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Tendenze nei modelli organizzativi, sistemi di gestione della salute e sicurezza e benessere dei lavoratori Daniele Di Nunzio Ricercatore, IRES - Istituto di Ricerche Economiche e Sociali In pubblicazione: “Questione giustizia”, n.2/2012, Franco Angeli, Milano, 2012. In questo articolo descriveremo le tendenze proprie dell’organizzazione dei processi produttivi e il loro impatto sulle condizioni di lavoro. Mostreremo come la tendenza nell’utilizzo di sistemi standardizzati sia funzionale alle nuove architetture produttive: da un lato offre la possibilità di coniugare la flessibilità con la razionalizzazione, dall’altro apre delle nuove sfide per la tutela e l’affermazione del benessere dei lavoratori. Il primo capitolo approfondisce i cambiamenti più rilevanti nell’organizzazione dei processi produttivi, il secondo descrive le tendenze dei sistemi di gestione della salute e sicurezza, il terzo traccia alcune sfide emerse dall’analisi. 1. I cambiamenti nei processi produttivi: tra esigenze di flessibilità e di razionalizzazione 1.1. Flessibilità e frammentazione dei processi produttivi Negli ultimi tre decenni nei paesi del capitalismo avanzato sono accaduti dei profondi mutamenti economici e sociali che hanno comportato un aumento della flessibilità all’interno dei processi produttivi di beni e servizi, dovuti principalmente: a) alla necessità delle aziende di adattarsi alla crescente competitività di un mercato globale; b) alla necessità di seguire le esigenze mutevoli dei consumatori e del mercato, con la preferenza dei processi di lavoro on demand e just in time; c) alla necessità di introdurre le innovazioni tecnologiche e di processo sviluppate sempre più rapidamente 1 . Si è affermato un nuovo modello di produzione «snella», nel quale il sistema di organizzazione del lavoro richiede un impiego di risorse in costante tensione 2 . La flessibilità è alla base dei nuovi modelli di impresa «modulare», intesa come uno spazio organizzativo nel quale possono convivere plurime realtà societarie 3 , all’interno di architetture reticolari che sfumano i confini delle imprese 4 . L’orientamento verso la flessibilità si è sviluppato su quattro differenti livelli 5 : a) tra le aziende; b) tra 1 Tra i numerosi studi, si può fare riferimento a: A. Accornero, «Il lavoro dalla rigidità alla flessibilità. E poi?», in Sociologia del Lavoro, n. 100, 2005, pp. 9-23; L. Gallino, Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Roma-Bari, Laterza, 2007; U. Huws, S. Dahlmann, J. Flecker, U. Holtgrewe, A. Schönauer, M. Ramioul, K. Geurts, Value Chain Restructuring in Europe in a Global Economy, Works Project, Higher Institute of Labour Studies, K.U. Leuven, 2009. 2 A.P. Chandler, J. Kocka, P. Payne e K. Yamamura, Evoluzione della grande impresa e management , Torino, Einaudi, 1986; B. Coriat, Ripensare l’organizzazione del lavoro. Concetti e prassi nel modello giapponese, Bari, Dedalo, 1991; R. Schonberger, World Class Manufacturing: the Lessons of Simplicity Applied, New York-London, Free Press, Collier, Macmillan, 1986. 3 I. Piotto, Il diritto allo sguardo. La cultura del controllo nelle relazioni industriali , Milano, Franco Angeli, 2010. 4 M. Castells, La nascita della società in rete, Milano, Egea-Università Bocconi Editore, 2002; R. Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Milano, Feltrinelli, 1999. 1

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Tendenze nei modelli organizzativi, sistemi di gestione della salute e sicurezza e benessere

dei lavoratori

Daniele Di Nunzio

Ricercatore, IRES - Istituto di Ricerche Economiche e Sociali

In pubblicazione: “Questione giustizia”, n.2/2012, Franco Angeli, Milano, 2012.

In questo articolo descriveremo le tendenze proprie dell’organizzazione dei processi produttivi e il

loro impatto sulle condizioni di lavoro. Mostreremo come la tendenza nell’utilizzo di sistemi

standardizzati sia funzionale alle nuove architetture produttive: da un lato offre la possibilità di

coniugare la flessibilità con la razionalizzazione, dall’altro apre delle nuove sfide per la tutela e

l’affermazione del benessere dei lavoratori. Il primo capitolo approfondisce i cambiamenti più

rilevanti nell’organizzazione dei processi produttivi, il secondo descrive le tendenze dei sistemi di

gestione della salute e sicurezza, il terzo traccia alcune sfide emerse dall’analisi.

1. I cambiamenti nei processi produttivi: tra esigenze di flessibilità e di

razionalizzazione

1.1. Flessibilità e frammentazione dei processi produttivi

Negli ultimi tre decenni nei paesi del capitalismo avanzato sono accaduti dei profondi mutamenti

economici e sociali che hanno comportato un aumento della flessibilità all’interno dei processi

produttivi di beni e servizi, dovuti principalmente: a) alla necessità delle aziende di adattarsi alla

crescente competitività di un mercato globale; b) alla necessità di seguire le esigenze mutevoli dei

consumatori e del mercato, con la preferenza dei processi di lavoro on demand e just in time; c)

alla necessità di introdurre le innovazioni tecnologiche e di processo sviluppate sempre più

rapidamente1.

Si è affermato un nuovo modello di produzione «snella», nel quale il sistema di organizzazione del

lavoro richiede un impiego di risorse in costante tensione2. La flessibilità è alla base dei nuovi

modelli di impresa «modulare», intesa come uno spazio organizzativo nel quale possono convivere

plurime realtà societarie3, all’interno di architetture reticolari che sfumano i confini delle imprese4.

L’orientamento verso la flessibilità si è sviluppato su quattro differenti livelli5: a) tra le aziende; b) tra

1 Tra i numerosi studi, si può fare riferimento a: A. Accornero, «Il lavoro dalla rigidità alla flessibilità. E poi?», in Sociologia del Lavoro, n. 100, 2005, pp. 9-23; L. Gallino, Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Roma-Bari, Laterza, 2007; U. Huws, S. Dahlmann, J. Flecker, U. Holtgrewe, A. Schönauer, M. Ramioul, K. Geurts, Value Chain Restructuring in Europe in a Global Economy, Works Project, Higher Institute of Labour Studies, K.U. Leuven, 2009.2 A.P. Chandler, J. Kocka, P. Payne e K. Yamamura, Evoluzione della grande impresa e management, Torino, Einaudi, 1986; B. Coriat, Ripensare l’organizzazione del lavoro. Concetti e prassi nel modello giapponese, Bari, Dedalo, 1991; R. Schonberger, World Class Manufacturing: the Lessons of Simplicity Applied, New York-London, Free Press, Collier, Macmillan, 1986.3 I. Piotto, Il diritto allo sguardo. La cultura del controllo nelle relazioni industriali, Milano, Franco Angeli, 2010.4 M. Castells, La nascita della società in rete, Milano, Egea-Università Bocconi Editore, 2002; R. Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Milano, Feltrinelli, 1999.

