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1 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013 EMANUELA NALLI * Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti * * 1. Con l’opera Fondamenti romanistici del diritto europeo. Le obbligazioni e i contratti dalle radi- ci romane al Draft Common Frame of Reference, a cura di Giovanni Luchetti e Aldo Petrucci e con la collaborazione di Ivano Pontoriero, prosegue il lavoro di “dissodamento” in chiave storico-comparatistica, avviato con la pubblicazione nel 2006 del libro sui Principles of Euro- pean Contract Law, in vista di un sempre maggiore intento di armonizzazione e di affinamen- to del Progetto di un quadro comune di riferimento nel settore del diritto europeo dei con- tratti. Tale piano di lavoro per un diritto contrattuale comune è in continua evoluzione e passa attraverso l’elaborazione di diversi testi: ai Principles of European Contract Law della Commissione coordinata da Ole Lando e Hugh Beale hanno fatto seguito il Draft Common Frame of Reference predisposto dallo Study Group on a European Civil Code e dal Research Group on EC Private Law (Acquis Group) coordinato da Christian von Bar, Eric Clive e Hans Schulte-Nolke, ed il più recente Draft derivante dal Feasibility Study, pubblicato dalla Commissione europea nel maggio 2011, che è opera di un gruppo di esperti nominati dalla Commissione con l’apporto dei rappresentanti delle categorie dei soggetti destinatari delle disposizioni, principalmente rappresentative di consumatori e professionisti 1 . * Avvocato del Foro di Camerino. * * A proposito di Giovanni LUCHETTI e Aldo PETRUCCI con la collaborazione di Ivano PONTORIERO (a cura di), Fondamenti romanistici del diritto europeo. Le obbligazioni e i contratti dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, “Parerga historiae et iuris. Approfondimenti di storia del diritto, della cultura e della società” , Bologna, Pàtron, 2010, p. 370. 1 Il “Draft Common Frame of Reference” (DCFR) si è rivelato di notevole interesse accademico, ma poco adatto alle esigenze degli operatori. Il “Draft derivante dal Feasibility Study for a Future Instrument in Euro-

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1 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

EMANUELA NALLI∗

Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti∗∗

1. Con l’opera Fondamenti romanistici del diritto europeo. Le obbligazioni e i contratti dalle radi-

ci romane al Draft Common Frame of Reference, a cura di Giovanni Luchetti e Aldo Petrucci e

con la collaborazione di Ivano Pontoriero, prosegue il lavoro di “dissodamento” in chiave

storico-comparatistica, avviato con la pubblicazione nel 2006 del libro sui Principles of Euro-

pean Contract Law, in vista di un sempre maggiore intento di armonizzazione e di affinamen-

to del Progetto di un quadro comune di riferimento nel settore del diritto europeo dei con-

tratti.

Tale piano di lavoro per un diritto contrattuale comune è in continua evoluzione e

passa attraverso l’elaborazione di diversi testi: ai Principles of European Contract Law della

Commissione coordinata da Ole Lando e Hugh Beale hanno fatto seguito il Draft Common

Frame of Reference predisposto dallo Study Group on a European Civil Code e dal Research

Group on EC Private Law (Acquis Group) coordinato da Christian von Bar, Eric Clive e

Hans Schulte-Nolke, ed il più recente Draft derivante dal Feasibility Study, pubblicato dalla

Commissione europea nel maggio 2011, che è opera di un gruppo di esperti nominati dalla

Commissione con l’apporto dei rappresentanti delle categorie dei soggetti destinatari delle

disposizioni, principalmente rappresentative di consumatori e professionisti1.

∗ Avvocato del Foro di Camerino. ∗∗ A proposito di Giovanni LUCHETTI e Aldo PETRUCCI con la collaborazione di Ivano PONTORIERO (a cura di), Fondamenti romanistici del diritto europeo. Le obbligazioni e i contratti dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, “Parerga historiae et iuris. Approfondimenti di storia del diritto, della cultura e della società” , Bologna, Pàtron, 2010, p. 370. 1Il “Draft Common Frame of Reference” (DCFR) si è rivelato di notevole interesse accademico, ma poco adatto alle esigenze degli operatori. Il “Draft derivante dal Feasibility Study for a Future Instrument in Euro-

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2 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

