Tesi di Master - mapp.formazione.corep.it · Mario Perosino Settore Programmazione in materia di...

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Master in analisi delle politiche pubbliche (Mapp) COREP Corso Trento 13, 10128 Torino – Tel. 011.197 03 730 – Fax 011.564 51 10 E-mail: [email protected] 7ª edizione: 2005-2006 Tesi di Master Serena Corniglia Il decentramento amministrativo nell’attuazione del Piano di sviluppo rurale 2000-2006 della Regione Piemonte Sottoposta a: Dott. Mario Perosino Settore Programmazione in materia di agricoltura Direzione Programmazione e valorizzazione dell’agricoltura – Regione Piemonte Corso Stati Uniti 21, Torino - Tel. 011 4324369 Tutor interno: Dott. Luca Milanetto Torino, gennaio 2007

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Master in analisi delle politiche pubbliche (Mapp) COREP Corso Trento 13, 10128 Torino – Tel. 011.197 03 730 – Fax 011.564 51 10

E-mail: [email protected]

7ª edizione: 2005-2006

Tesi di Master

Serena Corniglia

Il decentramento amministrativo nell’attuazione del Piano di sviluppo rurale 2000-2006 della Regione Piemonte

Sottoposta a:

Dott. Mario Perosino Settore Programmazione in materia di agricoltura

Direzione Programmazione e valorizzazione dell’agricoltura – Regione Piemonte Corso Stati Uniti 21, Torino - Tel. 011 4324369

Tutor interno: Dott. Luca Milanetto

Torino, gennaio 2007

Indice

Sintesi 2

Premessa 4

1. Il contesto del decentramento 6

1.1. Il decentramento amministrativo 6

1.2. La programmazione dello sviluppo rurale 6

2. Nodi critici evidenziati dalla ricerca 8

3. La legge n. 17/1999 9

3.1 Caratteristiche della legge 9

3.2. Enti delegati e sovrapposizione delle competenze 10

4. Ruolo delle province nella gestione dei bandi PSR 13

4.1.Lo spazio di autonomia delle province 13

4.2. L’omogeneità dell’azione delle province 15

4.3. Il problema delle comunità montane 16

4.5. PSR 2007-2013: cosa cambia 17

5. Ruolo delle organizzazioni professionali agricole 20

5.1. Il coinvolgimento delle organizzazioni professionali 20

5.1.1. Il comitato ex articolo 8 21

5.2. Centri di assistenza agricola e sussidiarietà orizzontale 22

5.3. Aspettative PSR 2007-2013 23

6. Le due province campione 25

6.1. La Provincia di Torino 25

6.2. La Provincia di Cuneo 26

Conclusioni 28

Bibliografia 30

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Sintesi La Regione Piemonte ha espresso, a distanza di sei anni dall’avvio del processo di decentramento amministrativo in materia di agricoltura, l’esigenza di ricostruire un quadro delle problematiche ancora esistenti nell’ambito delle deleghe alle province per l’attuazione del Piano di sviluppo rurale (PSR). Con questo lavoro, quindi, si intende indagare la distribuzione delle competenze fra la regione e gli enti delegati, data a livello formale dalle leggi sul decentramento delle funzioni amministrative, e si mira a definire lo spazio di autonomia delle singole province. L’analisi cerca inoltre di determinare il grado e le modalità di coinvolgimento delle organizzazioni professionali agricole. Il lavoro infine individua alcuni nodi critici del processo che ancora non sono stati risolti. Per realizzare questa ricerca si è proceduto, inizialmente, ad un’analisi del quadro istituzionale di riferimento, condotta attraverso l’esame delle norme a livello comunitario, nazionale e regionale relative al decentramento in materia di agricoltura e con un confronto con leggi di decentramento emanate da altre regioni italiane. È stato studiato il Piano di sviluppo rurale 2000-2006 della Regione Piemonte, il Documento strategico regionale, contenente le linee di indirizzo generale per la predisposizione del Programma di sviluppo rurale 2007-2013 e la bozza del Programma per il periodo 2007-2013. È stato poi ricostruito il sistema di decentramento relativo all’attuazione di detto Piano di sviluppo rurale e, in tale ambito, sono stati analizzati i bandi emessi dalle province. Per meglio comprendere le difficoltà ancora presenti nell’attuazione del decentramento, inoltre, si è scelto di condurre la ricerca focalizzando l’attenzione sulla realtà di due province campione, quella di Torino e quella di Cuneo. Successivamente, sono state realizzate delle interviste a testimoni privilegiati, appartenenti all’Assessorato all’agricoltura della Regione Piemonte, al Servizio Agricoltura delle Province di Torino e di Cuneo e alle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative, sia a livello regionale che provinciale, e ad alcuni consulenti esterni. La ricerca si è concentrata, in particolare, sui seguenti argomenti: - l’attuale legge sul decentramento amministrativo in materia di agricoltura; - l’autonomia delle province e delle comunità montane nella gestione dei bandi per il PSR; - il ruolo delle organizzazioni professionali agricole. Il lavoro svolto ha evidenziato che uno dei nodi maggiormente critici è rappresentato dalla legge regionale n. 17/1999 sul decentramento in materia di agricoltura. La sua formulazione e il suo contenuto danno origini a conflitti ed a sovrapposizioni di competenze. Le alternative che si prospettano sono di due tipi. Da una parte si può scegliere, ed è ciò che è stato fatto finora, di non intervenire sul testo della legge, lasciando invariata la situazione. La seconda opzione, invece, consisterebbe in una modifica della legge, che prendesse atto delle difficoltà incontrate finora e che cercasse, anche nel confronto con le scelte effettuate da altre regioni, delle soluzioni ottimali di gestione del decentramento. Nel corso dell’analisi, è stato evidenziato che un elemento molto controverso del decentramento relativo al PSR è legato all’esistenza di bandi, diversi fra loro, emanati dalle province e dalle comunità montane. Questa eterogeneità è positiva per coloro che vi vedono la possibilità di prendere maggiormente in considerazione le problematiche locali del territorio. Altri, al contrario,

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ritengono che la diversificazione non sia corretta, poiché può causare disparità non giustificate fra i beneficiari. In questo contesto una prima soluzione consisterebbe in un ritorno a bandi esclusivamente regionali, in cui la regione ne definisca sia il contenuto sia l’iter amministrativo: gli enti delegati, province e comunità montane, si occuperebbero solo della gestione dell’istruttoria, con un’evidente riduzione della loro l’autonomia. La seconda possibilità, all’opposto, sarebbe la concessione, agli enti delegati, di un’ampia autonomia decisionale, pur sempre nel rispetto delle strategie contenute nel PSR. Tale soluzione amplificherebbe forse le critiche relative all’eterogeneità dei trattamenti, ma consentirebbe, se gli enti delegati fossero in grado di assumersi questa responsabilità, una reale attenzione alle esigenze del territorio. La terza opzione, di compromesso, potrebbe prevedere che la regione stabilisca le procedure gestionali valide per tutti i bandi. Le province e le comunità montane avrebbero così la possibilità di esercitare un certo margine di autonomia nella definizione dei dettagli dei bandi e i beneficiari finali avrebbero la garanzia di procedimenti uniformi, in cui il numero e la tipologia dei documenti da presentare e l’iter da seguire siano gli stessi. Per quanto riguarda gli enti delegati, la ricerca ha evidenziato come spesso siano sorti dei problemi in relazione alla gestione del PSR da parte delle comunità montane. È emerso, infatti, che alcune di esse mancano degli strumenti e delle risorse, finanziarie e umane, necessarie a garantire una corretta attuazione del PSR. Potrebbe essere utile, in futuro, realizzare un’indagine incentrata sull’azione delle comunità montane e sulle criticità che esse devono affrontare. Con dati specifici sarà possibile individuare le soluzioni più efficaci ed efficienti al problema: è ammissibile, infatti, che non vi sia un unico sistema attuabile, ma che, a seconda dei singoli contesti, sia preferibile prevedere un processo di accompagnamento e creazione di strumenti, piuttosto che incentivare la conclusione di accordi fra comunità montane o ancora la stipulazione di protocolli di intesa con le rispettive province di appartenenza. Per quanto riguarda le organizzazioni professionali agricole, sembra che gli enti pubblici abbiano già scelto la strada del dialogo e del confronto e si può affermare che sia la decisione da perseguire. È importante, inoltre, approfittare della sede di discussione offerta dal Comitato creato sulla base dell’articolo 8 della legge n. 17/1999. Nel corso dell’analisi, infine, è stato rilevato un contrasto di opinioni relativamente alla visione della sussidiarietà orizzontale e al futuro ruolo dei Centri di assistenza agricola (CAA). È ipotizzabile che la soluzione migliore preveda che i CAA possano svolgere attività di assistenza procedimentale per conto degli enti pubblici ma non si occupino della determinazione dell’ammissibilità delle domande presentate. In conclusione, gettando uno sguardo sul futuro periodo di programmazione 2007-2013, è evidente che il sistema di governance del Programma di sviluppo rurale sarà ampliato e richiederà un maggior sforzo di collaborazione fra gli attori coinvolti. Dovrà crescere infatti il livello di coordinamento fra gli interventi attuati dai diversi enti pubblici e si dovrà porre attenzione alla coerenza e all’interdipendenza delle azioni intraprese dai singoli attori, nella prospettiva di raggiungere un reale obiettivo di sviluppo rurale e locale.

