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A CURA DEGLI UFFICI DI SEGRETERIA SILCEA Pagina1 SETTEMBRE 2016 NOTIZIARIO DELLA SEZIONE SILCEA DI UNISIN SILCEA - Via Cristoforo Colombo. 181 Roma - www.silcea.org - Tel.: 06 51 26 765 -06 51 60 58 28 Fax. 06 51 40 464 e-mail: info@Silcea.org TERREMOTO IN ITALIA CENTRALE: UN AIUTO SUBITO Il terremoto che ha colpito in modo drammatico l‘Italia centrale, soprattutto nelle province di Rieti e Ascoli Piceno, mercoledì notte alle 3:36 minuti ha causato morte e distruzione in quei meravigliosi territori. Il bilancio delle vittime sale di ora in ora, tra loro purtroppo ci sono anche molti bambini. Migliaia gli sfollati. Gli effetti devastanti di questo sisma sono sotto gli occhi di tutti, rimbalzati su tutti i media mondiali. Sono crollate case, infrastrutture, luoghi di lavoro, edifici storici e di valore artistico. Si sono fermate le attività delle aziende e il dramma umano rischia di aggravarsi con quello sociale relativo alla perdita del lavoro e di un futuro per tutti gli abitanti delle zone colpite dal sisma. L’altissimo numero di vittime rende ancora più drammatica la situazione. La popolazione ha bisogno di aiuti materiali ed economici immediati per non ripetere altre, passate, tristi esperienze. Chiediamo all'Abi di avviare da subito una raccolta di fondi che veda la partecipazione di tutte le lavoratrici e i lavoratori del credito, con una quota pro capite di 10 euro. All’Associazione Bancaria sollecitiamo un intervento almeno pari all’intera somma raccolta fra tutti i dipendenti del settore. Abbiamo già chiesto inoltre all’Abi, come già attuato nel caso del terremoto in Emilia del 20 e 29 maggio del 2012, di farsi carico presso tutti gli istituti di credito di sospendere le rate dei mutui, dei prestiti e di tutte le altre iniziative finanziare che riterranno opportune per alleviare le popolazioni colpite da questo grave sisma. Informiamo i colleghi che il Consiglio di Prosolidar ha già deliberato di utilizzare il fondo dedicato per le emergenze a sostegno delle persone che stanno vivendo questo catastrofico evento. Sul sito di Prosolidar saranno, tempo per tempo, evidenziate le iniziative che verranno assunte. Per questo invitiamo le lavoratrici e i lavoratori di partecipare all’azione di solidarietà, avviata di concerto con l’Abi, con un contributo di minimo 10 euro (fiscalmente deducibile) attraverso la sottoscrizione del modulo allegato. Siamo convinti che ancora una volta le lavoratrici e i lavoratori bancari si distingueranno per generosità e partecipazione a un’azione collettiva di solidarietà, che porti un segnale di speranza e vicinanza a una popolazione che sta vivendo momenti drammatici. Roma, 25 agosto 2016 LE SEGRETERIE NAZIONALI FABI FIRST/CISL - FISAC/CGIL - SINFUB - UGL/CREDITO - UILCA UNISIN

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SETTEMBRE 2016

NOTIZIARIO DELLA SEZIONE SILCEA DI UNISIN SILCEA - Via Cristoforo Colombo. 181 Roma - www.silcea.org - Tel.: 06 51 26 765 -06 51 60 58 28 Fax. 06 51 40 464 e-mail: [email protected]

TERREMOTO IN ITALIA CENTRALE: UN AIUTO SUBITO Il terremoto che ha colpito in modo drammatico l‘Italia centrale, soprattutto nelle province di Rieti e Ascoli

Piceno, mercoledì notte alle 3:36 minuti ha causato morte e distruzione in quei meravigliosi territori. Il bilancio

delle vittime sale di ora in ora, tra loro purtroppo ci sono anche molti bambini. Migliaia gli sfollati. Gli effetti

devastanti di questo sisma sono sotto gli occhi di tutti, rimbalzati su tutti i media mondiali. Sono crollate case,

infrastrutture, luoghi di lavoro, edifici storici e di valore artistico. Si sono fermate le attività delle aziende e il

dramma umano rischia di aggravarsi con quello sociale relativo alla perdita del lavoro e di un futuro per tutti

gli abitanti delle zone colpite dal sisma. L’altissimo numero di vittime rende ancora più drammatica la

situazione. La popolazione ha bisogno di aiuti materiali ed economici immediati per non ripetere altre, passate,

tristi esperienze. Chiediamo all'Abi di avviare da subito una raccolta di fondi che veda la partecipazione di tutte

le lavoratrici e i lavoratori del credito, con una quota pro capite di 10 euro. All’Associazione Bancaria

sollecitiamo un intervento almeno pari all’intera somma raccolta fra tutti i dipendenti del settore. Abbiamo già

chiesto inoltre all’Abi, come già attuato nel caso del terremoto in Emilia del 20 e 29 maggio del 2012, di farsi

carico presso tutti gli istituti di credito di sospendere le rate dei mutui, dei prestiti e di tutte le altre iniziative

finanziare che riterranno opportune per alleviare le popolazioni colpite da questo grave sisma. Informiamo i

colleghi che il Consiglio di Prosolidar ha già deliberato di utilizzare il fondo dedicato per le emergenze a

sostegno delle persone che stanno vivendo questo catastrofico evento. Sul sito di Prosolidar saranno, tempo

per tempo, evidenziate le iniziative che verranno assunte. Per questo invitiamo le lavoratrici e i lavoratori di

partecipare all’azione di solidarietà, avviata di concerto con l’Abi, con un contributo di minimo 10 euro

(fiscalmente deducibile) attraverso la sottoscrizione del modulo allegato. Siamo convinti che ancora una volta

le lavoratrici e i lavoratori bancari si distingueranno per generosità e partecipazione a un’azione collettiva di

solidarietà, che porti un segnale di speranza e vicinanza a una popolazione che sta vivendo momenti

drammatici.

Roma, 25 agosto 2016

LE SEGRETERIE NAZIONALI FABI – FIRST/CISL - FISAC/CGIL - SINFUB - UGL/CREDITO - UILCA – UNISIN

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UNISIN - COMUNICATO AI COLLEGHI LA SPECULAZIONE NON MOLLA LA PRESA SULLE NOSTRE BANCHE.

