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Sulla spazialità del potere e delle pratiche di resistenza Riflessioni sulla normatizzazione degli spazi urbani tra i meccanismi di sicurezza, logiche di mercato e riappropriazione degli spazi attraverso tattiche di resistenza A cura di: Bona Giulia Carrer Laura Furlan Tiziano Sala Andrea Tosarelli Lorenzo

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Sulla spazialità del potere e delle pratiche di resistenza

Riflessioni sulla normatizzazione degli spazi urbani tra i meccanismi di sicurezza, logiche di mercato e riappropriazione degli spazi attraverso tattiche di resistenza

A cura di:

Bona Giulia

Carrer Laura

Furlan Tiziano

Sala Andrea

Tosarelli Lorenzo

1. Michel Foucault: Organizzazione spaziale e microfisica del potere

1.1 Potere fra spazio e relazioniMichel Foucault, attraverso i celebri scritti sul potere e la sua diffusione, come nel famoso saggio del 1975 Sorvegliare e punire, sviluppa fondamentali riflessioni sia sulle forme più esplicite e palesate di controllo sociale, sia sui meccanismi latenti e impliciti che determinano l'auto sostentamento di poteri e istituzioni.Oltre ad un' attenta analisi sul corpo e sulla sua collocazione all'interno dello spazio, l'autore indaga su come i processi culturali abbiano implicato la nascita della prigione come forma di controllo disciplinare per antonomasia.Anche al giorno d'oggi, attraverso lo sviluppo di una “tecnologia disciplinare”, le relazioni gerarchiche trovano collocazione e giustificazione in tutti i luoghi dell'agire umano che coinvolgono rapporti con l'autorità, più o meno istituzionalizzati, dalle scuole alle caserme, agli ospedali, ecc.Le riflessioni foucaultiane ci possono venire incontro per interpretare il disegno urbano moderno, coniugato ormai con le innumerevoli tecnologie dell'informazione e della comunicazione.Tutta la strumentazione per monitorare l'andamento di varie funzioni (sensori, sonde, radar, spie, microfoni, telecamere, ecc.) fornisce oggi la possibilità di eseguire controlli a distanza in tempo reale. Così le superfici e i volumi che possono essere controllati aumentano enormemente.In questo caso però (Osti, 2010) prevale il registro dell'ambivalenza piuttosto che la teoria del complotto ordito da qualche forza egemone. I moderni sensori sono (anche) strumenti di incremento della comunicazione umana e quindi di progresso. Peraltro, lo stesso Foucault non ha in mente una centrale di controllo quanto un potere diffuso che si estrinseca nei rapporti quotidiani, come fra medico e paziente, fra imprenditore e operaio, fra genitore e figlio, fra educatore e discente; quasi una struttura di potere che parte dal basso ma che poi cresce a tutte le scale territoriali fino a diventare globale. Egli parla di governamentalità, vale a dire il modo in cui si guida la condotta degli uomini. (Foucault, 2004; trad. it. 2005, 154), in G.Osti , (ibid.)L'uso della forma impersonale "si guida" sta a indicare la pervasività e la frammentazione delle forme di potere. Potremmo aggiungere, e specificheremo dopo, il termine biopolitica, a suggerire come la dinamica del potere passi sempre più spesso per questioni di base dell'esistenza umana. In ognuno di questi basilari ambiti di vita (cura di sè, mangiare, riprodursi) si fa un largo uso di tecnologie volte a creare un corpo docile "che può essere sottomesso, che può essere utilizzato, che può essere trasformato e perfezionato" (Foucault 1975; trad. it. 1976,148), in G.Osti, ivi.)Siamo interessati dunque, in questa prospettiva, a concentrarci sulla dimensione più spaziale della diffusione orizzontale di meccanismi pervasivi di “normatizzazione”, focalizzandoci quindi sulle dinamiche di costruzione della norma e della rappresentazione sociale della “realtà normatizzata”.L'architettura, ci suggerisce Osti, può essere una tecnologia politica che, come altre discipline, fornisce un insieme di procedure per unire conoscenza e potere. Nella storia della pianificazione urbana come anche nella progettazione degli edifici a uso collettivo notiamo espedienti architettonici che permettono un più facile e pervasivo controllo delle attività umane. Il controllo diventa, in particolare nella società moderna, più capillare e allo stesso tempo meno visibile e maggiormente interiorizzato. E’ più raro l'esercizio brutale

della forza fisica da parte delle autorità e si affermano invece sottili meccanismi razionali che le persone fanno lentamente propri.Come osserveremo più avanti, gli ormai celebri viali progettati alla fine del 1800 da Von Hausmann per la riqualificazione parigina ad espliciti fini di controllo sociale ci riportano per vie dirette (fin troppo!) al Panoptico Foucaultiano; l'esempio più noto di edificio (originariamente carcerario) che permette, grazie alla sua struttura radiale, un permanente controllo sui detenuti.Per sottolineare come lo spazio non è mai neutro e in-significante, e possa inoltre stimolare linguaggi alternativi e variegati sull’uomo che lo abita, ci vengono anche in aiuto i lavori di Henri Lefebvre, ricordandoci come (lo spazio) non può essere un semplice contenitore o una superficie su cui si dispiegano gli eventi. (Moizzi, Milano 1976). Al tempo stesso l’autore ci mostra la natura contingente del diagramma delle relazioni di potere e l’idea dello spazio come un “campo di lotte” in quanto campo di rapporti di forza. (Cremosini, Irrera, Lorenzini, Tazzioli, 2012)Anche il potere, per farla breve, si serve dello spazio, e i dispositivi tecnologici che presiedono alla vita hanno una specifica dimensione spaziale: muri, viali, finestre, torri… Ancora in Foucault, infatti: l'architettura esiste per assicurare una certa collocazione della popolazione nello spazio, una canalizzazione della sua circolazione (...). Egli sostiene in una intervista (...) che "lo spazio è fondamentale in ogni forma di vita comune; lo spazio è fondamentale in ogni esercizio del potere." (...) Insiste sull'esercizio di un potere sugli individui attraverso una canalizzazione spaziale della vita di tutti i giorni (Lawrence e Low, 1990)

Nella società moderna l'architettura riproduce le asimmetrie nelle relazioni, ma senza quell' evidenza e brutalità che potremmo ritrovare in un campo militare o in una capitale dell' ancien régime. Le gerarchie sono il prodotto di dispositivi nascosti, infinitesimi, quasi addolciti da parvenze estetiche. Pensiamo a come potevano essere in Italia i manicomi fino agli anni '80 e come siano oggi le cliniche per la salute mentale. Certamente, quella è l'architettura che più si presta a essere interpretata con i canoni foucaultiani. (G. Osti, op. cit.) Ma è l’unica? Come Foucault lascia intendere, la violazione palese e radicale della libertà nei contesti più visibilmente egemonici e repressivi non deve tentarci a concludere la nostra analisi senza sviscerare i processi di normalizzazione e sorveglianza dove essi sono meno espliciti.Una frase molto interessante, ricorrente nei suoi testi è: “Nella teoria politica non si è ancora stati capaci di fare ciò che invece si è fatto nella storia: tagliare la testa del Re.”Foucault vuole mostrarci come sia ancora facile immaginare il potere legato a vecchi modelli: quello del Sovrano (il comando dall’alto, attraverso la legge) e quello della Proprietà (il potere che si possiede, di alcuni soli, che si cede o acquisisce).Nell’era moderna, per “tagliare la testa al re” bisogna eliminare questi presupposti. Come? Forse, suggerisce, attraverso l’analisi del potere come un nuovo modello, reticolare, come insieme di azioni su azioni. Si esercita dunque potere non quando si trasmette un’ energia su un polo passivo, ma quando un azione influenza il campo di altre azioni possibili di altri soggetti. Questo, per Foucault, è potere reale, dominante, influente e pervasivo; il resto è forza, violenza, al più comunicazione.Ogni potere risponde a un urgenza storica. Stando allo studioso francese, nell'età moderna le urgenze

