUARTO CAPITOLO: LE TRE SEPARAZIONI E LA NASCITA DELLA SCUOLA INTERIORE …………..……………. pag. 19 1. L’associazione Scuola Interiore…………………………………………………………………….. pag. 20 2. Le 3 separazioni e paure nel mondo infantile e adolescenziale……………………….pag. 22 Separazione dal pianeta ……………………………………………………………………………………pag. 23 Separazione dall’altro ……………………………………………….……………………………………… pag. 29 Separazione da se stessi ……………………………………………………………………………….. ….pag. 34 QUINTO CAPITOLO:LA SUMMA DEL LAVORO SULLE 3 SEPARAZIONI E PAURE: IL FILM “RISVEGLIO”: ( Vedi Allegato) CONCLUSIONI ………………………………………………………………………………………………….. pag. 38 RINGRAZIAMENTI……………………………………………………………………………………………….pag. 39 NOTE ……………………………………………………………………………………………………………….. pag. 40
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PRIMO CAPITOLO: IL MIO INCONTRO CON L’O.I.C. Il mio incontro con l’O.I.C. è avvenuto nel 1998. Avevo 25 anni ed ero una ragazza con tanta voglia di vivere, ma con tante vergogne legate al mio corpo e con una scarsa fiducia in me stessa. Mi ero da poco laureata in lettere, e quello fu uno degli anni più difficili della mia vita. Ero confusa, non sapevo cosa fare del mio futuro, sentivo che avevo bisogno di qualcosa di più profondo per me stessa che non la mera conoscenza di libri e nozioni. Avvenne così, per caso, che arrivai a fare il mio primo gruppo con l’O.I.C., anche se successivamente avrei scoperto che il caso non esiste e che siamo noi stessi artefici del nostro stesso destino. La prima sessione fu sconvolgente. Era un rituale sciamanico, dove ognuno dei partecipanti, bendato, in una stanza buia, veniva riportato al suo stato animale facendolo entrare in una specie di Trance. Ero spaventata e mi muovevo nell’ignoto a quattro zampe come un cucciolo spaventato e terrorizzato. Arshad (1) che ci guidava nella trance con la sua voce potente e profonda, ci invitò a cercare nella stanza degli oggetti sciamanici. Io li cercavo, ma ero talmente spaventata che facevo fatica a muovermi. Poi all’improvviso una donna, la riconobbi dal profumo, mi si avvicinò e cominciò a toccarmi le mani, in particolare la sinistra. A quel punto la mia paura si trasformò in dolore. Sono nata con una malformazione alla mano sinistra e al piede destro perché mentre ero nella pancia di mia madre, si sono formate delle briglie amniotiche che ne hanno impedito la crescita di alcune dita. A causa di questo ho trascorso un’infanzia e un’adolescenza un po’ travagliate. Ho subito otto interventi che senza dubbio hanno contribuito a rendermi piena di vergogne e di paure nel mostrare queste mie parti agli altri. Era la prima volta quindi che qualcuno, all’infuori dei miei familiari e del mio ragazzo di quel tempo, toccava la mia mano. Era solo “mia” ed era un segreto che non avevo intenzione di svelare a nessuno. Mi sentii all’improvviso così sola e vulnerabile che scoppiai in un pianto talmente forte e intenso che mi sembrò quasi di morire per il dolore e per la vergogna che provavo. La donna guidò la mia mano fino ad un oggetto. Sembrava una carta ma non capivo ancora bene di cosa si trattava e non mi importava poi molto, presa com’ero da tutto il tornado di emozioni che mi aveva invaso. Poi pian piano percepii una fievole luce e la donna si staccò da me. Arshad ci guidò ancora nel viaggio e ci invitò a non lasciare l’oggetto che avevamo trovato. Quando ci disse di toglierci la benda, finalmente lo vidi: era una carta dei tarocchi e sotto c’era scritto: “Un’apertura”. Pensai che fosse perfetta per me, dovevo aprirmi agli altri… Il mio condizionamento però su questa paura era talmente grande che subito la mia mente mi sussurrò: tanto era buio, nessuno ti ha vista, nessuno se n’è accorto, tranne quella donna, che poi capii che altro non era che la mia amica Nishkami, la quale conosceva bene tutta la mia storia e dunque non c’era di che preoccuparsi. Il giorno successivo il gruppo si divise: il cerchio degli uomini e il cerchio delle donne. Tra donne ci si capisce al volo, si entra subito in uno spazio di familiarità e intimità che fa crollare tutti i tuoi dubbi e le tue paure. A poco a poco ognuna si aprì all’altra e parlò di sé rivelando i sentimenti e le difficoltà che le impedivano di gioire appieno della vita. Poi facemmo un “Cerchio di guarigione”. A turno ognuna di noi andava al centro del cerchio e si stendeva a occhi chiusi, e tutte le altre, ponendo le mani sul corpo, le donavano amore.
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Quando fu il mio turno all’inizio mi sentii rilassata, quel cerchio mi sembrava familiare, mi sentivo quasi a casa… poi tutto ad un tratto una donna mi tolse i calzini e iniziò a massaggiarmi il piede. Se il giorno prima avevo provato vergogna nel farmi toccare al buio la mano da un’amica, in quel momento avrei voluto davvero scomparire. Una mano la puoi nascondere fino ad un certo punto, magari la metti in tasca, com’ero solita fare, ma capitava a volte che qualcuno se ne accorgesse. Il mio piede invece no, era in assoluto la parte del corpo che per fortuna avevo potuto sempre nascondere bene, senza inventarmi alcuna postura o trovargli alcun nascondiglio. In quel momento odiai quella donna che mi aveva fatto uscire allo scoperto, che si era addentrata nei meandri del mio più intimo e doloroso segreto e lo aveva portato alla luce come fosse la cosa più naturale di questo mondo. La mia mente fu percossa da tuoni di domande e di paure e avevo la sensazione di essere nuda di fronte al mondo intero che mi scrutava e mi giudicava. Di nuovo un dolore immenso, più grande di quello della sera precedente, mi trapassò tutta e di nuovo scoppiai in lacrime, come una piccola bambina disperata e impotente costretta a “subire” la cura e l’amore delle sue sorelle. Quella cura e quell’amore però a poco a poco mi calmarono e sciolsero il mio dolore nella comprensione di non essere più sola. Forse avevo trovato persone speciali. Persone che aspettavo senza sapere di aspettare. Persone che qualche mese più tardi sarebbero divenute “la mia famiglia dell’anima”. Mostrare il mio corpo agli altri era la mia paura più grande, temevo che mi potessero giudicare come “incompleta”, o meglio “ imperfetta”. Per tutta la mia adolescenza a causa di questo difetto fisico mi ero sempre sentita un po’ come il brutto anatroccolo, tutti gli altri intorno a me erano perfetti, erano bianchi, mentre io ero l’unica diversa, io ero grigia. Il primo Inipi che feci in quel gruppo fu come tornare a casa. Nell’utero di madre terra mi sentii al sicuro, protetta… L’Inipi, ci spiegò Arshad, è un atto d’amore. Lo si fa per sé ma lo si fa anche per il pianeta. Per troppi secoli, infatti, la terra è stato sfruttata dall’uomo, inconsapevole del fatto che” lei è nostra madre e noi siamo i suoi figli”. Questo concetto potrebbe sembrare un luogo comune o uno slogan per le associazioni ambientaliste, ma se si sperimenta questo potente rituale, allora accade che quel concetto diviene esperienza reale, vera, perché vissuta. Solo così è possibile sentirlo davvero. Inipi significa “nascere ancora”, perché è una purificazione del corpo e una rinascita del tuo sé più profondo, più vero. In questo potente rituale sentii per la prima volta la forza e la potenza del cerchio. Erano tutti miei fratelli e sorelle ed è stato grazie a loro che ho compreso come andare oltre la mia mente che mi diceva che ero completamente pazza a stare lì, al buio, nuda insieme a loro ad intonare canti Lakota e lasciarmi penetrare dal vapore, il respiro di Wakantanka. La fratellanza del cerchio, sentirmi uno con loro e con madre terra, aveva risvegliato in me la fiducia di poter rinascere a vita nuova… Dopo quel gruppo qualcosa dentro di me era cambiato, c’era stata un’apertura. Per la prima volta avevo contattato un’altra parte di me, una parte antica e sconosciuta fino a quel momento. Una parte che, anche se per poco tempo, aveva abbandonato le sue paure e le sue vergogne e aveva saputo accogliere l’amore dell’altro e dell’esistenza. Il giorno della partenza fu straziante, piangevamo tutti per la commozione e la gratitudine che provavamo e non riuscivamo a separarci.
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Era nato un cerchio di amici, un cerchio di giovani anime che si erano messe a nudo e si erano amate nella sincerità e verità del cuore. Questa separazione fisica dolorosa, dovuta al profondo amore che ci legava e al comune intento di ricerca interiore, sarebbe stata sempre una costante in tutti i gruppi di Arshad e si sarebbe trasformata in un fuoco impetuoso che ci avrebbe spinto, due anni più tardi, a fondare una comune.
Cerchio dell’Osho Inipi Circle a Campo Imperatore, 1999 Il punto di svolta per la mia vita però fu il gruppo di capodanno 1999 all’Osho’s Dream. Mi ero innamorata di questo lavoro, amavo il cerchio e amavo l’inipi, ma, riguardo ad Osho, avevo ancora tanti dubbi e perplessità. Un Maestro però non lo scegli, è lui che sceglie te, e in quel gruppo cominciai ad avvertire la sua presenza, il suo richiamo. Durante le sessioni di quel gruppo mi ritrovavo spesso in lacrime, sentivo il suo amore, la sua fragranza, l’enorme contributo che ha lasciato a questa umanità. Come tutti i più grandi maestri è stato perseguitato e avvelenato, semplicemente perché ha svelato al mondo intero la verità, e ha portato l’uomo a comprendere che egli è nato libero, ma la società, la politica e le religioni, hanno inquinato la sua natura più profonda e più vera. Ogni cellula del mio corpo vibrava con lui e in quel momento capii che la mia anima era pronta sin dalla nascita a questo incontro, ma la mia mente no. La mente analizza, giudica, teme, è pronta sempre a vedere le situazioni come nere o bianche, giuste o sbagliate, e prendere il Sannyas era sbagliato. Significava abbandonare tutte le certezze, tutti i condizionamenti, ai quali la mia mente si aggrappava con tutte le sue forze, pur di rimanere la protagonista incontrastata della mia vita. La mente non può comprendere la funzione di un maestro. Il tuo ego ti dirà sempre che non ne hai bisogno. Di un maestro puoi solo innamorarti e quando questo accade tutta la tua vita viene trasformata. E’ come quando ci si innamora di qualcuno, la mente cede il posto al cuore e si ritorna a sentire la vita nella pienezza, nella gioia, nella totalità. Quando cominciai ad avvertire questo amore che cresceva dentro di me, la mia resistenza a lui divenne ancora più forte. Durante quel gruppo si verificò un fenomeno straordinario che sarebbe poi stata una costante in tutti gli altri gruppi dell’ l’O.I.C.. Di
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continuo c’erano persone che dichiaravano al cerchio la loro volontà di prendere il Sannyas. Credo che questo accadesse anche per il fatto che Arshad, che significa adorato discepolo, ha un amore grandissimo per questo maestro e riesce a trasmetterlo al di là del corpo e delle parole. Ho avuto la fortuna di conoscere terapisti, insegnanti e amici che avevano incontrato il maestro di persona, ma è Arshad che più di tutti è riuscito a trasmettermi questo amore, nonostante non lo abbia mai incontrato. Un maestro è al di là del corpo e al di là della mente. Fu proprio questo che sentii profondamente in questo gruppo, e in particolare dentro l’Inipi. Sentii la sua presenza, il suo amore così forte e così travolgente che non potei far altro che abbandonarmi a lui. Quando tutti uscirono dall’Inipi io rimasi ancora dentro e cominciai a parlare con lui come fosse veramente lì, presente che mi ascoltava. Gli dissi i miei dubbi, le mie paure e che non ero pronta a mostrarmi agli altri per com’ero veramente perché avevo paura dei loro giudizi. Gli raccontai del mio dolore di bambina e di donna che cresceva in me e tra le lacrime mi lasciai andare, sfinita da tutte quelle parole e da tutti quei limiti che mi impedivano di essere me stessa. Alla fine dissi solo “ Si”. Un semplice “si” che mi sembrò di aver tenuto segregato dentro di me per tutta la vita, un “si” contro cui avevo lottato con tutte le mie forze e che all’improvviso risalì dalle profondità del mio essere con la dirompenza di un fiume in piena al quale viene tolta la diga. A quel punto sentii il mio maestro con tutta me stessa. Mi sentii inondata dal fiume impetuoso del suo amore. Mi sentii amata come nessun altro essere aveva saputo e mai saprà amarmi. Compresi che dire si a lui significava dire “si” a se stessi, all’esistenza, alla vita, all’amore, alla consapevolezza. Non ero più separata, ero uno con lui e con il tutto. Quando uscii dall’Inipi mi sedetti davanti al fuoco sacro. Misi le mie mani a terra e per la prima volta in tutta la mia vita sentii che la mia mano sinistra era una cosa sola con madre terra. Piansi lacrime di gioia e gratitudine per il mio corpo: per la prima volta mi sembrò perfetto com’era. A contatto con la Madre vidi mia madre, quando era incinta di me, e sentii tutta la sua meraviglia nel custodire in grembo la sua bambina. E poi vidi me, “la mia vera me”. Colei che si era incarnata in quel corpo con la consapevolezza di ciò che questo avrebbe comportato e con la gioia di accettarlo, perché ciò le avrebbe fatto comprendere delle verità che in nessun altro modo e in nessun’altra forma avrebbe potuto comprendere. Queste verità sarebbero poi state, a distanza di qualche anno, la base di quel lavoro a cui avrei dato vita, per aiutare bambini e ragazzi di differenti età ad andare oltre le proprie vergogne e le proprie paure e a credere nelle proprie potenzialità. Per la prima volta avevo quindi amato e accettato il mio corpo in tutta la sua bellezza. Il brutto anatroccolo si era accorto che era diventato un Cigno. Non aveva mai neppure immaginato che poteva essere tale. Non poteva saperlo, era cresciuto tra le anatre. Sono stati il mio Maestro, la mia famiglia dell’anima, il lavoro con L’O.I.C. e il mio amico e insegnante Arshad che mi hanno aiutato a riconoscere questa verità e da quel momento è rimasta in me per sempre. Non voglio dire che le mie vergogne sono scomparse, non c’è una bacchetta magica che ti libera per sempre dai limiti che imponi alla tua vita, ma c’è uno squarcio di consapevolezza che può aiutarti a vedere le cose in modo diverso. Sono sempre io, con le mie vergogne e le mie paure, ma è cambiata la mia consapevolezza, il mio modo di vederle e a volte anche di non prenderle troppo
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seriamente. Sono solo vergogne, e come tutte le emozioni passano, a volte anche ridendoci su’ e dicendo a me stessa: “Ah eccoti di nuovo… Benvenuta vergogna, sei tornata a farmi visita anche oggi eh…” Da quel gruppo iniziò quindi il mio cammino di ricerca interiore e così cominciai, insieme ad altri, a seguire Arshad in tutti i suoi gruppi, dal nord al sud Italia e, più gruppi facevamo, più l’amore che avevamo gli uni verso gli altri cresceva e con esso anche la consapevolezza di noi stessi. Nel 1999 entrai a far parte dello staff dell’O.I.C., che divenne uno strumento fondamentale del lavoro di Arshad. E’stato uno dei regali più belli di tutta la mia vita perché mi ha formata dal punto di vista umano e professionale e mi ha tramesso delle conoscenze per poter lavorare non solo su di me ma anche con altri.