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Premessa La Regione Piemonte ha dato avvio al processo di decentramento amministrativo in materia di agricoltura con la legge regionale n. 17 dell’8 luglio 1999. Dal 2000, inoltre, è in vigore il Piano di sviluppo rurale (PSR) 2000-2006, programmato dalla regione e gestito, per alcune misure, dalle province e dalle comunità montane. A distanza di sei anni, il presente lavoro si pone come obiettivo di ricostruire un quadro delle problematiche ancora esistenti nell’ambito delle deleghe alle province per l’attuazione del PSR. In particolare, si intende indagare i rapporti che intercorrono fra la regione e gli enti delegati: l’attenzione sarà rivolta a comprendere la distribuzione delle competenze, data a livello formale dalle leggi sul decentramento delle funzioni amministrative, e si mirerà a definire lo spazio di autonomia delle singole province. L’analisi cerca inoltre di determinare il grado e le modalità di coinvolgimento delle organizzazioni professionali agricole. Il lavoro infine individua alcuni nodi critici del processo che ancora non sono stati risolti. Per realizzare questa ricerca si è proceduto, inizialmente, ad un’analisi del quadro istituzionale di riferimento, condotta attraverso l’esame delle norme a livello comunitario, nazionale e regionale relative al decentramento in materia di agricoltura e al sostegno allo sviluppo rurale. Per quanto riguarda la legge di decentramento della Regione Piemonte, inoltre, è stato attuato un confronto con le corrispondenti leggi di altre regioni, in particolare dell’Emilia-Romagna, della Lombardia e del Lazio. È stato studiato il Piano di sviluppo rurale 2000-2006 della Regione Piemonte, il Documento Strategico Regionale, contenente le linee di indirizzo generale per la predisposizione del Programma di sviluppo rurale 2007-2013 e la bozza del Programma per il periodo 2007-2013. È stato poi ricostruito il sistema di decentramento relativo all’attuazione di detto Piano di sviluppo rurale 2000-2006 e, in tale ambito, sono stati analizzati i bandi emessi dalle province. Per meglio comprendere le difficoltà ancora presenti nell’attuazione del decentramento, si è scelto di condurre la ricerca focalizzando l’attenzione e svolgendo un’indagine approfondita sulla realtà di due province campione, quella di Torino e quella di Cuneo. Il criterio utilizzato per selezionarle è stato il volume dei trasferimenti ricevuti: queste, infatti, sono le province che ne ottengono in misura maggiore. Successivamente, sono state realizzate delle interviste a testimoni privilegiati, appartenenti all’Assessorato all’agricoltura della Regione Piemonte e al Servizio Agricoltura delle Province di Torino e di Cuneo, e ad alcuni consulenti esterni. Si è scelto, inoltre, di incontrare dei soggetti appartenenti alle organizzazioni professionali agricole maggiormente presenti sul territorio regionale. In primo luogo, sono stati interpellati i rappresentanti regionali della - Federazione Regionale Coltivatori Diretti del Piemonte (Coldiretti), - Federazione Regionale degli Agricoltori del Piemonte (Confagricoltura), - Confederazione Italiana Agricoltori del Piemonte (Cia).

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In secondo luogo, le interviste sono state estese anche ad alcuni soggetti delle delegazioni provinciali di tali organizzazioni: questa scelta è motivata dal fatto che, con il decentramento amministrativo alle province, le sedi provinciali hanno assunto un ruolo differente, dovendosi rapportare con gli enti delegati su nuovi temi. In particolare, hanno collaborato - per la Regione Piemonte

› Massimo Clerico, › Mario Perosino, › Susanna Torasso;

- per il Servizio Agricoltura della Provincia di Torino › Antonio Parrini, › Elena Di Bella;

- per il Servizio Agricoltura della Provincia di Cuneo › Salvatore Pirriatore;

- per la Federazione Regionale Coltivatori Diretti del Piemonte, sede regionale › Giovanni Girò;

- per la Federazione Regionale degli Agricoltori del Piemonte, sede regionale › Giovanni Demichelis;

- per la Confederazione Italiana Agricoltori del Piemonte, sede regionale › Roberto Ercole;

- per la Federazione Regionale Coltivatori Diretti del Piemonte, sede provinciale di Cuneo › Lauro Pelazza, › Livio Minero;

- per la Federazione Regionale degli Agricoltori del Piemonte, sede provinciale di Torino › Ercole Zuccaro;

- per la Confederazione Italiana Agricoltori del Piemonte, sede provinciale di Cuneo › Valentina Masante;

- Stefano Aimone, ricercatore per IRES Piemonte; - Leopoldo Cassibba, ex funzionario della Regione Piemonte.

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1. Il contesto del decentramento Questa ricerca si sviluppa in un contesto caratterizzato da due elementi fondamentali. Il primo è il decentramento delle funzioni amministrative in materia di agricoltura. Il secondo fattore corrisponde alla presenza di un Piano di sviluppo rurale, la cui gestione è affidata in parte alla regione e in parte a province e comunità montane. 1.1. Il decentramento delle funzioni amministrative in materia di agricoltura. Il decentramento amministrativo è stato avviato a seguito della riforma introdotta dalla legge sulla “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”1 e dai successivi decreti legislativi. La Regione Piemonte ha dato attuazione a tale disposizione normativa con la legge n. 34 del 20 novembre 1998 (“Riordino delle funzioni e dei compiti amministrativi della Regione e degli enti locali”) e, per quanto riguarda la materia agricoltura, con la successiva legge n. 17 dell’8 luglio 1999 (“Riordino dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di agricoltura, alimentazione, sviluppo rurale, caccia e pesca”). Attualmente tutte le funzioni previste dalla legge n. 17/1999 sono state conferite agli enti delegati, che hanno assorbito nel loro organico il personale degli uffici regionali decentrati a livello provinciale, che svolgevano parte di detti compiti. La legge n. 17/1999 introduce inoltre, come momento di raccordo, un Comitato, costituito dall’Assessore regionale all’agricoltura, dai Presidenti delle province e dai rappresentanti delle associazioni di categoria agricole. Detto “tavolo verde” deve essere istituito, secondo il dettato legislativo, anche a livello provinciale. Per quanto riguarda il riparto dei fondi, esso è effettuato dalla Giunta regionale, «distintamente per ogni intervento, sulla base di criteri e parametri oggettivi»2; esso tiene conto del grado di utilizzo delle disponibilità assegnate negli anni precedenti e, sulla base di esso, le province provvedono a formulare programmi operativi annuali. 1.2. La programmazione dello sviluppo rurale Il conferimento delle funzioni amministrative è coinciso con l’avvio dell’attuazione del Piano di sviluppo rurale 2000-2006. Il PSR è un documento, previsto da un regolamento dell’Unione Europea3, in cui sono inseriti gli strumenti per realizzare obiettivi di sviluppo rurale. Gli interventi contenuti in esso sono finanziati dalla sezione Garanzia del FEOGA.

1 L. n. 59 del 15 marzo 1997. 2 Art. 10 l.r. n. 17/1999. 3 Regolamento (CE) n. 1257/1999 del 17 maggio 1999 del Consiglio, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) che modifica ed abroga taluni regolamenti.

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Il PSR, infatti, è un programma, elaborato dalla regione, che comprende: - una descrizione della situazione attuale, indicante le disparità, le carenze e il potenziale di

sviluppo, le risorse finanziarie impiegate e i principali risultati delle azioni intraprese nel precedente periodo di programmazione;

- una descrizione della strategia proposta e i suoi obiettivi; - una valutazione che indica gli effetti previsti dal punto di vista economico, ambientale e sociale; - una tabella finanziaria generale indicativa, che sintetizza le risorse finanziarie nazionali e

comunitarie impiegate per ciascuno degli obiettivi; - l’indicazione delle autorità competenti e degli organismi responsabili; - i provvedimenti che ne garantiscono l’attuazione efficace e corretta, compresi il controllo e la

valutazione. Il PSR della Regione Piemonte mira a promuovere uno sviluppo sostenibile, sia a livello ambientale che sociale, e individua tre diversi livelli di programmazione: il PSR nel suo complesso, gli Assi e le Misure. Per ciascuno di essi sono individuati obiettivi globali e specifici: gli obiettivi globali di un livello si conseguono grazie al raggiungimento degli obiettivi specifici dello stesso livello. Il raggiungimento del citato obiettivo globale del Piano si consegue attraverso tre obiettivi specifici che corrispondono agli obiettivi globali dei tre Assi nei quali si articola il PSR; essi sono: - Asse I: ammodernamento del sistema agricolo e agroindustriale; - Asse II: sostegno allo sviluppo dei territori rurali e forestali; - Asse III: ambiente. Ciascun Asse è suddiviso in Misure. Queste ultime hanno anche obiettivi operativi, che derivano dagli interventi che si intende attivare e che consentono il raggiungimento degli obiettivi specifici della Misura. La revisione di medio termine della Politica agricola comune4 avrà delle profonde implicazioni sul prossimo periodo di programmazione 2007-2013. Sono stati individuati, infatti, tre obiettivi prioritari corrispondenti ai tre Assi del futuro Programma di sviluppo rurale5: - Asse I: miglioramento della competitività dei settori agricolo e forestale; - Asse II: valorizzazione dell’ambiente e dello spazio naturale; - Asse III: miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali e promozione della

diversificazione dell’economia rurale. In relazione ad essi, poi, sono state riviste le Misure finalizzate al loro raggiungimento. Il nuovo PSR includerà, inoltre, un quarto Asse, l’approccio Leader6 e prevedrà il rafforzamento del partenariato con le rappresentanze delle forze economiche, sociali, ambientali e delle pari opportunità.

