TECNICO FITNESS E NUTRIZIONE

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a cura di ALEXANDER BERTUCCIOLI con la collaborazione di MARCO NERI TECNICO FITNESS E NUTRIZIONE I MANUALI DI FITNESS ACADEMY EDIZIONI CENTRO STUDI LA TORRE LINEE GUIDA E PROTOCOLLI ALIMENTARI BASATI SULLE VECCHIE E NUOVE FILOSOFIE PER UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE E INTEGRAZIONE

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a cura diALEXANDER BERTUCCIOLI

con la collaborazione diMARCO NERI

TECNICO FITNESS E NUTRIZIONE

I M A N U A L I D I F I TNESS ACADEMYEDIZIONI CENTRO STUDI LA TORRE

LINEE GUIDA E PROTOCOLLI ALIMENTARI BASATI SULLE VECCHIE E NUOVE FILOSOFIE PER UNA CORRETTA

ALIMENTAZIONE E INTEGRAZIONE

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F I L O S O F I A AT T I VA

Dedicato a tutti coloro che, negli anni, hanno partecipato ai corsi di formazione della Federazione Italiana Fitness contribuendo alla crescita del settore.

Il contenuto di questo manuale è di proprietà esclusiva del Centro Studi La Torre srl.È vietata la riproduzione, anche parziale, se non dietro autorizzazione del Centro Studi La Torre srl.Il Centro Studi La Torre srl si riserva ogni diritto sul presente manuale.È severamente proibito fare riprese e fotografie durante il corso di formazione.

© CENTRO STUDI LA TORRE. Tutti i diritti riservati

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3INTRODUZIONE

FEDERAZIONE ITALIANA FITNESS

La Federazione Italiana Fitness lavora al fianco degli istruttori professionisti fin dal 1989 ed è cresciuta parallela-mente allo sviluppo del fitness, contribuendo come elemento di primo piano alla sua diffusione e al suo riconosci-mento. L’attività della Federazione Italiana Fitness ricopre un ruolo impegnativo ed entusiasmante.Il Fitness non è infatti, solo una disciplina sportiva, ma ciò che viene inteso come un modo di vivere, un aspetto della società moderna, come confermano le ultime ricerche effettuate nel settore. Di conseguenza, anche la figura dell’istruttore si sta proiettando verso una multidisciplinarità di competenze, per rispondere ai bisogni di un pubblico sempre più evoluto. La Federazione Italiana Fitness principalmente esplica la propria attività nella formazione didattica attraverso corsi di qualifica, master di aggiornamento e stage, incontrando così le crescenti esigenze degli istruttori che richiedono strumenti progrediti di aggiornamento e qualificazione professionale.Il Comitato Scientifico della Federazione Italiana Fitness e lo staff dei docenti esperti e qualificati curano i pro-grammi didattici e agonistici della Federazione il cui operato viene diffuso su scala nazionale alla maggior parte degli istruttori e delle palestre italiane attraverso il proprio magazine “Performance”.Per soddisfare le crescenti adesioni di istruttori e praticanti delle varie discipline del fitness, la Federazione Ita-liana Fitness si sta impegnando in un’opera di capillarizzazione della sua presenza sul territorio italiano, allo scopo di offrire un servizio sempre più efficace e mirato. La Federazione Italiana Fitness è il riferimento per tutte le esigenze associative, formative ed agonistiche dei professionisti del settore palestre.

L’OPERATO DELLA FIF SI PUÒ RIASSUMERE NEI SEGUENTI PUNTI:

• sviluppare la cultura del fitness• promuovere e diffondere un sano stile di vita• offrire servizi professionali di qualità agli

operatori di settore• dare impulso all’attività dei fitness club e

tutelarne l’immagine • organizzare eventi di alto profilo• organizzare competizioni

• attivare relazioni professionali con associazioni straniere di fitness, per favorire uno scambio didattico

• assicurare una formazione qualificata di alta qualità

• offrire informazioni specifiche agli organi di stampa

• produrre un editoria specializzata

I corsi della Federazione Italiana Fitness sono organizzati in collaborazione con A.S.I., Associazioni Sportive e Sociali Italiane, ente di promozione sportiva legalmente riconosciuto dal C.O.N.I. e dal Ministero dell’Interno. Le certificazioni rilascia-te hanno valore internazionale, e sono riconosciute dall’E.F.A., European Fitness Association e dall’IDEA Health & Fitness Association.

A.S.I.: ENTE DI PROMOZIONE SPORTIVARICONOSCIUTO DAL

COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO

A.S.I.: ENTE DI PROMOZIONE SPORTIVARICONOSCIUTO DAL

MINISTERO DELL’INTERNO

®

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4 CAPITOLO I CENNI DI FISIOLOGIA4 INTRODUZIONE

centro s tudi srl

Il Centro Studi La Torre opera nel settore del fitness dal 1987 e rappresenta il centro servizi della Federazione Italiana Fitness in quanto ne coordina le attività didattiche e formative.Il Centro Studi La Torre si occupa anche della realizzazione e dello sviluppo del materiale didattico: dispense, video, libri di testo, nonché dell’aggiornamento di tale materiale.Il Centro Studi La Torre supporta la Federazione Italiana Fitness anche nell’organizzazione di eventi, pianifica-zione dei corsi istruttori, convention e convegni, gare. È oltremodo impegnato nel settore amministrazione, tesse-ramenti e nell’area editoria e comunicazione.Il Centro Studi La Torre, unitamente alla FIF, è a garanzia di professionalità e competenza, grazie al livello della sua struttura organizzativa, alla qualità dei suoi insegnanti e alla lunga esperienza operativa.

CENTRO STUDI LA TORRE

§ORGANISMO DI FORMAZIONE ACCREDITATO AI SENSI DELLA DELIBERA DI CUI ALLA D.G.R. N. 461/2014

§ENTE ACCREDITATO ALLA FORMAZIONE§AZIENDA CERTIFICATA ISO 9001-2008

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1987◆ Marzo: 1º corso di formazione insegnanti di Body Building (a cura del Centro Studi La Torre)

1988◆ Febbraio: 1º corso per dirigenti sportivi (Club Manager)

1989◆ Esce il nº 0 di Performance◆ Aprile: Numana, 1ª edizione di Welcome Fitness◆ Luglio: Fondazione della Federazione Italiana Fitness◆ Settembre: Rimini, la FIF aderisce alla 1ª edizione del Festival del Fitness e organizza il convegno “Special Mr. Olympia” in

collaborazione con i promotori della Fiera

1990◆ Febbraio: 1º corso di formazione insegnanti di Aerobica◆ 1º corso di Fitness Trainer

1991◆ Giugno: 1º Campionato Italiano di Cross Training◆ Agosto: Riccione, 1ª edizione di Blue Fitness◆ Forum di Assago (Milano), 1º convention di aerobica

1992◆ Luglio: 1ª viaggio studio in California

1993◆ Maggio: 1º corso di Step Instructor◆ Agosto: Performance passa a 40 pagine

1994◆ Viene realizzato il 1º Annuario del Fitness (576 pagine a colori)◆ Gennaio: Riccione, 1º convegno di Fitness◆ Luglio: Performance cambia copertina, la foto sostituisce il disegno◆ Settembre: Sportilia, 1ª FIF Annual Convention◆ Performance esce anche in formato tabloid◆ Ottobre: i corsi salgono a 20 tipologie◆ Dicembre: Maratona di Aerobica, convention a scopo benefico. Nasce la più grande manifestazione di aerobica mai organizzata

al mondo che, anno dopo anno, supererà il record di partecipanti e città coinvolte: dalle 3 sedi del 1994 alle 56 sedi del 2003.

1995◆ Club vs Club, 1º Campionato Federale di Aerobica◆ Accordo nazionale con C.N.A., nasce Federpalestre◆ Aprile: convegno “Modificazioni metaboliche nell’allenamento”. Relatori: Atko Viru, Yuri Verchoshansky, Carmelo Bosco◆ Collaborazione con l’ISEF di Padova◆ Maggio: Bologna, 1ª edizione Club vs Club (Campionati Italiani per palestre)◆ Performance passa a 64 pagine◆ Firmata convenzione con F.G.I. (Federazione Ginnastica Italia)◆ 1º viaggio studio a New York◆ Accordo con il Dipartimento di Fisiologia Umana dell’Università di Bologna

1996◆ Roma (Scuola Centrale dello Sport, CONI) 1º edizione di “In Corpore Sano”

1997◆ Febbraio: nasce il 1º corso fuori sede con ausilio di materiale audiovisivo◆ Nasce un’area “new age” con corsi di formazione in discipline olistiche

1998◆ 1º viaggio studio a Londra◆ Nasce “Orizzonti” rivista di cultura olistica◆ Esce “Perfò” versione ridotta di Performance◆ I corsi formativi coprono 14 città◆ Welcome Fitness festeggia la 10ª edizione◆ Marzo: 1ª edizione della convention Hip Hop Shock

1999◆ Nasce la sezione A.I.P.T. (Associazione Italiana Personal Trainer)◆ Febbraio: la Maratona di Aerobica passa a 40 sedi, con 404 istruttori e 6200 partecipanti◆ Marzo: Repubblica San Marino, “Convegno dimagrimento e fitness”◆ Il campionato Club vs Club inserisce le eliminatorie Nord, Centro, Sud, Sicilia◆ I delegati territoriali diventano 33

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6 CAPITOLO I CENNI DI FISIOLOGIA6

2000◆ Gennaio: muore Emilio They◆ Marzo: Roma, congresso internazionale: “Physical exercise and Muscle hypertrophy” con Salomons, Hespel, Rutherford, Dall’A-

glio, Carraro, Kern, Manno, Paoli, Neri, Manglian◆ Aprile: Milano, 1ª Personal Trainer Convention◆ I corsi istruttori coprono 18 città, i master diventano 33◆ Giugno: l’A.I.N.B.B. viene assorbita dalla FIF (nasce la 3ª sezione)◆ Agosto: Blue Fitness festeggia la 10ª edizione◆ Ottobre: Milano, 1ª edizione del Fitness Marketing Summit◆ La FIF è promotrice dell’E.F.A. (European Fitness Association)◆ Bologna, 1ª edizione della Step Convention◆ Novembre: Riccione, 1ª edizione della Total Body Convention

2001◆ Parma, 1º convegno di alimentazione◆ Modena, 1ª edizione di Saranno Presenter◆ Nasce la 4ª sezione: A.I.F.e M. (Associazione Italiana Fitness e Medicina)◆ Luglio: Bellaria, 1ª edizione Beach Fitness◆ Settembre: Performance diventa di 100 pagine◆ La FIF firma l’accordo con MSP Italia◆ Ottobre: presentazione dell’EFA a Bruxelles al Parlamento Europeo

2002◆ La Maratona di Aerobica viene esportata anche all’estero: Losanna, Montecarlo, San Marino◆ Febbraio: dopo i contributi destinati all’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, Lotta ai tumori - Lila, Comitato per il Tele-

fono Azzurro, la Maratona di Aerobica contribuisce alla realizzazione di una scuola in Mozambico◆ Luglio: il Centro Studi La Torre (apparato organizzatore della FIF) ottiene la certificazione di qualità ISO 9001:2000◆ Performance esce a 132 pagine◆ Ottobre: nascono i FIF Tour (6 città)◆ La FIF organizza il corso di riqualificazione in Emilia Romagna per istruttori di strutture sportive (200 ore)◆ Novembre: la FIF partecipa i campionati mondiali UIBBN a Guadalupe

2003◆ Il FIF Tour tocca 15 città◆ La Maratona viene organizzata in 56 città superando ogni record di partecipanti◆ Nasce la 5ª sezione: I.D.A. (International Dance Association)◆ Marzo: esce il 1º numero di Expression a cura del Centro Studi La Torre, rivista che si occupa di danza, concorsi, stage, ecc.◆ I corsi vengono riorganizzati seguendo nuove esigenze didattiche (25 i percorsi di formazione, 52 i master)◆ 1º convegno “Medicina della danza”◆ Luglio: Nasce la categoria “Socio effettivo”◆ Antonio Paoli e Marco Neri ricevono il premio CONI stampa sportiva per il testo “Alimentazione, fitness e salute”◆ Novembre: La FIF Annual Convention raggiunge il traguardo della 10ª edizione

2004◆ I fondi della 10ª edizione della Maratona di Aerobica servono alla costruzione di pozzi di acqua potabile in Kenia◆ Diventano 58 i master in cui specializzarsi◆ Aprile: Roma, in collaborazione con la FISD viene organizzato il convegno “Disabili e fitness”◆ Club vs Club festeggia la 10ª edizione◆ Novembre: 1ª edizione Aquawellness

2005◆ La FIF lancia la campagna sull’importanza del defibrillatore nellle palestre◆ I corsi di aerobica, step e tonificazione vengono integrati in un unico format◆ “In Corpore Sano” festeggia la 10ª edizione◆ Club vs Club arriva sul palco di Rimini Wellness. Inizia la collaborazione con l’Ente Fiera di Rimini per l’organizzazione di eventi◆ Nasce la Pilates FIF Academy◆ Campionati Mondiali: due ori per gli atleti AINBB◆ Nasce l’International Team: presenter stranieri che lavoreranno in Italia in esclusiva per la FIF assieme ai docenti federali anch’essi in

esclusiva. Le convention FIF acquistano così una formula inedita che si differenzia da tutte le altre

2006◆ 23 gennaio: il Centro Studi La Torre (segreteria organizzativa e didattica della Federazione Italiana Fitness) ottiene dalla Regio-

ne Emilia Romagna, la certificazione di ente accreditato alla formazione◆ A partire dal numero di marzo Performance ospita gratuitamente associazioni che si occupano dei diritti dell’uomo, degli ani-

mali e dell’ambiente. Vengono dedicate pagine a: LAV, Greenpeace, Medici senza frontiere, Legambiente, Unicef, OIPA◆ Prendono il via i primi master e-learning◆ Nasce la 6ª sezione FIF (A.W.I. Associazione Wellness Italia)◆ Nel 2006 vengono organizzati: 185 corsi, 595 master monotematici, 23 convention, 9 convegni, 55 città ospitano iniziative

FIF, 37 presenter ospiti, 32 relatori ospiti ai convegni, 56 i docenti FIF, 7 tra gare e concorsi.◆ La FIF collabora attivamente a Rimini Wellness organizzando il palco principale ed altri eventi collaterali. Club vs Club si trasfe-

risce così in Fiera a Rimini.

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2007◆ Febbraio: la FIF organizza in Veneto corsi finanziati dal Fondo Sociale Europeo◆ Viene organizzato un corso monografico con l’Università di Cagliari e uno di Pilates con l’Università di Urbino◆ Bologna, 1º convegno sulla colonna vertebrale

2008◆ 20ª edizione di Welcome Fitness◆ 1º convegno sulla postura◆ 1º convegno su spalla e ginocchio◆ I corsi del Centro Studi La Torre sono presenti sul catalogo interregionale dell’Alta Formazione attraverso un progetto finanziato

dal Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, attraverso risorse del Fondo Sociale Europeo.◆ Novembre: vengono organizzate 8 convention a Milano, Roma, Cagliari, Palermo, Bologna e Ravenna, alcune tematiche, altre open◆ Esce il 1º numero di P.T. Journal, periodico della sezione A.I.P.T. (Associazione Italiana Personal Trainer)

2009◆ La F.I.F. festeggia 20 anni. Gli uffici si trasferiscono al piano terra della stessa sede (palazzo Spreti a Ravenna). Aumentano gli

spazi, le dotazioni e le postazioni.◆ 10ª edizione della Personal Trainer Convention◆ Esordio delle kettlebell a Welcome Fitness◆ Prende il via la collaborazione con la Nintendo Wii◆ Nasce il FIF Team Show◆ AINBB: agli europei UIBBN di Bruxelles conquista 7 medaglie e ai mondiali UIBBN in Sudafrica ottiene due ori

2010◆ I master di specializzazione diventano 58◆ I corsi di formazione salgono a 26 tipologie◆ Blue Fitness festeggia l’edizione numero 20◆ Esce il 1º numero di “Kinesis”, periodico realizzato dall’A.I.F.eM. che tratta di medicina dello sport◆ Viene firmato l’accordo fra l’Università telematica S. Raffaele e la FIF◆ 10ª edizione per la Total Body Convention e la Step Convention

2011◆ FIF e Università di Urbino organizzano il convegno “Benessere in ogni età”◆ A Siena la FIF organizza la 1ª Functional Training Convention◆ I percorsi formativi (corsi e master) vengono radicalmente aggiornati◆ Nasce l’A.I.P.S. (Associazione Italiana Posturologia Sportiva). Il coordinamento è di Luca Franzon◆ Marco Neri e Antonio Paoli sono premiati dal presidente del CONI Petrucci per il loro libro “Principi di metodologia del fitness”

2012◆ Viene creata la FIF Card, iniziativa che propone servizi a beneficio di istruttori e club◆ Prima edizione di Bodyweight Challenge, gara a squadre di functional training, che viene presentata a Rimini Wellness◆ La Federazione Italiana Fitness approda ufficialmente sul social network Facebook◆ Inizia la collaborazione tra FIF ed Eridania.

2013◆ Viene firmato un accordo di collaborazione con l’Università di Napoli◆ In collaborazione con l’Istituto S. George viene attivato un corso di fitness riconosciuto a livello europeo◆ Viene siglato un accordo di sponsorizzazione con Solgar, azienda leader nel campo degli integratori alimentari◆ Si tiene a Livorno, la venticinquesima edizione di Welcome Fitness◆ Prende il via il primo corso biennale per il conseguimento del diploma europeo di Nutritional Sport Consultant, frutto della

collaborazione tra FIF e CNM Italia◆ A partire da settembre è attiva l’iscrizione on-line per partecipare a tutti gli eventi della Federazione Italiana Fitness◆ Parte la collaborazione con l’ente di promozione sportiva ASI, Associazioni Sportive e Sociali Italiane◆ I manuali a supporto didattico dei corsi vengono completamente rinnovati nella grafica e nei contenuti.

2014◆ Maggio: esce il 100esimo numero di Performance, il magazine ufficiale della Federazione◆ Prima edizione a Riminiwellness di “Kettlebell Competition”, campionato individuale e a squadre di kettlebell lifting◆ Debutta sull’Apple Store “iFit” l’applicazione multimediale della federazione per programmare allenamenti su misura◆ Per celebrare il 25esimo anniversario della FIF viene pubblicato un libro celebrativo ricco di testimonianze, foto e immagini◆ Esce il primo numero di “Mantra” magazine di SIO, Scuola Italiana Olistica, una nuova sezione del Centro Studi La Torre.

2015◆ Si tiene a Bologna, nel mese di ottobre, la 25ª edizione della FIF Annual Convention◆ Inizia la collaborazione con la Galbusera presente, con i suoi prodotti, ai più importanti eventi della Federazione◆ Affascinante cornice per Blue Fitness, la storica kermesse della FIF, che si svolge eccezionalmente a Milano all’interno dell’EXPO

2016◆ Debuttano all’interno della programazione federale i corsi per la formazione in istruttori di Kalisthenics◆ Alcuni corsi federali (Functional Training, Pilates Matwork e Pilates Matwork Advanced) sono stati riconosciuti dal MIUR, Mini-

stero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.L a s t o r i a c o n t i n u a . . .

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8 CAPITOLO I CENNI DI FISIOLOGIA8 PRESENTAZIONE E AUTORI

IL MANUALE

TECNICO FITNESS E NUTRIZIONELinee guida e protocolli alimentari basati sulle vecchie e nuove filosofie per una corretta alimentazione e integrazione

Il manuale garantisce l’apprendimento di una serie di nozioni per for-nire indicazioni di carattere nutrizionale alla clientela che frequenta le palestre con la finalità di diffondere all’interno dei fitness club le linee guida per una corretta alimentazione da abbinare all’allenamento, al fine di ottimizzare i risultati.

GLI AUTORI

Alexander BertuccioliDocente Senior della Federazione Italiana Fitness. Biologo nutrizionista perfezionato in nutrizione in condizioni fisiologiche, chimico farmaceutico con formazione specifica in prodotti salutistici ed integratori alimentari, Nutrizionista sportivo ISSN-SinSeb, Zone Consultant. Membro della commissione scientifica Federazione italiana Fitness. Docente del corso integrativo in “Biochimica della Nutrizione” presso il Dipartimento di Scienze Biomolecolari (DISB), Scuola di Scienze Biomediche dell’Università degli studi di Urbino “Carlo Bò”. Docente al master universitario “Nutrizione, nutraceutica e Dietetica applica-ta” presso la Scuola di Bioscienze e Biotecnologie dell’Università degli studi di Cameri-no. Docente in numerosi corsi di Educazione Continua in Medicina (ECM) per Medici, Farmacisti, Biologi e Dietisti. Autore di numerosi testi tra cui “Dall’analisi antropometrica alla composizione corporea” e “Integrazione naturale e Fitoterapia”, di articoli scientifici e divulgativi sia su riviste nazionali che internazionali. Collabora attivamente con diverse aziende che operano nel settore farmaceutico e alimentare in particolare nello sviluppo e nello studio clinico di nuove formulazioni. Top Trainer della Federazione Italiana Fitness, opera da anni nel settore dello sport professionistico e semiprofessionistico in qualità di consulente per l’alimentazione, l’integrazione e la preparazione atletica.

Marco NeriCoordinatore Didattico FIF. Dietista e preparatore atletico. Vice presidente FIF e membro del Comitato Scientifico Federale. Consulente per numerose aziende del settore. Membro del comitato medico e sportivo della Ducati Corse. Docente ai corsi di formazione professionale della FIF. Autore di numerosi libri su tematiche di allenamento e alimentazione.

ha collaborato

diploma di specializzazione in

TECNICO FITNESS E NUTRIZIONE

rilasciato a:

......................................................................................................................................................................................................................................................

.................................................... lì, ....................................................

Il Presidente F.I.F. Il Presidente A.S.I.

FEDERAZIONE ITALIANA FITNESSr i c o n o s c i u t a d a :

E.F.A.: EUROPEAN FITNESS ASSOCIATIONA.S.I.: ASSOCIAZIONI SPORTIVE E SOCIALI ITALIANE

A.S.I . : ENTE DI PROMOZIONESPORTIVO RICONOSCIUTO DAL CONI

A.S.I . : ENTE RICONOSCIUTO DAL MINISTERO DELL’INTERNO

Segreteria didattica: Centro Studi La TorreENTE ACCREDITATO ALLA FORMAZIONEAZIENDA CERTIFICATA ISO 9001:2008

ATTIVITÀ SPORTIVA: GINNASTICA FINALIZZATA ALLA SALUTE ED AL FITNESS

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9INDICE

INTRODUZIONE ................................................................ 13

CAPITOLO 1ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI ............................ 17

1.1 MACRONUTRIENTI 1.1.1 Glucidi1.1.2 Protidi1.1.3 Lipidi

1.2 MICRONUTRIENTI1.2.1 Vitamine generalità1.2.2 Vitamine idrosolubili 1.2.2.1 Vitamina C 1.2.2.2 Vitamina H (Biotina) 1.2.2.3 Vitamina PP (Niacina) 1.2.2.4 Vitamina B1 (Tiamina) 1.2.2.5 Vitamina B5 (Pantotenato) 1.2.2.6 Vitamina B2 (Riboflavina) 1.2.2.7 Vitamina B6 1.2.2.8 Vitamina B9 (Folato) 1.2.2.9 Vitamina B121.2.3 Vitamine liposolubili 1.2.3.1 Vitamina A 1.2.3.2 Vitamina D 1.2.1.3 Vitamina E 1.2.1.4 Vitamina K1.2.4 Minerali 1.2.4.1 Sodio 1.2.4.2 Potassio 1.2.4.3 Cloruro 1.2.4.4 Calcio 1.2.4.5 Magnesio 1.2.4.6 Fosforo 1.2.4.7 Zolfo 1.2.4.8 Ferro 1.2.4.9 Rame 1.2.4.10 Zinco 1.2.4.11 Manganese 1.2.4.12 Cromo 1.2.4.13 Fluoro 1.2.4.14 Selenio 1.2.4.15 Iodio 1.2.4.16 Gli elementi in ultratraccia

1.3 LA FIBRA ALIMENTARE

1.4 L’ACQUA

CAPITOLO 2INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHEMETABOLICHE: ENDOCRINOLOGIA,CRONOBILOGIA, ALIMENTAZIONE ............................... 51

2.1 FONDAMENTI DI ENDOCRINOLOGIA: ANALISI DEL SISTEMA ORMONALE 2.1.1 Definizioni e generalità2.1.2 Ormone somatotropo (GH)2.1.3 Testosterone2.1.4 Insulina2.1.5 Glucagone2.1.6 Endorfine2.1.7 Ormoni tiroidei2.1.8 Serotonina2.1.9 Adrenalina2.1.10 Cortisolo2.1.11 Prolattina 2.2 FONDAMENTI DI CRONOBIOLOGIA: ANALISI DEI CICLI BIOLOGICI DELL’ORGANISMO 2.2.1 Definizioni e generalità2.2.2 Ritmi circadiani2.2.3 Ritmi infradiani2.2.4 Ritmi ultradiani2.2.5 Ritmi circannuali

2.2.6 Alterazione dei ritmi circadiani

2.3 EFFETTO FARMACOLOGICO DEGLI ALIMENTI: 2.3.1 Definizioni e generalità2.3.2 Indice glicemico2.3.3 Carico glicemico2.3.4 Indice insulinico2.3.5 Acidi grassi essenziali e regolazione metabolica

CAPITOLO 3ANAMNESI ......................................................................... 67

3.1 ANAMNESI :DEFINIZIONE E GENERALITÀ

3.2 ANAMNESI COME STRUMENTO OPERATIVO

3.3 ANAMNESI SUGGERIMENTI OPERATIVI

3.4 DIARIO ALIMENTARE: UNO STRUMENTO PER LA CONSAPEVOLEZZA ALIMENTARE DEL CLIENTE

CAPITOLO 4METABOLISMO BASALE E PESO FORMA ..................... 71

4.1 METABOLISMO BASALE4.1.1 Metabolismo : definizione e generalita’4.1.2 Il concetto di metabolismo basale4.1.3 La stima del metabolismo basale

4.2 IL PESO4.2.1 Peso e “massa” definizione e generalita’4.2.2 Il concetto di peso forma4.2.3 La stima del peso forma 4.2.4 Indice di sovrappeso (IS)

CAPITOLO 5ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONEDELLA COMPOSIZIONE CORPOREA .............................. 77

5.1 ANTROPOMETRIA5.1.1 Principi generali di antropometria5.1.2 Classificazione secondo Viola5.1.3 Classificazione secondo Pende5.1.4 Classificazione secondo Martiny e Sheldon

5.2 VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA5.2.1 Valutazione della composizione corporea nel fitness5.2.2 Body Mass Index (BMI)5.2.3 Waist to Hip Ratio (WHR)5.2.4 Modello a due compartimenti5.2.5 Metodiche per la valutazione della composizione corporea5.2.6 Pesata idrostatica5.2.7 Impedenziometria bioelettrica (BI)5.2.8 Plicometria5.2.9 Misurazione delle pliche: i principali punti di repere5.2.10 Misurazione delle circonferenze corporee: i principali punti di repere5.2.11 Misurazione dei diametri ossei: i principali punti di repere5.2.12 Valutazione della struttura ossea

CAPITOLO 6AUMENTO DI PESO: MOTIVAZIONI E STRATEGIE ..... 97

6.1 AUMENTO DI PESO DEFINIZIONE E GENERALITÀ

6.2 STRATEGIE OPERATIVE PER L’AUMENTO DI PESO: ESEMPI PRATICI

INDICE

TECNICO FITNESS E NUTRIZIONE

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10 INDICE

CAPITOLO 7DIMAGRIMENTO: MOTIVAZIONI E STRATEGIE ........ 101

7.1 DIMAGRIMENTO DEFINIZIONE E GENERALITÀ7.2 STRATEGIE OPERATIVE PER IL DIMAGRIMENTO: ESEMPI PRATICI

CAPITOLO 8ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE .................... 107

8.1 DIETA O REGIME DIETETICO “GIUSTO” TRA MITO E REALTÀ

8.2 DIETE IPERCALORICHE

8.3 DIETE A RESTRIZIONE CALORICA

8.4 DIETE HI-LO8.4.1 Diete a rotazione quantitativa (diete up and down)8.4.2 Diete a rotazione qualitativa

8.5 DIETE DISSOCIATE

8.6 DIETA A ZONA

8.7 DIETA ATKINS

8.8 DIETA SCARSDALE

8.9 DIETA METABOLICA

8.10 DIETE A PASTI SOSTITUTIVI

8.11 ALIMENTAZIONI VEGETARIANE

CAPITOLO 9ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI ............................... 119

9.1 ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI: DEFINIZIONI E GENERALITA’

9.2 GLI INGREDIENTI

9.3 ETICHETTA: LE FINALITA’

9.4 LEGGIBILITÀ DELL’ETICHETTA E PRESENZA DI ALLERGENI

9.5 INDICAZIONI NUTRIZIONALI

CAPITOLO 10ADDITIVI ALIMENTARI .................................................. 125

10.1 ADDITIVI ALIMENTARI DEFINIZIONI E GENERALITÀ

10.2 ELENCO DEGLI ADDITIVI ALIMENTARI10.2.1 Coloranti (da E100 a E 180)10.2.2 Conservanti (da E 200 a E 297) 10.2.2.1 Conservanti nocivi 10.2.2.2 Nitriti e nitrati10.2.3 Antiossidanti e acidificanti (da E 300 a E 385)10.2.4 Esaltatori di sapidita’ (da E 620 a E 640) 10.2.4.1 Glutammato10.2.5 Agenti di rivestimento (agenti leviganti o lucidanti) (da E 900 a E 948)10.2.6 Amidi modificati (da E 999 a E 1518 altre categorie di additivi tra cui gli amidi modificati)10.2.7 Edulcoranti artificiali (da E 950 a E 967, E 420, E 421) 10.2.7.1Generalità sugli edulcoranti 10.2.7.2 Polioli 10.2.7.3 Edulcoranti intensivi 10.2.7.4 Dose massima ammissibile

CAPITOLO 11ALIMENTI BIOLOGICI: ASPETTI FONDAMENTALI ..... 133

CAPITOLO 12ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI:ASPETTI FONDAMENTALI .............................................. 137

CAPITOLO 13INTEGRATORI ALIMENTARI .......................................... 141

13.1 INTEGRATORI ALIMENTARI DEFINIZIONE E GENERALITÀ

13.2 PRINCIPALI CATEGORIE DI INTEGRATORI ALIMENTARI

13.3 INTEGRATORI ALIMENTARI CON FINALITÀ PLASTICHE13.3.1 Proteine in polvere 13.3.2 Pool di aminoacidi complessi13.3.3 Aminoacidi ramificati o branched chained amino acids (bcaa) 13.3.4 Pool di aminoacidi glucogenetici:13.3.5 Glutammina13.3.6 Ornitina a-chetoglutarato (okg) 13.3.7 β-idrossi-beta metilbutirrato (hmb)

13.4 INTEGRATORI ALIMENTARI CON FINALITÀ ENERGETICHE13.4.1 Maltodestrine 13.4.2 Trigliceridi a catena media o medium chained triglycerides (mct) 13.4.3 Creatina 13.4.4 Carnitina

13.5 INTEGRATORI PER IL BENESSERE FISICO 13.5.1 Acidi grassi essenziali (ω 3, ω 6)13.5.2 Fosfatidilserina (PS)13.5.3 Acido linoleico coniugato (CLA)13.5.4 Acido alfalipoico (ALA ) o acido Tiottico

Bibliografia .......................................................................... 148

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11PROGRAMMA

• Analisi di macroelementi e microelementi• sistema ormonale, ritmi circadiani e rapporto con alimentazione• metabolismo basale e peso forma• l’anamnesi• antropometria e metodi di valutazione• le motivazioni all’aumento di peso e strategie per il dimagrimento• il principio delle diete hi-low• analisi di varie tipologie di diete• l’etichetta e gli additivi alimentari• cenni su ogm, cibi bio e sulle categorie di integratori

con particolare riferimento a vitamine e minerali

PROGRAMMA TEORICO-PRATICO DEL CORSO DI

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Introduzione

a cura di

Alexander Bertuccioli

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14 INTRODUZIONE

Obiettivi: • Comprendere il ruolo dell’alimentazione come base di ogni attività umana• Capire le differenze tra il concetto di alimentazione e nutrizione

L’ALIMENTAZIONE COME BASE DI OGI ATTIVITÀ UMANA

Definendo il fenomeno “vita” in chiave squisitamente biologica è possibile affermare che ci si trova di fron-te a un sistema chimico altamente organizzato e complesso che lotta giornalmente per mantenere il proprio equilibrio (omeostasi) nonostante le sollecitazioni esterne ed interne. Ovviamente tutta la serie di attività coinvolte in questa “lotta quotidiana” ha un costo in chiave biologica e quindi energetica. Questo concetto proprio della biologia moderna in via del tutto intuitiva ed osservazione venne intuito fin dall’antichità, in tutte le culture infatti l’idea di alimentazione viene strettamente associata alla vita, vitalità o in qualche modo a concetti più o meno articolati di “energia”. Infatti è possibile esaminare ancora oggi numerose testimonianze a riprova di ciò tra le quali una delle più significative è molto probabilmente quella attribuita a Ippocrate di Kos (460-377 a.C ): “Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute”. Questo enunciato oltre a correlare strettamente un “corretto“ apporto alimentare al concetto di salute rappresenta una delle prime testimonianze in merito all’identificazione dell’attività fisica come “agente“ salutistico terapeutico, necessario quindi al raggiungimento o al mantenimento di un corretto stato di salute, proponendo per la prima volta un binomio inscindibile, corretta alimentazione associata a corretta attività fisica. Questa associazione inscindibile intuita sin dall’antichità rimane ancora oggi estremamente attuale in quanto non è assolutamente proponibile che un professionista che si occupi di attività fisica non abbia delle conoscenze di base relativamente a un corretto approccio all’alimentazione e viceversa. Il termine “professionista“ che si occupa di attività fisica non è stato utilizzato casualmente ne tantomeno alla leg-gera, in quanto implica che il soggetto in questione abbia un atteggiamento “professionale“ lavorando in primis negli interessi della clientela e soprattutto nel rispetto delle leggi del paese nel quale si trova ad operare: questo comporta che se non in possesso dei titoli necessari alla “prescrizione“ di un regime dietetico o all’ “elaborazione“ di un profilo nutrizionale ideale (attività secondo la legislazione italiana di competenza rispettivamente del medico, del biologo nutrizionista o del dietista) il professionista dell’attività fisica si limiti a ciò che può competergli indirizzando il cliente verso un corretto stile di vita se necessario consigliando la consulenza di uno dei suddetti professionisti. Questo non significa “perdere lavoro“ ma significa “acquistare professionalità“ mantenendo un atteggiamento serio e deontologicamente corretto, sia nel confronto dei colleghi che soprattutto nei confronti del cliente. Rimane un aspetto fondamentale il corretto atteggiamento del professionista dell’attività fisica che invece di concentrarsi indebitamente su ciò che alla luce della legislazione non può fare troverà molto più profittevole e produttivo concentrarsi nel fare al meglio quello che invece gli compete, scoprendo il più delle volte con sorpresa, che l’indirizzare il cliente a uno stile di vita virtuoso anche in campo alimentare offre tantissime potenzialità applicative e permette di ottenere risultati decisamente molto interessanti e soprattutto estremamente soddisfacenti sia per il cliente che per il professionista. Ed è proprio a questo ambito che si rivolge questo testo: mettere il professionista dell’attività fisica, a prescindere da altri titoli di studio, in grado di comprendere gli aspetti fondamentali correlati all’alimentazione indirizzando il cliente a ad abitudini di vita sane o se necessario a un intervento strutturato a carico di un professionista della nutrizione legalmente abilitato.

ALIMENTAZIONE E NUTRIZIONE: CAPIRE LE DIFFERENZE TRA I CONCETTI FONDAMENTALI

Uno dei primi principi da comprendere prima di approcciarsi alla considerazione degli aspetti fonda-mentali correlati all’alimentazione e alla nutrizione è che questi termini non sono assolutamente sinonimi, in linea generale implicano due processi ben distinti e sequenzialmente consecutivi schematizzabili come segue:

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15INTRODUZIONE

• Alimentazione: insieme dei processi che vanno dall’introduzione degli alimenti nel cavo orale alla riduzione in forme assorbibili mediante la masticazione e le successive fasi digestive

• Nutrizione: insieme dei processi che vanno dall’assorbimento alla distribuzione nei diversi distretti corporei delle molecole o dei complessi molecolari ottenuti mediante la digestione

Comprendendo questi aspetti fondamentali si spiega come possano esistere soggetti iperalimentati ma denutriti in seguito per esempio a patologie intestinali o più semplicemente a approcci errati e semplicistici che considerano solo le abitudini alimentari di un soggetto senza valutarne l’impatto nutrizionale. Questa fondamentale differenza rende ragione della notevole complessità legata anche solamente all’indirizzare un soggetto verso uno stile di vita sano e come anche dietro le più comuni linee guida esistano una serie di importanti e articolate considerazioni volte a mantenere il delicato equilibrio tra gli aspetti alimentari e quelli nutrizionali. Questa consapevolezza dovrebbe mettere il professionista in grado di comprendere l’importanza di evitare approcci semplicistici o semplicemente alla moda, operando sempre entro i limiti delle proprie competenze e mantenendo sempre un approccio cautelativo volto alla tutela del cliente.

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• In che senso l’alimentazione costituisce la base di ogni attività umana?• Definire il concetto di alimentazione• Definire il concetto di nutrizione• Quali sono le principali differenze tra l’alimentazione e la nutrizione?

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a cura di

Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 1

Analisi dei principali nutrienti

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18 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

Obiettivi: • Comprendere il concetto di macro e di micronutriente• Comprendere e saper definire il ruolo e le funzioni dei macronutrienti• Comprendere e saper definire il ruolo e le funzioni dei principali micronutrienti• Capire il concetto e il ruolo della fibra alimentare• Acquisire elementi di base per la comprensione di un corretto bilancio idrico e della sua

importanza

GENERALITÀ

Prima di poter esaminare efficacemente le singole molecole ad azione nutriente risulta fondamentale acqui-sire tre concetti di base, quello di macronutriente, micronutriente e essenzialità:

• Macronutrienti: Molecole con funzione direttamente correlata alla produzione di energia e al trofismo come protidi, lipidi e glicidi: a cagione di queste funzioni vengono assunte in maniera quantitativamente significativa rispetto a quelle definite micronutrienti

• Micronutrienti: Molecole con funzione generale di catalizzatori, cofattori, mediatori ecc. A cagione di queste funzioni vengono assunte in quantitativi nettamente inferiori rispetto ai macro-nutrienti.

• Essenzialità: Necessità di assumere mediante l’alimentazione una molecola a causa dell’incapa-cità dell’organismo o della sua limitata (e insufficiente) capacità di sintesi a partire da un precur-sore. Tale condizione può essere assoluta se legate alle caratteristiche dell’organismo e relativa se legata a particolari condizioni fisiologiche, patologiche o ambientali

1.1 • MACRONUTRIENTI

1.1.1 • GlucidiI glucidi sono essenzialmente molecole composte da idrogeno, carbonio e ossigeno, da cui la denomina-zione comune “idrati di carbonio” o “carboidrati”. Tali molecole costituiscono uno dei principali prodotti del mondo vegetale mediante l’ elaborazione dell’anidride carbonica propria del processo foto sintetico. I glucidi mostrano alcune macro caratteristiche peculiari:

• Dal punto di vista energetico forniscono mediamente 4 kcal/g.• Dal punto di vista strutturale sono suddivisi come monosaccaridi, oligosaccaridi e polisaccaridi.

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19ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

Monosaccaridi: Molecole basilari di natura glicidica dalla polimerizzazione dei quali derivano oligo e polisaccaridi. Vengono suddivisi in base alla composizione in triosi (3 atomi di carbonio), pentosi (5 atomi di carbonio) e esosi (6 atomi di carbonio). Biologicamente numerosi monosaccaridi sono direttamente utilizzati nei processi biologici tra cui un ruolo di particolare rilievo e ricoperto dagli esosi, primo fra tutti il glucosio.

Denominazione Ruoli principali

Glucosio Principale substrato energetico cellulare, componente di saccarosio, lattosio e maltosio

Fruttosio Substrato energetico cellulare, componente del saccarosioGalattosio Substrato energetico cellulare componente del lattosio

Tabella 1 Riepilogo dei principali esosi

Oligosaccaridi: Molecole derivate dalla polimerizzazione di un numero compreso tra 2 e 12 unità di monosaccaridi. Ricoprirono una grande varietà di ruoli nel metabolismo cellulare da quello energetico (es: saccarosio, lattosio e mannosio) a quello prebiotico(es: frutto-oligosaccaridi FOS, dei galatto-oligo-saccaridi GOS)

Polisaccaridi: Molecole derivate dalla polimerizzazione di un numero superiore a 12 di unità monosac-caridiche, esercitano diverse funzioni tra cui deposito (es. glicogeno nelle specie animali e amido nelle specie vegetali) o strutturale (es: chitina nelle specie animali -invertebrati, cellulosa nelle specie vegetali)Dal punto di vista alimentare i glucidi costituiscono una delle principali fonti energetiche. Volendo effettuare una quantificazione di massima dell’apporto energetico fornito dalle diverse fonti glucidiche è possibile affermare che mediamente l’amido rappresenti la fonte principale, seguito dal saccarosio e in minor misura dal lattosio. Considerata l’entità dell’utilizzo medio l’analisi degli aspetti alla base di queste tre strutture si rivela particolarmente utile per la comprensione del metabolismo glucidico:

Amido: Formato da amilosio e amilopectina, l’amilosio è costituito da catene lineari di glucosio, dove le unità monosaccaridiche sono legate tra loro con legami α [1→4] glicosidici. L’amilopectina presenta inve-ce, oltre a parti lineari simili all’amilosio, anche ramificazioni formate grazie a legami α [1→6] glicosidici. Il rapporto tra queste componenti è uno dei parametri che influenza l’impatto glicemico che il consumo di un determinato amido può avere, come verrà discusso nel paragrafo relativo.

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20 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

Saccarosio: Disaccaride composto da glucosio e fruttosio, uniti da un legame α [1→2] glicosidico usato principalmente come dolcificante o come fonte energetica velocemente fruibile.

Lattosio: Disaccaride composto da glucosio e galattosio uniti da un legame β [1→4] glicosidico, è caratteristico del latte e di numerosi prodotti derivati. Il suo utilizzo è correlato a disturbi dovuti a scarsa capacità digestive o a fenomeni di intolleranza vera e propria.

I glucidi (ad esclusione dei monosaccaridi) per essere assimilati devono essere scomposti nelle unità costi-tuenti mediante il relativo processo di digestione che assumerà caratteristiche differenti a seconda della molecola implicata:

Amido: La digestione avviene grazie all’azione di diversi enzimi: in ordine cronologico di intervento • α-amilasi salivare inizia la scomposizione enzimatica dell’amido contestualmente ai processo di

masticazione, viene inattivata dal Ph acido dello stomaco. • α-amilasi pancreatica solitamente agisce sia nel lume intestinale che sull’orletto a spazzola dell’en-

terocita scindendo i legami α [1→4] glicosidici dell’amido producendo maltosio, malto triosio e saccaridi a catena ramificata

• Isomaltasi: agisce sul sito analogo scindendo i legami α [1→6] glicosidici caratteristici dell’ami-lopectina.

• Maltasi: agiscono sugli oligo e disaccaridi generati dall’azione dei precedenti enzimi.

Saccarosio: viene idrolizzato da un enzima specifico, denominato saccarasi.

Lattosio: viene idrolizzato dalla lattasi (β-glicosidasi). In diverse popolazioni del mondo l’attività lattasica si riduce del 90-95% rispetto a quella presente durante l’infanzia, portando a fenomeni di ridotta digeribilità o intolleranza vera e propria nei confronti del lattosio, la possibilità di assunzione andrà valutata caso per caso.

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21ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

Una volta terminati i processi di digestione i monosaccaridi ottenuti devono essere assorbiti a livello dell’epitelio intestinale, questi processi di assorbimento assumo caratteri differenti in relazione alle specifi-che caratteristiche delle molecole implicate:Glucosio: assorbiti per cootrasporto attivo con il sodio mediante una famiglia di trasportatori definiti “sodium-glucose transporters” (SGLT), che accoppiano il trasferimento del glucosio al gradiente di con-centrazione del sodio. Il glucosio viene assorbito anche per diffusione facilitata grazie ai recettori GLUT2Galattosio: assorbito con un meccanismo analogo a quello del glucosioFruttosio: assorbito per diffusione facilitata grazie ai componenti GLUT2 e GLUT5 della famiglia di tra-sportatori “glucose transporters” (GLUT)Una volta all’interno della cellula intestinale (enterocita) le unità monosaccaridiche sono immesse nella circolazione sanguigna principalmente dai trasportatori GLUT2, GLUT3 e GLUT5 situati a livello del lato opposto del lume intestinale (membrana basolaterale) .

1.1.2 • ProtidiIn linea generale le proteine possono essere definite come polimeri di aminoacidi coniugati tra loro linearmente da legami definiti “peptidici”, dettagliandone ulteriormente l’analisi è possibile effettuare una distinzione tra molecole di natura proteica:

• Semplici: polimeri di soli aminoacidi• Complesse: polimeri di aminoacidi coordinati con altre molecole quali ioni metallici, glicidi, lipidi ecc• Dal punto di vista energetico entrambe le tipologie forniscono mediamente 4 kcal/g.

Considerati i numerosi ruoli biologici nell’organismo umano le molecole di natura proteica trovano col-locazione praticamente ubiquitaria, intervenendo per esempio in reazioni enzimatiche, nel trasporto o nella regolazione di membrana, nella regolazione ormonale, nella gestione dell’espressione genica, nella risposta infiammatoria, nella risposta immunitaria, nel trofismo tissutale ecc.. La linearità del legame peptidico non implica il mantenimento di una struttura lineare in senso stretto, in quanto le caratteristiche chimico-strutturali degli aminoacidi portano generalmente alla formazione di ulteriori legami alla base della notevole complessità strutturale delle molecole di natura proteica.