Il volume si apre con una necessaria introduzione che, illustrando le origini, le ragio-

ni, la struttura ed il contenuto del Draft Common Frame of Reference ( = DCFR) prepara il pas-

so all’esame delle più importanti disposizioni ed istituti del DCFR per compiere un’opera di

confronto e di raccordo con le norme del diritto privato vigente nei vari paesi dell’UE, ap-

partenenti ai sistemi di Civil law e Common law, nonché di collegamento con le fonti ro-

mane e la loro elaborazione ed interpretazione nella scienza medievale, onde ricostruire

l’iter argomentativo ed interpretativo che dalle soluzioni offerte dai giureconsulti romani ha

condotto alle norme delle moderne codificazioni e al DCFR, valorizzando la tesi che assur-

ge il diritto romano a substrato delle moderne legislazioni e a fonte da cui attingere per la

predisposizione e l’elaborazione di un diritto contrattuale europeo uniforme.

Nella logica dei suoi redattori il Draft Common Frame of Reference è un testo accademico

volto a favorire la conoscenza del diritto privato europeo nei singoli ordinamenti nazionali,

anche in termini di formazione ed educazione giuridica, nonché a dimostrare che i diritti

privati nazionali siano manifestazioni regionali di una sovrastante eredità comune europea,

sostenendo il processo di unificazione attraverso l’elaborazione di regole e principi unifor-

mi.

Pur se i redattori del Draft tacciono sul punto, Luchetti e Petrucci identificano indub-

biamente tale eredità comune nello ius commune Europearum2 rappresentato dal complesso dei

pean Contract Law”, pubblicato nel maggio 2011, è pertanto il risultato di un primo confronto con gli “stake-holders” volto a divenire, nella versione definitiva, la base di un regolamento opzionale rivolto a consumatori e professionisti per la disciplina di operazioni economiche transnazionali. L’opera è tuttora in continua evolu-zione; oggetto di studio e modifiche al Convegno di Lovanio del 3 giugno 2011, è giunto alla sua terza versio-ne il 19 agosto dello stesso anno. Si tratta di un testo modulare cui potranno essere apportate ulteriori aggiun-te: ad oggi, si compone di una sezione sui principi generali in materia contrattuale, di una disciplina specifica in materia di vendita e servizi ad essa correlati, nonché di regole generali circa il risarcimento del danno, il ri-tardo nei pagamenti, le restituzioni, le prescrizioni e la tutela dei consumatori. Il Progetto, l’11 ottobre 2011, è sfociato in una proposta di regolamento, del Consiglio e del Parlamento Europeo, su un diritto comune euro-peo della vendita (Common European Sales Law) con l’obiettivo di facilitare il commercio intracomunitario, mettendo a disposizione degli operatori economici una normativa uniforme che le parti possano utilizzare per i contratti di vendita con le controparti di un altro paese dell'Unione. Si tratta di uno strumento opzionale - applicabile solo se scelto dalle parti e che quindi lascia sussistere le leggi nazionali in materia - che, secondo la Commissione, può favorire una maggiore integrazione dei mercati. Cfr. G. ALPA, Il diritto contrattuale comunita-rio: un cantiere aperto, in http://www.consiglionazionaleforense.it, -Naviga per temi -attività dei consiglieri- art. 6992; Sui lavori preparatori per l’unificazione giuridica nella UE nell’ambito del diritto civile cfr. R. KNUTEL, Dirit-to romano e unificazione del diritto delle obbligazioni, in “Roma e America. Diritto Romano Comune” Rivista di dirit-to dell’integrazione e unificazione del diritto in Europa e in America Latina”, 27/2009, Mucchi editore, p. 20 ss.; v. anche R. TORINO, La proposta di regolamento per un diritto comune europeo della vendita in “La cittadinanza eu-ropea”, anno IX, 2/2012, Franco Angeli Editore, Milano, pp.153-173. 2Cfr. R. KNUTEL, Diritto romano e unificazione del diritto delle obbligazioni, cit., pp. 17-20 e 23.

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principi e delle regole scaturenti dal diritto romano e dalla successiva tradizione romano-

canonica, perseguendo l’obiettivo di dimostrare, attraverso un’analisi accurata di singoli ar-

ticoli o di gruppi di articoli del DCFR, punti di contatto con la tradizione romanistica.

