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SUSSIDIO PER I SACERDOTI Radicati nel Battesimo Diocesi di Treviso Collana Sussidi - 30 Collana Sussidi - 30 Radicati nel battesimo Ritiri spirituali per i sacerdoti nell’Anno pastorale 2013-2014 Diocesi di Treviso

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5,00 euro

Collana Sussidi - 30

Radicati nel battesimo

Ritiri spirituali per i sacerdoti nell’Anno pastorale 2013-2014

Diocesi di Treviso

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AUTORE: Commissione diocesana per la formazione permanente del clero

TITOLO: Radicati nel Battesimo. Ritiri spirituali per i sacerdoti nell’Anno pastorale 2013-2014

COLLANA: Sussidi - 30

FORMATO: 13 x 21 cm

PAGINE: 144

ISBN: 978-88-95262-76-5

© 2013 Editrice San LiberaleOpera San Pio X - Diocesi di TrevisoVia Longhin 7 - 31100 TrevisoTelefono 0422 576850 - Fax 0422 576992E-mail: [email protected]

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Collana Sussidi - 30

Radicati nel battesimo

Ritiri spirituali per i sacerdoti nell’Anno pastorale 2013-2014

Diocesi di Treviso

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I testi della liturgia inseriti nella presente pubblicazione riproducono quelli approvati della Liturgia delle Ore; i brani evangelici sono ripresi dalla traduzione della Bibbia in lingua italiana approvata e pubblicata dalla CEI nel 2008.

Alla composizione e stesura del testo hanno collaborato: Pavone don Donato, Chioatto don Stefano, Guidolin don Antonio e Pizzato don Luca.

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Presentazione

Le tappe dell’itinerario

L’itinerario spirituale dei ritiri intervicariali è stato pensa-to in sintonia con il piano pastorale di quest’anno. I temi rispondono, pertanto, all’intento di aiutare tutti i sacerdoti della diocesi a riscoprire il sacramento del battesimo, per vedersi chiamati, consacrati e mandati prima di tutto in relazione ad esso.

Dal punto di vista tematico, si è cercato di non sovrapporsi ad altri itinerari diocesani proposti ai preti o ai responsa-bili della pastorale.

Le tappe del percorso sono: 1) morti e risorti in Cristo; 2) chiamati alla santità; 3) resi tutti fratelli; 4) mandati nel mondo.

Il primo ritiro fa riflettere sul mistero pasquale di Gesù, «fonte» della vita vera. I sacramenti, infatti, sono prima-riamente dono del Signore risorto. Grazie al sangue di Cristo siamo stati salvati dal peccato e dalla morte. Gesù, in fondo, è venuto a liberarci dal male. Ora, con il batte-simo siamo «rinati dall’alto», siamo stati «immersi» nella morte di Cristo per risorgere con lui a vita nuova. La fede è condizione ed effetto del battesimo. La forma di vita del battezzato è il servizio.

Il secondo ritiro evidenzia l’opera dello Spirito Santo in ciascun battezzato e la vocazione comune alla santità. Sia-mo uomini nuovi, mossi dallo Spirito, figli di Dio, chiama-ti alla radicalità evangelica e alla perfezione. Lo Spirito ci conforma a Cristo. Poiché si tratta dello Spirito di Gesù di Nazaret, quella del cristiano, anche e soprattutto del pre-

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sbitero, è una spiritualità «incarnata». Il prete, dunque, è chiamato a santificarsi nell’esercizio del ministero.

Il terzo ritiro accentua la dimensione comunitaria e fra-terna della fede. Con il battesimo siamo stati inseriti nella Chiesa, popolo di re, sacerdoti e profeti. Il corpo di Cristo, che ha un capo e delle membra, vede nel suo seno la pre-senza di una molteplicità di carismi e ministeri.

Il quarto ritiro si concentra sulla missione della Chiesa e la dimensione apostolica del ministero presbiterale. Siamo mandati nel mondo ad evangelizzare e battezzare tutte le genti, quindi a trasmettere la fede, educando alla vita buo-na del Vangelo.

La struttura del testo

Il presente sussidio, volutamente semplice, intende essere un agile e utile strumento per la riflessione, il discerni-mento e la preghiera. Il materiale ivi riportato è struttu-rato, ma soltanto quanto basta per sostenere la ricerca di ciascuno, alla quale niente e nessuno possono sostituirsi.

Il libro si articola in quattro capitoli, che raccolgono i testi per la riflessione e l’orazione dei partecipanti ai ritiri inter-vicariali. Ciascun capitolo si struttura nel seguente modo: 1. adorazione eucaristica, con i brani, le orazioni e i canti

per la preghiera del mercoledì sera; 2. brani biblici di riferimento, con le citazioni della Sacra

Scrittura per l’ascolto della Parola e la proposta del pre-dicatore;

3. testi per la riflessione, con alcuni passi del Magistero sul ministero dei presbiteri in rapporto al sacramento del battesimo;

4. testi per l’approfondimento, con frammenti di rifles-sione tratti da libri di spiritualità o riviste di pastorale,

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capaci di stimolare, sostenere e alimentare il lavoro per-sonale di discernimento e attualizzazione;

5. un testimone esemplare, con il profilo personale e qual-che brano tratto dagli scritti di un cristiano della nostra terra, che si è distinto per la fedeltà e la coerenza con le quali ha cercato di vivere gli impegni del proprio batte-simo (S. Pio X, Giuseppe Toniolo, madre Oliva Bonaldo e padre Bernardo Sartori);

6. per la preghiera personale, con l’offerta di altre orazioni da utilizzare a piacere, in occasione dell’adorazione sera-le, della lectio personale o della collatio fraterna.

I ritiri intervicariali

Se è vero che una piccola porzione di presbiterio lamenta delle difficoltà circa la residenzialità dei ritiri intervicariali, è altrettanto vero che la gran parte del clero diocesano ri-conosce proprio in essa una preziosa opportunità.

Valutando ancora una volta con attenzione e oculatezza i pro e i contro di un’esperienza avviata parecchi anni fa, la commissione per la formazione permanente del clero ha scelto di continuare a proporla nella sua ormai consueta modalità e tempistica. Pertanto, anche quest’anno i riti-ri intervicariali avranno inizio con la recita dei vespri del mercoledì sera e termineranno con il pranzo del giorno dopo.

Quello che segue è il programma suggerito:

– mercoledì: ore 19.00 preghiera dei vespriore 19.30 cenaore 21.00 adorazione con breve intervento del predi-

catoreore 22.00 preghiera di compieta e benedizione eucari-

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stica;

– giovedì: ore 7.30 celebrazione delle lodi e dell’ufficio delle

let tureore 8.15 colazioneore 9.00 proposta di meditazioneore 9.50 tempo di preghiera personale e confessioniore 11.45 condivisione spiritualeore 12.15 preghiera dell’ora mediaore 12.30 pranzo.

Anche se sul piano organizzativo tutto è pronto, manca una delle condizioni fondamentali per l’efficacia dell’itine-rario spirituale che il presente sussidio intende accompa-gnare, vale a dire la consapevole e convinta adesione per-sonale. L’augurio che ci facciamo l’un l’altro, dunque, è di saper rispondere all’azione dello Spirito Santo con l’eserci-zio responsabile della nostra libertà.

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Primo ritiro

Morti e risorti in Cristo

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

Rit. Anima Christi, sanctifica me.Corpus Christi, salva me.Sanguis Christi, inebria me.Aqua lateris Christi, lava me.

1. Passio Christi, conforta me.O bone Iesu, exaudi me.Intra vulnera tua asconde me. Rit.

2. Ne permittas a te me separari.Ab hoste maligno defende me.In hora mortis meæ voca me. Rit.

3. Et iube me venire ad te,ut cum sanctis tuis laudem teper infinita sæcula sæculorum. Amen. Rit.

Breve momento di silenzio

Invito alla preghiera

Cel. O Cristo, tu hai patito per me e mi hai lasciato il tuo esempio, perché io ne segua le orme.Ass. O Cristo, tu sei il mio esempio!

Cel. Tu non hai mai commesso un peccato, né si è mai trovato inganno sulla tua bocca. Ass. O Cristo, tu sei il mio esempio!

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Cel. Quando tu sei stato insultato, non hai restituito l’insulto.Ass. O Cristo, tu sei il mio esempio!

Cel. Quando tu soffrivi non minacciavi vendetta, ma ti affidavi a Colui che giudica rettamente.Ass. O Cristo, tu sei il mio esempio!

Cel. Tu hai portato i miei peccati sul legno della croce, perché non vivessi più per il peccato, ma vivessi per la giustizia. Ass. O Cristo, tu sei il mio esempio!

Cel. Io ero come una pecora dispersa, ma ora tu mi hai fatto tornare per seguirti, pastore e guardiano del mio spirito.Ass. O Cristo, tu sei il mio esempio!

Breve momento di silenzio

Preghiera corale

O fonti vive zampillanti dalle piaghe del mio Dio, con che getto copioso fluirete sempre ad irrigare le nostre esistenze per mantenerle floride! E come camminerà sicuro fra i pericoli di questa miseranda vita chi saprà abbeverarsi a questa linfa divina. Sia Egli benedetto per sempre. Sua maestà mi conceda di morire, piuttosto che cessare di amarlo. S. Teresa di Gesù

Breve momento di silenzio

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In ascolto della parola di Dio (lc 3,15-22)

Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Gio-vanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre e-sortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. Ma il tetrarca Erode, rimproverato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che aveva commes-so, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Gio-vanni in prigione. Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si può meditare prendendo spunto dall’o-melia che don Claudio Girardi tenne il 10 gennaio 2010, pro-prio a commento della pericope evangelica appena proclamata (cfr. Don ClauDio GirarDi, Con gli occhi fissi su Gesù, Ed. S. Libe-rale, Treviso 2013, pp. 481-483).

Chissà se è solo mio il desiderio di andare al «mi-dollo» delle parole. Di riscoprirne il senso verace, di aspirarne il profumo originario, di succhiarne la gioia primitiva. Se prendo il Rocci, il vocabolario di

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greco di tante generazioni di studenti, e cerco il ver-bo da cui salta fuori il battesimo (sia il battesimo di Cristo che celebriamo oggi, sia il nostro battesimo), non trovo primariamente il valore liturgico di un gesto rituale, il «battezzare». Trovo, primariamente, i verbi affascinanti: immergere, sommergere, tuffa-re. Eh, sì, il battesimo è un tuffo. Il nostro modo di celebrarlo forse ce lo ricorda poco! Qualche goccia d’acqua sulla testa dei bambini.

È reale quello che accade! Il battesimo di Gesù ce lo ricorda magari con più forza: quell’entrare con tut-to il corpo nel Giordano che scorre. Gambe, braccia, testa. Sparire per un attimo, nelle onde. Poi riemer-gere. Riprendendo il respiro a pieni polmoni. Riemer-gere con un volto nuovo.

A dire il vero quello nel Giordano non è il primo «tuf-fo» di Gesù. Qual è il primo? Quello che all’inizio dei secoli, prima del tempo, il Figlio compie, con un’agi-lità divina: dal grembo del Padre al Fuoco d’Amore dello Spirito Santo.

Ma non è l’unico tuffo del Figlio di Dio: dal grembo del Padre al grembo della Vergine Maria, in un totale donarsi che è anche un immenso rimpicciolirsi, per starci senza far male, senza scandalizzare.

Ma non basta. Dal grembo della Vergine Maria al mondo intero, alle vie di Nazareth, della Giudea, del-la Galilea, sotto i portici del tempio di Gerusalemme, per le strade della Samaria...

Ma non è ancora finita. Dal mondo, casa dei poveri, dei sofferenti, degli umiliati un altro tuffo: sulla Cro-ce. Sembra un tuffo al contrario: un tuffo verso l’alto. In realtà più in basso di così non ci poteva proprio andare! Fa... un salto mortale!

E dalla Croce di nuovo si butta, vivo, nel seno del Padre e nel fuoco dello Spirito Santo. E di là, risorto, salta nella vita degli uomini, tramite la Santa Euca-ristia, tramite il Vangelo, tramite la Chiesa, tramite i doni dello Spirito Santo.

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Quanti battesimi hai ricevuto Signore! Quanto hai desiderato immergerti completamente, veramente, misericordiosamente nella nostra vita! Quanto hai desiderato sparire in mezzo a noi, ma non per con-fonderti! Hai desiderato sparire in mezzo a noi come il lievito sparisce nella farina. Come il sale nell’acqua.

E mentre si preparava a tuffarsi nel mondo dei poveri di Dio, fa un tuffo nel Giordano. Per dire che è tutto, interamente, senza sconti, senza mezze misure, im-merso nella volontà del Padre. Tutto e interamente immerso nel desiderio di Dio che gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Per questo, prima che nell’acqua, si tuffa nella fila dei peccatori, senza paura, senza giudicare. Verrà il momento del giudi-zio! Ma per ora non fa altro che buttarsi nella fila dei pubblicani e delle prostitute.

Perché la sua infinita santità sia raggiungibile e «contagiosa». Perché nessuno abbia a temere il volto di Dio. Perché nessuno possa presumere di dire e di sapere tutto di lui.

Anche noi abbiamo ricevuto tanti «battesimi». Bat-tezzati, immersi, nella vita delle nostre famiglie. Immersi nella nostra città. Immersi nel mondo del lavoro, nella scuola, nel tempo libero. Immersi nella gioia. Profondamente immersi nell’amore. Immersi nel dolore, nella malattia, nella disperazione, nell’in-capacità di comprendere, di dire, di ascoltare.

Abbiamo ricevuto anche un sacramento che si chia-ma battesimo. Ci ha immersi nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo, da quel giorno, per sempre. Im-mersi in una vita e in una luce al di là di tutto. Im-mersi in una vita che ci supera, ci avvolge, è presente in noi, nei piccoli giorni che passano veloci.

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Preghiera di Compieta

INNO

Gesù, luce da luce, sole senza tramonto, tu rischiari le tenebre nella notte del mondo. In te, santo Signore, noi cerchiamo il riposo dall’umana fatica, al termine del giorno. Se i nostri occhi si chiudono, veglia in te il nostro cuore; la tua mano protegga coloro che in te sperano. Difendi, o Salvatore, dalle insidie del male i figli che hai redenti col tuo sangue prezioso. A te sia gloria, o Cristo, nato da Maria vergine, al Padre ed allo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SuppliCa fiDuCioSa nell’afflizione

paDre, nelle tue mani ConSeGno il mio Spirito (lC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

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Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affido alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 Dal profonDo a te GriDo

eGli Salverà il Suo popolo Dai Suoi peCCati (mt 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.

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L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (ef 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affido il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.

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Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE lC 2,29-32CriSto, luCe Delle Genti e Gloria Di iSraele

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

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Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifisso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

Benedizione

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

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Antifona mariana

Ave, Regina cœlorum, ave, Domina angelorum, salve, radix, salve, porta, ex qua mundo lux est orta.

Gaude, Virgo gloriosa, super omnes speciosa; vale, o valde decora, et pro nobis Christum exora.

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2. Brani biblici di riferimento

Libro del profeta Ezechiele (47,1-12)

Mi condusse poi all’ingresso del tempio e vidi che sotto la so-glia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la faccia-ta del tempio era verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell’altare. Mi condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece gira-re all’esterno, fino alla porta esterna rivolta a oriente, e vi-di che l’acqua scaturiva dal lato destro. Quell’uomo avanzò verso oriente e con una cordicella in mano misurò mille cu-biti, poi mi fece attraversare quell’acqua: mi giungeva alla caviglia. Misurò altri mille cubiti, poi mi fece attraversare quell’acqua: mi giungeva al ginocchio. Misurò altri mille cu-biti, poi mi fece attraversare l’acqua: mi giungeva ai fian-chi. Ne misurò altri mille: era un torrente che non potevo attraversare, perché le acque erano cresciute; erano acque navigabili, un torrente che non si poteva passare a guado. Allora egli mi disse: «Hai visto, figlio dell’uomo?». Poi mi fe-ce ritornare sulla sponda del torrente; voltandomi, vidi che sulla sponda del torrente vi era una grandissima quantità di alberi da una parte e dall’altra. Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Araba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungo-no quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tut-to rivivrà. Sulle sue rive vi saranno pescatori: da Engàddi a En-Eglàim vi sarà una distesa di reti. I pesci, secondo le loro specie, saranno abbondanti come i pesci del Mare Grande. Però le sue paludi e le sue lagune non saranno risanate: sa-ranno abbandonate al sale. Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese

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matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina».

Vangelo di Giovanni (19,25-37)

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù al-lora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli a-mava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’ac-colse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiu-to!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno del-la Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha vi-sto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezza-to alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

Lettera di Paolo ai Romani (6,1-14)

Che diremo dunque? Rimaniamo nel peccato perché abbondi la grazia? È assurdo! Noi, che già siamo morti al peccato, co-me potremo ancora vivere in esso? O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati

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nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risu-scitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se, infatti, siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sap-piamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è libe-rato dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti, egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora inve-ce vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Il peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri. Non offrite al peccato le vostre membra co-me strumenti di ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia. Il peccato infatti non dominerà su di voi, perché non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia.

Per la meditazione personale

Sal 27 (26) Mc 7,31-37 Gv 9,1-41 Rm 5,1-11 Tt 3,1-11 1Pt 3,13-22

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3. Testi per la riflessione

Dalla Costituzione Lumen Gentiumdel Concilio Ecumenico Vaticano II

10. Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo a-gli uomini (cfr. Eb 5,1-5), fece del nuovo popolo «un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo» (Ap 1,6). Infatti, per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per of-frire, mediante tutte le attività del cristiano, spiri-tuali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce (cfr. 1Pt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perse-verando nella preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At 2,42-47), offrano se stessi come vittima viva, san-ta, gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in essi di una vita eter-na (cfr. 1Pt 3,15).

Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio mini-steriale o gerarchico, quantunque differiscano essen-zialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all’offer-ta dell’Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringrazia-mento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa.

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Dall’esortazione apostolica Pastores Dabo Vobis di Giovanni Paolo II

21. [...] Grazie alla consacrazione operata dallo Spiri-to nell’effusione sacramentale dell’Ordine, la vita spi-rituale del sacerdote viene improntata, plasmata, con-notata da quegli atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa e che si compendiano nella sua carità pastorale.