IL MANAGEMENT DEVE RISPONDERE CON OBIETTIVI DI LUNGO PERIODO E VALORIZZANDO LE RISORSE UMANE. Venerdì sera, a mercati chiusi, venivano diramati i tanto attesi risultati degli stress test sulle principali Banche Europee. Abbiamo preso atto con soddisfazione che, al di fuori del MPS, di cui si conosceva da tempo la situazione, le più grandi Banche Italiane non hanno nulla da invidiare ai competitors continentali rispetto alla solidità patrimoniale in caso di scenario estremamente avverso, tutt’altro. UNISIN non intende entrare nei tecnicismi con cui l’Autorità Europea, preposta a questi esami, ha stabilito chi ha fatto progressi dai test del 2014 e chi invece – come il MPS - deve ricorrere rapidamente ad una ulteriore ricapitalizzazione. Ritiene, però, indispensabile denunciare con forza che la speculazione contro le nostre Banche, il nostro Paese e la nostra economia è oramai mossa da motivazioni (anche quelle più fantasiose) insostenibili che nulla hanno a che fare con la struttura industriale delle Aziende stesse. C’era attesa per la riapertura dei mercati ed aver registrato prima una reazione positiva degli operatori e poi, durante la g iornata, un radicale capovolgimento delle quotazioni, soprattutto, come al solito, verso le nostre Banche non sembra trovare una giustificazione oggettiva. Come noto, UNISIN ha prodotto nel tempo vari documenti per mettere in risalto che per parlare di redditività e di competitività occorre, innanzitutto, creare le condizioni economiche nel Paese affinché le imprese e quindi, il Sistema bancario, possano investire nel futuro. In Italia, tutta una serie di mali endemici rimangono tuttora irrisolti e, al di la dei soliti e blandi proclami, quali sono stati effettivamente gli strumenti posti in essere dal Governo per rilanciare l’economia? Il Governo, ovvero, i Governi hanno operato in modo incisivo , al pari degli altri Paesi Europei, affinché le Banche Italiane si potessero confrontare in condizioni di effettiva competitività rispetto, sempre, alle altre banche Europee? Alle note carenze della politica vanno poi aggiunte quelle ascrivibili ai vertici delle Banche. Negli ultimi anni le uniche azioni poste in essere dal management delle Banche italiane per far fronte alla crisi strutturale della nostra economia si possono raggruppare in due grandi aree di intervento: tagliare i costi del personale e ridurre l’impatto della rete. Come è possibile, infatti, assistere ancora a questa dinamica quando la stessa Associazione Bancaria Italiana ammette che il numero delle Filiali e dei dipendenti non è certo superiore, oramai, alla media Europea? Come è possibile che i Piani Industriali siano rivisti e riproposti molto prima della loro naturale scadenza non giungendo quasi mai a compimento ed innescando la solita dinamica degli ulteriori tagli sui tagli già previsti ed in corso d’opera? Il tutto senza soffermarsi sulle responsabilità gravi che hanno portato al dissesto di Banche con valenza storica e/o operanti in territori economicamente importanti. Si dovrebbe immaginare non uno scenario fortemente avverso, su cui misurare la resilienza dei principali Gruppi Bancari, ma calcolare i benefici per la collettività e per le finanze pubbliche di una fase di espansione originata e sostenuta proprio da un diverso approccio rispetto a come viene oggi considerato il lavoro e l’apporto delle risorse umane. I Dipendenti bancari hanno sostenuto il peso della crisi di fiducia del Sistema in modo esemplare ma oramai sentono loro stessi il peso derivante dall’incertezza nel futuro dove il loro lavoro è continuamente sottoposto a pressioni di ogni genere. Questo scenario non può rappresentare le soluzioni alla crisi proposte dal management. Occorre ripensare il ruolo delle banche con coraggio e con lungimiranza, tornare ai territori alle famiglie ed alle imprese, investire sulle Risorse Umane e nel modello commerciale, accantonando definitivamente le attività prettamente finanziarie. Occorre quindi esaltare le indubbie doti professionali di ogni Lavoratrice e di ogni Lavoratore del Credito per tornare a crescere economicamente, diversamente, saremo sempre condizionati da chi non perde occasione per scommettere contro il nostro Paese e contro le nostre Banche.

UNISIN: PRIMA DI PARLARE DI ESUBERI

RIPENSARE AL MODELLO DI BUSINESS

COMUNICATO STAMPA

In questi giorni vengono evidenziati nel Settore ulteriori esuberi di personale, quantificabili in migliaia di dipendenti, che dovrebbero lasciare il lavoro entro il 2020 ‐ oltre a quelli già previsti dai vari Piani Industriali in corso di realizzazione. UNISIN ribadisce che parlare di uscite senza aver ancora definito un nuovo modello di Banca e, conseguentemente, un nuovo modello di business per il Sistema Bancario del nostro Paese non ha assolutamente senso e, soprattutto, non risolve alcun problema, dichiara il Segretario Generale di UNISIN Emilio Contrasto. Come Sindacato abbiamo commentato pochi giorni fa, con sostanziale soddisfazione ad eccezione del MPS, gli esiti degli stress test che hanno confermato la solidità del Nostro sistema Bancario. Ora non si comprende, quindi, l’emergenza di tagliare altri posti di lavoro e sportelli dopo che la stessa Associazione Datoriale, l’ABI, ha confermato che il nostro Sistema Bancario è sano ed il numero di dipendenti e sportelli è addirittura mediamente più basso rispetto ai competitors continentali, aggiunge Contrasto

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UNISIN da sempre afferma che la volontarietà debba essere un elemento imprescindibile, rispetto alle

eventuali uscite anticipate dal lavoro, e chiede – unitamente ad ABI ed alle altre OO.SS. ‐ che il Settore possa legittimamente utilizzare le risorse che attualmente versa per la cassa integrazione generale, senza averne poi alcun beneficio in termini di utilizzo, per il sostegno del proprio fondo esuberi. Innanzitutto occorre però comprendere dove sono effettivamente gli esuberi annunciati evidenziando, nel contempo, le responsabilità del management che ha contribuito, attraverso incapacità o comportamenti dubbi, alle situazioni di alcune Banche la cui attuale situazione non può essere ora addebitata alle Lavoratrici ed ai Lavoratori. Siamo consapevoli poiché lo abbiamo evidenziato da tempo –conclude Contrasto‐ che le nuove tecnologie stanno cambiando radicalmente le abitudini dei clienti ed il modello distributivo ed organizzativo ed è per questo che potremmo condividere i ragionamenti che, proposti da Controparte, possano comprendere un eventuale turn over dei lavoratori e quindi associare alle eventuali uscite quelle assunzioni tanto importanti anche per il Paese oltre che per la redditività delle Banche. I Banchieri e le Banche invece di continuare ad adottare politiche di retroguardia e di corto respiro farebbero bene a tornare ad investire nei territori di riferimento. Dagli ultimi dati della CGIA di Mestre emerge infatti che gli impieghi bancari alle imprese nell’ultimo anno sono scesi di quasi 14 miliardi di euro e di circa 117 miliardi di euro se si considera il periodo da maggio 2011 a maggio di quest’anno. Occorre rilanciare l’economia attraverso gli investimenti solo così si risolverà la crisi che sta impoverendo il Paese e si scongiurerà il ricorso all’usura che manda in rovina imprese e famiglie, conclude il Segretario Generale di UNISIN Contrasto. Roma, 12 agosto 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE: VIA LIBERA DALLA CASSAZIONE

L'ufficio centrale per il referendum ha ammesso la richiesta sul testo di riforma della Costituzione

di Marina Crisafi

È arrivato (…) l'atteso via libera della Cassazione al referendum consultivo sulla riforma costituzionale. Con ordinanza dell'8 agosto 2016, informa in

un comunicato la stessa Corte, l'ufficio centrale per il referendum presso la Corte Suprema di Cassazione "ha dichiarato conforme all'art. 138 Cost. e

alla Legge n. 352 del 1970 la richiesta di referendum depositata il 14 luglio 2016 alle ore 18.45 sul testo di legge costituzionale avente ad oggetto il

seguente quesito referendario: "Approvate il testo della legge costituzionale concernente 'disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario,

la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo

V della parte II della Costituzione, approvato dal Parlamento e pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?'".

Ora che la richiesta è stata ammessa, il Governo avrà quindi 60 giorni di tempo per scegliere la data del referendum, con decreto che sarà poi

firmato dal presidente della Repubblica. Data che potrà essere collocata in una domenica compresa tra il 50simo e il 70simo giorno successivo al

decreto di indizione.

Fonte: Referendum costituzionale: via libera dalla Cassazione ( www.StudioCataldi.it)

CASSAZIONE: LECITE LE TELECAMERE PER I LAVORATORI FANNULLONI

Ammesse le videoriprese per chi falsifica entrate e uscite. Le garanzie ex art. 4 dello Statuto dei lavoratori non si applicano per

l'accertamento di fatti che costituiscono reato

di Lucia Izzo

Nulla da fare per i dipendenti fannulloni: la Cassazione ribadisce la liceità dell'utilizzo delle videoriprese per indagare sull'assenteismo dei dipendenti,

e, circa l'obbligo di timbratura del badge, evidenzia che le garanzie procedurali imposte dall'art. 4, secondo comma, dello Statuto dei lavoratori

(espressamente richiamato dall'art. 114 del d.lgs. n. 196/2003) si applicano ai controlli c.d. difensivi, ossia diretti ad accertare l'inesatto adempimento

delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non, invece, quando riguardino la tutela di beni estranei al rapporto stesso.

Tanto emerge dalla sentenza n. 33567/2016, con cui la seconda sezione penale ha confermato la condanna per due dipendenti fannulloni, indagati

per truffa aggravata e continuata nei confronti del Comune, alle dipendenze del quale avevano prestato servizio con le mansioni di usciere.

I due vengono accusati di essersi allontanati dal luogo di lavoro timbrando il cartellino segnatempo in orari di entrata e uscita diversi da quelli effettivi.