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l’azienda e i lavoratori; nell’organizzazione del lavoro, considerando sia i tempi di lavoro (c) sia le

modalità e le funzioni (d).

a) I rapporti tra le aziende sono diventati sempre più intermittenti e dinamici, sono aumentale le

esternalizzazioni e si è indebolito il legame tra l’azienda e un determinato contesto territoriale e

produttivo.

b) Si sono sviluppate una frammentazione e una flessibilizzazione dei rapporti tra la singola

azienda e i propri lavoratori, attraverso l’estensione dei contratti a termine e dei rapporti di

lavoro“non standard”, nonché attraverso i frequenti processi di downsizing (riduzione della forza

lavoro) implementati con il sopraggiungere della crisi attuale.

c) Nelle singole aziende, l’organizzazione stessa del lavoro è soggetta a una forte dinamicità, per

cui si destrutturano i turni di lavoro e si intensificano i ritmi;

d) Le modalità di lavoro cambiano frequentemente così come cambiano le competenze necessarie

a svolgerli.

1.2. Centralizzazione e concentrazione dei poteri economici e decisionali

La flessibilità nei processi produttivi si associa a una tendenza alla centralizzazione dei poteri

decisionali, all’esternalizzazione e individualizzazione del rischio che determinano nuovi rischi per i

lavoratori lungo la catena del valore6. La tendenza generale delle aziende è quella di focalizzarsi

sul core business del proprio processo produttivo o di servizio, esternalizzando le altre attività ad

aziende che a loro volta sono specialiste di quel particolare pezzo del processo esternalizzato7. In

tale maniera, si crea una filiera dove al livello più alto (le aziende che governano i nodi centrali del

processo) operano lavoratori che svolgono mansioni ad alto contenuto di conoscenza, altamente

qualificati e con maggiori garanzie, mentre a livello più basso, nei nodi secondari fino a quelli

marginali, opera personale che svolge un lavoro sempre più fisico o meno qualificato e con minori

diritti. In conseguenza di questo, le aziende centrali nelle filiere produttive cercano di detenere il

controllo e il potere decisionale: a) sulle aziende lungo la filiera per potere gestire al meglio tutto il

5 J. Flecker, U. Holtgrewe, A. Schönauer, S. Gavroglou, Value Chain Restructuring and Company Strategies to Reach Flexibility, Leuven, Higher Institute of Labour Studies, Katholieke Universiteit, Belgium, 2009, p. 16. Per un’analisi approfondita dei processi di ristrutturazione in Europa cfr. i risultati del progetto di ricerca “WORKS - Work Organisation and Restructuring in the Knowledge Society”, che ha analizzato i principali cambiamenti del lavoro attraverso 58 studi di caso in 13 Paesi europei (http://worksproject.be).6 M. Porter (Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance, New York, Free Press, 1985) individua le seguenti funzioni basilari della catena del valore: ricerca e sviluppo; progettazione dei prodotti, servizi e processi; produzione; marketing; distribuzione; servizio ai clienti. Per una definizione esaustiva di catena del valore si può fare riferimento al citato Worksproject: «La catena del valore descrive ogni fase in un processo di lavoro necessario a produrre un bene o un servizio [...]. Ogni fase nella catena del valore comporta il ricevimento di input, il loro svolgimento, il loro passaggio all’unità successiva nella catena, per cui il valore prodotto è aggiunto lungo il processo. Unità separate della stessa catena del valore possono essere collocate nella stessa azienda (in-house) o in aziende differenti (outsourced). […] Il termine catena del valore è stato coniato, originariamente, per descrivere la sempre maggiore complessità della divisione del lavoro nel settore manifatturiero, ma oggi è sempre più applicabile nel settore dei servizi, sia pubblici che privati» (U. Huws, ed., The Globalisation Glossary: A Researcher’s Guide to Understanding Work Organisation Restructuring in a Knowledge-based Society, Works Project, Higher Institute of Labour Studies, K.U. Leuven, 2008).7 U. Huws et al., Op cit.; J. Flecker et al., Op. cit.

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processo di lavoro; b) sui singoli lavoratori e sulla numerosità complessiva della forza lavoro; c)

sull’organizzazione del lavoro considerando sia i tempi che le modalità. In questo scenario i

soggetti più potenti – in termini economici, politici e/o dimensionali – tentano di imporsi su una

filiera produttiva sempre più frammentata e così si riducono, per molti lavoratori (soprattutto per

quelli meno qualificati e più bisognosi di un reddito) e per molte aziende (soprattutto le più piccole

e meno innovative), le possibilità di governare i processi di lavoro e la propria progettualità

esistenziale con un discreto margine di autonomia8.

Così, la centralizzazione dei poteri decisionali va di pari passo al decentramento delle attività

esecutive9, creando nuove forme di concentrazione10 del potere nei centri datoriali che elaborano

strategie vincolanti per tutti i nodi, mentre il controllo diviene meno visibile e più anonimo.

Questo processo si colloca nel più ampio scenario della dematerializzazione della produzione, che

Gallino definisce “finanzcapitalismo”11 e che comporta l’imporsi di una mega-macchina sociale

capace di estrarre la maggior quota di valore dagli individui e dagli ecosistemi attraverso il potere

finanziario, con una accumulazione delle risorse economiche nei nodi apicali.

1.3. Standardizzazione centralizzata versus regolamentazione democratica

La crescita della frammentazione e la tendenza alla centralizzazione si accompagnano a un

parallelo processo di standardizzazione, che sono funzionali al governo della crescente flessibilità

della catena del valore e all’aumento di complessità dei processi di lavoro12.

In un certo senso, le esigenze di flessibilità delle aziende e quelle di standardizzazione sono due

processi complementari. La standardizzazione dei processi di lavoro comporta l’estensione di

modelli organizzativi e di procedure uniformi di gestione dei rischi lungo l’intero processo di lavoro

che possono - e dovrebbero - favorire l’estensione delle tutele e la partecipazione lungo la catena

del valore e che sempre più trovano la necessità e l’opportunità di essere disciplinate a livello

normativo, sia in ambito nazionale che internazionale.