Gesù Cristo è Capo della Chiesa, suo Corpo. È «Capo» nel senso nuovo e originale dell’essere servo, secondo le sue stesse parole: «Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Il servi-zio di Gesù giunge a pienezza con la morte in croce, ossia con il dono totale di sé, nell’umiltà e nell’amore: «Spogliò se stesso, assumendo la condizione di ser-vo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce...» (Fil 2,7-8). L’auto-rità di Gesù Cristo Capo coincide dunque con il suo servizio, con il suo dono, con la sua dedizione totale, umile e amorosa nei riguardi della Chiesa. E questo in perfetta obbedienza al Padre: egli è l’unico vero Servo sofferente del Signore, insieme sacerdote e vittima.

Da questo preciso tipo di autorità, ossia dal servizio verso la Chiesa, viene animata e vivificata l’esistenza spirituale di ogni sacerdote, proprio come esigenza della sua configurazione a Gesù Cristo Capo e servo della Chiesa. Così Sant’Agostino ammoniva un vesco-vo nel giorno della sua ordinazione: «Chi è capo del popolo deve per prima cosa rendersi conto che egli è il servo di molti. E non disdegni di esserlo, ripeto, non disdegni di essere il servo di molti, poiché non disdegnò di farsi nostro servo il Signore dei signori».

La vita spirituale dei ministri del Nuovo Testamen-to dovrà essere improntata, dunque, a questo essen-ziale atteggiamento di servizio al popolo di Dio (cfr.

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Mt 20,24ss; Mc 10,43-44), scevro da ogni presunzione e da ogni desiderio di spadroneggiare sul gregge affi-dato (cfr. 1Pt 5,2-3). Un servizio fatto di buon animo, secondo Dio e volentieri: in questo modo i ministri, gli «anziani» della comunità, cioè i presbiteri, potranno essere modello del gregge, che, a sua volta, è chiama-to ad assumere nei confronti del mondo intero questo atteggiamento sacerdotale di servizio alla pienezza della vita dell’uomo e alla sua liberazione integrale.

Dal Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri della Congregazione per il clero

6. [...] Ai fedeli che, rimanendo innestati nel sacer-dozio comune, sono eletti e costituiti nel sacerdozio ministeriale, è data una partecipazione indelebile al-lo stesso e unico sacerdozio di Cristo, riguardo alla santificazione, all’insegnamento e alla guida di tutto il popolo di Dio. Così, se da una parte, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerar-chico sono necessariamente ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo, parteci-pano dell’unico sacerdozio di Cristo, dall’altra parte, essi differiscono essenzialmente tra di loro.

In questo senso, l’identità del sacerdote è nuova ri-spetto a quella di tutti i cristiani che, mediante il bat-tesimo, partecipano, nel loro insieme, all’unico sacer-dozio di Cristo e sono chiamati a dargli testimonianza su tutta la terra. La specificità del sacerdozio ministe-riale si situa di fronte al bisogno che tutti i fedeli han-no di aderire alla mediazione e alla signoria di Cristo, resa visibile dall’esercizio del sacerdozio ministeriale.

In questa sua peculiare identità cristologica, il sacer-dote deve aver coscienza che la sua vita è un mistero inserito totalmente nel mistero di Cristo e della Chie-sa in un modo nuovo e specifico e che questo lo im-pegna totalmente nell’attività pastorale e lo gratifica.

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Dal Direttorio diocesano sulla formazione permanente dei sacerdoti della diocesi di Treviso

22. La consacrazione sacerdotale non è semplice-mente il conferimento di un ufficio che il prete cer-cherà di esercitare nella Chiesa, secondo le sue capa-cità personali. È, invece, un evento soprannaturale. È un intervento di supremo amore di Gesù risorto che crea, in colui che Lui stesso ha scelto, una tra-sformazione che possiamo definire «ontologica»: Ge-sù lo «configura» a sé; gli dona cioè la sua «figura», le sue caratteristiche di capo e pastore, affidandogli la sua stessa missione: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi!» (Gv 20,21).

23. Solo in forza di questo dono, che plasma la per-sona del sacerdote, Gesù «si fida» di consegnare alle mani dei ministri ordinati il suo Corpo e il suo San-gue, il suo perdono, il suo Vangelo, la sua comunità («Pasci i miei agnelli e le mie pecorelle»; Gv 21). Non è, quindi, contando sulle sue risorse che il prete può far crescere la comunità cristiana con la predicazio-ne del Vangelo, i sacramenti e la comunione. Egli è sempre e solo un ministro di un dono che lo ha tra-sformato in profondità.

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4. Testi per l’approfondimento

Da L’ordine cristiano di Giuseppe Colombo

La differenza tra i cristiani e i non-cristiani è questa: i cristiani sanno di vivere nel mondo creato «in Cri-sto»; i non-credenti non lo sanno. I cristiani lo sanno precisamente perché hanno conosciuto Gesù Cristo e gli credono: credono in lui, ai suoi insegnamenti, al suo modo di vivere l’esistenza cristiana, che coeren-temente intendono fare proprio.

A questo riconoscimento, che non è solo di caratte-re intellettuale perché comporta una scelta di vita, è dato il nome di fede, la fede cristiana. Emerge che all’origine della fede sta l’«attrazione» esercitata da Gesù Cristo: senza Gesù Cristo non si pone neppu-re la possibilità della fede cristiana; e, dall’altro lato, solo l’«attrazione» esercitata da Gesù Cristo può spie-gare la fede cristiana.

L’«attrazione» è da intendere generalmente non nel senso sentimentale, ma nel senso più comprensivo che Gesù Cristo e il suo modo di vivere l’esistenza uma-na appaiono convincenti, suscitano fiducia, meritano affi damento, secondo un processo esistenziale che non è solo nostro perché da parte nostra è soltanto la risposta, all’«attrazione» esercitata da Gesù Cristo.

In questo senso la fede è un «dono», propriamente e globalmente il dono di poter vivere con Gesù Cristo e quindi come Gesù Cristo, invece che abbandonati a se stessi.

È da richiamare che l’«attrazione» Gesù Cristo non è riservata esclusivamente ai cristiani, ma si propo-

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ne a tutti gli uomini, poiché tutti sono creati «in Cristo». Effettivamente il Vangelo di Gesù Cristo – e quindi la sua persona, il suo insegnamento, la sua vita – non è riservato ai cristiani, ma è da predicare in tutto il mondo; cioè oggettivamente è destinato a tutti gli uomini, perché per tutti si concretizzi la possibilità della fede.

Nella prospettiva di questa possibilità, l’espressione che la fede è un «dono» non è da intendere nel senso che «a chi gli è dato, gli è dato e chi non l’ha ricevuto, non può farci nulla». È probabile che chi l’ha ricevu-to debba tenerselo come un dono «doppio»; ma è cer-to che chi non ce l’ha, può sempre cercarlo e trovarlo.

In ogni caso, il dono della fede non è da intendere come un privilegio, o garanzia, o assicurazione; è da intendere come un’assunzione di responsabilità che impegna a mostrare e far sapere anche agli altri ciò che si sa grazie alla fede, cioè che il mondo in cui vi-viamo non è senza senso, ma il suo senso s’illumina in funzione di Gesù Cristo; e coerentemente l’esisten-za che viviamo assume il suo senso, senso pieno, solo se la viviamo come l’ha vissuta Gesù Cristo.

(G. Colombo, L’ordine cristiano, Glossa, Milano 1998, pp. 39-41)

Da Perché sia formato Cristo in voi dell’Azione cattolica italiana

Tutto il cristianesimo si riassume in una persona: Gesù Cristo. E tutta la fede nella persona di Gesù Cristo si riassume in un annuncio: «È risorto!». Questa è la notizia umanamente più sconcertante che mai si sia udita sulla terra. La fede in lui, vivo do-po i giorni della passione e l’ora della morte, significa per noi credere che la vita di Gesù, piena di dedizione ai poveri e ai peccatori, agli ammalati e agli esclusi,

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è la strada sicura per una vita riuscita, perché è una storia sulla quale Dio Padre ha posto la sua firma col risuscitarlo dai morti. Credere nel Risorto è poter at-traversare le prove e guardare alle ferite della vita – la nostra come quella di ogni uomo – certi che non si tratta di maledizioni e condanne cui sottrarsi ad o-gni costo, ma di feritoie capaci di rivelarci più inten-samente la presenza del Signore. Il dono dello Spiri-to Santo, dato agli uomini dal Crocefisso risorto, ci rende capaci di questa fede e di questo affidamento.

Vivere da risorti significa aderire con tutta la nostra umanità – mente e cuore, volontà e affetti, senti-menti e opere – a questo messaggio di speranza: una vita convertita è una vita radicalmente fedele al Vangelo nella varietà delle ordinarie situazioni dell’esistenza, ma in rottura con gli schemi mon-dani. Una via così non può non suscitare l’interro-gativo di chi ci incontra e ciò comporta la respon-sabilità, per il discepolo, di essere pronto a rendere ragione della speranza per cui vive. La testimonian-za consiste nel dire il Vangelo della risurrezione con i fatti di vita; la formazione è orientata a introdurre in questa fede, che si custodisce comunicandola e si difende diffondendola [...].

La vita cristiana è relazione personale con Cristo come unico Salvatore della propria vita e della sto-ria. Accettare il suo insegnamento non basta; non basta neanche scegliere la sua vita come modello. Occorre aderire alla persona stessa di Gesù, condi-videre la sua vita e il suo destino, partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Pa-dre. Camminare dietro a Cristo significa «avere in noi gli stessi sentimenti che furono in lui» (Fil 2,5), amare come egli ha amato, fino a dare la vita per i fratelli. Ma come è possibile riuscire con le nostre forze ad amare Cristo al di sopra di tutti e di tutto? Come è possibile amare tutti in Cristo e Cristo in tutti? È possibile se il suo Spirito agisce in noi.

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Appartenere a Cristo significa lasciarsi abitare dal suo Spirito, che ci fa guardare a Dio come a un pa-dre che ci ha amati per primo. Il protagonista della nostra vita spirituale è lo Spirito Santo: egli prega in noi, lotta, ama e opera in noi. Illumina l’intelligen-za, fa il bene insieme con noi, dà gioia e pace.

(ACI, Perché sia formato Cristo in voi, Ave, Roma 2004, pp. 32-34)

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5. Un testimone esemplare

San Pio X

Profilo personale

Giuseppe Melchiore Sarto nasce a Riese il 2 giugno 1835, da Giovanni Battista Sarto, cursore comunale, e da Margherita Sanson, secondo di undici figli. Fin da piccolo mostra un carattere vivace, impulsivo e rigoroso. A scuola è molto sveglio e capace. Comincia molto presto a frequentare la parrocchia e la chiesa. Ogni giorno va a pregare al santuario mariano delle Cendrole e fin da allora si manifesta la sua vocazione sacerdotale. Conclude le scuole elementari, frequen-ta dal 1846 al 1850 il ginnasio a Castelfranco, dove si reca quotidianamente a piedi, quando non ottie-ne passaggi. Agli esami è promosso con il massimo dei voti e risulta essere sempre il primo della classe. Per proseguire gli studi liceali il patriarca di Venezia, card. Jacopo Monico, originario di Riese, gli ottiene un posto gratuito presso il seminario di Padova. Ne-gli otto anni che lo frequenta, il Sarto, oltre che per gli ottimi risultati scolastici, emerge per la sua perso-nalità. Qui nasce la sua passione per la musica sacra: dirige la cappella musicale del seminario e compone numerosi brani. Nel 1852, frattanto, muore il padre Giovanni Battista. Tra il 1855 e il 1858 viene ammes-so ai vari gradi dell’ordine sacro dal vescovo Giovan-ni Antonio Farina. È ordinato prete il 18 settembre 1858, nel duomo di Castelfranco Veneto.

Il suo primo incarico pastorale è quello di cappellano a Tombolo, parrocchia i cui abitanti erano nella mag-gioranza mediatori e mercanti di bestiame. Vi resterà

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per nove anni, dal 1858 al 1867. Sotto la guida del parroco, don Antonio Costantini, acquista una note-vole esperienza pastorale. Lavora moltissimo, dorme pochissimo: dedica un tempo notevole allo studio, prepara con accuratezza le prediche, tanto da essere chiamato in varie parrocchie; è attento alla gente più povera, donando tutto quanto possiede.

Nel 1867 è nominato parroco di Salzano, una parroc-chia formata per la maggior parte da agricoltori.

L’impegno maggiore del nuovo parroco è quello della catechesi degli adulti e dei fanciulli. Frutto di questo impegno è la redazione di un catechismo manoscrit-to con 577 domande e risposte. Anticipa l’ammis-sione all’Eucaristia dei fanciulli all’età di 8-9 anni, istituisce la schola cantorum, sviluppa la devozione eucaristica. Consolida il locale ospedale civile e la casa di ricovero per anziani. S’impegna per l’apertura di un setificio per il lavoro femminile.

Nel 1875 è chiamato a Treviso come cancelliere ve-scovile, direttore spirituale del seminario e canonico residenziale. Circondato, nonostante l’età relativa-mente giovane, dalla stima dei suoi confratelli, alla morte del vescovo Zinelli, a 44 anni è eletto vicario capitolare, cioè amministratore della diocesi durante la sede vacante. Nominato vescovo di Mantova, il 16 novembre 1884 è consacrato vescovo a Roma, nella chiesa di S. Apollinare, dal mantovano Lucido Ma-ria Parocchi, cardinale vicario per la città di Roma. A Mantova, diocesi molto difficile, per l’ambiente cit-tadino, caratterizzato da miscredenza e anticlericali-smo e istigato dall’attiva presenza della massoneria, e quello culturale, pervaso da scientismo, raziona-lismo e positivismo, Sarto fa l’ingresso il 18 aprile 1885. Numerosi erano stati gli abbandoni del mini-stero sacerdotale. Subito s’impegna a «ricostruire» il seminario, rimasto chiuso per qualche anno, per dif-fondere una catechesi organica e continuativa, come pure per il rinnovamento della musica sacra. Dopo

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circa due secoli convoca un sinodo diocesano, che si celebra nel 1888. Favorisce il movimento cattolico.

Nel giugno 1893 è creato cardinale e nominato pa-triarca di Venezia, ma solo il 24 novembre 1894, può fare il suo ingresso, a causa dell’opposizione del go-verno italiano. Dal punto di vista pastorale, nel perio-do veneziano il card. Sarto persegue gli obiettivi già precedentemente evidenziatisi, nella catechesi, nella formazione del clero, nel movimento cattolico. Nel 1895 indice la visita pastorale, nel 1897 celebra un congresso eucaristico, nel 1898 un sinodo diocesano. Fonda nel 1902 a Venezia la facoltà di diritto canoni-co per dare ai suoi preti una sufficiente conoscenza dei problemi giuridici.

Alla morte di Leone XIII, il 4 agosto 1903, è eletto papa, assumendo il nome di Pio X. Subito inizia il suo programma di riforma pastorale, con una serie di provvedimenti: riforma la musica sacra e il brevia-rio, avvia la compilazione del nuovo Codice di Dirit-to Canonico, riforma la curia romana e il Vicariato di Roma, favorisce la riorganizzazione dell’Azione cattolica in Italia, promuove l’insegnamento del ca-techismo, incoraggia la comunione frequente e quo-tidiana e abbassa l’età della prima Comunione dei fanciulli, fonda il Pontificio Istituto Biblico, riforma i seminari d’Italia e, per primo, invia un’esortazione apostolica al clero. Tenace difensore del depositum fidei, temendo la dissoluzione della dimensione tra-scendente del Cristianesimo, combatte efficacemen-te il modernismo.

Muore il 20 agosto 1914, pochi giorni dopo l’inizio della Prima guerra mondiale.

Al termine della causa di canonizzazione, avviatasi nel 1923, il 3 giugno 1951 è proclamato beato e il 29 maggio 1954 è canonizzato da papa Pio XII.

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Alcuni scritti

V. Natura della SaNtità Sacerdotale

8. In che consiste la santità - Il fondamento voluto da Cristo sta proprio nelle virtù «passive»

Ed ora è da vedere in che cosa consista una tale san-tità, della quale il sacerdote non può esser privo sen-za grave vergogna; poiché se alcuno ne ignora o ne male intende l’essenza, si trova in grande pericolo. C’è chi crede, anzi chiaramente professa, che il me-rito del sacerdote consista semplicemente nel sacrifi-carsi tutto al bene degli altri; per cui trascura quasi del tutto quelle virtù, che mirano al perfezionamento individuale (le così dette virtù passive). Dicono che si deve porre ogni attenzione per conseguire ed eserci-tare quelle virtù che chiamano attive. Questa è dot-trina indubbiamente ingannevole e rovinosa. Cristo è maestro ed esemplare di ogni forma di santità, al cui esempio è necessario che si modellino tutti quanti vogliono essere accolti nel regno dei cieli. Ora Cristo non muta col passare dei secoli; ma è il medesimo «ieri, e oggi; ed è sempre Lui anche nei secoli» (Eb 13,8). Quindi agli uomini di tutti i tempi è rivolta quella parola: «Imparate da me, che sono mite e umi-le di cuore» (Mt 11,29); in ogni tempo Cristo ci si presenta «obbediente sino alla morte» (Fil 2,8); e vale per tutte le età la sentenza dell’Apostolo: «Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e con le passioni» (Gal 5,24).

9. La «conditio sine qua non» è l’abnegazione di sé - Condanna dei metodi propri nel mondo

Questi ammonimenti sono rivolti a ciascuno dei fe-deli, ma in modo tutto speciale riguardano i sacer-doti: essi, più che gli altri, devono prendere come a sé rivolte le parole, che il nostro predecessore con apostolico zelo sostiene: «Oh! fossero più numerosi i

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cultori di tali virtù, a imitazione dei santi delle pas-sate età: i quali con l’umiltà, l’obbedienza, la mortifi-cazione di sé, furono potenti in opere e in parole, con indicibile vantaggio non solo della religione, ma del-lo stato e della civiltà». Dove è opportuno osservare come il sapientissimo Pontefice fa menzione speciale della mortificazione che con evangelica parola dicia-mo: abnegazione di sé. Poiché, di qui specialmente, dipende, o diletti figli, la forza e la virtù e il frutto del ministero sacerdotale; al contrario dalla negligen-za di questa virtù, nasce tutto quanto nei costumi e nella vita del sacerdote può offendere gli occhi e sconcertare gli animi dei fedeli. Poiché l’agire a solo scopo di turpe lucro, l’ingolfarsi negli affari monda-ni, l’aspirare ai primi gradi e sprezzare i più modesti, il condiscendere alla carne e al sangue col troppo af-fetto ai parenti, l’eccessivo interesse di piacere agli uomini, il porre la fiducia del proprio successo nell’a-bilità della parola: tutte queste cose derivano dalla negligenza del precetto di Cristo e dal respingere la condizione, che egli ci pose: «Chi vuol venir dietro a me rinneghi se stesso» (Mt 16,24).

