Teatro

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Teatro (architettura) Il teatro dell'Opera di Sydney, una celebre architettura contemporanea Un teatro è un luogo, spesso un edificio, il cui uso specifico è ospitare rappresentazioni teatrali di prosa, o di altri generi di spettacolo in ogni sua forma artistica, come l'esecuzione di concerti ed eventi musicali, allestimenti di opere liriche, letture di poesie, spettacoli di danza. Quello dell'edificazione di un teatro è considerato uno dei maggiori esiti dell'architettura, tanto nell'antica quanto nella moderna civiltà. Storia Teatro alla Pergola a Firenze Le origini L'inizio dell'architettura teatrale non coincide con le prime manifestazioni teatrali di cui si abbia conoscenza. Già alcuni testi sacri dell'antico Egitto, ad esempio quello che racconta della morte e della risurrezione del dio Osiride, sono scritti in forma dialogica e probabilmente pensati per la rappresentazione. Questa eventuale rappresentazione sarebbe tuttavia avvenuta nell'ambito dell'edificio religioso, e non in un luogo progettato appositamente per la messinscena. Lo stesso si può dire delle parate militari o dei discorsi di uomini illustri: pur essendo situazioni la cui grande spettacolarità suscitava un entusiastico interesse nella collettività, non avevano un proprio luogo specifico e si svolgevano negli spazi pubblici come le piazze e le vie delle città. Prima della civiltà greca sono pochi gli edifici teatrali progettati in quanto tali: potrebbero rientrare in questa categoria alcuni spazi dei palazzi della civiltà minoica, come il cortile delle feste del palazzo di Festo a Creta. Si trattava di uno spiazzo circondato per tre lati da gradinate che potevano ospitare fino a cinquecento persone venute ad assistere alle danze, alle cerimonie o alle tauromachie che vi si svolgevano.

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Teatro (architettura)

Il teatro dell'Opera di Sydney, una celebre architettura contemporanea

Un teatro è un luogo, spesso un edificio, il cui uso specifico è ospitare rappresentazioni teatrali di prosa, o di altri generi di spettacolo in ogni sua forma artistica, come l'esecuzione di concerti ed eventi musicali, allestimenti di opere liriche, letture di poesie, spettacoli di danza.Quello dell'edificazione di un teatro è considerato uno dei maggiori esiti dell'architettura, tanto nell'antica quanto nella moderna civiltà.

Storia

Teatro alla Pergola a Firenze

Le origini L'inizio dell'architettura teatrale non coincide con le prime manifestazioni teatrali di cui si abbia conoscenza. Già alcuni testi sacri dell'antico Egitto, ad esempio quello che racconta della morte e della risurrezione del dio Osiride, sono scritti in forma dialogica e probabilmente pensati per la rappresentazione. Questa eventuale rappresentazione sarebbe tuttavia avvenuta nell'ambito dell'edificio religioso, e non in un luogo progettato appositamente per la messinscena. Lo stesso si può dire delle parate militari o dei discorsi di uomini illustri: pur essendo situazioni la cui grande spettacolarità suscitava un entusiastico interesse nella collettività, non avevano un proprio luogo specifico e si svolgevano negli spazi pubblici come le piazze e le vie delle città.Prima della civiltà greca sono pochi gli edifici teatrali progettati in quanto tali: potrebbero rientrare in questa categoria alcuni spazi dei palazzi della civiltà minoica, come il cortile delle feste del palazzo di Festo a Creta. Si trattava di uno spiazzo circondato per tre lati da gradinate che potevano ospitare fino a cinquecento persone venute ad assistere alle danze, alle cerimonie o alle tauromachie che vi si svolgevano.

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Il teatro nella Grecia antica

Rappresentazione schematica di un teatro greco ( V secolo - IV secolo a.C. )

Il teatro nella Grecia antica si evolve da semplice spiazzo per il pubblico, a spazio delimitato (circolare o a trapezio) con panche di legno, infine ad opera architettonica vera e propria (V secolo - IV secolo a.C.).Il teatro greco rimane sempre una costruzione a cielo aperto. Già nei più antichi teatri si ritrovano le tre parti essenziali: la cavea (koilon), a pianta di settore circolare o ellittico (spesso eccedente la metà) nella quale sono disposte le gradinate, suddivise in settori, con i sedili di legno; in genere la cavea è addossata ad una collina per sfruttarne il pendio naturale; la scena (skené), costruzione a pianta allungata, disposta perpendicolarmente all'asse della cavea, inizialmente semplice e in legno, era situata ad un livello più alto dell'orchestra con la quale comunicava mediante scale; la sua funzione originaria era soltanto pratica, cioè forniva agli attori un luogo appartato per prepararsi senza essere visti (in greco σχηνέ, skené, significa anche "tenda"), ma ben presto ci si rese conto che offriva molte possibilità se utilizzata come sfondo scenico. Divenne quindi sempre più complessa e abbellita da colonne, nicchie e frontoni. Dal 425 a.C. fu costruita in pietra e con maggiori ornamenti; l'orchestra (orkhestra, viene dal verbo ὀρκέομαι, orkeomai, che significa ballare, infatti indicava il luogo del teatro antico dove si danzava), circolare, collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena, è lo spazio centrale del teatro greco, quello riservato al coro. Al centro di essa era situato l'altare di Dioniso (thymele).Più complessa appare la genesi e la distribuzione degli spazi nell'architettura teatrale greca. Fabrizio Cruciani (1992) ha chiarito come lo spazio deputato alle danze e al canto del coro, l'orchestra (da orcheomai, danzare) determina i due spazi cardine del teatro: lo spazio degli spettatori (théatron, da théaomai, spettare, osservare) e lo spazio degli attori, la scena (skené, tenda). Per meglio dire, se la prima forma è il théatron, sola gradinata formata da panche di legno posta davanti al piano dell'orchestra e utilizzata per assistere anche a spettacoli non drammatici, la seconda è da intendere come uno schermo o fondale di tela o pelle dipinta (piuttosto che come una baracchetta o una tenda campestre) posta alle spalle dell'attore o, meglio, hipockrités (ossia colui che finge, colui che risponde, che instaura un dialogo con il coro) con la funzione di costituire soprattutto un riparo necessario a cambiare maschera e costume e permettere all'attore (ve ne era solo uno all'epoca di Tespi, nel VI secolo a.C.) di interpretare un altro personaggio.In seguito, già nel V secolo e in via definitiva nel IV secolo, l'orchestra lascia spazio alla scena che diviene centro generatore di spazi aggregati autonomamente che si qualificano come veri e propri ambienti. Sicuramente nella prima metà del V secolo la scena, in legno, è infatti un ambiente quadrangolare lungo quanto lo è l'auditorio e piuttosto stretto, praticabile dagli attori che vi accedono da aperture poste sul fronte della scena stessa (tyromata). La funzione non è più solo quella di servire da spogliatoio per cambiarsi in corso di spettacolo, ma anche quella di offrire uno schermo fonoriflettente e uno spazio chiuso o cassa armonica, necessario a diffondere parole e suoni; inoltre la fronte

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scenica (che diverrà poi scaene frons e verrà mantenuta fino al teatro del '500) serve anche come sfondo scenico del dramma (genericamente, la facciata di un palazzo reale, forse con una sola grande porta centrale; mentre le altre aperture laterali potevano essere chiuse da pannelli decorativi dipinti o pìnakes).L'orchestra è, in origine, uno spazio di terra battuta rettangolare, già presente nell'agorà di Atene dal VII secolo[1], in cui venivano cantati cori bacchici, effettuate danze dionisiache, recitati metri ditirambici nel corso delle feste in onore di Dioniso, dette dionisie cittadine o grandi dionisie. Di fronte a questo spazio era posto il théatron, costituito da una compatta ed alta gradinata formata da panche di legno (ikrìa), sul tipo di quella che vediamo raffigurata nel vaso a figure rosse di Sophilos del museo archeologico nazionale di Atene[2]. Questo spazio teatrale originario era rettangolare o poligonale, con le gradinate ad L, doppia L, o a trapezio, davanti ad un'orchestra della stessa forma, come farebbero pensare alcune forme teatrali arcaiche in pietra, come il teatro di Torikos, che è della fine del V secolo[3]. Sulle gradinate sedeva un pubblico piuttosto agitato che partecipava agli agoni drammatici in modo piuttosto indisciplinato alzandosi in piedi per applaudire, gridare, protestare o battendo rumorosamente i calcagni contro le tavole per esprimere il proprio disappunto nei confronti di un attore [4].Non può dunque meravigliare che queste costruzioni, già di per sé non particolarmente sicure, potessero crollare come informa la Suda, anche se è un po' inverosimile che per tale motivo le autorità ateniesi decidessero di costruire, nella VII Olimpiade (500-497 a.C.), un teatro, sempre di legno, sul crinale della collina dell'acropoli, scavando la roccia e sistemando così la gradinata in uno spazio racchiudente che la rendesse più compatta (il koilon), che in seguito avrebbe poi ospitato la gradinata in pietra. In realtà possiamo immaginare più spazi teatrali, forse di forma rettangolare o poligonale, ma diversi, situati presso recinti sacri, quali il Leneo o quello di Dioniso Eleuterio e presso la stessa agorà di Atene. Questi spazi dovettero ospitare le opere dei grandi tragici e del commediografo Aristofane nel corso del V secolo.Forse durante la reggenza di Pericle, che nel 473-472 a.C. si occupò di far allestire i Persiani di Eschilo e che fece costruire un odeon (Odeo di Pericle) e ristrutturare in forma teatrale i luoghi di riunione come il bouleuterion, si iniziò a pensare alla realizzazione di un teatro di Dioniso permanente in pietra; sogno che poté avverarsi solo con Licurgo fra il 336 e 323 a.C.[5]. Il teatro era ormai un organismo architettonico completo che si definiva attraverso una gradinata scavata nella roccia (koilon) formata da file di gradini di pietra alti 35cm e larghi 78; il primo gradino in basso segnava la circonferenza dell'orchestra (pòdion) e conteneva seggi di riguardo (trònoi) con schienali e bracciali (nel teatro di Dioniso ve ne erano 77, riservati alle autorità pubbliche e religiose, i pochi rimasti sono di età romana). L'insieme della gradinata raccoglieva il resto degli spettatori, poco meno di 17.000 nel grande teatro di Dyoniso, ed era attraversata da un gradino più largo degli altri detto diàzoma, il quale aveva la funzione di dividere il koilon in due sezioni, una nella parte superiore, una in quella inferiore. Per favorire ingresso, uscita e sistemazione ai posti, erano state ricavate delle scalette (klimakes) che dividevano il koilon in più spicchi o settori verticali detti kerkidès. Quanto all'orchestra essa era di forma circolare (così è rimasta nel teatro di Epidauro), il diametro era piuttosto ampio (24 m nel teatro di Dioniso), il pavimento era inizialmente di terra battuta; in seguito, in età ellenistico-romana venne pavimentato in marmo, e al centro era posto l'altare del dio.

Il teatro di Epidauro in Grecia

Fra koilon e skené vi erano degli spazi a corridoio larghi circa 5 metri (pàrodoi), attraverso i quali faceva ingresso il pubblico per recarsi ai sedili dell'auditorio, ma anche il coro per sistemarsi nell'orchestra. Nel III secolo i due ingressi furono chiusi da due porte monumentali (pylones); una è rimasta ad Epidauro che, sembra, aveva inaugurato l'uso dovuto a motivi puramente sacrali: servivano, infatti ad impedire agli animali di entrare nello spazio sacro del teatro[6]. Per quanto riguarda l'ambiente scenico, è possibile pensare che esso si componesse, anche durante il periodo in pietra dei teatri, di non pochi elementi lignei, anche se questi dovevano avere solo valore decorativo (pìnakes), formati da pannelli di varia grandezza dipinti, come dimostrano le iscrizioni del teatro di Oropos[7], collocati nei tyromatao negli intercolumni del porticato del proscenio. Gli attori recitavano su di una piattaforma di legno inquadrata da due avancorpi laterali o parasceni (paraskenia), che potevano essere del tipo più semplice o massiccio (come nel teatro di Dyoniso ad Atene o ad Iatas in Sicilia, dove ne restano importanti resti in pietra) o del tipo colonnato, testimoniato su un frammento di vaso del 360 a.C.-390 a.C., detto del Gruppo di Konnakis, con una rappresentazione tragica (forse Ifigenia in Tauride) a figure rosse.