Osho
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SECONDO CAPITOLO: LA STRUTTURA DELL’O.I.C. 1. LA ROSA DEI VARCHI Tutti i gruppi dell’O.I.C. sono distribuiti in particolari periodi dell’anno. Questi momenti, in cui sono disponibili determinate energie per il pianeta, sono otto e sono chiamati Varchi: Il varco dell’Equinozio d’autunno, il varco di Samahin, il varco del Solstizio d’inverno, il varco di Lupercalia, il varco dell’Equinozio di primavera, il Varco di Pasqua, il varco del Solstizio d’estate e il varco del sole. “Tutti gli eventi si ripetono in un certo ordine. Se l’arrivo del divino è successo in un particolare momento, in un certo giorno in un certo mese, il prossimo anno nello stesso momento ti puoi aspettare che accada ancora. Il momento è diventato potente, e in quel momento l’energia divina può fluire ancora.” Osho, “Hidden Mysteries”, cap. 2, 6 jun 1971 “La Rosa dei Varchi, elaborata dall’Osho Inipi Circle, è un’interpretazione grafica e simbolica di alcuni momenti di particolare sincronia vibrazionale di questo emisfero, definiti appunto Varchi. Si tratta di date sacre ed importanti per tutte le culture del pianeta. E’ in relazione ad ognuno di questi periodi che vengono associate le tematiche che si svolgono in ogni gruppo.
Rosa dei Varchi
Elaborazione: Osho Inipi Circle
Grafica: Akash Marco Misani
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La Rosa dei Varchi è una rappresentazione del ciclo della natura e del ciclo interiore della nostra energia, che si collega a diversi calendari, sistemi astronomici ed astrologici, al Sole e alla Luna, all’universo del colore. E’ il riappropriarsi di antiche scienze e conoscenze provenienti da differenti tradizioni ponendole al servizio di un uomo contemporaneo, sia scientifico che spirituale”.
Sw. Jivan Arshad , tratto dal “programma dell’O.C.S. 2006”. I varchi quindi non sono da considerarsi come periodi che fanno riferimento a un evento storico, religioso o festivo quanto piuttosto a un fenomeno cosmico. “Un fenomeno cosmico che comprende principalmente il nostro pianeta terra in cui sono coinvolti il nostro pianeta Terra, il suo satellite Luna e la stella principale del sistema, il Sole. Tra i tre corpi celesti, sembra che l’unico che ospiti forme di vita saia il nostro, la Terra; qui abbiamo animali, minerali, vegetali in grande quantità e dinamico equilibrio, tutti composti degli stessi elementi che compongono il resto dell’universo, aggregati in forme tali da creare vaste biodiversità. E’ dunque tutt’altro che azzardato ipotizzare che posizioni, energie ed eventi di carattere cosmico siano relativi anche a tutte queste creature. Anzi, i progressi scientifici continuano ad avvalorare questa interdipendenza assoluta universale già patrimonio di ogni mistico. La fitta rete di connessione che lega il tutto vibra dunque in ogni istante, ed in particolare quando energie diverse si armonizzano su alcune frequenze; è questo il caso di alcuni momenti del ciclo terrestre che da sempre l’uomo, in ogni cultura ed area del pianeta, ha reso sacri, celebrandoli. “
Sw. Jivan Arshad , tratto da” 2005 il varco di Pasqua nell’equinozio di primavera ”. I varchi e i relativi gruppi a cui ho partecipato hanno tutti una loro bellezza e una loro unicità e la cosa più interessante è che ognuno di essi, pur mantenendo i contenuti essenziali che sono propri di quel varco, non è mai uguale all’altro. Il varco che in questi anni mi ha toccato più in profondità è stato senza dubbio quello di Pasqua. E’ il varco della rinascita interiore, della resurrezione e a esso sono correlate anche tutte le informazioni e i rituali sugli Esseni e sul Cristo. Il primo di questi gruppi a cui ho partecipato è stato nel 1999 all’Osho’s Dream, ed è stato anche il momento in cui c’è stata la celebrazione del mio Sannyas con l’O.I.C e Arshad. E’ stato un vero e proprio rituale di passaggio, un momento che rimarrà dentro di me per sempre, perché fu allora che rinacque il mio spirito, la parte più profonda di me. Sono sempre stata affascinata dalla figura di Cristo, che oggi considero come uno dei maestri più importanti della mia vita. Prima di incontrare l’O.I.C però, avevo attraversato un periodo di profonda reazione verso tutto quello che lui rappresentava, in primis la chiesa e tutti i suoi dogmi e credenze che offuscandone la figura, mi avevano portato a rinnegare quasi completamente la figura di questo grande maestro. Attraverso le Classes e le sessioni proposte da Arshad, ho avuto modo di riavvicinarmi a Cristo e di comprendere che i condizionamenti cattolici rappresentavano quasi tutto il mio sistema di credenze e mi celavano verità che la mia anima attendeva da molto tempo. Ricordo ancora come se fosse ieri lo stupore e la gioia che provai quando, nella prima class, Arshad ci parlava di Gesù, della sua vita e ci svelava, come per magia, tante verità che per secoli la chiesa aveva tenuto nascosto a tutti. Ebbi modo di capire attraverso i rituali esseni cos’era la comunione, il fondersi totalmente con l’altro e con il nostro spirito; il lavaggio dei piedi, atto di servizio e di amore incondizionato verso l’altro; portare sulle spalle la croce, simbolo del nostro ego e del condizionamento riguardo al peccato, e poi bruciarla. Un altro rituale che mi ha sempre toccato profondamente è stato il cerchio di luce, simbolo della fratellanza bianca che un tempo legava gli esseni in un rapporto di profondo amore e comunione di cuori.
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Il rituale è di per sé molto semplice ma di una forza e una potenza straordinaria. Tutti vestiti di bianco, ci si siede in cerchio, e ci si prende per mano. In questo modo, a occhi chiusi, si avverte l’unione di tutti i cuori, la separazione dall’altro scompare e si ha la sensazione che siamo un unico corpo, un unico battito. Seguendo il flusso naturale dell’energia che ci attraversa le mani, le solleviamo al cielo, nostro padre, per fonderci con lui, poi alla terra, nostra madre e diventiamo uno con lei. Poi portiamo la nostra mano sinistra, sempre unita a quella del nostro vicino, al nostro cuore: questa è la fratellanza bianca. Ognuno lascia le mani dell’altro e torna a se stesso, al proprio cuore, consapevole del fatto che siamo uno, uno con il pianeta, con le stelle e con i nostri fratelli. “ Cosa accade dunque nel momento cosmico della Pasqua? Quali energie sono disponibili per il pianeta e in che modo possono essere poi così importanti per la spiritualità degli esseri umani? Tutti i miti che celebrano la Pasqua ci raccontano storie di Resurrezione: la rinascita che segue ad una morte apparente. E' un modo come un altro di spiegare quello che avviene in inverno e che segue la primavera. Una sorta di parabola, il cui significato va ricercato nello specchiarsi delle cose all'interno di noi stessi. Il seme, caduto in autunno, a metà di quella stessa stagione muore (in corrispondenza dei giorni di Halloween, per intenderci), abbandonandosi al suolo, al mondo di sotto. Nell'inverno si cristallizza in questa morte apparente, una sorta di ibernazione, di gestazione nel ventre della madre terra. A metà della stagione invernale (durante i giorni di S. Valentino) è necessaria una scelta: amore per la vita, o paura e rimanere nel ventre. Non tutti i semi germoglieranno, solo quelli la cui scelta sarà verso l'ignoto, lo sconosciuto, che andranno cioè oltre la paura per amore. Arriva dunque la Primavera con il suo Equinozio; un'inclinazione differente dei raggi solari scalda iI cuore del seme, il richiamo della vita é avvertito da tutti i viventi: è primavera. Ma non è a primavera che il seme inizierà ad aprirsi: dopo aver scelto l'amore, dopo aver udito il richiamo dell'esistere, dovrà morire per rinascere. Dovrà rompere il suo guscio, e trovare la strada verso la luce come un cieco germoglio ancora tenero. I contadini sanno bene che è la luna piena successiva alla Pasqua quella che determina un cambio sostanziale per i loro campi, cosi come per la natura tutta. Altrettanto bene sapevano i mistici che è questa stessa luna che può favorire un cambio sostanziale per i cicli di consapevolezza della vita dell'umano. La qualità che si espande nel momento cosmico della Pasqua è quella della fiducia: fiducia nelle rinascita del proprio spirito, nella resurrezione in senso attuativo, presente, e non quale rimando ad una prossima vita o piano di esistenza. Lo spirito, il più alto intento interiore -‐non è statico; necessita di essere nutrito, ravvivato, proprio come un fuoco. Non è un caso che ci si riferisca spesso al sacro fuoco dello spirito, è un'analogia calzante, come quella della Resurrezione di un Cristo durante la Pasqua. Con la Primavera siamo risvegliati ad una nuova nascita: nuovi intenti e propositi si affacciano al nostro animo, sostenuti da un'energia vitalizzante. Durante la Pasqua questo processo va più in profondità, da solare diviene lunare, ed opera nel rinnovo del nostro se' a strati più nascosti, come le nostre emozioni ed il nostro inconscio... Così come il seme, che muoverà verso la luce del sole grazie alla quale opererà la fotosintesi, e contemporaneamente verso la terra, dove mettere radici che andranno verso il buio a cercare il nutrimento dell'acqua e dei sali minerali. Se si muovesse in uno solo dei due sensi, non vivrebbe. Se non morisse, se non rompesse il suo guscio, non nascerebbe. Questo accade anche a noi; spesso abitudini, situazioni, condizionamenti, relazioni e attitudini ci stanno addosso come un guscio, che quando la consapevolezza si espande diventa una stretta armatura che ci ingabbia. Vederlo o saperlo non sempre basta-‐ e quel livello può infatti intervenire un giudizio su di noi stessi che ci lascia sempre dentro il guscio, se possibile ancora più scomodi. E' un'alchimia interiore quella di cui c'è bisogno. Una trasformazione che avviene oltre il razionale, al di la' del dualismo di giusto o sbagliato, nell'interezza del nostro essere. Che comprenda !'intento dell'anima e i nostri pensieri, le emozioni e il nostro inconscio. Che sappia farci tendere verso l'alto, verso la luce, esplorando e accettando anche le nostre parti più in basso, muovendo verso ciò che ci appare buio. Una rinascita di amore e coraggio, di forza e di accettazione, per la quale occorre che ciò che è diventato un vecchia guscio venga lasciato morire, e con esso le parti di noi che vi si identificano, le attitudini che le sostengono, le situazioni che le riflettono. Una vera e propria resurrezione, un parto di se' stessi. Sebbene a noi umani, portatori di libero arbitrio, sia disponibile in qualsiasi momento una rinascita interiore, e sebbene tutta la nostra vita possa definirsi un continuo ciclo di morti e rinascite, già i nostri antenati avevano ben capito quanto fosse importante sintonizzare i propri cicli interiori con quelli della Natura, con Madre Terra, con il Cosmo, e di quale armonico potenziale questa sintonia fosse capace. Quella che chiamiamo Antica Religione è una Scienza esatta delle relazioni tra l'uomo e la
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natura. Avendo appena aperto lo sguardo sui significati esoterici legati alla Pasqua, già la avventure dei vari Cristo, Osiride, Horus. Bacco, Tammuz, Kwenti-‐Imentiw, Re Cervo, Cernunnos, Quetzalcoatl, Krishna, Mitra e tantissimi altri ancora -‐non ci appaiono più come miti per genti semplici o storieIle per bambini, bensì gradualmente assumono la dignità dello sforzo di simbolizzare, al di la' del tempo, significati la cui profondità diviene difficile da esprimere ma impossibile da tacere. Tutti costoro sono morti e resuscitati nel periodo che chiamiamo Pasqua, più o meno tutti visitando gli inferi e poi ascendendo al cielo. Da Kwenti-‐Imentiw, il più antico dì cui abbiamo traccia (civiltà pre-‐egizie del wadi del Nilo, circa 7mila anni fa), fino a Gesù, il più recente -‐tutti ci raccontano la stessa storia. Nel nostro tempo l'espressione e la comprensione diventano molto più accessibili, per numero e velocità di informazioni, sicuramente, ma soprattutto perchè la nostra stessa ragione sta sondando vette e profondità che lambiscono il mistero. Pertanto è più semplice oggi che non ieri dire che ogni cosa nell'universo è correlata, giacché la fisica astronomica e quantistica ci supportano, ci danno ragione: sono arrivate allo stesso punto”.
Sw. Jivan Arshad , tratto da” 2005 il varco di Pasqua nell’equinozio di primavera ”.
2. I gruppi A mio avviso, i gruppi dell’O.I.C sono degli strumenti di comprensione e di conoscenza del nostro sé fortemente attuali e innovativi. Si possono sperimentare varie metodologie che vanno dal sacro al profano, dallo Zorba al Buddha e che comprendono: Meditazioni, class, sessioni, inipi, cerchio, rituali, espressioni artistiche che portano alla creazione di coreografie o spettacoli sempre con la costante e gioiosa presenza dello Staff. Tutti i gruppi si fondano sulla visione di Osho e sulla meditazione. Le tecniche che vengono proposte variano a seconda del lavoro e del Varco in cui si svolgono i gruppi e le più ricorrenti sono quelle che Osho consigliò di tenere tutti i giorni nelle sue comuni, cioè la Dinamica, la Kundalini e la Withe Robe. Osho ha regalato all’umanità moltissime tecniche di meditazioni tutte volte a far sì che l’uomo potesse sperimentare lo stato della non-‐mente, cioè il silenzio dei pensieri che sono in costante movimento. Più volte ha parlato della sua via come la via delle nuvole bianche. I pensieri sono come nuvole, vanno e vengono di continuo, ma quello che rimane sempre è il cielo, il testimone, che le osserva scorrere senza alcun giudizio e senza alcuna identificazione con esse. Questo stato di non-‐mente è meditazione, è ciò che i mistici orientali chiamano Dhyana. “La domanda di come far comprendere e, soprattutto, sperimentare dhyana, se la sono posta un po' tutti gli llluminati, i Maestri che sono comparsi sino ad ora. Ed è per questo che invece di starsene comodamente seduti sotto un albero a godersi l’estasi dell' esistenza si sano arrovellati a creare centinaia di espedienti. Questi espedienti si chiamano tecniche, meditazioni, o vengono indicati con altri nomi. Alcuni sono adatti a noi, cioè all'uomo attuale, con il suo incredibile bagaglio di informazioni e con un'attività mentale irrefrenata, altri invece non lo sono, poiché escogitati per altri tipi di culture, di ere. Se non abbiamo mai lavorato su noi stessi, non ci gioverà molto salire sulla cima di un monte per sedere a gambe incrociate; ci porteremmo inevitabilmente dietro tutti i nostri pensieri, affanni, ansie e nevrosi cui siamo solitamente abituati. In realtà occorrono delle tecniche studiate per avere a che fare con esseri umani mentalmente molto evoluti, ma altrettanto repressi nelle emozioni, bombardati nell'inconscio, lontani dal proprio centro. Tecniche che possono anche essere dinamiche, catartiche, con lo scopo di liberare e ripulire i canali dove la nostra energia vitale fluisce. Ma la tecnica non è la meditazione, ovvero non è Dhyana. E' un mezzo per arrivarci, questo si. Proprio come la storia Zen del dito che indica la Luna: se ti fermi al dito, perdi la Luna. Vale la pena di provare, di sperimentare la non-‐mente, intraprendere la ricerca. E' tempo di passare dal "cogito ergo sum" ad "amo ergo sum", “sento ergo sum", “sum ergo sum", e infine “non sum, ergo sum"! Sarebbe ora di creare un po' di equilibrio tra i nostri due emisferi, siano questi quelli planetari, quelli cerebrali o quelli sessuali, gli uni specchi degli altri. E questo genere di equilibrio è soggettivo: nel senso che è responsabilità di ognuno di noi, per se stesso e per gli altri. Non basteranno le leggi di mercato a
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cambiare Il mondo in cui viviamo, giacchè questo é fatto (anche) di esseri umani; riconoscere la responsabilità personale della crescita significa diventare liberi di crescere, smettendo di imputare ad altro o altri i nostri disagi o future liberazioni. E' come se a diciotto anni ti regalassero un'auto, ma tu non hai mai guidato in vita tua; potrai cambiare marca e modello, ma se non inizi ad imparare con l'esperienza personale, farai felice soltanto il tuo carrozziere”.