Vi. dalla SaNtità i frutti del miNiStero

10. L’abnegazione di sé e la vita interiore sono però male intese se trascurano i gravi doveri di apostolico ministero

Nel mentre suscitiamo così vivamente questo dove-re dell’ecclesiastico, non possiamo non avvertire nel medesimo tempo che il sacerdote deve vivere santo non per sé solo; poiché egli è il lavoratore, che Cri-sto «mandò a lavorare nella sua vigna» (Mt 20,1). È dunque suo officio di svellere le cattive erbe, semi-nare quelle buone e fruttifere, innaffiare, badar bene che il nemico non vi semini in mezzo la zizzania. Perciò il sacerdote deve stare in guardia, affinché indotto da un malinteso desiderio della sua perfezio-

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ne interiore, non trascuri alcune di quelle parti del suo ministero, che spettano al bene dei fedeli. Tali sono la predicazione della Parola di Dio, l’ascoltare le confessioni, l’assistere gli infermi e specialmente i moribondi, l’istruire gli ignoranti nelle cose di fede, il consolare gli afflitti, il ricondurre i fuorviati, l’imi-tare in ogni cosa Cristo, «il quale passò la sua vita facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo» (At 10,38).

11. La base insostituibile: la santità e l’unione con Dio Certo, vi stia scolpito in mente l’insigne ammoni-

mento di san Paolo: «Non è nulla né colui che pianta, né colui che innaffia, ma è Dio che dà il crescere» (1Cor 3,7). Voi potete ben gettare i semi camminando e piangendo, voi potete ben coltivarli con ogni fatica; ma che germoglino e diano i desiderati frutti, è ope-ra del solo Dio e del suo potentissimo intervento. Di più, non bisogna dimenticare che altro non sono gli uomini se non istrumenti, dei quali si serve Dio per la salute delle anime; e che per conseguenza devono essere idonei ad essere maneggiati da Dio. E ciò in qual maniera? Crediamo dunque che Dio si muova a servirsi di noi; per propagare la sua gloria, in vista di una nostra eccellenza o capacità congenita o acqui-sita? Non già, poiché sta scritto: «Le cose stolte del mondo elesse Dio per confondere i sapienti: e le cose deboli del mondo elesse Dio per confondere i forti; e le ignobili cose del mondo e le spregevoli elesse Dio e quelle che non sono per distruggere quelle che sono» (1Cor 1,27-28). Una cosa sola assolutamente serve per unire l’uomo a Dio, a renderlo a Dio grato, e mi-nistro non indegno delle sue misericordie: la santità della vita e del costume.

(pio X, Hærent Animo, 4 agosto 1908)

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6. Per la preghiera personale

Se...

Tutto è per noi Cristo.Se desideri medicare le tue ferite,egli è medico.Se bruci di febbre,egli è la sorgente ristoratrice.Se sei oppresso dalla colpa,egli è la giustizia.Se hai bisogno di aiuto,egli è la forza.Se temi la morte,egli è la vita.Se desideri il cielo,egli è la via.Se fuggi le tenebre,egli è la luce.Se cerchi il cibo,egli è il nutrimento.Gustate, dunque, e vedetequanto è buono il Signore;felice l’uomo che spera in lui. Sant’Ambrogio

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Io m’inginocchio davanti a te

O Signore, io m’inginocchio dinanzi al Santissimo Sacramento dell’altare della santa Chiesa, davanti al sacramento della nuova ed eterna alleanzache mi unisce a te, Figlio e Parola eterna del Padre, a te, Figlio dell’uomo.Se mangio questo pane,rimango in te e tu in me.Se mi cibo di te,tu mi trasformi in te e cresce la fede, la speranza e la carità.Se partecipo al tuo banchetto,o pane di vita e pegno della gloria futura,mangio ciò che condanna il mio egoismo,mi nutro della forza dell’amoreche rende liberi e raccoglie tutti in unità.Nel Santissimo Sacramento dell’altarela tua umanità è il pegno che mi unisce alla tua divinità.E con questa tua umanità io vengo a contatto e ne resto consacrato.Per me che ti ricevo e ti adorocome il Dio nascosto, il Dio silenzioso, il Dio immolatosii il pegno della vita eterna: della vita che è verità e libertà senza confini, della vita che è luce e chiarità senza ombre,della vita che è adorazione beata dell’incomprensibilità di Dio.Della vita che è l’«amen» perenne sul beato ritornodi tutte le creature al Padre, poiché egli è tutto in tutti. Karl Rahner

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Guidami innanzi

Guidami, luce amabile,tra l’oscurità che mi avvolge.Guidami innanzi,oscura è la notte,lontano sono da casa.Dove mi condurrai?Non te lo chiedo,o Signore.So che la tua potenzam’ha conservato al sicuro da tanto tempo,e so che ora mi condurrai ancora,sia pure attraverso rocce e precipizi,sia pure attraverso montagne e desertisino a quando sarà finita la notte.Non è sempre stato così:non ho sempre pregatoperché tu mi guidassi.Ho amato scegliere da me il sentiero,ma ora tu guidami. John Henry Newman

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SecoNdo ritiro

Chiamati alla santità

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1. Adorazione eucaristica

Canto eucaristico durante l’esposizione

1. Hai dato un cibo a noi, Signore, germe vivente di bontà. nel tuo Vangelo, o buon pastore, sei stato guida e verità.

Rit. Grazie diciamo a te, Gesù! Resta con noi, non ci lasciare: sei vero amico solo tu!

2. Alla tua mensa accorsi siamo pieni di fede nel mister. O Trinità, noi t’imploriamo: Cristo sia pace al mondo inter. Rit.

Breve momento di silenzio

Invito alla preghiera

Cel. Benedetto sia Dio, Padre di Gesù Cristo nostro Signore.Ass. Rendiamo grazie a Dio!

Cel. Egli ci ha uniti a Cristo nel cielo, ci ha dato tutte le benedizioni dello Spirito.Ass. Rendiamo grazie a Dio!

Cel. Prima della creazione del mondo Dio ci ha scelti

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per mezzo di Gesù Cristo, per renderci santi e senza difetti di fronte a lui.Ass. Rendiamo grazie a Dio!

Cel. Nel suo amore Dio aveva deciso di farci diventare suoi figli per mezzo di Cristo Gesù.Ass. Rendiamo grazie a Dio!

Cel. A Dio, dunque, sia lode, per il dono meraviglioso che ci ha fatto per mezzo di Gesù, suo amatissimo Figlio.Ass. Rendiamo grazie a Dio!

Cel. Perché Cristo è morto per noi e noi siamo liberati; i nostri peccati sono perdonati.Ass. Rendiamo grazie a Dio!

Breve momento di silenzio

Preghiera corale

Padre, Padre mio, manda lo Spirito di tuo Figlio nel mio cuore.

Aiutami a vivere per te; sapendo che non sono più io a vivere, ma che è Cristo a vivere in me.

Questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio tuo

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che mi ha amato e ha dato se stesso per me.

La tua grazia è ciò di cui ho bisogno per non cadere in tentazione; perché lo spirito è pronto, ma la carne è debole.

Breve momento di silenzio

In ascolto della parola di Dio (rm 8,14-17.26-30)

Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo, infatti, come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti ine-sprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiama-ti secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, poiché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli che ha predestinato, li ha anche chia-mati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati, li ha anche glorificati.

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Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale è possibile leggere con calma e medita-re due numeri della lettera enciclica «Lumen fidei» di papa Francesco.

41. La trasmissione della fede avviene in primo luo-go attraverso il battesimo. Potrebbe sembrare che il battesimo sia solo un modo per simbolizzare la confessione di fede, un atto pedagogico per chi ha bisogno di immagini e gesti, ma da cui, in fondo, si potrebbe prescindere. Una parola di san Paolo, a proposito del battesimo, ci ricorda che non è così. Egli afferma che «per mezzo del battesimo siamo [...] sepolti insieme a Cristo nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo del-la gloria del Padre, così anche noi possiamo cam-minare in una vita nuova» (Rm 6,4). Nel battesimo diventiamo nuova creatura e figli adottivi di Dio. L’Apostolo afferma poi che il cristiano è stato affi-dato a una «forma di insegnamento», cui obbedisce di cuore (cfr. Rm 6,17). Nel battesimo l’uomo rice-ve anche una dottrina da professare e una forma concreta di vita che richiede il coinvolgimento di tutta la sua persona e lo incammina verso il bene. Viene trasferito in un ambito nuovo, affidato a un nuovo ambiente, a un nuovo modo di agire comu-ne, nella Chiesa. Il battesimo ci ricorda così che la fede non è opera dell’individuo isolato, non è un atto che l’uomo possa compiere contando solo sulle pro-prie forze, ma deve essere ricevuta, entrando nella comunione ecclesiale che trasmette il dono di Dio: nessuno battezza se stesso, così come nessuno na-sce da solo all’esistenza. Siamo stati battezzati.

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42. Quali sono gli elementi battesimali che ci in-troducono in questa nuova «forma di insegnamen-to»? Sul catecumeno s’invoca in primo luogo il nome della Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Si offre così fin dall’inizio una sintesi del cammino della fede. Il Dio che ha chiamato Abramo e ha vo-luto chiamarsi suo Dio; il Dio che ha rivelato il suo nome a Mosè; il Dio che nel consegnarci suo Figlio ci ha rivelato pienamente il mistero del suo nome, dona al battezzato una nuova identità filiale. Appa-re in questo modo il senso dell’azione che si compie nel battesimo, l’immersione nell’acqua: l’acqua è, allo stesso tempo, simbolo di morte, che ci invita a passare per la conversione dell’io, in vista della sua apertura a un Io più grande; ma è anche simbo-lo di vita, del grembo in cui rinasciamo seguendo Cristo nella sua nuova esistenza. In questo modo, attraverso l’immersione nell’acqua, il battesimo ci parla della struttura incarnata della fede. L’azio-ne di Cristo ci tocca nella nostra realtà persona-le, trasformandoci radicalmente, rendendoci figli adottivi di Dio, partecipi della natura divina; modi-fica così tutti i nostri rapporti, la nostra situazio-ne concreta nel mondo e nel cosmo, aprendoli alla sua stessa vita di comunione. Questo dinamismo di trasformazione proprio nel battesimo ci aiuta a cogliere l’importanza del catecumenato, che oggi, anche nelle società di antiche radici cristiane, nel-le quali un numero crescente di adulti si avvicina al sacramento battesimale, riveste un’importanza singolare per la nuova evangelizzazione. È la strada di preparazione al battesimo, alla trasformazione dell’intera esistenza in Cristo.

Per comprendere la connessione tra battesimo e fede, ci può essere di aiuto ricordare un testo del profeta Isaia, che è stato associato al battesimo nell’antica letteratura cristiana: «Fortezze rocciose saranno il suo rifugio [...] la sua acqua sarà assicu-

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rata» (Is 33,16). Il battezzato, riscattato dall’acqua della morte, poteva ergersi in piedi sula roccia forte, perché aveva trovato la saldezza cui affidarsi. Così l’acqua di morte si è trasformata in acqua di vita. Il testo greco la descriveva come acqua pistós, acqua fedele. L’acqua del battesimo è fedele perché ad essa ci si può affidare, perché la sua corrente immette nella dinamica di amore di Gesù, fonte di sicurezza per il nostro cammino di vita.

Preghiera di Compieta

INNO

Al termine del giorno, o sommo Creatore, veglia sul nostro riposo con amore di Padre.

Dona salute al corpo e fervore allo spirito, la tua luce rischiari le ombre della notte.

Nel sonno delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell’alba intoni la tua lode.

Sia onore al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, al Dio trino ed unico nei secoli sia gloria. Amen.

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Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SuppliCa fiDuCioSa nell’afflizione

paDre, nelle tue mani ConSeGno il mio Spirito (lC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affido alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

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Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 Dal profonDo a te GriDo

eGli Salverà il Suo popolo Dai Suoi peCCati (mt 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

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LETTURA BREVE (ef 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affido il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE lC 2,29-32CriSto, luCe Delle Genti e Gloria Di iSraele

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

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Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifisso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

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Benedizione

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

Antifona mariana

Alma Redemptoris Mater, quæ pervia cœli porta manes, et stella maris, succurre cadenti, surgere qui curat, populo: tu quæ genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius, Gabrielis ab ore sumens illud Ave, peccatorum miserere.

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2. Brani biblici di riferimento

Libro del profeta Geremia (31,31-34)

Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo del Signore -, poiché io per-donerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato.

Vangelo di Giovanni (1,1-5.9-14.16-18)

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.

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Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Lettera di Paolo ai Colossesi (3,1-17)

Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensie-ro alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi, infatti, siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria; a motivo

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di queste cose l’ira di Dio viene su coloro che gli disobbedi-scono. Anche voi un tempo eravate così, quando vivevate in questi vizi. Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca. Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena cono-scenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti. Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tene-rezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnani-mità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vi-cenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, can-tando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.

Per la meditazione personale

Sal 121 (120) Gv 3,1-8 -21 Gal 4,1-7 Gal 5,13-25 Ef 1,3-14 Ef 5,8-14

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3. Testi per la riflessione

Dalla Costituzione Lumen Gentiumdel Concilio ecumenico Vaticano II

40. Il Signore Gesù, maestro e modello divino di o-gni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepo-li di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Pa-dre celeste» (Mt 5,48). Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr. Mc 12,30), e ad amarsi a vicen-da come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12). I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della gra-zia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesi-mo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi dunque devono, con l’aiuto di Dio, man-tenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto [...].

È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla per-fezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinchè, seguendo l’esempio di lui e diven-tati conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consa-crino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbon-

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danti, com’è splendidamente dimostrato nella storia della Chiesa dalla vita di tanti santi.

Dall’esortazione apostolica Pastores Dabo Vobis di Giovanni Paolo II

33. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per que-sto mi ha consacrato, e mi ha mandato ad annuncia-re ai poveri un lieto messaggio...» (Lc 4,18). Gesù fa risuonare anche oggi nel nostro cuore di sacerdoti le parole che ha pronunciato nella sinagoga di Nazaret. La nostra fede, infatti, ci rivela la presenza operante dello Spirito di Cristo nel nostro essere, nel nostro agire e nel nostro vivere così come l’ha configurato, abilitato e plasmato il sacramento dell’Ordine.

Sì, lo Spirito del Signore è il grande protagonista del-la nostra vita spirituale. Egli crea il «cuore nuovo», lo anima e lo guida con la «legge nuova» della carità, della carità pastorale. Per lo sviluppo della vita spi-rituale è decisiva la consapevolezza che non manca mai al sacerdote la grazia dello Spirito Santo, come dono totalmente gratuito e come compito responsa-bilizzante. La coscienza del dono infonde e sostiene l’incrollabile fiducia del sacerdote nelle difficoltà, nelle tentazioni, nelle debolezze che s’incontrano sul cammino spirituale.

Ripropongo a tutti i sacerdoti quanto dissi a tanti di loro in altra occasione: «La vocazione sacerdota-le è essenzialmente una chiamata alla santità, nella forma che scaturisce dal sacramento dell’Ordine. La santità è intimità con Dio, è imitazione di Cristo, po-vero, casto e umile; è amore senza riserve alle anime e donazione al loro vero bene; è amore alla Chiesa che è santa e ci vuole santi, perché tale è la missione che Cristo le ha affidato. Ciascuno di voi deve essere santo anche per aiutare i fratelli a seguire la loro vo-cazione alla santità.

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Come non riflettere sul ruolo essenziale che lo Spiri-to Santo svolge nella specifica chiamata alla santità, che è propria del ministero sacerdotale? Ricordiamo le parole del rito dell’Ordinazione sacerdotale, che sono ritenute centrali nella formula sacramentale: “Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la digni-tà del presbiterato. Rinnova in loro l’effusione del tuo Spirito di santità; adempiano fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te rice-vuto e con il loro esempio guidino tutti a un’integra condotta di vita”.

Mediante l’Ordinazione, carissimi, avete ricevuto lo stesso Spirito di Cristo, che vi rende simili a Lui, per-ché possiate agire nel suo nome e vivere in voi i suoi stessi sentimenti. Questa intima comunione con lo Spirito di Cristo, mentre garantisce l’efficacia dell’a-zione sacramentale che voi ponete in persona Christi, chiede anche di esprimersi nel fervore della preghie-ra, nella coerenza della vita, nella carità pastorale di un ministero instancabilmente proteso alla salvezza dei fratelli. Chiede, in una parola, la vostra personale santificazione».

Da La formazione dei presbiteri nella Chiesa italianadella Conferenza episcopale italiana

23. La carità pastorale costituisce per il presbitero la modalità peculiare di vivere la radicalità evange-lica nell’obbedienza, nella povertà e nella castità, nel celibato.

Tutti i discepoli di Cristo sono chiamati alla radica-lità evangelica, ossia a vivere le loro relazioni secon-do l’obbedienza, la povertà e la castità praticate da Gesù, cioè in atteggiamento di libertà interiore, di distacco dalle cose e di gestione ordinata degli affet-ti e della sessualità. Proprio per aiutare tutti i bat-tezzati a vivere la radicalità evangelica, nella Chiesa

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alcuni sono chiamati ad assumerla come elemento caratterizzante la propria vocazione, per darne testi-monianza eloquente nelle loro scelte di vita.

Gesù ha mostrato agli uomini che è possibile vive-re nella storia la novità della radicale appartenen-za a Dio nella totale dedicazione al suo Regno. Le vocazioni di speciale consacrazione testimoniano a tutti gli uomini la trascendenza del Regno: se è vero infatti che i valori autenticamente umani sono altrettante pietre nella costruzione del Regno di Dio a partire dalla storia, è altrettanto vero che nella sua pienezza il Regno trascende ogni realizzazione umana, anche la più elevata.

