tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

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«Tempo ed Eternità», tradotto dalla Luni Editrice p<:r la prima volta in l~ngua italiana, è considerato co­me il testamento spirituale di Ananda K. Coomara­swamy; in questo volume egli affronta gli argomenti chiave della dottrina e cultura di ogni popolo, il Tempo e l'Eterno, argomenti sui quali egli aveva la­vorato tutta la vita ma che solo pochi mesi prima di

morire raccolse in forma di libro. Coomaraswamy, nei cinque capitoli di cui è costitui­to il libro, rintraccia le concezioni base del Tempo e dell'Eterno all'interno dell'Induismo e del Buddhi­smo, della Grecia classica, dell'Islam e anche del Cri­

stianesimo e del pensiero moderno. La sua scrupolosa e attenta analisi dei testi e delle ci­tazioni è supportata da una preparazione culturale sulle dottrine e le religioni e che difficilmente trova eguali in questo scorcio di secolo: i dati e le informa­zioni contenute in questo libro sono fondative per qualsiasi studio che voglia incamminarsi sulla strada

del «Tempo e dell'Eternità». Dice a un certo punto Coomaraswamy: «Il tempo, in altre parole, è un'imitazione dell'eternità, come il di­venire lo è dell'essere, e il pensare del conoscere». E ancora, che: «Il mondo è un'epifania; ed è solo col­pa nostra se erroneamente prendiamo "le cose chef u­rano fatte" per la realtà secondo la quale furono fat­te, il fenomeno per ciò di cui i fenomeni sono l'appa­renza! Per giunta, l'illusione non può essere propria­mente attribuita a un oggetto; essa può sorgere solo in colui che la percepisce: l'ombra resta un'ombra,

qualsiasi cosa ne facciamo».

In copertina: Proiezione circolare della Ka 'ba, intesa come centro dell'Universo, dall'Atlante di M. Charfi (scc. XVI, Parigi, Bibliothèquc Nationale).

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DELLO STESSO AUTORE

Buddha e la dottrina del Buddhismo

La danza di Siva

Ananda K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

Prefazione di

Grazia Marchianò

LU

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Titolo originale

Time and eternity

Traduzione di Robert Rajko

Seconda edizione - novembre 2003

© Rama P. C oom araswam v

© 2003 Orientai Press s.r.l. - Milano

ISBN 88 -7435-042 -2

Prefazione

L'invocazione rituale a Siva: «Onore all'Interminabile Di­struttore del Tempo» (OM namo anantaya kalantakaya!), sigil-1. questo libro di Coomaraswamy che vide la luce poco dopo la sua morte. Curiosamente il caso provvedeva ad arrestare la vita d ll 'autore mentre era intento a meditare sul tema filosofico più p deroso e avvolgente per il pensiero indiano nella sua tensione all 'assoluto. Anantaya, il «senza fine», è infatti il perno su cui nei sistemi di ogni corrente' si avvita imperterrito l'esame della transi torietà e della finitezza, una transitorietà e una finitezza ' hc la potenza divoratrice attribuita a Siva nel mito e nel rito ind ì:i esalta in modo drammatico. Ma per Coomaraswamy l'in­dagine sul tempo e l'eternità non era stata dell'ultima ora. Attra­v rs la vita gli appunti accumulati, i passi selezionati dalle ' ritture e dai testi d'Oriente e Occidente, erano una miniera. E n ·i mesi di quel 1947 in cui si disponeva al viaggio in India ap­i ·na tornata libera2, un presentimento che occorresse affrettarsi f e tornare la mano sui vecchi appunti e uno dopo l'altro, i cin­que capitoli sul tempo e l'eternità presero forma. Se il viaggio in India, per la morte quasi improvvisa ma non inaspettata gli fu n ·gato, il libro si sostituiva idealmente al viaggio, diventando un itinerario molto speciale sulle tracce di un'idea ancipite: il tem­po che si afferma come durata, che si numera sul «prima» e il «dopo» come aveva sostenuto Aristotele, e il tempo mistica­m ·nte negato, frantumato in un atomo di istante, incuneato nel­la saldatura tra due respiri, subitaneo più di un battito di ciglia e

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tuttavia avvertito immobile, come la freccia sospesa in aria nel paradosso di Zenone. Per decrivere questo tempo interstiziale, furtivamente sottratto alla durata, soccorre nel mito indù l'im­magine di Vi~r:iu addormentato cui Lak~mi, devota, massaggia il polpaccio per attivare in lui il sogno del mondo.

Nell'ambito dell'iconografia sacra, come ha accertato Alice Boner3, i princìpi della composizione a rilievo e in pittura esal­tano accanto alla spazialità, la componente temporale mediante accorgimenti che si trovano prescritti in vari testi tra cui la V astusutra Upanisad. La superficie sulla quale saranno disposte le icone o i loro sostituti geometrici (yantra), è sottoposta a una duplice scansione. Se a «fissare » lo spazio provvede una rete di linee verticali e orizzontali sovrapposte a un numero fisso di quadrati e rettangoli, il «dinamismo tettonico» delle immagini è assicurato da linee diagonali che interagiscono con le prime in una tensione e un equilibrio unitari di forze.

Nell'artificio della raffigurazione si configura così una terza categoria di tempo, il tempo plastico che coinvolge il contem­plante non meno delle immagini da lui contemplate.

Chi conosce lo stile lavico della scrittura di Coomara­swamy4, sa di non potersi attendere, anche nel caso di questo li­bro un'esposizione concisa, geometrica in senso latino, ligia alle norme della rettorica classica: persuadere, dilettare, commuove­re. La rettorica sanscrita certamente le applica, conferendo però una spiccata priorità alla prima di esse: l'arte del convincere. E ciò rinvia al teorema upani~adico secondo il quale la sola per­suasione impassibile spogliata di egoità ha il potere di innescare gli effetti concomitanti del diletto e dell'emozione. Se, ad esem­pio, sia i ~ufi che i maestri advaitini chiamano «figli dell'istante» coloro che assaporano l'uscita dal tempo, secondo Coomara­swamy l'espressione non convince perché è efficace ma vicever­sa è effica<:e perché convince.

Una volta chiarito questo aspetto non marginale dello stile argomentativo dell'autore, ci addentriamo nei distretti ispezio­nati da Coomaraswamy (ne è parte il pensiero moderno ma manca un riferimento esplicito all'ebraismo), e si prova la stra-

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Prefaz ione

11:1 impressione che i pensieri percorsi in svariate direzioni dot­trinali, facciano tornare ogni volta sui propri passi, come in un ·nmmino di ronda. Se il ~ufi si ritiene «figlio dell'istante», arre­s al Fiume (la sorgente della Vita), non al Tempo giacché pres­so Dio «non c'è né alba né tramonto», e Rum! afferma che «il viaggio dello Spirito non è condizionato dallo spazio e dal tem­i o»; l'eternità per Boezio è «il possesso perfetto, totale e simul­c. neo d'una vita senza termine»: nell'anima, infatti, c'è «una potenza che il tempo non insidia»; e se l'evangelista sprona a non preoccuparsi del domani, Plutarco ricorda che «morto è l'u mo di ieri poiché è morto nell'uomo di oggi e l'uomo di oggi è morto nell'uomo di domani». Il «momento» nel quale, di e 'Aqar, coesistono «mille anni passati moltiplicati per mille , nni futuri», l' istante-unico del Risveglio alla Buddhità, e l'ato-111 0 d'istante in cui secondo san Paolo si compirà il mistero del-1. resurrezione dei morti, sembrano rinviare a un'identica no­zione mistica di tempo negato, comune a tutte le tradizioni. In­vn riabilmente l'indù, il jaina, il buddhista, il ~ufi, il cristiano, il µr co che si affidi al proprio demone, come di Socrate diceva Plutarco, chiunque di costoro che esplorando la natura intima I ·I tempo, si riconosca figlio dell'istante, non ha bisogno di ne­

l-\n re la temporalità, semplicemente si limiterà a strappare al t ·mpo la sua maschera: eoni, anni, stagioni, il tempo che scorre ·dura, è smascherato come una costruzione del nostro pensie­ro, utile solo quando occorre.

Un grande vantaggio avrebbe tratto l'argomentazione di :oomaraswamy dall'indagine, purtroppo sottaciuta, sulla no­

'.l.ionc di tempo nel pensiero ebraico. Gli sporadici accenni a M;1imonide e a Leone Ebreo non sono sufficienti a porre in evi­d ' nza il peso che ebbe la discussione sul tempo sfociata in una d Il e più accese diatribe teologiche dell'ultimo millennio. Guer­rieri «della parola» di tre ecumeni si fronteggiarono su opposti sp;1lti dialettici: l'ecumene greca divisa al proprio interno tra i p;Hti giani dell'atomismo democriteo e i sostenitori delle tesi .ui stoteliche; l'ecumene islamica con le veementi dispute tra /\ s h 'ari ti e Mu 'taziliti, sostenitori, questi ultimi, dell'atomismo;

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Prefazione

infine l'ecumene ebraica, un mondo dialettico a sé stante, com­

plesso e intricato quant'altri mai, dove a proposito della discus­

sione sul tempo, lampeggia ai primi del Quattrocento la confu­

tazione delle tesi aristoteliche riprese da Maimonide, del teolo­

go catalano I:fasdai Crescas (m. 1412?), nell'opera Or Adonai5, su cui nel 1929 riferiva H.A. Wolfson, in un testo che dunque

Coomaraswamy avrebbe potuto consultare6•

Vediamo assai in breve un punto essenziale delle tesi di Cre­

scas. Per il teologo catalano il tempo, piuttosto che misura del

movimento come aveva sostenuto Aristotele, è la durata del

flusso di coscienza in una mente pensante, e si definirà: misura

della durata (o stasi) tra due istanti. Una definizione che com­

porta due grosse implicazioni teologiche: 1. se la durata è una

qualità della mente piuttosto che del corpo o del moto, il tem­

po si può ascrivere anche a un'entità incorporea qual è Dio; 2.

in quanto durata della coscienza infinita di Dio, il tempo non è

venuto in essere con la creazione dell'universo. A proposito poi

dell'idea di spazio, l'acume di Crescas s'impenna ad altezze

sbalorditive. Lo spazio - egli ritiene - è infinito e vuoto eccetto

quando è occupato dalla materia; il luogo di una cosa è il vuoto

che la circonda. Argomenti di tanta portata avrebbero offerto un appoggio

formidabile alla prospettiva teoretica ed estetica di Coomara­

swamy incline, come lo fu quella dell'amico Guénon' , a postu­

lare l'esistenza di una sorta di lingua metafisica comune, sog­

giacente ai linguaggi delle dottrine tradizionali. Ad esempio le

tesi di Crescas, cui si è potuto solo accennare, mentre si allonta­

nano dai fondamenti della fisica classica, gettano nel secolo XV

ponti arditi sia al passato, verso la concezione cosmologica

buddhista del vuoto, sia al futuro, verso le teorie più avanzate

della fisica del nostro secolo. «Il concetto di tempo immagina­

rio» diceva recentemente Stephen Hawking «è il concetto fon­damentale in base al quale va formulato il modello matematico;

il tempo ordinario sarebbe in tal caso un modello derivato che

noi inventiamo - come parte di un modello matematico - al fine

di descrivere le nostre impressioni soggettive dell'universo»8•

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Prefazione

U n argomento sollevato da Coomaraswamy nell'ultimo ca­

~ ito lo, merita infine un rilievo. Si tratta della base sentimentale

I I giudizio sulla quale, senza averne la minima consapevolez­

zn, poggiano i loro assunti anti-tradizionali gran parte delle fi­

los fi e e dellè estetiche contemporanee. · .i fronte a una dottrina tradizionale - scrive Coomara­

sw, my - quella, poniamo, di un essere statico, intemporale, im­

mutabile, la questione se tale dottrina sia vera o falsa «non è

quas i mai sollevata», e tutto ciò che sembra importare è se «la lo trina piaccia o meno». In altre parole, una dottrina che osi

·o involgere (senza certo confonderli) più piani di un problema,

1\ I esempio la natura del tempo, mettendo in luce la rete di con­

n ss ioni che dall'osservato - il fenomeno del fluire - s'irradia al­

i' sservatore - l'idea del fluire costruita dalla mente - e alle inte­

rnzi ni tra osservatore e osservato, con conseguenti modifiche

cH quadro del mondo e della posizione della mente in esso, è

unn dottrina che fino a poco tempo fa - e lo dimostra la resi­s ·nza alle idee di Coomaraswamy - era quasi invariabilmente

votata a una sprezzante liquidazione. Ma il cammino della co­

noscenza, nel fluire apparente del tempo, provvede a raddrizza­

r ·erte storture, basta saper attendere senza attaccamento.

Grazia Marchianò

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Note

1 Per un esame a vasto raggio del problema del tempo nel pensiero india­no, si rinvia al volume Time in Indian Philosophy. A Collection of Essays, a cu­ra di Hari Shankar Prasad, Sri Satguru Publications, Delhi 1992, dove spiccano tra gli altri, questo testo di Coomaraswamy, Time and Eternity in Hinduism and Buddhism (senza dunque i capitoli sulla Grecia, il Cristianesimo e l'Islam); The Advaita View of Time di T.M.P. Mahadevan, poi ripubblicato come saggio autonomo, Time and the Timeless (1939), e Time and Eternity in Indian Thought di Mircea Eliade.

2 In Sources of Wisdom, Ministry of Cultura! Affairs, Sri Lanka 1981, In­trod. Rama Coomaraswamy, si veda il testo del .discorso pronunciato il 22 agosto 1947 alla cena del settantesimo compleanno, dove Coomaraswamy an­nunciava il prossimo ritorno in India.

' Si vedano in particolare i paragrafi: On Understanding the V astusutra Upani~ad, e Principles of Composition in Hindu Sculpture con i commenti di Paul Mus in Alice Boner Artist and Scholar, a cura di G. Boner ed E. Fischer, Bharat Uala Bhavan, Varanasi 1989, catalogo dell'esposizione «Alice Boner and the Art of India», nel centenario della nascita della studiosa svizzera.

Nel 1946 una breve corrispondenza intercorreva tra Boner e Coomara­swamy sui criteri di interpretazione della diagrammatica indù. Le lettere sono riportate nel volume citato.

' Gli studi di mineralogia in gioventù ve lo avevano forse predisposto. 5 Era parte di un vasto trattato, Ner Helohim (Lume del Signore), rimasto

incompiuto Pico della Mirandola, Giordano Bruno, Spinoza sono i filosofi che più risentono dell'influsso del pensiero di Crescas, bersaglio, peraltro, di astiose critiche di inintelligibilità da parte di molti contemporanei.

'Crescas's Critique of Aristotle, Boston, Mass. (con un'ampia bibliografia). 7 Un suo brano dalla Métaphisique orientale (1929), è citato da Coomara­

swamy nella conclusione del quinto capitolo. ' Nelle Halley Lectures, 1989.

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Introduzione

«TÒ ùÈ rtp6tepov 1m.ì UO"tEpov Èv l(tVtlO"El EO"tlV, xp6voç ÙÈ taùt' EO"'ttV [ ... ] tà àù OVta, ù àeì ovta, oùd.crnv ÈV XPO~q>>>. . .

(Il prima-poi è nel movimen~o.e, in quanto .numerabile, cosutmsce il tempo[ .. . ] Gli esseri eterm, m quanto tali, non sono nel tempo).

Aristotele, Fisica, IV, 14, 223 A; IV, 12, 221 B.

« Nunc fluens facit tempus, nunc stans facit aeternitatem». (L'ora che passa fa il tempo, l'ora che sta fa l'et~rnità)._

Boezio, De Consolatione Philosophzae, V, 6.

«ln ewikeit ist weder vor noch nach [ .. . ] Allez, daz ist got ie geschuof[ ... ] die beschepfet got.nu zemale».

(Nell'eternità non c'è né prima né poi[ ... ] Tutto ciò che Dio ha creato, Egli lo manifesta in un istante).

Meister Eckhart (Pfeiffer, pp. 190, 207).

«Fu un inizio perpetuo». Jacob Boehme, Mysterium Pansophicum, IV. 9.

«In principio ... id est in verbo ... in sapie~tia fecit »: (In principio ... cioè nel Verbo . .. nella Sapienza creo).

S. Agostino, Confessiones, XII, 20, 28.

«Anyatra bhutac-ca bhavyac-ca [ ... ] anady-anantam [ ... ]!sano bhuta-bhavasya-ca evadya sa u §va~» '.

(Né passato né futuro[ ... ] senza inizio né fine~ ... ] . Signore del passato e del futuro, Egli è a un tempo oggi e domam).

Katha Upam~ad, II, 14; III, 15; IV, 13.

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Introduzione

«Mi sembra necessario comprendere in qual senso la Scrit­tura parli del Tempo e dell'Eternità» (Dionigi l'Areopagita, De Divinis Nominibus, X, 3)2

• Esamineremo la dottrina del Tempo e dell'Eternità nei contesti vedico, buddhista, greco, cristiano e islamico. Entrambi i termini sono ambigui. Il «Tempo» è sia la totalità, o una parte, del continuum della durata passata e futu­ra, sia questo punto presente del tempo (nunc fluens) che di­stingue fra loro le due durate. I: «Eternità» è sia, dal nostro punto di vista temporale, una durata senza inizio né fine sia, in se stessa, quel punto inesteso del tempo che è Ora (nunc sta~s).

Dal punto di vista che si può chiamare «esteriore» o «lettera­lista», si concepisce che il tempo, nel primo senso, abbia avuto un inizio e proceda verso una fine; esso viene pertanto contrap­posto all'eternità considerata come una durata perpetua senza inizio né fine. L'assurdità di queste posizioni diventa manifesta se ci domandiamo con S. Agostino: «Che cosa faceva Dio (l'E­terno) prima di creare il mondo?»; la risposta è, naturalmente, che essendo il tempo e il mondo interdipendenti - o, in termini di «creazione», concreati - la parola «prima» non ha alcun senso in una tale questione. È per questo che l' esegesi cristiana affer­ma abitualmente che Èv àpxfi, in principio, non implica un «ini­zio nel tempo» bensì un'origine nel Principio Primo; ne con~e­gue logicamente che Dio (l'Eterno) crea il mondo ora e sempre.

La dottrina metafisica contrappone semplicemente il tempo in quanto continuum all'eternità, che non è nel tempo e che non può essere propriamente chiamata durata perpetua, poiché essa coincide con il presente reale, l'istante, di cui non si può avere esperienza nel tempo. Qui la confusion~ sorge solo per una coscienza che riflette in funzione del tempo e dello spazio, poiché, per essa, un «istante» succede a un altro «istante» senza interruzione e sembra che vi sia una serie indefinita d'istanti, collettivamente assommati nel «tempo». Questa confusione può essere dissipata se ci rendiamo conto che nessuno di questi istanti ha durata e che, quanto alla misura, essi sono tutti degli zero la cui «somma» è impensabile. È una questione di relati­vità: siamo «noi» a essere in movimento, mentre l'Ora è immu-

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Introduzione

t 11 il anche se sembra spostarsi - proprio come il sole sembra I •v:v si .e tramontare a causa della rotazione della terra.

11 pr blema che si pone è quello del luogo della «realtà» 1 Il 1am, tÒ ov, ens ): la realtà o l'essere possono essere attribuiti a

11111\ « o a»3 che esiste nel flusso del tempo e che, di conseguen­'l, l , n n è mai uguale a se stessa, o solamente a degli enti, o a un •m ' onnicomprensivo, situati fuori dal tempo e pertanto sempre i I •mi i? Un breve esame di questo problema fornirà una base ilio studio della dottrina tradizionale del tempo e dell'eternità.

11 sanscrito satyam (da as, «essere»), come il greco tÒ ov e OÌl (a, (da ÈtµÌ, «essere»), significa il «reale», il «vero» o il «be-11 • - ns et bonum convertuntur. In questi sensi satyam può es­

•1' ' predicato delle «cose esistenti»4, che nella loro varietà ven-wi no ollettivamente chiamate «nome-e-forma» (nama-rupe; ò 6')'\)ç rmì. n µopcp~, Aristotele, Metafisica, VIII, 1, 6): e mediante

Jll 'S l. verità (relativa) - quella del «nome-e-forma», per mezzo ti •/ quale Dio è presente nel mondo (SB., XI, 2, 3, 4, 5) e si ma-11 if ·sta come differenziato (BU., I, 4, 7; CU., VI, 3, 2) - «l'Im­mortnle, lo Spirito della Vita, è nascosto» (etad amrtamsatyena t /. 1111nam; prano va am'"(tam, namarupe satyam, tabhyam ayam /i1 1 . ~1 a§ channa~, BU., I, 6, 3), proprio come il Sole, la Verità, è 111\H ' ( sto dai suoi raggi (JUB., I, 3, 6) che gli si domanda di di-i ·rdcre affinché si possa vedere la sua «forma più bella» (BU.,

V, I , 42; lsa. Up., 15, 16). Allo stesso modo, le potenze dell'a-11 imn sono «vere» o «reali», ma «la Verità che è il Sé, è la Realtà d •lh loro realtà, o la Verità della loro verità» (satyasya satyam , , , / c~am esa satyam, BU., II, 1, 20): «quella Realtà, quel Sé, tu l •sso Lo sei» (CU., VI, 10, 3). Sempre in questo senso assolu­

lll, Verità o Realtà (satyam) è sinonimo di Dharma, ÙlKatocruvri, :iusti7.ia, Lex Aeterna (BU., I, 4, 14), uno dei nomi di Colui

•· ·h · solo è oggi e domani» (BU., I, 5, 23): e solo chi conosce qu 'S L:t Verità Suprema (paramartha-satyam) può essere chia-111 111 0 un «maestro della parola» (ativadati, CV., VII, 16, e com-111 ·nto), e «già mai non si sazia/ nostro intelletto, se 'l ver non lo illu sLrn/di fuor dal qual nessun vero si spazia» (Dante, Paradiso, I V, 124-26 )5.

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Introduzione

È quindi dalla verità relativa del nome-e-forma che il Cono­scitore è liberato (namarupad vimukta~, Mux:içl. Up., III, 2, 8); per quanto valida possa essere a fini pratici, tale verità è una fal­sità o irrealtà (anrtam) se paragonata alla «Verità della verità, la Verità assoluta, ed è da questa falsità che sono oscurati i nostri Veri Desideri». In altre parole, le «cose» temporali sono sia reali che irreali. Contrariamente a ciò che è stato spesso affermato, il Vedanta non nega la loro esistenza - «poiché la specificità (anyat tattvam) di questo mondo quaggiù, dimostrata da tutti i criteri, non può essere negata» (BrSBh., II, 2, 31) e «la non-esistenza degli oggetti esteriori è confutata dal fatto che li percepiamo» (nabhava upalabdheh, BrSBh., II, 2, 28). Nella presente connes­sione è irrilevante che Sankaracarya abbia frainteso la posizione buddhista, la quale evita gli estremi «è» e «non è» (S., II, 17; dr. BG., II, 16). L'importante è che il Vedanta sia in perfetto accor­do con la dottrina platonica, secondo la quale le cose sono «fal­se» (\j/Fùfoç = anrta)6

- nel senso che un'imitazione, benché esi­sta, non è «la cosa reale» di cui è imitazione - e con la dottrina cristiana, così come formulata da S. Agostino: «lo guardavo queste cose al di sotto di Te, e vidi che esse non sono né non so­no. Esse hanno un'esistenza (esse), perché vengono da Te, e tut­tavia nessuna esistenza, perché non sono ciò che Tu sei. Poiché è solo questa realtà, che resta immutabile; il Cielo e la Terra sono belli e buoni, e sono (sunt), poiché Dio li creò», ma «paragonati a Te, essi non sono né belli, né buoni, né sono (nec sunt)» (Con­fessiones, VII. 11 e XI. 4 ). La dottrina del Vedanta secondo la quale il mondo ha «la natura dell'arte» (maya-maya) non è una dottrina dell'illusione, bensì distingue semplicemente la realtà relativa del manufatto dalla realtà superiore, quella dell'Artefice (mayin, nirmanakara), nella quale sussiste il paradigma. Il mon­do .è un'epifania; ed è solo colpa nostra se erroneamente pren­diamo «le cose che furono fatte» per la realtà secondo la quale furono fatte, il fenomeno per ciò di cui i fenomeni sono l'appa­renza' ! Per giunta, l'illusione non può essere propriamente attri­buita a un oggetto; essa può sorgere solo in colui che la percepi­sce: l'ombra resta un'ombra, qualsiasi cosa ne facciamo.

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Note

1 Nt•c ;mieteritus nec futurus, sine initio aut fine. Dominus omnium praete-11111111111 1·1 ji11 urorum, Ille solus est hodie atque cras.

( >ìm ')'l:yovwç ou'tE ÈcroµEvoç, &1E &vapxoç Kàt à'tEAEU'tll'tOç cìlv, tÌÌ..Ì..cX rupwç mv 7tUV'tOlV 'tCÒV ')t:'YOV010JV KcXt ÈcroµÉvOJV, 0{1WçJ.1 0VOç 'fon mJµEpOV ICCXl aup tOV

( ' 11 11 l'.tiu to del prof. George Chase e del prof. Werner Jaeger ho reso que­l! vi •i •i i11 latino e in greco solo per mostrare con quanta facilità ed esattezza

I 1111111, w1.· ·o e sanscrito siano fra loro traducibili. . . , . 1 Cl I'. S. Agostino, De ordine II. 51: «In questo mondo dei se~s1 e 1~ver~

11 11 1 ·~ ,11 io esam inare attentamente che cosa siano il tempo e lo spaz10, affmc~e 1 111 1 lw d .1 un lato incanta - che sia nello spazio o nel tempo - possa essere n-111 11 11 1·i1110 co me molto meno bello dell'insieme di cui è una parte».

1 I .i· parole «reale» e «thing» (ingl. «cosa») son~ esse stesse interessanti. J\1111 1• .. ì.· ·on nesso con il latino res, «cosa», e probabilmente con reor, «pensa­

li , v.ilu1 are»; e «thing» con «think» («pensare», ted. «denken» ). C iò. sem­l111 1 i•hh1• implicare che le apparenze siano dotate di re_altà e di una quasi-~er-11111111•11 1.1 nella misura in cui noi le nominiamo, e stabilisce un rapporto i~umo 111 11 L1 11 .11 ura del linguaggio stesso, la cui funzione pri_ncipal~ è sempre d1 co.n~ 1111111 ,11 · le cose; ed è per questa ragione che dobbiamo ncorrere a termm1

111 111 11i vi (v ia negativa) quando vogliamo parlare deUa_realtà ultima, ~he non è 11 1111 •1 p,,1 ». Una «cosa» è un'apparenza alla quale s1 da un nome, ed e precisa-11111111· ciii ·hc implica l'espressione sanscrita e pali n.ama-riipa ~nome, o 1d.ea,_e 11 11 11 1111•110, o corpo), che si riferisce a tutti gli oggem m1su~·ab1h, a tutte_ le md_1_-

1il11 1ili1 :1 1.·onoscibili che possono essere oggetto d'una ncerca statistica. C10

1111 • 111 1il1i1110 è reale è propriamente «senza nome»: «Il nome-_e-l'appar~~za, 111 11 1h1t1.11i co n la coscienza, si trovano solo là dove v1 sono nascita, vecchiaia e 111111 11·, 11 declino e ascensione, solamente là dove vi sono significato, interpre-11 11 1111• 1• ·o mprensione, solamente là dove vi è un movimento che comporta 1111111 1111 ~re rc co me tale o tal altro» (D. II. 63).

J ,1 posi/.ionc del Vedanta è che ogni differenziazione (naturazione o quali-111 11 11111t•) è una questione di terminologia (vacarambhanamvzkarah, CU. VI. I I /1; l' I>'. S. IL 67, viiiiianassa arammanam); e allo stesso modo, per.Platone, ~ I di•v<· dire la stessa cosa della natura che riveste tutti i corpi». Non s1 può di-

11 d1,11 1• 111odificazioni che esse sono, «perché esse cambiano nel momento stes­~ 11 i11 •l q11 .1l c no i ne parliamo», bensì solamente che esse sono «così e così», se 11111 11vi11 1· permesso di dirne tanto (Timeo, 50 A, B). In questo_passo, «la natu-111 111 qui·s Li o nc è quella materia prima e informe alla quale puo esser data for~ 111 11 1.,, I l.1 natura essendo ciò mediante cui il Produttore ge_nera» (S. G10vanm I )11111 ,1, 1 ,·no, De Fide orthodoxa, I. 18) o «ciò mediante cm 11 Padre genera» (S. l 111111 11 .1.,1> d' /\qui no, Sum. TheoL I. 41. 5). .

1 Ni·I ·orso di questo studio, i termini «esistere», «esistente» ecc., sono

17

Page 10: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

usati nel senso stretto di ex alio sistens, e devono essere distinti dai termini «es­sere» o «essenza», in seipso sistens. Questa distinzione rinvia all'opposizione platonica tra )'Évrniç = bhava e oùcrla = astita, che si ritrova in S. Agostino (De Trinitate, VI, 10, 11), ed è trattata esaurientemente da S. Tommaso d'Aquino (De ente et Essentia ).

' La distinzione vedantica e buddhista tra la conoscenza empirica, valida per fini pratici ma prob-abile, e la verità dei princìpi primi, assiomatica e intel­lettualmente valida, equivale a quella che esiste tra l' «opinione» e la «verità» nella filosofia greca - lopinione corrispondendo al divenire e la verità ali' esse­re (Parmenide, Diogene Laerzio IX, 22, Diels fr. I, 8; e Platone, Timeo, 28, 29); l'opinione rapportandosi a «ciò che comincia e perisce», e la verità a «ciò che è sempre e non diventa». Questa distinzione, che ritroviamo nelle due for­me d'intuizione secondo Leibniz - l'una che dà «la verità del fatto» e l'altra «la verità della ragione» -, riafferma apparentemente, e forse realmente, ciò che di­ceva Democrito a proposito delle «due forme di conoscenza, rispettivamente bastarda e legittima, la prima colta per mezzo dei sensi, e la seconda intelligibi­le, la ragione essendone il criterio» (Sesto Empirico, Adversus Dogmaticos, I. 138). Il moderno «pragmatismo», naturalmente, si occupa soltanto della «ba­starda» verità dei fatti, secondo la quale, per esempio, noi ci aspettiamo (ben­ché non lo sappiamo) che il sole si levi domani, e agiamo di conseguenza. Da qui, parimenti, la concezione moderna dell'arte come mera esperienza estetica.

6 Cfr. Aristotele, Év crVt0rnÉl (De anima, III, 4, 1 ). ' Cfr. Anassagora: «Le cose apparenti (i:à <pmv6µEva) sono la visione delle

cose invisibili» (Sesto Empirico, Adv. Dogm. I, 140); e l'Epistola ai Romani, 1, 20.

18

I Induismo

N ·Il o . 'arikhayana Àranyaka VII (cfr. Aitareya ÀranY_aka, 11 , \, 11 sg.) una serie di triadi generatrici viene spie~ata mediante I' 111,il 11gin delle crasi grammaticali. La crasi, s~md~i, de!la form~ 11 11 1•1 io r · , di quella posteriore (per esempio, dice Saya.!fa, di

1 11) 11 0 11 le confonde né le separa. Pronunciarle_ al mod? r J11 ld111j .1, senza distinguerle (come e), si addice a colui eh~ desi-111111 1110 il nutrimento, la terra (questo mondo); pronunciarle al

111 , 11 111 Pr, Lrnna, separatamente (come ai), si addice a colui che il i 1d rr.1 so lo il cielo (l'altro mondo); pronunciarle al modo l ll1li.1 .1111 :ìntarena, cioè nell'intermedia Via di Mezzo (come il il111 11 1q•,o rii), include le due, e si addice a colui eh~ desi~era ambo

1 1111111di ; ·o ì «il modo in cui si pronuncia la crasi espnme la loro

11 111 11 11i .1 ( ·aman)', la loro congiunzione o unione (samhita)». / 11 I' ·n ' raie, la «forma anteriore» è la madre, la «forma poste-

11111 ... :. il padre, e la loro congiunzione o unione (s~mhita) _è il lq•, 111 1, ' l'ri :ìdi analoghe sono, in divinis, la Terra e il Ciel~, gemto-11 d1·1 Vc nLO, del Lampo o del Tempo (kala), o, soggett~vame~t~, li I 11 n i l.1 I arala e l'Intelletto, genitori del Soffio, della Venta, il i•ll.1 ':o noscenza o del Sé; la Prescienza2 e la Fede, genitori del­I' Aii ill1 · s:ìcrificale (karma) 3

• Ma la triade che più c'interessa in 'i 11 1 ·~ 1 0 ·o n testo è la seguente: proce.ssion~ .(gati = prav~ti) e re­', . i11 11 c (niv rtti), genitori della stasi (sthiti). Tutte le misur~ del 11 11 q 111, dal dhvamsi agli Anni, sono sintetizzate i~ ques~a um~~e ( 11 1111 /ii/ 11), qu ella della Stasi: «Essa unifica questi tei:ipi» (kalan

1,11111 /,11 //. ali). Il testo prosegue: «Il Tempo (kala) umsce proces-

19

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Tempo ed Eternità

sione, recessione e stasi, e con essi Tutto Questo (mondo o uni­verso) è unificato»• - in divinis. Soggettivamente, psicologica­mente, «il passato (bhutam) è la forma anteriore, il futuro (bhavyam) la forma posteriore, e il presente (bhavat) 5 è la loro unione (samhita) o prodotto». Per illustrare questo l' AraJ].yaka cita RV., X, 55, 2: «Grande è quel Nome nascosto, che s'estende lontano, per mezzo del quale tu facesti il passato6 e il futuro (bhutam ... bhavyam)»; avrebbe potuto citare ugualmente AV., XIX, 53, 5 e 54, 3: «Pro-dotti dal Tempo (kala), ciò che fu e ciò che sarà stanno separati [ ... ] Il Tempo ha generato ciò che fu e ciò che sarà»; KU., IV, 13: «Signore di ciò che fu e di ciò che sarà, Egli è sia oggi che domani»; AV., X, 7, 22: «Nel quale ciò che fu e ciò che sarà, e tutti i mondi sono stabiliti (prati-ti~tata): questo Pilastro (skambha, Axis Mundi) - dimmi chi può essere».

Si osservi, sopra, che 1. il Tempo è assimilato al Lampo; 2. esso «unisce proces,s~one, recessione e stasi» (kalo gatinivrtti­sthitz~ samdadhati, SA., VII, 20). Questa unione può significare solamente che il Tempo, così inteso (come in AV., XIX, 53, do­ve esso è la fonte del passato e del presente, e non può perciò essere identificato né con l'uno né con l'altro né con entrambi), è un punto statico - quello della Stasi in cui i due movimenti contrari coincidono momentaneamente pur essendo altrimenti separati. Sthiti ha come radice stha, «stare», «esistere», «essere in un dato stato», implicando la stabilità, mentre gam, o car, cal, «andare» o «muoversi», implica l'instabilità: «ciò che si muove» e «ciò che sta (immobile)» formano così l'insieme del-1' esistenza il cui Sé è il Sole (RV., I, 115, 1 ). Si può rimarcare la contrapposizione tra «stare» e «andare» in MBh., XIII, 96, 6, dove il Sole «sta a mezzodì il tempo d'un batter d'occhio» (pa­role di Jamadagni rivolte al Sole: madhyahne vai nime~ardham ti~thasi) - e non bisogna evidentemente vedervi un periodo di tempo misurabile bensì un «attimo». Anche per coloro che pensavano che il sole ascendesse e discendesse ogni giorno, una pausa reale allo zenit era sempre qualcosa di miracoloso7

; e nemmeno la rotazione della terra, che è causa dell'apparente sorgere e tramontare del sole, si ferma mai8

20

Induismo

\1ltr, parte (come nel caso dei miracoli citati alla nota sette),

11 1 I ;onoscitore il Sole9, «una volta elevat?si allo zenit, non ~i 1 11 n tramonterà più, ma starà (sthatr) m mezzo ( ... ] Per 11 I 11110 ·itorc di questa Brahmopani~ad fa giorno una-volta-per-11111 ' 1.krt)» (CU., III, 11, 1, 3) '0 • Nello stesso modo, in relazio-11 l Ur hma, «esiste un'indicazione: in divinis, Quello che, nel I 11l111 i11 , I, mpeggia e fa batter gli occhi (nyamzmi~at); e, in te, .hl Il ) h , per così dire, balena in mente e per mezzo del quale

1 o I. in un istante (abhzk~rJm)" - il concetto (samkalpa)» (A; /lii p., IV, 4-5), e a questo proposito Deussen commenta co­-11 I 11 z >itlose Brahman hat sein Symbol in der Natur an dem 11111111 n/anen Blitze, in der Seele an dem momentanem Vorstel­/im l i/d ' (Il Brahman intemporale ha per simbolo, nella natu-

1 Lunp istantaneo e, nell'anima, l'immagine istantanea)12

I 11 /\V., XIX, 53-4, già citato, il «Tempo» - assoluto - è la l111H li lutti i tempi relativi; esso non è una durata bensì il Sen-111 '1' 1mp , l'Eternità, a cui ogni tempo mobil~ è se~~re pre­

lll , ~ in questi termini che la Maitri Upamsad distmgue le il 1 orme» (dve rupe) di Brahman, cioè gli aspetti delle due

111\llll' • (dvaitibhava)'3 dell'essenza unica (tad ekam), come «il h 1111 o il Non-Tempo» (kalas-cakalas-ca): «Dall'adoratore 1 li p ns. : "Il Tempo è Brahma" (kalam brahmeti), il tempo ~ ;1/11, o h morte) 14 rifluisce lontano. Come è stato detto:

I rd Tempo provengono tutti gli esseri, . . 11,/ tra.verso il Tempo essi procedono verso la loro piena crescita, o nel Tempo, ancora, tramontano: // " 'f'empo" è sia con forma (murti) che senza forma.

Vi sono invero due forme di Brahma: il tempo e il Non-11' 1111 o. iò che è anteriore al Sole è il Non-Tempo (akala) sen­'/11 p1uti (akala); ma ciò che inizia con il Sole è il tempo c~e h~ 1111 I i ( ·a,kala ), e la sua forma è quella dell'Anno [ ... ] PraJapat1

j .. , I il S ·" . Come è stato detto:

/11 vero il tempo (che ha parti) cuoce (pacati, fa maturare) tutte le cose

11 cl rande Sé.

21

Page 12: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

Ma chi conosce _Quello (il Tempo senza parti) zn cuz zl tempo stesso

viene cotto, egli conosce davvero i Veda!

. «Questo tempo esteso ( vigraha, specifico, ipostatizzato) è il fmme rega~e degli ~sseri generati[ ... ] (la fonte ultima di) Tutto Questo, di tutto ciò che, bello o brutto, è visibile in questo mondo» (MU., VI, 14-16)16•

. <~~iverso dal _"f~" e dal "sarà'', senza inizio né fine, Signore di c10 che fu e di c10 che sarà, Lui solo è oggi e domani» (KU., II'. ~ 4; III, 15? IV, 13 ). Lui, poi, «che è senza parti, il costante fra gh mcostanti, l'Uno fra i molti, onnifacente, onnisciente im­

~~rtale, on_~ipre~ente (nityo nityanam [ ... ] eko bahunam' [ ... ] ~zs vakrd vzsvavzt [ ... ] amrta [ ... ] sarvago [ ... ] niskalam), Lui è il "creatore del tempo" (kalakala~, kalakaraM» (Svet. Up., VI, 13-9); «Al comando (ajna, in quanto verbo significa innanzitut­to conoscere, qui esercitare l'autorità) di quell'Imperituro

(ak~~ra: ug~almente "Verbo", Logos) i momenti (nimesa), le ore, i giorm [ ... ] e gli anni stanno separati» (vidhrtas tisthanti

B~., III, 8.' 9). È quello che William Morris chiam~ giust~ment~ «l entrata m scena del tempo che viene dal cielo esteriore».

