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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE INTERCULTURALE

L’impatto del

Relatrice:

Ch.ma Prof.ssa Antonella Meo

Candidato

Paolo Berretta

Matricola N. 717122

ANNO ACCADEMICO 2012/20131

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE INTERCULTURALE

TESI DI LAUREA

L’impatto del la crisi globale sugli immigrati

Antonella Meo

ANNO ACCADEMICO 2012/2013

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE INTERCULTURALE

la crisi globale sugli immigrati

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Ringraziamenti ............................................................................................................................... 3

Introduzione ................................................................................................................................... 4

Capitolo 1 ...................................................................................................................................... 7

La crisi internazionale ................................................................................................................... 7

1.1 La crisi finanziaria e gli effetti sulle economie europee........................................................... 7

1.2 La bolla immobiliare .............................................................................................................. 10

1.3 Lo scoppio della bolla e la crisi finanziaria negli USA .......................................................... 11

1.4 Gli effetti della crisi sull’Europa: il sistema finanziario ........................................................ 12

1.5 Gli effetti sulle migrazioni ..................................................................................................... 13

Capitolo 2 .................................................................................................................................... 16

L’impatto della crisi globale sugli stranieri in Italia ................................................................... 16

2.1 Nuove tipologie di migranti ................................................................................................... 16

2.2 Primi anni di crisi: condizione degli stranieri ........................................................................ 18

2.3 Italia, paese d’immigrazione .................................................................................................. 20

2.4 Immigrati e occupazione ........................................................................................................ 22

2.5 I migranti visti dai cittadini residenti in Italia ........................................................................ 24

2.6 La situazione del paese nel 2013 ............................................................................................ 25

Capitolo 3 .................................................................................................................................... 28

La crisi degli stranieri in Piemonte ............................................................................................. 28

3.1 Posizione degli stranieri ......................................................................................................... 28

3.2 Immigrazione in Piemonte ..................................................................................................... 29

3.3 I lavoratori stranieri ................................................................................................................ 31

3.4 Il disagio degli immigrati in Piemonte ................................................................................... 34

3.5 Liste di mobilità ..................................................................................................................... 34

3.6 Periodo intermedio della crisi: la crescente popolazione straniera ........................................ 35

3.7 Dati e numeri del 2011 ........................................................................................................... 39

3.8 Criticità del presente in Regione ............................................................................................ 40

Capitolo 4 .................................................................................................................................... 43

Lavoro di ricerca sul campo a Torino: l’impatto della crisi sugli stranieri visto dagli operatori dell’ Ufficio Pastorale Migranti .................................................................................................. 43

4.1 Presentazione ufficio .............................................................................................................. 43

4.2 Interviste ................................................................................................................................. 44

Considerazioni finali ................................................................................................................... 56

Bibliografia ................................................................................................................................. 59

Sitografia ..................................................................................................................................... 60

3

Ringraziamenti

Ringrazio innanzitutto la relatrice, la Ch.ma Prof.ssa Antonella Meo, per tutto il

supporto e il tempo che mi ha concesso e per avermi seguito passo dopo passo nella

stesura di questa tesi di laurea. Il suo contributo è stato molto importante per la

realizzazione di questo lavoro.

Vorrei ringraziare gli operatori dell’Ufficio Pastorale Migranti di Torino che si

sono sempre resi disponibili ad aiutarmi, in particolare gli operatori del servizio lavoro

industriale, le operatrici del lavoro domestico, le operatrici addette alle

documentazioni e pratiche per stranieri e tutti gli operatori che mi hanno ispirato per la

realizzazione della mia tesi. E' anche merito loro se amo questo campo di ricerca.

Desidero ringraziare mia madre e mia sorella per il loro sostegno morale, per

aver creduto in me in questi anni e per avermi spinto a continuare a studiare e a non

arrendermi alle avversità e ai problemi.

Ringrazio anche la mia fidanzata, tutti gli amici che mi sono sempre stati vicini

e anche quelli che mi hanno accompagnato in questo percorso di studi.

Un ultimo ringraziamento va fatto alla Regione Piemonte e all’ente EDISU che

ha permesso a me e a tantissimi altri studenti di formarsi e laurearsi. Mi auguro che

nonostante le difficoltà e i tagli ai fondi sia ancora possibile il supporto di questi enti

per le future generazioni di studenti.

4

Introduzione

Questa dissertazione è frutto di interessi e di esperienze maturati durante i miei

studi universitari. L’incontro con culture diverse e le ricadute dell’economia sugli

individui sono i due fattori che mi hanno spinto a imbattermi in questo lavoro di ricerca

bibliografica e di indagine sul campo. La grave congiuntura economica che stiamo

vivendo ha un peso notevole sulle nostre vite ed è difficile non tenerne conto. Questa

tesi si concentra su quella che è una parte della popolazione più svantaggiata, ovvero gli

immigrati. Inizialmente avrei voluto scrivere nel titolo “stranieri” anziché “immigrati”,

in quanto mi sembrava un termine meno forte e in un certo senso meno “dispregiativo”.

In realtà il mio scopo è quello di sottolineare il disagio di queste persone, lo stesso

termine “immigrati” con tutte le sue connotazioni ne è la prova. Nonostante la

definizione ufficiale di “immigrati” si riferisca a quegli individui che si stabiliscono in

un altro paese per più di un anno, l’associazione con il disagio sociale e il degrado è

quanto mai forte. In questo periodo di crisi i problemi degli stranieri sono aumentati, sia

a causa del peggioramento di condizioni preesistenti, sia per la mancata attenzione alla

tematica.

La tesi si divide in quattro parti: le prime tre riguardano un lavoro di ricerca e di

selezione di dati e materiale sull’argomento allo scopo di fornire un quadro generale

della situazione; la quarta parte riguarda un lavoro di ricerca sul campo svolto a Torino.

Il primo capitolo tratta della crisi economica in sé, riassume e sintetizza le cause e le

conseguenze del crack finanziario. Non essendo una dissertazione di taglio economico,

non ho approfondito appieno gli aspetti finanziari, ho preferito inquadrare il tema con

una prospettiva, se possibile, sociologica e ho tentato di fornire un quadro generale

comprensibile anche ai non esperti del settore. La parte conclusiva di questo capitolo

anticipa quella riguardante la situazione degli stranieri in Italia. Dopo aver esaminato in

modo molto sintetico le cause e le conseguenze della crisi, il secondo capitolo osserva,

in modo più ravvicinato, gli effetti della congiuntura economica sugli immigrati nel

corso di questi ultimi anni. Il capitolo si sviluppa in modo cronologico e analizza varie

fasi e periodi, confrontandoli tra di loro. La messa a disposizione di dati, statistiche e

studi di diversi periodi mostra il panorama italiano della crisi per gli stranieri. In questo

capitolo sono stati fondamentali i dati e gli studi forniti dall’Istat e dalla Caritas

Migrantes.

5

Nel capitolo sul Piemonte l’analisi diventa più mirata e approfondita rispetto al

capitolo sull’Italia. In questa sezione la situazione degli immigrati è anch’essa suddivisa

in diversi periodi e l’analisi si è spinta anche a livello provinciale. La parte conclusiva

mostra le ultime tendenze sul mercato del lavoro piemontese e gli sviluppi futuri.

L’ultimo capitolo riguarda una ricerca sul campo svolta nel mese di giugno 2013

all’Ufficio Pastorale Migranti di Torino. La ricerca consiste in una serie di interviste

agli operatori addetti ai servizi del lavoro e accoglienza. Il campione degli intervistati

consiste in due operatori addetti alla ricerca di lavoro nel settore industriale, due

operatrici specializzate/ dedicate al lavoro domestico, un addetto ai contratti e una

responsabile del sito e del servizio informazione-accoglienza. Le domande si sono

incentrate principalmente su impressioni iniziali circa gli effetti della crisi sugli

immigrati, la tipologia di lavoratori stranieri richiesta, i servizi e le richieste di aiuto da

parte degli utenti, la tipologia di contratti e la questione delle cosiddette false partite iva,

eventuali strategie adottate in questo periodo di crisi economica, una valutazione delle

politiche pubbliche e dei servizi offerti, le nazionalità più colpite e alcune impressioni

sugli scenari futuri per gli stranieri.

Agli intervistati è stato chiesto di prendere come riferimento pre-crisi l’anno

2007 per esporre come sia attualmente la situazione delle richieste di servizi in ufficio. I

risultati delle interviste sono particolarmente interessanti perché hanno messo in luce

diverse prospettive e impressioni degli operatori. Tutti gli intervistati sono d’accordo sul

fatto che la crisi pesi più sugli stranieri che sugli italiani. Diverse sono state le opinioni

in merito alle cittadinanze colpite: metà degli operatori non ritiene la nazionalità un

elemento di forte discriminazione in periodo di crisi, in quanto tutti gli stranieri ne sono

investiti; l’altra metà dà maggiore peso al colore della pelle e alle differenze culturali, in

particolare a quelle religiose. Tutti gli operatori concordano sul livello di conoscenza

della lingua italiana come elemento di forte discriminazione, in alcuni casi esso viene

messo al primo posto. Le interviste hanno fatto emergere anche altre tematiche come lo

sfruttamento da parte dei datori di lavoro, le false partite iva, i finti rapporti di lavoro, le

nuove iniziative di imprese e la rimessa in gioco degli stranieri. Il quadro è

prevedibilmente critico, la situazione non sembra si stia sbloccando e il futuro per gli

immigrati sembra sempre più incerto. Nel corso di questa mia dissertazione cercherò di

esporre al meglio un quadro della situazione, sperando che questo mio contributo possa

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essere utile a una maggiore comprensione di una tematica poco affrontata nel dibattito

pubblico italiano.

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Capitolo 1

La crisi internazionale

“Eventi infelici accaduti in altri paesi ci hanno insegnato da capo due semplici verità in merito alla libertà

d’un popolo democratico. La prima verità è che la libertà di una democrazia non è salda se il popolo tollera la crescita d’un potere

privato al punto che esso diventa più forte dello stesso stato democratico. Questo, in essenza, è fascismo - un governo posseduto da un individuo, un gruppo, o qualsiasi altro potere

privato capace di controllarlo. La seconda verità è che la libertà di una democrazia non è salda se il suo sistema economico non fornisce

occupazione e non produce e distribuisce beni in modo tale da sostenere un livello di vita accettabile. Entrambe le lezioni ci toccano. Oggi tra noi sta crescendo una concentrazione di potere privato senza uguali nella storia. Tale

concentrazione sta seriamente compromettendo l'efficacia dell’impresa privata come mezzo per fornire occupazione ai lavoratori e impiego al capitale, e come mezzo per assicurare una distribuzione più equa del reddito e dei guadagni tra il popolo della nazione tutta.”

Franklin Delano Roosvelt al Congresso degli Stati Uniti, 29 Aprile 19381

1.1 La crisi finanziaria e gli effetti sulle economie europee

Non possiamo parlare di stranieri e di crisi economica globale senza avere

presente cosa sia realmente la crisi e come colpisce la nostra società. È dal 2008 che i

mass media trattano quotidianamente questo fenomeno. Non si discute d’altro, tutti ne

hanno sentito parlare e in tantissimi si sentono danneggiati da essa. È sicuramente una

delle peggiori crisi della storia, è molto grave, ha radici profonde e probabilmente

durerà a lungo. Questo capitolo non tratterà l’argomento in modo approfondito, tenterà

piuttosto di inquadrare il fenomeno spiegando le principali cause e origini, servendosi

degli studi o ricerche di alcuni esperti in materia.

È molto difficile ricordare lunghi periodi storici in cui non si parlasse di crisi

economica, debiti pubblici, calo dei consumi, crisi politiche e disagi sociali. Diversi

avvenimenti storici hanno colpito le economie mondiali e nazionali. Pensiamo in

particolare alla crisi petrolifera del 1973 o alle conseguenze delle guerre del Golfo. Tali

eventi sicuramente incidono sul ciclo economico, con effetti di espansione o di

recessione, per un periodo più o meno lungo. Il grosso problema della crisi attuale,

iniziata nel 2008 (con i primi segni negli USA già nel 2007) è che purtroppo gli

elementi che le hanno dato origine sono ben più di uno: bolla immobiliare, titoli tossici,

1 Gallino, L.[2009] , Con i soldi degli altri: il capitalismo per procura contro l’economia, Trento, Einaudi.

8

debito statunitense, hedge fund troppo speculativi e ad altri fattori. Francesco Carlucci

(2010) ritiene in un suo studio sulla crisi finanziaria che i fattori siano principalmente

quattro:

• la smodata avidità dei finanzieri negli USA e nel Regno Unito, • l’abitudine ad indebitarsi massicciamente nel mondo anglosassone, • l’eccessiva liquidità esistente in Europa, Giappone e Cina, • la bolla immobiliare negli USA e in alcuni Paesi europei.

Per quanto possa sembrare marginale, ci sembra tuttavia interessante qui

ricordare che le remunerazioni dei dirigenti e dei funzionari delle aziende di credito o

società finanziarie negli USA e in altri paesi occidentali sono calcolati sugli attivi

prodotti dalle società stesse: maggiori sono i guadagni di queste e maggiori sono i

compensi di base e, soprattutto, i premi di produttività (bonus) di fine anno.

Sfortunatamente, però, i maggiori guadagni per le aziende sono facilmente ottenuti

accettando di correre rischi sempre maggiori con conseguenti successive perdite. Così

l’insaziabile avidità dei manager di queste aziende, nonché dei loro azionisti, le ha

portate ad un livello di rischio insostenibile e quindi al proprio fallimento, con

conseguenze economico-finanziarie catastrofiche sul mondo industrializzato [Carlucci

2010].

Per dare un’idea del fenomeno, ricordiamo che negli anni 2007 e 2008 la

remunerazione di un dirigente di una grande società di credito americana andava dai 10

ai 50 milioni di dollari l’anno,secondo i livelli di dirigenza di dollari ciascuno,

riferendosi la cifra minore ai top [Ibidem].

Nell’anno 2007, le cinque più grandi banche d’investimento avevano distribuito

ai propri dipendenti premi di produttività per oltre 38 miliardi di dollari. Il processo che

ha portato gli istituti di credito ad assumere rischi sempre maggiori è iniziato negli anni

ottanta e si è consolidato nei novanta, con l’emissione negli USA di una gran quantità di

titoli garantiti da mutui con ipoteca su immobili. Già allora le garanzie non erano solide

e buona parte dei prestiti non era stata ripagata, con il conseguente fallimento di più di

1500 casse di risparmio negli USA e alla ideazione di un modo diverso di prestar denaro

con immobili in garanzia: invece di tenere i titoli in bilancio, il nuovo metodo, utilizzato

9

specialmente dalle banche d’investimento, prevedeva che i titoli fossero innanzitutto

emessi da società collaterali non regolamentate come le banche, appositamente create.

Queste società “ veicolo” li vendevano successivamente agli investitori, persone

fisiche o altri istituti di credito nel mondo intero. Era la cosiddetta “cartolarizzazione”

dei mutui. Diventava così addirittura molto conveniente concedere prestiti garantiti da

immobili. Questi titoli venivano dagli istituti di credito “impacchettati” e venduti come

titoli “strutturati” ai risparmiatori di tutto il mondo. I risparmiatori li compravano

volentieri perché davano rendimenti molto alti. Ma il rischio dei mutui veniva così

trasferito sui risparmiatori stessi. La convenienza era quindi per le banche molto alta, in

quanto il grosso del rischio ricadeva sui risparmiatori. Inoltre le banche incassavano le

commissioni sia da chi accendeva il mutuo che dal risparmiatore che acquistava questo

nuovo titolo. Ma gli istituti di credito e i loro dirigenti erano insaziabili. Avendo

escogitato il modo di non assumersi forti rischi e volendo ampliare la quantità di titoli

da smerciare, davano prestiti anche a chi poteva offrire garanzie soltanto scarse o

addirittura nulle. Erano arrivati al punto di non richiedere documentazione scritta

relativa a uno stipendio o ad altre fonti di reddito dei mutuatari ma di fidarsi delle loro

dichiarazioni orali. I mutuatari, ovviamente, erano portati alla menzogna, per cui

nell’ambiente del credito i prestiti così dati venivano chiamati liar loans, prestiti dei

bugiardi. E’ evidente però che gli investitori preferivano titoli a basso rischio. Allora le

banche ne crearono nuovi tipi. Erano dei titolo formati da più elementi, da misture

(impacchettamenti) di titoli diversi ,alcuni più rischiosi ed altri più affidabili secondo le

agenzie di rating. I titoli di questo tipo più diffusi erano i collaterized debt obligations o

CDO, misture di prestiti concessi per l’acquisto d’immobili, o finanziamenti personali,

nonché acquisti di autovetture o altri tipi di acquisto, fino a coprire anche quelli fatti

con le carte di credito.