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4. Testi per l’approfondimento

Dal Discorso al Convegno ecclesiale della diocesi di Romadi papa Francesco (17 giugno 2013)

Buonasera a tutti, cari fratelli e sorelle! L’apostolo Paolo finiva questo brano della sua lette-

ra ai nostri antenati con queste parole: non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia. E questa è la nostra vita: camminare sotto la grazia, perché il Signore ci ha voluto bene, ci ha salvati, ci ha perdonati. Tutto ha fatto il Signore, e questa è la grazia, la grazia di Dio. Noi siamo in cammino sotto la grazia di Dio, che è venuta a noi in Gesù Cristo che ci ha salvati. Ma questo ci apre verso un orizzonte grande, e que-sto è per noi gioia. «Voi non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia». Ma cosa significa, questo «vivere sotto la grazia»? Cercheremo di spiegare qualcosa di che cosa significa vivere sotto la grazia. È la nostra gioia, è la nostra libertà. Noi siamo liberi. Perché? Perché viviamo sotto la grazia. Noi non siamo più schiavi della legge: siamo liberi perché Gesù Cristo ci ha liberati, ci ha dato la libertà, quella piena libertà di figli di Dio, che viviamo sotto la grazia. Questo è un tesoro. Cercherò di spiegare un po’ questo mistero tanto bello, tanto grande: vivere sotto la grazia.

Quest’anno avete lavorato tanto sul battesimo e an-che sul rinnovamento della pastorale post-battesima-le. Il battesimo, questo passare da «sotto la legge» a «sotto la grazia», è una rivoluzione. Sono tanti i rivoluzionari nella storia, sono stati tanti. Ma nes-suno ha avuto la forza di questa rivoluzione che ci

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ha portato Gesù: una rivoluzione per trasformare la storia, una rivoluzione che cambia in profondità il cuore dell’uomo. Le rivoluzioni della storia hanno cambiato i sistemi politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo. La vera rivoluzione, quella che trasforma radical-mente la vita, l’ha compiuta Gesù Cristo attraverso la sua Risurrezione: la Croce e la Risurrezione. E Be-nedetto XVI diceva, di questa rivoluzione, che «è la più grande mutazione della storia dell’umanità». Ma pensiamo a questo: è la più grande mutazione del-la storia dell’umanità, è una vera rivoluzione e noi siamo rivoluzionarie e rivoluzionari di questa rivo-luzione, perché noi andiamo per questa strada della più grande mutazione della storia dell’umanità. Un cristiano, se non è rivoluzionario, in questo tempo, non è cristiano! Deve essere rivoluzionario per la grazia! Proprio la grazia che il Padre ci dà attraverso Gesù Cristo crocifisso, morto e risorto fa di noi rivo-luzionari, perché – e cito nuovamente Benedetto – «è la più grande mutazione della storia dell’umanità». Perché cambia il cuore. Il profeta Ezechiele lo diceva: «Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne». E questa è l’esperienza che vive l’apostolo Paolo: dopo avere incontrato Gesù sulla via di Dama-sco, cambia radicalmente la sua prospettiva di vita e riceve il battesimo. Dio trasforma il suo cuore! Ma pensate: un persecutore, uno che inseguiva la Chiesa e i cristiani, diventa un santo, un cristiano fino alle ossa, proprio un cristiano vero! Prima è un violento persecutore, ora diventa un apostolo, un testimone coraggioso di Gesù Cristo, al punto di non aver paura di subire il martirio. Quel Saulo che voleva uccidere chi annunziava il Vangelo, alla fine dona la sua vita per annunciare il Vangelo. È questo il mutamento, il più grande mutamento del quale ci parlava papa Benedetto. Ti cambia il cuore, da peccatore – tutti siamo peccatori – ti trasforma in santo. Qualcuno

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di noi non è peccatore? Se ci fosse qualcuno, alzi la mano! Tutti siamo peccatori, tutti! Tutti siamo pec-catori! Ma la grazia di Gesù Cristo ci salva dal pecca-to: ci salva! Tutti, se noi accogliamo la grazia di Gesù Cristo, Lui cambia il nostro cuore e da peccatori ci fa santi. Per diventare santi non è necessario girare gli occhi e guardare là, o avere un po’ una faccia da im-maginetta! No, no, non è necessario questo! Una sola cosa è necessaria per diventare santi: accogliere la grazia che il Padre ci dà in Gesù Cristo. Ecco, questa grazia cambia il nostro cuore. Noi continuiamo ad essere peccatori, perché tutti siamo deboli, ma anche con questa grazia che ci fa sentire che il Signore è buono, che il Signore è misericordioso, che il Signore ci aspetta, che il Signore ci perdona, questa grazia grande, che cambia il nostro cuore.

E, diceva il profeta Ezechiele, che da un cuore di pie-tra lo cambia in un cuore di carne. Cosa vuol dire, questo? Un cuore che ama, un cuore che soffre, un cuore che gioisce con gli altri, un cuore colmo di te-nerezza per chi, portando impresse le ferite della vita, si sente alla periferia della società. L’amore è la più grande forza di trasformazione della realtà, perché abbatte i muri dell’egoismo e colma i fossati che ci tengono lontani gli uni dagli altri. E questo è l’amore che viene da un cuore mutato, da un cuore di pie-tra che è trasformato in un cuore di carne, un cuore umano. E questo lo fa la grazia, la grazia di Gesù Cri-sto che noi tutti abbiamo ricevuto. Qualcuno di voi sa quanto costa la grazia? Dove si vende la grazia? Dove posso comprare la grazia? Nessuno sa dirlo: no. Vado a comprarla dalla segretaria parrocchiale, forse lei la vende, la grazia? Qualche prete la vende, la grazia? Ascoltate bene questo: la grazia non si compra e non si vende; è un regalo di Dio in Gesù Cristo. Gesù Cri-sto ci dà la grazia. È l’unico che ci dà la grazia. È un regalo: ce lo offre, a noi. Prendiamola. È bello questo. L’amore di Gesù è così: ci dà la grazia gratuitamente,

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gratuitamente. E noi dobbiamo darla ai fratelli, alle sorelle, gratuitamente. È un po’ triste quando uno incontra alcuni che vendono la grazia: nella storia della Chiesa alcune volte è accaduto questo, e ha fatto tanto male, tanto male. Ma la grazia non si può ven-dere: la ricevi gratuitamente e la dai gratuitamente. E questa è la grazia di Gesù Cristo.

In mezzo a tanti dolori, a tanti problemi che ci sono qui, a Roma, c’è gente che vive senza speranza [...]. E noi dobbiamo offrire la speranza cristiana con la nostra testimonianza, con la nostra libertà, con la nostra gioia. Il regalo che ci fa Dio della grazia, por-ta la speranza. Noi, che abbiamo la gioia di accor-gerci che non siamo orfani, che abbiamo un Padre, possiamo essere indifferenti verso questa città che ci chiede, forse anche inconsapevolmente, senza sa-perlo, una speranza che l’aiuti a guardare il futuro con maggiore fiducia e serenità? Noi non possiamo essere indifferenti. Ma come possiamo fare questo? Come possiamo andare avanti e offrire la speranza? Andare per la strada dicendo: «Io ho la speranza»? No! Con la vostra testimonianza, con il vostro sorri-so, dire: «Io credo che ho un Padre». L’annunzio del Vangelo è questo: con la mia parola, con la mia testi-monianza dire: «Io ho un Padre. Non siamo orfani. Abbiamo un Padre», e condividere questa filiazione con il Padre e con tutti gli altri. «Padre, adesso capi-sco: si tratta di convincere gli altri, di fare proseliti!». No: niente di questo. Il Vangelo è come il seme: tu lo semini, lo semini con la tua parola e con la tua testi-monianza. E poi, non fai la statistica di come è anda-to questo: la fa Dio. Lui fa crescere questo seme; ma dobbiamo seminare con quella certezza che l’acqua la dà Lui, la crescita la dà Lui. E noi non facciamo la raccolta: la farà un altro prete, un altro laico, un’al-tra laica, un altro la farà. Ma la gioia di seminare con la testimonianza, perché con la parola solo non basta, non basta [...].

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Da Santi in tutti i «santi» giorni di Alberto Neglia

Nella costituzione conciliare Lumen Gentium, ci vie-ne ricordato: «La Trinità [...] in Cristo è la fonte e l’o-rigine di ogni Santità» (LG 47).

La santità quindi non è frutto di volontarismo pro-meteico, ma è primariamente accoglienza di un dono che coinvolge. È coinvolgimento a far affiorare nella propria vita il vissuto trinitario.

Questo dono vocazione viene fatto a tutti nel batte-simo, dove si è iniziati al vissuto caritativo trinitario offerto nella forma cristica pasquale dallo Spirito che ci santifica.

Ovviamente, questo respiro trinitario che ci viene donato è massima vitalità e chiede, continuamente, un’accoglienza consapevole, solo così l’uomo da og-getto del dono si fa soggetto della sua storia, vivendo pienamente il suo presente nella creatività e nella li-bertà dell’amore. Questo decidersi e iniziare un cam-mino, animato dallo Spirito del Padre e del Figlio, è quello che chiamiamo vita spirituale, o meglio, vita nello Spirito, cioè vita animata dallo Spirito che ci riplasma e imprime sul nostro volto la bellezza del volto di Dio, la sua santità.

All’inizio di ogni vita cristiana, quindi, c’è la Trinità, che è fonte e compimento di ogni cammino spiritua-le. La vita spirituale cristiana, allora, è una, ciò che la definisce non è la distinzione di questo o quel gruppo di cristiani, ma «una sola fede, un solo battesimo, un solo Signore, un unico Spirito, un unico Dio e Salvato-re di tutti» (Ef 4,5-6). È ovvio, poi, che l’unica esisten-za cristiana ha molteplici forme espressive perché lo stesso Spirito che agisce in tutti chiede a ciascuno di compiere funzioni diverse nell’unico corpo di Cristo.

Il cammino alla santità dei presbiteri, allora, non differisce quanto alla sostanza, da quello degli altri fedeli, né loro hanno una marcia in più, rispetto agli

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altri, ma sono chiamati a lasciarsi animare dallo stes-so Spirito lì dove svolgono il loro ministero.

Nella Pastores dabo vobis al n. 12 c’è un passaggio in cui si dice chi ha chiamato il credente ad essere presbitero e perché l’ha chiamato, e, poi, in un certo senso, indica il percorso verso la santità. Si dice in-fatti: «L’identità sacerdotale [...] come ogni identità cristiana, ha la sua fonte nella santissima Trinità, che si rivela e si autocomunica agli uomini in Cristo, costituendo in lui e per mezzo dello Spirito la Chie-sa come germe e inizio del Regno. [...] È all’interno del mistero della Chiesa, come mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria, che si rivela ogni identità cristiana, e quindi anche la specifica identità del sacerdote e del suo ministero. Il presbitero, in for-za della consacrazione che riceve con il sacramento dell’Ordine, è mandato dal Padre, per mezzo di Gesù Cristo, al quale come Capo e Pastore del suo popolo è configurato in modo speciale, per vivere e operare nella forza dello Spirito Santo a servizio della Chiesa e per la salvezza del mondo».

In questa descrizione viene messa in evidenza la ge-nesi trinitaria e cristologica del ministero sacerdotale e la fondazione ecclesiologica: il presbitero è dentro la Chiesa e per la Chiesa.

Chiamato da Dio, allora, egli è convolto a fare proprio il dinamismo trinitario ed esprimerlo nei rapporti concreti con i fratelli a cui il Signore lo invia, così egli esprime nella sua vita la santità di Dio.

(Presbyteri, [1/2012], pp. 36-37)

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5. Un testimone esemplare

Giuseppe Toniolo

Profilo personale

Giuseppe Toniolo nacque a Treviso il 7 marzo 1845 e, anche se vi si fermò per pochissimo tempo, Treviso rimase non solo la sua città natale, ma la città del suo battesimo. Lo ricordò un giorno alla sua fidanzata, passando in treno per Treviso proprio un 7 di marzo. «Se l’amore per il luogo natio è cosa naturale – os-servava il Toniolo – il ricordo del battesimo sublima ancor di più il legame con esso».

Se il padre, morto prematuramente, lascerà al figlio un profondo senso di italianità, la madre infonderà al figlio una forte religiosità e l’amore verso i poveri.

Decisivi per la sua formazione furono gli anni tra-scorsi a Venezia, nel Collegio Santa Caterina, dove ri-cevette un sicuro indirizzo anche sul piano filosofico e religioso e godette della guida saggia e illuminata del rettore mons. Della Vecchia. Si iscrisse, poi, alla facoltà di legge dell’Università di Padova, conseguen-dovi la laurea nel 1867. Anni densi e fecondi, quelli dell’università, dove sviluppò una visione del diritto e dell’economia ben ancorata all’orizzonte etico. Nel 1873 ottenne la libera docenza di economia politica a Padova, dopo aver sviluppato la tesi «Dell’elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economi-che». Nel 1879, dopo un anno a Modena, si trasfe-risce all’Università di Pisa, dove terrà la cattedra di Economia politica fino alla sua morte.

Il 4 settembre 1878 sposò Maria Schiratti, dalla quale ebbe sette figli. Maria è per lui una compagna capace

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di spronarlo e sostenerlo nella sua carriera. Con lei vivrà un’esperienza di famiglia ricca di tenerezza e di preghiera. La cattedra e la famiglia furono i due grandi luoghi dove il Toniolo avanzò nel suo cammi-no quotidiano di santità.

Sempre più consapevole della necessità di un coin-volgimento attivo dei cattolici nelle vicende nazionali nel 1889 fonda a Padova l’Unione cattolica per gli stu-di sociali, di cui viene eletto presidente. Diviene uno degli animatori del movimento della «democrazia cri-stiana», le cui basi sono gettate nel 1894 nel cosiddet-to «programma di Milano», con principi e proposte per il rinnovamento in senso cristiano della società. Il Toniolo, uomo di speranza, dovette fare i conti con la dura realtà di un cattolicesimo italiano incapace di trovare una vita d’uscita tra l’intemperanza dei giovani e la rigidità dell’intransigentismo. In questa dolorosa vicenda egli spese le sue migliori risorse di mediatore, per riportare un clima di comunione.

Dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi, che riuniva le tante anime della Chiesa italiana, il Toniolo fu incaricato di riordinare l’impianto dell’associazio-nismo laicale. Fonda l’Unione Popolare e nel 1907 dà l’avvio a Pistoia, alle Settimane Sociali. Grazie a que-sta iniziativa i problemi più urgenti della società sono posti in relazione al messaggio cristiano.

Il suo impegno all’interno della Chiesa e della socie-tà non gli fece mai venir meno la particolare dedi-zione all’insegnamento. Il Toniolo fu sempre vicino ai suoi studenti. Pur talora deriso per la sua chiara professione di fede, era rispettato e molto apprezzato per la sua competenza professionale. Con gli studen-ti intratteneva relazioni che andavano oltre le ore di scuola. Sapeva seguirli nei loro percorsi di crescita umana. Il Toniolo amava dire che gli studenti erano il suo «sacro deposito».

Nell’ultima fase della sua vita fu segnato profonda-mente, oltre che dalla morte prematura della figlia

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Maria Pia, suora della Visitazione a Treviso, dall’an-goscia per la Prima guerra mondiale. Per contribuire a un futuro di pace, elaborò per papa Benedetto XV un disegno di Istituto di diritto internazionale. Sul letto della sua ultima malattia, incoraggiò padre Ge-melli a fondare l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Il suo ultimo pensiero fu per i suoi studenti. Le sue ultime parole, «Signore, almeno un collega onesto», esprimevano il desiderio che la sua opera educativa potesse essere continuata da chi, come lui, aveva una visione cristiana della vita. Morì il 7 ottobre 1917.

Nel 1937 la Fuci promosse la causa di beatificazio-ne. Giuseppe Toniolo fu beatificato il 29 aprile 2012 a Roma, nella Basilica di san Paolo fuori le mura.

Alcuni scritti

dal diario SPirituale

Voglio farmi santo Mio Dio, io lo desidero ardentemente e ve ne prego

insistentemente: io non voglio più resistere a voi, per-ché voi non resistiate a me, bensì mi largiate abbon-dante la grazia: sottraetemi alle insidie, alla fallacia, alla tirannia, alla superbia; fate il mio cuore simile al vostro, affinchè in grazia dell’umiltà sincera, profon-da, costante, che moderi la mia mente, che informi il mio sentire, che governi le mie azioni, che si traduca nella mia vita interiore ed esteriore, io meriti la grazia preziosa di conoscere e adempiere la vostra adorabile volontà, di correre lietamente le vie dei vostri coman-damenti, in una parola di amarvi. O Gesù, ricordatevi dell’umiltà della madre vostra e mia Maria, ed esau-ditemi, Eterno padre vi offro l’umiltà del vostro figlio Gesù, ad ottenimento di questa suprema virtù, fonda-mento d’ogni vita cristiana, condizione a modellarsi sulle vostre infinite perfezioni. Io spero e ne do lode

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a voi colla mia profonda gratitudine, di quest’uomo poverello, che è nulla, e in voi potrà tutto.

Il sacrificio quotidiano Assistetti ad una conversazione con due irlandesi.

Oh! Come mi discorrevano della pietà profonda, eroi-ca, tradizionale di quegli uomini di Irlanda e d’In-ghilterra, che poi compariscono così gloriosamente nella storia civile e nel movimento sociale della Gran Bretagna! Oh! Ecco da dove ha origine l’efficacia del-la nostra azione esteriore, nella pietà interiore. Oh, mio Gesù, datemi ve ne supplico profondamente, di riformare, di santificare, di perfezionare me stesso con una solidissima ed intima pietà; che io lo sento e lo confesso: pietas ad omnia utilis est.

Lessi in quel dì stesso un passo di Perboyre ormai san-to. Donde il suo eroismo? Dal sacrificio della messa. Noi (egli diceva) sacerdoti di Gesù siamo ogni giorno sacrificatori dell’agnello immacolato. Dunque, il sacri-ficio è la nostra virtù propria. E niuno deve scendere dall’altare, o discostarsi dal sacro banchetto, senza un nuovo e quotidiano proposito di sacrificare i suoi gu-sti, sensualità, passioni. Ogni dì la comunione. Ogni dì dunque un novello sacrificio di noi stessi.