Nonostante i due si dolgano della non utilizzabilità delle risultanze desunte dal sistema di registrazione dell'accesso e dell'uscita dei dipendenti dal

posto di lavoro (badge), nonché delle captazioni di immagini audiovisive effettuate dalla polizia giudiziaria, gli Ermellini confermato in toto l'impianto

accusatorio.

Per quanto riguarda il sistema di registrazione degli orari di accesso e uscita dei dipendenti, non risulta da alcuna evidenza processuale l'illegittimità

dell'istallazione del sistema di rilevazione elettronica delle presenze e neppure l'asserita mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali

eccepita dai ricorrenti.

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I giudici evidenziano che in tema di apparecchiature di controllo dalle quali derivi la possibilità di verificare a distanza l'attività dei lavoratori, le

garanzie procedurali previste dall'art. 4, seconda comma, dello Statuto dei lavoratori non trovano applicazione quando si procede all'accertamento di

fatti che costituiscono reato. Tali garanzie riguardano solo l'utilizzabilità delle risultanze delle apparecchiature di controllo nei rapporti interni, di diritto

privato, tra datore di lavoro e lavoratore.

La loro eventuale inosservanza, precisano gli Ermellini, non assume pertanto alcun rilievo nell'attività di repressione di fatti costituenti reato, al cui

accertamento corrisponde sempre l'interesse pubblico alla tutela del bene penalmente protetto, anche qualora sia possibile identificare la persona

offesa nel datore di lavoro.

Ancora, in tema di allontanamento fraudolento da luogo di lavoro, l'eventuale insussistenza per i lavoratori di un vero e proprio obbligo di vidimare il

cartellino o la tessera magnetica delle presenze giornaliere non esclude che, qualora tale vidimazione sia comunque effettivamente compiuta, ma

con modalità fraudolente tali da indurre in inganno il datore di lavoro, ricorrano gli estremi degli artifizi e raggiri che integrano il delitto di truffa.

Non è infatti, la doverosità della vidimazione a rendere quest'ultima, se falsificata, idonea a ingannare il datore di lavoro, ma, anche laddove questa

sia meramente facoltativa, può ingenerare l'inganno di far risultare una presenza falsamente attestata: il lavoratore, in sostanza, in presenza di un

facoltà, può vidimare o meno, ma se ottempera all'adempimento la falsificazione dell'orario di entrata o di uscita configura un artifizio o raggiro.

Infine, per quanto riguarda le riprese audiovisive, il Collegio chiarisce che le videoregistrazioni di condotte non comunicative, disposte dalla Polizia

nel corso delle indagini preliminari, in luoghi riconducibili al concetto di domicilio, e quindi generalmente meritevoli di tutela ex art. 14 Cost., sono

qualificabili come prova atipica disciplinata dall'art. 189 c.p.p. ed utilizzabili senza alcuna necessità di autorizzazione preventiva del giudice, se le

riprese sono eseguite con il consenso del titolare del domicilio

. Fonte: Cassazione: lecite le telecamere per i lavoratori fannulloni (www.StudioCataldi.it)

CASSAZIONE: FINGERSI DIVORZIATI È REATO

Integrato il reato di sostituzione di persona e non la tentata bigamia per l'uomo sposato che si spaccia per scapolo

di Marina Crisafi

Linea dura della Cassazione contro gli impenitenti "dongiovanni" che si spacciano per scapoli per conquistare fidanzate ignare del fatto che a casa li

attendono invece moglie e figli. Una simile condotta per gli Ermellini integra il reato di sostituzione di persona piuttosto che la tentata bigamia. Su

questo assunto, infatti, i giudici della quinta sezione penale della Suprema Corte (sentenza n. 34800/2016), non hanno mostrato nessuna indulgenza

nei confronti di un uomo che, per conquistare una nuova fiamma, era andato ben oltre il classico trucco di far sparire la fede, mostrando alla donna

anche un finto atto di annullamento del matrimonio certificato dalla Sacra Rota per dimostrarle di essere libero.

La fidanzata ignara insiste allora per trascinarlo all'altare e lui, per evitare scenate ma senza alcuna intenzione di pronunciare un secondo sì,

acconsente persino a seguire il corso prematrimoniale. Ma le bugie hanno le gambe corte e la donna, che nel frattempo era in attesa di un figlio

dall'uomo, insospettita dai continui rinvii della presentazione dei suoceri e dal fatto che le carte per le nozze tardavano ad arrivare, lo pedina

beccandolo mentre usciva dalla casa dove conviveva insieme alla vera moglie e ai figli!

Il bugiardo seriale finisce così davanti ai giudici per tentata bigamia (oltre che per falso in atti pubblici), ma i fatti vengono riqualificati ritenendo

configurabile la fattispecie di sostituzione di persona ex art. 494 del codice penale. E sul punto, anche piazza Cavour non ha dubbi, rigettando la tesi

difensiva che sosteneva mancasse il vantaggio previsto dalla norma incriminatrice.

Per la S.C., infatti, "il delitto di sostituzione di persona appartiene al novero dei delitti contro la fede pubblica ma ha natura plurioffensiva, in quanto

tutela anche gli interessi del soggetto privato nella cui sfera giuridica l'atto (nel caso l'attribuzione del falso stato) sia destinato ad incidere

concretamente". E la nozione di vantaggio, come dimostra l'evoluzione della giurisprudenza, va ben oltre il mero concetto di utilità economica

essendo interpretata "in termini piuttosto ampi, ricomprendendo qualunque forma di vantaggio, anche lecito e di natura non patrimoniale". Così, si è

ritenuto, afferma la Corte, citando i vari esempi, integrato il reato nella condotta di chi crea un falso profilo sui social network usando l'identità di un

altro soggetto al solo fine di avere più contatti (cfr. Cass. n. 25774/2014), e ancora di colui che si attribuisce un falso nome per corrispondere con

soggetti che altrimenti non gli avrebbero concesso la loro amicizia (cfr. Cass. n. 36094/2006).

Per cui, concludono dal Palazzaccio, "non si vede per quale motivo possa essere escluso dalla nozione di vantaggio l'avere instaurato o comunque

mantenuto per un apprezzabile lasso di tempo una relazione affettiva e di convivenza". Il dolo era rintracciabile, dunque, nella menzogna dell'uomo

sul suo stato finalizzata a mantenere una relazione affettiva altrimenti impossibile.

Fonte: Cassazione: fingersi divorziati è reato (www.StudioCataldi.it)

CASSAZIONE: SÌ AGLI 007 PER SCOPRIRE SE LA MALATTIA DEL LAVORATORE È VERA

Se da elementi oggettivi emerge che la patologia è inesistente, il certificato medico perde valore

di Valeria Zeppilli

Per la Cassazione la malattia del lavoratore non sempre può essere validamente attestata da un certificato medico: se da elementi oggettivi emerge

che la patologia è inesisente, tale certificato perde di valore.

I giudici di legittimità sono tornati su tale delicata questione con la sentenza numero 17113 depositata il 16 agosto 2016, chiarendo che i datori di

lavoro possono contestare i certificati sanitari prodotti dai lavoratori e che possono farlo non solo con accertamenti medici contrari ma anche basandosi

su elementi di fatto.

Nel caso di specie, la controversia era sorta a seguito di licenziamento comminato a un dipendente da un'azienda in ragione di una "simulazione

fraudolenta dello stato di malattia", testimoniata dal compimento, da parte del lavoratore stesso, di numerose azioni e movimenti incompatibili con la

dichiarata lombalgia.

Per la Corte, però, sotto tale aspetto non c'è nulla da contestare: la certificazione, infatti, perde di credibilità se sussistono elementi di fatto idonei a

dimostrare che la malattia non esiste o, comunque, che essa non è in contrasto con il regolare svolgimento della prestazione lavorativa.

Con l'occasione i giudici hanno ribadito che i datori di lavoro possono legittimamente investigare, anche attraverso apposite agenzie, sulle condotte dei

propri lavoratori estranee allo svolgimento dell'attività lavorativa se c'è il sospetto che tali condotte possano influenzare in maniera negativa

l'adempimento della prestazione dedotta in contratto.

Pedinare il dipendente assente per malattia è possibile anche se la commissione di atti illeciti o comunque irregolari è solo sospettata.