Per aumentare ancora i propri guadagni denaro agli istitutivi di credito crearono

ancora altri titoli, mischiando titoli diversi e CDO diversi, sempre più rischiosi e

prendendo a loro volta a prestito denaro da utilizzare per tali vere e proprie

speculazioni. Molte di esse s’indebitarono per importi fino a 20 volte il proprio capitale.

Furono le premesse del crollo del sistema finanziario.

“Va comunque qui sottolineato il ruolo fondamentale della deregolamentazione del sistema finanziario voluta nel mondo occidentale già negli anni ottanta e sostenuta già dalla

10

Tatcher in Gran Bretagna e poi negli USA ,fino alle politiche finanziarie della stessa amministrazione Clinton. La deregolamentazione ha consentito il proliferare di innovazioni finanziarie sempre più sofisticate e opache che avrebbero in teoria dovuto distribuire e minimizzare il rischio, ma che in realtà hanno comportato la sempre maggiore divaricazione tra la presa di rischio e il rendimento atteso degli investimenti finanziari. Questo ha indotto gli investitori, a tutti i livelli, ad assumere (a volte senza esserne pienamente consapevoli) comportamenti speculativi, e ad aumentare in maniera eccessiva il rapporto tra indebitamento e fondi propri. Con un esempio chiariamo il punto. Supponiamo che un istituto di credito effettui un’operazione di prestito immobiliare di 10 milioni di dollari. Un milione è capitale suo (dei depositanti) e nove li prende in prestito, con un leverage2, quindi di 10.A fronte di questo prestito si affretta a emettere titoli per 12 milioni, con un ricavo di 2milioni di dollari. Tutto funziona bene, con grandi guadagni, finché gli immobili continuano a valere 10 milioni o aumentano di valore. Se qualche mutuatario diventa insolvente, l’istituto di credito si riprende l’immobile, lo pone sul mercato, lo vende e ritorna in possesso della cifra prestata. Non sembra che ci siano difficoltà. Ma se invece gli immobili perdono valore iniziano i problemi. Supponiamo che il mercato immobiliare sia in discesa anche soltanto del 4% annuo e che il numero dei mutuatari insolventi sia pari al 30%, la perdita nell’operazione comincia ad essere significativa: 120000 dollari. La cifra di per sé è in realtà trascurabile per un grande istituto di credito, ma se operazioni di questo genere costituiscono anche soltanto il 10% degli attivi indicati, la loro perdita complessiva diventa stratosferica: tra i 1060 e i 1182 miliardi di dollari USA. Tale perdita avrebbe potuto cancellare il capitale di tutti gli istituti di credito USA e britannici; in alternativa parte dei debiti da loro contratti non sarebbero stati onorati, oppure ancora non sarebbero stati rimborsati interamente i titoli venduti nel mondo” [Saraceno 2012]3

1.2 La bolla immobiliare

Gli analisti finanziari ritenevano fosse improbabile che il valore del “mattone”

smettesse di crescere e anche che molti mutuatari diventassero insolventi. Nel freddo

calcolo finanziario basato su modelli matematici, ciò non era contemplato.

Solo pochissimi economisti e studiosi del sistema finanziario in quegli anni

osavano esprimere opinioni diverse,come Rajan , White e Roubini. Ma non fu tenuto

conto della loro opinione. Dopo l’avidità dei finanzieri, entrava in scena un altro

fenomeno: la bolla immobiliare. Una bolla riguarda generalmente una merce alla quale

viene attribuito un valore di scambio che non corrisponde a quello reale, effettivamente

realizzabile, ovvero un valore per così dire “gonfiato” in base ad aspettative del tutto

teoriche. Nel caso in specie s’intende il valore degli immobili garantiti dai titoli emessi

dagli istituti di credito per le loro speculazioni finanziarie. Il fenomeno segue un

andamento sempre similare: gli investitori ritengono che il prezzo della merce in

considerazione non possa che aumentare e la comprano nella certezza di poterla

2 Leverage è il rapporto tra l’indebitamento e i mezzi propri. 3Articolo reperibile in: https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/le-cause-di-fondo-della-crisi-economica-diseguaglianze-e-squilibri-globali .

11

successivamente rivendere ad un prezzo maggiorato, con un lauto guadagno [Carlucci

2010].

Spesso si indebitano per questo acquisto e lo fanno facilmente perché anche

nelle aziende di credito si ritiene che il valore monetario della merce sia in continua

ascesa. Ad un certo punto, però, l’offerta della merce supera la domanda e il prezzo

comincia a calare; molti investitori si affrettano allora a vendere, nessuno compera più e

il prezzo crolla. Si noti che allora gli investitori che vendono contemporaneamente sono

molti, in un attacco generalizzato di panico. Nonostante questo andamento si ripeta con

costanza, ogni volta gli investitori ritengono che “questa volta sia differente” e

procedono imperterriti finché la bolla non scoppia. E’ successo anche per gli immobili,

il cui prezzo è cresciuto a ritmi elevati e continui dagli anni novanta dello scorso secolo

sia negli USA che nel Regno Unito [Ibidem].

La deregulation finanziaria nei principali paesi occidentali aveva ovviamente

avvantaggiato,oltre che l’alta dirigenza, la popolazione più ricca – che poteva disporre

di mezzi per fare speculazioni con le banche e le società finanziarie – creando ulteriori

diseguaglianze economiche e sociali. Mentre s’incoraggiava l’indebitamento delle

famiglie, favorendo il credito”selvaggio”, negli USA si smantellava il vecchio sistema

finanziario che fino ad allora aveva garantito la separazione delle banche commerciali

dagli istituti di investimento, abolendo il Glass-Steagall Act.

1.3 Lo scoppio della bolla e la crisi finanziaria negli USA

La bolla immobiliare era stata anche favorita da tassi di interesse molto bassi,

ma a seguito dell’intervento dell’Autorità bancaria americana, il tasso d’interesse negli

USA, cominciò ad aumentare fino a raggiungere oltre il 5%. Molti che erano stati

incoraggiati a sottoscrivere un mutuo per l’acquisto d’immobili si trovarono

nell’impossibilità di pagare gli interessi che ora gli venivano richiesti e divennero

insolventi. Le banche sequestrarono le case e le rimisero sul mercato. Ma le nuove

condizioni del mercato, ovvero: l’aumento dell’offerta in mancanza di un aumento

della domanda, causò il crollo dei prezzi, con conseguente vendita delle case a valore

enormemente inferiore a quello del prestito concesso. Molti immobili rimasero

invenduti.

Ovviamente tutto ciò fu anche la causa del precipitare “ a picco”del valore dei

titoli emessi. Nonostante fossero loro stessi responsabili di tali disastri, gli Istituti di

12

credito più importanti furono aiutati dal Governo americano o con “iniezione” di fondi o

con acquisto massiccio di partecipazioni negli istituti stessi o con nazionalizzazioni vere

e proprie. Solo alcune banche (vedi Lehman Brothers) furono lasciate fallire.

Inoltre,siccome molte banche commerciali avevano acquistato e detenevano in

portafoglio i cosiddetti “titoli tossici” che oramai non valevano più niente, la crisi

finanziaria si diffuse nell’economia reale. Infatti tali Banche non disponevano più della

liquidità o dell’attivo necessario per potere espletare la propria funzione di prestare

denaro ai privati e alle imprese. Nonostante l’intervento massiccio del Governo

americano tutto il sistema crollò con grave sofferenza anche del consumo da parte delle

famiglie che fino ad allora avevano potuto contare su credito facile e a basso costo.

Conseguentemente la crisi del sistema economico finanziario, riducendo di colpo anche

i finanziamenti alle imprese,cominciò a produrre un alto tasso di disoccupazione

[Carlucci 2010].

1.4 Gli effetti della crisi sull’Europa: il sistema finanziario

Il crollo della borsa di New York contagiò ben presto quelle europee. Inoltre

molti istituti di credito e d’investimento europeo avevano finanziato quelli americani

proprio con l’acquisto di quei “titoli tossici”. Anche in Europa la conseguenza fu una

forte contrazione del credito sia alla produzione che al consumo, non avendo più le

banche disponibilità di denaro da investire.

Pur se in Europa le famiglie erano meno indebitate degli americani per il credito

al consumo, la conseguenza fu una contrazione dei consumi stessi, effetto immediato

della diminuzione della ricchezza (molti risparmiatori avevano comprato a loro volta

dalle banche i titoli tossici). Le imprese videro anche ridursi le possibilità di credito per

l’effettiva riduzione di disponibilità liquida delle stesse Banche.

Meno soldi da investire significa minor produzione, con conseguente

contrazione del mercato e aumento della disoccupazione. I governi europei e la BCE

intervennero con provvedimenti differenziati secondo le diverse situazioni economiche

interne. Tra gli interventi operati a tutela dei risparmiatori, si ricorda la garanzia dei

conti correnti bancari mediamente innalzata fino ai 100.000 euro.

In conseguenza della crisi finanziaria (a cui si devono aggiungere le difficoltà

di una Europa alla ricerca di una propria identità sovranazionale non solamente

monetaria che favorisca una vera unione nelle scelte politico-economiche) alcuni Paesi

13

Europei hanno dovuto chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale per miliardi di

dollari.

Un fondo europeo (440 miliardi di euro) è stato istituito per aiutare i Paesi UE

economicamente più deboli (vedi Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo). Ciò è avvenuto

anche nel nostro Paese. In data 19 maggio 2013 tutti telegiornali italiani segnalavano i

dati della distribuzione della ricchezza. Ebbene: risulta che attualmente il 47% della

ricchezza dell’Italia è in mano a solo il 10% della popolazione [Franco 2013]4

Il sistema finanziario economico su cui si basa la nostra società occidentale non

appare più adatto a sostenerne uno sviluppo etico. Esso sembra funzionale solo a se

stesso. Purtroppo questo significa anche che, impoverendosi, può non essere più in

grado di garantire ai cittadini servizi essenziali, addirittura elementari come il diritto alla

salute e all’educazione, a meno di invertire la rotta.

È interessante notare in conclusione come a sua volta la crisi abbia aggravato le diseguaglianze, ponendo così le basi per un ulteriore indebolimento del quadro economico complessivo. Se questa analisi è corretta, ne deriva che per ritornare ad una crescita più bilanciata, a livello nazionale e su scala globale, bisogna invertire la tendenza degli ultimi tre decenni, e iniziare a ridurre le diseguaglianze. Ciò può realizzarsi agendo su più fronti: in primo luogo, bisognerebbe tornare a sistemi di tassazione più progressivi. In secondo luogo, a livello europeo, occorrerebbe un reale coordinamento delle politiche di tassazione, volto ad evitare la concorrenza fiscale e il dumping sociale, che sovente prendono la forma di forti riduzioni d’imposta sui redditi elevati e da capitale. Dal lato delle entrate, occorrerebbe tornare a sviluppare il ruolo assicurativo dello stato sociale, con particolare attenzione agli ammortizzatori sociali. Infine, sarebbe auspicabile una rinnovata attenzione all’offerta di beni pubblici, in particolare quelli immateriali, come l’istruzione e la sanità. Nel loro insieme, queste misure ridurrebbero sia le diseguaglianze di reddito sia quelle nel consumo, stabilizzando il ciclo economico e consentendo una crescita forse meno elevata, ma certamente più sostenibile ed equa [Saraceno 2012].

1.5 Gli effetti sulle migrazioni

Per quanto sia certo che la crisi che stiamo vivendo influisce e influirà ancora

sulla vita di popolazioni intere e quindi anche sulle scelte migratorie, l’effetto non è

automatico né indifferenziato. I flussi migratori si diversificano secondo il paese di

origine, il paese di destinazione, l’età e la condizione dello stesso straniero, nonché

secondo le prospettive di accoglienza nel paese di destinazione o le paure di un futuro

ancora peggiore nel paese di origine.

4 Articolo reperibile in :http://risparmio.supermoney.eu/news/2013/05/italia-quasi-meta-della-ricchezza-nazionale-in-mano-al-10-dei-cittadini-0016968.html#.

14

Ancora diversa la posizione di chi si trova già a vivere da “migrante” e deve

comprendere se può rimanere nel Paese che lo ospita o è meglio andare o altrove, o

ancora, se è fatalmente inevitabile il ritorno al Paese d’origine.

Potremmo pensare che nella maggioranza dei casi per un immigrato vivere in un

Paese occidentale in crisi finanziaria può essere ancora, nonostante tutto, preferibile al

ritorno ad una vita senza alcuna prospettiva di futuro, anche per le conseguenze che la

crisi stessa può avere avuto anche sul Paese d’origine. Anche in questo caso le

situazioni possono essere molto diverse e i dati non facilmente riscontrabili. Altra

variabile è poi la politica degli stati di accoglienza e della situazione sociale presente

[Mottura 2010].

Nel timore di reazioni accentuate dalla crisi economica alcuni Paesi potrebbero

anche scegliere di chiudere le frontiere - favorendo ingressi clandestini o rallentare le

politiche di integrazione anti-straniero. In un periodo di crisi potrebbero intensificarsi

comportamenti xenofobi, come recenti episodi purtroppo evidenziano proprio in Italia.

È quindi evidente che gli effetti della crisi sull’arrivo o la permanenza

d’immigrati in un Paese non può prescindere dal livello di integrazione degli stessi nel

Paese di accoglienza. Quanto maggiore è l’integrazione, tanto minore sarà l’effetto

discriminante con gli autoctoni. Ruolo fondamentale rivestono, allora, sia il livello di

occupazione, che le possibilità abitative. Di fondamentale importanza sono poi la

qualità del Welfare e le scelte operative del governo del Paese stesso di fronte alla crisi.

Studi della Caritas 5 segnalano all’inizio del manifestarsi dei riflessi occupazionali della

crisi una sostanziale stabilità dell’occupazione straniera.

Ciò nonostante resta la convinzione che gli immigrati debbano essere i primi a

risentire della crisi in quanto soggetti più deboli rispetto ad altre categorie e quindi

“predestinati” a subirla maggiormente. Ci sono comunque delle differenze dovute oltre

che all’età anche alla durata della permanenza in Italia,nonché alla presenza o meno

della famiglia, dell’essere monoreddito o meno, della collocazione abitativa,

dell’occupazione in uno o in altro tipo di impresa, della residenza in regione più o meno

colpita, dell’essere o meno iscritto a un sindacato. Anche la tipologia d’impresa

(piccola, grande, media) è importante perché il suo accesso al credito può fare la

differenza sulla produzione e quindi sulla domanda di lavoro. Alcune tipologie di lavoro

potrebbero poi maggiormente risentire della crisi, ad esempio l’assistenza familiare: si

5 Dossier Statistico 2009

15

segnalano in questo campo già molte sostituzioni delle lavoratrici straniere con familiari

disoccupati o in cassa integrazione [Mottura 2010].

Fondamentali sono anche le tecniche di resistenza, ovvero la capacità di

elaborare delle vere e proprie strategie per far fronte alla nuova situazione, la presenza

o meno sul territorio di altri appartenenti alla propria nazionalità, la solidarietà esistente

con il “gruppo” e nel territorio, ecc. Infatti, nonostante la formale diminuzione delle

richieste di manodopera straniera, anche se rallentato, i flussi migratori sono continuati;

per quanto finora detto è chiaro che non si può generalizzare. In Europa la contrazione

della domanda di lavoro è apparsa inferiore a quella che ci si sarebbe aspettato [Ibidem].

Purtroppo i dati disponibili sono ancora insufficienti per essere interpretati

correttamente; tuttavia appare assai improbabile, allo stato attuale, il rientro in massa

degli immigrati nei paesi di origine, come pronosticavano molti “media”. Tale ipotesi

potrebbe forse riguardare gli immigrati “provvisori”, ma non quelli giunti in Italia per

costruire un futuro diverso per sé e la propria famiglia.