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22 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

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23ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

Tale complessità strutturale può essere descritta dal punto di vista energetico su quattro livelli:• Struttura primaria: Definita dalla sequenza degli aminoacidi che la compongono, deriva diret-

tamente dalla traduzione del trascritto genico nel processo di sintesi proteica.• Struttura secondaria: Definisce la conformazione spaziale assunta dalla molecola proteica. Le

strutture secondarie sono dovute ai legami idrogeno che si formano tra i gruppi CO e NH propri del legame peptidico. Le strutture secondarie più comuni sono α-elica e β-foglietto ripiegato

• Struttura terziaria: Definisce il ripiegamento spaziale delle catene polipeptidiche dovuta ai lega-mi non covalenti che si formano all’interno della molecola. (ponti a idrogeno, Wan Derr Vals ecc)

• Struttura quaternaria: Definisce l’assemblaggio di più sub unità che compongono la molecola finita. Questo tipo di struttura si rileva solo per alcune tipologie di molecole proteiche

Strutture di una tale complessità non possono essere assorbite allo stato nativo ma devono essere necessa-riamente digerite a singoli aminoacidi o piccole catene di e tri peptidiche. Tra i vari legami presenti nella struttura proteica il più difficile da scindere è il legame peptidico proprio della struttura primaria in quanto dal punto di vista chimico piuttosto forte, la sua scissione richiede l’azione prolungata di HCl o di specifici enzimi. Al contrario legami propri delle strutture superiori alla primaria possono essere scissi più facilmente da fattori quali il calore e variazioni del Ph.Quindi in base a quanto appena detto la denaturazione di una proteina (cambiamento conformazionale e perdita delle proprietà biologiche) è la prima tappa coinvolta nei processi digestivi. La perdita di queste strutture comporta una più favorevole esposizione dei legami peptidici alla successiva azione enzimatica. Tali enzimi possono avere due tipi di azione esopeptidasica o endopeptidasica :

• Endopeptidasi: agiscono in corrispondenza di residui amminoacidici, frammentando la catena peptidica dall’interno

• Esopepsidasi: agiscono sulle catene peptidiche a partire da un’estremità, l’amminica o la carbos-silica

La prima forma di denaturazione si ha mediante il processo di cottura degli alimenti: questo aspetto non sempre costituisce un vantaggio dal punto di vista digestivo in quanto alcuni componenti molecolari pos-sono reagire tra loro formando composti non sempre ben digeribili (glicazione, agglutinazione, reazione di Maillard ecc). All’interno dell’organismo successivamente alla masticazione (che costituisce la prima macroscopica fase digestiva) il materiale in digestione subisce a livello gastrico l’azione denaturante sia chimica dell HCl che enzimatica ad opera della pepsina. Una volta raggiunto il livello enterico il pro-cesso digestivo continua grazie all’azione enzimatica delle endopepsidasi pancreatiche tripsina e chimo tripsina, che ridurranno le macro-catene peptidiche precedentemente ottenute in piccoli peptidi che a loro volta saranno attaccati sequenzialmente dalle carbossipepsidasi A e B e dalle ulteriori peptidasi presenti sull’orletto a spazzola presente sull’epitelio intestinale, ottenendo aminoacidi liberi, dipeptidi e tripeptidi pronti per l’assorbimento.Dal punto di vista quantitativo si stima che oltre la metà degli aminoacidi venga assorbita sotto forma di dipeptidi e tripeptidi successivamente scissi a livello enterocitario da pepsidasi citosoliche, l’assorbimento di queste piccole catene è dovuta al trasportatore di membrana per i peptidi PEPT1 che sfrutta un gradiente di H+. I singoli aminoacidi invece possono essere trasportati sia da sistemi di trasporto sodio-dipendenti (con maggiore affinità per gli aminoacidi polari) che sodio-indipendenti (con maggiore affinità per gli ami-noacidi neutri). Il trasporto dei singoli aminoacidi e delle piccole catene peptidiche sfruttano meccanismi diversi per i quali non può sussistere alcuna competizione.Gli aminoacidi così ottenuti vengono direttamente immessi nel torrente ematico oppure metabolizzati a livello cellulare e utilizzati sotto altre forme in diversi processi metabolici. Le molecole di natura proteica possono essere classificate secondo diversi criteri anche molto diversi tra loro.Una prima classificazione viene fatta in base alla digeribilità, nello stabilire la quale vengono valutati parametri quali struttura della proteina, presenza nell’alimento di inibitori delle proteasi, trattamenti subiti dall’alimento eccetera.Tale parametro viene calcolato come segue:

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24 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

Assunzione di azoto - (Azoto fecale totale - Azoto fecale endogeno)

Assunzione di azoto

Una ulteriore metodica è quella che prevede la valutazione del rapporto tra gli amminoacidi essenziali (non producibili dall’organismo umano)contenuti nella proteina in esame rispetto a una proteina di riferi-mento, tale metodica viene definita punteggio chimico.

AMINOACIDI ESSENZIALIIstidina (His) (essenziale nell’infanzia)

Isoleucina (Ile)Leucina (Leu)Lisina (Lys)

Metionina (Met)Fenilalanina (Phe)

Treonina (Thr)Triptofano (Trp)

Valina (Val)

Tabella 2 Aminoacidi esseziali

Oltre alla valutazione in base a criteri di natura chimica è possibile effettuarne anche una in base a criteri di natura biologica. Esistono diverse metodologie di assegnazione di punteggio biologico, tra cui alcune delle più comuni sono:

• La “Protein efficency ratio” (PER): Rapporto tra il peso guadagnato (in g) e la quantità della proteina (in g) somministrata a un giovane ratto in crescita

• Il “Biological value” (BV): Rapporto tra la proteina depositata e la proteina assorbita. Comporta studi del bilancio dell’azoto.

• La “Net Protein Utilization” (NPU): Rapporto tra la proteina depositata e la proteina ingerita. Rappresenta una misura dell’utilizzazione di una determinata proteina.

1.1.3 • LipidiNella categoria dei lipidi vengono raggruppate una serie di molecole composte essenzialmente da car-bonio e idrogeno (ai quali si aggiungono in alcuni casi altri atomi in quantità minori), che nonostante le differenze strutturali mostrano una serie di caratteristiche comuni:

• Scarsa solubilità in acqua • Ottima solubilità in solventi organici • Dal punto di vista energetico mediamente forniscono 9 kcal/g ( più del doppio rispetto a glicidi

e protidi).

Analizzati dal punto di vista biologico i lipidi ricoprono numerosi ruoli tra cui strutturale a livello delle membrane, regolatori come messaggeri biochimici o precursori di messaggeri biochimici e energetico (sia come depositi che come substrati d’energia) In qualche forma le molecole lipidiche sono presenti in tutti gli esseri viventi dai microrganismi alle piante e agli animali superiori.

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25ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

Denominazione Principali componenti

Acidi GrassiAcidi Grassi a catena corta Acidi Grassi a catena media Acidi Grassi a catena lunga

Grassi Neutri

MonoacilgliceroliDiacilgliceroliTriacilgliceroliEteri del glicerolo

Fosfogliceridi Fosfatildilgliceroli

Sfingolipidi SfingomielinaCeramidi

Steroli ColesteroloMolecole steroidee

Tabella 3 Principali molecole lipidiche di interesse biologico

Analizzando una famiglia di molecole così ampia e articolata si rende necessario fornire informazioni di base relativamente alle principali strutture presenti:Acidi grassi: Molecole lipidiche basilari, nella famiglia molecolare sono caratterizzate dalla struttura molecolare più semplice costituita da una catena idrocarburica lineare. Dal punto di vista quantitativo sono presenti in misura decisamente rilevante nell’organismo umano, in prevalenza sotto forma di esteri del glicerolo o esteri del colesterolo, mentre in forma libera sono rinvenibili solamente in quantità minimali. Le proprietà molecolari vengono fortemente influenzare da una serie di caratteristiche strutturali tra cui:

• Lunghezza della catena idrocarburica: generalmente influenza la solubilità e la volatilità dell’acido grasso: più atomi di carbonio corrispondono a una minore solubilità e volatilità della molecola.

• Presenza, numero e conformazione dei siti di insaturazione: Un sito di insaturazione è definito da un doppio legame, un acido grasso privo di doppi legami sarà definito saturo, con un doppio legame mono-insaturo con più doppi legami poli-insaturo. Tali doppi legami possono assume caratteristiche differenti: possono esistere in configurazione cis e trans, tale configurazione è molto importante in quanto la presenza di un doppio legame in configurazione cis introduce una “curva-tura” nella molecola che ne abbassa il punto di fusione aumentandone la fluidità e ostacolandone l’impaccamento. Tali effetti di sono entità proporzionale al numero di doppi legami presenti. Il consumo di acidi grassi insaturi in configurazione cis è stato direttamente correlato a effetti posi-tivi sulla salute, in quanto a causa delle succitate ridotte capacità di aggregazione difficilmente saranno oggetto di deposizione a livello vascolare. Contribuiscono inoltre a una maggior fluidità e di conseguenza funzionalità delle membrane cellulari con tutti i benefici che ne conseguono.

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26 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

Come per il caso degli aminoacidi anche tra gli acidi grassi esistono delle molecole essenziali (molecole che l’organismo umano non è in grado di sintetizzare): gli acidi grassi appartenenti alle serie ω3 e ω6. La dicitura ω seguita da un numero definisce la posizione di un doppio legame su una molecola insatura rispetto al gruppo (metilico) terminale.

Serie Acido grasso

ω3

α- linolenico 18:3eicosapentaenoico 20:5docosapentaenoico 22:5docosaesaenoico 22:6

ω6

Linoleico 18:2γ-linoleico 18:3diomo-γ-linolenico 20:3arachidonico 20:4adrenico 22:4

Tabella 4 Principali acidi grassi della serie ω3 e ω6

Gli acidi grassi non intervengono solamente nel bilancio energetico ma ricoprono ruoli biologici di notevole importanza: nel lume intestinale favoriscono l’assorbimento di vitamine liposolubili, mentre a livello cellulare vengono utilizzati nelle vie di trasmissione di segnale, tra cui alcune vie di regolazione genica e di modulazione di alcune attività enzimatiche.

Triacilgliceroli: Molecole composte da tre acidi grassi esterificati con una molecola di glicerolo. Questa particolare struttura conferirà alla molecola caratteristiche diverse rispetto a un acido grasso:

• Assenza di funzioni acide libere• Assenza di tensioattiva • Ridotta solubilità in acqua rispetto agli acidi grassi liberi che la compongono.

I triacilgliceroli principalmente vengono accumulati a livello del tessuto adiposo, dove esercitano numerosi ruoli tra cui:

• Riserva di energia • Isolamento termico • Sostegno meccanico di organi e apparati.

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27ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

Fosfolipidi: Molecole composte da due molecole di acidi grassi e una di acido fosforico esterificate con una molecola di glicerolo, l’acido fosforico a sua volta esterificato da un amino alcol come per esempio la colina. La struttura molecolare così ottenuta conferisce al fosfolipide peculiari proprietà decisamente dif-ferenti rispetto ai lipidi precedentemente illustrati. La molecola fosfolipidica da un punto di vista funzionale può essere divisa in due parti:

• Parte della molecola è apolare, idrofoba, respinge acqua e soluzioni acquose• Parte polare, idrofila, si comporta in maniera opposta

Sulla base di queste caratteristiche i fosfolipidi sono i principali componenti delle membrane biologiche, oltre al ruolo strutturale da loro dipendono le proprietà e la funzionalità di numerose proteine di membra-na. Un particolare e diffuso fosfolipide presenta un acido grasso insaturo esterificato in posizione due al glicerolo, questa particolare conformazione fornisce anche il substrato per la sintesi di prostaglandine, componenti fondamentali nelle vie di trasmissione di segnale in numerosi processi fisiologici tra cui l’in-fiammazione.

Colesterolo: Molecola formato da un anello ciclopentanoperidrofenatrenico con numerosi sostituenti late-rali a livello del carbonio 3, 5, 10, 13, e 17. Nel mondo animale il colesterolo rappresenta quantitativa-mente lo steroide più importante, può essere rispettivamente

• Assunto mediante l’alimentazione • Sintetizzato dall’organismo a partire da acetil-CoA

A livello dell’organismo umano esiste sia in forma libera che esterificata e ricopre numerosi ruoli tra cui:• Precursore di sostanze fondamentali per la vita come gli ormoni steroidei o la vitamina D. • Composizione delle membrane cellulari: dove esercita il ruolo di componente fondamentale per

la stabilizzazione e l’integrità di membranaLa sua eliminazione può avvenire per via fecale o in forma libera o indirettamente in quanto substrato di partenza per la sintesi di sali e acidi biliari.

Nonostante i tanti e fondamentali ruoli biologici, i livelli ematici di colesterolo (più correttamente della fra-zione proteica leggera deputata al suo trasporto), così come quelli dei triacilgliceroli devono essere atten-tamente monitorati in quanto direttamente correlati all’insorgenza di patologie cardio-vascolari. Anche per quanto riguarda le molecole di natura lipidica sussistono complessi processi digestivi suddivisibili diverse fasi: la prima tappa della digestione avviene a livello della bocca, dove contestualmente alla masticazio-ne viene rilasciata la lipasi salivare, un enzima in grado di iniziare una prima idrolisi dei triacilgliceroli in posizione sn3 rimuovendo prevalentemente acidi grassi a catena corta. Proseguendo nei processi digestivi a livello del corpo e del fondo dello stomaco viene rilasciato il secondo enzima che interviene nella digestione dei lipidi: la lipasi gastrica, enzima che interviene con un azione molto simile a quella della lipasi linguale, preparando il materiale in digestione per la successiva azione enzimatica a carico della lipasi pancreatica. La lipasi pancreatica continua nell’idrolisi dei triacilgliceroli in posizione sn1 e sn3 producendo monoacilgliceroli e acidi grassi liberi. I prodotti finali di questa serie di idrolisi enzimati-che a cagione della loro natura idrofoba non sono in grado di attraversare il film acquoso che riveste la superficie assorbente dell’enterocita. Questo limite viene fisiologicamente superato grazie all’azione delle sostanze ad azione tensioattiva rilasciate con la bile quali sali biliari e fosfolipidi che in forma micellare

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28 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

inglobano i prodotti dell’idrolisi enzimatica e li veicolano alla superficie assorbente degli enterociti sotto forma di micelle. I sali biliari sono in grado di limitare l’azione della lipasi pancreatica in maniera piuttosto importante, questo limite viene superato grazie all’azione della colipasi che legandosi alla lipasi pancre-atica ne permette l’adesione alle molecole di triacilgliceroli soppiantando sali biliari e i fosfolipidi, che ne riceveranno i prodotti a idrolisi ultimata. Una volta attraversato in forma micellare l’ambiente acquoso inte-stinale gli acidi grassi e i monoacilgliceroli mediante opportuni meccanismi vengano trasportati all’interno dell’enterocita dove liberi o nuovamente esterificati potranno essere inclusi nei chilomicroni che immessi nella linfa ne determineranno la distribuzione sistemica, oppure potranno essere utilizzati nel metabolismo cellulare. Anche il colesterolo subisce l’azione dei tensioattivi rilasciati con la bile e viene incorporato nelle micelle per attraversare l’ambiente acquoso intestinale e raggiungere la superficie assorbente, una volta trasportato all’interno dell’enterocita mediante gli opportuni meccanismi potrà essere nuovamente esterifi-cato, legato a proteine di trasporto e incluso nei chilomicroni in via di formazione.

1.2 • MICRONUTRIENTI

Le molecole classificate come micronutrienti, salvo alcune eccezioni, non intervengono direttamente dal punto di vista energetico e strutturale ma agiscono in prevalenza come cofattori all’interno di numerose fon-damentali funzioni fisiologiche. Una volta ribadito questo aspetto fondamentale risulta di immediata com-prensione come la dicitura micronutrienti assume una connotazione prettamente quantitativa: i ridotti livelli li assunzione di tali molecole non ne pregiudicano assolutamente l’importanza del significato biologico.

1.1.1 • Vitamine generalitàIl termine vitamina è dovuto alla definizione fornita dai primi scienziati che studiarono queste molecole ovvero ammine necessarie per la vita. La classificazione più comune prevede una classificazione in rela-zione alle caratteristiche di solubilità, suddividendole in

• Liposolubili • Idrosolubili

Questa classificazione ha una notevole importanza in quanto le due categorie di molecole vengono meta-bolizzate in maniera estremamente differente.

Vitamine liposolubili Vitamine idrosolubiliVitamina Denominazione Vitamina Denominazione

A Reinoloβ-Carotene B1 Tiamina

D Calciferolo B2 Riboflavina

E TocoferoliTocotrienoli Niacina Acido nicotinico

Nicotinammide

K FillochinoneMenachinoni B6

PiridossinaPiridossalePiridossammina

FOLATOB12 Cobalammina

PANTOTENATOH BiotinaC Ascorbato

Tabella 5 Classificazione principali vitamine

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29ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

1.2.2 • Vitamine idrosolubili

1.1.1.1 • VITAMINA CCon la dicitura vitamina C, acido ascorbico o ascorbato, si identifica un composto idrosolubile fonda-mentale in numerosi processi biologici la cui carenza può causare disturbi o patologie molto importanti. Il ruolo biologico è dovuto alla capacità della molecola di agire come agente riducente, chimicamente rimane stabile a pH compresi tra 4 e 6 (soluzioni debolmente acide) mentre si degrada con facilità in soluzioni neutre, alcaline o in presenza di fattori quali calore, ossigeno, ioni metallici ecc. In virtù di queste caratteristiche l’ascorbato ricopre numerosi ruoli biologici:Antiossidante: Degradato a monodeidroascorbato reagendo con l’anione superossido e un protone, a formare perossido di idrogeno oppure con idrossile radicalico formando acqua.Pro-ossidante: In alte concentrazioni può agire come pro-ossidante sistemico (riducendo l’ossigeno mole-colare, il Fe (III) a Fe (II) e il Cu (II) a Cu (I)), generando composti capaci di reagire con facilità con il perossido di idrogeno formando radicali idrossilici e ioni idrossido. Questa condizione si verifica molto difficilmente a causa della ridotta capacità renale nel riassorbimento di ascorbatoCofattore enzimatico: L’ascorbato agisce come cofattore enzimatico in numerose reazioni di idrossilazio-ne tra cui:

• Sintesi di tessuto connettivo: • Sintesi di catecolammine: • Sintesi di ormoni pettidici:• Sintesi della carnitina: • Idrossilazioni Citocromo P450 dipendenti:

Metabolismo del ferro: A livello gastrico e a livello dei depositi endogeni (ferritina o emosiderina) favori-sce l’assorbimento e la mobilizzazione agendo come agente riducente, ottenendo Fe(II) da Fe (III).Azione anti radicalica: Ricopre un ruolo fondamentale nell’estinguere i composti radicalici formati dalla vitamina E (radicali tocoferossilici, radicali tocotrienossilici). Rilascio di ossido nitrico: può favorire il rilascio di ossido nitrico dal plasma alle cellule endoteliali.L’ascorbato viene assorbito a livello dell’intestino tenue da trasportatori sodio dipendenti denominati “sodium dependent vitamin C transporters” (SVCT1 e SVCT2). I canali SVCT vengono sfruttati anche per l’ingresso a livello cellulare. Alternativamente in forma di deidroascorbato l’ingresso avviene mediante i canali della serie GLUT. Generalmente l’assorbimento dell’ascorbato diminuisce in relazione al dosaggio: per un dosaggio di 1 g si ha un assorbimento di circa il 50% mentre per un dosaggio di 5 g l’assorbimento si riduce al 25%. Mediamente il 30% circa dell’ascorbato presente a livello ematico viene concentrato nei leucociti, mentre il restante 70% si trova nel plasma e negli eritrociti, non esistendo tessuti specifici deputati al suo accumulo, a parte il piccolo ruolo esercitato dal surrene e dell’ipofisi. La carenza di Vitamina C può causare a seconda dell’entità numerosi disturbi di diverso carattere, sistemici, psicologici, ematologici, secretori e connettivali, fino a sfociare nel quadro più grave ovvero lo scorbuto. Esistono per la vitamina C diversi dosaggi raccomandati per fasce di età, che possono avere valori notevolmente diversi a seconda dell’orientamento dei comitati di riferimento.

1.1.1.2 • VITAMINA H (BIOTINA)La vitamina H o biotina è un composto idrosolubile che intervenendo nei processi di carbossilazione ricopre numerose funzioni metaboliche essenziali in numerosi processi quali gluconeogenesi, catabolismo degli aminoacidi ramificati, lipogenesi ecc. Ne sono particolarmente ricchi alimenti quali albume d’uovo, fegato, lievito e soya. Come accennato gli enzimi che utilizzano la biotina come cofattore enzimatico ricoprono ruoli essenziali :Acetil-CoA carbossilasi: Regolazione dei processi biosintetici relativi agli acidi grassiPiruvato carbossilasi: Interviene nella gluconeogenesi e nel rifornimento del ciclo degli acidi tricarbossilici. (catalizzando la carbossilazione del piruvato ad ossalacetato)Propionil-CoA carbossilasi: Permette l’utilizzazione di aminoacidi quali isoleucina, treonina, metionina e valina, così come di acidi grassi con catena carboniosa a numero dispari nel ciclo degli acidi tricarbossilici.

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30 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

Metilcrotonil-CoA carbossilasi: Iinterviene nei processi catabolici della Leucina. L’assimilazione avviene sia a livello del tenue che a livello del colon mediante un sistema di trasporto sodio dipendente garanten-do anche l’assorbimento della biotina sintetizzata dalla flora batterica intestinale. Carrier per la biotina si rinvengono anche a livello renale ed epatico Eventuali eccessi di biotina assorbita vengono smaltiti per via urinaria contestualmente ai suoi metaboliti. Diversi autori consigliano un’assunzione giornaliera di biotina che va dai 15 ai 70 μg/die .Le carenze di biotina (anche se rare) possono implicare manifestazioni quali dermatiti, indebolimento e talvolta perdita di capelli e sopracciglia, depressione, allucinazioni, letargia, parestesie e nei bambini ritardi dello sviluppo.

1.1.1.3 • VITAMINA PP (NIACINA)Questa vitamina venne inizialmente denominata vitamina PP in relazione al suo ruolo fondamentale nella prevenzione e trattamento della pellagra. Esercita diversi ruoli metabolici fondamentali prevalentemente legati alla sintesi e alle funzioni della nicotinammide adenina di nucleotide (NAD) e nicotinammide ade-nina di nucleotide fosfato (NADP), molecole che intervengono in numerose reazioni di ossidoriduzione. Alimenti particolarmente ricchi di niacina sono le carni, di cui in particolare il fegato, il pesce, i legumi e le arachidi. In virtù delle sue caratteristiche il NAD partecipa all’attività di numerosi enzimi tra cui:NAD pirofosfatasi: interviene nella scissione del mononucleotide dalla nicotinammideADP-ribosio ciclasi: Interviene nella scissione del NAD formando nicotinammide e ADP-ribosio, nellla sin-tesi di ADP-ribosio ciclico (c-ADP), nella sintesi dell’acido nicotinico adenosil dinucleotide fosfato (NAADP)ADP-ribosil tranferasi: Rilascia nicotinammide contestualmente alla catalizzazione dell’ADP Poli (ADP-ribosio) polimerasi: Interviene catalizzando la poli-ADP-ribosilazione di diverse proteine rila-sciando nicotinammide.Proteine tipo Sir2: Intervengono nella regolazione dell’espressione genica de acetilando gli istoni secondo un meccanismo NAD-dipendente.Per le fonti di origine animale i processi di assorbimento riguardano l’acido nicotinico e la nicotinammide, mentre nelle fonti di origine vegetale la niacina è generalmente presente in forme scarsamente biodispo-nibili, in quanto complessata con polipeptidi, glicopeptidi o polisaccaridi, situazione parzialmente miglio-rabile grazie all’azione dell’acidità gastrica. L’assorbimento dell’acido nicotinico e della nicotinammide avviene mediante co-trasporto con il sodio. Il fabbisogno di niacina viene indicato da diversi autori intorno ai 16-18 mg/die per giovani adulti, stabilire una quota definitiva risulta comunque difficile considerando la sua correlazione al consumo energetico (NAD e NADP implicati nel metabolismo ossidativo cellulare) e all’assunzione di triptofano (precursore endogeno di niacina). Carenze di niacina conducono alla pella-gra, gravissima forma morbosa che esordisce con sintomi aspecifici e in forma conclamata è caratterizzata da dermatite, diarrea e demenza.

1.1.1.4 • VITAMINA B1 (TIAMINA)La tiamina nel corso del tempo è stata conosciuta con diversi nomi: Vitamina B1, Vitamina F e aneurina. Dal punto di vista molecolare è stabile al calore e all’ossidazione a pH inferiori a 7.Tra le fonti alimentari più ricche di tiamina troviamo la carne magra di maiale, i legumi e il lievito. Interviene in numerosi processi di decarbossilazione ossidativa fondamentali ai principali processi metabolici tra cui:

• Decarbossilazione ossidativa del piruvato• Decarbossilazione ossidativa dell’α-chetoglutarato• Decarbossilazione ossidativa degli α-chetoacidi derivati dal catabolismo dei BCAA• Reazione transchetolasica: interviene trasferendo due atomi di carbonio tra un aldozucchero e un

chetozucchero• Regolazione dei canali per il calcio: Interviene nella regolazione dei canali per il calcio a livello

del tessuto nervoso.La tiamina viene assorbita a livello intestinale mediante trasporto attivo su gradiente protonico, sodio indi-pendente, tale sistema può saturarsi anche a concentrazioni di ≈ 2 μmol/l , esistono diversi antimetaboliti in grado di competere con la tiamina per il trasporto attivo: per esempio l’assunzione di alcolici interferisce con l’assimilazione della tiamina in maniera dose dipendente, l’abuso di tali sostanze è in grado di causa-

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31ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

re gravi carenze. La sua carenza è in grado di alterare il metabolismo energetico fino a causare: in caso di deficienza acuta encefalopatia di Wernike e psicosi di Korsakoff e in caso di deficienza cronica neurite cronica periferica (beri-beri). Il fabbisogno di tiamina viene generalmente valutato sulla base dell�apporto energetico, considerando età, sesso, e particolari condizioni fisiologiche.

1.1.1.5 • VITAMINA B5 (PANTOTENATO)La Vitamina B5 o pantotenato è una molecola che partecipa in generale a reazioni dove sono coinvolti gli acili tra cui biosintesi e degradazione di acidi grassi e colesterolo, costituendo una parte fondamentale del coenzima A e della proteina trasportatrice di acili. Mediamente si stima che la cottura degradi dal 10 al 50 % della molecola presente negli alimenti. Importanti fonti sono il fegato, il rene, il tuorlo d’uovo, la pappa reale, le verdure e il lievito. Tra i principali ruoli metabolici è bene ricordare quelli relativi a:4-fosfo-panteteina: Fondamentale per il ruolo nella formazione di acidi grassi.Coenzima A: Ricopre un ruolo centrale nel trasferimento e nel metabolismo degli acili: la formazione di tio-esteri del coenzima A è una tappa obbligata per la degradazione degli acidi grassi con la β-ossidazione e per l’esterificazione di alcoli, come per esempio il glicerolo, volta alla formazione di fosfolipidi e tria-cilgliceroli. L’assimilazione avviene (previa idrolisi del Co-A presente negli alimenti) mediante trasporto attivo sodio mediato (come per la biotina) a livello di tutto il tratto enterico, probabilmente per garantire l’assorbimento della molecola prodotta a livello endogeno della flora batterica intestinale. Diversi autori ritengono che un’assunzione giornaliera di ≈ 4 -7 mg possa essere sufficiente per l’uomo adulto. La carenza di pantote-nato nell’uomo è estremamente rara (secondo alcuni autori addirittura inesistente)

1.1.1.6 • VITAMINA B2 (RIBOFLAVINA)La molecola denominata Riboflavina o Vitamina B2 ricopre un importante ruolo nelle principali reazioni di ossidoriduzione in quanto costituente dei coenzimi flavina mononucleotide (FMN) e flavina adenina dinucleotide (FAD) .La molecola incorre in fenomeni litici dovuti alla luce e si mostra poco solubile a pH prossimi alla neutralità. Generalmente presente in buone quantità in alimenti quali fegato, rene, cuore, uova, latte e verdure a foglia verde. Alcuni tra i più rilevanti i ruoli metabolico-biochimici sono:

• Reazioni trasferimento elettrone singolo • Deidrogenasi flavoproteiche • Ossidasi flaviniche • NADPH ossidasi • Ossidasi flavoproteiche• Criptocromi• Metabolismo del ferro• Metabolismo vitamina B6• Metabolismo del folato• Processi anabolici

La riboflavina disponibile viene assorbita dall’enterocita con un meccanismo ATP e temperatura dipenden-te. A livello sistemico è richiesta praticamente da tutti tessuti dove può essere ritenuta come FAD e FMN legati ai rispettivi enzimi. Stati deficitarii non sono attualmente noti, solitamente la carenza è associata a quella di altre vitamine portando a manifestazioni quali: cheilosi, stomatite angolare, alterazioni della lingua (desquamazione, secchezza e atrofia), dermatite seborroica, congiuntivite, opacizzazione del cristallino e vascolarizzazione della cornea. Diversi autori ritengono che 1,3 mg/die per l’uomo e 1,1 mg/die per la donna, siano apporti adeguati. Per assunzioni orale non sono noti dosaggi tossici, mentre megadosi fornite per endovena possono causare la formazione di cristalli a livello renale a cagione della bassa solubilità della molecola.

1.1.1.7 • VITAMINA B6Il raggruppamento di molecole simili (interconvertibili) ad azione vitaminica identificate genericamente

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32 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

come Vitamina B6 include la piridossina, piridossale, piridossammina e i relativi 5-fosfati. Queste molecole una volta convertiti in piridossal fosfato intervengono in qualità di coenzimi in numerose reazioni che coin-volgono le più svariate funzioni: neurotrasmettitori, eme, gluconeogenesi, metabolismo degli aminoacidi, dei frammenti monocarboniosi dei glicerofosfolipidi ecc. Buone fonti di queste molecole sono prodotti di uso comune quali verdure, legumi, uova, prodotti lattiero caseari, noci, semi, frutta, cereali e prodotti di origine animale in genere. Preparazioni o procedimenti di lavorazione che implicano riscaldamento o essi-cazione possono condurre alla perdita dell’attività biologica. Alcuni tra i più rilevanti ruoli metabolici sono:

• α-decarbossilazione • Racemizzazione• Transamminazione• Sostituzione\Eliminazione• Metabolismo frammenti monocarboniosi• Transulfurazione• Metabolismo lipidico• Gluconeogenesi• Glicogenolisi• Sintesi dell’EME• Risposta immunitaria• Regolazione ormonale

Le varie forme di vitamina B6 una volta scisse dal fosfato eventualmente presente, vengono assorbite a livel-lo della mucosa intestinale mediante un meccanismo passivo non saturabile, una volta superato l’enterocita saranno immesse nel torrente ematico legate all’albumina o all’emoglobina. Generalmente si ritiene che la vitamina sia biodisponibile intorno al 75% con maggiorazioni del 10% per le fonti di origine animale, con possibilità di variazione relativamente al pH, al trattamento subito dagli alimenti e alla presenza di altre componenti alimentari. Stati carenziali sono rari nell’uomo, in quanto la vitamina è ben rappresentata in numerosi alimenti e ne esistono consistenti depositi nell’organismo, tuttavia i sintomi riscontrabili sono: debolezza, irritabilità, nervosismo, depressione, insonnia, perdita di peso, dermatite seborroica, anemia microcitica e difficoltà nella deambulazione. Diversi autori propongono livelli di assunzione che oscillano da 0.2 a 1 mg/die per i bambini fino a 8 anni e da 1 a 1.7 mg/die rispettivamente a seconda del sesso e delle fasce d’età, toccando picchi di 1.9-2 mg/die per condizioni quali gravidanza e allattamento.

1.1.1.8 • VITAMINA B9 (FOLATO)Le molecole che presentano l’attività vitaminica dell’acido pteroilglutammico vengono comunemente iden-tificate come folato (o vitamina B9). I folati intervengono a diversi livelli nei processi metabolici nella serie di reazioni che implicano l’aggiunta o la rimozione di acido glutammico e/o nei processi che necessitano a qualche livello della presenza di tetraidrofolato. Queste molecole generalmente non resistono al calore, alla luce, agli alcali. Si rinvengono, anche se non in quantità importanti, in numerosi alimenti, questo determina stati carenziali sub-clinici che si riscontrabili in diverse categorie di soggetti. Tra i principali ruoli metabolico-biochimici si annoverano:

• Aggiunta-rimozione residui di acido glutammico• Coenzimi folici• N5 metiltetraidrofolato• N5 N10 metilentetraidrofolato• Sintesi di purine e pirimidine

Le dinamiche di assorbimento variano rispettivamente tra folati liberi e cogniugati:• Folati liberi (prevalentemente mono o di-glutammati) assorbiti direttamente per trasporto attivo dalla

mucosa dell’intestino tenue • Folati coniugati: devono essere sottoposti a idrolisi ad opera di specifici enzimi presenti sull’orletto

a spazzola, detti coniugasi, una volta liberi sfruttano lo stesso meccanismo dei folati liberi Una volta assorbiti a livello enterocitario i folati subiscono una serie di reazioni funzionali all’immissione

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33ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

in circolo e all’assorbimento tissutale. Le carenze di folati in genere conducono a una sintomatologia molto simili a quelle di carenza della vitamina B12, le problematiche più gravi possono sfociare in difetti nella formazione del tubo neurale nelle puerpuere) o in anemia megaloblastica, mentre in tutti i soggetti si possono verificare diminuzione e alterazioni dell’eritropoiesi. Esistono diverse indicazioni fornite da vari autori in merito all’assunzione di folati (valutate come equivalenti di folato alimentare a causa delle diverse biodisponibilità legate agli alimenti) che possono andare dai 50 ai 600 μg/die a seconda di sesso, età e particolari condizioni fisiologiche quali gravidanza e allattamento.

1.1.1.9 • VITAMINA B12La famiglia di molecole di origine batterica caratterizzati un anello corrinico e aventi l’attività biologica della cianocobalammina vengono generalmente identificati come vitamina B12 . Tali composti interven-gono come fattori coenzimatici nelle reazioni di isomerizzazione che intervengono nel metabolismo di diverse molecole come ad esempio il propionato e la metionina. La stabilità di questi complessi si mosrta piuttosto ridotta in presenza di metalli pesanti e/o di agenti riducenti come per esempio l’acido ascorbico. Le migliori sorgenti alimentari di vitamina B12 sono generalmente le frattaglie e i frutti di mare in genere, dato che la sua origine si riconduce a microrganismi, gli alimenti vegetali (salvo contaminazioni) ne sono generalmente privi, ad eccezione delle piccole quantità presenti nei legumi (in virtù dei microrganismi in essi contenuti) Il principale ruolo metabolico-biochimico proprio della vitamina B12 è la partecipazione coenzimatica alle Reazioni di isomerizzazione.

La vitamina B12 presente negli alimenti viene liberata per un azione congiunta di enzimi gastroenterici e acidità gastrica. A livello intestinale avviene il legame con il fattore intrinseco di Caste dopodiché il com-plesso cobalammina-fattore viene assorbito con un meccanismo recettore mediato calcio e pH dipendente. La capacità di assorbimento con questo meccanismo va da 1,5 a 2 μg e si abbassa al 90-50% per dosi inferiori al μg. Se assunta in dosi superiori può essere parzialmente assorbita anche per diffusione. Nel valutare l’assorbimento della vitamina B12 è necessario considerare che dai 2/3 ai 3/4 della frazione escreta con i sali biliari viene generalmente riassorbita. Stati carenziali possono rientrare in due categorie:

• Primarie: da inadeguato consumo • Secondarie: da insufficiente assorbimento.

A prescindere dall’eziologia i quadri derivanti da carenza sono:• Anemia megaloblastica (implica il rilascio ematico di eritrociti immaturi), • Anemia perniciosa (anemia megaloblastica dovuta a cause secondare come malassorbimento

per carenza di fattore intrinseco) in cui è presente anche degenerazione del midollo spinale con neuropatia periferica. (è possibile che si verifichi anche la sola neuropatia)

Diversi autori stimano un fabbisogno di Vitamina B12 che va dai 0,1-1 μg/die a 1-2,5 μg/die.

1.1.3 • Vitamine liposolubili

1.1.1.10 • VITAMINA AVengono descritte come vitamina A una serie di molecole liposolubili classificate come retinoidi cioè con la stessa attività biologica del retinolo. Le molecole precursori vengono invece classificate come carotenoidi cioè con la stessa attività biologica del β-carotene. La vitamina A interviene in processi quali l’espressione genica, la riproduzione, lo sviluppo embrionale, la crescita e la funzione immunitaria. Sia la vitamina A che i carotenoidi sono sostanze di natura liposolubile, generalmente si mostrano poco stabili in presenza di ossigeno, sorgenti luminose o sorgenti di calore. Generalmente sia i retinoidi che i carotenoidi sono sintetizzati da microrganismi o da vegetali o accumulati in alcuni tessuti animali, buone fonti sono frutti e ortaggi molto colorati per quanto riguarda il mondo vegetale e fegato e altre interiora per quanto riguarda il mondo animale. Alcuni dei principali effetti della vitamina A o dei suoi precursori si esercitano a livello:

• Visione• Differenziazione cellulare• Morfogenesi

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34 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

• Sistema immunitario• Sintesi proteica

Essendo molecole di natura liposolubile la prima tappa necessaria all’assorbimento consiste nell’idrolisi delle forme esterificate e nell’emulsione contestualmente a tutte le molecole di natura lipidica, una volta assorbite avranno una via di immissione nel torrente ematico e distribuzione tissutale comune con altre molecole di natura lipidica.

Sintomi da carenza di vitamina A possono manifestarsi a diversi livelli: • Compromissione della vista: esordisce con emeralopia, prosegue in xeroftalmia fino a causare

compromissione della cornea e perdita della vista, ovvero cheratomalacia. • Alterazioni della congiuntiva: compromissione della secrezione mucosa e comparsa delle mac-

chie di Billot. • Alterazioni degli epiteli: ipercheratosi follicolare, metaplasia squamosa con possibile cheratinaz-

zione e perdita delle cellule caliciformi a livello della trachea e del tratto respiratorio. • Alterazioni sistema ematopoietico • Alterazioni sistema riproduttivo.• Diminuzione della risposta immunitaria e maggiore suscettibilità alle infezioni.

Trattandosi di molecole liposolubili è possibile riscontrare accumulo, eccessi nell’assunzione di vitamina A possono causare notevoli problematiche;

• Intossicazioni acute (nausea, vomito, emicrania, aumento della pressione cerebrospinale, vertig-gini, visione confusa, sonnolenza, malessere, inappetenza, riduzione dell’attività fisica, eruzioni cutanee, prurito, convulsioni e crisi respiratorie)

• Intossicazione cronica (allopecia, atassia, dolore osseo, dolore muscolare),

È da ricordare che il sovradosaggio può causare alterazioni epatiche e teratogenicità. Diversi autori pro-pongono dosaggi differenti, sempre considerando che l’attività biologica dei retinoidi e dei carotenoidi è diversa e quindi si dovrà ragionare per retinolo-equivalenti con gli opportuni fattori di conversione, comun-que i valori proposti vanno da 300 a 770 μg/die toccando picchi di 1300 μg/die in allattamento e comunque anche in casi particolari i dosaggi non dovranno superare i 3000 μg/die

1.1.1.11 • VITAMINA DAnche se storicamente conosciuta come vitamina e come nutriente, la vitamina D non può essere ritenuta tale in quanto può essere prodotta a livello endogeno conseguentemente all’esposizione solare in quanti-tativi sufficiente alle necessità umane. Anche in questo caso con la dicitura vitamina D genericamente ci si riferisce a una serie di molecole tra cui le principali :

• D2 o ergocalciferolo (forma comunemente assunta mediante l’alimentazione)• D3 o colecalciferolo (forma endogena prodotta a partire dal 7-deidrocolesterolo in risposta alla

luce solare)La vitamina D esplica il suo ruolo in relazione al metabolismo del calcio, aumentandone l’efficienza di assorbimento a livello del tenue, favorendone il riassorbimento renale e modulando l’attività osteoblastica. In virtù di queste caratteristiche diversi autori ritengono che la vitamina D possa essere classificata tra le sostanze ad azione ormonale. Generalmente sono buone fonti di vitamina D2 alimenti lattiero-caseari, tuorlo d’uovo e alcuni pesci. La vitamina D2 viene efficientemente assorbita a livello intestinale e distribuita, come per le altre molecole di natura lipidica in prima battuta mediante i chilomicroni, da cui in parte viene trasferita alla proteina legante la vitamina D. Carenze di vitamina D possono causare in bambini e ado-lescenti rachitismo, (alterazione nella mineralizzazione dell’osso neoformato) e negli adulti osteomalacia (deficit nella rimineralizzazione caratteristica del turnover osseo). Si stima il fabbisogno di vitamina D in 2,5-10 μ/die, quota sicuramente difficile da coprire mediante la sola alimentazione senza far ricorso a fortificazioni o integrazione alimentare, bisogna però considerare che mediante un’adeguata esposizione al sole tale quota può essere normalmente prodotta a livello endogeno.

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35ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

1.1.1.12 • VITAMINA ECon la dicitura vitamina E vengono generalmente identificati i tocoferoli, una famiglia di molecole di origne vegetale, in natura si rinvengono quattro tocoferoli (α, β, γ, δ). L’ α-tocoferolo è la forma general-mente presente nel plasma umano. La vitamina E è liposolubile, stabile al calore, agli ambienti alcalini e acidi ma non all’ossigeno, alle fonti luminose e agli ioni metallici (che generalmente potenziano l’azione dell’ossigeno). Le migliori fonti di vitamina E sono gli olii vegetali. Tra i suoi principali ruoli metabolico-biochimici si riscontrano:

• Attività antiossidante (in particolare a livello di membrana)• Attività anticoagulante• Trascrizione genica

L’assorbimento della vitamina E avviene a livello della mucosa intestinale contestualmente a quello dei lipidi in misura del 20-40% della quota ingerita, una volta assorbiti i tocoferoli vengono immessi nei chilo-microni in forma non esterificata, dopodiché vengono ceduti per azione della lipoproteina lipasi ai tessuti o alle altre lipoproteine. Non sono note nell’uomo vere e proprie sindromi da carenza di vitamina E, sono comunque stati riscontrati problemi al sistema nervoso (degenerazione assonica) e riduzione della vita media degli eritrociti. Generalmente vengono proposti intervalli di assunzione che vanno da 10-15 mg nell’adulto, non esiste concordia tra i vari autori relativamente a maggiorazioni per soggetti in gravidanza o in allattamento

1.1.1.13 • VITAMINA KLe molecole con attività vitaminica K sono accomunate intervengono principalmente come coenzimi nella reazione di carbossilazione sui residui di glutammato presenti in alcune proteine. Questi composti sono fotosensibili e contenuti in buone quantità generalmente nelle verdure (in particolare a foglia verde). I suoi principali ruoli metabolico-biochimici sono:

• Coagulazione del sangue• Calcificazione dell’osso• Metabolismo del calcio

La vitamina presente nelle fonti alimentari viene assorbita dalla mucosa intestinale a livello del tenue con un efficienza che può andare dal 40 all’80% e distribuita a livello sistemico mediante i chilomicroni, inoltre può essere prodotta da alcuni batteri che colonizzano l’intestino. In virtù di ciò è difficile riscontrare sindromi carenziali nell’adulto sano (in quanto la vitamina prodotta dai batteri può compensare eventuali deficit nutrizionali), carenze di tale vitamina potrebbero in linea teorica compromettere i processi coagu-lativi e l’omeostasi ossea, anche se a livello e con entità differenti. I dati relativi all’assunzione giornaliera non sono concordi anche se in generale si ritiene che un’assunzione di 120 μg/die per soggetti di sesso maschile e 90 μg/die per soggetti di sesso femminile siano sufficienti.

1.1.2 • MineraliIn ambito nutrizionale con il termine minerali ci si riferisce a numerose sostanze di natura inorganica, dalla diversa biodisponibilità, presenti nell’organismo umano in quantità che possono andare dalle migliaia di grammi del calcio alle tracce di altri elementi. Numerosi tra questi elementi sono presenti nel organismo umano disciolti nella componente acquosa, condizioni nelle quali si dissociano in forma ionica:

• Cationi (ioni carichi positivamente): principalmente sodio, potassio, calcio e magnesio, • Anioni (Ioni carichi negativamente) principalmente cloruro e il bicarbonato.

Proprio in virtù di questa caratteristica vengono definiti elettroliti. I quantitativi relativamente ridoti non devo-no comunque sminuire l’importanza di questi elementi che si rivelano nella stragrande maggioranza dei casi fondamentali al corretto funzionamento di numerosi processi fisiologici.

1.1.1.1 • SODIOIl sodio è uno ione fondamentale in quanto direttamente coinvolto nel bilancio della pressione osmotica (implicando sia il compartimento extra che intra cellulare) e di conseguenza nel determinare il volume dei fluidi extracellulari, dal punto di vista biologico si comporta di fatto come uno ione non diffusibile sia a

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36 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

causa della ridotta permeabilità offerta dalle membrane biologiche che a causa dell’elevato costo ener-getico delle pompe ioniche sodio/potassio ATP dipendenti. In virtù di queste caratteristiche interviene in numerosi processi fisiologici tra cui :

• Mantenimento dell’equilibrio ionico del compartimento extracellulare• Mantenimento del volume dei fluidi extracellulari• Formazione di gradienti di concentrazione necessari a numerosi processi fisiologici• Formazione del potenziale di membrana necessario al funzionamento delle cellule eccitabili• Coinvolgimento nel metabolismo di altri soluti

La quota assunta mediante l’alimentazione viene assorbito a livello intestinale grazie a diversi sistemi mole-colari come la pompa ionica sodio/potassio ATP dipendente o sistemi di co-trasporto che prevedono il coinvolgimento di altre molecole, come per esempio il glucosio nei canali SGLT. La sua concentrazione viene finemente regolata mediante meccanismi ormonali che coinvolgono reni, surrene, sistema vascolare e sistema emuntore. Vista l’ampia distribuzione del sodio negli alimenti non ha molto senso parlare di livelli minimi di assunzione quanto di livelli massimi, soprattutto considerando gli effetti dovuti ad eccessi di assunzione che non sempre l’organismo riesce a compensare. Anche in questo caso, numerosi autori propongono diversi intervalli, quello proposto in sede europea va da 575 a 3500 mg/die. Alterazioni nel bilancio del sodio possono manifestarsi in eccesso, condizione definita ipernatremia, o in difetto, condizione conosciuta come iponatremia. Situazioni particolari come ad esempio quelle dovute a forti stress termici (soprattutto se episodici, dovuti per esempio all’attività fisica) possono causare un aumento nel fabbisogno di sodio conseguentemente alle aumentate perdite correlate alla sudorazione.