4 La Politica agricola comune (PAC) è una politica dell’Unione Europea (artt. 32-38 del Trattato che istituisce la Comunità Europea), volta a incrementare la produttività dell’agricoltura, assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, stabilizzare i mercati, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori. Nel 1999, sulla base di Agenda 2000, la PAC è stata riformata e il processo di revisione è stato completato nel giugno del 2003, con l’adozione dei Regolamenti (CE) n. 1782/2003 e n. 1783/2003: con questi ultimi, infatti, sono stati individuati come obiettivi prioritari la sicurezza dei prodotti alimentari, la difesa dell’ambiente e la promozione di un’agricoltura sostenibile. 5 Regolamento (CE) n. 1698/2005 del 20 settembre 2005 del Consiglio, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) 6 Leader, acronimo dal francese Liaison entre actions de développement de l'économie rurale, è un programma di iniziativa comunitaria, che sostiene progetti di sviluppo rurale ideati a livello locale con il coinvolgimento di attori pubblici e privati (approccio bottom-up), al fine di rivitalizzare il territorio e di creare occupazione. Il periodo 2007-2013 rappresenterà la quarta fase di questo approccio.

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2. Nodi critici evidenziati dalla ricerca Il processo di decentramento amministrativo è stato definito, dalle persone intervistate per la ricerca, come un obiettivo positivo, da perseguire nell’interesse dei cittadini, poiché avvicina le gestione degli interventi ai suoi beneficiari. Dal punto di vista pratico, la sua realizzazione è stata facilitata dalla preesistenza, su tutto il territorio, di uffici decentrati della regione, la cui gestione e il cui personale sono stati trasferiti, al momento opportuno, alle province. Ciononostante, l’attuale impostazione di tale processo non sembra soddisfare pienamente le attese dei soggetti interessati. Attraverso il presente lavoro, si è cercato di evidenziare, in particolar modo in connessione con il processo di attuazione del decentramento nell’ambito del Piano di sviluppo rurale, quei temi che risultano problematici. Le province possono diventare un luogo di confronto con le specificità territoriali e agricole delle rispettive propria realtà, ma è necessario controllare, organizzare e strutturare il processo di decentramento, nell’ottica di garantire un coordinamento e un’integrazione fra gli interventi condotti dai diversi enti, rendendoli complementari fra loro e non confusi. Il lavoro, quindi, intende individuare gli elementi critici, analizzarli ed eventualmente proporre alternative per affrontarli. La ricerca si è concentrata, in particolare, sui seguenti argomenti: - l’attuale legge sul decentramento amministrativo in materia di agricoltura; - l’autonomia delle province e delle comunità montane nella gestione dei bandi per il PSR; - il ruolo delle organizzazioni professionali agricole. Tali elementi saranno presi in considerazione singolarmente ed approfonditi nei capitoli seguenti.

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3. La legge n. 17/1999 “Riordino dell'esercizio delle funzioni amministrative in materia di agricoltura, alimentazione, sviluppo rurale, caccia e pesca” La legge regionale n. 17 dell’8 luglio 1999 ha dato l’avvio al processo di decentramento amministrativo delle competenze in materia di agricoltura. Le opinioni raccolte su tale norma non sono state positive. Essa, infatti, viene percepita come una legge formale, poco interessata all’aspetto sostanziale del trasferimento delle responsabilità. Benché, come già emerso in una ricerca precedente7, tutte le funzioni conferite alle province siano state effettivamente attivate presso queste ultime, tale disposizione normativa presenta alcuni elementi che possono essere definiti problematici. 3.1. Caratteristiche della l.r. n. 17/1999 L’attuale legge di decentramento si presenta fortemente dettagliata: per ciascun ente coinvolto (regione, province, comunità montane e comuni), infatti, viene specificato un elenco delle materie di competenza. La regione mantiene, fra le altre, le funzioni amministrative relative alla legislazione, alle normative, disposizioni e direttive, all’indirizzo e coordinamento, alla programmazione settoriale e generale e all’approvazione di attuazione di misure e disposizioni comunitarie, nazionali e regionali. Alle province, invece, sono attribuite responsabilità concernenti interventi specifici, come ad esempio quelli relativi al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie, al miglioramento e allo sviluppo delle produzioni vegetali e animali e per l'erogazione di premi, incentivi ed integrazioni di reddito previsti da regolamenti comunitari e nazionali. La scelta di dettagliare gli ambiti di azione di ciascun ente coinvolto, simile a quella effettuata dal legislatore della Regione Lombardia8, comporta un potenziale conflitto: qualora si delineino, infatti, nuove competenze non previste dalla legge, potrebbe emergere una discussione sull’ente titolare di esse. Altre regioni, come l’Emilia-Romagna9 e il Veneto10, hanno preferito, invece, impostare la legge in modo differente. Essa infatti è elaborata in modo tale da definire soltanto le funzioni della regione e lasciare agli enti delegati una competenza residuale, comprendente «tutte le funzioni amministrative che non esigono una gestione unitaria a livello regionale» . 7 Cfr. Barbesin A., Bobbio L., Rapporto sull’attuazione del decentramento amministrativo in materia agricola, Lapo, 2005. 8 L.r. 4 luglio 1998, n. 11, Riordino delle competenze regionali e conferimento di funzioni in materia di agricoltura. 9 L.r. 30 maggio 1997, n. 15, Norme per l’esercizio delle funzioni regionali in materia di agricoltura. 10 L.r. 10 luglio 1998, n. 23, Conferimento agli enti locali di funzioni amministrative regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione.

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3.2. Enti delegati e sovrapposizione delle competenze Un secondo elemento problematico che emerge dalla lettura della legge n. 17/1999 riguarda gli enti delegati e la sovrapposizione di alcune competenze attribuite alle province ed alle comunità montane. Alle province sono state conferite competenze relative a materie che presentano una rilevanza territoriale a livello di provincia. Il conferimento, tuttavia, si riferisce solamente alla gestione di tali ambiti, mentre non prevede la possibilità di occuparsi della relativa programmazione, creando così una situazione anomala e poco coerente. Il risultato di questa scelta, nel contesto dell’attuazione dei PSR, si concretizza con interventi che spesso premiano i singoli soggetti, piuttosto che i progetti, valutabili, invece, in una cornice più ampia di programmazione provinciale. La normativa, in secondo luogo, prevede che, per i territori classificati montani, alcune funzioni, conferite alle province, siano delegate alle comunità montane.

Regione Piemonte

Nel dettaglio, le funzioni amministrative conferite alle comunità montane e alle province nella restante parte del territorio provinciale sono le seguenti: - interventi di assistenza tecnica, divulgazione e consulenza alle aziende agricole

nonché di formazione professionale, rivolta specialmente ai giovani operatori agricoli ed ai giovani disoccupati, compresi i necessari supporti a livello provinciale;

- attività relative alle avversità atmosferiche nei confronti delle colture e alle calamità naturali per quanto riguarda le strutture aziendali nonché le infrastrutture rurali di livello provinciale;

- interventi relativi alle infrastrutture rurali; - interventi per l'applicazione di misure comunitarie di accompagnamento; - interventi per l'erogazione di premi, incentivi ed integrazioni di reddito previsti da

regolamenti comunitari e nazionali; - interventi per l'applicazione di misure agro-ambientali, compresa l'agricoltura

biologica; - approvazione dei piani di riordino irriguo e fondiario.

Si può affermare che la scelta effettuata dalla regione crea due ordini di problemi differenti. Da un lato, infatti, non discrimina le attività e non identifica alcuna distinzione fra i due enti delegati, creando un problema di sovrapposizione di competenze. Dall’altro lato, e questo è l’elemento che si presenta come maggiormente critico in questo contesto, la legge non tiene conto della rilevanza territoriale di alcuni argomenti: il decentramento al livello gestionale inferiore, infatti, dovrebbe essere giustificato dall’esigenza di amministrare una materia su quella base territoriale, ma il trasferimento di alcune competenze, come ad esempio la formazione professionale o gli interventi agro-ambientali, alle comunità montane non rispetta tale principio, essendo quelli temi gestibili ad un livello superiore, cioè provinciale.

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Tale impostazione causa, nell’ottica di alcuni rappresentanti delle organizzazioni professionali, un eccessivo frazionamento nelle politiche ed implica un aumento dell’attività, e quindi dei costi, delle organizzazioni stesse, che si trovano a dover dialogare con molti enti contemporaneamente. Anche all’interno della regione traspare l’opinione che la delega di competenze alle comunità montane, prevista da un emendamento al disegno di legge regionale, produca una perdita di unitarietà degli interventi. Dall’analisi delle leggi di decentramento di altre regioni, è possibile rilevare che il problema della sovrapposizione delle competenze non è stato sempre risolto. La Regione Emilia-Romagna11, infatti, benché non fornisca un elenco dettagliato ed esaustivo delle competenze degli enti delegati e sebbene attribuisca competenze alle province solo sul territorio non appartenente alle comunità montane, attribuisce alle comunità montane le identiche competenze, tranne nelle materia riservate, delle province, senza cercare di circoscrivere la sfera d’azione delle comunità su temi più peculiari.

Regione Emilia-Romagna

Le province e le comunità montane, le prime limitatamente al territorio non compreso in alcuna comunità montana, esercitano, in materia di agricoltura, tutte le funzioni amministrative rientranti nella sfera di competenza regionale sulla base della normativa comunitaria, statale e regionale, ivi compresa la concessione degli incentivi, sia in conto capitale che in conto interessi, ad eccezione di quelle riservate alla regione e di quelle riservate alle sole province.