Le agenzie, in ogni caso, operano lecitamente esclusivamente se non sconfinano nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, che l'articolo 3

dello Statuto dei lavoratori riserva direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.

Su questi presupposti, insomma, il controllo del lavoratore mediante "007" per accertare l'effettività di una malattia (giustificato anche solo dal sospetto)

non è ostacolato né dal principio di buona fede né dal divieto di cui all'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, dato che il datore di lavoro può decidere

autonomamente quando e come compiere i controlli anche occulti e dato che il prestatore d'opera deve operare diligentemente per tutto il rapporto di

lavoro.

Fonte: Cassazione: sì agli 007 per scoprire se la malattia del lavoratore è vera (www.StudioCataldi.it)

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AUTORICICLAGGIO: LE PRIME SENTENZE DELLA CASSAZIONE SUL NUOVO REATO

Investimento dei profitti illeciti, epoca della commissione del reato presupposto, importanza dell'esistenza del concreto effetto

dissimulatorio

di Giovanni Tringali

Il reato di autoriciclaggio è stato inserito dall'art. 3, comma 3, della Legge 15 dicembre 2014, n. 186 ed è entrato in vigore il primo gennaio 2015. Due

recenti sentenze della Suprema Corte ci aiutano a capire i punti più delicati della nuova fattispecie di reato, si tratta della sentenza n. 3991 del 27

gennaio 2016 e della n. 33074 del 28 luglio 2016.

LA NORMA

Art. 648-ter.1. Autoriciclaggio – c.p.

1. Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a

commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o

le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.

2. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono

dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

3. Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni

o le finalità di cui all'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive

modificazioni.

4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione

o al godimento personale.

5. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell'esercizio di un'attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.

6. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per

assicurare le prove del reato e l'individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.

7. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.

I PUNTI CHIARITI

a. Attività economica o finanziaria

Con la richiamata sentenza n. 33074 viene chiarito che non costituisce né attività economica né attività finanziaria il mero deposito di una

somma su una carta prepagata poiché è economica, secondo la indicazione fornita dal codice civile all'art. 2082, soltanto quella attività finalizzata alla

produzione di beni ovvero alla fornitura di servizi; né tantomeno può ritenersi sussistere, nella condotta di versamento di somme in un conto corrente

ovvero in una carta prepagata, un'attività "finanziaria": la nozione di attività finanziaria, di rilievo per la punibilità ai sensi della citata norma di cui all'art.

648 1 ter c.p., può ricavarsi dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (art. 106)[1], che individua quali tipiche attività finanziarie

l'assunzione di partecipazioni (acquisizione e gestione di titoli su capitale di imprese), la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, la

prestazione di servizi di pagamento (incasso e trasferimento di fondi, esecuzione di ordini di pagamento, emissione di carte di credito o debito), l'attività

di cambiavalute.

b. L'ostacolo concreto all'identificazione della provenienza illecita dei beni

Posto che la norma sull'autoriciclaggio/autoreimpiego punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre

utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto, occorre che queste attività abbiano la caratteristica specifica di essere "idonee" ad

ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa dei suddetti beni o altre utilità. Secondo i giudici, il legislatore ha delineato una

condotta dotata di particolare capacità dissimulatoria, cioè idonea a fare ritenere che l'autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto

effettuare un impiego di qualsiasi tipo, ma pur sempre finalizzato ad occultare l'origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto.

c. Investimento dei profitti

Le attività dirette all'investimento dei profitti, operate dall'autore del delitto contro il patrimonio, costituiscono post factum non punibili. La

rilevanza penale delle condotte si deve circoscrivere ai soli casi di impiego, sostituzione o trasferimento che avvengano attraverso la re-immissione nel

circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita, finalizzate ad ottenere un concreto effetto

dissimulatorio che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento

del profitto illecito (e perciò punibile).

d. Epoca della commissione del reato presupposto

Secondo la Suprema Corte è irrilevante che la realizzazione del reato presupposto, da cui discendono i profitti illeciti, sia avvenuta in epoca

antecedente l'entrata in vigore del reato di autoriciclaggio/autoreimpiego. Se il reato presupposto è stato commesso prima del 01/01/2015 mentre il

reato di autoriciclaggio dei profitti illeciti viene consumato in data successiva, è improprio invocare il principio di irretroattività della legge penale di cui

all'art. 2 c.p.[2]

ESEMPI

Caso 1

Tizio, nel 2014, rapina un milione di euro ad una banca. Conserva il bottino in un cassetto della sua scrivania fino a quando nel 2016 decide

di utilizzare tale somma di denaro per pagare una costosa operazione chirurgica necessaria per salvare la vita al figlio.

Caso 2

Caio, nel 2013, truffa una serie di soggetti contattati su internet riuscendo a farsi accreditare delle somme di denaro su delle carte di credito

prepagate intestate a soggetti di fantasia ma nella sua disponibilità. Dopo una lunga serie di trasferimenti su conti gioco e altre carte prepagate intestate

a soggetti compiacenti, riesce a prelevare i contanti presso sportelli automatici di varie banche.

Caso 3

Sempronio, nella sua qualità di amministratore unico di una società commerciale, utilizza le somme risparmiate nel 2011 mediante la

commissione del reato tributario di dichiarazione infedele, di cui all'art. 4 del d.lgs. 74/2000, versandole sul conto di una società estera al fine procedere

all'acquisizione di partecipazioni della stessa.

Nel primo caso Tizio potrebbe rispondere del reato di autoriciclaggio/autoreimpiego perché, come giustamente dice la Cassazione, riguardo al tempus

commissi delicti una cosa è il reato presupposto da cui derivano i profitti illeciti e un'altra è il reato di autoriciclaggio/autoreimpiego. Non vi sono spazi

logici per poter invocare la violazione del principio di irretroattività della legge penale posto che entrambi i reati (la rapina e

l'autoriciclaggio/autoreimpiego) sono stati commessi durante la vigenza delle rispettive norme. Piuttosto, è di ostacolo, alla concreta imputazione di

Tizio, il fatto di aver utilizzato il profitto della truffa per un fine personale e non certo per reimmetterlo nel circuito economico, finanziario o imprenditoriale.

Nel secondo caso vi è senza dubbio quella condotta richiesta dalla legge consistente nella dissimulazione definita nella norma con l'espressione "in

modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa". Diamo per assodato che Caio è mosso dall'intenzione di recidere

quel cordone ombelicale che lega i profitti della truffa con i contanti finali che egli riesce a prelevare dagli istituti di credito. Ciò, tuttavia, non basta per

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A CURA DEGLI UFFICI DI SEGRETERIA SILCEA Pagina6

dire che egli è responsabile di autoriciclaggio/reimpiego perché nulla sappiamo dell'uso che lo stesso ne ha fatto. Difatti, al comma 4, la norma dice

che non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. La

responsabilità di Caio, allora, è subordinata all'accertamento della destinazione dei profitti derivanti dal reato presupposto. Secondo la Cassazione,

l'irrilevanza penale delle condotte di sostituzione, trasferimento o reimpiego non si fermerebbe ai soli casi di mera utilizzazione o godimento personale

ma si estenderebbe anche ai casi di investimento dei profitti illeciti nel senso che può esservi condotta punibile solo se sussistono contemporaneamente

due condizioni verificatesi dopo il primo gennaio 2015:

1) la condotta dissimulatoria;

2) la reimmissione dei profitti nel circuito economico, finanziario o imprenditoriale.

Detto in altri termini, se Caio investe i profitti della truffa reimmettendoli nel circuito economico, finanziario o imprenditoriale senza però tenere una

condotta dissimulatoria, ovvero utilizza per fini personali i profitti illecitamente ottenuti col reato presupposto pur avendo messo in atto una serie di

sotterfugi per impedire l'identificazione della provenienza illecita del denaro, non è responsabile di autoriciclaggio/autoreimpiego.