Sw. Jivan Arshad , tratto da “La meditazione, questa sconosciuta”articolo apparso nel 1997 su due magazine nazionali.
Tra le varie meditazioni dell’O.I.C., molto importante è la Work Meditation, una tecnica che consiste nel portare consapevolezza, cura e amore nei lavori che quotidianamente vengono svolti all’interno della casa o del luogo che ospita il gruppo. Insieme si fanno lavori che vanno dai piatti, alla pulizia delle sale, alla cucina. Chiudere gli occhi e meditare tranquilli in una sala è una cosa, ma rimanere centrati, consapevoli e rilassati sul luogo di lavoro, magari anche con diverse persone, è un’altra. Quando nei primi gruppi dell’O.I.C sperimentavo questa tecnica, spesso affioravano in me molte resistenze. Pagare per lavorare? Che senso ha? Poi pian piano, cominciando a sperimentare sempre più tecniche di meditazione, ho avuto modo di apprezzarne il valore e di riportare a volte, queste comprensioni, anche nel mio lavoro. Penso che questa sia una delle tecniche che ci può fornire una chiave molto importante. Dopo aver sperimento la meditazione infatti, questa va portata nel quotidiano, nella nostra vita ordinaria per permetterle di divenire straordinaria. Questo è il senso della Work Meditation. Insieme alle meditazioni ci sono poi le sessioni, veri e propri momenti di socializzazione, interrelazione, e condivisione, e ottimi strumenti per la conoscenza del proprio mondo interiore. “Alle meditazioni di Osho e alle diverse sessioni si aggiungono delle class multimediali, spesso con proiezioni dal computer sul grande schermo. Queste forniscono informazioni di deprogrammazione molto preziose, in maniera scorrevole ed interessante. Vengono rivisti aspetti storici, artistici, culturali, esoterici, simbolici che formano il nostro believe-‐system, e questo ne viene colpito, in un contesto di ricerca che crea un impatto interiore fortissimo... Particolare attenzione è dedicata alla musica, sempre di elevata qualità. Si danza e ci si diverte molto, a volte con show, espressioni creative, o condividendo l’esperienza del cerchio in momenti di relax e lavoro. Frequentemente si trattano argomenti, si usano energie o rituali che appartengono ad antiche e diverse tradizioni mistiche, operando una sintesi capace di ricollocare conoscenze e credenze. Daremo valore e dignità originaria a scienze esoteriche e tradizioni relegate nell’oscuro della coscienza da secoli di violenti fondamentalismi, rinnovando la nostra naturale vitalità pagana ed allargando i nostri orizzonti culturali, scientifici, storici, e sociali vedendoli da prospettive finalmente diverse”.
Sw. Jivan Arshad , tratto dal “programma dell’O.C.S. 2006”. L’Inipi, altro fondamentale strumento dell’ O.I.C., è un rituale molto bello, sacro e profondo che porta ad una vera rinascita e ad una rigenerazione dell’energia fisica, mentale, emozionale e spirituale. E’ chiamato anche Sweat Lodge, o capanna sudatoria, e deriva dalla tradizione Lakota. L’inipi è il grembo di Madre Terra dove rientriamo per riconnetterci con lei e con gli altri fratelli. Al suo interno vengono portate pietre incandescenti, le sacre Tunka e sopra di esse viene versata dell’acqua che produce vapore, il respiro di Wakan Tanka, il grande spirito dell’universo. In questo potente rituale alchemico si entra in contatto con madre terra, con i quattro elementi, con le quattro direzioni e con tutti gli esseri visibili e non visibili. M i i
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E’ un potente rituale che ci permette di guarire le nostre separazioni più profonde, in particolar modo la separazione che da secoli abbiamo con l’ambiente, con la natura e con il pianeta terra.
Inipi, Sweat Lodge, Osho’s Dream, 1998 “La Terra è stata malamente violentata ovunque, e qualcosa deve essere fatto urgentemente, perchè la terra sta morendo.”
Osho, “The Last Testament”, vol. 2, cap. 10, 30 aug 1985
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3. I temi fondamentali: le separazioni e le paure I temi portanti dell’O.I.C sono quelli relativi alle separazioni e paure. “Osho ha individuato tre paure fondamentali che sono comuni a tutti gli esseri umani. Sono la paura della pazzia, quella dell’orgasmo o estasi, e della morte. A queste tre paure Arshad ha connesso tre corrispondenti separazioni, altrettanto fondamentali e comuni: la separazione dall’ambiente/natura, quella dagli altri e quella da noi stessi. Attraverso i processi di ciascun gruppo, le meditazioni e l’approfondimento della visione di Osho, paure e separazioni sono portate alla consapevolezza per essere sciolte dall’accettazione del cuore. Si facilita la scoperta dei modi in cui limitiamo la nostra espansione, aprendoci alla fiducia del let-‐go, lasciar andare quegli schemi con i quali non abbiamo più bisogno di proteggerci. Il risultato è un essere umano naturale, spontaneo e vitale nel suo relazionarsi a se’ stesso, agli altri e a questo pianeta. In un cerchio, la guarigione di uno è la guarigione di tutti. Quando incontri qualcuno, condividi te stesso, il tuo cuore e la tua anima. La fiducia di chi si apre, apre anche il tuo cuore, e la forza dello stare in verità tra esseri umani risuona nella tua anima. Nelle sessioni, nelle meditazioni, nelle emozioni, nel divertimento, riconosci il fluire di questa forza dentro e fuori di te. Con l’Inipi questa esperienza si moltiplica, e nel contatto profondo con Madre Terra, con te stesso e con gli altri, inevitabilmente ti trasforma. Osho, per riavvicinarci a noi stessi Inipi, per ricongiungerci alla natura, e il Cerchio, per aprirci all’altro. Questo è Osho Inipi Circle” (Tratto dal Programma dell’O.C.S 2009) 4. Lo Staff Lo staff è il cuore pulsante dell’O.I.C. E’ costituito da persone che sono nel mondo della ricerca da diversi anni e che hanno, a mio avviso, tutte una loro differente professionalità ed una esperienza umana molto profonda. La maggior parte di loro è sempre presente nei gruppi e rappresenta un ponte di comunicazione tra i partecipanti e il terapista. Compito dello staff è infatti quello di prendersi cura delle esigenze del terapista e di tutti i bisogni dei gruppisti, per dare loro la possibilità di avere un costante e continuo supporto. E’ uno strumento indispensabile nel lavoro dell’ O.I.C perchè ha modo di entrare in una relazione d’amicizia più profonda e diretta con i partecipanti e di farli sentire amati e apprezzati per le loro qualità. Attraverso le informazioni di ciò che rileva durante lo svolgimento del gruppo, facilita il lavoro del terapista . Lo staff tiene inoltre alcune meditazioni e si prende cura della sala e della casa così da rendere l’ambiente il più confortevole e accogliente possibile.
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TERZO CAPITOLO: LA NASCITA DELLA OSHO CIRCLE SCHOOL E LE MIE SEPARAZIONI FONDAMENTALI
“Sannyas significa lasciar andare l’idea di separazione dall’esistenza. Proprio l’idea che siamo separati e’ il nostro problema. Non lo siamo, ma viviamo radicati in questa idea che siamo separati.”
Da “The Last Testament”, vol. 4, 1985 “Tutto qui! Sembra facile...” –mi sono detto ascoltando Osho – “... basta lasciar andare l’idea di essere separati ed è fatta.” Mi trovavo banalmente d’accordo. Ma come si fa a lasciar andare un’idea? Non basta mica sostituirla con un’altra, magari opposta: non funziona. Si passa da un’illusione ad una diversa. Non si realizza nulla, al massimo si crede in qualcosa. E poi, cos’è l’esistenza? In termini assoluti non saprei; in termini assolutamente relativi, la riporto a tre semplici parametri: noi stessi, gli altri, e tutto l’ambiente intorno –ovvero questo pianeta e il cosmo. La triangolazione di questi fattori pare produca il fantastico ologramma che riconosciamo come esistenza. “Forse, se queste tre condizioni si fondessero in una unica, allora non ci sarebbe separazione.” Uno e trino, l’avevo già sentita –mi dicevo pensando a tutto questo, ignaro di vivere separato in casa. Già, perchè se filosoficamente potevo vagheggiare sui fini ultimi del creato, praticamente iniziavo invece a fare i conti con le separazioni che mi trovavo dentro, e che non mi trovavano affatto concorde. Ebbi così modo di scoprire che non erano i tre aspetti dell’esistenza ad essere divisi tra loro, ma io ad essere diviso da ognuno dei tre. Insomma, il punto non era abbattere i muri di un trilocale per fare un salone, ma che vivevo in casa separato da ognuna delle stanze. Mi ritrovai in cantina, a cominciare dal basso: avevo preso il Sannyas. Nel 1985 Osho rilascia un’intervista sulla terapia, nella quale sottolinea tre paure fondamentali, comuni a tutti, che emergono quando si rimette a posto la propria cantina. La paura della pazzia, dell’orgasmo o estasi, e quella della morte. I suoi insegnamenti sulle tre paure sono un vero pilastro su cui poggiano ricercatori, insegnanti e terapisti…”
Sw. Jivan Arshad, “ le separazioni fondamentali” articolo uscito nel 2009 sull’Osho Times “Deve essere compreso, che le cose che ti rendono separato sono sempre dolorose.”
“Zarathustra: the Laughing Prophet”, cap. 12, 1987
Nel giugno del 2000, dopo aver seguito i gruppi dell’O.I.C. per più di due anni, con i miei amici dello staff decidemmo di lasciare tutto quello che avevamo costruito fino a quel momento, per seguire un sogno comune che da tempo avevamo nel cuore e che aveva avuto origine da una grande visione avuta da Arshad: fondare una scuola di ricerca interiore, una comune che permettesse di espandere e far conoscere al mondo la visione di Osho e del lavoro dell’O.I.C. A questo proposito desidero sottolineare il ruolo fondamentale che ebbe in tutto ciò Talasi (2), colei che insieme ad Arshad divenne poi la co-‐direttrice di questa scuola e senza la quale non saremmo mai riusciti a “portare a terra” quel sogno e trasformarlo in realtà. Grazie a lei, a partire dall’anno 2000 il lavoro dell’O.I.C. si tinse di tutti i colori dell’arcobaleno, si espanse nei contenuti e nelle forme e fu arricchito dalla sua esperienza, conoscenza e dal suo grande cuore. All’epoca insegnavo in una scuola media in Abruzzo ed ero una supplente annuale. Abbandonare il mio lavoro per andare a fondare questa scuola, significava correre il rischio di non lavorare più in quell’ambito, dal momento che non avevo neanche l’abilitazione all’insegnamento. Tuttavia decisi di seguire il mio cuore e il sogno che avevo in comune con i miei amici e nel giugno del 2000 partii alla volta di Maiolo (RN) dove era stata acquistata la nostra Scuola. Furono mesi molto intensi in cui, oltre a lavorare tutti i giorni senza sosta per edificare le fondamenta di quella che oggi è la Osho Circle School, parallelamente abbattevo i muri della mia personalità e
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cominciavo a sperimentare quotidianamente il lavoro sulle separazioni che, negli anni precedenti aveva acceso il mio fuoco interiore. Lasciare tutto per seguire quel sogno non fu affatto facile. I miei genitori pensavano che fossi impazzita: avevo lasciato il mio lavoro, le mie sicurezze, le mie radici, per ritrovarmi in una comune che secondo loro era solo un ritrovo di gente che manipolava gli altri e ne offuscava la capacità di discernimento. Dopo i primi mesi di un intenso lavoro fisico, una Work Meditation costante e continua in cui facevamo di tutto, dal montare il parquet al dipingere i muri, dal pulire al cucinare, dalla segreteria al giardinaggio, mi resi conto che non avevo più soldi. La tentazione di tornare indietro, alla vita di prima fu davvero grande ma qualcosa dentro me lo impediva: il mio sogno, la mia famiglia dell’anima, l’amore per il mio maestro, mi aiutarono ad andare oltre le paure e le profonde separazioni che sentivo dentro di me. In quei giorni mi arrivò una proposta dalla scuola media in cui avevo lavorato l’anno prima. Mi offrirono di nuovo la cattedra per insegnare un altro anno e io, a quel punto, mi sentii scissa. Ho sempre amato molto il mio lavoro e soprattutto i miei alunni, che in quell’unico anno d’insegnamento mi avevano aiutato a comprendere come fosse bello stare con loro e che grande scambio d’amore e di conoscenza poteva esserci. Insegnare ai ragazzi è una cosa che mi ha sempre fatto sentire viva. Parlai con Arshad che mi disse solo di ascoltarmi e poi di seguire il mio cuore, perché quando lo si fa, qualsiasi sia la porta che tu decidi di chiudere, per te si aprirà poi sempre un portone. Così seguii il mio cuore che voleva rimanere in quel posto perché quella era la sua casa, la sua famiglia. Chiamai la scuola e dissi loro che non sarei andata. La mia mente da quel momento però non mi diede più tregua. Cominciai a sentirmi pazza. Seguire il mio cuore per cosa? Per un sogno? E cos’era poi questo sogno se non una continua ed estenuante ricerca su di me, un continuo mettere a nudo di fronte agli altri le mie paure e le mie debolezze, un continuo osservare senza sosta le parti più buie di me? Ero stanca. Volevo mollare tutto. La ricerca di me stessa era troppo dolorosa. I primi anni dell’O.I.C. mi sembravano un ricordo lontano. Avevo contattato alcune mie paure ma quella era solo la superficie, ora mi stavo addentrando più profondamente in me stessa e quelle separazioni che prima avevo studiato, da brava alunna, con impegno, costanza ma anche con tanta leggerezza, ora le sentivo tutte dentro di me e facevano male. Troppo male. Disperata una mattina andai a fare la Dinamica. Durante la catarsi piansi tutte le lacrime e urlai contro Osho tutte le parole che non mi ero mai concessa di dirgli per il condizionamento che avevo che un maestro lo potevi solo amare. Non era così. Io lo odiavo perché “mi stava costringendo” a guardare le parti più brutte di me, quelle che non volevo vedere e mostrare. In passato lo aveva fatto con il mio corpo, che aveva messo a nudo di fronte a tutti per liberarlo dalle sue vergogne, ora lo stava facendo con la mia mente, che era molto più contorta, sottile e subdola. Stava tirando fuori tutte le mie fragilità e mi stava mostrando tutta la mia paura sulla sopravvivenza. Alla fine della catarsi, sfinita mentre stava partendo il terzo stadio, gli urlai di darmi un segnale… doveva darmi un segnale che non stavo impazzendo, che tutto quello che stavo facendo era giusto per me, per la mia evoluzione, per la mia crescita. Quella dinamica fu la più bella e la più intensa meditazione di tutta la mia vita. Avevo espresso tutte le mie parti più buie con una totalità e un’intensità così forte che