La Regione Veneto12, come già accennato in riferimento alle competenze delle province, ha emanato una legge di decentramento nella quale le funzioni degli enti delegati non sono definite nel dettaglio. È interessante notare che, anche in questo caso, tuttavia, non vi è una distinzione, se non con un rimando ad altre disposizioni legislative, fra gli ambiti di attività delle province e delle comunità montane.

Regione Veneto

Funzioni conferite alle province, ai comuni e alle comunità montane: ferme restando le funzioni amministrative già delegate o trasferite alle province, ai comuni e alle comunità montane con precedenti leggi regionali, sono altresì conferite ai suddetti enti, nelle materie di cui alla presente legge, tutte le funzioni amministrative che non esigono una gestione unitaria a livello regionale, nel rispetto dei principi previsti al comma 3 dell’articolo 4 della legge n. 59/1997 ed in coerenza con le norme della legge regionale 3 giugno 1997, n. 20, come modificata dalla legge regionale 7 aprile 1998, n. 9.

11 L. r. 30 maggio 1997, n. 15, Norme per l’esercizio delle funzioni regionali in materia di agricoltura. 12 L. r. 10 luglio 1998, n. 23, Conferimento agli enti locali di funzioni amministrative regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione.

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Altre regioni hanno cercato di ovviare a queste difficoltà impostando in modo differente la legge di decentramento. La Lombardia13, ad esempio, ha attribuito alle comunità montane delle competenze più limitate rispetto a quelle previste dalla legge n. 17/1999 del Piemonte, non includendo la gestione degli interventi in materia agricola, ma piuttosto permettendo a tali enti di occuparsi, in modo ampio, della sistemazione forestale (non prevista in Piemonte), ambito che può essere considerato a pieno titolo rilevanza territoriale delle comunità montane. A questo proposito, è interessante notare che in Piemonte la legge ha trasferito le funzioni relative all’agricoltura, ma non prevede una delega, per le comunità montane, ma neppure per le province, per la maggior parte delle funzioni collegate alla montagna e alle foreste, competenze mantenute invece dal relativo Assessorato regionale. Questa caratteristica della legge n. 17/1999 è considerata, da tutte le persone intervistate, una forte debolezza dell’impianto legislativo del decentramento piemontese, che risulta così mancante di organicità e coerenza.

Regione Lombardia

Sono trasferite alle comunità montane nell’ambito dei rispettivi territori, e alle province nella restante parte del territorio provinciale, le funzioni amministrative concernenti: - il miglioramento e lo sviluppo delle produzioni animali e vegetali di rilevante

interesse locale; - le sistemazioni idraulico-agrario-forestali e le manutenzioni di piccola entità delle aree

boscate; - gli interventi in materia di forestazione, silvicoltura ed arboricoltura, ivi compresi

l’assestamento e la pianificazione dei beni silvo-pastorali, nonché l’organizzazione delle squadre antincendi boschivi;

- il vincolo idrogeologico, fatte salve le competenze poste in capo ai comuni ai sensi della vigente normativa;

- gli interventi per la realizzazione, il ripristino e la manutenzione di infrastrutture al servizio delle attività agrosilvo-pastorali;

Sono delegate alle comunità montane nell’ambito dei rispettivi territori, ed alle province nella restante parte del territorio provinciale, le funzioni amministrative concernenti: - l’erogazione della indennità compensativa; - i contributi per l’acquisto di macchine per la meccanizzazione forestale; - i contributi per l’abbandono produttivo dei terreni coltivati e gli incentivi per il

rimboschimento.

Il problema del decentramento e della sovrapposizione delle competenze sembra quindi trovare una soluzione migliore quando le leggi di riferimento non presentano un elenco dettagliato delle funzioni degli enti delegati e soprattutto quando viene seguito il principio della rilevanza territoriale nell’attribuzione delle competenze.

13 L. r. 4 luglio 1998, n. 11, Riordino delle competenze regionali e conferimento di funzioni in materia di agricoltura.

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4. Il ruolo delle province nella gestione dei bandi PSR La legge delega risale al 1999 ma la sua attuazione è stata avviata solo a partire dal 2000. Nel frattempo, la programmazione del PSR 2000-2006 era già stata completata ed erano già stati emessi i bandi regionali anche sulle misure che avrebbero dovuto essere gestite dalle province. Successivamente, la regione ha definito delle linee guida molto precise, alle quali le province e le comunità montane avrebbero dovuto attenersi nello stilare i propri bandi. Le province e le comunità montane si sono trovate in questo modo a svolgere un’attività di tipo istruttorio, provvedendo alla gestione di bandi determinati essenzialmente a livello regionale. Tali enti, infatti, si sono occupati di raccogliere le domande di finanziamento pervenute in merito ai bandi, ne hanno controllato l’ammissibilità, hanno effettuato l’istruttoria delle pratiche ed le hanno eventualmente ammesse al finanziamento. 4.1. Lo spazio di autonomia delle province Dall’analisi dei bandi provinciali, tuttavia, sono emerse alcune disparità fra di essi: queste differenze permettono di affermare che le province, nella creazione dei bandi, riescono ad ottenere uno spazio di autonomia che non è previsto esplicitamente dalla legge regionale n. 17/1999. Esse possono agire su due elementi: i termini temporali di apertura e chiusura delle domande e le priorità per l’ammissione al finanziamento. Questi fattori permettono alle province di effettuare una sorta di programmazione locale, poiché consentono di effettuare una selezione sugli interventi da finanziare, ulteriore rispetto a quella prevista dalle linee guida della regione.

Se si prende in esame il bando relativo alla Misura A del PSR 2000-2006, per il finanziamento di un programma straordinario di sostegno all’adeguamento delle aziende zootecniche alle norme in materia di utilizzo agronomico degli effluenti zootecnici, è possibile notare alcune differenze nei bandi emessi dalla Provincia di Torino e di Cuneo. In Provincia di Torino, le priorità stabilite nel testo del bando favorivano le zone vulnerabili da nitrati e gli investimenti di tipo fondiario per almeno 4.000 € di spesa ammissibile, seguiti dall’acquisto di macchine e attrezzature mobili e dagli investimenti fondiari inferiori a 4.000 € di spesa ammissibile. La Provincia di Cuneo, invece, ha scelto di sostenere in primo luogo le aziende in zone vulnerabili che avessero trasmesso i dati ai fini del monitoraggio o un piano di utilizzazione agronomica; in seconda istanza avevano la priorità le aziende agricole ricadenti in altre zone che intendessero effettuare investimenti per migliorare la gestione degli effluenti zootecnici e poi le aziende condotte da imprenditori agricoli professionali che intendessero realizzare, oltre alle strutture di stoccaggio degli effluenti zootecnici, anche impianti di trattamento aziendale o interaziendale di detti effluenti.

Si riporta, a titolo esemplificativo, il resoconto delle richieste di finanziamento presentate alle

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Misura A – Anno 2005

752

158

467

139

0100200300400500600700800

Numero di domandeammesse

Numero di domandeliquidate

Provincia di Cuneo

Provincia di Torino

21.909.615,73

5.253.992,37

12.440.225,36

4.166.614,95

0

5.000.000

10.000.000

15.000.000

20.000.000

25.000.000

Contributo totaleammesso

Contributo totaleliquidato

Provincia di Cuneo

Provincia di Torino

57%

79%

62%

88%

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

% domande liquidate sudomande ammesse

% contributo liquidato sucontributo ammesso

Provincia di Cuneo

Provincia di Torino

province nel corso dell’anno 2005 relativamente alla Misura A (investimenti nelle aziende agricole) del Piano di sviluppo rurale. È stato indicato il numero delle domande ammesse a finanziamento, cioè che hanno superato la fase istruttoria, e quello delle domande il cui contributo è stato liquidato. È possibile notare che la Provincia di Cuneo ha ammesso un numero molto più elevato di domande, ma, in percentuale, ne ha liquidate meno. Ugualmente, si può osservare che, benché il volume dei contributi ammessi sia notevolmente superiore in Provincia di Cuneo, entrambe le province liquidano un ammontare simile: ciò implica quindi che la Provincia di Torino ha una percentuale maggiore di contributi liquidati in rapporto a quelli stanziati. Sia Cuneo che Torino non hanno pagato alcuna domanda nel corso del 2005.

Fonte: Regione Piemonte, elaborazione propria.