Persino nella struttura e nella sistematica accolta nel Progetto gli autori ravvisano cor-

rispondenze con alcune scelte sistematiche proprie della Codificazione di Giustiniano. Il

DCFR, infatti, può assimilarsi ad un codice che si pone in una via intermedia tra un codice

di principi e un codice di regole e la decisione di separare i “Principi” e le “Definizioni” dal

testo normativo, collocandoli rispettivamente, in apertura, in un’apposita sezione autonoma

che precede i dieci libri di regole-modello3, e in un Annesso allegato, sembra potersi ricolle-

gare sia al titolo di apertura delle Institutiones (1,1) e del Digesto (I.1), entrambi rubricati “De

iustitia et iure”, includenti alcuni principi fondanti dell’intera Compilazione4, sia alla scelta di

aggiungere alla fine del Digesto il titolo 50,16 “De verborum significatione”, ricomprendente le

definizioni e i concetti ricorrenti in tutto il Corpus normativo, nonché il titolo 50,17 “De

verbis regulis iuris antiqui”, contenente “regole” più generali sottostanti al complesso delle ma-

terie trattate5.

Sembra riflettere la sistematica accolta dalle Istituzioni di Giustiniano (3,13,2) e prima

ancora anche dalle Istituzioni di Gaio (3,88)6, nonché dalle moderne codificazioni europee,

la predisposizione in un apposito libro del DCFR (III) di una disciplina generale delle ob-

bligazioni, applicabile non solo a quelle nascenti dal contratto ma anche alle obbligazioni ex

lege (gestione di affari altrui -libro V- e arricchimento senza causa -libro VII-) e a quelle de-

rivanti da fatto illecito (libro VI), optando per una riaffermazione del modello romanistico -

3Per regole-modello s’intendono quelle regole che non hanno forza normativa, ma rappresentano un “soft law”, che funge da modello al legislatore comunitario e a quelli nazionali per uniformare e migliorare rispetti-vamente l’acquis e la normativa interna. 4Stante il concetto stesso di principium quale “inizio” ma anche come elemento collocato in una struttura quale suo fondamento, in D. 1,2,1(Gai 1 ad legem duod. tab.); sulla nozione stessa di.principia ed in particolare sulla di-cotomia principia iuris tantum e principia iuris et in iure vedi L. FERRAJOLI, Principia iuris. Teoria del diritto e della de-mocrazia, vol. I Teoria del diritto, Editori Laterza, Bari, 2007, pp. 26-32. 5La scelta sistematica è stata, in realtà, motivata, per i Principi, con l’ispirazione ai “Principes Directeurs” francesi del 2008 e per le Definizioni, con l’esempio dell’ “acquis communautaire”; è comunque innegabile il collegamento con la sistematica delle opere giustinianee. 6Gai, Institutiones, 3,88: ...omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto...; Iustiniani, Institutiones, 3, 13, 2: ...sequens divisio-obligationum- in quattuor species diducitur: aut enim ex contractu sunt aut quasi ex contractu aut ex maleficio aut quasi ex maleficio... Sul significato di obbligatio vedi. anche G. FALCONE, Obbligatio est iuris vinculum, Giappi-chelli Editore, Torino, 2003.

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o di Civil law- rispetto a quello di Common law, che esclude il c.d. torts law (la responsabilità

extracontrattuale) dal diritto delle obbligazioni.

2. Oltre l’introduzione, il libro è suddiviso in cinque capitoli e a loro volta in paragra-

fi, che prendono in esame singole norme del Draft e precisamente: Le disposizioni generali

(cap. I), con particolare riferimento alla Buona fede e correttezza (I.1) ed al Principio di ragionevo-

lezza (I.2); la Nozione di contratto ed autonomia contrattuale (cap. II) con approfondimento sulla

Definizione di contratto (II.1) e l’ Autonomia delle parti (II.2); la Formazione del contratto (cap. III),

con particolare riguardo alla Responsabilità precontrattuale: trattative e doveri di riservatezza (III.1),

ai Requisiti generali per la formazione del contratto (III.2) e al meccanismo Proposta e accettazione

(III.3) che ne è alla base; l’istituto della Rappresentanza (cap. IV) e le sue implicazioni: Potere

di rappresentanza. Rappresentante senza potere. Ratifica (IV.1), Rappresentanza apparente (IV.2), De-

legato del rappresentante (IV.3), Mancata identificazione del rappresentato (IV.4) e Conflitto d’interessi

(IV.5); nonché, da ultimo, l’Interpretazione (cap. V), distinguendo le Regole Generali (V.1) dalle

Altre regole ermeneutiche (V.2).

Ogni capitolo, dedicato ad un dato istituto contrattuale, si apre con le norme con-

template nel Draft Common Frame of Reference, seguite dai riferimenti normativi previsti

sull’argomento dalle moderne codificazioni vigenti nei principali paesi europei ed infine dal-

la rassegna delle fonti romanistiche, medioevali e moderne antecedenti alle medesime codi-

ficazioni.