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quando arrivò il momento della celebrazione mi sentii così leggera e felice che mi sembrò di volare mentre danzavo. Uscii fuori dalla Buddha Hall e a contatto con la natura celebrai me stessa, la mia verità, il mio coraggio e a quel punto, la paura di sentirmi pazza e la forte scissione che questa mi aveva provocato prima, mi sembrò come dissolta. Avevo ripulito la mia casa interiore. Finita la Dinamica andai in camera, accesi il cellulare e trovai una chiamata persa. Richiamai quel numero sconosciuto. Era la scuola media di S.Agata, un piccolo paese vicino Maiolo, che mi disse che si era liberata una cattedra per insegnare in una classe seconda. Si era spalancato un portone, il segnale era arrivato e non si era fatto attendere neppure un istante. Mi sembrò un miracolo… Giorni prima, senza alcuna speranza avevo fatto una domanda in quella scuola ma ero così sicura che non mi chiamassero, visto che le graduatorie erano tutte piene, che me n’ero perfino scordata. E invece era successo. Il vero miracolo non era stato quello però, il vero miracolo ero io, la mia ricerca interiore, la fiducia incondizionata che avevo sentito dentro di me, nell’esistenza, in Osho che mi aveva spinto a lasciar andare la mia mente, i miei vecchi schemi, le mie paure, per far posto a qualcosa di completamente nuovo. Così cominciai a insegnare in quella nuova scuola e l’incontro con quella classe, la 2 C, fu sorprendente. Lavorare la mattina a scuola e il pomeriggio nella comune è stata una delle esperienze più belle e al tempo stesso difficili della mia vita. Mi ha regalato la possibilità di vedermi contemporaneamente insegnante e alunna della vita, una lezione che sarebbe rimasta in me per sempre e che avrebbe posto poi un’altra colonna nel fondamento di quella scuola a cui avrei dato vita un anno più tardi. Osho ha sempre detto che il vero maestro è dentro ogni essere umano, lui è solo uno specchio di ciò che bisogna costantemente ricercare in se stessi. A volte non è facile ricordarsi di questo. Essere discepoli della vita comporta una profonda umiltà, significa farsi piccoli, mettere da parte il nostro ego, il nostro desiderio di sentirci importanti, di essere i primi in tutto ciò che facciamo e riconoscere che siamo a servizio dell’esistenza. Essere un Maestro significa prendersi la responsabilità della propria vita, delle proprie azioni, riconoscere di essere pienamente e totalmente artefici del nostro destino, sapersi donare agli altri con amore incondizionato. Sia l’una che l’altra parte non sono facili da comprendere se non c’è una consapevolezza chiara e cristallina. Se ti vedi solo come un discepolo nella tua vita, non ti prenderai mai totalmente la responsabilità delle tue azioni, ci sarà sempre qualcun altro a cui dare la colpa di ciò che stai vivendo. Se ti vedi solo come un Maestro il tuo ego è forte, non hai bisogno degli altri, sei tu il padrone incontrastato della tua vita e nessuno può dirti cosa devi o non devi fare. La funzione di un vero Maestro è quindi indispensabile. Un vero Maestro è colui che ti ricorda di essere discepolo e maestro della vita allo stesso tempo, perché le due cose non sono separate. Sono una cosa sola ed è solo la mente che crea questa scissione. Per questo è uno specchio, riflette te stesso così come sei in quel momento. Fu così che tra un gruppo e l’altro dell’O.I.C, il lavoro nella comune e quello nella scuola dove insegnavo, trascorse un anno, l’anno più intenso di tutta la mia vita, che mi ha donato le comprensioni più grandi e importanti, l’anno in cui sono cresciuta interiormente e che mi ha formato da tutti i punti di vista. Vivere in una comune è
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come avere una lente d’ingrandimento che ti permette di osservare tutti i tuoi limiti a trecentosessanta gradi per poi superarli e di velocizzare le comprensioni di eventi per le quali normalmente impiegheresti anni. Con le persone con cui vivevo a volte ci siamo urlati contro, a volte abbiamo pianto, a volte riso a crepapelle e tutto questo ci ha permesso di entrare in una relazione molto profonda e vera. Un’intimità così intensa raramente è possibile provarla nel mondo. Il lavoro dell’O.I.C sulle separazioni e sulle paure entrò a tal punto dentro di me che mi spinse ad elaborare un progetto nella scuola dove insegnavo. Lo chiamai progetto “ scuola Interiore” e rappresentava il seme di tutto il lavoro che in seguito si sarebbe sviluppato. Finito quell’anno scolastico però entrai in una profonda crisi. Mi sentii di nuovo scissa e separata ma stavolta in modo molto più profondo rispetto a tutte le altre volte. Mentre vivevo nella Comune cominciai ad avvertire il desiderio di avere più spazio nella mia vita per poter ampliare quel progetto scuola interiore che era divenuta la mia passione, il mio sogno. In quel periodo mi era capitato di incontrare un mio caro amico, che lavorava anche lui con il mondo infantile e adolescenziale attraverso la musica e il teatro e avevamo condiviso il sogno di avere un giorno una scuola nuova, alternativa, che potesse accogliere bambini e ragazzi di differenti età. Tutto questo però nella mia mente era in netto contrasto con il sogno che stavo vivendo alla School. Volevo continuare a vivere lì, ma al contempo volevo andare via per avere lo spazio di cui avevo bisogno per creare la scuola interiore. Quella separazione non fu affatto facile e penso che affrontarla, sentirla e viverla in tutte le sue sfumature sia stata l’esperienza più dolorosa di tutta la mia vita. La Osho Circle School era mia madre, il progetto scuola interiore era mio figlio, un figlio che portavo in grembo e che per nascere aveva bisogno di me totalmente e completamente. In quegli ultimi mesi estivi le tre separazioni e paure occuparono totalmente la mia mente e io mi sentii sempre più stanca, svuotata e priva di forze. Ero separata dagli altri, dai miei amici e fratelli più cari e questo mi provocava un forte senso di colpa e la grande paura che se fossi andata via non mi avrebbero più amata come era stato fino ad allora. Ero separata dalla natura che mi circondava e nonostante fosse estate e spesso facessimo lavori fuori, li facevo meccanicamente, come un automa che aveva dimenticato il contatto con la terra e quanto lei fosse viva e in grado di trasformare tutto. La cosa più dolorosa però era che ero separata da me, dalla mia vera essenza, dalla mia parte più profonda. Avevo paura che andando via la mia ricerca interiore sarebbe morta e con lei anche il rapporto d’amore che mi univa al mio Maestro. In quei momenti mi chiedevo perché non avessi la forza di parlare dal cuore con i miei amici, di fare un cerchio come in passato e dire loro quello che provavo, che sentivo. La verità più profonda veniva celata per paura, e la separazione, il lamento e la stanchezza erano le uniche cose a cui davo energia. Ne parlai con un grande amico del Cerchio, Sudhiro (3), il quale alla fine mi disse: “Trust Yourself Ramana! Always… se senti che per te è arrivato il momento di andare vai, senza paura!” Quella frase mi penetrò di nuovo fino all’anima e questa per un attimo si destò, stanca di essere stata messa al confino dalle paure della mia mente. La decisione dentro di me era presa ma non riuscii a comunicarla a nessuno. Lasciare i miei amici e quel posto era troppo doloroso e in quel momento non ce la facevo.
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Poi una mattina, dopo l’ennesima distrazione che commettevo sul lavoro a causa della mia non presenza e totale inconsapevolezza, Arshad mi fece il primo encounter della mia vita. Sarò sempre grata a lui per quel momento di sveglia totale che diede al mio corpo, alla mia mente e soprattutto alla mia anima. In quel momento ero sotto shock, ma “una spinta” che andava al di là di me mi guidò e mi sostenne nel fare i bagagli di tutta la mia vita nel giro di mezz’ora e salutare poi i miei amici tra le lacrime e il dolore di tutti. Caricai la mia macchina e partii. Mentre uscivo dal cancello della School piangendo urlai così forte e così tanto che mi sembrò un’eternità. C’era dolore, tanto dolore, un dolore così forte che mi sembrò come una morte e che riuscii ad elaborare solo l’anno successivo. Dopo alcuni mesi in cui fui ospitata a Rimini da due mie amiche che tempo prima avevano vissuto e fondato insieme a me e agli altri la School, fui di nuovo chiamata dalla scuola di S.Agata. Avevo ancora la mia vecchia classe e quindi la possibilità di ampliare i contenuti di quel progetto che avevo ideato l’anno prima e che in quel momento occupava il primo posto nella mia vita. Prima di dedicarmi con tutta me stessa a questo sogno, dovevo però guarire la separazione che ancora avevo dentro di me, per aver lasciato due mesi prima i miei amici e la School, che era e rimarrà per sempre la mia casa. Così decisi di iscrivermi al gruppo dell’O.I.C del varco d’autunno. Questo gruppo era perfetto per me e per quel momento della mia vita. Il tema di questo varco infatti è il Let-‐go che significa lasciar andare, il mio intento era proprio quello di lasciar andare tutto il dolore, le paure e le separazioni che sentivo ancora in me. La paura più grande con cui mi confrontai per prima fu il cerchio. Quello che in passato era stato un simbolo d’amicizia e di verità e che era uno degli strumenti fondamentali del mio lavoro con i ragazzi, in quel momento era la cosa che mi terrorizzava di più. Avevo paura di aprirmi agli altri, una paura che era rimasta ancorata in me dagli ultimi mesi in cui vivevo alla School. La colpa di aver abbandonato quel posto, i miei amici e il sogno che avevamo in comune, pesava su di me come un macigno enorme e mi rendeva incapace di esprimere e comunicare quello che provavo. Quando fu il mio turno di parlare fui invitata da Arshad a mettermi al centro del Cerchio. A quel punto fui colta dal panico, il giudizio che avevo nei confronti di me stessa mi provocò la strana sensazione di essere come davanti a un tribunale, e non mi rendevo conto che l’unico giudice in realtà ero io. Poi con mio grande stupore Arshad mi venne incontro, si sedette davanti a me e mi guardò negli occhi come solo un vero amico sa fare. A quel punto la mia paura di essere giudicata si sciolse nel dolore. Mi abbracciò e sulla sua spalla piansi tutte le lacrime che avevo dentro. Intorno a noi il cerchio parlava la lingua del sacro silenzio. Non c’era bisogno di nessuna parola, niente da fare, niente da dire. Il mio compito era solo ricevere, ricevere quella grande energia d’amore che mi penetrò fino all’anima e che sciolse quel dolore che mi straziava il petto. Ero di nuovo a casa. Il cerchio esterno si era riunito con il mio cerchio interno. Erano uno. Un solo battito, un solo respiro, un’unica onda d’amore. Dopo il cerchio, l’Inipi e il resto del gruppo completarono l’opera. Nell’Inipi dichiarai il mio intento e madre terra mi accolse ancora nel suo grembo come solo lei sa fare. Si prese cura di me, mi amò e mi restituì al mondo rinnovata nel corpo, nella mente e nell’anima. A fine gruppo una danza finale con me stessa, con il cerchio e con il mio
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maestro furono la ciliegina sulla torta. Ero andata via dalla School fisicamente ma lei era stata, era e sarebbe rimasta dentro di me per sempre. Era una storia d’amore. Una storia nata molti secoli prima che nascesse quel posto e che nonostante tante vite e tanti dolori era rimasta immutata in me nella sua verità e nella sua essenza più profonda. Con la consapevolezza di questo, salutai i miei amici e mi trasferii nella mia nuova casa a Perticara, pronta e piena di entusiasmo nel continuare dentro di me ciò che prima avevo pensato di avere perduto fuori e per edificare le fondamenta della mia scuola interiore.
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QUARTO CAPITOLO: LE 3 SEPARAZIONI E LA NASCITA DELLA SCUOLA INTERIORE “Osho ha dunque individuato le tre paure fondamentali, che sono quelle della pazzia, dell’orgasmo e della morte. Nel nostro lavoro, abbiamo rilevato poi le tre separazioni fondamentali: quella dal se’, dall’altro, dal pianeta.In che modo paure e separazioni possono essere messe in relazione? Una prima equazione può essere: dolore (o timore del dolore) = paura; paura = separazione; separazione = dolore. Più dettagliatamente: paura di impazzire = paura di essere soli = separazione dall’ambiente/ pianeta paura dell’orgasmo = senso di colpa = separazione dall’altro paura della morte = paura dello sconosciuto = separazione dal se’ Di base: ciò che fa paura crea separazione; ciò che crea separazione provoca dolore; ciò che crea dolore fa paura. La paura fondamentale rappresenta il blocco inconscio (ad esempio, paura di impazzire); ad ogni paura Osho associa una radice psicologica (in questo caso, la paura di essere soli). La conseguente separazione è il risultato riflesso di queste due cause, lo specchio del disagio interiore. Il riflesso di queste separazioni fondamentali è particolarmente evidente nell’individuo e nella società attuale”.