sono essenzialmente due: come gestire un numero ristretto di individui in uno spazio chiuso e come gestire grandi masse di popolazione. Al primo caso risponde il potere disciplinare, tecnica che permette ad esempio la produzione, la disciplina nella fabbrica come nella società. Riguardo la gestione di grandi masse Foucault conia invece il termine Biopotere. Esso è il potere che si occupa della vita degli individui; non tanto del loro comportamento quanto del loro Bios, degli aspetti immediatamente vitali della loro vita (salute, igiene, fertilità, mortalità…).L’importanza e la delicatezza di questi aspetti emerge però prepotentemente quando osserviamo i casi in cui l’esercizio del Biopotere può richiedere l'eliminazione di un pericolo o una minaccia rappresentati da una parte della popolazione stessa o da un’altra popolazione. Così esprime la propria-auto tutela, la giustificazione alla propria esistenza, così sancisce il lecito e la normalità, il concesso e il “nemmeno non ipotizzabile” sul tavolo delle possibilità.Il potere, non essendo più spettacolare, arbitrario e sanguinario, e quindi circostanziato, è il più delle volte minimo e con l'unica necessità di mantenersi. Deve produrre e riprodurre individui normali. La norma messa in opera da un tale potere non ha dunque per riferimento il divieto, ma un modello (ideale) cui conformare il reale.Questo potere “disciplinare” e il suo congiunto “biopotere” funzionano? Sono efficaci? Siamo stati precisi nel definire così frettolosamente i loro margini e la loro autonomia?Ci aiuta l’autore, sottolineando come la discriminante per l'analisi dell'esercizio del potere è prima di tutto il linguaggio, il discorso, la rappresentazione, quindi solo successivamente, lo spazio. In questo senso potremmo dire che "l'architettura non è fondamentale", ovvero assume ruoli differenti data la medesima intenzione.La sola cosa che possa garantire la libertà non è né la distribuzione spaziale, né una qualsiasi cosa che sia per natura liberatrice, ma è l’esercizio stesso della libertà. L’architettura produce libertà solo quando le sue intenzioni coincidono con “la pratica reale delle persone nell’esercizio della loro libertà”. (Marzocca, 2001 in G.Brausch 2012)Se non cadendo nell’arbitrario, non è dunque possibile pensare le distribuzioni spaziali come autonome dalla “pratica effettiva della libertà, dalla pratica dei rapporti sociali” (Ibid.)Se si separano queste cose, “esse diventano incomprensibili”. Sarebbe dunque assurdo attribuire virtù (sociali, politiche, etc.) allo spazio, se questo spazio è pensato in se stesso, disconnesso dall’insieme relazionale, mobile e complesso, in cui si iscrive. (G. Barusch, ivi.)L’individuo e la sua azione “libera e liberatrice” hanno sempre un potere sul luogo. E’ prima di tutto il discorso che siamo interessati a individuare, per capire come poi si articola su un’architettura inclusiva o esclusiva, pubblica o privata, orizzontale o gerarchizzata…

Illustrazione 1: Satirical graffiti

Ancora sulla rappresentazione del reale, Foucault individua nel “dispositivo di sicurezza” la terza logica di potere, dopo il potere giuridico-discorsivo e quello disciplinare.La sicurezza è “democratica” e applicata tutti, non solo ai “devianti”. Intervenire direttamente sul reale (in questo caso, per sopprimere ogni “cattiva circolazione”) potrebbe avere l’effetto inverso a quello previsto. La città moderna, flessibile e articolata, liquida e in mobilità, ma soprattutto libera, deve essere concepita come in evoluzione, in sviluppo, come se dovesse essere aperta a quel che può accadere, elastica, pronta ad accoglierlo. “In ciò consiste un’organizzazione saggia della città: nel tener conto di ciò che potrà accadere” (M. Foucault in G. Barusch, op.cit).Essere in grado di accogliere l’evento esige un margine potenziale al soggetto (di non-controllo) che non significa un abbandono o una negligenza. Le cose non possono accadere in qualsiasi modo: stando alla definizione adottata di potere devono assolutamente prodursi in modo accettabile/regolato. C’è infatti una norma in opera: le cose devono accadere in modo che corrispondano a quel che la norma afferma. Questa norma, ed è per noi cruciale, non è più un divieto o un modello, ma un tasso, una media, una statistica (estratta quindi dal reale), e dunque di conseguenza un’oscillazione intorno a un tasso. Non si tratta quindi di incarnare la norma, ma di bilanciarsi intorno ad essa, allontanandosene il meno possibile. Una norma di questo genere non è “esterna al reale”, né in conflitto con esso; al contrario, è tratta dal reale stesso, ne è il riflesso, la curva. Governare non è nient’altro che seguire il reale, “ laisser-faire”, lasciar accadere.Il dispositivo di sicurezza gestisce il reale conformemente a quel che il reale suggerisce (il reale è, attraverso la norma che fornisce, l’istanza che detta l’azione). Il dispositivo di sicurezza lavora sulle potenzialità contenute nel reale. (G. Brausch, op.cit.)Abbiamo detto però che è il corpo che definisce la propria libertà. Esso non è riducibile a una porzione di spazio, e non solo per ragioni metafisiche, ma perché di fatto disobbedisce all’ordine spaziale, all’ordine delle cose. È capace di non piegarsi alla condotta dettata dalla disposizione spaziale.Foucault nega i legami diretti fra disposizioni spaziali e condotta dei corpi. Il corpo non è una porzione meccanica dello spazio che risponde alla sua disposizione. Tale concatenazione è non solo arbitraria, ma fallimentare. Foucault individua quindi il modo utilizzato dal potere per superare questa impasse, delimita una razionalità che funziona come se avesse preso atto di questi fallimenti e della necessità di giocare con la libertà. Questa razionalità abbandona la scala del corpo e dello spazio architettonico e urbano a vantaggio di un’altra scala, quella della “popolazione” (per riportarci all’oscillazione sul tasso statistico di normalità).Il nostro diventa quindi un potere che calcola la libertà individuale del corpo ma, cambiando obbiettivo, la appanna, in una moltitudine di avvicinamenti alla norma condivisa dalla popolazione, tornando quindi alla macro-normalità, che beneficia di numeri e statistica. Il corpo singolo è indiscutibilmente libero, ma la popolazione è fortemente normatizzata.Considerando che il modello di potere reticolare è un’insieme di azioni su azioni, e si esercita nella possibilità di avere influenza su altre azioni di altri individui, ne deriva un’importante conclusione: il potere deve lasciare margini di libertà, ed in certi casi deve addirittura crearli.Per riassumere, "la produzione dello spazio esce allora dal regime di sovrainvestimento e di pianificazione assoluta, per entrare in un’economia generale, il cui solo scopo sarebbe quello di sostenere il corso delle cose (ad esempio il corso del mercato).”Da queste riflessioni possiamo dunque ipotizzare un principio di analisi di resistenza spaziale e interazione

con la norma, che affronteremo meglio nel seguente paragrafo.

1.2 Spazi eterotopici e panoptici virtualiIl Panoptico Foucaultiano è un architettura di controllo che, nella modernità “virtualizzata”, supera le sue stesse funzioni: abbiamo già accennato a come l’obiettivo del potere di controllo non è più quello del potere disciplinare che imponeva una stabilità, ma quello di assicurare una tracciabilità dell’individuo.Da qui, l’effetto principale del “Nuovo Panopticon”: indurre nel detenuto uno stato cosciente (e permanente) di visibilità che assicuri il funzionamento automatico del potere. (Razac 2012) Il potere normativo smette dunque di palesarsi, e assume forme quasi “auto-normative”, dove “i detenuti sono presi in una situazione di potere di cui sono essi stessi i portatori” ( ibid.). Esso rimane sullo sfondo delle relazioni a suggerire un linguaggio e una forma di interazione privilegiata e a sanzionare linguaggi e forme indesiderate.Al massimo grado, la nozione di virtualizzazione della reclusione è la possibilità di recludere degli individui senza far uso della materia, impiegando cioè mezzi impalpabili.Pertanto, nella nostra analisi è necessario passare da un approccio descrittivo a un approccio tattico. Non si tratta di chiedersi a cosa assomigli la virtualizzazione, ma a cosa serva. Non è necessariamente una forma di repressione e separazione esplicita e fisica a creare luoghi regolamentati.Anzi, “il controllo disciplinare dello spazio può risultare tanto più efficace quanto più le separazioni, le compartimentazioni, i quadrillages imposti allo spazio si rivelano suscettibili di un’ evoluzione in funzione di bisogni tattici, cosa impossibile senza delimitazioni più leggere ed elastiche” (Ad esempio, le nuove tecnologie di sorveglianza), (ivi.). Dal momento che lo spazio è organizzato per rendere inevitabile la reazione fisica del potere, perchè il suo esercizio è “de-materializzato”? Su un piano tattico, è più conveniente una “virtualizzazione della reclusione”, che intensifica l’esercizio spaziale del potere. Essa infatti “consente una dissuasione psichica assolutamente efficace” (O.Razac, ibid.).La finalità del Panopticon non è essenzialmente repressiva. Non si tratta di combattere e nemmeno di impedire l’azione di un individuo, ma di far sì che un certo tipo di azione non abbia luogo perché ne risulta impossibile la progettazione.