Il discorso torna quindi sulle politiche d’integrazione messa in atto dallo Stato e

sulle condizioni di soggiorno e lavoro. Purtroppo a seguito dei tagli imposti dalla

congiuntura economica e dai vincoli di bilancio imposti dall’UE è stato colpito in

Italia proprio quel sistema di welfare che avrebbe dovuto in questo momento di grave

crisi sostenere i bisogni e i diritti degli stranieri e degli stessi italiani.

16

Capitolo 2

L’impatto della crisi globale sugli stranieri in Italia

2.1 Nuove tipologie di migranti

In circa vent’anni l’Italia è passata da paese di emigrazione a paese

d’immigrazione. È stata una sorpresa sia per le istituzioni, sia per gli attori politici che

hanno dovuto gestire il fenomeno con scarsa preparazione, incidendo così pesantemente

sulla ricezione degli stranieri. L’Italia è diventata negli anni meta d’ingenti flussi

migratori che, per quanto demonizzati, sono un indice di crescita e di sviluppo del

paese. In genere gli immigrati sono occupati in aziende mediamente piccole, svolgono

mansioni lavorative tendenzialmente di base. Non sembra che la loro presenza sul

nostro territorio influisca sull’occupazione degli autoctoni e nemmeno sugli stipendi

degli italiani. Essi rispondono a un’esigenza di flessibilità lavorativa, svolgono lavori

con contratti spesso a tempo parziale, determinato o interinale che difficilmente

garantiscono stabilità. Hanno un peso notevole sulla nostra economia in termini positivi,

tanto che molti prodotti italiani sono marchiati “made in Italy”, anche se sono fabbricati

da lavoratori non italiani. Il fabbisogno di lavoratori stranieri permette l’abbassamento

dei costi di produzione, quindi le aziende non sono costrette a delocalizzare le fabbriche

all’estero, mantenendo così anche i lavoratori italiani. Come è noto, svolgono lavori

sottopagati e squalificanti, lavori che difficilmente un italiano accetterebbe in quelle

condizioni [Ambrosini 2011].

Sono diversi i motivi per cui in Italia è necessaria la presenza di lavoratori

immigrati. Essi sono sempre più indispensabili per il buon funzionamento di molte

aziende. Tra i settori più influenzati dalla presenza e bisognosi di manodopera straniera,

abbiamo il settore edile, i servizi turistici e alberghieri, la raccolta di prodotti agricoli.

Questi settori hanno la particolarità di impiegare generalmente lavoratori part time e

stagionali, sono anche i settori dove vi è la maggior presenza del mercato sommerso.

Nel settore industriale le imprese che più adoperano gli stranieri sono le più varie

(tessile e abbigliamento; calzature e pelletteria, legno e mobile ceramiche, ecc.). Per la

maggior parte di questi lavoratori già prima del 2008 queste industrie richiedevano

17

operai disposti a lavorare in condizioni proibitive e rischiose. Per quanto riguarda il

settore terziario gli stranieri sono principalmente occupati in imprese di pulizia e

disinfestazione, nei ristoranti, nello spostamento merci. Lavorano come giardinieri,

come sorveglianti e in molte altre attività a bassa specializzazione, ma comunque

fondamentali per tutti i cittadini. Non dimentichiamo che la maggior parte delle donne

straniere è impiegata in lavori di tipo domestico e di cura della persona, in particolare

anziani. Quest’ultima professione va a colmare le carenze del welfare italiano che non

fornisce adeguatamente servizi d’assistenza a domicilio alle persone di età avanzata. In

passato le donne non lavoravano e l’aspettativa di vita era molto inferiore rispetto ad

oggi; le famiglie riuscivano a provvedere autonomamente alla cura dei propri familiari

non più giovani.

L’Italia presenta inoltre una forte disomogeneità occupazionale, alcune delle sue

regioni hanno tassi di disoccupazione fra i più alti dell’Unione Europea. Il quadro

generale può sembrare paradossale: in alcune parti del paese si presentano situazioni di

piena occupazione, in altre scarseggiano i lavoratori di determinati settori. Prima

dell’arrivo di migranti internazionali, la carenza di determinate categorie di lavoratori

nelle aree avanzate del nord Italia veniva colmata dai connazionali, in genere originari

del sud Italia. Le scarse opportunità di carriera, l’aumento del costo della vita, il

miglioramento della formazione scolastica dei giovani italiani e molti altri fattori, hanno

reso meno appetibile lo spostamento interno al paese; il lavoro di operaio in particolare

o simile è poco allettante, se consideriamo la scarsa possibilità di carriera, il salario

relativamente basso e la scarsa qualità di vita, tutti fattori che pesano su questa scelta

lavorativa [Ambrosini 2011].

Riassumendo, possiamo affermare che in Italia, nelle regioni settentrionali, la

disoccupazione era abbastanza tollerabile per gli autoctoni prima della crisi; la famiglia

forniva ai disoccupati, prevalentemente ai giovani, un sostegno e la possibilità di

rimandare l’inizio della carriera lavorativa, nella speranza di trovare un impiego più

idoneo alle proprie competenze. Infatti molte occupazioni disponibili non erano in linea

con le loro aspirazioni e la loro formazione.

L’economia italiana necessitava di lavoratori stranieri. La continua concorrenza,

l’aumento dei costi, imponevano alle medie e piccole dei tagli sugli stipendi dei

dipendenti, tagli e condizioni lavorative che un italiano non avrebbe accettato, ma un

immigrato straniero sì.

18

I lavoratori stranieri, la loro posizione nella società e nell’economia sommersa

ci mostrano un quadro italiano colmo di incoerenze e di disorganizzazione su tutti i

fronti. Lo Stato non garantisce ai giovani un lavoro in linea con il proprio titolo di

studio, non fornisce la necessaria assistenza agli anziani, la disoccupazione si concentra

nelle aree arretrate del paese e il raggiungimento di un futuro dignitoso sembra sempre

di più un’utopia, piuttosto che un obbiettivo. Il settore delle costruzioni e l’agricoltura

fanno grande uso di forme di sfruttamento esponendo duramente i lavoratori; ma anche

nel settore domestico assistiamo a violazioni di norme contrattuali e alla riduzione in

semi-schiavitù di lavoratrici che non possono permettersi di scegliere. Fortunatamente

c’è la possibilità di migliorare la propria stabilità economica e lavorativa, ma

osservando i settori e i comparti in cui lavorano gli immigrati è difficile dar loro

speranze. Secondo dati Istat del 2009 soltanto il 10,1% degli stranieri lavoratori è

impiegato in mansioni e lavori di fascia medio - alta. Le difficoltà legate al

riconoscimento dei titoli di studio impedisce ai diplomati e laureati stranieri di accedere

ad un impiego consono ai loro studi.

Infatti il 54,1% degli stranieri occupati nel 2009 possedeva un diploma o una

laurea, ma il 73,4% di loro svolgeva un lavoro da operaio o non qualificato contro il

32,9% degli Italiani che, pur superando di non molto in percentuale i diplomati e i

laureati stranieri (62,3%), staccano notevolmente gli immigrati quando si parla di

occupazione idonea al titolo di studio.

Dati di questo tipo dovrebbero farci riflettere sullo scarso sfruttamento dei “cervelli

stranieri” che potrebbero essere veramente una risorsa preziosa per il nostro paese.

Purtroppo le competenze degli stessi italiani non vengono sfruttate adeguatamente, a

dimostrazione della scarsa propensione all’investimento nei giovani studiosi [Ambrosini

2011].

Queste prime informazioni relative ai primi anni della crisi introducono il prossimo

paragrafo dedicato a primi anni della crisi in Italia per gli stranieri.

2.2 Primi anni di crisi: condizione degli stranieri

Abbiamo accennato prima alcuni dati del 2009 sulla condizione degli stranieri.

Può essere utile per una migliore analisi della situazione, partire dai primi anni della

crisi e osservare come il suo impatto sugli stranieri in Italia sia aumentato nel corso

degli anni.

19

Secondo un’elaborazione Istat, nel 20096 4 milioni e 235 dei residenti erano

stranieri, una cifra che si aggira intorno ad un 7% della popolazione. La meta principale

delle famiglie straniere era il Nord-Ovest che raggiungeva quota 32,9%, seguito dal

centro (27,3%) e dal Nord-Est (24,3%). Mediamente sono molto più giovani: l’età

media degli italiani é di 43 anni, contro quella dei non autoctoni che é di solo 30 [Istat

2009].

La composizione media di una famiglia straniera si aggira attorno al 2,44

membri, molto vicina al numero di membri delle famiglie italiane (2,38), però le

persone sole straniere sono percentualmente molte di più (35,5%) rispetto agli italiani

(30,9%). Il 58,7 per cento dei nuclei famigliari stranieri affitta o subaffitta appartamenti,

mentre solo il 16% degli italiani vive in affitto. È facile dedurre che la quota più

consistente di sfratti riguardi i cittadini stranieri. Confrontati con gli autoctoni, gli

immigrati hanno maggiori difficoltà nella ricerca e nel mantenimento economico di

un’abitazione, ripiegano spesso su case e appartamenti in zone più popolari, non

necessariamente a miglior prezzo. Infatti nonostante alcuni possano permettersi un

appartamento pari a quello del ceto medio, difficilmente i proprietari accettano di dar

loro in affitto l’alloggio, in particolare se si tratta di africani. Non sempre riescono ad

ottenere un affitto vantaggioso e comunque si tende a preferire inquilini italiani.

Nonostante le evidenti problematiche abitative, gli stranieri lamentano meno

problemi relativi al luogo di residenza; l’inquinamento delle città è fonte di lamentela

solo per il 12,3% degli stranieri contro il 21,1% degli italiani. Questi dati dimostrano

che i primi non si aspettano dei grandi miglioramenti delle loro condizioni, preferiscono

accontentarsi di quello che trovano nel paese ospitante che sembra offrire migliori

condizioni del paese natale.

Rispetto agli italiani, gli stranieri tendono a possedere beni materiali di durata

più breve. Per quanto riguarda gli elettrodomestici di largo consumo, come il

frigorifero, la televisione, il telefono e la lavatrice, il 90% delle famiglie ne è in

possesso. Se invece si parla di autovetture ad uso personale, solo il 61,2% degli stranieri

dichiara di possederne una, contro il 78,9% degli italiani. Circa un terzo degli stranieri è

in condizione di privazione materiale. La differenza tra Italiani e stranieri è piuttosto

evidente. Infatti solo il 13,9% delle famiglie italiane era materialmente privata. Le

condizioni cambiano molto da Nord a Sud, nel meridione la situazione è più critica sia

6 In questo paragrafo dati e commenti sono stati presi e rielaborati dal paper Istat famiglie con stranieri 2009 allo scopo di fornire un quadro generale

20

per gli autoctoni che per gli stranieri, per ragione legate all’arretramento economico e ai

forti disagi sociali di questa parte del paese. Il 23,4% delle famiglie d’immigrati ha

dovuto almeno una volta nell’ultimo anno, posticipare il pagamento di una bolletta. Un

dato alquanto preoccupante se confrontato con l’8,3% degli italiani. Oltre una famiglia

straniera su quattro non ha pagato in tempo l’affitto di un alloggio (1 su 10 dieci quelle

italiane). Gli immigrati hanno maggiori difficoltà ad acquistare beni secondari e a volte

anche primari, come vestiti e prodotti di consumo. Oltre il 64,9% non riesce a far fronte

a pagamenti d’importo pari a 750 euro, contro il 31,4% degli italiani. Per far fronte ai

disagi economici gli stranieri fanno affidamento ad una rete di conoscenze e amicizie tra

connazionali, si supportano tra di loro e condividono insieme il disagio migratorio. Le

famiglie italiane tendono a cercare più un sostegno nella rete familiare, in particolare

chiedendo aiuto a genitori o suoceri. Questo è quanto emergerebbe secondo dati Istat del

2009, il quadro è molto generale, ma ci aiuta a capire quanto le condizioni preesistenti

alla crisi abbiamo avuto peso sugli stranieri. Questi disagi e svantaggi saranno

accentuati durante negli anni successivi, a dimostrazione che sono i più vulnerabili a

pagare i costi dei disastri economici [Istat 2009].

2.3 Italia, paese d’immigrazione

Una delle migliori fonti dei dati sugli stranieri sono i centri Caritas e i loro

registri e dossier. Il dossier titolo del 2012, come pure i dossier precedenti, è piuttosto

voluminoso e ricco di informazioni e dati. Ho scelto, per ragioni di sintesi, di riassumere

alcuni punti del dossier coerenti con questo capitolo con lo scopo di concludere e

confrontare brevemente inizio e sviluppo della crisi per gli stranieri in Italia7. Il rapporto

tiene conto dei dati disponibili del 20118 e riguarda gli immigrati regolari e quelli non

ancora iscritti all’anagrafe. Si stima che nel corso del 2011 i nuovi residenti stranieri

abbiano superato i 5 milioni, una cifra che non si allontana molto dall’anno precedente

(5.011.000 rispetto a 4.968.000). Nel 2011 sono stati rilasciati dallo Stato Italiano

231.750 visti per motivi familiari e lavorativi ma 263.000 permessi di soggiorno che

nell’anno precedente risultavano validi, non sono stati rinnovati. Sono stati registrati dal

Ministero dell’Interno 3.637.724 permessi di soggiorno, rispetto all’anno precedente

sono aumentati del 2,9% (erano 3.536.062 nel 2010). 7 In questo paragrafo I dati e riferimenti statistici sono stati presi e rielaborati esclusivamente dal dossier statistico immigrazione22° rapporto 2012 Caritas e Migrantes 8 In alcune parti del testo ho preferito riportare citazioni del dossier anziché rielaborarle poiché contenevano essenzialmente dati e cifra oggettive.

21

Per quanto riguarda gli stranieri facenti parte dell’ Unione Europea: “Il numero

stimato dei comunitari (1.373.000, per l’87% provenienti dai nuovi 12 Stati membri) è

stato ottenuto applicando ai residenti a fine 2010 lo stesso tasso d’aumento riscontrato

tra i soggiornanti non comunitari nel 2011. Le principali collettività sono risultate:

Romania (997.000), Polonia (112.000,) Bulgaria (53.000), Germania (44.000), Francia

(34.000), Gran Bretagna (30.000), Spagna (20.000) e Paesi Bassi (9.000) Il continente

che registra più presenze sul suolo italiano è l’Europa: 27,4 degli europei residenti sono

comunitari, gli extra-comunitari invece sono 23,4%. Al secondo posto troviamo l’Africa

che rappresenta il 22,1% degli stranieri, l’Asia che ne rappresenta il 18%, l’America che

conta l’8,3% e infine troviamo l’Oceania e gli apolidi che costituiscono meno dello

0,1%. Andando più nello specifico osserviamo che tra gli immigrati europei extra-

comunitari che contano 1.171.163 presenze: gli albanesi sono al primo posto (491.495).

Seguono ucraini (223.782); moldavi (147.519); serbi e montenegrini (101.554);

macedoni (82.209); russi (37.090); tra i 20mila e i 30mila ciascuno, i bosniaci, i croati e

i turchi [Caritas 2012]. Riguardo ai residenti originari dell’Africa alla fine del 2011 i marocchini sono al

primo posto, con 506.369 residenti. Seguono Tunisia (122.595), Egitto (117.145),

Senegal (87.311), Nigeria (57.011), Ghana (51.924); Algeria (28.081) e Costa d’Avorio

(24.235). Con circa 15mila unità, Burkina Faso e, con circa 10mila, Camerun, Eritrea,

Etiopia, Mauritius e Somalia. In tutto gli africani sono 1.105.826. Il dossier conclude le

statistiche degli stranieri con gli asiatici e gli americani: i primi nel 2011 superavano il

18% degli stranieri e totalizzavano 924.443 residenti. “In particolare, l’Italia è lo Stato

membro che nell’UE accoglie le collettività più numerose di cinesi (277.570

soggiornanti nel 2011), filippini (152.382), bangladesi (106.671) e srilankesi (94.577),

mentre è il secondo Stato per quanto riguarda la presenza d’indiani (145.164) e

pakistani (90.185).”9 Gli americani totalizzavano 415.241 residenti. Al primo posto

troviamo: Perù (107.847), seguito da Ecuador (89.626), Brasile (48.230) e Stati Uniti

(36.318). seguono con circa 20mila residenti Colombia, Cuba e Repubblica

Dominicana. Con circa 10mila Argentina, Bolivia ed El Salvador [Caritas 2012].