Secondo lo Yoga Sutra Bhasya (III, 52) l'istante (ksana) è «la suddivisione minima del tempo, che non può esse;e ~lte­riormente divisa[ ... ] e il flusso continuo di tali istanti costitui­sce il loro "corso" (krama) [ ... ] Il loro corso ininterrotto è ciò che si chiama "tempo" ... Il mondo intero subisce una mutazio­ne a ogni istante; così tutte le qualità esteriori del mondo di­pendono da ques~o istante presente». Il controllo degli istanti e della loro success10ne conduce a una gnosi discriminatrice il cui esito finale (III, 5~)'. la «L~b:ratrice» (taraka), «ha per oggetto tutte le cose e tutti i tempi, mdipendentemente-dalla-loro-suc­cessione (akrama)». Vedremo che il processo è lo stesso nel Kalacakratantra buddhista citato più avanti. Ce lo rammentano anche le parole di Meister Eckhart: «Fintanto che l'anima non c~noscer~ tutto ciò che c'è da conoscere, essa non potrà rag- . gmngere il bene sconosciuto».

22

Induismo

ffermarsi sull' «atomismo» indiano. La parola

111/11 , I) •m ·s in nimo di suk~ma, «sottile» o «acuto» (dr. suci, 11 11 1 non letteralmente un «atomo», ma significa «una par-

i 1 1111 il un principio indivisibile». Anu, o paramanu, e anutva, • 111111 qu i11Ji .,.[i equivalenti reali di «atomo» e di «atomicità» 11 I •ll s t ·timologico di queste parole), e possono esser tra­

d1111 i l'ON , J a parola ani, che è loro affine, è la «punta» acumi­, n 11 11 I i un a cosa, come un asse o un ago: pertanto rendo di 11111111 ·o n «minimum», benché in certi contesti significhi pil ll lll, l il potere di assumere la forma «minima» (che è real-1111 111 . lj LI Il a del «filo spirituale», sutratman), grazie alla quale il ss ibile attraversare la «materia solida» o ogni altra

ordinari amen te impossibile attraversare. Inoltre,

11111 p1 io · me c'hoµoç può essere usato per ogni minimum spa-111!1 1 O L ' mporale, così anu può riferirsi a un «punto» dello spa­I H 1, ·nza es tensione, o a un «punto» del tempo, senza durata.

I,' ' :u o m ismo » è associato soprattutto al punto di vista (,/111 11,rn) dcl Vaise~ika, il quale deve il suo nome al fatto che,

1111 nd o esso, gli atomi materiali hanno ciascuno la loro «parti-1 d111· • (vi§esa) qualità o sostanza eterna. Il fine dichiarato di

I 1\1)11d a11 nei Vai5esika Sutra, considerati da Dasgupta come I 1 • h 1 ldhisti, è di spiegare il Dharma (la Legge Eterna) come il l 11 11d 11111 nto, da un lato, della manifestazione (abhyudaya) e, d dl '.dLro, del «Sommo Bene» (ni~freyasam), cioè della Libera­l on •1H: la validità dei Veda è stabilita dal fatto che questi sono i 111111 fini . Il Tempo è la causa delle cose temporali, ma è assente 1 I 1 I I · ·osc eterne. Il «Sé» non è dedotto dal comportamento, lt 111 s cl i rettamente conosciuto nell'esperienza dell' «io» 19

; esso è 11111i in tutto, ma sembra essere molti a causa delle particolari li-111it.1:t.ioni delle cose in cui è manifestata2°. La non-esistenza 111111 ) è l'assenza di attività e qualità; i quattro modi ammessi 11 11 0: :u1teriore (potenzialità di esistenza), posteriore (che non • ist · più), reciprocamente escludentisi (definitivo, «è un vaso» i111 pli cando che «non è un vestito»), e assoluto (antinomico, co-111 · ' le corna d'una lepre»). La causalità (hetu) è relazione; ma la ·11usa e l'effetto non hanno esistenza indipendente, e, di co°:se-

23

Page 13: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

guenza, yutasiddhy-abhava non deve essere compreso né come

«connesso» né come «disgiunto»; ogni produzione «dipende

dall'operazione della causalità invisibile» (admakarika ), e là do­

ve non esiste tale operazione causale, vi è Liberazione. Un ato­

mo è «un'esistenza perpetua e non causata» (sad akaranam,

nityam, VS., IV, 1); gli atomi sono sferici; l'atomicità (anutva) e

l'immensità (mahattva) fondano le nozioni di piccolezza e di

grandezza, queste due qualità potendo tuttavia essere attribuite

alla stessa cosa nello stesso tempo. La confutazione che Sankara

fa della dottrina vaise$ika degli atomi elementari in BrSBh., II, 2,

11-7 consiste essenzialmente nel dimostrare che le parti costitu­

tive delle cose, per quanto piccole, devono pur tuttavia avere

una dimensione, e, come gli aggregati, non possono essere per­

petue. Ciò è innegabile, ma anche così il sistema vaisesika resta

fondamentalmente valido in quanto «punto di vista» (dar5ana),

cioè come un'ontologia che accetta lo sviluppo degli atomi fisici

senza cercare di provarlo. A ogni modo, occorre evitare di

confondere gli «atomi» materiali con il tempo e lo spazio real­

mente atomici e senza parti, i quali non sono una «parte» di

tempo o di spazio nel senso in cui, invece, gli atomi materiali

sono delle parti di cose nel tempo o nello spazio. Osserviamo,

di sfuggita, che né il sanscrito ar1u, «minimo», né il greco

èhoµoç, «indivisibile» ( sanscr. acchedya )21 , affermano realmente

una mancanza assoluta di dimensione. Gli «atomi» della scienza

moderna sono stati «scissi», e non sono più particelle atomiche,

bensì composte. Possiamo ora esaminare la reale atomicità, od

omogeneità, della realtà ultima senza ulteriori riferimenti a Ka!fada22

Nel f!.g-Veda, anu appare solamente in quanto aggettivo,

«sottile», per qualificare le «dita» che preparano e sacralizzano

il Soma. Ma ani (KÉV'!pov), come «punta dell'asse», è significati­

vamente usato in I, 35, 6, dove «gli immortali stanno saldamen­

te sulla punta dell'asse del carro (cosmico)» (anim na rathyam

amrtadhi tasthuh)23; e poiché l' «asse» dev'essere qui identifica­

to con l'Axis Mundi spirituale (RV., X, 85, 12, vyano ak~aM, la

sua «punta» corrisponde alla «punta dello stelo a cui la prima

24

Induismo

ttlhl va dintorno [ ... ] da quel punto depende il cielo e tutta la

11111 11'1\ (Dante, Paradiso, XIII. 11; XXVIII, 41 ); e ciò fornisce

I 1 1 i I osta adeguata alla questione (perfettamente intelligibile):

( 11 n i angeli possono stare sulla punta d'uno spillo?». Altro-

1 11w1 · rri sponde alla «Punta fine» o «essenza sottile» d'una ' '

11 , o me in JUB., III, 10, 3, dove il brahmano Ka!fc;lviya è di-

i 1 •:1.iat perché «non ricercò ciò che è atomico nel Saman

111; 11 ·amna&), e fu pertanto superato da Pracinasali»; Ka!fc;lviya

11 0 11 I e il punto». L'atomicità e l'immensità sono simulta-

11 tin •nte attribuite alla realtà ultima nella quale tutti gli estre-

111 i · incidono; e ciò implica insieme l'onnipresenza e la pre-

•1w .. totale, e la coincidenza nell'eternità di tutto ciò che è per­

p 'lllO con tutto ciò che è ora - sicut erat in principio, est nunc.

I iù piccolo degli atomi (anubhyo'nu), nel quale sono stabiliti i

11101,di e i loro abitanti, quello è l'imperituro Brahma, la Verità

n tJ1a m, tò ov), l'Immortale[ ... ] A un tempo immenso e sotti­

li simo, quello è questo Sé atomico» (brhac-ca [ ... ] suk~mata-

1· tm l ... ] eso'nuratma, Mu!fc;i. Up., II, 2, 2; III, 1, 7 e 9)24• Que­

LO é Universale, quando dimora nel seme, è «di misura atomi­

' ll (anumatrika, Manu, I, 56); «quell'impercettibile minimum

( 1. ~timan) che tu non puoi scoprire nel seme dissezionandolo,

m:1 dal quale cresce l'intero albero, quell'impercettibile gusto di

nlc nell'acqua, quello è il Vero (satyam, tÒ òv), quello è il Sé

(tUman), quello sei tu» (CU., VI, 12, 13); «Quando un mortale

si è sottratto a tutto ciò che esiste (dharmyam)25 e ha ottenuto

~ u e llo, l'atomico (anum etam apya), allora egli è felice» (KU.,

11 , 13 ); «più piccolo d'un atomo, più grand~ dell'immensità»

(rin or an'iyan, mahato mahzyan, KU., II, 20, Svet. Up., III, 20,

·fr. V, 9); «più piccolo d'un chicco di riso [ ... ] più grande di

qu esti mondi» (CU., III, 14, 3); «indivisibile, permanente, on­

nipresente, stabile, immobile, immutabile» (acchedyo 26 [ ••• ]

nitya& sarvagata& sthanur acalo [ . .. ] avikaryah, BG., II, 24, 25).

Tali formulazioni non sono per nulla peculiari dell'India:

Dionigi l'Areopagita, per esempio, spiega che «le Scritture at­

tribuiscono la grandezza a Dio[ . .. ] così come la piccolezza o la

sottigliezza» (= anutva o suksmata), le quali si riferiscono ri-

25

Page 14: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

sp~ttivamente alla Sua trascendenza e alla Sua immanenza (De

D~v. Nom., IX, 1). E le parole di Filone, «lo Spirito di Dio ato­

mico (tò chµr)'tov), indivisibile, pienamente diffuso in e ~ttra­

verso t~tti gli esseri» (Gig., 28), corrispondono letteralmente al

passo citato dalla Bhagavad Gita.

. Ora, se la realtà ultima - questo Brahma, questa Verità, che è

il bersaglio da centrare (Mm:1çf. Up., II, 2, 2) - è così minuta se

la Janua Coeli21

è così minuscola che gli uomini illusi non p~s­sono percepirla, e che possono vederla soltanto coloro che han­

no dominato la collera e padroneggiato le potenze dell 'anima

(svarg~m. dvar~m su~uk~mam [ . . . ] tam tu pasyanti puru~a jita­

krodha ;ztendrzyal;, Mbh., XIV, 2784-5, cfr. CU., VIII 6 5 e

~U., VI, . 30), dev'essere, ed è effettivamente, lo stess; p~r la

Via .che VI ~onduce. e 1' attraversa, «lo stretto (anu = suk~ma) se~t1e~o ~nt1co, la via che prendono i Contemplativi, i Cono­

sc1ton d1 Brahma, per andare, quando sono liberati, verso il

mondo della luce celeste» (svargam lokamita urdhvam v i­

muktah, BU., IV, 4, 8). In altre parole, il Sé è la lama tranciante

del Ponte che tiene separati questi mondi, e che dev 'essere su­

~erat~ da tut~i coloro. che vogliono raggiungere l'Altra Riva, di

la. dall etere, 1perurama28• Com'è detto nel Vangelo: «Io so no la

Via [. · .] Io sono la Porta [ ... ] Nessuno viene al Padre se non

per me [ ... ] Entrate per la porta stretta [ ... ] Perché stretta è la

porta e an~usto il cammino (anul; pantha, BU., IV, 24, 8) che

porta alla vita, e sono pochi quelli che lo trovano» (Giov. , 14, 6

e Matteo, 7, 14).

Infine, per il Vedanta, la realtà o attualità delle cose non è

che momentanea: è irragionevole dire del mondo che ess «è» 2•1

«L''.'io" non è una. sostanza, p~iché "esso" non può ess re per~ cep1to che per un istante (ksanzkatvadarsanat); come po trebbe­

ro le parole "io sono ~nnisciente"30 convenire all'io, quand es­

so e_s1s:e so~o per un Istante?» (aham adeb ksat'}ikasya, Vive­

k~cu</,a:n,a~z, 230, 293). Ciò detto, è difficile approvare .la pole­

mica d.1 Sankara (BrSBh., II, 2, 20) diretta contro la do ttrina

b~dd~1s~a . della <~dissoluzione istai:itanea» (ksanika-bhanga­

vada) . Sankara ngetta questa dottrina perché essa sarebbe in -

26

Induismo

·ompatibile con la legge di causalità32; ma questa obiezione s~­

rcbbe valida solo se la dottrina avesse affermato un tempo di­

scontinuo composto d'istanti successivi, mentre il Buddh~smo

insegna che il flusso dell'esistenza è incessante. (na r~matz, ~:'

LII 147) e porta con sé il prodotto (o il potenziale) di tutto c10

eh; ha avuto luogo nel passato, e che l' «individu~l~tà» ,. bench~ impermanente, è sempre l'erede degli atti passati 1 cm effetti,

prima o poi, inevitabilmente maturano33• • •

Un altro metafisico del Vedanta, Cakrapa1:n, commentando il

Carakasamhita (I, 1, 55; I, 8, 11; I, 14, 1)34, ammette che le intui­

zioni sono istantanee (ksanika), ma «non che esse "durano ~n

solo istante" (ekak~anavasthayinyab) come affermano le .scr~t:

ture buddhiste»; poiché bisogna tenere conto d'una contmmta

(samtana) in ragione della quale il Sé che percepisce (ingl. «ex­

periencing Self» )35 è chiamato un'Unità (ekataya ucy~te); e que­

sto Sé è eterno, benché in esso il risveglio della coscienza possa

prodursi occasionalmente; permanente, o eterno, «a ca~sa dell~

simultaneità delle sue intuizioni passate e future» (mtyatvam

catmanah purvaparavasthanubhut arthapratisamdha~at)3\ Ma

1' opposizione è illusoria, poic~é 1' argomento bu?.dh1sta ? ui:a

percezione «che dura un solo istante>'. c~~cer~e 1.1~ transtt~no

che «non è il mio Sé», mentre la contmmta e 1 untta vedant1che

sono quelle del Conoscitore reale, a un t~rr_ipo il mio ~é e il Sé di

tutti gli esseri. Una gran parte della cntica ve~ant1ca se~bra

poggiare sull'erronea supposizione che il Buddh~smo neg~1 .allo

stesso modo l'io transitorio e il Sé reale, mentre nsulta suff1c1en­

temente chiaro dalle scritture buddhiste canoniche che, se il

Buddha nega la realtà dell'io transitorio (ammesso come un ~o­

stulato unicamente per i bisogni della vita quotidiana), parla m­

vece del Sé, «il Signore dell'io» (Dh., 160, 380), quando «cerca

rifugio» in se stesso e raccomanda agli altri di fare lo stesso. .

Partendo da questi dati, esamineremo ora la dottnna

buddhista dell'istante (khana = zk~ana, «colpo d'occhio», cfr.

nime~a ). Prima di far ciò, però, si ricorderà che, nei pass~ sopra

menzionati, il «tempo» (kala) è usato al plurale quando s1 tratta

di periodi di tempo, e al singolare per indicare il punto del tem-

27

Page 15: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

po a ~artire dal quale la durata si estende sia all'indietro che .

ba:ant1, e. c~e è, ?ertanto, sia l'inizio che la fine del tempo. A~~

iamo d1stmto il «tempo» in quanto periodo d l rr . . . . a « iempo» in

quanto prmc1p10 scrivendo quest'ultimo con la ma· l L' b. · , msco a

a~ I?u~ta verbale della parola kala non è peculiare del san~

s~n~o~ m mg!ese e in arabo, le parole time e waqt possono rife­

nrs1 sia a dei periodi di tempo (lunghi o corti") . · d 1 ' sia a un punto

preciso e tempo (per es.: « What time is it now ?» ). Si può os-

servare ~he k~_a?a ~ nime~a possono riferirsi sia a dei «brevi

momenti» (unita misurabili di tempo) che a d l" · .

d eg I istanti senza

urata, a seconda del contesto37•

In qu~s.t'ulti~o senso, Nimi~a, «Batter d'occhio», che è un

No?,1e d1vmo, e contenuto nella parola naimisìyah, «le enti

dell 1stante» che in CU I 2 13 · 1. ·. · g , ' ' ., ' ' ' si app ica a1 sacrificanti e

p~~ esse~e. par;gonata a~la_ denominazione islamica del ve~o

Sufi, che e zbnu l waqt, «figlio dell'istante»Js.

28

Note

' Questa parola deve evidentemente essere presa nel suo senso ermeneuti­

co: siiman =sii+ ama, «lei e lui», come in AB., III, 23; JUB., I, 53, 4; CU., VI,

1, 7; cfr. il mio Spiritual Authority and Tempora! Power in the Indian Theory

of Government, pp. 51 sg. 2 Prajnii: la traduzione erronea e inintelligibile di Keith, «progenie», è do­

vuta semplicemente a un errore di stampa (prajii invece di prajnii) nella sua

edizione del testo, Aitareya Àra11yaka, 1909, p. 210.

3 Cfr. SB., XI, 3, 1 e AB., VII, 10, dove il sacrificante rappresenta la Verità,

e sua moglie la Fede.

'È essenzialmente la dottrina che Ramanuja attribuisce ai Jaina: «Il "Tem­

po" è una sostanza atomica particolare che è causa della distinzione corrente

tra passato, presente e futuro» (nel suo commento ai BrS., II, 2, 31, SBE., XL­

VIII, p. 516). 5 Va notato che bhavat, in quanto epiteto onorifico, significa anche «Pre­

senza», come, per esempio, in Milton, la «Presenza Sovrana»; cfr. la dottrina

della «Presenza totale». 6 Keith commette evidentemente un errore di distrazione quando traduce

bhiitam con «presente», mentre in precedenza lo aveva tradotto correttamente

con «passato». Dopo «Nome nascosto» si sarebbe potuto aggiungere AA., II, 3, 8, 4: ya­

smin niimii [ ... ] tasmin deviih sarvayujo bhavanti, e AV., X, 7, 22: (skambha =

brahma) yatriidityiis udriis-ca vasavas-ca (il pra11ah di CU., III, 16, che, altro­

ve, è spesso equivalente a deva&) samiihitiih.

Può essere interessante notare qui che «il senso originale del perfetto non

era distinto dal presente come tempo, poiché denota uno stato», e che questo

«senso originale è corrente nel ~g-Veda [ ... ] dove i participi ("passati") espri­

mono un'azione compiuta i cui effetti persistono nel presente» (Keith, Aitareya

Àranyaka, 1909, p . 211, n. 8, p. 247, n. 1). Esempi di participi sono il «valore

originariamente intemporale della forma krtya» (AA., cit., p. 179, n. 1; cfr.

Whitney, Sanskrit Grammar, pp. 889, 894); in RV., I, 81, 5,jiito, «non il passa­

to "nacque" né l'aoristo "appena nato", bensì "esiste, essendo nato" »; e in BD.,

VIII, 47, stutiih, che non significa «furono lodati» bensì «sono lodati». Si può

riconoscere un fenomeno simile in quello stile dell'arte antica che rappresenta

degli avvenimenti successivi - espressi verbalmente dalla narrazione - in un solo

e medesimo quadro, come se si svolgessero simultaneamente. Per prendere un

altro esempio, nella Genesi, non si può inferire alcun intervallo temporale tra

«Sia la luce» e «La luce fu ,, , questa essendo ugualmente la luce che è ora. La fa­

mosa espressione buddhista yathii bhiitam, «come (si sono) prodotte», usata a

proposito delle cose «così come sono in realtà», implica la maturazione della

causa passata nell 'effetto presente. Secondo certi studiosi forme come «deve»,

«può», sono «sopravvivenze d'un antico modo atemporale, quando i "passati"

erano usati parimenti per il presente» (G. Bonfante, in Word, 1, 1945, p. 148).

29

Page 16: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

«Per un Hopi il tempo non è diviso in segmenti misurabili, come un'ora, un g10rno o un anno, è conc~pito piuttosto come una durata nella quale si compie la Legge» (L. Thompson, m «Amencan Anthropologist», XL VII, 1945, p. 542). «.Una vol.ta che a.bb1amo scartato l'idea delle parti del Tempo [ ... ] tutte le note s1 armomzzano m una successione ininterrotta, che in tal caso è la melodia» (F.H. Brabant, Time and Eternity in Christian Thought, 1937, p. 177). Come ho spesso fatto osservare, il «tanto tempo fa,, o il «c'era una volta» con i quali zm~zano le nostre favole sono m realtà delle espressioni intemporali (cfr. l'e­braico olam = dtwv), e di ciò troviamo un esempio notevole nella fiaba indiana che_ inizia così frequentemente con asti, «c'è»; per esempio, la prima storia deÌ Pancatantra commc1a con asti kasmin-cit prade5e nagaram: «C'è una città in un certo pa~se» - u?'es_rressione che non è specifica né quanto al tempo né quanto allo spaz10. ~I mito e realmente «come fosse in principio» (òit yàp èv àpxf1).

, ' Co~i: mJ., I, 58, dove il sole sta immobile al di sopra del Bodhisatta, sin­~he q~~stJ e assorto n:J ;h_ana, mentre continua a muoversi per gli altri : questo e esplicitamente un patzharya; cfr. Gzosué, 10, 13: «Il sole si fermò in mezzo al cielo».

'Se si consi~era u?"a pi~tra. lancia~a in aria verticalmente, quanto tempo re­sta «sosp~sa» pn~a di commc1are a ricadere? La risposta dipende dal fatto che la pr?1ez1~ne vert~ca.le d',un corf'.o mo.bi!e, che prima si eleva per poi ricadere, n?n: che.1! caso limite d una tra1ettona m realtà curva. Quando un corpo mo­bile e proiettato. a un tempo m alto e in avanti, esso si eleva così per poi ricade­re, ma la sua traiettoria è una curva ininterrotta, e noi non immaginiamo nem­meno che possa f~~marsi e restare immobile, per un tempo quanto si voglia bre~e, nel puntoym alto della curva. Lo stesso vale nel caso d 'una proiezione verticale: non esiste tempo reale, per quanto breve, durante il quale esso resti «sospeso», ma solamente un punto senza durata nel quale si congiungono l'a­scesa e la discesa, il passato e il futuro.

Aristotele ha trattato questo problema esaurientemente (Fisica, VIII., 8, 262 A) mo~trando che:. quando il. senso del movimento d 'un oggetto che si sposta contmu~mente s mverte, ~01 no.n possiamo propriamente dire che l'og­getto «ha raggmnto» o «ha lasciato» 11 punto in cui è avvenuta l' inversione, «bensì solamente c~e è là .in un "ora" istantaneo (dvm èv t<ji vùv) e non in uno spazio o zn un penodo d1 tempo». Questo punto, in cui avviene l' inversione non è un arre~to. real~ p,iù di quanto lo sia l'uno o l'altro degli indefiniti punti della tra1ettona m CUl 1 oggetto avrebbe potuto arrestarsi - anche se non l'ha fatto.

Per evitare ogni possibile confusione, occorre rendersi conto che lo «stato di quiete» finale d'un oggetto sul suolo non è una «stasi », ma una condizione d'imm~bilit~ relativa per un periodo di tempo che inizia dalla fin e d'un parti­cola~e tipo d1 movimento precedentemente considerato, anche se questo non si applica al sole e .alla terr.a il cui ~ovi~ento è continuamente dello stesso gene­re. Coi_nunque sia, «ogm [stato d1] qlllete è nel tempo» (Fisica, IV, 12, 221 B).

' . S~ tratta_ ~el «Sole intellig!bile» - «non questo sole che vedono tutti gli u.0?11m, ben~1 1! Sole eh.e pochi conoscono con l'intelletto» (AV., X, 8, 14), c10e Apollo m quanto d1stmto da Elio (Plutarco, Moralia, 393 D), il «Sol deli

30

Note

Angeli» diverso da «questo sensibil» (Dante, Paradiso, X, 53-4), e il «Sole del sole» (Filone d'Alessandria, D e specialis legibus, I, 279).

10 «Il tuo sole non discenderà mai più» (Isaia, 60, 20); «Là tutt~ non è .che un giorno, senza che vi sia successione; nessun ieri, nessun domam» (Pl~nno, Enneadi, IV, 4, 7); «Il giorno ete.rno che non sorge e non tramont~ mai» (~. Agostino, In psalmos, CXXXVIII). Si i:otrebbero òtare moln altn paralleli, per esempio, SB., XII, 2, 2, 23, e S. Agostmo, Confesszones, XI, 13, 16.

11 AbHiksnam = abhi (intensivo)+ ksanam (cfr. JAOS., XXIV, p. 11, nota); o forse meglio, abhi + un termine obsoleto: lk~nam. Cfr. ksana-dyuti e_ ni­mesa-krt = «lampo»; e, nel Sahitya Darpana, III, 3, lokuttara-camatkara­pra~a, ~he si riferisce ali' «assaporamento di Brahma». Si potrebbe anche _t~a­durre ksana con «tempo libero» e «festa» (cfr. lat. mora),? e?? «oppo:tumta», cioè «porta». In alcuni usi, lks, «guardare», «osservare», s1gmfica precisamente «considerare», nel senso originale del termine. , .

12 Sechzig Upanishads des Vedas, 1897, p. 208, n. 1. Il la~po i: un s1~bolo ricorrente della manifestazione, della rivelazione e dell'illummaz1one d1vme -uno splendore «paragonabile al lampo che illumina subitamente l'intero cor­po» (MU., VII, 11); «la Verità è nel Lampo» (Kau~ . Up., IV, 2). «La P~rs~na nel Lampo è il Soffio, l'Armonia (saman), Brahma, l'Im~ort~le; per cosi dm, un lampo improvviso (sakrt), tale è anche lo splendore d1 collll che comprende ·0- (JUB I 26 8· BU II 3 6) Sakrt significa «che unisce» , «una volta», Cl » ., , ., , ., ' ' · . . . .

«una sola volta» (Macdonell, Vedic Grammar, p. 306, 409; Ke1th, Sanskrzt Lz-terature, p. 229), il contrario di asakrt, «ricorrente» (MU., II, 4). , , .

«All'improvviso una luce, come da un fuoco scaturente, sorgera nell am­ma» (Platone, Lettere, VII); «Il principio della conos_cenza, che è ~oncettuale, puro e semplice, illumina l'anima come un lampo, e s1 offre al coglimento e al­la visione nell'esperienza di un solo istante» (Plutarco, De Iside, c. 77); «Il mo­mento dell'illuminazione (suprema) è di breve durata, e passa c~me un l~mpo_» (Eckhart, Evans, I, p. 225); «D'un tratto una viva !uce che ~em:a dal cielo _ri­splendette attorno a me» (Atti, 13, 6); «Improvvisamente 11 Signore. parlo a Mosè» (Numeri, 12, 4). Secondo l'Abhisamayalankara quando la Fme de.Ila Strada è stata raggiunta, il Pieno Risveglio (abhisamkodhi! d'un Budd~a av:1e­ne in un «unico istante» (eka-ksana-), cfr. E. Oberm11ler, m «Acta Onentalia», XI, p. 81-2, e Indice, s.v. Cfr. il satori. nell? Zen. ~'avvenimento è realmente «istantaneo». Si potrebbero citare molti altn paralleli.

"MU., VII, 11, 8; cfr. BU., II, 3 e MU., VI, 22, ecc. . .. , 1• «Il Giorno e la Notte sono la morte, ma essi non toccano la d1v1mta

Aditya (Sol invictus), poiché essi sono soltanto l'occasione del su~ sor?ere e del suo tramontare» (Vadhula Sutra); e, in realtà, «esso non s1 leva ne mai tramon­ta» (AB., III, 44), «per il Conoscitore è sempre meriggio» (cy., ~II, 11, 3).

1s Il Sé solare (atman), trascendente e immanente, «e chiamato temp~ (kala) che divora tutte le esistenze (bhutani) come nut:imento» (MU., VI, 2); ~ da questo tempo o morte solare e onnidivorante che 11 Tern 11ù -senza-tempo e una Liberazione. Cfr. Claudiano, Stilicho, II, 427, 430.

16 Il Tempo senza forma e senza parti di ~U., i:orrisponde ~~ T~mpo as~o~ luto che «unisce processione, recessione e stasi» (SA., VII, 20, g1a citato) - c10e

31

Page 17: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

~I ~assato.' il [urur.o e il presente - e al «Tempo indivisibile» (niskala kala) di

Sankara~ 1 cui eom.' anni, s.tagioni e altri «tempi» sono solament~ degli adatta­

men~1 «1mmagmat1» _(kalpzta, Vzve_kacii.damani, 497). In altre parole, ogni du­

ra~a e .una. forma articolata e sovrimposta dal nostro pensiero su una Realtà a CUI tali articolazioni sono estranee.

17

«Mangiatore d'atomi», da kana, «minuzia», «polvere», «goccia», «ato­

mo», conness? a kana quando sostituisce alpa nelle forme comparativa e su­

perl~t1va; lo s1 ~1trova ?elle parole k~~ya, «giovane fanciulla» 0 «vergine», e

kanmaka, . «pupilla dell occhi?'» cfr. I irlandese cain, «immacolato». Dasgupta

ha riassunto adegua~ame-'.1te il contenuto dei Sutra (History of Jndian Philo­

sophy, .I, cap. 8), n:a 1 su01 comme-'.1ti personali devono essere letti con qualche

nserva. per esemp10, quando assensce che per Kanada il Tempo è la causa ulti­

?1a, e, per corroborare quest'idea, altrove si riferisce solo a Svet. Up., I, 1, 2,

1gn~~ando, da un lato, MU. e, dall'altro, RV., X, 55, 2, A V. e SA. (citati sopra).

Il Dharma è, come nel Buddhismo, sia temporale che eterno nel mondo

ma non del m?ndo. «Ciò che caratterizza la soluzione tradizionaÌe al proble­

ma dello spaz10-tempo è che la realtà è dentro e fuori dallo spazio, dentro e

fuori dal tempo» (W. Urban, The lntelligible World, p. 270). 19

Qu:sta proposizione .differisce completamente dal Cogito ergo sum di

Cartesio, il CUI argomento si basa sul comportamento e non ci fa uscire dall'e­

gocentnsmo. L'«io» di cui parla Kanada si riferisce a ciò che l'autore anonimo

del Book of Przvy Counselling chiama «la sensazione una e cieca del tuo essere [ ... ]spogliata di qualsiasi qualità del tuo essere».

2

'. Di con~eguenza unico e molteplice, come in SB., X, 5, 2, 16; unico in

realta ma logicamente molteplice, come nel Vedanta. La «natura che riveste

ogm.c?rpo»_(Platone, Timeo, 50 A, B); «un'unica anima che, in relazione ai

corpi, e nommalmente molteplice» (Riiml, Mathnawi, IV, 414-8).

21

BG. II. 24; av~bhaktanica bhutesu [ ... ] vibhakte~u, BG., XlII, 16; XVIII,

20, cfr. Cl:n:en~e d Alessandna, Stromata, VI, 4: «Lo Spirito di Dio indivisi­bilmente diviso m tutte le cose».

22

Per u~'eccellente e pi.ù completa esposizione dell'atomismo indiano, ve-

d~ A.~. Keith, ln~zan L_ogzc .and Atomism, Oxford 1921. Il soggetto è molto

d.1~ftcile, e.nella misura m CUI la ~uest10ne con~erne l'atomicità o la particola­

nta, mate'.i~le (elementare), essa mte.re~sa .assai poco la dottrina del tempo e

dell eternita. Kenh pensa. che la teona md1ana possa essere in parte d 'origine greca, J!la non ha una pos1z10ne netta.

23

Anini na rathyam [ ... ] ad~i, cioè ara iva rathanabhau sanihata [ ... ] yatra, Mu11çl. Up., II, 2, 6.

24

C'.r: BrSB~., II, 3, 1 ~-29, a. proposito di anutva e mahattva, piccolezza e

1'."mens1ta del Se. ~~ Yogi che s1 rende padrone degli elementi può, a volontà, ndursi a questo mmimo o raggiungere l'immensità (YS., III, 45)

25

Dharmyam, qui nel suo senso ontologico, esistenziale o sensibile, si rife-

nsce alle «cose» (come sostenuto a ragione da Keith, Religion and Philosophy

of the Veda, 1925,. p. 547), come nelle affermazioni buddhiste: «tutte le cose

sono zmpermanenti» (sabbe dhamma anicca, S., II, 132), «le cose nate causai­mente» (hetu samupanna dhamma, A ., III, 444 ).

32

Note

2" Acchedya è l'equivalente sanscrito del greco a'toµoç; tuttavia abbiamo

tradotto anu, «minuto», anche con «atomico». 27 Sull~ Janua Coeli, vedi A.K. Coomaraswamy, Svayamatrnna: Janua

Coeli in «Zalmoxis»; II, 1941. ,. 'sul simbolismo del Ponte, vedi Dona Luisa Coomaraswamy, The Peri­

lous Bridge of Welfare in HJAS., VIII, 1944. Si possono aggiungere questi rife­

rimenti: Setu vuccati maggo, VA., 180; RV., I, 158, 3; V, 84, 2; VII, 35, 13 (pe­

ru); TS., I, 3, 8 (peru) e VI, 3, 6, 8: «Poiché egli (Agni) è. il guardiano delle ac­

que che viene offerto nel sacrificio»;. Bhaktamal~: «La di.ga c~e collega 9uesto

mondo all'altro e che Dio ha costruito per i Suoi vassalli» (Sir G.A. Gnerson

i'n JRAS., 1910, p. 93); BrSBh. I. 3. 2. 31; Borneo .in JA~S., XX'(,.P· 235; ~·

Smith Al-Ghazali the Mystic, pp. 77-8, 143 (I' Amma raz10nale «e 11 ponte di­

vino :steso tra i bruti che sono puramente malvagi e gli angeli che sono pura­

mente buoni. Proprio come discese dai cieli, essa vi salirà di nuovo per .arnvare

infine alla Maestà divina»); H.R. Ellis, The Road to H el, 194 3, p. 186 (il «pon­

te d'oro»); B. de Zoete e W. Spies, Dance and Dr.ama in Bali, p. 1.06; H .B.

Alexander, Mythology of All Races, X, N. Am. Indian, p. 6 e 273; N1cholson,

Riiml, Mathnavi, I, 3700, Commento (sirat). . 29 «Come può ciò che non è mai nello stesso stato essere qualcosa?» (Cratz-

lo, 439 E). . . , . 30 «Il Sé conosce ogni cosa» (1JU., VI, 7). Ciò non_ potrebbe d1rs1 dell «IO»

o sé impermanente ed empirico. Sri Ramana Mahar~1, Ullathu Narpathu, 25

(trad. di H. Zimmer, Der Weg zum Selbst, 1944, p. 182):. «Gestalt vertauscht es

um Gestalt in standigem Wechsel [ ... ] So ist das Jch wze em gespenstzger Ko­

bold: ohne Eigengestalt» (La forma si muta in un'altra, senza cessa [ ... ] Così

l'ego è come un folletto, senza forma proJ?ria). . . . 31 Per il dettaglio della dottrina buddhista, vedi 11. cap1~olo ~eguente-, . 32 Sembra che sia esattamente per lo stesso motivo (implicante un mc.om­

prensione della dottrina tradizionale) che le te?rie «moderne» del tempo nget­

tano la nozione di «presente istantaneo». Whnehead, per es. (Tke Concept of

Nature, p. 73), afferma che «il passato e il futuro s'incontrano e s1 conf?ndono

in un presente mal definito» (vale a dire in quello che Buddhagho~a :hiama un

«momento esteso» santati-khana). Ciò significa ignorare che ogm presente

«mal definito» dev~ necessaria~ente essere composto di due parti con «uno

stretto limite costituito da un presente istantaneo definito» che le determina

senza interromperne la continuità, poiché esso non ha durata e non è nel tem-

po. . Non è nel presente istantaneo, bensì nel tempo e nello spaz10, che la ca~­

salità opera; e non s'insisterà mai abbastanza. sul fatto che. n_ella dottrma tradi­

zionale il tempo e lo spazio sono sempre dei contmuum mmterrottJ, e che, se

fosse altrimenti, la lepre non potrebbe mai raggiungere e superare la tartaruga.

È solamente quando il tempo viene concepito come discontinuo che l'opera-

zione causale diventa inconcepibile. . 33 Questo «prima o poi» è capitale per c.ompren~e~e corret.tamente i. con­

cetti di «gradazione» e di «evoluzione». L'1de~ tradi.z10nale d~ «evo~uz10ne»

corrisponde ali' «attuazione». Secondo S. Agostmo, «il mondo e gravido delle

33

Page 18: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

cause delle cose non ancora nate», di modo che «le cose create possono emer­gere in tale o tal altro momento, in tale o tal'altra maniera [ . .. ] er()mpere ed es­ser create esteriormente in qualche modo dal dispiegamento delle loro proprie misure» (De Trinitate, III, 9, 16). Una cosa o una specie è eterna nel Verbo di ­vino «nel quale non c'è né un poi né un qualche volta», ma «viene all 'esistenza nel momento "in cui deve venire all'esistenza"» (De Genesi ad litteram, I, 2, 6); e «come nel seme sono contenuti, invisibilmente e simultaneamente, tutte le parti che, nel corso del tempo, formeranno un albero, così dev'essere conce­pito l'universo». Queste cose prodotte dall'operazione delle cause fisiche esi­stevano dunqu·e potenzialmente (cioè in quanto possibilità) «prima d 'essere at­tuate nel tempo sotto la forma in cui le conosciamo ora, in queste opere che "Dio ha prodotto sino a ora", Giov., 5, 17» (De Genesi ad litteram, V, 23, 45). In altre parole, la loro preesistenza in quanto possibilità corrisponde alla «gra­dazione», e la loro attuazione nel tempo al loro «dispiegamento » o «evoluzio­ne». La dottrina delle «ragioni seminali» non differisce dalla teoria dei «geni» mediante la quale si interpreta oggi l' «ereditarietà». Di più, analoga a questa fi­logenesi è l'ontogenesi degli organismi individuali. Se il puro Intelletto com­prende le idee di molteplici cose in un'identità simultanea con se stesso, se il genere contiene le specie, «altrettanto vale per le potenze (lìuvaµEtç) che risie­dono nei semi (ciascuna avendo la sua qualità corrispondente, come l'umidità); costituendo un insieme indistinto, i princìpi formatori (ì..oycn) sono, per così dire, tutti presenti in un punto (f.v H KÉv1pco) . In questo punto risiedono già i princìpi formatori della mano e dell'occhio che saranno conosciuti distinta­mente quando verranno all'esistenza con il loro organo sensibile [ ... ) Alcuni chiamano questa potenza la "natura in germe" .. . Essa appare allo stesso modo in cui la luce proviene dal fuoco - e non meccanicamente, come hanno detto in molti - e foggia la materia comunicandole i princìpi formator i [ ... ) Dati il principio formatore e la materia che può ricevere questa ragione seminale (ì..6-yoç cmEpµanKoç), la cosa vivente stessa è destinata a venire all 'esistenza» (Ploti­no, Enneadi, V, 9, 6 e 10). «Sicut autem in ipso grano invisibiliter erant omnia simul quae per tempora in arborem surgerent» (De Gen. ad litt., V, 23, 45, ci­tato sopra).

I testi indiani sono un po' meno dettagliati; tuttavia è esattamente nell o stesso senso che Uddalaka, partendo dal fatto che «il Sé, (lo Spirito) conosce ogni cosa» (MU., VI, 7), espone a suo figlio la natura del Sé, paragonandolo al germe infinitesimale che lui non può vedere nel seme ma che diventerà come il grande albero che può vedere là (CU., VI, 12; cfr. Manu, I, 56).