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L'attore si muoveva su di una piattaforma (logeion) larga poco più di 3 metri. Essi, inoltre, apparivano anche in alto, sul tetto della scena, per recitare la parte di un dio, in questo caso di parla di theologeion[8] e nel piano dell'orchestra, attraverso un corridoio sotterraneo o scala di Caronte (come nel teatro di Priene o di Siracusa), per apparizione dell'oltretomba.Tra i teatri greci di cui rimangono notevoli testimonianze vi sono il teatro di Dioniso ad Atene, di Segesta, di Siracusa, di Delfi, di Epidauro, di Taormina, di Tindari.

Il teatro nella Roma antica

Il teatro antico di Taormina Il teatro grande di Pompei

Gli antichi Romani utilizzano il modello del teatro greco, apportandovi alcune modifiche essenziali. Il primo teatro ad essere costruito interamente in muratura nella città di Roma è quello di Pompeo, del 55 a.C. Le gradinate semicircolari della cavea poggiano ora su archi e volte in muratura, e sono collegate alla scena con loggiati laterali. Questo permette all'edificio del teatro, finalmente autonomo, una collocazione più flessibile e di dotarsi di una facciata esterna ornata e monumentale. La facciata della scena viene innalzata a numerosi piani e decorata, fino a diventare frons scenae, proscenio. L'uso della scena diventa più complesso per l'uso di macchinari teatrali. Compare il sipario, che durante la rappresentazione si abbassa in un apposito incavo, mentre il velario, di derivazione navale, viene utilizzato per riparare gli spettatori dal sole.Tra i teatri romani di cui sopravvivono resti notevoli vanno ricordati quello di Pompei (di forme ancora molto vicine a quelle greche), quello di Marcello a Roma, i teatri di Lecce, di Ostia, di Napoli, di Ercolano, di Pozzuoli, di Teramo, di Fiesole, di Spoleto, di Trieste, di Verona, di Helvia Recina a Macerata di Carsulae, di Arles e di Orange in Francia, di

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Merida e Sagunto in Spagna, di Sabratha e Leptis Magna in Libia, di Bosra in Siria, di Efeso e di Hierapolis in Asia Minore, di Volterra.

I luoghi teatrali nel Medioevo A partire dal V secolo la disapprovazione cristiana per gli spettacoli pagani (talvolta licenziosi) produce leggi contro ogni forma di spettacolo e provoca la sistematica dismissione degli spazi teatrali, con trasformazioni architettoniche e cambiamenti di destinazione spesso irreversibili.Il Medioevo è dunque caratterizzato dalla mancanza di edifici teatrali appositamente costruiti, ma non dalla cessazione di ogni attività spettacolare. Nonostante l'opposizione della Chiesa, infatti, sopravvive la tradizione di giullari, giocolieri e menestrelli. Essi si esibiscono su un semplice banchetto (da qui il nome saltimbanco) che trova spazio nelle taverne, nelle piazze e nelle strade delle città. I più fortunati vengono assunti nelle corti, o permanentemente o in occasione di feste e banchetti.Parallelamente al teatro profano, a partire dal X secolo è la Chiesa stessa a dare vita, attraverso la spettacolarizzazione dei testi biblici, ad una nuova forma di teatro. Inizialmente si tratta solo di un adattamento delle scritture, con l'ampliamento della parte dialogica ai fini di una breve rappresentazione, che ha luogo davanti all'altare della chiesa. È il caso, ad esempio, del Quem Quaeritis, dialogo drammatizzato cantato e rappresentato da tre diaconi che fingono le tre marie al sepolcro e da un quarto che finge l'angelo che le accoglie, le interroga sulla loro ricerca e rivela la resurrezione di Cristo. Questo dialogo si svolgeva dapprima presso lo spazio occidentale della chiesa carolingia, poi presso l'altare o accanto ad un simulacro di sepolcro nella chiesa romanica. Ulteriori ampliamenti portano alla realizzazione delle sacre rappresentazioni, i cui episodi vengono rappresentati in diversi luoghi all'interno delle cattedrali: ogni cappella laterale, ogni spazio tra due colonne, ogni angolo della chiesa può diventare uno dei luoghi deputati (da cui l'espressione odierna) alla messinscena. Lo spazio scenico della rappresentazione, in Italia, è più propriamente quello del presbiterio, usando come entrate ed uscite le porte della recinzione frontale di essa e, specie a Firenze nelle chiese d'oltrarno, il "ponte" che sovrasta questa recinzione, usato per apparizioni, epifanie, ascensioni o discese di personaggi sacri. Le sacre rappresentazioni diventano sempre più vaste e sfarzose, tanto che la chiesa non riesce più ad ospitarle. Si passa così al sagrato antistante l'edificio di culto e poi alle piazze e alle strade della città, che dal XIV secolo vedono tutta la cittadinanza partecipare all'allestimento degli imponenti drammi ciclici, per i quali le varie gilde cittadine costruiscono luoghi deputati sempre più maestosi e carri allegorici. Grandi allestimenti sono le passioni nei centri mercantili del nord Europa, ad esempio a Lucerna, a Mons, a Valenciennes.

Il teatro nell'epoca moderna Nel XVI secolo assistiamo al passaggio da un luogo provvisoriamente adibito a sede di spettacoli (chiesa, piazza, giardino, cortile, sala) all'edificio teatrale stabile. Tra la fine del Medioevo e il primo Rinascimento si registra un aumentato interesse per il teatro, dovuto inizialmente al successo delle rappresentazioni religiose.

La scena cinquecentesca

Teatro Olimpico di Vicenza: le scene lignee originali di Vincenzo Scamozzi sono visibili oltre la porta regia del proscenio disegnato da Andrea Palladio

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Progetto del teatro di Sabbioneta di Vincenzo ScamozziDurante il Rinascimento cinquecentesco, mancando ancora una sede apposita, le rappresentazioni teatrali, di impianto classico, erano generalmente tenute all'aperto, spesso nei cortili dei palazzi nobiliari i cui proprietari erano proprio i principali fruitori (nonché spesso attori e sceneggiatori) di questi spettacoli. Ad esempio, a Roma, palazzo Riario, dove gli attori recitavano nello spazio della loggia colonnata che, nella cultura del circolo umanistico di Pomponio Leto, voleva essere una rievocazione della scena classica.La scena era dunque temporanea, adattata nel loggiato dei cortili, dove venivano usate prevalentemente tendaggi che venivano aperti e chiusi durante le entrate e le uscite degli attori. Dopo la diffusione dello spazio prospettico e la creazione di un ambiente unitario, su apposito palco, collocato in una sala per feste durante cerimonie dinastiche o nell'ambito del carnevale, venne a determinarsi, nel primo decennio del Cinquecento, una scena prospettica di città resa illusionisticamente dalla giustapposizione di piani figurati in una prospettiva centralizzata (quinte e fondale), il cui punto di fuga era posto ad una altezza determinata che coincideva con la visione perfetta del principe seduto al centro della sala. Gli spettatori potevano essere disposti in due modalità: o con una gradinata di fronte al palco o con tribune laterali per le donne e panche centrali per gli uomini con un palco sopraelevato per la principale autirità della festa. Questa sistemazione era naturalmente provvisoria e veniva smontata alla fine della festa, ma aveva un'importanza considerevole dal punto di vista strutturale, in quanto, sia pure in modo effimero, determinava la disposizione teatrale di un interno.Uno dei primi teatri interamente costruito fu fatto a Roma nel 1513 per il possesso pontificio di Leone X, realizzato in legno, con gradinate interne laterali appoggiate alle pareti e palcoscenico all'antica con porte coperte da tendaggi per la rappresentazione del Poenulus di Plauto. Era realizzato sulla piazza del Campidoglio dalla fabbrica dei Sangallo e aveva decorazioni interne ed esterne di Baldassarre Peruzzi ed altri pittori: il nome con il quale lo si ricorda è teatro sul Campidoglio.La definizione della prassi della scena prospettica di città trova il suo fertile terreno nell'attività romana di Peruzzi e fiorentina di Aristotele da Sangallo. Peruzzi fra 1525 e 1536, in una serie di allestimenti per committenze papali o signorili determina una tipologia a piazza più via, in cui si giustappongono due piani scenici, uno nel senso della larghezza, che dispone edifici costruiti in legno praticabili dagli attori nella zona di proscenio, ed uno nel senso della lunghezza che organizza edifici figurati sulle quinte e sul fondale. Aristotele da Sangallo realizza a Firenze, fra il 1520 e il 1540, una scena che si sviluppa nel senso della larghezza e contrappone al simbolismo romano di quella peruzziana, un realismo fiorentino, attento alla realtà urbana.Queste esperienze vengono accolte e sintetizzate da Giorgio Vasari fra 1542 e 1565, dall'esperienza veneziana della Talanta, per una committenza privata a quella fiorentina per la committenza principesca di palazzo Vecchio. La scenografia si definisce nel senso della profondità, "una strada lunga fiancheggiata da edifici", in quello del realismo antiquario e urbanistico, dell'illusionismo ottico-luministico, nell'inquadramento della veduta tramite un prospetto scenico.Sul finire del secolo la scenografia trova, sul piano teorico, una codificazione nelle canoniche tre scene prospettiche (comica, tragica, satirica) che riprendono in senso moderno la concezione scenica di Vitruvio nel Trattato sopra le scene del II libro dell'Architettura pubblicato nel 1545 da Sebastiano Serlio; mentre sul piano della pratica costruttiva trovano la grande realizzazione monumentale permanente in legno della scena del Teatro Olimpico di Vicenza (1585) abbozzata da Andrea Palladio, autore della cavea del teatro, e realizzata da Vincenzo Scamozzi dopo la morte del

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maestro, unendo alla tradizione della scena monumentale romana (l'inquadramento del proscenio ad arcate) l'esperienza della scena prospettica di città, con un'accentuazione di piani lunghi sfuggenti a tre fuochi per tre distinte vie inaquadrate dagli archi.A Firenze, infine, il culmine della scena manierista e già pre-barocca lo raggiunge un allievo del Vasari, Bernardo Buontalenti che negli anni novanta progetta grandi scenografie illusionistiche per il teatro stabile degli Uffizi. La scenografia moderna è nata: dallo sperimentalismo dei primi decenni del secolo si giunge ad una scena di virtuosismo prospettico sul piano della profondità, completamente inquadrata in un prospetto con funzione di cornice e in grado di mostrare visioni sceniche multiple ad ottica variabile, all'insegna non più della staticità, ma del dinamismo scenico.

La Loggia Cornaro Tra le espressioni della cultura rinascimentale del teatro è la Loggia Cornaro a Padova, edificata per volere di Alvise Cornaro ed utilizzata per rappresentazioni teatrali (vi si svolsero le prime rappresentazioni di alcune opere del commediografo Ruzante). Realizzata probabilmente in due tempi diversi dal 1524, era annessa all'Odeo Cornaro, che il colto mecenate aveva voluto come sede di incontri letterari e musicali.Il progetto è del pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto, che si ispirò ad esempi classici, in particolare a Vitruvio. La Loggia con le sue decorazioni costituisce una novità: è il primo tentativo di realizzare quel teatro all'antica vagheggiato da Cornaro e teorizzato poi da Palladio e Scamozzi.