Così, diventa sempre più attuale comprendere come governare la diffusione dell’organizzazione

razionale del lavoro, caratterizzata da una forte standardizzazione delle procedure che si propone

di offrire a lavoratori e dirigenti vantaggi in termini di efficienza, calcolabilità, prevedibilità e

controllo ma che spesso si traduce in nuove forme di subordinazione e alienazione13.

Spesso i nodi centrali datoriali cercano di auto-produrre delle regole con l'obiettivo di definire i

propri modelli di organizzazione, superando la regolamentazione pubblica per centralizzare il

processo di razionalizzazione. Per quanto riguarda il rapporto tra modelli organizzativi e i modelli di

gestione della salute e sicurezza, è evidente che si tende a una loro integrazione formalizzata e

8 D. Di Nunzio, P. Hohnen, P. Hasle, H. Torvatn, L. Øyum, Impact of restructuring on health and safety and quality of work life. Psychosocial risks, Leuven, Higher Institute of Labour Studies, Katholieke Universiteit, Belgium, 2009.9 M. Castells, Op. cit.10 R. Sennett, Op. cit.11 L. Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Torino, Einaudi, 2011.12 D. Di Nunzio et. al., Op. cit.13 G. Ritzer, Il mondo alla McDonald’s, Bologna, Il Mulino, 1997.

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disciplinata, sia all’interno dei singoli luoghi aziendali che, in misura poco adeguata, nella disciplina

giuridica italiana e internazionale.

Ad esempio, è sempre più importante riflettere sul rapporto tra i sistemi per il perseguimento del

Total Quality Management14 e i modelli di gestione del rischio previsti dalle leggi, come quelli

previsti in Italia dal D. Lgs. 81/08 (art. 30). L’obiettivo è quello di coniugare le esigenze di efficienza

di un’azienda con la tutela delle condizioni di lavoro, rispettando i diritti dei lavoratori e le normative

pubbliche, favorendo e l’estensione delle tutele e della democrazia.

Un caso che ben evidenzia l’importanza di queste sfide - per perseguire un modello organizzativo

capace di coniugare l’elevata qualità del processo di lavoro con la qualità delle condizioni di lavoro

- è rintracciabile in quanto accaduto alla Fiat negli ultimi anni. A partire dal 2005, presso gli

stabilimenti automobilistici della Fiat è stato introdotto il World Class Manufacturing, un sistema

integrato per l’eccellenza dell’intero ciclo logistico-produttivo dell’impresa manifatturiera, finalizzato

al perseguimento della qualità totale, attraverso il miglioramento continuo di tutte le prestazioni, il

coinvolgimento di tutti i livelli e le funzioni aziendali, l’orientamento alla lean-production e al just in

time15. Nel 2008 la dirigenza della Fiat ha comunicato ai sindacati che intendeva adottare,

nell’ambito del programma WCM, il Sistema Ergo-Uas per la valutazione del rischio di sovraccarico

biomeccanico di tutto il corpo e che, dunque, riteneva inapplicabile l’intesa siglata il 5 Agosto 1971

che definiva i tempi di recupero. L’introduzione del sistema Ergo-Uas è disciplinata nell’allegato

tecnico n. 2 dell’accordo siglato il 23 Dicembre 2010 tra Fiat, Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione

quadri. Attraverso il sistema Ergo-Uas, per ogni operazione si identificano degli indici di rischio

riferiti rispettivamente al corpo intero e agli arti superiori, con una valutazione semaforica in

relazione al punteggio ottenuto (verde, gialla, rossa, dalla meno rischiosa alla più rischiosa). Come

specifica l’accordo, se l’operazione ha una valutazione di rischio elevato si procede all’analisi con

“un metodo di maggior dettaglio valutativo, riferito ai parametri dei vari fattori di rischio regolati da

precise norme tecniche”, per aumentare la maggiorazione temporale o riportare l’operazione a un

più basso livello di rischio. Da quanto emerge dalle analisi di Francesco Tuccino per la Fiom16, il

metodo Ergo-Uas, rispetto ai metodi precedentemente applicati in Fiat, comporta una riduzione del

fattore di maggiorazione (dunque un aumento dei tempi di saturazione) per alcune delle operazioni

più diffuse: come ad esempio quelle in postura eretta (che passano da una maggiorazione del 5%

del tempo a solo 1%). Quello che è rilevante del caso WCM-Ergo-Uas della Fiat, per i temi che

stiamo trattando, oltre all’aumento dell’intensità del lavoro che provoca, è l’associazione tra un

metodo di perseguimento della qualità totale e un metodo di rilevazione del rischio in un unico

modello organizzativo integrato, che è introdotto e disciplinato a livello aziendale e con una forte 14 Il Total Quality Management è un approccio nato in Giappone, diffuso prima negli USA e poi nel resto del mondo in particolare nel corso degli anni 80, per perseguire la massima qualità del processo di produzione e del bene prodotto. Le finalità principali di questo approccio sono di ottimizzare gli sforzi e soddisfare il cliente, attraverso il coinvolgimento e mobilitazione dei dipendenti e la riduzione degli sprechi (cfr. W. E. Deming, The New Economics For Industry, Go-vernment & Education, Cambridge, Massachusetts Institute of Technology Center for Advanced Engineering Study, 1993).15 R. Schonberger, Op. cit.; J. Todd, World-class manufacturing, Berkshire: McGraw-Hill, 1995.16 F. Tuccino, World Class Manufacturing e sistema ErgoUas, Fiom Cgil, Materiali, 10 Settembre 2010.

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centralizzazione, con l’utilizzo di standard volontari internazionali. Questo modello tenta di

superare quanto previsto in Italia dalla normativa specifica e obbligatoria in materia di salute e

sicurezza, che per la valutazione del rischio da movimentazione manuale dei carichi non fa

riferimento al sistema Ergo-Uas ma ad altre norme tecniche (ISO 11228-1-2-3, rispettivamente: il

metodo Niosh per il sollevamento e trasporto manuale di carichi, metodo Snook & Ciriello per il

traino e spinta manuale di carichi, metodo Ocra per i movimenti ripetuti degli arti superiori; cfr. D.

Lgs. 81/08, art. 168 e Allegato XXIII). Così come, anche, nella ripartizione dei ruoli propri

dell’associazione tra WCM e sistema Ergo-Uas sembrano avere scarsa rilevanza gli attori che,

stando alla normativa vigente, sono protagonisti del sistema di gestione del rischio in azienda, a

partire dagli Rspp, gli Rls, i medici aziendali.