9 Per Maggiori

Info:http://www.caritasitaliana.it/caritasitaliana/allegati/2908/Dossier_immigrazione2012_scheda_sintesi.pdf

22

2.4 Immigrati e occupazione

Nel nostro paese tra il 2007 e il 2011 sono andati persi un milione di posti di

lavoro. Ciò è dovuto, oltre alla grave crisi economica, anche alle delocalizzazione delle

fabbriche. Una parte di questi posti è stata compensata da 750.000 assunzioni di

immigrati in settori occupazionali non ambiti dagli autoctoni. Sempre nel 2011 i

lavoratori italiani sono 75mila unità in meno, gli stranieri invece sono aumentati di

170mila. Nel medesimo anno i lavoratori immigrati, circa 2,5 milioni e costituiscono un

decimo del totale dei lavoratori. In controtendenza aumenta numero di disoccupati tra

gli stranieri che sono 310mila, di cui 99mila comunitari. Il loro tasso di disoccupazione

era nel 2011 del 12,1%, invece il loro tasso di attività è sceso al 70,9%. In questo

periodo il lavoratori stranieri continuano ad avere un forte peso sull’economia e sulla

produzione, essi sopperiscono alle lacune del sistema economico grazie alla loro

flessibilità, all’età mediamente giovane e alla loro disponibilità, qualità che spesso li

portano ad essere mal pagati e sfruttati dai datori di lavoro. Gli stranieri spesso lavorano

in settori poco qualificati del mercato del lavoro: “ad esempio, mentre tra gli italiani gli

operai sono il 40%, la quota sale all’83% tra gli immigrati comunitari e al 90% tra quelli

non comunitari. Motivati dal bisogno di tutela, sono oltre 1 milione gli immigrati iscritti

ai sindacati, con una incidenza dell’8% sul totale dei sindacalizzati e del 14,8% sulla

sola componente attiva”[Caritas 2012, 3].

Nel dossier è inoltre citato Il Rapporto 2012 sul mercato del lavoro degli

immigrati, curato dal Ministero del Lavoro il quale “attesta che il peso dei lavoratori

non comunitari 10[…] sulle prestazioni previdenziali e assistenziali dell’Inps non è

eccessivamente elevato”. Ecco elencati alcuni dei costi degli stranieri:

“10,2% per la cassa integrazione ordinaria e 6,9% per quella straordinaria; 5,1% per l’indennità di mobilità; 11,8% per l’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola, 7,7% per quella con requisiti ridotti e 8,8% per quella agricola; 0,2% per le pensioni di invalidità, vecchiaia e ai superstiti; 0,9% per le pensioni assistenziali; 8,1% per le indennità di maternità; 5,1% per i congedi parentali e 10,8% per gli assegni per il nucleo familiare.” [Ibidem]

10 Per i comunitari non sono riportati dati.

23

Costi che in un qualche modo sono ripagati con il loro contributo

lavorativo:

“I collaboratori familiari 11[…] rappresentano la categoria più numerosa tra gli immigrati e costituiscono una risorsa preziosa per un paese in cui ogni anno 90mila persone in più diventano non autosufficienti, dove il bisogno di assistenza aumenterà con il crescente invecchiamento della popolazione autoctona[…]A loro volta, gli infermieri stranieri […] assicurano un apporto indispensabile al servizio sanitario nazionale e a molte strutture private. Anche il settore agricolo, scarsamente attrattivo nei confronti degli italiani, per molti immigrati costituisce una prospettiva di inserimento stabile (allevamenti e serre) o un’opportunità limitata a determinati periodi dell’anno […] o quanto meno al momento dell’ingresso, al punto che l’agricoltura è stato il solo settore ad aver registrato, per gli immigrati, un saldo occupazionale positivo. Altri settori per i quali il contributo degli immigrati continua a risultare fondamentale sono l’edilizia, i trasporti e, in generale, i lavori a forte manovalanza: dai dati messi a disposizione dalle organizzazioni delle cooperative, risulta che gli immigrati incidono per oltre un sesto nelle cooperative di pulizie e per oltre un terzo in quelle che si occupano della movimentazione merci.[…] del lavoro autonomo degli immigrati, imprenditoriale o in altre forme, può conoscere un ulteriore sviluppo, perché attualmente riguarda l’11% dei comunitari e il 14% dei non comunitari rispetto al 26% degli italiani. Se le migrazioni sono di per se stesse una risposta alla crisi, le rimesse sono un indicatore del ritorno positivo per i paesi di origine. Le rimesse partite dall’Italia (un quinto rispetto al totale europeo), erano leggermente diminuite nel 2010 (6,6 miliardi di euro) ma sono tornate a crescere nel 2011 (7,4 miliardi di euro), in aumento verso la Cina e in diminuzione verso le Filippine […]Meritano attenzione particolare i cosiddetti “diaspora bond”, buoni destinati a sostenere progetti per le infrastrutture e per finalità economiche, sociali ed educative, con una formula che riesce a tenere insieme le finalità dei singoli migranti e i progetti pubblici dei paesi di partenza. L’Italia si è segnalata per il monitoraggio avviato sui costi dei servizi di invio delle rimesse e la loro riduzione, […]come anche per il varo dell’Osservatorio nazionale sull’inclusione finanziaria degli immigrati, nel cui ambito rientra anche l’utilizzo dei risparmi attraverso le banche.”[Caritas 2012, 3-4]

11 Poco più di 750mila quelli nati all’estero assicurati presso l’Inps.

24

Qui sotto sono riportati alcuni dati tratti dal dossier.12

2.5 I migranti visti dai cittadini residenti in Italia

È importante per gli studiosi in materia d’immigrazione capire le reazioni dei

cittadini al fenomeno, perché è da essi che dipende maggiormente il successo o il

fallimento dell’integrazione nella società. Una ricerca Istat del 201213 ha analizzato

come vengono percepiti gli stranieri dagli autoctoni. I risultati sono molto interessanti

perché mostrano in diverse prospettive l’atteggiamento degli italiani nei confronti dei

nuovi arrivati. Secondo il tipo di tematica o situazione l’accettazione dello straniero

viene più o meno tollerata, dimostrando in alcuni casi incoerenza. Questa indagine “ha

posto in evidenza l’esistenza di un atteggiamento ambivalente degli italiani verso gli

immigrati: da una parte ritengono che siano troppi, dall’altra riconoscono che sono

12 Immagine presa dal dossier 2012. 13 Rapporto reperibile in: http://www.istat.it/it/archivio/66563.

25

trattati peggio degli autoctoni, nonostante la loro presenza sia arricchente”[Caritas 2012,

3].

Qui sotto è riportato il riassunto del rapporto Istat “ Immigrati visti dai cittadini

residenti in Italia”.

“Il 59,5% dei cittadini afferma che nel nostro Paese gli immigrati sono discriminati, cioè

sono trattati meno bene degli italiani. In particolare, la maggior parte degli intervistati ritiene difficile per un immigrato l'inserimento nella nostra società (80,8%): addirittura il 2,4% lo ritiene impossibile.

Generalizzata appare la condanna di comportamenti discriminatori: la maggioranza degli intervistati ritiene che non sia giustificabile prendere in giro uno studente (89,6%) o trattare meno bene un lavoratore (88,7%) "perché immigrato". Ciononostante, il 55,3% ritiene che "nell'attribuzione degli alloggi popolari, a parità di requisiti, gli immigrati dovrebbero essere inseriti nella graduatoria dopo gli italiani", mentre Il 48,7% condivide l'affermazione secondo la quale "in condizione di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli italiani" rispetto agli immigrati.

Il 60% dei rispondenti ritiene che "la presenza degli immigrati è positiva perché permette il confronto con altre culture". Altrettanti (63%) sono d'accordo con l'affermazione che "gli immigrati sono necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono fare". È del 35% la quota di quanti ritengono che gli immigrati tolgono lavoro agli italiani.

Per il 65,2% degli intervistati gli immigrati sono troppi. L'aumento di matrimoni e unioni miste è considerato positivamente dal 30,4% dei

rispondenti, a fronte di un quinto circa (20,4%) che considera negativamente questo fenomeno. Se però è la propria figlia a sposare un immigrato la situazione cambia. Per esempio, il 59,2% degli intervistati avrebbe molti problemi e il 25,4% qualche problema se il futuro coniuge fosse un Rom/Sinti.

Per la maggioranza non è un problema avere uno straniero come vicino. Tuttavia il 68,4% non vorrebbe avere come vicino un Rom/Sinti: al secondo e al terzo posto tra i vicini meno graditi si collocano i romeni (indicati dal 25,6%) e gli albanesi (24,8%).

Sulla convivenza religiosa, la maggioranza (59,3%) esprime una posizione di tolleranza, anche se il 26,9% è contrario all'apertura di altri luoghi di culto nei pressi della propria abitazione e il 41,1% all'apertura di una moschea.

Il 72,1% è favorevole al riconoscimento alla nascita della cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati nel nostro Paese. Il 91,4% ritiene giusto che gli immigrati, che ne facciano richiesta, ottengano la cittadinanza italiana dopo un certo numero di anni di residenza regolare nel nostro

Paese.” [Istat 2012].

2.6 La situazione del paese nel 2013

Nel rapporto Istat sulla situazione dell’Italia nel 2013 un paragrafo è dedicato

alla situazione lavorativa degli stranieri nel 2012:

“Gli occupati stranieri nel 2012 sono il 10,2 per cento sul totale occupati (il 10,6

per cento del totale della forza lavoro), in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto al 2011. Nonostante lo scorso anno continui a essere caratterizzato dalla crescita dell’occupazione straniera (+83mila unità) e da una diminuzione di quella italiana (-151 mila unità), diversi indicatori convergono nel segnalare come l’impatto della crisi abbia colpito in misura relativamente più accentuata la componente immigrata. A differenza del recente passato, l’aumento della manodopera straniera, ascrivibile quasi esclusivamente alle donne, è avvenuto a ritmi dimezzati, mentre si raddoppia l’incremento degli immigrati in cerca di occupazione (+23,4 per cento nel 2012).Il tasso di disoccupazione degli stranieri tra il 2008 e il 2012 rispetto a quello degli italiani è salito di quasi 2 punti percentuali in più, di quasi

26

3,5 punti solo nel Nord, che diventano addirittura 4,5 punti se si considera la sola componente maschile […]Al netto del bilancio demografico, se si considera l’intero periodo a partire dall’inizio della crisi, il tasso di occupazione della componente immigrata scende di 6,5 punti percentuali contro 1,8 punti degli italiani. Particolarmente critica la situazione degli uomini stranieri che perdono complessivamente 10,3 punti percentuali contro i 3,5 degli italiani.[…] Nonostante queste differenze, la crisi ha, però, incrementato nei cittadini italiani la percezione di trovarsi in concorrenza con gli immigrati per il posto di lavoro e la disposizione a vedere con favore forme di protezione per l’accesso al mercato del lavoro rispetto agli stranieri […]. Le condizioni lavorative più svantaggiate si riflettono anche sulla retribuzione netta mensile che, per gli stranieri, è più bassa di quella dell’anno precedente e si attesta al 25,8 per cento in meno rispetto a quella degli italiani (968 euro a fronte di 1.304 euro), con un divario che, dal 2008, ha seguito una progressiva crescita. Le differenze di genere risultano più marcate per gli immigrati, con un divario di 327 euro a favore degli uomini, rispetto ai 286 euro riscontrabili per gli autoctoni. […]Infine, per gli stranieri l’anzianità lavorativa ha un ruolo marginale anche sulla retribuzione: nel 2012 si è passati dai 713 euro per gli occupati da non più di due anni ai 1.003 euro per coloro che un impiego da oltre venti anni. La forte diffusione in impieghi nei quali gli importi degli scatti di anzianità sono meno consistenti è una delle cause per cui le donne straniere presentano ancora lo svantaggio maggiore (da 644 a 823 euro). Nonostante la maggiore tenuta dell’occupazione femminile negli anni della crisi, la quota di donne occupate in Italia rimane, comunque, di gran lunga inferiore a quella dell’Ue e concentrata nei servizi: nel 2012 il tasso di occupazione femminile si attesta al 47,1 per cento contro un 58,6 per cento della media Ue27 (59,8 Ue15) (Figura 3.8). La ripresa dell’occupazione femminile è in parte ascrivibile alla crescita delle occupate straniere (+76 mila, +7,9 per cento),impiegate quasi esclusivamente in lavori non qualificati presso le famiglie – in qualità di badanti, collaboratrici domestiche e assistenti familiari – e concentrate soprattutto nella classe di età tra i 35 e i 49 anni.” [Istat 2013, 106-110]

La crisi per gli stranieri in Italia, oltre ad aumentare i problemi economici, aumenta

anche le difficoltà d’integrazione. Molte propagande razziste, in particolare quelle della

Lega Nord, insistono sul fatto che gli immigrati ruberebbero il lavoro agli italiani (o ai

padani come molto spesso si definiscono nonostante la Padania non sia riconosciuta

come territorio), dimenticando appunto che le occupazioni non vengono tolte dai

lavoratori immigrati, piuttosto sono i datori di lavoro che preferiscono sottopagare uno

straniero,comportandosi ai limiti dell’illegalità, invece di retribuire adeguatamente un

italiano che ha più possibilità di denunciare lo sfruttamento. Sembra sia molto più

semplice incolpare chi effettivamente colpe non ne ha, prendersela con chi non può

difendersi che prendersela con i potenti. Le persone che danno la colpa della crisi

economica italiana agli immigrati, per quanto non sia a mio avviso giustificabile,

mostrano profonda insicurezza personale, riversano la loro rabbia e frustrazione sui

nuovi arrivati. Le cause di questi disagi sono molteplici: mancanza o scarsità di

politiche di welfare; strumentalizzazione da parte dei mass media, incitamento all’odio e

propaganda della paura; timore della diversità; mancanza di una buona istruzione di

base e di mezzi d’informazione politicamente non schierati. La crisi sta accentuando

indirettamente il razzismo, i movimenti populisti e l’insicurezza sociale. Oltre alla

27

recessione il nostro paese sta vivendo poi una profonda crisi politica. Uno dei temi che

ha più fatto discutere è stata la cittadinanza ius soli che renderebbe i figli d’immigrati

nati in Italia cittadini italiani. Tale ipotesi, già auspicata perfino dal nostro Presidente

della Repubblica, è stata riproposta dal ministro dell’integrazione Cecile Kenge. Ci sono

state fortissime opposizioni sull’argomento. Non sono mancati su internet insulti razzisti

e propagande anti ius soli, quest’ultime particolarmente spinte dalla Lega Nord e dal

Movimento Cinque Stelle. Questa è la dimostrazione che l’Italia non è ancora pronta a

diventare un Paese multiculturale, dimenticando che l’Unità di Italia di oltre 150 anni fa

è stata fondata politicamente su Stati e culture nazionali per molti aspetti ben diversi per

le diversissime storie di ciascuno di essi. Proprio questa diversità ha consentito la sua

enorme ricchezza culturale e artistica, che ne ha fatto il “ bel paese”.

28

Capitolo 3

La crisi degli stranieri in Piemonte

3.1 Posizione degli stranieri

In Piemonte e più in generale in Italia, la popolazione immigrata è impiegata in

settori definiti a bassa specializzazione, tipologie di occupazioni che stanno al fondo del

mercato del lavoro. In questa posizione i lavoratori sono maggiormente esposti al

rischio della precarietà, a causa di contratti a tempo determinato e del lavoro nero. Per

via della loro limitata formazione professionale, incorrono più facilmente nel

licenziamento e sono sostituiti più rapidamente. Tendenzialmente gli stranieri sono

impiegati nelle professioni commerciali, nell’edilizia, nell’industria pesante e nei servizi

alla persona. Questo è quanto emerge in relazione all’occupazione regolare. Il

raggiungimento di una stabilità finanziaria è minacciato dall’incremento dei contratti a

tempo determinato e soprattutto dalla diffusione del lavoro nero. Gli immigrati

eseguono spesso mansioni poco gratificanti, generalmente manuali, a volte anche in

condizioni disagevoli e rischiose, senza contare il totale delle ore lavorative che è spesso

superiore a quello pattuito contrattualmente. Essi hanno scarse possibilità di carriera; la

loro condizione di migrante li imprigiona in status sociali bassi anche quando sono

assunti a tempo indeterminato e in modo regolare ; i loro rapporti lavorativi restano

precari perché sono per la maggior parte in aziende di ridotte dimensioni che opera

continui cambi di personale e di strategie d’impresa. Essendo il mercato del lavoro

secondario più sensibile alle fluttuazioni dei cicli economici, durante le crisi e le

recessioni questi lavoratori sono i più esposti al rischio di perdita del lavoro perché le

aziende e le imprese in cui sono impiegati sono loro stesse a rischio. Per quanto queste

premesse possono sembrare valide per tutte le regioni italiane, in Piemonte gli

immigrati stanno soffrendo la crisi economica in misura maggiore. Con questa

affermazione non si vuole suggerire che gli stranieri in Piemonte siano i più

svantaggiati d’Italia. La crisi ha distrutto quello che fino a pochi decenni fa sembrava il

settore che avrebbe dominato il mondo per sempre: l’industria. Non si fa riferimento

soltanto alla FIAT; in Piemonte si concentra una grossa fetta delle grandi fabbriche

italiane, di qualsiasi tipologia. Con il crollo dei consumi, e a fronte dell’aumento dei

29

costi energetici, le fabbriche sono state le prime a licenziare dipendenti [Ires Lucia

Morosini 2010].