34 Vedi Dasgupta, History of Indian Philosophy, II, pp. 367-68. 35 «La Persona immanente che esperisce» (bhoktii puru~o'nta~stha~ , MU.,

VI, 10); «Colui che il saggio chiama fruitore» (bhoktetyiihur manlsi!fah, KU., III, 4); «il Signore che percepisce» (bhoktii mahe'5varah, BG., XIII, 22).

" Ogni esperienza o intuizione essendo sempre presente a «l' unico e solo trasmigrante .. . il Signore» (Prafoa Up., IV, 5, ecc.; vedi A.K. Coomaraswamy Recollection, Indian and Platonic in JAOS., 1944, supplemento n° 3).

La formula di Cakrapa~i che spiega il significato di nityatvam è un'enun­ciazione mirabilmente concisa della dottrina secondo cui l'eternità è questo

34

Note

Ora per il quale il passato e il futuro sono semp.re «p:es~nti:>. ".'a ~otato che nitya (radice ni, greco è- vi, «in») ha ugualmente 1 sensi pnn.c1pah d1 « i_n~ato » , «nativo», «proprio»; cfr. ni-ja, «innato», «proprio», e m-vid, «prescnz1one»~ «canone», «codice» . Si potrebbe rendere qui più liberamente la formula d1 Cakrapani: «La natura intrinseca del Sé è la sua presente contemporaneità con tutto ciò che è stato o sarà».

" E.W. Hopkins, Epic Chronology in JAOS., XXIV, 1903, pp. 7-55, cfr. AJP., XXIV, pp. 1 sg.

" Cfr. S. Agostino, Confessiones, VII, 17, dove alla fine il pensiero umano, «nel battito d'uno sguardo fremente, pervenne a Quello che è . .. Ma io non potei sostenere la visione» (pervenit ad id, quo~ est, in ictu trepidantis .aspec­tus .. . sed aciem figere non evalui) . Questo «bamto d'uno sguardo» cornspon­de al «batter d'occhio» in cui fu creato il mondo, quando Dio «creò tutte le cose a un temp o» (De Genesi contra Manicheos, I, 2, 4 e De Genesi ad litteram, IV, 34, 55) - i «sei giorni» riferendosi solamente all'ordine logico del­la creazione, e non a una successione di atti divini. Cfr. JUB., III, 17, 6: «Que­st'intera creazione [ . .. ] prodotta [ ... ] in me [ . .. ] in un batter d'occhio» (mayz'dam manye nimisad yad ejati). In altre parole, Dio ere~ sempre il ~on­do «ora, in questo istante», ed è solo per le creature temporali che la creaz10ne si presenta come una serie d'eventi, o un'«evoluzione». . . .

Per l'esame di questi passi, vedi M.H. Carré, Realists and Nommalists, Oxford 1946, p . 7, e J. Goheen, The Problem of Matter and Form in the D e Eme et Essentia of Thomas Aquinas, Camb.ridge, Mass., 1940, pp . 43-4.

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II Buddhismo

Il Buddhismo antico, sia nel Canone che nell'interpretazio­ne di Buddhago~a, sottolinea l'incostanza e l'estrema brevità della vita in qualsivoglia condizione: in una parola, la sua mor­talità, nel senso che «ogni cambiamento è una morte» (Platone, Eutidemo, 283 D; Eckhart, Evans, I, p. 384); e afferma inequi­vocabilmente l'irrealtà degli «esseri» (satta)' e del «sé» (atta)2

,

anche se ammette l'uso di questi termini per fini meramente pratici e quotidiani3

«Breve è la vita degli esseri umani [ ... ] nessuno di loro sfug­ge alla morte» (S., I, 108, dr. A., IV, 136). Persino di un Brahma, il cui giorno equivale a mille anni, vien detto che «la sua vita è breve, non durevole» (S., I, 143). «La vita è come una goccia di rugiada [ .. . ] una bolla d'aria nell'acqua» (A., IV, 137, cfr. D., II, 246 sg.) - «come una goccia di rugiada sulla punta d'uno stelo d'erba quando sorge il sole, tale è la durata della vi­ta umana. Madre! non mi fermare» (Vism., 231), cioè non mi trattenere dal percorrere il Sentiero. «In ultima analisi, l' istante di vita (jiv itakhano) degli esseri è brevissimo (atiparitto )4 pro­prio come il volger di un singolo pensiero. Come il volger d'u­na ruota, che gira grazie a un unico punto sul suo cerchione e sta ferma grazie a quell'unico punto, proprio così è la vita degli esseri, quella di un singolo istante di pensiero, e allorché questo termina si dice che l'essere è finito. Com'è stato detto: "Nel pensiero-istante passato uno visse [ .. . ] nel pensiero-istante fu­turo uno vivrà[ ... ] nel pensiero-istante presente uno vive".

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Tempo ed Eternità

«"La vita, la natura individuale (atta-bhava), il piacere e il dolore, sono tutti5 congiunti (samayutta) in un singolo pensie­ro, e il suo istante passa inavvertitamente"6

•••

«Tale è il "Ricordo della Morte" nei termini della "Brevità dell'Istante"» (Vism., 238).

«La vita e il suo furto sono connaturali' ... Gli esseri nasco­no portando in sé stessi l'invecchiamento e la morte. Poiché in­vero il loro pensiero ordinario è affetto dall'invecchiamento dal momento stesso della sua creazione; come una pietra che cade dalla cima d'una montagna, esso va in frantumi con gli aggrega­ti di cui è composto, e così quella morte istantanea (khanika­mararJam )8 è connaturale con la nascita» (Vism., I, 230). In altre parole, la nascita e la morte non sono eventi unici di un'esisten­za contingente, bensì fanno parte della sostanza stessa (evam­dhammo) della «vita»; e quest'affezione, della quale una parti­colare nascita e morte sono solo casi speciali, è precisamente quella «reincarnazione» (puna-bbhava, -agamana) dalla quale si cerca di fuggire definitivamente; l'im-mortalità (amata) e la vita o divenire (bhava) non sono compossibili bensì incompati­bili; «la cessazione del divenire è il Nibbana» (S., Il, 117). «Co­me tra un pensiero e quello successivo ( citt' -antaro ), tale è il mortale» (A., V, 300); «Potrebbe essere detto "veloce" un uomo che riuscisse a correr così da afferrare nell'aria le frecce scoccate nello stesso istante da quattro maestri arcieri? Ancor più veloce è l'usura dei fattori compositi della vita» (S., II, 266); «Tutto ciò che nasce, qualunque cosa divenga, è corruttibile» (pa­lokadhammam, S., V, 163). È in questo senso che «il Buddha guarda il mondo che si dissolve a ogni istante (khane khane)» (Dpvs., I, 16)9

«I Marut vivono ottantaquattromila eoni, e tuttavia non vi­vono tanto quanto la sequenza di due pensieri[ ... ] Nel presen­te vive il mondo, e con lo spezzarsi di un pensiero esso muore (paccuppanena jivati cittabhanga mato loke)' 0

[ ... ] Dall'invisi­bile vengono alla nascita gli esseri, e, disaggregati essi passano nell'invisibile; come un lampo nell'etere essi sorgono e scom­paiono» (Vism., 625-26).

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Buddhismo

Il tempo (samaya, «co-izione») è passato (atita, «oltre-pas­sato» ), futuro (anagata, «non-venuto»), o presente (paccuppan­na, «sopraggiunto»). Il presente ha tre sensi: quello di un istan­te (kharJa-) nel quale s'incontrano il sorgere, la stasi e la rottura (uppada-tthiti-bhanga-pattam ); quello della continuazione (santati-), cioè «ora» nel senso lato e usuale del termine; e quel­lo della strada (addha- )11 nel senso del corso della vita, lunga o breve che sia; e di questi tre presenti, il primo è incluso nel se­condo, e il secondo nel terzo. Il divenire dei quintuplici aggre­gati, cioè degli «esseri» o «sé», ha luogo nel corso di tutt'e tre questi «tempi» (Vism., 431, 473).

Si osservi che la Stasi è solo momentanea, e non è nel pre­sente continuo se non nel senso che i momenti sono circondati dal continuum; «come un torrente di montagna che scorre ve­locemente da lontano e porta tutto con sé ( cfr. Plutarco, M or., 432 B, «poiché il tempo, come una corrente che fluisce, porta avanti tutte le cose»), e non esiste momento, pausa o minuto (khano, layo, muhutto) in cui esso giunga a f ermarsi12

, [ ... J pro­prio così è la vita degli uomini, breve e leggera (paritta1!1 lahukam) [ ... ]o come il segno del bastone sull'acqua[ .. . ] Per il nato non si dà "non morte" 13» (A., IV, 137). I tre accidenti istantanei di Buddhago~a (uppada, thiti, bhanga) 14 equivalgono al «sorgere, maturare e alterarsi o morire (uppada, vayo, aiiiia­thatta )1 5 delle cose mentre durano» (thitanam) predicati in S. III. 137; alla «processione, stasi e reces,s~one » (gati, sthiti, nivrtti) che sono sintetizzati nel Tempo, SA., VII, 20; all' «ef­flusso, maturità e Heimgang ["ritorno a casa" =morte]» (srava, vrddhi, astam gamana), la cui fonte inesauribile è il Tempo sen­z~ tempo, cioè Brahma (MU., VI, 14). Questi tre sono inerenti a qualsiasi cosa composita (samkhatam) ma non a ciò che è non-composto (asamkhatam, A., I, 152)'6, - e così segnatamen­te non alla <<non-composta Legge Eterna» (asamkhatam dham­mam, A., IV, 359) del Buddha, non al Nibbana (asamkhatam, Mii., 270), non a quella casa (ayatanam) «in cui non si dà né an­dare né venire né fermarsi, né cadere né alzarsi, né questo mon­do né l'altro, né sostegno, né movimento, né inizio», né a quel

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Tempo ed Eternità

«non nato, non divenuto, non creato, non composto che è: se esso non fosse, non vi sarebbe via di fuga dal nato, dal divenu­to, dal creato e dal composto» (Ud., 80) 17

Tiav'ta pÉt: Eraclito, fr. XLI: «Non puoi immergere i tuoi piedi due volte nello stesso fiume; poiché sopraggiungono ac­que sempre nuove»: sabbe dhamma anicca (S., III, 132). Che tutte le cose - si noti il plurale - fluiscano non è una negazione della reale stabilità di ciò che non è una «cosa», proprio come l'analisi distruttiva che il Buddha fa del «sé» composto, sempre seguita dalle parole «ciò non è il mio Sé», non è una negazione del Sé. Come indica Aristotele (Met., IV, 5, 7 e 15 sg.), può es­serci «anche un altro tipo di sostanza delle cose che sono, com­pletamente esente da generazione e corruzione». Non è possibi­le dimostrare che Eraclito, implicitamente o esplicitamente, avesse mai negato ciò; «tutte le cose» fluiscono, senza dubbio, ma v'è una sola e unica Sapienza distinta da «tutte le cose» (fr. XVIII) - che non è una di loro; e se, come dicono Ritter e Prel­ler, il «Fuoco perenne» è all'origine di ogni movimento (unde manat omnis motus), ciò non significa che esso stesso sia mosso. Aristotele non aveva assolutamente alcun fondamento per accu­sare «quegli uomini» di credere che «le cose sensibili sono le uniche realtà». Nel Buddhismo la realtà di una natura immota e incomposta viene esplicitamente affermata di fronte all' evane­scenza delle cose transeunti e composte; e le successive parole d'Aristotele - «è solo il regno dei sensi attorno a noi che si ritro­va continuamente soggetto a corruzione e generazione, ma que­sto è una parte praticamente insignificante del tutto» (ivi., 22) -avrebbero benissimo potuto esser dette dallo stesso Buddha!

Il fatto che «non esista istante in cui il fiume si fermi» mo­stra chiaramente che il tempo non va pensato come «composto da» una successione di soste, bensì come un continuum (samtana): il momento indivisibile è immanente al tempo, ma non è una parte del tempo; proprio come per Aristotele, «il tempo non è composto di ora atomici, più di quanto qualsiasi altra grandezza sia costituita da atomi» (Fis., VI, 9, 239 B, cfr. VIII, 8, 262 A).

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Buddhismo

Dato che ogni mutamento è una morte, è dall'imperman.e~­za (anicca) della vita e del pensiero che il Viandante cerca di li­berarsi - «cercando la stabilità» (atthitam nissaya, A., III, 219). Come abbiamo visto sopra, la Stasi viene situata unicamente nell'istante (khana) o nel Tempo (kala) senza tempo, che è Brahma - quel Brahma e Dhamma che il Liberato (dhamma­bhuto, brahma-bhuto, D., III, 84; S., III, 93) «è divenuto»; ma non abbiamo ancora tratto l'ovvia conclusione che questi due sono una stessa e identica cosa, benché vada notato che, in uno, il passato e il futuro s'incontrano, mentre dal~' altro fluiscono.' e che entrambi sono senza durata. Come dobbiamo, dunque, m­tendere espressioni quali «uno il cui pensiero è stabile» (thita­citto, D., II, 157; S., V, 74), «uno il cui sé è stabile» (thit'atta, D., I, 57; S., III, 55, e in particolare Sn., 359, parinibbutam thit'at­tam) e «stabile, immoto» (thito anejo, Tha., II, 372), «come nel~ le profondità dell'oceano non v'è onda eh~ nasca, m~ tutto e immobile, così è per il Monaco, che è stabile e non si mu.ov~ (thito anejo ), e non s'insuperbisce» 18 (Sn., 920); o affermaz10m quali: «avendo attraversato e raggiunto la Riva più lontana (Nibbana), egli sta (ti?thati)»: «è un Arahant» (S., IV, 175, cfr: Sn., 946), o «avendo superato invecchiamento e morte, essi "stanno" (thassanti)» (S., II, 46) 19

La risp~sta in termini di tempo è che il Buddha, identificat_o con il Dhamma, dev'essere, come lo stesso Dhamma, «sempli­ce» (asamkhata, A., IV, 359) e, per lo stesso motivo, «senz~ tempo» (akaliko, A., IV, 406). Il Liberato, infatti, «tras~ende gl'. eoni»20 (kappat'ito . .. vipamutto, Sn., 373), «non appartiene agli eoni» (akkappiyo, Sn., 860); «viene chiamato "risveg~iato ''. (buddha) colui che discerne gli eoni, il flusso delle c.ose i.n ~m essi cadono e sorgono ... , colui per il quale la nascita (;atz = bhava, )"Évi::mç) è distrutta» (Sn., 517). Per questi, esplicitamen­te, «non esiste né passato né futuro» (na tassa paccha na pu­rattham atthi, S., I, 141 ); il «ricordo» di un Buddha non opera seguendo le successioni di nascite e morti nel _te~p.o, be_nsì c~­glie immediatamente e istantanea~ente q_ualsia~i situazion~ i~ qualsiasi tempo il Buddha scelga di percepirla (Vism., 411 ): c10e,

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tutti i tempi sono presenti allo sguardo istantaneo di un Buddha.

«Là dov~ non sono né passato né futuro» deve e può essere solo Ora21

• E vero che per gli esseri nel tempo l'ora istantaneo (khana) è sempre presente. Ma la parola, nel senso di «momen­to giusto», significa anche opportunità, cioè passaggio, e benché questo intervallo22 venga continuamente aperto e chiuso mentre il tempo passa23

, a che cosa serve se il momento opportuno non viene mai colto? Da questo punto di vista il Buddha ammoni­sce: «Superate il viscoso pantano, non lasciate che l'Istante passi (khano ve ma upaccaga), poiché s'affliggeranno coloro il cui Istante è passato»24 (khanatita hi socanti, Sn., 333, cfr. Dh., 315, Tha., 403, 653, 1005, Thi., 5, 459); e si congratula con quei Mo­naci «il cui Istante è stato colto» (khano vo patiladdho) e com­misera coloro «il cui Istante è passato» (khanatita, S., lV, 126)25•

Cfr. l'immagine del Kmpòç ò foµci 'trop [ ... ] rca<Jiìç chµTjç òçu'tt:­poç, Anth. Pal., 16, 275.

L'istante della liberazione è improvviso (sub-it-aneus, «che va furtivamente»): paragonabile, in effetti, a quello di una frec­cia scoccata senza ulteriore sforzo dall'arco per perforare tutti gli ostacoli e penetrare nel suo bersaglio, essendo già «divenu­ta-quello» (tad-bhuta, cioè brahma-bhuta) quando la posizio­ne, la presa e il tiro dell'arciere sono corretti - la freccia corri­spondendo al Sé e il bersaglio a Brahma (Mil., 418; Munc:l. Up., II, 2, 1-4 ). Che l'arciere sia un tiratore con l'arco oppure un Monaco «che perfora il bersaglio» (akkhana-vedhin) 26, l'ade­guatezza di questa metafora (upama) è tanto precisa da esten­dersi all'uso degli stessi verbi: cioè, samdha, «sintetizzare», quando si tratta di posizionare l'arco e d'incoccare (yoga) la freccia, che può perciò essere pensata come «in samadhi»; muc, «liberare», con riferimento allo scocco della freccia o del Sé· e vyadh, «penetrare» (in alcune forme identico a vid, «conosce:e» o «trovare»), quando l'arciere centra il proprio «bersaglio»27•

Nel caso del Buddha e di alcuni altri Arahant (cfr. Thi., 173, Tha., 627) il Risveglio avviene all'alba, cioè alla giunzione dei tempi (samdhi), o crepuscolo, quando non è né notte (la forma

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Buddhismo

anteriore) né giorno (la forma posteriore); e in questa con~e~­sione non è privo di significato che un sinoni~o di sar:id.ht sia brahmabhuti, «che diventa Brahma». Invero, m quals1as1 mo­mento si verifichi, un evento ha luogo alla congiunzione dei tempi passato e futuro, e non è priv_o d'intere~se ~l fatt~ ~he la parola yoga, nel suo senso astrono?11co.' ?ossa i~d1car.e 1 «Istan­te» del Risveglio (Thi., 4). La sub1tane1ta del Risveglio .contra­sta con la lunghezza della Via, il tempo eonico al qu~le s1 sfu~ge ora e una volta per tutte (proprio come lo scocco improvviso della freccia contrasta con il lungo addestramento dell'arciere); e ciò viene sottolineato specialmente nel Mahayana, in partico­lare nell'Abhisamayalankara di Vasubandhu, dove si dice che, allorquando la fine della lunga strada è raggiunta, il Grande Ri­sveglio (abhisambodhi) avviene «in-un-istante» (eka-k~arJa-)28 •

La nozione di un «risveglio istantaneo (cioè intemporale)» (ekaksanabhisambodhi) persiste anche nel Buddhismo tantrico, dove gli si dà, del tutto logicamente, un duplice s~nso, parag.o­nabile a quello di un punto sulla circonferenza d1 un cerch10, punto che del cerchio è al tempo st~sso l'ini~i?.e la.fine'. l'alfa e l'omega. In quanto inizio, il risveglio è la v1v1f1caz1one istanta­nea29 dalla quale lo sviluppo dell'embrione procede verso la ~er­cezione consapevole della «rete della contingenza» (ma?'_iiJii~a) nel corpo-misurato (nirmana- ). Dall'altra parte, come gia spie­gato sopra, il Risveglio istantaneo o in~e?1porale dal q~ale pro~ cede la generazione (la discesa dello spmto nella matena) non e solo il primo ma anche l'ultimo momento del ciclo. temp~rale (kala-cakra) dell'esistenza (samsara), quando la cosc1en~a n~~r­na alla sua fonte; l'evoluzione (utpatti-krama = pravrttt) e 1 m­voluzione (utpannakrama = nivrtti) rappresentando le due metà del ciclo dell'esistenza, che sia cosmico o individuale. Così nella pratica dello Yoga, il cui fine è «involutivo», t~oviamo .una ~on­templazione del tempo, diretta vers~ l'imm~d1ata reali.zzaz10ne di durate sempre più grandi e contmuata smo a che 11 tempo, nella sua totalità, giunga a essere esperito ora. L'inspirazione e l' espirazione30 sono connesse successivamente con il giorn~ e la notte, le quindicine, i mesi e così via, il procedimento culmman-

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Tempo ed Eternità

do nella «completa risoluzione del tempo microcosmico da par­te del discepolo che, avendo gradualmente concentrato la sua mente su p~riodi di tempo sempre più grandi e, in seguito, es­sendosene liberato nel corso della sua respirazione, giunge infi­ne al grande evo universale, che include tutta la creazione dall'i­nizi? sino ~l su~ riassorbimento» o, piuttosto, rigenerazione (palmgene~1), p01ché «questa è la rinascita dello Yogi», breve­mente e chiaramente descritta nella seguente citazione dal Kala­cakratan~ra: «Il l.uogo di nascita dei Conquistatori Regali è in questo smgolo-1stante-costante ( ekasmin-samaye- 'ksare )31. quan?o i! "cuore" è stabilito nel Grande Soffio e la respi;azion~ effettiva e cessata, quando le potenze dei sensi sono abbandona­te e sono sorte quelle divine, quando i piani naturali sono stati lasciati e i piani divini sono visibili, "allora io vedo Tutto, 0

Grande Re, allora non v'è più alcunché che non sia sempre vi­~to''.»· Avendo realizzato così la sua natura-propria o essenza mtnnseca ~svabhava), divenuto ciò che egli è, lo Yogi «senza al­cuna relazione soggetto-oggetto [ .. . ] conosce tutto, poiché esso (la s~a esse~za) comprende tutto in un punto (bindu) geometri­co e m un istante (eka-k~ar;a) [ ... ]. Il tempo è sprofondato nel-1' eternità»32

Un «controllo dei momenti e della loro successione» (YS., III, 52) come questo è l'equivalente contemplativo dei sacrifici stagionali vedici mediante cui Prajapati, l'Anno (Tempo) - es­sendo stato slegato e smembrato, per mezzo dell'atto di crea­zione, nelle parti dell'anno (tempo), cioè giorni e notti ecc. le cui congiunzioni sono le sue «giunture» rotte - viene reinte~ra­to e reso nuovamente completo33

, assieme al Sacrificante che viene, egli stesso, reintegrato (SB., I, 6, 3, 35 e passim). «Dato eh~ l'anno ,è una coi:;troparte (immagine) di Prajapati, egli viene ch1a~a:o ~ ~nno» .(~~ · XI. 1. 6. 13); ,«l'Anno è tutto, ed è que­s~o il. s1~mf1cato d1 Imperituro"» (SB., XI, 1, 2, 12). «Quanti g1orm c1 sono nell'anno?». Dipende dal modo in cui è diviso ~a «in realtà, ~no solo; l'Anno è proprio questo giorno-dopo~ g10rno»; e «chi ~onosce questa dottrina dell'Anno, diventa egli stesso l'Anno» (SB., XII, 2, 2, 23).

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Buddhismo

Eccettuati questi ultimi riferimenti, la dottrina dell' «Ora che sta» è stata trattata sinora solo sulla base del Hinayana. Molti altri studiosi, in particolare Jacobi, Keith34

, De la Vallée Pous­sin, e Stcherbatsky, l'hanno studiata solamente dalle fonti del Mahayana, nel quale è diffusa ma dal quale certamente non eb­be origine. Tutte le scuole, naturalmente, mantengono la dottri­na dell'efficacia causale del passato operante nel presente. Keith, invero, sempre presumendo che il Buddha avesse negato la realtà del Sé - la qual cosa non fece mai, ammonendo, anzi, gli uomini di «cercare» e «prendere rifugio» in esso (Vin., I, 23; Vism., 393; D., II, 120; S., III, 3, 143) - giunge a dire che la dot­trina Vaibhasika «interpola il momento d'esistenza (sthiti), che, a suo dire, fu soppresso dal Buddha a causa del pericolo che es­so comportava per la dottrina dell'impermanenza»35

• Ciò non è plausibile, poiché la nozione di un Sé «permanente» e di un sé «impermanente» non comporta alcuna antinomia, e a ogni mo­do la parola thiti, anche in combinazione con atta, non viene in alcun modo evitata nel Canone, dove anche i verbi titthanti e thassanti (come citato sopra) vengono applicati agli Arahant; né ~i può essere dubbio alcuno che il Dhamma, con il quale il Buddha identificò se stesso, sia una «sostanza eterna» (akaliko dhatu ). Per i Sautrantika, il cui nome stesso attesta la loro orto­dossia, «la vera dottrina è che non esiste distinzione tra un esse­re, la sua funzione, e il tempo della sua apparizione; gli esseri appaiono dalla non esistenza36

, esistono per un istante, e poi cessano di esistere. La loro esistenza, attività e azione sono un'unica cosa [ ... ] Passato e futuro sono meri nomi»37

• Tutto ciò rinvia, naturalmente, all'antica dottrina del Vuoto (Sunyata)38 che Keith discute in connessione con i Madhyamika, o Uomini della Via di Mezzo, il cui nome, nuovamente, attesta la loro ortodossia. Per loro «la dottrina della causazione dev' es­sere intesa come riferentesi solo al mondo dell'ignoranza», cioè dell'opinione. Io intendo ciò non solo nel senso che le cose semplicemente accadono nel tempo e nello spazio, ma anche che la causa e l'effetto sono sempre simultanei - non solo trascen­dentalmente ma anche attualmente. Siamo noi a pensare alla

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Tempo ed Eternità

causa e all'effetto come precedente e successivo perché, nella

~is~ra in cui il lin.guaggio (il linguaggio della postulazione) è impiegato ~fferm~tivamente, ogni formulazione logica si appli­ca solo agli eventi (D., II, 202). Così ci è difficile comprendere come una causa possa operare a distanza39

; se le cose esistono solo per un istante, come possono agire l'una sull'altra? Come

~u~ spiegarsi il loro ordine? In effetti, se presumiamo che gli at­ti siano cause, allora la successione ordinata degli eventi dovrà essere spiegata mediante un' «armonia prestabilita», arbitraria­mente stabilita; e questa fu la falsa posizione in cui i Mutakalle­mim islamici furono costretti dalla logica del loro stesso atomi­smo. La .risp~sta a tutte queste difficoltà è che le cause non ope­rano mai a distanza, ma sono presenti quando e dove sono visi­bili i loro effetti40. Non v'è nulla nell'atto che sopravviva all'atto stesso; ma l'azione lascia la sua traccia nell'ambiente, il quale, da allora in poi, sarà per sempre diverso da ciò che sarebbe stato se l'evento non avesse avuto luogo; l'atto e la sua efficacia causale sono due cose diverse, ma l'uno (che è percettibile) perisce, l'al­t~a ( c~e può essere. solo inferita) persiste. Spetta alla logica in­diana il grande mento di aver distinto gli atti (karma) dalle cau­se (karana ), e di aver dato alla «causalità» i significativi nomi di «non-visto» (adr~ta) e «non-passato» (apurva) . Quest'ultimo termine, in particolare, implica altresì che l'efficacia di un atto (diversamente dall'atto stesso) sia realmente presente-quando l'effetto appare; le conseguenze delle azioni passate restano sempre latenti sino a che non sorgano le condizioni nelle quali possano operare. Da questo punto di vista non esiste alcuna in­congruenza nella combinazione del concetto di attualità istan­tanea con l'operazione delle cause mediate nel tempo.

D'altronde, è evidentemente impossibile applicare la formu­la causale secondo cui l'efficacia della causa è realmente presen­te nell'effetto, poiché le conseguenze delle azioni passate resta­no sempre latenti sino a che non si stabiliscano le condizioni in cui esse possano operare. L'atto causale e i suoi effetti non sono mai .simultanei, per quanto presto questi ultimi possano realiz­zarsL

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Buddhismo

Ancora, sarebbe ovviamente impossibile applicare la formu­la causale «stando così le cose, ne consegue ciò», a quell'altro mondo i~ cui non vi sono né il divenire né la triade di genera­zione esistenza e corruzione. Keith continua: «Santideva indica che l~ realtà assoluta non rientra nel dominio dell'intelletto (buddhi), poiché questo si muove nel domini~ della relatività ~ dell'errore. Nagarjuna nega coerentemente di aver alcuna t~s1 propria, poiché affermarne una sarebbe completa~ente s~agha­to: la verità è silenzio, il quale non è né affermaz10ne ne nega­zione »41 . Tutte queste posizioni sono già stabilite nel Canone

Hinayana42. . . De la Vallée Poussin43 discute k~ana 1. come una misura di

tempo e 2. come il limite minimo di tempo,. an~l~~o ali' ~tomo (paramanu) considerato come un mi~im_um ~ndiv1s.ible di «ma­teria»; egli menziona appena le fonti Hmayana e ignora con:­

pletamente il loro contesto, benché ci~i _Y~su?and?.u a pr~pos1~ to di S., II, 256. Egli riporta varie defmlZlom dell 1stante m cm una cosa (dhamma) 44 esiste, e tutte mostrano che l'ista.nte non ha durata reale: è incommensurabilmente breve, propno come la somma degli eoni sarebbe incommensurabilmente lunga: un istante è semplicemente il presente indivisibile in cui hanno luogo le tre fasi di qualunque esistenza - «On .ne peut douter

que [ ... ] le k~ana, durée du Dharrr:_a ~c~o;eJ sozt ~ne ~rand~ur de temps se rapprochant de zéro à l infinite» (non .s1 puo dubit~­re che [ ... ] lo k~ana, durata del Dharma [cosa] sia una [qualsi­voglia] grandezza di tempo posta tra l.o zero e l'infinito). Al tempo stesso non mi sembra corretto dire ~he «le temp~ es; di­scontinu et fait de k~ai:i.as, camme le co~s etendu est fa~t d ato­mes» (il tempo è. discontinuo e fatto di ksana, come 11 corp~ esteso è fatto di atomi), poiché l'intervallo tra due ksaria non e un periodo più di quanto lo sia lo ksana, e al~o stess'o modo lo spazio tra due atomi non è più largo della mis~ra d .un atomo, che è nulla4; . Il tempo scorre allo stesso modo m cm scorre un fiume, cioè continuamente, e senza fermarsi (na ramati). Pous­sin cita anche alcune fonti jainiste46 in cui samaya in quanto punto di tempo corrisponde allo k~ana buddhista: «Un istante

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Tempo ed Eternità

(samaya) è il tempo (kiila) minimo necessario affinché un ato­mo (paramiirJu) si sposti della sua lunghezza», e «un istante è il tempo che ci mette un atomo ad attraversare l'intervallo tra due atomi» (anvantaram) 47

In Buddhist Logic48 Stcherbatsky tratta dell'Istante in ma­niera più esauriente, e riconosce che «l'origine della teoria del­l'Esistenza Istantanea è probabilmente pre-buddhista»49 • Egli osserva che per il buddhista «l'esistenza e la non-esistenza non sono apparenze diverse di una cosa, esse sono la cosa stessa» citando Santarak~ita, «la natura di qualunque cosa è la sua stes~ sa stasi e distruzione istantanee» (yo hi bhava~ ksana-sthiiyt vinasa iti gryate, Tattvasangraha, pp. 137, 26). Una tale distru­zione non è, naturalmente, l'evento empirico che ha luogo quando un vaso viene rotto da un colpo e non è più un vaso, bensì è intrinseca alla cosa così come lo è la sua stessa esistenza (pp. 94, 95).

Stcherbatsky ha ragione quando dice che, con le parole di Vasubandhu, «a causa della distruzione immediata, non esiste (vero) movimento» (na gatir nasat, Abhidhammakosa, IV, 1)50 e avrebbe avuto ragione nel sottolineare che il movimento stesso, e pertanto il tempo, è solo un postulato pragmatico - proprio come per i buddhisti lo è anche l'Ego, l'individualità - e un concetto, non una realtà esterna ma qualcosa costruito da noi, che conosciamo in termini di tempo e spazio - le «forme del nostro intelletto» di Kant. Ma egli ha torto nel dedurre da ciò che «il movimento è discontinuo»; poiché, da un lato, il movi­mento è, per esperienza, continuo, e, come abbiamo visto, «il fiume non si ferma mai»; mentre, dall'altro lato, non esiste real­mente alcun movimento; e nessuna di queste due proposizioni, rispettivamente relativa e assoluta, implica una discontinuità a meno che non cadiamo nella fallacia di pensare a una linea co­me «costituita da» punti. Vasubandhu illustra la sua posizione (come fece Rum!) mediante l'esempio di una luce in movimen­to, che produce l'apparenza di una linea di luce e «si muove» nello stesso senso in cui diciamo di un uomo che «cammina». E Stcherbatsky5

' ha torto quando dice (p. 99) che il cosiddetto

48

Buddhismo

«movimento consiste di una serie d'immobilità». Quello che, in realtà, dice Vasubandhu è che «il sorgere degli istanti è ininter­rotto» (nirantarak~ana-utpiida); e la parola che Stcherbatsky traduce con «serie» è in effetti samtana52

, che significa letteral­mente ed etimologicamente «continuum». Ciò che egli dice è che «"lampada" è il nome che viene convenzionalmente dato a un continuum di luci in modo da farne una sorta di unità», e che è proprio allo stesso modo che il nome di «quest'uomo, il Tal-dei-Tali» viene convenzionalmente dato a ciò che è in realtà un processo continuo, non un «sé» sostanziale. E in ciò non ci si discosta affatto dalla dottrina buddhista antica in cui punar utpadana viene di già spiegato nei termini di una lampada che ne accende un'altra senza che vi sia alcun passaggio d'essenza (satta) dall'una all'altra. In ogni caso, qualunque divisione della continuità del tempo in una serie d'istanti immobili sarebbe tanto artificiale quanto la divisione del tempo in serie disconti­nue di ore o giorni, o quanto la divisione di una linea in una se­rie di punti: tanto varrebbe pensare al tempo addirittura come a una cosa creata dal movimento a scatti delle lancette d'un oro­logio!

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Page 26: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

1 S., I, 135, evam khandesu santesu hoti satto ti, sammuti [ ... ] nayidha

satt'iipalabbhati; Mii., 72, n'atthi koci satto yo imamha kaya aiiiiam kayam sarikamati; 268, na paramatthena satt'iipaladdhi. D., III, 211, sabbe satta sarikharatthika: S., I., 97, sabbe satta marissanti, - dr. Aristotele, De an., III, 6 'tÒ yàp ljfEùc'ìoç Èv cruvefon àEi. Proprio come il positivista moderno, il buddhista considera I' «individualità» solo come un aggregato transitorio di dati sensibili, mero nome é fenomeno, e la «reale madre delle illusioni»; ma al tempo stesso nega decisamente l'affermazione secondo cui tutto ciò «è il mio Sé». Non do­vrebbe essere necessario rammentare che il «Sé» (atta) o Ego (aham) così po­stulato è ben diverso dal Sé nel quale il Buddha «prende rifugio» (S., III, 143; D., II, 120), ben diverso dal «grande "io" integralmente pieno» (piirl'Jam aham mahah, Vzvekaciidama1Ji 242), ben diverso da quell'«Io» che è «proprio a nes­sun altro che a Dio nella sua identità» (Meister Eckhart, I, 205).

2 Nulla di ciò che può essere nominato o percepito è un «Sé» reale. Quan­

do il Liberato riconosce che nel «sé» postulato non vi è reale Quiddità, e più non vede il Sé in ciò che è non-Sé, allora egli «non si preoccupa più di ciò che è irreale» (asata na paritassati, M., I, 135). Sui due «io», dr. JAOS., 67, 1947, p. 69-70.

3 La validità pragmatica e l 'invalidità reale dei postulati corrispondono alla

distinzione fra la verità relativa, pratica (voharika) e convenzionale (sammuti = sammata, o forse = sarizvrti, «contingente») e la verità assoluta (para­matthika). Il linguaggio affermativo dei postulati si applica letteralmente solo al mondo degli accidenti (D., II, 63) e può essere usato solo analogicamente o negativamente quando ci si riferisce alla realtà ultima.

4

Cfr. A., I, 249 dove il piccolo sé (alla cui «vita» ci si riferisce sopra) è pa­ritto, il Grande Sé aparitto. Sulla radice rie si veda il mio Unatiriktau and Atyaricyata in NIA, VI, pp. 52-6.

5 «Tutti», cioè il composto quintuplice e passibile «che non è il mio Sé»

(na me so atta), passim. · 6

Eka-citta [ .. . ] vattate (radice vrt) khano implica quella citta-vrtti, «tur­binio, o_incost~nza, del pensiero», che lo Yogl cerca di sopprimere. L~ m ente è sempre m movimento, e pertanto spesso paragonata a una scimmia.

7

«Furto», compiuto dal «ladro», da «colui che tende un agguato», dal «cacciatore», ossia la Morte.

8 Non la «morte improvvisa» al termine della vita, bensì la «morte istanta­

nea» lungo tutto il corso della sua durata. 9

Buddhagho~a fa derivare loka da luj,paluj, «corrompersi», «essere dissol­to» (Vism., 427).

10 Similmente in MU., VI, 17 e VI, 34, «questo m ondo, misurato da un

pensiero[ .. . ] la "corrente" [delle forme], null'altro che un pensiero» (idam cit-tamatram [ ... ] cittameva samsaram), cioè dura quanto un pensiero, benché possa anche significare che è «della sostanza del pensiero», concettuale.

11

Nel suo significato più ampio la Strada (addha) in quanto distinta dalla

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Note

Via (magga) - proprio come «strada secondaria» da «via maestra» - è l'intero complesso delle dimore passate (pubba-nivasa) che «non sono il mio Sé», m_a nelle quali sono già state versate più lacrime di quante ne potrebbe contenere 1! mare. «È non comprendendo, fallendo nel penetrare le Quattro Verità Arie (del Dolore, della sua origine, della sua cessazione e della Via che vi conduce), che abbiamo corso e vagato su questa lunga strada - sia tu che io [ . .. ] Come può un Monaco essere un "Viandante"? Procedendo veloceme~te su_ques_ta lunga strada verso dove non è ancora stato, là dove c'è la cessaz10ne d1 tutti 1 composti, l'abbandono di tutte le condizioni, il venir meno de~la sete, l'assen­za di gusto, l'arresto del divenire, Nibbana [ ... ]Non c'è cessaz10ne del Dolore sino a che non venga raggiunta la Fine del Mondo» (D., II, 160; A., III, 164 e II, 49).

12 Cfr. Plutarco, Mor., 432 A, B (sul flusso del Tempo). Nel mio Figures of Speech or Figures of Thought, 1946, p. 159, n. 10 (su ksanika-nairatmadi) ho commesso un errore parlando dell'esistenza come «non una continuità bensì una successione d'istanti unici di consapevolezza». La dottrina buddhista par­la di «continuità senza identità», ed è in ragione di entrambe che non si può ri­spondere con un mero «Sì» o «No» alla domanda: «È lo stesso uomo o un al­tro a raccogliere ciò che è stato seminato?»

13 Come in Aristotele: «'toù cdnoù [ .. . ] KaÌ ')'Évmiç KaÌ <p0opa», Metafisica, XI, 12, 8.

14 Vism., 404-405, dove ci si chiede se colui che visiti il mondo di Brahma in un corpo invisibile, mentale, lo faccia «nel momento del sorgere, della stabi­lità o della cessazione della determinazione» di recarvisi, e si risponde che egli vi si reca «in tutt'e tre i momenti»; la qual cosa equivale a dire che essi non so­no tre istanti consecutivi, bensì uno solo. In precedenza è già stato spiegato che se egli vi si reca in un corpo visibile, il viaggio richiede del tempo, «poiché il corpo si muove lentamente».