Il Teatro Olimpico e il teatro di Sabbioneta Il primo teatro stabile coperto dell'epoca moderna è generalmente considerato il Teatro Olimpico di Vicenza di Andrea Palladio (1508-1580), l'unico a conservare intatte le scene originali. Il celebre architetto veneto riportò in questa sua ultima opera gli esiti dei propri lunghi studi sulla struttura del teatro classico, basati sull'interpretazione filologica del trattato De architectura di Vitruvio e sull'indagine diretta dei ruderi dei teatri romani ancora visibili all'epoca, concentrandosi in particolare nella problematica operazione di ricostruire l'imponente scenafronte del teatro romano (di cui non erano rimaste testimonianze visibili).Ingegnosamente ricavato all'interno di preesistenze medievali, il Teatro Olimpico dopo la morte di Palladio fu completato nel 1585 da Vincenzo Scamozzi (1548-1616), il quale realizzò le notevoli scene lignee a prospettiva accelerata, pensate inizialmente per un'unica rappresentazione (l'Edipo tiranno sofocleo) ma poi rimaste in loco e giunte miracolosamente intatte ai giorni nostri. Il teatro è tuttora utilizzato per rappresentazioni classiche e concerti.Forte di questa esperienza, Vincenzo Scamozzi realizzò pochi anni dopo, tra il 1588 e il 1590, il primo edificio teatrale dell'epoca moderna appositamente costruito per ospitare un teatro (stabile, coperto e urbanisticamente autonomo, provvisto cioè di un suo esterno): il teatro all'italiana commissionato dal duca Vespasiano Gonzaga per la piccola città ideale di questi, Sabbioneta in provincia di Mantova. Ad oggi il teatro di Sabbioneta è perfettamente restaurato ed utilizzato ancora come luogo di spettacolo, nonostante interventi di restauro novecenteschi poco rispettosi dell'architettura originaria.

Il teatro dell'epoca elisabettiana

Palcoscenico del Globe Theatre di Shakespeare (ricostruzione)

Quando nel Cinquecento a Londra sorsero i primi teatri fuori dalla City, essi conservarono molto dell'antica semplicità. Ricavato in origine dai circhi dell'epoca per le lotte tra orsi o tra cani oppure dagli "inn", locande economiche di provincia, l'edificio teatrale consisteva in una semplice costruzione in legno strutturale o in pietra, spesso circolare e dotata di un'ampia corte interna chiusa tutt’intorno ma senza tetto. Tale corte diventò la platea del teatro, mentre i loggioni derivano dalle balconate interne della locanda. Quando la locanda o il circo divennero teatro, poco o nulla mutò dell'antica costruzione: le rappresentazioni si svolgevano nella corte, alla luce del sole. L'attore elisabettiano

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recitava in mezzo, non davanti alla gente: infatti il palcoscenico si "addentrava" in una platea che lo circondava da tre lati (solo la parte posteriore era riservata agli attori, restando a ridosso dell'edificio). Come nel Medioevo, il pubblico non era semplice spettatore, ma partecipe del dramma. Un esempio di teatro dell'epoca elisabettiana è costituito dalla ricostruzione del Globe Theatre utilizzato dalla compagnia di Shakespeare.

Il "Teatro all'italiana" tra Seicento e Ottocento

Il Teatro San Carlo di Napoli, il più antico teatro d'opera europeo, fra quelli oggi esistentiDurante il Seicento e il Settecento nascono i teatri gestiti da privati, cioè il teatro esce dai Palazzi nobiliari e dalle corti per diventare il luogo dove si può entrare mediante il pagamento di bollettini, questa novità apre la fruizione dello spettacolo ad un pubblico più vasto spesso, come nel caso della Commedia dell'Arte, ad un pubblico popolare.I teatri pubblici sconvolgeranno anche i percorsi spettacolari delle città al tempo del barocco, in particolare Venezia dove le famiglie nobiliari si offriranno di gestire questi spazi nuovi e redditizi, in particolare le famiglie Grimani e Vendramin costituirono una rete di spazi spettacolari concentrati nell'ansa del Canal Grande che va da Piazza San Marco al Ponte di Rialto, dove si trovano poco distanti l'uno dall'altro come il Teatro Sant'Angelo, il Teatro San Giovanni Grisostomo, il San Samuele e il Teatro San Benedetto.

Il Teatro Massimo di Palermo.

Anche altre città sia italiane che straniere furono influenzate dalla nascita di questa nuova industria, ad esempio le Confraternite fiorentine, poi diventate nel corso del XVII secolo Accademie gestivano i nuovi spazi come il Teatro della Pergola dell'Accademia degli Immobili o il Teatro del Cocomero (oggi Teatro Niccolini) dell'Accademia degli Infuocati o quello detto di via dell'Acqua gestito dall'Accademia del Vangelista.Parigi, nonostante la situazione ancora legata alla concentrazione degli eventi spettacolari presso la corte, con l'arrivo dei comici italiani adibì degli spazi come l'Hotel de Bourgogne e quello del Teatro della Pallacorda per queste nuova tipologia di spettatori, non più cortigiani ma anche borghesi e popolari, anche se il vero centro delle rappresentazioni amate dal popolo rimanevano i teatri della Foire.In questo nuovo frangente il teatro continua a modificarsi rendendosi più complesso: le gradinate sono abolite, la sala prende una forma oblunga, con il pavimento a piano inclinato (platea) e le pareti verticali sulle quali si aprono più ordini di palchi, gli spazi di servizio aperti (per le varie macchine sceniche) si moltiplicano così come le scenografie si avvicinano al gusto barocco imperante con artisti del calibro di Ferdinando Galli Bibiena, il figlio Antonio o Giovan Battista Piranesi.

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Il Teatro alla Scala di Milano.

Con il teatro Apollo e Argentina di Roma si afferma il tipo nuovo del teatro italiano, con la pianta della sala a forma di ellisse troncata perpendicolarmente all'asse maggiore. Sulle pareti si sviluppano numerosi ordini di palchi che le coprono dal suolo al soffitto piano, per sfruttare meglio lo spazio ma anche come segno di differenziazione tra le classi sociali.Tra i più famosi esempi di teatro all'italiana figurano il San Carlo di Napoli (il primo teatro lirico in Europa, fondato nel 1737[9], patrimonio UNESCO), il Teatro Massimo di Palermo (il più grande d'Italia e il terzo d'Europa), il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro della Pergola di Firenze (il primo a introdurre la struttura a palchi sovrapposti), il Teatro Regio (1740; distrutto da un incendio nel 1934) e il Carignano di Torino, il Carlo Felice di Genova (1828; parzialmente distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e riaperto nel 1991), il La Fenice di Venezia (1792, bruciato nel 1836 e 1996 e inaugurato "com'era e dov'era" nel novembre del 2004); ve ne sono numerosissimi altri esempi in tutte le città d'Italia.Alla fine del Settecento in Francia venne modificato lo schema italiano accorciando la sala, cambiandone l'altimetria, con l'aggiunta di gallerie in ritiro e della copertura a volta, e dando uno sviluppo considerevole agli ambienti di rappresentanza, come vestiboli, scale, saloni, ecc. Tipico esempio è l'Opéra di Parigi (1861), ricostruito in stile neobarocco nel 1875.

Il teatro nell'architettura contemporanea

L'Opera di Copenaghen Il teatro dell'Opera progettato da Alvar Aalto a Essen

Gli architetti che nel XX secolo progettano edifici teatrali, cercano di dare una risposta alle nuove esigenze espresse dai professionisti che vi lavorano. Nasce la consapevolezza che il teatro non deve essere costruito in omaggio alle richieste

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del pubblico, ma in funzione della sola rappresentazione. Lo sfarzo della sala all'italiana si riduce in favore di una visione più razionale e pragmatica dello spazio teatrale.In molti teatri del Novecento si ha un ritorno alla struttura classica ed elisabettiana con l'abolizione dell'arco scenico, che separa nettamente lo spazio dell'attore da quello dello spettatore. La medesima tendenza all'unificazione si può riscontrare nel rifiuto di suddividere il pubblico in classi sociali, come avveniva nella sala all'italiana attraverso l'uso dei palchetti e dei diversi ordini di gallerie.Un altro problema affrontato in questo periodo è la corrispondenza tra i generi teatrali ed il luogo in cui essi vengono rappresentati: in una sala di prosa non c'è abbastanza spazio per mettere in scena un melodramma, così come un dramma in prosa che si svolge in una sola stanza, può risultare grottesco se rappresentato nell'enormità di un teatro lirico. Le crescenti possibilità della tecnologia hanno permesso di attuare soluzioni innovative. Già nel 1907 l'architetto Max Littmann realizza al Grossherzogliches Hoftheater di Weimar il primo proscenio variabile, grazie al quale lo spazio della rappresentazione può essere ingrandito o rimpicciolito a seconda delle esigenze drammaturgiche. Nel 1927 Walter Gropius elabora il progetto per il mai costruito Totaltheater, un edificio dove sia la platea sia lo spazio scenico erano montati su piani mobili per ottenere nello stesso edificio tre disposizioni differenti: arena, sala con arco scenico, e teatro greco. Il concetto della variabilità della sala è stato ripreso nel 1944 allo Stadteater di Malmö, dove l'ampiezza della sala può essere modificata con delle pareti mobili, e nel 1963 al teatro di Limoges.La seconda metà del secolo vede la progettazione, più che di edifici prettamente teatrali, di grandi poli culturali, dove accanto a due sale teatrali di diversa grandezza, troviamo sale cinematografiche, musei, biblioteche, sale conferenze e ristoranti. È questo il caso dell'Opera House di Sydney, della Casa della Cultura di Grenoble e del Barbican Arts Centre di Londra.

Lo spazio scenico o scena (dal greco σχηνή, skené) è quel luogo in cui si svolge un evento spettacolare. Quando è definito architettonicamente da un edificio teatrale, si identifica con il palcoscenico che in realtà ne è un elemento.

Spazi scenici Palcoscenico: all'interno di un teatro, è definito da tre pareti eventualmente dotate di quinte, e una quarta 'parete aperta' delimitata in alto e ai lati dal boccascena; in genere è composto da tavole di legno, e la parte terminale, più vicina al pubblico, è chiamata proscenio. Palco è un termine più generico, che si può applicare al palcoscenico quanto alle tensostrutture utilizzate per i concerti o per gli spettacoli all'aperto. Tappeto: è lo spazio scenico della danza contemporanea, di solito costituito da un tappeto di linoleum nero. Negli anni '70, Peter Brook definì lo spazio scenico del suo teatro come lo spazio all'interno di un tappeto, utilizzando veri e propri tappeti per delimitarlo, ovunque si trovasse a presentare i suoi spettacoli. Lo spazio scenico utilizzato dal teatro di strada sono i marciapiedi e le piazze delle città.Il palcoscenico (o palco) è l'elemento della scena sopra cui si svolge l'azione teatrale. In genere costituito di tavole di legno, all'interno di un edificio teatrale. Il palcoscenico nasce con la costruzione degli antichi teatri romani. Precedentemente nel teatro greco gli attori recitavano nell'orchestra (lo spazio semicircolare circondato dalle gradinate).

Nel teatro occidentale

Teatro greco Non esiste un corrispettivo di palcoscenico nel teatro greco: l'azione scenica si svolgeva infatti nell'orchestra. Solo successivamente, con l'introduzione della skené e con l'inizio dell'utilizzo di essa come elemento scenico, gli attori poterono servirsi di essa come di uno spazio utile all'azione scenica. Questa risultava quindi divisa in due, proprio perché mentre l'elemento verbale restava relegato alla skené, era nell'orchestra che il canto e la danzaTeatro romano Con l'introduzione del proscenio (proscaenium) come elemento architettonico in epoca romana, gli attori possedevano un luogo unico dove rappresentare l'azione scenica grazie alla scomparsa del coro. Il palcoscenico era costituito spesso in pietra, solo saltuariamente in legno. Poteva essere dotato di una botola.