Dunque, l’introduzione di questo modello organizzativo presso la Fiat è avvenuta in maniera non

adeguata rispetto all’integrazione delle diverse norme e degli standard così come non è efficace

nella costruzione di un network organizzativo integrato, non favorendo la partecipazione di tutti gli

attori previsti.

1.4. Individualizzazione, esternalizzazione e diseguale distribuzione dei rischi

La crescente flessibilità dei processi produttivi comporta una riduzione del potere di negoziazione

che i lavoratori hanno individualmente e collettivamente nei confronti dei centri decisionali datoriali

cui consegue un’intensificarsi del loro sfruttamento, sotto il ricatto costante della disoccupazione e

nell’impossibilità di controllare i processi produttivi nel loro complesso articolarsi. L’azione

sindacale e la regolamentazione democratica pubblica perdono terreno davanti alla volontà dei

nodi centrali datoriali di detenere la maggior quota di profitto e di controllo.

Così, si è affermata una diseguale distribuzione del rischio, creando vari gradi di inclusione e di

esclusione nel sistema di tutele lungo le filiere, con un graduale ampliamento della quota degli

outsiders rispetto a quella degli insiders17. La tendenza è verso un’esternalizzazione dei rischi e

una individualizzazione dei rischi – che tendono a pesare sul singolo lavoratore o sulla singola

azienda – sempre più intensa per i soggetti più marginali ed isolati.

La causa di questa disuguaglianza nella distribuzione dei rischi può essere rinvenuta nella diversa

ripartizione dei diritti e delle tutele tra i lavoratori poiché, come afferma Ulrich Beck “la capacità di

rapportarsi a situazioni di rischio, di evitarle o compensarle, sono probabilmente distribuite in

maniera diseguale all’interno della stratificazione economica e culturale”18.

Come mostra una recente ricerca finanziata dalla Commissione Europea su 58 studi di caso di

17 D. Di Nunzio, Infortuni e trasformazioni del lavoro. Appunti per una analisi statistica, in “Questione giustizia”, n.5/2007, Franco Angeli, Milano, 2007, pp. 961-970; D. Di Nunzio, “Le difficili condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori atipici in Italia: frammentazione, atomizzazione e scarse tutele”, in Rivista Brasileira de Estudos Polìticos, vol. 99-b, Julho-Dezembro, Universidade Federal de Minas Gerais, Brasil, Belo Horizonte, 2009, pp. 21-52; D. Di Nunzio, “Le disuguaglianze nella salute e la frammentazione dei processi di lavoro: per un sistema di tutele coeso e inclusivo”, in AA. VV., Emersione e legalità per un lavoro sicuro quali fattori di sviluppo per l’impresa. Governance della crisi: il contresto alle illegalità come condizione per un nuovo sviluppo, Ediesse, Roma, 2010, pp. 69-101.18 U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma Carocci, 2000, p. 46.

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imprese internazionali19, le strategie di ristrutturazione aziendale in atto in Europa vanno proprio

nella direzione di centralizzare le decisioni, di razionalizzare i processi e di esternalizzare i rischi

lungo una «catena del valore» sempre più frammentata, con delle conseguenze negative per i

lavoratori: a) una diminuzione dell’influenza che il singolo lavoratore ha sul processo di lavoro; b)

un’intensificazione del carico di lavoro; c) un aumento dell’incertezza, per una diminuita

prevedibilità sia del carico di lavoro che del posto di lavoro; d) un’individualizzazione del rapporto

di lavoro e una carenza del supporto sindacale. Dunque, la tendenza generale conseguente ai

cambiamenti che avvengono nel lavoro è quella di un peggioramento delle condizioni e un

aumento dello sfruttamento soprattutto per i soggetti più vulnerabili: quelli che hanno ruoli

marginali nel contesto socio-occupazionale e che lavorano nelle aree “secondarie” o “periferiche”

della catena del valore.

2. I sistemi di gestione della salute e sicurezza

2.1. La situazione internazionale: tra obblighi legislativi e procedure volontarie

Facendo seguito all'esigenza delle grandi aziende di organizzare al meglio tutte le procedure

organizzative e di gestione del rischio, così come all'esigenza delle aziende più piccole di avere

degli orientamenti chiari in grado di semplificare il rispetto delle normative su salute e sicurezza,

dagli anni Novanta sempre di più sono sviluppate a livello internazionale delle norme nel campo

dei Sistemi di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro (Sgssl). Un approfondito lavoro di Frick

e Kempa20, propone una lettura comparativa e approfondita dei Sgssl a livello internazionale, al

fine di evidenziare le tendenze e le criticità comuni.

Come riportano gli autori, negli anni si è assistito alla creazione e diffusione di due tipologie di

Sgssl: a) volontari-privati; b) regolamentati-pubblici.

a) Un sistema di gestione volontario-privato trova la sua origine e legittimazione sul mercato

Questi sistemi sono solitamente più complessi e più specializzati di quelli regolamentati:

comportano un numero considerevole di procedure specifiche nel quadro di una organizzazione

aziendale generale. Per lo più, sono stati progettati per la gestione dei rischi di incidente rilevante

nelle grandi organizzazioni. Solitamente, sono predisposti per una certificazione esterna, essendo

spesso creati e sviluppati a questo fine proprio da consulenti specializzati di società esterne

all'azienda, che offrono all'azienda da un lato un prodotto per il governo dell'organizzazione e

dall'altro un prodotto che testimonia della loro capacità organizzativa. Difficilmente questi sistemi

così complessi, che richiedono numerose procedure di valutazione e una elevata competenza

degli attori coinvolti, sono applicabili alle piccole aziende.

b) Un sistema di gestione regolamentato-pubblico, dunque istituzionale, può essere definito come

19 D. Di Nunzio et al., Op cit..20 K. Frick, Kempa V., Occupational Health & Safety Management Systems. When are they good for your health?, ETUI, Brussels, 2011. Per una versione del testo in italiano, cfr.: K. Frick, Kempa V., “Sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro. Quando fanno bene alla salute?”, in 2087, Quaderni, n. 12, Dicembre 2011, pp. 5-27.

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“un numero limitato di principi obbligatori in vista della gestione sistematica della salute e

sicurezza, applicabili a tutte le categorie di datori di lavoro, ivi comprese le piccole imprese”21 . I

sistemi di gestione regolamentati e/o obbligatori offrono di solito un numero limitato di prescrizioni:

mentre per i sistemi volontari l'obiettivo è una corretta gestione della salute e sicurezza (soprattutto

dal punto di vista formale e legislativo) per i sistemi regolamentati l'obiettivo è il miglioramento

delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori. Più in generale, inoltre, i sistemi volontari

focalizzano la propria attenzione sulle questioni della sicurezza da incidente, mentre solitamente i

temi della salute fisica e psicologica del lavoratore sono trascurati. Per questo, i sistemi di gestione

regolamentati non sono “certificabili”, difatti nessun consulente privato può garantire rispetto alle

ispezioni eventualmente fatte dalle autorità pubbliche competenti in materia.