Sw. Jivan Arshad , tratto da “Openings: Self, Other, Nature-‐ Varco del sole 2010” Nei mesi successivi a quel gruppo dell’O.I.C ci fu per me una profonda integrazione di tutto quello che era accaduto nella mia vita soprattutto nell’ultimo anno. Durante i mesi che avevo vissuto alla School, avevo portato in grembo, nutrito e fatto crescere giorno per giorno la mia scuola interiore. Quell’anno da sola, fu l’anno del parto. Nella scuola dove insegnavo, cominciai a lavorare a un nuovo progetto che manteneva i contenuti originari di quello dell’anno prima, ma li ampliava e li approfondiva alla luce delle nuove comprensioni. Fu anche il primo anno che lo misi per iscritto e lo feci approvare all’interno della scuola, visto che l’anno precedente era stato fatto più come un gioco, un esperimento personale. Misi quindi sulla carta il ”Progetto Scuola Interiore” e incentrai tutto il lavoro della socializzazione e conoscenza del sé, sulle tre separazioni fondamentali. Nella mia esperienza di docente nel mondo della scuola, ho avuto modo di notare infatti, sin dall’inizio della mia carriera scolastica, come ci fossero, all’interno del gruppo-‐ classe, enormi separazioni. La prima e più evidente era sempre quella tra maschi e femmine, separazione che risultò poi essere una costante in questa fascia d’età, e quella all’interno degli stessi gruppi dei maschi e delle femmine. Avendo sperimentato su me stessa, grazie al lavoro dell’O.I.C., la separazione dall’altro, e consapevole del fatto che le tre separazioni sono tutte e tre interconnesse e che spesso quando ne vivi una, si presentano anche tutte le altre, cominciai ad avvertire il desiderio di creare qualcosa di nuovo, un progetto che desse la possibilità di aiutare i ragazzi a superare queste separazioni. Essendo inoltre le separazioni collegate alle tre paure fondamentali, cominciai a vedere come, anche queste, fossero presenti nel mondo adolescenziale. Certo, all’inizio si manifestavano attraverso le vergogne, le emozioni che riuscivano a esprimere più facilmente perché molto comuni alla loro età, ma pian piano cominciai a vedere che quelle vergogne erano tutte riconducibili alle loro paure e, in una visione
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più ampia, alle tre paure di cui parlava Osho. Alle separazioni quindi, collegai le tre paure, trasponendole in un linguaggio che fosse per loro più semplice e di più immediata comprensione rispetto alla loro età. La separazione dal pianeta era dovuta alla paura della pazzia, del sentirsi soli e quindi diversi dall’altro. La separazione dall’altro era dovuta alla paura e alla vergogna di fondersi con l’altro. La separazione da se stessi infine, era dovuta alla paura della morte, dello sconosciuto. Chiamai questo progetto “Scuola Interiore”, perché doveva aiutare i ragazzi a comprendere che la “vera scuola” era dentro ognuno di loro, nel loro mondo interiore. Ognuno poteva imparare qualcosa dall’altro e insegnare qualcosa all’altro. Da questo spazio poteva nascere un rapporto sano, basato sul rispetto reciproco e sull’amicizia e sviluppare in loro l’autostima e la fiducia in se stessi. A questo proposito vorrei sottolineare quanto sia importante per me, il lavoro sulla fiducia in me stessa che ho fatto all’interno dell’O.I.C. Nell’anno di vita nella comune, mi ero resa conto che ogni qual volta riconoscevo, accettavo e lasciavo andare le separazioni e le paure, frutto della mia mente inconscia, incontravo la parte più profonda di me, il mio sé autentico, e quella parte era fiducia allo stato puro. Era fiducia in me stessa, negli altri e nell’intera esistenza. Compresi dunque che la fiducia in se stessi, era uno degli obiettivi finali a cui mirava il lavoro sulle separazioni e che anche questa era, a sua volta, legata alle altre in modo inscindibile. Quando hai fiducia in te ce l’hai anche negli altri e nell’esistenza perché le tre cose non sono separate. Avevo notato infatti, che anche per il mondo adolescenziale funzionava allo stesso modo: ogni volta che un ragazzo era di fronte ad una propria insicurezza, un proprio limite e riusciva da sé o con l’aiuto degli altri a riconoscerlo e superarlo, acquistava fiducia. La fiducia in se stessi e nelle proprie capacità divenne l’obiettivo finale del progetto Scuola Interiore. Al lavoro di conoscenza del sé che si esplicava nelle class, negli esercizi di socializzazione, e nelle varie tecniche di esplorazione del proprio mondo interiore affiancai il teatro. Lo scopo era quello di utilizzare quest’arte come un mezzo di per rafforzare i contenuti che venivano trattati negli incontri di socializzazione e realizzare alla fine del progetto una rappresentazione che fosse la summa di tutto il lavoro svolto. 1. L’ associazione Scuola Interiore
L’associazione “Scuola Interiore” è nata nel 2003 a Sant’Agata Feltria, ed è composta da insegnanti, educatori e professionisti di varie arti e discipline tra cui teatro, cinema, danza, musica, canto, pittura.
Nasce come naturale evoluzione dell’omonimo progetto ideato e condotto da me medesima nella Scuola Media di S. Agata Feltria, a partire dall’anno 2000. Infatti, nella mia esperienza diretta di docente, ho riscontrato le difficoltà, le paure e le profonde insicurezze tipiche del mondo adolescenziale. Questo mi ha indotta a ricercare e creare un nuovo metodo di insegnamento, un approccio non solo improntato verso la
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didattica o la cultura, ma anche mirato a riconoscere e sviluppare le potenzialità del singolo individuo all'interno del gruppo.
E’ nata quindi l’esigenza di un nuovo modo di “fare e vivere” la scuola, una didattica improntata verso la conoscenza del sé come mezzo per trasformare le separazioni e paure e stimolare la fiducia nelle capacità di ogni singolo alunno.
Nell'analisi dell'individuo, nell’esplorazione dei suoi sentimenti ed emozioni, emerge come ognuno è lo specchio delle attitudini, dei comportamenti, dei giudizi e dei sentimenti dell'altro. Questa consapevolezza è stata una delle chiavi per superare le separazioni che venivano a crearsi nel quotidiano fra gli alunni, tra loro e gli insegnanti, tra questi ultimi e le famiglie.
E’ stato quindi importante stimolare nei ragazzi la conoscenza del proprio essere e del ruolo che ognuno di essi giocava nel proprio gruppo come essere umano dotato di idee, emozioni, sentimenti. Ogni singolo alunno è, infatti, indispensabile all'intero processo di trasformazione e di crescita dei compagni e del gruppo.
Con questi strumenti uniti ad alcune discipline artistiche è stato possibile dare ai ragazzi una nuova visione della scuola che è apparsa, dopo tutto il lavoro svolto in gruppo, non più un edificio fatto solo di doveri e di compiti, bensì un luogo d'incontro dove è possibile crescere insieme in armonia.
La nascita dell’associazione ha permesso di espandere questo lavoro e collaborare con altre scuole, Enti, Associazioni, Centri d’Aggregazione Giovanile realizzando diversi progetti e laboratori a cui hanno partecipato bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni. Nel 2007, l’associazione, raccogliendo i frutti delle esperienze degli anni passati, ha dato vita a Novafeltria alla Scuola Interiore delle Arti. Pur essendo una scuola che prepara i ragazzi nelle varie discipline artistiche, l’intento principale non è quello di formare attori, ballerini o cantanti, ma di permettere agli allievi di esprimere la propria creatività ed accrescere l’autostima. La parte fondamentale di questo percorso educativo che ha una durata annuale, è costituita dalle sessioni di socializzazione che consentono ai ragazzi di prendere coscienza di se stessi e degli altri all’interno del gruppo, di riconoscere e gestire i conflitti originati da paure, separazioni o competizioni e di superare le barriere e le difficoltà attraverso l’amicizia e la nascita di un Cerchio di amici.
Parallelamente alle sessioni ci sono le lezioni delle varie Arti : Teatro, Cinema, Danza, Canto e Pittura che prevedono, nell’ultima fase del percorso, un film o uno spettacolo teatrale, da rappresentare alla fine del corso, che include tutte le discipline artistiche. Siamo convinti che le arti costituiscano da sempre il mezzo più efficace per favorire una genuina ricerca di se stessi e offrano a ciascun individuo la possibilità di confrontarsi e di crescere in modo sano con gli altri. Inoltre stimolano la creatività e l’autostima e permettono di esprimere le proprie emozioni e i propri stati d’animo. L’utilizzo di più discipline artistiche in sintesi favorisce lo sviluppo dell’individuo nella sua globalità, crea un clima di cooperazione, integrazione e fiducia nel gruppo al di là dell’età e dello stato sociale, permette di sviluppare responsabilità verso se stessi e verso gli altri.
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Fin dal principio, l’utilizzo della telecamera ha costituito un importante strumento per il Progetto. La telecamera infatti, è sì il mezzo con cui realizziamo film, cortometraggi e video che documentano il progetto, ma è soprattutto utilizzata come un potente strumento di crescita: è infatti un efficace mezzo per superare le proprie vergogne ed acquisire sicurezza in se stessi e fiducia nelle proprie capacità. La Scuola Interiore delle Arti è pertanto un vero e proprio percorso di crescita interiore, è un laboratorio di vita in cui tutti, insegnanti educatori ed alunni cresciamo insieme imparando gli uni dagli altri a fidarci di noi stessi e del maestro che è in ognuno di noi. E’ una scuola che “educa” principalmente alla conoscenza del proprio sé. La scuola in questi anni ha lavorato con ragazzi delle scuole medie e superiori ma ha coinvolto nel cammino anche genitori e amici che hanno messo al servizio di questo progetto le loro capacità e la loro creatività. Il nostro intento quindi è quello di valorizzare al meglio le doti innate di ogni individuo che spesso non riescono ad emergere per mancanza di autostima e fiducia.
2. Le 3 separazioni e paure nel mondo infantile e adolescenziale
“Educare” deriva dal latino “ex-‐ducere”, che significa “trarre fuori”, cioè estrarre il potenziale originale ed unico di ciascuno. Il significato etimologico di questo verbo, dovrebbe essere sempre tenuto in considerazione, come la massima principale di ciascun educatore e insegnante. Purtroppo oggi il mondo della scuola si basa su una funzione educativa che da’ credito più al rendimento culturale e didattico piuttosto che favorire una genuina esperienza di sé e rafforzare l’autostima e la fiducia nelle proprie capacità e potenzialità. La scuola andrebbe sempre analizzata da un punta di vista sistemico, un insieme di relazioni che dovrebbero principalmente servire all’evoluzione e alla conoscenza di se stessi, degli altri e dell’ambiente. La sistemica muove dal concetto che tutto è comunicazione; con questo termine si definisce un’insieme di unità legate da reti di comunicazioni significative continuamente interagenti tra loro in modo da modificarsi vicendevolmente ed in continuo interscambio con l’ambiente più vasto. Pertanto la scuola non è solo un luogo di studio ma anche un ambiente dove si creano e si vivono relazioni: rapporti tra compagni e compagne di classe; rapporti tra insegnanti e allievi; tra insegnanti e genitori e tra insegnanti e altri insegnanti… L’utilizzo di una disciplina sistemica incentrata sulla conoscenza del sé e sull’analisi delle separazioni che vengono a crearsi quotidianamente nella fitta rete delle relazioni scolastiche, risulta essere quindi di vitale importanza per far sì che si attui la tanto attesa e “vera riforma” della scuola. La Scuola Interiore risulta essere, in questo senso, una possibilità per riuscire a trasformare le separazioni e le paure che vengono riscontrate nei bambini, nei ragazzi e più in generale nell’intero sistema scolastico. Prospetto riassuntivo delle 3 separazioni e paure nel mondo dell’educazione: 1. La separazione dal pianeta= paura della pazzia, sentirsi soli e quindi diversi dall’altro.
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2. La separazione dall’altro= paura e vergogna di fondersi con l’altro e di incontrarlo in una relazione più profonda e più vera, senso di colpa. 3. La separazione da se stessi= paura della morte, dello sconosciuto, del proprio mondo interiore. Separazione dal pianeta “Un insieme di persone accumula immondizia nella propria casa, fuma e brucia scorie a finestre chiuse, spreca l’acqua e la sporca, maltratta gli animali, saccheggia le provviste senza curarsi di quelle future e lascia quattro quinti degli abitanti tra fame, sete e malattie; taglia le piante, asfalta il giardino, tiene sul comodino tanto esplosivo da far saltare l’intero quartiere... Che stanno facendo a loro stessi, alle persone, alla casa? Direste che sono impazziti, o meglio che stanno riflettendo fuori quella paura che dentro li rende tanto separati dal proprio ambiente, dagli altri e da sé. Direste che siamo noi. Viviamo tutti una profonda separazione da Madre Terra; un allontanamento doloroso le cui conseguenze non sono solo ambientali, ma interiori. ”.
Sw. Jivan Arshad , tratto da “Openings: Self, Other, Nature-‐ Varco del sole 2010” “L’essere stesso è inquinato. L’inquinamento nell’atmosfera non ne è la fonte – la fonte è da qualche parte nell’essere dell’uomo. Quando il nostro essere è inquinato, soltanto allora iniziamo a inquinare la natura, non viceversa.”
“Darshan Diaries”, cap. 6, 1978 Nell’istituzione scolastica molti sono i progetti che vengono realizzati per favorire un’educazione ambientale che renda i bambini e i ragazzi consapevoli degli enormi problemi legati all’inquinamento, al degrado ambientale, ai fattori climatici.. La terra è malata, e uno dei compiti principali della scuola è quello di permettere ai giovani, che rappresentano il nostro futuro, di divenire coscienti che la sola causa di questa malattia è dovuta alle azioni inconsapevoli e irresponsabili dell’uomo e al suo desiderio di sfruttare e dominare il pianeta. Rientrano così, in questi progetti scolastici, l’approfondimento di argomenti come l’ effetto serra, l’inquinamento, lo scioglimento dei ghiacciai, l’estinzione di numerose specie di animali, ma anche le informazioni a proposito di energie rinnovabili e la sensibilizzazione sull’importanza di una raccolta differenziata che possa in parte contribuire ad arginare queste enormi problematiche di natura globale. Il problema principale è che non ci si può limitare a fornire informazioni, seppur indispensabili, attraverso dati e statistiche che palesano le cause e gli effetti di determinati comportamenti umani. La questione fondamentale è comprendere, attraverso un’esperienza di vita, il perché di queste cause e perché l’uomo è arrivato a essere così separato dall’ambiente in cui vive. Il primitivo e intimo rapporto che legava un tempo gli esseri umani alla terra, riscontrabile in molte antiche civiltà, sembra essere considerato un argomento di poco rilievo e interesse. Popoli come gli indiani d’America o gli aborigeni in Australia sono solo alcuni dei pochi esempi che potremmo citare per iniziare a far luce su queste problematiche in modo diverso.