Anche il curato d’Ars diceva: che cosa è e che cosa deve essere la comunione? Null’altro che immolazio-ne intera, completa, ardita, continua di se stessi. Oh! Mio Gesù, sì datemi, datemi di partecipare al vostro sacrificio quotidianamente; ma fate che tragga di là il frutto quotidiano di sempre crescente immolazione. Togliete, bruciate, calpestate, troncate, stritolate, ma sulla mia consumazione erigetevi voi re trionfatore colla vostra croce... Oh! Infelice chi pensa di reggere gli altri senza fermo proposito di correggere con ogni sacrificio se stesso. Non sono più io che vivo, ma voi che vivete in me. Fate che sia così.

(G. toniolo, Voglio farmi santo. Diario spirituale, Roma 2012, pp.81-82 e 120-121)

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dalla lettera al figlio aNtoNio

1 luglio 1904 Non dimenticarlo mai: dentro di te e fuori di te poni

a obiettivo della tua esistenza il quærite primum re-gum Dei, e fa’ di cercarlo e custodirlo con la pietà, e vedrai come sia bella tutta la scena di questo mondo, come si sublimano tutti gli affetti di questo nostro cuore, come si appianano tutte le asprezze di questo cammino nella società, come si affrettano e si assi-curano tutti i successi di queste battaglie per con-quistare l’avvenire. Il Dio sappi ricercare e gustare sempre e le gioie della futura famiglia, e i progressi delle tue indagini scientifiche e lo scioglimento delle questioni sociali, e le previsioni della futura demo-crazia, e la rivendicazione della patria e della sua grandezza, e il progresso della società per mezzo della Chiesa; tutto ciò che forma (io lo so e ne godo) il nostro futuro ideale.

(in preGhiera Con GiuSeppe toniolo, Cercate prima il regno di Dio, Roma 2012, pp. 80-81)

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6. Per la preghiera personale

Dammi un cuore nuovo

Vieni, o Spirito Santo,e dammi un cuore nuovo,che ravvivi in metutti i doni da te ricevuticon la gioia di essere cristiano,un cuore nuovosempre giovane e lieto.Vieni, o Spirito Santo,e dammi un cuore puro,allenato ad amare Dio,un cuore puro,che non conosca il malese non per definirlo,per combatterlo e per fuggirlo;un cuore puro,come quello di un fanciullo,capace di entusiasmarsie di trepidare.Vieni, o Spirito Santo,e dammi un cuore grande,aperto alla Tua silenziosae potente parola ispiratrice,e chiuso ad ogni meschina ambizione,un cuore grande e forte ad amare tutti,a tutti servire, con tutti soffrire;un cuore grande, forte,solo beato di palpitare col cuore di Dio. Paolo VI

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Che io lo senta

Aiutami, Signore,a illuminare la confusione delle cosecon la chiarezza della fede e a trasformarenella forza della fiduciala difficoltà di tutto ciò che pesa su di me.E il tuo Santo Spiritopossa testimoniare nel mio cuoreche io sono veramente tuo figlioe ho ragione quando accettotutti gli avvenimenti dalla tua mano.Fa’ che nella certezzadel tuo amore trovino rispostaquelle domande a cui nessuna sapienza umana può rispondere.Tu mi ami,tu rispondi a ogni mia domanda,fa’ che io lo sentaquando giunge l’ora della prova. Romano Guardini

Dammi un cuore vigile

Dammi, o Signore,un cuore così vigileche da te nessun vano pensiero distragga:un cuore nobileche nessuna indegna passione seduca;un cuore rettoche nessuna male intenzione contamini;un cuore saldoche per la tribolazione non s’infranga;un cuore libero

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che a torbide correnti non ceda.Concedimi, o Signore Dio mio,intelligenza che ti conosca,amore che ti cerchi,sapienza che ti trovi,condotta che ti piaccia,perseveranza che, fiduciosa, ti attenda,speranza che finalmente ti abbracci. San Tommaso d’Aquino

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terzo ritiro

Resi tutti fratelli

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1. Adorazione eucaristica

Canto eucaristico durante l’esposizione

1. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noi con il tuo Corpo che ci offri ancora; dona la fede nel gran Mistero ai tuoi fedeli che si accostano a te.

Rit. Noi ti ringraziamo, Dio di salvezza, per tutto quello che tu dai a noi; ogni giorno, riconoscenti, fa’ che ti lodiamo, fa’ che ti serviamo in umiltà. (2 v.)

2. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noi nella tua Chiesa che trasformi in te; dona vigore nella speranza ai tuoi fedeli che si accostano a te. Rit.

3. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noi in chi è solo e nella povertà; dona coraggio e forza d’amare ai tuoi fedeli che si accostano a te. Rit.

Breve momento di silenzio

Invito alla preghiera

Cel. L’Agnello è stato immolato:Ass. con il suo sangue ha riscattato

Cel. uomini di ogni tribù, lingua, gente e nazione;Ass. e li ha costituiti sacerdoti dell’unico Dio.

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Cel. Questo è il sangue dell’eterna alleanza:Ass. nel suo lavacro tutto viene mondato.

Breve momento di silenzio

Preghiera corale

Fratelli, fratelli, venite da case vicine e lontane; le mense divise riunite nell’unica mensa del Pane!

È il Pane disceso dal cielo che a tutti noi dona la vita; che sotto quell’umile velo la cela, possente infinita.

È il Pane che aumenta la Fede, che schiude alle dolci speranze, che colma di amore chi crede, che appaga di tutti le istanze.

O Pane, vivente Parola che tutti ci nutri d’amore, per Te siamo un’anima sola, per Te siamo un unico cuore.

Tu il vincolo sei dell’unione, il centro dei cuori sei Tu, finché nell’eterna visione in Te ci vedremo, Gesù! Madre Oliva Bonaldo

Breve momento di silenzio

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In ascolto della parola di Dio (ef 4,1-6)

Io, dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: com-portatevi in maniera degna della chiamata che avete rice-vuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportan-dovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’u-nità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si può meditare prendendo spunto dalle seguenti riflessioni di don Roberto Repole – giovane teologo to-rinese, docente di ecclesiologia e presidente dell’Ati – a propo-sito dell’origine e del fine della Chiesa (cfr. r. repole, L’umiltà della Chiesa, Qiqajon, Magnano [Bi] 2010, pp. 25-28).

Prima che essere chiamata alla missione, è la Chiesa stessa ad essere effetto della missione divina del Fi-glio e dello Spirito Santo; e quantunque appaia co-me una «comunità» che si forma in forza della libera scelta umana, essa ha in Dio il suo principale artefi-ce, il suo punto di scaturigine e la sua meta [...].

L’affermazione del carattere misterico della Chiesa dice che la Chiesa deve continuamente se stessa a Dio, e che essa è in quanto è da lui dipendente. L’i-niziativa divina, in forza della quale esiste la Chiesa, non è un fatto dato una volta per tutte, ma è ciò

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che ininterrottamente permette alla Chiesa di esi-stere come Chiesa. Questo significa che la Chiesa custodisce tanto più se stessa, quanto più custodi-sce quell’Altro da sé per la cui iniziativa, solo, essa esiste; e che il più autentico interesse per la sua esistenza e la sua vita non può che passare per un disinteresse per sé, che le permette di porre ogni at-tenzione al Dio che le concede di essere e di vivere. In questo suo strutturale vincolo con Dio si ritrova, infatti, «scartata più fermamente che mai quella che può essere in effetti designata come una “ten-tazione permanente” per la Chiesa, la tentazione di “idolatrare se stessa”». La Chiesa raggiunge, invece, il suo fine quando accetta di non prendere se stessa per fine, rimanendo a perenne disposizione del Dio in virtù del quale è ed esiste. Come dice Moltmann, «l’obiettivo cui essa mira non è la propria gloria bensì la glorificazione del Padre per mezzo del Fi-glio nello Spirito Santo».

Ora, è evidente che, nella misura in cui l’umiltà può essere rintracciata nella coscienza di un’identità che «passa» per la relazione, questa prima radicale relazione della Chiesa a Dio dice che essa è umile, che l’umiltà la caratterizza intimamente e che, al contempo, questo vedersi nel cono di luce di Dio è qualcosa che la Chiesa deve continuamente colti-vare, per non smarrire la sua propria identità. Cosa che può venire ulteriormente esplicitata, quando si consideri che tale radicale relazione non è con un Dio qualunque, ma con il Dio unitrino che si è ri-velato, egli stesso nell’umiltà, in Gesù Cristo e nel dono dello Spirito.

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Preghiera di Compieta

INNO

Gesù, luce da luce, sole senza tramonto, tu rischiari le tenebre nella notte del mondo. In te, santo Signore, noi cerchiamo il riposo dall’umana fatica, al termine del giorno. Se i nostri occhi si chiudono, veglia in te il nostro cuore; la tua mano protegga coloro che in te sperano. Difendi, o Salvatore, dalle insidie del male i figli che hai redenti col tuo sangue prezioso. A te sia gloria, o Cristo, nato da Maria vergine, al Padre ed allo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SuppliCa fiDuCioSa nell’afflizione

paDre, nelle tue mani ConSeGno il mio Spirito (lC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

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Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affido alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 Dal profonDo a te GriDo

eGli Salverà il Suo popolo Dai Suoi peCCati (mt 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.

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L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (ef 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affido il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.

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Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE lC 2,29-32CriSto, luCe Delle Genti e Gloria Di iSraele

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

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Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifisso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

Benedizione

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

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Antifona mariana

Salve, Regina, dolce madre nostra tutta bontà, tutta clemenza e amor a te gemendo l’anima si prostra, sola speranza all’umano dolor, a te gemendo l’anima si prostra, sola speranza all’umano dolor.

Orsù, quegli occhi tuoi, dolce Maria, pieni d’amor a noi rivolgi tu, sì che si sveli nella patria, o pia, il puro fior del tuo seno, Gesù! Sì che si sveli nella patria, o pia, il puro fior del tuo seno, Gesù!

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2. Brani biblici di riferimento

Libro del profeta Isaia (44,1-5)

Ora ascolta, Giacobbe mio servo, Israele che ho eletto. Co-sì dice il Signore che ti ha fatto, che ti ha formato dal seno materno e ti soccorre: «Non temere, Giacobbe mio servo, Ie-surùn che ho eletto, poiché io verserò acqua sul suolo asseta-to, torrenti sul terreno arido. Verserò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri; cresceran-no fra l’erba, come salici lungo acque correnti Questi dirà: “Io appartengo al Signore”, quegli si chiamerà Giacobbe; al-tri scriverà sulla mano: “Del Signore”, e verrà designato con il nome d’Israele».

Vangelo di Marco (12,28-34)

Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi di-scutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Si-gnore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «»Hai detto bene, Maestro, e secondo ve-rità, che Egli è unico e non vi è altri all›infuori di lui; amar-lo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto sag-giamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

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Prima lettera di Pietro (2,4.5-9-10)

Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete co-struiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, median-te Gesù Cristo.

Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione san-ta, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora, invece, siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia.

Per la meditazione personale

Sal 133 (132) Gen 9,8-17 Mt 22,34-40 Gv 17,1-26 1Cor 12,1-11 Gal 3,26-29

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3. Testi per la riflessione

Dalla Costituzione Lumen Gentiumdel Concilio ecumenico Vaticano II

7. Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vin-cendo la morte con la sua morte e resurrezione, ha redento l’uomo e l’ha trasformato in una nuova crea-tura (cfr. Gal 6,15; 2Cor 5,17). Comunicando, infatti, il suo Spirito, costituisce misticamente come suo cor-po i suoi fratelli, che raccoglie da tutte le genti.

In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti che, attraverso i sacramenti si uniscono in modo ar-cano e reale a lui sofferente e glorioso. Per mezzo del battesimo siamo resi conformi a Cristo: «Infatti noi tutti fummo battezzati in un solo Spirito per costi-tuire un solo corpo» (1Cor 12,13). Con questo sacro rito viene rappresentata e prodotta la nostra unione alla morte e resurrezione di Cristo: «Fummo dunque sepolti con lui per l’immersione a figura della mor-te»; ma se, fummo innestati a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una resurrezione simi-le alla sua» (Rm 6,4-5). Partecipando realmente del corpo del Signore nella frazione del pane eucaristi-co, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: «Perché c’è un solo pane, noi tutti non formiamo che un solo corpo, partecipando noi tutti di uno stesso pane» (1Cor 10,17). Così noi tutti diventiamo mem-bri di quel corpo (cfr. 1Cor 12,27), «e siamo membri gli uni degli altri» (Rm 12,5).

Ma come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, non formano che un solo corpo, così i fedeli in Cristo (cfr. 1Cor 12,12). Anche nella strut-tura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per

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l’utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ric-chezza e alle necessità dei ministeri (cfr. 1Cor 12,1-11). Fra questi doni eccelle quello degli apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cfr. 1Cor 14). Lo Spirito, unificando il corpo con la sua virtù e con l’interna connes-sione dei membri, produce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è ono-rato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cfr. 1Cor 12,26) [...].

9. [...] Questo popolo messianico ha per capo Cristo «dato a morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Ha per condizio-ne la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr. Gv 13,34). E finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a com-pimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr. Col 3,4) e «anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio» (Rm 8,21). Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo effet-tivamente l’universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo.

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Dal decreto Presbyterorum Ordinis del Concilio ecumenico Vaticano II

9. I sacerdoti del Nuovo Testamento, anche se in vir-tù del sacramento dell’ordine svolgono la funzione eccelsa e insopprimibile di padre e di maestro nel po-polo di Dio e per il popolo di Dio, sono tuttavia disce-poli del Signore, come gli altri fedeli, chiamati alla partecipazione del suo regno per la grazia di Dio. In mezzo a tutti coloro che sono stati rigenerati con le acque del battesimo, i presbiteri sono fratelli, mem-bra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edifica-zione è compito di tutti.

Perciò i presbiteri nello svolgimento della propria funzione di presiedere la comunità devono agire in modo tale che, non mirando ai propri interessi ma solo al servizio di Gesù Cristo, uniscano i loro sforzi a quelli dei fedeli laici, comportandosi in mezzo a loro come il Maestro il quale fra gli uomini «non venne ad essere servito, ma a servire e a dar la propria vita per la redenzione della moltitudine» (Mt 20,28). I presbi-teri devono riconoscere e promuovere sinceramen-te la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specifico nell’ambito della missione della Chiesa.

Da La formazione dei presbiteri nella Chiesa italianadella Conferenza episcopale italiana

15. [...] Ai presbiteri è richiesta una relazione pa-terna e fraterna con i laici a cui sono inviati, siano essi membra della Chiesa vigili o assopite, collabo-ratori stretti o battezzati ormai indifferenti. I fedeli laici esercitano il loro sacerdozio comune non in virtù di deleghe da parte dei ministri ordinati, ma in forza dell’unica missione radicata nel battesimo. Per questo motivo teologico i presbiteri sono tenu-ti a valorizzare i laici, ad ascoltarli e a fare teso-

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ro della loro esperienza di vita, considerandoli non semplici esecutori né meri collaboratori, ma veri e propri corresponsabili della missione ecclesiale, in particolare nelle real tà secolari. Il compito dei pre-sbiteri è di presiedere alla comune responsabilità come saggi padri di famiglia.

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4. Testi per l’approfondimento

Da Chiamati alla santità apostolica nelle comunità del seminario maggiore del Seminario vescovile di Treviso

20. Nel battesimo è avvenuta l’alleanza tra il Signo-re Gesù e la persona del battezzato. Grazie alla fede dei genitori e della Chiesa, Egli ha unito a sé, alla su-a morte e risurrezione, l’esistenza del figlio di Ada-mo chiamato alla vita. Da quel momento è iniziato nel battezzato l’appello alla santità, ossia lasciare che l’umanità di Gesù prenda forma in lui, grazie all’o-pera dello Spirito Santo. L’iniziativa libera e gratuita di Dio ha inaugurato il cammino di santificazione, suscitando una risposta credente sempre più consa-pevole e personale. Il chiamato, facendo memoria della sua vicenda personale, riconosce una storia di salvezza già attuata, soprattutto grazie alla costante mediazione delle persone e della comunità cristia-na che lo hanno iniziato e custodito nella fede, nel-la speranza e nell’amore. Qualcuno non solo lo ha istruito, ma soprattutto gli ha reso credibile, perché affidabile, il Dio di Gesù, l’Abbà. Si fa strada in que-sto modo la coscienza dell’amore di Dio che lo avvol-ge e lo precede da sempre.

24. Indipendentemente dal modo in cui la chiama-ta si manifesta, agli occhi dell’interessato l’intuizione vocazionale appare subito come debitrice verso qual-cun altro: essa nasce in relazione a figure significa-tive di preti; attinge alla fede della propria famiglia; è sostenuta da una comunità parrocchiale, forse po-

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vera di iniziative, ma ricca di fede. Man mano che matura la coscienza della propria fede cresce lo stu-pore di fronte al dono e la percezione del debito che si mantiene aperto con tante persone. Allora la voca-zione a diventare prete si connota anche per una for-ma di gratitudine e di riconoscenza per la grandezza dei doni ricevuti attraverso la comunità.

Da Lessico di comunionedi don Tonino Bello

Puntare gli occhi su di Lui. Se riuscissimo a farlo davvero! Troveremmo la fonta-

na della comunione. La comunione noi l’andiamo cercando con le smanie

organizzative; e ancora non abbiamo capito che essa è dono di Dio, non risultato dei nostri sforzi, o frut-to delle nostre tecniche di collaborazione, o prodotto delle nostre abilità manageriali.

Se non teniamo gli occhi fissi su di Lui, non faremo mai una autentica pastorale di comunione. Potremo razionalizzare fin che vogliamo i nostri sforzi, imbri-gliare in termini di efficienza le nostre dinamiche, riversare nei canovacci delle più raffinate teorie di gruppo o nostri conati di impegno, ma lasceremo ge-lidi i cuori degli uomini. L’esito di tutto rassomiglierà più agli aridi tabulati di un computer che a un prato dove in primavera cresce l’erba seminata dall’amore.