3.2 Immigrazione in Piemonte

Come nel precedente capitolo, inizierò con dati e informazioni tratte da letture e

studi dell’argomento, procedendo per gradi e facendo dei confronti tra i vari periodi.

In data 31 dicembre 2008 in Piemonte erano presenti il 9% degli stranieri

residenti in Italia, risultando così la regione al quinto posto preceduta da Lombardia,

Emilia-Romagna, Veneto e Lazio. Nella tabella sottostante sono indicati in che misura e

in che province erano maggiormente distribuiti.

TABELLA 1 Residenti stranieri in Piemonte nel 200814

STRANIERI RESIDENTI % SUL TOT. RESIDENTI

ALESSANDRIA 36.666 8,4

ASTI 21.034 9,6

BIELLA 10.031 5,4

CUNEO 48.676 8,3

NOVARA 29.182 8,0

TORINO 185.073 8,1

VERBANO C.O. 8.382 5,1

VERCELLI 12.068 6,7

PIEMONTE 351.112 7,9

ITALIA 3.891.295 6,5

Stando ai dati del 2008 dell’ISTAT, la percentuale degli stranieri in Piemonte

era del 7,9% maggiore dalla media nazionale che si aggirava al 6,5[Ires Lucia Morosini

2010]. La provincia piemontese con la percentuale più alta di stranieri sul totale della

popolazione era Asti che registrava un 9%; quella più bassa era del 5,1 riscontrata nella

provincia di Verbania C.O. Nel 2008 la città con il più alto numero d’immigrati è Immagine reperibile in: Ires lucia Morosini (2010), I lavoratori immigrati in Piemonte le prime conseguenze della crisi,pp 4.

30

Torino che dichiara 185.073 residenti stranieri; all’ultimo posto troviamo di nuovo la

provincia di Verbania C.O. con 8382 residenti. Questi primi dati dimostrano forti

disequilibri all’interno della regione. È evidente come nel capoluogo di regione risieda

la maggior parte degli stranieri in Piemonte. Più della metà risiede a Torino (53%), cifra

giustificata dall’importanza industriale ed economica certamente superiore alle altre

città della regione, motivo che attrae anche molti lavoratori italiani. Guardando indietro

negli anni fino ad arrivare al 2003, noteremo che il numero di residenti stranieri nella

regione è più che raddoppiato nel 2008: in cinque anni sono infatti passati da 174.000 a

351.000. Le città in cui si registrano i maggiori incrementi sono Asti e Torino,mentre

Biella e Verbania registrano i dati più bassi. Le nazionalità più presenti in Piemonte

sono quella romena, marocchina e albanese. Insieme costituiscono il 63% dei residenti

stranieri in regione. I romeni costituiscono la nazionalità egemone, rappresentando circa

un terzo delle presenze (34,5) con 121150 residenti al 31 dicembre 2008. Le nazionalità

presenti sul territorio si dividono per quanto riguarda la differenza di genere. Marocco,

Tunisia, Albania, Macedonia sono prevalentemente rappresentati da uomini; quelle

provenienti dalle esteuropee sono in maggioranza donne. Ciò si deve essenzialmente

alle tipologie di lavoro delle diverse nazionalità di stranieri e i diversi tipi di

specializzazione in diversi settori lavorativi che conducono a una divisione di genere e

nazionalità. La mancanza di un efficiente sistema di welfare ha fatto sì che la richiesta

di assistenti famigliari spingesse molte donne della Romania, della Moldavia e in

generale dell’est Europa, a emigrare in Italia. Questo tipo di occupazione è considerato

da queste donne come un impiego momentaneo, nell’attesa di un lavoro migliore in

Patria. Lo scopo provvisorio è quello di accumulare denaro nel paese ospitante e

inviarlo come rimesse. I nord-africani e gli ex-jugoslavi sono in genere uomini, poiché

svolgono mansioni di manodopera pesante, difficili da eseguire dal gentil sesso. A

differenza delle donne straniere dell’est prima menzionate, questi lavoratori propendono

di più a stabilizzarsi nel paese d’arrivo con la loro famiglia. In generale tutte le

principali nazionalità dei residenti stranieri sono aumentate. In particolar modo dal 2006

al 2007 il numero di cittadini rumeni in Italia è incrementato esponenzialmente grazie

all’entrata della Romania nell’unione europea, eliminando così i problemi del

soggiorno. Dal 2007 i romeni sono diventati la nazionalità straniera dominante in Italia,

diventando il doppio dei Marocchini che occupano il secondo posto. Il 70% dei romeni

residenti in Piemonte vive a Torino, rappresentando quasi il 50% degli stranieri. Nelle

31

altre province, in particolare quelle più a Nord, la comunità romena non è al primo

posto. Ma come abbiamo visto in queste province l’incidenza straniera non è rilevante

come nel capoluogo di regione [Ires Lucia Morosini 2010].

3.3 I lavoratori stranieri

Nelle province piemontesi gli stranieri hanno un tasso d’occupazione superiore

agli autoctoni (escluse Alessandria e V.C.O.). Questo risultato è giustificato da diversi

fattori: gli stranieri sono molto di meno rispetto agli italiani (la percentuale su un

numero più basso è più sensibile ad alti e bassi), migrano quasi esclusivamente per

lavoro (gli extracomunitari devono necessariamente lavorare per rimanere in Italia) e i

molti irregolari non sono quantificabili (non possiamo sapere il loro esatto numero e se

sono occupati). Nonostante l’apparente condizione favorevole - la disoccupazione

straniera è passata dal 6,3% del 2005 al 9,8 del 2008- gli autoctoni hanno percepito

molto meno questa diminuzione occupazionale. Infatti, nel 2005 il tasso di

disoccupazione era del 4,6, nel 2008 era del 4,7. Benché il loro livello di occupazione

sia ancora superiore a quello degli italiani, gli stranieri sono i più svantaggiati nel

mercato del lavoro in questo periodo di crisi. In parte questi dati sono giustificati

dall’impressionante incremento d’immigrati nel nostro paese. Il loro aumento fa

crescere il tasso di attività, ovvero di disponibilità al lavoro, poiché la maggioranza si

trasferisce per trovare lavoro. Tuttavia il tasso occupazionale non riesce a star dietro a

quello d’attività, complicando la ricerca di occupazione per gli stranieri. Osservando i

primi effetti della crisi, non possiamo non tener conto che il più alto numero di

lavoratori immigrati è concentrato nella città di Torino. Nel 2008 gli stranieri avviati al

lavoro sono stati 47000, circa la metà degli avviamenti regionali (il 48%). Gli altri

avviamenti si concentrano maggiormente nel Cuneese, nell’Astigiano e

nell’Alessandrino. Le province di Biella, Vercelli e V.C.O., registrano una percentuale

inferiore. Nel 2007 il boom dei nuovi ingressi di persone di origine romena ha

condizionato notevolmente l’incremento degli avviamenti stranieri. Nel 2008 invece

sono leggermente calati. Questo calo non è da ricollegare direttamente alla difficoltà per

gli stranieri di cercare un’occupazione. Gli avviamenti sono leggermente inferiori

rispetto al 2007 anno dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea. Allo stesso

tempo il tasso di disoccupazione degli immigrati nel 2008 non è particolarmente

distante dagli anni che lo precedono, anche se è cresciuto [Ires Lucia Morosini 2010].

32

Secondo i dati Ires gli stranieri residenti stavano aumentando rispetto agli

italiani, dopo un periodo di relativa crescita economica. Nel 2008 la percentuale di

stranieri lavoratori sul totale degli occupati era diminuita, a dimostrazione che gli

stranieri sono assunti di meno rispetto agli italiani e pagano già di più l’inizio della crisi.

Prendendo in considerazione i settori lavorativi nei quali gli immigrati sono

assunti, il quadro cambia da provincia a provincia. In generale, il settore che nel 2008

contava sul maggior numero d’impiegati stranieri è quello dei servizi. Il settore

industriale è rilevante per quasi tutte le regioni italiane mentre a Cuneo, Asti e

Alessandria gli immigrati svolgono soprattutto attività agricole più faticose, come la

raccolta di frutta.

Le statistiche svolte dalla Caritas fanno notare che nelle regioni dell’Italia

settentrionale la percentuale degli immigrati impiegati in quest’ultimo settore è molto

più alta rispetto alle regioni del Sud. Questa notevole differenza è dovuta anche al

maggior numero di casi di lavoro in nero, irregolare e alla giornata nel Sud dell’Italia.

Sempre riguardo al 2008 i dati dimostrano che la maggior parte dei contratti è a tempo

determinato. Le due province dove se ne fa più uso sono Cuneo e Asti, evidentemente a

causa dei molti lavori stagionali in agricoltura.

È importante specificare che negli ultimi anni la percentuale dei lavori part-time

è incrementata più del 10%. Anche se in generale questo tipo d’impegno dovrebbe

venire incontro ai bisogni personali dei lavoratori poiché concede di svolgere sia attività

lavorative sia private, è difficile stabilire se questo contratto sia stato una scelta libera

degli immigrati oppure sia stato imposto dalle imprese. Non sono pochi i casi in cui i

contratti di lavoro degli stranieri sono di tipo part-time, ma le ore effettivamente svolte

coincidono al tempo pieno, quelle in più sono retribuite irregolarmente. Ciò è a

vantaggio delle imprese nella riduzione dei costi. I lavoratori non contestano

l’irregolarità contrattuale perché gli permette un miglior salario. Un’altra categoria di

lavoratori stranieri riguarda gli autonomi. In tanti non sono dipendenti di terzi oppure

gestiscono un’attività. Nel 2008 in Piemonte si contavano più di 45.000 imprenditori

con un aumento di 7000 attività in due anni. Gli anni dal 2006 al 2008 presentavano un

incremento costante senza un apparente effetto diretto della crisi per quanto riguarda le

imprese gestite dai non autoctoni. Ciò nonostante se paragoniamo i dati del 2005,

notiamo una diminuzione di quasi il 3% passando dal 15,7 al 13%. Diventa complicato

definire l’impatto della crisi economica del 2008 sui lavoratori stranieri autonomi anche

33

per via dei numerosi arrivi di immigrati in Piemonte negli ultimi anni. Nel 2007 la

Romania e la Bulgaria sono entrate nell’U.E. e ciò ha condizionato il numero

d’imprenditori comunitari che è aumentato soprattutto grazie agli ingressi romeni.

Questo fenomeno condiziona fortemente le statistiche su questa tipologia di lavoratori:

in primo luogo molti romeni erano imprenditori prima del 2007 e ora sono considerati

comunitari; in secondo luogo, grazie alle agevolazioni offerte dalla comunità europea,

in tanti hanno aperto attività dopo il 2007. Tra le tipologie d’impresa in aumento ci sono

le imprese edili per i comunitari; per quanto riguarda gli imprenditori extracomunitari

essi sono in buona parte titolari d’imprese commerciali. Il settore delle costruzioni in

questo caso è al secondo posto. La differenziazione delle imprese ha carattere nazionale:

determinate nazionalità di stranieri tendono a specializzarsi in specifici settori. Gli

stranieri presi in considerazione sono solo quelli provenienti da paesi di emigrazione. È

particolarmente evidente la predominanza di romeni e albanesi a capo di imprese edili,

per quanto riguarda gli esercizi commerciali buona parte di questi è gestita da cinesi e

marocchini. In Piemonte gli stranieri che svolgono lavori autonomi raggiungono

percentuali abbastanza alte, merito anche dell’età mediamente giovane ed è facile

prevedere che in futuro sempre più artigiani o imprenditori saranno giovani stranieri.

L’aumento degli artigiani stranieri sarà probabilmente legato sia all’aumento in generale

della percentuale di immigrati in Italia, sia alla preferenza di svolgere attività autonome

e di non dipendere da un datore di lavoro. Vorrei tuttavia qui segnalare che in molti casi

i titolari stranieri di partita IVA possono essere considerati di fatto dei dipendenti di

imprese, soprattutto edili, costretti dal titolare ad assumere in proprio oneri contributivi

e fiscali, pur di conservare o ottenere un lavoro. Ciò indica un’incertezza sulla veridicità

dei dati rilevati.

34

3.4 Il disagio degli immigrati in Piemonte

Dati sul disagio sociale caratterizzante degli immigrati vengono offerti dai centri

diocesani Caritas che dispongono di numerosi volontari impegnati nella ricerca di un

miglioramento della situazione degli stranieri. Il loro lavoro implica un diretto contatto

con gli immigrati ed è per questo motivo che i centri Caritas sono visti come una sorta

di ponte tra la persona in difficoltà e le risorse del territorio. Comparando le

informazioni raccolte da questi centri, si è individuata la categoria di individui che più si

rivolge ai centri d’ascolto in Piemonte. Si tratta di stranieri, sia uomini sia donne, tra i

venticinque e i cinquanta anni, sposati, senza un lavoro regolare, senza diploma e con

serie difficoltà economiche. Si deve precisare che i centri di ascolto diocesani della

Caritas sono rivolti agli individui che non hanno il domicilio nel territorio del Comune.

Forse è anche per questo che la maggior parte dei richiedenti sono stranieri. L’anno in

cui si è avuto il maggior numero di richieste di sostegno è stato il 2009. Questo è stato

particolarmente evidente ad Alessandria, dove gli utenti sono aumentati di sei volte

rispetto al 2008. A dimostrazione che la crisi non ha avuto particolari effetti soltanto

sugli immigrati, nel 2008 e nel 2009 l’incremento della percentuale di stranieri sul totale

dei richiedenti non è statisticamente rilevante. Per quanto bassa la percentuale di

presenze registrate sul nostro territorio, ivoriani, congolesi e somali sono i maggiori

richiedenti dei servizi della Caritas, forse per via della condizione di clandestinità che è

molto comune tra questi stranieri. Nonostante la condizione d’irregolarità la Caritas

fornisce loro servizi e registra questi dati [Ires Lucia Morosini 2010].

3.5 Liste di mobilità

L’iscrizione alle liste di mobilità è un chiaro segnale di debolezza economica e

sociale dell’immigrato. Osservando le statistiche inerenti a queste liste, viene alla luce

che più della metà degli immigrati iscritti era occupato nella città di Torino. Questi dati

non bastano per valutare la debolezza degli immigrati rispetto agli autoctoni.

Nel paper informativo dell’Ires Piemonte [2012] si confrontano le percentuali di

stranieri iscritti alle liste di mobilità con la percentuale di residenti delle province

piemontesi per evidenziare gli stranieri maggiormente a rischio disoccupazione,

nonostante la protezione economica e sociale delle liste di mobilità. Dal raffronto dei

dati 2000 e 2010 emerge che nelle città di Novara (+135%) e Cuneo (+105,1%) si

35

registrano gli incrementi maggiori. Il dato percentuale più basso di incremento è ancora

quello di Biella (+36%) dovuto anche alla minor presenza di stranieri [Ires Piemonte

2010].