1.1.2.2 • POTASSIOIl potassio in forma ionica rappresenta il principale catione intracellulare: le membrane biologiche si dimostrano ben permeabili al suo passaggio avendo un potenziale a riposo prossimo a quello del suo equilibrio. Il corretto rapporto con il sodio fra i compartimenti extra e intra-cellulare viene mantenuto inoltre grazie all’azione delle pompe sodio/potassio ATP dipendenti. Lo ione potassio interviene in diversi pro-cessi fisiologici tra cui è fondamentale ricordare:

• Eccitabilità neuromuscolare: partecipando alla generazione dei necessari gradienti di potenziale• Reazioni enzimatiche: partecipando, per esempio, alla cascata di reazioni proprie della glicolisi

o della fosforilazione ossidativa

Il potassio viene ben assorbito al livello gastroenterico. A livello cellulare gli scambi vengono garantiti tra-mite diversi meccanismi molecolari che possono implicare o meno la presenza di altri ioni o la partecipa-zione di altre molecole ad effetto ormonale come per esempio l’insulina. I livelli di potassio dell’organismo sono direttamente correlati al contenuto di azoto e quindi alla massa libera da grasso (Free Fat Mass). Vista la stretta correlazione con il sodio, è importante valutare il rapporto tra l’assunzione giornaliera dei due ioni. Considerata la sua presenza in numerosi alimenti è difficile riscontrarne delle carenze salvo in situazioni patologiche (malnutrizione calorico proteica, la diarrea o disfunzioni renali ecc). Alterazioni del bilancio del potassio possono in caso di carenza (ipocaliemia)condurre a manifestazioni che vanno dall’ipertensione, aumento del rischio di calcolosi delle vie urinarie, aumento nel turnover del tessuto osseo, apatia, confusione mentale, debolezza del muscolo scheletrico, anomalie cardiache ecc. Diversi autori non sono concordi nel raccomandare i livelli di assunzione giornaliera, che possono essere compresi quin-di tra i 3.2 e i 5.9 g/die. Se assunto per via orale il potassio mostra una tossicità modesta provocando generalmente in caso di dosaggio eccessivo vomito, mentre dosaggi eccessivi somministrati per endovena possono rivelarsi letali a causa delle alterazioni causate al miocardio.

1.1.1.3 • CLORUROIl cloruro viene principalmente assunto mediante il sale da cucina, per cui si ritiene che i livelli di assun-zione raccomandata possano essere sovrapponibili a quelli del sodio. Prende parte alle vie di signaling proprie di numerosi processi biologici. Diversi autori ritengono estremamente improbabile che possano verificarsi carenze di cloruro.

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37ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

1.1.2.4 • CALCIOIl calcio è un metallo alcalino-terroso presente nell’organismo sotto forma di ione bivalente prevalentemente:

• Livello cellulare (segregato negli organuli),• Fluido extracellulare • Tessuto osseo.

Il calcio è utilizzato nell’organismo sia a livello strutturale che a livello di regolazione; intervenendo:• Nella contrazione muscolare• Nella trasmissione nervosa • Nella coagulazione del sangue.

Generalmente i prodotti lattiero-caseari vengono considerati come una delle migliori sorgenti alimentari di calcio, bisogna comunque ricordare che il metallo è contenuto in numerosi alimenti di origine vegetale come cereali, verdura e frutta anche se con una diversa biodisponibilità. Cibi ricchi in ossalati come fagioli e spinaci, cibi ricchi in fitato come semi, noci, cereali e pane non lievitato possono avere una biodisponibilità piuttosto limitata. Anche il fosfato in rapporti molto alti (3:1 o superiori) può interferire con la biodisponibilità del calcio in maniera considerevole, mentre zuccheri come il lattosio sono in grado di aumentarne la biodisponibilità. Alte assunzioni di alimenti ricchi in sodio o caffeina possono invece far aumentare l’escrezione urinaria di calcio contestualmente ad una riduzione nell’assorbimento. L’assorbimento di calcio avviene principalmente a livello dell’intestino tenue e in minime quantità anche a livello del colon permettendo di definire:

• Assorbimento vero: Quota di calcio assorbita a livello intestinale• Assorbimento netto: Quota di calcio assorbita – quota di calcio secreta a livello intestinale

L’escrezione avviene a livello intestinale e in minor misura a livello renale , siti nei quali avviene filtrazione e riassorbimento della maggior parte del filtrato. Come accennato il calcio viene depositato prevalente-mente a livello osseo da cui può essere mobilizzato a seconda delle necessità. Considerata l’entità dei depositi sono necessari lunghi periodi di carenza prima di manifestare una vera e propria sintomatologia. L’omeostasi plasmatica del calcio è controllata da un sistema ormonale che agisce a livello intestinale, rena-le e osseo, tale sistema include le forme attive della Vitamina D (precedentemente trattate), il paratormone, la calcitonina e in minor misura glicocorticoidi, ormoni sessuali, ormoni tiroidei e ormone della crescita:

• Paratormone (PTH): Ormone paratiroideo con effetto ipercalcemizzante secreto in risposta a una diminuzione della calcemia, incrementa la mobilizzazione del calcio e del fosfato dalla matrice minerale del tessuto osseo verso il sangue e ne favorisce l’assorbimento a livello intestinale.

• Calcitonina: Ormone ipocalcemizzante secreto a livello delle cellule C della tiroide, interviene riducendo l’attività osteoclastica

• Glucocorticoidi: Per questa applicazione intervengono diminuendo l’attività osteoblastica, ridu-cendo l’assorbimento di calcio a livello intestinale

• Ormoni sessuali: Stimolano la crescita ossea e la calcificazione delle metafisi• Ormoni tiroidei: Stimolano il riassorbimento di tessuto osseo• Ormone della crescita: Mediante l’azione delle somatomedine, favorisce la formazione di tessuto

osseo e cartilagineo.In un individuo adulto il fabbisogno di calcio può essere definito come la quantità capace di mantenere l’equilibrio tra assunzione ed escrezione, mentre nel soggetto in fase di sviluppo, in gravidanza o in allattamento il fabbisogno dovrà considerare le specifiche esigenze metaboliche dovute alla peculiare condizione. Diversi autori propongono livelli di assunzione piuttosto diversi, con indicazioni dai 500 mg/die ai 1300 mg/die; assunzioni fino a 2500 mg/die vengono comunque ritenute sicure dalla maggior parte degli autori, mentre si ritiene che a dosaggi superiori possano iniziare a manifestarsi in alcuni soggetti alterazioni del quadro renale. Stati carenziali possono condurre a condizioni patologiche come rachitismo, osteomalacia e osteoporosi.

1.1.2.5 • MAGNESIOIl magnesio partecipa in qualità di cofattore a oltre 300 reazioni biochimiche intervenendo nell’attivazio-ne degli aminoacidi, nella sintesi di proteine, nella sintesi di acidi grassi nel metabolismo del glucosio,

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38 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

nella formazione di cAMP e in alcune funzioni correlate agli acidi nucleici. Dal punto di vista nutrizionale è contenuto in numerosi alimenti, per questo raramente si riscontrato stati carenziali in individui sani. L’assorbimento avviene prevalentemente a livello del digiuno e dell’ileo e in minor misura anche nel colon. La quota non trattenuta a livello osseo o a livello tissutale viene generalmente escreta mediante la minzione. La maggior parte degli autori consigliano un’assunzione compresa tra i 300 e i 420 mg/die. In soggetti sani è molto difficile riscontrare carenze di magnesio; stati carenziali possono verificarsi fondamentalmente in due categorie di soggetti:

1) Soggetti che non possono assorbire o ritenere il metallo (con funzionalità glomerulare e stato nutrizionale normale)

2) Soggetti che presentano un quadro catabolico (profilo calorico-nutrizionale alterato, con possibili acidosi, ipopotassemia o di natura iatrogena)

Stati carenziali di magnesio possono essere dovuti anche a quadri come:• Alcolismo • Diabete tipo 1 • Situazioni di stressogene intense e prolungate. • Disordini gastroenterici• Perdite renali• Disordini endocrini e metabolici• Aldosteronismo primario• Malattie renali croniche • Allattamento eccessivo

Non sono note reazioni tossiche dovute al magnesio contenuto negli alimenti; l’eccesiva supplementazione è in linea di massima associata a episodi di diarrea osmotica (è molto difficile per un soggetto con una funzionalità renale sana accumulare un quantitativo di magnesio sufficiente a causare tossicità).

1.1.2.6 • FOSFOROIl fosforo è un costituente di quasi tutti i gruppi cellulari, considerata la sua distribuzione ubiquitaria il suo consumo adeguato è fondamentale al funzionamento dell’organismo. Dal punto di vista biologico ricopre numerosi ruoli di importanza biologica:

• Metabolismo energetico• Principale componente delle membrane biologiche• Biosintesi di acidi nucleici• Trasmissione di informazioni a livello cellulare

Il fosforo è presente in numerosi alimenti, sia di origine animale che (sotto forma id fitati) di origine vege-tale; è bene ricordare che nella specie umana questa forma è indisponibile. L’assorbimento del fosfato avviene a livello della porzione prossimale dell’intestino tenue e può essere favorito dall’azione della vita-mina D.. L’escrezione del fosforo avviene prevalentemente per via renale con meccanismi concentrazione dipendenti e tramite una perdita fecale obbligata. Diversi autori propongono un consumo giornaliero tra gli 800 e1200 mg/die. E’ molto difficile che un soggetto sano possa incorrere in stati carenziali, paticolari condizioni dove può verificarsi ipofosfatemiasi sono:

• Esercizio fisico eccessivo• Sindrome da rialimentazione• Nutrizione paraenterale• Alcalosi respiratoria• Astinenza da alcool• Trattamento del diabete chetoacidosico• Assunzione regolare di sostanze leganti il fosfato (es:antiacidi)• Perdita renale di fosfati• Fase diuretica post-ustione• Neonati a basso peso

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39ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

Nel caso si verifichi questa condizione sarà possibile osservare• Miopatie• Alterazioni cardiache• Alterazioni ematiche• Rachitismo• Osteomalacia

E estremamente difficile per un soggetto sano raggiungere con l’alimentazione dosaggi pericolosi; anche ammettendo un’assimilazione ottimale, sarebbero necessari almeno 3000 mg/die per iniziare a manife-stare dei disturbi, attenzione andrà invece prestata in soggetti con un’alterata funzionalità renale.

1.1.2.7 • ZOLFOInterviene nella formazione di cartilagine, unghie e capelli. Contenuto in prevalenza nelle piante appar-tenenti alla famiglia delle crucifere (brassicacee), nel tuorlo d’uovo, in molti semi, nelle carni, nel latte e nei suoi derivati e in vegetali come cipolla e aglio, praticamente in tutti gli alimenti ricchi di amminoacidi solforati come metionina e cisteina, è inoltre ottenibile da molte vitamine del gruppo B. Diversi autori pro-pongono livelli di assunzioni da 800 mg a 2,5-3 g.

1.1.2.8 • FERROIl ferro è un metallo che ricopre un ruolo di primaria importanza biologica in virtù delle sue potenzialità ossidoriduttive. In natura si rinviene in forma ferrica (Fe3+) e in forma ferrosa (Fe2+), la forma ferrosa si dimostra la più adatta per numerosi processi biologici quali:

• trasporto di membrana• deposizione coordinata alla ferritina • formazione del gruppo eme• Formazione di emoglobina e mioglobina• Formazione di enzimi

Generalmente si stima un assorbimento del ferro dal 10 al 20 % in base:• alla forma di assunzione (eme o non-eme)• allo stato nutrizionale del soggetto • all’eventuale presenza di anti-nutrienti.

Il ferro in forma non-eme (inorganica) è presente in numerosi prodotti di origine vegetale ma presenta un biodisponibilità piuttosto scarsa non essendo assorbito in maniera efficiente, mentre il ferro in forma eme (organicato), contenuto generalmente in alimenti di origine animale (legato in prevalenza a emoglobina o mioglobina) viene assorbito con maggior efficienza. Fattori generalmente in grado di interferire con l’assimilazione del ferro sono:

• Presenza di fosfati• Presenza di fitati• Assunzione di tannini (es:caffè o the)• Assunzione di polifenoli (per il ferro inorganico)• Assunzione di proteine di origine vegetale (per il ferro inorganico)• Assunzione di farmaci ad azione antiacida• Accelerato transito intestinale• Achilia gastrica• Sindromi da malassorbimento• Precipitazione da alcalinizzazione• Presenza di calcio

L’ assorbimento avviene generalmente a livello del tenue mediante trasportatori specifici e enzimi acces-sori; una volta assorbito il ferro viene legato alla transferrina che è in grado di trasportarlo in maniera efficiente. A livello cellulare lo stoccaggio avviene complessandolo con la ferritina. Assorbimento, riciclo ed eventuale escrezione di ferro nei limiti fisiologici sono finemente regolati da complessi meccanismi

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40 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

biochimico-ormonali. Diversi autori propongono livelli di assunzione età e sesso dipendenti che possono andare da 7 a 11 mg/die, fino ad arrivare in particolari condizioni fisiologiche come la gravidanza a 27 mg/die e comunque a dosaggi mai superiori ai 40-45 mg/die. Situazioni in cui può essere necessario un aumentato apporto sono:

• Gravidanza• Allattamento• Periodo post-mestruale(soprattutto in soggetti con flussi abbondanti)• Esercizio fisico intenso e continuativo Dieta inadeguata• Diminuito assorbimento• Esercizio fisico intenso e prolungato• Perdita di sangue

Stati carenziali generalmente sfociano in anemia sideropenica, quadro generalmente associato a proble-matiche quali:

• Debolezza• Fatica • Pallore• Dispena• Palpitazioni• Sensazione di stanchezza• Sensazione di freddo• Parestesie• Ritardi nello sviluppo psicomotorio• Alterazioni delle funzioni cognitiva

E’ estremamente difficile, considerata la presenza di meccanismi di regolazione, raggiungere un sovrado-saggio di ferro mediante l’alimentazione o l’integrazione per OS dove in genere sono riscontrati sintomi gastrointestinali (mentre questo non può dirsi della somministrazione paraenterale). Eventuali quadri pato-logici legati ad un aumento nei depositi di ferro possono sfociare in :Emosiderosi: quando non ci sono danni ai tessutiEmocromatosi: quando il danno è medio/grave e possono comparire alterazioni tissutali

1.1.2.9 • RAMEIl rame è un metallo dalle notevoli capacità ossido-riduttive che può essere rinvenuto in forma metallica( a stato di ossidazione 0), in forma rameosa Cu (I) o in forma rameica Cu(II). Sono buone fonti di rame alimenti quali frutti di mare, noci, semi, legumi, fegato, la maggior parte delle carni, alcuni frutti e alcune verdure, mentre scarseggia nei prodotti lattiero caseari e nel pollame. Generalmente la biodisponibilità del rame non viene influenzata da altri nutrienti l’assorbimento avviene generalmente nel tenue mediante il trasportatore DMT1, una volta immesso nel torrente ematico si ritiene che venga trasportato legato all’al-bumina. Si stima che solamente il 15% del rame assorbito venga trasportato ai tessuti, la parte rimanente viene escreta prevalentemente mediante la bile e in una minima percentuale con le urine. Alcuni autori ritengono che 0.9 mg/die rappresentino un assunzione adeguata. Stati carenziali di rame sono estrema-mente rari e associati a condizioni patologiche come:

• Anemia microcitica ipocromica• Neutropenia• Demineralizzazione ossea• Emorragie subperiostee• Depigmentazione della cute e dei peli• Alterazioni nella formazione di elastina• Degenerazione cerebrale• Ipotonia• Ipotermia

Il sovraddosaggio è correlato a fenomeni di tossicità acuta con sintomatologia gastrointestinale quale:

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41ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

• Dolore epigastrico• Nausea• Vomito• Diarrea

Questo tipo di sintomatologia gastrointestinale generalmente impedisce il verificarsi di grave tossicità a livello sistemico. Nella rara eventualità che questa situazione si verifichi sarebbe il quadro associato sareb-be da ritenersi estremamente grave.

1.1.1.10 • ZINCOLo zinco è un elemento rinvenibile in natura può essere in forma metallica in forma ionica (Zn II), fisiolo-gicamente interviene in numerosi processi, in molti enzimi, nelle membrane biologiche e interviene nella stabilizzazione di numerosi complessi ormone-recettore, tra cui alcuni dei più significativi sono:

• Funzione catalitica• Funzione co-catalica• Funzione strutturale• Membrane biologiche• Funzione antiossidante

In natura lo zinco è contenuto in buone quantità in alimenti quali le ostriche, le carni, fegato, uova, cibi di provenienza marina, noci, legumi e i semi di cereali anche se in quest’ultimi buona parte viene persa con i processi di raffinazione. Diete povere in fibra con un buon tenore proteico possono favorire l’assunzione di zinco sono diete povere in fibra con un buon livello di proteine, mentre la presenza di sostanze “sequestranti” come ossalati e fitati caratteristiche del mondo vegetale può ridurne la biodisponi-bilità. L’assorbimento avviene a livello del tenue metalli come rame e cadmio possono competere per gli stessi trasportatori. Si stima che lo zinco realmente assorbito sia tra il 25 e il 40% della quantità assunta. L’escrezione dello zinco avviene in buona parte per via fecale a causa di secrezioni pancreatiche e inte-stinali, un minimo quantitativo può essere rinvenuto anche a livello delle urine e nel sudore. Tabelle attuali stabiliscono il fabbisogno di zinco nell’intervallo tra gli 8 e gli 11 mg/die. Situazioni che richiedono un’assunzione maggiorata di zinco sono la gravidanza, l’età avanzata e l’alcolismo (a causa della com-promissione dei tessuti epatici. La carenza di zinco può causare manifestazioni quali.

• Ritardo della crescita• Ritardo della maturazione sessuale/impotenza• Ipogonadismo/Ipospermia• Deficienza del sistema immunitario• Disturbi del comportamento• Alopecia• Lesioni cutanee• Ritardo nella guarigione delle ferite• Cecità notturna• Lesioni oculari con fotofobia e diminuzione dell’adattamento al buio• Diminuzioni dell’appetito • Alterazioni del senso del gusto• Intolleranza al glucosio• Alterazioni del metabolismo lipidico

L’assorbimento e l’escrezione vengono regolate omeostaticamente, per questo risulta molto difficile che si verifichi una sovra-assunzione di origine alimentare salvo il caso di alimenti contaminati, la cui assunzione causerà sintomi quali dolore epigastrico, nausea e vomito che solitamente si raggiunge a dosaggi superiori a 200 mg, per questo in via precauzionale il dosaggio massimo tollerabile è stato fissato a 40 mg/die.

1.1.1.11 • MANGANESEIl manganese è biologicamente è correlato a al funzionamento di diversi enzimi; specificatamente o in

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42 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

sostituzione del magnesio. Viene assorbito a livello intestinale con un’efficienza relativamente bassa, tra il 2 e il 15%, soprattutto negli alimenti di origine vegetale a causa della presenza di elementi capaci di legarlo. La principale via di escrezione del manganese è intestinale in quanto viene secreto con la bile. Generalmente si ritiene un’assunzione adeguata per l’adulto è compresa tra i 2 e i 5 mg/di, mentre il limi-te superiore di assunzione è fissato per 11 mg/die. Effetti da carenza sono stati studiati prevalentemente in animali da laboratorio dove sono stati riscontrati sintomi quali:

• Alterazioni della crescita• Anormalità scheletriche• Anormalità della funzione riproduttiva• Atassia• Alterazioni nel metabolismo di lipidi e carboidrati

Il manganese assunto mediante l’alimentazione si rivela generalmente poco tossico al massimo è possibile riscontrare una diminuzione nell’assorbimento di ferro, mentre quadri più gravi sono correlati alla sua ina-lazione, eventualità che esula gli scopi del testo

1.1.1.12 • CROMOIl cromo nella forma biologicamente CrIII) è correlato al potenziamento dell’azione insulinica. L’assorbimento avviene a livello intestinale in quantità normalmente scarse: si stima infatti che solamente il 2% del quantita-tivo ingerito venga assorbito. Il cromo organicato viene generalmente assorbito meglio, allo stesso tempo viene smaltito in maniera decisamente rapida senza esercitare effetti biologici. In linea di massima l’assor-bimento è migliore quando il cromo viene assunto contestualmente a un pasto ricco di glicidi complessi, come l’amido, piuttosto che semplici come saccarosio, fruttosio o glucosio. La carenza di cromo è un evento estremamente raro che si manifesta primariamente con insulino-resistenza e secondariamente con una serie di sintomi correlati all’alterazione dell’attività insulinica. Alcuni autori ritengono che sia possibile valutare un’assunzione adeguata intorno ai 35 μ/die per l’uomo e 25 μ/die per la donna, considerata la bassissima tossicità della forma trivalente, a oggi non è stato stabilito un limite superiore di assunzione.

1.1.1.13 • FLUOROA livello biologico il fluoro viene utilizzato in forma di fluoruro, l’assorbimento avviene a livello intestinale con un efficienza stimata tra 80 e il 100% e può essere influenzato negativamente dalla presenza di calcio o di altri cationi. Il fluoro viene eliminato principalmente per via urinaria. La sua principale funzione fisiologica è l’azione cariostatica. In soggetti con un’assunzione carente è stata riscontrata una maggiore incidenza di problematiche dentali correlate a placca batterica e carie, mentre a dosaggi eccessivi è stata riscontrata fluorosi: La fluorosi a livello dello smalto presenta solo inconvenienti estetici mentre a livello dell’osso può presentarsi con:

• Calcificazione dei legamenti• Osteosclerosi• Esostosi

E’ comunque importante ricordare che simili disturbi sono stati osservati con un apporto di fluoro di 10 mg/die protratto per oltre 10 anni. L’assunzione adeguata di fluoro viene stabilita dai 3 ai 4 mg/die mentre il livello superiore di assunzione è indicato in 10 mg/die (da evitare in maniera continuativa per tempi estremamente lunghi).

1.1.1.14 • SELENIOIl selenio è un metalloide generalmente contenuto in buone quantità negli alimenti di origine marina e nelle frattaglie mentre può avere un contenuto variabile nei cereali (relativamente alla composizione dei terreni utilizzati per la coltivazione) e si rinviene a bassi livelli in frutta e verdura. Tale contenuto è nella maggioranza dei casi sotto forma di selenio-aminoacidi, fattore alla base di livelli di assorbimento prossimi al 100% (questo non si verifica per le forme inorganiche utilizzate in supplementazione). I processi di assorbimento avvengono a livello dell’intestino tenue e dell’intestino crasso mentre quelli escretivi sono a carico dell’apparato urinario. Il selenio esercita il proprio ruolo biologico come elemento costitutivo delle selenoproteine:

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43ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

• Glutatione perossidasi• Iodotironina 5’-deiodinasi• Tioredossina riduttasi• Selenofosfato sintetasi• Selenoproteina P• Selenoproteina W

Il principale ruolo biologico è correlato alle funzioni antiossidanti, inoltre avendo una forte affinità per i metalli pesanti si mostra in grado esercitare un effetto protettivo anche contro la tossicità di contaminanti ambientali quali mercurio, cadmio e argento. Generalmente la carenza di selenio non si manifesta con sintomi clinicamente evidenti, a meno che non sia contestuale a una carenza di vitamina E. Generalmente si ritiene estremamente rara la possibilità che si verifichi un’intossicazione da selenio a causa di un eccesso negli alimenti, anche se sono stati riferiti alcuni casi con una sintomatologia che include:

• Disturbi gastrointestinali• Senso di confusione• Alterazioni delle unghie• Alterazioni dei peli• Lesioni cutanee • Lesioni nervose• Odore di aglio nel fiato (dimetilselenuro)

Molte delle intossicazioni più gravi sono comunque da ritenersi correlate a situazioni occupazionali o assunzioni accidentali. I livelli di assunzione consigliata sono stabiliti per l’adulto in 55 μg/die, con un limite di assunzione superiore di 400 μg/die.

1.1.1.15 • IODIOLo iodio è un elemento essenziale per tutte le specie animali, si rinviene prevalentemente negli alimenti di provenienza marina sotto forma di ioduro e iodato (anche le altre forme di iodio vengono convertite in ioduro nella preparazione degli alimenti o nel tratto gastroenterico). L’assorbimento dello ioduro avviene a livello intestinale con una buona efficienza, si ritiene infatti che possa essere vicino al 100% (entro limiti fisiologici di assunzione). L’escrezione avviene attraverso vie urinarie e l’accumulo avviene a livello della tiroide. Il ruolo biologico dello iodio è alla base della produzione degli ormoni tiroidei: viene legato a residui tirosinici nella formazione di monoiodo tirosina (MIT) e diiodotirosina (DIT), molecole che saranno successivamente utilizzate nella sintesi degli ormoni tiroidei (T3, T4). La carenza di iodio causa patologie decisamente gravi quali:

• Malattia da deficienza iodica• Cretinismo mixedematoso• Cretinismo neurologico

In gravidanza carenze di iodio possono portare a gravi conseguenze quali:• Aborto spontaneo• Aumento della natimortalità• Anomalie congenite

Fabbisogno di iodio si stima tra i 40 e i 100 μg/die, ma viene generalmente aumentato, onde tamponare l’eventuale presenza di sostanze gozzigene (capaci di sequestrare lo iodio), a 150 μg/die. In condizioni fisiologiche particolari come gravidanza e allattamento viene consigliata un’assunzione rispettivamente di 220 e 290 μg/die, il limite di assunzione superiore è stato fissato in 1,1 mg/die.

1.1.1.16 • GLI ELEMENTI IN ULTRATRACCIATutti gli elementi in ultratraccia vengono assunti nell’organismo nell’ordine di pochi μg/die, tra quelli più discussi, anche in assenza di risultati conclusivi, è possibile annoverare:

• Litio: non risulta chiaro se ha un ruolo fisiologico: i dati presenti in letteratura sono attualmente controversi

• Nickel: Ha diffusione pressoché ubiquitaria negli alimenti, per cui non sono mai stati descritti stati

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44 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

carenziali, piuttosto sono stati descritti gli effetti dovuti al sovradosaggio e a fenomeni allergici. Alcuni autori ipotizzano dei ruoli fisiologici nell’organismo umano anche se i dati presenti sono ancora piuttosto controversi.

• Arsenico: Non sono attualmente noti i ruoli fisiologici, è altamente tossico e promotore della can-cerogenesi.

1.3 • LA FIBRA ALIMENTARE

Con la dicitura “fibra alimentare” vengono identificate numerose parti di alimenti composte da molecole dalla natura e dalle caratteristiche estremamente differenti per cui risulta estremamente difficile trovare una definizione completa ed esaustiva, nonostante questa difficoltà di carattere “tassonomico” risulta impor-tante chiarire alcune caratteristiche di queste molecole necessarie ad averne un quadro generale. La fibra alimentare per essere definita tale:

• Apportare benefici alla salute umana• Non è classificata come nutriente essenziale• Non esistono RDA in merito (la maggior parte degli autori propone un’assunzione di 13-14 g

/1000 kcal) Effettuando una prima macroscopica suddivisione è possibile definire:

• Fibra alimentare: Include la componente glicidica non digeribile e la lignina presenti nelle piante intatte

• Fibra funzionale: Include glicidi non digeribili isolati con effetti benefici sulla salute umana• Fibra totale: Somma della fibra alimentare e della fibra aggiunta (generalmente funzionale)

Questa prima suddivisione chiarisce come gli alimenti di origine vegetale siano la principale fonte di fibra. Dettagliando ulteriormente la suddivisione sulla base delle caratteristiche fisiche è possibile definire:

• Fibra solubile: Vengono così classificate molecole quali pectina, muccillagini e gomme• Fibra insolubile: Vengono così classificate cellulosa, emicellulosa e lignina

Le molecole più comuni che rientrano all’interno di queste categorie sono :• Cellulosa: Polimero a legami β-glicosidici di glucosio, principale componente delle pareti cellulari

batteriche e vegetali, nel l’uomo non è digerita ma fermentata dalla flora batterica a livello inte-stinale, viene utilizzata anche come additivo alimentare.

• Emicellulosa: Gruppo eterogeneo di polimeri di natura polisaccaridica idrolizzati e fermentati dalla flora batterica intestinale

• Lignina: Polimero di molecole aromatiche completamente indigeribile, alcuni autori ritengono che la componente fenolica della lignina possa avere un ruolo protettivo nei confronti dei fenomeni legati all’insorgenza di neoformazioni intestinali

• Chitina: Amminopolisaccaride caratterizzato da legami β[1-4]-glicosidici, caratteristico dei funghi e dell’esoscheletro degli artropodi, il chitosano si ottiene dalla deacetilazione della chitina.

• Pectina: Molecola costituita prevalentemente da scheletri di acido galatturonico e residui ramno-sici con catene laterali di arabinosio, galattosio, agiscono come legante biologico per le cellule vegetali. Vengono utilizzate come additivi alimentari.

• Β-glucani: Omopolissacaridi ramificati caratterizzati da legami β-glicosidici [1-4] e [1-3], dalla buona solubilità, componenti di organismi vegetali come orzo, avena, alghe e funghi.

• Gomme: Famiglia di polisaccaridi ottenuti da semi o in risposta ad eventi traumatici (soluzione di continuità dei tessuti vegetali) dalla notevole viscosità. Sono utilizzati come additivi alimentari.

• Inulina: Fruttano caratterizzato da legami β-glicosidici [1-2] , non digeribile dagli enzimi intestinali umani ma fermentabili dalla microflora intestinale

• I fruttoligosaccaridi (FOS): Oligo e polisaccaridi del fruttosio uniti da legami β-glicosidici [1-2], caratterizzati dalla presenza all’estremità di un unità di D-Glucosio, non vengono digeriti dal corredo enzimatico umano ma fermentati dalla microflora intestinale

• Polidestrosio: Polisaccaride ottenuto per polimerizzazione casuale di glucosio e sorbitolo, non

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45ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

viene digerito e assorbito a livello del tenue ma parzialmente fermentato a livello del colon, viene utilizzato come additivo alimentare

• Destrine resistenti: Molecole ottenute dall’idrolisi dell’amido mediante trattamenti termici o enzima-tici, indigeribili dall’uomo, molto utilizzate come additivi alimentari.

• Amido resistente: Polisaccaridi indigeribili che vengono parzialmente fermentati a livello del colon, a seconda delle diverse tipologie possono essere classificate sia come fibra alimentare o come fibra funzionale.

In generale i principali parametri valutati su una molecola classificabile come della fibra sono:• Viscosità• Capacità di trattenere acqua• Capacità di scambiare cationi• Capacità assorbente• Capacità di fermentare

In virtù di queste proprietà i principali effetti fisiologici possibili sono: Livello gastrico: Fibre ad alta viscosità sono in grado di rallentare lo svuotamento gastrico e implementare lo strato fluido che riveste la parete del tenue rallentando i processi di assorbimento, favorendo un maggior senso di sazietà.Livello intestinale (tenue): La fibra viscosa a livello del tenue assume una consistenza simile ad un gel ostacolando l’attività degli enzimi deputati alla digestione di glicidi, lipidi e protidi, causando una netta diminuzione nell’assorbimento dei principali macronutrienti e del colesterolo.Livello intestinale (crasso): Molte tipologie di fibra possono essere degradate dalla microflora intestinale mediante processi fermentativi che conducono alla produzione di molecole quali :

• anidride carbonica• metano• idrogeno • acidi grassi a corta catena.

Queste molecole possono essere assorbite e utilizzate come nutrienti, assorbite e di nuovo escrete o elimi-nate con la defecazione. Gli acidi grassi a corta catena generalmente prodotti sono:

• Acido acetico• Acido propionico• Acido butirrico• Acido valerico• Acido isovalerico

Questi acidi grassi vengono prontamente assorbiti a livello del colon, ma soltanto l’acido acetico rag-giunge la circolazione sistemica in quantità apprezzabili. L’acido butirrico viene consumato a livello della mucosa del colon come sorgente energetica di elezione. L’acido propionico invece viene solitamente consumato a livello epatico. La fibra a livello intestinale può causare un aumento della massa fecale grazie ad una serie di effetti tra cui:

• Capacità di trattenere acqua • Viscosità di alcune tipologie di fibra. • Capacità di favorire l’incremento della massa batterica.

Essendo in linea di massima quasi esclusivamente di origine vegetale, bisogna considerare che nei tessuti vegetali sono presenti anche numerose sostanze che possono agire come antinutrienti quali:Lectine: Glicoproteine capaci di lisare le cellule legandosi a livello di membranaSaponine: Molecole in grado di stabilizzare le emulsioni lipidiche e di aumentare l’escrezione di Sali biliari, non sono assorbite a livello intestinale, fattore che mette al riparo dalla loro elevata tossicità anche se alcuni autori ritengono che possano esercitare un’azione negativa sugli epiteli intestinaliFitati: Molecole capaci di legarsi a ioni metallici compromettendone l’assorbimentoTannini: Molecole in grado di legarsi a proteine diminuendone la digeribilitàInibitori enzimatici: Molecole in grado di diminuire a vario titolo l’attività degli enzimi digestiviConsiderata l’eterogeneità delle molecole implicate, prima di discuterne le potenzialità applicative risulta

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46 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

molto importante esaminare in maniera analitica le caratteristiche delle principali tipologia di fibra:Cellulosa: Molecola a effetto prevalentemente lassativo, agisce provocando un aumento della massa feca-le che viene generalmente stimato in 1:3 (aumento della massa fecale di 3 g per ogni grammo di fibra assunto), pare non avere influenza sui livelli di colesterolo ematico e sulla risposta glicemica postprandiale.Chitina/chitosano: Molecola la cui assunzione sembra essere positivamente correlata ad un miglioramen-to del quadro lipidemico, tali dati comunque necessitano ancora di ulteriori conferme sperimentaliPectina: Fibra dalla notevole viscosità e proprietà assorbenti direttamente correlata a miglioramenti nel quadro lipidico, in particolare è stato attribuito alla pectina un effetto ipocolesterolemizzante molto proba-bilmente dovuto a aumento dell’escrezione di acidi biliari e colesterolo.Β-glucani: Fibra estremamente fermentabile direttamente correlata con un miglioramento del quadro lipi-dico e glicidico.Gomma guar: Fibra direttamente correlata con un notevole miglioramento del quadro glicemico in virtù delle sue ottime proprietà per quanto riguarda la viscosità e la fermentabilità, alcuni autori propongono che possa avere anche un ruolo nel rilascio di insulina. Inulina: Fibra che interviene in qualità di substrato energetico per i bifidobacteria a livello intestinale, in grado quindi di favorirne un aumento con i relativi effetti salutistici.Fruttooligosaccaridi: Fibre che intervengono in qualità di substrati energetici per i bifidobacteria a livello intestinale, in grado quindi di favorirne un aumento con i relativi effetti salutistici.Polidestrosio: Fibra direttamente correlata all’aumento della massa fecaleAmido resistente: Fibra direttamente correlata all’aumento della produzione di acidi grassi a corta catena, con i relativi benefici salutistici che ne derivano.In virtù di queste proprietà sono stati proposti numerosi modelli applicativi accomunati dalla relazione inver-sa tra il consumo di fibra e l’insorgenza di alcune patologie. Una dieta povera in fibre tra i primi effetti contempla l’alterazione dell’equilibrio intestinale con tutte i disturbi/patologie che ne conseguono; è stata dimostrata l’utilità di alcuni tipi di fibra in una serie di patologie dell’apparato digerente quali: l’ulcera duodenale, la costipazione, e la diverticolosi, alcuni autori attribuiscono ad alcuni tipi di fibra anche un ruolo protettivo relativamente all’insorgenza di cancro al colon. Altro aspetto interessante è da ricercare nelle proprietà assorbenti di alcuni tipi di fibra generalmente correlate a un effetto ipocolesterolemizzante, alcuni autori ritengono inoltre che i prodotti della fermentazione batterica possano avere un ruolo nella modulazione della sintesi e del metabolismo del colesterolo e degli acidi biliari. Le fibre ad alta viscosità si sono dimostrate piuttosto efficaci nella riduzione della risposta glicemica post prandiale. Questi effetti sono alla base delle considerazioni di alcuni autori che correlano l’utilizzo della fibra a una riduzione del BMI, anche se dati conclusivi in merito devono ancora essere prodotti, mentre sembra esserci invece, sempre per i succitati motivi, una considerevole riduzione del rischio cardiovascolare. Queste caratteristiche pos-sono condurre anche a effetti potenzialmente negativi: la viscosità per esempio oltre a modulare o ridurre l’assorbimento dei glicidi può causare anche una riduzione nell’assorbimento di nutrienti quali vitamine e minerali, effetto da considerare seriamente soprattutto in soggetti già in situazioni carenziali, stessa cosa può dirsi di numerosi principi attivi, di cui può essere necessario rivedere dosaggio, modalità e timing di somministrazione. In soggetti con colite o sindrome del colon irritabile il consumo di fibra deve essere attentamente valutato, così come nei soggetti dove a causa di fattori quali disbiosi intestinale o carenze enzimatiche può causare flattulenza e analoghi disturbi intestinali.

1.4 • L’ACQUA

L’acqua ricopre dei ruoli fisiologicamente essenziali; la sua importanza nei sistemi biologici è tale da poterla classificare come un vero e proprio “nutriente”, essa infatti è parte integrande di numerose funzioni fisiologiche fondamentali intervenendo come:

• Solvente nelle reazioni biochimiche• Vettore nei processi di distribuzione, scambio • Rimozione prodotti di scarto

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47ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

• Lubrificante a livello articolare (fluido sinoviale)• Ammortizzatore come componente di matrici acquose (nucleo polposo dischi intervertebrali)• Regolatore della temperatura corporea

La quasi totalità degli organismi (tra cui l’uomo) possono essere privati di substrati energetici per periodi relativamente lunghi mentre l’assenza di acqua è invece incompatibile con la vita. Tutti gli organismi sono soggetti a fisiologiche perdite idriche che non possono con praticamente nessun tipo di accorgimento essere ridotte a zero per cui il reintegro assume un ruolo centrale. E’ possibile suddividere la presenza di acqua in due compartimenti:

• Compartimento intracellulare, contenete il 40% dell’acqua totale• Compartimento extracellulare, contenete il 60% dell’acqua totale, suddivisibile a sua volta in:

- Interstiziale, contenete il 28% della componente extracellulare- Plasmatico, l’8% della componente extracellulare- Transcellulare, il 4% della componente extracellulare

Queste tre componenti pur essendo identificabili come separate sono strettamente legate dal punto di vista funzionale. Considerata l’importanza dei processi in gioco esistono complessi meccanismi deputati al mantenimento di un corretto bilancio idrico che intervengono a diversi livelli funzionalmente correlati mantenendo un delicato equilibrio tra:

• Attività renale: controlla l’escrezione e la composizione dell’urina • Senso della sete, che governa l’assunzione di liquidi,.

Le perdite obbligatorie d’acqua connesse alle funzioni fisiologiche menzionate in precedenza possono essere così riassunte:

• Attività renale: Il rene mediante una fine regolazione ormonale, esercitata in prevalenza dall’ormo-ne antidiuretico (ADH) è in grado di concentrare le urine prima dell’escrezione così da garantire un risparmio netto dell’acqua escreta.

• Respirazione: Fattori ambientali quali l’umidità e la temperatura dell’aria, o particolari condizioni fisiologiche che conducano all’iperventilazione possono causare perdita d’acqua contestualmente alla respirazione.

• Sudorazione: La sudorazione è uno dei principali meccanismi che l’organismo attua ai fini della termoregolazione, il sudore contiene ioni quali Na+, K+, Cl- ecc, e un quantitativo di d’acqua che dipende dalla temperatura esterna. Quando la sudorazione non è direttamente riscontrabile si parla di perspirazione insensibile. La termoregolazione è un meccanismo fondamentale e in alcune situazioni comporta un’ingente perdita d’acqua. Questo meccanismo andrà attentamente considerato da chiunque si occupi di attività fisica

• Attività intestinale: Oltre ai normali processi di assorbimento, in particolari condizioni l’intestino è anche i grado di perdere un cospicuo quantitativo di acqua; quando a livello intestinale si concentrano molecole non assorbibili o scarsamente assorbibili l’acqua viene osmoticamente richiamata instaurando la condizione definita diarrea osmotica.

Il senso di sete sulla base di questa serie di meccanismi sarà quindi governato dall’attività di una serie di ormoni specifici tra cui:

• Ormone antidiuretico• Peptide natriuretico atriale• Ossitocina• Renina• Angiotensina• Aldosterone

In particolare 2 “sensori” intervengono nella regolazione di buona parte della risposta ormonale rilevando parametri quali:

• Volemia • Osmolarità plasmatica

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48 CAPITOLO 1 ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI

Per esempio un aumento del 2/3 % dell’osmolarità plasmatica è in grado (agendo sull’ormone antidiuretico) di provocare una forte sensazione di sete, mentre abbassamenti della volemia del 10% sono rilevati a livello dei barocettori cardiovascolari innescando una serie di risposte tra cui la sete. Considerati questi aspetti non è stato possibile stabilire un RDA per quanto riguarda l’assunzione idrica in quanto esiste una notevole varia-bilità relativa ai parametri appena illustrati con tutta la serie di fattori in gradodi influenzarli. Sono comunque stati proposti dei livelli di assunzione “di massima” per l’uomo e per la donna rispettivamente di 3,7 e 2,7 litri, questo quantitativo va considerato come somma dell’acqua assunta con le bevande e con gli alimenti.

DisidratazioneLa disidratazione è una condizione che si verifica quando l’organismo arriva a contenere meno acqua rispetto ai livelli compatibili con una situazione ideale, tale condizione ho come conseguenza la diminu-zione del volume plasmatico. La disidratazione produce numerosi effetti negativi potenzialmente pericolosi:

• Diminuzioni delle funzioni mentali• Diminuzione del controllo motorio• Diminuzione della prestazione• Diminuita tolleranza allo stress• Diminuita capacità di mantenere valori pressori adeguati• Aumento della temperatura corporea

La disidratazione può essere di diversa entità con conseguenze più o meno gravi a seconda del quadro che va a realizzarsi, in tutti i casi non è una condizione da prendere alla leggera soprattutto contestual-mente allo svolgimento dell’attività motoria. È possibile una classificazione come segue:

• Ipovolemia lieve:o Perdita di peso dal 2 al 5 % o Riduzione dell’elasticità cutaneao Secchezza delle labbra e del cavo oraleo Si affronta reintegrando i fluidi con bevande e alimenti

• Disidratazione ipertonica (perdita d’acqua > perdita di sali)o Perdita di peso acutao Elevata osmolarità plasmaticao Ipernatremiao Sudorazione profusa (non in tutti i casi)o Intensa perdita d’acqua per evaporazione (non in tutti i casi)o Febbre (non in tutti i casi)o Si affronta reintegrando i fluidi prevalentemente mediante assunzione d’acqua

• Disidratazione isotonica (perdita d’acqua=perdita di sali)o Perdita di peso acutao Gli elettroliti plasmatici rimangono entro livelli accettabilio Ipotensione ortostaticheo Tachicardiao Vomitoo Diarreao Si affronta reintegrando fluidi ed elettroliti

• Disidratazione ipotonica (perdita d’acqua < perdita di sali)o Si verifica nel caso una disidratazione isotonica venga affrontata solo con acquao Si affronta prevalentemente reintegrando gli elettroliti

Generalmente a meno che si verifichino condizioni patologiche o condizioni fisiche o ambientali estre-me risulta molto difficile incorrere nei quadri più gravi in quanto l’organismo attua tutte le risorse possibili volte al mantenimento di valori di osmolarità plasmatica adeguati anche in situazioni di ingenti variazioni del bilancio idrosalino.

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49ANALISI DEI PRINCIPALI NUTRIENTI CAPITOLO 1

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Definire il concetto di macro e micro nutrienti• Riepilogare i ruoli e le caratteristiche dei principali macronutrienti• Riepilogare i ruoli e le caratteristiche dei principali micronutrienti• Descrivere il ruolo dei diversi tipi di fibra alimentare nell’organismo umano• Quali sono gli elementi ala base di un corretto bilancio idrico e perché è così importante?

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a cura di

Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 2

Integrazione delle dinamiche metaboliche: endocrinologia, cronobilogia, alimentazione

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52 CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE

Obiettivi: • Comprendere gli aspetti fondamentali relativi alla componente endocrina nelle integrazioni

metaboliche• Comprendere gli aspetti fondamentali relativi alla componente cronobiologica nelle integra-

zioni metaboliche• Comprendere gli aspetti fondamentali relativi alla componente biochimica degli alimenti nelle

integrazioni metaboliche

2.1 • FONDAMENTI DI ENDOCRINOLOGIA: ANALISI DEL SISTEMA ORMONALE

2.1.1 • Definizioni e generalitàPer poter definire il sistema endocrino risulta necessario definire il concetto di “ormone”, da cui a cascata può funzionalmente essere descritto l’intero sistema. Un ormone è per definizione un “messaggero chimi-co” in grado di trasmettere un segnale a una cellula o a un gruppo di cellule anche a notevole distanza, generalmente questo avviene con lo specifico obiettivo di modulare le funzioni metaboliche e le attività di un singolo tessuto, organo, apparato o dell’intero organismo. Generalmente un messaggero chimico può esercitare la sua azione a livello:

• Autocrino (la sostanza agisce sulla cellula che l’ha prodotto)• Paracrino (la sostanza agisce su cellule vicine a quella che l’ha prodotta)• Endocrino (la sostanza viene immessa nella circolazione ematica e agisce a distanza legandosi

a specifici recettori)

Figura 1: azione autocrina

Figura 2: azione paracrina

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53INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE CAPITOLO 2

Figura 3: azione endocrina

Esistono diverse possibilità di classificazione degli ormoni, relativamente azione, funzione e struttura chi-mica, relativamente alla quale è possibile distinguere:

• Ormoni steroideio Derivati dal colesterolo, caratterizzati da un azione lenta e prolungata. A causa della

spiccata lipo-solublità attraversano senza problemi le membrane biologiche e interagisco-no sia con recettori citosolici che nucleari. Tra i principali ormoni steroidei si rinvengono:§ Ormoni corticosurrenalici (Cortisolo, Aldosterone, ecc.);§ Ormoni sessuali (Testosterone, Progesterone, Estradiolo, ecc.).