La pastorale non si fa con la cibernetica. Si fa abbe-verandosi alla fontana della comunione, tenendo fissi gli occhi su di Lui morto e risorto.

Tradotto in termini concreti, tutto questo significa riscoprire il valore dell’intimità con Gesù Cristo.

Cari confratelli presbiteri, che mi edificate col vostro esempio e con la vostra bontà, abbiamo il coraggio di decisioni forti. Liberiamoci dagli ingombri di tan-te esteriorità, dalle mille cose futili, dalle centomila

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attività che si tingono di parvenze apostoliche e ci rompono l’equilibrio interiore. Riscopriamo il valore del silenzio. Riproviamo il gusto della preghiera lun-ga, fatta di abbandono e di stupore davanti all’Eu-caristia, centro della comunità e della nostra mis-sione. Manteniamo una fedeltà inflessibile alla recita del breviario. Operiamo quei provvidenziali ricambi interiori che solo l’annuale consuetudine degli eser-cizi spirituali ci può assicurare. Se no diventiamo burocrati. E non daremo mai al mondo l’immagine di uomini liberi.

Le stesse cose le dico a voi, religiose, e anche a voi laici impegnati, catechisti, fratelli e sorelle abilitate ai ministeri, iscritti nei gruppi e movimenti ecclesiali. Se terrete fissi gli occhi su di Lui, Maestro e Signo-re, il vostro lavoro si caricherà di una potentissima valenza pastorale. Diversamente batterete l’aria pure voi, e un giorno il mondo vi accuserà davanti al tri-bunale di Dio e della storia, perché vi ha chiesto un uovo e gli avete dato uno scorpione, vi ha chiesto un pesce e gli avete dato un serpente.

Puntare gli occhi su di Lui. Se riuscissimo a farlo davvero, troveremmo la fonta-

na della comunione anche con gli altri. E qui il di-scorso torna ancora a voi, fratelli presbiteri. Queste cose ve le dico con pudore e affetto e ammirazione grande, parchè so quanto vi affaticate per la vigna del Signore e quanta stanchezza accumulate per Lui.

Siamo troppo divisi: nei progetti, nei metodi, nei rit-mi di esecuzione. Abbiamo parcellizzato quella che dovrebbe essere la grande forza d’urto della pastorale di tutta una chiesa in tante piccole monadi, chiuse e non di rado infeconde [...].

Dobbiamo ritrovare lo stile della comunione, il gu-sto della comunione, il puntiglio della comunione. È come presbiterio, con a capo il vescovo, che annun-ziamo la parola, che celebriamo la fede, che viviamo la carità; non come singoli [...].

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Cari fratelli, che amo tutti e a uno a uno. Se noi non esprimiamo in modo collegiale e in profonda comu-nione reciproca il nostro servizio ai fratelli, impedia-mo al mondo di tenere fissi gli occhi su Gesù. Li fare-mo figgere sulle nostre scissioni, sulle nostre rivalità, sulle nostre manovre ambigue, ma non su di Lui.

Dobbiamo, pertanto, convertirci. Ciò significa uscire dall’isolamento pastorale. Aprirci a uno stile di cor-responsabilità e di partecipazione. Specialmente tra presbiteri di una stessa città, e specialissimamente tra presbiteri di una stessa parrocchia [...].

Convertirsi alla comunione significa trovare spazi per pensare insieme, per progettare insieme, per confron-tarsi insieme, per correggersi insieme, per pregare in-sieme, per soffrire insieme, per servire insieme [...].

Significa esorcizzare la sindrome della scomunica, il complesso della squalifica, il tarlo del discredito reciproco. Significa accogliere i confratelli a braccia aperte, non vederli come rivali, andarli a trovare nei momenti difficili, sostenerli nelle difficoltà, accettarli e amarli per quello che sono.

Coraggio! Vedo già tanti segni positivi che danno speranza.

(a. bello, Lessico di comunione, Insieme, Terlizzi [Ba] 1991, pp. 15-19)

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5. Un testimone esemplare

Madre Oliva Bonaldo

Profilo personale

Maria Oliva nasce a Castelfranco Veneto, quarta di nove figli, il 26 marzo 1893. I genitori, Giuseppe An-tonio Bonaldo e Italica Dionisia Bianco, gestiscono una trattoria e nel dicembre 1893 si trasferiscono a Bassano del Grappa, dove hanno acquistato un alber-go. Maria Oliva vive un’infanzia felice e in questi anni conosce l’amore per l’Eucaristia, per la Madonna e per i poveri trasmessole dalla mamma, che nel 1904 muore dando alla luce il nono figlio. Nello stesso anno entra nel collegio delle Canossiane di Treviso. A 14 anni prosegue gli studi a Venezia, conseguendo nel 1910 il diploma magistrale.

Riceve il primo incarico nelle scuole elementari di Castello di Godego e successivamente in altri paesi vicini. Intelligente, colta e creativa, si dedica ai suoi allievi; attenta e sensibile, dona il suo stipendio ai po-veri che chiama i «Gesù». Nel 1911 si trasferisce a Castelfranco dove frequenta un giovane pittore vene-ziano, col proposito di formarsi una famiglia.

Con un evento imprevedibile, Dio irrompe nella sua vita, trasformandola interamente. È il 22 maggio 1913, festa del Corpus Domini e Maria Oliva decide di partecipare alla processione eucaristica. «Avevo vent’anni quando, in occasione della festa del Cor-pus Domini, sentii l’ispirazione di andarvi, ma solo al pensiero di affrontare la derisione di certe persone, il mio amor proprio non voleva assolutamente che io vi partecipassi [...]. La processione era formata da

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poche persone e chi vi partecipava era segnato come un bigotto [...]. Giungemmo in Piazza del Giorgione. Lì il Signore mi aspettava per pagarmi da Signore. Quando il Sacerdote alzò l’Ostia Santa per benedire, io non so: capii Gesù, ebbi un’idea chiarissima del Corpo Mistico; mi sentivo cambiata, ritornai a casa un’altra. Prima di togliermi il velo, scrissi sul mio li-bro di appunti che mi sarei fatta religiosa».

Presa dall’ideale della consacrazione a Dio e dall’in-tuizione di dare vita ad una nuova famiglia religiosa tutta dedita al servizio della Chiesa, non è tuttavia capita dal suo direttore spirituale e continua nell’in-segnamento.

Nell’ottobre del 1920, a 27 anni, in obbedienza al suo direttore spirituale, Maria Oliva fa ingresso tra le Canossiane, a Treviso. Qui emette i primi voti il 7 settembre 1923 e il 24 ottobre 1928 la professio-ne perpetua. Dal 1924 al 1928 frequenta l’Universi-tà Cattolica del Sacro Cuore a Milano, dove nel 1930 consegue la laurea in Lettere e Filosofia.

Divenuta Preside dell’Istituto Magistrale delle Canossia-ne a Treviso, vive intensamente, con grande impegno, dedizione e creatività il suo servizio di educatrice. In questi anni in lei non viene meno il continuo richiamo interiore a dare vita ad una nuova famiglia religiosa.

Dopo lunghi anni di attesa, di preghiera, di speranza e di tentativi, Maria Oliva incontra il patriarca di Ve-nezia, il card. Piazza, che comprende il progetto e si adopera perché possa iniziare l’esperimento della na-scente comunità delle Figlie della Chiesa. Maria Oli-va, insieme a quattro giovani, dà inizio all’«Opera» il 24 giugno 1938, presso la casa generalizia delle Ca-nossiane a Roma.

Negli anni seguenti, nonostante le difficoltà della Seconda guerra mondiale, la famiglia si diffonde in varie località.

Il cardinale Piazza chiede personalmente al papa Pio XII che Maria Oliva venga sciolta dal voto di re-

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stare per sempre canossiana e concede l’approvazio-ne diocesana alle Figlie della Chiesa il 21 aprile 1946. Per espresso desiderio del Papa, la Madre passa alla Congregazione da lei fondata pronunciando la pro-fessione perpetua il 2 agosto 1946, divenendone così Superiora Generale. Nel 1957 l’Istituto riceve l’appro-vazione definitiva e negli anni successivi vive una no-tevole espansione.

La stagione del Concilio trova la Madre attentissima al nuovo cammino ecclesiale. Nelle grandi Costituzio-ni del Concilio Ecumenico Vaticano II sulla Liturgia, la Chiesa, la Parola di Dio, la Missione della Chiesa nel mondo contemporaneo trova confermata ed esplici-tata l’intuizione carismatica. Inoltre, è protesa a pro-muovere e sostenere la collaborazione con i laici che sente investiti di una speciale missione ecclesiale.

In questi anni le Figlie della Chiesa giungono in Boli-via, Brasile, Colombia, Argentina, America del Nord, India, tra la gente più povera e bisognosa.

Madre Maria Oliva del Corpo Mistico torna al Padre il 10 luglio 1976. Il 17 giugno 1987 il cardinale Poletti apre a Roma il «Processo Informativo» per la causa di beatificazione, chiuso dal cardinale Ruini il 15 set-tembre 1992. La sua salma riposa accanto all’altare della Cappella della Casa Generalizia a Roma.

Alcuni scritti

Sul batteSimo

La nostra unione con Dio si attua per gradi. Nel battesimo è in embrione, si sviluppa nella cresima, si riprende nella penitenza, si arricchisce di tutte le possibilità di perfezionamento nella comunione. L’of-ferta con Gesù, per Gesù, in Gesù al Padre è un’a-vanzata che si fa di giorno in giorno più cosciente, decisa, fervorosa: può raggiungere l’unione più alta,

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come è accaduto a molti santi, durante la Messa e specialmente nella Comunione.

L’inserimento nella Chiesa non si opera per mezzo di una iscrizione, di una sottoscrizione, di un arruola-mento. L’attua il battesimo per la morte e la risurre-zione del Signore ed è un mistero di morte e di ri-surrezione. Il battesimo è risurrezione, elevazione e Consacrazione dell’umanità. Ci fa fratelli di Gesù: quindi simili a Lui: figli di Dio come Lui, consacrati al servizio e alla gloria del Padre come Lui. Partecipiamo per così dire ai suoi caratteri somatici. Il nostro corpo stesso è «tempio dello Spirito Santo», come il suo.

Ogni tempio è destinato al culto: ogni battezzato è assunto dalla Liturgia a offrire a Dio «sacrifici e lodi». Rifiutando il servizio si muore; prestandolo si vive. Il battesimo è un’arcana risurrezione dalla morte alla vita; dalla rivolta contro Dio, all’attrazione in Dio.

Sulla chiamata uNiVerSale alla SaNtità

La chiamata di Dio ad essere Chiesa è universale. È la vocazione universale alla salvezza e alla santità, sempre accompagnata dalla grazia sollecitatrice della nostra libera risposta.

«Dio vuole tutti salvi». «Questa è la volontà di Dio: la santità nostra». Tale grazia sgorga continuamente dal-la Messa e raggiunge tutti. È l’attuazione universale di Gesù Crocifisso: «Quando sarò elevato da terra, trarrò tutto a me!» Siamo tratti tutti nel tutto: la Chiesa.

La vocazione universale alla santità ha un unico pun-to di convergenza e di arrivo. Siamo tutti ruscelli, fiumi, torrenti convergenti verso l’oceano della Vita.

Tutti saremo uno «nella Chiesa e in Cristo Gesù». Tutti saremo uno nella Trinità. La chiamata è ugua-le per tutti, perché «Dio ci ha fatti tutti per Sé» e il nostro cuore è inquieto finché non riposerà in Lui» (S. Agostino). Il nostro cuore. Il cuore umano. Il cuore di tutti.

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La vita ha stati diversi e offre compiti diversi, come nel corpo, gli organi e le loro funzioni. La vita so-prannaturale si esprime con la stessa varietà e così la santità, che ne è l’abbondanza. La varietà dei santi è spontanea come la varietà dei fiori. Lo Spirito Santo si è espresso con mirabile varietà nella creazione. Ha chiamato per nome le stelle, ha suggerito il nome agli animali e alle piante, ha assegnato nomi ispirati agli uomini. Le sue spirazioni sono sette, settanta volte sette innumerevoli. Non può cessare di liberamente manifestarsi, esprimersi, donarsi e i santi lo mani-festano, lo esprimono: sono il suo dono ininterrotto alla terra. Sempre vario come Lui che è l’Amore!

Per chi è chiamato alla santità il fine non giustifica mai i mezzi: a fine più perfetto devono corrispondere mezzi perfetti, a fine santo, mezzi santi.

La vocazione che non dà fiori di «misericordia, bon-tà, umiltà, dolcezza, e pazienza» né il frutto dello Spirito, che da quei fiori matura: la santità, è già vo-cazione perduta.

La santità è per se stessa apostolica. È la carenza di santità che limita l’apostolato. Il Battesimo ci prov-vede le grazie necessarie alla santità e la Cresima le carica di vigore apostolico.

Non sono necessari mezzi speciali e straordinari per raggiungere la santità. Tutti i mezzi voluti da Dio sono buoni. La volontà di Dio fa mezzi di santifica-zione, in potenza, anche i più materiali e la buona volontà nostra li fa, in atto, santificanti.

Tutti gli atti umani possono essere atti divini di cari-tà. Tutta la vita umana può essere santificata e santi-ficante. È il miracolo dell’Incarnazione.

Chi lavora per la vita e il progresso, e per far vivere e progredire gli altri, lavora alla propria santificazio-ne anche con questi mezzi naturali, se imita Cristo sempre operante col Padre suo per tutti. Il lavoro può nelle loro mani divenire anche apostolico come per trent’anni nella bottega di Nazareth. Può essere pre-

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ghiera, sofferenza, esempio, predicazione apostolica, come i colpi di sega e martello di Gesù e di Giuseppe e le faccende domestiche di Maria.

La Chiesa ricorda ai laici e soprattutto a noi, il dovere battesimale della testimonianza. Il fervore si ottiene coll’esercizio del fervore; come suonando si impara a suonare. Nessuno può santificarsi senza pregare, senza rinnegare se stesso, senza fare agli altri ciò che vorrebbe fosse fatto a lui, senza moltiplicare atti virtuosi per raggiungere le virtù in cui la carità si ramifica. La santità è amore e l’amore è preghiera, abnegazione di sé, servizio dei fratelli, mitezza, umil-tà, giustizia, castità, obbedienza: l’amore è santità.

(S. Garofalo, La sapienza del cuore. Pensieri spirituali di Madre Maria Oliva Bonaldo,

Cor Unum, Roma 1977, pp. 70-79)

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6. Per la preghiera personale

Iscrivi il nostro nome

Signore,iscrivi il nostro nomealla tua scuola d’amore: insegnaci ad amare a essere amatiin piena trasparenza,trasparenza che rischiariogni ombra fra quanti amiamo: carità che dissolvaanche i piccoli restidi amore non vero fra noi.

Amore che da te non germini,che di te e in te non vivae a te non ritorni,amore non è!Insegnaci ad amare ognuno e ognunadi un unico amore. Dom Helder Camara

Donami anche il buon umore

Dammi, o Signore,una buona digestionee anche qualcosa da digerire.

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Dammi la salute del corpocol buon umore necessario per mantenerla.

Dammi, o Signore,un’anima santa che faccia tesorodi quello che è buono e puro,affinché non si spaventi del peccato,ma trovi alla tua presenza la viaper mette di nuovo le cose a posto.

Dammi un’anima che non conosca la noia,i brontolamenti, i sospiri e i lamentie non permettere che io mi cruccieccessivamente per quella cosatroppo evidente che si chiama «io».

Dammi, o Signore,il senso del ridicolo:concedimi la grazia di comprendere uno scherzo,affinché conosca nella vita un po’ di gioiae possa farne parte anche agli altri. Tommaso Moro

Maria, Madre della Chiesa

O Maria, vedi la Chiesa,vedi i membri più responsabilidel corpo mistico di Cristoraccolti intorno a te,per riconoscere tee te celebrare sua mistica madre.

Benedici, o Maria,la grande assemblea della Chiesa,essa pure generatrice dei cristiani

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fratelli di Cristo,primogenito dell’umanità redenta.

Fa’, o Maria,che questa Chiesa di Cristo e tuanel definire se stessariconosca te per sua madree figlia e sorella elettissima ed incomparabilesuo modello,sua gloria, sua gioia e sua speranza.

Questo noi ora ti chiediamo:che siamo fatti degni di onorarti per chi tu sei,per ciò che tu fai,nell’economia mirabile ed amorosa della salvezza.

Maria, guarda noi tuoi figli;guarda noi, fratelli e discepoli e apostolie continuatori di Gesù;fa’ che siamo coscienti della nostra vocazionee della nostra missione; fa’ che non siamo indegni di assumere,nel nostro sacerdozio, nella nostra parola,nell’oblazione della nostra vita per i fedelia noi affidati,la rappresentanza, la personificazione di Cristo. Paolo VI

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Quarto ritiro

Inviati nel mondo

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1. Adorazione eucaristica

Canto eucaristico durante l’esposizione

1. Pane di vita nuova, vero cibo dato agli uomini, nutrimento che sostiene il mondo, dono splendido di grazia. Sei l’Agnello immolato nel cui sangue è la salvezza, memoriale della vera Pasqua della nuova Alleanza.

Rit. Pane della vita, sangue di salvezza, vero corpo, vera bevanda, cibo di grazia per il mondo.

2. Manna che nel deserto nutri il popolo in cammino sei sostegno e forza nella prova per la Chiesa in mezzo al mondo. Segno d’amore eterno, pegno di sublimi nozze, comunione nell’unico corpo che in Cristo noi formiamo. Rit.

Breve momento di silenzio

Invito alla preghiera

Cel. Tu ci hai redenti, Signore, con il tuo sangue versato.Ass. Com’è prezioso il tuo amore per noi!

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Cel. Beati coloro che fanno di te il loro rifugio.Ass. Pellegrini che le tue vie portano in cuore.

Cel. Dirò le tue meraviglie: tu solo sei giusto e misericordioso.Ass. La tua bontà non ha confini.

Cel. Chi può narrare i tuoi prodigi, o Signore?Ass. Terribile e santo è il tuo nome.

Cel. Il tuo Spirito di verità dimora, grida e agisce in noi.Ass. Saremo tuoi annunciatori e testimoni.