Nel terzo caso, Sempronio dopo aver commesso un illecito tributario da cui derivano dei profitti per la società che amministra (ricordiamo che secondo

la costante giurisprudenza il risparmio di imposta equivale al profitto del reato come se fosse un incremento patrimoniale), reimpiega tali profitti in una

attività che può definirsi finanziaria. Per affermare la responsabilità di Sempronio in ordine al reato di autoriciclaggio/autoreimpiego occorre verificare

se vi sia stata condotta dissimulatoria finalizzata ad occultare non tanto il reato presupposto (l'evasione fiscale) quanto l'origine delittuosa dei fondi così

utilizzati, come potrebbe essere, ad esempio, l'aver trasferito il denaro su vari conti correnti tenuti presso banche aventi sedi in altrettante nazioni e

infine accreditati nel conto corrente di una società avente sede legale in un c.d. paradiso fiscale. E' irrilevante che il reato tributario presupposto

dell'autoriciclaggio/autoreimpiego sia stato consumato molto tempo prima (nel 2011). Inoltre, il fatto che siano già state realizzate condotte dirette ad

ostacolare l'identificazione della provenienza illecita dei proventi poi autoriciclati/autoreimpiegati (cosa assolutamente normale nei delitti tributari) è

ininfluente: ciò che conta è che il giudice procedente per l'autoriciclaggio accerti con il massimo rigore, in via incidentale, l'effettiva sussistenza e

punibilità del reato fiscale presupposto e che ovviamente verifichi la sussistenza sia della condotta dissimulatoria sia della reimmissione dei profitti

illeciti nel circuito economico, finanziario o imprenditoriale durante la vigenza dell'art. 648-ter-1.

[1] Da una nota della Banca d'Italia si ricava che l'esercizio nei confronti del pubblico in via professionale della attività di concessione di finanziamenti,

assunzione di partecipazione, di intermediazione in cambi, così come definite dal Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 17/2/2009, n.

29 (G.U. del 3.4.2009 S.G. n.78) è riservato agli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale previsto dall'art.106 T.U.B. Per attività di concessione

di finanziamenti sotto qualsiasi forma si intende (art. 3 del D.M. 17/2/2009, n. 29) la concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive

del credito e di impegni di firma. Tale attività comprende, tra l'altro, ogni tipo di finanziamento connesso con operazioni di: · locazione finanziaria ·

acquisto di crediti · credito al consumo, così come definito dall'articolo 121 del T.U.B., fatta eccezione per la forma tecnica della dilazione di pagamento

del prezzo svolta dai soggetti autorizzati alla vendita di beni e servizi nel territorio della Repubblica · credito ipotecario · prestito su pegno · rilascio di

fideiussioni, l'avallo, l'apertura di credito documentaria, l'accettazione, la girata, l'impegno a concedere credito, nonché ogni altra forma di rilascio di

garanzie e di impegni di firma. Sono esclusi le fideiussioni e gli altri impegni di firma previsti nell'ambito di contratti di fornitura in esclusiva e rilasciati

unicamente a banche e intermediari finanziari.

[2] Art. 2 –c.p. Successione di leggi penali

1. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.

Fonte: Autoriciclaggio: le prime sentenze della Cassazione sul nuovo reato (www.StudioCataldi.it)

CASSAZIONE: CONFERMATA MAXISANZIONE PER IL TELEMARKETING SELVAGGIO

Il ricorso di Fastweb fallisce. L'utilizzo illegittimo degli elenchi pubblici giustifica il pagamento di 300mila euro

di Valeria Zeppilli

Quasi tutti gli italiani ricevono quotidianamente chiamate indesiderate di operatori telefonici che propongono le loro tariffe. Questo comportamento,

però, non sempre è lecito e, probabilmente, presto si ridimensionerà.

Il recente caso che ha visto coinvolto un grande gestore telefonico (Fastweb), infatti, ad alcuni servirà da monito per bloccare il telemarketing "selvaggio"

e rispettare la privacy dei cittadini.

Ci si riferisce alla vicenda chiusa dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 17143/2016: la maxi sanzione amministrativa di 300 mila euro

inflitta al predetto gestore dal Garante per la protezione dei dati personali e già confermata dal Tribunale di Milano resta.

La "colpa" della società di telefonia è stata di aver utilizzato oltre 14 milioni di nominativi contenuti in elenchi telefonici pubblici formati prima dell'agosto

2005 e con riferimento ai quali il Garante aveva disposto un divieto di trattamento, del quale il gestore era consapevole.

Peraltro quest'ultimo non aveva provato di aver ottenuto il consenso degli interessati al trattamento e aveva ignorato il primo provvedimento inibitorio.

La banca dati alla quale aveva attinto, inoltre, era di particolare rilevanza e dimensioni, il che ha fatto assumere al comportamento sanzionato una

rilevanza qualitativa che prescinde dall'entità numerica dei dati raccolti e trattati.

Dinanzi a tale scenario, i tentativi della società sanzionata di contestare, tra le altre cose, un'interpretazione restrittiva del diritto comunitario, l'eccessiva

lunghezza del procedimento sanzionatorio e il fatto che sarebbe stato violato il principio del ne bis in idem per il cumulo delle sanzioni sono falliti tutti.

In relazione alla normativa comunitaria, la Corte ha sottolineato che l'Italia è rimasta pienamente coerente con la facoltà lasciata dalla direttiva

2002/58/CE di chiedere un consento ulteriore degli abbonati per gli scopi perseguibili tramite un elenco pubblico diversi dalla ricerca di dati di persone

tramite il loro nome.

Con riferimento ai termini di decadenza individuati per le sanzioni amministrative in 90 giorni, i giudici hanno invece precisato che essi vanno valutati

in maniera elastica dal giudice del merito quando l'accertamento ha ad oggetto violazioni complesse.

Venendo infine a quanto previsto dall'articolo 164-bis, comma 2, del codice della privacy in relazione alle banche dati di particolare rilevanza e

dimensioni, i giudici hanno chiarito che tale norma rappresenta una figura di illecito del tutto autonoma e non una semplice ipotesi aggravata rispetto

a quelle previste nello stesso articolo.

Quanto visto non è che una minima parte di una lunga e articolata argomentazione con la quale la Cassazione è giunta, però, a una risposta chiara e

univoca: quanto già sancito dal Tribunale di Milano va confermato e il ricorso dell'operatore telefonico è complessivamente infondato.

Fonte: Cassazione: confermata maxisanzione per il telemarketing selvaggio (www.StudioCataldi.it)

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A CURA DEGLI UFFICI DI SEGRETERIA SILCEA Pagina7

Anno I - n. 18 (*) 1 SETTEMBRE 2016

(*) I PRECEDENTI NUMERI DI RASSEGNA STAMPA SONO CONSULTABILI SUL SITO www.silcea.org NELLA SEZIONE Filo diretto con Sezione SILCEA