" In Aristotele au1;11mç, àKµ~ e t:p0imç, dipendente dal cibo, De anima, III, 12· AA II 1 2 annena hlmani sarvani bhiitani samanantz; TU. II. 2, annad vai praj~& pr~jayante; D., III, 211, s~bbe satta aharatthika; S., I, 97, sabbe satta marissanti. «Ogni mutamento è la rinuncia a una natura», Aristotele, Fi­sica, IV, 13, 222 B, cfr. IV., 12, 221 B: «Ogni mutamento è una morte», Plato­ne, Eutidemo, 283 D, 285 B, e Meister Eckhart (Evans, I, 384); «Alteratio est via ad generationem et corruptionem» (L'alterazione porta alla generazione e alla corruzione), S. Tommaso d'Aquino, De mixt. elementorum, ed. Parma XVI, 353, cfr. Sum. Theol., I, 105, 2 e I-II, 113, 7 ad 1. .

Difficilmente, inoltre, potrebbe sfuggire il fatto che le tre fasi dell' esisten­za, srsti, sthiti e laya, che sono riassunt~ in ogni ist.ante, _sono_ le funzioni r!­spettive della Triade di Brahma, Vi~nu e Siva nella misura mcm essi sono logi­camente distinti dall' «unità della Persona».

16 Incomposto, cioè «semplice»: «intellectus noster [ ... ]in cognitionem sim­plicium pervenire non potest, nisi per remotionem compositionis [ . .. J aeternitas non varietur per praesens, praeteritum et futurum» (il nostro intelletto [ ... ] non può giungere alla conoscenza del semplice se non per negazione del com­posto [ ... ] l'eternità non varia secondo il presente, il passato e il futuro), S.

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Note

Tommaso d'Aquino, Sum. Theol., I, 10, 1 e 2, cfr. Sum. contra gentiles, I, 15; «igitur eius vita non habet successionem, sed est tota simul. Est igitur sempiter­na» (Così la Sua [di Dio] vita non ha successione, ma è tutta in una volta. Essa è eternamente la stessa), Sum. contra gentiles I, 99. Io aggiungerei: <<nisi simul, quomodo omnisciens?» (se non fosse in una volta, come potrebbe essere onni­sciente?).

17 Non si deve trascurare il fatto ,che tutti questi termini negativi, che han­no nibbana e dhamma come loro referente, nel Cristianesimo sono parimenti applicati a Dio secundam viam remotionis; cfr. per esempio, Sum. contra gen­ti/es I, 14, 15, 18, 23, 89 - Dio è immutabile, incomposto, senza accidenti, im­passibile ecc.

18 «Du solt sfn stete unde veste, daz ist: du solt gelzch stan liebes und leides, gelukes and ungelukes» (Tu devi essere stabile, cioè: devi tenerti al di sopra dell'amore e dell 'odio, del piacere e del dolore), Eckhart, Pfeiffer, p. 71.

19 «La stabilità è la proprietà peculiare dell'eternità» (Marsilio Ficino, Commentario sul Simposio di Platone, IV, 16). «Gli uomini videro queste due cose (corpo e anima, cioè saviiiiiana-kaya), rifletterono su di esse, le esamina­rono, e trovarono che entrambe sono mutevoli nell'uomo. (Cfr. Aristotele, De an., III, 5, 5 ). Il corpo è mutevole nelle sue varie età, nella sua corruzione, nei suoi disturbi, nelle sue riflessioni e nelle sue imperfezioni, nella sua vita e nella sua morte. Essi passarono all'anima, che intesero certamente come la migliore [dei due], e si meravigliarono anche del suo essere invisibile. Ma trovarono che anch'essa era mutevole, ora volendo una cosa, ora non volendo; ora conoscen­do, poi non conoscendo; ora ricordando, ora dimenticando; ora temendo, ora osando; ora avanzando in sapienza, ora ricadendo nella follia. Essi videro ch'e­ra mutevole, e lasciarono anch'essa, mettendosi in cerca di qualcosa che fosse immutabile. E così arrivarono alla cognizione di Dio il Creatore attraverso le cose che Egli aveva creato [ .. . ] Esamina il mutamento delle cose e troverai dappertutto l'"è stato" e il "sarà". Pensa a Dio e troverai l'"è" dove l'"è stato" e il "sarà" non possono essere» (S. Agostino, Sermo CCXLI, 3, 3; In ]oan. Evang., XXXVIII, 10); inoltre, «clarum est eam [animam] esse mutabilem» (è evidente ch'essa [anima] è mutevole), De ver. rei., XXX, 54; «non quidem lo­ca/iter, sed tamen tempora/iter» (non nello spazio, bensì nel tempo), De ver. rel., X, 18; «anima vero jam ipsa crearetur» (invero l'anima è stata così creata), De Gen. ad litt., VII, 24, 35, e «omnia quae fecit, quia ex nihilo fecit, mutabilia sunt» (tutte le cose che fece sono mutevoli, perché dal nulla le fece), De nat. boni, I, 1. Ma «Quod autem incipit aut desinit v ivere, ve! in vivendo successio­nem patitur, mutabile est» (ciò che inizia o finisce di vivere, o, vivendo, è sog­getto alla successione, ç mutevole), S. Tommaso d'Aquino, Sum. contra genti­/es, I, 99, e, più in generale, «qualunque cosa abbia avuto un inizio deve avere una fine», (Aristotele, Fis., III, 4, 203 B; Samyutta Nikaya, IV, 46). Come può, allora, «!'»anima essere o diventare «immortale»? Solo se, con S. Tommaso, Platone, Filone e le Upani~ad, riconosciamo che «duo sunt in homine», dina­tura rispettivamente mortale e immortale: un' «anima» creata e soggetta agli ac­cidenti, e un' «Anima dell'anima» increata che sta sopra di essi. S. Agostino chiede, in effetti: «Com'è che la ragione (ratio = À6)'0ç) è immortale, e che io

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Note

vengo definito come razionale e mortale al tempo stesso?» e riflette: «Se la ra­gione è immortale, e se io, che analizz~ e sintetizz.o tutte queste cose ~t:,m.I?o: rali], sono la ragione, allora ciò per cui 10 vengo chiamato mortale non e m10 [ . . . ]e dovremmo abbandonare il mortale per l'imrr,iortale» (De ordine, II, 50).,

Se teniamo presente che «Dhamma» (01Kat0cruvT], ]ust~tz~,. Lex Aeter~a)_ ~ uno dei Nomi Divini (dhamma e brahma essendo termm1 mterscamb1ab1h nelle Upani~ad e nel Canone pali), si vedrà che le parole. di S. Ag?stino avreb­bero potuto essere dette dallo stesso Buddha; entrambi e~ano «mtensan:iente sensibili al pathos della mutabilità». La parole di S. Agostmo, «allora c1~ per cui sono chiamato mortale non è mio», corrispondono esattamente al pali tam n'etam marna, n'eso 'ham asmi, na me so atta (ciò non è mio, ciò non sono io, ciò non è il mio Sé). . . .

20 Sulla durata incalcolabile degli eoni (kappa) - nelle loro success10m d1 centinaia e migliaia per le quali non può riconoscersi. alcun iniz.i~ - si veda. S., II 178-93, che termina con le parole: «Impermanenu sono tutti 1 composti la c~i natura è di aver origine e invecchiare, e, una volta sorti, di perire: non aver più a che fare con loro è una benedizione». .

Un eone (kalpa) in quanto saeculum, è propriamei_i~e p.arl~ndo. un «g1?rn~ di Brahma» consistente di mille mahayuga o 4.320 m1hom d1 anm umam; nei suoi giorni~ notti si manifestan~ e ~i dissol:ono .i ri_i~ndi eh~ s! succedono .. La durata-di-vita di un Brahma è d1 mille anm cosutultl da tah g1orm. È persmo da una vita «breve» come questa che il Buddha insegna un'«ul~eri?~e libera­zione». Ma bisogna notare che kappa (rad. klp, correlato a kr) s1gmfica an~he. «concetto», o «disposizione multipla», Kocrµoç (cfr. RV., X, 90, 11 katzdha vi akalpayan? e, di converso, MU., VI, 30 ni~samkalpo nirabhzmanas tz~thet), cioè prapaiica, e che proprio come il Risveglio è nippapaiica, «non-elaborato>> così akappiyo (Sn., 914 ecc.) non significa soltanto ex tempore ma a~che «d1~ verso da ciò che è concepibile seriatim», trascendente non solo rispetto a1 «tempi» ma anche rispetto alle cose temporali. . . . .

Le «dimore precedenti» e i corrispondenti eoni ~ass~tl sono tutti immedia­tamente presenti a un Buddha, che può balzare su d1 essi cori_ie un leone o rag­giungerli come una freccia raggiunge il proprio bersaglio; altn devon~ guardare indietro attraverso gli evi, uno o miriadi a seconda della loro capacità, m~ un Buddha o un Arahant considera gli eoni passati o futuri direttamente (V1sm., 411 ). È come se essi formassero un cerchio (ciclo sen~a inizio né fin:) del quale egli è il centro, non più lontano da un p~nto della c1r?o1.1ferenza di ~~a~to lo sia dall'altro; mentre gli altri, meno esperti, devono apnrsi la strada ali md1etro, lungo la circonferenza, se vogliono vedere il tempo passa~o. .

Quando sopra (Vism., 410) Buddhagho~a parla del ncordare .«?o~e ero io allora il Tal-dei-tali di tale o tal altra famiglia, ecc.», e delle cond1z10m passate come,quelle «del pr~prio continuum» (attano sa~tane)- o, forse megli_o, «del proprio lignaggio» - ciò viene detto «convenzionalmente». (samucc~), n?n realmente (paramatthena); infatti qualsiasi monaco buddhista ben istruito nemmeno si pone domande del tipo: «Che cos 'ero io in una vita precedente?», o «Che cosa sono io ora?», o «Che cosa sarò io in futuro? ». Poiché egli vede le cose «come divenute», cioè rigorosamente nei termini di un processo causale, e

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Note

parla del!' «io» solo per la convenienza pratica della vita quotidiana (S., II, 26; D ., I, 202). Similmente in D., I, 81 l'analogia di cuti e upapatti nel caso dell'uo­mo che va in un altro villaggio e poi ritorna al suo proprio (i «villaggi» essendo . questo e gli altri mondi, come in CU., VIII, 6, 2) sarebbe un'eresia se fosse presa letteralmente, come risulta in PV., IV, 3, 31. Le tre modalità dell'indivi­dualità (atta-bhava), passata, presente e futura, sono solo termini convenzio­nali del parlare comune, non realtà ultime (D., I, 202). Allo stesso modo per gli Yoga Sutra (II, 39; IV, 25), la contemplazione delle proprie individualità (atma-bhava) anteriori può essere un esercizio proficuo negli stadi iniziali del­lo sviluppo di uno Yogi, ma colui che non confonde più sattva col Sé non pro­porrà mai domande come «Chi ero io? » ecc. La reincarnazione, in altre parole, è unafaçon de parler, non realmente una questione d 'individualità persistenti.

Andrebbe osservato che la «doppia verità» buddhista (sammuti-, loka­v ohara-, loka-niruttiyo ecc., e, dall'altro lato, paramatthasaccam; corrispon­denti ad avidya e vidya, vikara- e paramarthika-satyam nel Vedanta), l'una re­lativa e convenzionale, l'altra assoluta e certa, corrisponde alla distinzione fra la «filosofia» (nel senso stretto della parola) e la metafisica, e alla distinzione platonica fra «una conoscenza che ha un inizio e varia quando è associata con una o l'altra delle cose che oggi chiamiamo realtà» e «la conoscenza che dimo­ra in ciò che è assolutamente reale» (Fedro, 247 E), e alla distinzione fra «opi­nione vera» e «verità», parallela a quella fra divenire ed essere (Timeo, 27 D, 28 A). La prob-abilità delle verità relative può essere stabilita attraverso l'osserva­zione ripetuta, e tali sono le «leggi di natura» statistiche scoperte dalla scienza; ma dietro l'esperienza dell'ordine «c'è un'ulteriore causa di ciò che è "sempre così"»; è in ragione dell'eternità che «non c'è mai stato né mai ci sarà un tempo in cui non vi sia stato o non vi sarà il movimento»; ma una tale causa prima, es­sendo essa stessa non causata, non è prob-abile ma assiomatica (Aristotele, Fis ., VIII, 1, 252 B) - cioè «auto-rivelantesi», sva-prakasa, «auto-evidente».

21 «Vbi futurum et praeteritum coincidunt cum praesenti» (Dove il futuro e il passato coincidono col presente), Nicola Cusano, De visione Dei, cap. X.

22 lnter-vallum: la «cruna dell'ago» e la «porta stretta» nel muro del Para­diso, «locum [ ... ] cinctum contradictoriorum coincidentia, et iste est murus Pa­radisi, in quo [tu Domine] habitas, cuius portam, custodit spiritus altissimus ra­tionis, qui nisi vincatur, non patebit ingressus» (luogo cinto dalla coincidenza degli opposti, e tale è il muro del Paradiso, in cui [tu Signore] dimori, e il cui cancello è custodito dall'altissimo Spirito della Ragione, che dev'essere vinto se si vuol entrare), Nicola Cusano, De visione Dei, cap. IX.

" Passato e futuro corrispondono, in effetti, alle Simplegadi o Scogli coz­zanti, separati solo dall'ora-senza-durata attraverso il quale l'Eroe (mahavira) trova la propria strada; in altre parole, sono gli stipiti della «Porta dell'Immor­talità» (amatassa dviira, M., I, 226, cfr. Vin., I, 7) che il Buddha (divenuto Brahma e Datore d'Immortalità, A., IV, 226; S., IV, 94) spalancò ai suoi segua­ci; e della Porta del Sole, a proposito della quale si domanda: «Chi è capace (arhati, dr. JUB., I, 6, 1 arhana) di passarvi attraverso?», cioè è capace di prendere la via del «Saman non ostacolato, ovvero del Lampo» OUB., I, 30, 2, 4), il quale «Saman», come spiegato sopra, è !'«Armonia» delle forme passate e

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Note

future, sa e·ama. " Quasi esattamente come le parole di William Blake:

« . . . colui che bacia la gioia che passa vive nel!' alba del!' eternità ... Ma, se lasci passare il momento propizio, giammai asciugherai le lacrime di dolore» .

" Non va trascurato, naturalmente, che khana ha anche il significato di «opportunità» presente durante ~n periodo di _temfo rel~tivamente breve; ~o­me in Thi. 459, dove Sumedha dice: «Questa e un era d1 Buddha; passata e la mancanza' d'opportunità, il momento è colto! » (virajjito akkhano, khaYfO laddho).

" Akkhana = sanscr. akhana, «bersaglio», in JUB., I, 60, 7, 8 e CU., I, 2, 7, 8· da non co~nettere etimologi.camente a khana, «istante».

' 27 Si veda inoltre il mio Symbolism of Archery in «Ars Islamica», X, 1943 .. 28 E. Obermiller, The Doctrine of Prajita-paramita as exposed zn the Abhi­

samayalamkara of Maitreya in «Acta Orientalia», XI, 1933, pp. 81-2. Abhi-sa­maya, «pieno conseguimento», può tradursi pi.ù letter~lmente come «super­coincidenza», riferito, per es., al «tempo» considerato m modo assoluto; cfr. anche samayaitum (co-ire), «passare attraverso» (il centro del S~le), JU~., I, 6, 1, che suggerisce un'equazione fra ab~isamaya. e parayan~. Sosn~u1s.co «m-un­singolo-istante» al «momentaneo '.' d1 ?berm1ller po1che quest ulnn:a ~~rola potrebbe essere intesa nel senso d1 «effimero» o «transeunte>>, e non e c10 che s'intende; «momentaneo» potrebbe ~endere khane khane, ma non eka-ksane. Eka-ksana- corrisponde al sadya di Sankara in sadyo-mukti, BrSBh., I, 1, 11; sadya,· «questo giorno», come saki:t, «immediatamente>'. , «non appena», ecc; cfr. S. Agostino, De lib. arb., III, 25, 77: «Millia dierum in temporibus mutabi­litate intelligantur; unus autem diei i:omine ii:corr:m~tibili~a.s ae~ernitatis voca­tur» (Si può intendere i mille giorm come g10rm m1surab1h, e 11 g10rno umco come l'eternità immutabile). .

" Cfr. Manu, I, 56: «Quando (il Grande Sé) diventa atomico (anumatrzko bhutva) e, desiderando l'esistenza e il movimento, prend~ dimora ne~ seme al quale è associato, allora esso assume una form~ n~~va (ri:urtim vimuncati)». Il Tantra afferma la qualità intemporale del pnnc1p10 ammatore, Manu quella senza dimensione.

3o Nella pratica dello Yoga, i soffi d'inspirazione e d'espirazione vengono eguagliati o identificati, sacrificandoli l'.uno nell 'altro . (~G . , IV, 29;. V'. 2~); e ciò indica, in ultima analisi, la realizzaz10ne dell'Idenuta Supre~a d1 Mttrava­runau, che sono entrambi i soffi d 'inspirazione e d'espirazione (SB., I, 8, 3, 1.2) e ii giorno e la notte (TS., II, 1, 7, 4), e dell'Unità dd yen~o (Vay.u) «che sp1~a come uno ma nell'uomo diventa questi due, il soffio msp1rato e 11 soff10 espi­rato» (SB.'. I, 8, 3, 12), «che dona questi soffi ,, (TS., II, 1, 1, 3) ed è in effetti quell' «altro per mezzo del quale vivono gli uomi~i» (Ky., V, 5). . .

31 Aksara, «immobile», «non fluente»: per gli Indu, una des1gnaz10ne del Brahma (e della sillaba OM che lo rappresenta nell'iconografia v.erbale).

32 Mario E. Carelli, Sekodde5atika, Baroda, 1941, «lntroduz10ne» PP· 16-7

55

Page 29: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

e testo sanscr. p. 7 (ma la versione del passo del Kalacakratantra è mia). 33 Queste «giunture» (parvi rJi) sono (in senso anatomico) «rimesse al loro

posto», o letteralmente «com-poste» o «sin-tetizzate», cfr. AA., VII, 20, dove

il Tempo unisce (samdhati) passato, presente e futuro. Le cose così composte

(samhita) sono in samadhi, integre o in salute; completando così il ciclo che ebbe inizio con la loro divisione e malattia (vyadhì) . L'atto separatore della

creazione è necessariamente seguito dal processo unificatore (ingl. «re-collecti­ve») dell'involuzione; la complicazione dalla semplificazione.

34 Benché Keith stesso, rispettando la natura «imperscrutabile» del Buddha

predicata in S., IV, 374 ecc., si chieda se ciò «non significhi argomentare che il

Tathagata separato dai suoi costituenti mortali sia qualcosa di reale ma ineffa­bile» e considera «non saggio insistere nel vedere negativismo in passi dove un'altra spiegazione non è solamente possibile, bensì probabilmente più in ac­

cordo con le idee dei maestri del Canone antico» (Buddhist Philosophy in In­dia and Ceylon, 1923, p. 66 ).

,; A.B. Keith, S., IV, p. 167. 36

<'.Le quali cose temporali pri~a di esistere non sono; e quando sono, pas­sano via; e quando sono passate via, non saranno. E così, quando sono future,

non sono ancora; e ql!ando passate, non sono più» (S. Agostino, De lib. arb., III, 7, 21).

In RV., X, 72, 2 asatah sad ajayata, «l'esistente sorge dalla non-esistenza»; cfr. CU., III, 19, 1; TU., II, 7, dove <<non-esistente» significa «non ancora esi­stente», «essendo in potenza», pragabhava. D'altro canto, nelle formule con­

trarie di TS., IV, 6, 1, 2; CU., VI, 2, 1-2 e BrSBh., II, 1, 17-8, dove l'essere sor­ge solo dall'essere, «non dal non-esistente», il riferimento è al quarto tipo di

non-esistenza, atyanta, assoluto, quello delle cose che non potrebbero mai es­

sere, per es. «il ~iglio di una donna sterile». In termini aristotelici, «l'apparizio­ne dalla non-esistenza (pragabhava)» sarebbe «il passaggio dalla potenzialità

all'atto », ed è questo il senso della bellissima preghiera di BU., I, 3, 28 asato ma sad gamaya: «Conducimi dalla non-esistenza all 'esisten za». Cfr. anche JAOS., 66, 154, n. 30.

" A.B. Keith, S., IV, p. 166. Rum!, Mathnawl, I, 2201: «Passato e futuro sono per te un velo davanti a Dio».

• 38

Proprio come nel caso della «distruzione» (khaya) bisogna chiedersi, se s1 vuole evitare !'«eresia nichilista» (ucchedavada), che cosa potrebbe e do­

vrebbe essere distrutto (Vism., 508), e nel caso della «fuga » (nissaranam) biso­

gna chiedersi: «Da che cosa e verso che cosa?», se vogliamo capire. cosa s'in­tenda, così nel caso del «vuoto» (sufifiam) bisogna chiedersi: «Di che cosa?».

Come dice Ermete Trismegisto: «Tu non devi chiamare alcuna cosa "vuota'', sei:za specificare di che la cosa in questione è "vuota"» (Asci., III, 33 C); cfr.

Anstotele: «Per determinare se il "vuoto" (i:ò KEv6v) "sia" o "non sia" dobbia­

mo sapere ciò che intendono coloro che usano tale parola. La risposta corrente

è: "un luogo in cui non v'è alcunché". Ma questa è la spiegazione data da colo­ro che sostengono che solo la "materia" (cr&µa), ciò che è "tangibile" (&1n6v)

"è" [ ... ] eppure nessuno suppone che essi pensino al "punto" (T] crnyµ~), aÌ quale in realtà si applica la definizione» (Fis., IV, 7, 213 B - 214 A). È solo per-

56

Note

ché queste domande non vengono poste che così tanti moderni rifuggono da ciò che egli chiama la «negatività» delle formule buddhiste; in realtà, questa via negativa implica una «transvalutazione» dei valori, e non la loro distruzione, e

ciò di cui risente il moderno empirista e «Ottimista» è precisamente il sacrificio

che qualsiasi transvalutazione dei valori richiede. Il «Vuoto» buddhista è vuoto delle cose che divengono e alle quali si ap­

plica realmente il linguaggio dell'empirismo affermativo (D., II, 63). La «Li­

bertà», benché un bene, è sempre una libertà da limitazioni, o «priva» di esse. Sui vari sensi della parola sufifiata, vedi Vism., 512. Si noti anche che

«Vuoto» e «Pieno» non sono mai irrelati, ma invece coincidono, cfr. Arist'ote­

le, Met., I, 4, 9; IV, 5, 5, e il mio Kha and other words denoting Zero ... in

BSOS., VII, 1934, pp. 487-97. Questa coincidenza è prese~te nell'aforisma del Mahayana: yas samsaras tan nirvanam; e nelle parole dell'I5vara Pratyabhijfia VimarSinf, II, 193: yac cid vi§esatvam tad sadaSivatattvam, che dicono la stes­

sa cosa con altri termini. 39 Per esempio, quando una pianta, spostata dal suo ambiente originale a

un altro e diverso insieme di condizioni, continua a fiorire secondo i «propri tempi» indipendentemente dalle nuove condizioni, ciò rappresenta in essa l'o­

perare di una sorta di memoria che, in quanto tale, è «impercettibile» (adrsta) agli esseri umani, i quali possono investigare le cause lontane nell'ambiente originale della pianta, ma non possono «vederle» come esistono di fatto nella

pianta, in cui causa ed effetto coincidono a ogni «momento» della sua crescita. •0 È così che, come dice S. Tommaso d'Aquino, «il fato sta nelle stesse cau­

se create» (Sum. Theol., I, 116, 2). Ne consegue la naturale deduzione che per

sfuggire al fato, per essere liberi - la qual cosa equivale a compiere il proprio

destino (raggiungere la propria destinazione, il fine ultimo dell'uomo) - si de­ve «negare se stessi» (denegat seipsum, Matteo 16, 24) e passare dal divenire al­

l'essere. 41 A.B. Keith, S., IV, p. 235-39. " Proprio come per Sankara «questo Brahma è silenzio» (BrSBh., III, 2,

17); «Che solo il silenzio può dichiarare» (Ermete Trismegisto, I, 31, cfr. X, 5); «Nulla di vero può esser detto di Dio» (Eckhart, in Evans, I, 87, citando S.

Agostino; cfr. Kena Up., I, II). Il Silenzio è la «Via di Mezzo» tra affermazione

e negazione; e corrisponde a quel «non detto» (anakkhatam, Dh. 218, avyaka­tam, S., IV, 374 sg.) che il Buddha, nonostante «non tenga nulla per sé», non

può rivelare per mancanza di un «modo d'espressione» (vadapatha). Il Silenzio è una «Via Mediana» tra affermazione e negazione; e probabilmente il più anti­

co testo sul Silenzio in questo senso si trova nei versi citati in AA., II, 3, 8, v. 3:

«Abbandonando il discorso, ciò che è "sì" e ciò che è "no", i profeti (kavaya]:i) trovarono la loro mèta; [dapprima] vincolati da nomi,

[ora] provarono gioia nell'Audizione (sruti)».

In modo caratteristico il Buddha «abbandona il sì e il no » quando dice co­

sì spesso che la condizione di un Liberato, un Arahant, post mortem, non può

descriversi con espressioni quali egli «è» o «non è», o con qualsivoglia combi-

57

Page 30: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

nazione copul~t~va o _disgiuntiva di que~te espressioni - proprio come, per le

Upam~ad, 11 Se e netz, netz. Il Buddha, moltre, nega parimenti di aver alcuna

«opinione» (Sn., 837, cfr. 152 e 878 sg., 914).

Si deve fare un'ulteriore riserva: la dottrina buddhista della Causalità (he­

tuvada~ lettera!mente_ «ezio-logia») si riferisce solo ali' operazione delle cause

nat~rah o mediate, o m altre parole alla necessità; lo stesso vale per la dottrina

occidentale della causalità c.ome formulata da Leucippo (Aetios, I, 25, 4). Per

Platone, Timeo, 28 A, «ogm cosa deriva da una qualche causa, di necessità»· e

così v!a, fino alla dottrina scolastica secondo cui «nulla avviene per caso» (s. Agostmo, QQ., LXXXIII, q. 24) e alla «fede» nell'ordine dello scienziato mo­

derno. Gli eventi passati determinano il carattere di qualunque essere in qua­

lunque momento dato, e in questo senso «il fato sta nelle cose create stesse»

(S. !_o'.11ma~o d'Aquino, Sum. Theo'.., I, 116, 2). Ma ciò non esclude la respon­

sab1hta dell essere, tanto nel Buddhismo (o nell'Islam) quanto nel Cristianesi­

m_o, per ciò che, dal no~er~ delle possibilità ereditate, esso sceglie di fare. Al­

tnmenu, tutte le esortaz10m del Buddha a fare questo (kiriyavada) e a non far

q~ello (akiriyavada), a coltivare questo e a sradicare quello, e l'intera conce­

z10ne dell' ''.auto-controllo>'. (la conquista, il controllo o la direzione, e impul­

s10ne del se da parte del Se, Dh., 104, 160, 379, attana coday'attanam 390 e

passim) sarebbc:ro prive di significato. È vero che ogni reazione del sé~ Eg~ è

fata}e e determma~a da cause passate, ma tutto ciò «non è il mio Sé» (na me so

atta, pamm), e chmnque non s'identifichi con esso è in grado di dirigerlo co­

me vuole. Questa non è un'interferenza con l'operazione della causalità: con il

~pentimento» , cioè il «cambiamento d'intenzione», le cause precedentemente

moperanu vengono semplicemente portate a effetto, con nuovi risultati . 43

Notes sur le «moment» ou k~ai:ia des bouddhistes in «Rocznik Orientali­

stczny» , VIII, 1931, 1-13, in cui egli cita dalla sua stessa versione del­

l'Abhidharmakosa di Vasubandhu e da altre fonti . 44

Dhamma in quanto «cosa» - un senso molto comune anche nelle fonti

pali - non va confuso col Dhamma in quanto «Legge Eterna» e (in sa-dham­ma) «Legge Naturale».

45 Ar!st.o~ele tratta il pr~bl~ma allo stesso modo (Fis., IV, 13, 222 A,. B): il

tempo «1mz1a sempre» (àEt yap èv àpxù): è per mezzo dell'ora indivisibile

(èhoµoç vùv) che «il tempo è continuo»; in un senso gli istanti sono diversi l'u­

no dall'altro, ma nella loro funzione di tenere insieme il tempo essi sono

«sempre gli stessi» (àEi 'tÒ aÙ'to).

. Gli «istanti» sono come «punti» che determinano una linea; per fare una

lmea occorrono non due punti contigui bensì tre, poiché una linea non è tale

se non ha un inizio, un mezzo e una fine; e così è per tutte le altre serie.

''. Tattvàrthadhigama, trattato da H. Jacobi in ZDMG., 60, 1906; e

<J:amtas~rasa~gra.ha, curato da M. Rangacharya, Madras 1912. Un punto trac­

cia una lmea m cm troviamo un vestigium pedis. 47

Anvantara (cfr. citt'antara citato sopra, e buddh'antara) «intervallo tra

due eventi successivi», non è né «un autre atome» di Rangacharya, né «l'inter­

valle, l 'étendu d'une atome» di Poussin. 48 Bibliographica Buddhica, XXVI, 2 voli., Leningrado 1930-1932.

58

Note

" Stcherbatsky non risale molto indietro. In una nota egli dice: «Su questo

punto, come su molti altri, il Sankhya-Yoga si avvicina molto alla visione

buddhista, cfr. Vyasa a proposito di III, 52 - kalo vastu-5 iinya-buddhi­

nirmanah sarvajiiana-anupati, ksanas-tu vastu patitah», che io interpreto nel

senso che il tempo è una costruzione mentale senza fondamento e un derivato

del momento. 50 Vedi in L. de la Vallée Poussin, L'Abhidharmakofa de Vasubandhu, 5

voli., Parigi 1923-1931: specialmente il capitolo IX.

" Stcherbatsky procede discutendo «alcuni paralleli europei», soprattutto

in Bergson. Egli cita: «Il mondo di cui si occupa il matematico è un mondo

che muore e rinasce a ogni istante, il mondo a cui pensava Cartesio quando

parlò della creazione continua» (L'Evoluzione Creatrice, pp. 23-4) e «l'Ego

non ha realtà[ ... ] È un flusso senza fine» (L'Evoluzione Creatrice, pp. 3-4), e

«l' affermazione secondo cui il movimento è costituito di immobilità è assur­

da» (L'Evoluzione Creatrice, p, 326). Ma quando (Stcherbatsky) riassume (p.

118) dicendo che «per i Buddhisti non vi sono soste se non nell'immaginazio­

ne, il movimento universale non cessa mai [ ... ) per Bergson, al contrario, la

durata è reale, gli istanti sono tagli artificiali in essa», non riesco proprio a ca­

pire sotto che aspetto vi sia una contraddizione.

Su Leibniz si può consultare F.S.C. Northrop, Leibniz's Theory of Space

in JHI., VII, 1946. Leibniz nega «il vuoto nello spazio, gli atomi e persino le

particelle attualmente non divise» . Inoltre, egli distingue due livelli di verità,

quello delle «verità di fatto » (tra cui sono le proposizioni relative al sé) e le

«verità di ragione» (proposizioni assiomatiche, per esempio, «ogni spirito [ ... ]

è durevole e assoluto») - e tutto ciò ha come «conseguenza di rendere la mate­

ria conosciuta da qualsiasi scienziato od osservatore puramente fenomenica ».

C'è una certa ironia, d'altro canto, nel fatto che per un tipico nominalista mo­

derno come A.B. Keith, «una tale conoscenza in quanto non è empirica è priva

di significato, e non andrebbe descritta come conoscenza » (Aitareya

Àranyaka, 1909, p. 42); quest'ultima posizione è stata analizzata distruttiva­

mente da Wilbur M. Urban, il quale conclude che «l'idioma metafisico della

Grande Tradizione è l'unico linguaggio a essere realmente intelligibile» (The

Intelligible World, 1929, p. 471)! 52 È precisamente questa continuità (samtana, che anche Dasgupta rende

malamente con «serie») a permettere a Cakrapani di dire che, benché l'esisten­

za del corpo sia momentanea (k~anika), la connessione del Sé Supremo con il

corpo non è intermittente bensì costante (Commento a Caraka-samhita, I, 1,

14). È significativo, inoltre, che Cakrapani osservi giustamente che «la costan­

za (o eternità) del Sé è la sua simultaneità con le sue esperienze ipostatiche

passate e future » (nityatvam catmanah piirvaparavasthanu-bhiitartha­

pratisamdhanat, Commento a I., 1, 55), cioè in quanto Esso è l'unico e solo

trasmigrante. Così ciò che per uno è prova della pseudo-identità del sé tran­

seunte, è per l'altro prova della reale identità del Sé costante; e queste non so­

no affatto proposizioni contraddittorie bensì complementari.

59

Page 31: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

III Grecia

Nell'esaminare le dottrine greche del Tempo e dell'Eternità

mi asterrò dall'intraprendere una lunga descrizione dell' «ato­

mismo» nella sua interezza, essendo evidente che bisogna di­

stinguere tra gli atomi fisici, di cui i corpi possono essere com­

posti, e il tempo atomico, che divide e unisce fra loro periodi di

tempo, proprio come il punto divide e unisce fra loro parti di

una linea. Se una cosa è «composta di» atomi fisici, essi devono

avere una qualche dimensione, per quanto piccola; ma l'atomo­

temporale è uno zero e, esplicitamente, «non una parte del tem­

po». Sarebbe più coerente (benché non più esatto) dire che il

passato e il futuro sono parti dell'atomo temporale invece che

descrivere un periodo di tempo come «composto di» atomi

temporali. Allo stesso modo il punto è il principio e il sine qua

non dell'estensione, ma i punti, non avendo estensione, non

possono essere sommati fino a costituire una lunghezza, né

possiamo dire che le cose estese. siano «composte di» punti. E

così, con logica perfetta, Platone non dice che gli elementi sono

«atomici», ma solo che essi esistono in particelle «così piccole

da essere invisibili» e formano masse visibili solo quando que­

ste particelle sono riunite in numero sufficiente (Timeo, 56 C).

Benché l' «ora atomico» e il «punto indivisibile» siano essen­

ziali al suo pensiero (Fis., VI, 3, 234 A), Aristotele non è un

«atomista» nel senso materiale del termine. Egli sa che <<nulla di

continuo può essere costituito d'atomi» (1:ç 1h6µrov), e che

«ogni grandezza è continua» (Fis., 232 A, cfr. 241 B): gli atomi

61

Page 32: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

non hanno alcuna grandezza, e non si può dire che essi siano

«vicini» l'uno all'altro poiché ciò che sta fra due punti è pur

sempre una dimensione (altrimenti, essi sarebbero un unico e

medesimo punto, Fis., 231 A, B; VII, 8, 264 A, cfr. 241 A). Noi

considereremo qui solamente l'atomo o punto realmente e as­

solutamente indivisibile e senza dimensioni, che dà un signifi­

cato al tempo e allo spazio1, e non quegli «atomi» che sono stati

oggidì «scissi», né quegli «atomisti» che, come Leucippo, so­

stengono che «ne esiste un numero infinito, e sono invisibili

per via della piccolezza del loro volume» (Aristotele, De gen.

corr., A, VIII, 324 B 35)2; atomi che «non sono matematica­

mente indivisibili», ma ciascuno dei quali «ha grandezza» ed

estensione\ e dei quali, pertanto, le cose percepibili possono es­

sere costituite - atomi che possono essere così chiamati in realtà

s~lo_ ~erc~é per lungo tempo gli uomini non sono stati capaci

di dividerli, ma che sono in realtà solo particelle•.

Prima di Aristotele, Parmenide aveva esposto il più chiara­

mente possibile la dottrina secondo cui «ciò che è», e che è

Ora, è altro dalle cose che sembrano solamente essere e che ve­

nendo all'esistenza e poi scomparendo, non si può dire che' sia­

no. Quest'Uno indivisibile, onnipresente e interamente presen­

te è ingenerato e imperituro. Esso «è completo, immobile e

s~nza fine. Né m~i fu, né mai sarà, poiché Esso è Ora, tutto in­

sieme, Uno, contmuo [ . .. ]Esso è tutto uguale . .. senza inizio né

fine, poiché il generarsi e il perire gli sono estranei, e la creden­

za _ve~a li rigetta» (Diels fr. 8, preservato da Simplicio). Quando

poi dice che «esso non può esser chiamato "infinito", poiché di

nulla è manchevole», ciò può sembrarci strano, ma significa

soltanto che esso non è né vuoto né caos bensì pienezza, «fini­

to» solo nel senso che contiene se stesso. E se egli rappresenta

l'Uno an~he come una «sfera di egual forza dal centro in ogni

parte; poiché esso non può essere più da una parte e meno dal-

1' altra», questa concezione di circonferenza delimitante (che se­

para in qualche modo la luce dalla tenebra esteriore) non è in­

compatibil~ con il concetto di un'essenza immateriale più di

quanto lo sia la rappresentazione che S. Bonaventura dà di Dio

62

Grecia

come di un cerchio il cui centro è dappertutto e la circonferen­

za in nessun luogo5 (ltin. mentis, 5) .

Parmenide continua dicendo che ciò che è, è vero, e che non

si può pensare di contrapporgli il mondo dell'opinione mortale

(che è caratterizzato da forme opposte, i contrari, di cui la luce

e la tenebra sono i modelli). Uno dei due va lasciato, poiché è

meramente una privazione dell'altro e, pertanto, una ir-realtà.

Aristotele, in De caelo, I, 298 B 21, asserisce con sicurezza che

Parmenide parla sempre e solamente di una realtà sensibile; ma

ciò come potrebbe essere vero, se la descrizione esclude espres­

samente un'esistenza nel tempo e il dominio dei contrari, il

quale è precisamente il mondo della «realtà sensibile»? Senza

dubbio Parmenide parla dell'Essenza che altri chiamano «Dio»,

ed è significativo che egli non solo dichiari che l'Uno «è Ora»,

ma che possa definirlo solamente negando tutto ciò che esso

non è. Per Platone, Zeus fece il mondo secondo un paradigma sem­

pre identico, stabile, vivente, non generato bensì eterno (àtùwç).

E dato che sarebbe stato impossibile adattare perfettamente la

qualità dell'Eternità a ciò che fu generata6,-«[Zeus] pensò di far

dell'Eternità ( citffiv, sanscr. ayus, «vita») un qualcosa di mobile;

e così, mentre stava ordinando l'intero Cielo (Universo), Egli

fece di quell'Eternità, che sempre dimora nella sua propria

Unità, un'immagine sempiterna (citrovtoç) che procede secondo

il numero7 e che è appunto quella che abbiamo chiamato "tem­

po" (xp6voç)8. Infatti Egli fece simultaneamente i giorni e le

notti, i mesi e gli anni, che non esistevano prima della genera­

zione del Cielo (Universo)9. E tutte queste sono parti del tem­

po; e anche l"'era" e il "sarà" sono parti generate del tempo,

benché noi le riferiamo in modo non corretto all'Essenza Eter­

na (quando .la chiamiamo "perpetua"). Infatti diciamo che l'E­

ternità "è", "era" e "sarà": invece, secondo il vero ragionamen­

to si addice solamente l'"è", mentre l"'era" e il "sarà" conviene

che si dicano solo del divenire che si svolge nel tempo. In effetti

questi due sono movimenti, mentre non si addice a ciò che è

sempre (àd) identico a se stesso e immobile né l'invecchiare né

63

-.........

Page 33: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

il ringiovanire nel corso del tempo, né }'"essere divenuto così", né l"' essere" così ora, né l'esser "sul punto di essere così" in av­venire, né, in generale, l'esser soggetto ad alcuna delle condizio­ni che sono associate a ciò che è sensibile a causa del suo "dive­nire": queste sono forme generate del tempo che imita l'Eter­nità e si muove ciclicamente secondo il numero. Né è realmente corretto dire di ciò che è divenuto che esso "è" divenuto, o di ciò éhe è diveniente che esso "è" diveniente, o di ciò che è per divenire in futuro che esso "è" per divenire in futuro, o del non-esistente (,;Ò µ~ ov) che esso "è" non-esistente10 ...