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Il dirigente del Servizio Agricoltura della Provincia di Cuneo intervistato ha minimizzato gli effetti della scelta delle priorità e dei tempi di apertura e chiusura dei bandi sulla capacità di programmazione della provincia: dal suo punto di vista, infatti, Cuneo si è attenuto strettamente alle indicazioni contenute nel regolamento comunitario e nelle linee guida regionali. Dal colloquio effettuato con il dirigente del Servizio Agricoltura della Provincia di Torino è emersa, invece, la volontà della provincia di utilizzare lo spazio di manovra a sua disposizione per richiedere, a coloro che presentavano domanda di finanziamento, una documentazione più esaustiva rispetto a quella prevista dalle linee guida regionali: tale scelta ha aumentato l’onere a carico dei richiedenti ma ha permesso di privilegiare gli interventi immediatamente “cantierabili”. Questa linea d’azione, come si evince dal grafico precedente, si è riflessa sul volume dei contributi liquidati, superiori rispetto a quelli della Provincia di Cuneo. È tuttavia necessario sottolineare che lo spazio di autonomia del quale le province hanno potuto godere è stato fortemente limitato dal fatto che i bandi provinciali sono stati emanati per allocare un quantitativo di risorse esiguo: la maggior parte dei finanziamenti, infatti, erano stati attribuiti con i precedenti bandi regionali. 4.2. L’omogeneità dell’azione delle province Il decentramento amministrativo nel processo di attuazione del PSR ha favorito il concretizzarsi di situazioni diversificate in ciascuna provincia. L’autonomia gestionale, infatti, ha permesso a ciascun ente di emanare dei bandi e di stabilire le procedure da seguire. Per quanto riguarda questa differenziazione fra le scelte degli enti delegati, le opinione dei dirigenti provinciali e dei rappresentanti delle organizzazioni professionali sono fortemente discordanti. Dall’esempio riportato nel paragrafo precedente è risultato evidente come le due Province di Torino e Cuneo abbiano interpretato in modo differente lo stesso tipo di finanziamento. Il responsabile del Servizio Agricoltura della Provincia di Torino, inoltre, ha affermato che, data la limitatezza delle risorse a disposizione, la provincia ha scelto di utilizzare la sua autonomia gestionale dettagliando maggiormente la documentazione da presentare con le domande di finanziamento, al fine di selezionare gli interventi più velocemente attuabili. Tale opzione non è stata invece considerata in Provincia di Cuneo. La facoltà quindi delle province di differenziare i bandi risulta un elemento critico e centrale del processo di decentramento. Da un lato, infatti, la facoltà degli enti delegati di stabilire alcune caratteristiche dei bandi permette di prendere maggiormente in considerazione le peculiarità e le esigenze del territorio. D’altra parte, però, si possono verificare delle situazioni per cui in territori simili, ma appartenenti a due province confinanti, i coltivatori usufruiscano di agevolazioni differenti. I rappresentanti delle organizzazioni professionali, a questo proposito, non sono pienamente concordi fra loro. La Federazione Regionale Coltivatori Diretti, la Confederazione Italiana degli Agricoltori del Piemonte a livello regionale e la Federazione degli Agricoltori del Piemonte sia a livello regionale che di Provincia di Torino, infatti, rivendicano la necessità di bandi unici, uguali per l’intero territorio regionale: le province, in questo caso, eserciterebbero soltanto l’attività istruttoria.

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L’idea di fondo di questa linea di pensiero è che aziende simili installate in province diverse non ricevano il medesimo trattamento; ciò implicherebbe quindi un vantaggio competitivo per alcune di esse e la concorrenza sarebbe artificiosamente falsata. La Cia e la Coldiretti, entrambi attraverso i loro rappresentanti in Provincia di Cuneo, invece, affermano l’esigenza che le procedure utilizzate e i controlli effettuati siano omogenei, ma vedono nella possibilità di definire delle priorità provinciali un’occasione per meglio rispondere alle esigenze del territorio. A questo proposito ravvisano nei tavoli verdi un utile strumento di confronto, nei quali è possibile prendere in considerazione le istanze di cui le organizzazioni professionali sono portatrici. Questa differenza di posizione è esemplificativa del fatto che in Provincia di Cuneo i rapporti fra l’ente pubblico e le organizzazioni agricole sono molto forti. È evidente, inoltre, che le sedi regionali debbano rispondere a richieste che provengono dall’intero territorio e che quindi siano maggiormente favorevoli ad un approccio uniforme; allo stesso tempo, appare chiaro che a livello provinciale gli interessi rappresentati dalle organizzazioni professionali sono di carattere locale e più facilmente realizzabili attraverso interventi mirati, decisi sulla base delle esigenze del territorio provinciale. Il decentramento amministrativo nell’attuazione del PSR è sicuramente un fatto positivo, che permette una migliore gestione delle materie di rilevanza provinciale. Ciononostante, è necessario che il dialogo istituzionale con la regione sia perseguito durante tutto il processo, dalla programmazione alla realizzazione del Piano, affinché vi sia il necessario coordinamento fra i diversi interventi. 4.3. Il problema delle comunità montane L’argomento relativo alle funzioni delle comunità montane sembra essere un tema estremamente rilevante. Come detto precedentemente, la legge n. 17/1999 attribuisce alle comunità montane competenze amministrative relative ad interventi per l'erogazione di premi, incentivi ed integrazioni di reddito previsti da regolamenti comunitari e nazionali. Ciò implica quindi che tali enti siano inseriti nella gestione dei finanziamenti del Piano di sviluppo rurale, che viene realizzato sulla base di alcuni regolamenti comunitari. I rappresentanti delle organizzazioni professionali, sia in Provincia di Torino che di Cuneo, vedono nella pluralità degli enti delegati non un vantaggio, che potrebbe essere legato ad una maggiore conoscenza delle problematiche locali, ma soprattutto un ostacolo. Esse, infatti, devono rapportarsi a molteplici interlocutori e ciò si traduce in un aumento delle difficoltà e dei costi. Se con le province i rapporti sono più distesi e proficui, favoriti anche da una conoscenza personale, accade che talvolta le organizzazioni professionali non riescano ad essere presenti in modo omogeneo in tutte le comunità montane, e ciò si traduce in rapporti, con alcune di esse, non sempre facili. Ulteriore elemento critico è dato dal fatto che ciascuna comunità montana, o associazione di esse, richiede una documentazione differente e segue procedure autonome. Il tema della disparità di trattamento è fortemente sentito dalle organizzazioni professionali, anche nei confronti delle diverse province, come si è visto, e sono numerose le richieste di maggiore uniformità di procedure e controlli.

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La considerazione, tuttavia, che è più spesso emersa durante le interviste effettuate è che le comunità montane non siano dotate degli strumenti, delle competenze e delle risorse necessarie a svolgere quel tipo di funzione. Le procedure di istruttoria delle domande di finanziamento sono spesso in ritardo rispetto ai tempi delle province e questo comporta un danno per gli utenti. Le comunità montane tentano di ovviare a tale problema, per alcuni aspetti di tipo oggettivo, attraverso alcune forme di associazione. La Provincia di Torino aveva proposto alle tredici comunità del territorio un accordo di programma14, attraverso il quale la provincia offriva di esercitare, gratuitamente, le loro funzioni, superando così i problemi legati alla scarsità di risorse e personale. Attualmente solo otto comunità montane aderiscono all’accordo, mentre le restanti operano autonomamente, con risultati non sempre ottimali. Anche nel territorio di Cuneo, la provincia aveva convocato le comunità montane e proposto di gestire le loro funzioni in materia di agricoltura. Nessuna delle dodici comunità, tuttavia, aveva accettato. Successivamente, su richiesta dell’Organismo Pagatore, alcune di esse hanno scelto la gestione associata delle funzioni attraverso la stipulazione di un protocollo d’intesa. In questo modo le comunità partecipanti suddividono il lavoro da svolgere fra i loro tecnici, che altrimenti non sarebbero, presi singolarmente, in numero sufficiente per garantire la necessaria distinzione fra i diversi ruoli presenti nella procedura di finanziamento. Al di là delle singole soluzioni intraprese, emerge l’esistenza di un problema a monte, quello della delega di competenze ad enti che, per loro natura, non sono in grado di garantire l’efficienza della gestione dei procedimenti legati ai bandi e la sostenibilità amministrativa di tali compiti. Sarebbe stato più opportuno affidare l’intera gestione alle province e assicurare poi un dialogo istituzionale fra esse e le comunità montane per prendere le decisioni rilevanti per il territorio di queste ultime. 4.4. PSR 2007-2013: cosa cambia Dall’avvio del processo di decentramento ad oggi, è possibile riscontare un cambiamento nell’atteggiamento delle province. Se inizialmente le richieste che provenivano da esse si qualificavano soprattutto come domande di maggiori risorse, attualmente le province rivendicano un ruolo più importante nella fase di programmazione delle politiche agricole. Secondo un dirigente della Provincia di Torino, la legge n. 17/1999 non risponde pienamente al dettato della normativa nazionale, poiché impedisce alle province di esercitare una reale attività programmatoria. Per questo motivo, in sede di programmazione del PSR 2007-2013, sono state avanzate diverse proposte alla regione che ampliavano la sfera d’azione degli enti locali. In particolare, inizialmente era stata richiesta la possibilità di avere dei Piani di sviluppo rurali provinciali, come già accade in altre regioni, che permettessero alle province di sviluppare un programma di azione sulla base delle linee guida dettate dalla regione. Questa proposta, tuttavia, non è stata presa in considerazione, anche perché non ha ricevuto l’appoggio unanime di tutte le province piemontesi.