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Teatro medioevale Il teatro medievale spostò le rappresentazioni lontano dai luoghi deputati, per cui le prime costruzioni di palcoscenici si ebbero principalmente ad opera di confraternite che si incaricarono di preparare gli allestimenti per gli spettacoli. Principalmente venivano costruiti con assi di legno, e la loro disposizione era differente a seconda della rappresentazione: per dare continuità spaziale alla stessa, infatti, i palcoscenici erano spesso disposti in circolo o in linea retta, ed ognuno di essi afferiva ad una mansiones. Quest'ultima altro non era che una specie di "tappa" del dramma rappresentato, sulla scia delle tappe della Via Crucis, cui i drammi liturgici facevano riferimento.Lo smaccato gusto per la spettacolarità contribuì ad un maggior impegno nel campo della scenotecnica: con l'evolversi di questa, i palcoscenici si arricchirono di botole ed ingranaggi per consentire rudimentali ma funzionali trucchi scenici. Tuttavia, la mancanza di un teatro come genere di intrattenimento ma come rappresentazione legata quasi essenzialmente al dramma sacro, fece sì che non solo il palcoscenico diveniva luogo dell'azione scenica: quest'ultima poteva spostarsi anche in mezzo al pubblico.La Quinta (nel teatro occidentale contemporaneo) è un termine teatrale col quale si usa definire la striscia, solitamente di stoffa, che percorre verticalmente una porzione di spazio scenico, dall'alto fino al palco, delimitandolo lateralmente. Questo elemento può essere di stoffa libera, appeso al soffitto o in graticcia, o fissato ad una struttura portante; in questo caso viene chiamata quinta armata e viene assicurata al piano del palco con chiodi o viti. Di quinte sul palco ne vengono abitualmente poste più d'una, simmetricamente in uno o più ordini e vengono usate dai tecnici e dagli attori per nascondersi al pubblico durante gli spettacoli (da qui l'espressione "dietro le quinte") ed entrare in scena quando opportuno. Generalmente, avendo una valenza di servizio, la quinta è di colore nero uniforme, ma può essere di diverso materiale (legno, metallo, etc...) o di stoffa colorata (dipinta, semi-trasparente, etc...) e utilizzata come vera e propria scenografia, se utile o se lo scenografo e il regista lo ritengono appropriato. Prende il nome dal tipico telaio in legno che la tiene tesa nel caso questa sia una quinta armata. Vista da dietro, ha la forma di una V, ovvero di un cinque in caratteri latini.

La torre scenica, nella terminologia teatrale, è quella parte di teatro posta dietro l'arco scenico; ha uno sviluppo verticale pari o superiore all'altezza del boccascena e solitamente ha una superficie pari allo spazio usufruibile sul palcoscenico. Alla sommità della torre scenica sono posti uno o più piani di ballatoio e il graticcio, elementi fondamentali per la movimentazione e il sollevamento in coperta delle scene.

Il Teatro alla Scala di Milano con la sporgenza della torre scenica (il parallelepipedo in alto sulla destra; a sinistra vi è l'ellisse dei camerini)

Nei teatri moderni, la torre scenica richiede volumi molto grandi, il che può porre dei problemi estetici nel caso di restauri antichi, ad esempio Teatro alla Scala di Milano recentemente restaurata da Mario Botta.

Orchestra (ορχήστρα, orchéstra), in architettura, è il termine usato per indicare quella parte del teatro antico, di forma circolare (o, nel teatro romano, semicircolare) dedicata ad ospitare l'esibizione del coro (χόρος, kóros). La sua posizione era alla base della cavea (kôilon), a frapporsi così tra gli spettatori disposti sulle gradinate e la scena (σχηνέ, skené).Il suo nome deriva dal greco ορχήομαι (orchéomai, danzare), a sottolineare come l'esibizione scenica del coro, importantissima nel teatro classico, comprendesse anche la danza oltre che recitativi e musica (azione orchestica).

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Inizialmente l'orchestra era realizzata in terra battuta ed è probabile che, durante le rappresentazioni, venisse ricoperta da stuoie. Successivamente fu lastricata e dotata di un canale per lo scolo delle acque meteoriche[1] denominato, per antonomasia, euripo e di un altare, il thymele (θυμέλη), l'ara di Dioniso.L'accesso dei coreuti allo spazio delimitato dall'orchestra avveniva attraverso due corridoi laterali scoperti denominati parodoi (πάροδοι).Lo spazio dedicato all'orchestra si ridusse nel teatro ellenistico e in quello romano, parallelamente all'aumento degli edifici scenici e al declino del ruolo drammaturgico affidato al coro.

Eredità etimologica Il termine orchestra, con il suo derivato orchestrare, conserva nella lingua italiana accezioni emancipatesi dall'originario significato collegato alla danza. Il compito di fornire l'etimologia a termini di danza scenica è stato assunto proprio dal termine che indicava il protagonista che si muoveva nell'orchestra, cioè il coro (coreutica, coreografia, ecc.).Antefatto, nella drammaturgia è una situazione, o uno stato, preformato, dal quale prende spunto l'episodio iniziale di un dramma.Da un punto di vista teorico, lo spettatore dovrebbe essere al corrente dell'antefatto, affinché lo svolgimento dell'episodio gli appaia comprensibile. Quindi è, abitualmente, l'autore, sempreché gradisca rispettare i canoni della tradizione, a svelare, già nelle prime scene l'antefatto, grazia ad una serie di riferimenti indiretti.Nel teatro classico l'antefatto, solitamente, o viene espresso sotto la forma di un racconto assegnato al coro, o comunque si rivela un'esposizione chiara e esaustiva.[1]

Tra gli esempi più noti, si ricordano l'antefatto nelle Supplici di Eschilo svelato dal coro delle Danaidi, mentre nell' Aulularia di Plauto è il Lare domestico a spiegare i precedenti che precostituiscono l'avvio della commedia.Il teatro moderno, con tutte le sue innovazioni e la rottura di schemi e tradizioni consolidate, non rispettando più la continuità temporale dell'azione, tende, talvolta, ad escogitare stratagemmi, come l'alterazione della luce scenica o del tono recitativo, per rappresentare all'improvviso, l'antefatto.Comunque, la proposizione dell'antefatto, seppur svolta in modo graduale e improvvisa, è ancora molto usata nel Novecento, basti pensare alle opere di Arthur Miller e di Diego Fabbri.[1]

Anche nella cinematografia si usa la rievocazione de passato che scopre l'antefatto della vicenda: è il cosiddetto flash-back.

L'arco scenico finemente decorato del Teatro La Fenice di Venezia.

Nei cosiddetti "teatri all'italiana", l'arco scenico è il grande arco situato nella parte superiore del palcoscenico e che ne delimita lo spazio incorniciandolo e separandolo da quello destinato agli spettatori.

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Oltre a separare il palcoscenico dalla platea, ossia la sala del teatro dal luogo di azione, l'arco scenico è un elemento architettonico che può assumere varie forme e può essere costruito con diversi materiali, generalmente in muratura. Oltre al fine ornamentale, l'arco scenico ha una costante di rilievo nell'acustica generale del teatro.La platea si trova generalmente nei teatri o nei cinema ed è la superficie della sala antistante il palcoscenico, dove sono disposte le poltrone per il pubblico. È frequentemente contrapposta alla galleria o ai palchi.

Il martirio di Sant'Apollonia, di Jean Fouquet. Da notare come l'azione si svolga di fronte alle mansion e, dunque, nella platea.

Il concetto di platea come spazio riservato allo spettatore nacque, in occidente, nel Medioevo, quando le rappresentazioni sacre si spostarono dall'interno delle chiese ai piazzali ad esse antistanti: l'utilizzo di veri e propri palcoscenici (denominati, a seconda del luogo, mansion, loci deputati o pageant, nel caso di carri mobili) sui quali si svolgeva l'azione scenica, predisposti in linea retta o circolare, prevedeva che il pubblico seguisse lo svolgimento del dramma nello spazio antistante ai luoghi deputati, denominato platea, dal latino "ampio spazio".[1]

Il teatro medievale prevedeva, per ragioni sceniche e di spazio, l'utilizzo della platea anche come luogo dell'azione scenica: in tal senso, alcuni documenti riportano che alcuni attori percorrevano per plateas lo spazio riservato agli spettatori, spostando così il luogo della rappresentazione.[2] Va da sé che la platea non rappresentava ancora il luogo preposto per lo spettatore, ma era uno spazio destinato sia alla rappresentazione che alla fruizione dell'evento teatrale.Con la costruzione dei primi teatri, la platea andò configurandosi sempre più come luogo destinato all'accoglienza di coloro che assistevano allo spettacolo. Nel teatro elisabettiano questa era composta da una pavimentazione in terra battuta o pietra, utilizzata dal popolo come luogo di visione ma senza l'ausilio di posti a sedere: questi, infatti, erano riservati al pubblico più abbiente, che poteva permettersi di pagare la comodità della seduta, presente nei palchi che circondavano il palcoscenico. Alcuni ospiti d'onore, inoltre, prendevano posto direttamente sul palcoscenico accanto agli attori.Il Rinascimento italiano, teso alla rivalutazione e riscoperta dei classici greci e latini, non utilizzò la platea come spazio per lo spettatore: il teatro greco e latino, infatti, risolvevano lo spazio teatrale antistante la scena in maniera diversa: nella Grecia antica, esso era denominato orchestra e fungeva da spazio di azione del coro, mentre a Roma, persa l'importanza drammaturgica di questo elemento, rimase unicamente come retaggio dei teatri greci. I primi teatri rinascimentali, la cui forma ricalcava, in qualche modo, quella dei teatri classici adattandone le componenti strutturali alle esigenze moderne (nello specifico, inizialmente, le stanze dei palazzi signorili), non diedero troppa importanza alla platea né come luogo d'azione scenica né come spazio per la fruizione.L'avvento del teatro all'italiana determinò una convenzione teatrale che venne adottata anche nei secoli successivi alla sua realizzazione, dal 1600 in poi: la configurazione della platea come spazio dedito all'accoglimento del solo

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pubblico, di norma costituito da fasce del popolo (dopo l'apertura dei primi teatri pubblici) che non potevano pagare un palco. Inizialmente, la platea era costituita da uno spazio con panche e tavoli, tra i quali si svolgevano le più disparate attività senza un collegamento con le rappresentazioni teatrali: sovente vi si potevano svolgere danze, banchetti e feste. Tale pratica non era desueta nemmeno tra i palchi, che fungevano da "salotto" per i ricevimenti e la vita sociale delle classi più agiate.

Veduta aerea di una platea

Nel XIX secolo, l'avvento del teatro naturalista, preceduto dal dibattito settecentesco sul ruolo sociale del teatro e delle sue componenti, staccò completamente il luogo dell'azione da quello dello spettatore: incorniciata dall'arco scenico, la scena si configurava come una visione di un interno borghese, destinando la platea a solo luogo di fruizione, oramai provvisto di apposite poltrone e, per via della migliore visuale, ceduto alle classi abbienti che potevano permettersi di pagare il biglietto. Ad aumentare la scissione intervenne l'utilizzazione della corrente elettrica, che permise lo svolgersi delle rappresentazioni con il buio totale in platea, azzerando la possibilità di interazione tra i soggetti in essa presenti e catalizzando l'attenzione sulla scena.

Sala teatrale di un moderno teatro

Nel corso del XX secolo nuove forme di spazio teatrale vennero progettate, alcune delle quali sprovviste di platea: la drammatizzazione di alcune opere, inoltre, prevedette la possibilità di recitazione in platea, configurando quest'ultima, come agli albori, come spazio anche per l'azione scenica.Oggigiorno, tuttavia, la platea rimane, nell'immaginario collettivo e per questioni legate alla praticità, il luogo di accoglimento del pubblico assieme alle balconate, gradinate e palchi. La costruzione della stessa è soggetta alle leggi sull'edilizia che ne stabiliscono, in media, numero di posti e materiali da utilizzare.

Un botteghino a Maui, Hawaii.

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Il botteghino (o, in inglese e ormai anche nel linguaggio giornalistico, il box office) è il luogo in cui vengono venduti i biglietti per l'ingresso ad un evento pubblico, specialmente al cinema, al teatro o allo stadio. Il termine è spesso associato al successo che ha l'evento (di solito nel cinema) o, in senso figurato, anche una persona.Il termine è spesso utilizzato, nel contesto dell'industria cinematografica, come sinonimo dell'entità economica di una produzione, sia essa un film o uno spettacolo teatrale. Questa può essere misurata in termini di numero di spettatori o di denaro ricavato dalle vendite. L'analisi di tali guadagni è spesso importante per l'ambiente di produzione e per l'interesse del pubblico. Molti lamentano il fatto che l'importanza data dall'industria agli incassi abbia diminuito l'attenzione data al film come forma d'arte, tuttavia, il successo economico di un film è molto influente per la produzione dei lavori futuri.Ci sono molti siti internet che controllano gli incassi dei botteghini, come Box Office Mojo.Box Office vuol dire scatola chiusa.