«Dunque il tempo fu prodotto insieme con il Cielo (Univer­so), affinché, essendo stati generati insieme, si potessero anche dissolvere insieme, se mai si dovesse verificare una loro dissolu­zione. E fu prodotto secondo il paradigma della Natura Perpe­tua (òtmrovm), in modo da esserle quanto più simile possibile. Infatti mentre il paradigma "è" per tutta l'Eternità (nana a'u'òva), l'imitazione "è" per tutto il tempo (anav,;a XP6vov) 11

,

integralmente tale da esser divenuta, esistere ed essere per dive­nire in futuro» (Timeo, 29 A, Be 37 D-38 C).

Le stesse distinzioni sono implicite nel Cratilo, 439 E, dove si chiede: «Come può "essere" qualcosa, ciò che non è mai iden­tico a se stesso? Poiché se è sempre identico a se stesso, è chiaro che in quel momento esso non è transeunte, e se è sempre iden­tico a se stesso ed è "se stesso", come può trasformarsi o muo­versi senza abbandonare la sua natura propria?» (ii auwù 'toÉa = sanscr. sva-rupa) 12

Sopra si è detto che l'Eternità è identica a se stessa «nell'U­nità»: difficilmente essa può essere diversa dall' «Uno», la cui natura è discussa approfonditamente nel Parmenide, 141 sgg., dove viene chiesto se esso «è» o «non è», e la risposta definisce anche la natura degli «altri». La descrizione delle due nature contrarie di un'unica e medesima essenza richiama molto da vi­cino le risposte buddhiste alle questioni dell'attribuzione della temporalità e dell'intemporalità al Dhamma, della distinzione fra un Nibbana con «formazioni» residue e uno senza della possibilità di dire se un Arahant, dopo la sua morte, «~ia» o

64

Grecia

«non sia». L'Uno è sia uno che molti, e né uno né molti: esso partecipa e non partecipa del tempo: è e non è, cambia e non cambia. Tuttavia, se è, «esso è tutte le cose e nessuna cosa» 13 . Ora, che esso sia immutabile e anche mutevole, sia statico che in movimento, significa che «esso stesso non dev'essere in alcun tempo [ ... ] (poiché) non si dà tempo in cui una qualsiasi cosa possa essere insieme statica e in movimento [ ... J Quando, allo­ra, muta? [ ... ] Esiste questa "cosa-fuori-da-ogni-luogo" (<ho­nov)14 nel quale dovrebbe trovarsi "quando" muta? E di che ti­po è? L'istante (Èl;,ai<pvTJç)! 15 Poiché l'istante sembra significare un qualcosa da cui partono i cambiamenti in entrambe le dire­zioni [ ... ] questa natura istantanea che non ha luogo (<honoç), qualcosa posto tra movimento e stasi, e che non esiste in alcun tempo; ed è in questo e da questo che ciò che è mobile muta per diventare statico16, e che ciò che è statico muta per diventare mobile[ ... ] Ma quando muta, lo fa in un istante, e non in alcun tempo, bensì quando non è né mobile né statico; e sarà così an­che per gli altri suoi "mutamenti", come dalla non esistenza (,;Ò

µ~ dvm = pragabhava) 17 al divenire (,;ò yi.yvrn0m = bhava), dal-1' essere uno all'essere molti, dall'essere simile (a se stesso) all' es­sere dissimile, dall'essere piccolo all'essere grande, e di converso - di modo che non è né in uno stato di aumento né di diminu­zione né di uguaglianza»18 (Parmenide, 147-157 A).

Inoltre, si mostra che gli «altri» partecipano dell'Uno, ma non ne sono parti, poiché esso non ha parti; così essi partecipa­no sia dell'Intero (di cui sono parti) sia dell'Uno, e risulta, per questi altri dall'Uno, che «ciò che hanno in comune con l'Uno e con se stessi fa in modo che vi siano differenze tra di loro me­diante le quali essi sono limitati reciprocamente e in relazione all'Intero19, e che "la loro natura autentica" (ii o' éam&v <pumç Ka0' éamci) sia illimitata. Perciò le cose che sono altro dall'Uno, sia come interi che come parti, sono illimitate e insieme parteci­pano del limite» (Parmenide, 158 D).In altre parole, esse porta­no in sé la «traccia» della unità~molteplicità, della mortalità-im­mortalità ecc., dell'Uno, essendo mortali così come sono in sé stesse (cv éamoìç) e immortali quanto al loro Sé (Ka0' Éau,;ci)20, il

65

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Tempo ed Eternità

quale è nell'Uno e appartiene alla «natura propria» dell'Uno. Tale distinzione fra l' «uomo» e l' «Uomo interiore» ( 6 Èv'tÒç av9pronoç, Repubblica, 589 B = ayam anta& puru~a&, CU., III, 12, 8, come in II Corinti, 4, 1621

) corrisponde esattamente alla distinzione indiana fra il sé corporeo ed elementare (Sarfra- o bhuta- atman) e il Sé Supremo (parama-atman), non nato e in­divisibile, il «Sé di tutte le cose divenute» (sarvabhutanam atman)22

La distinzione fra le cose come sono «in se stesse» e «la loro natura autentica» (cfr. sopra, e Sofocle, Filottete, 902, 903, dove si contrappone la «natura autentica», 'tÌ]v a{noù cpumv, all' «uo­mo», àviip) è chiarita ulteriormente in termini di tempo ed eter­nità nel Filebo, 53 D-59 A: «Ci sono (nella nostra esistenza) due cose, un Sé autentico (ainò Ka9' ain6), e un altro sé che tende sempre a qualcosa d'altro da se stesso [ ... ] uno che è, avendo sempre in vista (ÉvEKa) le cose-che-sono-realmente, l'altro che, essendo diventato per (xaptv, forse "per amore di") il primo, (cioè) per qualcosa (d'altro da sé), sempre diviene [ ... ] (que­st'ultimo) è il divenire (yÉvrntç, bhava)23 di tutte le cose, e l'altro la loro essenza (oùma, bhava) [ ... ]La vera conoscenza (yvéòmç, jiiana) concerne ciò che è realmente ed è sempre naturato in ac­cordo con se stesso (1m'tà 'taÙ'tÒv àù rcE<pUKoç24 = svayambhu, in greco posteriore aÙ'tO)'CVTlç); [ ... ] ma i tecnologi non sono, co­me essi immaginano, studiosi di questa Natura ( cpumç); ciò nella cui indagine spendono le loro vite sono le cose di questo mon­do, come divengano, quale sia la loro passione25

, e come operi­no [ ... ] non dandosi cura alcuna di scoprire le cose-che-sono­realmente, bensì solamente le cose che divengono e diverrano e sono diventate» - temporalia!

Secondo Aristotele «le cose eterne ('tà o' àtùta) non vengo­no né generate né distrutte» (Etica Nicomachea, VI, 3, 2): «Gli enti eterni ('tà àù ovw), per via della loro eternità, non sono nel tempo [ ... ]e il segno di ciò è la loro impassibilità ... Nel tempo tutte le cose sono generate e distrutte [ ... ] Il tempo è costituito solo del passato e del futuro [ ... ] l'Ora istantaneo non è affatto una parte del tempo [ . .. ] Il tempo non può essere suddiviso in

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Grecia

parti atomiche» (Fis., IV, 12, 221 B; 13, 222 B; 10, 218 A; VIII, 8, 263 B): che è quanto dire che l'Eternità è Ora, o non è affat-

to. Con «l'ora che non è una parte del tempo» s'intende, natu­

ralmente, l' «ora atomico» (awµoç vuv) che segna l'inizio o la fi­ne di qualsiasi periodo di tempo (la quale fine è anche l'inizio di un altro periodo di tempo, «poiché il tempo è sempre all'ini­zio», àEÌ ì::v àpxù, Fis ., IV, 13, 222 B) ed è, come il movimento, perpetuo (ivi); o che, in altri termini, separa il passato dal futu­ro. Così, l'Istante indivisibile ha la duplice funzione di dividere e unire (il ùta"lprntç Kat il l:'.vrocr1ç)26

, proprio come il Punto (crnyµi-1) 27 senza dimensioni che simultaneamente divide e uni­sce le parti di una linea. In quanto dividono, gli istanti sono sempre differenziati (àù E'!Epov) per via della loro relazione con passati e futuri diversi, ma in quanto uniscono sono sempre gli stessi (U cruvMì, àEÌ 'tÒ aù't6); proprio come nel caso dei punti, che, in quanto dividono, sono molteplici (poiché una linea può essere divisa in diversi punti), ma che sono «sempre identici» (Fis., IV, 13, 222 A) se consideriamo che è il punto a tracciare la linea indivisa. Gli «istanti», in altri termini, sono tutti uguali, ma sono apparentemente differenziati dai tempi realmente di­versi con i quali sono associati (Fis., IV, 11, 219 B). Proprio co­me, in termini di trasmigrazione, l'unico «Sé atomico» (atJur atman, MuJ}<;i. Up., citato sopra) appare empiricamente molte­plice per via della sovrapposizione delle qualità empiriche dei molti veicoli nei quali è presente, benché in realtà sia sempre lo stesso e senza discontinuità; o, per prendere un esempio diver­so, proprio come lo spazio è illimitato ma apparentemente dif­ferenziato dai limiti di un vaso: ma quando il vaso viene rotto «lo spazio in cui esso si trovava» non è più identificabile. È in­teressante notare che quest'ultima illustrazione sia stata usata anche da Aristotele in Fis., IV, 4, 211 B, dove egli osserva che se l'immaginario ente spaziale "lasciato" dal vaso scomparso fosse realmente identificabile, ciò implicherebbe l'esistenza di un nu­mero infinito di «luoghi» individuali esistenti in un unico e me­desimo spazio continuo.

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"'"',

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Tempo ed Eternità

Qui si può notare incidentalmente che le funzioni duali dell' «ora istantaneo» o del punto senza dimensioni che divido­no e uniscono estensioni di tempo o spazio sono propriamente funzioni logiche e corrispondono, in effetti, a quelle del Logos che è insieme il Divisore (taµEuç) e il Legame Unificatore (ùE­crµ6ç) di tutte le cose. È così, in particolare, che lo considera Fi­lone, il quale, partendo da Gen., 15, 10, «Egli li divise nel mez­zo, e pose i pezzi uno di fronte all'altro», descrive il mondo creato «come consistente di una serie quasi infinita di opposti (Èvavna, dvandvau) tenuti insieme in armonia dallo stesso im­pulso o agente creatore che in origine li separò da una materia primitiva e informe per mezzo di una serie di bisezioni» (132)28, cioè de-limitazioni o misurazioni29

• Proprio come, per Eraclito, «la realtà è un'apµovia di opposte tensioni, una natura singola che si sviluppa in due direzioni» (132), così, per Filone, la «Mo­nade (!"'Uno" platonico distinto dagli "altri") non è affatto un numero, bensì una condizione (crwtXE1ov) e un principio» ( àpx~, H eres, 190 - e, in quanto tale, ovviamente, «non genera­to e indistruttibile», e «senza inizio né fine », Platone, Fedro 245 D; Aristotele, Fis., VIII, 1, 252 B, cfr. III, 4, 203 B). «La Mona­de è l'immagine di Dio che è singolo nella sua unità e, al tempo stesso, un pleroma», mentre «gli altri[ ... ] sono tenuti insieme (cr<p'tyye-rm)30 dal Verbo Divino» (Heres, 187-88) - e così «il Lo­gos, che, in quanto Dio, è ,in relazione col mondo [ ... ] è a un tempo il Divisore dell'universo e la colla che lo tiene insieme» (133, 146). Questo «Uno» (-rò yàp Ev) è rappresentato dalla luce centrale del settuplice Àuxvia [candelabro], il cui materiale au­reo3' è simbolo dell'estensibilità che non si spezza e, pertanto, della presenza totale (Heres, 215 sg.)32, mentre altrove il simbo­lo caratteristico del Logos è il Pilastro, cioè l'Axis Mundi.

Filone (Heres~ 207 sg., e passim) sottolinea una cosa abba­stanza evidente, e riconosciuta in ogni tradizione, cioè che ogni creazione ed esistenza implicano una distinzione o separazione di concetti contrari. Niente è stato o sarà, o «è» nel senso più la­to della parola, senza essere qualitativamente «questo» e «non quello». Così secondo Nicola Cusano (De vis. Dei, cap. IX) è

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Grecia

con questi contrari che è costruita la cinta del Paradiso in cui di­mora Dio, e nessuno può raggiungere la coincidenza degli op­posti, che sussiste nell'intelletto divino, se non vince « qu~ll'al_­tissimo Spirito della Ragione» (cioè il Logos) che custodisce 11 punto senza dimensione che divide e unisce fra loro i contrari: e, allo stesso modo, in India la Liberazione dissipa «l'illusione delle dualità» (dvandvamoha-nirmukta~, BG., VII, 28, dvan­dvatzto [ ... ] na nibadhyate, IV, 22), «superando le coppie» (MU., III, 1). Ciò equivale a dire che «stretta è la porta e angu­sta la via che conduce alla vita» e «pochi sono quelli che la tro­vano» (Matteo, 7, 14): «Io sono la porta» (Giov., 10, 9); «Ora (vuv) è il giorno della salvezza ... In un istante (cv <hoµ<p), in un batter d'occhio, saremo trasformati» (II Corinti, 6, 2 e I Corinti, 15, 52). In altre parole, la nostra opportunità è istanta­nea, e ciò risulta evidente in tutte le descrizioni tradizionali del passaggio delle Simplegadi o Porta del Sole, che siano greche, ir­landesi, americane o indiane33

; per esempio, nel Mahabharata (ediz. Poona I, 29, 4), dove la «Porta Attiva» è una ruota sempre girante e affilata come un rasoio (come nella Genesi «una s~ad~ fiammeggiante che si volgeva in ogni luogo») attraverso 1 cm raggi «il Viandante celeste, riducendo il proprio corpo, sfrecciò in un istante» (k~atJena) - quello stesso «istante» senza durata di cui abbiamo parlato, e «senza il quale non vi sarebbe alcuna uscita da questo mondo».

A proposito della «porta» si può notare un altro punto. Nei muri, le porte non sono necessariamente mediane, ma possono essere più o meno lontane dalle estremità del muro, proprio co­me una linea può essere tagliata non solo al centro ma in qua­lunque punto. Filone invece sottolinea che il Divisore e Unifi­catore logico è sempre nel mezzo e divide sempre in due parti uguali. Ciò che quest'apparente discrepanza significa è che i muri (o le linee) concreti sono artificialmente delimitati da un'estensione potenzialmente indefinita in ambo le direzioni, e che la posizione della porta (o del punto) è accidentale. Mentre, quando pensiamo agli opposti semplicemente come passato e futuro, o come le estensioni da ambo i lati del punto divisore, le

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Tempo ed Eternità

due parti sono esattamente uguali quanto all'estensione poiché sono entrambe indefinite e illimitate, e ciò è vero a prescindere da dove verrà accidentalmente posto il punto divisore. È pro­prio per questo motivo che, in alcune versioni del mito delle Simplegadi, l'Eroe, cercando di evitare il pericoloso passaggio degli opposti che cozzano, è detto volgersi in ogni direzione, cercando di trovare una via per aggirare le barriere, ma è co­stretto ad abbandonare questa ricerca senza fine per ritornare al «punto» di divisione e contatto; poiché, invero, egli non riu­scirà a trovare alcun altro passaggio al di fuori di quello offerto da questo punto che, ovunque si trovi sulla linea, conserva la propria posizione mediana: al di fuori di questa Via di Mezzo non esiste un'altra Via. È solo avvicinandosi perpendicolar­mente al muro, cioè lungo l' Axis Mundi o Settimo Raggio, che si può sperare di passare «attraverso il centro del Sole»: la Via è angusta proprio come la Porta è stretta.

Ritorniamo ad Aristotele: trattando dell'Identità essenziale dell'Istante indivisibile e della distinzione accidentale fra due Istanti che delimitano un dato periodo di tempo, egli dice, rif e­rendosi alla loro differenza, che «se la simultaneità nell'ordine temporale, non essendo né prima né poi, implica la coincidenza ed è nell'Istante; se il prima e il poi sono in un unico e medesi­mo Istante, allora ciò che accadde diecimila anni fa sarebbe si­multaneo a ciò che accade oggi, e nessuna cosa accadrebbe pri­ma o dopo un'altra» (Fis ., IV, 10, 218 A). Inoltre, che sia Uno o accidentalmente due, l'Istante stesso non è nel tempo in modo tale da esserne una parte, ma solamente nel senso che il tempo lo circonda, proprio come il mare circonda un'isola. Se l'Istante fosse nel tempo come una parte è nell'intero, «ogni· cosa sareb­be in qualunque altra, e l'universo in un grano di miglio, solo perché il grano di miglio e l'universo esistono nello stesso tem­po» (Fis., IV, 12, 221 A). Mi sembra che l'unico fine di queste difficili proposizioni sia di distinguere la simultaneità acciden­tale delle cose nel tempo dalla loro simultaneità essenziale al di fuori del tempo, nell'Ora istantaneo che unisce il passato e il futuro; e di mostrare che devono essere il passato e il futuro

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nella loro totalità (nei quali non esiste alcuna discontinuità) a incontrarsi nell'Ora che è rivolto in entrambe le direzioni. Dif­ficilmente Aristotele può aver inteso negare la simultaneità del passato e del futuro in questo Istante Uno ed Eterno, o negare che vi sia un senso in cui l'universo è «in un grano di miglio»; poiché se il grano e l'universo vengono considerati non quanto alla loro estensione bensì quanto alla loro comune e indissolu­bile essenza, la quale in-siste nell'Ora assoluto, allora si può di­re che l'universo è «nel» grano allo stesso tempo in cui il grano è nell'universo - con le parole di William Blake: «Un Mondo in un granello di sabbia, e l'Eternità in un'ora».

Non mi propongo di citare queste dottrine in modo detta­gliato così come si ritrovano nelle opere degli Ermetisti e dei Neoplatonici. Devo, tuttavia, citare da Ermete Trismegisto un passo a un tempo aristotelico e platonico, e si potrebbe addirit­tura dire «indiano»:

«Tutte le cose sulla terra sono sopraffatte dalla distruzione (<p0opa); poiché senza distruzione non potrebbe esservi genera­zione (yÉvEmç). Le cose che vengono all'esistenza devono ne­cessariamente sorgere da quelle che sono distrutte; e quelle che vengono all'esistenza devono essere distrutte, affinché la gene­razione (o il "divenire") possa procedere. Ma le cose che vengo­no all'esistenza dalla distruzione devono essere false (\JfEùòoç)34

,

poiché diventano differenti in tempi diversi. Infatti è impossibi­le che una stessa cosa diventi una seconda volta; e come può es­sere reale (o "vero") ciò che non è lo stesso che era prima, [ ... ] L'uomo stesso, nella misura in cui è un uomo, non è reale35

• In­fatti il reale è ciò che è assolutamente autosussistente, e resta ciò che è in se stesso; ma l'uomo è un composto di molte cose, e non resta qual è in se stesso, ma muta e cambia da un'età all'al­tra, e da una forma (tòfo) all'altra. Sovente gli uomini non rie­scono a riconoscere i loro propri figli dopo un breve periodo, e i figli parimenti non riescono a riconoscere i loro genitori [ ... ] Devi comprendere che è reale solo ciò che è sempre. Ma l'uomo non è una cosa che è sempre [ ... ] non è reale ciò che non resta ciò che è [ ... ] Il Sole (Superno), che non muta ma resta ciò che

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Tempo ed Eternità

è, è reale[ ... ] Egli regna sopra tutte le cose e produce le cose; è Lui che io adoro, e adoro la sua Verità, riconoscendoLo come l'Artefice, subito dopo l'Uno Primordiale36. Cos'è, allora, la Verità (o Realtà) Prima? Solo quell'Uno, che non è fatto di ma­teria, né è incorporato, che è incolore e senza forma, immutabi­le e inalterabile; e che eternamente è» 37

Plutarco, che forse non sarà molto «originale» ma è un ec­cellente filosofo, dopo aver citato Eraclito procede dicendo: «Né è possibile afferrare due volte una qualunque sostanza mortale nello stesso stato: per via della subitaneità e della velo­cità del cambiamento in essa "sopravvengono dispersione e di nuovo combinazione"; o, piuttosto, non è in un altro momento o più tardi, bensì nello stesso istante (&µa) che essa occupa un posto e lo lascia, "va e viene". In questo modo ciò che nasce da essa non raggiunge mai l'essere [ ... ] Morto è l'uomo di ieri, poiché è trapassato nell'uomo di oggi ( o~µEpov = sanscr. sadya) [ ... ] Nessuno rimane o è "uno", bensì diventa molti [ ... ] e se cambia, non è lo stesso, e se non è lo stesso, non è "se stesso'', ma cambia mentre procede dall'uno all'altro. La nostra sensibi­lità, attraverso l'ignoranza di ciò che realmente è, ci dice falsa­mente che l'apparenza "è".

«Cos'è, allora, ciò che è realmente? Ciò che è eterno, non nato e imperituro, e al quale il tempo non apporta cambiamen­ti. Infatti il tempo è qualcosa che si muove, apparentemente in connessione con la materia in movimento, sempre fluente (pfov àci): esso non mantiene, ma è per così dire un recipiente di di­struzione e divenire ( <p8opàç Km ')'EVEO"ECùç). Se lo consideriamo come un punto (del tempo), le parole che vi si riferiscono come "poi" e "prima", "sarà" ed "è stato", quando vengono dette, confessano che esso non è [ ... ]Poiché quando lo consideriamo come un punto (del tempo) l'"ora istantaneo" è distribuito nel futuro e nel passato, patendo di necessità una divisione (non è un èhoµoç vuv ).

«Ma, non c'è quasi bisogno di dirlo, Dio è, ed Egli non è per un tempo bensì per l'eternità (a'twv), che è immobile, senza tempo, immutabile, e nella quale non vi sono né prima né poi,

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Grecia

né futuro né passato, né più vecchio né più giovane: Egli, essen­do Uno, ha con un "ora" (indivisibile) colmato il "per sem­pre"»38 .

Infine, secondo Plotino (Enneadi, II, 4, 7 e III, 7, 3-11 ), per il quale «non esistono atomi, essendo ogni corpo indefinitamen­te divisibile», il tempo e il movimento sono continui; e il tempo, imitazione dell'Eternità, è «la vita dell'anima che passa da una fase di attività o di esperienza all'altra». D'altra parte, l'Eternità, in ultima analisi identica a Dio, «è una vita immutabilmente im­mobile che mantiene sempre il contenuto dell'universo nella presenza reale; non ora questo e ora quello, bensì sempre Tutto [ ... ] identica a se stessa, per sempre nell'Ora presente [ ... ] inte­ra nel senso che di nulla è manchevole. Pertanto nulla è in serbo , per essa: poiché se qualcosa dovesse ancora sopraggiungere vor­rebbe dire che di quella cosa in precedenza essa era manchevole e, perciò, non poteva essere il Tutto[ ... ] La stessa parola "Eter­nità" significa "che è sempre" (cùwv = àù ov) [ ... ] anche se "sempre", detto non del tempo bensì dell'intero incorruttibile e senza fine, è soggetto a introdurre le false nozioni di stadio o in­tervallo [ ... ] sarebbe meglio dire semplicemente "Essere'', poi­ché "che dura per sempre" in realtà non aggiunge niente al con­cetto di Essere[ . .. ] che non ha alcuna connessione con la quan­tità, come le parti di tempo, ma è anteriore a ogni quantità [ ... ] La vita, istantaneamente intera, completa, da nessuna parte spezzata in periodi o parti, appartenente all' Autoesistente per il fatto stesso che esso è, quella è stata l'oggetto della nostra inda­gine, quella è l'Eternità». Ed egli aggiunge che il moto, la rota­zione di tutte le cose attorno al loro eterno centro, «è la loro ri­cerca della perpetuità per mezzo della futurità». Dopo Plotino giungiamo all'inizio del Medioevo, con S. Agostino e Boezio, nei quali ritroviamo la tradizione platonica.

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Note

' «L'intuizione non spaziale e non temporale è condizione dell'interpreta­

zione dello stesso mondo spazio-temporale» (W.M. Urban, The Intelligible World, p. 260).

2 Citato da Burnet, Early Greek Philosophy, quarta ediz., p. 335. ' J. Burnet, Op. cit., p. 336.

' Pertanto-possono essere logicamente considerati come parti costitutive

delle grandezze. La costituzione atomica implica, invero, una discontinuità

della materia, ma non richiede una discontinuità dello spazio nel quale gli ato­

mi devono essere disposti, né che questo spazio debba essere letteralmente

vuoto. Tutte le tradizioni narrano che in origine il cielo e la terndurono sepa­

rati affinché ci potesse essere un luogo o spazio nel quale le cose potessero esi­

stere; ma lo spazio così creato è più «aereo» che «vuoto». 5 Questo è chiamato «il noto detto di Ermete Trismegisto» (George Keith,

The Way Cast Up, 1677, p. 136).

.' Un'!mmagine non è mai come il proprio archetipo sotto tutti gli aspetti,

altnment1 non sarebbe un'immagine bensì un duplicato (Cratilo, 432 C, D); nel

caso presente s'intende che «generazione» ed «eternità» sono incompatibili. 7

Cfr. il sanscr. jagat, «ciò che si muove», cioè il mondo. Si noti, comun­

que, che il moto implica la «quiete», la quale differisce dall'«immobilità», in

quanto è solo un movimento potenziale e temporaneamente inibito; per non

menzionare il fatto che le cose «in quiete» non sono per ciò stesso esenti da

cambiamento e alterazione. Come dice Aristotele, «la Natura è il principio (o

l'origine) della quiete così come del movimento», ed entrambi sono «nel tem­

po» (Pis., VIII, 3, 253 B; VI, 8, 239 A; IV, 12, 221 B) e impossibili nell'«Ora»

(Pis., VI, 3, 234 A). Il nostro oggetto è proprio la «Natura» intemporale (la

platqnica òtcwovta q>ucnç, Timeo, 37 B) distinta dalle sue proprie manifestazioni

temporali - la stasi di ciò che è differisce dal movimento-e-quiete delle cose

che divengono. Tale distinzione si ritrova in RV. I. 115. 1, dove il Sole è il Sé

(principio) di «tutto ciò che è in movimento o in quiete» (jagatas tasthusas­

ca). Seguendo Aristotele, anche S. Tommaso (Sum. Theol., I, 10, 4 ad 3) os~er­

va che il tempo «misura non solo il movimento ma anche la quiete».

' Kp6voç, il padre di Zeus, fu in seguito assimilato a xp6voç, «il tempo»,

benché ciò sia etimologicamente inaccettabile. È proprio Zeus che, come

Prajapati, può essere parificato all'Anno e dev'essere identificato col tempo: il

fatto d'aver "rovesciato" suo padre significa che, in quanto tempo, suddivise il

Tempo? m_e?tre il fatto che Kronos avesse inghiottito tutti i suoi figli, tranne

Zeus, s1gmfica solamente che l'Eternità è sia la fonte di tutti i tempi che il loro

esito. Un mito analogo si trova in BU. I. 2. 5: «Qualunque cosa Egli (la Morte,

Prajapati, l'Anno, il Sole, che è anche il Soffio di Vita) generasse, iniziava a di­vorarla».

9 Su tutti questi punti Plotino segue così da vicino Platone (tanto che an­

drebbe chiamato platonico piuttosto che "neo" -platonico) che non ho ritenuto

necessario citarlo qui . Un mirabile sunto del pensiero di Plotino su «Tempo ed

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Note

Eternità» si trova in Dean Inge, The Philosophy of Plotinus, 1923', Il, pp. 92-

103. Incidentalmente, l'autore osserva che «il genere di immortalità che la "ri­

cerca psichica" cerca di provare sarebbe per lui (Plotino) la negazione dell'uni­

ca immortalità che egli desidera e nella quale crede [ .. . ] Il Neoplatonismo non

incoraggia nemmeno la credenza che la vita santificata sia uno stato che avrà

inizio, per ogni individuo, solo quando il corso terreno dell'intera razza umana

avrà raggiunto il suo termine». Invero, è stato spesso riconosciuto che la posi­

zione di Plotino è tipicamente indiana: ma non ne consegue affatto che egli ab­

bia tratto molte, o alcune, parti della sua dottrina dall'India. 10 Idee consimili trovano espressione persino ai nostri giorni, ma nel lin­

guaggio del nostro tempo. Per es., Wilbur Urban, The lntelligible World,

1929, pp. 417-21 : «L'identificazione dell'essere con ciò che diviene, col pro­

cesso di evoluzione o involuzione, è impossibile [ ... ] Non si dà entropia del­

l'essere [ . .. ] le due categorie fenomeniche di vita e morte (cioè passato e futu­

ro) sono momenti di una vita più ampia». Che è quanto dire che l'essere non

vive e non muore, e che nulla può essergli aggiunto o sottratto; e che, come in

SB. X. 5. 2. 13, la nostra stessa vita dipende dalla presenza della morte in noi -

è un ~nico e medesimo Padre che «dà la morte e dà la vita» (A V., VIII, 3, 3; I

Sam., 2, 6), un'unica Morte che divora i propri figli tanto quanto li genera

(PB., XXI, 2, 1). Il «terminus» (a quo e ad quem) di cui parla Wilbur Urban

corrisponde al «momento» o «punto» di Aristotele, che in quanto «limite» de­

finisce e dà un senso alle esistenze: e non è senza buone ragioni che Terminus

(Ermete) fosse anticamente un nomen Dei, il quale è, invero, a un tempo sia il

principio che la fine dell'uomo. . .

D 'altro canto, un autore «scientifico», J.B.S. Haldane, può scnvere su «1!

Tempo e l'Eternità» (nel Rationalist Annual, 1946) senza nemmeno sospettare

di discutere solamente del tempo e di ignorare completamente il significato

tradizionale del!' «Eternità» ! 11 Nel Menane (85, 86) la «reminiscenza» di cose non apprese in questa vita

viene presa per mostrare che l'Anima dev'esser esistita «attraverso tutto il tem­

po» ed è, pertanto, immortale - cioè eterna (à:1oia) e imperitura, Pedone, 106 D,

E. Ma questo argomento di una pre-esistenza (e incarnazione ripetuta) non è

una prova rigorosa, poiché l'incarnazione stessa è una specie di morte, Pedone,

95, C, D; cfr. JUB., III, 9, 1 e IV, 9; e S. Bernardo, De grad. humilitatis X, 30,

Nascimur morituri: ideoque nascimur morituri, quia primus morimur nascituri

(Siamo nati per morire: se dunque nasciamo per morire, dobbiamo prima mo­

rire per rinascere), e anche gli svariati contesti brahmanici e buddhisti in cui si

sottolinea che l'immortalità e la nascita sono incompatibili e che i germi della

morte nascono con noi. Cfr. S. Agostino, Sermo (de Script.) XCVII, 3, 3: «Dal

momento in cui un uomo nasce, si può dire: "è già finito" ». 12 Tale è la posizione del positivista, di «chi afferma che non c'è altro»

(nastika ), di chi, riconoscendo solo la realtà di ciò che può esser afferrato, at­

tribuisce «realtà» a cose che non possono esser afferrate poiché non cessano

mai di divenire, ed è così condotto, suo malgrado, a postulare la realtà di un

qualche ente astratto come l' «Energia» - parola che è, essa stessa, un nome di

Dio (vedi Aristotele, Met., XII, 7, 9).

75

Page 39: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

Come_o,~serva Wilb~r Urban (~anguage and Reality, p. 708), «lo scienzia­to p~rla d1 una _macc~ma ~?e ca~1ca da sé le proprie molle", e che pertanto noi_i e una macchma; d1 una selezione naturale" che non è realmente una "se­lez10ne"» - e nel_la misura in cui ricorre a queste antinomie abbandona la logi­ca! «Una macchma che canea da sé le proprie molle è una fantasticheria tanto quanto una canna pensante» (Op. cit. p. 515).

13

Una formula significativa che ricorre spesso nei detti dei «mistici» occi­dent~!i, per es. i,? The,,C!oud of _Vn~nowing: «Lascia perdere questo "dapper­tu,~to e ~u_esto tutto , m ~ambi.? ~1 questo "nessun posto" e di questo "nien­te ... Chi e allora che lo chiama mente"? Il nostro uomo esteriore di certo e non quello interiore. Il nostro uomo interiore lo chiama "Tutto" .. '. Perciò Ìa­vora alacremente in 9uesto "niente" e in questo "nessun posto"» (cap. 68, 70); e Jacob Boehme: «Niente e Tutto, o quel nulla-di-visibile dal quale procedono tutte le cose[ ... ] Chiunque lo trovi, trova nulla e tutte le cose».

14 'A:o1wç, solitamente reso con «straordinario», ma qui particolarmente

ap propnato nel suo ~enso lette~ale di «senza luo?o», poiché qualunque cosa sia «m_ nessun t~mpo» e ne_cessanamente anche «m nessun luogo». Il sanscrito akala, «fuon tempo», viene usato là dove in greco si direbbe èhoiroç, «fuori luogo». ·

. " qui: senza dubbio, «istante» o «momento» senza durata, poiché è sino­mmo di «m nessun tempo». 'El;at<pV11ç viene definito da Aristotele (Fis., IV, 13, 222 B) come «appena separato (dall'ora indivisibile) da un tempo impercettibi­le»; nel Nuovo Testamento la parola è resa con «subitaneo» (o «improvviso») - Marco, 13, 36; Luca, 2, 13; 9, 39; Atti, 9, 3; 22, 6 e similmente Marco 9 8 (èçcimva) e Atti, 2, 2 (èi<pvw); cfr. S. Tommaso, sur:i. Theol. I-II 113 7 'suila «subitaneità» dello ?Pi~i~o Santo, e_ anche Platone, Lettere, VII, J41 è. La pa­rola stes~a s~mbra sigmficare «fuon dal non visto» (èç-èi<pav~ç), mentre «subi­tan:?» sigm~1ca «che va furtivamente» (sub-it-aneus), cfr. a<pvw nel senso di «all 1mprovv1so».

16

Bisogna distinguere «statico» da «in quiete» nel senso meramente relati­vo e fisico per cui le cose «in quiete» si trovano in realtà solamente in un «equilibrio instabile».

17

I quattro tipi di non-esistenza di cui parla Platone - il «non ancora» delle cose ?he possono esistere o esisteranno; il «non più» (µl]KÉtt) delle cose che cambiano e penscono, e pertanto «non sono» più ciò che erano (come Clinia quando egli cambia d_all'essere ignor~nte all'essere sapiente, Eutidemo, 283 D); la non-esistenza «reciproca» o «relanva» (cfr. nota 3 del cap. precedente, e an­che Parmenide, 163 C: «assenza di esistenza nel senso in cui diciamo che esso non è lì»; e Sofista, 258 E: «in quanto riguarda gli altri»); e quella «assoluta» (Parme~tde, 163_ C~ «non esi_stente in alcun modo, forma o maniera», e Sofista, 23~ B: to µ11oaµwç ov) - cornspondono esattamente alla classificazione indiana dei q~attr_o tipi di non-esistenza, cioè, nello stesso ordine, pragabhava, pradh­vamsa~hava, anyonyabhava e atyantabhava. Le discussioni di Platone sulla ~on-esistenza saranno più facili da seguire se a ogni punto ci fermiamo a con­s1_derar~ a .quale dei quattro tipi di non-esistenzà si stia riferendo: se, per esem­pw, irpoç aA.A.11A.a (anyonya) oppure µ110aµwç (atyanta); altrimenti, la discussio-

76

Note

ne sarebbe indefinita, poiché µ~ e ou implicano sempre una qualche ~orta di differenza (Sofista, 257 B, C), e la non-esistenza no~ è l'opposto dell'es_istenza, bensì solamente altro, poiché non si dà un «contrano dell'essere» (Sofista, ~58 E) - proprio come il finito non è l'opposto dell'infinito, ma so!o, per così dire,_ estratto da esso. Nel non-esistente sta «ciò che è non-carattenzzato» (yad vai nasti tad alaksanam, SB., VII, 2, 1, 7); questo è anyonya - per il fatto che signi­fica libertà daile. limitazioni affermative. Così, quando la Deità viene descritta come sad-asat, ciò equivale a niruktaniruktam: e s~gnifica c_h: ~s~a ~ sia dotata che priva di tali definizioni: in altre parole, è sia D10 che Divmi~a [im~ers?n_a~ le], la Divinità essendo non caratterizzata e, pertanto, come ~icono 1 mi~nci occidentali, «libera nella sua non-esistenza», e propriamente chiamata «mhil».

18 Cioè le condizioni passate, future e presenti del divenire. " Cfr. p. 13, nota 2. . . . . . . . , . 20 «Quello che è il sé reale di ciascuno di noi, e che noi chiamiamo 1 amma

immortale» (Leggi, 959 B). Cfr. Luca, 15, 17, Ètç l:amòv ?è èA.ew~. • _ 21 Cfr. II Corinti 4, 16, ò Eçw fiµwv èivepwiroç ota<p0etpetm, aA.A.' ò ecrw fiµwv

àvaKmvoiYmi TjµÉpçx KCXÌ TjµÉpçx. 22 «L'Essere di tutti gli esseri» (Jacob Boehme). . . , , " Il quale divenire è inseparabile dal suo opposto, la d1struz10ne ( t~ <p0et­

pecr0m), e entrambe queste condizioni sono diverse dalla t:rza con~iz1one (Media), la vita contemplativa nella quale non esistono né godimento ne soffe­renza, Filebo. 55 A.

24 Cfr. tò aùto<puÉç, Rep., 486 E; sanscr. svaruh, «che cresce dalle sue pro­prie radici» e il suo contrario Ètepo<pu~ç, «parassitico».

" Lette~almente, «come patiscano questo o quello» (o~ ir~crxe1 n), allo stesso modo in cui noi potremmo dire: «come sono determmau economica­mente o altrimenti». D'altra parte, come osserva Aristotele, le cose che non sono ~e! tempo sono impassibili (oMè Jtcicrxet), essendo impossibile il cambia­mento in ciò che non ha parti (Fis., IV, 12, 221 B; VI, 10, 240 B).

26 «Ciò che abbiamo chiamato la Grande Persona (mahapurusa) è l'Anno che divide alcune cose e ne unifica altre», cioè genera alcune cose nella loro di­versità e yone termine all'esistenza_ ~i altre (AA., I~I, 2, 3); pradhvar:isaya~, qui non significa «distrugge» (empmcamente) bensi letter~lme~te «nduce i_n polvere», nel senso che «tu sei polvere» (Gen. 3:19), e _azkya bhavayan, «ucci­de», cfr. BU., IV, 4, 2 eki bhavatz, «muore». Cfr. Eraclito, fr. 4?.

" «Punto» si può dire riferendosi sia al tempo che allo spaz10: cfr. Plutarco, Mor., 117 E, «la vita più lunga è breve e momentanea (crttyµaìoç) se paragonata all'Eternità illimitata», e Dante, Paradiso, XVII, 17, «il punto (=momento) a cui tutti li tempi son presenti», e XXXIII, 94, «un punto(= momei:to) solo».

Il «punto (del Tempo indiviso) a cui tutti li tempi son presenti» e dal quale «punto depende il cielo e tutta la natura» (Paradiso, XXVIII, 41, cfr. XIII, 11 con RV., I, 35, 6) è ugualmente il centro immobile ~i _rutta l'~sisten~a -. «Daz ist der zirkel, den diu sele umbeloufen hat» (Questo e il cerch10 che_l amm~ h~ percorso), e quando l'anima ha comp_iuto i suoi _giri_e scoperto c~e 11 cerch10 e senza fine, allora essa si lancia verso 1! centro, «m em punt» (Me1ster Eckhart, Pfeiffer, 503 ).

