Sylvia Pallaracci - Myrtus

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Sylvia Pallaracci M y r t u s Catania 2011

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Poesia d'amore

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Sylvia Pallaracci

M y r t u s

Catania 2011

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Proprietà letteraria di

Sylvia Pallaracci

a cura di

Sebastiano A. Patanè

collana “I quaderni delle Vie”

per “Le vie poetiche”

Catania 2011

in copertina

Francesco Scarfone

“profilo”

olio su tela - 2002

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I quaderni delle Vie

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Presentazione

Myrtus racconta l’amore, quello fatto di corporeità, di eros, di frantumi

che si ricompongono continuamente come in un caleidoscopio di

carnalità, ma vive in uno spazio smisurato, in una logica cosmica che lo

fa somigliare a qualcosa di più che ad uno scambio di materia carica di

sensi.

In questa sintesi antologica, Sylvia Pallaracci cede e concede agli

elementi tutti il suo corpo interiore affinché questo possa prendere e

dare da ogni cellula, tutta l’urgenza dell’esistere oltre ogni quotidianità

e nell’intensa passione della natura.

Nella parola, la Pallaracci trova la giusta risonanza, la consapevolezza

dell’essere donna e di appartenere ad un ruolo che la richiede

totalmente in ogni circostanza, completando sempre nel migliore dei

modi, tutto quello a cui partecipa.

L’amore, l’altro, quello fatto di sentimenti, quello che ci rende

“semidei”, gira attorno a lei come gli anelli di Saturno; Sylvia

Pallaracci è un sistema composto d’amore e “cose”, e in questa silloge

ci parla di quelle “cose” che rendono la vita un continuo costruire.

L’area semantica sulla quale poggia la scrittura della Pallaracci, è vasta

e complessa ma gradevole, si legge fluidamente ed è ricca di immagini

metaforiche che si fondono le une con le altre creando una visione

d’insieme notevole e piena di quel pathos che seduce il lettore.

Le vie poetiche

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M Y R T U S Foligno 2010

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Inverno

La sento prorompermi dalla gola

quella nota di te dispersa

tra le siepi

che s’imbrunivano nel nostro tenero

sole a smemorare l’inverno.

Il silenzio vivo di uno spicchio gelato

sollevato alla mia bocca,

cola nebbia sui candelotti accesi

a incensare il respiro

che hai esibito.

Bianco freddo trema

al refolo allucinato di un brivido

che ventricola

sull’uscio che hai lasciato

aperto.

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Tuo è il mio Temp(i)o

Affannoso è l’andare

per perdersi

con le mani tese

a provocare il vuoto

seminando echi di un fiore

che si schiude

di venature rosate

di voglia.

Sei respiro d’aria

inafferrabile

richiamo prepotente che mi trascina

dietro le orme

che t’affondano

quando mi sollevi

sull’altare

come una Dea

mortale

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Donna

Succosa

ciliegia in te s’incarna

il languore rosso

dell’inumana amara dolcezza

sintesi di vita e morte

il rigore del fuoco che annunci

nella pancia

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Ri-versami

Potresti chiedermi

di smettere

Ma il verso tramuta

la rosa nella sua spina

e andando a capo

sgocciola…

Endecasillabi sciolti

in un flutto improvviso

al colmo

di una canicola d’agosto

un gioco d’azzardo

ci ha spogliati di tutto

e ci siamo trovati, disperati

con le mani nello stesso sacco

a frugare terra

sufficiente a riempire

quattro solchi di incoscienza

in ginocchio.

Dovrei chiederti

di trovare la chiusa.

Adesso, continua…

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Divenire

I detriti

che ci tengono incastrati

restituiranno turbini di lava;

un senso di rivolta

colerà le catene

sui nostri polsi tesi.

Torneranno quei tempi in cui

desiderammo il fiume

del divenire l'uno

per l'altra

e per un attimo

chiudemmo gli occhi.

Carne intorno e sopra

e punta a punta

le ossa a fuoriuscire

dentro.

Esiste

un solo dove

oltre il deserto di stupore

che ha incenerito i semi

un angolo scarno, un vuoto d'aria

incuneato tra la luce

sdentata del sole

un fiato vagante

di quiete.

Da infilarci(si) dentro.

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…Mai tardi, per la neve…

tu vieni

tra spire di neve

sulla mia gonna

rossa strizzata ai fianchi

a concepirmi l’irragionevole

equilibrio del tempo

da rimandare

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Per ombre e fuoco

È buono l’odore dei tuoi anni

e mi trema la vita

di una segreta certezza

che non sapevo;

tu mi guardi di cruda bellezza

come un sole smeraldo

in assedio sui greti

Per ombre e fuoco

non t’amo

teneramente, ma scolpito di carne

e di un rischio mortale.