3.6 Periodo intermedio della crisi: la crescente popolazione straniera

Stando ai dati ISTAT 2010, al 1 gennaio 2010 risiedevano in Piemonte 377.241

stranieri. Questi dati sono molto diversi da quelli offerti dalla Caritas/Migrantes del

medesimo anno che stimava la presenza di 411.500 stranieri regolari (con permesso di

soggiorno), includendo quelli non registrati all’anagrafe. Per motivi dovuti

all’impossibilità di raccolta dati, non è disponibile il numero degli irregolari. Nel

rapporto Ires 2010 emergono alcuni dati sui nuovi residenti piemontesi:

165.272 nuove presenze, sia italiane che straniere e 143.765 cancellazioni. Dall'estero si

erano iscritti in 33.680 e si sono cancellati in 6.020, ma in questo caso riguarda solo gli

stranieri. Il decreto flussi del 2010 aveva fatto raccogliere in Piemonte 20.522 domande

che erano state presentate prima della scadenza del 3 febbraio. 502 richiedenti asilo e

profughi dal Nord Africa e 21 tunisini in possesso di permesso provvisorio,

raggiungono la regione nel maggio del 2011. La loro presenza è abbastanza consistente

e può pesare sul totale della popolazione.

L'elevato numero di immigrati regolari ma non residenti è spesso una delle

problematiche maggiori degli studiosi in materia: quando queste informazioni non

coincidono con il reale numero di persone sul territorio, può accadere che da un anno

all'altro venga registrato un aumento notevole di residenti che dopo anni di regolarità e

di presenza in regione si fanno registrare ufficialmente sul territorio. Le fonti di questi

dati sono fornite dall'ISTAT e riguardano immigrati in regola e residenti in regione, in

modo da poter essere confrontati con altre regioni italiane. In questa parte del rapporto

menzionato i dati parlano di un aumento dei residenti in regione, anche se piuttosto

modesto paragonato alla crescita demografica degli anni precedenti.

36

La tabella sottostante mostra come l’aumento di popolazione in Piemonte sia

bruscamente rallentato dal 2008 al 201015

Residenti Aumento rispetto all’anno

precedente

Aumento %

2008 310.543 58.241 23,1

2009 351.112 40.569 13,1

2010 377.241 26.129 7,4

A partire dal 2009 la crescita dei residenti piemontesi rallenta bruscamente,

probabile conseguenza degli effetti della crisi. Qui sotto sono riportate le cifre e le

percentuali degli stranieri residenti in Piemonte nel 2010.

Grafico residenti Piemonte 201016

15 Tabella reperibile in: Ires Piemonte (2010), Immigrazione in Piemonte rapporto 2010, pag. 5. 16 Immagine reperibile in: Ires Piemonte(2010), Immigrazione in Piemonte rapporto 2010 ,pag 4.

37

Dal grafico qui sopra notiamo che il 54% della popolazione straniera nel 2010

risiede nella città di Torino (34%) o in provincia (20%), il capoluogo di regione è senza

dubbio il punto di riferimento di molti immigrati anche nel 2010, al secondo posto

troviamo Cuneo (14%), seguita da Alessandria (10%), Novara (8%), Asti (6%), Vercelli

e Verbania (3%) e all’ultimo posto si conferma Biella (2%). Per quanto riguarda le

percentuali sulla popolazione Asti rimane al primo posto, seguono Alessandria e Cuneo.

L’incremento della popolazione piemontese è stata del 7,4% dal 2009. Le province

V.C.O., Cuneo e Alessandria hanno superato nel 2010 la media regionale. Infatti come

precedentemente menzionavamo, la disomogeneità piemontese per quanto riguarda la

distribuzione dei residenti stranieri è piuttosto evidente in zone come il Verbano, il

Vercellese e il Biellese, che non attraggono grandi masse di lavoratori immigrati per

motivi facilmente intuibili, legati alle possibilità, alla fama e ai contatti e servizi che

queste città offrono.

Nel registro17 dei residenti nel 2009 in Piemonte 32.979 erano iscritti dall’estero,

20.877 da altre regioni, 19.796 si sono spostati in altre regioni e 2.733 sono andati

all’estero. Sempre nello stesso anno 6.023 stranieri hanno ottenuto la cittadinanza; le

17

Immagine reperibile in: Ires Piemonte (2010), Immigrazione in Piemonte rapporto 2010, pag 5.

38

iscrizioni sono diminuite e le cancellazioni sono aumentate, in particolare quelle

d’ufficio (+77,4%). Aumentano anche le nascite (5,6%). Anche se non molto, la

popolazione straniera è comunque aumentata. Il dato più indicativo riguarda la voce

”altri cancellati” che conta 6.907 cancellazioni d’ufficio per via di perdita di requisiti o

per irreperibilità. Le natalità sono in crescita in tutte le province, ad esclusione di Biella

che registra anche il più basso numero di cittadinanze. In generale notiamo che c’è nella

nostra regione un continuo flusso, anche se a volte non particolarmente consistente, di

stranieri che raggiungono il Piemonte. Alcune zone come il Biellese registrano dati

modesti sull’immigrazione. Questi dati evidenziano la centralità della città di Torino in

tema migratorio che, come possiamo vedere, surclassa le altre province. Non dobbiamo

però trascurare le altre città che comunque rappresentano il 46% degli immigrati. Se

cosi si facesse, ci concentreremmo troppo su problematiche strettamente legate ad una

grande città ed escludendo realtà più piccole. È però altrettanto vero che le ricerche in

aree più ristrette sono anch'esse ridotte, cioè sono molto limitate e molto difficili da

analizzare e studiare.

Questo grafico18 conferma la predominanza di romeni sugli altri stranieri. I

marocchini continuano ad avere una posizione di rilievo, anche se nettamente più

18 Immagine reperibile in: Ires Piemonte (2010), Immigrazione in Piemonte rapporto 2010, pag. 8.

39

distante rispetto ai primi classificati. È interessante notare come l'aumento degli

stranieri sia continuo nel tempo, ma man mano il numero si stabilizzi. La crescita

seppur ridotta resta in positivo, questo rallentamento potrebbe però portare ad una

nuova stasi demografica, simile a quella degli anni novanta dello scorso secolo. É

ancora presto per dirlo, per ora possiamo solo osservare lo sviluppo del fenomeno.

3.7 Dati e numeri del 2011

Totale Regione 190.667 208.243 398.910 100,0% +5,7%

Continua l'aumento degli stranieri in Piemonte19 e parallelamente anche il

rallentamento demografico degli immigrati. Nel 2011 l'aumento è stato del 5,7%, molto

lontano dal 23,1 registrato nel 2008. Le cifre indicate sopra riportano dati positivi di

crescita della popolazione, le variazioni delle percentuali di stranieri, però, variano

molto leggermente.

Grafico cittadinanza stranieri 2010 Piemonte20

19 Immagine reperibile in: http://www.tuttitalia.it/piemonte/statistiche/cittadini-stranieri-2011/. 20 Ibidem.

40

Grafico cittadinanza stranieri 2011 Piemonte

Nel grafico a torta riportato in precedenza relativo al 201021 viene indicato che il

35% degli stranieri era di origine romena. Il dato era stato arrotondato per eccesso,

quello reale corrispondeva al 34,53%. Nel 2011 il dato era diventato 34,36%, quindi

staticamente poco rilevante. Lo stesso si può dire anche delle altre nazionalità presenti

sul territorio che sostanzialmente rimangono invariate, le differenze di percentuali non

raggiungono nemmeno l'1%. Le percentuali di anno in anno non variano sensibilmente,

ma se è vero che con i centesimi si fanno i miliardi, è anche vero che piccole percentuali

di grandi numeri se sommate portano a risultati consistenti: da 252.302 stranieri regolari

registrati in data 1° gennaio 2007 sono passati a 398.910 in soli quattro anni. Possiamo

dire con sicurezza che la crisi non ha attratto nel corso degli anni gli stranieri. Gli

aumenti non sono legati a questo fenomeno, ma a più fattori: regolarizzazioni,

ricongiungimenti familiari, richiedenti asilo e così via. I numeri sono sì più alti ma,

soprattutto negli ultimi anni, in costante rallentamento. È per effetto della crisi che

sempre meno persone vengono attratte dal Piemonte, per ovvi motivi legati ai costi della

vita e allo scarso lavoro disponibile.

3.8 Criticità del presente in Regione

Secondo dati ISTAT del IV trimestre 2012 il numero di occupati in Piemonte è

calato di 75.000 unità [Osservatorio regionale del lavoro Piemonte 2012]. La situazione

è preoccupante, si registrano continui peggioramenti nel tasso d’occupazione che scende

vertiginosamente (dal 65% a 63,1%), si stimano 40.000 disoccupati in più del 2011 21 Vedi grafico stranieri residenti in Piemonte al 1-1-2010

41

(+24%), i quali si aggiungono alle 200.000 persone in cerca di lavoro. Questa tendenza

è simile ai valori di disoccupazione nazionali, cresce la richiesta della cassa integrazione

(+18,7 milioni di ore in totale). “Il Piemonte rimane la regione del Nord Italia con il

livello di disoccupazione più alto: il valore sale dal 7,6% del 2011 all’attuale 9,2%,

contro una media ripartizionale del 7,4% e un dato nazionale attestato al 10,7%.”

[Regione Piemonte 2012, 2].22 La ricerca d’impiego e di un equilibrio economico sono

le due grandi problematiche del Piemonte e dell’Italia in generale. Non ci sono ancora

segni di miglioramento e tardano sempre di più i provvedimenti volti a risolvere il

problema. Gli stranieri sono influenzati dalla disoccupazione degli italiani perché

coprono mansioni lavorative lasciate dagli autoctoni o ne sono direttamente dipendenti

come le lavoratrici domestiche non possono essere più assunte se i datori di lavoro

stessi perdono il lavoro.

Lo scenario non migliora se leggiamo l’analisi congiunturale Ires Lucia

Morosini dell’ Aprile 2013:

“Gli scenari previsionali per il 2013 si confermano negativi anche a livello regionale, nel quadro di una domanda aggregata sostenuta soltanto dalla componente estera e di un tessuto industriale che rimane debole anche sul piano strutturale, ad esempio con un andamento demografico sempre meno vitale e dalle prospettive future compromesse a causa di una continua diminuzione degli investimenti fissi.[…]. Quando la domanda estera rallenta […] tutto il sistema economico e dell’occupazione ne risente. […] Gli ammortizzatori sociali costituiscono un forte punto di criticità regionale, sia perché la consistenza delle ore autorizzate (rapportata al numero di lavoratori dipendenti) è ormai da alcuni anni tra le più alte a livello regionale (con una crescita di ben il 36,5% registrata nei primi tre mesi del 2013 al confronto tendenziale), sia perché sulla cassa integrazione in deroga pende l’incertezza sul rifinanziamento alla scadenza del 30 luglio. […] A livello tendenziale, l’ultimo trimestre 2012 fa registrare un’allarmante prestazione negativa dell’occupazione: -4,0% rispetto al 2012, percentuale che si traduce in oltre 75 mila occupati in meno nella regione. La forte riduzione degli occupati continua a dipendere, nel 4° trimestre 2012, in modo particolare dall’andamento del settore dell'industria in senso stretto, circa 34,6 mila lavoratori in meno a livello regionale pari ad una contrazione del -7,0% rispetto allo stesso periodo del 2011. […] Il Piemonte si conferma anche rispetto a quest’indicatore il peggior esempio tra le regioni del Nord. […] Per quel che riguarda i giovani acquisisce caratteristiche preoccupanti dal momento in cui questo potrebbe essere la conseguenza della crisi economica delle famiglie, non più in grado di garantire quindi ai giovani la sufficiente sicurezza economica, spingendo di fatto quest’ultimi all’anticipare o intensificare la ricerca di un lavoro. Cresce infatti vertiginosamente il tasso di disoccupazione giovanile in molte province del Piemonte, in particolare ad Asti e Novara dove raggiunge nel 2012 rispettivamente il 39,3% ed il 37,1%.” [Ires Lucia Morosini 2013, 3-10]

22

Il mercato de lavoro in Piemonte 2012 pag 2 reperibile in: http://www.regione.piemonte.it/lavoro/osservatorio/dwd/2012/mdL_2012.pdf

42

Chiudo il capitolo con un articolo sulla crisi economica del Piemonte del settembre

2012, che trovo particolarmente interessante perché al suo interno cita le

“problematiche” degli stranieri nel periodo di crisi23:

Continuano gli anni terribili per occupazione ed economica in Italia e, secondo i recenti dati della Confindustria Unioncamere la situazione non tende a migliorare, anzi prosegue con difficoltà per il 2012 e oltre. Tutti i vari comparti economici stanno soffrendo della crisi mondiale, nessuno escluso e la disoccupazione incalza senza tregua. In Piemonte, Biella registra -8,3% della produzione industriale sul proprio territorio. Torino -7,7%, Verbano Cusio Ossola -7,3%, Asti manifesta un calo tendenziale della produzione di 5 punti percentuali, seguita da Novara con un -4,3%. Meno intense risultano le flessioni registrate dalle altre province piemontesi. Alessandria registra una diminuzione della produzione del 2,1%, Vercelli del 1,9% e Cuneo del -1,3%. Le aspettative delle imprese piemontesi per il III trimestre dell’anno segnalano un marcato indebolimento del clima di fiducia, in linea con il peggioramento del quadro economico complessivo all’inizio dell’estate. Le previsioni su produzione e ordini totali fanno segnare un saldo fortemente negativo (rispettivamente -21,7% e -21,4%), arretrando di circa 15 punti rispetto allo scorso trimestre. Peggiorano anche le previsioni relative ai mercati esteri: il saldo ottimisti-pessimisti ritorna su valori negativi (-5,7 punti) dopo il rimbalzo di marzo. Il Viminale comunica che, negli ultimi mesi, c’è stata una sorta di corsa fuori dall’Italia da parte della cittadinanza straniera presente sul territorio nostrano. Molti extracomunitari, e non solo, tornano nei Paesi d’origine oppure si recano all’estero per cercare lavoro altrove. Il Bel Paese non è più allettante. Le coste italiane non attirano, come in passato, le migliaia di persone che illegalmente lasciavano la propria casa in cerca di un futuro migliore.

23 Articolo reperibile in: http://www.quotidianopiemontese.it/2012/09/18/crisi-economica-piemonte-a-terra-e-persino-gli-stranieri-scappano-dallitalia/#.UZthYLXJRs7.

43

Capitolo 4

Lavoro di ricerca sul campo a Torino: l’impatto della crisi sugli

stranieri visto dagli operatori dell’ Ufficio Pastorale Migranti

4.1 Presentazione ufficio

L’Ufficio per la Pastorale dei Migranti (UPM) è stato costituito

dall’Arcivescovo di Torino con statuto specifico nel marzo 2001 e offre agli utenti

stranieri vari servizi che vanno dalla compilazione di pratiche di permesso di soggiorno

fino ad arrivare alla ricerca lavoro. In questo momento la principale attività è nel settore

dell’immigrazione straniera, dove si opera sul territorio della Diocesi di Torino.

Essendo un organismo pastorale offre servizi gratuiti: i fondi dell’Ufficio e le

assunzioni sono di competenza della Diocesi di Torino. L’Ufficio Pastorale dei Migranti

collabora con il Comune di Torino, la Regione Piemonte partecipa al Coordinamento

delle Caritas e Migrantes del Nord Italia. Sono venuto in contatto con questo ufficio

tramite un tirocinio formativo in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino,

durante il quale sono stato in stretto contatto con l’utenza straniera ed ho potuto

osservare diverse tipologie di problematiche dei migranti e i diversi servizi offerti dall’

UPM. In questo capitolo finale della mia tesi ho intervistato gli operatori dei servizi

legati al lavoro e all’accoglienza in quanto testimoni qualificati dell’impatto della crisi

sugli stranieri. Ho scelto di non riportare per intero le interviste, ma di dividere le varie

risposte in base a domande principalmente incentrate sulle impressioni personali della

situazione che la crisi ha generato. Gli intervistati24 sono Alì un operatore addetto ai

contratti; Maria, operatrice pratiche assunzioni e licenziamento, Marcos operatore

ufficio lavoro industriale e annunci di lavoro; Patricia responsabile del sito e addetta al

punto informativo e accoglienza; Samuele operatore ufficio lavoro e pratiche borse

lavoro; Francesca, ufficio lavoro domestico. Esclusi Samuele e Francesca, gli altri

operatori intervistati sono tutti stranieri: Maria è colombiana, Patricia ed Marcos

peruviani e Alì è marocchino. Non ho intervistato tutti gli operatori dell’ufficio, ma una

buona parte di loro sono stranieri, in particolare quelli a contatto col pubblico. Mi

sembra importante sottolineare che questi operatori vivono una doppia realtà: da un lato 24

Per rispetto della privacy i nomi sono stati cambiati.