• Ormoni peptidicio sequenze di 80-200 aminoacidi caratterizzati in alcuni casi dal legame a residui glucidici

(ormoni glicoproteici), solitamente interagiscono con recettori di membrana deputati alla trasduzione del segnale. Tra i principali ormoni peptidici si rinvengono: §Ormoni ipotalamici (GHRH, GNRH, Somatostatina, ecc.);§Ormoni ipofisari (GH, FSH, LH, TSH, ACTH, ecc.);§Ormoni pancreatici (Insulina, Glucagone);§ Paratormone;§Calcitonina;§ Peptidi Oppioidi.

• Ormoni derivanti da un singolo aminoacido.o Ottenuti dalla modificazione della molecola di un singolo aminoacido, generalmente

interagiscono con specifici recettori , possono agire come ormoni e/o come neurotra-smettitori, tra i principali si rinvengono:§ Ormoni tiroidei (Tiroxina, Triiodotironina);§ Catecolamine (Adrenalina e Noradrenalina);§ Serotonina;§ Ormoni pinealici (Melatonina).

Poste queste premesse è necessario definire le strutture anatomiche deputate alla produzione ormonale ovvero le ghiandole. Le ghiandole sono strutture anatomiche prive di dotti escretori, caratterizzate da una particolare architettura cellulare volta a favorire l’immissione del loro secreto direttamente nella circolazione ematica, esistono ghiandole endocrine propriamente dette e tessuti che mostrano, oltre ad altre funzioni, anche la capacità di secrezione endocrina. Tra le principali ghiandole è possibile annoverare:

• Ipotalamo;• Ipofisi

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54 CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE

• Epifisi• Tiroide• Paratiroide• Surrene• Pancreas (ghiandola a funzione mista endocrina + esocrina)• Gonadi (testicoli e ovaie)

Mentre numerose funzioni endocrine sono esercitate da diversi organi che esulano lo scopo di questa trattazione. Volendo schematizzare le principali funzioni delle ghiandole esocrine è possibile affermare:

• Mantenimento dell’equilibrio omeostatico dell’organismo (integrazione dei processi biochimici che implicano substrati, enzimi ecc..)

• Risposta dinamica alle variazioni dell’equilibrio omeostatico dovuto a particolari condizioni come infezioni, traumi, stress psico-fisico ecc.

• Importante contributo ai processi anabolici e catabolici• Fondamentale contributo ai processi correlati alla riproduzione

2.1.2 • Ormone somatotropo (GH)L’ormone somatotropo ricopre una serie di funzioni fondamentali correlate all’accrescimento intervenendo nella modulazione di numerosi processi tra cu:

• Maturazione cellulare• Proliferazione cellulare• Sintesi proteica

o Implementando l’intake di aminoacidi attraverso la membrana cellulareo Stimolando la sintesi di RNA o Stimolando l’attività ribosomiale

• Metabolismo lipidico (promuove il catabolismo lipidico inteso come utilizzo ai fini energetici con un risparmio netto di glucosio e glicogeno)

In virtù della sua influenza su questi meccanismi di base, esercita un ruolo molto importante nei processi derivati correlati al trofismo di strutture quali:

• Ossa• Muscoli• Tessuto connettivo• Organi interni, • Alti tessuti in genere

Queste azioni possono essere esercitate sia direttamente (ormone che agisce sul tessuto di interesse) che indirettamente favorendo una serie di tessuti (tra cui in primis il fegato) a produrre una serie di molecole definite “fattori di crescita insulino simili” (IGF - Insulin-Like Growth Factors) o somatmedine. Come la stra-grande maggioranza degli ormoni anche l’ormone somatotropo mostra una secrezione ciclica, più preci-samente di tipo pulsatile caratterizzata da diversi picchi secretori nel corso delle 24 ore, tra cui si distingue un forte picco notturno in corrispondenza delle fasi di sonno profondo. Alterazioni nella secrezione di questo ormone sono correlate a importanti quadri patologici:Ipersecrezione: se avviene nel periodo dello sviluppo (prima dell’ossificazione delle cartilagini) si manife-sta il quadro classificato come “gigantismo”, se prosegue o se si manifesta (per esempio a causa di una neoplasia) successivamente al periodo dello sviluppo si manifesta il quadro classificato come acromegalia, caratterizzato notevole e disarmonico sviluppo di strutture quali:

o Manio Piedio Facciao Mascellao Organi interni (Splancnomegalia)

Iposecrezione: Se avviene durante il periodo dello sviluppo conduce alla condizione classificata come “nanismo ipofisario”

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55INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE CAPITOLO 2

2.1.3 • TestosteroneIl testosterone è un ormone steroideo con ruolo di primaria importanza nella differenziazione e nel mante-nimento delle caratteristiche legate al sesso maschile, nell’organismo femminile interviene in minore misura mantenendo comunque una considerevole importanza .Nei soggetti di sesso maschile viene prodotto a livello del testicolo dalle cellule interstiziali di Leydig, mentre nei soggetti di sesso femminile viene prodot-ta a livello del surrene. Una parte del testosterone prodotto funge come substrato per la produzione di estrogeni ad opera di specifici enzimi denominati aromatasi. La secrezione di testosterore viene regolata a livello ipofisario (ipofisi anteriore) grazie all’azione di ormoni definiti gonadotropine ovvero LH e FSH. Le principali azioni del testosterone sono:

• Funzione Anabolicao Muscolo scheletrico : aumento del diametro delle fibre muscolari, implementazione del

bilancio azotatoo Implementazione eritropoiesio Implementazione metabolismo osseo (aumento densità)o Implementazione metabolismo lipidico

• Funzione Androgenicao Differenziamento sessualeo Sviluppo caratteri sessuali maschilio Mantenimento caratteri sessuali maschilio Mantenimento spermatogenesi

Tali funzioni vengono esercitate in prevalenza dalla forma metabolicamente più attiva del testosterone il Diidrotestosterone - DHT. Trattandosi di un ormone steroideo , come accennato mostra una spiccata natura lipofila che lo mette in grado di attraversare agilmente le membrane cellulari e di interagire con i rispettivi recettori intracellulari. Alcuni tra le principali strutture su cui agisce il testosterone sono:

• Tessuto muscolare• Tessuto adiposo• Tessuto epatico• Tessuto cerebrale • Strutture pilifere

Anche nel caso del testosterone si riscontra una secrezione ciclica con picco secretorio nelle prime ore del mattino e nelle fasi di risveglio. A livello ematico in prevalenza (98% circa) il testosterone è presente legato ad una proteina di trasporto globulare specifica denominata SHBG (Sexual Hormone Binding Globuline), mentre il restante 2% rappresenta la quota metabolicamente attiva.

2.1.4 • InsulinaL’insulina è un ormone peptidico prodotto a livello pancreatico d una specifica popolazione cellulare (ß cellule) residenti in determinate aree definite isole di Langherans. Dal punto di vista fisiologico l’insulina favorisce i processi anabolici favorendo l’intake dal torrente ematico all’ambiente cellulare di :

• Glucosio• Aminoacidi• Acidi grassi

Il fine ultimo di questo processo è quello di ridurre la concentrazione ematica di metaboliti favorendone la concentrazione e quindi il metabolismo cellulare, con l’effetto finale di promuovere il trofismo e l’attività metabolica dei tessuti. Uno dei ruoli di principale importanza viene esercitato nel bilancio del glucosio agendo su alcuni recettori della serie GLUT tra cui in particolare i GLUT 4: quando l’insulina si lega al suo recettore di membrana a livello cellulare viene trasdotto un segnale che provoca l’espressione di recet-tori GLUT 4 (mediante esocitosi) a livello della membrana cellulare favorendo quindi il di glucosio verso l’interno. Questo ovviamente influenza anche notevolmente il metabolismo lipidico in quanto il notevole intake di glucosio, se non immediatamente necessario ai fini energetici o nel ripristino di glicogeno, provo-cherà inevitabilmente il suo accumulo sotto forma di lipidi. In assenza di Insulina al contrario si verifica la mobilizzazione di acidi grassi che vengono utilizzati come substrato energetico. A livello di metabolismo

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56 CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE

aminoacidico l’insulina interviene favorendo la sintesi proteica con diversi meccanismi:• Aumento della concentrazione intracellulare di RNA• Aumento dell’intake aminoacidi attraverso la membrana cellulare • Aumento dell’attività ribosomiale

La secrezione di Insulina è regolata in risposta ai livelli glicemici, alla presenza ematica di alcuni aminoa-cidi (definiti appunto insulinogenici – vedi paragrafo relatico) e all’azione di alcuni acidi grassi. Alterazioni del metabolismo di questo ormone conducono a gravi quadri patologici:

• Assenza di insulina: Diabete di tipo I, condizione che compromette grandemente le funzioni metabo-liche incompatibile con la vita, richiede una costante terapia ormonale sostitutiva da protrarsi a vita.

• Ridotta risposta all’azione dell’insulina: condizione definita insulino-resistenza situazione precoce-mente correlata a una ridotta efficienza del metabolismo glucidico che se non prontamente trattata evolve in Diabete di tipo II. Tale situazione in molti casi reversibile dovuta a scorrette abitudini di vita (alimentazione e ridotta attività fisica) e all’invecchiamento, se non dovutamente affrontata evolve solitamente in patologie cronico-degenerative e/o in diabete di tipo I .

2.1.5 • GlucagoneIl glucagone è un ormone peptidico prodotto a livello pancreatico d una specifica popolazione cellulare (ß cellule) residenti in determinate aree definite isole di Langherans, dal punto di vista funzionale esercita un ruolo antagonista rispetto a quello dell’insulina evocando di fatto effetti opposti:

• Stimolo della glicogenolisi • Stimolo della gluoneogenesi

La somma di questi effetti si manifesta in una marcata azione iperglicemizzante, in particolare ottenuta intervenendo a livello epatico (gluconeogenesi e glicogenolisi). La secrezione di glucagone è regolata in relazione ai livelli di glicemia in un processo che ne contempla il bilancio alla luce dell’azione insulinica: l’ipoglicemia a prescindere dal motivo di induzione (esercizio fisico, digiuno, restrizione calorica ecc..) è correlata a un aumento nella secrezione di glucagone, al fine di provocare un immediato rilascio di glucosio nel sangue attraverso i suddetti meccanismi.

2.1.6 • EndorfineLe Endorfine sono delle molecole di natura peptidica presenti nel cervello di tutti i mammiferi (uomo incluso) generalmente classificate come “neurotrasmettitori”, dal punto di vista fisiologico vengono prodotte a livello del lobo anteriore dell’Ipofisi e secrete in risposta a diversi stimoli ricevuti da numerosi distretti corporei come tentativo dell’organismo di risposta al dolore e/o alle sollecitazioni. Infatti le endorfine sono dotate di pro-prietà analgesiche e fisiologiche simili a quelle della morfina e dell’oppio, ma con intensità minore e portata più ampia. Dal punto di vista chimico sono state individuate principalmente 3 tipologie di endorfine:

• α-endorfine: formata da 11 amminoacidi• β-endorfine formata da 31 amminoacidi• γ-endorfine., formata da 16 amminoacidi

Tra i vari fattori in grado di stimolare il rilascio di endorfine è stata identificata l’assunzione di determinati alimenti così come l’esecuzione di attività fisica estenuante sia di potenza che di endurance; questi aspetti possono contribuire in parte a spiegare la sorta di dipendenza che può instaurarsi nei confronti di deter-minati alimenti o determinate forme di attività fisica. Si ritiene che anche forti emozioni possano causare un forte rilascio di endorfine, fattore che potrebbe spiegare atteggiamenti di dipendenza verso le situa-zioni che possano evocare tale gamma di emozioni. Come nel caso delle sostanze per le quali mostrano analogia molecolare (derivati morfinici), le endorfine sono in grado di procurare uno stato di euforia o di sonnolenza più o meno intenso a seconda del quantitativo rilasciato. 2.1.7 • Ormoni tiroideiI principali ormoni prodotti a livello della tiroide sono composti di coordinazione tra diverse unità dell’ami-noacido tirosina e atomi di ione iodio, nello specifico si rinvengono:

• Tiroxina (T4): costituita da due molecole di tirosina e quattro atomi di iodio

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57INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE CAPITOLO 2

• Triiodotironina (T3): costituita da due molecole di tirosina e tre atomi di iodio.Successivamente alla sintesi i due ormoni vengono accumulati a livello di particolari strutture della ghiando-la denominate follicoli, costituendo una matrice molecolare denominata colloide. In relazione alle specifi-che necessità metaboliche gli ormoni tiroidei vengono immessi dalla colloide nel torrente ematico, a livello del quale verranno trasportati legati a una proteina globulare (tireoglobulina), dal quale si dissoceranno in prossimità delle cellule che compongono il tessuto bersaglio, all’interno del quale penetreranno per legarsi ai relativi recettori siti normalmente a livello nucleare. Nonostante il T4 venga prodotto da un punto di vista quantitativo a livelli decisamente superiori rispetto al T3, quest’ultimo viene normalmente considerato come il principale ormone tiroideo, infatti buona parte del T4 dopo secrezione subisce conversione enzimatica a T3, per il quale tra l’altro il recettore mostra un’affinità superiore. L’effetto fisiologico di questi ormoni si manifesta nella regolazione di numerosi processi correlati al metabolismo cellulare tra cui:

• Regolazione del metabolismo energetico (produzione e consumo di ATP)• Regolazione dei processi di crescita• Regolazione dei processi di differenziazione• Regolazione della temperatura corporea• Stimolo sul sistema nervoso centrale

Alterazioni nella secrezione di ormoni tiroidei, sia in eccesso che in difetto, sono alla base di situazioni patologiche o pseudo patologiche:

• Ipertiroidismo (eccesso di attività - secrezione): correlato a notevole magrezza, innalzamento della temperatura corporea, iper-eccitabilità, difficoltà di concentrazione, esoftalmo, e alterazioni delle dinamiche circolatorie cardiache.

• Ipotiroidismo (difetto di attività - secrezione): correlato a accumulo adiposo, ipo eccitabilità e stan-chezza immotivata, disidratazione cutanea, screpolatura delle labbra e tempi di reazione rallentati.

2.1.8 • SerotoninaLa serotonina è una monoammina appartenente alla classe delle triptamine sintetizzata a partire dal trip-tofano che agisce in qualità di neurotrasmettitore la cui sintesi avviene a livello:

• Neuroni serotoninergici del sistema nervoso ventrale• Cellule enterocromaffini nell’apparato gastrointestinale

Le maggiori concentrazioni di questo neurotrasmettitore si riscontrano:• Parete intestinale: le cellule enterocromaffini contengono circa il 90% della serotonina presente

nell’organismo • Sangue: presente in elevate concentrazioni nelle piastrine, che la rilasciano in contestualmente

all’aggregazione che avviene in risposta al danno tissutale• Sistema nervoso centrale: presente in elevate concentrazioni in specifiche aree del mesencefalo.

La sintesi della serotonina avviene a partire dal triptofano con una via simile a quella della noradrenalina, (sintetizzata invece a partire dalla tirosina). I suoi effetti biologici sono differenti relativamente al sito di azione:

• Tratto gastrointestinale: aumento della motilità intestinale, dovuto all’ effetto diretto sulle cellule muscolari lisce e all’ effetto indiretto di tipo eccitatorio sui neuroni enterici. Stimolo della secre-zione di fluidi. Ha un ruolo nel riflesso che conduce alla peristalsi e al vomito

• Vasi sanguigni: azione contrattile sui grandi vasi (arterie sia vene• Piastrine: favorisce l’aggregazione piastrinica; le piastrine rilasciano ulteriore serotonina che pro-

vocherà vasocostrizione in caso di epitelio danneggiato .• Terminazioni nervose: stimolo delle terminazioni nervose sensoriali nocicettive• Sistema nervoso centrale: Azione eccitatoria su alcune popolazioni neuronali e inibitoria su altre,

gli effetti netti possono essere così riepilogati:o regolazione dell’umoreo regolazione del sonnoo regolazione della temperatura corporeao regolazione della sessualità o regolazione dell’appetito.

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58 CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE

Il ruolo di questo neurotrasmettitore è talmente importante da essere correlato a numerose patologie tra cui:• emicrania• disturbo bipolare• depressione• ansia.

Un’alimentazione che contempli uno spettro aminoacidico bilanciato in genere impedisce che si sviluppino stati carenziali. Un ruolo chiave nella degradazione del neurotrasmettitore è esercitato dalle monoammino-ossidasi (deaminazione ossidativa)

2.1.9 • AdrenalinaL’adrenalina o epinefrina è una catecollamina in grado di agire sia come ormone che come neurotrasmet-titore, dal punto di vista fisiologico viene coinvolta nella reazione definita “lotta o fuga” (fight or flight), a livello sistemico i suoi effetti includono:

• rilassamento gastrointestinale• dilatazione dei bronchi• aumento della frequenza cardiaca• aumento del volume sistolico • aumento della gittata cardiaca • deviazione del flusso sanguigno verso i muscoli, il fegato il miocardio e il cervello• aumento della glicemia.

A livello locale invece i suoi effetti possono essere molto diversi o anche opposti a seconda del tipo di recettore implicato: diverse forme di recettori vengono espresse in diversi tessuti a livello dei quali l’adre-nalina eserciterà effetti molto diversi. Nello specifico esistono due macrotipologie di recettori adrenergici α (alfa) e β (beta), ciascuna con vari sottotipi dalla cui natura dipende la risposta del tessuto:

• Recettori α1: localizzati al livello delle arteriole causano vasocostrizione dovuta a contrazione della muscolatura liscia, con l’effetto netto di ridurre il flusso sanguigno verso la periferia, garan-tendo una più efficiente irrorazione degli organi indispensabili.

• Recettori α2: localizzati a livello del tratto gastrointestinale, hanno effetto opposto rispetto agli α1, provocando il rilassamento della muscolatura liscia (in caso di reazione di lotta o fuga la digestio-ne viene posta in secondo piano). Agiscono anche a livello pancreatico limitando la secrezione ematica di insulina

• Recettori β1: localizzati principalmente sulle cellule del miocardio, causano aumento della per-meabilità al calcio della membrana delle cellule cardiache, provocando aumento di frequenza e dell’intensità della contrazione. Si rinvengono anche a livello renale stimolando la secrezione di renina, provocando ritenzione idrica, aumento della volemia e della pressione.

• Recettori β2: localizzati in diversi siti tra cui bronchi, arterie, fegato ecc.. hanno effetto inibitorio sulla muscolatura liscia, favorendo i processi metabolici funzionali all’intensa attività fisica

• Recettori β3: localizzati nel tessuto adiposo, provocano la liberazione dei trigliceridi utilizzabili ai fini energetici

In linea generale gli effetti dell’adrenalina sono legati alla previsione o all’esecuzione di un’intensa atti-vità fisica compatibile per esempio con la fuga, il combattimento, l’attività sportiva o con lavori faticosiLa degradazione di adrenalina e nor-adrenalina avviene grazie all’intervento di due sistemi enzimatici: le catecol-O-metiltrasferasi (COMT) , e dalle monoaminossidasi (MAO).

2.1.10 • CortisoloIl Cortisolo è un ormone secreto dalla zona fascicolata della ghiandola surrenale in seguito allo stimola-zione esercitata dall’ACTH ipofisario. Dal punto di vista funzionale interviene sui metabolismi proteico e glucidico con diversi meccanismi:

• Incremento della degradazione proteica nei singoli aminoacidi, in particolare a livello del tessuto muscolare, con la finalità di fornire substrati gluconeogenici a livello epatico

• Incremento della mobilizzazione dei grassi e del catabolismo lipidico ai fini energetici.

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59INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE CAPITOLO 2

• Azione antagonista all’Insulina, riduce l’assorbimento cellulare del glucosio, favorisce l’innalza-mento della glicemia ematica

• Interviene precocemente nel mantenimento della normale pressione arteriosa, un eccesso di Cor-tisolo protratto nel tempo può al contrario provocare ipertensione.

• Importante azione antiinfiammatoria e antiallergica.In generale tutti questi effetti si manifestano con un catabolismo generalizzato volto all’innalzamento del livello di glucosio ematico, in prevalenza questi effetti sono correlati al digiuno e agli sforzi prolungati. La secrezione del cortisolo avviene con una dinamica pulsatile: raggiunge il livello massimo al mattino e diminuisce gradualmente nel corso della giornata con un picco generalmente nel primo pomeriggio. Sia l’iper che l’ipo secrezione di cortisolo sono correlate a stati patologici piuttosto gravi che possono richie-dere la terapia ormonale sostitutiva o addirittura l’intervento di tipo chirurgico.

2.1.11 • Estrogeni-ProgestiniciQuesti ormoni sono secreti a livello dei follicoli ovarici e immessi in circolo, sulla falsa riga di altri ormoni steroidei, liberi o legati a globuline di trasporto. Principalmente si rinvengono:

• Estradiolo• Estrone

Tra le principali funzioni di questi ormoni si rinvengono:• Sviluppo delle caratteristiche sessuali femminili • Mantenimento delle caratteristiche sessuali femminili • Regolazione (sotto il controllo di LH e FSH) del ciclo mestruale e le fasi di maturazione del follicolo. • Generazione (insieme al progesterone) di adattamenti funzionali specifici della gravidanza.

Il Progesterone invece è un ormone secreto dal corpo luteo derivato dal follicolo ovarico in seguito all’ovula-zione. Il suo principale effetto è quello di mantenere le strutture uterine (in primis la mucosa) in condizioni adat-te a sostenere la gravidanza. La secrezione di questi ormoni è l’esempio più èvidente di secrezione ciclica:

• Fino al 12 giorno (dall’inizio del ciclo ormonale) la secrezione degli estrogeni aumenta progres-sivamente

• Contestualmente all’ovulazione, tali livelli crollano bruscamente• In seguito all’ovulazione aumenta la secrezione di progesterone che raggiunge i massimi livelli al

ventesimo giorno, per crollare intorno al 28 giorno. Gli estrogeni si dimostrano inoltre molto importanti per il loro ruolo a livello osseo e vascolare, ricoprendo un’importante azione preventiva rispettivamente nei confronti dell’osteoporosi e dell’arterio-sclerosi.

2.1.12 • ProlattinaQuesto ormone viene secreto a livello centrale con la funzione di iniziare e mantenere il processo di lat-tazione. L’aumento della sua secrezione ricopre tra i principali effetti fisiologici:

• Sviluppo degli adenomeri mammari• Stimolo della produzione di latte

Alterazioni nella secrezione di questo ormone possono portare a una serie di problematiche di diversa gravità, affrontati in diverse maniere in relazione alla gravità della sintomatologia.

2.2 • FONDAMENTI DI CRONOBIOLOGIA: ANALISI DEI CICLI BIOLOGICI DELL’ORGANISMO

2.2.1 • Definizioni e generalitàLa cronobiologia è una disciplina che studia i fenomeni a manifestazione ciclica, o ritmi biologici, negli organismi viventi. Per definire la complessità dei fenomeni cronobiologici è necessario ricorrere a concetti e metodiche proprie di altre discipline, come per esempio

• Anatomia• Fisiologia• Genetica

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60 CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE

• Biologia molecolare• Etologia • Ecc..

Gli studi cronobiologici hanno permesso di evidenziare come in qualche forma la ciclicità sia una costante pressoché ubiquitaria, sia per quanto riguarda il regno animale che per quanto riguarda il regno vegetale, regolando processi di base quali:

• Alimentazione• Turnover cellulare• Movimento

o Per esempio migratorio nel regno animaleo Per esempio dovuto all’eliofilia nel regno vegetale

• Attività metabolica • Ecc..

Sulla base di questi esempi è possibile individuare una prima macro-divisione che permetti di identificare:• Ritmi circadiani (ciclo di circa 24 ore, per esempio alternanza veglia-sonno)• Ritmi infradiani (di frequenza inferiore alle 24 ore) • Ritmi ultradiani, (di frequenza superiore alle 24 ore)• Ritmi circasettimanali (di frequenza intorno alla settimana)• Ritmi circamensili (di frequenza intorno al mese)• Ritmi circannuali (ciclo che copre all’incirca un anno solare)

2.2.2 • Ritmi circadianiCome accennato un ritmo circadiano definisce un evento ciclico che si svolge intorno all’arco di una gior-nata, questo termine è stato definito per la prima volta da Franz Halberg, che partendo dalla lingua latina volle esprimere il concetto di “intorno al giorno”. Esempi più immediati che permettono di comprendere a che cosa ci si riferisce parlando di ritmo circadiano sono:

• Ciclo veglia-sonno• Ciclo di secrezione di diversi ormoni (somatotropo, testosterone, cortisolo ecc..)• Ciclo di variazione della temperatura corporea • Ecc…

Il mantenimento della ciclicità di questi fenomeni viene garantito da un complesso sistema di regolazione interna, funzionalmente paragonabile a una sorta di “orologio” che integra i dati provenienti dall’esterno come per esempio

• Luce solare• Temperatura dell’ambiente• Stimoli sociali (interazione con individui della stessa o di altre specie)• Ecc..

Rimane comunque importante ricordare che l’assenza di questi stimoli non comporta la perdita della ciclici-tà dei fenomeni implicati ma piuttosto un loro settarsi secondo parametri diversi, aumentando o riducendo le tempistiche mediamente osservate. Nella specie umana gli stimoli di natura sociale rispecchiano una notevole importanza contribuendo in maniera fondamentale a definire la ciclicità dei fenomeni appena descritti sulla base delle abitudini della comunità o della famiglia di appartenenza del soggetto studiato. Questo implica che il sistema regolatorio dell’essere umano si mostra molto più flessibile rispetto a quello di altre specie animali, permettendo di osservare una variabilità individuale piuttosto importante, variabilità che dovrà comunque tenere conto dei limiti imposti dalla fisiologia umana. Oltre al macroscopico esempio relativo al ritmo sonno-veglia anche la secrezione ormonale è una mirabile manifestazione di fenomeno ciclico: la stragrande maggioranza degli ormoni prodotti a livello endogeno mostrano notevoli oscilla-zioni secretive nell’arco delle 24 ore. Oscillazioni che possono andare dalla deviazione di circa il 20% (rispetto alla media) di ormoni che controllano la funzionalità gonadica a deviazioni che superano anche notevolmente il 100% (sempre rispetto alla media) del cortisolo. Alcuni di questi fenomeni ciclici vengono direttamente influenzati a cascata da altri ritmi circadiani e da fattori esogeni, per esempio l’alternanza

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61INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE CAPITOLO 2

giorno-notte, influenza il ritmo veglia-sonno che influenza a sua volta le dinamiche secretive di alcuni ormoni come l’ormone somatotropo, per cui l’entrata nella prima fase è una condizione fondamentale. Mentre per altri ormoni come per esempio la prolattina e l’adrenocorticotropo il periodo di secrezione può dissociarsi dalle ore di sonno, nel caso sussistano alterazioni dello stesso.

2.2.3 • Ritmi infradianiCome accennato i ritmi infradiani implicano un periodo più corto di un giorno, rappresentano alcuni esempi:

• Ciclo REM (90 minuti circa)• Ciclo nasale (4 ore circa)• Ciclo di produzione dell’ormone somatotropo (3 ore circa)

2.2.4 • Ritmi ultradianiCome accennato i ritmi ultradiani implicano un periodo superiore ad un giorno, rappresentano alcuni esempi:

• Ciclo mestruale (classificabile come circamensile) • Migrazione annuale (animali a carattere migratorio)• Cicli di marea (organismi marini sia animali che vegetali)

2.2.4 • Ritmi circannualiNella specie umana, soprattutto in relazione all’evoluzione di carattere sociale che ha reso l’uomo relativa-mente indipendente dai cicli agricoli i ritmi circannuali non ricoprono più l’importanza che ricoprivano in passato (anche se non tutti gli autori sono concordi sul fato che questo sia un bene), in altre specie animali o vegetali i ritmi circannuali ancora caratterizzano il normale ciclo di vita.

2.2.5 • Alterazioni dei ritmi circadianiOltre ad abitudini di vita più o meno salutari, uno dei principali aspetti in grado di alterare la regolazione dei ritmi circadiani dell’organismo è correlato ai processi di invecchiamento, alcuni fenomeni anticipano mentre altri ritardano la loro manifestazione nelle 24 ore, tra questi per esempio si riscontrano:

• Regolazione della temperatura• Regolazione della pressione arteriosa• Regolazione della secrezione ormonale• Regolazione del ritmo sonno veglia (correlato anche alla secrezione di melatonina)

Alcuni autori ritengono che la ridotta efficienza nella regolazione interna possa avere un ruolo o quanto-meno contribuire ai fenomeni degenerativi correlati all’invecchiamento, mentre altri ritengono che ne sia invece una diretta conseguenza. Esistono alterazioni dei ritmi circadiani anche direttamente attribuibili a fattori sociali, come per esempio nel caso di turnisti o di individui che a causa di viaggi si trovano a spe-rimentare un alterazione della sincronizzazione in particolare del ritmo sonno veglia con il cosiddetto JET-LAG. Entrambe queste situazioni possono implicare o meno una serie di disturbi generalmente ritenuti non patologici di entità estremamente variabile determinata da una marcata capacità di risposta individuale. Altre condizioni invece vengono direttamente correlate a stati patologici come per esempio:

• Forme depressive correlate al cambio di stagione caratterizzate da:o alterazioni nella secrezione di cortisoloo alterazioni nella secrezione di prolattinao alterazioni nella secrezione di melatonina

• Neoplasie ipotalamiche• Insonnia fatale caratterizzata da:

o scomparsa del ciclo veglia-sonnoo alterazioni pressorieo alterazioni nella secrezione di cortisoloo alterazioni nella secrezione di prolattinao alterazioni nella secrezione di melatoninao alterazioni nella secrezione dell’ormone somatotropo

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62 CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE

2.3 • EFFETTO FARMACOLOGICO DEGLI ALIMENTI:

2.3.1 • Definizioni e generalitàLo studio dell’effetto farmacologico degli alimenti contempla l’analisi di tutta quella serie di risposte che l’organismo umano mette in atto secondariamente all’ingestione di una molecola o di un particolare com-plesso molecolare rispetto ad un altro, tale analisi contempla sia aspetti di carattere biochimico che aspetti di carattere anatomico-fisiologico e permette di evidenziare come nella pratica non sia assolutamente corretto affermare che a parità di apporto energetico “un alimento vale l’altro” dimostrando che di fatto esiste una precisa differenza, spesso abissale, legata alla scelta del tipo di alimento da utilizzare.

2.3.2 • Indice glicemicoOltre ad essere classificabili in relazione alle caratteristiche strutturali i glucidi possono essere classificati anche relativamente alle risposte che provocano nell’organismo, considerandoli quindi alla stregua di un farmaco se ne può valutare “l’effetto farmacologico” mediante un parametro definito “Indice Glicemico” (IG). Prima di continuare nella spiegazione dell’indice glicemico è necessario illustrare sinteticamente cosa accade secondariamente all’ingestione di glucosio o di alimenti successivamente scissi in glucosio. Una volta assorbito il glucosio comporta innalzamento dei valori ematici di glicemia, in risposta ai quali l’orga-nismo secerne l’ormone insulina (prodotto a livello pancreatico). Questo ormone ha la finalità di stimolare l’esposizione sulle cellule muscolari , adipose e comunque su numerose cellule metabolicamente attive, di recettori canale definiti GLUT4. L’esposizione di questi recettori comporta un incrementato ingresso del glucosio a livello cellulare dove sarà utilizzato in relazione alle richieste energetiche dl momento. La quota eventualmente non utilizzata a livello delle cellule muscolari (o di altri tessuti metabolicamente attivi) viene utilizzata nella ricostituzione delle scorte di glicogeno; una volta ricostituite la quota eventualmente ancora eccedente a livello delle cellule adipose viene accumulata sotto forma di lipidi. Una volta chiariti questi aspetti è possibile comprendere il concetto di indice glicemico: cioè la velocità con la quale il livello di glucosio ematico si innalza in seguito all’ingestione di un alimento. Per valutare l’indice glicemico di un alimento si esegue la seguente procedura:

• Assunzione di un alimento in quantità tale da contenere 50 g di glucidi• Monitoraggio dei valori ematici di glucosio (glicemia) nelle due ore successive all’assunzione• Confronto dei valori rilevati con quelli ottenibili dalla stessa procedura effettuata con 50 g di

glucosio50 g di glucosio costituiscono lo standard di riferimento a cui si attribuisce un valore di indice glicemico di 100 (IG=100). Per esempio se un alimento viene classificato con un indice glicemico di 70 l’assunzione di una quantità contenete 50 g di glucidi porterà ad un aumento della glicemia pari al 70% di quanto accadrebbe con l’assunzione di 50 g di glucosio. Risulta a questo punto molto semplice comprendere come alimenti diversi contenenti glucidi avranno effetti diversi: quelli digeriti ed assorbiti rapidamente mostreranno un IG più alto mentre quelli digeriti ed assorbiti più lentamente mostreranno un IG più basso. Quindi tutti i fattori in grado di influire sulla digestione come struttura dei glicidi ingeriti, contestuale pre-senza di lipidi, proteine o fibre e modalità di cottura contribuiscono alla determinazione dell’IG di un alimento. Sulla base di quanto precedentemente illustrato l’ingestione di un alimento ad alto IG condurrà ad una forte risposta insulinica secondaria al repentino aumento della glicemia. Quindi l’IG deve essere attentamente valutato prima di assumere un alimento con finalità energetiche; infatti un alimento ad alto IG è vero che fornisce un alto livello di energia in una breve finestra temporale, ma è allo stesso modo vero che a causa della risposta insulinica in breve tempo si potrebbe avere ipoglicemia (effetto definito rebound), favorendo se necessario la deposizione di glicogeno seguita dalla deposizione di lipidi a livel-lo del tessuto adiposo. Qualora non ci fosse necessità di ripristinare le scorte di glicogeno l’eccesso di glucosio andrà direttamente a rimpinguare le scorte lipidiche. Al contrario l’assunzione di un alimento a basso IG comporta una fornitura di glucosio lenta e graduale, rendendo il supporto energetico costante per una finestra temporale più ampia. Alla luce di quanto appena affermato in condizioni normali o prima di un aprestazione atletica risulta particolarmente vantaggioso utilizzare alimenti a basso IG, mentre per massimizzare il recupero dopo un attività fisica intensa potrebbe essere particolarmente interessante utiliz-

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63INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE CAPITOLO 2

zare alimenti a basso IG. Sulla base dell’indice glicemico gli alimenti vengono suddivisi in tre categorie, nelle quali la seguente tabella riporta alimenti comunemente utilizzati:

INDICE GLICEMICO DEGLI ALIMENTI PIÙ COMUNIALIMENTI AD ALTO IG (>70) ALIMENTI A BASSO IG (55-0)

Alimento IG Alimento IG Glucosio 100 Kiwi 53±6

Cornflakes 91 Banana 52 ± 4Patate al forno 89±12 Mango 51 ± 5

Patate comuni bollite 79 ± 22 Succo d’Ananas 50 ± 4Crackers 75 ± 23 Succo di Pompelmo 48Zucca 75 ± 9 Uva 48Melone 75 Carota 47 ± 16

Patate fritte 75 Yogurt magro alla frutta 45Popcorn 72±17 All-Bran 42 ± 5

Cocomero 72 ± 13 Arancia 42 ± 3Pane bianco 70 ± 40 Succo di Mela 40 ± 1

ALIMENTI A MEDIO IG (56-69) Albicocca 38 ± 2Kellogg’s Special K 69 ± 15 Pere 38 ± 2

Riso arborio 69 ± 7 Mela 36 ±16Gelato 68 ±12 Piselli bolliti 33

Saccarosio 68 ± 5 Latte magro 32 ± 5Cornetti (croissant) 67 Fagioli bolliti 29 ± 9

Miele 64 ± 32 Lenticchie 28 ± 6Patate dolci 61 ± 7 Pesche 28

Ananas 59 ± 8 Latte intero 27 ± 4Muesli 57 ± 18 Ciliegie 22

Pane di Segale 57 ± 7 Fruttosio 19 ± 2Spaghetti cotti 10 minuti 57 Yogurt bianco 14

NB - Alcuni alimenti mostrano una variabilità di IG relativa ai diversi fattori in precedenza accennati, per questo quando possibile è stato indicato indicato un intervallo di valori

Tabella 4: indice glicemico di alcuni alimenti

2.3.3 • Carico glicemicoLa considerazione dell’IG ha permesso valutare più approfonditamente l’utilizzo di diverse fonti gluci-diche in relazione alle attività quotidiane e alle condizioni fisiologiche, d’altro canto una sua scorretta applicazione (molto probabilmente motivata da un’insufficiente conoscenza e comprensione) ha portato a demonizzare inutilmente alcuni alimenti come ad esempio le patate, le banane e le carote. Per ovviare a questa situazione è stato introdotto un parametro che permette di completare le informazioni fornite dalla valutazioni dell’IG, il carico glicemico (CG). Partendo dal presupposto che l’IG fornisce solamente una valutazione di carattere qualitativo occorre definire le caratteristiche di un alimento anche dal punto di vista quantitativo ovvero quanti carboidrati vengono effettivamente consumati con una determinata porzione di un alimento e quindi prevedere quali effetti potrebbero avere. Uno degli esempi più eclatanti e che quindi rende maggiormente l’idea è quello della zucca. La zucca è classificabile tra gli alimenti ad alto indice

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64 CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE

glicemico: IG ≈ 75, ma contiene un quantitativo glucidico estremamente ridotto ovvero 6,5g/100 g, da questo dovrebbe risultare facile da comprendere come una ragionevole porzione di zucca non è in grado di influenzare la glicemia in maniera significativa. Calcolare il CG di una porzione di zucca permetterà di capirne il perché. Il CG di un alimento si calcola come segue:

CG = IG • [g di carboidrati contenuti in una porzione dell’alimento] / 100

L’IG di un alimento viene moltiplicato per la quantità di carboidrati contenuta in una porzione media del cibo e il tutto viene diviso per 100. Ritornando all’esempio della zucca (alto IG) e confrontando il risultato ottenuto con un alimento a medio IG degli spaghetti (IG=57) si ottiene:

CG DI 100 G DI ZUCCA VS 100 G DI SPAGHETTIZucca Spaghetti

IG ≈ 75 IG ≈ 57Contenuto in carboidrati ≈ 6,5 g per 100 g Contenuto in carboidrati ≈ 75 g per 100 g

CG = 75 • 6,5 / 100 ≈ 5 CG = 57 • 75 / 100 ≈ 43

Tabella 5: Confronto IG/CG

La zucca pur avendo un IG più alto degli spaghetti mostra quindi un CG molto più basso. Per arrivare ad un carico glicemico paragonabile a quello degli spaghetti sarebbe necessario consumarne un quantitativo quasi 12 volte superiore: 1153 g di zucca equivarrebbero a 100 g di spaghetti. Quindi il controllo della glice-mia e dei livelli di tessuto adiposo richiedono sia un monitoraggio quantitativo che qualitativo degli alimenti ingeriti. Una volta compresi questi parametri risulterà molto facile comprendere come non sia affatto utile ne tantomeno indispensabile eliminare (o ridurre marcatamente) i glucidi dalla propria alimentazione quanto:

• Selezionare alimenti in base all’IG e al CG• Moderarne l’assunzione• Abbinarli ad alimenti ricchi in fibra• Consumarli contestualmente a proteine• Consumarli contestualmente a lipidi • Utilizzare cotture appropriate (non eccessivamente lunghe)

Selezionando le fonti secondo questi criteri è possibile pianificare il consumo glucidico considerando, a seconda del livello e del tipo di attività fisica praticata, un assunzione da 6 a 10 g di glucidi / kg di peso corporeo/giorno.

2.3.4 • Indice insulinicoL’Indice insulinico è un parametro che contempla la produzione di Insulina nell’organismo in risposta all’ingestione di una qualsiasi tipologia di alimento, rappresentando l’effetto realizzato direttamente ed esclusivamente sulla secrezione di insulina, senza alcuna valutazione relativa alla glicemia e quindi alla risposta sistemica. Tale indice viene stabilito esaminando diversi alimenti in quantitativo tale da fornire 239 kcal, equivalenti di 1000 kj contemplando di fatto anche le dinamiche di assimilazione e la secrezione ormonale indotta a parità di intake energetico. Consente di effettuare valutazioni più accurate rispetto a quanto fatto fin ora con l’indice glicemico in quanto considera le reazioni ottenibili mediante l’assunzione di tutte le tipologie di alimenti, incluse quelle non direttamente correlate alle dinamiche del metabolismo glucidico. Grazie a questo tipo di valutazione è stato possibile chiarire che un gran numero di alimenti, non squisitamente di matrice glucidica, possono causare una risposta insulinica sulla base della quale è stato possibile effettuare una classificazione in alimenti provocanti:

• Bassa risposta insulinica• Media risposta insulinica• Alta risposta insulinica

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65INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE CAPITOLO 2

In linea squisitamente generale si riscontra una risposta diverse per le diverse categorie di macronutrienti:• 90-100% per i glucidi• 50% per le proteine• 10% per i grassi

Questo ha permesso di chiarire come tutti i macronutrienti evochino una risposta insulinica, spiegando come alcuni alimenti possano stimolare una secrezione insulinica abnorme in relazione al relativo indice e carico glicemico e come anche il pasto misto evochi una produzione insulinica decisamente superiore rispetto a quanto ci si aspetterebbe dalla valutazione dei relativi parametri glicemici (indice e carico), ampliando notevolmente le possibilità di valutazione e riducendo la predittività dei parametri in preceden-za utilizzati. Considerando tutti i macronutrienti la scelta di effettuare la valutazione in chiave energetica è stata di fatto obbligata, in quanto è ben noto come relativamente alla composizione percentuale sussistano differenze in termini di kcal fornite e quindi per fornire un parametro assoluto le dinamiche energetiche rappresentano un aspetto basilare, soprattutto considerando che:

• I macronutrienti hanno generalmente una diversa valenza calorica o 4 kcal/1 gr di glucidio 4 kcal/1 gr di protidi o 9 kcal/1 g di lipidio 7 kcal/g di alcol (pur non essendo un nutriente và contemplato)

• Gli alimenti hanno una diversa proporzione di macronutrienti.Questo permette di considerare l’insulina in ottica più completa, ovvero come ormone dall’effetto anabo-lizzante in grado di sostentare una serie di tessuti insulino dipendenti quali:

• muscolo scheletric• muscolo cardiaco• tessuto adiposo

La sua azione stimolando il trasporto di glucosio, amminoacidi, grassi, ed altre molecole minori come gli acidi nucleici, favorendo processi come

• proteosintesi (sintesi proteica) • glicogenosintesi) • lipogenesi

Da questo ne deriva che alimenti come carni, pesci o formaggi a cagione della loro composizione presentino un indice insulinico superiore a quello di alcuni sfarinati, mentre latte e yogurt rappresentano un caso emble-matico: che pur contenendo modeste quantità di glucidi, causano una produzione di insulina altissima, simile a quella provocata da patate e merendine, conducendo in seguito all’ingestione a livelli di ipoglicemia deci-samente superiori a quelli causati da cereali raffinati. Si ritiene che in buona parte questi effetti posano essere dovuti alla presenza di specifici aminoacidi definiti appunto aminoacidi insulinogeni come ad esempio:

• Arginina• Fenilalanina• Isoleucina• Leucina• Lisina• Valina• Glicina

2.3.5 • Acidi grassi essenziali e regolazione metabolicaCome accennato nel paragrafo relativo ai lipidi tra gli acidi grassi esistono delle molecole essenziali ovvero che l’organismo umano non è in grado di sintetizzare: gli acidi grassi appartenenti alle serie ω3 e ω6. E’ bene ricordare che la dicitura ω seguita da un numero definisce la posizione del doppio legame su una molecola insatura rispetto al metile terminale. Nelle due serie è possibile rinvenire:ω3: Acido α- linolenico 18:3

Acido eicosapentaenoico 20:5Acido docosapentaenoico 22:5

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66 CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE DELLE DINAMICHE METABOLICHE

Acido docosaesaenoico 22:6ω6: Acido linoleico 18:2

Acido γ-linoleico 18:3Acido diomo-γ-linolenico 20:3Acido arachidonico 20:4

Tali acidi grassi vengono definiti essenziali in quanto essendo i mammiferi sprovvisti degli enzimi ω-3 desa-turasi e Δ12 desaturasi, necessari per la sintesi di acido arachidonico (20:4, ω-6) e acido docosaesanoico (22:6, ω-3) a partire da molecole di acetil-CoA, vengono utilizzati come precursori grazie all’azione degli enzimi Δ5 desaturasi e Δ6 desaturasi, particolarmente presenti nei tessuti epatici. L’acido arachidonico (20:4, ω-6) e l’acido docosaesanoico (22:6, ω-3) sono parte essenziale di numerose funzioni necessarie al mantenimento dell’omeostasi quali sintesi di eicosanoidi, regolazione dell’espressione genica, pinoci-tosi e modulazione dei canali ionici. Generalmente il loro coinvolgimento nella sintesi di triacilgliceroli è minimo in quanto vengono preferenzialmente complessati con i fosfolipidi di membrana, partecipando al mantenimento della funzionalità e della fluidità delle membrane biologiche. Gli eicosanoidi costituiscono una classe di molecole a 20 atomi di carbonio che comprende prostaglandine, prostacicline , trombossani e leucotrieni, molecole che intervengono come mediatori di processi infiammatori, dell’attività piastrinica e del tono vascolare. In linea di massima gli eicosanoidi sintetizzati dall’acido arachidonico (20:4, ω-6) presentano attività pro-trombotica e pro-infiammatoria elevata rispetto a quelli sintetizzati a partire dall’aci-do docosaesanoico (22:6, ω-3); considerato che la disponibilità di precursori è direttamente correlata con la sintesi dei composti finali è evidente come un corretto bilanciamento nell’assunzione degli acidi grassi della serie ω-3 e ω-6 sia fondamentale al mantenimento di un appropriato equilibrio delle funzioni gover-nate dall’azione degli eicosanoidi, contribuendo al mantenimento dell’omeostasi. Gli acidi grassi della serie ω-3 si sono inoltre dimostrati in grado di modulare la secrezione delle VLDL con effetti ipotrigliceride-mizzanti, inoltre considerando la ridotta attività biologica rispetto a quelli della serie ω-6 e la competizione che esiste tra la sintesi dei relativi composti, possono essere utilizzati anche con effetti antinfiammatori. Questo aspetto è particolarmente importante se considerato alla luce di della natura delle sollecitazioni a cui un atleta si sottopone: l’allenamento ovvero un continuo e programmato stimolo stressogeno in grado di evocare, a recupero avvenuto, tutta quella serie di adattamenti fisiologici necessari alla supercompen-sazione e quindi all’incremento della prestazione. Come tutti gli stimoli stressogeni, anche l’allenamento è in grado di produrre una risposta infiammatoria più o meno intensa a seconda del carico e della fre-quenza della sollecitazione; in virtù di ciò il ruolo degli acidi grassi della serie ω-3 diventa particolarmente importante nella mediazione di questi processi. Il rapporto tra acidi grassi essenziali della serie ω-3 e ω-6 dovrebbe essere mantenuto almeno nell’ordine di 1:3 – 1:6, questo fattore è particolarmente importante soprattutto se si considera che nella comune dieta occidentale viene mantenuto mediamente un rapporto di 1:20. L’assunzione di tali acidi grassi essenziali viene indicata da diversi autori entro un intervallo che varia, a seconda dell’età e della condizione fisiologica rispettivamente:ω-3: da 0,5 a 1 g/dieω-6: da 4 a 5,5 g/die

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Riepilogare gli aspetti fondamentali della componente endocrina nelle integrazioni metaboliche• Riepilogare gli aspetti fondamentali della componente cronobiologica nelle integrazioni metabo-

liche• Riepilogare gli aspetti fondamentali della componente biochimica degli alimenti nelle integrazio-

ni metaboliche

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Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 3

Anamnesi

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68 CAPITOLO 3 ANAMNESI

Obiettivi: • Comprendere il concetto di anamnesi• Acquisire gli aspetti operativi dell’anamnesi• Comprendere il concetto di diario alimentare• Acquisire gli aspetti operativi della stesura di un diario alimentare

3.1 • ANAMNESI: DEFINIZIONE E GENERALITÀ

In linea generale con il termine anamnesi viene definita la raccolta dei dati necessari a strutturare un piano di lavoro personalizzato. Per un professionista sanitario legalmente abilitato alla stesura di piani nutrizionali l’anamnesi rappresenta il primo approccio necessario per poter progettare e strutturare razionalmente le indicazioni da fornire. Per quanto riguarda soggetti non abilitati alla stesura di piani nutrizionali, come per esempio un tecnico sportivo che non possegga la qualifica di medico, biologo o dietista (figure legalmente abilitate ) l’anamnesi comunque rappresenta un aspetto fondamentale per indirizzare (pur in modo gene-rale e aspecifico rispetto alle suddette figure) il cliente verso uno stile di vita sano, in armonia con le linee guida generalmente fornite dagli enti accreditati che si occupano di nutrizione umana. Il passo successivo all’anamnesi, il diario alimentare, è un ulteriore strumento utilizzabile con successo soprattutto con la finalità di aumentare la consapevolezza del cliente in merito alle proprie abitudini alimentari.