Questo effetto preventivo è ottenuto grazie a un gioco sul calcolo degli interessi effettuato dall’individuo in quanto soggetto razionale. Qual è l’interesse del detenuto/utente? Quello di trovarsi, a fronte di una infrazione, dinnanzi a una inevitabile repressione fisica del dispositivo, oppure quello di approfittare della “mitezza” del suo normale funzionamento? Il dispositivo panoptico ha la funzione di catturare questo intreccio di interessi attraverso il gioco dell’ispezione. Non si può nemmeno dire che ci sia dialettica o opposizione tra il sorvegliato e il sorvegliante poiché, in quanto essere razionale, il sorvegliato non può che accettare il funzionamento del dispositivo.A un primo livello, si tratta di una semplice conformità alla norma indotta dalla certezza della reazione repressiva; a un secondo livello, rappresentante la vera finalità panoptica, si tratta di ottenere un’adesione all’esistenza stessa del dispositivo di ispezione. (O. Razac, ivi.)Cosa significa che il Panopticon è interiorizzato?

I princìpi sottesi al Panopticon, che è una macchina architettonica (e nel nostro caso, virtuale), animano direttamente gli individui. Organizzare uno spazio di osservazione e di sorveglianza significherebbe organizzare dei corpi che vengono osservati e sorvegliati. “Strutturare lo spazio per rendere possibile uno sguardo (onnipresente e non circostanziato, ubiquo e non ridotto al punto di vista reale) implica che i corpi si sottomettano effettivamente a questo sguardo." (G. Brausch, op. cit.)Sia da un punto di vista di interiorizzazione della norma, sia di vera e propria geometricità dello spazio in relazione al corpo, alla gerarchizzazione delle istituzioni e delle relazioni corrisponde una spazialità.Il deviante deve essere sempre perlomeno visibile: "bisogna dunque poter massimizzare la circolazione “positiva” (quella dell’”aria pura”, dei medici, degli istitutori, etc.) e sopprimere la circolazione “negativa” (quella dei miasmi e dei malati, dei delinquenti, dei cattivi studenti, etc.). Bisogna poter rendere visibili tutti i pazienti ed ogni paziente, tutti i delinquenti ed ogni delinquente, impedendo loro di vedere in modo

Illustrazione 2: Progetto di panopticon, 1791

panottico. ( Foucault, 1977)“Lo spazio si vede dotato di obiettivi ambiziosi che non dipendono in alcun modo dalla repressione o dalla soppressione, ma dalla produzione (di individui docili e utili – di corpi non malati, non delinquenti, non cattivi studenti)." (Brausch, op. cit.)Come ci ricordano Berger e Luckmann (1966), anche il dissenso e l’incoerenza vanno significati e concepiti nella normalità. In psicologia sociale il processo di comprensione del reale viene descritto spesso per semplificazioni, attraverso euristiche e tentativi di attenuare le possibili dissonanze cognitive. I fattori devianti, diversi, alterati, estranei, devono essere inclusi nel discorso dominante per ridurre così l’indeterminatezza, l’inspiegabilità del reale."Finchè continuano senza interruzione, le routines della vita quotidiana sono percepite come non problematiche. Ma anche il settore non problematico della realtà quotidiana è tale solo fino a nuovo avviso, cioè fino a che la sua continuità non viene interrotta dalla comparsa di un problema. Quando questo avviene, la realtà della vita quotidiana cerca di integrare il settore problematico in ciò che è già non problematico.” (Berger e Luckmann, ivi.)Il punto di vista può variare, ma in relazione alla tipizzazione, diciamo al "coefficiente normalizzante" che gli corrisponde. Nella relazione per la costruzione del significato entra in gioco il negoziato, quindi il potere.In questi spazi si giocano infatti gerarchie e significativi rapporti di forza.

I nuovi panoptici, o i luoghi caratteristici dell’interazione urbana moderna, dove si intersecano molteplici dimensioni dell’agire umano, sono fortemente normatizzati.Essi che assumono in sè stessi densi significati umani vengono, spesse volte, e con una certa flessibilità, definiti attraverso la celebre forma Foucaultiana di Eterotopia. Un luogo-momento, dove lo spazio assume un significato esplicito e dove con maggior facilità possiamo assistere all’espressione del discorso di chi lo abita. Dall’altro lato, la riflessione di Foucault sulle eterotopie ha ispirato molti lavori (di filosofi, geografi ed urbanisti) che sono giunti a leggere alcuni nuovi spazi come “utopie effettivamente realizzate”, luoghi al di fuori di ogni luogo e tuttavia localizzati. L'eterotopia è un ordine fra il linguaggio e lo spazio: “permette di restaurare l’incrocio dello spazio e del linguaggio, di far tenere insieme le parole e le cose.” (Cremosini, Irrera, Lorenzini, Tazzioli, 2012)Nella curiosa distinzione utopia/ eterotopia, Il luogo dell'utopia è irraggiungibile e per definizione, solamente immaginabile. E' linguaggio libero, disordinato, in evoluzione. Consente il discorso, il suo luogo è il linguaggio stesso.L'eterotopia invece forza il linguaggio all'interno di uno spazio, riordina, vieta, regolamenta, mina il linguaggio; in altre parole, sottrae a esso il suo spazio; perchè lo spazio si autonomizza rispetto al

Illustrazione 3: Anti- CCTV graffiti

linguaggio. L'eterotopia per antonomasia, la prigione, è l'espressione lampante di discorsi istituzionalizzati, calcificati e concretizzati in un luogo. La reclusione e il confinamento sono linguaggi repressivi concretati. I rapporti di forza e la normatività diffusa in una società viene tangibilmente rappresentata in un luogo eterotopico come il carcere.Le eterotopie designano quindi proprio dei “contro-spazi”. (Foucault, 1966)Il discorso che, per definizione, è “solo dicibile”, si concretizza; il linguaggio diventa spazio. “L’eterotopia ha come regola quella di giustapporre in un luogo reale più spazi che normalmente sarebbero, dovrebbero essere, incompatibili. Le utopie, infatti, rinviano a luoghi senza luogo che doppiano nell’immaginario lo spazio reale della società, per convertirlo in spazio ideale, mitico. L’eterotopia invece designa lo spazio dell’utopia nel reale, l’utopia si concretizza.” (Ibidem.)Le eterotopie sono radicate nel reale, nello spazio sociale: sono dunque piuttosto “dei luoghi reali, dei luoghi effettivi, dei luoghi che sono predisposti nell’istituzione stessa della società delle specie di utopie effettivamente realizzate in cui gli spazi reali, tutti gli altri spazi reali che possiamo trovare all’interno della cultura sono, al contempo, rappresentati, contestati e rovesciati”.

1.3 Conclusioni“Il modello della polis incentrato essenzialmente sulla dimensione pubblica e politica” sta progressivamente tramontando, e quella che si staglia all’orizzonte è “una zona di assoluta indifferenza fra privato e pubblico”.(Cremonesini, V., 2012)Come Foucault ampiamente porta alla luce nella sua genealogia del liberismo, territorio, sicurezza e popolazione costituiscono i centri nodali della razionalità di governo incentrata sul nesso economico-politico. Foucault aveva definito il nuovo ordine disciplinare del potere politico moderno come il risultato di una convergenza e sovrapposizione di due paradigmi, quello dell’esclusione e della divisione e quello del controllo e della sorveglianza. (V. Cremonesini, Ibid.)Sono sempre più intensi nei nuovi paesaggi urbani, i processi di Gentrification e segregazione.Il processo articolato della Gentrification contiene anche in sé un duplice meccanismo: quello del riorientamento al consumo della città e quello del controllo sociale della devianza urbana. Esso, infatti, produce una costante riorganizzazione concettuale di ciò che ricade nella centralità urbana e di ciò che ne è escluso.“La dislocazione entro due forme di spazialità irriducibili (centralità e non) risponde alla più generale funzione di riproduzione simbolica della disuguaglianza, che è costitutiva dell’organizzazione biopolitica. Il rapporto centro-periferia non costituisce quindi solo la cartina di tornasole delle disuguaglianze sociali, ma è agente spaziale e simbolico della loro riproduzione, diviene funzione propria della logica securitaria. Riproduce silentemente uno dei paradigmi della razionalità di governo: l’individuazione e la differenziazione dislocativa.” (V. Cremonesini, ivi.)Già Zygmunt Bauman, nel suo celebre Modernità Liquida (2002, pag. 32), osservava che il processo attuale di individualizzazione sta producendo uno scarto antropologico ed etico che si gioca tra individuo e cittadino, e che proprio questa trasformazione starebbe producendo una “contrazione inesorabile dello spazio pubblico” e l’emergere di una sorta di panico morale (Bauman, Z., ibid). Le dinamiche di