44

hanno a che fare con gli utenti stranieri come loro, dall’altra sono loro stessi immigrati,

con tutte le difficoltà connesse.

4.2 Interviste

Le interviste25 sono state introdotte chiedendo quali impressioni avessero

dell’attuale crisi e del mercato del lavoro avendo come riferimento il 2007, l’anno pre-

crisi:

Maria : Attualmente i lavoratori sono in crisi per via di questa congiuntura

economica negativa. Nei nuclei familiari riscontriamo molti casi di persone in cassa

integrazione o famiglie con un solo componente attivo nel mercato del lavoro. Negli

ultimi tempi stanno aumentando esponenzialmente le famiglie senza reddito che appena

possono fuggono in altri stati del Nord Europa o tornano al paese d’origine per far

fronte alle spese. Il rientro in patria riguarda soprattutto gli stranieri provenienti da paesi

considerati in via di sviluppo, che al loro ritorno trovano condizioni di maggiore

crescita e sviluppo e soprattutto molte più occasioni di lavoro rispetto all’Italia. Gli altri

stranieri tendono ad emigrare in Germania, Francia e Belgio, dove, oltre ad una migliore

situazione economica, trovano maggiore sostegno sociale. In Italia per far fronte alla

disoccupazione degli stranieri, viene erogato un sussidio della durata di otto mesi; in

Belgio se si dimostra che si sta effettivamente cercando un lavoro senza successo, viene

erogato un contributo senza scadenza predefinita. C’è giunta la notizia che in molti

chiedono questo sussidio dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana, semplificando così

le procedure di richiesta. In questi ultimi tempi in Belgio stanno cercando di ridurre

questo flusso per evitare eventuali disagi. Per quanto i migranti che rientrano in patria,

mi riferisco in particolare a peruviani, ecuadoregni e romeni. Per quanto riguarda gli

stranieri che invece emigrano nel Nord Europa, in particolare Francia e Belgio, sono

molto attivi in questi spostamenti i marocchini che in questi paesi spesso hanno legami

parentali che gli consentono di inserirsi.

In questa risposta di Maria è chiaro come alcuni immigrati usino la fuga come

strategia di adattamento, segno di una mancata politica di sostegno allo straniero. Le

impressioni degli altri operatori non hanno toni più ottimistici.

25 Esclusa l’intervista fatta a Patricia che è di marzo, le altre sono state fatte nel mese di giugno 2013.

45

Patricia: Gli immigrati da sempre si occupano di un settore lavorativo

generalmente terziario, in particolare gli uomini. Le donne invece lavorano nel settore

della cura della persona o come collaboratrici domestiche. In questo periodo di crisi,

quando c’è bisogno di un taglio del personale nelle ditte o aziende in crisi, gli stranieri

sono i soggetti più colpiti dai licenziamenti. Uno dei fattori più influenti sono i contratti

a tempo determinato, spesso stipulati attraverso le cooperative e le agenzie interinali. I

problemi ci sono anche per quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato perché

sono i primi ad entrare in cassa integrazione. Nel nostro ufficio è aumentata la richiesta

di compilazione del curriculum, in particolare negli ultimi due anni. Anche il lavoro

domestico è colpito dalla crisi, in quanto direttamente collegato all’occupazione degli

autoctoni che, perdendo il reddito, non possono più permettersi una collaboratrice

domestica o badante. Questa situazione porta ad una flessibilizzazione del mercato del

lavoro. Essendoci più lavoratrici disposte a lavorare, i datori di lavoro tendono a

diminuire lo stipendio, consapevoli che accetteranno l’offerta pur di lavorare. In questo

periodo, vista la ridotta paga oraria, sta aumentando la richiesta di lavori a tempo pieno,

con la conseguente perdita dei giorni liberi delle ferie. Spesso le ore contrattuali non

coincidono con le ore effettivamente pattuite tra i due contraenti e la lavoratrice è

costretta anche a turni massacranti. Si pattuiscono 20 ore, ma si lavora per 24. Questo è

innanzitutto un problema di welfare. Prima era il Comune che provvedeva al

sostenimento delle famiglie. Se la famiglia necessitava di cure per familiari non

autosufficienti venivano erogati dei fondi destinati all’assistenza delle persone

bisognose, oggi non sono più garantiti fondi per via della razionalizzazione dei costi

all’interno dei comuni che colpiscono in primo luogo i servizi sociali. Inoltre la crisi

colpisce in generale tutti, dalle grandi alle piccole aziende, dai più abbienti ai meno.

Non si può individuare un’attività più colpita. Attualmente solo il lavoro stagionale

continua senza molti freni, in particolare nel settore turistico e agricolo.

Patricia evidenzia una situazione di precarietà che è direttamente collegata ai tipi

di contratto stipulati, spesso part-time e non sempre ben retribuiti. Il tutto è aggravato

dalla situazione economica attuale. Non molto diversa è l’impressione di Marcos

sull’attuale congiuntura economica.

46

Marcos: Niente che non si sappia già. Forte disoccupazione, disagio sociale e

problematiche connesse. Essere stranieri significa essere in tutto e per tutto dei precari.

L’intensità della crisi è però talmente forte che in un certo senso la possiamo definire

“democratica” colpisce italiani e stranieri di qualsiasi ceto e classe.

Sempre riguardo alla situazione degli stranieri, le critiche continuano anche con

Alì:

Alì : La situazione è senz’altro peggiorata. La crisi ha colpito le fasce deboli

della popolazione. Ci risultano contratti sempre precari e a tempi determinati; si tende

sempre a offrire di meno e il lavoratore non può più contrattare. I settori che soffrono di

più sono l’edilizia, le fabbriche, le imprese di pulizia; però si nota sempre di più un

collegamento con le cooperative. Queste ultime stipulano contratti a ore zero, cioè

contratti a chiamata. Da un lato è un grande vantaggio per l’azienda, dall’altro è un

enorme svantaggio per il lavoratore che si ritrova per forza di cose in una situazione

precaria. Molte volte queste cooperative non sono obbligate ad assicurare prestazioni di

livello previdenziali e in tanti scoprono di non avere dei contributi versati all’INPS. In

tanti altri casi, pur di lavorare, si accetta di firmare il foglio di dimissioni prima

dell’assunzione. Inoltre con la crisi i licenziamenti sono facili, i fallimenti sono

all’ordine del giorno. La precarietà era stata già prima legalizzata dalle aziende e

cooperative che hanno fatto di tutto per indebolire i diritti dei lavoratori. Una normativa

che organizzasse il rapporto di lavoro con l’obiettivo di una crescita dell’occupazione

potrebbe aiutare a risollevare la situazione ed aiutare anche le piccole aziende ad

assumere. La legge deve avere il fine di far crescere tutti e deve far precisare i diritti e i

doveri di ciascuno. In un paese civile non dovrebbe essere possibile firmare le proprie

dimissioni prima di essere assunti. Una volta prima di essere licenziati era necessaria la

presenza di un funzionario dell’ufficio provinciale del lavoro che garantiva che il

lavoratore non fosse costretto a licenziarsi perché intimidito.

Alì sottolinea un problema nella gestione dei contratti e dei rapporti di lavoro

che rendono precario il lavoratore e più soggetto a sfruttamento da parte di cooperative

e datori di lavoro. L’altro responsabile dell’ufficio lavoro industriale, Samuele, pone in

evidenza un’ utenza non in linea con le richieste di mercato:

Samuele: Ho cominciato a lavorare nel centro a partire dal settembre 2009,

quindi non posso fare un confronto con il periodo pre-crisi, posso però dire che fino al

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dicembre 2011 c’era sì la crisi, ma c’era ancora la possibilità di collocare qualcuno, si

riusciva a far assumere una decina di persone presso alberghi, ristoranti, imprese di

pulizie e in fabbriche. Dopo il dicembre 2011 la crisi si è aggravata e molte aziende

hanno dovuto chiudere definitivamente l’attività e non hanno più assunto. Il tipo di

utente che viene da noi non ha fatto studi significativi e questo non aiuta la ricerca di un

lavoro. Il mercato del lavoro è orientato verso l’operaio specializzato, in particolare i

periti meccanici, i saldatori con diplomi italiani di 5 anni e possibilmente non troppo in

là con gli anni massimo 27/30 anni. Abbiamo molti candidati come operai generici, ma

come specializzati non abbiamo nessuno o se lo abbiamo riesce autonomamente a

trovare un’occupazione. Adesso stiamo cercando di far assumere con le borse lavoro,

ma non bastano a coprire le richieste.

Per quanto riguarda le nazionalità più investite dalla crisi le opinioni si dividono:

Francesca: Le persone che si rivolgono a noi sono per lo più donne straniere di

nazionalità prevalentemente nordafricana, sudamericana e comunitaria, in particolari tra

quest’ultime le donne romene. Per quanto riguarda il lavoro noi ci occupiamo di lavori

di cura e bassa professionalità, quest’ultimi incentivati con borse lavoro e strumenti di

sostegno. Noto che l’utenza è in continuo aumento ma il lavoro non procede di pari

passo. Questo perché in ambito di lavoro domestico non è presente un forte sistema di

welfare in grado di far fronte alla precarietà dell’assistente familiare, precarietà dovuta

anche alle condizioni degli assistiti che posso mancare in un arco di tempo

relativamente breve. Questa condizione tende a mettere le donne in una situazione di

estrema fragilità; d'altro canto lo strumento che c’è adesso per regolarizzare la

contrattualizzazione è il contratto collettivo nazionale del lavoro domestico

principalmente sviluppato su contratti di convivenza. Questo tipo di lavoro incide

tantissimo nella strutturazione di un progetto di vita. Spesso abbiamo a che fare con

donne sole ma che alle spalle hanno una famiglia da mantenere, in alcuni casi anche nel

paese natale. Possiamo dividere la categoria in due gruppi: nel primo abbiamo le donne

principalmente sudamericane che arrivano da sole e rimangono sole in Italia; nel

secondo troviamo donne dell’Africa centrale che portano con sé anche i loro figli.

Quest’ultime sono quelle che riscontrano maggiori difficoltà d’integrazione e

d’inserimento nel mondo del lavoro per ragioni molteplici.

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Continuando l’intervista Francesca ha espresso un’opinione riguardo le donne

nordafricane:

Francesca: Per loro la situazione è diversa, sono le donne marocchine che hanno

raggiunto i mariti. Il partner veniva prettamente per lavoro, magari era operaio da dieci

anni, adesso con la crisi i ruoli si sono invertiti: sono le donne che si fanno carico del

mantenimento economico, gli uomini invece si occupano delle attività domestiche.

Purtroppo la situazione si complica nel momento in cui queste donne non hanno una

formazione di base o sono state isolate per diversi motivi da un contesto lavorativo. La

mancanza di formazione e di esperienza incide pesantemente. Per evitare questi disagi

consigliamo a queste donne di colmare queste lacune formative con corsi professionali e

ancor prima con la terza media. In molti casi le donne africane possiedono un diploma o

una laurea, il problema è direttamente collegato con la burocrazia e il riconoscimento di

questi titoli che spesso e volentieri non avviene. Dipende anche da un fattore

linguistico: è chiaro che chi si laurea in letteratura araba non potrà insegnare italiano,

ma non si può nemmeno dire che i laureati in ingegneria riescano a far riconoscere il

loro titolo. A mio avviso il non riconoscimento di queste qualifiche è una delle pecche

del nostro sistema, non facciamo ricchezza di queste potenzialità ed è veramente

degradante vedere persone laureate lavorare come assistenti familiari. Nonostante ciò

riescono ad andare avanti con estrema dignità e forza, cosa che non sempre riscontro

negli italiani, dove manca questa capacità di reinventarsi. Quello che hanno in più

rispetto a chi non ha una qualifica è una capacità di adattamento superiore, quindi anche

se il lavoro non è in linea con le loro competenze, è stato comunque positivo per loro

continuare a studiare ed imparare, perché questo permette loro di affrontare con

maggiore consapevolezza la realtà che li circonda. Una persona istruita e formata ha più

possibilità di successo lavorativo e sociale.

Relativamente alle nazionalità più discriminate anche Samuele esprime la sua

opinione :

Samuele: In genere le persone di colore sono quelle che soffrono di più, non

vengono assunti facilmente come camerieri o cuochi o in lavori aperti al pubblico; a

seguire ci sono le donne islamiche che difficilmente vengono accettate dalle donne

anziane come assistenti familiari. Queste situazioni, tuttavia, sono preesistenti alla crisi.

In ogni caso il mercato è fermo ed attualmente non fa differenza la nazionalità. La

49

differenza essenziale in tema di nazionalità è che mentre per quanto riguarda i lavori di

operai o comunque lavori non aperti al pubblico, i datori di lavoro tendono a guardare di

più le qualifiche piuttosto che il colore della pelle o l’etnia, nei lavori a contatto con gli

italiani, in particolare badanti e colf, è difficile che qualcuno si metta in casa uno

sconosciuto così diverso culturalmente. L’altro grande problema è la lingua che può

diventare un forte fattore di discriminazione. Non basta parlare a stento l’italiano.

Studiare è importante e lo consiglio fortemente ai giovani.

Riguardo alla discriminazione per nazionalità di opinione diversa sono Patricia ed

Marcos:

Patricia: Ultimamente non c’è questa discriminazione. Una volta si preferivano

lavoratrici romene alle arabe o alle africane, adesso si punta al miglior offerente.

Marcos: Non a mio avviso. Trovo che sia più discriminante l’istruzione ed il

livello di conoscenza dell’italiano. Diciamo che nel momento che si supera la barriera

linguistica il livello di esclusione si abbassa e apre nuove porte allo straniero. Anche

parlando di un confronto tra un romeno e un marocchino con le stesse qualifiche, non è

scontato che si scelga il romeno: la vera differenza è tra chi ha preso una qualifica in

Italia e chi no. Una volta faceva differenza l’esperienza acquisita, ancora adesso conta,

ma chi ha una qualifica in Italia tante volte non ha l’esperienza e chi ce l’ha è troppo

vecchio e ha una qualifica non italiana.

Anche Maria esprime un parere simile:

Maria: A mio avviso la crisi investe tutti, dall’italiano al nigeriano. Rimane

l’incertezza anche per chi ha un lavoro e soprattutto per chi non è avanti con l’età. Tanti

giovani adesso fanno richiesta di tirocini, in parte per formarsi e in parte perché alcuni

sono remunerati, anche se in misura modesta.

In precedenza l’intervista di Alì evidenziava la posizione degli stranieri soci-

lavoratori, le cooperative e le false partite iva. Ecco cosa è emerso continuando il

discorso:

Alì: In generale i soci lavoratori stranieri sono cresciuti dal 2007 in modo

esponenziale perché tante aziende sono fallite e in molti - anche professionalizzati- sono

andati a lavorare in cooperative che tante volte erano una delle poche speranze di

50

regolarizzazione. Abbiamo anche notato che molti stranieri hanno cercato di mettersi in

proprio pur di rimanere in Italia, in tanti hanno aperto partite iva non consapevoli dei

costi che avrebbero dovuto pagare. Se tre o quattro anni fa sembravano aumentati gli

occupati stranieri, in realtà era un numero gonfiato perché in tanti avevano aperto false

partite iva. Nessuno controlla i requisiti delle partite iva, c’è bisogno di più controllo e

anche di più informazione. Come dicevo all’inizio il bisogno di rinnovo di permesso è

fortemente legato al fenomeno delle finte partite iva. Bisognerebbe non costringere gli

stranieri a fare qualsiasi cosa; lo Stato in un periodo di crisi dovrebbe semplificare le

procedure. Continuando a far pressione sugli stranieri si appesantisce il problema e non

ci guadagna nessuno. Di tanto in tanto sentiamo parlare di sanatorie. Quella del 2012

richiedeva tra i requisiti di accesso il pagamento di 1000 euro più tre mensilità di

contributi INPS in anticipo. Chi poteva realmente permetterselo? Adesso stanno

verificando e stanno uscendo fuori tanti contratti falsi, si scopre che questa sanatoria ha

dato luogo a tante truffe e ha un alto costo per lo straniero e lo Stato. Le false partite iva,

i finti rapporti di lavoro e i contratti con cooperative sono tra i maggiori responsabili

della precarietà degli stranieri.