3.2 • ANAMNESI COME STRUMENTO OPERATIVO

Esistono numerose informazioni utili per le suddette finalità, la selezione delle quali sarà a discrezione dell’operatore sulla base delle caratteristiche del cliente. Ne esistono alcune che comunque possono esse-re considerate essenziali sia per l’operatore (che potrà farsi un quadro più completo della situazione) che per il cliente (che potrà sviluppare una maggiore consapevolezza relativamente alla propria condizione, e una maggiore motivazione in relazione ai propri obiettivi). Tali parametri sono:

• Obiettivi• Bisogni• Motivazione• Limitazioni fisiche o psichiche (eventualmente presenti)• Disponibilità temporale• Esigenze logistiche• Condizioni patologiche (eventualmente presenti)

Occorre che l’operatore nella raccolta di queste informazioni si mostri estremamente attento in quanto alcuni di questi dati secondo la legislazione italiana vengono considerati “dati sensibili” per i quali sono previste modalità di raccolta e trattamento regolamentate da apposite leggi.

3.3 • ANAMNESI SUGGERIMENTI OPERATIVI

Come appena chiarito, nell’accingersi a fornire dei consigli alimentari eseguire una accurata anamnesi è a dir poco fondamentale. Accanto ai consueti dati quali età, altezza, peso, è possibile acquisire altre numerose informazioni che consentiranno di impostare una corretta strategia operativa. I dati ottenibili grazie ad una anamnesi approfondita, consentiranno di eseguire valutazioni utili a sviluppare un quadro più completo del cliente, valutando parametri come per esempio

• Grado di soprappeso (BMI o Indice di Sovrappeso)• Distribuzione delle adiposità (Androide o Ginoide)• Evoluzione temporale della condizione• Fattori di rischio per la salute

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69ANAMNESI CAPITOLO 3

• Attitudine• Stile di vita• Trascorsi sportivi• Livello di allenamento;• Abitudini alimentari• Rapporto con il cibo; • Reazione a particolari alimenti• Preferenze personali• Disponibilità nell’ affrontare un eventuale programma alimentare.

Una volta chiarite le condizioni del soggetto risulta fondamentale fornire indicazioni di massima con la fina-lità di ottimizzarne il comportamento alimentare, in quanto l’approccio graduale nella modificazione dello stile di vita molto spesso si rivela un approccio meglio tollerato, in particolare tenendo conto di alcuni fattori:

• I comuni approcci nutrizionali potrebbero non mostrarsi adatti a tutte le tipologie di soggetti:o Dal punto di vista nutrizionaleo Dal punto di vista della compliance (esigenze, bisogni, stili di vita…)

• La motivazione del cliente, se inadeguata, può compromettere anche la migliore strategia alimentareIl tutto con la finalità di guidare gradualmente il cliente verso quell’insieme di comportamenti (spesso frutto di compromessi tra ciò che risulta corretto e ciò che si desidera fare) che costituiranno un nuovo stile di vita. Condizione importante per l’acquisizione di nuove abitudini di vita è il rinforzo positivo derivante dall’ottenimento di buoni risultati; la soddisfazione può alimentare efficacemente il desiderio di mantenere e migliorare ulteriormente le buone abitudini acquisite. Per esempio una scheda di anamnesi relativa alle abitudini alimentari potrebbe essere realizzata come segue:

DATI PERSONALINome e Cognome SESSO

M F

Stato civile Possibilità di cucinare in casa? Pasti quotidianamente consumati in casa

Pasti quotidianamente consumati fuori casa

S N

Professione Orario lavorativo

Giorni lavorativi settimanali Mensa lavorativa?

S N

Sport praticati

Frequenza settimanale

Tempo eventuale inattività Disponibile a praticare attività fisica?

S NN° medio di sedute settimanali Tempo a disposizione per seduta

1 2 3 4 40’ - 60’ 60’ - 75’ 75’ - 90’ 90’ - 105’Fumatore Consumo Alcool

S N S NPatologie da segnalare

NoteTabella 1 Esempio anamnesi abitudini alimentari e fattori correlati di base

3.4 • DIARIO ALIMENTARE: UNO STRUMENTO PER LA CONSAPEVOLEZZA ALIMENTARE DEL CLIENTE

Come chiarito in precedenza il diario alimentare può mostrarsi uno strumento molto utile per il monitoraggio

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70 CAPITOLO 3 ANAMNESI

delle reali abitudini alimentari da parte di soggetti abilitati alla stesura di piani nutrizionali, che potranno utilizzare quanto fatto come base di partenza per il loro lavoro. La sua importanza non è da sottovalutare nemmeno nel caso di professionisti non abilitati alla realizzazione di piani nutrizionali, il cui lavoro come accennato deve limitarsi verso l’indirizzare il cliente a corrette abitudini di vita; di quale utilità si rivela in questo caso? Si rivela uno strumento di fondamentale importanza in quanto consente di aumentare (o in qualche caso creare) nel cliente una realistica consapevolezza alimentare , rivelandosi di fatto molto più efficace di tabelle o calcoli teorici nel far comprendere il reale impatto delle proprie abitudini e la reale presenza di pratiche alimentari inadeguate. Questi aspetti non sono da sottovalutare in quanto è pratica comune trovarsi di fronte a soggetti in marcato sovrappeso o obesi che di fatto non si rendono conto di quello che quotidianamente mangiano, ritenendo erroneamente di mangiare poco o niente: una volta che la letteratura scientifica ha chiarito che non ci troviamo di fronte a un epidemia di patologie tiroidee(che nella realtà hanno un incidenza inferiore al 2% della popolazione) risulta facile comprendere come alla base di situazione del genere possa esistere una dis-percezione relativamente alle proprie abitudini ali-mentari. Un esempio di diario alimentare potrebbe essere realizzato come segue:

DIARIO ALIMENTARE

Nome Data Giorno Giorno Lavorativo Allenamento

L M M G V S D SI NO SI NOPasto e orario Alimento Quantità SensazioneColazioneMattinataPranzoPomeriggioCenaSerata

Tabella 2 Esempio di diario alimentare giornaliero

Una valutazione ottimale capace di rendere un quadro della situazione più completo dovrebbe essere effet-tuata su più giorni, o possibilmente su una settimana, in modo da comprendere come l’alimentazione del soggetto possa evolvere contestualmente alle dinamiche sociali e lavorative del soggetto. Oltre alle indicazio-ni quantitative e qualitative sarà importante che il soggetto riporti le sensazioni legate all’assunzione di cibo, fattore fondamentale per valutare l’impatto che l’emotività o lo stress possono avere su tali comportamenti. Ovviamente la prima grande valenza di questo approccio sta nella consapevolezza stessa che il compilatore acquisirà relativamente alle proprie dinamiche alimentari. Sulla base di quanto evidenziato sarà possibile per il professionista, sulla base delle sue competenze, fornire le opportune indicazioni in merito, considerando che partendo da ciò che già il cliente mette in atto sarà possibile strutturare un approccio più compatibile alle sue abitudini di vita. Una volta attuati a seconda dei casi, un nuovo piano nutrizionale o la batteria di consigli alimentari necessari sarà molto utile ripetere periodicamente la stesura del diario, in modo da valuta-re la compliance del soggetto rispetto alle indicazioni fornite e l’adeguatezza e fattibilità di quanto proposto.

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Che cos’è l’anamnesi? Spiegare• Quali sono gli aspetti fondamentali dell’anamnesi?• Che cos’è il diario alimentare? Spiegare• Quali sono gli aspetti fondamentali del diario alimentare?

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CAPITOLO 4

Metabolismo basale e peso forma

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72 CAPITOLO 4 METABOLISMO BASALE E PESO FORMA

Obiettivi: • Comprendere il concetto di metabolismo• Comprendere il concetto di metabolismo basale• Comprendere i concetti di peso e massa• Coprendere il concetto di “peso forma” e le relative implicazioni correlate• Comprendere le limitazioni legate al concetto di “peso forma”

4.1 • METABOLISMO BASALE

4.1.1 • Metabolismo: definizione e generalitàCon il termine Metabolismo ci si riferisce in linea generale all’insieme di processi biochimico – fisici che avvengono in un organismo. Tali processi possono essere analiticamente valutati rispetto:

• all’intero organismo• a sistemi complessi• a apparati• a organi • a specifici tessuti• a singole popolazioni cellulari• a singole cellule

mantenendo la consapevolezza che rimangono comunque tutti strettamente correlati nel mantenimento dell’omeostasi (condizione di equilibrio funzionale) propria dell’organismo. Funzionalmente il metabolismo può essere suddiviso nei suoi due aspetti fondamentali:

• Anabolismo: Produzione di molecole complesse a partire da substrati quali molecole più semplici • Catabolismo: Degradazione di molecole complesse con produzione di molecole più semplici

attuata ai fini di rendere disponibili substrati per altre reazioni anaboliche o semplicemente ener-gia prontamente disponibile (vedi per esempio processi di sintesi dell’ATP)

Valutando l’equilibrio dei quali sarà possibile effettuare una prima suddivisione relativamente a:• Processi metabolici di base• Processi metabolici relativi a specifiche attività

4.1.2 • Il concetto di metabolismo basaleIl metabolismo basale (MB) rappresenta il fabbisogno energetico di un organismo per il mantenimento delle funzioni vegetative (funzioni metaboliche di base), ovvero respirazione, circolazione sanguigna, digestione, attività del sistema nervoso, eccetera. Il MB viene valutato in laboratorio o in ambulatorio con la misura della calorimetria indiretta. La procedura di valutazione deve essere eseguita nelle seguenti condizioni:

• a riposo, ma nello stato di veglia;• a digiuno da almeno 12 ore;• senza aver praticato attività fisica intensa nelle ore precedenti alla misurazione;• devono essere rimossi tutti i fattori che possono provocare eccitazione fisica e/o mentale;• disporre il soggetto in condizione di neutralità termica tra 20 e 27 °C (la temperatura dell’am-

biente influenza il metabolismo basale)Il MB viene influenzato da diversi fattori come composizione corporea, livello di attività fisica, sesso, età, patologie, assunzione di farmaci, particolari regimi alimentari o attività fisica particolarmente intensa, ecc.

4.1.3 • La stima del metabolismo basaleLa valutazione del MB mediante calorimetria indiretta è un processo che richiede apparecchiature specifi-che e molto costose e personale appositamente addestrato; nella pratica quotidiana il MB viene calcolato con una certa approssimazione mediante opportune equazioni ottenute sulla base di dati statistici che considerano generalmente diversi parametri tra cui l’età, il sesso, la composizione corporea eccetera. Ovviamente più parametri saranno considerati più sarà accurata la valutazione ottenuta. Occorre comun-

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73METABOLISMO BASALE E PESO FORMA CAPITOLO 4

que ricordare che i valori ottenuti con queste metodiche sono valori teorici, che possono mostrare notevole discrepanza in individui che escono al di fuori della media considerata come individui in sovrappeso o obesi, in atleti oppure in individui sottopeso. Una delle metodiche comunemente utilizzate parte dal razionale che un individuo adulto di sesso maschile consuma a riposo mediamente 1 kcal per kg di peso corporeo all’ora ed è rappresentato dalla seguente formula:

MB (adulto maschio) = peso corporeo • 24Per i soggetti di sesso femminile la stima del MB viene ridotta del 15 % rendendo la relazione come segue:

MB (adulto femmina) = peso corporeo • 24 • 0,85Ovviamente queste formule mostrano un discreto margine di imprecisione in quanto valutano esclusivamen-te il sesso e il peso corporeo, volendo aumentare il grado di dettaglio è possibile considerare anche l’età del soggetto, rimane comunque valido il fatto maggiori saranno i parametri considerati maggiore sarà la precisione della valutazione e che comunque una valutazione mediante equazione si mostrerà sempre e comunque meno precisa rispetto a una calorimetria indiretta.

CLASSI DI ETÀMASCHI FEMMINE

MB (Kcal/die) MB (Kcal/die)10 – 17 17,5 x Peso + 651 12,2 x Peso + 74618 – 29 15,3 x Peso + 679 14,7 x Peso + 49630 – 59 11,6 x Peso + 879 8,7 x Peso + 829

> 60 11,1 x Peso + 687 8,7 x Peso + 713

Tabella 1: Metabolismo basale per classi di età e peso corporeo

4.2 • IL PESO

4.2.1 • Peso e “massa” definizione e generalitàPer correttezza è opportuno richiamare i concetti fisici di peso e massa, troppo spesso facilmente fraintesi e inopportunamente utilizzati:

• Peso: forza che il campo gravitazionale esercita su una massa verso il centro della Terra, ottenibi-le mediante la seconda legge della dinamica dalla relazione F = M .g (dove F è la forza peso, M la massa e g l’accelerazione gravitazionale)

• Massa: proprietà dei corpi materiali, che determina il loro comportamento dinamico quando sono soggetti all’influenza di forze esterne che caratterizza sia la tendenza di un corpo a resi-stere all’accelerazione, sia la forza di attrazione tra due corpi, secondo la legge gravitazionale universale di Newton. Viene classificata come grandezza fondamentale,

Quindi il peso corporeo umano proprio delle scienze biologiche e biomediche comunemente utilizzato è in realtà la valutazione di una massa, determinata da diverse componenti quali tessuti, di organi e liquidi presenti nel sistema, che non essendo isolato è in continua interazione con l’esterno, fattore che determina la possibilità di variazioni di massa.

4.2.2 • Il concetto di peso formaUna delle prime se non la prima domanda posta in assoluto dal cliente è senza ombra di dubbio quella relativa al peso ideale (anche se è stato chiarito che non si tratta di mero “peso”). Tale valutazione può essere effettuata in relazione a uno o più criteri tra cui età, altezza, sesso eccetera. Quello che rimane importante da chiarire è come il concetto di peso ideale , nelle diverse metodiche e accezioni proposte, nasca contestualmente a una serie di indagini statistiche condotte su individui ritenuti alla luce della scien-za medica “sani” e sia quinti stato preso come parametro generale al quale aspirare per , a ragion di logica, mantenere o raggiungere una condizione compatibile con un sufficiente stato di salute. Alla luce di questi aspetti rimane fondamentale puntualizzare che il concetto è esclusivamente di natura statistica e

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74 CAPITOLO 4 METABOLISMO BASALE E PESO FORMA

che quindi deve essere considerato con le opportune cautele in quanto anche le metodiche più complesse non permettono di considerare nella loro interezza gli aspetti peculiari di un organismo, rendendo di fatto impossibile una valutazione completamente personalizzata e completa. L’utilizzo indiscriminato di questo parametro può rivelarsi fuorviante, mentre il suo utilizzo a latere di altre metodiche di valutazione, come ad esempio l’antropometria, può rivelarsi decisamente molto interessante e indicativo, alla fine di valutare direttamente lo stato di forma e indirettamente, entro certi limiti, lo stato di salute del cliente.

4.2.3 • La stima del peso forma Esaminando le diverse metodiche e soprattutto la notevole differenza dei risultati ottenibili con esse, dovreb-be risultare chiaro come in termini di valutazione e di obiettivi risulta molto più opportuno parlare di com-posizione corporea piuttosto che di peso ideale. Comunque le diverse metodiche proposte in letteratura possono fornire un indicazione di massima da utilizzare come parametro di riferimento

FORMULE PER IL CALCOLO DEL PESO IDEALEFormula Uomo DonnaBroca PI = h – 100 PI = h – 105

Van Der Vael PI = 50 + (h - 150) • 0,9 PI = 50 + (h - 150) • 0,8Bertheam (modificato) PI = 0,75 • (h - 100) + (e /2) PI = 0,70 • (h -105) + (e /2,2)

Life Insurance Company PI = 50 + (h -150) • 0,8 PI = 50 + (h -150) • 0,8Lorenz PI = h – 100 – [(h – 150) / 4] PI = h – 100 – [(h– 150) / 2] - 3,5

Legenda: h = altezza in cm; E = età

Tabella 2: Comuni metodiche di valutazione del peso corporeo ideale

Come sarà possibile osservare nella seguente tabella i risultati ottenibili con le diverse metodiche possono mostrare notevoli differenze

ESEMPIO DI CALCOLO DELPESO IDEALE CON DIVERSE FORMULESesso Maschio FemminaEtà 30 30

Peso (Kg) 80 55Altezza (xm) 186 170

Formula Peso ideale Peso idealeBroca 86,0 65,0

Van Der Vaals 82,4 66,0Bertheam 79,5 59,1

Life Insurance Company 77,0 65,0Lorentz 77,0 61,8

Tabella 3 : Differenze riscontrabili con le principali metodiche

Dato che queste metodiche non prevedono la considerazione della composizione corporea sono da rite-nersi puramente indicative in quanto non in grado di raggiungere il grado di dettaglio necessario a una considerazione accurata. Una valutazione maggiormente accurata può essere fatta mediante l’utilizzo di una metodica che consideri anche la composizione corporea includendo nella valutazione il quantitativo di massa grassa desiderato espresso in percentuale e il quantitativo di massa magra.

PI = [FFM / (100 – FAT% ideale)] • 100Legenda: FFM = massa magra; FAT% ideale = % di grasso ideale

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75METABOLISMO BASALE E PESO FORMA CAPITOLO 4

FAT% UOMO

ClassificazioneFasce di età

18-25 26 - 35 36 - 45 46 - 55 > 55Molto grasso >25 >28 >29 >30 >31

Grasso 25-18 28-22 29-25 30-27 31-27Medio 18-13 22-18 24-20 26-23 26-24Magro 12-8 17-13 20-16 22-18 23-19

Molto magro <8 <13 <16 <18 <19

Tabella 4: Valori di riferimento per soggetti di sesso maschile

FAT% DONNA

ClassificazioneFasce di età

18-25 26 - 35 36 - 45 46 - 55 > 55Molto grassa >30 >34 >35 >37 >38

Grassa 30-27 34-29 35-31 37-33 38-35Media 26-23 28-24 30-26 32-28 34-30Magra 22-18 23-19 25-20 27-23 29-24

Molto magra <18 <19 <20 <23 <24

Tabella 5: Valori di riferimento per soggetti di sesso femminile

4.2.4 • Indice di sovrappeso (IS)Mediante la valutazione di questo parametro può essere espresso il rapporto tra peso attuale e peso ideale. Il parametro ottenibile con la seguente formula permette di definire, a patto che il peso ideale sia valutato con una metodica che consideri la composizione corporea , con un buon grado di dettaglio la condizione del soggetto esaminato.

IS = PESO / PI

INDICE DI SOVRAPPESOValore Classificazione < 0.75 Magrezza

0.76 – 0.93 Sottopeso0.94 – 1.05 Normopeso1.06 – 1.19 Sovrappeso

1.20 - > Obesità

Tabella 6: Valori di riferimento Indice di sovrappeso

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Definire il concetto di Metabolismo• Definire il concetto di Metabolismo basale• Definire i concetti di peso e massa e spiegare le principali differenze tra i due• Definire il concetto di peso forma• Riepilogare e motivare le principali limitazioni correlate al concetto di peso forma

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CAPITOLO 5

Antropometria e metodi divalutazione della composizionecorporea

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78 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

Obiettivi: • Aquisire i principi di base dell’antropometria • Comprendre i principi alla base delle tecniche volte alla valutazione o alla stima della com-

posizione corporea• Acquisire gli aspetti tecnici di base volti alla stima della composizione corporea

5.1 • ANTROPOMETRIA

5.1.1 • Principi generali di antropometriaLa valutazione antropometrica ricopre per l’istruttore lo stesso ruolo fondamentale che un metro ricopre per un sarto. Come per un sarto risulta fondamentale, per realizzare un abito su misura, la conoscenza di deter-minati aspetti fisici del proprio cliente, per l’istruttore una corretta valutazione antropometrica rappresenta uno strumento fondamentale per acquisire tutta una serie di dati che si riveleranno fondamentali per la ste-sura di un piano di allenamento personalizzato, volto a enfatizzare le potenzialità del cliente colmandone allo stesso tempo eventuali carenze, il tutto finalizzato ad un raggiungimento armonico di un ottimale stato di Fitness. Nel corso degli anni numerosi autori hanno proposto diversi modelli basati sulla considerazione dei principali parametri antropometrici in modo da prevedere (nei limiti del possibile) le principali reazioni di interesse medico e fisiologico di un organismo agli stimoli somministrati. Alcuni autori ritengono che l’esame dei caratteri antropometrici possa fornire anche indicazioni di natura comportamentale-psicologica relativamente al soggetto esaminato, è doveroso comunque far presente che queste conclusioni non ven-gono uniformemente accettate da tutta la comunità scientifica e che rappresentano ancora oggi oggetto di discussione. In linea di massima i parametri generalmente considerati dai diversi autori sono:

• Rapporto peso/altezza;• Quantità assoluta e percentuale di tessuto adiposo• Quantità assoluta e percentuale della massa magra• Quantità assoluta e percentuale muscolatura scheletrica• Distribuzione della muscolatura scheletrica• Distrettualità nella distribuzione del tessuto adiposo;• Quantità e distribuzione della muscolatura scheletrica;• Valutazione della struttura scheletrica• Valutazione dell’idratazione e della distribuzione dei fluidi corporei• Valutazione della componente minerale sia ossea che sistemica

Basandosi sulla valutazione di questi parametri i diversi autori hanno proposto una serie di biotipologie nelle quali è possibile suddividere i soggetti esaminati, le principali verranno esposte nei paragrafi a seguire. E’ bene ricordare che sarà molto difficile incontrare soggetti che rientrano alla perfezione in una piuttosto che nell’altra tipologia proposta nelle classificazioni successivamente illustrate ma che in linea di massima un soggetto potrà avvicinarsi una certa approssimazione a un modello piuttosto che all’altro.

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79ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

5.1.2 • Classificazione secondo ViolaGiacinto Viola (1870 – 1943). Docente universitario di Patologia speciale medica dimostrativa fu il primo a proporre l’analisi antropometrica applicata all’attività fisica identificando principalmente sulla base del rapporto dello sviluppo degli arti rispetto al tronco le seguenti biotipologie:

SUDDIVISIONE SECONDO VIOLA

Normotipo(lunghezza degli arti e del

tronco proporzionali)

• Rapporto tronco/arti nella media.• Rapporto addome torace nella media.• Buono sviluppo scheletrico e muscolare.

Brachiotipo(lunghezza degli arti prevale

su quella del tronco.)

• Rapporto tronco/arti elevato.• Diametro anteroposteriore del torace superiore al diametro traverso.• Arti superiori di maggior lunghezza rispetto agli arti inferiori.• Statura sotto la media.• Addome voluminoso.• Leggera ipercifosi.• Buoni atleti nella lotta e nel sollevamento pesi.

Longitipo(lunghezza del tronco prevale

su quella degli arti)

• Statura elevata.• Arti superiori ed inferiori lunghi rispetto al tronco.• Diametro trasverso del torace superiore al diametro anteroposteriore.• Struttura scheletrica esile.• Buoni atleti nella corsa si resistenza e nel salto.

Tabella 1: Classificazione secondo Viola

5.1.3 • Classificazione secondo PendeNicola Pende (1880 – 1970) medico endocrinologo e docente universitario ampliò le precedenti descrizioni unendo considerazioni di carattere antropometrico a valutazioni di carattere endocrino. Morfologicamente Pende individua suddivide i soggetti in brevilinei longilinei e dall’equilibrio tra queste due condizioni esteme ovvero i normolinei:

Longilineo• Arti lunghi più del tronco.• Ossatura esile.• Diametro trasverso del torace superiore al diametro anteroposteriore.

Normolineo• Arti e busto proporzionati.• Ossatura normale.• Diametri traverso e anteroposteriore del torace in proporzione.

Brevilineo

• Arti corti ed aspetto tozzo, con• Bacino largo.• Ossa grosse.• Diametro anteroposteriore del torace superiore al diametro trasverso.

Tabella 2: Suddivisione morfologica di Pende

Dal punto di vista della valutazione dei parametri endocrini invece Pende identifica principalmente due tipologie: soggetti stenici e astenici. Dalla combinazione della classificazione morfologica e di quella endocrina si ottengono le 4 biotipologie fondamentali proposte da Pende.

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Page 80: TECNICO FITNESS E NUTRIZIONE

80 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

SUDDIVISIONE SECONDO PENDE

LongilineoStenico Tonico

• Statura superiore alla media.• Apparato muscolare ben sviluppato.• Scarso pannicolo adiposo.• Buone capacità cardiorespiratorie.• Adatti a sport di destrezza e velocità (calcio, basket, velocisti, saltatori).

LongilineoIpostenicoIpotonico

• Spiccata lunghezza degli arti rispetto allo sviluppo del torace.• Scarso adipe, fino alla magrezza.• Scarso apparato muscolare.• Individui scarsamente resistenti allo sforzo fisico.

BrevilineoStenicoTonico

• Statura normale.• Tipico brachitipo con aspetto atletico.• Tessuto adiposo su nuca, spalle, tronco, addome.• Tronco relativamente sviluppato ed arti corti.• Muscolatura tonica adatta a sport di potenza.

BrevilineoIpostenicoIpotonico

• Statura normale o al di sotto della media.• Aspetto generale infantiloide, tozzo e tondo.• Accumulo di grasso al ventre, su petto, fianchi ed arti.• Massa muscolare scarsamente sviluppata.

Tabella 3: Classificazione secondo Pende

5.1.4 • Classificazione secondo Martiny e SheldonUna classificazione che parte da presupposti completamente diversa è quella proposta a più riprese da due studiosi che hanno in diversi momenti assunto posizioni simili completando e ampliando l’uno il lavoro dell’altro. Si tratta di Marcel Martiny fisiologo francese già collaboratore di Pende (1897 -1982) quella William Herbert Sheldon (1898-1977) psicologo dai campi di interesse piuttosto trasversali. Questi due studiosi hanno la comune visione di associare l’analisi antropometrica allo sviluppo embrionale valutando la costituzione del Biotipo ai tre foglietti embrionali (endoderma, mesoderma, ectoderma) dai quali vengo-no formate tutte le linee cellulari che compongono l’organismo umano.

EndodermaE’ il più interno dei tre foglietti. Da origine principalmentealle strutture interne e profonde dell’embrione, sono di origine endodermica la maggioranza delle strutture viscerali

Mesoderma Occupa una posizione intermedia. Da origine principalmente alla formazione delle strutture muscolari e scheletriche

Ectoderma E’ il più esterno dei foglietti embrionali. Da origine principalmente al tessuto nervoso e alla pelle

Nello specifico il razionale di questa teoria propone che esita la possibilità di un maggior intervento di uno dei tre foglietti embrionali nello sviluppo influenzando le caratteristiche morfologiche, metaboliche e psicologiche dell’individuo in formazione

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81ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

SUDDIVISIONE SECONDO MARTINY E SHELDON

Mesomorfo

• Longilinei con prevalenza del torace sull’addome.• Corpo massiccio e apparato muscolo-scheletrico ben sviluppato.• Metabolismo ottimale bilanciato, aumenta facilmente di peso senza

ingrassare.

Endomorfo

• Brevilinei con addome eccedente rispetto al torace.• Tendenza all’obesità.• Metabolismo lento, aumenta facilmente di peso, ma soprattutto di

grasso.

Ectomorfo• Longilinei, magri, con arti lunghi.• Scarso sviluppo dell’apparato muscolo-scheletrico.• Metabolismo veloce, difficoltà ad aumentare di peso.

Tabella 4 : Classificazione di Martiny e Sheldon

ECTOMORFO MESOMORFO ENDOMORFOMuscolatura ridotta Buon livello di muscolazione Buon livello di muscolazione

Apparenza giovanile immatura Apparenza matura

Difficile crescita muscolare (hard gainer)

Facile crescita muscolare (easy gainer)

Facile crescita muscolare (easy gainer)

Aumenta il peso con difficoltà Varia il peso facilmente Perde peso con difficoltàForma squadrata Postura dritta Forma tonda

Esile Cute spessa GrassoPettorale piatto Pettorale spesso Pettorale scarso

Costituzione delicata Costituzione robusta Tendente all’obesitàLongilineo Longilineo Brevilineo

Tabella 5 : Caratteristiche dei principali Biotipi costituzionali proposti da Martiny e Sheldon

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82 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

5.2 • VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

5.2.1 • Valutazione della composizione corporea nel fitnessCome illustrato in precedenza la conoscenza dei principali parametri antropometri e , come si vedrà nei paragrafi successivi, della composizione corporea permette all’istruttore di pianificare un piano di allenamento specificatamente tagliato su misura per il cliente. Questo aspetto merita notevole attenzione in quanto la conoscenza della composizione corporea permetterà non solo di agire sinergicamente al raggiungimento degli specifici obiettivi del cliente ma anche di effettuare un intervento che permetta di utilizzare l’attività fisica come fattore preventivo. L’eccessivo accumulo adiposo infatti è stato correlato con una incrementata incidenza di diverse patologie, anche la sua distribuzione può essere indicativa di un maggior rischio di specifiche patologie con ad esempio le seguenti correlazioni:

• Accumulo addominale: Fattore di rischio per patologie cardiovascolari o sindrome metabolica • Accumulo fianchi/ arto inferiore: Fattore di rischio per patologie / disturbi vascolari a livello

dell’arto/degli arti interessati. 5.2.2 • Body Mass Index (BMI)Pur non costituendo una tecniche di valutazione della composizione corporea propriamente detta il Body Mass Index (BMI) italianizzato in Indice di Massa Corporea (IMC) costituisce un importante parametro per effettuare una prima e veloce valutazione delle condizioni di base di un soggetto, valutandone allo stesso tempo sulla base di dati statistici l’entità di eventuali fattori di rischio costituenti in molti casi un importante rischio per la salute che dev’essere prontamente affrontato. Anche in questo caso la conoscenza dell’entità di tali fattori metterà l’istruttore in grado di intervenire nella maniera più indicata. Il BMI o IMC che dir si voglia può essere sempli-cemente ottenuto dalla relazione del peso (espresso in kg) con l’altezza elevata al quadrato (espressa in m)

B.M.I. = Peso corporeo (kg) / Altezza2 (m)≥ 40,00 Sovrappeso di 3° grado Grave obeso

30,00 – 39,99 Sovrappeso di 2° grado Obeso25,00 - 29,99 Sovrappeso di 1° grado Sovrappeso18,50 – 24,00 Normopeso Normale

< 18,50 Sottopeso Magro

Tabella 6 : Classificazione in relazione ai valori di BMI

Tabella 7: Regolo per l’individuazione grafica del BMI

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83ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

Questo parametro costituisce lo standard utilizzato a livello internazionale per effettuare una prima e rapidissima classificazione delle condizioni di un soggetto, ovviamente va considerato per quello che è un mezzo per effettuare una prima e rapida valutazione che nel caso fornisse indicazioni preoccupanti deve essere seguita da opportuni esami volti a chiarire opportunamente la situazione. Infatti il BMI non fornisce alcun tipo di indicazione in merito alla composizione corporea, in quanto il peso valutato come parametro a se stante non è indicativo dello stato di forma, infatti se valutato con questo parametro molto probabilmente qualsiasi atleta professionista che svolge uno sport di potenza sarebbe classificabile come obeso. Per ovviare a questo limite sono state proposte da alcuni autori formule per ricavare indirettamente un valore di composizione corporea a partire dl BMI tali formule però sono piuttosto discusse in quanto ad accuratezza ed efficacia e per questo non è stato ritenuto opportuno prenderle in considerazione in questo testo.

Tabella 8: Bilancia con altimetro per il rilevamento del BMI

5.2.3 • Waist to Hip Ratio (WHR)Il Waist to Hip Ratio (WHR) rappresenta uno di quei parametric che contribuiscono a chiarire la situazione una volt ache il BMI ha fornito indicazioni degne di approfondimento. Tale parametro si ottine dalla rela-zione della circonferenza della vita misurata in centimetri con la circonferenza dei fianchi sempre misurata in centimetri secondo la seguente relazione:

WHR = circonferenza vita (cm) / circonferenza fianchi (cm)

Tabella 9 Esecuzione misure WHR

Il valore riscontrato fornisce indicazioni in base al tipo di accumulo adiposo riscontrato:• Accumulo androide: In prevalenza caratteristico dei soggetti di sesso maschile, l’accumulo è

prevalentemente a livello del busto, più specificatamente dell’addome mentre gli arti rimangono relativamente magri. La circonferenza della vita prevale su quella dei fianchi configurando la cosiddetta forma a “mela”. Questo acculo di grasso a livello viscerale è strettamente correlato ad effetti estremamente negativi per la salute come mentre ipercolesterolemia, disturbi cardiova-scolari, diabete di tipo 2 e di conseguenza sindrome metabolica

• Accumulo ginoide: In prevalenza caratteristico dei soggetti di sesso femminile, l’accumulo è preva-lentemente a livello dei fianchi, dei glutei e dell’arto inferiore (spesso anche a livello della loggia posteriore del braccio) mentre l’addome può rimanere relativamente magro. La circonferenza dei fianchi prevale su quella della vita configurando la cosiddetta forma a “pera”. Questo tipo di accumulo è spesso correlato a problematiche circolatorie a livello dell’arto inferiore con circola-zione inefficiente stasi venosa e linfatica spesso associata a fragilità capillare e Panniculopatia Edemato Fibro Sclerotica (PEFS) comunemente conosciuta come cellulite.

 

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84 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

WHR = CIRCONFERENZA DELLA VITA cm / CIRCONFERENZA DEI FIANCHI cmDONNA

Ginoide Normale Androide≤ 0,78 0,79 - 0,84 ≥ 0,85

UOMO

Ginoide Normale Androide≤ 0,94 0,95 - 0,99 ≥ 1,00

Tabella 10 : Classificazione del WHR

WHR UOMO

Rischio CHD20-29 30-39 40-49 50-59 >60

Molto alto >.94 >.96 >1.00 >1.02 >1.03Alto .94-.89 .96-.92 1.00-.96 1.02-.97 1.03-.99

Moderato .99-.83 .91-.84 .95-.88 .96-.90 .98-.91Basso <.83 <.84 <.88 <.90 <.91

Tabella 11: Fattori di rischio associati al WHR soggetti di sesso maschile

WHR DONNA

Rischio CHDFasce d’età

20-29 30-39 40-49 50-59 >60Molto alto >.82 >.84 >.87 >.88 >.90

Alto .82-.78 .84-.79 .87-.80 .88-.82 .90-.84Moderato .77-.71 .78-.72 .79-.73 .81-.74 .83-.76

Basso <.71 <.72 <.73 <.74 <.76

Tabella 12: Fattori di rischio associati al WHR soggetti di sesso femminile

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85ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

5.2.4 • Modello a due compartimentiIl modello a due compartimenti è un analisi semplificata che prevede la suddivisione dell’organismo umano rispettivamente in :

• FAT (Fat Mass): massa grassa;• FFM (Fat Free Mass): massa magra.

Questa suddivisione è stata realizzata a partire dai risultati di analisi dirette effettuate mediante la completa dissoluzione chimica di una serie cadaveri, tale analisi ha permesso di evidenziare come i due compar-timenti abbiano in soggetti diversi, in diverse condizioni fisiologiche e con una diversa composizione corporea una densità costante sulla base della quale è possibile costruire dei modelli matematici volti alla stima della composizione corporea in vivo.La stragrande maggioranza delle metodiche di valutazione della composizione corporea che saranno successivamente illustrate si basano su questo modello.

FATMassa grassa

Massa lipidica totale corporea (sottocutanea + viscerale), espressa in Kg e con densità di 0,9 g/ml.

FFMMassa magra

Massa corporea espressa in Kg e con densità di 1,1 g/ml. Si ottiene sottraendo il valore della FAT al peso corporeo. • Anatomicamente è costituita da:oMuscoli scheletrici 40% circa;oMuscoli non scheletrici e tessuti magri 40% circa;oScheletro.

• In generale la FFM è costituita da:oProteine 20% circa;oAcqua 72% circa;oOsso 8% circa;oGlicogeno 0,1% circa.

Tabella 13: Caratteristiche FM - FFM

I valori di massa grassa riscontrati possono essere espressi anche come valore percentuale del peso cor-poreo (Body Weight BW) secondo la seguente relazione

FAT% = FAT / BW x 100

Sulla base di valori statici valutati su un ampio campione di popolazione è possibile fornire dei valori medi di composizione corporea entro i quali è opportuno rimanere, si ricorda che nel fare riferimento a tale valori è molto importante considerare quale tecnica di valutazione si sta utilizzando, infatti le diverse tecniche di possono mostrarsi più o meno accurate in relazione a metodiche che invece forniscono una misura più diretta della composizione corporea quindi nel valutare la categoria di appartenenza è bene far riferimento al livello di precisione della tecnica utilizzata.

VALORI DI RIFERIMENTO PER LA FAT%

Livello minimo di grassoUomini FAT% = 5%Donne FAT% = 15%

Condizione ottimaleUomini 12% < FAT% < 18%Donne 16% < FAT% < 25%

Eccesso di massa grassaUomini FAT% > 25%Donne FAT% > 30%

Tabella 14 : Classificazione sulla base della composizione corporea

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86 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

5.2.5 • Metodiche per la valutazione della composizione corporeaCome accennato nel paragrafo precedente in relazione agli studi che hanno condotto al modello bicom-partimentale le metodiche per la valutazione della composizione corporea possono essere suddivise sulla base alle caratteristiche tecniche di esecuzione in metodiche dirette (invasive) e metodiche indirette (non invasive). Le metodiche dirette applicabili in vivo, e quindi ad un cliente, prevedono una pesante intera-zione con le strutture corporee per esempio eseguendo una biopsia in uno specifico distretto, utilizzando radiazioni ionizzanti, elettromagnetiche o facendo ingerire sostanze marcate. Tutte queste metodiche richiedono apparecchiature estremamente costose, personale medico addestrato e spesso il loro utilizzo non è considerato etico ai fini della valutazione della composizione corporea, per questo non risultano applicabili in ambito fitness.Le metodiche indirette invece permettono attraverso la valutazione di caratteri in genere facilmente misura-bili del corpo umano mediante attrezzature relativamente economiche e metodiche relativamente semplici di stimare la composizione corporea con un buon margine di approssimazione e , se la metodica viene eseguita correttamente, con una buona ripetibilità. Per queste caratteristiche le metodiche indirette si mostrano le più adatte da utilizzare in ambito Fitness

METODICHE UTILI ALLA VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

MetodicheDirette (Invasive)

• RMN (risonanza magnetica nucleare).• TAC (tomografia assiale computerizzata).• Conta del potassio totale.• Acqua totale marcata.• Biopsie di specifiche aree

Metodiche Indirette (Non invasive)

• Pesata idrostatica.• Mineralogia ossea computerizzata. (MOC o DEXA) *• Ultrasonografia.• Impedenziometria (BIA)• Plicometria

Tabella 15: Suddivisione metodiche di valutazione* La MOC o DEXA pur utilizzando radiazioni ionizzanti prevedono livelli talmente bassi da essere consi-

derabili come non invasive.

5.2.6 • Pesata idrostaticaQuesta metodica rappresenta in un certo senso la “capostipite” di tutte le metodiche di valutazione indiretta in quanto ha permesso lo sviluppo delle successive tecniche di valutazione basate sul concetto di densità corporea, costituendo il riferimento rispetto al quale sono state verificate.Dal punto di vista teorico risulta basata sulla “spinta idrostatica (o principio di Archimede)“, in pratica si valuta la “densità” di un soggetto dividendo il volume ricavato per immersione per il peso valutato in precedenza. Esistono due metodiche attraverso le quali è possibile valutare il volume:

• Valutazione diretta dell’innalzamento del fluido• Valutazione della differenza tra il peso del soggetto misurato a secco e il peso misurato con il

soggetto immerso, differenza che equivale al volume del fluido spostato e quindi del corpo.

Ovviamente per ottenere un valore di volume corretto occorre applicare opportuni fattori di correzione che tengano conto della temperatura dell’acqua e del contenuto in aria di visceri e polmoni. Una volta ottenuto un volume e applicati i fattori di conversione dividendolo per il peso si ottiene un valore di densità cor-porea. Valore che inserito in opportune formule come la formula di Siri o la formula di Brozek permettono di ottenere un valore % di massa grassa (FAT) che potrà essere facilmente convertito in kg. Per ottenere il valore di massa magra (FFM) sarà sufficiente sottrarre la FAT dalla massa complessiva (peso).

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87ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

Tabella 16: Esecuzione pesata idrostatica

PESATA IDROSTATICA

Vantaggi

• Escludendo la DEXA, se eseguita, correttamente, rappresenta la metodica indiretta più precisa

• Permette la valutazione della composizione corporea in soggetti dove le pliche non sono facilmente misurabile (obesità patologiche).

• Permette la valutazione della composizione corporea in soggetti con obesi-tà viscerale, difficilmente valutabili con altre metodiche

• Permette la valutazione della composizione corporea in soggetti dove la plica ha perso consistenza (anziani, ex obesi, ecc.).

Svantaggi

• Non consente di valutare la distrettualità nella deposizione adiposa• Sono necessarie strutture piuttosto costose (piscina, dinamometro per il peso

a secco, dinamometro per il peso in immersione) e personale addestrato al loro utilizzo.

• Valutazione del volume polmonare e del volume viscerale• La metodica prevede l’espirazione del soggetto durante l’immersione, può

non essere facile da realizzare sia per quanto riguarda il soggetto in valu-tazione che le verifiche effettuate dal personale valutatore

Tabella 17: Analisi vantaggi/svantaggi pesata idrostatica

5.2.7 • Impedenziometria bioelettrica (BI) Body Impedance Assessment (BIA)La Bioimpedenziometria è una metodiche che valuta la composizione corporea analizzando la risposta dell’organismo alla somministazione di una micro corrente alternata. Più precisamente gli strumenti utilizzati per l’analisi bimpedenziometrica emettono una micro corrente alternata e valutano la resistenza e la reat-tanza opposte a partire dalle quali è possibile calcolare l’impedenza dell’organismo. Questo è possibile in quanto alla luce di quanto spiegato parlando di citologia e istologia l’organismo umano è composto da cellule: sia a livello cellulare che a livello extracellulare è presente un cospicuo quantitativo di liquidi sotto forma di rispettivamente di citosol e fluido interstiziale. Entrambe i compartimenti presentano una buona presenza di ioni con funzione elettrolitica. La resistenza al flusso della corrente viene normalmente mostrata dai tessuti con proporzionalità inversa al contenuto idrico ed elettrolitico. La natura lipidica delle membrane cellulari conferisce una certa natura isolante anche nei confronti di una corrente elettrica facendo assumere ai tessuti un carattere di “condensatore”, in pratica la corrente fornita viene “sfasata” creando una reattan-za. Considerato che la FFM contiene la maggior parte dei fluidi e degli elettroliti presenti nell’organismo mostrerà una conducibilità elettrica superiore rispetto alla massa grassa (FAT). Sulla base di questa diversa

 

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88 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

conducibilità è possibile effettuare una stima quantitativa tra FFM e FAT. Esistono due macrotipologie di bioimpedenziometria:

• Bioimpedenziometria convenzionale :si limita ad esaminare esclusivamente l’impedenza• Bioimpedenziometria vettoriale: valutano distintamente la resistenza e la reattanza mostrate dai

tessutiL’analisi eseguibile mediante bioimpedenziometria vettoriale se opportunamente eseguita è in grado di fornire una serie di dati estremamente più accurata rispetto alla bioimpedenziometria convenzionale.