individualizzazione stanno producendo una sorta di occultamento del senso dello “spazio comune”. Lo spazio pubblico riorganizza il suo senso e i suoi significati nella sfera privata del mercato. Esso diviene spazio commerciale e del consumo, spazio individuale e privato del desiderio, tutt’al più tribalistico, cioè spazio privato di individualità omogenee, reali o virtuali. In tal modo, lo spazio pubblico va sempre più svuotandosi di questioni pubbliche e “gli individui vengono gradualmente, ma incessantemente spogliati della loro corazza protettiva della cittadinanza ed espropriati delle loro capacità e interessi di cittadini.” (Ivi. pag. 34, in V. Cremonesini, op.cit.)Lo spazio pubblico urbano, però, oltre ad essere lo specchio utopico ed eterotopico del potere, costituisce anche un campo di battaglia, e non solo quella tra il cittadino e l’individuo. La battaglia che vi si combatte è quella della sicurezza urbana. È all’opera quella separazione tra società civile e Stato che il neoliberismo porta in sé fin dal suo emergere. La battaglia si declina nella logica del mercato e nel probabilistico incontro tra una domanda di sicurezza e un’efficace politica di prevenzione della devianza. Il problema securitario chiama in causa i nuovi dispositivi della penalità, ma non solo. Esso si articola sull’intera popolazione urbana trasformando, come suggerisce Agamben, gli spazi pubblici delle città “in interni di un’immensa prigione” (La città e le metropoli, 2007). Il dispositivo della sicurezza proprio della razionalità di governo neoliberista si produce e riproduce nell’indeterminatezza della soglia tra spazio pubblico e spazio privato. È il meccanismo della videosorveglianza, ma anche della creazione di spazi pubblici ad accesso limitato e controllato, e della miriade di piccoli dispositivi che servono a spingere al di fuori della comunità cittadina e dei suoi spazi coloro che, in quanto non consumatori, sono privati di ogni diritto di cittadinanza (migranti, senzatetto, mendicanti, vagabondi.) (V. Cremonesini, ivi.)“La guerra che si combatte è quella per la sicurezza urbana, che rimbomba da ogni dove nella retorica politica, sociale e comunicativa della città; il campo di battaglia è lo spazio pubblico, il suo controllo minuzioso, capillare, la possibilità di esercitare attraverso di esso un’operazione simbolica, non più volta alla costituzione della comunità cittadina, ma alla sottrazione, per ragioni di pubblica sicurezza, dei diritti stessi di cittadinanza.” (V. Cremonesini, Ibid.)

“Space is political. Space is not a scientific object removed from ideology or politics; it has always been political and strategic”, ammonisce Henri Lefebvre.

A questa definizione però, Foucault aggiungerebbe una coloritura importante: dove c'è potere c'è anche resistenza. E se lo spazio è politico, non è solo perchè è ciò attraverso cui si esercita il potere, ma anche perchè è ciò attraverso cui si esercita la resistenza.Per Foucault, su un piano per l’appunto spaziale, la definizione della resistenza oscilla tra l’effetto imprevisto di un dispositivo architettonico (tra le intenzioni, le messe in opera e le conseguenze effettive di una disposizione spaziale, lo scarto può essere tale che l’effetto sia contrario all’intenzione iniziale del dispositivo) e “l’esercizio stesso della libertà”, esercizio che deciderà in ultima istanza della finalità effettiva di uno spazio. Che ogni dispositivo spaziale sia abitato da un principio di indeterminazione, è quello che infine il filosofo ci ricorda e che ci resta da pensare. (G. Brausch, op. cit..)Molti studi critici sono partiti da queste riflessioni nei confronti delle politiche di confinamento e di selezione che “imbrigliano” le pratiche di mobilità. In quest’ottica, le resistenze sono pensate sin dall’inizio come “strategie di esistenza” e pratiche di soggettivazione che, nonostante agiscano spesso per

sottrazione rispetto a un potere che cerca di catturarle, sono anche immediatamente produttive, sia perché costringono le politiche di governo della mobilità a ridefinirsi, sia perché mettono in atto nuovi modi di praticare lo spazio, trasformando spazi esistenti o “agendo la vicinanza degli spazi.” (Cremosini, Irrera, Lorenzini, Tazzioli, op.cit.)

Come ultima espressione di questa forza dislocatrice, possiamo concludere ricordando che "lo sguardo foucaultiano sugli spazi urbani non si concentra unicamente sulle pratiche di gestione e di governo dei fenomeni di mobilità, ma tenta di ricostruire il loro funzionamento anche a partire dai loro “margini”, ossia da quella dimensione di pratiche, lotte e discorsi sempre sottesa a ogni spazio e a ogni regime di governo. Molteplicità delle tecniche di governo, dunque, ma anche rumore costante delle lotte che fanno sempre di uno spazio uno spazio “abitato”, attraversato da processi di soggettivazione e conflitti, movimenti e catture." (Cremosini, Irrera, Lorenzini, Tazzioli, Ibid.)

2. Michel De Certeau: “ Le quotidien s'invente avec mille manières de braconner”.

2.1 Bourdieu: struttura, habitus, hexis L'habitus1 nella definizione che Bourdieu ne dà all'interno della sua concezione di teoria dell'azione pratica, è l'interiorizzazione delle strutture simboliche dominanti da parte del soggetto che, esteriorizzandole poi attraverso l'hexis2, le rende durature e trasmissibili. Il potere del sistema sociale egemonico si fa immanente e pervasivo, ovvero una dominazione simbolica che non viene riconosciuta dal soggetto come tale bensì semplicemente come il naturale (e senza origine) svolgersi delle cose: la struttura genera habitus che vengono naturalizzati attraverso l'hexis. Così, quella che Bourdieu chiama “violenza simbolica”, s'avvicina molto come funzionamento alla microfisica del potere di Foucault: se Foucault sostiene che il potere è più forte laddove non ha bisogno di esplicitarsi, Bourdieu mostra come il soggetto non lo riconosca come dominazione e anzi se ne faccia tramite. E un tramite necessario, dato che la struttura esiste solo in quanto assunta e trasmessa: le disposizioni culturali diventano materiali e si mostrano attraverso il corpo stesso (come l'individuo mangia, si muove, parla, etc.)

“In altri termini, gli agenti sociali determinano attivamente, attraverso categorie di percezione e di

1 “Sistema di disposizioni durature e trasmissibili, strutture strutturate predisposte a funzionare come strutture strutturanti,cioè in quanto principi organizzatori e generatori di pratiche e rappresentazioni che possono essere oggettivamente adatte al loro scopo senza presupporre la posizione cosciente di fini e la padronanza esplicita delle operazioni necessarie per raggiungerli, oggettivamente “regolate” e “regolari” senza essere affatto prodotte dall’obbedienza a regole e, essendo tutto questo, collettivamente orchestrate senza essere prodotte dall’azione organizzatrice di un direttore di orchestra” (P. Bourdieu, 1980 - cit. in P. Magnoler, “Tracce di habitus?”)

“Organizzazione invariante della condotta per una classe di situazioni date” (Vergnaud, 1990 - cit. ibidem )

2 “Bodily hexis is political mythology realised, embodied, turned into a permanent disposition, a durable manner of standing, speaking and thereby of feeling and thinking.” (P. Bourdieu, “Outline of a Theory of Practice”, Cambridge University Press, 1977)

valutazione socialmente e storicamente determinate, la situazione che li determina. Si può anche dire che gli agenti sociali sono determinati, solo nella misura in cui si determinano” (Bourdieu, 1992)

Nel sistema teorico dell’autore, viene introdotta anche l’idea dell’acquisizione, ovvero il processo mediante il quale la struttura si fa habitus per poi esplicitarsi nell’hexis.In questo processo di interiorizzazione-esteriorizzazione la struttura si modifica, assume caratteristiche e funzionalità nuove, non alterandone però la dicotomia fondamentale dominante-dominato nella quale, e per la quale, era stata prodotta.

2.2 La polémologie: “polemos panton mèn pater”3

De Certeau, come Lefebvre, adotta un approccio polemologico all'azione umana, ponendo la contraddizione, generatrice di conflitto, al cuore dell’evoluzione: nell’azione vi sono infatti entrambi gli aspetti del polemos e del logos; mentre polemos significa unicamente “conflitto”, logos è una parola ambigua, che può significare sia “discorso” (discorsi sul conflitto come costruttori di senso ma anche creatori di un campo simbolico in cui rimettere in discussione la cultura dominante), sia “logica” (logica nel conflitto e non solo del conflitto). L’azione è dunque un polemos, una contraddizione investita da un logos, un discorso... che crea un proprio logos, un'intelligenza all'opera.