Breve momento di silenzio

Preghiera corale

Il pane che ci appresti sulla mensa, o Signore, ci aiuti a vivere il tuo amore e a irradiarlo. Possa alimentare chi ha fame, guarire il male; far nascere pace e fiducia, scomparire le angosce, fiorire la visione della vera gioia, quella che è in te e mai si esaurisce. Amen.

Breve momento di silenzio

In ascolto della parola di Dio (At 2,14-41)

Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta par-lò a loro così: «Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Ge-rusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie pa-role. Questi uomini non sono ubriachi, come voi supponete: sono, infatti, le nove del mattino; accade invece quello che

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fu detto per mezzo del profeta Gioele: “Avverrà: negli ultimi giorni - dice il Signore - su tutti effonderò il mio spirito; i vo-stri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avran-no visioni e i vostri anziani faranno sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spiri-to ed essi profeteranno. Farò prodigi lassù in cielo e segni quaggiù sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo. Il sole si muterà in tenebra e la lune in sangue, prima che giunga il giorno del Signore, giorno grande e glorioso. E avverrà: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”.

Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, co-me voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabi-lito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice, infatti, Davide a suo riguardo: “Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subi-sca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza”.

Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al pa-triarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione.

Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo te-stimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. Davide, infatti, non salì al cielo; tuttavia egli dice: “Disse il Signore al mio Si-gnore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi”.

Sappia, dunque, con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».

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All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fra-telli?». E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi, infatti, è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.

Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si possono riprendere le seguenti rifles-sioni di Renato Corti sul ministero del prete, tratte da un suo articolo intitolato: «Il prete e la sua relazione con Cristo» («La rivista del Clero Italiano», [5/2012], pp. 385-386).

Secondo i testi della sacra Scrittura, il venire con-sacrati significa ricevere una particolare vocazione ed essere introdotti in un particolare rapporto di co-munione personale con Dio, in vista di un servizio divino verso Dio stesso e l’umanità. Dunque signifi-ca essere «messi a parte» (un aspetto che non si può sottovalutare), ma non essere posti tra parentesi (o a riposo): al contrario, si viene messi a parte «per una missione» da compiere che si connette strettamente con l’attuazione del disegno divino. Benedetto XVI ha toccato questo tema nell’omelia della messa cri-smale 2012. In apertura, riferendosi al discorso di Gesù nell’Ultima cena, diceva: «In questa santa Mes-sa i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo,

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mediante l’imposizione delle mani, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo con-sacrati nella verità (Gv 17.19). Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini». Il Papa poneva poi subito una domanda: «Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? Sia-mo uomini che operano a partire da Dio e in comu-nione con Gesù Cristo?». E poco dopo ricordava che «la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento».

Non c’è nessuna contraddizione tra consacrazio-ne e missione. A proposito di missione, al termine del Vangelo secondo Matteo si legge il comando di Gesù agli apostoli: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,18-20). Gesù stabilisce così uno stretto collegamento tra il ministero affidato agli apostoli e la sua mis-sione. In realtà, la missione non è loro; è sua. Perciò il ministero non è possibile con le sole forze uma-ne. Occorre il dono di Cristo e del suo Spirito (cfr. Gv 20,22-23). È quindi essenziale comprendere che, come Cristo viene dall’alto, e non dal basso, così an-che il nostro ministero è dall’alto: noi ministri non siamo delegati dal popolo, ma assunti da Gesù nella sua missione propria.

Ha scritto Paolo ai Corinti: «Ognuno ci consideri ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1), citando proprio questo testo di Pao-lo, nella sua autobiografia Giovanni Paolo II scrive: «Il termine amministratori non può essere sostituito da nessun altro. Esso è radicato profondamente nel Vangelo: si ricordi la parabola sull’amministratore fedele e su quello infedele (cfr. Lc 12,41-48). L’ammi-nistratore non è il proprietario, ma colui al quale il proprietario affida i suoi beni, affinché li gestisca con

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giustizia e responsabilità. Proprio così il sacerdote ri-ceve da Cristo i beni della salvezza per distribuirli nel modo dovuto alle persone alle quali è inviato. Si trat-ta dei beni della fede. Nessuno può ritenersi proprie-tario di questi beni. Tutti siamo destinatari. In forza, però, di quello che Cristo ha stabilito, il sacerdote ha il compito di amministrarli».

Preghiera di Compieta

INNO

Al termine del giorno, o sommo Creatore, veglia sul nostro riposo con amore di Padre.

Dona salute al corpo e fervore allo spirito, la tua luce rischiari le ombre della notte.

Nel sonno delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell’alba intoni la tua lode.

Sia onore al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, al Dio trino ed unico nei secoli sia gloria. Amen.

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Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SuppliCa fiDuCioSa nell’afflizione

paDre, nelle tue mani ConSeGno il mio Spirito (lC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affido alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

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Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 Dal profonDo a te GriDo

eGli Salverà il Suo popolo Dai Suoi peCCati (mt 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (Ef 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

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RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affido il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affido il mio spirito.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE lC 2,29-32CriSto, luCe Delle Genti e Gloria Di iSraele

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

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Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifisso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

Benedizione

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

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Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

Antifona mariana

Regina cœli, lætáre, alleluia: quia quem meruisti portare, alleluia, resurréxit, sicut dixit, alleluia. Ora pro nobis Deum, alleluia.

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2. Brani biblici di riferimento

Libro dei Giudici (6,11-16)

Ora l’angelo del Signore venne a sedere sotto il terebinto di Ofra, che apparteneva a Ioas, Abiezerita. Gedeone, figlio di Ioas, batteva il grano nel frantoio per sottrarlo ai Madia-niti. L’angelo del Signore gli apparve e gli disse: «Il Signore è con te, uomo forte e valoroso!». Gedeone gli rispose: «Per-dona, mio signore: se il Signore è con noi, perché ci è capi-tato tutto questo? Dove sono tutti i suoi prodigi che i nostri padri ci hanno narrato, dicendo: “Il Signore non ci ha fatto forse salire dall’Egitto?”. Ma ora il Signore ci ha abbando-nato e ci ha consegnato nelle mani di Madian». Allora il Signore si volse a lui e gli disse: «Va’ con questa tua forza e salva Israele dalla mano di Madian; non ti mando forse io?». Gli rispose: «Perdona, mio Signore: come salverò Isra-ele? Ecco, la mia famiglia è la più povera di Manasse e io sono il più piccolo nella casa di mio padre». Il Signore gli disse: «Io sarò con te e tu sconfiggerai i Madianiti come se fossero un uomo solo».

Vangelo di Matteo (28,16-20)

Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostraro-no. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dun-que e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

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Libro degli Atti degli Apostoli (8,26-40)

Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Alzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Ga-za; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ec-co un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etio-pia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accostati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il pas-so della Scrittura che stava leggendo era questo: «Come una pe-cora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita». Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale perso-na il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filip-po, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittu-ra, annunciò a lui Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo bat-tezzò. Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa.

Per la meditazione personale

Sal 100 (99) Sal 117 (116) 2Re 5,1-15 Mc 16,9-20 Rm 10,1-15 1Cor 15,1-21

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3. Testi per la riflessione

Dal decreto Presbyterorum Ordinisdel Concilio Ecumenico Vaticano II

4. Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della parola del Dio vivente che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti. Dato, infatti, che nessuno può essere salvo se prima non ha creduto, i presbiteri, nella loro qualità di coopera-tori dei vescovi, hanno anzitutto il dovere di annun-ciare a tutti il Vangelo di Dio seguendo il mandato del Signore: «Andate nel mondo intero e predicate il Vangelo a ogni creatura» e possono così costituire e incrementare il popolo di Dio. Difatti, in virtù della parola salvatrice, la fede si accende nel cuore dei non credenti si nutre nel cuore dei credenti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità dei credenti, secondo quanto ha scritto l’Apostolo: «La fede è possibile per l’ascolto, e l’ascolto è possibile per la parola di Cri-sto» (Rm 10,17). Pertanto i presbiteri sono debitori verso tutti, nel senso che a tutti devono comunicare la verità del Vangelo di cui il Signore li fa beneficia-re. Quindi, sia che offrano in mezzo alla gente la te-stimonianza di una vita esemplare, che induca a dar gloria a Dio; sia che annuncino il mistero di Cristo ai non credenti con la predicazione esplicita; sia che svolgano la catechesi cristiana o illustrino la dottrina della Chiesa; sia che si applichino a esaminare i pro-blemi del loro tempo alla luce di Cristo: in tutti que-sti casi il loro compito non è di insegnare una propria sapienza, bensì di insegnare la parola di Dio e di invi-tare tutti insistentemente alla conversione e alla san-tità. Inoltre se la predicazione sacerdotale, che nelle circostanze attuali del mondo è spesso assai difficile,

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vuole avere più efficaci risultati sulle menti di coloro che ascoltano, non può limitarsi ad esporre la parola di Dio in termini generali e astratti, ma deve applica-re la perenne verità del Vangelo alle circostanze con-crete della vita [...].

5. Dio, il quale solo è santo e santificatore, ha vo-luto assumere degli uomini come soci e collabora-tori, perché servano umilmente nell’opera di santi-ficazione. Per questo i presbiteri sono consacrati da Dio, mediante il vescovo, in modo che, resi partecipi in maniera speciale del sacerdozio di Cristo, nelle sa-cre celebrazioni agiscano come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdo-tale in favore nostro nella liturgia, per mezzo del suo Spirito. Essi, infatti, con il battesimo, introducono gli uomini nel popolo di Dio; con il sacramento della penitenza riconciliano i peccatori con Dio e con la Chiesa; con l’olio degli infermi alleviano le sofferen-ze degli ammalati; e soprattutto con la celebrazione della messa offrono sacramentalmente il sacrificio di Cristo. Ma ogni volta che celebrano uno di questi sa-cramenti i presbiteri – come già ai tempi della Chiesa primitiva attesta Sant’Ignazio martire – sono gerar-chicamente collegati sotto molti aspetti al vescovo, e in tal modo lo rendono in un certo senso presente in ciascuna adunanza dei fedeli.

10. Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara a una missione limi-tata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, «fino agli ultimi confini della terra» (At 1,8), dato che qualunque ministero sa-cerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli. Infatti, il sacerdozio di Cristo, di cui i presbiteri sono resi realmente partecipi, si dirige necessariamente a tutti i popoli e a tutti i tempi, né può subire limite alcuno

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di stirpe, nazione o età, come già veniva prefigurato in modo arcano con Melchidesec. Ricordino quindi i presbiteri che ad essi incombe la sollecitudine di tutte le Chiese. Pertanto, i presbiteri di quelle dio-cesi che hanno maggior abbondanza di vocazioni si mostrino disposti ad esercitare volentieri il proprio ministero, previo il consenso o l’invito del proprio ordinario, in quelle regioni, missioni o attività che soffrano di scarsezza di clero.

Dal Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri della Congregazione per il clero

14. Il comando del Signore di andare a tutte le genti (Mt 28,18-20) costituisce un’altra modalità dello sta-re del sacerdote di fronte alla Chiesa. Inviato – mis-sus – dal Padre, per mezzo di Cristo, il sacerdote ap-partiene «in modo immediato» alla Chiesa universa-le che ha la missione di annunziare la Buona Novella fino agli «estremi confini della terra» (At 1,8).

«Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione, li prepara ad una vastissima e uni-versale missione di salvezza» (PO 10). Per l’ordine e il ministero ricevuto, infatti, tutti i sacerdoti sono associati al corpo episcopale e, in comunione gerar-chica con esso, secondo la loro vocazione e grazia, servono al bene di tutta la Chiesa. L’appartenenza, quindi, ad una Chiesa particolare mediante l’incar-dinazione non deve rinchiudere il sacerdote in una mentalità ristretta e particolaristica, ma aprirlo al servizio anche di altre Chiese, perché ogni Chiesa è la realizzazione particolare dell’unica Chiesa di Gesù Cristo, tanto che la Chiesa universale vive e compie la sua missione nelle e dalle Chiese particolari in co-munione effettiva con essa. Tutti i sacerdoti, dunque, debbono avere cuore e mentalità missionaria, essen-do aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo.

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4. Testi per l’approfondimento

Dall’Omelia del Giovedì Santodi papa Francesco (26 marzo 2013)

Cari fratelli e sorelle, con gioia celebro la prima Messa Crismale come Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con affetto, in particolare voi, cari sacerdoti, che oggi, co-me me, ricordate il giorno della vostra Ordinazione.

Le Letture, anche il Salmo, ci parlano degli «Unti»: il Servo di Jahvè di Isaia, il re Davide e Gesù nostro Signore. I tre hanno in comune che l’unzione che ri-cevono è destinata a ungere il popolo fedele di Dio, di cui sono servitori; la loro unzione è per i poveri, per i prigionieri, per gli oppressi... Un’immagine molto bel-la di questo «essere per» del santo crisma è quella del Salmo 133: «È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste» (v. 2). L’immagine dell’olio che si sparge, che scende dalla barba di Aronne fino all’orlo delle sue vesti sacre, è immagine dell’unzio-ne sacerdotale che per mezzo dell’Unto giunge fino ai confini dell’universo rappresentato nelle vesti.

Le vesti sacre del Sommo Sacerdote sono ricche di simbolismi; uno di essi è quello dei nomi dei figli di Israele impressi sopra le pietre di onice che adorna-vano le spalle dell’efod dal quale proviene la nostra attuale casula: sei sopra la pietra della spalla destra e sei sopra quella della spalla sinistra (cfr. Es 28,6-14). Anche nel pettorale erano incisi i nomi delle dodi-ci tribù d’Israele (cfr. Es 28,21). Ciò significa che il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore.

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Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti!

Dalla bellezza di quanto è liturgico, che non è sem-plice ornamento e gusto per i drappi, bensì presen-za della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato, passiamo adesso a guar-dare all’azione. L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge «le periferie». Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido... e il cuore amaro.

Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aron-ne fino ai bordi della realtà, quando illumina le si-tuazioni limite, «le periferie» dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheg-giare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angu-stie e le sue speranze. E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è inco-raggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: «Preghi per me, padre, perché ho questo problema», «Mi benedica, padre», «Preghi per me», sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica, sup-

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plica del Popolo di Dio. Quando siamo in questa re-lazione con Dio e con il suo Popolo e la grazia passa attraverso di noi, allora siamo sacerdoti, mediatori tra Dio e gli uomini. Ciò che intendo sottolineare è che dobbiamo ravvivare sempre la grazia e intuire in ogni richiesta, a volte inopportuna, a volte pura-mente materiale o addirittura banale - ma lo è solo apparentemente - il desiderio della nostra gente di essere unta con l’olio profumato, perché sa che noi lo abbiamo. Intuire e sentire, come sentì il Signore l’angoscia piena di speranza dell’emorroissa quando toccò il lembo del suo mantello. Questo momento di Gesù, in mezzo alla gente che lo circondava da tutti i lati, incarna tutta la bellezza di Aronne ri-vestito sacerdotalmente e con l’olio che scende sul-le sue vesti. È una bellezza nascosta che risplende solo per quegli occhi pieni di fede della donna che soffriva perdite di sangue. Gli stessi discepoli – fu-turi sacerdoti – tuttavia non riescono a vedere, non comprendono: nella «periferia esistenziale» vedono solo la superficialità della moltitudine che si stringe da tutti i lati fino a soffocare Gesù (cfr. Lc 8,42). Il Signore, al contrario, sente la forza dell’unzione di-vina che arriva ai bordi del suo mantello.

Così bisogna uscire a sperimentare la nostra unzio-ne, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle «periferie» dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. Non è precisamente nelle autoespe-rienze o nelle introspezioni reiterate che incontria-mo il Signore: i corsi di autoaiuto nella vita posso-no essere utili, però vivere la nostra vita sacerdotale passando da un corso all’altro, di metodo in metodo, porta a diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia, che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo a colo-ro che non hanno niente di niente.

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Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico niente perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’un-zione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di es-sere mediatore, diventa a poco a poco un interme-diario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore «hanno già la loro paga» e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento af-fettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisa-mente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con «l’odore delle pecore» - questo io vi chiedo: siate pastori con «l’odore delle pecore», che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi d’identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sap-piamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura gra-zia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione - e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù.

Cari fedeli, siate vicini ai vostri sacerdoti con l’affetto e con la preghiera perché siano sempre Pastori se-condo il cuore di Dio.

Cari sacerdoti, Dio Padre rinnovi in noi lo Spirito di Santità con cui siamo stati unti, lo rinnovi nel no-stro cuore in modo tale che l’unzione giunga a tutti, anche alle «periferie», là dove il nostro popolo fedele più lo attende ed apprezza. La nostra gente ci senta discepoli del Signore, senta che siamo rivestiti dei loro nomi, che non cerchiamo altra identità; e possa

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ricevere attraverso le nostre parole e opere quest’olio di gioia che ci è venuto a portare Gesù, l’Unto. Amen.

Da Comunità credenti nel mondo d’oggi di Giuseppe Savagnone

Oggi si parla molto di «nuova evangelizzazione», ma raramente ci si interroga su ciò che una simi-le espressione comporta nell’impostazione della no-stra pastorale. Può essere utile, per questo, rivisita-re i principali modelli di evangelizzatore che il NT ci offre, per stabilire, nel confronto tra essi, quale sia il più corrispondente all’aggettivo «nuova».

Contadini Un modello classico, molto noto e largamente pre-

sente nella nostra pastorale, è quello del contadino: «Ecco, il seminatore uscì a seminare...» (Mt 13,3). È un modello molto significativo, ricco di insegna-menti per una comunità dove si annuncia la Parola, perché fa molto riflettere sul fatto che la trasmissio-ne della fede non dipende certo dagli sforzi umani del predicatore o del catechista. Nella parabola, il seminatore è sempre lo stesso, ed anche il seme, ma i risultati sono molto diversi. A essere decisiva è la capacità di ricezione da parte del terreno. Fuor di metafora, c’è un mistero delle anime, nel loro rap-portarsi a Dio, che nessun apostolo può pretendere di controllare e manipolare.

Perciò la prima virtù dell’evangelizzatore-contadino non può che essere l’umiltà, la coscienza di essere solo il collaboratore di un’opera che supera immensamente le sue capacità di comunicazione e di persuasione.