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I Lakota chiamavano la terra Madre e vivevano con essa in un rapporto di continuo interscambio e gratitudine, onorandola attraverso rituali ed esperienze profonde quotidiane. La scuola Interiore, in questi anni, ha utilizzato la saggezza di questi popoli come punto di partenza per far riflettere il mondo giovanile sull’importanza del sentire e del riconoscere la terra come un pianeta vivo. Rendere i ragazzi consapevoli del fatto che vivono separati dalla natura e che non riescono più a sentirla come una madre generosa che li ama è il primo passo che la scuola interiore si è prefissata riguardo a questa separazione. Come per il mondo degli adulti, anche per il mondo dei bambini e degli adolescenti, questa separazione è legata ad una paura: la paura della solitudine, del sentirsi diversi, e quindi di sentirsi pazzi. Nella società contemporanea il tema della solitudine è un problema sempre più frequente, sia nel mondo infantile che adolescenziale. I bambini di oggi, a causa dei problemi lavorativi degli adulti, si trovano a vivere molto più soli di quanto non vivessero i bambini di un tempo. In una ricerca effettuata dal web magazine indipendente “The Populi”, viene messo in luce il bisogno di conversare di milioni di bambini ed adolescenti che si ritrovano in casa da soli e che avvertono la solitudine come uno dei loro problemi più grandi. “Questo è il principale motivo per cui, ogni anno, moltissimi bambini fanno ricorso ai vari Telefoni azzurri di tutto il mondo. È quanto emerge dall’ultimo Convegno europeo sulle linee d’ascolto per l’infanzia e l’adolescenza, svoltosi il 5 ottobre scorso a Milano, e promosso da Telefono Azzurro, in collaborazione con Child Helpline International, l’associazione che include 160 linee telefoniche, per bambini e adolescenti, operanti a livello internazionale. Nel solo 2008, su 15 milioni di bambini, ben il 38% ha sentito il bisogno di effettuare una chiamata al solo scopo di poter vincere la propria solitudine, discutendo col proprio interloquente. Una percentuale altissima, se si considera che per problemi come le difficoltà relazionali con i genitori, o l’abuso fisico, si scende, rispettivamente, al 17,5% e al 15,1% della totalità delle telefonate. Ma perché i bambini di oggi si sentono così soli? Forse, la risposta va ricercata nella nostra società attuale. Lo stile di vita familiare è cambiato parecchio negli ultimi anni. Sono sempre più le famiglie in cui entrambi i genitori hanno un’occupazione. Ciò fa sì che il tempo passato con i figli venga ridotto notevolmente. Per ovviare al problema, si fa spesso ricorso ai “nonni”. Tuttavia, non mancano i casi in cui i bambini rimangono da soli in casa. A tutto questo va aggiunto che le relazioni sociali dei bambini sono mutate notevolmente. Oggi esistono strumenti da gioco come Playstation, X-‐box, Nintendo o gli stessi personal computer che non fanno altro che ridurre il tempo passabile fuori dalle mura domestiche. Per questo, possibili dialoghi con coetanei o con gli stessi genitori vengono sempre più a mancare”. L’adolescenza è un periodo di profonda crisi, in cui emergono tutte le fragilità e le insicurezze tipiche del mondo giovanile. In questa fase della vita, l'umore è prevalentemente irritabile; è presente la sensazione di non essere compreso e approvato dagli altri. Di conseguenza l'adolescente tende ad interrompere le attività sociali, compresa la scuola, e a rinchiudersi in casa, isolandosi. Molte delle problematiche adolescenziali sono in gran parte riconducibili quindi alla paura della solitudine e del sentirsi inadeguati e incompresi dal mondo degli adulti. Questa paura
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può degenerare dando anche inizio a problematiche molto più allarmanti quali ad esempio l’anoressia, la bulimia, la tossicodipendenza….tutti fattori che risultano provenire dal senso di vuoto e di solitudine iniziale di cui il mondo degli adulti (genitori, insegnanti, educatori) non è riuscito ad accorgersi in tempo. Il problema della solitudine infantile e adolescenziale deve e può essere risolto solo con una presa di coscienza da parte degli adulti e la Scuola Interiore a questo proposito risulta essere un mezzo molto efficace per affrontarlo e superarlo. La paura della solitudine e del sentirsi diversi dagli altri è collegata alla separazione dall’ambiente, quindi è sempre stato fondamentale creare delle sessioni in cui sia possibile rendere i ragazzi consapevoli di tale rapporto. Nel momento in cui viene portata luce e coscienza alla parte relativa alla separazione dalla natura, va da sé che i bambini e i ragazzi si rendono conto che in realtà non sono soli ma c’è un intero pianeta che, anche se non ne sono consapevoli, si prende cura di loro costantemente e li ama. Quello che la Scuola Interiore ha sempre cercato di trasmettere ai ragazzi è stata la comprensione che la terra, il pianeta in cui viviamo, non è semplicemente il suolo su cui ogni giorno camminiamo e ci affanniamo come pazzi. La terra è viva, è nostra madre, ha avuto origine molto tempo prima di noi e dopo miliardi di anni ci ha dato alla luce. Molte delle sessioni fatte in questi anni sono state incentrate su questo punto. All’inizio non è facile parlare di questo, ciò che viene detto per i ragazzi è solo uno dei tanti discorsi che gli vengono fatti sull’educazione ambientale o sull’importanza della raccolta differenziata che “deve essere fatta” a scuola. I ragazzi la fanno, ma quello di cui ci siamo accorti è che manca una comprensione più profonda del perché “deve” essere fatta. Il dovere deve trasformarsi in piacere, in cura, in amore. Così, a volte, uno degli strumenti che utilizziamo per contattare la terra come madre è una sessione chiamata ”amore per madre terra”. Per prima cosa a occhi chiusi viene spiegato loro cosa andremo a fare: una passeggiata ecologica in cui si ripulirà un luogo in mezzo alla natura dove c’è immondizia. Il tutto viene fatto ad occhi chiusi perché ognuno deve avere la possibilità di contattare se stesso e la sua separazione dal pianeta. Ad ognuno viene fatto l’invito a portare amore e attenzione per ogni più piccolo rifiuto. Il tutto deve essere fatto in silenzio, ognuno deve contattare se stesso e madre terra senza lasciarsi minimamente distrarre da ciò che fanno gli altri, ma allo stesso tempo ci si deve muovere come un corpo unico e aiutarsi nel caso di rifiuti più ingombranti o pesanti. Dopo aver fatto questo, si sceglie un posto dove sostare e fare un cerchio che viene usato per cristallizzare e lasciar sedimentare l’esperienza. Nei dieci anni di vita della Scuola Interiore abbiamo utilizzato più volte questo strumento e devo dire che ha avuto un notevole potere trasformativo sulla coscienza dei ragazzi. Un ricordo particolarmente vivo che ho di questo, è accaduto nell’anno scolastico 2000 con la classe 2 A. Quando cominciammo la sessione, dopo aver istruito i ragazzi con una breve class sull’argomento, i ragazzi erano molto emozionati. Li invitammo a chiudere gli occhi e a prendere coscienza di ciò che avremmo fatto. Quando uscimmo e iniziò la raccolta dei rifiuti, il silenzio non sempre fu rispettato, ma le poche parole che vennero dette, avevano il suono della cooperazione e della comprensione. Quella non era la solita passeggiata ecologica a cui, a volte, avevano aderito tra schiamazzi, urla e
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totale inconsapevolezza. Poi, con i sacchi pieni d’immondizia e scarti di tutti i tipi, arrivammo alla radura e in silenzio facemmo loro cenno di mettersi in cerchio. Li invitammo a chiudere gli occhi, poi a prenderci per mano e, guidandoli con una visualizzazione, li portammo a mettere le loro mani a terra per sentirla ed ascoltarla. Sussurrava ai nostri cuori parole di gratitudine. Lo avevamo fatto per lei ma anche per noi stessi. Fu un momento molto bello e intenso e il silenzio che si respirava aveva il profumo di una nuova scoperta, di un regalo inaspettato. Poi li invitammo ad aprire di nuovo gli occhi e a condividere quello che avevano sentito. Ognuno a suo modo disse che per la prima volta si era accorto che la terra era veramente viva. Li invitai a custodire questo ricordo nei loro cuori e gli dissi di portare questa consapevolezza nella loro vita quotidiana. L’aspetto fondamentale di questo lavoro è di portare i ragazzi alla comprensione che la terra è in grado di trasformare qualsiasi paura. In natura basti pensare a tutti gli elementi che, a contatto con la terra, prendono altre forme; l’esempio più calzante e con un richiamo fortemente simbolico può essere quello del carbonio che dalla terra viene trasformato in diamante. La stessa cosa può avvenire per le nostre paure, se entriamo in un contatto profondo con la terra, queste vengono trasformate e dissolte. Con questo intento molte sessioni che abbiamo svolto in questi anni con la Scuola Interiore sono state fatte, quando è stato possibile, nella natura. Uno dei momenti più importanti in questo senso sono i ritiri estivi che svolgiamo ogni anno, con bambini e ragazzi, alla fine dei corsi della Scuola Interiore delle Arti, presso un centro alle pendici del Sasso Simone Simoncello ( AR). In questa occasione vengono svolti degli incontri a contatto con la natura, i cui temi sono tutti riconducibili al rapporto con essa e con i quattro elementi. Ogni giornata è dedicata ad un elemento (aria, acqua, fuoco, terra) e l’intero lavoro è basato sul riconoscimento di come questi elementi non sono solo fuori di noi ma anche dentro di noi.
Saluto al Sole, San Gianni di Sestino (AR).
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Il ringraziamento al sole, al cielo e alle stelle, alla terra e ai suoi frutti, al fuoco… vengono fatti nei diversi esercizi e meditazioni giornaliere e serali. I ragazzi hanno così modo di accostarsi alla natura e di sentirla viva, e nel farlo, ne escono rigenerati a loro volta. L’intento è di superare la separazione col pianeta, di ristabilire quell’antico contatto con madre terra, che nel corso dei secoli, ed in particolare nell’ultimo, è andato perduto, togliendo loro la possibilità di dissolvere il senso di vuoto e di solitudine che non gli permette di gioire appieno della vita. Un altro strumento che affianchiamo spesso ai lavori con la natura è la tecnica della Dinamica di cui, nello specifico, parlerò più avanti. La seconda fase di questa è la catarsi che spesso utilizziamo per permettere ai ragazzi di dare sfogo alla parte di follia che c’è in ognuno di loro. A questo proposito vorrei citare l’esempio di un ragazzo, Giacomo (4), che nell’anno 2004, ha svolto con noi un laboratorio di conoscenza ed espressione del sé e delle arti. Giacomo aveva una situazione familiare molto problematica. Era il quarto dei sette figli che costituivano la famiglia, un padre autoritario ma del tutto assente a livello affettivo e una madre stanca e sfinita a causa delle responsabilità scolastiche ed educative che pesavano tutte su di lei. Il ragazzo aveva una scarsa fiducia in se stesso, dai compagni veniva spesso messo da parte e considerato diverso, a volte anche giudicato un po’ pazzo a causa del suo eccessivo egocentrismo e smania di protagonismo eccessivo. Spesso durante la ricreazione era da solo e le volte in cui provava a relazionarsi con gli altri, risultava essere pesante e logorroico al punto da essere considerato “una piattola” come dicevano i suoi compagni. Molto importante fu per lui la tecnica della Dinamica ed in particolar modo, come condivise poi in seguito, la seconda fase di questa: la catarsi. I ragazzi, a occhi chiusi, sono invitati, a dare libero sfogo alla parte pazza e folle che c’è in ognuno di loro. Per cinque minuti, a occhi chiusi, ognuno può piangere, ridere, buttarsi a terra, saltare, ballare e dare libero sfogo a tutte le emozioni che solitamente si tendono a reprimere perché considerate sbagliate o poco conformi alle regole sociali. I ragazzi sono incoraggiati ad essere veri nel loro sfogo, ma pochi riescono a farlo veramente nella totalità dei gesti e a giocare con la propria pazzia senza sentirsi ridicoli o timorosi del giudizio altrui. In questo contesto, Giacomo fu la persona che più di tutte riuscì ad esprimere al massimo la parte folle che c’era in lui e a riconoscere che quello era l’unico spazio in cui poteva farlo senza paura. Si buttò a terra, pianse con tutto se stesso tutte le lacrime che davanti agli altri non era mai riuscito a tirare fuori, poi all’improvviso si trasformò in un vero e proprio pazzo, tirò fuori la lingua e cominciò a fare degli strani versi continuando a rotolarsi a terra. Infine, esausto, scoppiò a ridere a crepapelle. In tutti gli anni che avevo tenuto la Dinamica non mi era mai capitato di vedere una simile totalità così vera e autentica. Poi la meditazione continuò con le altre fasi ma quello che Giacomo condivise nel cerchio finale, fu che mai prima di allora, nella fase della catarsi, si era sentito così libero e senza paura di essere giudicato pazzo e diverso. Il suo tono di voce era cambiato, si esprimeva con calma e senza alcun desiderio di prevaricare sugli altri. La cosa più importante però, fu che, per la prima volta, disse che aveva sentito che poteva imparare ad amarsi e a volersi più bene. Questo per lui, fu
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solo l’inizio del percorso, che lo portò a fine anno ad integrarsi e ad essere apprezzato e riconosciuto anche dal gruppo. “Nelle situazioni di terapia, permetti alla persona di impazzire. Una volta che è impazzita, mollerà la paura. Ora sa cos’è la follia. La paura è sempre dello sconosciuto. (...) Dunque aiuta la persona a comprendere che non c’è nulla di cui preoccuparsi, non c'è niente di cui avere paura; è una paura creata. Ogni bambino nasce senza paura. Non ha idea della paura o della morte, o di niente. La meditazione riporta la persona alla sua infanzia; è rinata. Quindi aiuta la persona a comprendere perchè c’è la paura. Rendi chiaro che è un falso fenomeno che gli è stato imposto, e che dunque non c’è bisogno di preoccuparsi. In questa situazione puoi impazzire. Non avere paura. Goditi questa situazione, nella quale per la prima volta puoi essere folle eppure non condannato, ma amato, rispettato. Il gruppo deve rispettare la persona, amare la persona; questa ne ha bisogno. Si calmerà. Verrà fuori dalla paura con una grande libertà, con una grande energia vitale, forza, ed integrità”.
Osho, Interview with Veeresh (The Three Fears), sept. 1985
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Separazione dall’altro “La separazione dall’altro ha diverse radici e riflessi. La prima radicale separazione è quella dalla madre, alla nascita. Si tratta di una separazione naturale, che può essere alleggerita o aggravata dal modo in cui si viene alla luce. Questo dipende a sua volta da fattori sociali e culturali.Tali fattori sono poi determinanti per quanto riguarda altri due tipi di separazione: quella nel rapporto tra i sessi e con la sessualità,e quella che riguarda più in generale le relazioni con gli altri esseri umani. Attualmente, la disgregazione del tessuto sociale è giunta a livelli mai sperimentati prima, agevolando isolamento, diffidenza, paura”.