Di seguito, uno schema che riassume le principali differenze secondo Frick & Kempa (2011, p. 13).

Sistemi pubblici di gestione della salute e sicurezza

Sistemi privati di gestione della salute e sicurezza

Base Obblighi politici e giuridici Mercati e carattere volontarioApplicazione Tutti i datori di lavoro Grandi organizzazioniSpecificazione dei Sgssl Debole: principi Elevata e complessa

CerificazioneNessuna: non può sostituire una ispezione legale di SSL

Si: le procedure sono valutate da consulenti

Obiettivo Rischio zero in materia di SSL Procedure appropriatePortata della SSL Salute e sicurezza Essenzialmente la sicurezza

Oggetto della valutazione Esposizione a rischi per la SSL

Dati sui comportamenti (es.: indennizzo dei lavoratori, incidenti sul lavoro con asten-sione dal lavoro, decesso

Mezzi di prevenzione Misure tecniche e organizzativeControllo a valle dei comporta-menti dei lavoratori

PartecipazioneSui fini e i mezzi della gestione della SSL

I sistemi di gestione possono essere utilizzati per controllare i lavoratori

Fonte: Frick & Kempa (2011, p. 13, nostra traduzione).

In generale, Frick & Kempa sostengono che la maggior parte di ciò che nei Sgssl volontari

s'intende per conformità alla normativa su salute e sicurezza sul lavoro non è all'altezza delle

ambizioni della direttiva-quadro europea (89/391/CEE), questo per: a) l'impossibilità di garantire il

pieno rispetto della legge nel caso di una ispezione delle autorità pubbliche; b) la scarsa

propensione al miglioramento delle condizioni di lavoro che caratterizza questi sistemi focalizzati

sul rischio incidente. La direttiva-quadro UE 89/391/CEE è attualmente un riferimento legislativo

che impone una elevata attenzione alla tutela del lavoratore e, tra le molte cose, impone in

ciascuno dei 27 Stati Membri dell'UE di:

• stabilire la responsabilità di tutti i datori di lavoro di “garantire la salute e sicurezza sul

lavoro” e di prendere tutte le misure e impegnare tutti i mezzi necessari a questo fine;

21  K.   Frick,   P.L.   Jensen,   M.   Quinlan   and   T.   Wilthagen   (eds.),  Systematic   occupational   health   and   safety  management: perspectives on an international development, Amsterdam, Pergamon, 2000, p. 3.

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• obbligare i datori di lavoro, tenuto conto della natura delle loro attività, a valutare, a

prevenire e ridurre quanto più possibile i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori,

come principale mezzo per soddisfare questa responsabilità;

• fare della competenza dei datori di lavoro in materia di SSL una base obbligatoria del

sistema di gestione della sicurezza;

• mettere in atto un sistema gerarchico di prevenzione, secondo il quale l'eliminazione dei

rischi (ambiente di lavoro sicuro) venga prima della protezione individuale e/o delle

istruzioni per la sicurezza (lavoratore protetto);

• definire globalmente i rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori come “ambiente di

lavoro”, comprendendo segnatamente l'organizzazione del lavoro;

• esigere dai datori di lavoro che essi rendano idonee le condizioni di sicurezza sul lavoro ai

bisogni di ciascun lavoratore;

• permettere la partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti nell'ambito di tutti i

problemi riguardanti la SSL, senza che essi ne debbano supportare il minimo costo.

Nel 1999 a livello globale c'è stato una accordo tra 14 organizzazioni nazionali di normalizzazione

e società di revisione, che ha prodotto uno standard sui sistemi di gestione, la OHSAS 18001, che

conta 3900 certificazioni in 70 Paesi alla fine del 2003, con una prevalenza di aziende cinesi. Il

problema di questo sistema, così come di altri - sempre secondo le analisi di Frick & Kempa - è

che pur mirando al rispetto delle normative in materia non disciplina in maniera rigorosa la

gestione delle relazioni tra i diversi attori all'interno e all'esterno dei processi produttivi al fine di

migliorare la prevenzione stessa dei rischi, innalzando il livello di benessere. Un sistema di

relazioni che è invece il cardine, ad esempio, del sistema normativo europeo.

Una importante eccezione a questa tendenza è data dalle linee guida del 2001 dell'International

Labour Orgnization22, che sono il risultato di una organizzazione tripartita, dove i rappresentanti dei

governi, dei sindacati e delle associazioni datoriali hanno il medesimo diritti do voto. Questo

sottrae la definizione stessa dei sistemi di gestione del rischio all'unilateralità propria delle società

di certificazione, che hanno interessi propri e vicini soprattutto alle parti datoriali piuttosto che

all'interesse pubblico o specifico dei lavoratori. Le linee guida dell'ILO sono volontarie,

comprendono i principi base della direttiva-quadro europea sopra citata, e puntano più al

sostanziale rispetto della salute che meramente agli aspetti formali. Secondo dell'ILO23, “le

strategie globali per la sicurezza e la salute sul lavoro (Ssl) consistono principalmente

nell’instaurare e mantenere una cultura nazionale di prevenzione, nonché nell’introdurre un

approccio sistemico di gestione della Ssl. Un Sistema di gestione della Ssl (Sgssl) può essere

considerato un importante strumento di prevenzione per gestire in modo efficace i pericoli e i rischi

sul luogo di lavoro: si basa sui criteri, sulle norme e sui risultati in materia di Ssl e, sopratutto, mira

a istituire un meccanismo globale e strutturato che guidi l’azione, sia dei dirigenti che dei

22 ILO, Guidelines on Occupational Safety and Health Management Systems (ILO­OSH 2001), 2001.23 ILO, Roma Newsletter, Aprile 2011.

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lavoratori, nell’attuazione delle misure per la sicurezza e la salute. Un Sgssl segue un approccio

logico e progressivo per determinare ciò che deve essere fatto e qual è il modo migliore per farlo,

per monitorare i progressi, valutare quel che è stato realizzato ed identificare eventuali margini di

miglioramento. Inoltre, aspetto forse ancora più importante, è un meccanismo progettato in vista di

un miglioramento costante e continuo”.