Anche Maria in proposito ha espresso un’opinione:

Maria : Ho avuto a che fare con molte false partite iva e falsi rapporti di lavoro.

In tanti stipulano questi contratti solo per poter ottenere il permesso non consapevoli

degli alti costi e rischi. Tempo fa un signore italiano, di cui non dirò il nome, era venuto

a chiudere cinque rapporti di lavori fatti da lui, quattro fatti dalla figlia e mi aveva

chiesto se c’erano degli utenti che avevano bisogno di rinnovare il permesso. Quindi

indirettamente mi aveva chiesto se c’era qualcuno disposto a pagare per ottenere un

permesso di soggiorno. Per fortuna è stato beccato dalla polizia ed ora sta chiudendo

tutto. Comunque in generale i falsi contratti vengono il più delle volte stipulati tra

parenti e connazionali e raramente sono richiesti soldi.

51

Durante l’intervista è uscita fuori la domanda riguardante le nazionalità che più

aprono partite iva:

Maria : Ho in genere più a che fare con donne e per quanto riguarda le partite iva

noto tante africane che si sentono più sicure ad aprire una partita iva piuttosto che farsi

assumere tra connazionali. Ho avuto casi d’indebitamento fino a 30.000 euro e in molte

non potevano permettersi gli 800 euro necessari alla chiusura, quindi il debito continua

a crescere e parliamo di circa 1800 euro da versare all’INPS obbligatoriamente più una

percentuale sull’attività, se eventualmente hanno avuto ricavi. In ogni caso sono donne

che non hanno nulla da farsi pignorare e non temono grandi conseguenze.

Riguardo invece i socio-lavoratori:

Maria: Sono aumentati e lavorano in condizioni di precarietà. In parte vengono

pagati in nero; altri vengono lasciati a casa e non possono chiedere il sussidio di

disoccupazione perché hanno un rapporto di lavoro aperto; in alcuni casi le cooperative

non pagano la parte del contributo per il sussidio di disoccupazione. Rischiano di

rimanere senza lavoro e senza aiuto. Per quanto riguarda il settore, ne noto molti nel

settore delle pulizie e come operai. Sono persone che lavorano 12 ore al giorno, ma

vengono dichiarate part-time. Mensilmente riescono a guadagnare intorno agli 800 euro.

C’è ancora una categoria che forse è la più colpita: i corrieri e i fattorini. Molte volte

sento che le spese effettive, tra carburante e mantenimento personale, sono superiori al

compenso pattuito. In un certo senso vengono “derubati” dalle cooperative.

Una delle domande che ho posto durante le interviste riguardava i cambiamenti

nei servizi erogati dall’ufficio e i nuovi tipi di richiesta:

Maria : Le pratiche come tipologia sono sostanzialmente le stesse, ho molto più

richieste di ASPI26 e di sostegno al reddito in generale perché di questi tempi è l’unica

soluzione per poter andare avanti.

26 Indennità di disoccupazione INPS.

52

In periodi di crisi è normale che aumentino le richieste di sostegno al reddito,

soprattutto se si perde il lavoro. Altre pratiche richieste sono quelle relative ai permessi

di soggiorno:

Patricia: l’affluenza è rimasta invariata, perché in molti rinnovano il permesso

in attesa di occupazione, però in molti se ne vanno, cercano lavoro in altri paesi o in

quello d'origine e ritornano quando sta per scadere per rinnovarlo, sempre che riescano,

ovviamente. Il problema è che negli ultimi anni ci sono stati molti ricongiungimenti

familiari e non ci sono purtroppo più appoggi da parte dei parenti o da parte delle

istituzioni. Manca il sostegno pubblico, a volte piccoli enti privati compensano le

mancanze dello Stato. Aumentano anche le richieste di prestito e quando i debitori non

posso più pagare per via della perdita del lavoro, allora scappano e tornano nel loro

Paese per evitare i debiti. Gli sfratti sono cresciuti in maniera esponenziale in questi

ultimi due anni. Prima i casi di sfratto per termine di contratto riguardavano due o tre

utenti, ora sono dieci o dodici utenti e non possiamo aiutarli. In tanti ci chiedono aiuto

per far domanda di emergenza abitativa ma non tutti possiedono i requisiti. In tanti sono

finiti per strada per via degli sfratti, le famiglie si separano: gli uomini da una parte e le

donne dall’altra cercando di convivere con altri connazionali in condizione disagevoli.

Solo negli ultimi due anni sono aumentati in modo incontrollabile, mentre prima la

situazione era gestibile. Per quanto riguarda la richiesta di altri servizi, una volta c’era

molta richiesta di lavoro domestico e si poteva dare una risposta in giornata riguardo

alle offerte di lavoro, adesso occorre iscriversi in liste di attesa e aspettare almeno due

mesi per un primo appuntamento perché in tanti fanno domanda ma ci sono pochi posti

disponibili. Stiamo facendo anche molti più curriculum: siamo passati da 4 giornalieri a

12 al mattino e 12 al pomeriggio; dobbiamo anche orientarli in altri luoghi per la

ricerca del lavoro perché non riceviamo più direttamente le richieste dai datori.

Riguardo alle cittadinanze abbiamo avuto sempre poche richieste ed è facile capire il

perché, viste le difficoltà burocratiche. In più devono aver lavorato tre anni

consecutivamente: chi può permetterselo ora? Per quanto riguarda la situazione

dell’ufficio in generale, il numero di operatori è rimasto invariato e il nostro lavoro sta

diventando sempre più difficile da svolgere.

Nel settore lavoro industriale si occupano anche della compilazione di

curriculum e di annunci di lavoro:

53

Marcos: La figura dell’operaio generico è praticamente scomparsa. Quello che

viene richiesto è l’operaio altamente qualificato. C’è talmente tanta offerta come

operaio generico che non c’è nemmeno bisogno di inserire un annuncio. Il mercato del

lavoro però non sempre premia l’impegno. Premia chi ha studiato e si è formato nel

posto giusto al momento giusto. Chi si diploma ora è perduto: che cosa può fare? La

soluzione è legata all’economia, se si riprende tutto si risolve. È una situazione che non

dipende dall’individuo in sé, non c’è una via sicura. Ovviamente devono valutare la

situazione prima di investire nel proprio futuro. Lo studio è sempre un’alternativa; la

lingua, un tirocinio sono investimenti a basso rischio, piuttosto che stare a casa a far

niente è meglio formarsi.

Lo studio in questi periodi è consigliato da tutti gli operatori, in particolare il

perfezionamento dell’italiano. Parlando di cambiamenti nei curriculum:

Marcos: Non sono cambiati molto, è cambiato l’approccio del datore di lavoro

che non assume più senza un curriculum valido. Una volta bastava scrivere “operaio

generico” adesso serve più cura nello scrivere un curriculum. Spesso mi capitano

persone che mi dicono “ho fatto tutto, so fare di tutto” e che magari si presentano come

saldatori che sanno fare qualsiasi tipo di saldatura, senza saperne nominare una.

Verso il finire delle interviste chiedevo se avessero notato tipologie di

adattamento diverse dalla emigrazione in altri paesi o al ritorno in patria:

Samuele: In tanti provano a mettersi in proprio, soprattutto chi è più avanti con

l’età e non riesce a farsi assumere come dipendente. A volte l’unica strada è un’attività

possibilmente innovativa e originale. In tanti cercano di importare prodotti del loro

paese e cercano di commercializzarli, molte volte ingenuamente pensano che sia

semplice imbattersi in un progetto del genere. Purtroppo non contano i costi e i rischi e

non sanno che cosa li aspetta. Il problema è che i nostri utenti non hanno abbastanza

competenze, i giovani non conoscono le lingue straniere e non sono intraprendenti come

i pionieri. Questo è un grosso freno perché sono abituati a trovare tutto fatto e non si

rendono conto che il lavoro fisso garantito è un sogno oggigiorno. Questa mancanza

d’intraprendenza non è giustificabile nei giovani: non vogliono uscire, non vogliono

54

studiare, manca la voglia di lottare. Chi non è intraprendente è condannato a morte, chi

è giovane deve essere pronto a cogliere le opportunità.

Altri operatori hanno sottolineato l’importanza della solidarietà tra connazionali:

Francesca: Ho notato una tendenza allo sviluppo di micro-solidarietà all’interno

di comunità di stranieri. Spesso c’è un aiuto tra connazionali. Queste notizie mi

giungono sotto forma di racconto da parte di donne africane, in particolare madri

nigeriane con bambini. Quest’ultime tendono ad andare a coabitare con altre

connazionali che le sostengono provvisoriamente garantendo loro un tetto sulla testa.

Questa condizione genera conflitti durante la convivenza ed è difficile che il sostegno

duri a lungo. Nonostante tutte le problematiche legate alla coabitazione, ritengo che

questo sia un fenomeno positivo.

Il ruolo delle associazioni e comunità sta perdendo importanza in questi anni:

Maria: Oltre alle grandi fabbriche anche i centri e le associazioni stanno

chiudendo perché non ci sono più fondi. Riescono ad andare avanti con eventi, ma

niente che li possa concretamente sostenere.

L’ultima domanda riguardava le loro impressioni sul futuro degli immigrati:

Samuele: Non mi affiderei troppo sull’economia futura, non mi sembra ci siano

molti sforzi per arrivare ad un risultato. Non vedo una buona prospettiva, c’è molta

sfiducia, non ci sono politiche per uscire dalla crisi. Si dice che migliorerà e che bisogna

aspettare. Sperare che le cose cambino senza fare nulla non è saggio. Bisognerebbe

mentre si è disoccupati informarsi e istruirsi nell’attesa di un’occupazione, stare fermi

non porta a nulla. Una persona che ha un minimo di volontà si preoccupa del futuro,

purtroppo molti nostri utenti studiano ma non con zelo, si informano alla Caritas

Migrantes, lasciano mille curriculum ma senza un criterio, non si presentano bene ai

colloqui. Manca una responsabilizzazione e manca la grinta. Per ora non me la sento di

essere troppo ottimista a riguardo.

Non c’è per Samuele una vera e propria soluzione, ma è una semplice questione

di adattamento. Per Marcos invece non dipenderà dagli stranieri:

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Marcos: Il futuro non dipende dagli stranieri, dipende dagli italiani. La comunità

italiana sta invecchiando e la comunità straniera sta prendendo piede. I datori di lavoro

non possono più fare a meno degli stranieri. In futuro ci saranno problemi

d’integrazione molto più grandi di adesso. In questo periodo personalmente sento meno

razzismo, non si dà più così tanto la colpa allo straniero, ma ci si riconosce quando si

vede un altro essere umano in difficoltà.

Una parte della colpa va anche allo scarso supporto delle istituzioni:

Maria : C’è un interesse da parte dello Stato ma se non arrivano soldi ai Comuni

il Paese non riesce a ripartire. Manca probabilmente una voce forte, i soldi se ci sono

vanno alle grandi aziende e non ai più piccoli.

Nemmeno Alì se la sente di essere ottimista in tal proposito:

Alì : In genere sono ottimista, ma quando si vedono grosse aziende fallire, grossi capitali

spostati è difficile essere ottimista per i più deboli, non vedo un futuro roseo davanti a

noi.

Patricia pensa alle conseguenze della crisi e al futuro delle donne che sono tra le

vittime più vulnerabili:

Patricia: Mi preoccupo molto per le donne sole, in particolare quelle dell’Est e

dell’America latina che non riescono più a sostenere se stesse e la famiglia in patria.

Perdendo il lavoro cadono in depressione e cadono nella trappola della

tossicodipendenza e dell’alcolismo. Sono spinte a fare qualsiasi cosa, anche la più

umiliante. Non c’è una struttura o associazione che le sostenga; una volta c’erano

piccole associazioni adesso sono chiuse per mancanza di fondi. Manca un sostegno

economico e soprattutto psicologico. La crisi non si fermerà in uno o due anni, non

siamo ancora arrivati al culmine. Né l’Europa né gli Stati Uniti stanno facendo una

politica d’investimento, l’unica politica è il saldamento dei debiti e come si paga?

Togliendo a quelli che possono, i lavoratori, le aziende. Non pensano che per uscire

dalla crisi ci sia il bisogno di far ripartire l’economia. Questo ci porterà sull’orlo del

baratro.

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L’unica operatrice che sembra avere un po’ più di speranza è Francesca:

Francesca: I ragazzi e giovani sono portatori di speranza, spesso sono nati qui e

proprio in questo momento si sta aprendo un dibattito che si sta facendo sempre più

forte. Mi riferisco alla questione della cittadinanza ius soli per i figli di stranieri nati sul

territorio italiano che prima o poi dovrà essere affrontata dalle istituzioni: non posso più

permettersi di metterla da parte. Il nostro Paese offre scarse possibilità di prospettiva e

di stabilità, gli stessi italiani sono in difficoltà e quindi questa situazione inciderà sui

rientri dei minori, ciò a mio avviso è estremamente pericoloso. Non è facile affrontare

un nuovo contesto dopo essere nato e cresciuto in un altro totalmente diverso. La

speranza sono le scuole, sono i ragazzi che stanno crescendo insieme e stanno

affrontando un futuro sempre più avverso. Il rischio è che la situazione diventi come

quella delle banlieu francesi. Speriamo non si arrivi a tanto.

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Considerazioni finali

Come abbiamo visto, la crisi ha avuto diversi effetti sulle migrazioni. Questo

lavoro, dopo aver cercato di chiarire il problema a livello generale, ha essenzialmente

individuato altri tre livelli di analisi: nazionale, regionale e urbano. Le ricadute negative

della crisi sono emerse in tutti e tre livelli, ma su diversa scala. Questa dissertazione non

propone delle strategie di uscita dalla crisi e non pretende nemmeno di essere esaustiva.

Il suo intento è stato quello di affrontare una problematica osservata a livello urbano,

partendo da un livello macro e arrivando ad un livello di analisi micro. Chi fosse

interessato alla tematica non può fermarsi solo a questo elaborato, la realtà è ben più

vasta di quanto i nostri occhi possano vedere. La speranza è che si avviino ricerche e

studi che offrano indicazioni in chiave di politiche di welfare e che possano contribuire

a un miglioramento dei servizi per gli immigrati. In tal modo potranno essere

approfondite le criticità delle politiche di gestione dei problemi degli stranieri. Finora si

è dato per scontato che i problemi degli altri non sono i nostri problemi; la

globalizzazione ha ricadute su tutti e questa crisi ne è la prova: non possiamo più far

finta c1he i deboli non esistano. Questa crisi non è solo finanziaria, ma prima di tutto

morale. Lo sfruttamento dei più vulnerabili, la speculazione indiscriminata e la

diffidenza verso una vera integrazione hanno costi più alti dei benefici. La crisi

economica non ha alla sua base un solo fattore scatenante, ma è un insieme di

congiunture negative interdipendenti. Come abbiamo visto in precedenza, esse sono di

diversa natura e il problema non ha un solo punto centrale. Sperare che la situazione si

risollevi in poco tempo è una speranza ingenua su cui sempre meno persone fanno

affidamento. La Storia ha visto tempi ben più duri, ma si è sempre nonostante tutto,

andati avanti. Quello che manca rispetto al passato è la voglia di ricominciare.

L’intraprendenza e la voglia di reinventarsi sono necessarie perché la situazione

migliori. Le condizioni degli stranieri dipendono innanzitutto dalle condizioni degli

autoctoni. La ricrescita non può essere delegata a poche persone, ma sarà il risultato di

una volontà collettiva ben più ampia.

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Voglio essere ottimista concludendo con uno dei discorsi più celebri di una

delle più grandi menti che la storia abbia mai avuto:

”Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo. La crisi è la miglior cosa che possa accadere a persone e interi paesi perché è proprio la crisi a portare il progresso. La creatività nasce dall'ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce le sue sconfitte e i suoi errori alla crisi, violenta il proprio talento e rispetta più i problemi che le soluzioni. La vera crisi è la crisi dell'incompetenza. Lo sbaglio delle persone e dei paesi è la pigrizia nel trovare soluzioni. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. È nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora perché senza crisi qualsiasi vento è una carezza. Parlare di crisi è creare movimento; adagiarsi su di essa vuol dire esaltare il conformismo. Invece di questo, lavoriamo duro! L'unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla.”

Albert Einstein (1879-1955) 27

27 Discorso reperibile in: http://www.casaledellenoci.it/content/upload/Crisi%20secondo%20Einstein.pdf

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