Sw. Jivan Arshad , tratto da “Openings: Self, Other, Nature-‐ Varco del sole 2010” La prima e più evidente separazione che, come ho già detto, abbiamo riscontrato maggiormente tra i bambini e i ragazzi, è stata senza dubbio la separazione dall’altro. Questa separazione è legata alla paura e alla vergogna di fondersi con l’altro, di incontrarlo in una relazione di amicizia più profonda e più vera e al senso di colpa. Il senso di colpa nasce nel momento in cui un individuo pensa che ciò che sta facendo o pensando sia sbagliato e nel momento in cui l’altro se ne accorgerà sicuramente lo giudicherà male. Si basa quindi sulla paura interiorizzata, a volte inconscia, di un giudizio negativo da parte dell’altro. L’origine dei sensi di colpa va sicuramente ricercata negli anni della prima infanzia. Essi si sono formati nel rapporto con la madre quando eravamo molto piccoli e rappresentano tutto ciò che essa ci proibiva, oppure che noi stessi abbiamo creduto che non le piacesse. La proibizione materna e/o paterna non è stata solo quella dichiarata esplicita, anzi essa ci è stata passata soprattutto dal loro comportamento esterno che veniva poi interpretato dalle nostre menti ancora poco sviluppate e quindi incapaci di capire coerentemente. La prima paura del giudizio viene dunque dalla madre e in seguito dal padre ed è profondamente connessa quindi con la paura di un loro rifiuto o abbandono. Crescendo poi, questa paura si estende anche a tutto il resto del tessuto sociale. Iniziamo così sin dalla prima adolescenza a vivere la nostra vita indossando sempre una maschera che, apparentemente ci fa sentire protetti e al sicuro, perché ci evita di confrontarci con la paura del rifiuto dell’altro, ma in realtà non ci permette di essere autentici e veri. I rapporti sociali che vengono così a crearsi sono dunque, il più delle volte molto superficiali e si limitano ad un contatto fisico quasi nullo perché esternare troppo i nostri sentimenti, le nostre emozioni potrebbe essere giudicato sconveniente e poco consono alle regole del comune costume. Questo ci porta sempre di più a separarci dall’altro e a instaurare con lui un rapporto non sano. Va da sé quindi il motivo per cui, già nella tenera età della scuola elementare si possono notare le prime separazioni che vengono a crearsi tra i bambini, separazioni che diventeranno sempre più profonde nell’adolescenza, fino a divenire enormi e a volte, considerate quasi insormontabili, nel mondo degli adulti. Le Sessioni che in questi anni ha proposto la scuola Interiore per rendere i ragazzi consapevoli di tale separazione, sono molto importanti perché per prima cosa li conducono all’esplorazione delle loro emozioni, all’incontro con l’altro e alla creazione di un “cerchio di amici”. “Il cerchio” infatti, come nel lavoro dell’O.I.C, è sempre stato uno strumento indispensabile attraverso il quale i ragazzi imparano a comunicare con gli altri e ad
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esprimere quello che provavano senza la paura del giudizio altrui. E’ un simbolo di amicizia e condivisione che ci permette di superare i litigi e le incomprensioni quotidiane, di imparare ad essere veri ed autentici e di creare l’armonia nel gruppo. Quando le prime volte ci si siede in un cerchio, si può subito notare come i ragazzi non siano abituati a parlare in verità e a condividere agli altri se stessi e le proprie emozioni. Lo strumento che abbiamo sempre utilizzato e che da la parola solo a chi ce l’ha in mano, è una pietra a forma di cuore. Spieghiamo loro che è importante imparare ad ascoltare l’altro dallo spazio del cuore, cioè da uno spazio ricettivo, che accetta l’altro così com’è e senza alcun giudizio. Le prime volte i ragazzi tendono a distrarsi o a intervenire subito senza aspettare il proprio turno, nel caso in cui qualcuno parla di loro in prima persona per esporre qualcosa che li ha feriti. Perciò è importante spiegare loro che “l’ascolto vero” in quel modo non può accadere, perché tutta la loro energia non è impiegata nel voler realmente comprendere l’altro e quello che ha provato. Nei primi cerchi si nota quindi come siano troppo impegnati ad aver paura del giudizio e a cercare di mascherare il loro senso di colpa per aver ferito l’altro. Dopo i primi incontri però, a poco a poco i cerchi diventano sempre più silenziosi e la qualità dell’ascolto e dell’espressione delle loro emozioni diviene più profonda. In questi anni abbiamo condotto molti cerchi, e toccato differenti realtà sociali e istituzionali, tuttavia posso dire come questo semplice strumento sia stato in realtà uno dei mezzi più efficaci per superare la separazione dall’altro e la paura del giudizio altrui. Spesso ci siamo ritrovati a piangere insieme quando qualcuno apriva il suo cuore al cerchio e mostrava le sue fragilità e la sua vulnerabilità, oppure quando timidamente riconosceva i suoi limiti e le sue paure o vergogne e con l’amore degli altri riusciva a superarli e a ritrovare la fiducia in se stesso. Quando questo accadeva c’era un profondo rispetto e invitavamo i ragazzi a riconoscere come quelle condivisioni così vere e toccanti fossero d’aiuto a tutti. Nel cerchio “la guarigione di uno è la guarigione di tutti”, è questo che ho imparato nell’O.I.C. ed è questo che abbiamo sempre cercato di far comprendere ai bambini e ai ragazzi. Ognuno è lo specchio dell’altro, delle sue paure dei suoi dolori e nel momento in cui anche uno solo riesce a condividerli, ne traggono beneficio tutti e di conseguenza aprono di più il loro cuore. Nell’analisi relazionale che abbiamo effettuato nella Scuola Interiore, abbiamo notato che spesso i maschi fanno più fatica nel parlare di sè e delle proprie emozioni, ma quando qualcuno di loro si lascia andare, a volte anche col pianto, che per cultura e condizionamento è sempre ritenuto sbagliato perché sinonimo di debolezza maschile, anche in tutti gli altri avviene un rilassamento, una comprensione che il cerchio è un luogo dove questo è possibile senza essere giudicati. A questo proposito abbiamo sempre messo in chiaro che il cerchio è sacro. Tutto quello che vine detto lì deve rimanere solo tra i presenti. E’ un patto che facciamo sempre all’inizio di ogni laboratorio, e che deve essere rispettato. Oltre ai cerchi, un altro strumento fondamentale riguardo alla trasformazione di questa separazione è rappresentato dalle sessioni di socializzazione. Queste comprendono momenti di condivisione a coppie o a gruppi-‐famiglie, varie meditazioni sociali e soprattutto gli abbracci. Questi ultimi a mi avviso, sono stati lo strumento principale che i ragazzi hanno usato e riconosciuto per superare la separazione
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dall’altro. Quello che loro hanno sempre condiviso nei cerchi finali è stato che il momento più temuto ma anche il più atteso è stato quello degli abbracci. Spieghiamo ai ragazzi come devono abbracciarsi mimando attraverso una serie di scenette ironiche come non va fatto un abbraccio. Non vogliamo che l’incontro sia superficiale e frettoloso, niente pacche sulle spalle e non c’è bisogno neppure di parlare mentre lo fanno. Vogliamo che contattino l’altro, e quindi se stessi, il più autenticamente possibile, pertanto l’abbraccio deve avvenire per prima cosa ad occhi chiusi perché lo sguardo deve essere rivolto all’interno, al loro mondo interiore. Inoltre le ginocchia sono leggermente flesse e si incastrano tra quelle dell’altro in modo da non creare nessuna separazione fisica, il cuore deve essere a contatto con il cuore dell’altro. Ultima regola: mentre ci si abbraccia si respira insieme e qualsiasi emozione “sale a galla” le si da lo spazio e il tempo di sentirla nella sua totalità. All’inizio, quando li facciamo abbracciare la prima volta, è evidente l’imbarazzo e la vergogna che provano soprattutto i maschi nell’andare incontro alle femmine e viceversa, ma le stesse emozioni sono provate anche dai maschi nei confronti del loro stesso sesso poiché hanno paura di essere giudicati omosessuali. Questo condizionamento riguardo all’incontro fisico con l’altro ha origine, come ho detto prima, sin dall’infanzia. Nel confronto di un lavoro tra la prima e la quinta elementare si può notare, infatti, come in quest’ultima, sia già molto più evidente la vergogna di incontrare in un abbraccio sincero e amichevole l’altro sesso. In un’analisi generale, questa vergogna diviene ancora più evidente negli anni della scuola media, in cui, durante la terza, si acuisce anche quella tra maschi. Il condizionamento dell’omosessualità maschile e la paura di essere giudicati tali dagli altri se ci si abbraccia, inizia proprio verso i 12-‐13 anni. In un comune laboratorio di conoscenza del sé, dopo le prime sessioni, si può notare come queste dinamiche si trasformano radicalmente e quello che prima vedono come uno strumento che li mette di fronte ai loro limiti e incapacità di andare incontro all’altro si trasforma nel momento più atteso e desiderato per tutti.
Abbraccio
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Riguardo alla separazione dall’altro, un caso emblematico, a questo proposito, è stato quello di Federico (4) di 15 anni. Era un ragazzo con enormi problemi relazionali legati ad una incapacità comunicativa che si manifestava con difficoltà nella comprensione delle parole, associata ad un continuo e costante monologo solitario. Più volte era stato richiamato da noi insegnanti a causa di comportamenti velatamente violenti che aveva mostrato nei confronti degli altri. Federico si sentiva diverso dagli altri, escluso e con un forte senso di inadeguatezza. Con certezza posso affermare che avvertiva la diversità, il giudizio e la paura di essere considerato disabile più di tutto il resto del gruppo. Ciò nonostante frequentava la Scuola da tre anni e per lui era la sua seconda famiglia, un luogo dove avvertiva che nonostante fosse messo a contatto con i suoi limiti e le sue difficoltà aveva la possibilità di superarli e di sentirsi accettato nella sua unicità. La sua forte sensibilità e la genialità inaspettata che mostrava di avere in determinate situazioni, il fatto che queste, per la prima volta, fossero comprese e valorizzate da parte di tutti gli altri, gli ha dato a poco a poco la fiducia in se stesso. Nei primi anni, questa separazione dall’altro era in particolar modo evidente durante gli abbracci. Le prime volte era così imbarazzato che non riusciva a stare in silenzio e a contattare l’altro per più di alcuni secondi. Era chiaro a tutti il suo grande desiderio di volerlo fare, ma la vergogna e il forte senso di colpa che provava glielo impedivano. In questi anni ho visto in lui un notevole cambiamento e grazie all’amore del cerchio è riuscito a poco a poco a superare i suoi limiti. Il punto di svolta però ce l’ ha avuto lo scorso anno, in un ritiro estivo della Scuola Interiore delle Arti. In particolar modo grazie ad un cerchio condotto da noi insegnanti insieme a Sudhiro che era stato invitato per aiutare i ragazzi ad entrare in un contatto più profondo con se stessi e con gli altri e superare così le loro paure più profonde.
Cerchio di condivisione, San Gianni di Sestino (AR).
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Sudhiro parlò ai ragazzi del popolo Lakota e della loro connessione con il pianeta e con tutti gli esseri visibili e non visibili. Spiegò loro che questo popolo era solito attribuire a ciascun uomo il nome di un animale in base alle caratteristiche e alle qualità che avevano in comune e che ogni animale aveva in sé una “medicina” che poteva donare agli altri per aiutarli nel loro processo evolutivo. Non appena Sudhiro si sedette nel cerchio incontrò lo sguardo aperto e ricettivo di Federico che sembrava che lo aspettasse da un’infinità di anni e lo chiamò Tabloka (5). Gli spiegò che lui era un animale molto raro ed era l’unico che sapeva proteggere il cerchio e pur di farlo era capace di mettere a rischio la sua stessa vita. Poi lo invitò a cantare per il cerchio. Federico aveva sempre odiato cantare perché, a causa delle sue difficoltà linguistiche, dovute esclusivamente al suo senso di inadeguatezza e al suo sentirsi diverso, pensava di non saperlo fare. Sollecitato però dall’amore di Sudhiro e dal cerchio che credeva in lui, Federico cantò, e dopo averlo fatto la sua paura si sciolse in gioia e gratitudine. La sua esperienza e il suo coraggio furono un grande esempio per tutti. Da quel momento in poi la sua vita è cambiata, il suo relazionarsi agli altri è diventato molto più vero e certe stereotipie che aveva mostrato in passato sembrano oggi quasi dissolte. “Finchè c’è questo sentimento di separazione, l’amore non può essere conosciuto. L’amore è l’esperienza dell’unità. La demolizione dei muri, la fusione di due energie: questo è ciò che è l’esperienza dell’amore. L’amore è l’estasi nella quale i muri tra due persone crollano, dove due vite si incontrano, dove due vite si uniscono. Quando tra due persone esiste una tale armonia, la chiamo amore”.
Osho, From Sex to Superconsciousness, cap. 1, 28 ago 1968
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Separazione dal sé “Conosci te stesso” Iscrizione sull’ingresso dell’Oracolo di Delfi, antica Grecia
“ Andando anche oltre la concezione psicanalitica della separazione dal se’, con le sue sfumature di alienazione, paranoia, depressione, schizofrenia, etc... –è facile notare come l’attuale umanità sia spinta a vivere questo aspetto molto più intensamente che in passato. Consideriamo quale separazione interiore il semplice non conoscere se’ stessi; possiamo intenderlo sia in senso filosofico che religioso, ma anche in un verso più ordinario.Ovvero, non conoscere le proprie emozioni e non essere in contatto con queste, non essere consapevoli delle proprie qualità interiori così come dei limiti imposti dal condizionamento. Soprattutto, non conoscere il proprio se’ al di là dell’identificazione con l’attività mentale, ignorare gli spazi di silenzio, meditazione e pace che attendono nel nostro centro interiore. Ancora più superficialmente, non conoscersi significa subire e replicare il costume e l’identificazione individuale e sociale, sostituendo ai nostri intenti reali dei modelli, spesso irreali, che possano garantire l’accezione del costume.Il sistema di produzione, quello sociale e familiare, l’ambiente scolastico, mediatico, culturale e religioso, fino al sistema sanitario, tutti riflettono e amplificano ogni tipo di separazione, che costantemente si scontra, a livello inconscio, con il sentire interiore. L’individuo è così rigettato, ad ogni passo, nell’inconsapevolezza, nella repressione, nel compromesso”. ”.
Sw. Jivan Arshad , tratto da “Openings: Self, Other, Nature-‐ Varco del sole 2010”
L’ultima separazione è quella dal proprio sé e, nel mondo infantile e adolescenziale, come in quello degli adulti, è legata alla paura della morte, dello sconosciuto, del proprio mondo interiore. Questa separazione è profondamente connessa con le prime due, in quanto rappresenta la paura di contattare le proprie emozioni e il proprio mondo interiore ed esternarle quindi agli altri e all’ambiente circostante. La separazione dal sé comporta quindi la separazione dagli altri e dal pianeta ma è anche vero che, come ho già accennato, tutte le separazioni e paure sono collegate tra loro in un rapporto di dipendenza reciproca. Il proprio mondo interiore rappresenta lo sconosciuto, il mistero e, contattare questa parte dentro di noi significa rendersi consapevoli che non siamo solo i nostri pensieri, non siamo solo il nostro corpo, ma siamo qualcosa di molto più profondo. Questa parte profonda è ciò che molti definiscono il nostro sé, la nostra anima, il nostro spirito. Il corpo e la mente sono un giorno destinati a morire ma il nostro sé è l’unica parte di noi che è eterna, ecco perché fa parte del mistero e dello sconosciuto. La maggior parte delle persone vive la vita senza alcuna consapevolezza di questo spazio e teme la morte perché è identificata con il corpo e con l’attività della mente. Un contatto profondo con il proprio sé è dunque indispensabile per riuscire a superare questa paura. La paura della morte è presente nei bambini sin dai primi anni di vita e si manifesta, a volte, con la paura del dormire da soli e del desiderare quindi, che qualcuno sia lì con loro durante la notte. Inoltre i media e la televisione in questo senso acuiscono, inconsapevolmente o no, tale paura, attraverso immagini di morti violente e terribili. In questo modo, il bambino, sin da quando è molto piccolo, comincia ad associare la morte ad una cosa terrificante e negativa, e non ha mai modo di accostarsi a questa realtà in modo sereno e naturale.