77

Page 40: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

.L

Note

28 In questo paragrafo, i numeri fra parentesi si riferiscono allo studio di E.R. Goodenough, A Neo-Pythagorean Source in Philojudaeus in «Yale Clas­sica! Studies», III, 1932, pp. 117-64. 29 C'è bisogno di dire che ciò si riferisce alla concezione di Platone secon­do cui «Dio geometrizza sempre» (come vediamo nell'Antico dei Giorni di W. Blake, che si sporge dal Sole ed estende il suo compasso, dr. RV., V, 85, 5, maneneva tasthivan antarikse vi yo marne prthivìm siiryena, cfr. VIII, 25, 18 e TS., V, 4, 6, 5). 30 Non posso soffermarmi qui sui valori di cHpiyyw e ~<piyl;, tranne che per dire che la Sfinge non è certamente «lo strangolatore», bensì (come vide anche Clemente Alessandrino) «il legame» che tiene insieme l'universo. 31 L'oro, come in India, passim, ~ riconosciuto come il simbolo della vita, della luce, della verità e dell'immortalità. 32 Si confronti con la meravigliosa visione di Daqiiql delle sette candele che diventano, e sono anche, sette uomini e sette alberi, che sono sia sette che uno, Rum!, Mathnawì, III, 1985 sgg. 33 Si veda il mio «Symplegades», in M.F. Ashley Montagu (Ed.), Studies . .. Offered in Homage to George Sarton ... , 1947. 34 «False», ma non necessariamente ingannevoli, a meno che pensiamo col­pevolmente che tutto ciò che luccica sia oro. Una imitazione non è irreale in quanto tale, ma non è la realtà di ciò che essa imita. 35 Gli «esseri sussistenti per se stessi», rocrau1coç OV"Ca èu:i, e non «le cose prodotte», ytyvoµEva, sono l'oggetto della reale conoscenza (Filebo, 61 D). 36 Non posso concordare con Scott secondo il quale questo passo, che si ri­ferisce al Sole, «è incoerente col testo»; il riferimento non è al sole fisico, bensì al Sole intelligibile, e Scott è caduto nell'errore deriso da Plutarco, quello di confondere Elio con Apollo proprio quando la parola Elio sta in realtà per Apollo. Cfr. il mio Spiritual Paternity and the Puppet Complex in «Psychia­try» 8, 1945, p. 288, nota 7, e la distinzione, presente in tutte le tradizioni, fra il sole sensibile e quello spirituale. In termini cristiani, ciò che Ermete sta di­cendo è che sia il Figlio («per mezzo del quale tutto è stato fatto») che il Padre sono «veri» o «reali», ma quest'ultimo lo è infinitamente di più.

37 Scott, Hermetica, I, 387-89 (Fr. II A, Ermete a Tat). L'ultima frase avreb­be potuto essere tratta parola per parola da un'Upani~ad (per es., KU, III, 15) come descrizione del Brahma, l'Uno. Ermete (che Plutarco e Ippolito identificavano con la «Ragione») tratta anche dei «tre tempi», e osserva che «essi sono resi uno dalla loro continuità; ma "vedendo che il presente non sta saldo, nemmeno per un istante (KÉV'tpov = punctus), come si può dire che è "presente" (lett. "in-stante") quando non rie­sce a stare in equilibrio?» (pom1) (Fr. 10); e che «ciò che sempre diviene sempre perisce, ma ciò che è divenuto una volta per tutte (anal;) non perisce affatto» (Fr. 11, 5). Tutto ciò è parimenti aristotelico e buddhista. L'ultima frase corri­sponde esattamente a BG., Il, 20 b: «né essendo venuto all'esistenza, cesserà mai di essere»; ogni supposta obiezione a un'espressione come «essendo venu­to all'esistenza» viene meno poiché ci si riferisce in realtà a Quell'Uno che è «divenuto-da-sé» (svayam-bhii, aùw<pu~ç) e non fu portato all'esistenza da

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Note

qualunque causa esterna. h d Il' · ' una 1· 392 C-393 A In 442 C egli parla anc e e etermta 38 Plutarco, Mora ia, · . , ai mon-dalla quale il tempo come una corrente che sempre scorre, e portatoli « ' d · , · d nte· ne o stesso d" " ·rconda" (nÉpt) tutte le cose», essen o c10e onmperva e , 'e c1 . ia Cronos con l'orizzonte (368 E, F). In un altro senso, nat~-~f;~n~~:\~st~~cle cose sono «atwrno» all'eternità, come la circonferenza cir­

conda il centro. Cfr. S. Agostino, infra, P· 109, n. 4

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Page 41: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

,/

IV Islam

«Al Tuo sguardo la vita perisce e sorge a ogni istante (har sa'at) -come potremmo quindi pregar Ti per la nostra vita?»

Shamsi Tabrlz, Ode 18

D.B. Macdonald ha trattato lungamente una parte del no­stro soggetto in Isis 30 (giugno 1927), in un articolo intitolato «Continuos re-creation and atomic time in Muslim scholastic theology». Egli inizia con la descrizione che Maimonide fa dell' «atomismo» islamico, secondo il quale, dice, il mondo è costituito di atomi che «non hanno quantità, ma con i quali si possono fare dei composti che possiedono quantità» e che «esi­stono in un vuoto; cioè, tra loro c'è una separazione nella quale non esiste assolutamente niente, né corpo né atomo [ ... ] Il tem­po è costituito di "ora istantanei" ('anat) 1

••• Questo significa che il tempo è costituito da moltissimi "tempi" che non posso­no essere ulteriormente suddivisi [ ... ] Gli accidenti sono inse­parabili dagli atomi[ ... ] l'accidente non dura due atomi di tem­po. Ciò significa che quando Allah crea un atomo materiale, Egli crea in esso qualunque accidente voglia [ ... ] Quando un accidente viene creato esso passa subito; allora Allah crea un al-tro accidente dello stesso tipo [ ... ] Egli è assolutamente l'unico agente (asli kar) nell'esistenza [ ... ] (ma) Egli crea nella mente del presunto attore !"'accettazione come proprio" del suo pre­sunto atto2

[ ••• ]Solo Allah[ ... ] tiene insieme l'intero flusso del­l'esistenza del mondo [ ... ] Allah è l'unica Realtà .. . Dobbiamo

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Tempo ed Eternità

eliminare la concezione della causalità dall'universo tranne che

per_ l'operazione immediata, momento per momento, di Allah».

Infme (p. 337) egli conclude dall'esposizione di Maimonide che

« ~i nostri sensi i! movimento sembra esser continuo, ma sap­

piamo con la rag10ne che esso consiste di una serie di salti e ar­resti. Al cinematografo le immagini ricreandosi a ogni istante

producono un'impressione continua sui nostri occhi· ma è un'illusione, e la ragione ci convince di ciò, dimostrand; che il tempo dev'esser composto di atomi».

. ~ltrove3 Ma~donald aveva osservato a proposito degli ato­~1st~ musulmam c~e «questi atomi di spazio o tempo, in ambo

I casi_ senza estens10ne, sono proprio gli stessi di Aristotele».

Ma ciò non è sicuramente vero per gli atomi descritti da Mai­

moni~e; e i:nentre l'èhoµoç vuv di Aristotele è uguale all'andar

wa_qt islamico e al nunc stans di Boezio, è parimenti certo che

Aristotele non era egli stesso un atomista nel senso materiale

del termine. Macdonald sembra proprio non essersi accorto che

la sua, ~nalogia cinen:atografic~ ~on è valida, in primo luogo perche _1 «fotogrammi» successivi non sono «privi di estensio­

n~» , e, m secondo luogo, in quanto è precisamente la «ragione» - m questo caso, in effetti, il «ragionamento» di Aristotele - che

re~de per~ettamente chiaro che il tempo e lo spazio sono conti­

nm e che il movimento è tutt'altro che «una serie di salti e arre­

sti». Né sembra rendersi conto che ciò che ha un'estensione non può essere «costituito di» parti che non ne hanno!

. ~gli fa notare che la parola araba jauhar, persiano gauhar,

ongi_n~lm_e?te. una «gen:ma» di qualunque tipo4, «sviluppò molti s1gmf1cat1 secondari. Nella filosofia è diventato il termine

più ~n:1pio i:er indicare la "sostanza", oùcria, ens, essentia; ma per I filosofi atomisti esso significa esattamente "atomo", "una

parte che non può essere ulteriormente divisa". A volte aggiun­gono la parola "separato" (fard) [ . .. ] Infine, proprio come la

n?stra p~rola "sostanza", jauhar venne usato per una porzione

di matena, un corpo fisico ». Più avanti egli cita Ibn I:Jazm (m.

1064, u~ secol~ e_mezzo prima di Maimonide), il quale rigettò le dottnne ash ante e, con esse, quella degli «atomi separati»

82

Islam

(al-jauhar al-fard); e sottolinea che il jauhar di Ibn I:Iazm è la «sostanza» aristotelica, come, in effetti, sembra essere. Per Ibn

I:Jazm, «Allah dà perpetuamente esistenza a ogni ente, sino a

che è un ente, a ogni istante (waqt) del tempo» . Macdonald os­

serva ancora che al-Ghazali, la cui influenza «fu trionfante»,

«sembra aver rigettato completamente lo schema atomistico e

aver aderito alla corrente aristotelico-platonica». Tutto ciò è stato tratto dal riassunto del Macdonald in Isis;

l'originale nella sua interezza si può facilmente, e si dovrebbe,

consultare nella Guida per i Perplessi di Maimonide (parte I,

cap. LXXIII). Maimonide non descrive affatto una dottrina in

cui crede, bensì quella dei Mutakallimun musulmani, che se­

guono «La Parola» (al-kalam) e potrebbero essere chiamati let~ teralisti: egli non si riferisce mai ai Sufi. Avendo osservato che 1

Mutakallimun credevano negli atomi indivisibili, non solo della

materia ma anche del tempo e dello spazio, separati fra loro dal

vuoto, egli molto giustamente rileva che «i Mutakallimun non

compresero affatto la natura del tempo» (Terza Proposizione).

Altrove5 Macdonald dice che l' «'Ilm al-Kalam (Scienza della

Parola) venne a significare non semplicemente la teologia, bensì

una teologia scolastica di tipo atomistico, risalente molto str~­namente a Democrito ed Epicuro; e mutakallim passò a desi­

gnare un teologo, dapprima un Mu'tazilita e, in seguito, un or­

todosso, dietro la cui ortodossia stava il sistema atomistico che

fu il contributo più originale(!) dell'Islam alla filosofia»6• I Mu­

takallimun, prosegue, chiamavano se stessi Ash'ariti. Ci rendia­

mo conto, quindi, che Maimonide, al quale fa riferimento Mac­

donald e che visse un secolo dopo al-Hujwiri, non ci dice in

realtà nulla delle dottrine sufiche del Tempo e del tempo, le cui

affinità con le dottrine di Aristotele e dei Neoplatonici sono

notevoli; e che qualsiasi confusione apparente nella descrizione

di Maimonide ha ben poco valore per noi, che non siamo inte­

ressati all'atomismo come ipotesi fisica ma solo alla relazione

del tempo esteso e dello spazio percorribile con il Tempo e lo

Spazio che sono indivisibili e inestesi. Mi chiedo davvero se

Macdonald avesse compreso i problemi implicati: infatti egli

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1

Tempo ed Eternità

dice: «La divisione del tempo in atomi, che non potevano esse­re ulteriormente divisi [ ... ] risale al paradosso zenoniano di Achille e la tartaruga; (tale divisione) fu la soluzione di quel pa­radoss~, e rese possibile il movimento» - mentre è precisamente la teona del tempo discontinuo che rende impossibile il movi­mento!

Nell'Encyclopaedia of Islam, s.v. Allah, 1, p. 307, Macdo­nald cita il suo Development of Muslim Theology (già citato). Degli Ash'ariti dice che «quando rigettarono la visione aristo­telica della materia come possibilità di ricevere la forma, il loro cammino li portò necessariamente diritti all'atomismo [ ... ] I lo­ro atomi non erano solo spaziali, ma anche temporali. Il fonda­mento di tutte le manifestazioni del mondo [ ... ] è una moltitu­dine di monadi. Nessuna ha estensione né nello spazio né nel tempo. Hanno semplicemente posizione, non volume, e non si toccano fra di loro. Tra loro c'è un vuoto assoluto. Gli atomi di tempo, se l'espressione è lecita, sono parimenti inestesi e anche fra lo_ro c'è un vuoto assoluto (di tempo)[ ... ] Il tempo consiste solo m una successione di momenti senza contatto, e salta at­traverso il vuoto dall'uno all'altro con il movimento a scatti della lancetta dell'orologio»7

• Inoltre, «nessun (atomo) è causa dell'altro», e questo «annienta la meccanica dell'universo», cioè ignora l'operazione delle cause mediate. Da ciò che è stato det­t~ sopra, si vedrà quanto tutto ciò sia non-greco, e pure irra­z.10nal~: se questo fosse davvero il «contributo più originale alla filosofia e/o teologia» dell'Islam, non ci sarebbe certamente nulla di cui essere fieri.

Al termine della sua trattazione del soggetto in Isis, Macdo­nald procede discutendo «la questione estremamente difficile dell'origine di questo schema atomistico nell'Islam». Secondo lui esso «risale nelle sue origini ali' eresia musulmana» 8

• Per ere­tici egli intende «tutti coloro che fecero uso della dialettica nel­le questioni di Fede». Ma, si domanda, «com'è che il sistema degli atomi materiali giunse a essere combinato con il sistema degli atomi di tempo per formare una teoria completa sull'ori­gine dell'universo?». Egli non riesce a tro~are «alcuna traccia di

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Islam

qualcosa del genere nel pensiero grec?» e ~on riesce a creder~ «che i pensatori musulmani lo ab?i~no mv.e~t:to » , benche «fossero certamente gli eredi immediati della civilta greca quan­to alla scienza e alla filosofia». Egli osserva che «la civiltà scien­tifica musulmana non può spiegarsi interamente come un pro~ dotto dell'influenza greca» e che «esiste correntemente fra gli studiosi dell'Islam la tendenza a cercare in India la soluzione ad alcuni dei problemi che ci rimangono». Egli si volge così verso l'India per suggerire che l'atomismo islamico è derivato da fon-

ti buddhiste9•

Ora io non sono particolarmente interessato alle ricerche sulle origini 0 sulle fonti intese in maniera storica, e preferisco semplicemente riconoscere il fondamento comun.e sul quale poggiano le tradizioni, un ~andamento . che a~parti~ne a tu~t~ per diritto d'eredità da fonti antecedenti, che, m ultui:1a an~llSl, sfuggono alla portata dell'indagine stori~a10 • L.a q~esuo~e e ul­teriormente complicata dal fatto che la filosofia pitagonco-pl~­tonico-aristotelica già incorpora moltissimo di ciò che è pan­menti vedico e buddhista: il problema delle origini sorge per­tanto al principio, per così dire, dei nostri ~tudi. ~e,_ non~imeno~ dovessimo discutere delle affinità della filosofia islamica e di quella indiana (senza dimenticarci che, come osservava Jahangir, il Vedanta e il Tasawwuf «sono la stessa cosa»), non potremmo fare a meno di n~tare che, per esempio, R.A. Nicholson mise eccessivamente in rilievo le equivalenze greche della metafisica indiana trascurando quelle non meno sorprendenti nella metafi­sica dei Sufi. Per esempio, nei Lawa'ih (25) di Jami, le parole:

«Ciò che, visto come relativo, appare come il mondo Visto nella sua essenza è la reale "Verità" »

implicano proprio quello che s'intende con l'espressione buddhista, yas samsaras tan nirvanam, «il flusso e l' Ass?~uto sono la stessa cosa». Ci sono pochissime dottrine metaflSlche nell'Islam che non potrebbero, se uno lo volesse fare, essere de­rivate molto plausibilmente da fonti vediche o buddhiste.

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Tempo ed Eternità

Ma tutto ciò equivale a ignorare l'altro lato della questione: quello che è rappresentato dalla sopravvivenza della dottrina dell'Ora Eterno, o nunc stans, nella filosofia cristiana. Per es., le parole di Meister Eckhart, «Dio crea il mondo ora, in qllesto istante» (Pfeiffer, p. 206), avrebbero potuto esser dette da qua­lunque Sufi, ma sono quasi certamente non di origine budqhi­sta. In realtà, l'intera dottrina del tempo e dell'eternità nei con­testi sufici, islamici e cristiani sarebbe potuta derivare da f (Jnti platonico-aristoteliche. Non che la questione sia di grande im­portanza: gli studi storici hanno un certo valore in quanto di­mostrano l'universalità delle idee fondamentali a coloro eh~ le ritengono come le scoperte di chi le enunciò; per il resto, la Sto­ria letteraria delle idee ha un reale valore solo nella misur;i. in cui può contribuire a rispondere a domande come: «Tale dQt­trina è vera?» e «Come può esser liberata dalle interpretazi(Jni individuali ed eretiche per esser correttamente compresa?» Abbiamo discusso dell'atomismo dei Mutakallimun S(Jlo per non doverci più ritornare in seguito, e possiamo ora consi­derare le dottrine sufiche del tempo e dell'eternità, la cui esp;i.n­sione precede la trattazione di al-Hujwiri. Il Kashf al-Mahjub di al-Hujwiri (m. 1071-2 d.C.) 11

, il «Più antico e celebre trattato persiano di Sufismo», afferma: «La cl::>­noscenza del "tempo" (waqt), e di tutte le circostanze esteriori e interiori il cui effetto reale dipende dal "tempo", spetta a ogn\1-no» (p. 13). Il tempo ha aspetti sia esteriori che interiori: le cose che sono di pertinenza della pratica religiosa appartengono <ti primi, la conoscenza reale ai secondi: ma questi aspetti della V~­rità (cioè l'essoterico e l'esoterico) «non devono essere separati,, (p. 14) - non è, in effetti, senza riconoscere pienamente la verità dell'affermazione: «La conoscenza senza azione non è concL scenza» (p. 12), che abbiamo limitato la presente tesi alla consi~ derazione del «Tempo» nel suo senso assoluto e «interiore». Il! questo senso, «waqt è ciò mediante cui un uomo diventa indi, pendente dal passato e dal futuro». Coloro che lo possiedon(J dicono: «Noi siamo felici con Dio nel presente (andar waqt). S~ ci preoccupassimo del domani, o permettessimo a un qualunqu~

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Islam

pensiero di tal fatta di penetrare nelle nostre menti, sarem,mo velati (da Dio)». Inoltre, «la più preziosa delle cose umane e lo stato d'essere situato tra passato e futuro[ . . . ] e gli Shaykh han­no detto che "il Tempo (cioè l'Ora) è una spada tagliente", p~r~ ché è proprio della spada il tagliare, e il "Tempo" taglia le r~dlCl del futuro e del passato, e cancella dal cuore la preocc~paz10ne dello ieri e del domani» (pp. 367-9)12• In altre parole, il Tempo divora il tempo - come in AB., III, 44 e MU., VI, 2. L'esperienza del «Tempo», in questo senso interiore, p~ò es­ser trovata o perduta: «Il waqt ha bisogno del &al (condizione),

l . l3 poiché il waqt viene abbellito dal &a e ~ussiste per suo m~zzo : Quando il possessore del waqt entra m possesso del &al, e.gli non è più soggetto al cambiamento, ed è reso stabile (mustaqim) nel suo stato [ ... ] Colui che è (ancora) nello s~at~ di divenire (mutakawwin)1

' può essere smemorato, e su di lm che è così smemorato discende il hal che rende stabile il waqt». Così, Giacobbe ebbe il waqt: «Ora egli era accecato dalla, se~a­razione, ora era reintegrato nella visione per mezzo dell umo~ ne». Ma «Abramo possedeva il &al: egli non era consapevole ne della separazione, talché non era colpito dall'afflizione, né del­l'unione, talché non era pervaso dalla gioia» (p. 370). Il «Tempo interiore» è l' «istante dell'illuminazione», che è così spesso pa­ragonato al lampo del fulmine: è solo quando <~la luce è costan­te e l'istante è divenuto tutto il tempo» ,1 5 che il Sole «non tra-monta mai»16•

• }ami, nei Lawa'ih («Bagliori») VI, 717, riassume la_ dot~n~a dell'Istante (o «Tempo interiore») secondo Ibn 'Arabi: «L um­verso consiste di accidenti pertinenti a una singola sos~anza, che è la Realtà soggiacente a tutte le esistenze. Questo umvers~ è cambiato e rinnovato incessantemente a ogni istante e a ogn~ soffio. A ogni istante un universo è annientato e un altr~ che gli assomiglia ne prende il posto[ ... ] A causa di questa rapid~ suc­cessione, lo spettatore è tratto in inganno e crede che l'umverso sia un'esistenza permanente[ ... ]

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Page 45: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

L'esistenza de/mondo è un'onda dura un istante, e al successiv o se'ne deve andare[ ... ] Nel r:zondo, gli uomini discriminanti possono discernere un fiume le cui correnti tu;~inano e si sollevano e si agitano, e dalla forza che opera ali interno del fiume possono apprendere l'opera nascosta. del Vero [ ... ] 18

C?sì, non ~e.cade mai che l'Essere Reale si riveli per due mo­menti successivi sotto l'aspetto dello stesso fenomeno».

R.A. Nicholson riassume similmente la dottrina d'Ibn 'Arabi: «I fenom~ni mutano perpetuamente e vengono creati di nuovo, mentre D10 resta come sempre era, è e sarà. L'intera se­rie infinita del~e individualizzazioni è in realtà un unico, eterno e _rerpetuo .ta;alli (illuminazione) che non si ripete mai», ag­grnng~n~o m una nota a piè pagina l'importante riserva: «ma non ~i da un momento di non-essere tra gli atti successivi di creaz10ne», Fu~usu 'l-Hikam, 196 sg. '9 Sia i Law ii'ih che Ni­cholson distinguono nettamente tra la vera dottrina d'Ibn 'Arabi e quella degli «atomisti» ash'ariti che sembrano aver cre­duto nella realtà indipendente di monadi momentanee, mentre «lbn 'Arabi ~on tollererà mai alcun secundum quid, nemmeno uno che dun solo per un istante». Qui c'imbattiamo nuova­~ente nella .distinzione fra l'atomismo materialista e il princi­p10 molto diverso del tempo o spazio atomico senza durata né dimensione, e pertanto immateriale.

Il concetto di Tem~~ assoluto e indivisjbile, o Eternità, riap­pare ancora nel magmfico Mathnawi di Galal ad-Din Rumi. Il detto: «Questo mondo è solo un istante» (sii'at) 20

, è attribuito al Profeta:, «~ ogni istante, dunque, tu muori e ritorni [ ... ] Il mondo e r~nnovat~ a ogni soffio (nafas), ma noi non lo sappia­~o perche esso nmane (apparentemente lo stesso). La vita grnnge ~empre nuova, come il torrente2

', anche se nel corpo ha la sembianza della conti.nuità: poiché a causa della sua rapidità essa sembra essere contmua, come la scintilla che tu fai girare velocer:ie~te con .la t~a mano [ . .. ] Il veloce movimento prodot­to dall az10ne di D10 manifesta questa lunghezza di durata (tempo esteso) come (un'apparenza causata da) la rapidità del-

88

Islam

l'Azione Divina» (Mathnaw z, I, 1142-8) - o, come direbbe un cristiano, dalla «subitaneità» dello Spirito Santo. Questa analo­gia è decisamente buona perché, in realtà, la « sci~tilla» che rap­presenta l'Ora dell'Eternità è unica, qualunque sia la sua ~ppa­rente posizione sulla linea del movimento incessante. Nichol­son commenta: «L'intero ciclo della creazione (sanscr. bhava­cakra, ò 1poxòç 'tflç ycvfonoç di S. Giacomo) inizia e finisce real­mente in un singolo punto, cioè l'Essenza di Dio, che è perce­pita da noi sotto la forma dell'estensione[ .. . ] ~n lam.po ~i illu~ minazione (tajallz) divina rivela l'Uno come i Molti e i Molti come l'Uno».

Allo stesso tempo, il concetto sufico dell'esistenza momen-tanea degli accidenti ('ar:~, cioè fatti, eventi, accadimenti, inten­zioni) non esclude in alcun modo l'operazione continua della causalità, che collega gli eventi passati con quelli futuri. «Se non vi fosse traslazione o ricorrenza di accidenti, l'azione sarebbe vana[ ... ] ma questi accidenti sono transeunti in un altro modo; la ricorrenza di tutto ciò che è mortale è un'altra esistenza[ ... ] Tutte le parti del mondo sono il risultato di nient'altro che acc.i­denti [ .. . ] Questo è prodotto da quello, e quello da questo, m successione produttiva [ ... ] Questo mondo e quello stanno sempre partorendo, ogni causa è una madre, l'effetto. nasce co­me suo figlio; e quando l'effetto è nato, pure esso diventa una causa» (Mathnaw z, II, 960-1000)22

• Ma l'operazione di questa causalità è misteriosa, «nascosta e non chiaramente visibile»

23

Inoltre, a proposito dell'uomo che trascende lo spazio, e nel quale è la Luce di Dio: che cos 'ha egli a che fare col passato, col futuro o col presente? «La sua esistenza nel tempo passato o futuro ha senso solo in relazione a te; entrambi sono la stessa cosa per Lui, ma tu li consideri come due» (Mathnawz, III, 1152-3). «Dammi da mangiare, poiché sono affamato, e affrét­tati, ché "l'Istante (waqt) è una spada tagliente" e il Sufi è "fi­glio dell'Istante" (ibnu'l- w aqt); non è regola della Via dire: "domani"» (Mathnawz, I, 132-3, cfr. III, 2627 e nota). La nota di Nicholson a I, 133 cita Farid ad-Din al-'Anar, Tadhkirat al­aw liyii, II, 179, 10: «Mille anni passati moltiplicati per mille an-

89

Page 46: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed Eternità

?i fu~uri ti.sono presenti (naqd) in questo "Momento" (waqt)

m c~1 ~u sei»; e su I. 1142-8 la spiegazione di Wali Muhammad:

«~ Sufi credon? che a ogni istante un mondo ('alam~ sia an­

menta~o : c~e istanta?ea~ente un suo simile venga all'esisten­

za, po1~he D1_0 ha attnbut1 opposti che non cessano mai di esse­

re mamfestat1. Per esempio, Egli è sia Muhyi "Colu· h . ,, h _ " . . , 1 c e porta

a v1t~ ,' c. e _Mum1t, ~olm che dà la morte"24». Così «questa

ego-1ta m1 _viene da Lm, momento per momento, finché vivo»

(Mathnawz, I, 2197): «A ogni istante quell'Amato assume una

nuova veste» (Shams-i-Tabriz, Diwan)2s.

_ ~l Slif~ è,Juindi «"figlio dell'Istante" [ .. . ] il buon padre del

Sufi, c~e e 1 Istan:e", non l? ~bbandona alla necessità di preoc­

cuparsi del domam [ ... ] Egli (11 Sufi) appartiene al Fiume26 non

al tem~o, poiché."con Dio non c'è alba né tramonto": lì il pas­

sa:o e il futuro e ~l :empo senza inizio e il tempo senza fine non

esistono [. · .] Egli (11 Sufi) è il figlio di quell"'lstante" che va in­

teso s~lo. co,me la ,?eg~zione delle divisioni del tempo, proprio

come D10 e Uno va mteso solo come negazione della dualità

non ~ome una descrizione della natura reale dell'Unità» (Math~

naw~, VI'. 2715). L~ nota di Nicholson, nel Commento, mostra

che il «F1~n:ie» qm rappresenta «la continuità indivisibile del

mondo sp1ntuale, dove tutte le cose "coesistono in un Ora

~terno"»j ~fr. anche la nota a VI. 2782: in quanto il venire e

1 and~re mmterr.otto dei pensieri «non cessano mai per un sin­

golo istante, essi devono essere manifestazioni fenomeniche di

un'Essenza c~e s?.la .è i~mutabile e permanente». Il tempo, in

altre parole, e un 1m1taz10ne dell'eternità come il divenire lo è

dell'essere, e il pensare del conoscere. '

90

Note

' Come fa notare lo stesso Macdonald, questa non è la dottrina aristotelica:

essa è invece «basata sui paradossi di Zenone, che non possono essere risolti

logicamente se non eliminando tutti gli infinitesimali». Potrebbe forse esser

stata la dottrina ash'arita, ma non è certamente quella dell' «istante» indivisibile

dei $ufi. 2 La concezione secondo cui «sono io che agisco» è fallace parimenti dai

punti di vista islamico; vedantico e buddhista, e per Filone, il cui òiricrtç = san­

scr. e pali mana, entrambi riferendosi alle illusioni ego-centriche, «io faccio»,

«io sono» ecc. Ciò non toglie affatto all'«individuo» la responsabilità delle

«sue» azioni: le ingiunzioni e le proibizioni sono valide per lui, ed egli racco­

glierà ciò che avrà seminato, sino a che durerà la sua individualità.

Nell'Islam il «determinismo» (jabr), secondo cui l'uomo è uno strumento

meramente passivo, è un'eresia ben nota (per alcuni riferimenti cfr. Nicholson,

Mathnawi, Commento I, 45, e s.v. «necessitarianism» e jabr nell'Indice). È co­

sì anche nell'Induismo e nel Buddhismo, per i quali la nozione «io sono l'a­

gente» è parimenti fallace: è sempre e solo Dio che agisce in noi, ma ciò non li­

bera affatto l'uomo dalla responsabilità sino a che egli continui a considerare

se stesso come «quest'uomo, il Tal dei Tali», ed è un'eresia sostenere che non ·

esiste «qualcosa che va fatto» e qualcosa «che non va fatto»: la libertà dall'ob­

bligo è solo per coloro che non sono più qualcuno. Tutte le ingiunzioni e

proibizioni implicano un libero arbitrio attribuito a coloro a cui si applicano.

Per alcuni riferimenti vedi Sankaracarya, BrSBh., II, 3, 48 e s.v. Akiriyavada e

Ahamkara in HJAS., IV, 1939, pp. 119, 129.

La posizione cristiana non è diversa. Se vale per il Cristo che «io non fac­

cio nulla da me stesso[ ... ] il Padre che è in me compie le sue opere» (Giov., 8,

28; 14, 10) tantomeno possono i suoi discepoli affermare la loro indipendenza

nell'agire, ma possono essere, come il loro Modello, «Co-operatori con Colui

che compie le opere» (S. Agostino, De nat. et gratia, XXXI, 35). L'uomo, da

se stesso, si comporta meramente bene o male ed è soggetto alla Legge. Ma «se

vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la Legge». (Gal. 5, 18),

«chiunque è nato da Dio non commette peccato» (1 Giov., 3, 9); «gli atti di un

uomo che è guidato dallo Spirito Santo non sono suoi, bensì dello Spirito San­

to» (S. Tommaso d'Aquino, Sum. Theol. II-I, 93, 6, 1). Lo stesso vale per le

menzogne e la verità: l'uomo in se stesso è un mentitore (Salmi, 116, 11; Giov.,

8, 44; S. Agostino, Sermo De Script., CLXVI, 2, 2 e III, 3; cfr. Eraclito inter­

pretato da Sesto Empirico, Adversos Logicos, 131-34), ma «tutto ciò che è ve­

ro, da chiunque sia stato detto, viene dallo Spirito Santo» (S. Ambrogio su I

Cor., 12, 3). Tutto ciò si può intendere rettamente solo quando è stata compresa la na­

tura dell'atto e la relazione dell'atto con l'essere. N essun peccato è un «atto»,

bensì una mancanza d 'atto, come ci dicono in effetti le parole «mis-deed» [in

inglese, «mis-fatto», ma nel presente contesto «mancanza», come il francese

<1aute»], akrtam [«non atto»]. Gli stessi peccatori, «nella misura in cui sono

91

Page 47: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

! I

Note

peccatori, non hanno alcun essere, ne sono privi» (S. Tommaso, Sum. Theol. I. 20. ~ad 4): cioè, non sono «in atto», non sono «in essere». Pertanto, tutto ciò che e <<non-fatto», qu~lunque mancanza, è riferibile all'uomo quale egli è in se stc:sso, Un non-ente Virtuale, ma tutto ciò che è realmente fatto è riferibile a DJO, e così Egli è l'«unico agente».

. Il libe~o arbit~io non è la libertà di far ciò che ci piace - una specie di rea­ZJOne passiva al piacere o al dolore, è tutto fuorché una libertà. Il libero arbi­trio è la liber~à di .accettare ~ '.ifiutare lo statuto di «Co-operatori di Dio», di assumere o nf~gg1re. le :pec1f1che funzioni che sono state delegate all'uomo come vocaz:om (~<po1che.ognun.o è predisposto da Dio a quella cosa per cui è nato», ~~dnh), ~1 obbe?ire ~ disobbedire alla Legge Naturale. La marionetta umana e libc:ra d1 tenersi o meno ali' «aureo filo» (il «filo spirituale»), e di con­seguen.za agisce o. mera~ente re-agisce (Platone, Leggi, 644). «"Agire" (facere) e soffnre spett.a a1 corpi e alla loro anima; poiché essa "agisce" nel corpo e sof­fre attraverso 11 corpo. Ma agire in realtà (facere vero) spetta solo a Dio e alle altre essenze divine» (Boezio, Contra Eutychen, I. 1).

' D.B~ Macdonald, Development of Muslim Theology, ]urisprudence and Constztutzonal Theory, New York 1903, p. 202.

' '. Gauhar, pertanto, come «gemma» o «gioiello», corrisponde al sanscr. mani, una parola che può ess.ere usata in senso assoluto al singolare (Ommani padme hum; cfr. la «Pe'.la» d~ grande valore), e al plurale non solo per denota­re gemme o peri~, n;ia fdosofICamente, come nella dottrina del siitratman (BG. VII. 7 ecc.), per md1care «s~stanze» o :<entità». Mi sembra che ciò corrisponda esattamente al nostr~ uso d1 «Essere» m senso assoluto, accanto agli «esseri», i quali, tuttavia, sono m realtà solo dei «divenire», partecipanti dell'Essere; 0 al concetto de la P~ro1~ [il Verbo] e. a q~ello delle «parole» la cui verità dipende dalla loro partec1pazJOne alla ventà d1 quella Parola in cui tutte le cose sono dette simultaneamente.

' Hasting, Encyclopaedia of Religion and Ethics, II, 672-73. : C?,me.fa a dire ~iò, se l'a~omismo è de;ivato da Democrito ed Epicuro? e e b1so~no d~ p~ntuahzzare che gli scatti delle lancette dell'orologio

non s~n_o movimenti d1. tempo? Essi hanno luogo in brevi durate di tempo, il quale e m se stesso contmuo e ininterrotto.

8 Egli si riferisce a M. Horten, Philosophischen Problem der speculativen Theo_fogen tn Islam, 1.910, e a .De Boer, «Atomic Theory (Muhammadan)» in Hastmg, Encyclopaedza of Relzgwns and Ethics.

' 1:' lui nor.e solo tramite .s. Da~gupta'.History of Indian Philosophy e H. Jacob1, «Ato'.1uc. Theo.?' (Ind1.an) » m Hastmg, Encyclopaedia of Religions and Ethics (quest ultimo pm esaunente, con ulteriori riferimenti).

Non vedo come le dottrine ash'arite sarebbero potute derivare da fonti buddhiste; d'altra parte, anche se la dottrina sufica dell'«istante» (waqt) avesse potuto esserlo, non significa che ciò sia realmente accaduto.

10 Sulle limitazioni del «metodo storico» cfr. René Guénon, Introduction to t~e Study of Hindu Doctrines, 1945, p. 18, 20, 58, 65, 237, 300. Il metodo stanco ha qui un'utilità limitata, in parte perché le dottrine metafisiche «non "evolvono" nel senso occidentale della parola» e in parte perché «generalmen-

92

Note

te e nella maggior parte dei casi un testo tradizionale non è alt;~ ~h.e la fissa­zione in data relativamente recente, di un insegnamento che agli 1mz1 era stato trasm,esso oralmente e al quale molto raramente si può. attribuire un a~tore».

11 La numerazione delle pagine è quella della versJOne d1 R.A. NICholson, Gibb M emorial Series, XVII, ed. 13, 1959.

12 Le affermazioni precedenti implicano, naturalmente, che ~ovre~mo la-sciare «che i morti seppelliscano i loro morti» e non aver «affanm per 11 doma­ni». Sul Tempo (l'Ora Eterno) come «spad~ taglien~e», cf~ . sopra, P· 64, s~l Logos Tomeus; come nell'Ode dal Dfwan d1 Shams~1-Tabn~ (tradotto da N1-cholson in JRAS, 1913): «L'amato conquistatore dei cuon d1ven~e una sp~da, e apparve nella mano d"Ali diventando l'uccisore del tempo», 1 allus10ne '.m­mediata essendo alla spada Dhu'l-fiqar data ad 'Ali dal Profeta: la quale e l~ morte di coloro che «muoiono prima di morire»; è anche la spada del Verbo d1 Dio che «divide anima da spirito», Ebrei 4:12. Cfr. il mio «Sir Gawam and the Green Knight», Speculum, XIX, 119 (1944), e Rum!, Mathn~w!, VI: 1522.

" In effetti, il ha! come «condizione» o «modo» o «estasi» implica una rea­le risposta dello sperimentatore all'illuminazione momen~anea, ma non la sta-bilità o la permanenza nel senso in cui maqam è una «staz10ne». . . . .

14 Kaun come osservato da D.B. Macdonald, I.e. supra p. 329, s1gmfica «di-venire», l'iitlinito fungendo da sostantivo, proprio.come w~rden si~ni!ica <'.di­venire». Ne consegue che il Verbo creatore kun (1mper. d1 kaun) e I Ordme: «Divieni» e che la versione usuale: «Dio disse: "Sii!", ed esso fu, o è» andreb­be sostituita con: «Dio disse: "Divieni!", ed esso divenne, o divie.ne >>. C~ò s~­rebbe in accordo anche col significato dell'espressione dii kaun, «1 due d1vem­re», passato e futuro. Cfr. Goichon, Philosophie d'Avicenne, 1937, p. 62.

"Maurice Brown, The Atom and the Way, London, 1946, p. 36. c.fr. ~· 19: «L'illuminazione avviene istantaneamente e, per la maggior p~rte d1 noi, dura solo un momento. Non è, però, affatto momentanea per tutti». Cfr. W. Allen The Timeless Moment, Londra, 1946.

"'Vedi note 10, 14 nel capitolo sull'Induismo, p. 27: . 17 E.H. Whinfield e M.M. Kazw!nl, Lawa'ih , Onental Translat10n Fund

16, Londra, 1906, pp. 42-5. 18 Confronta con l'inno di Isaac Watts (1719):

Mille anni al tuo sguardo sono trascorsi come una sera; breve come la veglia che termina la notte prima del sorger del sole.

Il tempo, come un torrente sempre fluente, porta via con sé tutti i suoi figli . . .

«Prima del sorger del sole», cioè all'«Aurora», _ii samdhi istantaneo che ~e~ para e unisce notte e giorno (passato. e fut~ro), chiamato. an~he brahmabhuu, «Theosis». Quasi allo stesso modo 11 persiano {a;r'. ordmar.1a.mente .<<alba» o «aurora» è anche la niir al-tajallf, la Luce dell Ep1fama D1vma (N1cholson, Comme~to al Mathnawf, V. 3309). Per una discussione più ampia sul luogo

93

Page 48: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Note

d'incontro del Giorno e della Nott d " ·1 . S Ashley Montagu (a cura di) Studiese, vo~r) I dmlOH« ymplegades .. . » in M.F.