VIAGGI ORGANIZZATI, FALLISCE IL TOUR

OPERATOR? COME CHIEDERE IL RIMBORSO (NON

PIÙ STATALE) ALLE AGENZIE

Da luglio è andato in pensione il fondo nazionale statale che, in caso di insolvenza, risarciva i turisti del costo della vacanza. Ora, invece, sono le agenzie e i tour operator a dover tutelare i clienti dotandosi di fondi privati. Ma i piccoli operatori difficilmente riusciranno ad ottenere le garanzie bancarie di Patrizia De Rubertis | 11 agosto 2016 Più informazioni su: Assicurazioni, Disservizi, Fallimento, Vacanze, Viaggi Senza grande risonanza mediatica, da luglio il Fondo nazionale di garanzia per i viaggi organizzati gestito dal ministero per i Beni culturali è stato abolito. In pratica, d’ora in avanti in caso di fallimento o insolvenza del tour operator il consumatore non sarà più rimborsato dallo Stato, ma saranno le stesse agenzie viaggi a tutelare i propri clienti con assicurazioni e garanzie bancarie che copriranno le eventuali bancarotte. Eventi nient’affatto rari: basti pensare ai crac di Alpitour, Parmatour, Viaggi del Ventaglio e Valtur, mentre lo scorso 26 luglio è stata la volta di Lowcostholidays Spain SL (holding della Lowcosttravelgroup Ltd) il cui fallimento ha coinvolto 140mila turisti spagnoli obbligandoli a scegliere tra rinunciare a partire per le vacanze e sostenere significativi esborsi per rimanerci, dato che i fornitori, non avendo ricevuto i pagamenti dall’operatore turistico, hanno cancellato le prenotazioni o chiesto il pagamento direttamente al cliente. Insomma, questa del pensionamento del fondo di garanzia è una novità che cambierà la vita di tutti i malcapitati che dovranno percorrere una vera via crucis per richiedere e (forse) ottenere il rimborso dell’agognata vacanza, rilevatasi un dramma totale. La decisione di trasformare il fondo da pubblico a privato è arrivata direttamente dall’Unione Europea dopo l’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia. Tutta colpa della lunghezza dell’iter previsto per il rimborso: pieno di insidie, una giungla burocratica con cavilli che sembrano fatti apposta per scoraggiare le richieste di risarcimento. Inoltre, l’Italia è stato l’unico Paese in Europa ad aver scelto di creare uno strumento pubblico, che non ha mai funzionato, invece di optare per polizze assicurative o garanzie bancarie che, in caso di insolvenza o fallimento dell’organizzatore o del venditore, assicurano al viaggiatore il rimborso del prezzo versato per l’acquisto del pacchetto di viaggio e il rientro immediato del turista. Fondo pubblico ancora operativo per viaggi acquistati fino a giugno - Cosa cambia, quindi, per i turisti italiani se non è più un problema dello Stato coprire eventuali rischi di insolvenze o fallimenti? “Per i pacchetti acquistati prima di luglio resta la copertura del fondo pubblico che era alimentato da un contributo annuo da parte dei tour operator”, spiega a ilfattoquotidiano.it Julia Rufinatscha, consulente legale del Centro europeo consumatori Italia. Che aggiunge: “Lo Stato continuerà così a garantire al viaggiatore il rimborso e il rimpatrio anticipato se l’operatore dovesse fallire o sia insolvente”. Per i pacchetti comprati dopo l’1 luglio ci sono i fondi di garanzia privati – E se il pacchetto viaggi è stato acquistato dopo il primo luglio? Non essendo ancora fallito nessun tour operator italiano dall’entrata in vigore della nuova disposizione, in teoria dovrebbe essere molto facile e sicuro riuscire ad ottenere indietro i soldi, grazie alla presenza del fondo privato che le più grandi associazioni del settore hanno già sottoscritto. Ad esempio Astoi (la Confindustria dei Viaggi) ha costituito “Fondo di Garanzia”, Confesercenti Assoviaggi ha istituito la “Garanzia Viaggi”, mentre la Fiavet ha creato il consorzio “Fogar”. In particolare, sarà a questi singoli enti che, in caso di fallimento dell’agenzia, andrà inviata la raccomandata per chiedere il rimborso, ricordando che la procedura scatta nel Paese dove si trova la sede legale del tour operator. Le piccole agenzie non offrono tutele – Il problema per i consumatori, invece, potrebbe esserci se a fallire sarà una piccola agenzia di viaggio che non è stata in grado di dare le dovute garanzie bancarie, rendendo molto difficile acquisire una fideiussione bancaria. “In questo caso – sottolinea la Rufinatscha – gli operatori commerciali di modeste dimensioni potrebbero avere seri problemi a trovare una compagnia assicuratrice disposta ad accendergli una polizza. E, senza la copertura per insolvenza o fallimento, i turisti rischiano di non avere tutele e risarcimento”. Ma c’è di più. “Il tour operator più piccolo e non associato – continua la legale del Centro europeo consumatori Italia -, per riuscire ad ottenere i necessari affidamenti dal sistema bancario, potrebbe scaricare il costo sul consumatore. Che, alla fine, è come se si pagasse da solo la tutela”. Del resto, difficilmente entrando in un’agenzia di viaggio il cliente è così concentrato sulle singole voci che compongono il prezzo totale da riuscire a capire se la polizza a carico del tour operator viene o meno scaricata su di lui. I consigli da seguire – Al momento di effettuare una prenotazione, i consumatori devono sincerarsi dell’effettiva copertura di cui potranno usufruire – che dovrà essere prevista contrattualmente – e preferire le società in grado di tutelarli maggiormente. Con il rispetto della prima regola aurea: leggere tutte le note del contratto, anche quelle scritte in fondo al testo con caratteri più piccoli, e domandare sempre se non si è ben capito qualcosa.

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CON I "VESTITINI" PER SIGARETTE VA IN

FUMO LA CAMPAGNA-CHOC

Nei tabaccai spopolano le custodie colorate per coprire frasi e immagini stampate per spaventare i

tabagisti

Francesco Maria Del Vigo - Gio, 11/08/2016

«Ecco». «No, guardi, non mi dia questo con l'uomo che si contorce sul letto perché è diventato impotente, stasera esco a cena con una donna e non mi pare di buon auspicio. Preferisco quello con l'occhio, è più sobrio». Sembra un dialogo tra mercanti di organi, ma è solo un estratto di vita quotidiana che ricorda una celebre barzelletta. Fatta la legge, trovato l'inganno. E creato il business. I lettori con il vizio delle sigarette si saranno accorti che da qualche settimana i pacchetti sono funestati da immagini terrificanti. Corpi deformati dalle malattie, occhi spenti dalla cecità, arti in cancrena, trachee perforate, denti corrosi, cadaveri attorniati da parenti disperati. E poi, appunto, un colpo sotto la cintola: un uomo che si contorce nudo tra le lenzuola dopo un presunto fallimento sessuale per colpa di qualche tiro di troppo. Colpo bassissimo. Una galleria degli orrori. Un pugno nello stomaco di ogni tabagista. Un modo, un po' violento, per ricordare ai fumatori le malattie che rischiano di contrarre. Nulla di nuovo. In molti Paesi vigono norme ancora più stringenti, il governo italiano ha semplicemente recepito una direttiva europea. Riusciranno queste immagini a spegnere i rotolini di tabacco degli ultimi irriducibili? Non si sa, le statistiche sono incerte e alcuni studiosi di neuromarketing arrivano a sostenere che possano addirittura sortire l'effetto opposto. Di sicuro questa legge ha acceso la scintilla del «genio» italico. Quel «genio» che, davanti a un impedimento, riesce sempre a trovare una

via di fuga. Un'alternativa. Un escamotage. È un po' come la storia delle t-shirt con disegnata la cintura di sicurezza per ingannare i vigili urbani. Non si è mai capito se fosse una bufala. Ma era così perfettamente verosimile da essere passata direttamente dalle pagine di cronaca ai libri di storia. Ecco, in questo caso, invece, è tutto vero. È imbarazzante andare in giro con pacchetti che sembrano ispirati a esami autoptici? E allora basta vestirli, i pacchetti. Così, sui banconi dei tabaccai, hanno iniziato a comparire «abiti» con cui mascherare le confezioni di tabacco. Sono portapacchetti, più che portasigarette; dei cappottini, dei niqab dietro i quali nascondere l'orrore delle immagini, aggirare la legge e magari esorcizzare anche la paura. Sia chiaro: tutto rientra nella legalità, una volta acquistate, le sigarette si possono mettere dove pare e piace. Ed è proprio in questo cono d'ombra che qualcuno ha pensato di accendere un business. I più economici costano 50 centesimi e sono di cartoncino disegnato. Si può scegliere tra varie fantasie: ci sono quelli con gli animaletti, quelli con le stampe orientali e quelli con i vestiti. C'è la felpa per chi ha uno stile sportivo, la cravatta per i più tradizionalisti e per le serate di gala persino uno smoking da dandy. È l'outfit del pacchetto. Ma la varietà è infinita, per tutti i gusti. Per i più esigenti ci sono anche quelli di plastica colorata: resistenti e con incorporato un comodo porta accendino. Poi si passa ai classici modelli lussuosi, in tessuto o in pelle. Un commercio che sembra prendere sempre più piede. Perché i fumatori saranno anche degli immarcescibili autolesionisti, degli incoscienti che giorno dopo giorno comprano a rate un pezzo della loro fine, ma non ci stanno a passare per fessi: sono tra i più grandi contribuenti dello Stato (grazie alle stratosferiche accise) e lo Stato, oltre a sbertucciarli pubblicamente, ora li vuole pure costringere a circolare con questa orrida lettera scarlatta stampigliata sul pacchetto. Il risultato? I pacchetti «incappottati» coprono sia le immagini che i macabri avvisi che da anni mettono in guardia sui pericoli delle sigarette. E così - per eccesso di zelo - dieci anni di guerra al tabacco vanno in fumo.