2.3 Penser et agirDe Certeau riprende l'idea di struttura-acquisizione-habitus-hexis da Bourdieu e, pur non rifiutando l'apparato teorico della microfisica del potere foucaltiano, si chiede come sia possibile che la società non si riduca tuttavia ai rituali, ai discorsi e alle rappresentazioni egemoni, che vengono anzi utilizzati "in funzione di riferimenti estranei al sistema al quale (gli individui utilizzatori ma non creatori della pratica) non potevano sottrarsi". L'azione in De Certeau assume rilievo in quanto “usage”, utilizzo delle strutture esistenti per fini altri da quelli per cui eran state concepite. Così, De Certeau mostra una scollatura tra il teorico e il pratico, una possibilità di resistenza che si gioca negli interstizi del potere: l'agire umano può sottrarsi all'onnipresenza della macchina panoptica. De Certeau riprende da Foucault l'aspetto “minuscolo” dell'azione, ma lo ribalta, dall'esercizio del potere alla resistenza pratica.Il campo economico viene spesso scelto come esempio di “perfetta asimmetria”, in cui il potere egemonico detentore del capitale culturale, simbolico e materiale, s’impone sui soggetti dominati rendendoli “consumatori” di ciò che produce, sia esso un valore simbolico o un bene materiale. L’aspetto che viene trascurato in quest’approccio razionalista è però l’uso che viene fatto dei prodotti imposti dall’ordine dominante: De Certeau sposta l’attenzione sull’usager, l’utilizzatore, rifiutando la definizione di “consumatore”, passivo e inerme. Lo stesso Bourdieu mette in evidenza come “anche in quest’ambito, nel quale i mezzi e i fini dell’azione e il loro rapporto sono portati a un grado molto elevato di esplicitazione” gli individui mettano in atto delle strategie “pratiche”, nel duplice senso di “adeguate al fine, ragionevoli” ma anche di “non teoriche”: intelligenze pratiche che nel pensiero di De Certeau vengono chiamate “tattiche”.

3 “Il conflitto è padre di tutte le cose” (Eraclito)

2.3.1 Strategia e tatticaLa definizione di uno spazio e il controllo esercitabile su di esso da parte di un sistema sociale è il risultato di una "strategia", cioè un'azione compiuta in uno spazio definibile come "proprio", e dunque utilizzabile come base per la creazione di un potere capace di articolare un insieme di luoghi fisici e teorici: è il presupposto per la realizzazione di un Panopticon. Un luogo “proprio” infatti consente di capitalizzare i vantaggi acquisiti, di preparare future espansioni e di acquisire così facendo un’indipendenza in rapporto alla variabilità delle circostanze: è una forma di controllo del tempo attraverso l’istituzione di uno spazio autonomo.Al contrario, si definisce "tattica" un calcolo che non può contare su una base propria, un'azione che ha come luogo solo quello dell'altro, in cui "si insinua in modo frammentario, senza coglierlo nella sua interezza e senza poterlo tenere a distanza": è un'azione sovversiva, di resistenza al discorso dominante, un modo per "sfuggirgli senza sottrarvisi". La tattica, al contrario della strategia, non ha basi su cui poter far previsioni, nè possiede una conoscenza o una padronanza sufficiente del luogo e delle sue caratteristiche: la circostanza fortuita è il suo campo d’azione, la casualità del tempo che può vincere sulla certezza di uno spazio. E’ insomma astuzia (mètis, l’intelligenza pratica dell’antica Grecia), l’arte del più debole.

La mètis può esser vista come forma di razionalità strumentale: definisce un’azione che ottiene il maggior effetto con il minor sforzo possibile.

Nello schema a lato, si può leggere come il processo di mètis sia un movimento che si sviluppa in quattro fasi:

– (I), (II): laddove non si disponga di una forma solida di potere, c’è bisogno del potere liquido dell’intelligenza pratica, resa istintiva dalla memoria;- (II), (III): più è istintiva, meno ha bisogno di tempo per agire - l’occasione, il momento opportuno (kairos), diventa determinante;- (III), (IV): più è rapida, più grandi saranno i suoi effetti.“Ces pratiques mettent en jeu une ratio populaire, une manière de penser investie dans une manière d'agir, un art

de combiner indissociable d'un art d'utiliser.” (De Certeau, 1990)

L’occasione non si crea, la si riconosce: è dettata dalle circostanze, da congiunture favorevoli che mostrino delle crepe nelle fondamenta del sistema egemonico.

Illustrazione 4: estratto da "L'invenzione del quotidiano", M. De Certeau

Ulisse, l’uomo dal multiforme ingegno, è un eroe della mètis; nell’episodio di Polifemo ad esempio, Ulisse e suoi compagni si ritrovano nella grotta del terribile ciclope, senza possibilità d’uscita poichè la porta è bloccata da un immenso masso; l’eroe omerico però escogita un complesso piano di fuga, basato sull’inganno e sull’astuzia: dopo aver offuscato i sensi di Polifemo offrendogli del vino in dono, gli si presenta con il nome di Nessuno, per poi accecarlo con un bastone ardente. Alle grida di Polifemo, i ciclopi suoi fratelli domanderanno chi gli ha fatto del male e la famosissima risposta sarà “Nessuno”. Ma l’astuzia di Ulisse non si ferma qui, e quando il mattino seguente Polifemo sposterà il masso dall’apertura della grotta per far uscire il suo gregge, Ulisse e i suoi compagni conquisteranno la fuga nascondendosi sotto le pecore, così che le mani del ciclope non abbiano da tastare che il vello delle pecore.Le gesta di Ulisse mostrano molto bene il potere della mètis, di quelle azioni particolari e camaleontiche che, cogliendo il kairos, riescono a sfruttare le potenzialità del contesto per contrastare un potere troppo forte per esser affrontato direttamente.

2.4 Conclusioni

De Certeau parla quindi di micro-resistenze, forme di riappropriazione dello spazio attraverso un uso non previsto (e spesso non desiderato) di quegli stessi sistemi simbolici, rappresentazioni e norme create dal sistema egemonico per controllare e gestire l’azione degli individui: attraverso delle tattiche contrapposte a delle strategie, è possibile muoversi tra le maglie del potere, reinventando luoghi e significati.

"È qui che si manifesta probabilmente l’opacità della cultura popolare – la roccia nera che si oppone all’assimilazione (…) Mille modi di fare o disfare il gioco dell’altro, ovvero lo spazio istituito da altri, caratterizzano l’attività, sottile, tenace, resistente, di gruppi che, non avendo un luogo proprio, devono districarsi in una rete di forze e di rappresentazioni stabilite.” (De Certeau, 2001)

La polemologia di De Certeau, l’idea del conflitto come terreno fertile per la creazione di nuovi significati, e la creazione stessa - la reinvenzione - come base dell’esistenza umana, si ritrovano nel pensiero di De Certeau anche in scritti più politici; nell’opera “La prise de parole”, l’autore commenta i fatti del 1968, l’occupazione della Sorbona (l’Università di Parigi), scrivendo: “Le manifestazioni hanno creato una rete di simboli appropriandosi dei segni di una società per invertirne il senso.” (De Certeau, 2007)Le tattiche del più debole son ciò che consente il cambiamento, l’evoluzione della società, sono il fermento delle azioni di tutti coloro che non potendo semplicemente allontanare le strutture del potere, non possono tuttavia accettarle.

“Vi è un fatto che è più importante delle rivendicazioni o della contestazione stessa, che non facevano che esprimerlo nei termini pre-evento: un fatto positivo, uno stile d’esperienza. Un’esperienza creatrice, cioè poetica. «Il poeta ha schiodato la parola», annunciava un volantino alla Sorbona. (…) (Ciò) apriva a ciascuno discussioni che oltrepassavano, al contempo, la barriera degli specialismi e quella degli ambienti sociali, e che trasformavano gli spettatori in attori, il faccia a faccia in dialogo, l’informazione o l’apprendimento di ‘conoscenze’ in discussioni appassionate su opzioni che rigurdavano direttamente l’esistenza. Questa esperienza è accaduta. È inafferrabile.” (ibid.)

Ciò che è cruciale, nel pensiero di De Certeau, è il passaggio “da spettatori in attori”, vale a dire da individui passivi che non possono che assimilare la struttura, interiorizzarla nell’habitus e esplicitarla nell’hexis, a soggetti agenti (con diversi gradi di consapevolezza) capaci di riappropriarsi del linguaggio della struttura stessa e, talvolta, di cambiarla radicalmente.