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Questa paura dunque è talmente profonda e radicata nella nostra cultura che viene trasmessa ai bambini sin dalla prima infanzia, cercando di evitare tale argomento perché si teme di spaventarli o perché si pensa che non siano in grado di gestirla. In realtà, così facendo, non si fa altro che farla sedimentare e crescere in loro sempre di più. Come prima cosa sarebbe opportuno allargare gli orizzonti e conoscere altre culture diverse dalla nostra, civiltà presso le quali la morte viene vissuta come un momento di celebrazione, e il dolore, che viene percepito per la separazione dal defunto, è vissuto in modo più sano. In queste culture i bambini partecipano attivamente alle funzioni religiose sin dalla nascita, e la morte è vista come naturale evoluzione della vita. Questi popoli mostrano certamente di avere un contatto più profondo con il proprio sé e con il proprio mondo interiore, pertanto rapportarsi al loro modo di vivere la morte, potrebbe sicuramente aiutare a riflettere sui condizionamenti culturali che la nostra società mostra di avere riguardo ad essa. I tabù che abbiamo riguardo alla morte conducono anche alla paura per tutto ciò che è sconosciuto. Si forma così il condizionamento che la vita sia dura e spietata e il mondo, un luogo ostile e pericoloso, in cui non ci si può fidare di nessuno. In questo modo, come accennavo prima, la separazione dal sé favorisce anche la separazione dall’altro, che è visto come lo sconosciuto, qualcuno di cui diffidare. La separazione dal sé dovuta a tale paura provoca spesso uno stato depressivo latente o manifesto che conduce i bambini e i giovani a isolarsi per paura di vivere e sentire la vita nella sua pienezza. Studi epidemiologici recenti hanno evidenziato che tra i ragazzi della fascia d'età compresa tra i 9 ed i 17 anni, una percentuale consistente (oltre il 7%), soffre di disturbi depressivi. I sintomi di tale disturbo si manifestano in diversi modi: senso di inferiorità nei confronti degli altri, tristezza, pessimismo, irritabilità, mancanza di concentrazione, atteggiamenti a volte aggressivi, scarsa energia e motivazione. Inoltre, tali ragazzi tendono a vedere la vita come inutile e priva di interessi e a trascurare quindi l’igiene personale o a mostrare segni di inappetenza che possono sfociare anche nell’anoressia. Questi fattori sono tutti potenzialmente riconducibili alla separazione dal sé, in quanto il contatto con il proprio mondo interiore e la scoperta del proprio sé portano alla luce questi stati d’animo, permettendo così di prenderne coscienza e di superare quei disagi che si manifestano nella personalità del ragazzo. Nella scuola interiore le sessioni d’introspezione delle proprie emozioni e di conoscenza del proprio sé , le meditazioni e le induzioni sul cuore, sono state lo strumento principale attraverso cui i ragazzi hanno contattato più profondamente se stessi e superato la separazione dal loro mondo interiore e la paura dello sconosciuto. Riguardo a questa paura l’esempio più evidente è sempre stato il primo contatto che hanno avuto ad occhi chiusi con il loro sé. La prima sessione che proponiamo sempre ai ragazzi riguarda la differenza tra il mondo esteriore e mondo interiore. La tecnica di per sé è molto semplice, si tratta di due tipi di danze, una a occhi aperti e una a occhi chiusi. La prima è il contatto con il mondo esteriore. Dal momento in cui apriamo gli occhi la mattina al momento in cui la sera li chiudiamo per addormentarci, la nostra mente è sempre proiettata verso l’esterno, verso ciò che vediamo, ma cosa succede se a volte ci concediamo, nel bel mezzo della giornata, di
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chiudere gli occhi e osservare semplicemente cosa succede dentro di noi? C’è un mondo dentro, un mondo sconosciuto di cui molti ignorano perfino l’esistenza. Il primo contatto con questo mondo all’inizio può fare paura, un senso di vuoto, nulla a cui aggrapparsi, nulla che si può vedere o toccare. All’inizio c’è il buio, c’è lo sconosciuto. Poi, pian piano, se riusciamo a lasciar andare questa paura, l’imbarazzo e il disagio che ne derivano, ci rilassiamo e in questo rilassamento possiamo incontrare quella parte di noi che non conosciamo e scoprire che è un mondo meraviglioso, pieno di mille colori e sfumature, un vuoto che è pieno, un nulla che è tutto. E’ l’ essenza più intima e profonda che ciascuno ha dentro di sè. E’ quello che noi chiamiamo il nostro mondo interiore. Questa è una delle premesse che facciamo sempre ai ragazzi prima di iniziare a fargli sperimentare questa tecnica che è la base del nostro lavoro di conoscenza del sé. All’inizio i ragazzi fanno fatica a chiudere gli occhi. La mente non è abituata a essere osservata, è sempre lei che vuole osservare, vedere e il più delle volte giudicare ciò che è giusto o sbagliato. Dunque come prima cosa, lasciamo che i ragazzi lo facciano la prima volta come un gioco, un esperimento. Nel primo si guardano, ballano insieme, ridono e in alcuni casi contattano le loro vergogne perché anche ballare ad occhi aperti, quando tutti si guardano non sempre è facile. Poi li invitiamo a chiudere gli occhi e la prima volta, di solito, non lo prendono sul serio, alcuni sbirciano di tanto in tanto, altri si guardano o si cercano fisicamente per sentire che non sono soli o semplicemente perché la curiosa novità li imbarazza e li mette a disagio. Successivamente li invitiamo a sperimentare di nuovo lo stesso esercizio, ma questa volta chiediamo loro di farlo veramente, di mettersi in gioco con totalità e di non dipendere dal giudizio degli altri perché, se lo fanno davvero, possono scoprire un dono, un regalo che è possibile ricevere solo stando da soli con se stessi. La seconda volta è sempre diversa dalla prima, loro sono diversi, perché iniziano a familiarizzare con quella parte sconosciuta che è in loro. Questa tecnica sul mondo interiore è sempre stata la base di tutte le meditazioni che, in questi anni abbiamo proposto. Queste sono state diverse: Dinamica, Kundalini, Heart Chakra, Peace Meditation… Tuttavia tali tecniche, che solitamente durano un’ora per gli adulti, sono ridotte, a seconda dell’età dei bambini o dei ragazzi, a delle short meditation. La meditazione dinamica, che insieme alla Heart Chakra è stata quella più utilizzata, è stata ridotta a 12 minuti per i ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 13 anni e 20 minuti per i ragazzi dai 14 ai 18. Questa tecnica, di cui ho già accennato in precedenza, è composta da 5 stadi. Il primo è la respirazione caotica. I ragazzi sono invitati a concentrare tutta la loro energia sull’espirazione, che deve essere caotica, cioè senza un ritmo continuo. Se i ragazzi non l’hanno mai fatta prima, qualcuno potrebbe avvertire, in questa fase, dei capogiri. Se succede, li rassicuriamo invitandoli a ridurre il ritmo e spiegando loro che ciò accade perchè l’ossigeno che viene immesso nel corpo con questa respirazione è molto di più di quello a cui siamo normalmente abituati. Dopo questa fase si passa allo stadio successivo: La catarsi. Qui invitiamo i ragazzi a dare sfogo alla parte di follia che c’è in loro. Possono piangere, ridere, ballare, arrabbiarsi. Il terzo stadio è lo “hu!”. Con le mani in alto si salta urlando dalla pancia il mantra “hu!” Questo stadio a volte può risultare un po’ faticoso ma se lo si fa totalmente, dà una carica e una forza interiore
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incredibile. L’obiettivo è quello di utilizzare tutta l’energia del corpo fino allo stremo e fino a quando la musica non si interrompe e si sente una voce che grida: stop! Così all’improvviso ci si ferma, immobili come statue e si ascolta a occhi chiusi l’energia che scorre nel corpo e quello che succede nel nostro mondo interiore. Questo è sicuramente lo stadio più importante, dopo i primi tre che sono dinamici, nel quarto può accadere la meditazione, cioè l’incontro con il nostro sé. Di questa fase, alcuni ragazzi, nel corso di vari laboratori da noi condotti, ci hanno sempre detto che è stato il momento più bello e molti hanno condiviso, in seguito, di aver avuto “una sensazione di pace e di silenzio mai provata prima”. Quinto stadio la celebrazione. Attraverso una danza, invitiamo i ragazzi a celebrare loro stessi, il loro coraggio, la loro vita. Riguardo a questa terza separazione, oltre alle meditazioni, un altro strumento fondamentale che utilizziamo sempre è l’induzione sul cuore. Osho ha più volte parlato dello spazio del cuore come dello spazio del vuoto, della non-‐mente. Quando per la prima volta parliamo ai ragazzi del cuore, le ragazze sono felici, perché pensano che sia qualcosa che ha a che fare con un sentimentalismo romantico, mentre i maschi, di solito, snobbano la cosa pensando che sia da femminucce. Dopo alcune induzioni però, nelle quali, a occhi chiusi e guidati dalla mia voce, tutti i ragazzi contattano più volte il proprio cuore, prendono coscienza che quello spazio è semplicemente la loro casa, un posto dentro ognuno di loro dove non c’è alcun tipo di giudizio ma solo silenzio, rilassamento e accettazione di ciò che è, senza più alcun desiderio di dover cambiare. L’esperienza del contatto con il proprio cuore è, a detta di molti, la scoperta di uno spazio dentro di loro di assoluta pace e fiducia in se stessi. “Il giorno in cui conoscerai il tuo stesso se’, conoscerai il se’ di tutto il creato, perchè al centro tutto è uno. Le distanze esistono solo alla periferia.” Osho, The great path, cap. 3, 13 sept 1974
Meditazione sul cuore, San Gianni di Sestino (AR).
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CAPITOLO 5: LA SUMMA DEL LAVORO SULLE TRE SEPARAZIONI E PAURE: IL FILM “RISVEGLIO
Nel seguente capitolo ho voluto fare un’analisi critica e dettagliata di un film che nell’anno scolastico 2001-‐2002 abbiamo realizzato con la classe 3C della scuola media di Sant’Agata Feltria. Il film dal titolo “Risveglio” è la storia di Zorba e Buddha e rappresenta la summa di tutto il lavoro svolto con quella classe sulle 3 separazioni e paure presenti in ogni uomo.
( Vedi Allegato A)
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CONCLUSIONI Devo molto al lavoro sulle separazioni che ho vissuto e appreso all’interno dell’O.I.C. Questo ha costituito la base di tutto il lavoro al quale, a mia volta, ho dato vita attraverso la Scuola Interiore. Essere parte dello staff dell’O.I.C. mi ha dato, e continua a darmi, la possibilità di una più profonda conoscenza di me stessa e degli altri. Lo staff è l’anima pulsante e costante dell’O.I.C. e penso che siano state proprio le persone che lo costituiscono a darmi la forza e la fiducia di portare questo lavoro nel mondo infantile e adolescenziale. Nello staff sono cresciuta e ho approfondito ed integrato tutto il lavoro sulle separazioni che avveniva nei gruppi. Esserne parte mi ha dato la possibilità di specchiarmi in ognuno di loro, di confrontarmi e a volte di giudicarmi anche inadeguata e non sempre all’altezza di tale ruolo. Il loro amore e la loro verità però mi hanno sempre aiutata a superare queste barriere e a comprendere che io ero la sola responsabile delle mie separazioni e paure. Prendermi la responsabilità di esserne io stessa l’artefice, mi ha dato la possibilità di lasciarle andare e di riconoscere, ogni qual volta lo facevo, il mio sé autentico. All’università non ti insegnano a diventare un’insegnante, ti danno nozioni, ti danno un’istruzione puramente didattica e la stessa cosa avviene nel mondo della scuola. Nell’Osho Inipi Circle, nello staff e nella Comune ho compreso come andare oltre le mie paure e ho imparato a fidarmi di me. Riconoscendo il mio potenziale ho compreso come riconoscerlo in ogni mio alunno e ho capito che quello era l’unico modo in cui avrei voluto e potuto fare l’insegnante. Ho appreso, e tuttora continuo ad apprendere, la stupenda arte del discepolo che anela a diventare maestro di se stesso. Questa tesi è stata per me una preziosa opportunità e un meraviglioso regalo che ho fatto a me stessa. Mentre la scrivevo ho rivissuto momenti magici e indimenticabili. Ho ricordato, come Siddharta davanti al fiume, tutte le separazioni della mia vita e le ho integrate ancora più profondamente dentro di me. Il lavoro dell’O.I.C è una ricerca e una sperimentazione continua di cui ogni volta ne riscopro la bellezza e la profondità. Spesso mi dimentico del suo valore e della sua importanza e non sempre riesco a essere consapevole delle separazioni e delle paure che vivo. Metterle per iscritto mi ha permesso di averne maggiore consapevolezza e mi ha aiutato a ritrovare le chiavi che ne aprono le porte.
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RINGRAZIAMENTI
Ringrazio dal profondo del mio cuore il mio amico Arshad che mi ha insegnato a vivere la mia vita con pienezza e totalità, ad aver fiducia in me stessa e a credere sempre che i sogni, proprio come i semi, possono fiorire e diventare realtà. Grazie per avermi insegnato ad accettare me stessa così come sono, ad amarmi e a riconoscere la mia unicità. Grazie allo Staff dell’Osho Inipi Circle, la mia famiglia dell’anima, per tutte le lacrime, le risate, l’amore, le comprensioni e gli insegnamenti di vita che mi hanno donato. Grazie a Talasi, che con la sua presenza, il suo esempio, il suo coraggio e la sua luce mi ha aiutato a diventare donna e a riconoscere la mia forza e la mia bellezza. Grazie alla Osho Circle School, la mia casa, la mia maestra di vita. Grazie all’Academy of Light per avermi dato la possibiltà, attraverso questa tesi, di guardare dentro di me e di onorare il mio cammino di ricercatrice. Grazie alla Scuola Interiore, che mi ha insegnato che la vera scuola è dentro di me. Grazie a tutti i ragazzi che in questi anni hanno camminato insieme a me in questo meraviglioso viaggio, dai quali ho imparato e imparo ogni giorno, l’appassionante arte dell’insegnamento. Grazie ad Antonio, che con la sua pazienza, il suo amore e la sua dedizione mi è stato sempre vicino, si è fidato della mia follia e mi ha aiutato a realizzare il mio sogno. Grazie a Mahashakti, che con la sua amicizia mi ha aiutato a progettare e concretizzare la mia visione nella sua fase iniziale. Grazie a tutti gli insegnanti della Scuola Interiore passati e presenti, i miei amici dello staff, per il supporto, l’amore, la fiducia e i regali che hanno portato nella mia vita. Grazie ai miei genitori, che mi hanno dato la vita e mi hanno cresciuta nell’amore. Un grazie particolare al mio amato Osho, che mi guida, mi ama, mi “bastona”, costantemente, in ogni attimo della mia vita. Grazie per avermi donato una nuova vita, per aiutarmi a crescere nella consapevolezza, per avermi Amata come nessun altro essere mi aveva e mai saprà amarmi. Infine Grazie a me, Ramana, per aver detto sì e per avere ogni giorno il coraggio di percorrere il sentiero della ricerca interiore.
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NOTE
1. Sw. Jivan Arshad Moscogiuri è sannyasin dal 1987; creatore dell' Osho Inipi Circle ('96) e della Rosa dei Varchi ('98), sperimenta un lavoro di guarigione delle separazioni fondamentali, basato sulle paure fondamentali individuate da Osho. Nel 2ooo è tra i fondatori della Osho Circle School, della quale attualmente è co-‐direttore e Presidente. La sua ricerca si espande, tra ironia e sacralità, nella sintesi del patrimonio mistico e scientifico dell'uomo con la via naturale, sostenuto dalla visione del Maestro. Questo senza lasciare da parte la comprensione del nostro tempo, delle sue dinamiche sociali e della loro influenza sulla nostra psiche, sulle nostre emozioni e sul nostro spirito. Nel suo lavoro di riavvicinamento alla natura, al se' e agli altri (le separazioni fondamentali), Arshad usa, recupera ed attualizza rituali e tecniche di diverse antiche tradizioni, tra cui l'Inipi, sottolineando di essere un discepolo e non uno sciamano. Nei gruppi, particolarmente originali per forma e contenuti e di forte potere trasformativo, si alternano dinamicamente meditazioni, rituali, celebrazioni, class, elaborazioni, creatività, show, con il gioioso sostegno dello Staff dell’Osho Inipi Circle. 2. Talasi Vanessa Lombardi è co-‐fondatrice e co-‐direttrice della Osho Circle School. Da anni conduce gruppi e offre sessioni individuali, favorendo l'armonia in una sintesi orientata verso la guarigione e la luce. Nel 1991 incontra il mistico Osho di cui diventa discepola. Tra le diverse abilitazioni ed esperienze conseguite, Talasi è Insegnante e consulente Aura-‐Soma (diplomata in Inghilterra presso The Art & Science International Academy Color Technologies), Comunicazione PNL, Reiki Master, operatrice di Osho Prana Healing, e si è formata presso il centro studi Hellinger quale conduttrice di Costellazioni Sistemiche e Familiari. È fondatrice dell’Academy of Light, Awareness & Arts. È iscritta presso il registro Sicool (società italiana di counselor e operatore olistico) come Counselor con specializzazioni in: Metafisica e lavoro sull’energia, Aura-‐Soma, Costellazioni Familiari e Sistemiche, Comunicazione PNL, Armonizzazione energetica O.P.H.® e Reiki. 3. Sudhiro Michael Donovan Laureato in Lingua e Letteratura Inglese, alla Sonora State University (USA). Ha viaggiato per oltre 35 anni in tutto il mondo, condividendo le principali cerimonie native come: cerchi di guarigione, la capanna sudatoria delle quattro direzioni lakota, la cerimonia della Hamblecheyape (richiesta della visione), la cerimonia della Sacra Pipa, la Sun Dance (Danza del Sole), il Talking Stick (Bastone Parlante), la Ghost Dance (Danza del Fantasma), canti nativi, danze sacre; conduce gruppi di meditazione e la Mystic Rose. I suoi insegnanti sono tra i più conosciuti delle nazioni native nord-‐americane; per 10 anni ha vissuto accanto al maestro illuminato Osho Rajneesh, sia in India che in America. Sudhiro è anche cantante, scrittore e novellista. 4. Giacomo, Federico: per la legge sulla Privacy, tutti i nomi dei ragazzi che hanno partecipato alla Scuole Interiore in questi anni, sono inventati.
5. Tabloka: nella lingua lakota è un alce molto grande, che vive nel Nord America.