14 Delibera di Giunta n. 727-145609/2000 del 18 luglio 2000.

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A tale proposito, il dirigente del Servizio Agricoltura della Provincia di Cuneo ha affermato di non condividere l’idea dei PSR provinciali, perché, sulla base delle direttive europee, nazionali e regionali, non vi sarebbero dei margini di autonomia adeguati per realizzare un lavoro appropriato. È opinione di un ricercatore del settore, inoltre, che le province, tranne qualche eccezione, non abbiano le competenze, gli strumenti e la progettualità necessaria per portare a termine un progetto così ambizioso. Successivamente, è stata proposta la possibilità di presentare, nell’ambito dei finanziamenti del PSR, dei progetti definibili “collettivi”, elaborati da gruppi di aziende o da gruppi che comprendono operatori privati e pubblici: le province potrebbero così attivarsi come capofila e, soprattutto, potrebbe essere possibile attingere, contemporaneamente, alle risorse di diverse Misure del PSR. Da questo punto di vista, la bozza del PSR 2007-2013 prevede la realizzazione di progetti integrati, in cui le province assumeranno la regia del progetto e coordineranno più soggetti per la sua realizzazione. Nonostante manchi ancora la versione definitiva, si può affermare che nel periodo del prossimo Programma di sviluppo rurale le province assumeranno un ruolo più ampio: è previsto, infatti, che esse assumano compiti di animazione, pilotaggio e coordinamento per diverse Misure e per alcune tipologie di programmi integrati, in particolare per quello che concerne il cosiddetto Asse III, relativo alla qualità della vita nelle zone rurali e alla diversificazione dell’economia rurale, e nell’attuazione dell’approccio Leader (Asse IV). La strategia dell’Asse III, ad esempio, fa perno su alcune Misure attorno alle quali potranno essere proposti dei progetti integrati territoriali a regia pubblica: le comunità montane, infatti, potranno coordinare progetti che mirino al rinnovamento dei villaggi, mentre le province potranno gestire azioni volte all’incentivazione delle attività turistiche. Il Documento strategico regionale e la bozza del PSR 2007-2013 parlano nello specifico di Programmi finalizzati, strumenti attuativi del Piano che mirano ad affrontare un problema specifico. I Programmi finalizzati possono fare riferimento ad una singola Misura oppure a più Misure integrate fra loro da un punto di vista funzionale, spaziale e temporale, appartenenti anche a più Assi. Qualora la situazione problematica sia di tipo territoriale, cioè interessi distretti, aree rurali, periurbane o ad elevata valenza naturalistica, l’individuazione della strategia in appositi “partenariati di concezione” sarà gestita da un coordinamento provinciale. Per quanto riguarda l’Asse Leader, l’inserimento di quest’ambito all’interno del PSR implica un passaggio da strategie di modeste dimensioni, con le quali tale metodo è stato sperimentato, ad una programmazione di più ampio respiro: è evidente quindi che le province potranno assumere un ruolo importante, volto a garantire l’elaborazione di strategie «integrate e multisettoriali».

Nel Documento strategico regionale si legge infatti che «il processo di definizione delle strategie a livello locale dovrà essere attuato mediante azioni specifiche di concertazione territoriale in capo alle province. Un approccio strategico su base provinciale e/o interprovinciale per l’utilizzo delle misure dell’Asse III e la definizione delle strategie dell’approccio Leader deve infatti essere necessariamente condiviso e fatto proprio, a cascata, da tutti i soggetti pubblici e privati che a vario titolo intervengono in materia di sviluppo locale. Alle province verrà assegnato un ruolo di animazione, pilotaggio e coordinamento».

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5. Il ruolo delle organizzazioni professionali agricole Nel corso dei colloqui con i rappresentati delle organizzazioni professionali si è cercato di fare emergere quali fossero le aspettative delle organizzazioni professionali agricole nei confronti del decentramento, quali siano le difficoltà che rilevano nello svolgimento delle proprie funzioni, qual è il grado del loro coinvolgimento nelle decisioni prese dalla regione e dalle province in merito alla programmazione ed ai finanziamenti del Piano di sviluppo rurale. Un primo tema particolarmente sentito è il coinvolgimento delle organizzazioni professionali nelle decisioni degli enti pubblici. All’interno di esso, riveste un ruolo importante, anche se non ugualmente percepito e condiviso da tutti i partecipanti, il comitato previsto dall’articolo 8 della legge n. 17/1999. Ultimo argomento trattato sarà quello della sussidiarietà orizzontale e del ruolo dei Centri di assistenza agricola. 5.1. Il coinvolgimento delle organizzazioni professionali agricole È incontestato il fatto che le organizzazioni professionali agricole presenti sul territorio piemontese siano sempre state coinvolte, con procedure differenti a seconda delle situazioni, nel processo decisionale relativo a temi legati all’agricoltura, sia dalla regione che dalle province. Per quanto riguarda la determinazione delle priorità dei bandi di finanziamento del PSR, ad esempio, esse sono chiamate ad esprimere la propria posizione in merito e normalmente viene avviato un confronto mirato, per quanto possibile, a definire strategie condivise: tale scelta facilita la fase dell’attuazione della politica, perché le organizzazioni professionali sono in grado di fornire in maniera più capillare informazioni e ausilio ai destinatari dell’intervento. La posizione assunta dai rappresentanti degli enti pubblici e quella delle organizzazioni agricole è prevedibilmente contrastante. La regione e le province ribadiscono che il dialogo con le organizzazioni professionali è fondamentale, ma che deve rimanere su un piano esclusivamente consultativo, poiché solo l’ente pubblico può prendere le decisioni finali. È possibile riscontrare, tuttavia, che in alcune province, come in quella di Cuneo, il rapporto con i rappresentanti degli agricoltori è particolarmente stretto e il loro coinvolgimento nelle decisioni è molto ampio: spesso si può assistere ad una forma quasi concertativa di inclusione nel processo decisionale, in cui le scelte della provincia sono effettuate sulla base di una piena intesa con le posizioni delle organizzazioni agricole. Le organizzazioni professionali sono consapevoli dello sforzo compiuto dagli amministratori pubblici per includerle nei processi decisionali; dal canto loro, tuttavia, avanzano richieste di nuove forme di coinvolgimento, premendo nella direzione della concertazione. Sono convinte, infatti, che un rapporto sempre più stretto con l’ente pubblico e un ruolo più determinante nell’ambito delle decisioni politiche e tecniche del settore agricolo permettano di offrire ai propri “clienti” una risposta più puntuale alle loro esigenze ed un servizio più efficiente: tutto ciò rafforzerebbe notevolmente, di conseguenza, la posizione dell’organizzazione stessa.

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5.1.1. Il comitato ex articolo 8 La legge n. 17/1999, all’articolo 8, istituisce un «Comitato, composto dall’Assessore regionale all’agricoltura, dai Presidenti di provincia o loro delegati e dai rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello regionale». Il secondo comma, poi, stabilisce che la partecipazione delle categorie agricole debba essere attivata anche a livello provinciale. La Regione Piemonte ha istituito e formalizzato il Comitato con un decreto del Presidente della Giunta nel 199915. Oltre ai partecipanti previsti dalla legge, sono invitati in modo permanente anche due rappresentanti delle maggiori organizzazioni cooperativistiche agricole e quattro rappresentanti delle comunità montane. Il Comitato permette quindi alle organizzazioni professionali di raccordarsi, a livello regionale, con la regione e con le amministrazioni provinciali. La funzione del Comitato è di tipo politico; si riunisce circa una volta al mese e adotta provvedimenti di indirizzo e coordinamento. Alcune delle persone che vi hanno preso parte hanno espresso opinioni differenti sul suo funzionamento e sulla sua utilità. Il Comitato è stato definito un’iniziativa utile, che ha accompagnato il processo di decentramento e che consente alla regione di orientare le proprie decisioni conoscendo la posizione delle province e delle organizzazioni professionali. Per alcuni, tuttavia, talvolta il Comitato è utilizzato solo come strumento per comunicare decisioni prese in altre sedi. Le organizzazioni agricole, inoltre, preferirebbero che il Comitato adottasse una modalità di operare di tipo concertativo. È interessante notare come dalle interviste effettuate siano emerse due richieste contrastanti. Da una parte, prevale la volontà di restituire al Comitato una connotazione esclusivamente politica, operando una maggiore selezione sui partecipanti. Si riscontra infatti la presenza contemporanea, a seconda delle riunioni, di personalità politiche (Assessore o suo delegato) e tecniche (funzionari): la capacità negoziale, le competenze e gli strumenti a disposizione non sono quindi distribuiti in modo equo fra i partecipanti. Dall’altra parte, invece, si ravvisa la necessità di lavorare, all’interno del Comitato, su due piani paralleli, consentendo che esso si occupi sia di questioni più prettamente politiche, sia dell’attuazione pratica e della gestione delle decisioni prese a livello politico, attraverso riunioni di tipo tecnico. Le province non sempre hanno rispettato il dettato del secondo comma dell’articolo 8. La Provincia di Torino ha sì dato vita ad un comitato consultativo, ma in assenza di un atto formale che lo sancisse come momento di partecipazione delle organizzazioni professionali agricole. La Provincia di Cuneo, invece, ha scelto di non creare alcun comitato, preferendo convocare, qualora lo ritenga necessario, i soggetti di volta in volta interessati.

15 D.P.G.R. n. 75 dell’8 ottobre 1999 e successive modifiche.

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5.2. Centri di assistenza agricola e sussidiarietà orizzontale Un aspetto del decentramento che vede una netta contrapposizione fra le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni professionali agricole è quello relativo alla sussidiarietà orizzontale. Le organizzazioni professionali, in concorrenza con le prestazioni di liberi professionisti, si sono dotate di Centri di assistenza agricola (CAA), strutture specializzate nei servizi volti ad supportare le aziende agricole negli adempimenti amministrativi e nella consulenza per la gestione e lo sviluppo delle attività agricole. In particolare, i CAA svolgono attività di assistenza nei confronti dei produttori agricoli per accedere ai finanziamenti pubblici e si occupano, sulla base di uno specifico mandato dell’operatore agricolo, della presentazione degli atti amministrativi (domande di aiuto alla produzione e al reddito, istanze produttive, comunicazioni, etc.) presso i diversi soggetti competenti, fra cui l’organismo pagatore, la regione, le province, i comuni o le comunità montane. L’attività di tali enti è disciplinata, a livello nazionale, dal decreto legislativo n. 188/200016 e dal decreto ministeriale 27 marzo 200117 e, a livello regionale, dalla legge n. 16/200118 e dal decreto del Presidente della Giunta regionale n. 10/R del 200219.