IMPEDENZIOMETRIA BIOELETTRICA

Vantaggi

• Permette la valutazione dell’acqua corporea totale.• Permette la valutazione della composizione corporea nei soggetti dove le pliche

non sono misurabili (obesità patologiche).• Permette la valutazione della composizione corporea in soggetti con obesità

viscerale, difficilmente valutabili con altre metodiche• Permette la valutazione della composizione corporea in soggetti dove la plica ha

perso consistenza (anziani, ex obesi, ecc.).• Non è necessario “manipolare” o far spogliare il cliente(la maggior parte delle

metodiche prevedono l’utilizzo di elettrodo solamente su una mano e su un piede)

Svantaggi

• Non consente di valutare la distrettualità nella deposizione adiposa• L’idratazione in un individuo potrebbe mostrare importanti variazioni se valutata

in diverse condizioni e in diversi momenti.• L’idratazione può variare in diversi individui relativamente a età, stato fisiopatolo-

gico, attività fisica svolta , stato nutrizionale eccetera.• Il protocollo prevede che soggetti da valutare:o non abbiano svolto attività fisica pesante da almeno 12 oreonon abbiano assunto alcool da almeno 24 ore,onon abbiano assunto cibo da almeno 4 ore o non siano in terapia diuretica. oNon abbiano applicato creme, unguenti ecceteraoLa temperatura cutanea e la temperatura ambiente non siano eccessive

Tabella 18: Analisi vantaggi/svantaggi Bioimpedenziometria

Tabella 19: esecuzione di una BIA

 

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89ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

5.2.8 • Plicometria

Tabella 20: Plicometro

La plicometria è una metodica che consente di stimare il quantitativo di tessuto adiposo mediante la misu-razione dello spessore della plica cutanea effettuato mediante uno speciale calibro denominato plicometro. Tale metodica è basata sul razionale che la quota adiposa sottocutanea rappresenti una quota costante del quantitativo presente nell’intero organismo (si stima il 50 % circa), mediante la sua misurazione quindi con l’ausilio di specifiche equazioni ci si propone l’obiettivo di stimare la % di FAT e per differenza quella di FFM. Esistono diverse metodiche diverse, che prevedono l’utilizzo di una o più pliche, sia le metodiche che le equazioni utilizzabili contestualmente alla stessa metodica differiscono relativamente a diversi fattori come:

• Età• Sesso• Etnia (Caucasica, asiatica, ecc.)• Condizioni fisica (soggetti magri, obesi eccetera)

Una volta misurate le pliche previste i valori vengono sommati e inseriti in apposite equazioni che restituiscono un valore di den-sità corporea. Come nel caso della pesata idrostatica anche in questo caso il valore di densità corporea ottenuto viene valutato mediante la formula di Siri o quella di Brozek per ottenere il valore % di FAT (e per differenza quello di FFM).Nonostante se ben eseguita la plicometria consenta di ottenere dei valori che si discostano dalla pesata idrostatica del 3% circa, è doveroso ricordare che questa metodica non consente comunque la valutazione del grasso viscerale e che non è utiliz-zabile in particolari tipologie di soggetti come obesi, anziani o comunque soggetti con una distribuzione di grasso sottocutaneo non omogenea.Un ulteriore criticità è dovuta alla manualità dell’operatore che può condurre in caso di esecuzione scorretta o confrontando misurazioni effettuate da diversi operatori a errori fino al 200%. Alcune metodiche prevedono di utilizzare i singoli valori di spessore delle pliche insieme alle misura di diametri ossei e circonferenze corporee ottenendo per esempio la valutazione del biotipo costituzionale (secondo Martiny e Sheldon), inoltre è possibile utilizzare singolarmente i singoli valori nella valutazio-ne e monitoraggio di una specifica area di interesse.

 

Nervi e vasi

Osso Muscolo

Grassosottocutaneo Pelle

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90 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

Tabella 22: Tecnica di isolamento Plica

PLICOMETRIA

Vantaggi• Esecuzione relativamente semplice• I costi dell’attrezzatura sono relativamente contenuti• Consente di valutare la distrettualità nella deposizione adiposa

Svantaggi

• Utilizzabile solamente su alcune tipologie di soggetti con equazioni specifiche• La manualità dell’operatore e la correttezza dell’esecuzione sono un importante

fattore limitante• Lo stesso soggetto dovrebbe essere valutato sempre dallo stesso operatore

Tabella 23: Analisi vantaggi/svantaggi plicometria

PRINCIPALI EQUAZIONI ANTROPOMETRICHE

Gli algoritmi più comuni calcolano di norma la densità corporea (BD) del soggetto, da cui sarà neces-sario ricavare il FAT% utilizzando la Formula di Siri

Jackson & Pollock

È la più utilizzata per la valutazione della FAT% negli atleti.

Uomo(18 - 61 anni)

BD = 1,109380 – (0,0008267 • ∑ pliche) + + 0,0000016 • (∑ pliche)2 – (0,0002574 • età)

∑ pliche: Pettorale, Addome, Coscia anteriore

Donna(18 - 55 anni)

BD = 1,0994921 – (0,0009929 • ∑ pliche) + + 0,0000023 • (∑ pliche)2 – (0,0001392 • età).

∑ pliche: tricipite, Soprailiaca, Coscia anteriore

Durnin & Wormesley

È utilizzata prevalentemente per soggetti con adiposità di tipo androide.È meno precisa rispetto al metodo Jackson-Pollock, ed è meno utilizzata per le

valutazioni antropometriche nell’ambito sportivo.

Uomo(17 - 72 anni):

BD = 1,1765 – (0,744 • log10 ∑ pliche)

∑ pliche: Bicipite, Tricipite, Sottoscapola, Soprailiaca

Donna(16 - 68 anni):

BD = 1,1567 – (0,0717 • log10 ∑ pliche)

∑ pliche: Bicipite, Tricipite, Sottoscapola, Soprailiaca

Formula di SiriCalcola la FAT% a partire dalla densità corporea BDFAT% = [ ( 4,95 / BD) - 4,5 ] • 100

Formula di BrozekCalcola la FAT% a partire dalla densità corporea BD%FAT = [ (4.971/BD)– 4.519] • 100

Tabella 24 :Alcune tra le principali formule utilizzate in plicometria

 

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91ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

Le peculiarità endocrine e metaboliche di un soggetto ne influenzano profondamente la distrettualità nell’ac-cumulo adiposo. Alla luce di quanto appena esposto, la valutazione di alcuni parametri antropometrici come

• Pliche• Circonferenze

Sia considerati singolarmente che rapportati fa loro possono fornire interessanti indicazioni in merito ai fattori di rischio per alcune patologie, come per esempio:

• Plica sottoscapolare: correlata alla quantità di grasso viscerale;• Plica tricipitale: correlata alla quantità di grasso sottocutaneo.• Plica addominale: correlata alla quantità di grasso viscerale;• Plica anteriore coscia: correlata alla quantità di grasso sottocutaneo.• Plica sottoscapolare e colesterolemia elevata: correlati ad un rischio di coronaropatia incremen-

tato rispetto alla media prevista per la fascia d’età.Esistono alcuni accorgimenti da adottare per effettuare una corretta misurazione delle pliche:

• Plicometro tarato per esercitare a livello del sito di misura una pressione costante di 10 kg/mm2 con una tolleranza di ±10%

• La plica deve essere isolata correttamente afferrando un doppio strato di cute e tessuto sottocuta-neo tra il pollice e l’indice dell’operatore

• La misurazione deve essere effettuata alla base della plica; • La presa sulla plica deve essere mantenuta costante fino alla fine della misurazione• La lettura deve essere effettuata entro 4” (generalmente si effettua a 3”);• Il plicometro va rilasciato gradualmente• La misurazione si ripete generalmente per 3 volte (i valori successivi al primo sono utilizzabili se

compresi in una tolleranza di ± 3 mm), e si utilizza la media delle 3 misurazioni

5.2.9 • Misurazione delle pliche: i principali punti di repere

Plica tricipitale:La plica è misurata posteriormente, verticalmente, nel punto intermedio tra l’articolazione della spalla e del gomito (tra l’acromion e l’olecranon), con le braccia rilassate lungo i fianchi.

Plica bicipitale:La plica è misurata anteriormente, verticalmente, nel punto intermedio tra l’articolazione della spalla e del gomito (tra l’acromion e l’olecranon), con le braccia rilassate lungo i fianchi.

Plica subscapolare:La plica è misurata diagonalmente (formando un angolo di 45°); ad 1 - 2 cm sotto l’angolo inferiore della scapola.

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92 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

Plica toracica:La plica è misurata diagonalmente; a metà distanza tra la linea ascellare anteriore e il capezzolo (uomo) o a 1/3 dalla distanza tra la linea ascellare anteriore e il capezzolo (donna).

Plica ascellare:La plica è misurata verticalmente; 2 cm al di sotto del cavo ascellare.

Plica addominale:La plica è misurata verticalmente; 2 cm a destra dall’ombelico.

Plica soprailliaca:La plica è misurata diagonalmente; in linea con l’angolo formatosi tra la cresta iliaca e la linea ascellare anteriore immediatamente sopra alla cresta iliaca (formando un angolo di 30°).

Plica della coscia:Nelle diverse metodiche può essere considerata la plica anteriore o posteriore della coscia.Anteriormente: la plica è misurata verticalmente sulla linea mediana anteriore della coscia, a metà strada tra: inferiormente il bordo superiore della rotula e superiormente l’inguine.Posteriormente: la plica è misurata proiettando il sito di misura anteriore sulla parte posteriore della coscia.

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Page 93: TECNICO FITNESS E NUTRIZIONE

93ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

5.2.10 • Misurazione delle circonferenze corporee: i principali punti di repere

Circonferenza vita:La circonferenza della vita viene misurata un centimetro sopra l’ombelico.

Circonferenza fianchi:La circonferenza dei fianchi viene misurata all’altezza del grande trocantere sull’articolazione coxofemorale.

Circonferenza polso:La circonferenza del polso viene misurata all’estremità del processo stiloideo di ulna e radio.

Circonferenza avambraccio:La circonferenza dell’avambraccio viene misurata sotto la piega del gomito dove le masse muscolari sono maggiormente sviluppate.

Circonferenza braccio:La circonferenza del braccio viene misurata medialmente all’omero tra olecra-no e acromium nel punto di maggior sviluppo del ventre del bicipite brachiale.

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94 CAPITOLO 5 ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

Circonferenze della coscia:La circonferenza della coscia può essere rilevata in tre diversi siti:Coscia radice: perpendicolarmente alla piega inguinale.Coscia mediana: nel punto medio tra la piega inguinale e il margine prossi-male della rotula.Coscia sovrapatellare: superiormente al margine prossimale della rotula.

Circonferenza polpaccio:La circonferenza del polpaccio viene misurata nel terzo superiore della gamba nel punto di maggior sporgenza dei gastrocnemi.

5.2.11 - Misurazione dei diametri ossei: i principali punti di repere

Dimensione articolazione polso: rilevato misurando la distanza fra i processi stiloidei del radio e dell’ulna

Dimensione articolazione gomito: rilevato misurando la distanza fra gli epicondili dell’omero

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95ANTROPOMETRIA E METODI DI VALUTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA CAPITOLO 5

Dimensione articolazione ginocchio : viene rilevato misu-rando la distanza fra gli epicondili della tibia con il ginoc-chio flesso di 90° con il soggetto seduto.

Dimensione articolazione caviglia: viene rilevato misuran-do la distanza tra i malleoli della tibia e perone

5.2.12 Valutazione della struttura osseaLa metodica proposta nel 1921 da Matiedgka prevede la valutazione indiretta della struttura ossea basata sulla misura di diametri articolari quali:

• Gomito• Polso• Ginocchio • Caviglia.

Di seguito viene riportata la tabella che correla la struttura ossea al diametro dell’articolazione del gomito per soggetti di sesso maschile e soggetti di sesso femminile

VALUTAZIONE DELLA STRUTTURA OSSEAUomo Donna

Ø Gomito Struttura Ø Gomito Struttura< 6,7 ESILE < 5,8 ESILE

6,7-8,1 MEDIA 5,8-7,2 MEDIA>8,1 ROBUSTA >7,2 ROBUSTA

Tabella 25 : Correlazione diametro dell’articolazione del polso – struttura ossea

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Quali sono i principi di base dell’antropometria?• Illustrare i principi alla base delle più note tecniche antropometriche• Quali sono gli aspetti tecnici fondamentali delle tecniche appena illustrate?

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CAPITOLO 6

Aumento di peso:motivazioni e strategie

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98 CAPITOLO 6 AUMENTO DI PESO: MOTIVAZIONI E STRATEGIE

Obiettivi: • Comprendere il concetti legati all’aumento di peso• Comprendere il corretto significato del concetto di aumento di peso• Acquisire le principali strategie operative per l’aumento di peso• Focalizzare gli aspetti operativi di base legati all’aumento di peso

6.1 • AUMENTO DI PESO DEFINIZIONE E GENERALITÀ

L’aumento di peso, soprattutto inteso come aumento di massa magra è una necessità frequentemente mani-festata nel contesto di numerose tipologie di sport, sia di matrice estetica che di matrice prestativa, con tutte le variabili del caso. Anche le discipline che gravitano attorno al mondo del Fitness non esulano da questa situazione; in quanto nonostante la notevole e veloce evoluzione del settore la richiesta di protocolli di lavoro volti alla muscolazione ricopre ancora una buona parte del mercato. Come nel caso di altre atti-vità analoghe, anche per quanto riguarda l’aumento di massa magra non esistono ricette preconfezionate universalmente valide per ogni tipologia di soggetti; in quanto anche in questo settore prima di pianificare qualsiasi tipo di intervento si rende necessario considerare una specifica analisi personalizzata relativa-mente alla condizione del soggetto in questione. In armonia con questo principio basilare, il seguente capitolo si prefigge l’obiettivo di illustrare degli accorgimenti di carattere generale che possano supportare il professionista nel fornire al cliente consigli e strategie di carattere pratico funzionali a un piano di lavoro volto alla muscolazione. Questo approccio si rende ancora più importante in quanto funzionale all’utilizzo sia da parte di soggetti abilitati alla realizzazione di piani nutrizionali (medici, biologi e dietisti) sia per altre figure professionali, che potranno utilizzare i principi esposti nell’indirizzare il cliente ai comportamenti più funzionali agli obiettivi ricercati.

6.2 • STRATEGIE OPERATIVE PER L’AUMENTO DI PESO: ESEMPI PRATICI

Prima di illustrare le strategie operative funzionali all’aumento di peso, è fondamentale prendere in esame le principali motivazioni che possono stare alla base di una scarsa crescita muscolare. I motivi per cui alcune persone posseggono caratteristiche metaboliche tali da consentire una scarsa crescita muscolare negli sport ed in particolare nel body building possono, semplificando, imputarsi a:

• Sistema ormonale tiroideo particolarmente attivo• Spiccata attività del sistema nervoso simpatico• Notevole velocità digestiva• Notevole velocità di transito gastrico e intestinale• Alimentazione non sempre orientata alla qualità• Ridotto numero di pasti giornalieri• Ritmi di vita irregolari con costante ansia e nervosismo• Scarso riposo soprattutto post allenamento.

Oltre alle situazioni presentate in elenco, vi possono essere altri fattori che possono ostacolare la crescita muscolare, tra questi l’inappetenza di base con conseguente apporto calorico insufficiente è il più diffuso. Risulta quindi di fondamentale importanza ottimizzare l’alimentazione prima ancora dell’allenamento. Il primo intervento andrà fatto sulla qualità del cibo e solo in seguito sulla quantità, sul momento per assu-merli e sulla distribuzione calorica giornaliera (numero dei pasti). Spesso infatti l’introito calorico di questi soggetti e già molto alto ma povero di nutrienti di qualità fondamentali per la crescita muscolare. Un tipo di strategia alimentare per ottenere i risultati ricercati potrebbe essere la seguente:

• Frazionare al massimo i pasti durante la giornata• Utilizzare integratori in polvere o barrette tipo “gainer” in cui la quota proteica non superi il 30%• Piccole quantità di questi alimenti forniscono grosse quantità di nutrienti di qualità

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99AUMENTO DI PESO: MOTIVAZIONI E STRATEGIE CAPITOLO 6

• Prevedere una buona dose di grassi vegetali privilegiando gli olii, i semi (mandorle, nocciole, arachidi…)

• Utilizzare frutta disidratata come uva passa, banane ecc. come fonte calorica extra• Privilegiare sempre cibi freschi e di qualità cucinati in modo sano e digeribile• Se la cena non viene consumata tardi è bene prevedere uno spuntino prima di andare a dormire• Variare l’apporto calorico giornaliero o settimanale per mantenere continuamente attivo il meta-

bolismo• Non aspettare mai di avere uno stimolo persistente di fame prima di introdurre cibo ma, abituare

il corpo all’introduzione di cibo ogni 2/3 ore• Non forzarsi comunque a mangiare in eccesso: occorre abituarsi gradualmente al nuovo regime

sia qualitativo che quantitativo senza costringere il corpo a lavori troppo gravosi e soprattutto improvvisi e non graduali

• È di fondamentale importanza che il soggetto segua un programma nutrizionale composto da almeno dai 3 canonici pasti principali e 2/3 spuntini, oltre a questi (ma solo dopo aver consu-mato tutto il resto) è possibile aggiungere altri alimenti, in caso di ulteriore appetito sempre senza forzare. l’alimentazione

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Definire il concetto di aumento di peso• Qual è il corretto significato di aumento di peso? Quale o quali componenti fisiologiche devono

essere ricercate?• Quali sono le principali strategie operative legate all’aumento di peso? Spiegare• Riassumere le strategie operative fondamentali attuabili per l’aumento di peso

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CAPITOLO 7

Dimagrimento:motivazioni e strategie

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102 CAPITOLO 7 DIMAGRIMENTO: MOTIVAZIONI E STRATEGIE

Obiettivi: • Comprendere il concetti basilari legati al dimagrimento• Comprendere il corretto significato di dimagrimento• Acquisire le principali strategie operative per il dimagrimento• Focalizzare gli aspetti operativi basilari legati al dimagrimento

7.1 • DIMAGRIMENTO DEFINIZIONE E GENERALITÀ

La moderna scienza dell’alimentazione ha accertato come non sempre l’aumento di grasso corporeo sia solamente legato ad un’iperalimentazione. Ad un’analisi obiettiva è facilmente verificabile come ci siano persone che mangiano quantitativi al di sotto della media eppure non solo non perdono peso ma, al contrario, hanno la tendenza all’accumulo di grasso. Questa evidenza è un’ulteriore conferma dell’inutilità del semplice calcolo matematico per cui basterebbe togliere 300/500 calorie al giorno dal fabbisogno (calcolato con le formule teoriche) per ottenere il sospirato dimagrimento. Le motivazioni sono sia di ordine fisiologico che psicologico. E’ infatti ormai accertato come il rapporto con il cibo nasca fin dall’infanzia, spesso legato ad una compensazione di una situazione di disagio (per esempio al bimbo che piange si da il succhiotto intriso di zucchero); da quel momento in poi il cibo è al centro dei nostri rapporti socia-li, infatti ogni qualvolta ci si ritrova insieme lo si fa solitamente intorno ad una tavola. Questo comporta che una persona a “dieta” è visto come “un’asociale”, un “diverso”, in molti casi questa situazione fa sentire “non accettati” e non aiuta certo a superare le difficoltà che normalmente incontra chi decide di fare un programma dimagrante. Il tanto demonizzato grasso è una splendida invenzione evolutiva che ha permesso all’uomo di sopravvivere adattandosi anche a situazioni estreme; rappresenta infatti un eccel-lente deposito di energia per i momenti di crisi alimentare. Oggi tutto questo ci può sembrare assurdo o superfluo, ma se riflettiamo sono solo 50 anni che in Europa non ci sono conflitti e/o situazioni di pesante carestia (purtroppo in altri continenti non è così). Questo “benessere” con facile disponibilità di cibo in ogni momento è quasi una situazione anomala a cui il nostro organismo non è abituato, del resto basti pensare solo ai nostri padri e nonni per capire quanto la loro vita fosse più impegnativa anche solo sotto il punto di vista dell’attività fisica. Il grasso è inoltre un isolante termico eccellente, una protezione che il nostro corpo tende a mantenere quando fuori è freddo. Questa affermazione può sembrare in contrasto con le leggi della termodinamica che ci dicono come, quando all’esterno è freddo, il nostro corpo deve “bruciare” di più per mantenere la temperatura costante. Questo è vero, ma le calorie consumate, in caso di freddo esterno, il nostro corpo tende a prelevarle più da carboidrati e al limite da proteine; il grasso serve per proteggerci (esperimento statunitense dove le persone provavano a pedalare dentro e fuori dall’acqua fredda con il risultato che chi era al freddo arrivava addirittura a perdere massa magra). Non a caso statisticamente le nazioni con la più bassa percentuale di grasso sono quelle con climi caldi (viceversa quelle con climi più freddi hanno le % più alte); infatti in presenza di calore l’ipotalamo registra la situazione e lancia dei messaggi per cui il grasso di “difesa termica” non è più così indispensabile e si può ridurre il deposito (se si creano le giuste condizioni). E’ infatti assodato che si riesce a perdere più facilmente peso durante i mesi estivi. Naturalmente non basta coprirsi bene o entrare in sauna, intervenire sull’ipotalamo non è così semplice inoltre non va confuso il dimagrimento con la disidratazione.

7.2 • STRATEGIE OPERATIVE PER IL DIMAGRIMENTO: ESEMPI PRATICI

Prima di illustrare le strategie operative funzionali al dimagrimento, è fondamentale prendere in esame le principali motivazioni che possono stare alla base dell’aumento di peso che possono essere in linea generale individuate in:

• Numero di cellule adipose ereditate o sviluppate dalla gestazione all’età evolutiva• Assetto ormonale della tiroide• Assetto ormonale degli androgeni

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103DIMAGRIMENTO: MOTIVAZIONI E STRATEGIE CAPITOLO 7

• Assetto ormonale del sistema simpatico• Dalla sensibilità agli sbalzi glicemici e insulinici• Desensibilizzazione agli stimoli di sazietà a livello ipotalamico: serotonina ,Leptina, CCK ecc• Situazione umorale, psicologica, caratteriale (insoddisfazione e mancanza di autostima)• Squilibri alimentari sia qualitativi che quantitativi e di distribuzione oraria• Alti livelli di stress con ricerca di gratificazione e cortisolemia• Ipocinesi e bassi livelli di tessuto muscolare. La sedentarietà può infatti fare momentaneamente ral-

lentare una parte degli enzimi deputati alla lipolisi, fattore dimostrabile dall’analisi del Quoziente Respiratorio che si orienta verso l’utilizzo di carboidrati e non di grassi

• Presenza di eventuali allergie• Presenza di eventuali intolleranze• Scarsa presenza di tessuto adiposo bruno. Tessuto dotato di una grande attività metabolica che

insieme al bianco compone l’unità funzionale definita “organo adiposo”

Una volta acquisita la consapevolezza di questi fattori e analizzata la specifica condizione del sogget-to, è possibile agire creando o quantomeno favorendo una situazione che si raffigura e tiene conto dei seguenti aspetti:

• Prima di pensare alla quantità è necessario esaminare la qualità degli alimenti• Non tutti gli alimenti a parità di potenziale calorico sono uguali, alimenti diversi hanno riscontri

metabolici diversi • Non tutti i momenti del giorno sono uguali per assumere determinati alimenti (cronobiologia)• Il numero dei pasti influenza i livelli glicemici e la tendenza ad accumulare grasso• In carenza calorica cronica il corpo tende a catabolizzare massa magra• Ogni persona ha peso a cui tende determinato geneticamente ed epigeneticamente (sulla base

degli stimoli ricevuti nel corso della vita) dalla struttura scheletrica, dal muscolo e da equilibri dettati da un sistema denominato ponderostato

• Necessità di aumentare l’autostima e la gratificazione.• Attività fisica mirata a migliorare la massa magra ed il metabolismo, infatti la termogenesi è alla

base del concetto di dissipazione del calore.• Importante eseguire test ematici per verificare l’equilibrio generale.

Considerati attentamente tutti questi aspetti il punto della situazione può essere enunciato come segue:non è importante mangiare di meno ma consumare di più

Come nel caso di altre attività analoghe, anche per quanto riguarda il dimagrimento non esistono ricette preconfezionate universalmente valide per ogni tipologia di soggetti; in quanto anche in questo settore prima di pianificare qualsiasi tipo di intervento si rende necessario considerare una specifica analisi perso-nalizzata relativamente alla condizione del soggetto in questione. In armonia con questo principio basilare si rende necessario illustrare una serie di accorgimenti di carattere generale che possano supportare il professionista nel fornire al cliente consigli e strategie di carattere pratico funzionali a un piano di lavoro volto al dimagrimento.Questo approccio si rende ancora più importante in quanto funzionale all’utilizzo sia da parte di soggetti abilitati alla realizzazione di piani nutrizionali (medici, biologi e dietisti) sia per altre figure professionali, che potranno utilizzare i principi esposti nell’indirizzare il cliente ai comportamenti più funzionali agli obiettivi ricercati, per raggiungere i quali sarebbe importante (cosa difficile ma non impossibile) riuscire a mettere in atto questi 4 accorgimenti basilari:

• Regime alimentare corretto rapportato ai gusti personali, alla facilita’ di reperimento del cibo, alle abitudini, alla biotipologia metabolica, alla cronobiologia ormonale, alle eventuali intolleranze (reali e non presunte)

• Attivita’ fisica costante, sufficiente, mirata, personalizzata, gradita e stimolante (secrezione di endorfine gratificanti)

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104 CAPITOLO 7 DIMAGRIMENTO: MOTIVAZIONI E STRATEGIE

• Atteggiamento mentale positivo e motivato, aiutati da ambienti e persone che possano sostenere le scelte e limitare le fonti di stress rinforzando l’autostima nelle proprie possibilita’.

• Giusto sostegno e bilanciamento dell’organismo con il corretto apporto idrico e con l’introduzione di metodiche ed integratori che possano aiutare a riequilibrare e stabilire l’osmosi generale dei sistemi biologici.

Pur nella consapevolezza dell’estrema difficoltà a realizzare tutti i punti, si possono ottenere buoni risultati anche agendo su uno solo dei parametri sopra esposti. L’efficacia migliore e duratura si ottiene comunque attuandoli tutti. Fra le varie strategie che possono aiutare a portare a termine un programma dietetico e d’allenamento ricordiamo:

• Non pesare mai in modo strettamente vincolante gli alimenti. Nella maggioranza dei casi è sufficiente farlo la prima volta per poi attenersi ad un dosaggio più visivo e che non generi l’os-sessivo stress di “dovere pesare tutto” (uno dei motivi per cui molte persone smettono di seguire un regime dietetico con indicazioni quantitative troppo rigide). Inoltre siamo ormai sicuri che difficilmente si è certi del valore calorico degli alimenti introdotti. Infatti consultando più tabelle dei valori bromatologici ci si accorge come facilmente ci siano differenze anche macroscopiche fra valori dello stesso alimento. Ciò avviene con i cibi composti (come il pane) ma probabilmente dipende anche dalla ricetta usata per la composizione (il pane di Catania è diverso da quello di Firenze o Aosta). Questo errore è comunque riscontrabile anche sugli alimenti singoli, infatti fra un raccolto e l’altro o fra la carne di un animale e un altro, esistono facilmente delle differenze. Inoltre gli ingredienti presenti negli alimenti non sono titolati e standardizzati ulteriore fattore che rende i valori medi spesso piuttosto dissimili da quanto realmente ingerito E’ quindi oltremodo assurdo avere diete che fanno pesare in modo vincolante e maniacale, infatti non si sarebbe comunque certi delle calorie assunte

• Considerare di prevedere un “giorno libero” a settimana, una sorta di valvola di sfogo che tende a compensare le tensioni accumulate durante gli altri giorni. Questo può sembrare una “concessione” troppo liberale, in realtà in un’unica giornata difficilmente si riescono a rovesciare le sorti metaboliche impostate durante i giorni precedenti. Spesso sono molto più pericolose le costanti mini-concessioni quotidiane, i cosiddetti “assaggini”, che troppe volte mandano a monte l’obiettivo da raggiungere. Si crea inoltre una situazione psicologica per cui quando una cosa è vietata c’è una forte pulsione a farla, nel momento in cui si concede l’istinto non è più così forte. Questo giorno serve anche per dare un ulteriore stimolo metabolico e avere una giornata con un’impennata calorica; inoltre questo viene vissuto come una sorta di premio ,una gratificazione che rinforza la motivazione nel riprendere la settimana seguente con rinnovato entusiasmo

• Darsi degli obiettivi fattibili, non 4/5 chili in 10/12 giorni, ma mete a medio-breve termine (3/6 settimane) con cali di 1/3 kg., infatti il dimagrimento fisiologico è all’incirca di 400/500 gr a settimana.

• Mangiare lentamente e alzarsi da tavola mai sazi. Il sintomo della sazietà arriva sempre con un piccolo ritardo rispetto al momento in cui abbiamo assunto il cibo, questo dovuto al tempo necessario per stimolare i recettori gastrici e per aumentare i livelli glicemici. Ricordarsi inoltre che la verdura è un ottimo riempitivo e alcune hanno un Azione Dinamico Specifica altissima.

• Dividere i pasti in 4/6 al giorno, è infatti da evitare il rischio di andare in ipoglicemia perché passato troppo tempo fra un pasto e l’altro. In questo caso la tensione ci porterebbe a mangiare in modo nervoso e famelico con lintroduzione di un quantitativo di cibo molto più alto di quello effettivamente necessario favorendo la trasformazione delle calorie in eccesso in grasso di deposito.

• Avere un momento fisso di controllo e confronto, che può essere effettuato dal medico ma anche dall’istruttore, il tutto per avere tappe intermedie (7/10 giorni) per verificare che il piano stia procedendo come da programma (senza mai drammatizzare eventuali piccoli fallimenti). Evitare comunque di pesarsi più di una volta a settimana.

• Come già detto nell’apposito paragrafo è comunque molto meglio non fidarsi della sola bilan-cia ma affidarsi ad una valutazione antropometrica che valuti anche il muscolo: Capita infatti soventemente che con l’inizio di un’attività fisica si stimoli la massa magra (cosa indispensabile in

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105DIMAGRIMENTO: MOTIVAZIONI E STRATEGIE CAPITOLO 7

quanto aumenta il metabolismo), quindi il peso totale non cambia (meno grasso e più muscolo) ma l’aspetto e la tonicità sono visivamente migliorati.

• Optare per cibi graditi, di facile reperibilità e con preparazioni e cottura semplici; inoltre, nel caso di cibi confezionati, proporre pezzature commerciali, infatti è inutile indicare 100 gr di yogurt quando le confezioni reperibili sono da 125 gr. (utile anche per il nutrizionista fare delle “visite” nei supermercati per aggiornarsi sulle composizioni bromatologiche dei cibi confezionati e sulle grammature disponibili.

• Tenere un diario alimentare dove vengono segnati tutti gli alimenti introdotti durante il giorno (da fare come suggerito nel paragrafo dell’anamnesi). E’ inoltre utile memorizzare le sensazioni registrate durante i giorni di dieta ed eventuali “voglie” di cibi ed in quali momenti.

• In caso di attacchi pulsivi verso il cibo è sempre utile cercare di distrarsi. Se si è in casa una solu-zione è uscire, non a caso uno dei giorni più “pericolosi”, per la dieta, è la domenica quando ci si rilassa e non si sa cosa fare; oppure si riesce a stare quasi senza mangiare durante il giorno quando la mente è occupata con il lavoro, il problema sorge quando si torna a casa è la tensione cala.

• Evitare, nei limiti del possibile, ogni situazione stressante (famiglia, amici, lavoro) che generi atteggiamenti di forte disagio psicologico. Importante è sapere che esiste uno stress positivo (Eustress) che stimola, è fonte di motivazione e induce ad applicarci per raggiungere un obbiettivo. Abbiamo poi uno stress negativo (Distress) che invece ha il sopravvento sul nostro sistema nervoso, è un carico gravoso e costante che influenza in modo regressivo la capacità di produrre ed essere propositivi. In molti casi l’atteggiamento mentale con cui si affrontano le situazioni è determinate affinchè uno stimolo risulti catalogato nello stress positivo o negativo. Purtroppo nella nostra società le fonti di stress sono molte e spesso non possiamo “sfogarci” ed affrontarle e scaricarle. Il nostro organismo si è evoluto con la legge dell’attacco o fuga, dove, di fronte ad un evento improvviso e pressante, il nostro sistema mette in circolo una grossa quantità di ormoni per l’attacco o per la fuga. Di fronte a queste situazioni dovremmo trovare immediatamente un modo per “sfogarci”, ma,ironizzando ed escludendo la possibilità di picchiare il capoufficio o inseguire il ciclista che ci ha tagliato la strada, non ci rimane che tenerci dentro queste tensioni che facilmente vanno ad accrescere i livelli di stress negativo

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Definire il concetto di dimagrimento• Qual è il corretto significato di dimagrimento? Quale o quali componenti fisiologiche devono

essere ricercate?• Quali sono le principali strategie operative legate all’aumento di peso? Spiegare• Riassumere le strategie operative fondamentali attuabili per il dimagrimento

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a cura di

Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 8

Analisi di varie tipologie di diete

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108 CAPITOLO 8 ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE

Obiettivi: • Acquisire i principali aspetti relativi ai più comuni modelli alimentari

8.1 • DIETA O REGIME DIETETICO “GIUSTO” TRA MITO E REALTÀ

L’aspetto fondamentale da comprendere prima di approcciarsi alla disamina dei diversi piani alimentari proposti nel corso degli anni è che di fatto e in senso stretto del termine

“non esiste una dieta o un modello alimentare giusto”ma esistono una serie di principi, tra l’altro in parte già descritti parlando di anatomia, fisiologia e biochi-mica, che se applicati opportunamente possono essere utilizzati nella formulazione di un piano nutrizionale funzionale alle specifiche necessità del soggetto implicato. Sulla base di alcuni questi principi nel corso degli anni sono stati proposti numerosi indirizzi alimentari che nel corso del tempo hanno finito con l’as-sumere il carattere di piani nutrizionali strutturati veri e propri. Al di là delle diverse scuole di pensiero nel valutare una metodologia alimentare sarà fondamentale considerare:

• Razionale scientifico (su quali principi scientifici è basata?)• Sicurezza (la metodologia proposta è sicura per la salute? sia nel breve che nel lungo termine?)• Efficacia (la metodologia proposta permette di ottenere i risultati desiderati?)• Sostenibilità (la metodologia può essere mantenuta per un periodo di tempo sufficiente?)• Risultati mantenibili (i risultati ottenuti possono essere ragionevolmente mantenuti? Cosa prevede il

protocollo di uscita dal piano alimentare?)La disamina di questi concetti risulta fondamentale in quanto fin troppo spesso numerose metodiche ali-mentari sono basate su concetti di carattere etico-filosofico-culturale piuttosto che s solide basi scientifiche e quindi esiste il concreto rischio di proporre o utilizzare approcci che non rispondono ai requisiti minimi richiesti da un intervento professionale. Fermo restando che come in precedenza descritto, secondo la legislazione italiana devono occuparsi direttamente di nutrizione umana solo i soggetti abilitati a farlo e quindi in possesso dei titoli di studio e delle abilitazioni necessarie, risulta opportuno che il Personal Trainer abbia una conoscenza di base in merito agli aspetti fondamentali delle più comuni metodiche nutrizionali, in modo da formulare un piano di allenamento che lavori sinergicamente al piano alimentare, in modo da massimizzare i risultati ottenibili con questo approccio globale. Risulta inoltre opportuno che il Personal Trainer sia in grado di consigliare al cliente di rivolgersi a un professionista della nutrizione piuttosto che alla dieta di moda “fai da te”, ai consigli dell’amico tanto bravo in palestra o a quelli del negoziante marketing oriented, argomentando opportunamente sulla base delle conoscenze acquisite in relazione alle più comuni metodiche alimentari. Quindi anche in relazione a questo aspetto l’approccio multidisciplinare e il lavoro in equipe con altri professionisti conferirà al Personal Trainer un notevole valore aggiunto. Sarà di seguito proposto un approcio analitico ai più comuni modelli alimentari.

8.2 • DIETE IPERCALORICHE

Queste metodiche nonostante il più delle volte fossero correlate a un aumento ponderale con una notevole componente adiposa, venivano attuate con il razionale di favorire l’ aumento di massa magra. Per questo un tempo si dimostravano particolarmente gradite tra gli atleti in fase di muscolazione, in particolare tra i bodybuilders nella così detta fase di “massa” ovvero quella parte della periodizzazione annuale partico-larmente rivolta alla ricerca dell’ipertrofia, necessariamente seguita da quella che veniva chiamata fase di “definizione” nella quale ci si dedicava allo smaltimento degli eccessi lipidici accumulati. Dal punto di vista operativo i protocolli dietetici alla base di questo approccio prevedevano una ripartizione spesso non ade-guatamente bilanciata in quanto in prevalenza il surpluss calorico era ottenuto aumentando l’apporto gli-cidico. Questo, come illustrato in precedenza, da un lato ottimizza i processi di recupero massimizzando e velocizzando la ricostituzione delle scorte di glicogeno e lo stimolo anabolico associato alla massiccia produzione di insulina. L’incrementata produzione di insulina come chiarito in precedenza rappresenta un

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109ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE CAPITOLO 8

fattore che favorisce lo stimolo anabolico in particolare generando un incrementato trasporto dei nutrienti e livello cellulare. Questo ovviamente sia a livello del muscolo scheletrico facendo fronte alle richieste relative al recupero e alla supercompensazione, che a livello del tessuto adiposo dove verrà accumulato l’eccesso glicidico sotto forma di lipidi. Approcci alimentari di questo genere se protratti troppo a lungo nel tempo anche se associati a un interessante incremento della sintesi proteica sono correlati anche a un notevole accumulo adiposo, inoltre rimane da considerare con attenzione la riduzione della sensibilità a carico dei recettori insulinici fattore che se trascurato può essere alla base di un meccanismo di insulino-resistenza analogo a quello presente nella sindrome metabolica; una volta instaurata una situazione di questo tipo e ridotta la capacità di risposta all’insulina ovviamente si porrà una limitazione anche nei confronti delle possibilità di crescita muscolare, favorendo al contrario l’accumulo dei nutrienti inutilizzabili a livello adipocitario. In virtù di questi effetti i protocolli alimentari tipici dei periodi di “massa” nella loro accezione classica dovrebbero essere notevolmente rivisti, infatti l’approccio moderno a questo tipo di attività prevede una ciclizzazione del lavoro mediante l’alternanza di fasi

• Ipercaloriche• Normocaloriche• Ipocaloriche

La cui media permetta di ottenere comunque un bilancio ipercalorico ma che a cagione dell’approccio ciclico difficilmente attuerà gli adattamenti di cui sopra, favorendo la sintesi proteica e l’accumulo di massa magra evitando un eccessivo accumulo adiposo.

8.3 • DIETE A RESTRIZIONE CALORICA

Queste metodiche prevedono la formulazione di piani nutrizionali caratterizzati da un apporto calorico infe-riore rispetto al fabbisogno energetico stimato mediante le tecniche illustrate in precedenza. Generalmente si attua una riduzione compresa tra le 500 e le 700 kcal, prestando attenzione, salvo casi particolari a non scendere sotto il livello metabolico basale stimato. La suddivisione dei nutrienti generalmente rispec-chia quanto ottenuto con i comuni approcci salutisti come ad esempio la dieta mediterranea ovvero:

• 55-65% carboidrati• 15-25% proteine• 15-25% grassi

Dal punto di vista squisitamente teorico 700 kcal di deficit calorico dovrebbero essere correlate a una perdita mensile di circa 3 kg di tessuto adiposo in quanto si stima che , considerata la media della sua composizione, 1 g di tessuto adiposo fornisca 7 kcal e quindi una riduzione di 700 kcal dovrebbe logi-camente portare alla perdita di 100 g/die. Fermo restando il beneficio salutistico dovuto alla restrizione calorica grazie all’attivazione delle sirtuine e dell AMPK che agiscono come regolatori metabolici a livello dei numerosi parametri come pressione arteriosa, lipidemia eccetera, il notevole limite di queste metodiche è rappresentato dalla ridotta efficacia per periodi di tempo prolungati in quanto generalmente alla base di notevoli episodi di catabolismo muscolare associati a una riduzione dei livelli metabolici basali. Questo comporta una progressiva riduzione del fabbisogno energetico giornaliero e quindi il dimagrimento richie-derà una costante riduzione dell’introito calorico proposto. Questo può essere alla base del risveglio di un meccanismo adattativo-evolitivo autoritenuto che associa a un progressivo e continuo catabolismo musco-lare la ritenzione di lipidi come scorta energetica, portando ad una continua e progressiva modificazione in negativo della composizione corporea.

8.4 • DIETE HI-LO

8.4.1 • Diete a rotazione quantitativa (diete up and down)Queste metodiche prevedono una riduzione dell’introito calorico realizzata in maniera molto diversa dal quello precedentemente esposto, infatti una volta calcolato il fabbisogno energetico e sottratta la quota

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110 CAPITOLO 8 ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE

calorica desiderata, lo si mantiene mediamente nella settimana formulando un piano alimentare che pre-veda l’alternanza di giornate:

• Normocaloriche• Ipocaloriche • Ipercaloriche

Mantenendo dal punto di vista qualitativo la distribuzione caratteristica dei comuni approcci salutisti come ad esempio la dieta mediterranea ovvero:

• 55-65% carboidrati• 15-25% proteine• 15-25% grassi

Volendo proporre un esempio numerico in relazione ad un fabbisogno di 2400 kcal/die rispetto al quale si vogliono sottrarre mediamente 400 kcal/die, si potrà procedere nella formulazione di un piano setti-manale suddiviso come segue:

• Lunedì 2400 kcal• Martedì 1700 kcal• Mercoledì 2400 kcal• Giovedì 1700 kcal• Venerdì 1700 kcal• Sabato 2800 kcal• Domenica 1700 kcal

Il programma settimanale, mediante l’alternanza proposta, permette il mantenimento di un introito energe-tico medio di 2000 kcal. Questo tipo di approccio fornisce dei vantaggi:

• Si mostra decisamente appagante prevedendo introiti calorici che contemplano o quantomeno permettono la gestione di una vita sociale (per esempio cena o pranzo con gli amici il sabato)

• Si mostra decisamente efficace in quanto previene gli adattamenti, caratterizzati dal catabolismo muscolare e di conseguenza dalla riduzione del metabolismo basale, derivati da un approccio mono-tono

8.4.2 • Diete a rotazione qualitativaQuesta tipologia di metodiche di fatto non prevedono alcuna restrizione energetica, in quanto lo stimolo metabolico viene realizzato sulla base di una continua alternanza nel rapporto tra i nutrienti, prevedendo uno “sbilanciamento” pianificato e ciclico dei nutrienti. Generalmente viene variato l’apporto glicidico in favore di quello proteico. Il razionale alla base dell’efficacia di questo approccio è dovuto principalmente a 2 diversi motivi:

• I protidi mostrano una termogenesi indotta dalla dieta (azione dinamico specifica) superiore rispetto agli altri macronutrienti (come illustrato in precedenza), quindi la loro digestione implica un dispendio energetico superiore.

• La riduzione nell’introito di glicidi comporta una minore secrezione insulinica con la conseguenza di ridurre lo stimolo anabolico anche a livello adipocitario, evitando gli adattamenti illustrati in precedenza parlando di approcci nutrizionali ipercalorici.

Nel formulare la variazioni cicliche generalmente vengono considerate le necessità correlate ai giorni di allenamento. Per esempio volendo favorire il processo di dimagrimento sarà opportuno ridurre la quota glicidica nei giorni di allenamento (favorendo così l’utilizzo lipidico) e aumentandola nei giorni dedicati al recupero (dove con una maggiore probabilità saranno utilizzati nel reintegro delle scorte di glicogeno piuttosto che nello stoccaggio sotto forma di lipidi). Per esempio volendo formulare un programma con simli caratteristiche sarà possibile realizzare quanto segue:Lunedì, mercoledì, venerdì (giornate di allenamento):

• 50% carboidrati• 30% proteine• 20% grassi

Martedì, giovedì, sabato (giornate di recupero):

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111ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE CAPITOLO 8

• 65% carboidrati• 15% proteine• 20% grassi

Domenica (non ci si allena):• 50% carboidrati• 30% proteine• 20% grassi

8.5 • DIETE DISSOCIATE

Questa tipologia di metodiche partono dal razionale che i diversi macronutrienti per essere assimilati con efficienza richiedano l’intervento di diverse tipologie di enzimi, quindi con l’obiettivo di gestire al meglio i processi digestivi l’alimentazione viene pianificata prevedendo l’ingestione di alimenti che richiedano l’intervento degli stessi enzimi. Nel dettaglio le principali differenze nella digestione e assimilazione di macronutrienti si realizzano come segue:

• Digestione dei protidi: richiesto un pH gastrico decisamente acido • Digestione dei glucidi: richiesto un pH più alcalino.