La divisioni in settori della cavea al Colosseo

La cavea è l'insieme delle gradinate (e diviso in settori) di un anfiteatro o di un teatro classico, dove prendevano posto gli spettatori per assistere alle rappresentazioni o ai giochi.Nella Roma antica in origine era quella parte nascosta degli anfiteatri dove erano collocate le gabbie delle fiere, in seguito viene a denominare lo spazio destinato al pubblico. Diviso per ceto sociale, era distinta in ”ima”, ”media” e ”summa cavea”, in cui prendevano posto rispettivamente i ceti dei rango senatorio (in prima fila) e di rango equestre, le categorie intermedie, e la plebe.La cavea poggiava sopra le volte dei vomitoria, accessibili dall'ambulacro che girava tutto intorno all'edificio.Nella maggior parte dei casi, se la cavea è di forma ellittica, ci troviamo di fronte ad un anfiteatro.

Il palco reale del Teatro comunale di Ratisbona

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Il palco reale è un particolare tipo di palchetto presente in quei teatri costruiti secondo la logica del teatro all'italiana, una particolare consuetudine nell'architettura teatrale occidentale che imponeva la divisione dello spazio per gli spettatori in palchi.Posto frontalmente al palcoscenico, è di norma situato sopra il primo ordine di palchi e, essendo di ampiezza ed altezza maggiore rispetto ai normali palchetti, solitamente si sviluppa verticalmente fino a coprire l'altezza di due o più ordini. L'aggettivo "reale" indica la sua funzione: essendo la struttura del teatro all'italiana pensata per rispecchiare l'ordine sociale che utilizzava il teatro come salotto, il palco reale accoglieva il monarca e i componenti della famiglia reale quando questi presenziavano alle rappresentazioni. Non era comunque l'unico posto ove i regnanti potevano sedere a teatro: spesso la barcaccia o i palchi di proscenio, posti in prossimità del palcoscenico, permetteva una migliore visibilità.

Moderno riutilizzo di un palco reale, con trasformazione dello stesso in galleria per il pubblico (Teatro di Meiningen)

Finemente decorati e stuccati, i palchi reali portavano lo stemma della casata regnante a completamento dell'arcata che li incorniciava: spesso, un drappo appeso al reggipetto ne ripeteva il blasone.Con la progressiva trasformazione degli stati da monarchie a repubbliche, l'usanza di costruire teatri all'italiana cessò completamente: gli unici esempi di palchi reali a noi giunti sono quelli dei teatri antichi ancora funzionanti. Inoltre, la presenza dei palchi reali vi è solo nelle strutture di una certa grandezza. Oggigiorno, dove il palco reale non è conservato nella sua originaria struttura, è possibile che le alte cariche dello Stato prendano posto in tale luogo per presenziare ad eventi culturali.

Particolare della barcaccia del Teatro di San Carlo, a Napoli

Nel linguaggio teatrale (riferito in particolare all'opera lirica), con il termine barcaccia ci si riferisce alla serie di palchetti posti immediatamente a lato del palcoscenico. Spesso i palchetti direttamente sul palco, che sono di

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dimensioni maggiori a quelli degli altri ordini, erano occupati dai regnanti di turno che, invece di assistere alle rappresentazioni dal palco reale, preferivano ammirare gli artisti a pochi metri di distanza.L' iposcenio o sottopalco è l'ambiente sottostante il palcoscenico di un teatro. Solitamente usato come luogo di servizio o come deposito per gli attrezzi, in alcuni teatri viene utilizzato dagli attori durante gli spettacoli come rifugio in cui scendere, passando attraverso le botole situate sul palcoscenico sovrastante.

Sipario in velluto del Teatro Mario Tiberini di San Lorenzo in Campo, (PU)

Il sipario è quel drappo scorrevole che divide il palcoscenico di un teatro dalla sala e dagli spettatori. Spesso è un oggetto artistico decorato con passamanerie e ricami. Di solito è costituito da tessuti molto pesanti (velluto), poiché una delle sue funzioni è quella di non lasciar passare i rumori e le luci del palcoscenico durante i cambi di scena fra un atto e l'altro. Solitamente dietro al sipario esiste un velario, detto comodino, che si apre in due metà o cala a ghigliottina sul palcoscenico. Questo elemento, costituito da una tela rigida, spesso è dipinto ed ha una funzione anche decorativa.La ribalta è la parte del palcoscenico, o meglio del proscenio, rivolta verso la platea o comunque il pubblico, che delimita il palcoscenico stesso. Non è quindi sinonimo di proscenio, termine al quale viene spesso erroneamente accostato.La ribalta aveva in passato lo scopo di nascondere al suo interno le luci che occorrevano per illuminare la scena: lo stesso nome, ribalta, indicava l'asse che, ruotando su degli appositi perni, serviva ad oscurarle. Con i progressi dell'illuminotecnica, poi, le luci della ribalta vennero soppiantate dai più versatili e comodi riflettori ed americane, che proponevano un'illuminazione non più dal basso ma dall'alto o all'altezza della scena stessa, con una maggiore manovrabilità e flessibilità.Molti teatri hanno mantenuto, soprattutto negli Stati Uniti d'America o in alcune capitali europee, la peculiarità delle luci della ribalta, il cui nome evoca tuttora sogni di fama e successo. Da qui il titolo del celebre film di Charlie Chaplin Luci della ribalta. Spesso sono presenti sui palcoscenici che ospitano musical o teatro comico con un vago sapore d'annata.

Il proscenio del Teatro Olimpico di Vicenza realizzato su disegno di Andrea Palladio (1584 circa)

Il proscenio è la parte del palcoscenico teatrale che si trova verso il pubblico. In genere il proscenio viene confuso con la ribalta, la quale invece è la parte che delimita il palcoscenico stesso e che un tempo ospitava le luci che illuminavano scena e attori.

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Il proscenio fa parte della scenografia e viene usato dagli attori durante la recita, mentre la ribalta non ha riferimento con la scenografia, ma con il limitare del palcoscenico.Possiamo trovare un proscenio nei primi teatri greci, dove questo veniva utilizzato dai cantori per raccontare la storia precedente agli eventi narrati e molto spesso le azioni principali si svolgevano proprio qui.Ma per la prima volta il proscenio diviene parte della struttura narrativa di un'opera e quindi della vita teatrale stessa con la riforma teatrale di Carlo Goldoni.

Il foyer dell'Opéra Garnier a Parigi.

Il foyer è il locale, adiacente ad una sala teatrale o cinematografica, dove gli spettatori hanno la possibilità di intrattenersi prima e dopo lo spettacolo e durante le pause. In italiano lo stesso luogo si può indicare anche col termine ridotto.I foyer, spesso vicini o parte integrante di bar o punti ricreativi, all'interno o subito adiacenti ai teatri, sono diventati veri e propri "luoghi di incontro culturale".Nell'ambito dei servizi sociali il termine foyer indica una casa di accoglienza per senza tetto, che fornisce anche altri servizi di tipo sanitario, educativo o di aiuto e supporto psicologico.In Francia con il termine foyer vengono anche indicate residenze comuni dove studenti o lavoratori vivono insieme. Esistono foyer destinati a persone dello stesso sesso o misti. Solitamente gli occupanti dormono in camere singole o multiple e condividono i luoghi ad uso comune, come cucina, bagni, biblioteca, lavanderia, ecc. Chi vive in un foyer paga un affitto mensile e rispetta regole ed orari stabiliti dal foyer.

Il fondale costituisce lo sfondo della scena in un luogo, come ad esempio il teatro, adibito alla rappresentazione di spettacoli.Può essere di stoffa (nera, colorata) o di tela dipinta e viene utilizzata come elemento della messa in scena attraverso le decorazioni o le immagini su di essa riportate, oppure per le peculiarità dei vari tipi stoffe, come la trasparenza o la luminosità; può scendere o salire a seconda delle necessità.

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Il teatro di Dioniso è situato presso l'acropoli di Atene ed è il più antico teatro stabile di tutto il mondo classico[senza fonte]. Fu utilizzato dai più importanti autori di teatro greci (Eschilo, Sofocle ed Euripide per la tragedia, Aristofane e Menandro per la commedia), che mettevano in scena i loro testi in occasione delle festività dedicate a Dioniso, dio del teatro. Venne costruito agli inizi del V secolo a.C. a ridosso del santuario di Dioniso. Accanto all'ingresso sorgeva l'Odeo di Pericle.

Storia

La costruzione

Secondo i pochi documenti storici noti, pare che quando ad Atene cominciarono le rappresentazioni teatrali (attorno al 534 a.C., secondo il Marmor Parium), esse avvenissero nell'agorà. Tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C., però, si verificò un incidente: il crollo delle impalcature (ikria) dove sedevano gli spettatori. Si decise allora di spostare le rappresentazioni in un luogo ad esse dedicato, che venne identificato sulle pendici meridionali dell'acropoli, presso il santuario di Dioniso. Sfruttando il naturale pendio dell'Acropoli, in un imprecisato anno all'inizio del V secolo a.C. fu costruito il teatro.

Il teatro nel V secolo a.C.

Al tempo dei più grandi autori teatrali dell'antica Grecia, il teatro era formato da una orchestra del diametro di 25 metri, in cui recitavano gli attori ed il coro. Probabilmente non esisteva un palcoscenico riservato agli attori, sicché questi ultimi ed il coro erano sullo stesso livello ed interagivano tra loro.[1] Alle spalle degli attori stava la skené, ossia alcuni pannelli di legno dove era rappresentato un paesaggio o un palazzo (l'ambientazione dell'opera).[2] All'orchestra si accedeva tramite due corridoi laterali (detti parodoi o eisodoi) e tramite una porta centrale, situata nel centro della skené.

Nella direzione opposta, dall'orchestra si dipartivano le gradinate per il pubblico, in forma semicircolare, formate da sedili in legno che seguivano la naturale pendenza del terreno, sicché gli spettatori (eccetto quelli seduti in prima fila) avevano una visuale dall'alto. Pare che il teatro di Dioniso potesse arrivare a contenere anche 15.000 spettatori.[3]

Da qualche parte ai margini dell'orchestra (secondo alcuni in cima alla skené) era situato il theologeion, una pedana rialzata, solitamente usata per l'apparizione degli dei. Era inoltre presente la mechanè, una sorta di gru che permetteva di sollevare da terra l'attore, simulando il volo.

In questo secolo, ed in quello successivo, il teatro di Dioniso fu senz'altro il più importante dell'intero mondo greco, poiché tutti i più grandi autori del tempo vi mettevano in scena i loro drammi.

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Ipotetica ricostruzione del teatro in epoca imperiale (dall'enciclopedia Pierers Konversationslexikon, 1891)

Il teatro nel IV secolo a.C.

In un periodo collocabile tra la fine del V secolo a.C. ed il 330 a.C., il teatro assunse gradualmente la seguente fisionomia: venne introdotto il palcoscenico, rialzato rispetto all'orchestra e ad essa collegato tramite alcuni gradini. Sul palcoscenico agivano gli attori, mentre l'orchestra, più in basso, era riservata al coro. Vennero inoltre costruite gradinate di pietra in sostituzione delle precedenti di legno, suddivise in settori corrispondenti al censo e alla nobiltà degli spettatori. Il posto centrale della prima gradinata, un sedile di marmo riccamente decorato, era riservato al sacerdote di Dioniso.

I secoli successivi

Il teatro di Dioniso venne utilizzato almeno fino al periodo dell'impero romano (ed è a questo periodo che risalgono la maggior parte delle rovine oggi visibili), ma in seguito cadde in disuso, al punto da essere sepolto dal terreno e dalla vegetazione. Dal periodo bizantino, l'intero complesso era completamente distrutto.[4] Venne riportato alla luce grazie agli scavi dell'archeologo Wilhelm Dörpfeld, condotti tra il 1882 ed il 1895.