Il decreto ministeriale 27 marzo 2001 prevede che i Centri di assistenza agricola possano, fra altro: - tenere le scritture contabili; - assistere gli organismi pagatori nell’elaborazione delle dichiarazioni di coltivazione e

di produzione, delle domande di ammissione a benefici comunitari, nazionali e regionali e controllare la regolarità formale delle dichiarazioni immettendone i relativi dati nel sistema informativo;

- effettuare ulteriori servizi e attività sulla base di specifiche convenzioni con le regioni. Per le attività previste, i CAA hanno la responsabilità della identificazione del produttore e dell’accertamento del titolo di conduzione dell’azienda, della corretta immissione dei dati, del rispetto per quanto di competenza delle disposizioni comunitarie, nonché la facoltà di accedere alle banche dati del SIAN (Sistema informativo agricolo nazionale) esclusivamente per il tramite di procedure di interscambio dati.

La normativa prevede che i CAA possano costituire, tenere e aggiornare per le aziende agricole il cosiddetto “fascicolo aziendale”, cioè l’insieme dei documenti e delle informazioni che riepilogano la situazione aziendale. Le organizzazioni professionali richiedono però che i CAA possano assumere un ruolo maggiore all’interno delle istruttorie del PSR, in particolare svolgendo non solo un’attività di presentazione

16 D.lgs. 15 giugno 2000, n. 188, Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 27 maggio 1999, n. 165, recante soppressione dell’AIMA e istituzione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59. 17 D.M. 27 marzo 2001, Requisiti minimi di garanzia e funzionamento per le attività dei centri autorizzati di assistenza agricola. 18 L.r. 21 giugno 2002, n. 16, Istituzione in Piemonte dell'organismo per le erogazioni in agricoltura di aiuti, contributi e premi comunitari. 19 D.P.G. 18 ottobre 2002, n. 10/R, Regolamento di attività dell’Organismo Pagatore della Regione Piemonte.

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delle domande, come accade al momento attuale, ma anche il successivo controllo sulla loro ammissibilità al finanziamento. Questo nuovo assetto viene presentato dalle organizzazioni agricole come una soluzione che permetterebbe all’amministrazione pubblica di risparmiare risorse umane ed economiche. È tuttavia interessante notare che non c’è unanimità di vedute su questo argomento: alcune organizzazioni, infatti, sostengono la necessità che l’istruttoria e i controlli rimangano in capo agli enti pubblici. Se si analizza la normativa in vigore, è indiscutibile che le regioni possano incaricare i CAA dell’effettuazione di «ulteriori attività e servizi», ma non viene specificato cosa si debba intendere con tale espressione. La legge regionale n. 16/2002 specifica che l’organismo pagatore può avvalersi della collaborazione dei Centri autorizzati di assistenza agricola abilitati e che i beneficiari possono presentare le domande di aiuti, premi e contributi comunitari agli enti competenti per l’istruttoria sia direttamente sia tramite i CAA. Dal dettato legislativo non risulta un esplicito divieto, ma non emergerebbe neanche una chiara possibilità per i CAA di svolgere l’attività istruttoria. Questa conclusione è rafforzata dalla constatazione che i CAA, presentando le domande per conto dei loro associati, rappresentano in modo indiretto i beneficiari dell’intervento. La funzione istruttoria, invece, definisce l’ammissibilità al contributo e le graduatorie: è evidente quindi che se i CAA potessero inserirsi anche in questa fase ci sarebbe un chiaro conflitto di interessi, in quanto la figura del “controllato” coinciderebbe con quella del “controllore”. La Regione Toscana ha trovato una soluzione di equilibrio fra le richieste delle organizzazioni professionali e quelle delle amministrazioni pubbliche. È previsto, infatti, che i CAA possano svolgere attività di assistenza procedimentale per conto delle province, delle comunità montane, della regione, dell'ARTEA (l’Agenzia regionale toscana per le erogazioni in agricoltura), nonché di altre amministrazioni pubbliche. Tali attività «consistono: a) nell'acquisizione, registrazione, conservazione delle istanze e della documentazione presentata dall'interessato; b) nella verifica e asseveramento circa la correttezza formale degli atti di cui alla lettera a), inclusi gli adempimenti funzionali alla regolarizzazione delle istanze»20. Si può quindi affermare che, occupandosi della correttezza formale, ma non dell’ammissibilità delle domande, è prevista per i CAA una funzione “intermedia”, fra quanto fanno i CAA in Piemonte e quanto vorrebbero fare. 5.3. Aspettative sul PSR 2007-2013 Sebbene già in passato le organizzazioni agricole siano state coinvolte ad ogni livello di programmazione politica, anche se non sempre in modo diretto ma attraverso una attività di lobbying, le loro aspettative sul PSR 2007-2013 sono molto ambiziose. Esse vorrebbero che, attraverso le forme di partenariato previste dalla normativa, la loro posizione si rafforzasse e che ci si muovesse verso procedure di concertazione. Nonostante queste aspettative, il processo seguito per giungere alla nuova programmazione ha causato molte delusioni.

20 Art. 2.1, l.r. 8 febbraio 1998, n. 11, Norme per lo snellimento e la semplificazione dell’attività amministrativa in materia di agricoltura, foreste, caccia e pesca.

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La regione ha scelto di attivare dei tavoli di filiera al fine di predisporre un’analisi condivisa delle necessità di ciascun comparto e concordare le priorità strategiche di intervento e affinché si potesse effettuare un Programma rispondente alle esigenze del territorio. Sono state individuate dieci filiere, poi suddivise in sottofiliere, e per ciascuna di esse è stato costituito un gruppo di lavoro. Tale scelta, se utile dal punto di vista tecnico, non ha prodotto però i risultati sperati. Nonostante il loro coinvolgimento, l’opinione dei rappresentanti delle organizzazioni professionali è che sia mancato, successivamente alla conclusione dei tavoli, un momento di sintesi, in cui si potesse elaborare, in modo partecipativo, la filosofia globale del Programma di sviluppo rurale. La sensazione diffusa è che, rispetto al precedente periodo di programmazione, la consultazione sia stata inferiore, poiché è mancato un reale confronto sulle misure inserite. È stato percepito, inoltre, un ritardo nella stesura del Programma, che non darà alle organizzazioni agricole il tempo materiale di preparare delle osservazioni su di esso. Al contrario, dal punto di vista della regione, per il PSR 2007-2013 e per quanto riguarda la scelta degli strumenti da adottare, si può parlare di un uguale coinvolgimento delle organizzazioni professionali agricole rispetto alla passata esperienza. Il dialogo sulle strategie, invece, è stato ampliato, anche grazie alle disposizioni contenute nel regolamento comunitario di riferimento.

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6. Le due province campione: Torino e Cuneo Come premesso, la ricerca si è sviluppata con l’analisi della situazione di due province campione, quella di Torino e quella di Cuneo. In questo paragrafo si cercherà di evidenziare, in modo più organico, le similarità e le differenze dell’attuazione del decentramento, in relazione al PSR, fra le due realtà territoriali. 6.1. Provincia di Torino La Provincia di Torino si caratterizza per la professionalità dei funzionari nel settore dell’agricoltura, che si traduce in proposte innovative e capacità progettuale. La provincia, nell’ambito dell’attuazione del Piano di sviluppo rurale, ha cercato, per quanto possibile con le risorse a disposizione e attraverso la definizione di criteri particolari nei bandi, di privilegiare interventi strutturati, evitando il metodo dei finanziamenti a “pioggia”. Il rapporto con la regione è positivo, improntato ad un confronto pacato e costruttivo, e si sviluppa attraverso diverse sedi istituzionali, fra cui anche il Comitato ex articolo 8 della legge n. 17/1999. L’articolazione provinciale di detto comitato è esistente, ma non è stata formalizzata con un atto istituzionale: quando necessario la provincia convoca i rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole e quelli delle comunità montane ad un tavolo di consultazione. Il territorio della Provincia di Torino comprende anche tredici comunità montane. Il rapporto con esse, come visto precedentemente, non è uniforme: nel contesto delle procedure relative al PSR, infatti, esiste un Accordo di programma fra la provincia ed alcune di esse, mentre le restanti svolgono le proprie funzioni autonomamente. Le organizzazioni professionali sono chiamate ad esprimere le proprie posizioni in relazioni alle decisioni della provincia, ma il dialogo si svolge su un piano esclusivamente consultativo: per questo motivo le organizzazioni agricole avanzano forti richieste per un maggiore coinvolgimento nei processi decisionali e auspicano l’introduzione di metodi concertativi, con i quali le loro opinioni possano assumere un peso più rilevante. Volendo ricercare i punti di forza e di debolezza nell’attuazione del decentramento da parte della Provincia di Torino, è indiscutibile che la competenza agricola che ha sviluppato negli anni sia un elemento fortemente positivo. Incide in modo vantaggioso anche il fatto che la provincia gestisce le procedure del PSR per alcune comunità montane: ovvia in questo modo alla carenza di risorse e di strumenti di tali enti e garantisce un’attuazione uniforme delle pratiche di istruttoria. L’autonomia delle restanti comunità montane, invece, può essere considerata, secondo questa logica, come un fattore negativo, poiché frammenta la gestione dei bandi e non permette il conseguimento di risultati sempre ottimali. Lo spazio di manovra della provincia, inoltre, è stato limitato, in relazione al PSR 2000-2006, dall’esiguo volume delle risorse a disposizione per emanare bandi propri, che ha di fatto ridotto le possibilità di intervento della provincia.