Ovviamente questo costituisce una dicotomia, in quanto a livello gastrico non è possibile che l’ambiente possa essere ottimale sia per la digestione dei protidi che per la digestione dei glucidi. In base a queste considerazione sono state realizzate delle tabelle che forniscono indicazioni in relazione alla possibilità o meno dell’associazione di 2 o più alimenti. Nel corso degli anni questo concetto coniato esclusivamente in base ai possibili vantaggi digestivi è stato integrato da un ulteriore considerazione realizzata sulla base dei valori medi di pH ematico della specie umana. Infatti essendo questi valori compresi nell’intervallo tra 7.1 e 7.8 è stato proposto che i glucidi rappresentino il substrato energetico preferenziale per la specie umana, in quanto al contrario dei protidi la loro digestione non comporta una notevole riduzione del pH gastrico associata a notevole carico dei sistemi tampone. Per questo viene consigliato di monitorare quo-tidianamente in condizioni di digiuno il pH delle urine utilizzando apposite strisce reattive e bilanciando di conseguenza l’introito proteico giornaliero. Queste indicazioni oltre che poco scientifiche si dimostrano anche poco sensate per una serie di fattori:

• Non esiste correlazione diretta tra pH gastrico ed ematico• Non esiste correlazione diretta rea pH ematico e pH urinario • A livello sistemico molte fonti glucidiche, come per esempio i cereali hanno dimostrata azione

acidificante (dovuta ai processi biochimici secondari successivi alla digestione e all’assorbimento)

Comunque volendo formulare un piano nutrizionale realizzato in base alle indicazioni appena illustrate è possibile fare quanto segue: Colazione:

• Cereali• Tè o caffè

Spuntino:• Frutta

Pranzo:• Pasta o riso o legumi• Verdura con olio• Pane o crakers

Spuntino:• Yogurt o frutta

Cena:• Carne o pesce o legumi• Verdura con olio

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112 CAPITOLO 8 ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE

Nella formulazione di un piano di questo tipo va considerato che la presenza di una ridotta quota glu-cidica (30-50g ) contestualmente a un pasto proteico, così come quella di una ridotta quota proteica contestualmente a un pasto glucidico non risulta generalmente in grado di alterare le dinamica digestive al punto tale da comprometterne la riuscita. Considerato quanto in precedenza illustrato in merito all’indice e al carico glicemico e agli effetti del mancato controllo insulinico dovrebbe risultare ovvio come questo approccio non abbia effetti particolarmente rilevanti a livello del dimagrimento. Al contrario invece la metodica si mostra particolarmente interessante per quanto riguarda i vantaggi digestivi che è in grado di offrire, proponendosi come approccio interessante per tutti quei soggetti con alterazioni a carico dell’ap-parato digerente. Questo tipo di approccio potrebbe mostrarsi particolarmente interessante anche per un atleta nelle fasi pre-gara in quanto in grado di fornire sostentamento senza creare processi digestivi problematici ai fini dell’attività sportiva. L’unica accortezza da tenere in questi casi è quella di prevedere pasti glucidici serali nelle immediate vicinanze della competizione.

8.6 • DIETA A ZONA

Questa metodica è frutto delle ricerche del biochimico americano Barry Sears che cercando una soluzione alla predisposizione genetica che ha causato la prematura scomparsa, a causa di patologie cardiova-scolari, del nonno, del padre e di tre zii, si è dedicato allo studio dei processi biochimici alla base dei fattori eziologici correlati a questa e a numerose altre patologie. In particolare il Dott. Sears identificò nello squilibrio a livello degli eicosanoidi, molecole ad azione ormonale che intervengono con meccanismi paracrini e autocrini nel governo di diverse funzioni fisiologiche, un fattore che contribuisce notevolmente a numerosi processi patologici, soprattutto considerando che l’equilibrio di queste molecole governa la principale forma adattativa di risposta dell’organismo: l’infiammazione. Tra gli eicosanoidi è possibile identificare principalmente:

• Prostaglandine• Tromboxani• Leucotrieni• Lipossine

Cercando di rendere il concetto comprensibile anche ai non addetti al lavori il Dott. Sears coniò il concetto di “eicosanoidi buoni” ovvero con effetto prevalentemente antinfiammatorio e “eicosanoidi cattivi” ovvero con effetto prevalentemente infiammatorio. Quindi il mantenimento in cronico di uno stato infiammatorio, anche a livello sub-clinico, può essere considerato come il fattore alla base di innumerevoli manifestazioni patologiche. L’equilibrio tra gli eicosanoidi costituisce per il Dott. Sears un fattore prioritario per avere effetti preventivi o addirittura terapeutici. Il principale problema a questo approccio è costituito dal fatto che l’azione degli eicosanoidi si esplica principalmente a livello cellulare e che la loro emivita è talmente breve da impedirne la somministrazione esogena nella stragrande maggioranza dei casi. L’unica possibi-lità di intervento era quindi quella di intervenire a livello alimentare modulando l’ingestione dei precursori di tali sostanze e l’azione degli ormoni in grado interagire con essi. Il Dott. Sears sperimentò tale metodica su se stesso e sulla propria famiglia con risultati incoraggianti che lo portarono ad ulteriore applicazione su soggetti con le più disparate patologie per arrivare ad un applicazione volta al miglioramento della performance atletica. Dall’opportuna modulazione dei nutrienti è risultato possibile il raggiungimento di una “Zona” di calma ormonale compatibile con livelli fisiologici di infiammazione cellulare volti al mante-nimento di un corretto stato di salute. La modulazione dei macronutrienti prevede di intervenire si dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista qualitativo dosando attentamente l’intake di glucidi, protidi e lipidi generalmente come segue:

• Glucidi 40% delle calorie totali.• Protidi 30% delle calorie totali.• Lipidi 30% delle calorie totali.

In particolare considerazione vengono tenuti i glucidi in quanto direttamente in grado di influenzare la secrezione di insulina, ormone che tra gli altri effetti già in precedenza descritti influenza se presente in

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113ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE CAPITOLO 8

quantità eccessive anche la secrezione di “eicosanoidi cattivi”. Per questo viene consigliata l’assunzione di fonti glucidiche a basso indice glicemico, privilegiando fonti quali

• Frutta• Verdura• Legumi

Limitando di conseguenza il più possibile l’utilizzo di cereali raffinati e prodotti derivati. Anche l’apporto proteico viene tenuto in debita considerazione, infatti vengono consigliati relativamente alla condizione e alle necessità del soggetto livelli di assunzione che in pratica raggiungono un intervallo compreso tra 1,1 e 2,2 g/kg di peso corporeo. Dosaggio che, come è noto, si mostra superiore a quello consigliato da alcune delle più note linee guida, anche se è doveroso riportare come nel corso del tempo anche le indi-cazioni più restrittive tendono a mostrarsi più “elastiche” ammettendo margini di utilizzo più vicini a quelli previsti dalle metodiche in precedenza aspramente criticate. Anche per quanto riguarda l’intake lipidico le indicazioni prevedono un assunzione superiore di circa un 5% rispetto a quanto consigliato dalle tradizio-nali linee guida, in quanto i lipidi rappresentano la principale fonte di precursori utilizzati dall’organismo nella produzione di eicosanoidi e nella stimolazione della secrezione di colecistochinina (CCK), l’ormone alla base della regolazione degli stimoli che governano il senso di sazietà. Ovviamente viene fatta un’at-tenta selezione qualitativa delle fonti lipidiche utilizzate prestando attenzione al contenuto in acidi grassi essenziali (EFA), contestualmente alla limitazione dell’utilizzo di acidi grassi saturi. La metodica prevede che le indicazioni appena esposte, inclusa la suddivisione percentuale dei macronutrienti, venga rispettata con-testualmente ad ogni singolo pasto (inclusi gli spuntini) con l’obiettivo di controllare la secrezione ormonale (particolarmente dell’insulina) mantenendo bassi indice e carico glicemico e di conseguenza modulando opportunamente la produzione degli eicosanoidi. In virtù di queste caratteristiche la metodica viene larga-mente impiegata , utilizzando diverse varianti e proposte applicative, nella prevenzione e nel trattamento di numerose patologie. L’approccio alimentare in “Zona” rappresenta anche la scelta di numerosi atleti che vedono nel controllo della secrezione ormonale e nella produzione di eicosanoidi un valido strumento per :

• Migliorare la performance sportiva• Controllare la composizione corporea,• Mantenersi in un buono stato di salute.

8.7 • DIETA ATKINS

Questa metodica rappresenta la capostipite di tutti gli approcci nutrizionali basati sull’utilizzo quasi esclusivo di grassi e proteine. Fondamentalmente consiste nella drastica eliminazione in via quasi esclusiva dei carboi-drati dall’alimentazione. Dal punto di vista operativo rappresenta uno degli approcci più semplici da seguire in quanto, a patto di escludere i prodotti ricchi in carboidrati, non è necessario pesare gli alimenti assumendo quelli concessi in quantitativi pressoché illimitati. Generalmente tra gli alimenti da escludere si rinvengono:

• Pane• Pasta• Frutta• Riso• Biscotti • Tuberi farinacei

Mentre tra gli alimenti consentiti liberamente generalmente si rinvengono: • Carni• Pesce• Uova• Insaccati • Formaggi• Olio • Grassi di origine animale

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114 CAPITOLO 8 ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE

Sono in quest’ottica ammissibili gli ortaggi caratterizzati da un contenuto di carboidrati minimo. Nella realizzazione del piano sarà fondamentale il consumo di un adeguato consumo idrico al fine di consen-tire un sufficiente smaltimento delle notevoli quantità di acido urico prodotte in conseguenza all’ingestione di notevoli quantità sostanze carnee. L’efficacia di questo approccio, soprattutto nelle sue prime fasi di attuazione è da ascriversi alla minimizzazione della secrezione insulinica dovuta al minimale apporto di carboidrati, infatti come tutti i protocolli basati su questo principio anche la dieta Atkins consente di otte-nere nelle fasi iniziali notevoli perdite in termini di peso, in particolare associate alla perdita di importanti quantitativi idrici associati alla deupaperazione delle scorte di glicogeno epatico e muscolare. L’altra fac-cia della medaglia è rappresentata dal fatto che il ritorno a un alimentazione che include i glucidi causa un drammatico recupero di peso anche in tempi estremamente brevi, sono riportati casi che parlano di 2-4 kg/settimana. L’attuazione di un regime nutrizionale così estremo deve avvenire previa verifica della funzionalità epatica e renale e comunque sotto stretto controllo medico, spesso viene proposto come fase di “impatto” atta a favorire la rapida perdita di peso da utilizzare sul soggetto come rinforzo positivo alla compliance, per tornare poi gradualmente verso un’alimentazione più equilibrata.

8.8 • DIETA SCARSDALE

Questa metodica prevede la strutturazione di un piano alimentare caratterizzato dall’assenza di latticini in genere e da una forte limitazione nell’assunzione di carboidrati per la fornitura dei qauli vengono utilizzati esclusivamente

• Frutta• Ortaggi• Determinati alimenti integrali.

Generalmente il piano alimentare caratteristico di una dieta Scarsdale viene realizzato come segue:• Colazione: Spremuta di pompelmo + fette biscottate integrali. • Pranzo e Cena: Previsti alimenti proteici, poveri di grassi (carni bianche, pesce, ecc).

o Due volte a settimana a pranzo è prevista una macedonia di frutta. o Due volte a settimana sono previste le uova

Generalmente sono da escludersi i condimenti grassi, tra cui anche l’olio extravergine di oliva e sono consentiti solo verdure ed ortaggi poveri in glucidi. Tecnicamente un programma di questo tipo potrebbe essere sostenibile anche per intervalli di tempo medio-lunghi mostrando qualche difficoltà però per quanto riguarda il rigore da mantenersi nel pesare accuratamente gli alimenti e riguardo il cover evitare alimenti dall’alto valore salutistico come l’olio extra-vergine di oliva.

8.9 • DIETA METABOLICA

Questa metodica sviluppata dal Dott. Mauro di Pasquale, medico e ricercatore italo-canadese unisce un approccio alimentare grassi e proteine simile a quelli appena descritti a una fase di reintegro glucidico da attuare con cadenza ciclica – settimanale. Nella sua applicazione più classica il piano metabolico del Dott. Di Pasquale prevede l’alternanza di 5 gironi di alimentazione gassi e proteine a due giorni di alimentazione ricca in carboidrati. Nei primi 5 giorni di fase “grassi e proteine” il Dott. Di Pasquale con-siglia la seguente ripartizione di nutrienti:

• Carboidrati: massimo 30 g al giorno.• Lipidi: 40% - 60% delle calorie totali.• Proteine: 40% - 50% delle calorie totali.

Questa fase viene realizzata con lo specifico obiettivo di:• Facilitare la mobilizzazione dei grassi di deposito • Stimolare la produzione di testosterone• Stimolare la produzione di ormone della crescita

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115ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE CAPITOLO 8

• Minimizzare la secrezione insulinicaMentre nei 2 giorni di reintegro di carboidrati prevede una modifica nella ripartizione di nutrienti realizzata come segue:

• Carboidrati: 35% - 60% (da modulare sulle necessità del soggetto)• Lipidi: 20% - 40% delle calorie totali.• Proteine: 15% - 30% delle calorie totali.

Questa fase viene realizzata con lo specifico obiettivo di:• Reintegrare le scorte di glicogeno muscolare ed epatico• Mininimizzare la secrezione di cortisolo e stimolare la secrezione di insulina, in modo da sfruttar-

ne al massimo l’azione anabolica. Questo in quanto dopo 5 giorni di apporto glucidico ridotto la sensibilità dei tessuti periferici all’insulina si mostra particolarmente elevata. In linea di massima questo approccio alimentare genera un continuo shock metabolico in grado di fornire una stimolazione continua dell’organismo impedendo o quantomeno limitando i processi di adattamento caratteristici delle manipolazioni dietetiche protratte per lunghi periodi. Il Dott. Di Pasquale propone questo approccio sia con finalità dimagranti che con finalità ipertrofizzanti, modulando sulla base degli obiettivi del soggetto

• Le fasi di scarico e di carico dei carboidrati• L’introito calorico totale.• La quota lipidica da utilizzare nella prima fase• La quota glucidica e il tipo di glucidi da utilizzare nella seconda fase

Anche se questo approccio nutrizionale si mostra molto meno drastico rispetto alla metodica Atkins, rima-ne buona norma e regola effettuarlo previa verifica della funzionalità epatica e renale e comunque sotto stretto controllo medico. Anche in questo caso è possibile utilizzarla come metodica a rinforzo positivo, considerando che (pur non essendo ai livelli della Atkins) richiede una buona partecipazione da parte del soggetto.

8.10 • DIETE A PASTI SOSTITUTIVI

Questa metodica viene proposta con il razionale di permettere al soggetto che a cagione dei ritmi freneti-ci correlati alla vita moderna non riesce a cucinare (provvedendo adeguatamente alla propria alimentazio-ne) di consumare un pasto opportunamente bilanciato, sostituendo quanto comunemente consumato con formulazioni quali frullati, barrette, tavolette eccetera. Infatti esistono in commercio una serie di proposte formulate utilizzando diversi bilanciamenti di macronutrienti in funzione delle diverse possibili necessità del soggetto. Generalmente tali formulazioni vengono utilizzate per la sostituzione di un pasto principale al quale vengono affiancati pasti tradizionali opportunamente bilanciati. Partendo da questa logica esistono in commercio numerose proposte formulate sulla base di razionali anche molto diversi tra loro, in alcuni casi addirittura con logiche opposte. In virtù di quanto appena affermato non risulta possibile fornire una valutazione di carattere generale in merito a questa tipologia di proposte fermo restando che a rigore di logica il raggiungimento di una sana condizione alimentare deve essere caratterizzata da un corretto processo di educazione alimentare. Quindi il sostituto del pasto dovrà essere utilizzato esclusivamente per periodi di tempo limitati. Ovviamente quanto appena affermato deve tener conto sia della qualità che della logica di formulazione del prodotto in questione. Esistono inoltre alcune problematiche di natura operativa correlate a l’utilizzo di questi prodotti:

• Mancanza di educazione alimentare, effetto perso sul lungo termine• Gestione della sazietà: alcuni formulati non permettono di raggiungere un senso di sazietà suffi-

ciente all’attesa del pasto successivo , il soggetto pur essendo stato nutrito tende ad avere fame poco tempo dopo il pasto

• Non tutti i soggetti tollerano adeguatamente l’utilizzo di sostituti del pasto:o Dal punto di vista psicologicoo Dal punto di vista digestivo (gonfiori, flatulenza, stipsi, ecc..)

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116 CAPITOLO 8 ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE

Fermo restando tutto quanto appena descritto, l’approccio più auspicabile a questi approcci è quello che ne prevede l’utilizzo contestualmente alla gestione di situazioni particolari a cagione del buon margine di praticità.

8.11 • ALIMENTAZIONI VEGETARIANE

Quello delle alimentazioni vegetariane rappresenta un mondo estremamente variegato che risulta note-volmente difficile da descrivere nella sua interezza. Generalmente le varie tipologie di alimentazioni vegetariane prevedono di evitare il consumo di prodotti di origine animale per ragioni etiche, filosofiche o religiose. Esistono come accennato diversi approcci all’alimentazione vegetariana caratterizzati da un diverso grado di esclusione di prodotti di origine animale. Generando dalle interpretazioni più flessibili che consentono l’utilizzo di uova e latticini a quelle più drastiche e assolute che escludono l’utilizzo di qualsiasi prodotto che possa costituire motivo diretto o indiretto di danno o sofferenza per gli animali Le principiali modalità di approccio all’alimentazione vegetariana possono essere riassunte come segue:

• Latto-ovo-vegetariane: Viene eliminata dall’alimentazione esclusivamente la carne (derivata sia da animali di terra che di acqua). Mostrando un buon grado di varietà viene considerata deci-samente valida sotto il profilo nutrizionale.

• Lattovegetariane: Vengono eliminate dall’alimentazione la carne (derivata sia da animali di terra che di acqua) e le uova. Vengono generalmente utilizzati il latte e i prodotti derivati. Anche in questo tipo di applicazione generalmente non si riscontrano particolari squilibri di carattere nutri-zionale

• Vegetariane pure (Vegan): Vengono eliminate dall’alimentazione la carne (derivata sia da ani-mali di terra che di acqua) e le uova, il latte e tutti i suoi derivati. Generalmente vengono utilizzati esclusivamente prodotti di origine vegetali. Se non opportunamente gestite ed eventualmente inte-grate possono essere caratterizzate da squilibri nutrizionali e stati carenziali che si manifestano prevalentemente in:

o Soggetti di sesso femminileo Soggetti di età pediatrica di ambo i sessio Soggetti di età adolescenziale di ambo i sessio Soggetti in età geriatrica di ambo i sessi

Alcune filosofie possono sfociare in approcci alimentari estremamente restrittivi arrivando ad escludere il consumo di qualsiasi alimento processato. Per poter effettuare un rapporto rischi/benefici relativamente a un approccio alimentare vegetariano la prima considerazione da fare è quella relativa alla tipologia dell’approccio stesso, tanto più sarà restrittivo maggiori saranno i potenziali rischi correlati a carenze. Esaminando i benefici solitamente i soggetti vegetariani sulla base di dati statistici si mostrano più longevi e mostrano una minore incidenza di una serie di patologie quali:

• Neoplasie• Diabete di tipo II• Patologie cardiovascolari• Patologie gastro-intestinali• Patologie renali• Dislipidemie

Questa evidenze devono comunque essere valutate in un contesto a 360° considerando l’intero stile di vita dei soggetti che solitamente si approcciano all’alimentazione vegetariana, che generalmente esclude fattori di rischio quali:

• Obesità• Consumo di Alcol• Fumo• Stile di vita sedentario

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117ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE CAPITOLO 8

Che nell’insieme contribuiscono ai succitati effetti benefici. Generalmente un altro fattore associato all’ali-mentazione vegetariana è la bassa densità calorica dei pasti, questo fattore se da un lato costituisce un vantaggio salutistico associato alla restrizione calorica (e quindi alla stimolazione delle sirtuine e dell’ AMPK) dall’altro espone al rischio di raggiungere una restrizione calorica eccessiva a cagione del pre-coce e improprio raggiungimento del senso di sazietà. Questo effetto andrà particolarmente considerato qualora nella dieta fossero inclusi alimenti dalla notevole componente indigeribile (quali cellulosa e ligni-na). Anche l’assunzione proteica va attentamente valutata, soprattutto nei soggetti che si sottopongono ai regimi più restrittivi in quanto bisogna considerare che il valore biologico delle proteine vegetali può essere generalmente stimato in un intervallo compreso tra il 70 e il 90% di quello generalmente riscontrato per le proteine animali. Considerati questi aspetti è consigliabile che il soggetto vegetariano bilanci opportuna-mente la sua dieta utilizzando alimenti quali:

• Germe di grano• Frutta a guscio • Semi di girasole

E comunque abbinando gli alimenti in modo da completare lo spettro di aminoacidi essenziali necessari. Anche i lipidi e di conseguenza le vitamine liposolubili possono rappresentare una criticità, per questo si rende necessario bilanciare opportunamente il piano alimentare inserendo adeguati quantitativi di olii vegetali e frutta in guscio. Tra le altre vitamine liposolubili, la riduzione dell’intake di alimenti di origine animale si rende particolarmente evidente a livello della Vitamina D, per supportare la quale si consiglia di modulare opportunamente l’esposizione al sole favorendone la sintesi endogena. Altra molecola poten-zialmente carenziale è la Vitamina B12.per cui l’unica soluzione è rappresentata dall’utilizzo di determinate tipologie di funghi o l’integrazione alimentare. Gli ioni come per esempio il ferro e lo zinco possono rappresentare una notevole criticità, soprattutto per:

• Soggetti di sesso femminile• Soggetti di età pediatrica di ambo i sessi• Soggetti di età adolescenziale di ambo i sessi• Soggetti in età geriatrica di ambo i sessi

Questo in quanto le forme presenti nei prodotti di origine animale mostrano una notevole biodisponibilità, cosa che non accade invece per i prodotti di origine vegetale: in particolare il ferro emico presente nei prodotti carnei mostra un ottimale biodisponibilità, praticamente irraggiungibile per il ferro non emico. Gli approcci alimentari vegetariani più restrittivi sono sconsigliabili nei soggetti con età inferiore a 5 anni in quanto caratterizzati a causa dello sviluppo estremamente dinamico caratteristico dell’età da fabbisogni nutrizionali piuttosto elevati per i quali l’assenza di derivati animali potrebbe costituire un notevole rischio di stati carenziali. Un altro aspetto da considerare è che l’apparato digerente di un bambino, ancora in via di completo sviluppo, potrebbe non avere l’efficienza necessaria per tollerare un notevole intake di fibre. In questi soggetti (anche se la cosa si può estendere in genere ai vegetariani) particolare attenzione andrà prestata nel garantire un corretto apporto di:

• Amminoacidi essenziali• Vitamine gruppo B (in particolare B12)• Vitamina D• Calcio• Ferro• Zinco

Superata questa fase è possibile proporre un graduale avvicinamento allo stile di vita vegetariano sostituendo progressivamente prodotti carnei con prodotti ittici e/o latte e derivati, sempre nell’ottica di un atteggiamento prudente in quanto è stata evidenziato in bambini vegetariani un rallentamento nella crescita rispetto a bambini onnivori. Anche le donne gravide dovranno prestare particolare attenzione al rischio di incorrere in stati carenziali integrando se necessario le molecole carenti, facendo riferimento alle categorie già segnalate per i soggetti in età pediatrica. L’aspetto integrazione costituisce un aspetto altresì complicato da gestire nei soggetti che si sottopongono ai regimi vegetariani più restrittivi come i vegani, che generalmente non accettano l’utilizzo di prodotti ritenuti “innaturali” a favore di altri ritenuti più naturali

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118 CAPITOLO 8 ANALISI DI VARIE TIPOLOGIE DI DIETE

come per esempio prodotti erboristici e/o fitoterapici ma che spesso possono avere qualche problema a livello di biodisponibilità o di performace. Perciò risulta opportuno rendere edotti i clienti che seguono questi dettami sulle possibili patologie da stai carenziali non sempre reversibili, incoraggiando un’attenta valutazione dello stato nutrizionale generale.

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Quali sono alcuni modelli alimentari comunemente utilizzati? In cosa consistono? Spiegare

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a cura di

Marco Neri e

Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 9

Etichettatura degli alimenti

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120 CAPITOLO 9 ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI

Obiettivi: • Comprendere lo scopo dell’etichettatura• Acquisire le principali caratteristiche e prescrizioni relative all’etichettatura • Comprendere le prescrizioni relative agli ingredienti• Comprendere le prescrizioni relative agli allergeni• Comprendere le prescrizioni relative alle indicazioni nutrizionali• Comprendere le prescrizioni relative alla gestione dei claims salutistici

9.1 • ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI: DEFINIZIONI E GENERALITÀ

Nella cultura attuale c’è la tendenza a considerare tutto ciò che esce dalla televisione come veritiero e assolutamente valido, ma è necessario ricordare che i produttori utilizzano questo canale per pubbliciz-zare e aumentare le vendite, così spuntano alimenti che si spacciano per salutari ma che, al di là delle apparenze, sani non sono. Per esempio trovandosi al supermercato per acquistare i comuni alimenti utiliz-zati nella quotidianità si assiste inconsapevolmente a una prima forma pubblicitaria basata sulla comuni-cazione che avviene a livello inconscio: Le aziende scelgono confezioni e colori in base a precisi studi i stimolo psicologico; inoltre i supermercati fanno “pagare” il posizionamento nelle file più strategicamente importanti. Considerando questo fattore, soprattutto in associazione alla spinta comunicativa effettuata dai media risulta molto importante chiedersi se realmente si ha la consapevolezza di quello che si sta acquistando, consapevolezza che può essere raggiunta entro ragionevoli limiti mediante un attento esame dell’etichetta obbligatoriamente posta dai produttori sulle confezioni degli alimenti. Questo pone una prima logica considerazione : nell’acquisto degli alimenti, soprattutto quelli trasformati è bene evitare di acquista-re cibi troppo elaborati, meglio scegliere ricette semplici, che potranno essere illustrate più semplicemente in etichetta. Leggere l’etichetta quindi diventa per il consumatore uno strumento molto utile per conoscere l’effettiva composizione nutrizionale del prodotto. Il suo scopo è quello di tutelare e informare l’acquirente in modo corretto e il più possibile trasparente; dal 1982 per legge, l’etichetta deve riportare l’elenco degli ingredienti con nome specifico leggibile. Le normative attualmente in vigore per quanto riguarda le modalità e le prescrizioni di etichettatura sono:

• D.lgs 27/01/92 n. 109• Regolamento UE 1169/2011

Volendo per correttezza definire ai sensi della legge che cos’è precisamente il processo di etichettatura risulta molto interessante esaminare la definizione fornita dal D.lgs. 109/1992 dove l’etichettatura è considerata come :“l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichet-ta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto medesimo, o, in mancanza di conformità a quanto stabilito negli artt. 14, 16 e 17, sui documenti di accompagnamento del prodotto alimentare” (art. 1, c. 2, lett. a).

Con queste finalità quindi il D.lgs 27/01/92 n. 109 stabilisce specifiche informazioni che devono essere obbligatoriamente riportate sull’etichetta:

• Nome del prodotto• Elenco degli ingredienti• Quantitativo (peso netto / peso sgocciolato)• Termini di scadenza• Azienda produttrice• Lotto di appartenenza• Modalità di conservazione • (Eventualmente) Modalità di utilizzo.

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121ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI CAPITOLO 9

9.2 • GLI INGREDIENTI

Una volta definiti questi aspetti risulta molto importante definire correttamente uno dei principali aspetti implicati: gli ingredienti, il D.lgs. 109/1992 (art. 5, c. 1) definisce l’ingrediente come:“qualsiasi sostanza, compresi gli additivi, utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodot-to alimentare, ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma modificata”. Mentre L’art. 2, par. 2, lett. f, del Regolamento UE 1169/2011 definisce l’ingrediente come:“qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata; i residui non sono considerati come ingredienti”.Per quanto concerne gli ingredienti, l’ordine in cui appaiono in etichetta è in misura decrescente, quindi il primo è quello quantitativamente più presente al quale seguono tutti gli altri componenti a scalare.

9.3 ETICHETTA: LE FINALITÀ

Alla luce di quanto visto, una caratteristica fondamentale dell’etichetta deve essere quella di non indurre mai indurre in errore sulle caratteristiche del prodotto, a garanzia di ciò esistono specifiche prescrizioni sia da parte del D.lgs. 109/1992 che da parte del Regolamento UE 1169/2011. Il D.lgs. 109/1992, art. 2, al titolo “Finalità dell’etichettatura dei prodotti alimentari” recita testualmente: “L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione sono destinate ad assicurare la corretta e trasparente informazione del consumatore. Esse devono essere effettuate in modo da:

a) Non indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull’origine o la provenienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso

b) Non attribuire al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiedec) Non suggerire che il prodotto alimentare possiede caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti

alimentari analoghi possiedono caratteristiche identiched) Non attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia

umana né accennare a tali proprietà, fatte salve le disposizioni comunitarie relative alle acque minerali e ai prodotti alimentari destinati a un’alimentazione particolare (…)”

Parimenti il Regolamento UE 1169/2011, art. 7 al titolo “Pratiche leali d’informazione” arricchendo ulte-riormente le precedenti definizioni recita: “Le informazioni sugli alimenti non inducono in errore, in particolare:

a) Per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento e, in particolare, la natura, l’identità, le pro-prietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d’origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione

b) Attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiedec) Suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti

analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive

d) Suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente”.

9.4 • LEGGIBILITÀ DELL’ETICHETTA E PRESENZA DI ALLERGENI

Il Regolamento UE 1169/2011 come evidente dai paragrafi precedenti ha introdotto diverse novità che riguardano, tra l’altro, la leggibilità dell’etichettatura (è previsto un corpo minimo per i caratteri utilizzati

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122 CAPITOLO 9 ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI

in etichetta) Altro fattore molto molto importante risiede nell’obbligatorietà dell’indicazione della presenza di ingredienti allergenici contemplando uno spettro molto più ampio di ingredienti e derivati rispetto alla normativa attualmente in vigore a livello nazionale:

Normativa vigente: D.lgs. 109/1992 Regolamento: UE 1169/2011

Allegato 2, sezione 3: allergeni alimentari

Allegato II: sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze

Cereali contenenti glutine, cioè• Grano• Segale• Orzo• Avena• Farro• kamut • i loro ceppi ibridati

e prodotti derivati

Cereali contenenti glutine, cioè: • Grano• Segale• Orzo• Avena• Farro• Kamut • i loro ceppi ibridati

e prodotti derivati, tranne:a) Sciroppi di glucosio a base di grano,

incluso destrosio (1) b) Maltodestrine a base di grano (1)c) Sciroppi di glucosio a base di orzod) Cereali utilizzati per la fabbricazione di

distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola

Crostacei e prodotti a base di crostaceiUova e prodotti a base di uova

Pesce e prodotti a base di pesce Pesce e prodotti a base di pesce, tranne: a) Gelatina di pesce utilizzata come

supporto per preparati di vitamine o carotenoidi

b) Gelatina o colla di pesce utilizzata come chiarificante nella birra e nel vino

Arachidi e prodotti a base di arachidi

Soia e prodotti a base di soia Soia e prodotti a base di soia, tranne: a) Olio e grasso di soia raffinato (1)b) Tocoferoli misti naturali (E306),

tocoferolo D-alfa naturale, tocoferolo acetato D-alfa naturale, tocoferolo succinato D-alfa naturale a base di soia

c) Oli vegetali derivati da fitosteroli e fitosteroli esteri a base di soia

d) Estere di stanolo vegetale prodotto da steroli di olio vegetale a base di soia

Latte e prodotti a base di latte (compreso il lattosio)

Latte e prodotti a base di latte (incluso lattosio), tranne:

a) Siero di latte utilizzato per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola

b) Lattiolo

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123ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI CAPITOLO 9

Frutta a guscio cioè mandorle • (Amigdalus communis L.), nocciole • (Corylus avellana), noci comuni • (Juglans regia), noci di acagiù • (Anacardium occidentale), noci pecan • [Carya illinoiesis (Wangenh) K. Koch], • noci del Brasile (Bertholletia excelsa), • pistacchi (Pistacia vera), noci del • Queensland (Macadamia ternifolia)

e prodotti derivati

Frutta a guscio, vale a dire: • mandorle (Amygdalus communis L.), • nocciole (Corylus avellana), • noci (Juglans regia), • noci di acagiù (Anacardium occidentale), • noci di pecan [Carya illinoinensis

(Wangenh.) K. Koch]• noci del Brasile (Bertholletia excelsa), • pistacchi (Pistacia vera), • noci macadamia o noci del Queensland • (Macadamia ternifolia),

e i loro prodotti, tranne per la frutta a guscio utilizzata per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola

Sedano e prodotti a base di sedanoSenape e prodotti a base di senape

Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo

Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10mg/kg o 10mg/l espressi come SO2

Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10mg/kg o 10mg/l espressi come SO2.Totale da calcolarsi per i prodotti così come proposti pronti al consumo o ricostituiti conformemente alle istruzioni dei fabbricanti

Lupini e prodotti a base di lupiniMolluschi e prodotti a base di molluschi

Tabella 1: Principali allergeni e indicazioni in etichetta

9.5 • INDICAZIONI NUTRIZIONALI

Una delle principali novità del Regolamento UE 1169/2011 è l’inserimento dal 13 dicembre 2016 della dichiarazione nutrizionale nell’elenco delle indicazioni obbligatorie. Fino a quella data in linea generale sussiste è la non obbligatorietà per le aziende alimentari di adottare l’etichettatura nutrizionale salvo alcune importanti eccezioni. Per esempio diventa obbligatoria quando:“una informazione nutrizionale figura in etichetta o nella presentazione o nella pubblicità dei prodotti alimentari ad eccezione delle campagne pubblicitarie”. Quindi, se ai fini pubblicitari vengono usate frasi concernenti informazioni nutrizionali del tipo “a basso contenuto calorico”, “limitato tenore di grassi”, “ricco di calcio”, “più ricco in fibra”, “ricco di acidi grassi polinsaturi”, “vitaminizzato” ecc., diventa obbligatoria l’etichetta nutrizionale. In armonia con questo principio l’etichettatura nutrizionale diviene obbligatoria per i prodotti alimentari su cui è riportata un’indicazione nutri-zionale e/o sulla salute (claims) e per gli alimenti addizionati di vitamine e minerali deve seguire le disposi-zioni indicate nel Regolamento UE 1169/2011, come viene indicato agli articoli 49 e 50 del medesimo Regolamento, che è in vigore dal 13 dicembre 2011 e in applicazione dal 13 dicembre 2014. In base a quanto appena detto emerge un altro importantissimo concetto relativamente ai claims salutistici che possono essere presentati esclusivamente se presenti indicazioni basate su prove scientifiche generalmente accettate. Questi accorgimenti vengono proposti con l’obiettivo di evitare la pubblicità ingannevole e contrastare la concorrenza sleale. Dal punto di vista operativo le aziende possono adottare termini o locuzioni, presenti in liste di indicazioni consentite, con le relative condizioni d’uso. Ogni espressione non presente in queste liste è da intendersi come vietata, se non oggetto di specifica richiesta di autorizzazione all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).L’elenco dei claims (approvati e non autorizzati) è consultabile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/nuhclaims

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124 CAPITOLO 9 ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Qual è lo scopo dell’etichettatura?• Quali sono le principali caratteristiche relative all’etichettatura?• Quali sono le principali prescrizioni relative agli ingredienti?• Quali sono le principali prescrizioni relative agli allergeni?• Quali sono le principali prescrizioni relative alle indicazioni nutrizionali?• Quali sono le principali prescrizioni relative ai claim salutistici?

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a cura di

Marco Neri e

Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 10

Additivi alimentari

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126 CAPITOLO 10 ADDITIVI ALIMENTARI

Obiettivi: • Comprendere il concetto di additivo alientare• Acquisire gli aspetti di base relativi alle principali categorie di additivi alimentari

10.1 • ADDITIVI ALIMENTARI DEFINIZIONI E GENERALITÀ

Scorrendo tutti gli ingredienti si arriva al fondo dell’etichetta e spesso si legge la parola “additivo” ma cosa sono realmente? Gli additivi alimentari sono sostanze che vengono aggiunte al cibo con lo scopo di aumentarne la stabilità (conservanti, coloranti, antiossidanti) e migliorarne l’appetibilità (aspetto, colore, aroma .). Non sono propriamente degli ingredienti e non hanno alcun valore nutrizionale. Questo tipo di sostanze vengono classificate a seconda della funzione, ad esempio, antiossidante, antimicrobica svolta negli alimenti e sono identificati da un numero e da una lettera. La lettera “E” indica che l’additivo in questione è riconosciuto e permesso in tutti i paesi dell’Unione Europea mentre il numero che segue ne definisce la categoria ad esempio E1 = colorante E3 = antiossidante, ecc.

10.2 • ELENCO DEGLI ADDITIVI ALIMENTARI

10.2.1 • Coloranti (da E 100 a E 180)Come indica il nome, vengono utilizzati per attribuire agli alimenti un aspetto più colorato. La dicitura “coloranti naturali” non significa che provengono dagli ingredienti dell’alimento, ma vuol dire semplice-mente che si trovano in natura. Autorizzati in molti alimenti, i coloranti naturali e artificiali permettono troppo spesso di trarre in inganno il consumatore sulla vera natura degli ingredienti utilizzati (per esempio, colorante giallo per suggerire la presenza di uova). Certi coloranti inoltre possono provocare in alcune persone allergie. Fare attenzione poi all’elenco di coloranti e conservanti. Alcuni sono “naturali” ma perlo-meno equivoci. Esempio il Carminio (E 124) suona come un innocente colorante per alimenti, ma in realtà è fatto con le carcasse frantumate di scarafaggi rossi della cocciniglia. Naturalmente, nessuno mangereb-be yogurt alle fragole se sulla etichetta ci fosse indicato “colorante rosso per alimenti a base di insetti”.Esempi di coloranti:

• amaranto• caramello• E100 curcumina• E101 lattoflavina o vitamina B2• E 140 clorofilla• E 153 carbone vegetale• E160 carotenoidi estratti dalle piante• E161 xantofille• E162 betanina estratta dalla barbabietola• E163 antociani estratti da frutta e verdura.

10.2.2 • Conservanti (da E 200 a E 297)I Conservanti sono sostanze che prevengono la proliferazione di batteri, muffe e fermenti responsabili del deterioramento degli alimenti. Per esempio, nel vino una piccola quantità di solfiti ne garantisce una sta-bilità migliore. Spesso i conservanti vengono utilizzati in alcuni prodotti (es: caramelle, chewing-gum....) anche per sopperire a scarse condizioni di igiene e conservazione durante il ciclo di produzione. In conclusione, si può dire che i conservanti sono solo a volte indispensabili. Come i coloranti anche i con-servanti possono provocare reazioni allergiche. Esempi di conservanti:

• acido benzoico• anidride solforosa

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127ADDITIVI ALIMENTARI CAPITOLO 10

• nisina• E 200 acido sorbico estratto dalle bacche di sorbo • E 201-203 sorbato di sodio, di potassio, di calcio • E 260 acido acetico • E 261 - 263 acetato di potassio, diacetato di sodio, acetato di calcio • E 270 acido lattico • E 290 anidride carbonica

10.2.2.1 • CONSERVANTI NOCIVI• Acido benzoico e suoi sali (E210, E211, E212, E213): sono usati da soli o insieme all’acido

sorbico e ai PHB. Non sono ammessi in alcuni paesi per la loro potenziale tossicità, inoltre gli alimenti ai quali vengono aggiunti sono soprattutto le confetture, le gelatine, le marmellate, le gomme da masticare e le bevande analcoliche, tutti prodotti che non necessitano di conservanti.,

• Esteri dell’acido p-Idrossibenzoico (E214, E215, E216, E217, E218, E219), indicati con la sigla PHB, sono vietati in alcuni paesi. Vengono addizionati ai patè, ai rivestimenti di gelatina dei prodotti a base di carne, alla frutta in guscio ricoperta.

• Derivati dell’anidride solforosa (E220, E221, E222, E223, E224, E226, E227, E228) sono irritanti e hanno una tossicità acuta e cronica, per esempio interagiscono con gli enzimi cellulari e distruggono alcune vitamine (per esempio la tiamina). Vengono usati nel vino, nella birra (anche per questo bisogna moderarne il consumo, non solo per l’alcol) e in altre bevande come i succhi di frutta, nella senape e in altri condimenti.

• Derivati fenolici e il tiabendazolo (E230, E231, E232 , E233) sono dotati di una certa tossicità, infatti sono proibiti in Australia. Vengono utilizzati per il trattamento superficiale degli agrumi e delle banane (per questo bisognerebbe usare solo la scorza delle arance non trattate).

• Netamicina (E235), un antibiotico utilizzato sulla superficie dei formaggi, (soprattutto dei provo-loni) provoca problemi intestinali.

10.2.2.2 • NITRITI E NITRATII nitriti (E249 ed E250) e i nitrati (E251 ed E252) sono utilizzati nei salumi e nelle carni conservate, e meritano un discorso a parte. I nitriti (E249, E250) e i nitrati (E251, E252) sono sostanze naturalmente presenti negli alimenti animali, vegetali e nell’acqua. Vengono aggiunti come additivi a insaccati, pro-sciutti, wurstel, carni in scatola e altri prodotti a base di carne, pesci marinati e a volte anche in prodotti caseari. I nitriti e i nitrati vengono utilizzati per i seguenti motivi:

• mantengono il colore rosso della carne;• favoriscono lo sviluppo dell’aroma agendo selettivamente nei confronti dei microorganismi che

determinano la stagionatura dei salumi;• svolgono azione antimicrobica e antisettica, soprattutto nei confronti del botulino.

I nitriti e i nitrati non vengono usati come semplici conservanti, per il cui scopo il dosaggio sarebbe molto inferiore a quelli utilizzati, ma soprattutto come coadiuvante tecnologico per alterare artificialmente la qualità dei prodotti (soprattutto il colore delle carni). Paradossalmente, il consumatore vuole acquistare salumi cotti di colore rosa, il colore della carne cotta addizionata con nitriti. Qualunque produttore che non usasse nitriti dovrebbe proporre insaccati cotti di colore grigio, il colore naturale della carne cotta, andando fuori mercato! Rimane a questo punto importante chiarire alcuni aspetti metabolici relativi agli effetti fisiologici di Nitriti e Nitrati:

• I Nitriti in ambiente acido (soprattutto nello stomaco) si trasformano in acido nitroso il quale legandosi alle ammine da origine alle nitrosammine, composti dimostratesi cancerogeni. Inoltre i nitriti si legano all’emoglobina ossidandola a metaemoglobina, riducendo quindi il trasporto di ossigeno ai tessuti. Questa circostanza è particolarmente pericolosa per i neonati (che assorbono una maggior quantità di nitriti), ai quali infatti non vengono somministrate verdure ricche di nitrati fino all’ottavo mese di vita. Secondo l’AIRC (Ass. It. Ricerca sul Cancro) il consumo di insaccati con conservanti è una della cause accertate di cancro allo stomaco. Infatti nello stomaco si trova

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128 CAPITOLO 10 ADDITIVI ALIMENTARI

un ambiente acido molto favorevole alla formazione di nitrosammine.• I Nitrati di per sè sono innocui, ma tendono a trasformarsi in nitriti dalla flora batterica della

saliva, per poi ritornare nello stomaco, come vedremo, però, in natura esistono alimenti che con-tengono grandi quantità di nitrati, molti di più rispetto a quelli utilizzati negli insaccati.

Uno studio del 2006 della Columbia University di New York mostra che il consumo di insaccati conser-vati con nitriti può ridurre le funzioni respiratorie del 3%, una sensibile compromissione che potrebbe avere preoccupanti effetti in soggetti che presentano già patologie anche leggere come le bronchiti. Lo studio ha interessato 7500 soggetti: il 20% non aveva mai mangiato insaccati conservati con nitriti, un altro 20% invece ne consumava almeno 14 volte al mese. Questi ultimi mostravano una significativa ridu-zione della capacità di espellere l’aria, al punto da far ipotizzare che il consumo di insaccati conservati con nitriti raddoppi il declino delle capacità polmonari. Sembra che la causa di questo danno polmonare sia da imputare ai composti contenenti nitrogeni (nitriti e nitrati), usati nella preparazione degli insaccati, i quali, una volta ingeriti, attaccano e distruggono le proteine che contribuiscono all’elasticità dei polmoni. A questo punto quello che è importante valutare è l’effettiva necessità di nitriti e nitrati sulla base di alcune considerazioni:

• I salumi sono stati prodotti per secoli utilizzando solo conservanti naturali: sale, pepe, peperon-cino, spezie, fumo.

• Il nitrato, o salnitro, è da sempre utilizzato nella conservazione dei salumi, infatti il salnitro sotto forma di efflorescenze in ambienti umidi, cantine, grotte, stalle, dove è possibile l’azione dei batteri nitrificanti.