Storia del teatroDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Indice

[mostra]

La storia del teatro, nella sua definizione più moderna di disciplina autonoma, interpreta e ricostruisce l'evento teatrale basandosi su due elementi principali: l’attore e lo spettatore e più precisamente sulla relazione che li lega, la relazione teatrale. Entrambi hanno una funzione primaria necessaria all'esistenza del fatto teatrale: mentre l'attore rappresenta un corpo in movimento (non necessariamente fisico o accompagnato dalla parola) in uno spazio, con precise finalità espressive e narrative, lo spettatore è il fruitore attivo e partecipe dell'avvenimento, che ne condiziona l'andamento e decodifica l'espressività dell'evento artistico.

La storia del teatro è una scienza giovane, che solo recentemente (in Francia e Germania alla fine degli anni cinquanta, in Italia all'alba degli anni sessanta) si è affrancata da una interpretazione riduttiva che la limitava alla storia della letteratura drammatica. In particolare la moderna storia del teatro analizza il fatto teatrale prendendo in considerazione il suo più ampio contesto storico, sociale, culturale ed esistenziale, ed ha come protagonisti non solo drammaturghi e attori, ma tutti gli artisti che hanno collaborato alla nascita e all'evoluzione del fenomeno teatrale: musicisti, scenografi, architetti, registi e impresari, per citarne alcuni.

Questa disciplina, nata e sviluppatasi in Europa, tende in genere a restringere il campo di indagine alle forme di teatro occidentali, e a fondarne le origini nel teatro classico dell'Atene del V secolo a.C., allargando la visuale ad un'ottica mondiale solo a partire dal teatro contemporaneo. Tuttavia,

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specialmente in opere più recenti, grande attenzione è rivolta alla tradizione teatrale precolombiana, africana e asiatica. In particolare, per quanto riguarda quest'ultima, l'interesse da parte degli artisti e studiosi europei e statunitensi risale alla seconda metà del novecento, e contribuì non poco alla evoluzione delle forme teatrali occidentali e alla nascita di una antropologia teatrale.

Occorre specificare che la nascita dell'arte teatrale nei vari continenti è profondamente legata ai culti religiosi dai quali derivano momenti di accomunamento tra gli individui e i rituali di celebrazione: l'evoluzione del teatro occidentale permise il discostamento della letteratura drammatica dall'argomento religioso, mantenendone tuttavia gli elementi caratterizzanti. Solo la nascita delle moderne discipline teatrali e gli studi in materia hanno permesso l'individuazione del rito nelle pratiche teatrali, permettendo l'accomunamento e la comparazione delle diverse tradizioni mondiali all'interno dell'antropologia teatrale.

Teatro nei popoli primitivi [modifica]

Sebbene lo studio delle manifestazioni teatrali nei popoli primitivi sia di difficile ricostruzione, sappiamo per certo che alcuni rituali che sfociavano in vere e proprie rappresentazioni erano presenti nel quotidiano di molte culture.

Riti propiziatori con carattere di spettacolarità erano infatti allestiti secondo il ciclo stagionale allo scopo di venerare, pregare o ringraziare gli dei per la stagione futura. Gli eschimesi, ad esempio, erano soliti rappresentare un dramma per celebrare la fine della notte polare: la drammatizzazione dell'evento avveniva tramite un narratore che accompagnava gli attori ed il coro, composto da sole donne.

Sempre a carattere propiziatorio e segnati dal trascorrere del tempo, ma slegati dai ricorsi della natura erano i riti sociali, che sottolineavano un avvenimento quotidiano. Il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, le nascite e le morti erano celebrate, in maniera differente, con caratteri drammatici e pubblici che ne giustificano la teatralità. Soprattutto le cerimonie iniziatiche comprendevano rituali e celebrazioni di forte caratterizzazione drammatica. Anche la caccia, la pesca o l'agricoltura offrivano spunti per rappresentazioni teatrali.

Una componente importante per il teatro dei primitivi era l'azione mimica, che poteva essere sia stilizzata che naturalistica, accompagnata da danze e musica; non meno importanti erano, inoltre, quelli che oggi definiremmo trucco e costume: molteplici culture sottolineavano l'estraneità dell'avvenimento al mondo reale (e quindi la finzione o il ribaltamento della realtà) tramite il mascheramento e l'ornamento. L'uso della maschera, tuttavia, non era pratica comune a tutte le popolazioni: i pigmei ed i boscimani non ne facevano uso. La maschera era infatti simbolo di potere, di solito prerogativa di personalità importanti della comunità, come gli sciamani. I Kono, popolazione primitiva dell'attuale Papua Nuova Guinea, utilizzavano le maschere per impersonare gli dei, attribuendo al mascheramento da parte dell'attore anche il conferimento, a quest'ultimo, dei poteri del dio rappresentato[1].

L'apporto della danza e della musica è un punto non molto chiaro, poiché non sempre queste avevano le caratteristiche di teatralità: sebbene il confine tra le manifestazioni artistiche sia nel contesto labile, alcune di esse rientrano propriamente nella storia dei generi suddetti.

In ultima analisi è importante sottolineare l'estrema diversità della relazione teatrale esistente tra il teatro come comunemente lo si intende nel mondo occidentale ed il teatro dei primitivi. Accadeva infatti che l'attore, incline a spostare la sua soggettività al personaggio rappresentato, potesse essere preda di trance o possessioni: non di rado ciò accadeva anche al pubblico, come la moderna

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avanguardia teatrale ha dimostrato. L'estremizzazione del processo è distante dalle comuni pratiche teatrali odierne, nelle quali l'attore non perde mai la propria soggettività e non vi è rischio di spersonalizzazione. Già dal XX secolo, tuttavia, registi e teorici del teatro hanno dimostrato un forte interesse verso una più massiccia partecipazione del pubblico alla rappresentazione se non all'azione scenica stessa, modificando il ruolo da fruitore passivo a partecipatore attivo dell'evento, ristabilendo così un legame con il teatro del passato.

Storia del teatro occidentale [modifica]

Storia del Teatro Occidentale

Teatro greco o Tragedia greca o Commedia o Dramma satiresco o Autori classici greci

Teatro latino o Atellana o Cothurnata o Fescennino o Praetexta o Palliata o Satira latina o Togata o Autori classici latini

Teatro medievale o Sacra

rappresentazioneo Mistero o Moralità

Teatro moderno o Teatro

rinascimentaleo Teatro

elisabettianoo Commedia dell'arte o Comédie

larmoyanteo Dramma romantico o Dramma borghese o Dramma politico

Teatro contemporaneo

Page 24: Teatro

o Regia teatrale o Teorici del teatro o Teatro epico o Teatro dell'assurdo o Varietà

Storia della danza Storia del mimo e della

pantomima Storia del circo

Visita il Portale del Teatro

La divisione temporale del fenomeno teatrale occidentale che generalmente viene utilizzata si può così schematizzare:

il teatro classico, che comprende la rappresentazione teatrale antica greca e romana; il teatro medioevale, riferita al periodo del medioevo europeo, con la nascita della sacra

rappresentazione; il teatro moderno, dal rinascimento fino al romanticismo; il teatro contemporaneo, che comprende le esperienze teatrali del novecento fino ai giorni nostri.

Teatro classico [modifica]

Antica Grecia [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Teatro greco.

L'origine del teatro occidentale come lo conosciamo è senza alcun dubbio riferibile alle forme drammatiche sorte nell'antica Grecia, così come sono di derivazione greca le parole teatro, scena, dramma, tragedia, coro, dialogo.

La tradizione attribuisce le prime forme di teatro a Tespi, giunto ad Atene dall'Icaria, verso la metà del VI secolo. Tradizione vuole che sul suo carro trasportasse i primi attrezzi di scena, arredi scenografici, costumi e maschere teatrali.

Molto importanti per l'evoluzione del genere comico furono i Phlyakes (Fliaci), attori già professionisti, girovaghi. I Fliaci provenivano dalla Sicilia e, dato il loro carattere nomade, erano soliti muoversi su carri che fungevano anche da spazio scenico. Gli attori portavano maschere molto espressive, una stretta camicia e rigonfiamenti posticci; per gli uomini il costume prevedeva anche un grande fallo, esibito o coperto dalla calzamaglia.

Gli Ateniesi svilupparono la consuetudine di organizzare regolarmente grandi festival in cui i maggiori autori teatrali dell'epoca gareggiavano per conquistarsi il favore del pubblico. La forma d'arte di ispirazione più elevata era considerata la tragedia, i cui temi ricorrenti erano derivati dai miti e dai racconti eroici. Le commedie, che spesso fungevano da intermezzo tra le tragedie, di

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carattere più leggero e divertente, prendevano spesso di mira la politica e i personaggi pubblici del tempo.

I principali tragediografi greci furono Eschilo, Sofocle ed Euripide; i commediografi più importanti furono Aristofane e Menandro.

Teatro latino [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Teatro latino.

Scena teatrale. Affresco romano. Palermo, museo archeologico.

Nella Roma antica il teatro, che raggiunge il suo apice con Livio Andronico, Plauto e Terenzio per la commedia e Seneca per la tragedia, è una delle massime espressioni della cultura latina.

I generi teatrali che ci sono rimasti meglio documentati sono di importazione greca: la palliata (commedia) e la cothurnata (tragedia). Si sviluppano altresì una commedia e una tragedia di ambientazione romana, dette rispettivamente togata (o trabeata) e praetexta. La togata viene distinta da generi comici più popolari, quali l'atellana e il mimo. La tragedia di argomento romano (praetexta) si rinnova negli avvenimenti, considerando fatti storici. La tabernaria era invece un'opera comica di ambientazione romana. Il genere popolare dell'atellana è stato accostato alla commedia dell'arte.

Teatro medievale [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Teatro medievale.

Dopo la caduta dell'Impero romano sembrò che il teatro fosse destinato a non esistere più. La Chiesa cattolica, ormai diffusa in tutta Europa, non apprezza il Teatro ed addirittura scomunica gli attori. A questa situazione, però, sopravvivono i giullari, eredi del mimo e della farsa atellana. Intrattengono la gente nelle città e nelle campagne con canti ed acrobazie e pende su di loro la condanna della chiesa la quale, dal canto suo, dà origine ad un'altra forma di teatro: il dramma religioso o sacra rappresentazione, per mezzo del quale i fedeli, spesso analfabeti, apprendono gli episodi cruciali delle Sacre scritture.

Rilevante in ambito tedesco fu l'opera della monaca Roswitha di Gandersheim che nel X secolo fece rinascere il dramma in Germania, utilizzandolo come mezzo per attrarre i fedeli e colpirne la fantasia.

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Teatro moderno [modifica]

Teatro nel Rinascimento [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Teatro rinascimentale.

Il Rinascimento fu l'età dell'oro del teatro per molti paesi europei (in particolare in Italia, Spagna, Inghilterra e Francia), rinascita preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale.

Autori di commedie furono, in Italia, Niccolò Machiavelli, il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, gli eruditi Donato Giannotti, Annibal Caro, Anton Francesco Grazzini, il nobile senese Alessandro Piccolomini, gli intellettuali cortigiani Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e Ruzante; Gian Giorgio Trissino, Torquato Tasso e Giovan Battista Guarini composero tragedie di carattere epico.

Riscoperta e valorizzazione degli antichi classici da parte degli umanisti permise lo studio delle opere concernenti il teatro non solo dal punto di vista drammaturgico ma anche dal punto di vista architettonico, scenografico e teorico, che permisero la costruzione e l'allestimento di nuovi teatri.

Il teatro del XVII secolo [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Teatro elisabettiano e Commedia dell'arte.

Il Seicento fu un secolo molto importante per il teatro. In Francia nacque e si consolidò il teatro classico basato sul rispetto delle tre unità aristoteliche. La grandiosa opera drammatica di Pierre Corneille (1606-1684) già delineò un gusto teatrale francese e aprì le porte al siècle d'or, ben rappresentato dalla commedia di Molière (1622-1673), di costume ma soprattutto di carattere, frutto di un'acuta osservazione e rappresentazione della natura umana e dell'esistenza, e dalla tragedia alta, umana e tormentata di Jean Racine (1639-1699).Non meno significativa fu l'impronta lasciata dal teatro seicentesco spagnolo, dalla imponente produzione del maestro Lope de Vega (1562-1635), fondatore di una scuola che ebbe in Tirso de Molina (1579-1648) con il suo Don Giovanni, e in Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) con le sue vette poetiche immerse nella realtà, nel sogno e nella finzione, i migliori discepoli.