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Il nuovo periodo di programmazione del PSR porta con sé la possibilità, per la provincia, di ampliare il proprio spazio di programmazione, attraverso, come visto precedentemente, i Progetti finalizzati e l’approccio Leader, con i quali la provincia potrà presentarsi come ente capofila e potrà rivestire un ruolo di animazione e coordinamento territoriale. Poiché il PSR 2007-2013 non è ancora stato approvato nella sua versione definitiva e poiché non è possibile prevedere le scelte che i diversi enti coinvolti perseguiranno per l’attuazione delle politiche di sviluppo rurale, è necessario ricordare che tali opportunità dovranno confrontarsi, tuttavia, con il rischio che la regione scelga di favorire una gestione di tipo tradizionale dei finanziamenti, a domanda singola, piuttosto che sostenere la programmazione integrata, circoscrivendo così le possibilità di scelta della provincia. Al contrario, è possibile anche che le province e le comunità montane possano godere di un ampio margine di autonomia: in questo caso, si potrebbe verificare un’eccessiva frammentazione delle politiche, determinata da scelte poco coerenti fra una provincia e l’altra.

Provincia di Torino

Punti di forza

› Competenza dei funzionari in materia agricola

› Accordo di programma con alcune comunità montane

Punti di debolezza

› Autonomia di alcune comunità montane › Scarse risorse per i bandi provinciali del

PSR 2000-2006

Opportunità

› Progetti finalizzati › Approccio Leader

Minacce

› Frammentazione delle politiche › Politiche poco integrate per il PSR

2007-2013

6.2. Provincia di Cuneo La Provincia di Cuneo è caratterizzata da un territorio a forte tradizione agricola: questa caratteristica si concretizza nello stretto rapporto che intercorre fra l’ente pubblico e le organizzazioni professionali agricole. Sebbene il comitato di consultazione previsto dall’articolo 8 della legge n. 17/1999 non sia stato costituito, esistono infatti diversi canali con cui le organizzazioni vengono coinvolte, spesso con modalità di tipo concertativo. I rapporti con la regione sono distesi, mentre sono ridotti quelli con le comunità montane, che hanno scelto di gestire l’attuazione del PSR senza l’aiuto della provincia, in alcuni casi però associandosi fra di loro.

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Lo spazio di autonomia della provincia nell’elaborazione dei bandi del PSR non è pienamente sfruttato: si è scelto infatti di seguire l’esempio dei precedenti bandi regionali e i margini di modifiche sono stati utilizzati principalmente per restringere il numero delle domande affinché fossero proporzionate ai fondi a disposizione. Come detto per la Provincia di Torino, le prospettive per il futuro PSR fanno prevedere un aumento dell’autonomia in campo di programmazione per la provincia, sebbene via sia l’incognita dell’approvazione finale del Programma. La Provincia di Cuneo, poi, dovrà prestare attenzione a che le organizzazioni professionali agricole, forti della loro posizione presso l’ente pubblico, non avanzino richieste eccessive, che favoriscano sì gli agricoltori, ma che vadano a discapito del benessere collettivo: è necessario ricordare, infatti, che il PSR non si occupa esclusivamente di agricoltura, ma di sviluppo rurale nel suo complesso.

Provincia di Cuneo

Punti di forza

› Competenza dei funzionari in materia agricola

› Dialogo stretto con le organizzazioni professionali agricole

Punti di debolezza

› Mancanza del Comitato ex art. 8 della l.

17/1999 › Mancanza di accordi con le comunità

montane › Scarse risorse per i bandi provinciali del

PSR 2000-2006

Opportunità

› Progetti finalizzati › Approccio Leader

Minacce

› Eccessivo potere delle organizzazioni

professionali agricole › Frammentazione delle politiche › Politiche poco integrate per il PSR

2007-2013

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Conclusioni Il lavoro svolto ha permesso di evidenziare alcuni elementi problematici del decentramento amministrativo nell’attuazione del Piano di sviluppo rurale della Regione Piemonte. Alcuni di essi possono essere considerati fisiologici all’interno di un processo che sposta delle competenze da un ente ad un altro e, in quanto tali, destinati a risolversi spontaneamente. Altri, invece, sono determinati da un contrasto di posizioni fra gli attori del processo e potrebbero essere risolvibili attraverso un’attività di dialogo e discussione delle alternative possibili. Come visto, uno dei nodi maggiormente critici è rappresentato dalla legge regionale n. 17/1999 sul decentramento in materia di agricoltura. La sua formulazione e il suo contenuto danno origini a conflitti ed a sovrapposizioni di competenze. Le alternative che si prospettano sono di due tipi. Da una parte si può scegliere, ed è ciò che è stato fatto finora, di non intervenire sul testo della legge, lasciando invariata la situazione. È evidente che tale prospettiva permette di evitare lunghe discussioni di tipo politico e di affrontare le posizioni diverse e spesso contrastanti dei diversi attori: è ovvio, tuttavia, che ciò non può risolvere il problema. La seconda opzione, invece, consisterebbe in una modifica della legge, che prendesse atto delle difficoltà incontrate finora e che cercasse, anche nel confronto con le scelte effettuate da altre regioni, delle soluzioni ottimali di gestione del decentramento. Nel corso dell’analisi, è stato evidenziato che uno degli elementi più controversi del decentramento relativo al PSR è legato all’esistenza di bandi, diversi fra loro, emanati dalle province e dalle comunità montane. Questa eterogeneità, come visto, è positiva per coloro che vi vedono la possibilità di prendere maggiormente in considerazione le problematiche locali del territorio. Altri, al contrario, ritengono che la diversificazione non sia corretta, poiché può causare disparità non giustificate fra i beneficiari. In questo contesto e poiché il problema può scindersi in due elementi, cioè il contenuto dei bandi e le procedure gestionali di essi, le alternative ipotizzabili sono tre. La prima soluzione consisterebbe in un ritorno a bandi esclusivamente regionali, in cui la regione definisca sia il contenuto sia l’iter amministrativo: gli enti delegati, province e comunità montane, si occuperebbero solo della gestione dell’istruttoria. È evidente che in questo modo si contravverrebbe allo spirito e al dettato della legge n. 17/1999, si ridurrebbe drasticamente l’autonomia degli enti delegati e li si priverebbe di qualsiasi capacità programmatoria per quanto riguarda il Programma di sviluppo rurale. La seconda possibilità, all’opposto, sarebbe la concessione, agli enti delegati, di un’ampia autonomia decisionale, pur sempre nel rispetto delle strategie contenute nel PSR. Tale soluzione amplificherebbe forse le critiche relative all’eterogeneità dei trattamenti, ma consentirebbe, se gli enti delegati fossero in grado di assumersi questa responsabilità, una reale attenzione alle esigenze del territorio. Gli ulteriori problemi, inoltre, potrebbero essere risolti attraverso un reale dialogo istituzionale fra gli enti coinvolti e con un confronto costruttivo con le organizzazioni professionali agricole. La terza opzione, di compromesso, potrebbe prevedere che la regione stabilisca le procedure gestionali valide per tutti i bandi. Le province e le comunità montane avrebbero così la possibilità di esercitare un certo margine di autonomia nella definizione dei dettagli dei bandi e i beneficiari finali

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avrebbero la garanzia di procedimenti uniformi, in cui il numero e la tipologia dei documenti da presentare e l’iter da seguire siano gli stessi. A questo proposito potrebbe essere interessante effettuare una ricerca sull’autonomia degli enti delegati al termine e nel corso del periodo di programmazione 2007-2013: un’analisi delle scelte attuate potrebbe essere più proficua visto che il nuovo PSR prevede un maggior coinvolgimento delle province e, rispetto al PSR 2000-2006, esse potranno gestire un volume di risorse più cospicuo. Nell’ambito degli enti delegati, la ricerca ha evidenziato come spesso siano sorti dei problemi in relazione alla gestione del PSR da parte delle comunità montane. È emerso, infatti, che alcune di esse mancano degli strumenti e delle risorse, finanziarie e umane, necessarie a garantire una corretta attuazione del PSR. Potrebbe essere utile, in futuro, realizzare un’indagine incentrata sull’azione delle comunità montane e sulle criticità che esse devono affrontare. Con dati specifici sarà possibile individuare le soluzioni più efficaci ed efficienti al problema: è ammissibile, infatti, che non vi sia un unico sistema attuabile, ma che, a seconda dei singoli contesti, sia preferibile prevedere un processo di accompagnamento e creazione di strumenti, piuttosto che incentivare la conclusione di accordi fra comunità montane o ancora la stipulazione di protocolli di intesa con le rispettive province di appartenenza. Per quanto riguarda le organizzazioni professionali agricole, sembra che gli enti pubblici abbiano già scelto la strada del dialogo e del confronto e si può affermare che sia la decisione da perseguire. È importante, inoltre, approfittare della sede di discussione offerta dal Comitato creato sulla base dell’articolo 8 della legge n. 17/1999. Nel corso dell’analisi, è stato rilevato un contrasto di opinioni relativamente alla visione della sussidiarietà orizzontale e al futuro ruolo dei Centri di assistenza agricola. È ipotizzabile che la soluzione migliore in merito alle diverse alternative prospettate sia quella scelta dalla Regione Toscana, in base alla quale i CAA possono svolgere attività di assistenza procedimentale per conto degli enti pubblici ma non si occupano della determinazione dell’ammissibilità delle domande presentate. In conclusione, gettando uno sguardo sul futuro periodo di programmazione 2007-2013, è evidente che il sistema di governance del Programma di sviluppo rurale sarà ampliato e richiederà un maggior sforzo di collaborazione fra gli attori coinvolti. Dovrà crescere infatti il livello di coordinamento fra gli interventi attuati dai diversi enti pubblici e si dovrà porre attenzione alla coerenza e all’interdipendenza delle azioni intraprese dai singoli attori, nella prospettiva di raggiungere un reale obiettivo di sviluppo rurale e locale.

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