“Oggi (3 maggio 1968) è la parola ad essere stata liberata. In tal modo si afferma, feroce, irreprimibile, un nuovo diritto, venuto a coincidere con il diritto di essere uomo e non più un cliente destinato al consumo o uno strumento utile all’organizzazione anonima della società” (ibid.)

3. Il caso studio della Stazione Centrale di Milano

3.1 Il “nuovo volto” della Stazione CentraleLa stazione di Milano Centrale è la principale stazione ferroviaria del capoluogo lombardo, la seconda d'Italia per flusso di passeggeri dopo Roma Termini e prima di Torino Porta Nuova, nonché una delle principali stazioni ferroviarie d'Europa.Fu inaugurata nel 1931 per sostituire la vecchia stazione centrale che sorgeva in piazza della Repubblica, divenuta insufficiente a causa dell'aumento del traffico ferroviario.La struttura che è protagonista del lavoro etnografico "confini dentro la città" è, con pochissime modifiche a livello architettonico, quella pensata e costruita durante gli anni del fascismo.

La riqualificazione della stazione, avvenuta nel 2010 da parte dell'azienda Grandi Stazioni (controllata al 60% dalle Ferrovie dello Stato FS e per il restante 40% da Eurostazioni Spa) ha portato alla creazione di uno spazio/luogo di ritrovo e consumo, con il rinnovamento di intere aree, adibite prevalentemente al commercio e alla vendita al dettaglio (bar, ristoranti, negozi). 4

3.2 Commodificazione e commercializzazioneLa stazione che si presenta oggi ai 320mila utenti giornalieri, è completamente diversa da quella pensata e realizzata durante il fascismo. A cambiare non è stato tanto l’aspetto esterno (anche se le modifiche a livello viabilistico e urbanistico delle zone antistanti sono evidenti anche all’occhio meno accorto) quanto gli spazi interni e la loro destinazione d’uso.La stazione ferroviaria copre una posizione ambigua nella dicotomia spazi iper-regolati e spazi sotto-regolati : ciò sostanzialmente perche da una parte sono poli di scambio e di servizio, fungendo da luogo strategico che necessita di una precisa organizzazione e regolazione dei flussi e delle comunicazioni; dall'altro lato, i quartieri urbani intorno alle stazioni sono generalmente percepiti come aree insicure e di scarsa vivibilità, che si connotano come luoghi porosi, dove subculture differenti dal mainstream (quali

4 www.grandistazioni.it

migranti e gruppi marginali) possono trovare un contesto favorevole all'espressione di socialità e all'interazione sociale (Mazzette 2013).La grande rinascita (come la definiscono i fautori del progetto) si inserisce nel più ampio progetto di riqualificazione di strutture, infrastrutture e intere aree urbane di Milano in vista di EXPO 2015. I progettisti hanno bene in mente l’idea secondo cui la stazione è centro nevralgico della città, vetrina e spazio espositivo su cui si posa il primo sguardo del viaggiatore e del turista. é in quest’ottica che Stazione centrale si trasforma in un immenso spazio di consumo: utile non solo per chi viaggia, ma soprattutto per chi vive e abita le grandi città italiane. in breve, i consumatori. Il suo stesso brand la descrive molto più come luogo del consumo che come spazio di transito:“ 30 mila mq sono dedicati allo shopping e alla ristorazione, per un totale di oltre 80 punti vendita distribuiti su quattro livelli, aperti 7 giorni su 7 dalle 8 alle 22, con un assortimento completo che va dagli alimentari agli articoli per la casa, dai ristoranti all’abbigliamento, dai libri ai prodotti di telefonia ed elettronica ai servizi come banche, ufficio postale, autonoleggi, informazione e promozione turistica, ufficio cambi e farmacia.”5

Stazione centrale è luogo di transito strategicamente adibito al consumo, omologato (per ottemperare alla logica secondo cui la medesima collocazione degli stessi negozi e catene nelle diverse stazioni renderebbe più facile l’orientamento ai suoi utilizzatori) e vetrinizzato secondo i canoni del “bello e ordinato”. La stazione, infatti, non deve essere piacevole e controllata solo perchè luogo di transito ma soprattutto perchè luogo di consumo, “cattedrale del mondo moderno” in cui non c’è spazio nè per il pericolo nè per la paura (Amendola 2006).Se la ragione primaria di frequentazione del luogo diventa il consumo, hanno gioco facile tutte quelle dinamiche (tipiche degli shopping malls) che legittimano la privatizzazione degli spazi, il controllo mediante dispositivi tecnologici, l’allontanamento e l’esclusione degli “inadeguati”. (Mazzette 2013)La stazione, ascrivibile a spazio liminale, di confine, di transito è sempre stata uno dei campi di sperimentazione di politiche di sicurezza (in virtù della presenza massiccia di popolazioni marginali) (Navarini,Colombo 1999). La sua modernizzazione, “rinascita” come luogo di consumo, la rende ancor più interessante nell'analisi degli spazi ambigui della progettazione moderna, dove le forme di sorveglianza assumono rilevanza sempre maggiore.La riqualifica inoltre, fa si che Stazione Centrale assuma alcuni tratti salienti del cosiddetto Third space, uno spazio liminale in cui pubblico e privato si sovrappongono e si confondono (Soja 1996, Mazzette 2013). Ritorna così, prepotentemente, l’importanza degli “usi concreti” che gli utenti fanno della stazione, spazio aperto a forme più o meno piccole di resistenza.

5 www.milanocentrale.it

3.3 Sorveglianza e controllo

3.3.1 Panoramica sugli spaziRispetto alla stazione pre-ristrutturazione la nuova Stazione Centrale guadagna un ampio spazio pedonalizzato (la Galleria delle Carrozze), i taxi vengono portati all’esterno, la biglietteria viene spostata al pianterreno liberando nuovi spazi commerciali al piano treni. É possibile entrare in stazione da tre lati, piazza IV novembre, piazza Luigi di Savoia e dalla piazza antistante Duca d’Aosta. Ad oggi l’entrata principale è stata privata della scala mobile che permetteva agli utenti di raggiungere direttamente il piano treni, al suo posto, le due entrate laterali offrono una serie di scale mobili che creano una sorta di passaggio obbligato davanti ai maggiori store della stazione6.Abbiamo mostrato come Stazione Centrale abbia assunto i tratti tipici del centro commerciale, non solo nell’evidente organizzazione dello spazio ma anche negli intenti dei pianificatori (§ 3.2).In che modo si possono esercitare queste politiche di regolazione?7

3.3.2 Tecnologie della sicurezzaNel solo atrio immediatamente adiacente a piazza IV Novembre, uno spazio di circa 400mq, contiamo 11 telecamere; supponendo una copertura pressoché totale si stimano più di un migliaio di dispositivi, senza contare quelli posti all’ingresso e all’interno dei negozi privati. Sembrano quasi inesistenti degli spazi interni all’edificio stazione non coperti da telecamere: le immagini convogliano nelle stanze che si trovano al piano treni, occupate dalla Polfer, di fronte al binario 20.

3.3.3 Privatizzazione della sicurezzaLa “questione sicurezza” nella Stazione Centrale del 2013 è radicalmente diversa da quella descritta nel 1998 (Navarini e Colombo); oltre al già citato processo di privatizzazione degli spazi e commodificazione8, non può non essere preso in considerazione l’evento cardine nel nuovo secolo, l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 che ha costruito (e costruisce) l’immaginario e la percezione della sicurezza. Fortunatamente, Stazione Centrale gode oggi della

6 www.stazionecentrale.it

7 Classificazione proposta da Mazzette, 2013

8 Il termine “commodificazione” si riferisce all’assegnazione di un valore economico ad ambiti precedentemente considerati estranei alle logiche di mercato, ambiti quali, la cultura, la natura, la scienza.

protezione di una miriade di vigilantes privati: oltre alle guardie della Rete ferroviaria italiana (che si occupano di “protezione aziendale”), non c’è un negozio che non abbia la sua guardia, anche gli stand che svolgono attività di promoting possono contare sulla presenza di figure in divisa.É proprio la divisa, infatti, a dare l’immagine della stazione sicura; per quanto la prestanza fisica dei guardiani non possa essere messa in discussione, ad essi non è concesso l’utilizzo della forza fisica per poter allontanare o estromettere eventuali devianti: l’ostentazione della divisa, la similarità con le forze dell’ordine sono gli unici deterrenti.

3.3.4 Spazi con accesso regolamentatoGli spazi con accesso regolamentato saltano immediatamente all’occhio anche del visitatore più distratto. Non esistono bagni pubblici gratuiti: dei tornelli, sorvegliati da addetti alla pulizia, chiudono l’accesso a ogni bagno della stazione. Quelli situati all’interno dei negozi di ristorazione necessitano di uno scontrino che certifichi l’avvenuta consumazione.Non esiste una sala d’attesa aperta al pubblico; il luogo adibito allo stazionamento è riservato ai clienti muniti di biglietto. Non è sufficiente, però, il biglietto per un qualsiasi treno: solo i clienti dei treni ad alta velocità Frecce passano il controllo all’ingresso.