In Italia il teatro dei professionisti, i comici della Commedia dell'arte, soppiantò il teatro erudito rinascimentale. Per circa due secoli la commedia italiana rappresentò il "Teatro" tout court, per il resto d'Europa. La sua influenza si fece sentire dalla Spagna alla Russia e molti personaggi teatrali furono direttamente influenzati dalle maschere della commedia dell'arte: Punch la versione inglese di Pulcinella, Pierrot la versione francese di Pedrolino e Petruška la versione russa di Arlecchino. Sempre in Italia c'erano già delle prove di tragediografi come Federico Della Valle e Carlo de' Dottori e anche commediografi ancora legati alle corti come Jacopo Cicognini alla corte fiorentina dei Medici.

Altri esponenti del teatro elisabettiano furono Christopher Marlowe (1564-1593) e Thomas Kyd (1558-1594). Il vero rivale di Shakespeare fu tuttavia Ben Jonson (1572-1637), le cui commedie furono anch'esse influenzate dalla commedia dell'arte; fu attraverso di lui che certi personaggi scespiriani sembrano tratti da una commedia italiana, come ad esempio Stefano e Trinculo de La tempesta.

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Teatro del XVIII secolo [modifica]

Fu un secolo buio per quanto riguarda la Spagna, ben lontana dai fasti dei periodi precedenti, transitorio per la produzione britannica ad esclusione delle legitimate comedy, delle commedie giovanili di Henry Fielding (1707-1754) e delle innovazioni tecniche di David Garrick (1717-1779), illuminista nei drammi tedeschi di Lessing (1729-1781) e un'età ricca di riforme ed innovazioni in Francia.[2][3][4][5]

La situazione italiana dopo un lungo secolo di Commedia dell'Arte dedicò l'inizio di questo secolo all'analisi delle forme teatrali e la riconquista degli spazi scenici di una nuova drammaturgia che oltrepassasse le buffonerie del teatro all'improvviso. Se per la commedia i conti con il teatro dell'arte è subito conflittuale poiché in tutta Europa la commedia delle maschere è considerata la "commedia italiana" con i suoi pregi ma anche i difetti di una drammaturgia quasi assente e la poca cura dei testi rappresentati, spesso quasi mai pubblicati, il confronto con la commedia del resto d'Europa penalizza molto il teatro italiano.

All'inizio del XVIII secolo la commedia cortigiana s'avvale della produzione della scuola toscana della commedia detta pregoldoniana del fiorentino Giovan Battista Fagiuoli e dei senesi Girolamo Gigli e Jacopo Nelli. L'esempio di Molière e il lento distacco del francese dalla commedia italiana per costituire una forma intermedia di dramma a metà tra quella dell'arte e la commedia erudita, pur mantenendo fisse le presenze di ruoli classici della commedia dell'arte, per la prima volta scopre i volti degli attori e le maschere cedono il posto a nuove figure come quella del Borghese gentiluomo, Tartufo, il Malato immaginario ecc.

Su questo esempio i pregoldoniani costruiscono e stendono le trame delle loro commedie, alle volte anche sin troppo simili a Molière, in particolare il personaggio di Don Pilone di Girolamo Gigli è costruito su quello del Tartufo da rischiare il plagio. Altri come Fagiuoli partono invece dalle maschere per ripulire gli eccessi degli zanni; infatti uno dei ruoli fissi delle sue commedie è quello di Ciapo, contadino toscano, che richiama lo zanni ma anche i servi scaltri della commedia rinascimentale.

Se per la commedia la situazione italiana è oscurata dalla ormai centenaria tradizione della commedia dell'arte, per la tragedia, la situazione in Italia è peggiore. In Italia non era mai esistita una tradizione tragica alla quale ricondursi, anche il '500 aveva espresso ben poco oltre Trissino, Guarini e un Tasso decisamente minore rispetto a quello della Gerusalemme liberata. In compenso esisteva un ampio patrimonio tragico all'interno del melodramma ma che non rispondeva certo alle esigenze di coloro che ammiravano il secolo d'oro francese di Corneille e Racine.

L'erudito e teorico del teatro tragico Gian Vincenzo Gravina, già maestro di Metastasio, tentò una via italiana alla tragedia che rispettasse le unità aristoteliche ma le sue tragedie sono fredde, preparate a tavolino e poco adatte alla rappresentazione. Nacque comunque sulla spinta di Gravina uno dei migliori tragediografi italiani del '700 prima di Alfieri: Antonio Conti che insieme a Scipione Maffei che scrisse La Merope, la tragedia italiana più rappresentativa di questo inizio secolo e aprì le porte alla tragedia di Alfieri.

Il teatro italiano riprese un ruolo di primo piano all'interno del panorama europeo, nel melodramma con Metastasio (1698-1782) e nella commedia con Goldoni (1707-1793). Metastasio ridiede spessore al libretto, anche a scapito della musica e del canto, purificando il lingiaggio poetico e migliorando la caratterizzazione dei personaggi, al punto da divenire non solo il librettista più ricercato fra i musicisti europei, ma persino un autore teatrale rappresentato anche in assenza della musica. Goldoni fu un riformatore e uno sperimentatore, spaziando dalla commedia di carattere a

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quella di ambiente, dalla drammaturgia borghese a quella popolare, dal commedia dialettale esaustiva alla rappresentazione della realtà veneziana focalizzata nelle contraddizioni sociali, politiche e economiche.[6]

Per la tragedia, tra gli altri, va ricordato Pier Iacopo Martello (1665-1727), che si rifà al teatro francese del Seicento.

Teorici del Settecento [modifica]

Il Settecento pose le basi anche dello sviluppo teorico della recitazione e della funzione dell'arte teatrale per la società. Il teorico di maggior prestigio fu Denis Diderot, filosofo illuminista ma anche autore di tre testi teatrali che s'inseriscono nel nuovo filone del dramma borghese, che con il suo trattato Paradosso sull'attore (1773) gettò le basi di una nuova visione della recitazione che precorse la teoria brechtiana dello straniamento in opposizione alla teoria dell'immedesimazione. Già sin dal 1728 l'attore italiano Luigi Riccoboni con il trattato Dell'arte rappresentativa e L'Histoire du Théâtre Italien (1731) aveva cercato di fare il punto sulla recitazione partendo dalla sua esperienza di attore della Commedia dell'Arte.

Questo trattato aprì una discussione alla quale parteciparono il figlio di Luigi Antoine François Riccoboni con L'Art du thèâtre (1750) e la moglie di lui Marie Jeanne de la Boras detta Madame Riccoboni grande amica di Goldoni, vi parteciparono anche Antonio Fabio Sticotti, colui che introdusse il personaggio di Pierrot sulle scene francesi, con Garrick ou les acteurs anglais (1769) e lo stesso David Garrick il più grande interprete scespiriano del '700.

Nel frattempo in Francia l'arte drammatica si era evoluta con la comédie larmoyante di Pierre-Claude Nivelle de La Chaussée e il dramma rivoluzionario di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais l'inventore del personaggio di Figaro ripreso da Mozart e Rossini.

Il medico Giovanni Bianchi (Rimini 1693-1775), rifondatore nel 1745 dell'Accademia dei Lincei, compose nel 1752 una Difesa dell'Arte comica, messa dalla Chiesa di Roma all'Indice dei libri proibiti. Nella vicenda rimase coinvolta l'attrice romana Antonia Cavallucci. Raccontiamo quanto accadde. È l'ultimo venerdì di Carnovale del 1752. Prima di leggere il suo discorso sull'Arte comica all'Accademia dei Lincei riminesi, Giovanni Bianchi fa esibire una giovane e bella cantante romana, Antonia Cavallucci. Il concerto della Cavallucci provoca scandalo in città. Bianchi allontana la ragazza, spedendola a Bologna e Ravenna con lettere di raccomandazione che, praticamente, a nulla servono. Contro la Cavallucci il vescovo di Rimini, Alessandro Guiccioli, inoltra a Roma «illustrissime e reverendissime insolenze», come riferisce a Bianchi un suo corrispondente, Giuseppe Giovanardi Bufferli. Attraverso la Cavallucci si vuole colpire il suo protettore. Bianchi è stato sempre insofferente verso l'ortodossia filosofico-scientifica della Chiesa, ed è in stretta concorrenza rispetto al monopolio pedagogico e culturale dei religiosi, sia con il proprio Liceo privato sia con i rinnovati Lincei. Le manovre ecclesiastiche riminesi producono l'effetto desiderato. Contro il discorso dell'Arte comica si celebra presso il Sant'Uffizio un processo, affrettato ed irrituale, che porta alla condanna del testo. L'accusa è formalmente di aver esaltato la Chiesa anglicana, più tollerante di quella romana, nella considerazione degli attori. In sostanza, non piace la difesa dei classici che Bianchi ha tentato.

Antonia Cavallucci nelle lettere a Bianchi racconta la sua vita disperata. Ha dovuto sposare, per imposizione della madre, un uomo violento ed avaro, da cui vorrebbe separarsi con la pronuncia di un tribunale ecclesiastico: e proprio a Bianchi lei chiede una memoria da recitare in quella sede. A Bologna ed a Ravenna, deve contrastare gli assalti galanti di chi avrebbe dovuto aiutarla. Invoca

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così l'aiuto economico di Bianchi. Lo chiama «mio padre» ed anche «nonno», mentre sul medico ricade il sarcasmo degli amici che lo accusano di essersi innamorato di una ragazza allegra.

Il teatino padre Paolo Paciaudi chiama Antonia «infame sgualdrina» e «cortigiana svergognata», d'accordo con il padre Concina, grande avversario di Bianchi, che definisce «putidulæ meretriculae», leziose puttanelle, quante come lei sono artiste teatrali. Antonia cerca un ruolo di cantatrice: soltanto «per non fare la puttana mi è convenuto fare la comica», confida a Bianchi da Ravenna, respingendo le accuse che volevano la sua casa frequentata da troppi «abatini e zerbinotti».

Antonia si difende incolpando un nemico di Bianchi. Usano insomma lei, per colpire lui. Talora i rapporti epistolari tra l'attrice ed il medico sono burrascosi. Quando Bianchi, accusato da Antonia di essere la causa delle sue sfortune presenti, assume un tono distaccato, lei lo accusa: «Mostrate tutte finzioni». Ma Bianchi ha altri pensieri per la testa, appunto il processo all'Indice. Non ha tempo per ciò che forse considera non un dramma umano, ma le stravaganze di una donna. Di una ragazza. Di un'attrice, per giunta.

Teatro dell'Ottocento [modifica]

Il teatro europeo all'inizio dell'Ottocento fu dominato dal dramma romantico. Gli ideali romantici vennero esaltati in modo particolare in Germania. Nel romanticismo si situano Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Schiller, che videro nell'arte la via migliore per ridare dignità all'uomo. Degli ideali romantici e neoclassici si nutrirono molte tragedie di soggetto storico o mitologico. Al romanticismo teatrale fecero riferimento anche gli autori italiani come Alessandro Manzoni con tragedie come l'Adelchi e Il Conte di Carmagnola, oltre a Silvio Pellico con la tragedia Francesca da Rimini , ambientazioni analoghe tornarono anche nel melodramma. Molto importante fu anche il teatro romantico inglese fra i maggiori rappresentanti ci furono Percy Bysshe Shelley, John Keats e Lord Byron. Ma è anche il secolo degli anticonformisti sia a livello artistico sia nella giustizia sociale, ben rappresentati dal society drama portato in scena da Oscar Wilde e degli innovatori come Georg Büchner che precorsero il dramma novecentesco. In Inghilterra, in Francia ed in Italia, in concomitanza con la nascita del naturalismo e del verismo (perenne ricerca della realtà in maniera oggettiva), intorno alla metà del secolo le grandi tragedie cedettero il posto al dramma borghese, caratterizzato da temi domestici, intreccio ben costruito e abile uso degli espedienti drammatici. Il maggiore esponente del teatro naturalista fu Victor Hugo e del teatro verista Giovanni Verga, nell'America Latina Florencio Sánchez seguì la loro scuola e si mise in evidenza.