194 ' ··· JJere zn omage to G S 7, pp. 463 sg · cfr sopra p 52 33

eorge arton, 19

• ., • . • . , nota e pp. 64-6.

" ~t·MN1chholso:i, Stud1es m lslamic Mysticism, Cambridge 1921 p 154 r. at naw1, III. 2074-75· «Sfu · I _, . ~ . · ·

gire al cambiamento [ J Q d · ggire a momento (sa at) s1grnf1ca sfug-. . · · · uan o per un momento sf · · ·

esiste più costrizione». Si noti anche as-sti'at ·1 ugg1 a1 mom~nt1, non

me l'eka-ksana-sambodhi buddhista. , I momento, la Resurrez10ne; co-

21 Cfr. Eraclito fr XLI LXXXV I B dcl . ferma»; S. A ostin~ ;,) , ; ?e u h1smo la corrente che «mai si (De Trin. III.g6). , a corrente contmua della successione sempre fluente»

"Cfr. S. Agostino: «Il mondo è gravido d" I cora nate» (De Trin. III. 9. 16). I tutte e cause delle cose non an-

23 Come in sanscrito, adrsta. "«La radice del mister~~-della realtà solo .

ne riferita da Jaml agli attributi o osti di D~omenta~~a delle es1s~enze vie­

spettivamente quelli di· M" · d~p M[ , io] (Lawa 1h, 26): essi sono ri-1sencor 1a e aesta (;am -1 · l -l) · . .fl

questo mondo l'uomo chi.ama b l . a e ;a a , 1 cui n essi in · ene e ma e esistenza e D " , I ·

uccide e fa vivere» (A V. XIII. 3_ 3. 1 S 2' _

6 . morte. IO e «co m che

" S Il' . . . , am. . , 2 Re 5.7).

k. u ongme d1 questa «ego-ità», cfr. SB. VII 3 2 12 ( d" ·1 . S 1ss» JAOS LX 47) Il . · · · ve 1 1 IDIO « un-

E kh, '. , ; e su e «vesti», BG. II. 22 Pedone 87 D M . c art, Pfe1ffer, p. 530 («voi un e ist . ' . , , , e e1ster

niuwe forme unde begit die si v~r h~te D mater;e, daz d1u sele an s1ch nimet

daz ist ir tot, unde der · , , . · az si uz emer wandelt m d1e andern,

si») (La successione è ~a~:rf:i~. f,er ~t1rbe'. s1, d1e si a; sich nimet, da inne lebet

quella che aveva in precedenz; ~~ima n veste_una orma nuova e abbandona

essa muore a quella che abb d. e ~ssayass1 dall'una all'altra significa che

16 Q . l an ona, e vive m quella che riveste) UJ, natura mente il «Fiume» n , I d ·

sua fonte: «ein brunne in der . on e a «corrente e! tempo», bensì la

ewikeit und in der zit» (Una fo~~!h:;~j/e~ ~n. ~llen dm!fen _uz fliuzet in der

nell'eternità e nel tempo) (Meister Eckh Dt 1pv1fn~ftfa che flmsce m tutte le cose, e ar , e1 er, p. 530).

94

V Cristianesimo e pensiero moderno

Nel Cristianesimo l'importanza del Presente è affermata dal

Cristo con le parole: «Lascia i morti seppellire i loro morti»1 e

«Non affannatevi per il domani» (Matteo, 8, 22 e 6, 34). Inoltre,

si riconosce facilmente l'èhoµoç vuv di Aristotele in S. Paolo, I

Corinti, 15, 51-52: «Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti,

certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in

un batter d'occhio (Èv ch6µcv, Èv prn'fi òcp8aÀ.µou; l'arabo al­

sa'at), al suono dell'ultima tromba ... ; e i morti risorgeranno in­

corrotti, e noi saremo trasformati»2; questa affermazione ci

rammenta anche l' «Istante-unico del Risveglio » (eka-k~ana­

sambodhi) del Buddhismo. Infatti - come per Aristotele e per i

buddhisti - la corruzione è inseparabile dall'esistenza tempora­

le, e «risorgere incorrotti» implica necessariamente un passag­

gio dal flusso dell'esistenza temporale all'eternità presente nella

quale non ci sono né oggi né domani, e nella quale il cristiano

ha già vissuto nella misura in cui è stato in grado di seguire i co­

mandamenti del Cristo: abbandonare il passato e non affannarsi

per il domani. È senza dubbio partendo da questo punto di vi­

sta che Bowman fa questa osservazione: «L'attenzione religiosa

per la vita concerne specificamente questa vita di esperienze che

rinasce a ogni attimo fuggente»3: e sembra che si esiga dal vero

cristiano eh' egli sia, o che divenga, proprio come il ~tifi, un «fi­

glio dell'istante», e, come l' Arahant buddhista, un Liberato

«per il quale non v'è né passato né futuro» (S. I. 141 )4. La realtà

dell'eterno presente è ugualmente connaturale a quella dello

95

Page 49: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed eternità

Spirito Santo, la cui operazione è immediata - «Subitamente

(acpvro) venne dal cielo un rumore come di vento che soffia con

forza » (Atti, 2:2)5. S. Tommaso d'Aquino, a proposito della

questione «Se la giustificazione dell'empio si produca istanta­

neamente o progressivamente» (Sum. Theol. I-IL 113. 7), decide

che una tale giustificazione «non è successiva, bensì istantanea»6

(proprio ciò che un buddhista avrebbe chiamato «risveglio in

un unico istante»). Infatti una tale giustificazione dipende dal­

l'infusione della Grazia, che è subitanea, e dal libero arbitrio

dell'uomo «il cui movimento è, per natura, istantaneo>/. La giu­

stificazione non può essere progressiva, poiché «i movimenti

del libero arbitrio - di volere o di non volere - non sono pro­

gressivi bensì istantanei»8• In risposta all'obiezione successiva -

cioè che delle condizioni opposte non possono coincidere nello

stesso istante e che vi dev'essere .perciò un ultimo istante nello

stato di peccato e un altro nello stato di grazia - egli risponde

che «la successione dei contrari in uno stesso soggetto differisce

per le cose soggette al tempo e per quelle che sono di là dal tem­

po. Perché per le cose temporali non esiste un "ultimo istante"

in cui la forma precedente persista nel soggetto; invece si dà un

ultimo tempo, e un primo istante in cui la forma seguente ineri­

sce alla materia o al soggetto. E la ragione di ciò è che non si

può ammettere che un istante ne preceda immediatamente un

altro nel tempo; infatti gli istanti non si succedono immediata­

mente l'un l'altro nel tempo, come nemmeno i punti in una li­

nea, e ciò è provato da Aristotele (Fis . VI. 1). Ma il tempo è ter­

minato dall'istante. Pertanto durante tutto il tempo precedente,

nel corso del quale una cosa muta verso la sua forma, essa con­

serva la forma opposta, ma all'ultimo istante di questo tempo,

che è anche il primo istante del tempo successivo, essa possiede

la forma che è il termine del movimento. Ma è diverso per le co­

se che sono al di sopra del tempo [ .. . ] È la mente umana che è

giustificata, ed essa è al di sopra del tempo, benché sia acciden­

talmente soggetta al tempo nella misura in cui conosce la conti­

nuità e il tempo• .. . Diremo dunque che non si dà un ultimo

istante in cui es iste la colpa, bensì un ultimo tempo; mentre si

Cristianesimo e pensiero moderno

dà un primo istante in cui la grazia esiste, la colpa essend 111 ••

rente per tutto il tempo precedente».

Si sarebbe forse potuto esprimere tutto ciò più chi aram nt

usando l'immagine del cerchio (ò 'tpoxòç 'tf]ç yEvÉm:roç, bhava·

cakra) e del suo (settimo) raggio; la successione temporale e r·

rispondendo al movimento lungo la sua circonferenza me~tre il

movimento ex tempore del libero arbitrio al moto centnfugo

(caduta o discesa nella materia) e al moto centripeto (ascensione

o resurrezione). Nella Summa Contra Genti/es I. 14, 15, S. Tommaso discute

dell 'eternità di Dio. Egli basa la sua argomentazione sulle asser­

zioni dell'immutabilità di Dio in Mal. 3:6, Giac. 1:17 e Num .

23:19; e cita Aristotele: «Il tempo è l'enumerazione del moto»

(Fis. IV. 11-5, 219 B), osservando che solo le cose che sono nel

tempo possono essere misurate, ma «Dio non si muove affatto,

e perciò non può esser misurato dal tempo; né Egli esiste "pri­

ma o dopo" né non esiste più dopo esser esistito, né può tro­

varsi in Lui successione alcuna [ ... ] ma Egli ha l'intera Sua esi­

stenza simultaneamente (simu[); e quella è la natura (ratio) del-

1' eternità»; e conclude con Salmi 101:13 (102:12): «Ma tu, Si­

gnore, durerai per sempre», e 28 (27): «Ma tu sei lo stesso, e i

tuoi anni non hanno fine». Cfr. BG. IL 20: «Né essendo dive­

nuto, cesserà mai di essere . .. »

Nella Summa Theologica I. 10, «Sull'Immutabilità di Dio»,

S. Tommaso distingue più pienamente tra tempo, eviternità ed

eternità. «L'idea del tempo consiste nella numerazione del pri­

ma e del dopo nel moto: del pari, l'idea dell'eternità consiste

nell'apprensione dell'uniformità di ciò che è fuori dal moto.

Inoltre, sono dette esser misurate dal tempo quelle cose che

hanno un inizio e una fine nel tempo[ ... ] Ma siccome ciò che è

interamente immutabile non ha alcuna successione, così non ha

né inizio né fine [ . .. ] L'eternità è chiamata "intera" [tota], non

perché abbia parti bensì perché non manca di alcunché[ .. . ] L'e­

spressione "tutta in una volta" è usata per rimuovere l'idea del

tempo, e la parola "perfetta" per escludere l'ora del tempo

[ nunc temporis J ... L'ora che sta [ nunc stans] è detto fare l' eter-

97

Page 50: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Tempo ed eternità

nità10 ••• L'eviternità [aevum] differisce dal tempo e dall'eternità

in quanto medio tra loro due ... Gli angeli, che hanno un essere immutabile quanto alla loro natura ma mutevolezza quanto alle loro scelte[ .. . ] sono misurati dall'eviternità [ ... ]Il tempo ha un prima e un poi; l' eviternità non ha in se stessa né un prima né un poi, i quali, tuttavia, possono esserle connessi; mentre l' eter­nità non ha né prima né poi, né è compatibile con essi in alcun modo. (Ma) l'eviternità è talvolta presa come "secolo" [saecu­lum], cioè il periodo di durata d'una cosa; e così diciamo "molti evi" quando intendiamo "molti secoli"».

«Eviternità» è quindi un termine che potrebbe applicarsi al­la vita degli dèi indiani «nati con una vita (ayus, cfr. ciu:hv) 11 di "mille anni"; proprio come uno potrebbe vedere in lontananza l'altr~ "sponda", così essi videro l'altra "sponda" della loro vi­ta» (SB. XL 1. 6. 15, cfr. TS. V. 7. 3 sg.); la loro «non morte» (amrtattva) contrasta, da un lato, con quella dell'uomo che vi­ve cent'anni - cioè «non muore» prematuramente - e, dall'altro, con l'immortalità senza tempo di Brahma.

Inoltre (Sum. Theol. I. 10. 6) «il tempo è uno». Non perché sia un numero; «infatti il tempo non è un numero astratto dalla cosa numerata12

, ma esiste nella cosa numerata; altrimenti esso non sarebbe continuo; poiché dieci misure di stoffa sono conti­nue non in ragione del numero (dieci) bensì della cosa numera­ta». La posizione è proprio aristotelica: il pezzo di stoffa non cessa di essere tale alla fine di ciascuna misura di stoffa per poi iniziare di nuovo; è un unico pezzo di stoffa: e così è nel caso di qualsiasi estensione di tempo o di spazio. Il tempo e lo spazio sono continui. Entrambi, come l'unità numerica, sono infinita­mente divisibili.

«Esamina», dice S. Agostino, «i mutamenti delle cose e tro­verai dappertutto il "fu" e il "sarà". Pensa a Dio e troverai l"'è" dove il "fu" e il "sarà" non possono essere [ ... ] Essere è un ter­mine per l'immutabilità [ ... ]Vi sono una vita prima e assoluta, nella quale non si. dà che una cosa sia l'esistere, un'altra l'essere, bensì essere ed esistere sono la stessa cosa; e un'intelligenza pri­ma e assoluta, nella quale non si dà che una cosa sia il vivere,

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un'altra il comprendere, bensì comprendere è vivere, ed è esse­re e tutte le cose sono uno» (In Joan. Ev ang. XXXVIII, 10; s :rmo, VII. 7; De Trin. VI. 10. 11). Inoltre, in Dio «nulla è pas­sato come se non fosse più, nulla è futuro come se non fosse an­cora. Qualunque cosa sia lì, semplicemente è» (In Ps. _l,01, Se~; mo, II. 10). E: «Che cos'è [sempre] lo stesso, se non c10 che e .. [ . .. ] Nessuno ha [sempre] lo stesso per sé [ ... ] il corpo che egh ha non è [sempre] lo stesso [ ... ]Nemmeno l'anima_ umana re~ta [la stessa] [ . .. ] La mente stessa dell'uomo, che è ch1ama~a raz10-nale, è mutevole, non è [sempre] la stessa . .. "Ma Tu sei semp~e lo stesso" (Salmi, 102. 27 sg.) . .. L'uomo in se stesso non è, p01-ché muta e si altera se non partecipa di Colui "che è [sempre] lo stesso". Egli è quando vede Dio. Egli è quando vede Colui CHE È u; e vedendo Colui CHE È, egli inizia, secondo la sua misura, a essere[ . .. ] Ma come?[ .. . ] Attraverso la carità» (In Ps. 121)M. , ,

Forse ancor più sorprendenti queste sue espress10m: «Os-serva che parliamo e diciamo: "in quest'anno''. .. Di' piuttosto: "oggi", se vuoi parlare di qualcosa nel "presente''. . . Questo, pure, correggilo, e di': "in quest'ora". Ma di_ "quest'~ra" che cos'hai? Alcuni dei suoi momenti sono passati, e quelli nel fu­turo devono ancora venire. Di': "in questo momento". Ma in quale momento? [ ... ] Che cos'abbiamo dunque di questi "an-ni"?» (In Ps. 76. 8).

. Il tempo e l'eternità sono stati mirabilmente di_sc.u~si da_ Boe­zio, il quale è spesso citato da S. Tommaso. Per imz1are, m. D~ Trin. I. 4 egli osserva che «Dio è "sempre" (semper) po1che "sempre" è con Lui un termine di tempo presente, e c'è questa grande differenza tra l"' ora" che è il nostro prese~te e (l"' ora" che è) il presente divino: il nostro "ora" connota il tempo che cambia e la sempiternità; mentre l'"ora" di Dio permanente, immobile e autosussistente fa l'eternità. Aggiungi semper a ae­ternitas e otterrai l"' ora" che sempre fluisce, incessante, e per­tanto il corso perpetuo del tempo che è la "sempiternità"»; ~ dubita che il "sempre" di Dio sia in qualche modo una forma d~ tempo. In De consol. V. 6 egli nota che il giudizio comune d1

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......

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Tempo ed eternità

coloro che vivono con la ragione è che Dio è eterno (aeter­num )",e così «consideriamo ciò che è l'eternità[ ... ] È il posses­so totale e perfetto di una vita interminabile tutta in una volta (tota simul) [ ... ] mentre non v'è nulla nel tempo che possa ab­bracciare la totalità della vita in una volta [ ... ] Infatti una cosa è vivere una vita interminabile (che è quanto Platone attribuisce al mondo) 16

, altro abbracciare la totalità di una vita interminabi­le presente in tutta la sua complessità». Dei momenti transitori del tempo egli dice che in un certo modo essi imitano l'ora che sta immutabile, cosicché a ogni momento una cosa «sembra es­sere». E così, «seguendo Platone, chiamiamo Dio "eterno" e il mondo "perpetuo" (perpetuum)». Poi sottolinea che la (cosid­detta) «prescienza» di Dio dovrebbe chiamarsi «la conoscenza di un istante che non viene mai meno (piuttosto) che una pre­scienza, come se concernesse il futuro. Di conseguenza si chia­ma non previdenza (praevidentia) bensì provvidenza (providen­tia)17, poiché, posta lontano dalle cose inferiori, essa sorveglia tutte le cose, per così dire, dalla vetta più alta delle cose [ . . . ] e così non disturba la qualità delle cose che rispetto a Lui sono presenti, ma che rispetto al tempo sono future».

Su queste basi Boezio è in grado di trattare efficacemente il problema del libero arbitrio e della «pre»-destinazione. Infatti «Dio osserva le cose "future" che procedono dal libero arbitrio (non come future bensì) come presenti»; e la libertà di volere o non volere non è messa in dubbio da questa presente ispezione o sorveglianza più di quanto gli atti di un uomo in un campo lontano siano controllati dal nostro osservarlo mentre egli agi­sce.

Per comprendere ciò più appieno va ricordato che, come Boezio ha già detto (V. 1 ), «la libertà di volere o non volere» è l'opera della ragione; mentre il cosiddetto atto di scelta secondo il quale «facciamo ciò che ci piace» non è affatto l'esercizio del libero arbitrio bensì una reazione irrazionale e passiva a stimoli esterni; e che, come dice S. Tommaso, l'operazione della ragio­ne o della mente 18 (nella misura in cui quest'ultima agisce real­mente) è «di là dal tempo». Discutendo del «fato », Boezio ha

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già (IV. 6) paragonato il tempo alla circonferenza di un cerchio il cui centro (punctum medium)19 è l'eternità20

, ed evidenziato che «ogni cosa è tanto più libera dal fato, quanto più si avvicina al cardine (cardo)21 di tutte le cose; e se aderisce saldamente alla stabilità della Mente Superna, essendo libera dal movimento, essa trascende anche la necessità del fato »: cioè, sfugge all'effi­cacia causale degli atti, i quali «hanno luogo» solo nel mondo, al quale il Liberato non appartiene più, benché possa ancora es­sere in esso. In altre parole, i movimenti del libero arbitrio sono reali, ma il loro evento è ex tempore'2: e il fatto che ci sembrino essere passati o futuri è solo l'effetto delle nostre posizioni rela­tivamente all'Ora dell'eternità.

Meister Eckhart: «Dio crea l'intero mondo ora, in questo stesso istante (nu alzamale). Tutto ciò che Dio fece seimila e più anni fa quando creò il mondo, Dio lo fa istantaneamente (alzamale) ora[ .. . ] dove il tempo non è mai entrato, e nessuna forma è mai stata vista [ ... ] Parlare del mondo come creato da Dio ieri o domani sarebbe una follia in noi; Egli crea il mondo e tutte le cose in questo Ora presente (gegewurtig nu) [ ... ] ciò che era mille anni fa e ciò che sarà fra mille anni da adesso, tut­to questo è lì nel presente - tutto ciò che è lì così come ciò che è qui» (Pfeiffer, pp. 190, 192, 207, 266, 297). Inoltre, «nell' eter­nità non c'è né prima né poi [ . . . ] Che si possa noi vivere in quell'eternità, così aiutaci Dio!» (ivi pp. 190, 192). Con queste parole Meister Eckhart riassume quanto più concisamente pos­sibile la dottrina del Tempo (tempo) e dell 'Eternità (Tempo) che abbiamo già seguito attraverso due millenni; ed egli ne af­ferma l'importanza per noi - «è per questo che io sono nato» (Pfeiffer, p. 284 ).

Ancora, «c'è una potenza nell'anima, non tocca dal tempo [ . . . ] poiché Dio stesso è in questa potenza come nell'Ora eter­no (in dem ewigen nu). Se lo spirito fosse sempre unito a Dio in questa stessa potenza, l'uomo non potrebbe mai invecchiare. Poiché l'Ora in cui Dio fece il primo uomo, e l'Ora in cui l'ul­timo uomo trapasserà, e l'Ora in cui io sto parlando adesso, so­no tutti lo stesso in Dio nel quale non v'è che un solo Ora[ ... ]

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Tempo ed eternità

un'unica e medesima Eternità [ ... ] Prendi le prime brevi parole

(di Giov. 4:23) venit bora et nunc est. Chi vuole adorare il Pa­

dre (in ispirito e verità) deve porlo nell'Eternità con le sue aspi­

razioni e le sue speranze. C'è una parte dell'anima, quella più

elevata, che sta sopra il tempo e non conosce alcunché del tem -

po né del corpo. Tutto ciò che accadde mille anni fa è, nell'E­

ternità, non più distante di quanto lo sia questa stessa ora in cui

sono ora; né è il giorno a venire fra mille o moltissimi anni da

considerarsi più distante di quanto lo sia questa stessa ora in cui

sono ora» (Pfeiffer, pp. 44-5, 57).

Così anche quando parla del mondo come di un «cerchio»23,

centrato in Dio, le cui opere sono la sua circonferenza: «Questo

è il cerchio sul quale l'anima gira in tondo, tutto ciò che la Santa

Trinità ha operato [ ... ] e, com'è detto nel Libro dell'Amore,

"Quando scopro che è sempre senza fine, allora mi lancio verso

il centro del cerchio (daz punt des zirkels)" ... Quel punto è la

potenza della Trinità, dove essa ha compiuto tutte le sue opere

restando essa stessa immota. Lì, l'anima diventa onnipotente

[ .. . ]così uni-ficata (geeiniget), essa è capace di ogni cosa[ ... ] il

punto essenziale, dove Dio è tanto lontano quanto è vicino a

, tutte le sue creature24 ... lì essa in-siste eternamente» (ewikliche

dar bestetiger w irt, Pfeiffer, pp. 503-504). È di questo punto

che parla S. Bonaventura, quando paragona Dio a una sfera il

cui centro è dappertutto (ltin. mentis, V); è il punto, a cui la pri­

ma rota va dintorno di Dante; e il bindu, che segna il centro di

ogni mar:z. - </,ala e yantra indiano.

E, ancora, per quanto concerne questo Punto, che è il Punto

del Tempo, «per conoscerlo dobbiamo essere in esso, di là dalla

mente e al di sopra del nostro essere creato; in quel Punto Eter­

no dove iniziano e terminano tutte le nostre linee, quel Punto

dove esse perdono il loro nome e ogni distinzione, e diventano

uno con lo stesso Punto, e con quello stesso Uno che il Punto è,

eppure restano sempre in se stesse nient'altro che linee che giun­

gono al termine» (Ruysbroeck, De septem custodiis, cap. 19).

Tutto questo simbolismo è legato alla dottrina che identifica

le persone della «pluralità di Dèi» (Vi5ve Deva&, cioè la gerar-

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Cristianesimo e pensiero moderno

chia degli Angeli, Intelligenze o Potenze), e parimenti i Giusti

Deceduti, con i raggi del Sole Intelligibile25: come, per esempio,

in RV. I. 109. 7: «Ecco quegli stessi raggi con i quali gli Antena­

ti si unirono»; X. 64. 13: «Ci siamo incontrati nel centro, dove

Aditi conferma la nostra parentela»; SB. I. 9. 3. 10: «I raggi di

Colui che splende là sono i Perfetti (sukrta&)26, e la luce che lì è

più alta, quella è Prajapati», e II. 3. 1. 7: «I raggi, invero, sono i

Molti Dèi, e la luce che lì è più alta, quella è realmente Prajapa­

ti, o Indra»27; «Secondo la teoria della processione per mezzo

delle potenze, le anime sono descritte come raggi» (Plotino,

Enneadi, VI. 4. 3), e «Lì tu ricadrai nel tuo Centro, un Raggio

cosciente di quell'eterno Tutto» (Mantiqu't Tair). Si osserverà

che ciò, insieme al concetto di «movimento a volontà» (entrare

e uscire), preclude qualsiasi interpretazione panteista nel senso

eretico della parola28; se non vi fosse molteplicità nell'unità,

«entrare e uscire» sarebbero privi di significato: ciò che la dot­

trina implica è una «fusione senza confusione» o «distinzione

senza differenza» (bhedabheda) - un'estremità di qualunque

raggio è confusa col suo centro, l'altra è distinta da esso, e i

Perfetti sono entrambe. Dante, 'quando parla dell'Eternità, fa spesso riferimento a

questo «punto (o momento) essenziale». Tutti i tempi sono

presenti a Esso («il punto a cui tutti li tempi son presenti», Pa­

radiso, XVII. 17); là «dove s'appunta ogni ubi e ogni quando,

Par. XXIX. 12). «La natura del mondo, che quieta il mezzo e

tutto l'altro intorno move, quinci comincia come da sua meta»

(Par. XXVII. 106)29; e «Da quel punto depende il cielo e tutta la

natura» (XXVIII. 41). È un punto di luce fiammeggiante, e «di­

stante intorno al punto un cerchio d'igne si girava sì ratto, ch'a­

vria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne» (XXVIII.

25)3°, e questo cielo «non ha altro dove che la mente divina»

(XXVII. 109)31; «Ivi è perfetta, matura e intera ciascuna disian­

za; in quella sola è ogne parte là ove sempr' era, perché non è in

loco e non s'impola [ ... ] onde così dal viso ti s'invola» (XXII.

64 ). Dice, inoltre, «né prima né poscia procedette lo discorrer

di Dio sovra quest'acque» (XXIX. 20) - e, per citare Filone,

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Tempo ed eternità

«allora si esclude la nozione che l'universo sia venuto all'esi­stenza "in sei giorni"» (LA. I. 20): «A ogni istante il mondo è rinnovato, la vita giunge sempre nuova» (Rum!, Mathnawi, I. 1142) .

«Non s'impala», cioè non ha contrari, o coppie di opposti: questo è «il Paradiso in cui Tu, Dio, dimori», e il cui muro, co­me dice Nicola Cusano, «è costruito con i contrari» - fra i quali il passato e il futuro sono, dal presente punto di vista, la coppia più significativa, «velandoci dalla visione di Dio» (Rum!) - e chiunque voglia entrare deve prima vincere l'altissimo Spirito della Ragione che custodisce l'angusto passaggio che li distin­gue (De vis. Dei, cap. 9)32

• Questi contrari, di cui è fatto il mon­do creato, sono le Simplegadi, che devono essere oltrepassate da ogni viandante diretto a casa. Inoltre, Nicola Cusano dice: «Qualunque cosa sia da noi vista nel tempo, tu, Signore Iddio, non la preconcepisti così com'è. Poiché nell'eternità in cui tu concepisci33

, tutta la successione temporale coincide in un unico e medesimo Ora Eterno. Così non vi è nulla di passato o futuro là dove passato e futuro coincidono nel presente [ ... ] Invero Tu, mio Signore, che sei Tu stesso Eternità assoluta, sei, e pro­nunci (la Tua Parola) di là dal tempo» (De vis. Dei, cap. 10). E così: «Attraimi, o Signore, ché nessuno può raggiungerti se non viene attratto da Te; liberami da questo mondo e congiungimi (jungar, rad. sanscr. yuj, siiyuja) a Te, Dio assoluto, nell'Eter­nità della Vita Gloriosa. Amen» (De vis. Dei, cap. 25).

A questo punto sarà opportuno considerare brevemente la curiosa resistenza che la mentalità contemporanea oppone al concetto di un essere statico che sia definibile solo negando ogni affermazione limitante, ogni procedere da una esperienza all'altra. L'aspetto che più colpisce in questa resistenza è il fatto che sia quasi sempre basata su sentimenti: la questione della ve­rità o della falsità di una dottrina tradizionale non viene quasi mai sollevata, e tutto ciò che sembra importare è se la dottrina piaccia o meno. Questa è la sentimentalità di coloro che piutto­sto che arrivare a una mèta preferirebbero procedere non sino a raggiungerla ma «per tutto il tempo», e che confondono la loro

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Cristianesimo e pensiero moderno

attività, che è solo un procedere non finito dalla potenzialità al-

1' atto, con l'essere in atto. Così R.A. Nicholson dichiara che «per le nostre menti gli

atomi, che non hanno estensione alcuna nello spazio o nel tem -po, sembrano alquanto insostanziali» (Studies in Islamic Mysti­cism, 1921, p. 154). L'obiezione può riferirsi specialmente agli atomi ash'ariti come costituenti delle grandezze reali, ma si ap­plica altresì all'unico Tempo Atomico o Ora dell'Eternità che abbiamo considerato. Come osserva W.H. Sheldon: «Gli uomi­ni sentono che ciò che non è esprimibile in termini temporali è privo di significato»: ma, continua, «la nozione di un essere sta­tico e immutabile andrebbe compresa piuttosto come un pro­cesso così intensamente vivo, in termini temporali estremamen­te veloce, da comprendere insieme inizio e fine » (M odern Schoolman, XXI. 133). Non possiamo né dobbiamo, in effetti, ignorare che coloro che parlano di un essere statico, immutabi­le e senza tempo essendo al di sopra della parzialità del tempo, ne parlano anche come di un'immediata esperienza beatifica e del possesso di tutte le cose che sono state o che saranno nel tempo (per non menzionare la realizzazione di altre possibilità che non sono possibilità di manifestazione nel tempo): non è una «vita» minorata bensì una vita più grande che sussiste nel «nulla» che abbraccia tutte le cose, senza essere «nessuna» di loro. Allo stesso modo gli uomini si ritraggono di fronte al Nirvar:ia (lett. «despirazione» ), benché sia proprio alla defini­zione di Nirvana dire che «colui che lo trova, trova tutto» (sab­bam etena labbhati, KhP. 8) e che esso è la «beatitudine supre­

ma» (paramah sukham, Nikiiya, passim)! «Il tempo eterno» (il Tempo, distinto dal tempo che fugge),

come dice Boezio, «è il possesso totale e perfetto della vita in­terminabile nella sua simultaneità». La risposta a ciò che gli uo­mini «sentono» quando rifuggono dall' «eternità» - proprio co­me rifuggono dalla «negazione di sé», che li impressiona solo perché non hanno distinto, in loro stessi, tra il Sé che «non di­venne mai alcuno» e l'incostante Ego di «quest'uomo, il Tal dei Tali» - si trova in parole come quelle di Meister Eckhart: «Pos-

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Tempo ed eternità

sedere tutto ciò che ha essere, che è ardentemente da desiderare e che porta gioia; possederlo simultaneamente e totalmente (zemale ungeteilet) nell'anima intera, e ciò in Dio, rivelato nella sua perfezione svelata, dove dapprima sboccia34, e nel fondo della sua essenza, interamente colto lì dove lo coglie Dio stesso - questa è la felicità. Ancora un'altra Pienezza del Tempo: se qualcuno avesse l'arte e il potere di raccogliere il tempo e tutto ciò che accadde in seimila anni o che accadrà sino alla fine del monda35

, tutto ciò sintetizzato in un unico Ora presente (ein gegenwertic nu), questo sarebbe la "pienezza del Tempo". Quello è l'Ora dell'Eternità (daz nu der ewikeit), quando l'ani­ma conosce tutte le cose come sono in Dio, nuove e fresche e care, come io le trovo ora» (Pfeiffer, p. 105 ).

Tale è quella Pienezza, che, come dicono le Upani~ad, «to­gliendole la Pienezza, Essa resta nondimeno Piena» (BU. V. 1). Nessun Sufi, nessuno in samadhi36, nessun mistico occidentale, raptus, si è mai sentito sminuito dal suo «momento d'illumina­zione». Vedere «il mondo in un granello di sabbia, e l'eternità in un'ora» - se fosse concesso - per chi non sarebbe abbastan­za? La libertà di essere come e dove e quando si vuole, o dap­pertutto, o in nessun luogo - una simile libertà implica forse una privazione solo perché la parola in-dipendente enuncia un bene positivo nei termini di una libertà da tutte le limitazioni

' l'esistenza delle quali è inseparabile da qualsiasi forma di esi-stenza nel tempo e nello spazio? Come si fa a «sentire» che qualcosa manca in un' «eternità» che, per definizione, «di nulla è manchevole»? In questo «onni-conseguimento» (sarvapti) 37

non resta alcun desiderio insoddisfatto; né si può immaginare di essere «senza desideri» se non quando tutti i desideri sono soddisfatti, poiché allora il desiderio riposa nel suo oggetto. È una questione d'esperienza per coloro che ne parlano con tale certezza, e coloro che vivranno come essi hanno vissuto ve-

' dranno ciò che essi hanno visto; ma quanto agli altri, una tale esperienza è da evitare o da desiderare ?38

Qui, dato che «il cambiamento è una morte» - come ricono­scono Platone (Eutidemo, 283 D, cfr. Parmenide, 163 A B)

. ' '

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Meister Eckhart e l'intera nostra tradizione - ogni incontro è il primo incontro, e ogni distacco è per sempre. Gli incontri e i distacchi (di cui nascita e morte sono null'altro che casi specia­li) sono possibili solo nel tempo, e ci rallegrano o addolorano solo perché «noi» siamo o, meglio, ci identifichiamo erronea­mente con i tabernacoli psico-fisici e mutevoli che il nostro Sé assume, e riteniamo così di essere creature del tempo. È in quanto creature del tempo che ci addolora l'appassire dei fiori e la morte degli amici. Gli uomini provano tali e tal altri desideri o amori (kama~) ed essi «sono reali (o veri), ma coperti da fal­sità (o irrealtà) [ ... ] Poiché, invero, se muore uno dei suoi cari, non potrà più vederlo qui. Ma coloro che qui sono ancora vivi, e quelli deceduti, e qualunque altra cosa uno desideri senza ot­tenerla, tutto ciò egli lo trova quando entra lì» (CU. VIII. 3. 1, 2). Ciò non significa che «qui» e «lì» siano semplicemente, da un lato, qui e ora, e, dall'altro, lì e dopo (post r;zortem); poiché l'universo stesso, «tutti gli esseri e tutti i loro desideri sono con­tenuti (samahitaM39 in questa "Città di Dio" (il corpo vivente), nell'etere del cuore40

• Ma cosa resta (ati§ i~yate )4' della "città"

quando è vinta e distrutta dalla vecchiaia ?42 Ciò che ne resta è la vera (o reale) "Città di Dio "43

- il Sé44 senza angoscia, senza età, immortale, il cui desiderio è vero (o reale), i cui concetti sono reali45

••• Coloro che se ne vanno via avendo già trovato (o co­nosciuto) qui il loro Sé e quei desideri (o amori) veri, "si muo­vono a volontà" in ogni mondo» (CU. VIII. I. 1-6)46

• E questo concetto delle «due città» e dei desideri veri e falsi si trova in S. Agostino, ma prima di lui, in Platone: infatti «ci sono nelle ani­me degli uomini falsi piaceri, imitazioni o caricature di quelli veri» (Filebo; 40 C), dei quali i falsi piaceri ('JfeU8€tç 'ft8ova1) so­no affezioni, mescolate con il dolore, e quelli veri (àÀT]8e1ç)41 so­no quelli che vengono colti nella bellezza, soprattutto come manifesti nelle forme matematiche, e quelli dell'apprendimen­to48, nei quali non c'è commistione di dolore (Filebo; 51). Se­condo Platone e S. Agostino, nel mentre pensiamo alle cose eterne, alle cose che non mutano, partecipiamo dell'eternità. L'eternità non è distante da noi, ma più vicina del tempo, le

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·-

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Tempo ed eternità

estremità del quale sono invece realmente lontane una molto davanti e l'altra molto dietro a noi: ciò che è ver~, tuttavia, è sempre stato vero e sempre lo sarà. «Verità», nel Brahmanesi­mo, Buddhismo, Islam e Cristianesimo è, così come Eternità uno dei nomi di Dio, ed è solo la nostra dimenticanza che ci f~ pregare così: «O tu che non muti mai, dimora con me», come un Sufi che desidera rendere ~al il suo waqt. Se il fondamento eterno dell'esistenza - dhamma - è sia qui e ora (d#the dham­me) che senza tempo (akaliko ), sarebbe meglio vedere cosa si prova a «sen:irlo» qui e ora, prima di «sentirsi» così spaventati da esso. Se, mvero, non partecipiamo dell'eternità ora, forse non lo faremo mai49

~siste un altro modo in cui si può suggerire la natura dell' e­spenenza dell'eternità. Si può assumere che una data mente non possa p~nsare ~ più di un~ cosa alla volta. Ma ciò non significa che la vita dell mtelletto sia solamente aritmetica. Anche il dare nomi alle cose, che è un potere intellettuale, è l'attribuzione a molti eventi successivi di un tipo di identità permanente (in realtà ~na ~seudo-~dentità) al di fuori del tempo; senza di ciò, la comumcaz1one dei sentimenti sarebbe possibile ma non la co­municazione dei pensieri; la qual cosa indica già che il mondo intelligibile ha più a che fare con l'eternità che con il tempo. E allo stesso modo spazialmente, si consideri la complessità del-1' arte nell'artista, cioè della forma nella mente dell'artista, nella quale questa forma singola, benché una, è la forma di molte cose che p~trebbero essere e saranno in seguito pensate separate. Per esempio, nel pensare a una «casa», si pensa anche a molte altre c~~e, almeno al pavimento, alle pareti e al soffitto. Un esempio pm complesso è offerto dal ben noto, benché affatto unico esempio di Mo~art, che udiva le sue composizioni non frase pe; frase: ~a dappnma come un totum simul, e riteneva che questa «au?1~10ne ~eale di tutto insieme» fosse migliore della successiva audlZl~n.e di tu~to per esteso. L'esempio più complesso è quello della v1S1one di Dante della «forma universal» del quadro del mondo50, della quale egli dice: «Nel suo profondo vidi che s'in­terna legato con amore in un volume51, ciò che per l'universo si

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Cristianesimo e pensiero moderno

squaderna: sustanze e accidenti e lor costume, qua~i conflati in­sieme52, per tal modo che ciò ch'i' dico è ~n se~phce lume[ ... ] A quella luce cotal si diventa, che volgersi da 1:1 per altro aspet­to è impossibil che mai si consenta» (Paradiso, . XXJi_CIII. 85-100). Si può pensare anche all'operazione immediata di un «g~­nio matematico»; e alla visione di un Buddha, che «non opera m termini di composti» ma si posa dove vuole, «proprio c?me .uno potrebbe saltare la sequenza di un testo, gi~ng:ndo subito dire:­tamente al punto» (Vism. 411 ). C'è anche il mistero della possi­bilità della comunicazione delle idee da una mente apparente­mente circoscritta a un'altra, difficilmente comprensibile se non assumendo un qualche elemento trascendente comune .a en­trambe53. E, infine, c'è il fatto che esiste «una conoscenza smgola di cose contrarie», delle quali l'intelletto può essere consapevol: allo stesso tempo, quando, per esempio, cons.ide~a ~'idea di «temperatura», nella quale sono incluse le noziom di caldo .e fredda54• Da ciò si può avere un indizio su ciò che potrebbe ~i­gnificare essere «liberati dalle coppie di opposti», per esemp10, da una conoscenza in termini di passato e futuro, che, come ab­biamo visto «velano da Dio». E benché l' onniscienza non sia affatto qua~titativa, e nemmeno una mera accumulazione .di c~­noscenza di cose, resta comunque valido che la potenza smottl­ca e sintetica dell'intelletto meramente umano ci fornisce un'a­nalogia di ciò a cui potrebbe assomigliare il. v:dere ~ conoscere tutte le cose in una volta, senza contrapposiz10ne di soggetto e

' • 55 oggetto, anzi, là dove «conoscere ed ~s~ere ~ono un umca. co.s~» . Non si immagina che l'Intelletto Divmo sia una sorta di diz10~ nario ma piuttosto una Parola o una Forma che è la forma di molt; cose differenti, per usare il linguaggio dell'esemplarisma5

6

• In conclusione, benché molto possa aggiungersi a ciò che è già stato detto57, seguirò soltanto la pers~stenz~ del c?~c.e~to tradizionale di tempo ed eternità in alcum poeti metafisici m-glesi. Per esempio, Herrick:

O Anni! e Secoli! Addio, guardate, io vado là dove so

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Tempo ed eternità

dimorare l'Infinito

e lì i miei occhi vedranno

tutti i tempi, e come

si perdono nel Mare

della Vasta Eternità

dove mai la Luna inghiottirà

le Stelle; ma Lei, e la Notte, saranno

annegate in un Giorno senza fine58•

La seconda strofa di Herrick combina il pensiero di J oshua Syl­

vester -

Oggi, Domani, Ieri

presso di Te non sono che un istante

con Angelo Silesio:

Wenn du das Tropflein wirst im grossen M eere nennen

Denn wirst du meine Seel'im grossen Gott erkennen59;'

e anche il magnifico Testamento di Labadie:

«Consegno con tutto il cuore la mia anima a Dio, restituen­

dola come una goccia d'acqua alla sua fonte, e mi rimetto a Lui

con fiducia, pregando Dio, la mia origine e il mio oceano che

egli mi prenda in Se stesso e mi inghiotta eternamente nell'A­

bisso dell 'Essere60».