2.2. I sistemi di gestione della salute e sicurezza in Italia

In Italia, i sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro, come ricostruito da Benedetti24,

hanno una prima concreta elaborazione verso la fine degli anni Novanta, portando alla

pubblicazione nel 2001 delle linee guida Uni-Inail25. Le linee guida Uni-Inail si possono inserire nel

quadro regolativo definito a livello internazionale dall'Ilo, che proprio in quell'anno pubblica le

proprie linee guida, proponendo un quadro di riferimento all'interno del quale i contesti nazionali e

settoriali possono contribuire a definire le proprie specificità.

Dunque, le linee guida Uni-Inail costituiscono un documento sul tema dei Sgssl condiviso dalle

parti sociali e l'Inail, attraverso dei protocolli d'intesa con le parti datoriali e sindacali e il

coinvolgimento di grandi aziende, ha elaborato dei modelli di gestione nell'ambito degli

orientamenti definiti dall'ILO.

Attualmente, sono a disposizione le seguenti linee guida dell’Inail:

• industrie energia e petroli (2007);

• imprese a rete (2010);

• imprese aeronautiche ad ala fissa (2011)

• micro e piccole imprese (2011)

• aziende dei servizi ambientali e territoriali (2012)

Secondo le linee guida dell'Inail (2001) il Sgssl definisce le modalità per individuare, all’interno

della struttura organizzativa aziendale, le responsabilità, le procedure, i processi e le risorse per la

realizzazione della politica aziendale di prevenzione, nel rispetto delle norme di salute e sicurezza

vigenti.

Il SGSSL, che prevede un’adozione volontaria, fermo restando il rispetto delle norme di legge, si

fonda sui seguenti principi:

• il monitoraggio è effettuato preferibilmente con personale interno

all’impresa/organizzazione;

• non è soggetto a certificazione da parte terza imposta da norme di legge;

• è economicamente giustificabile, in quanto produce anche economie di gestione;

• si adatta alle specifiche caratteristiche dell’impresa/organizzazione;

24 F. Benedetti, “I sistemi di gestione in Italia: storia, risultati, prospettive”, in in 2087, Quaderni, n. 12, Dicembre 2011, pp. 28-30.25 http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?

_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SICUREZZA&nextPage=Sistemi_di_gestione_della_sicurezza/index.jsp9

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• migliora le capacità di adattamento all’evoluzione di leggi, regolamenti e norme di buona

tecnica;

• non è sottoposto, in quanto tale, al controllo delle Autorità di vigilanza;

• coinvolge i lavoratori e i loro rappresentanti nel sistema di gestione.

Queste linee guida, però, non sono certificabili, anche per le difficoltà prima descritte proprie dei

sistemi pubblici regolamentati. Proprio per l'assenza della certificazione, le linee guida Uni-Inail

sembrano essere meno utilizzate dalle aziende. L'esigenza delle aziende italiane di avere delle

certificazioni ha promosso la diffusione della normativa internazionale Ohsas 18001, sopra citata,

che non si fonda su un confronto tra le parti sociali. Questo perché le aziende hanno bisogno di un

attestazione di conformità da esibire ai mercati e alle istituzioni. Proprio perché la norma Ohsas

18001 non si fonda sul dialogo sociale, nel 2003 l'ente di accreditamento italiano ha convocato le

parti sociali al fine di definire un “regolamento tecnico” per disciplinare sia la certificazione che i

soggetti che possono attuarla. Questo regolamento prevede che le aziende applichino quanto

previsto dalla norma Ohsas 18001 alla luce di quanto prescritto dalle linee guida Uni-Inail del 2001.

Uno studio effettuato nel 2007 dalla Contarp e dalla Csa dell'Inail, citato da Benedetti26, mostra che

l'applicazione dei Sgssl contribuisce a una diminuzione del numero di infortuni, che si può stimare

intorno al 15%. Purtroppo, ancora non sono presenti degli studi in grado di misurare non solo le

questioni della sicurezza quanto la complessità delle condizioni di salute e di lavoro. Inoltre,

l'utilizzo delle certificazioni per i Sgssl da parte delle aziende è andato crescendo in maniera

esponenziale, con un intenso aumento negli ultimi due anni: le certificazioni sono passate da 140

nel 2002 a 1667 nel 2009, per salire velocemente a 5566 nel 2011.

Considerando la ripartizione per settori della certificazione Ohsas 18001, il 13% si concentra nel

settore edile, il 12% nei trasporti, l’11% nei servizi, il 10% nel settore energetico, il 7% nei servizi

pubblici, il 6% nell’industria dei metalli, il rimanente 41% è frammentato negli altri settori27.

Questo aumento è dovuto alla emanazione del Testo Unico su salute e sicurezza, D.Lgs. 81/08. Il

Testo Unico consente, per le aziende con meno di 50 addetti, di effettuare la valutazione dei rischi

sulla base delle procedure standardizzate che sono definite da una Commissione Consultiva

composta da rappresentanze politiche e da esperti nominati dalle parti datoriali e sindacali, così

come consente di introdurre dei modelli di organizzazione e di gestione del rischio che esimono da

responsabilità amministrative se costruiti secondo determinati criteri per una corretta valutazione

del rischio (art. 28; art. 30). Per i modelli da applicare si può fare riferimento alle linee guida UNI-

INAIL SGSL del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001 del 2007, e ulteriori

modelli di gestione possono essere indicati dalla Commissione Consultiva composta da

rappresentanti della pubblica amministrazione, delle parti sociali e da esperti. Il modello

organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni

dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le 26 F. Benedetti, Op. cit., p. 30.27 Ganapini D., “I Sistemi di gestione salute e sicurezza, Sgssl e Mog. Strumenti della gestione della sicurezza in alcuni settori”, in ”, in Atti del convegno su Sgssl e Mog, Cgil Emilia Romagna, Bologna, 22 Novembre 2011.

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competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del

rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure

indicate nel modello. Inoltre, gli organismi paritetici su richiesta delle imprese possono rilasciare

una attestazione dello svolgimento delle attività e dei servizi di supporto al sistema delle imprese,

tra cui l’asseverazione della adozione e della efficace attuazione dei modelli di organizzazione e

gestione della sicurezza previsti dall’articolo 30, della quale gli organi di vigilanza possono tener

conto ai fini della programmazione delle proprie attività (art. 51).

3. Alcune sfide dei sistemi di gestione della salute e sicurezza per il benessere dei

lavoratori

Un sistema di gestione efficace deve definire i problemi, apportare le soluzioni più efficaci e

metterle in pratica correttamente28.