3.3.5 Controllo “invisibile”Esistono diversi esempi di potere meno individuabile fisicamente. L’assenza di sedie o posti per sedersi (se si eccettuano i tavolini posti all’esterno di bar e caffetterie, ma non utilizzabili senza consumazione) è emblematica: la stazione deve rimanere luogo di transito, non c’è posto per stazionare se non per breve periodo; si ripropone l’idea secondo cui le popolazioni più stanziali (homeless, ambulanti,immigrati) devono essere estromesse ed espulse.All’esterno, dove si concentrano gli indesiderabili, il controllo è più rarefatto e meno eclatante. Le camionette della polizia, ben in vista, sono vuote per la maggior parte del giorno ma la loro funzione deterrente è innegabile: ambulanti e facchini abusivi si posizionano ben lontano.

3.4 Tattiche di resistenza

Per centrare l’analisi su uno spazio ampio e ricco di spunti abbiamo deciso di focalizzare l’attenzione su alcuni gruppi di attori che vivono la stazione classificandoli secondo il loro tipo di motilità (Osti 2006) e il grado di relazioni che hanno tra loro all’interno dello spazio stazione.

Gli spazi indefiniti accolgono l’ipotesi della deterritorializzazione (non luoghi, anonimato della città, società liquida): all’interno della stazione coloro che spe-rimentano questo sguardo sono gli

utenti semplici.Pendolari, turisti, studenti e business men, pur avendo un’alta motilità non creano relazioni forti nè tra di loro nè con gli altri utilizzatori della stazione.

Gli spazi della segregazione sono quelli in cui le relazioni si strutturano solamente tra appartenenti allo stesso gruppo sociale. Inseriti in questo spazio, si muovono homeless e migranti (con alcune importanti differenze): gli homeless, con un basso grado di motilità, creano tra di loro relazioni forti basate sul so-stengno reciproco e negoziano gli spazi con Polfer e vigilantes molto più facilmente; i migranti costituisco-no un gruppo a sè, le relazioni nell’ingroup sono forti ma manca una vera e propria apertura all’esterno che permetta loro di muoversi più liberamente all’interno della stazione(sono visti da tutti come soggetti “indesiderabili”).

Il paragrafo seguente descrive, facendo riferimento all’osservazione sul campo condotta, le tattiche delle popolazioni succitate con particolare riferimento a homeless e Polfer.

3.5 Stazione Centrale: il potere di controllo e le logiche di azione degli individui in uno spazio "pubblico"

Le modalità di controllo presenti nella Stazione passano attraverso la progettazione e l'architettura, i percorsi prestabiliti e le attese (spesso lunghe e vissute in maniera deteriorante per l'impossibilita di potersi sedere e riposare), i dispositivi di sorveglianza e l'ampia varietà di soggetti controllori posti al di fuori degli spazi di consumo, in aggiunta al pubblico servizio delle Forze Armate e della Polizia Ferroviaria.

La progressiva diversificazione dei motivi alla base degli spostamenti, ha portato questo spazio, da sempre definito pubblico, a convertirsi in luogo di ritrovo e di consumo: si evince come l'accesso non sia più completamente libero, ma veicolato dalla selezione del "pubblico", che deve essere congruo alla rinnovata immagine che si propone.

Nonostante la natura pubblica della Stazione, questa é protetta da guardie che ne monitorano l'ingresso e soprattutto la permanenza delle persone nella Galleria delle Carrozze, accesso principale all'edificio della Stazione, e la zona di collegamento tra questi e gli ambienti della metropolitana (A.Mazzette, Pratiche sociali di città pubblica, 2013).

Guardie giurate e vigilantes allontanano i senzatetto dai viaggiatori, e ciò in primis per una questione di decoro e di disturbo nei confronti di questi ultimi, che non sarebbero poi attratti dalle attività di commercio presenti perchè i gruppi marginali ne danneggiano l'immagine. E’ interessante notare come, nonostante la grande quantità di controllori, ognuno sembri avere la propria "area di giurisdizione": le guardie private delle attività commerciali o delle agenzie private dedite alla sorveglianza intervengono per impedire a soggetti devianti la possibilità di sedersi o comunque l'assembramento di persone in un unico luogo, in quanto elemento definito di disturbo al controllo della Galleria, spazio dei flussi.

Qualsiasi altra attività che non concerne il mero allontanamento dei devianti nei pressi di negozi o attività affini, viene segnalata dai vigilantes o dalle guardie giurate direttamente a Grandi Stazioni, che detiene la gestione della Stazione e il suo uso commerciale.

I senzatetto allora, vengono confinati in aree non soggette a forme di controllo così rigido, perché ritenute poco visibili o non molto gradevoli, ovvero le piazze esterne: Piazza IV Novembre ne ha il primato. Il

controllo é quindi svolto in questo modo:

- l'interno e l'ingresso di Piazza Luigi di Savoia é la parte dove si concentrano le attività commerciali per coloro che hanno elevata capacita di spesa (businessmen, turisti) e quindi il relativo rigido controllo nella selezione "all'ingresso";

- fuori, il "luogo dei respinti": attraversato per lo più da studenti, pendolari e abitanti (nelle ore diurne) e versante in una situazione di degrado e di incuria, causata dal poco controllo attribuitogli.

Altra componente di sorveglianza sono i dipendenti di RFI, rete ferroviaria italiana, adibiti a protezione aziendale. Il loro compito non é quello di prevenire infortuni o calamità, ma quello di difendere l'incolumità degli utenti da possibili minacce di terze persone, facendo sentire i city users, i turisti e in generale i passeggeri, al sicuro; contornando tutto ciò con l'adozione di una divisa blu, simile a quella usata dalle Forze dell'Ordine.

Oltre ai vigilantes e alle guardie giurate, presenti in grande quantità dentro la Stazione, sono due i diversi gruppi che si occupano della gestione e della costruzione dell'ordine: la Polizia Ferroviaria (Polfer), responsabile del controllo all'interno della Stazione; la Polizia di Stato, responsabile della sorveglianza degli spazi esterni (piazze).

Durante il giorno, prevale la logica dello "sguardo che osserva senza essere visto" : il poliziotto é in borghese e, comportandosi come un normale passeggero in mezzo alla folla, può, nel caso si accorga di essere in presenza di un atto deviante, uscire allo scoperto. Nelle ore serali/notturne prevale invece una logica di ostentazione del potere e della repressione: i poliziotti si identificano tramite una divisa, effettuano delle ronde presso l'atrio d'ingresso, il perimetro interno della stazione, e verificano i treni in sosta sui binari più lontani.

Se il reticolo della sorveglianza si precisa ed estende a tutto, é significativo cercare di capire come e con quali procedure, ogni giorno, questo controllo sia eluso attraverso la conformazione, ma solo per aggirarlo.

"La potenza é condizionata dalla sua visibilità. L'astuzia, al contrario, é consentita al debole spesso quale estrema risorsa: più le forze di cui la strategia dispone sono limitate, più l'impiego dell'astuzia divine ammissibile" (De Certeau, ivi).

Infatti, il rapporto tra Polizia e controllati é, soprattutto nel caso della popolazione straniera (diversamente da quello con gli homeless), un rapporto marcato da accordi taciti ed informali: quando effettuano le ronde soprattutto in ore notturne, non si spingono mai oltre il secondo o il terzo vagone dei treni fermi sul binario 21.

A detta di molti homeless questo é un comportamento influenzato soprattutto dalla paura nei confronti dell'atteggiamento brutale e aggressivo di molti stranieri, che non hanno nessuna intenzione di mediare o cercare di sottostare alle regole di controllo imposte nello spazio pubblico della stazione.

Solo il Reparto Celere, nel caso di estrema emergenza, regola i conflitti o l'uso improprio delle strutture dei treni. É emerso, dai racconti degli homeless, che il territorio della Stazione sia visto come una giungla, come un territorio selvaggio e privo di norme, dominato dalle leggi di tutti contro tutti: poliziotti - homeless, homeless - stranieri. La zona esterna della stazione diventa durante la notte il luogo della

"feccia", dei "rifiuti", dei mostri; figurazione estrema dell'orribile (Copet-Rougier, 1992), esempi di alterità radicale, di esseri non umani, a cui non si fa la guerra, bensì si dà la caccia (Dupont, 1992).