AUTO TROPPO CARICA? OLTRE

ALLA SBANDATA SI RISCHIA UNA

MULTA FINO A 335 EURO

ROMA - Il Ferragosto è appena passato ma c’è ancora chi deve partire per le sospirate vacanze. Attenzione però a farsi prendere dall’entusiasmo caricando troppo l’auto

di bagagli. Il codice della strada detta infatti delle prescrizioni ben precise in materia, che è meglio non dimenticare se non si vogliono rischiare sanzioni fino a 335 euro. Le

ricorda il sito online dello Studio Cataldi che sottolinea come al veicolo fermato e sanzionato venga ritirata la carta di circolazione e la patente al guidatore per impedire la

prosecuzione del viaggio se prima il carico non venga correttamente sistemato. Il consiglio, per viaggiare carichi e sicuri, è quindi quello di utilizzare degli appositi box,

realizzati per i diversi modelli di auto e omologati in maniera tale da risultare conformi alle disposizioni del codice della strada.

La norma cardine da tenere presente - sottolinea il sito online - è l’articolo 164 del Codice della Strada che precisa con quali accortezze devono essere posizionati gli

oggetti trasportati. In particolare, il carico dei veicoli deve essere sistemato in modo, innanzitutto, da evitare la caduta o la sua dispersione. È inoltre fondamentale che il

carico sia collocato in modo da non diminuire la visibilità al conducente o impedire la libertà dei movimenti nella guida e che non comprometta la stabilità del veicolo o

mascheri dispositivi di illuminazione e di segnalazione visiva, né le targhe di riconoscimento e i segnali fatti col braccio. La norma entra poi nel dettaglio, stabilendo che il

carico non deve superare i limiti di sagoma indicati dall’articolo 61 del codice della strada (ovverosia 2,55 m di lunghezza, 4 m di altezza e 12 m di lunghezza totale,

compresi gli organi di traino) e che non può sporgere longitudinalmente dalla parte anteriore del veicolo.

Può farlo, semmai, dalla parte posteriore, ma solo se costituito da cose indivisibili e fino ai 3/10 della lunghezza del veicolo stesso. La sporgenza di cose lateralmente

fuori dalla sagoma del veicolo, invece, è possibile solo se da ciascuna parte non si superino i 30 cm di distanza dalle luci di posizione anteriori e posteriori. Il codice della

strada chiarisce poi che i pali, le sbarre, le lastre o carichi simili, collocati orizzontalmente, non possono comunque sporgere lateralmente oltre la sagoma propria del

veicolo.

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FATTO PER NON DURARE: IL CARTELLO PHOEBUS E L’OBSOLESCENZA PROGRAMMATA NEL 1924 UN CARTELLO INDUSTRIALE STABILÌ LA DURATA MASSIMA DELLE LAMPADINE, MA LA REALTÀ VA OLTRE UNA SEMPLICE

TEORIA DEL COMPLOTTO, E ORA CI RIGUARDA TUTTI

Stefano Dalla Casa 15/7/2016

Nonni e genitori hanno cercato di convincerci dell’esistenza di un passato mitologico in cui le cose che usiamo ogni giorno erano costruite, per esempio,

in un materiale fantascientifico chiamato metallo e dove era possibile riparare gli oggetti invece di comprarne di nuovi.

Noi siamo scettici di fronte a questi racconti, pensiamo che si tratti del fisiologico gap generazionale, eppure vecchi televisori in bianco e nero,

perfettamente funzionanti, sono ancora in qualche cantina dopo decenni di onorato servizio, e in qualche casa i frigoriferi comprati negli anni ’70 fanno

ancora il loro dovere. Possibile che esista un fondo di verità in queste leggende?

Scherzi a parte, esiste effettivamente un motivo per cui non riusciamo a tenerci uno smartphone per più di quattro anni: molti prodotti sono ideati per

una vita minima inferiore a quella tecnicamente possibile. Uno dei primi esempi documentati dell’obsolescenza programmata è quello del cartello

Phoebus, ma la realtà è più sfumata e complessa di quella solitamente dipinta dalle teorie del complotto.

Alla fine dell’ ‘800 la lampadina a filamento era ormai matura per la commercializzazione in massa e agli inizi del ‘900 la competizione per offrire ai

consumatori la migliore lampadina era agguerrita. Come spesso accade, le maggiori aziende cominciarono ad accordarsi in modo da trarre reciproco

beneficio dal mercato. Questa cooperazione portò in breve, per esempio, all’adozione dell’attacco Edison come standard, quello che ancora oggi

utilizziamo con le moderne lampadine a led.

Nel 1924 quasi 30 aziende da tutto il mondo firmarono a Ginevra la Convenzione per lo sviluppo e il progresso dell’industria internazionale delle

lampade elettriche a incandescenza, formando il più esteso e influente cartello industriale del settore.

Sostituisci ogni punto luce con lampadine fluorescenti compatte a basso consumo, alogene o led. Le prime, per esempio, durano fino a dieci volte

quelle a incandescenza e consumano solo un quinto dell’energia elettrica.

Per controllare che i membri rispettassero le regole fu istituita la compagnia Phoebus, da cui oggi deriva il nome colloquiale del cartello: Osram, Philips,

General Electrics e tutti gli altri membri avrebbero condiviso i brevetti e il know-how, avrebbero stabilito quote di vendita, le aree commerciali, i prezzi

e si sarebbero accordati sugli standard da adottare. Uno di questi era la durata massima delle lampadine: le aziende si impegnavano a produrre,

vendere e pubblicizzare lampadine che non superassero le 1000 ore di durata, pena una sanzione da parte del cartello.

Per quale motivo si decise di limitare artificialmente la durata del prodotto quando nel secolo precedente esistevano lampadine che duravano anche

2500 ore? Come spiegava nel 1949 l’economista Arthur A. Bright Jr. nel saggio The Electric Lamp Industry, c’è senza dubbio una ragione tecnico-

economica che giustifica la decisione del cartello: una maggiore durata è possibile, ma questo va a spese dell’efficienza a causa del consumo del

filamento.

In altre parole il consumatore si ritroverebbe con una lampadina funzionante, ma sempre meno luminosa e che consuma (e costa) sempre di più

rispetto alla luce che produce. Per gli usi più comuni dell’epoca una lampadina che durava fino a 1000 ore rimanendo sufficientemente luminosa poteva

essere quindi un buon compromesso.

D’altra parte non si può negare che la minore durata del prodotto obbliga il consumatore ad acquistarlo più spesso, e alle industrie che aderivano

all’accordo questo certo non poteva dispiacere. Inoltre di fatto si toglieva al consumatore il beneficio di differenziare l’acquisto in base alla destinazione

d’uso. Bright ricorda anche che la General Electrics, tra i promotori del cartello, nel 1936 aveva messo in vendita lampadine natalizie da 500 ore, ma

quando scoprirono che i consumatori preferivano addobbare l’albero con piccole luci notturne, a bassa luminosità e della durata di 2000 ore, fece in

modo che i venditori dissuadessero il clienti da acquistarle.

Questa azienda inoltre nel 1933 introdusse lampadine da torcia elettrica che duravano più o meno quanto una batteria, mentre in precedenza

resistevano fino a due ricambi. Anche in questo caso, è vero che le nuove lampadine erano più luminose, ma a differenza di quanto poteva valere per

le lampade standard, il vantaggio per il consumatore era nullo.

In conclusione, il cartello Phoebus generalmente è considerato il primo caso documentato di obsolescenza programmata, tuttavia non è possibile dire

che la durata massima delle lampadine imposta dai produttori sia stata dettata esclusivamente dalla necessità di aumentare le vendite.

Il documentario del 2010 The Light Bulb Conspiracy (che potete vedere integralmente qui sopra) parla del cartello citando una lampadina a

incandescenza del 1901 che oggi funziona ancora, suggerendo che allora ci fossero senza dubbio le capacità per creare una lampadina ad alta

efficienza e a lunga durata, ma si tratta di una conclusione semplicistica e fuorviante: il compromesso tra durata ed efficienza è una reale limitazione

delle lampadine a incandescenza, ma al tempo stesso non è giustificabile che le aziende lo usassero come scusa nei casi in cui la minor durata delle

lampade non aveva vantaggi per il consumatore (come nelle luci di Natale e nelle torce).