Di seguito evidenziamo alcune criticità e proponiamo degli orientamenti, volti a migliorare l’efficacia

dei sistemi di gestione della salute e sicurezza. L’introduzione delle procedure standardizzate -

sempre più diffuse nelle aziende al di là delle questioni inerenti alla salute e sicurezza - deve

essere opportunamente monitorata e regolamentata, per trasformarsi in un’opportunità di

benessere per il lavoratore, ostacolando un utilizzo meramente strumentale.

Questa sfida avviene sia a livello legislativo che all'interno dei processi produttivi.

1. È opportuno che la definizione e l'applicazione dei sistemi di gestione sia regolamentata a livello

pubblico, sia in ambito nazionale che internazionale, attraverso un confronto ampiamente

democratico con le associazioni sindacali e datoriali, gli esperti e la comunità scientifica, al fine di

ridurre i margini di discrezionalità nell’introduzione dei sistemi volontari. È opportuno evitare una

elaborazione unilaterale o poco democratica dei Sgssl, sia da parte da organismi privati che dalla

pubblica amministrazione.

2. E’ necessario recuperare la distanza culturale tra i Sgssl volontari e la normativa in materia di

Ssl. Troppo spesso, i Sgssl sono caratterizzati dall'attenzione al rispetto formale delle procedure

ed è invece necessario favorire l'orientamento sostanziale che dovrebbe caratterizzare qualsiasi

sistema di gestione del rischio, che si colloca inevitabilmente nel più ampio scenario degli

orientamenti e delle leggi nazionali e internazionali sui temi della Ssl, caratterizzati dall’obbligo di

“prevenzione di tutti i rischi” e dal “perseguimento della tutela della salute di tutti i lavoratori”, da

intendersi come necessità di favorire il loro benessere attraverso un continuo miglioramento dei

processi di lavoro.

È necessario superare qualsiasi orientamento tecnocratico taglio tecnocratico che non si sforza di

fare crescere assieme lavoratori e responsabili aziendali nella gestione responsabile e

consapevole della salute e sicurezza, considerando che i pilastri su cui si regge il sistema di

28 D. Walters, K. Frick, "Worker participation and the management of occupational health and safety: reinforcing or conflicting strategies?", in K. Frick, P.L. Jensen, M. Quinlan and T. Wilthagen (eds.) Systematic occupational health and safety management: perspectives on an international development, Amsterdam, Pergamon, 2000.

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prevenzione pubblico sono dunque gli stessi su cui si dovrebbe reggere un Sgssl29: 1) piena

responsabilità del datore di lavoro nella osservanza effettiva delle norme e nella gestione corretta

dei rischi e tramite l'adozione di sistemi gestionali tracciabili e verificati ; 2) la partecipazione attiva

del lavoratore che deve essere formato, informato ed addestrato con obblighi ben definiti;

presenza proattiva Rls come rappresentante dei lavoratori; 3) la presenza di un servizio di

prevenzione e protezione con competenze adeguate; 4) lo Stato garante salute lavoratori:

promotore e controllore, sistemi premianti e sanzionatori efficaci tramite le norme. Un sistema di

Servizi pubblici sul territorio omogenei su scala nazionale per le ispezioni e la vigilanza 5) un

sistema “integrato e funzionale” di competenze pubbliche e private in grado di supportare con la

ricerca, e con la consulenza il sistema delle imprese e i rappresentanti dei lavoratori nella

valutazione e gestione dei rischi.

3. Tutti gli attori individuati dalle normative su Ssl devono avere un ruolo nei Sgssl e la relazione tra

questi attori deve essere un aspetto meglio considerata, attribuendo chiaramente le responsabilità

e garantendo l’autonomia e il coinvolgimento di ciascuna figura. Maggiore attenzione dovrebbe

essere data al rapporto tra i protagonisti del sistema di gestione della Ssl in azienda (i datori di

lavoro, il sistema di prevenzione e protezione, i tecnici esperti, i medici competenti, i lavoratori e le

loro rappresentante per la sicurezza aziendali, di sito e territorio). Al tempo stesso, dovrebbe

meglio essere configurato il rapporto con gli attori esterni all’azienda, a partire dal sistema sanitario

locale, gli organismi paritetici, gli organismi di vigilanza, la comunità scientifica, sviluppando sistemi

capaci di favorire una intensa collaborazione tra le figure nell’autonomia dei ruoli. Le esperienze

della Scandinavia, dove i sistemi standardizzati sono stati ampiamente utilizzati negli ultimi

vent’anni, mostrano che il funzionamento di questi sistemi nelle imprese è molto difficile, richiede

l’investimento di molto tempo e rischia facilmente il fallimento. Il successo di questi sistemi richiede

all’interno dell’azienda il coinvolgimento del management e dei rappresentanti dei lavoratori, così

come, all’esterno dell’azienda, il supporto e la guida delle autorità pubbliche e una stringente

definizione legislativa delle modalità di costruzione e attuazione dei sistemi di gestione del

rischio30.

5. In particolare, la letteratura evidenzia il ruolo fondamentale della partecipazione dei lavoratori e

delle loro rappresentanze. Nelle loro analisi, Walter al. (200531), rilevano che: a) la partecipazione

dei lavoratori è utile a risolvere i problemi di Ssl; b) la partecipazione dei lavoratori attraverso le

rappresentanze sindacali specializzate sui temi della salute e sicurezza migliora i risultati; c) i

Sgssl producono i migliori effetti proprio quando i lavoratori e i loro rappresentanti per la sicurezza,

con il supporto e la formazione del sindacato, sono in grado di esporre il proprio punto di vista.

29 G. Rubini, “Il diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro, responsabilità, regole e strumenti di certificazione, quale ruolo per il sindacato”, in Atti del convegno su Sgssl e Mog, Cgil Emilia Romagna, Bologna, 22 Novembre 2011.30  Cfr.: K. Frick, P. Langaa Jensen, M. Quinlan, T. Wilthagen (eds.), Systematic Occupational Health and Safety Management: Perspectives on an International Development, Pergamon, Oxford, UK 2000; P.Ø. Saksvik, H. Torvatn, K. Nytrø, Systematic Occupational Health and Safety Work in Norway: a Decade of Implementation , in Safety Science, n. 41, 2003, pp. 721-728.31 D. Walters, T. Nichols, J. Connor, A. Tasiran, S. Cam, The role and effectiveness of safety representatives in influencing workplace health and safety, Research Report 363, Sudbury, 6+HSE books, 2005.

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Dunque, la partecipazione e la consultazione dei lavoratori implica sia la loro “partecipazione

diretta” che la loro “partecipazione rappresentativa”.