Randagi

accusammo l’indugio e ci vinse

la fame

che succhia e cresce

il nostro sangue

mentre nasciamo alla contraddizione

di ogni leggenda

smentita

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Il perché e il come

Mi chiedi perché

ti sopporto

io che sono il doppio

dell’inconsistenza

ti mostro la linea

inflessibile che disegna

l’incavo dietro le ginocchia

mentre ti (s)piego

il come.

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Otto…e mezzo

È per guardare Oltre

che mi disfeci

non distinguendomi più

tra deliri e agonie

stordimenti e stupori

soste di disperazione

Accartocciata rosa

riarsa

dai refoli di passi

che mi evitano, pericolosamente stantia

per finire, senza sbriciolarmi,

tra i versi ingialliti

di qualche poeta

un vento

impietoso, fa strazio di me

già morta

nell’impeto dei giorni vissuti

a contorcermi

tra le tue mani

assorte ,dalle spalle alle cosce,

a disegnarmi intorno un otto

che diventava infinito

se lo piegavi su un fianco

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Fuori dalla grazia

Ti tuffi

prepotente e sgraziato

nelle mie anse

schiere di angeli scivolano

e lasciano le ali

alle allodole che spuntano

dalle profonde immensità

-vigor di cose mute

nei liquidi divini e puri-

cado fuori densa

e dentro, ogni tua mossa agogna

al mio trono aureo,

luce insistente

di un sole

che non tramonta

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Tornerò, rosata..

Non si dovrebbe cercare altrove

il dolore, non armi né veleni né croci;

nuda è ormai la storia

che mima la Terra.

Anche il salice sempre cadente

ha rizzato i palmi al cielo

e qualche bosco ci viene incontro ai pendii

di frumenti perduti

Erano di cobalto

certi risvegli d’estati senza le fragole

azzurre esplose a ventaglio

che ora a stento ci violano

Guardiana di luoghi nati a somigliarmi

devo inventare i passi

di un altro silenzio

per queste caviglie scricchiolanti

di cemento.

Nelle schiume in riva al mare

dove hanno disciolto l’aurora

tornerò

rosata, un poco bevuta

un po’ più lontana.

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Orizzonti verticali

Di tutto ciò che è bruciato

restano le rovine

dei giorni crollati a ridosso

della pazzia

e un vento pungente

come l’aculeo

che mi conficcò di traverso

una carezza

troppo incline

al suo destino.

Eppure procedeva

senza terra né cielo

quel nome che sentivo

arrivare prima di te

alle labbra

prima di realizzarti nello sguardo

più impulsivo di qualsiasi gesto

scoccava

d’eterno.

Ripercorro con le dita

i tuoi panorami

e sento il riverbero

del vetro

il taglio di un dolore

profondo e verticale.

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Myrtus

cerco un sole

da spremere

per questo cielo indigesto

d’azzurro incenerito tra i rami

una propulsione d’uccelli

scheletriti intona melodie

di violino impazzito

al ritmo di un tempo

che scivola

tra le mani

senza artigli

e mi cado dentro

ghirlande di mirto

peduncolano pensieri

che si moltiplicano

per talea e mi preparano al rifiorire

di nuove lacrime

su vecchie fosse.

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“Ora che non posso sentirmi, parlo con me…”

dimmi

se tornerà

il buio pesto che ha svelato

la sua luce

se questi tremori nervosi

sono solo pelle

non più capace

di rientrarmi

o gli ultimi strascichi infreddoliti

di una primavera

tardiva

se sopravvivrò a questa tragedia

della vita che cambia

nella mia forma che la fissa

invariabile

[dare un senso ai giorni che lascio andare

che non l’aspetto

mi assicura

la follia ]

nella consuetudine della pioggia

le nuvole si annodano

senza scomporsi

le parole risuonano

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male sulle labbra indurite

e si spaccano

al rintocco improvviso

degli accordi di ieri

disgiunte le membra livide

di scuse, senza più fede

mi spalanco come una croce

di traverso

e resto a sorvegliare

l’assalto del dolore

a tradimento

nella mia assenza sconfinata.

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Indice

Inverno

Tuo è il mio Temp(i)o

Donna

Ri-versami

Divenire

…Mai tardi, per la neve…

Per ombre e fuoco

Il perché e il come

Otto…e mezzo

Fuori dalla grazia

Tornerò, rosata…

Orizzonti verticali

Myrtus

“Ora che non posso sentirmi, parlo con me…”

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