Questo tema ben noto - «la rugiada scivola nel mare splen­

dente» - ha, come l'analogo concetto delle scintille del fuoco

divi~o che sor~ono da esso e a esso ritornano, e come quello

dell esule che ntorna a casa, un lungo rcapaòocrtç, rintracciabile

attraverso Ruysbroeck6 1, Meister Eckhart62 e Dante63, sino alle

fonti greche in Occidente, e, in Oriente, ai ~iifi, particolarmen­

te Shams-i-Tabri'.?64 e Riimi65

, e alle fonti buddhiste66, vediche67 e

a~che cinesi68

• Per esempio, nella Pra§na Upani~ad VI. 5 (di cui

s1 trova una versione buddhista che ne è un equivalente quasi

letterale nell'Ariguttara Nikaya, IV 198) troviamo:

110

Cristianesimo e pensiero moderno

«Proprio come i fiumi che scorrono verso il mare,. raggi~n­

gendolo tornano a casa, e i loro nomi-e-for~e. sono. distr~ttt, e

si parla solo del "Mare", proprio così le sedlCl parti (kala) del

Testimone (paridra?tr) che procedono verso la Person~ (pu­

ru?a)09, allorché raggiungono la Persona, tornano a casa: i loro

nomi-e-forme sono distrutti, e si parla solo della "Persona".

Colui (che comprende ciò) diventa allora senza parti (akala),

immortale [ ... ] Colui sul quale le parti sono stabilite, come i

raggi infissi nel mozzo della ruota, è Lui che io_ conosco -~ome la

Persona che va conosciuta - che la morte non v1 tormenti.»

Come ultima illustrazione dell'universalità delle idee che

abbiamo discusso sopra citerò Jan Ruysbroeck:

«Poiché se possediamo Dio nell'immersione dell'amore -

cioè se siamo persi a noi stessi - Dio è nostro e noi siamo su_oi:

e affondiamo eternamente e irrimediabilmente nel nostro umco

possesso che è Dio [ ... ] E questo af!ondare è come un !iu1;1~

che senza pausa né ritorno sempre s1 versa nel mare; potehe e

questo il suo proprio luogo di riposo» (The Spark_ling ~ton~,

cap. 9). «E ciò avviene di là dal tempo; cioè senza pnma ne po1,

in un Eterno Ora [ ... ] la casa e l' inizio di ogni vita e di ogni di­

venire. E così tutte le creature sono lì dentro, di là da se stesse,

un unico Essere e un'unica Vita con Dio, come nella loro Ori­

gine Eterna» (The Book of Supreme Truth, cap. 10).

Abbiamo seguito, per quanto possibile, la storia dei signifi­

cati dei concetti di tempo ed eternità: l'uno, nel quale tutte le

cose vengono e vanno, e l'altra, in cui tutto sta immutabile.

Possiamo accettare questi significati come stabiliti, senza met­

terli in discussione, solo se vogliamo preservare l'integrità di

questa trasmissione. Fuorché per chi sc~gli~ .di vivere. in un

mondo meramente esistenziale e senza s1gmf1cato, essi sono

sempre stati, e sempre saranno, parte integrante dell'esistenza

umana. Poiché «l'intuizione non spaziale e non temporale è la

condizione dell'interpretazione dello stesso mondo spazio-

111

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~ '

Tempo ed eternità

temporale» 70; «tutti gli stati d'esistenza, visti in principio, sono

simultanei nell'eterno ora [ ... ] (e) chi non riesce a sfuggire al punto di vista della successione temporale per vedere tutte le cose nella loro simultaneità è incapace della minima concezione d'ordine metafisico»71

: e nell' «esperienza unificata della realtà l'intero processo della creazione - dal Patto Primordiale sino alla Resurrezione - è un unico istante intemporale di automani­festazione divina» 72

OM NAMO ANANTAYA KALANTAKAYA!

112

Note

' Chi sono «i morti»? «Morto è l'uomo di ieri, poiché è morto nell'uomo di oggi, e l'uomo di oggi muore nell'uomo di domani» (Plutarco, Moralia, 392 D).

2 Questa «trasformazione» non si applica per nulla in maniera esclusiva al­la resurrezione dei corpi in un lontano futuro, ma (come nell'Islam) all'istante presente dell'illuminazione, quando «l'anima, che si trovava morta in un cor­po vivente, risorge» (S. Agostino, Sermo, LXXXVIII. 3. 3) o, come lo esprime S. Tommaso, al «primo istante al quale inerisce la grazia».

' A. Bowman, Studies in the Philosophy of Religion, 1938, II, p. 346. Cfr. René Guénon: «Colui che non riesce a sfuggire al punto di vista della succes­sione temporale è incapace della minima concezione d'ordine metafisico» (La Métaphysique orientale, Parigi, 1929, p. 17).

' «Pensa a Dio e troverai l'" è" là dove l"'è stato" e il "sarà" non possono essere» (S. Agostino, In ]oan. Evang., XXXVIII, 10).

5 «Subitamente (l:l;aiqivEç) risplendette una viva luce dal cielo» (Atti, 22,6); «Ecco, ora è il tempo favorevole, ecco, ora è il giorno della salvezza» \iooù, vùv Kmpòç EÙnpocr&K'toç, 'tlìoù vùv i]µÉpa crcoTI]piaç, II Cor. 6,2).

«Subitaneo» (sub-it-aneus) significa letteralmente «che va furtivamente»; e èiqivco ha anche il senso di «misteriosamente». Ritroviamo queste idee anche in India in relazione alla processione e all'immanenza divine; per esempio, in RV. I. 145. 4, dove Agni sadyo jatas tatsara, che Grassmann traduce «kaum gebo­ren schleicht» (appena nato, egli s'insinua furtivamente) - si potrebbe dire an­che «come un ladro nella notte»; cfr. Mm:içl. Up. I. 1. 6 e II. 2. 16: adresyam agrahyam [ ... ] susuksmam [ ... ] guhacara [ ... ] antafrarate bahudha jayamanah, e MU. II. 5: sa va esa suksmo' grahyodrsyah [ ... ] ihaivavartate.

Inoltre, a proposito di questa rapidità: «Nello stesso momento in cui Io (Dio) sono presente qui, sono anche là» (Filone d'Alessandria, Sacr. 68); «Esso (il voùç) non si è spostato come ci si sposta da un luogo a un altro, ma è là» (Ermete Trismegisto, XVI. 2. 19); «Uno, immobile, è più rapido della mente [ ... ]quello, stando immobile, supera quelli che corrono» (Isa Up., 4).

' L' «istante» di S. Tommaso è rigorosamente atomico, e il suo argomento poggia sul fatto che questi istanti non sono delle parti del tempo.

' Nelle cose sovratemporali nessun intervallo separa la causa dall'effetto e l'inizio dalla fine. Sarebbe interessante - dal punto di vista dell 'hermeneia non dell'etimologia, evidentemente - collegare «pentimento» a repente.

' «Il viaggio dello spirito non è condizionato dallo spazio e dal tempo» (Rum!, Mathnawl, III. 1980).

• In altre parole, «eviterna», come gli angeli, o, in quanto ragione, mortale, in quanto intelletto, immortale (benché il termine «ragione» sia talvolta usato nel senso di «intelletto» - del resto esso aveva in origine questo senso più ele­vato). Sulle «due menti» (mortale e immortale), cfr. A.K. Coomaraswamy, On Being in One's Right Mind in «Review of Religion», 7, 1942, pp. 32-40: «Me­tanoia» è un cambiamento, una trasformazione della mente.

" «L'ora del tempo è lo stesso, per quanto concerne il suo soggetto, nel-

113

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Note

l'intero corso del tempo, ma differisce in un aspetto [ .. . ] in quanto è qui e lì [ . .. ] Similmente il flusso dell'ora in quanto alternante nell'aspetto è il tempo.

Ma l'eternità resta la stessa sia secondo il soggetto che secondo l'aspetto. Per­

tanto l'eternità non è la stessa cosa dell'ora del tempo» (I. 10. 4 ad 2). Ciò è,

ovviamente, aristotelico, oltreché in accordo con Boezio.

" Etimologicamente affini, entrambe le parole possono significare sia «vi­

ta» che «evo». La radice di IE è I, «andare» (presente anche in àtwv, ÙEt, aevum,

aeternus, ewig, ever e aye); nel suo senso frequentativo, quello della continua­

zione in un dato stato, essa implica «esistere» o «essere». Quando Agni è con­

trapposto agli altri Dèi, quale «l'unico immortale», egli può esser chiamato an­

che vi5vayus, «la totalità della vita», e questa totalità è analoga alla pienezza

dell'«intera vita» (sarvam ayus) d'un uomo che non muore prematuramente.

Su à1wv (come ayus) quale periodo completo, di ogni vita particolare o di

tutta l'esistenza, vedi Aristotele, De coelo I. 9. 15; su à1wv e xp6voç, cfr. Filone, I. 496, 619 (Liddell and Scott).

12 Questo sembra esser stato il punto di vista di Guglielmo di Ockham: «Il

suo fine precipuo nel Tractatus de Successivis è di mostrare che il movimento il

luogo e il tempo non sono entità separate dalle rispettive realtà, cioè il cor~o mosso, il corpo localizzato e il corpo mosso nel tempo. Ockham pensa che que­

sta sia anche la vera opinione di Aristotele» (P. Boehner, The Tractatus de Suc­

cessivis attributed to William of Ockham, St. Bonaventura, N. Y. 1944, p. 30.

" «lo sono ciò che Io sono» è la versione greca di ciò che in ebraico faceva

in realtà: «lo divengo ciò che Io divengo»: il greco Lo considera come: «Lui è

in Se stesso», l'ebraico come: «Lui è in rapporto a noi», essendo divenuto «il

Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe». Entrambi i concetti sono comuni nella

tradizione vedica; da un lato, «"Egli è'', solo così può esser colto» (KU. VI.

13), dall'altro, «Tu, Agni, alla nascita sei Varu9a, e diventi (bhavasi) Mitra al­

lorché acceso» (RV. V. 3. 1) e «Egli divenne (abhavat) il Sole degli Uomini» (RV. I. 146. 4, cfr. Giov. 1:4).

" «Attraverso la carità»; per esempio, la pratica di maitri karuna mudita

upekkha nei brahma-v ihara buddhisti (cfr. il mio Figures of Speech o'r Figure;

of Thought, pp. 147-48); poiché, come dice Meister Eckhart: «Dio ama tutte le

creature allo stesso modo, e le colma del suo essere; e allo stesso modo noi do­

vremmo estendere il nostro amore a tutte le creature; e questo troviamo spesso

tra i pagani: l'aver raggiunto questo stato di pace ricca d'amore in virtù della loro comprensione naturale» (Pfeiffer, p. 273).

" Nell'edizione inglese curata da Loeb, malamente tradotto con «ev erla­

sting» (perpetuo). Per Boezio l'eternità è in-finita, cioè senza principio né fine,

ma certo non una durata: essa non «dura»: è il tempo che «dura».

" Non sembra necessario discutere il problema dell'«eternità del mondo»

nel presente contesto. Farò notare solamente che il «mondo senza fine » del

Cristianesimo sembra riferirsi in un senso al mondo (quello in cui il tempo

può esser detto «interminabile»), e in un altro senso a questo mondo (quello in

cui un dato tempo ha un inizio e una fine). Proprio come nella dottrina tradi­

zionale, vi sono cicli che iniziano e finiscono, ma la serie dei cicli non ha né inizio né fine.

114

Note

17 Il sanscr. prajiia, etimologicamente greco npovoia e latino pro-gnosis, è

attribuito all'onniveggente e onnisciente Sole e Sé spirituale: è la conoscenza di

tutte le cose, non derivata dall'osservazione dei loro eventi. 18 Entrambe qui nel senso di voùç, intellectus vel spiritus, come in S. Ago­

stino, De ordine, II. 19. 50: «Se la ragione è immortale [ ... ] e se io sono la ra­

gione, allora ciò per cui sono chiamato mortale non è mio»; non la ragione tal­

volta distinta dall'intelletto, come in S. Agostino, De Trin. XII. 15. 25: «Una

cosa è la cognizione intellettuale delle cose eterne, un'altra è la cognizione ra­

zionale delle cose temporali», o come in Boezio, D e consol. I. 6, dove egli parla

di se stesso come di un «animale razionale e mortale», ciò significando che ha

dimenticato che cosa egli stesso sia. 19 La «punta de lo stelo a cui la prima rota va dintorno [ ... ] da quel punto

depende il cielo e tutta la natura» (Dante, Paradiso, XIII. 11, XXVIII. 41);

«apri gli occhi [ ... ] e vedrai il tuo credere [ ... ] nel vero farsi come centro in

tondo» (Dante, Paradiso, XIII. 49). 10 «Ad id quod est id quod gignitur, ad aeternitatem tempus, ad punctum

medium circulus, ita est fati series mobilis ad providentiae stabilem simplicita­

tem». 21 Il punctum medium, chiamato sopra «indivisibile», cioè ihoµoç. 22 Né nel tempo né nell'eternità, ma fra i due; poiché il movimento deve

cessare allorché la mèta, il centro, è stato raggiunto; e così il movimento sarà,

figurativamente, spirale. Persino gli angeli decaduti non avrebbero potuto ca­

dere sino a che fossero sussistiti nella vita increata: senza una «creazione», che

necessariamente implica un qualche grado di «Separazione» dal centro, né la

Caduta né la Redenzione sono concepibili. Queste sono le due «metà» del ci­

clo dell'esistenza; ma nell'eternità I' «estroversione» e I' «introversione» coinci­

dono: e ciò garantisce realmente l'apocatastasi finale di ogni «scintilla caduta».

" L'6 'tpoxòç 'tiiç yevÉm:wç di S. Giacomo e il bhava-cakra indiano, il ciclo

del tempo. Sul simbolismo del cerchio, dr. Dionigi, De div. nom. V. 6; S.

Tommaso d'Aquino, De principio scientiae Dei, 14; René Guénon, Le symbo­

lisme de la croix; e il mio Vedic Exemplarism in HJAS, I, 1936, p. 45. " Satapatha Brahma11a, X. 5. 2. 17: «Sia vicino che lontano; poiché in

quanto Egli è qui sulla terra, nella carne, Egli è vicino, e in quanto Egli è Quel­

l'Uno in quel mondo, Egli è parimenti distante». " «Non il sole che tutti gli uomini vedono, ma Lui che pochi conoscono

con la mente», AV. X. 8. 14; per altri paralleli, vedi Psychiatry, VIII, 1945, .p.

288, nota 7. 26 «Quale Sé Perfetto (suki:ta = 'tÉÀoç), passai nell'increato mondo-di-Brah­

ma» (CU. VIII. 13). 27 Cioè il Sole stesso, rappresentato dal disco solare, la Porta del Sole. 28 Nel senso proprio, naturalmente, un «panteismo» è inevitabile: ché se

Dio fosse meno del Tutto, allora vi sarebbe qualcosa di esterno alla sua essen­

za, e pertanto egli sarebbe non infinito, ma limitato. 29 In questa metafora della corsa dei carri, un «circo», io credo che meta

non sia letteralmente il punto di partenza bensì il palo attorno al quale si com­

pie la svolta.

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Note

30 «L'imperituro Brahma, fiamma, più sottile del sottile, sul quale sono fondati i mondi e tutte le cose in essi» (Mui;i<;i. Up. II. 2. 2), «come una sfolgo­rante ruota fiammeggiante» (MU. VI. 24).

31 È solo in questo senso che Dio può essere pensato come un «luogo»: i:6-11oç nei testi gnostici, loka nelle Upani~ad.

32 Il Logos: «lo sono la porta, per me .. . » 33 Di questa concezione Meister Eckhart parla altrove come de «l'atto di

fecondazione latente nell'eternità» . Esso coincide con la nascita eterna del Verbo «per mezzo del quale tutto è stato fatto ».

34 In dem ersten uzbruche (al primo sboccio): così, non ancora manifestato (futuro) né ancora nascosto (passato), bensì non manifesto-manifesto (vyakyavyakta). Su questo stato di promessa perfetta ed eterno sboccio, lo stato di più alta tensione concepibile, che è anche il paradigma dell'arte ideale, vedi il mio Theory and Practice of Art in India in «Technical Studies», III. 1934, p. 75. Questo momento perfetto avviene ali' «Alba», dr. Mayura, Surya§ ataka XXVI: «Invero, al tempo dell'inizio, quando lo splendor del Sole, come il pennello del pittore, dischiude, come fosse (un occhio aperto o un fiore), il quadro dell'intero universo». È come la posizione dell'arciere al momento del­lo scocco, quando la freccia è sul punto di partire; e come nell'arte cinese, «l'i­stante rappresentato è la pausa prima che inizi l'azione, quando il corpo è (an­cora) teso» (H. Fernald nel Burlington Magazine, gennaio 1936, p. 26). È no­tevole che anche gli Shaker sostenessero che la bellezza più elevata sia quella «peculiare ai fiori» , non quella «che appartieI)e al frutto maturo».

35 Cioè attraverso tutto il tempo, nel senso allora generalmente accettato: o meglio, come potrebbe esprimerlo un Indù, attraverso tutti i tempi, dei quali la presente età del mondo è solo una. Lo stesso sarebbe valso per Origene.

36 Letteralmente ed etimologicamente, «sintesi» . 37 «Lo Spirito Vitale (pra17a) è il Sé Presciente (prajiiatman), insieme Vita e

Immortalità [ ... ] Chiunque si avvicini a Me quale Vita e Immortalità, vive in­teramente la sua vita in questo mondo, e ottiene l'immortalità inesauribile (ak~iti) nel mondo della luce celeste[ . .. ] Questo è ]"'Onni-ottenimento" nello Spirito Vitale» (Kau~. Up. III. 2. 3).

38 So che vi sono uomini moderni per i quali la soddisfazione di tutti i pos­sibili desideri non sarebbe sufficiente; di là da ciò, essi vogliono nutrire e cerca­re altri desideri non ancora soddisfatti. Sono coloro che non hanno mai com­preso cosa significhi accontentarsi di poco, e non riescono a immaginare uno stato di contentezza anche se fosse provvisto di tutto ciò che si può desiderare; sono uomini «che non vorrebbero vivere senza fame né sete se non potessero anche soffrire le conseguenze naturali di queste passioni» (Platone, Filebo, 54 E); uomini che dimenticano che non si può aggiungere altro all'infinito.

39 Samahita, «in samadhi»: lett. ed etimologicamente, «sintetizzato». 40 «Il regno di Dio è in voi». 41 La stessa domanda è posta in KU. IV. 3, V. 4, e si risponde: «Quello»,

cioè Brahma, Dio. Se S. Paolo potè dire: «Vivo, non già io, ma Cristo in me», che cosa sarà «rimasto» quando quest'uomo, Paolo, morì? «Il corpo dell'uo­mo è soggetto alla morte dominatrice, ma l'immagine dell'Eternità (a'uiivoç

116

Note

iiiùro;l..ov)' resta (Af:i11ri:m = atisi~yate) viva», Pindaro, Dirge, 131. 42 «Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella fu­

tura» (Ebrei, 13:14 ). 43 «Due amori hanno creato queste due città [ ... ] la terrena [ . . . ] e la celeste

[ . . . ] Pertanto lascia che ogni uomo si interroghi su ciò che egli ama; ed egli scoprirà di quale [delle due] è il cittadino» (S. Agostino, De civ. Dei, XIV. 28 e In Ps. LXIV. 2); e «Bene è che sanza termine si doglia chi, per amor di cosa che non duri, etternalmente quello amor si spoglia[ ... ] l'amor che drittamente spira» (Dante, Paradiso, XV. 10-13 + 2)

44 «[ ... ] il Sé autosussistente, senza desideri, giovane, che non invecchia e non muore, chi lo conosce più non teme la morte» (A V. X. 8. 44 ). Sulla «Città di Dio» (brahmapura), vedi AV. X. 2. 28-33 .

45 Le ultime parole, che descrivono il Sé, vengono ripetute e sviluppate ul­teriormente in MU. VII. 7.

«Gli oggetti degli amori terreni sono mortali, dolorosi, amori di ombre che cambiano e passano, poiché non sono questi quelli che amiamo in realtà, né il bene che in realtà cerchiamo. Ma l'oggetto vero del nostro amore è là do­ve possiamo essere con esso, coglierlo e realmente possederlo, dove non esiste copertura della carne che ci escluda [da esso]», Plotino, Enneadi, VI. 9. 9.

46 Come in Giov. (10:9): «Entrerà e uscirà e troverà pascoli»; TU. III. 10. 5: «Su e giù per questi mondi, mangiando ciò che vuole e assumendo l'aspetto che vuole»; RV. IX. 113. 9: «Dove il movimento è a piacere»; The Cloud of Unk­nowing, cap. 59: «[ . .. ] allora ci troveremo così rarefatti nel corpo e nello spiri­to, che saremo in grado di andare fisicamente in qualunque posto vorremo, con la stessa velocità con cui ora ci muoviamo da un posto all'altro con il pensiero».

47 '0 YE i:ò l\v ÀÉyrov KaÌ i:à l\vm i:ÙÀfJ0f] ÀÉ"(Et, (Parlare di ciò che è e delle cose che sono significa dire la verità), Eutidemo, 284 A;« Verum mihi videtur esse id quod est» (Mi sembra che sia vero ciò che è), S. Agostino, Soliloq. lib. II, c. V, n. VIII. Ma la verità dei fatti e la verità dei princìpi riguardano livelli diversi di riferimento. Il sanscr. satyam (rad. as, «essere»), «verità» o «realtà», può predi­carsi tanto relativamente delle cose temporali quanto assolutamente dell'essere immutabile. Per una discussione più piena vedi sopra nota 36 del capitolo sul Buddhismo.

48 Naturalmente non una mera erudizione, bensì «l'apprendimento che conduce l'anima dal divenire all'essere», conoscenza dell'«essenza che è per sempre, e non è fatta vagare tra generazione e distruzione» (Platone, Repubbli­ca, 485 B, 521 D): «Ogni vera conoscenza concerne ciò che non ha colore, non ha forma ed è intangibile [ ... ] non una conoscenza che ha un inizio e varia a seconda che sia associata con l'una o l'altra delle cose che noi ora chiamiamo "realtà", ma quella che è realmente reale» (Fedro, 247): «realmente reale» corri­sponde a satyasya satyam, paramartha-satyam, ens realissimum, i:ò l\vi:roç l\v.

49 BU. I. 4. 15, IV. 4. 14; CU. VII. 25. 2, VIII. 1. 6; BG. XVIII. 58. 50 Il «paradigma eterno» di Platone sul quale è modellato il mondo sensibi­

le, Timeo, 29; «Il quadro-del-mondo (jagac-citra) dipinto dallo Spirito (il Sé di tutti gli esseri) sulla tela dello Spirito, e nella quale esso prova gran diletto» (Sarikaracarya, Svatmanirupa17am, 95) - per Empedocle (Diels fr. 23) e per Pia-

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Note

tone (Timeo, 55 C) il Creatore dipinge, e nell'Islam è chiamato pittore (musawwir, Qur'iin, LIX. 24). Per dirla con Filone, il modello ideale della cosa che dev' esser è, per così dire, «incisa» nella mente dell'artefice ( Opif. XVI. 22).

51 Cfr. Empedocle (Diels, fr. 26): «Portato tutco insieme in un unico ordine dall'Amore».

" Insieme, ingl. «in-same», in quanto riguarda sia il tempo che lo spazio. «Il centro del vortice, dove tutte le cose vengono insieme, in modo da essere una sola» (Empedocle, Diel, fr. 35, 36); «Lì tutte le cose sono lo stesso e nondi­meno distinte; allo stesso modo in cui l'anima possiede la conoscenza di molte cose senza confusione, ciascuna portando a termine il proprio compito quando risulta necessario», com'è nel caso delle «potenze» che ineriscono a un seme (Plotino, Enneadi, VI. 9. 6): «Nii sint alliu dine gellch in gote unde sint got sel­ber» (Ora tutte le cose sono uguali a Dio e identiche a Dio), (Meister Eckhart, Pfeiffer, p. 311 ). Si potrebbe dire: plures, non tamen multa, sed unum.

53 «Tutte le proprietà umane procedono dall'Uno [ ... ] altrimenti un uomo non potrebbe comprendere un altro che parla» Qacob Boehme, Sig. Rer. I. 3). «In tutte le conversazioni tra due persone si fa tacico riferimento a una natura comune. Quella terza parte, o natura comune, non è sociale, è impersonale: es­sa è Dio» (William James, Varieties of Religious Experience); «Il Sé (del sé), che controlla la parola dall 'interno[ ... ] Colui che conosce ma non è conosciu­to » (BU. III. 7. 17, 23). «La coscienza è un singolare che non ha plurale» (Erwin Schrodinger, What is life?, 1945, p. 90). Più in generale, W.M. Urban, The lntelligible World (1929) e Language and Reality (1939).

" Cfr. S. Tommaso d'Aquino, Sum. Theol. I. 75. 6, dove ciò fornisce un argomento a favore dell'incorruttibilità (immortalità) dell'anima intellectiva.

55 A differenza di ciò che si suppone generalmente, ciò non fu enunciato per primo da Parmenide, fr . V. Il suo -rà yàp aùw voètv fonv 'tE rnì dvaç signi­fica semplicemente che «ciò che può esser pensato è la stessa cosa che può es­sere» (vedi Burnet, Early Greek Philosophy, 19304, p. 173, nota 2). Plotino (Enneadi, V. 9. 6) cita le parole di Parmenide, ma benché a quel tempo era possibile che l'infinitivo fosse soggetto di una frase (e difatti Plotino usa -rò EÌ­vm come soggetco, Enneadi, III. 7. 6), la sua citazione intende mostrare che «nell'immateriale, conoscenza e conosciuto sono lo stesso»: e mentre ciò im­plica che lì il conoscicore, la conoscenza e il conosciuco sono lo stesso, ciò che è effettivamente predicaco difficilmente potrebbe esser altro che l'adequatio rei et intellectus della Scolastica - o, per dirla con Platone, «il render ciò che in noi pensa simile agli oggetti del suo pensiero», i quali, se eterni e divini, reinte­greranno il nostro essere nella sua «natura originale» (Timeo, 90). Sembra che sia stato S. Agostino il primo a enunciare esplicitamente che in divinis vivere, conoscere ed essere sono un'unica e medesima cosa (De Trin . VI. 10. 11, In ]oan. Evang. XCIX. 4 e Con[ XIII. 11). Esser ciò che si conosce non è uno status daco, ma da conquistare. Ciò che è vero nelle condizioni presenti è che «come si pensa, così si div iene» (yac cittas tanmayo bhavati); ed è per questo che il pensiero andrebbe purificato e trasformato, poiché se fosse centrato su Dio così come è adesso centraco sulle cose sensibilmente percettibili, «Chi non sarebbe liberato da questa schiavitù?» (MU. VI. 34. 4, 6).

118

Note

56 Cfr. il mio « Vedic Exemplarism» in HJAS, I, 1936, pp. 44-6. Gli Angeli, come dice Meister Eckhart, hanno meno idee e usano meno mezzi degli uomi­ni . Dio ha una sola idea ed è solo quella, e non ha bisogno di alcun mezzo.

57 Ho fatco solo un uso limitaco del mirabile ed esauriente studio di F.H. Brabant, Time and Eternity in Christian Thought, 1937. Lo studio di G.E. Mueller, «Experimental and Existential Time» (Philosophy and Phenomenolo­gical Research, 6, 1946, 424-35), tratta delle fonti greche e cristiane. Io non ca­pisco le sue parole: «DÌ contro a questa affermazione assoluta dell'essere negli eventi del tempo naturale sta la negazione indù del_ tempo»; ~oiché come po­trebbe essere una «negazione del tempo» l'affermaz10ne che «tl tempo e 11 sen­za tempo» sono entrambi forme di Dio, il Quale è «ad un tempo dotato. e pri~ vo di forma, udibile e silente» e così via; ed è certamente vero per l'India cosi come la Grecia che «la bellezza e la sostanza della cultura umana è resa manife­sta nelle celebrazioni stagionali e feste annuali dell'anima». Esiste una pregevo­le discussione del nostro soggetco da parte di Alberco Rougés, nel suo Las ]e­rarqi"as del Ser y la Eternidad, Tucumàn, Argentina, 1943. Non ho P?tuco ve­dere Space, Time and Deity di Alexander. Joseph Katz nel suo '.'Etermty - Sh~­dow of Time» (Review of Religion, 11, 1946, 36-45) cerca d1 capovolgere 11 concetto platonico e tradizionale del tempo come immagine o imitazione del-1' eternità, e compie anche l'errore molco frequente di supporre che, essendo la soddisfazione di tutti i desideri possibile solamente «di là dal tempo», una tale soddisfazione debba essere «posposta•>, dimenticando che il nunc aeternitatis è presente qui e ora come sempre è stato e sempre sarà. Di fatco, è l'ucopist~ ~e­colare che crede nella perfettibilità della società umana e ne pospone la felicità, mentre il Sufi, «figlio dell'Istante», «prende i contanti e dimentica i crediti». Katz, inoltre, pensa che la soddisfazione di tutti i desideri sarebbe «priva di si­gnificaco» poiché mancherebbero i bisogni che li hanno suscitati. Traherne fornisce la risposta: ammettendo che «non può esservi gioia dove non c'è desi­derio», dice che «Egli (Dio) vuole infinitamente tutte le Sue gioie [ . .. ] e tutte quei piaceri desiderati Egli li possiede infinitamente[ ... ] La sua vita in desideri e gioie è infinita, ed entrambi sono sentiti come la Sua Beatitudine Suprema»!

58 «Un solo giorno, che dura e non passa», Agostino, Ps. LXXXIX. 15. A proposito del «giorno perpetuo», vedi sopra p . 17. Cfr. anche Meist~r E~khart: «Tùffati, questo è l'annegamento». Non dovrebbe esser necessano. dire c_h~ l' «annegare» , l' «anonimità», il «diventare nessuno», possono essere d1. due tl~H completamente diversi, a seconda che ci si tuffi nelle Acque supenon 6 m quelle inferiori. Ci si ritrae dalle Acque superiori solo a causa dell'attac_came.n­to per l'Ego empirico e transeunte che «non è il mio Sé»: si dovrebbe nfugg1re dal tuffarsi nelle acque inferiori, poiché ciò significa la perdita anche della pro­pria individualità, di modo che non si possiede più, parlando propriamente, un nome bensì solo un numero, come un prigioniero condannato, o, come nelle società proletarie, si diventa un'unità statistica e non più una persona. «Essersi perduti» nell' infinito, ed essersi perduti nell ' indeter~inato sono, letteralment~, mondi a parte, proprio come sono a parte cielo e mferno. «Quando tornero nuovamente in VaruQ.a? », RV. VII. 86. 2; «l'Unico Oceano» (RV. X. 5. 1).

" (Se tu nel grande mare darai nome alla goccia, allora potrai nel grande

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Note

Iddio riconoscer la mia anima), Angelus Silesius, Cherubinische Wander­smann, VI. 172 (cfr. IV. 137). 60 Citato da Dean Inge, Philosophy of Plotinus, seconda ediz., I. 121. 61 Vedi sotto: Ruysbroeck fa costantemente uso del termine «immersione», un esatto equivalente del pali ogadha, nella comune espressione amat'ogadha «immersione, o tuffo, nel Senza Morte», pensato come un «insondabile mare». 62 «Come la goccia diventa l'oceano, così l'anima è deificata, perdendo il proprio nome e la propria opera, ma non la sua essenza», Pfeiffer, p. 314. 63 «Nostra pace è quel mare, al qual tutto si move», Dante, Par., III. 85-6. 64 «Entra nell'Oceano, che la tua goccia possa diventare un Mare che è co-me cento "mari di Oman"», D'iwan (Nicholson, Ode 12). 65 Mathnaw'i, IV. 2612 e passim.

" A. IV. 202; Udana 55; M. I. 487. " CU. VI. 10. 1, MuJ.1~. Up. III. 2. 8, e Pra5na Up. VI. 5. Cfr. RV. VII. 86. 2: «Quando tornerò in VaruJ.la?» (il Mare) = Brahma «il cui mondo sono le Acque», Kau~. Up. I. 7. 68 Tao Te Ching, 32: «Al Tao giungerà tutto ciò che è sotto il cielo, come ruscelli e torrenti confluiscono in un grande fiume o mare». Nella presente opera ho omesso le fonti cinesi perché non le conosco a sufficienza. " Il «Testimone» e la «Persona» sono uno, ma considerati rispettivamente sub specie temporis e sub specie aeternitatis. «Testimone (upadrastr), confermatore, supporto, fruitore, Grande Signo­re, e anche il Sé Supremo, così è chiamata la Suprema Persona quando è in questo corpo» (BG. XIII. 22); «La Persona immanente, fruitrice » (MU. VI. 10). Quegli è «colui che guardò fuori attraverso gli esseri» (KU. IV. 6); il «Veggente (drastr) invisibile [ .. . ] oltre al quale non v'è altri che veda» (BU. III. 7. 23 e III. 8. 11). Questa persona è anche Agni in quanto upadrastr, JB. III. 26, a somiglianza del quale il Purohita funge da auriga e upadrastr del re per vedere che egli non agisca male, JB. III. 94. Così, allora, il Testimone è il nostro «Uomo interiore», dal quale nulla che sia fatto dall'«uomo esteriore» può esser celato. Ancora, «la Persona qui, Colui che comprende, è egli stesso quel Progenitore (Prajapati) che è l'Anno, le cui quindici parti sono le sue ric­chezze, la sedicesima, quella che resta (ksiyate, Kttl;w), paragonata al mozzo d'una ruota, è rappresentata dalla notte di luna nuova attorno alla quale girano le quindicine crescenti e quelle calanti» (BU. I. 5. 14, 15): è con questa sedice­sima parte residua (atisista), quando le altre parti sono state eliminate, che si comprendono i Veda (CU. VI. 7). Questa è la «Persona» residua la cui unità (ekatvam) è raggiunta trascendendo tutti i suoi aspetti (MU. IV. 6), e di là dal­la quale non v'è altro (KU. III. 11). Questo è anche il Residuo (ucchi~tam) che A V. XI. 7 descrive come la «sintesi (samadhi) di tutte le cose» e l' «origine di tutto»: questa è la Fons Vitae, e non conosco alcun altro testo in cui la pienez­za del contenuto dell'Eternità sia così adeguatamente espressa. 70 Wilbur M. Urban, The lntelligible World, 1929, p. 268. 71 René Guénon, La métaphysique orientale, 1939, pp. 15, 17. 72 R.A. Nicholson, Commento a Rum!, Mathnaw'i, I, 2110-11.

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Elenco delle abbreviazioni

RV.: R..gveda Samhita; TS.: Taittirzya Samhita; A V.: Atharvaveda Samhita; VS.: V ajasaneyi Samhita; AB.: Aitareya Brahmarfa; JUB.: ]aiminzya Upani~ad Brahmarfa; JB .:]aiminzya Brahmarfa; PB.: Paiicavim5a Brahmarfa; SB.: Satapatha Brahma11a; AA.: Aitareya Àrarfyaka; SA.: Sankhayana Àrai:iyaka; BD.: Br:hadDevata; U. o Up.: Upani~ad; BU.: Br:hadararfyaka Up.; CU.: Chandogya Up.; KU.: Katha Up.; MU.: Maitraya11z Up.; Kau~. Up.: Kau~itaki Up.; Mul)~. Up.: Mu11c/,aka Up.; Svet. Up.: Sveta5vatara Up.; TU.: Taittirzya Up.; Mbh.: Mahabharata; BG.: Bhagavad Gita; BrS.: Brahma Sutra (testo);

BrSBh.: Brahma Sutra Bha~ya (Sankara); YS.: Yoga Sutra (Pataiijali); Manu: Manava Dharma Sastra. Vin.: Vinaya Pitaka; A.: Anguttara Nikaya; D.: Dzgha Nikaya; M.: Majjhima Nikaya; S.: Samyutta Nikaya; Sn.: Sutta Nipata; VV.: Vimana Vatthu; PV.: Pota Vatthu; Dh.: Dhammapada; KhP.: Khuddaka Patha; Mil.: Milinda Paiiha; J.:]ataka; Vism.: Visuddhi Magga; Dpvs.: Dzpavamsa; Ud.: Udana.

AJP.: American Journal of Philology;

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BSOS.: Bulletin of the School of Orienta! Studies;

Page 62: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Elenco delle abbreviazioni

JAOS.: ]ournal of the Ameri­can Orienta! Society; JHI.:]ournal of the History of Ideas; JRAS.: ]ournal of the Royal Asiatic Society; NIA.: New Indian Antiquary; HJAS.: Harvard ]ournal of Asiatic Studies; SBE.: Sacred Books of the Ea­st; ZDMG.: Zeitschrift der Deut­schen M orgenlandischen Ge-sellschaft. ·

Filone d'Alessandria: Gig.: De gigantibus; Heres.: Quis rerum divina­rum heres sit; LA.: Legum allegoriae; Opif.: De opificio mundi; Spec.: De specialibus Legibus; Sacr.: De sacrificiis Abelis et Caini.

Evans: C. de B. Evans, Mei­ster Eckhart, voi. 1 e 2, 1924 e 1931; Pf eiff er: F. Pf eiff er, M eister Eckhart, 19244

Shams-i-Tabriz: Diwan: R.A. Nicholson, The Diwani Shamsi Tabriz, 1898.

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Indice

Prefazione 7

Introduzione 13

I Induismo 19

II Buddhismo 37

III Grecia 61

IV Islam 81

V Cristianesimo e Pensiero Moderno 95

Elenco delle abbreviazioni 121

Page 63: tempo ed eternità - A. K. Coomaraswamy

Finito di stampare il 4 novembre 2003 da Grafiche Lama

Piacenza

Figlio di padre indù e di madre inglese, Ànandn n tish Coomaraswamy nasce a Colombo ( ri Lank ) nel 1877 e muore a Needham, nel Massachu s t , n I 194 7. Geologo e mineralogista di vaglia, an h soprattutto uno studioso appassionato del p nsi ro indiano antico, nonché delle manifestazioni rti ti che del mondo indù. Dal 1916 gli vengono affid te importanti responsabilità presso il Museo di B Il Arti di Boston, responsabilità che sosterrà fino Il morte. La Luni Editrice ha già pubblicato, di oom r swamy: Buddha e la dottrina del Buddhismo e LA danza di Siva (2003).

€ 15,00