3.6 La stazione vista dalla prospettiva di coloro che devono rimanere “invisibili”

Siamo ormai in stazione a fare l’osservazione da un paio d’ore e il freddo ci entra ormai nelle ossa, sento il bisogno di andare in bagno per bisogni fisiologici e per accumulare qualche minuto di caldo; arrivo all’entrata ma noto con disappunto che per entrare nei bagni bisogna pagare ben un euro e io purtroppo non ho monete in tasca. Esco imprecando e vedo un ragazzo che prima mi aveva chiesto una sigaretta e sorridendo gli dico che ormai in questo mondo non si può neppure andare in bagno senza pagare.. Mi guarda e, probailmente perchè si ricorda della sigaretta che gli ho offerto poco prima, mi dice che lui può farmi entrare senza pagare perchè vive qui in stazione e conosce Torres colui che detiene il “controllo” dei bagni, negoziamo un entrata gratuita. Entro “tatticamente” nel bagno e ne esco due minuti dopo.

Mi metto a parlare con Stefano, il ragazzo che mi ha fatto entrare nei bagni , e Mario il suo “compare” entrambi homeless che vivono in stazione. Ecco qui quello che i metodologi chiamerebbero “accesso al campo”.

Iniziamo a parlare con i due ragazzi che abbaiamo appena conosciuto e scopriamo che Stefano è un nostro coetaneo ventiduenne mentre Mario ha trentotto anni; Stefano è senza dimora ormai da nove mesi, Mario ormai da anni, e sono in stazione centrale da tre mesi anche se alcune volte si spostano in

altre stazioni per dormire. Parlando gli chiediamo se dormono in stazione ma loro ci dicono che ormai all’interno della stazione è impossibile dormire e che l’unico posto dove gli permettono di farlo e nei treni del binario 20 fino a che alla mattina non lì fanno alzare quando il treno deve ripartire. La scelta del luogo è curiosa in quanto il binario 20 è esattamente quello di fronte alla stazione della Polizia Ferroviaria ; quando chiediamo delucidazioni sulla scelta del luogo ci dicono che gli unici treni dove gli permettono di dormire sono quelli che stazionano a quel binario in quanto, come dice Foucault, “bisogna poter rendere visibili tutti i pazienti ed ogni paziente, tutti i delinquenti ed ogni delinquente” insomma il deviante deve essere visibile a coloro che controllano. Notiamo qui come la polizia ferroviaria negozi con i senza tetto un luogo dove farli dormire e decida di farli posizionare nel luogo dove è più possibile controllarli. E’ chiaro qui il riferimento al Panopticon Foucaultiano. Durante il discorso capiamo attraverso le loro parole che ci sono dei soggetti, quasi dei “nemici comuni” sia a loro che agli odiati (parere loro, non nostro) poliziotti, che vengono esclusi dalla negoziazione e si appropriano con la violenza degli spazi: gli stranieri del binario 21. I ragazzi ci raccontano che al binario 21 neanche la polizia ordinaria, che ha poco personale ed manca di attrezzature adeguate, può entrare perchè lì ci sono “gli arabi coi coltelli e le armi” e che “solo la celere accede quando scoppiano scontri tra bande rivali”. Dalle loro parole traspare una visione stereotipica dello straniero visto come il “cattivo” che ha “portato via il lavoro” e che lì ha costretti a vivere nella loro condizione attuale rubando le professioni nelle quali ormai “assumono solo gli stranieri levando la possibilità di lavorare a noi italiani”.

Continuando nell’”intervista”, che avviene nelle rare panchine di fianco alla stazione della Polfer, chiediamo come mai durante il giorno stiano proprio lì di fianco ai poliziotti ma riceviamo solamente delle risposte confuse in merito, cosa che ci fa intuire che probabilmente la motivazione va trovata altrove. Foucault sostiene che il potere “entra all’interno dei corpi” che da soli si regolano su cosa è permesso e cosa invece non lo è, che le forme del potere diventano “auto-normative”; i ragazzi sembrano infatti aver interiorizzato il loro essere indesiderati nella parti maggiormente frequentate dagli utenti e le loro risposte confuse sul perchè stanno proprio lì durante il giorno sembrano far trasparire che abbaino assimilato questa regola psicologicamente imposta. La parte dedita al consumo della stazione vuole dei cittadini che siano “normali” in quanto è questo l’esercizio del biopotere, se gli “anormali” si autoescludono vuol dire che questo potere sta in qualche modo funzionando.

Quando gli chiediamo perchè non stanno nella parte con i negozi, nella zona “vetrinizzata” della stazione adibita al consumo, dove fa nettamente più caldo in quanto è più interna e meno esposta al vento, ci fanno capire che lì sono indesiderati e che se ci andassero verrebbero probabilmente allontanati dai responsabili della sicurezza dei vari negozi (Foucault ci bussa sulla spalla ci dice che uno dei meccanismi del potere è quello che fa si che gli individui siano sicuri che il violare una norma porta ad una repressione). Ci fanno capire inoltre che gli utenti che incontrano ai quali chiedono sigarette o qualche euro lì guardano spesso in maniera schifata come se fossero dei criminali. Mario ci racconta che l’altro giorno ha chiesto da una signora una sigaretta e che essa, guardandolo in maniera schifata, gli ha risposto in malo modo e si è messa a correre.. Lui le ha urlato “ Signora le ho chiesto una sigaretta, non le ho mica puntato un coltello al collo”. Capiamo che loro sono quella parte di che non deve essere vista perchè in una società in cui la richiesta di sicurezza è sempre crescente l’utente della stazione non deve avere contatti con i senza dimora, che creano insicurezza nel “cittadino comune”, a cui l’accesso alla parte della “stazione del consumo” a loro deve essere vietato in quanto non possono consumare e, inoltre, rovinano

l’immagine di una città che vuole forzatamente sembrare perfetta in vista del grande evento che dovrà ospitare. Il loro posto è quindi quello dove passa meno gente, a parte coloro che arrivano al binario 21 col treno, dove sono meno visibili in modo la maggior parte di coloro che arrivano a Milano Centrale con il treno possa uscire dalla stazione senza vederli facendo solo il passaggio, obbligato se si vuole accedere alla metropolitana, tra i negozi.

Chiediamo ad un certo punto a loro cosa ne pensano del fatto che la stazione è piena di telecamere; ridono e sembrano pensare che siamo degli ingenui studentelli e ci dicono subito che secondo loro le telecamere sono spente e che sono messe lì solo per spaventare la gente. Per dare adito alla loro tesi ci raccontano due mesi prima vicino al sottopassaggio centrale è stata violentata una ragazza cinese; sembrerebbe che la polizia interrogata dai giornalisti in merito all’identificazione del sospettato tramite le telecamere abbia dichiarato che erano in quel momento rotte. Secondo loro questa è chiaramente una menzogna infatti dicono che le telecamere sono tutte spente e che dichiarando questo la polizia non farà altro che attrarre altra criminalità in quanto “tutti verranno qui a stuprare e rubare ora che sanno dai giornali che le telecamere sono rotte”. Non possiamo verificare la veridicità delle ipotesi dei nostri interlocutori ma cogliamo al volo il loro “assist” in quanto queste affermazioni soffiano sul fuoco di una delle nostre ipotesi teoriche per la quale i “dispositivi di sicurezza” servono, più che per la loro funzione di controllo, come deterrente per l’azione, vietano all’individuo la violazione della regola in quanto egli sa di essere osservato. Come il carcerato non compie l’azione in quanto è sicuro di essere visto dai secondini, gli utenti della stazione immersi in un “panoptico virtuale”, e fomentati da una retorica che sancisce “ciò che è permesso” e “ciò che non lo è”, compiono comportamenti normalizzati e non vanno mai fuori dallo “schema strategico”.

I nostri interlocutori che vivono all’interno della stazione sembrano avere perciò delle informazioni maggiori dell’utente tradizionale, compiono diversi comportamenti “tattici”: riescono ad utilizzare i bagni nonostante dovrebbero pagare, dormono sui treni nonostante gli sia vietato e lo fanno aprendo le porte attraverso una leva che sta sotto all’entrata del vagono, “corrompono” i vigilanti e i poliziotti più “rigidi” che vorrebbero mandarli a dormire giù dai treni( e fuori dalla stazione) con le sigarette ecc. Compiono queste azioni sovversive di riappropriazione dei luoghi attraverso un uso che il potere, l’istuzione che ha la gestione della stazione, se pur essa attraverso il meccanismo del biopotere foucaultiano influenzi una parte anche abbastanza importante della loro vita, non permetterebbe, sono la “roccia nera che si oppone all’assimilazione” coloro che “non avendo un luogo proprio, devono districarsi in una rete di forze e di rappresentazioni stabilite”.

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