Teatro contemporaneo [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Teatro contemporaneo.

Primo Novecento [modifica]

Il Novecento si apre con la rivoluzione copernicana della centralità dell'attore. Il teatro della parola si trasforma in teatro dell'azione fisica, del gesto, dell'emozione interpretativa dell'attore con il lavoro teorico di Kostantin Sergeevič Stanislavskij e dei suoi allievi Vsevolod Emil'evic Mejerchol'd su tutti. Il Novecento aprì anche una nuova fase che portò al centro dell'attenzione una nuova figura teatrale, quella del regista che affiancò le classiche componenti di autore e attore. Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati l'austriaco Max Reinhardt e il francese Jacques Copeau e l'italiano Anton Giulio Bragaglia.

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Con l'affermarsi delle avanguardie storiche, come il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo, nacquero nuove forme di teatro come il teatro della crudeltà di Antonin Artaud, la drammaturgia epica di Bertolt Brecht e, nella seconda metà del secolo, il teatro dell'assurdo di Samuel Beckett e Eugene Ionesco modificarono radicalmente l'approccio alla messa in scena e determinano una nuova via al teatro, una strada che era stata aperta anche con il contributo di autori del calibro di Jean Cocteau, Robert Musil, Hugo von Hofmannsthal, gli scandinavi August Strindberg e Henrik Ibsen; ma coloro che spiccarono tra gli altri, per la loro originalità furono Frank Wedekind con la sua Lulù e Alfred Jarry l'inventore del personaggio di Ubu Roi.

Contemporaneamente però il teatro italiano fu dominato, per un lungo periodo, dalle commedie di Luigi Pirandello, dove l'interpretazione introspettiva dei personaggi dava una nota in più al dramma borghese che divenne dramma psicologico. Mentre per Gabriele D'Annunzio il teatro fu una delle tante forme espressive del suo decadentismo e il linguaggio aulico delle sue tragedie va dietro al gusto liberty imperante. Una figura fuori dalle righe fu quella di Achille Campanile il cui teatro anticipò di molti decenni la nascita del teatro dell'assurdo.

La Germania della Repubblica di Weimar fu un terreno di sperimentazione molto proficuo, oltre al già citato Brecht molti artisti furono conquistati dall'ideale comunista e seguirono l'influenza del teatro bolscevico, quello dell'agit-prop di Vladimir Majakovskij, fra questi Erwin Piscator direttore del Teatro Proletario di Berlino e Ernst Toller il principale esponente teatrale dell'espressionismo tedesco.

Nella Spagna del primo dopoguerra spicca la figura di Federico García Lorca (1898-1936) che nel 1933 fece rappresentare la tragedia Bodas de sangre (Nozze di sangue) ma le sue ambizioni furono presto represse nel sangue dalla milizia franchista che lo fucilò vicino a Granada.

Teatro italiano nel regime fascista [modifica]

« Occorre che gli autori italiani in qualsiasi forma d’arte o di pensiero si manifestino veramente e

profondamente interpreti del nostro tempo, che è quello della Rivoluzione fascista »

( Mussolini)

Necessarie premesse nell'esaminare il rapporto tra il regime dittatoriale e il teatro sono quelle che riguardano l'ideologia culturale fascista, la sua organizzazione e le condizioni dell'arte dello spettacolo nell'Italia dell'epoca.

La critica[7] concorda quasi all'unanimità nel ritenere che non vi sia stato un "teatro fascista" interamente rappresentativo della ideologia e dei valori fascisti.

Questo non significa che il fascismo si disinteressò di quanto veniva rappresentato anzi «intuì subito l'importanza (o la pericolosità) del palcoscenico».[8] come uno degli elementi per l'organizzazione del consenso da parte dell'opinione pubblica borghese, di quel ceto medio che allora preferiva assistere alle rappresentazioni della commedia di costume, quella che fu poi chiamata «delle rose scarlatte», o del teatro dei «telefoni bianchi» di Aldo De Benedetti dove la presenza di un telefono bianco in scena stava ad indicare l'adesione alla modernità della classe media rappresentata in commedie stereotipate incentrate prevalentemente su trame basate sul classico triangolo amoroso il cui fine era primariamente quello di svagare e divertire il pubblico e non di indottrinarlo politicamente.

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Da questo punto di vista il fascismo prese atto che il teatro italiano non aveva colto le novità ideologiche portate dal fascismo.

Il Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri parlando alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939 dichiarava che nella produzione teatrale italiana «...al risultato quantitativo non ha corrisposto un pari risultato qualitativo, specialmente per quanto riguarda l’auspicata nascita di un teatro drammatico che esprima i motivi ideali ed i valori dello spirito fascista».[9]

Ossequenti all'invito del Duce, durante tutto il periodo fascista, una congerie di compagnie filodrammatiche, espresse da quella stessa classe media che aveva sostenuto il fascismo, si esercitò nella produzione di testi teatrali inneggianti al regime e spesso direttamente dedicati a Mussolini «per gratitudine verso colui che l’Italia tutta guida e anima, ammaestra e comanda». Lo stesso Mussolini si avventurò nella scrittura di tre canovacci teatrali che il noto drammaturgo e regista Giovacchino Forzano completò e mise in scena naturalmente con grande successo.

Di un teatro fascista si può quindi parlare riferendolo a quegli autori che, in modo dilettantesco e per ottenere i favori del regime, scrissero una serie di copioni dai contenuti ideologici fascisti celebranti la nascita del fascismo e le sue conquiste militari e sociali; lavori questi che non ebbero però mai risonanza presso il grande pubblico.

Dell'assenza di una produzione teatrale fascista dai toni elevati ebbe modo di lamentarsi lo stesso Mussolini in un discorso tenuto[10] il 28 aprile 1933, al teatro Argentina di Roma, in occasione del cinquantenario della SIAE (Società Italiana Autori ed Editori): «Ho sentito parlare di crisi del teatro. Questa crisi c’è, ma è un errore credere che sia connessa con la fortuna toccata al cinematografo. Essa va considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale. L’aspetto spirituale concerne gli autori: quello materiale, il numero dei posti. Bisogna preparare il teatro di massa, che possa contenere 15 o 20 mila persone. La Scala rispondeva allo scopo quando un secolo fa la popolazione di Milano contava 180 mila abitanti. Non risponde più oggi che la popolazione è di un milione. La limitazione dei posti crea la necessità degli alti prezzi e questi allontanano le folle. Invece il teatro, che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del cinematografo, deve essere destinato al popolo, così come l’opera teatrale deve avere il largo respiro che il popolo le chiede. Essa deve agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare sulla scena quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle ricerche degli uomini. Basta con il famigerato “triangolo”, che ci ha ossessionato finora. Il numero delle complicazioni triangolari è ormai esaurito... Fate che le passioni collettive abbiano espressione drammatica, e voi vedrete allora le platee affollarsi. Ecco perché la crisi del teatro non può risolversi se non sarà risolto questo problema.»

Nei teatri italiani non mancava invece il grande pubblico, quello affezionato al teatro di varietà che con le sue ricche scene, le musiche, la bellezza delle ballerine ma soprattutto le irriverenti battute degli attori comici, il cui copione si adattava in modo estemporaneo all'attualità immediata degli avvenimenti politici, rendendolo quasi impossibile controllarlo dalla censura, rappresentava veramente quel teatro di massa che avrebbe voluto il fascismo che in fondo però accettava di buon grado questa forma di spettacolo atta ad allontanare la sensibilità pubblica dai gravi avvenimenti che segnavano la politica del regime. Così nonostante l'opposizione alle lingue dialettali trionfava il teatro dialettale, le farse alla De Filippo, che in assenza, per le sanzioni alla Francia, del vaudeville e della pochade, offriva al pubblico italiano un valido sostituto.

Le ingerenze però soprattutto della censura fascista impedirono un originale sviluppo del teatro che sino alla caduta della dittatura rimase fermo alle innovazioni teatrali dell'inizio del 900, al teatro Dannunziano e Pirandelliano, ambedue del resto legittimati dal fascismo. Agli inizi del 900, prima

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dell'avvento del fascismo il teatro italiano era caratterizzato da uno spirito anarchico, individualistico e pessimistico [11] ma ora questi temi non potevano essere affrontati con un regime dichiaratamente ottimista sulle sorti della società italiana dalla produzione teatrale che in realtà si paralizzò e si isterilì.

Secondo dopoguerra [modifica]

La ricerca degli anni '60 e '70 tenta di liberare l'attore dalle tante regole della cultura in cui vive (seconda natura), per mettersi in contatto con la natura istintiva, quella natura capace di rispondere in modo efficiente e immediato. In questo percorso, il teatro entra in contatto con le discipline del teatro orientale, con lo yoga, le arti marziali, le discipline spirituali di Gurdjeff e le diverse forme di meditazione. L'obiettivo di perfezionamento dell'arte dell'attore diventa insieme momento di crescita personale. La priorità dello spettacolo teatrale, l'esibizione di fronte ad un pubblico, diventa in alcuni casi solo una componente del teatro e non il teatro stesso: il lavoro dell'attore comincia molto prima. L'influenza di questo approccio sul movimento teatrale del Nuovo Teatro è stato immenso, basti pensare all'Odin Teatret di Eugenio Barba, al teatro povero di Jerzy Grotowski, al teatro fisico del Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina.

Anche in Italia si assiste ad uno "svecchiamento" del repertorio tradizionale, grazie al lavoro di drammaturghi come Eduardo De Filippo e Dario Fo, allo sperimentalismo di Carmelo Bene e Leo De Berardinis, al lavoro di grandi registi come Giorgio Strehler e Luchino Visconti. In Germania fu fondamentale l'apporto di Botho Strauss e Rainer Werner Fassbinder, in Francia, fra gli altri, Louis Jouvet che i testi estremi di Jean Genet, degno figlio della drammaturgia di Artaud.

Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del '900 all'evoluzione del teatro europeo con autori come Friedrich Dürrenmatt (1921-1990) e Max Frisch (1911-1991). Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella concezione di una messinscena grazie a Tadeusz Kantor (1915-1990) pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del teatro del Novecento. Il suo spettacolo La classe morta (1977) è tra le opere fondamentali della storia del teatro.

Intanto, si approfondisce la lezione di Stanislavskij sul lavoro dell'attore, fino alle applicazioni "commerciali" dell'Actor's Studio di Stella Adler e Lee Strasberg (da cui provengono Marlon Brando, Al Pacino, Robert De Niro).

L'Opéra National de Paris è un teatro pubblico francese posto sotto la tutela del Ministero della Cultura francese. Esso ha come scopo di rendere accessibile il patrimonio lirico e coreografico al maggior numero di persone, e quello di favorire la creazione e la rappresentazione delle opere contemporanee. A questo titolo, l'Opéra, dispone di due sale: l'Opéra Garnier (che ospita il Corpo di Ballo dell'Opéra) e l'Opéra Bastille.

L'Opéra National de Paris contribuisce inoltre alla formazione professionale e al perfezionamento dei cantanti e dei ballerini, per il suo centro di formazione d'arte lirica e per la scuola di danza di Nanterre.

Opéra GarnierL'Opéra Garnier, o Palais Garnier, è uno degli elementi caratterizzanti del IX arrondissement di Parigi e del panorama della capitale francese. Situato all'estremità dell'avenue de l'Opéra, vicino all'omonima stazione

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della metropolitana Opéra, l'edificio si presenta come un monumento particolarmente rappresentativo dell'architettura eclettica della seconda metà del XIX secolo e si inserisce nella continuità delle trasformazioni di Parigi sotto il Secondo Impero effettuate da Napoleone III e dal prefetto Haussmann.

Questa costruzione è stata conosciuta per tanto tempo come l'Opéra de Paris, ma dopo l'inaugurazione dell'Opéra Bastille nel 1989, le è stato dato il nome del suo autore: Charles Garnier. I due Teatri sono oggi riuniti nello stabilimento pubblico, industriale e commerciale, "Opéra national de Paris".