L’obsolescenza programmata è considerata alla base della società di consumo, ma bisogna resistere alla tentazione di immaginare che tutto ruoti

intorno ad avide industrie riunite in cospirazioni planetarie per costringerci a comprare più di quanto dovremmo.

Certo, i chip che bloccano le cartucce dopo un certo numero di stampe o di tempo (anche se contengono ancora inchiostro utilizzabile) sembrano una

vera carognata, ma più in generale fabbricare prodotti che abbiano un prezzo abbordabile e una vita utile non eccessivamente prolungata è quello che

permette di mantenere alti i consumi e la produzione o, per dirla come una pubblicità governativa di tanti anni fa: far girare l’economia. Non è certo un

caso che l’agente immobiliare Bernard London, il primo a usare l’espressione obsolescenza programmata, la volesse usare per portare l’America fuori

dalla depressione.

Oggi per molti beni di consumo semplicemente non ha senso puntare a un design o a materiali particolarmente durevoli perché saranno comunque

sostituiti da nuovi modelli. Insomma, il problema non è solo lo smartphone con la batteria non sostituibile, ma il fatto che non sempre per noi la durata

di un oggetto è un valore.

Se avessimo a disposizione spazi e risorse illimitate, questo modello potrebbe continuare all’infinito senza troppi problemi, ma non è così e i nodi

stanno venendo al pettine. Produrre, per esempio, i nostri gadget elettronici ha un enorme costo ambientale e sociale, e dopo pochi mesi diventano un

rifiuto che deve essere riciclato e smaltito solo in strutture specializzate. Gran parte di questi rifiuti elettronici viene però inviata, usando canali più o

meno legali, nei paesi in via di sviluppo, senza nessuna garanzia che vengano trattati nelle maniera corretta (e in sicurezza).

Un’alternativa sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che economico, potrebbe essere l’ecodesign, un approccio alla progettazione che tiene

conto dell’intero ciclo vitale del prodotto, compresi il suo riciclo e smaltimento. A livello europeo l’ambizione è quella di inserire questi principi nei piani

industriali della comunità europea tramite l’applicazione della direttiva Ecodesign.

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A CURA DEGLI UFFICI DI SEGRETERIA SILCEA Pagina10

UNICREDIT: ACQUISTI IN BORSA SULL'IPOTESI DI CESSIONE POLACCA

Secondo la stampa polacca, il principale gruppo assicurativo domestico Pzu starebbe trattando l'acquisto del 40% di Pekao ancora in pancia all'istituto guidato da Mustier 23 agosto 2016

MILANO - Le banche sono generalmente bene intonate a Piazza

Affari, ma Unicredit fa ancora meglio (il titolo) sulle attese per la

cessione della quota di Bank Pekao (40,1%). Un quotidiano polacco

scrive che l'amministratore delegato di Pzu (il principale gruppo

assicurativo polacco, partecipato dallo Stato), Michal Krupinski, volerà

nei prossimi giorni a Milano per trattare l'acquisizione. In Borsa i titoli

della banca polacca cedono il 3%, mentre Unicredit a Milano corre e

porta con sé Finecobank (il titolo) e dalla nuova sede della banca di

piazza Gae Aulenti arriva un "no comment".

Sotto la nuova guida dell'amministratore delegato Jean-Pierre Mustier,

la banca meneghina ha già avviato importanti dismissioni, proprio con

una quota di Pekao e un'altra di Fineco, che in pochi giorni sono

fruttate 1 miliardo circa d'incasso. D'altra parte il banchiere non ha fatto

mistero di voler cogliere in fretta le opportunità di mercato per

rafforzare la banca e le sue attività principali.

Il piano di rinnovamento si è arenato per quanto riguarda la ricercata

partnership tra Pioneer e il Santander nel risparmio gestito, che è stata

accantonata definitivamente nelle scorse settimane. Resta invece in

agenda la necessità di un rafforzamento di capitale. Si tratta, secondo

gli analisti, di andare a chiedere al mercato una cifra superiore ai

cinque miliardi. Nel disegno potrebbe per questo rientrare proprio la

cessione di Pekao, che - se valorizzata come il 10% già ceduto -

porterebbe in pancia a Unicredit circa 3 miliardi. Secondo Mediobanca

la Polonia è la più grande fonte di capitale per ridurre al minimo un

eventuale aumento di capitale, ma non si prevede nessuna decisione

prima di ottobre, visto il vincolo di una clausola di lock-up. Equita

calcola anche un potenziale beneficio di 100 punti base sul CET1,

mentre potrebbe ridursi la pressione su Finecobank legata al rischio di

un collocamento.

Oltre a questi sviluppi, in Borsa si registra che la società di investimenti

Usa Capital Research and Management Company ha dal 17 agosto il

5,082% di Unicredit in gestione discrezionale del risparmio. Diventa

così il primo azionista

della banca, superando il socio Aabar, che risulta dai dati sul sito

Unicredit al 5,042% del capitale, figura ancora al 6,501% sul sito

Consob ed era presente all'assemblea degli azionisti ad aprile con il

4,87%. Blackrock ha il 4,825% dell'istituto (quota aggiornata il 15

luglio)

L'INPS GELA IL GOVERNO: «LE ASSUNZIONI SONO IN CALO» I CONTRATTI STABILI DIMINUITI DEL 33% RISPETTO AL 2015. TADDEI (PD): «RICOSTRUZIONI FANTASIOSE»

Antonio Signorini - Ven, 26/08/2016

Roma

Ha funzionato l'incentivo temporaneo della decontribuzione (che il governo vuole rinnovare con la Legge di Stabilità), ma non ha

funzionato il Jobs Act.

È questa la sintesi dei dati sull'occupazione diffusi ieri dall'Inps. Nel primo semestre del 2016, nel settore privato si è registrato un

saldo, tra assunzioni e cessazioni di 516.000, inferiore a quello del corrispondente periodo del 2015 (+628.000) e superiore a quello

registrato nei primi sei mesi del 2014 (+423.000). Complessivamente le assunzioni, sempre riferite ai soli datori di lavoro privati, nel

periodo gennaio-giugno 2016 sono risultate 2.572.000, con una riduzione di 326.000 unità rispetto al corrispondente periodo del

2015 (-33,4%).

Il calo ha coinvolto esclusivamente i contratti a tempo indeterminato ed è da ricondurre al forte incremento delle assunzioni a tempo

indeterminato registrato nel 2015. In altre parole la decontribuzione ha spinto le assunzioni a tempo indeterminato e anche le

riconversione dei contratti a tempo. Il Jobs Act da solo, in vigore quest'anno, non ha avuto lo stesso effetto. «L'anno scorso

prevedemmo il rischio concreto che la maggior qualità dell'occupazione svanisse con il finire della decontribuzione. I nuovi dati

riportati dall'Osservatorio Inps sul Precariato ci stanno dando ragione», ha commentato il segretario generale della Uil Fpl Giovanni

Torluccio. Per il governo il rallentamento non compromette le riforme varate in questi anni. «A fronte di ricostruzioni fantasiose vale

la pena ribadire che l'indebolimento della crescita Pil nel secondo trimestre non si riflette sulla creazione di lavoro che continua a

crescere», ha spiegato il responsabile economia e lavoro del Pd Filippo Taddei. Le assunzioni, ha aggiunto, crescono «seppure ad

un tasso inferiore rispetto al 2015. Crescono, non calano come alcuni vorrebbero rappresentare» ed «è normale che crescano meno

del 2015 le assunzioni a tempo indeterminato? Una breve occhiata ai dati suggerisce di sì: sono cresciuti gli occupati, sia rispetto ad

un anno fa (+329mila) che rispetto all'inizio del governo Renzi (+599mila)». Altro dato dell'osservatorio, la crescita dei lavori

autonomi, cresciuti di 83 mila unità nel semestre. Segno che il lavoro è sempre più precario? Non per Taddei: «Non dimentichiamo

che il mercato italiano nel frattempo ha raggiunto il più alto numero di posti di lavoro a tempo indeterminato» dal 2009.