Purtroppo dal dopoguerra in poi si è diffusa talmente tanto la pratica dell’utilizzo dei nitriti che alla domanda “perché usate nitriti?” persino molti laboratori artigianali rispondono che altrimenti sarebbe impossibile commercializzare il prodotto. Evidentemente non è così, perché andando a cercare bene si scopre che esistono piccoli produttori che commercializzano salumi senza conservanti non solo nel loro punto vendita, ma anche inviandoli in tutta Italia o addirittura all’estero senza problemi di conservazione. Le motivazioni sull’uso di nitriti risiedono solamente nella sicurezza per il produttore e nel vantaggio economico di avere sempre un prodotto di colore standard anche dopo mesi o dopo una conservazione non ottimale. Per esempio, i nitriti consentono di produrre salumi utilizzando scarti di lavorazione, come le rifilature dei prosciutti, acquistati da diversi salumifici. Inoltre le condizioni igieniche di queste materie prime costringono all’uso di nitriti, poiché il rischio di contaminazione batterica è molto alto. Se invece il norcino lavora intere mezzene, magari allevate nella stessa azienda in cui avviene la macellazione, i nitriti non servono... E anche la qualità sarà superiore, perché nella mezzena ci sono anche i tagli di qualità superiore, nelle rifilature no! Un motivo in più per scegliere prodotti senza nitriti! Risulta comunque molto importante chiarire che nitrati e nitriti sono presenti, oltre che negli alimenti conservati anche in natura. Gli alimenti che contengono più nitriti e nitrati in assoluto sono le bietole e il sedano, seguiti dalle rape e dagli spinaci. Il contenuto in nitrati è elevato (fino a 2700 mg per kg di prodotto), mentre il contenuto di nitriti è abbastanza basso (6 mg per kg per le bietole, 2,7 per gli spinaci, meno di 1 mg per kg per gli altri vegetali). Da notare che gli alimenti contenenti molti nitrati contengono anche molta vitamina C, che scongiura il pericolo che essi vengano trasformati in nitrosammine. Come spesso accade, la natura neutralizza da sola le sostanze potenzialmente pericolose. La legge consente l’aggiunta negli alimenti di un quantitativo massimo di nitriti pari a 150 mg per kg di prodotto, 25 volte quella massima presente nei vegetali. Mangiare 1 kg di salume conservato con nitrati e vitamina C equivale a mangiare 100 g di bietole, dal punto di vista dell’ingestione di nitrati: dunque non ha senso demonizzare i salumi conservati con tale metodo. I salumi conservati con nitriti, invece, andrebbero evitati. Conoscendo le quantità uti-lizzate si potrebbe discriminare tra salume e salume, in base al contenuto effettivo di nitriti, ma purtroppo attualmente non è pratica comune

10.2.3 • Antiossidanti e acidificanti (da E 300 a E 385)Gli antiossidanti sono utilizzati per frenare il deterioramento degli alimenti causato dal contatto con l’ossi-geno dell’aria. Gli acidificanti, invece, aumentano l’acidità degli alimenti per prolungarne la conservazio-ne o per ragioni di gusto (es: caramelle acidule).

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129ADDITIVI ALIMENTARI CAPITOLO 10

Esempi di antiossidanti: • acido ascorbico• acido citrico• acido tartarico.

Esempi di acidificanti: • acido adipico• acido succinico. • E 300 acido ascorbico• E 301-304 derivati dell’acido ascorbico• E306 vitamina E naturale tocoferolo• E 307-309 tocoferolo di sintesi• E322 lecitine naturali estratte dalla soia e dal tuorlo d’uovo• E 330 acidi citrico di sintesi• E 331-333 citrati• E 334 acido tartarico di sintesi• E-335-337 tartrati

10.2.4 • Esaltatori di sapidità (da E 620 a E 640)Questi additivi, i più noti dei quali sono i glutammati, servono a intensificare o a modificare il gusto degli alimenti, per questo motivo risultano essere spesso inutili e ingannevoli in quanto mascherano carenze di gusto e di qualità degli alimenti. Il glutammato si può ritrovare in una quantità vastissima di prodotti alimen-tari e questa assunzione elevata giornaliera può provocare intolleranze anche in chi non è comunemente sensibile a questo additivo. Esempio di esaltatore di sapidità:

• glutammato• inosinato• guanilato

10.2.4.1 • GLUTAMMATOIl Glutammato monosodico è il sale di sodio dell’acido glutammico, un amminoacido molto diffuso in tutti gli alimenti proteici. Insieme ad altre sostanze è responsabile del cosiddetto “quinto gusto”, o umami, che insieme al dolce, salato, amaro e acido costituisce i cinque gusti percepibili dall’uomo. Infatti esiste sulla lingua un recettore specifico per questa sostanza. Per questa capacità di stimolare i recettori del gusto il glutammato è in grado di rendere più intensi i sapori dei cibi, poiché accresce la presenza di altre componenti di attivazione del gusto, creando un complesso di sensazioni di piacere e appetibilità tipici degli alimenti in cui è presente glutammato. Questa caratteristica è utilizzata anche a scopo terapeutico per aumentare l’appetibilità dei cibi in soggetti inappetenti come gli anziani e coloro che si sottopongono a chemioterapia.

10.2.5 • Agenti di rivestimento (agenti leviganti o lucidanti) (da E 900 a E 948)Queste sostanze, applicate alla superficie di un alimento, conferiscono un aspetto brillante o liscio e possono anche costituire un rivestimento protettivo. Tuttavia, in alcuni casi, hanno solamente una funzione estetica: aspetto brillante dei chicchi di caffè, mele ecc ..Esempio di agenti di rivestimento:

• cera d’api.

10.2.6 • Amidi modificati (da E 999 a E 1518 altre categorie di additivi tra cui gli amidi modificati)Questi additivi sono ottenuti per mezzo di uno o più trattamenti chimici degli amidi alimentari. Con un trattamento fisico, questi amidi vengono modificati affinchè possano avere la funzione desiderata: amal-gamare gli ingredienti, legarli ecc . Non si tratta di sostanze OGM (organismi geneticamente modificati) e sono considerate accettabili dal punto di vista sanitario.

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130 CAPITOLO 10 ADDITIVI ALIMENTARI

Esempio di amidi modificati: • fosfato di diamido• amido acetilato.

10.2.7 • Edulcoranti artificiali (da E 950 a E 967, E 420, E 421)Sostituiscono gli zuccheri in alcuni prodotti light come le bibite, i nettari, la gomma da masticare, alcuni dolci, la birra, gli yogurt ecc Sono utili in alcune particolari circostanze come per esempio nelle persone che non possono consumare zuccheri, ma il rischio, soprattutto per i bambini, è che si raggiunga molto rapidamente la dose giornaliera autorizzata. Esempi di edulcoranti artificiali:

• sorbitolo• xilitolo• aspartame• saccarina• maltitolo.

10.2.7.1 • GENERALITÀ SUGLI EDULCORANTIVista la sempre più massiccia immissione sul mercato di prodotti che presentando la dizione “senza zucchero”, “light” o “diet”, all’interno dei quali vengono utilizzati sostitutivi dello zucchero (saccarosio) per dolcificare il prodotto, è opportuno aprire una parentesi per spiegare meglio quali sono le tipologie, l’utilizzo e i possibili rischi che comportano l’utilizzo dei principali edulcoranti (o dolcificanti) utilizzati in Italia. Nel nostro paese gli edulcoranti sono autorizzati e regolamentati come prodotti dietetici secondo direttive comunitarie (CE 94/35). Gli edulcoranti possono essere divisi in 2 grandi categorie

• I Polioli • Gli edulcoranti intensivi

10.2.7.2 • POLIOLITalvolta chiamati polialcoli o zuccheri-alcol, sono agenti edulcoranti “di sostituzione” o “di massa”. Quelli più utilizzati in Italia sono il sorbitolo (o sciroppo di sorbitolo), il maltitolo (o sciroppo di maltitolo), il mannitolo, l’isomalto e lo xilitolo. Di utilizzo meno frequente il lactitolo. I polioli hanno un potere dolcifi-cante medio, simile a quello del saccarosio. Il loro contenuto energetico è più basso rispetto a quello degli zuccheri alimentari ma resta comunque significativo: circa 2,4 kcal/g contro 4 kcal/g dello zucchero.Di conseguenza i prodotti che contengono polioli non sono acalorici come gli edulcoranti intensivi. I polioli hanno però il vantaggio tecnologico, rispetto agli edulcoranti intensivi, di dare consistenza ai prodotti finiti. Sono perciò presenti in tutte le gomme e caramelle “senza zucchero” (sono poco cariogeni). Non possono invece essere utilizzati nelle bevande.

10.2.7.3 • EDULCORANTI INTENSIVISostanze edulcoranti ad alto potere dolcificante (da 30 a 500 volte il saccarosio). I quattro edulcoranti intensivi di uso corrente in Italia sono l’acesulfame K, l’aspartame, il ciclammato (acido ciclamico e suoi sali di sodio e calcio) e la saccarina (e i suoi sali di sodio, potassio e calcio). Altri due edulcoranti inten-sivi sono autorizzati nei Paesi della Comunità Europea ma non vengono praticamente utilizzati in Italia: la neoesperidina DC e la taumatina. Gli edulcoranti intensivi sono presenti sia nei cosiddetti “edulcoranti da tavola” (in compresse, bustine, polvere o gocce) che nella maggior parte dei prodotti cosiddetti “senza zucchero”, “light” o “diet” . Il loro potere calorico è quasi nullo. Poiché ne bastano piccolissime quantità, sostituire il saccarosio con queste sostanze permette di ridurre notevolmente l’apporto calorico di un ali-mento.Potere dolcificante raffrontate al saccarosio

• Fruttosio 1,3• Saccarosio 1• Xilitolo 0,8

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131ADDITIVI ALIMENTARI CAPITOLO 10

• Maltitolo ,Sorbitolo e glucosio 0,7 • Mannitolo 0,5• Maltosio 0,4• Amido 0

Molecole di sintesi:• Saccarina 400• Acelsulfame 200• Aspartame 180• Ciclamato 50

10.2.7.4 • DOSE MASSIMA AMMISSIBILECome per la maggior parte degli additivi alimentari, l’abuso di edulcoranti può provocare danni all’or-ganismo. Pertanto è consigliabile non superare la Dose Giornaliera Ammissibile (DGA), cioè la quantità, calcolata in funzione del peso corporeo, che si può assumere quotidianamente per tutta la vita senza rischio per la salute

DGA (mg/kg peso corporeo)Saccarina 5Aspartame 40Acesulfame K 9Ciclammato 11Nell’adulto il rischio di superare la Dose Giornaliera Ammissibile esiste solo se un soggetto consuma tutti i giorni diverse categorie di alimenti che contengono lo stesso edulcorante o un unico alimento ma in quantità elevate. Questo rischio teorico è più elevato con il consumo di bevande che non con il consumo di caramelle o gomme (per via della quantità più elevata ingerita in ogni occasione di consumo). Il rischio teorico è inoltre più elevato per la saccarina che per gli altri edulcoranti intensivi per via della sua DGA più bassa. Nel bambino il rischio di superare la DGA è più elevato a causa del loro basso peso rispetto all’adulto. In conclusione, chi volesse fare un uso sistematico di prodotti senza zucchero deve prestare attenzione alle etichette per poterne controllare il consumo quotidiano. E’ importante precisare che raggiungere saltuaria-mente la DGA non costituisce un rischio per la salute.

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Definire il concetto additivo alimentare• Quali sono gli aspetti di base da acquisire relativamente alle principali categorie di additivi ali-

mentari?

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a cura di

Marco Neri e

Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 11

Alimenti biologici:aspetti fondamentali

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134 CAPITOLO 11 ALIMENTI BIOLOGICI: ASPETTI FONDAMENTALI

Obiettivi: • Comprendere gli aspetti fondamentali relativi agli alimenti biologici• Saper illustrare gli aspetti fondamentali relativi agli alimenti biologici

11.1 • ALIMENTI BIOLOGICI: ASPETTI FONDAMENTALI

Viene definita coltivazione biologica quel tipo di agricoltura che, al contrario delle produzioni OGM, si propone essenzialmente di ottenere prodotti sani nel rispetto dell’ambiente, della terra e dell’uomo, che non mira ad un aumento spropositato della produzione, ma punta sulla qualità. La produzione BIO per essere tale deve rispettare il regolamento Regolamento CE 834/2007 (e successivi aggiornamenti) che appunto la definisce con recitando letteralmente:«La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agro-alimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali» (Considerando n.1 del Regolamento CE 834/2007)Il Regolamento CE 834/2007 si applica ai seguenti prodotti agricoli, compresa l’acquacoltura e il lievito:

• prodotti agricoli vivi o non trasformati• alimenti trasformati• alimenti per animali• sementi e materiali di moltiplicazione vegetativa.

Nel campo di applicazione è inclusa anche la raccolta di piante selvatiche e di alghe marine, mentre non sono inclusi i prodotti provenienti dalla caccia e dalla pesca di animali selvatici. All’interno del Regolamento CE 834/2007 sono presenti norme dettagliate per la produzione, trasformazione ed etichettatura dei prodotti vegetali biologici allo scopo di assicurare condizioni di concorrenza leale fra i produttori europei e di consentire ai consumatori di distinguere queste produzioni sul mercato. Il regolamento ha inoltre sta-bilito, a garanzia dei consumatori, un regime di controllo a cui si devono obbligatoriamente assoggettare tutti gli operatori: produttori, trasformatori e rivenditori. Le norme comunitarie sulla produzione biologica prevedono che la fertilità e l’attività biologica del suolo debbano essere conservate ed aumentate con:

• Reintroduzione di una adeguata rotazione pluriennale• Coltivazione di leguminose • Coltivazione di altre colture da sovescio, • Incorporazione nel terreno di materiale organico aziendale (residui colturali, letame, compost).

La rotazione delle colture si basa sul fatto che non tutte le piante hanno bisogno delle stesse sostanze nutri-tive: alcune, mentre assorbono dal terreno certi sali minerali, lo arricchiscono di altri. Così, ad esempio, si alternano coltivazioni che privano il terreno d’azoto, come il frumento, con altre coltivazioni che invece lo arricchiscono di questa sostanza, come alcune piante che contengono nelle loro radici batteri capaci di fissare l’azoto atmosferico, trasformandolo in sostanze azotate utili alle piante. La tecnica del sovescio consiste nella semina di una coltura erbacea di breve durata (erbaio) allo scopo non di raccoglierne il prodotto, ma di interrarne la massa verde per fertilizzare la coltura successiva o il frutteto dove é stato seminata. L’esempio più comune è l’interramento di erbai invernali di leguminose, come la favetta, con il quale si possono fornire al terreno interessanti apporti di azoto. Ma il sovescio, detto anche concime verde, può essere fatto anche seminando graminacee, crucifere ed altre specie erbacee. La lotta contro i parassiti, le malattie e le piante infestanti, deve essere invece imperniata su:

• scelta di specie e varietà adeguate• programma di rotazione appropriato• diserbo meccanico • pirodiserbo (scottatura delle infestanti)• protezione dei nemici naturali dei parassiti grazie a provvedimenti ad essi favorevoli (cura o

impianto di siepi).

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135ALIMENTI BIOLOGICI: ASPETTI FONDAMENTALI CAPITOLO 11

La lotta a malattie e insetti si ottiene con due metodi: la piantumazione di siepi ed alberi che, oltre a ricreare il paesaggio, danno ospitalità ai predatori naturali dei parassiti e fungono da barriera fisica a possibili inquinamenti esterni; la consociazione, ossia la coltivazione in parallelo di piante sgradite l’una ai parassiti dell’altra. Nel caso che questi provvedimenti non siano sufficienti a garantire un’adeguata produzione delle colture è possibile utilizzare alcuni prodotti commerciali, quali:

• ammendanti (letame)• concimi azotati (pollina e guano)• fosfatici (fosforiti e scorie Thomas)• potassici (sali grezzi di potassio)• insetticidi (piretro, quassio, Bacillus thuringiensis) • fungicidi (rame e zolfo).

L’elenco dei prodotti ammessi in agricoltura biologica è periodicamente aggiornato in sede comunitaria. Per quanto riguarda l’allevamento, esistono norme severe circa l’alimentazione degli animali e la loro tenuta che deve essere particolarmente rispettosa delle esigenze naturali del bestiame. Tutto il ciclo di produzione degli alimenti definiti per legge biologici è controllato e certificato dagli Organismi autorizzati dal Ministero delle Risorse Agricole in base al Regolamento CEE, attraverso tecnici e laboratori accreditati. Ogni Organo di controllo ha una propria denominazione e logo che deve essere riportato sull’etichetta dei prodotti controllati. Di fatto una coltivazione non si considera biologica solamente perché non utilizza prodotti chimici, ma quando rispetta l’ambiente e gli individui che vi lavorano e vivono. In sintesi questi sono i principi guida che dovrebbero ispirare l’agricoltura biologica:

• agire per la salvaguardia dell’ambiente e il rispetto degli equilibri naturali; • ridurre il carico inquinante apportato dalle sostanze chimiche normalmente utilizzate nell’agricol-

tura convenzionale• salvaguardare la salute degli operatori agricoli (rischio di intossicazioni croniche ed acute, aller-

gie, altre patologie)• ridurre o eliminare i residui di sostanze chimiche tossiche negli alimenti• migliorare le caratteristiche nutrizionali ed organolettiche dei prodotti coltivati, cioè minor conte-

nuto di nitrati, maggior contenuto di vitamine, maggior contenuto di sostanza secca; • allevare gli animali in maniera il più possibile conforme alle esigenze biologiche ed etologiche

delle singole specie; • valorizzare il benessere psicofisico dell’uomo attraverso l’utilizzo di alimenti coltivati in modo

naturale• migliorare la fertilità del terreno attraverso l’utilizzo di fertilizzanti ed ammendanti organici• produrre in qualità e non in quantità per affrontare i problemi di eccedenze della comunità euro-

pea• rivalutare le possibilità produttive di piccole aziende ed aziende marginali in stato di crisi nel

mercato del convenzionale.

In definitiva alla luce dei suddetti regolamenti per immettere un prodotto biologico sul mercato si deve seguire il seguente processo:

• gli agricoltori devono sottostare ad un periodo di conversione, prima di produrre e commercializ-zare prodotti certificati biologici

• gli agricoltori, i trasformatori e i distributori all’ingrosso, devono rispettare le prescrizioni dettate dal Regolamento CE 834/2007, dal Regolamento CE 889/2008 e successive modifiche

• gli agricoltori, trasformatori e distributori all’ingrosso, sono soggetti ad ispezioni da parte degli orga-nismi di controllo europei o altre autorità per garantire la conformità dei loro processi e prodotti

• i produttori che risultano conformi ai controlli potranno etichettare il loro prodotto come biologico.

Dal punto di vista nutrizionale i cibi biologici presentano un minor rischio tossicologico ed allergenico in quanto, come citato precedentemente, vengono prodotti senza l’uso di sostanze chimiche spesso mal tollerate dall’organismo umano, inoltre non possono contenere organismi geneticamente modificati, per cui

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136 CAPITOLO 11 ALIMENTI BIOLOGICI: ASPETTI FONDAMENTALI

vengono controllate le forniture di sementi e materie prime. Purtroppo le produzioni BIO presentano dei limiti che incidono su diversi fattori quali:

• rese produttive inferiori ai normali tipi di produzione• incertezza sulla garanzia totale dei sistemi e metodi usati per la coltivazione e produzione del

prodotto• costi di produzione maggiori che si ripercuotono sul prezzo al dettaglio• tempi di conservazione minori• aspetto dei prodotti spesso poco invitante

Il costo del cibo risulta essere il fattore che maggiormente influenza il consumatore nel ritenere per sé necessario o no un dato alimento; nelle indagini di mercato si classifica generalmente al secondo posto per importanza nel determinare le scelte del consumatore, dopo il sapore del cibo. All’interno della vasta gamma di prodotti offerti dal mercato, il consumatore può mangiare solo ciò che può permettersi o ciò che si vuole permettere, quindi gli ultimi tre punti citati in precedenza diventano per il consumatore un fattore limitante l’acquisto di prodotti BIO che risultano spesso essere “prodotti d’elite” e non per tutti.

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Quali sono gli aspetti fondamentali relativi agli alimenti biologici? • Illustrare sinteticamente i principi alla base della produzione e consumo di prodotti biologici

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a cura di

Marco Neri e

Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 12

Organismi geneticamentemodificati: aspetti fondamentali

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138 CAPITOLO 12 ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI: ASPETTI FONDAMENTALI

Obiettivi: • Comprendere gli aspetti fondamentali relativi agli alimenti biologici• Saper illustrare gli aspetti fondamentali relativi agli alimenti biologici

12.1 • ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI : ASPETTI FONDAMENTALI

La creazione degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) è ormai una realtà consolidata. Gli utilizzi di queste nuove biotecnologie hanno coinvolto inizialmente settori come la produzione di farma-ci e la medicina in generale, per poi passare anche ad altri settori come l’agroalimentare e la tutela dell’ambiente. In ambito comunitario l’utilizzo di prodotti OGM nel settore agroalimentare viene definito dal Regolamento CE 1829/2003, art. 3 par. 1, che testualmente definisce come alimenti geneticamente modificati:gli “OGM destinati all’alimentazione umana, gli alimenti che contengono o sono costituiti da OGM e gli alimenti che sono prodotti a partire da o che contengono ingredienti prodotti a partire da OGM”.Stabilendo che:Tali alimenti non devono: provocare effetti nocivi alla salute umana e/o animale o all’ambiente; ingannare i consumatori; differenziarsi dagli alimenti convenzionali che intenderebbero sostituire in modo tale da rendere il loro consumo normale svantaggioso per i consumatori in termini di apporto nutrizionale.Per poter essere commercializzati inoltre le autorità nazionali competenti devono rilasciare apposita auto-rizzazione, come previsto dall’art. 4 par. 2. Risulta opportuno evidenziare che gli obblighi relativi all’eti-chettatura dei prodotti contenenti OGM che hanno ottenuto l’autorizzazione non sono legati a problemi di sicurezza alimentare ma alla garanzia di una corretta informazione del consumatore, tutelando così la sua libertà di scelta. I prodotti agricoli transgenici esistono già da diversi anni e vengono coltivati soprattutto in Canada e negli USA. La produzione è concentrata in quattro paesi:

• 68% in USA• 22% in Argentina• 6% in Canada • 3% in Cina

per un totale pari al 99%; dedicata principalmente a quattro tipi di colture: • 63% di soia• 19% di mais• 13% di cotone • 5% di colza.

Negli USA circa il 60% della soia coltivata è transgenica, questo dato rende l’idea di quanto imponente e rapida sia stata la penetrazione di queste nuove varietà in agricoltura; inoltre, considerando che gli USA sono i maggiori esportatori al mondo di soia, si può affermare che il 5% circa della soia che circola nel mondo è transgenica. In Europa la situazione è abbastanza diversa: oltre alla prudenza manifestata dai governi dell’Unione Europea (che difendono il principio della “massima precauzione”), l’ostilità abba-stanza diffusa da parte dei consumatori ha frenato la massiccia coltivazione e commercializzazione dei prodotti dell’agricoltura biotecnologica. In Italia, la coltivazione in campo di OGM è proibita, se non a scopo sperimentale, e comunque, in aree confinate e opportunamente individuate tramite specifiche auto-rizzazioni. Le attenzioni poste dal nostro Paese al settore primario si estendono anche alle attività a valle: dalla trasformazione fino alla distribuzione. Le principali modifiche fatte a questi organismi riguardano la resistenza ad erbicidi ed insetti, la maschiosterilità e l’inibizione della marcescenza. Il numero dei geni impiegati in queste modificazioni non è superiore alla decina. Nella maggior parte dei casi il gene inse-rito non appartiene alla stessa specie dell’organismo ospite. Non c’è modo di sapere come l’organismo reagirà alla presenza di una proteina estranea, né come questa influenzerà il metabolismo e la biochimica cellulare. Anche questo può generare effetti imprevisti. L’effetto di un gene dipende dal contesto in cui si trova. In un ambiente nuovo è attualmente impossibile prevederlo. La maggior parte delle proteine estranee

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139ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI: ASPETTI FONDAMENTALI CAPITOLO 12

inserite in organismi edibili non hanno mai fatto parte dell’alimentazione umana. Quindi non è possibile prevedere se l’alimento è sicuro se non attraverso una valutazione estensiva del rischio alimentare. Anche se la tipologia dei geni utilizzati attualmente rende questa categoria di fenomeno di rischio meno probabi-le delle altre, non si può escludere la possibilità che nel DNA inserto possano finire, inavvertitamente, delle sequenze di regolazione in grado di provocare complicazioni impreviste. La presenza di una sequenza di DNA inserito con attività di regolazione impreviste e in grado di influire anche sull’attività di altri geni, può manifestarsi con effetti diversi tra i quali la produzione di sostanze pericolose. L’ingegneria genetica porta alla produzione di “proteine di fusione” che possono risultare allergeniche. Queste proteine si gene-rano da legame di sequenze di DNA che provengono da diverse sorgenti; la regione in cui le proteine vengono unite tende ad assumere conformazioni molto diverse da quelle originarie e piuttosto differenti da quelle che si riscontrano nelle proteine naturali. Tali conformazioni anomale possono indurre una risposta allergica alla proteina. Un certo numero di complicazioni biochimiche impreviste a carico del metabolismo di piante transgeniche è stato già riscontrato e documentato, ma causa della politica industriale portata ad esagerare i vantaggi del biotech, c’è il sospetto che molti dati possano non essere stati riportati.NOTA: occorre sottolineare come la “filosofia” OGM sia comunque da sempre presente nella storia agricola, infatti tutte le specie di fiori e frutta non presenti in natura ottenute con innesti sono una “manipo-lazione genetica” ottenuta con metodiche meno tecnologiche.

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Quali sono gli aspetti fondamentali relativi agli organismi geneticamente modificati? • Illustrare sinteticamente i principi alla base della produzione e consumo degli organismi genetica-

mente modificati

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a cura di

Alexander Bertuccioli

CAPITOLO 13

Integratori alimentari

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142 CAPITOLO 13 INTEGRATORI ALIMENTARI

Obiettivi: • Comprendere il concetto di integratore alimentare• Acquisire gli aspetti fondamentali relativi ai principali integratori con finalità plastica• Acquisire gli aspetti fondamentali relativi ai principali integratori con finalità energetica• Acquisire gli aspetti fondamentali relativi ai principali integratori per il benesserefisico

13.1 • INTEGRATORI ALIMENTARI

L’articolo 2 del Decreto Legislativo n° 169 del 21 Maggio 2004 definisce come segue gli integratori alimentari:“Prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate. I termini: «complemento alimentare» o: «supple-mento alimentare» sono da intendersi come sinonimi di: «integratore alimentare».”

13.1.1 • Principali categorie di integratori alimentariAlla luce della suddetta definizione risulta molto difficile considerare alcune molecole , come per esempio quelle di estrazione vegetale, degli integratori propriamente detti in quanto non è possibile pensare in senso stretto all’integrazione di sostanze normalmente non presenti nell’organismo umano come la caffei-na, la sinefrina o le catechine del the. Per questo ai fini della seguente trattazione saranno considerati esclusivamente gli integratori propriamente detti ovvero costituiti da una molecola o dai precursori di una molecola normalmente presente nell’organismo umano. Fra questa serie di sostanze è possibile isolare due macro categorie:

• Integratori con finalità plastiche;• Integratori con finalità energetiche.

13.2 • INTEGRATORI ALIMENTARI CON FINALITÀ PLASTICHE

13.2.1 • Proteine in polvereIn commercio è possibile reperire concentrati proteici in polvere ottenuti da diverse fonti:

• Latte: Vengono ottenute dal latte due principali tipologie di concentrati proteici:o Proteine del siero del latte (lattalbumine e lattoglobuline): Di ottima digeribilità, ricche

di amminoacidi essenziali, implicano un assimilazione relativamente veloce, a seconda delle capacità digestive del soggetto nell’ordine di qualche decina di minuti. Con un prodotto di buona qualità è possibile raggiungere un valore biologico superiore a quel-lo delle proteine dell’uovo. Valutate dal punto di vista analitico questo tipo di proteine dimostrano sia un ottimo valore biologico che un ottimo indice di efficienza proteica. Esistono numerosi formulati a base di proteine del siero del latte che si differenziano note-volmente sulla base di diverse caratteristiche quali concentrazione, contenuto di sodio, purezza ecc, ovviamente caratteristiche superiori sono correlate anche a costi superiori. Generalmente uno dei primi processi di lavorazione e isolamento, comune a tutte le proteine del siero del latte di buona qualità è l’ultrafiltrazione che permette di ottenere un prodotto dalla concentrazione proteica compresa tra il 73% e 83% circa con un tenore di grassi compreso tra il 4% e il 6%, i prodotti ottenuti con questa tecnologia trovano largo impiego in quanto caratterizzati da costi relativamente contenuti. Un processo di lavoro di livello superiore è quello ottenibile mediante microfiltrazione che permette di ottenere un prodotto con concentrazione proteica vicina al 90% circa e con tenore di grassi e lattosio intorno a 1%. Il processo di lavorazione qualitativamente e tecnologicamente

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143INTEGRATORI ALIMENTARI CAPITOLO 13

superiore prevede l’isolamento mediante scambio ionico, questa lavorazione permette di ottenere un prodotto dalla concentrazione proteica superiore al 90% con un contenuto sia di grassi che di lattosio intorno al 1% , questo prodotto rappresenta qualitativamente il massimo a costi però nettamente superiori a quelli dei prodotti ottenuti per ultrafiltrazione. Prodotti di buona qualità disponibili commercialmente possono essere realizzati anche con miscele di questi prodotti.

o Caseine: Considerate qualitativamente inferiori alle Lattalbumine, hanno tempi di dige-stione piuttosto lunghi, implicano un assimilazione decisamente lenta: a seconda delle capacità digestive del soggetto nell’ordine di diverse ore. Vengono utilizzate per avere un rilascio di amminoacidi lento e graduale Valutate dal punto di vista analitico questo tipo di proteine dimostrano sia un buon valore biologico che un buon indice di efficien-za proteica. Le caseine mostrano la caratteristica aumentare notevolmente di volume (a cagione della capacità di assorbire notevoli quantitativi di acqua.), questo comporta un valido effetto di riempimento dello stomaco conferendo un buon senso di sazietà e ren-dendo quindi il prodotto particolarmente adatto nella formulazione di pasti sostitutivi. Per questo le caseine richiedono tempi di digestione più lunghi rispetto alle proteine del siero del latte mostrandosi indicate per tutte quelle situazioni che richiedono un assimilazione graduale.

o Proteine totali del latte: Questo prodotto mostra naturalmente una composizione suddivisa tra l’ 80% di caseine e il 20% di proteine del siero. In virtù di queste caratteristiche mostra-no un buon valore biologico che un buon indice di efficienza proteica permettendo la rapida assimilazione del 20% di proteine del siero e l’assimilazione lenta e graduale dell’80% di caseine.

• Uova: Preparati qualitativamente validi sono prevalentemente a base di ovalbumine, costitui-scono una delle proteine con il massimo valore biologico disponibile, in assenza di particolari lavorazioni risulta difficile una buona palatabilità

• Carni: Proteine estratte dalla carne a diverse mandate vengono proposte sul mercato, sicuramente interessante è la composizione amminoacidica quasi quanto difficile è la palatabilità di un pro-dotto di questo tipo

• Soia: Preparati caratterizzati da valore biologico e indice efficienza proteica interessanti a patto che le formulazioni vengano opportunamente realizzate ed eventualmente integrate con gli aminoa-cidi limitanti. Peculiare delle proteine della soia è (analogamente a quanto accade per le caseine) la capacità di aumentare notevolmente il volume a causa della notevole capacità di assorbimento dell’acqua. Altra caratteristica da valutare è il contenuto in isoflavoni (tra cui in particolare la geni-steina) i cui effetti sulla salute vanno valutati in base alle specifiche caratteristiche del soggetto: in quanto potenzialmente positivi o meno. Notevole vantaggio correlato alle proteine estratte da soia è il costo notevolmente inferiore a quello di proteine ricavate dalla lavorazione del latte

Esistono inoltre formulazioni che prevedono l’impiego di proteine a ridotti livelli di concentrazione addi-zionate in glucidi, lipidi polinsaturi, vitamine, minerali ed enzimi digestivi (con la finalità di facilitare digestione e assimilazione), commercialmente questi prodotti vengono definiti weight gainers. La finalità di simili formulazioni è quella di conferire un apporto sia plastico che energetico. Considerando inoltre i limiti entro i quali l’assimilazione proteica da parte dell’organismo umano per singola somministrazione avviene con efficienza ovvero 20/30 g, si rende ragione del perché questi prodotti non usino concentrazioni o comunque dosaggi superiori

13.2.2 • Pool di aminoacidi complessiQuesti formulati vengono realizzati con lo specifico obiettivo di riprodurre uno spettro aminoacidico quanto più simile possibile a quello del tessuto muscolare, fornendo quindi un miscela teoricamente ideale per favorire la sintesi di nuovo tessuto muscolare. Prodotti di questo tipo vengono utilizzati da soli o nel funzio-nale completamento di un alimentazione scarsa quantitativamente e qualitativamente in proteine dall’alto valore biologico.

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144 CAPITOLO 13 INTEGRATORI ALIMENTARI

13.2.3 • Aminoacidi ramificati o Branched Chained Amino Acids (BCAA)Leucina, isoleucina, e valina (gli aminoacidi ramificati) rappresentano mediamente tra il 30 e il 40% della componente proteica muscolare. Vengono generalmente formulati nei rapporti 2:1:1 e in associazione con le vitamine B1 e B6. Gli aminoacidi ramificati vengono utilizzati principalmente con finalità anaboliche correlate alla capacità di stimolo della sintesi proteica e anti-cataboliche grazie alla capacità di stimo-lare rapidamente il recupero del danno muscolare prodotto dall’allenamento. Gli aminoacidi ramificati promuovono inoltre la detossificazione delle scorie azotate secondarie all’attività muscolare mediante il metabolismo della glutammina. Alcuni autori correlano l’utilizzo di amminoacidi ramificati all’innalzamento dei livelli di testosterone. Quello che rende gli amminoacidi ramificati particolarmente interessanti è la loro capacità di essere metabolizzati direttamente a livello del muscolo scheletrico senza richiedere l’intervento epatico.

13.2.4 • Pool di aminoacidi glucogenetici Generalmente vengono utilizzati leucina, isoleucina, valina, alanina glutammina e glicina (anche se nel senso più ampio del termine possono rivelarsi gluconeogenici: Arginina, Asparagina, Aspartato, Cistina, Fenilalanina, Istidina, Prolina, Idrossiprolina, Metionina, Serina, Tirosina, Treonina, Triptofano) . Gli ammi-noacidi glucogenetici sono utilizzati con la finalità di limitare il catabolismo muscolare, implementandone gli aspetti energetici. In particolare si ritiene che la somministrazione di alanina e glicina prima della prestazione fisica contribuisca nella fornitura energetica e nel limitare il catabolismo muscolare.

13.2.5 • GlutamminaLa Glutammina prende parte a notevoli processi fisiologici che la rendono un substrato importante per numerose applicazioni svolgendo di fatto un azione epatoprotettiva, antinfiammatoria con una leggera componente antidolorifica e stimolante delle funzioni immunitarie. Ha un ruolo fondamentale nello smalti-mento delle scorie azotate, favorisce la formazione dell’acido gamma-amino-butirrico (GABA importante neurotrasmettitore) e del glutatione (principale difesa antiossidante endogena). Inoltre una volta utilizzata per produrre glutammato, la glutammina contribuisce alla riduzione dell’acidosi secondaria all’attività aerobica o mista. In virtù di questi effetti la glutammina consente un innalzamento della soglia di fatica di modesta entità e contribuisce al mantenimento di un buon livello di concentrazione in corso di attività fisica.

13.2.6 • Ornitina a-chetoglutarato (OKG)L’OKG viene utilizzato in campo clinico nel trattamento di diverse condizioni fortemente debilitanti come denutrizione, traumi, ustioni eccetera. L’utilizzo di OKG è associato a incremento del metabolismo proteico che si manifesta anche in una più efficiente produzione di ormonale (per esempio insulina, e GH), a una riduzione dei processi catabolici e a un ottimizzazione del metabolismo della glutammina.

13.3.7 • β-idrossi-beta metilbutirrato (HMB) Questa molecola normalmente prodotta nell’organismo umano intaccando in condizioni fisiologiche il 5% circa del pool di leucina. Quindi nel classico uomo di riferimento di 70 kg ipotizzando un adegua-ta assunzione di leucina mediante l’alimentazione si produrrebbero all’incirca da 0,2 a 0,4 g di HMB quotidianamente. Si ritiene che l’HMB esogeno possa agire come amplificatore di tutte le funzioni per cui generalmente vengono utilizzati gli aminoacidi ramificati. I dati presenti in letteratura riportano come l’assunzione da 1.5 a 3 g di HMB al giorno riducano a livello muscolare il catabolismo proteico indotto dall’esercizio, permettendo teoricamente migliori incrementi di forza che di resistenza.

13.3 • INTEGRATORI ALIMENTARI CON FINALITÀ ENERGETICHE

Sono molecole ad azione energetica o pro-energetica generalmente assunti prima della prestazione, durante le prestazioni di lunga durata o al termine per favore i processi di recupero illustrati nei capitoli precedenti.

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145INTEGRATORI ALIMENTARI CAPITOLO 13

13.3.1 • MaltodestrinePiccole catene glucidiche prodotte a partire dall’idrolisi di amidi, generalmente a baso indice glicemico. Vengono prodotte di varie lunghezze per ottenere diverse velocità nella digestione e nel rilascio di ener-gia, generalmente buone miscele di maltodestrine sono realizzate con la finalità di fornire costantemente energia per una finestra temporale prolungata, nel far questo alcune miscele prevedono l’associazione con opportune quote di glucosio e di fruttosio. L’utilizzo di tali formulati si mostra particolarmente vantaggioso a livello delle prestazioni di endurance

13.3.2 • Trigliceridi a catena media o medium chained triglycerides (MCT)Sono lipidi rapidamente assorbiti e inviati a livello epatico dove subiscono rapida ossidazione dando luogo alla produzione di energia e corpi chentonici. Il tutto, a cagione della specifica struttura chimica, senza richiedere l’intervento della carnitina per essere veicolati a livello mitocondriale

13.3.3 • CreatinaMolecola tripeptidica sintetizzata generalmente a livello epatico, dopodiché viene inviata a livello del tessuto muscolare dove viene assorbita e fosforilata a fosfocreatina. Fisiologicamente ricopre diversi ruoli intervenendo come riserva energetica e come trasportatore di elettroni, intervenendo sui meccanismi di respirazione cellulare. La supplementazione di creatina ai dosaggi da 7-8 gr/die a 20 g./die per perio-di di 15/20 gg sono riportati in letteratura scientifica come in grado di aumentare i depositi endogeni, anche se va ricordato che la saturazione muscolare spesso si riscontra già dopo 6-8 gg di somministrazio-ne. Considerando che la dose massima ammessa dalla legge è di 3 g/die, questo tipo di applicazioni non sono proponibili. Alcuni autori suggeriscono che con il dosaggio consentito dalla legge sia possibile raggiungere eguali effetti in periodi di tempo molto più lunghi, ma anche questo aspetto rimane discusso.

13.3.4 • CarnitinaMolecola di origine dipeptidica sintetizzata a livello epatico che interviene nel trasporto degli acidi grassi a lunga catena nel mitocondrio, dove mediante la �-ossidazione possono essere utilizzati nella produzione di energia. La carnitina viene assunta con l’alimentazione mediante l’utilizzo di carni o derivati e può essere anche oggetto di integrazione alimentare. Il razionale della supplementazione di carnitina sta nella volontà di fornire all’organismo un quantitativo superiore del trasportatore potenzialmente in grado di migliorare l’efficienza nell’ossidazione lipidica, rendendola quindi potenzialmente interessante negli atleti di endurance. Recentemente l’EFSA ha vietato di pubblicizzare integratori di carnitina sia come supporto ergogenico che come funzionali al dimagrimento per carenza di dati scientifici in merito.

13.4 • INTEGRATORI PER IL BENESSERE FISICO

Sono molecole o complessi molecolari assunti con la finalità di implementare lo stato di salute generale dell’organismo.

13.4.1 Acidi grassi ω 3 ed ω 6Questi acidi grassi sono contenuti nella loro forma attiva in prevalenza nei pesci di acqua fredda, in alcuni animali selvatici o comunque allevati in condizioni naturali e sotto forma di precursori in alcuni semi inclusi nella categoria della “frutta secca”. Generalmente l’integrazione auspicabile è esclusivamente quella degli acidi grassi ω 3 in quanto la comune dieta occidentale si mostra già eccessivamente ricca di acidi grassi ω 6. I principali effetti attribuiti agli acidi grassi ω 3 sono correlati al loro ruolo in qualità di precursori degli eicosanoidi, molecole che agiscono con finalità regolatrici nel organismo umano. In particolare gli eicosanoidi prodotti a partire da acidi grassi ω 3 hanno prevalentemente funzione antinffiammatoria bilanciando gli effetti di quelli prodotti a partire dagli acidi grassi ω 6 (con funzione prevalentemente infiammatoria). I primi studi compiuti in relazione agli acidi grassi ω 3 sono partiti dall’osservazione che nei paesi del Nord-Europa, caratterizzati da un alto consumo si riscontra una bassa incidenza di patologie

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146 CAPITOLO 13 INTEGRATORI ALIMENTARI

cardiovascolari quali per esempio infarto del miocardio. Tra i principali effetti attribuibili a questi acidi grassi quelli di particolare interesse per il personal Training sono:

• Correlazione ad un innalzamento del colesterolo HDL, a• Migliore risposta dei tessuti periferici all’insulina, • Implementazione dell’efficienza nella secrezione ormonale• Incremento del Vo2Max. (solo secondo alcuni autori)

13.4.2 • Fosfatidilserina (ps) Questa molecola rientra nella categoria dei fosfolipidi fisiologicamente contenuti a livello della membrana cellulare. Anche se può essere sintetizzata dall’organismo umano, la sua assunzione si è dimostrata effi-cientemente in grado di aumentarne i livelli fisiologici. Generalmente una delle principali applicazioni di questo fosfolipide risiede nell’implementazione della funzionalità del sistema nervoso centrale in particolare per quanto riguarda le capacità mnemoniche e cognitive, l’altra è correlata alla sua capacità di ridurre la cortisolemia. Per quanto riguarda l’implementazione della funzionalità del sistema nervoso centrale il meccanismo alla base di questo effetto risiede nella sua capacità facilitare la conduzione degli impulsi nervosi e favorire il rilascio di neurotrasmettitori con l’effetto netto di rendere più efficiente la comunicazione neuronale. Questi effetti possono tradursi:

• Nell’implementazione delle capacità mnemoniche, • Nell’aumento delle capacità di attenzione• Nel miglioramento dell’umore e del comportamento

Alcuni dati presenti in letteratura riportano come dal punto di vista della cortisolemia l’assunzione quoti-diana compresa tra i 400 e gli 800 mg di fosfatildiserina sia correlata a una diminuzione quantificabile tra il 25 e il 35 % . Nel valutare questi dati si dovrà considerare che nei soggetti studiati sussisteva una condizione basilare di iper-cortisolemia e che quindi nel soggetto sano potrebbe non manifestarsi alcun effetto. Inoltre la comunità scientifica non è attualmente unanime in relazione alla sua effettiva utilità in questo tipo di applicazione.

13.4.3 • Acido linoleico coniugato (CLA) Questa molecola è un acido grasso polinsaturo della serie ω 6 naturalmente presente in numerosi alimenti tra cui carni, formaggi di mucca, alcuni semi, eccetera. Questo acido grasso è stato inizialmente proposto come antiossidante (ovviamente lipofilo). Esistono diversi dati in letteratura relativi al suo impiego in proto-colli volti al trattamento delle neoplasie, dove pare sia stato in grado di contribuire al rallentamento della progressione tumorale. Alcuni autori hanno evidenziato come nel modello animale sia possibile favorire mediante un opportuno introito di CLA lo sviluppo della massa magra, mentre altri ritengono che il suddetto aumento di massa magra sia secondario all’effetto anticatabolico del CLA. La sua reale efficacia rimane ancora molto discussa. 13.4.4 • Acido Alfalipoico (ALA) Questa molecola denominata anche acido tiottico viene normalmente prodotta a livello endogeno (anche se la capacità di sintesi si riduce drammaticamente dopo i 50 anni) e rappresenta in pratica una delle principali difese antiossidanti dell’organismo. L’acido alfalipoico agisce in pratica come antiossidante ad ampio spettro, in quanto anche se di natura lipofila le dimensioni molecolari sono tali da consentirne una buona solubilità in ambienti acquosi. In virtù di queste caratteristiche l’acido alfalipoico riesce a rag-giungere con efficienza esplicando la sua notevole azione antiossidante le più svariate strutture corporee proteggendo con efficacia sia le membrane che le strutture raggiunte mediante la circolazione ematica e la diffusione nel fluido extracellulare. In virtù di queste caratteristiche non risulta molto sensata la proposta di formulati a base di acido alfa lipoico con particolari dinamiche di rilascio quali slow, retard, fast , pulse eccetera. La potenza antisossidante di questa molecola è tale da riuscire a compensare in alcuni casi anche alcune carenze vitaminiche come per esempio la carenza di vitamina c e vitamina e. I principali effetti correlati all’azione dell’acido alfa lipoico possono essere così riassunti:

• Azione antiossidante ad ampio spettro (in grado di superare anche la barriera emato encefalica)

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147INTEGRATORI ALIMENTARI CAPITOLO 13

• Azione antiossidante preventiva a carico delle lipoproteine di trasporto e del colesterolo• Azione potenziante nel metabolismo del glucosio: Incrementa l’efficienza insulinica e migliora la

capacità di trasporto e assunzione cellulare del glucosio mediante meccanismi insulino-indipen-denti. Dati presenti in letteratura riportano come in alcune categorie di pazienti diabetici l’uso di 200-600 mg di acido alfa lipoico, suddiviso in 2 o tre somministrazioni giornaliere abbia ridotto del 30-40% il dosaggio di insulina normalmente assunto.

L’impiego dell’acido alfalipoico può mostrarsi particolarmente interessante contestualmente a programmi rivolti alla perdita di peso e alla modificazione della composizione corporea, consentendo l’ottimizzazione sulla base di quanto visto del metabolismo dei glucidi.

AUTOVALUTAZIONEVerificare l’acquisizione dei concetti di base illustrati nel capitolo rispondendo alle seguenti domande:

• Che cos’è un integratore alimentare?• Quali sono gli integratori con finalità plastiche? Spiegare i meccanismi d’azione alla base dei

più conosciuti• Quali sono gli integratori con finalità energetiche? Spiegare i meccanismi d’azione alla base dei

più conosciuti• Quali sono gli integratori per il benessere fisico? Spiegare i meccanismi d’azione alla base dei

più conosciuti

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148 BIBLIOGRAFIA

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Linee guida e protocolli alimentari basati sulle vecchie e nuove filosofie per una corretta alimentazione e integrazione

Il manuale garantisce l’apprendimento di una serie di nozioni per fornire indicazioni di carat-tere nutrizionale alla clientela che frequenta le palestre con la finalità di diffondere all’interno dei fitness club le linee guida per una corretta alimentazione da abbinare all’allenamento, al fine di ottimizzare i risultati.

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