La seconda virtù è strettamente legata alla prima, ed è la pazienza. Il contadino sa di non potere affret-tare i tempi della crescita e di dover accettare che essi siano talora molto diversi da quelli che egli si

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era immaginato e forse aveva sperato. Ci sono alcune piante che crescono così lentamente che chi ha get-tato il seme non vive poi abbastanza da vederne un significativo sviluppo. Così è nell’evangelizzazione. Può darsi che una comunità veda i frutti del lavoro fatto da alcuni presbiteri e laici quando questi sono morti o si sono trasferiti altrove. E questo è sulla linea di quanto dice Paolo quando insegna che, al di là di chi sia a piantare o a irrigare, alla fine, è Dio a fare crescere (cfr. 1Cor 3,6).

Pescatori È vero però che Gesù, pur utilizzando così spesso nelle

sue parabole l’immagine del contadino, ha chiamato come apostoli soprattutto dei pescatori. E come tali li ha mandati a evangelizzare: «Vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Perché? Una spiegazione potrebbe già venire dal fatto che i contadini si muovono sulla terra ferma, percorrendo sentieri già segnati. Il pe-scatore, invece, deve ogni giorno sfidare la precarietà di un elemento mobile e informe, dove non ci sono piste prestabilite e la rotta dev’essere sempre di nuovo progettata. Una differenza che risulta particolarmen-te significativa oggi, in una società che, secondo la nota definizione di Bauman, si presenta «liquida».

Soprattutto, però, il pescatore ha a che fare con dei pesci che si spostano continuamente. La sua bravura non sta nell’aspettare – come nel caso del contadino – ma nel muoversi per seguirli, riuscendo ad indovinare ogni giorno dove possono essere andati. Se getta la rete sempre nello stesso punto del mare, non prende nulla. E la colpa non è né del mare, né dei pesci, ma solo sua. Lo sottende Gesù quando invita Pietro, sco-raggiato per la notte di pesca infruttuosa, a tentare di nuovo, spingendosi, però, al largo (cfr. Lc 5,4-5).

Le principali virtù dell’evangelizzatore-pescatore, perciò, sono la capacità di mettersi nel punto di vista dei suoi interlocutori, per capire dove realmente si

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trovano, e l’intraprendenza creativa per inventarsi le rotte inedite che possono portare ad incontrarli.

Pastori C’è però, nel Vangelo, un terzo modello, da cui la tra-

dizione cristiana ha tratto la sua terminologia per de-finire la vita e l’attività della comunità ecclesiale, ed è quello del pastore. Un modello diverso da quello del contadino, perché dinamico: il pastore è colui che si mette in cerca della pecora smarrita, anche se questo comporta l’abbandono momentaneo delle altre no-vantanove (cfr. Lc 15,4), e sfida, come il pescatore, i pericoli di percorsi mai fatti prima per ritrovarla.

A differenza del pescatore, però, il pastore «chiama le sue pecore ciascuna per nome e le conduce fuori [...] e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce» (Gv 10,3-4). Il pescatore deve saper cogliere i movimenti dei pesci, ma per lui sono soltanto pre-de, ed egli non li distingue l’uno dall’altro. Ciò che accade adesso è molto diverso: il pastore chiama per nome, come nell’AT Dio aveva fatto con Abramo, con Mosè, con i profeti. Qui c’è un rapporto di conoscen-za che unisce il pastore ad ogni singola pecora. E c’è una reciprocità, perché egli conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui, la sua voce, e se ne fidano.

Le virtù dell’evangelizzatore-pastore saranno dunque da un lato il dinamismo di chi sa mettersi alla ricer-ca, dall’altro la capacità di stabilire relazioni che ren-dono inconfondibile il volto dell’altro e che, al tempo stesso, permettono a quest’ultimo di avere stima e fiducia in chi lo chiama.

L’esodo necessario Probabilmente, le difficoltà delle nostre comunità ec-

clesiali dipendono dal fatto che il modello dominante è ancora quello del contadino. Quante volte capita di sentire un buon parroco, davanti alla proposta di ab-bandonare una prassi consolidata, esclamare: «Qui

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si è fatto sempre così e così si farà finchè ci sarò io!». Oppure, davanti al dato di fatto che la stragrande maggioranza dei suoi parrocchiani potenziali non vengono in Chiesa: «Se non vogliono venire, mica li posso andare a cercare io!». I suoi meriti non sono in discussione. Ma è un ottimo contadino che si tro-va a vivere in una società liquida, dove servirebbero pescatori, e in un contesto religioso in cui le pecore smarrite sono non una, bensì novantanove, e avreb-bero bisogno di un pastore impaziente di cercarle.

Per questo la comunità ecclesiale, oggi, è chiamata ad «uscir fuori», per andare a cercare «ciò che era perduto» (Mt 18,11), calandosi nella complessa realtà culturale e sociale di un mondo che continuamente cambia. E non come chi si mette in caccia di prede, ma con uno stile pastorale che implica la reciprocità, ascoltando, prima di parlare, per capire di che cosa gli altri abbiano veramente bisogno.

(«Presbyteri», [6/2012], pp.413-416)

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5. Un testimone esemplare

Padre Bernardo Sartori

Profilo personale

Bernardo Sartori nacque a Falzè di Trevignano il 20 maggio 1897. Dalla mamma ricevette una profonda pietà eucaristica e mariana. Di fronte alla decisa oppo-sizione del padre, la sua determinazione ad entrare nel Seminario di Treviso fu ancor più forte, con la minac-cia di uno sciopero della fame: «Papà, se tu non mi fai entrare in Seminario, io digiunerò fino a morire».

La Prima guerra mondiale lo vide con altri seminari-sti sul fronte del Piave. Fu in questo tempo di grandi sofferenze che Bernardo avvertì la vocazione missio-naria. Durante un furioso combattimento sull’Isonzo, pensando che fosse giunta la sua ultima ora, inginoc-chiato tra i cadaveri, emerse il desiderio che da tempo aveva in cuore e pregò: «Madonna santa, non farmi morire in questa stupida guerra, io voglio andare tra i neri dell’Africa, là voglio terminare i miei giorni».

Rientrato in Seminario, di lì a poco passò nel novi-ziato dei missionari comboniani a Venegono, senza dir niente a nessuno, d’accordo solo con i suoi nuovi superiori e il vescovo di Treviso, Longhin. Il giorno dopo «la fuga», il padre lo raggiunse a Verona e assi-curò al padre generale dei comboniani: «Possiedo una pistola. Il giorno in cui Bernardo salirà su una nave per andare in Africa, gliela scaricherò addosso».

Fu ordinato sacerdote dal vescovo Longhin nel 1923. A causa della salute cagionevole non poté partire su-bito per le missioni, per cui fu impegnato come ani-matore vocazionale in Italia. Il giovane prete mani-

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festò subito i segni di quella formazione che aveva ricevuto nel Seminario di Treviso, come pure dall’a-zione pastorale del Longhin: l’anelito alla santità, l’amore per l’Eucaristia e una particolare devozione mariana. Assieme a ciò assimilò una forte sensibilità pastorale, fondata sullo zelo per la salvezza delle ani-me, attraverso la preghiera e il contatto personale.

L’incontro con il vescovo di Troia, il servo di Dio mons. Fortunato Maria Farina, lo vide impegnato in questa diocesi dove fece sorgere la sede dell’Istituto Missionario Comboniano, con annesso santuario de-dicato a Maria Mediatrice di tutte le Grazie. La sua parola calda, l’ardore apostolico, l’amabilità del trat-to, la smisurata devozione a Maria toccarono il cuore di molti. Sapeva trasmettere una viva fiducia nella provvidenza e nella Madonna che, come lui stesso ebbe a dire, «non mi ha mai negato nulla».

Il periodo italiano si chiuse con la destinazione alla tanto desiderata missione in Uganda. A contatto con il mondo musulmano, padre Bernardo alzò la sua bandiera: Maria Mediatrice. Nel 1937 pose la prima pietra del tempio a lei dedicato. Questa sua fiducia in Maria bloccò come d’incanto la forte avanzata islami-ca. Rientrato in Italia nel 1949, dopo quattordici anni di missione, la sua testimonianza spinse molti gio-vani ad aderire alla chiamata missionaria. Ritornato in Uganda dedicò la nuova missione e chiesa alla Ma-donna di Fatima. Trasferito altrove, eresse una chiesa a Maria Regina della Pace. Nel 1966 fu inviato in una nuova missione dove lasciò nuovamente il segno di una chiesa dedicata a Maria Madre della Chiesa, nel ricordo della proclamazione di questo titolo mariano durante il Concilio.

Secondo le parole stesse di padre Sartori, in tutte queste costruzioni c’era una logica spirituale: Maria era la porta dell’evangelizzazione. A Gesù si arriva attraverso Maria. Naturalmente quest’attività co-struttiva era unita ad una più impegnativa attività

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apostolica che vedeva numerose conversioni, anche nell’ambiente musulmano. Padre Bernardo, tutte le sue sfide missionarie e non ultima quella relativa al suo temperamento da «grande capo», che avrebbe po-tuto costringere chi gli stava vicino a vivere «alla sua ombra», le ha vinte mettendosi in ginocchio: davanti a Dio e agli uomini. Tutti ricordano la sua intensa celebrazione eucaristica vissuta fino alla lacrime. Un testimone racconta di lui: «Io da ragazzo, l’ho sempre visto così il “mio” padre Sartori: in ginocchio davanti al Tabernacolo, ai piedi di Maria, e poi sulla sua “Ga-relli” in giro per la predicazione. Non mi ricordo di averlo mai visto perdersi dietro a cose superflue o non attinenti alle cose di chiesa e di apostolato».

Questa posizione di «missionario in ginocchio» gli era diventata così familiare da esservi colto anche nell’ultimo momento della sua vita. Lui che iniziava la giornata recandosi in chiesa alle quattro del mat-tino e uscendone alle otto per dedicarsi all’attività missionaria, verso la fine della sua vita trascorreva intere notti in preghiera. Il 3 aprile 1983, mattino di Pasqua, fu trovato esanime davanti al taberna-colo con accanto la lampada a kerosene accesa. Il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Ombaci, dove attualmente riposa. L’8 marzo 1999 ne fu introdotta la causa di beatificazione.

Alcuni scritti

ho troVato la chiaVe

Ricorda le mie prime lettere, in cui parlavo con orrore dei musulmani, come del resto anch’essi parlavano di me? Oggi sono i miei più cari amici, coloro che han-no la parte più cara del mio cuore e delle mie fatiche. L’anima mia ama questi neri. Vivo per loro. L’affetto per loro si identifica con la mia esistenza. Ho trovato

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la chiave per arrivare al loro cuore. Ho stretto amici-zia con due loro grandi capi; e oggi i loro figli sono nelle mie scuole. Ho, con la loro influenza, aperto ben otto scuole in ambiente completamente musulmano. I sottocapi e la gente ne sono entusiasti. Oggi che le scrivo conto altri 300 musulmani nelle scuole, che mi amano, mi seguono, mi domandano – alcuni – di farsi cristiani. Dopo 10 anni il ghiaccio è rotto. Sul caos che ci divideva è stato messo un ponte, l’odio sta per scomparire, la chiave è trovata. Però non il-ludiamoci: sono mussulmani, e dei più fanatici. Ci vuole prudenza e il lavoro sarebbe nullo se mancasse la benedizione dall’alto. La chiave che apre il cuore di questa gente è il cuore della celeste Mediatrice... Mi compatisca se le sembro esaltato. È verità che sogno musulmani e conversioni loro, che li ho sempre sulle labbra e non so pregare che per loro...

ViVo Per loro

Pensando alla mia vita di missionario, mi viene da dire quello che sant’Agostino diceva di Cristo: tardi ti ho conosciuto... Questi miei figli generati alla gra-zia... Sì, l’affetto mio per loro si identifica con la mia esistenza. Sì, vivo per loro, di loro e con loro. Amo la vita nomade e il contatto diretto con tutti, e perciò in casa non ci sono quasi mai. Ma fuori? Sai che canto la messa quasi tutti i giorni e in tutte le cappelle? Il popolo e una squadra di neo-cristiani, che ormai ci sono dappertutto, conoscono le mie debolezze, e in ogni posto dove arrivo, trovo già i fiori freschi pianta-ti nei muri di fango e nel tetto delle povere chiesine... Ci si stanca molto, e molto, ma sono giorni pieni, lieti e belli che ricompensano a misura il poco lavoro che faccio perché Lui regni... Se tu mi sentissi cantare a squarciagola per i boschi pieni di sole, col santissimo sacramento sul petto, viatico a chi tra poco ha la for-tuna di vederlo nella realtà, o a cercare qualche po-

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vera pecora sperduta nelle ataviche abitudini, a piedi per miglia e miglia a portare la grazia e l’Autore di essa alla cristianità, credo che troveresti tanto bella la vocazione da non chiedere né sport, né avventure, per paura di offuscarla...

PreNdi e ricomiNcia

Il 31 marzo 1973 non commemorerò il 50° di mes-sa, perché la messa non si commemora, si vive. La messa è come il fiume che va. La mia anima è la mia messa che non finisce mai, perché il prete è eterno come Cristo che mi ha voluto assumere, e il carattere sacerdotale non si cancella. Chi commemora si volge indietro, chi vive no, e si capisce il perché: perché non giova commemorare i doni ricevuti e non accet-tati. Se guardo a ciò che mi manca dopo 50 anni c’è da disperarsi: mi manca tutto.

Ma il Signore ha ancora fiducia in me, mi invita a riprendere con gioia il calice in mano e continuare la mia offerta. È qui tutta la mia offerta: Gesù chiede che mi offra con lui e non vede che la mia resistenza. Se la mia messa non è viva, la colpa è tutta mia che non ho saputo, non ho voluto stendermi sulla croce con Lui, anzi ho cercato di scegliermi un posticino comodo accanto alla croce.

È duro dopo cinquant’anni non essere un crocifisso, non aver il cuore aperto in cui le anime possano ve-dere l’amore di Cristo, non potere dire: consumatus est. Che menzogna se lo dicessi. Dopo oltre 20.000 messe, i miei «santi sacrifici» sono senza ombra di sacrificio. Incominciasse davvero la sua messa que-sto vecchio esaurito, e ogni mattina avesse la forza di distendersi sulla croce affinché il suo povero cuore diventasse il cuore di Gesù, e terminando la messa nel tempo potesse cominciare quella dell’eternità!

Sono una spiaggia arida; viene l’onda ogni mattina e non so trattenerla, mi accorgo – se pur mi accor-

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go – quando il flutto è già lontano... Che sporco e piccolo recipiente per tanta straripante abbondan-za! Quanta impurità per l’Innocenza che mi gorgo-glia tra le mani.

Tutte le mattine Gesù mi consegna il suo sangue... Questa è la messa... e le mie mani diventano quelle della Vergine che lo accolse deposto dalla croce. È Pa-squa: potessi anch’io passare da una vita tiepida, anzi fredda, dal deserto alla terra dove scorre latte e miele e dove il Signore e la Vergine mi attendono da tanti, troppi lunghi anni, invano...

La mia anima è come un vaso piccolo piccolo, che ri-fiuta la straripante abbondanza e si accontenta di un sorso... Mani vuote che sostengono Lui, l’Immenso, il Puro, il Vivente, ogni mattina. Cuore stretto che non sa aprirsi al sollevare del calice e non riesce a immergersi nell’Amore. Ma il Signore mi nasconde a me stesso e fa come al prodigo: «Presto, portate il vestito più bello e indossateglielo onde nessuno veda i suoi cenci e le sue ferite». Che rendere per tutto quello che mi ha dato e mi dà? Prendi il calice della salvezza e ricomincia...

(l. GaiGa, La sfida di un uomo in ginocchio, Bologna 1999, pp. 182-183, 227-228 e 324-326)

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6. Per la preghiera personale

Dammi il tuo cuore

Maria, madre di Gesù.Dammi il tuo cuore,così bello,così puro,così immacolato,così pieno d’amore e umiltà:rendimi capace di ricevere Gesùnel pane della vita,amarlo come lo amasti e servirlo sotto le povere spogliedel più povero tra i poveri. Madre Teresa di Calcutta

Mostrati, Signore

A tutti i cercatori del tuo voltomostrati, Signore;a tutti i pellegrini dell’assoluto,vieni incontro, Signore;con quanti si mettono in camminoe non sanno dove andarecammina, Signore;affiancati e cammina con tutti i disperatisulle strade di Emmaus;e non offenderti se essi non sanno

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che sei tu ad andare con loro,tu che li rendi inquietie incendi i loro cuori;non sanno che ti portano dentro:con loro fermati poiché si fa serae la notte è buia e lunga, Signore. David Maria Turoldo

Rendici veri ministri del Vangelo

Donaci, Signore, che non ci sottraiamo mai al compito di annunziare alla nostra gente la tua volontà, cioè tutte le vie mediante le quali tu vuoi essere amato e servito.Donaci di vegliare su noi stessi e su tutto il gregge in mez-zo al quale ci hai posti come responsabili.Donaci coraggio, discernimento per difendere il gregge dai lupi rapaci; concedici di vigilare, di vegliare, di vincere il son-no, di essere attenti al tuo Spirito che parla, allo spirito ma-ligno che cerca di corrompere i ragazzi, i giovani, la gente.Fa’ che per questo noi sappiamo, di giorno e se necessario anche di notte, esortare tra le lacrime ciascuno di coloro che amiamo e che tu ci hai affidato.Ti ringraziamo, Signore, perché siamo sicuri di te, siamo affidati a te. Ti ringraziamo per la parola della tua grazia che edifica questa comunità e che ci prepara, essa sola, l’e-redità eterna. Fa’ che guardiamo a quell’eredità con fiducia perché, se il futuro è incerto, la tua grazia è invece certa.Donaci disinteresse, Signore Gesù, affinchè non cerchia-mo né l’argento, né l’oro, né la veste di nessuno e non ci impossessiamo, come padroni, del cuore di nessuno.Concedici di sentire nell’impegno del nostro ministero quotidiano che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Carlo Maria Martini

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Indice

preSentazione ......................................................................5

primo ritiro

Morti e risorti in Cristo ....................................................9

SeConDo ritiro

Chiamati alla santità .......................................................43

terzo ritiro

Resi tutti fratelli ..............................................................77

Quarto ritiro

Inviati nel mondo ..........................................................109

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