6. Il modello organizzativo adottato da un azienda è “unico” e i diversi sistemi e procedure

standard su temi diversi devono potere dialogare e integrarsi in maniera virtuosa. É dunque

opportuno produrre regole capaci di disciplinare la relazione tra i sistemi, a partire dal

disciplinamento delle relazioni tra i Sgssl e gli altri sistemi più direttamente coinvolti con i temi della

salute e sicurezza, come le certificazioni di “Responsabilità Sociale d'Impresa” e le certificazioni

ambientali. In generale è di grande attualità - come anche visto nel caso Fiat - comprendere come

integrare i Sgssl nell’ambito dei più ampi sistemi per la gestione della qualità (come l’Uni En Iso

9001) che sono carenti nel definire dei requisiti specifici per l’integrazione dei sistemi. È necessario

evitare conflitti tra i sistemi e rifiutare l’idea che l’utilizzo di un sistema generale possa prevalere

rispetto a qualsiasi altro, subordinando qualsiasi sistema innanzitutto a dei principi comuni, a

partire ovviamente dal rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori e dal rispetto delle normative,

come quelle su salute e sicurezza.

7. Alla luce di quanto detto, non può esserci un collegamento arbitrario tra l’utilizzo di un Sgssl - o

di una qualsiasi certificazione del sistema di gestione per la qualità - e la riduzione e la

sospensione dei controlli sulle imprese. La “semplificazione” della gestione del rischio deve

intendersi come una sua “razionalizzazione”, che non può e non deve confondersi con una

riduzione arbitraria del controllo, soprattutto considerando il rischio di un utilizzo meramente

strumentale dei Sgssl. Invece che ridurre i meccanismi di vigilanza e punizione meglio è introdurre

dei meccanismi premianti e/o vincolanti, in particolare per l’accesso ai bandi pubblici.

8. Molti dubbi suscita l’operato degli organismi paritetici in merito all’“asseverazione” dell’efficace

adozione dei modelli organizzativi. Perché questo meccanismo possa funzionare bene è

necessaria una competenza tecnica e scientifica elevata (che implica una formazione stessa delle

figure negli organismi paritetici e un rapporto con la comunità scientifica) ed una reale

collaborazione tra le parti sociali effettivamente rappresentative. L’obiettivo dovrebbe essere quello

di fornire un supporto a progetti complessi e integrati di assistenza alle imprese. È opportuno che

ci sia una verifica continua sui risultati dell’applicazione dei Sgssl ed una collaborazione con gli

istituti di certificazione, con il sistema sanitario e con gli enti preposti alla vigilanza, che però non

può certamente tradursi nella sostituzione del loro ruolo da parte degli organismi paritetici.

9. I Sgssl partecipano delle più ampie sfide proprie della tutela della salute e sicurezza. Come visto

dalla nostra analisi, i processi produttivi sono caratterizzati da una crescente frammentazione e

flessibilità della catena del valore che si accompagna una centralizzazione dei poteri economici e

decisionali e ad una individualizzazione ed esternalizzazione dei rischi, che pesano soprattutto sui

soggetti marginali delle filiere, siano essi lavoratori o aziende secondarie. Questo processo deve

essere meglio considerato al fine di individuare correttamente le responsabilità in merito alla salute

e sicurezza dei lavoratori all'interno dei network produttivi. La sfida attuale è quella di estendere le

tutele lungo la catena del valore, favorendo la partecipazione dei lavoratori e di tutti gli attori

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interessati lungo l’intero articolarsi del processo produttivo. Dalla riflessione sui Sgssl non possono

essere escluse né le tutele dei lavoratori temporanei (autonomi, in collaborazione, in

somministrazione, ecc.) né l’esigenza di raccordare sistemi e procedure di gestione della

sicurezza che rispondono a diversi soggetti giuridici, trovando modalità di dialogo e di raccordo

inter-aziendale.

Per questo, da un lato la centralizzazione dei poteri economici e decisionali nei nodi centrali deve

essere contrastata, al fine di estendere la democrazia nei processi produttivi; dall’altro, la

centralizzazione dei poteri economici e decisionali si deve accompagnare a una centralizzazione

delle responsabilità, che devono essere chiaramente attribuite, al fine di estendere la giustizia nei

processi produttivi. Le scelte prese nei nodi centrali decisionali hanno un impatto

sull'organizzazione del lavoro nei nodi secondari. In particolare, la fase di distribuzione e

acquisizione del lavoro tra le aziende deve essere meglio disciplinata prevedendo meccanismi di

regolamentazione e di contrattazione, al fine che sia chiaro il rapporto tra: a) effettivo lavoro da

svolgere, b) ammontare economico, c) rispetto della normativa su salute e sicurezza. Questo con

l’obiettivo di: a) limitare l'esternalizzazione del rischio da parte delle aziende centrali; b) limitare la

competizione tra le aziende secondarie fondata sull'abbassamento dei costi, per acquisire una

commessa poco remunerativa.

10. Non è possibile instaurare in maniera arbitraria un rapporto tra l’utilizzo del Sgssl e l’esenzione

dalle responsabilità per i soggetti che lo utilizzano 32. È da evidenziare che il datore di lavoro è il

reale titolare dei poteri organizzativi e decisionali sui luoghi di lavoro e dunque delle responsabilità

derivanti: questa definizione è affermata nella Direttiva 89/391/CE così come nel nostro quadro

normativo e giurisprudenziale, chiaramente specificato nel Testo Unico (art. 2), dove egli è definito

come «il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che,

secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività,

ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri

decisionali e di spesa». Questa interpretazione deve orientare gli interventi per attribuire le

responsabilità anche all’interno dei Sgssl, in particolare per definire le responsabilità apicali. Più in

generale, questa interpretazione deve essere considerata al fine definire una più giusta ripartizione

e condivisione delle responsabilità nei network produttivi, tra i diversi datori che cooperano per la

produzione di un bene o servizio33.

11. In estrema sintesi, la sfida è quella di perseguire una razionalizzazione dell’organizzazione del

lavoro funzionale all’affermazione del benessere del lavoratore, cercando “anche” di soddisfare le

esigenze di “semplificazione” delle imprese davanti alla crescente complessità dei processi

produttivi.

32 A questo proposito, si può fare riferimento alla sentenza la sentenza della Corte di Assise di Torino 15 aprile 2011 sul caso Thyssenkrupp. 33 Su questo punto, cfr. V. Speziale, “Il datore di lavoro nell’impresa integrata”, in Giornale di diritto del lavoro e relazioni industriali, n. 125, anno XXXII, 2010, 1, pp. 1-86.

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