Ciascun testo giuridico, riportato in lingua originale, è accompagnato per una mag-

giore comprensione da un’utile traduzione tra parentesi quadre; se ne riporta, poi, il com-

mento, sovvertendo l’ordine di esposizione: dal Draft si prosegue col diritto romano ed in-

termedio fino ad arrivare ad analizzare i fondamenti codicistici, dottrinari e giurisprudenzia-

li degli ordinamenti dei principali paesi europei.

3. Il primo argomento oggetto di esame in chiave storico-comparatistica concerne,

fra le “Disposizioni generali”(cap. I) la buona fede (I.1), avente un valore pervasivo

dell’intera opera.

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Gli autori movendo dall’analisi dei corrispondenti articoli del DCFR (I.-1:103, III.-

1:103 e III.-1:104) chiariscono il loro contenuto alla luce dei “Principi generali” allegati al

Progetto, ove ai numeri 23 e 24 si mette in luce come la sicurezza contrattuale di una parte

sia rafforzata dall’obbligo dell’altra di agire in accordo ai requisiti della buona fede e si dà

rilievo, quale aspetto centrale della buona fede stessa, al dovere di cooperazione tra le parti

contraenti al fine dell’adempimento dell’obbligazione. In forza del principio di giustizia, al

numero 42, al dovere di una condotta in buona fede corrisponde il divieto di fare affida-

mento su atteggiamenti illegali, disonesti e irragionevoli e si impone l’osservanza della buo-

na fede in tutte le fasi di vita di un contratto, dalla formazione all’esecuzione, ricollegando

alla violazione di un tale obbligo l’impedimento di avvalersi di diritti, rimedi ed eccezioni.

Le disposizioni sovrarichiamate assolvono diverse funzioni: mentre l’articolo I.-1:103

eleva la buona fede e la correttezza a clausola generale, quale principio cardine di tutte le

materie del Progetto, gli articoli III.-1:103 e III.-1:104 costituiscono applicazioni specifiche

della buona fede al settore delle obbligazioni.

Tali regole-modello si riferiscono certamente alla buona fede di tipo oggettivo7, e-

spressa dalla condotta leale dei contraenti, caratterizzata da onestà, chiarezza e considera-

zione degli interessi, e a sua volta violata dai loro atteggiamenti pregiudizievoli e contrastan-

ti agli interessi reciproci, nonché implicante l’osservanza dei doveri di collaborazione qualo-

ra necessario per l’adempimento dell’obbligazione.

Analizzando le fonti, alla ricerca di punti di contatto col diritto romano, gli a. sottoli-

neano come nel sistema contrattuale romano la buona fede soccorra in aiuto alle parti per

assolvere a tre importanti funzioni: per determinare le modalità di esecuzione del contratto

e salvaguardarne il carattere sinallagmatico8, per ricostruire in via interpretativa la reale in-

tenzione delle parti9 e per integrare il regolamento contrattuale delle stesse10.

Si procede, in seguito, all’esame di alcuni testi dei giuristi medievali e moderni appro-

dando alle norme delle codificazioni del XIX e XX secolo, pur mantenendo ferma la di-

7A tale proposito cfr. G.A. BENACCHIO, La buona fede nel diritto comunitario e F.D. BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, in L. GAROFALO (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e con-temporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese (Padova-Venezia-Treviso, 14-15-16 giugno 2001), Cedam, Padova 2003, pp. 189-201 e pp. 225-257. 8Cfr. D. 19,1,50 (Lab. 4 a Iav. epit.); Gai 4,61-63 e D. 16,3,31 (Tryph. 9 disp). 9Cfr. D. 19,1,11,1 (Ulp. 32 ad edictum ). 10Cfr. Gai 3,137.

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stinzione tra sistemi di Civil law e Common law. Sul punto, si rileva che in molti ordina-

menti di Civil law i concetti di buona fede e di equità11, richiamati nel testo di Trifonino,

siano stati spesso sovrapposti a causa di un’interpretazione semplicistica di D. 16,3,3112,

condizionando la disciplina di alcune moderne codificazioni quali, dapprima, il Codice civi-

le francese (art. 1135), poi, quello italiano preunitario e successivamente quello del 1942

(art. 1374). Nel celebre passo di Trifonino, infatti, sebbene in apertura si formuli una frase

in apparenza di carattere generale, per cui la buona fede racchiude in sé l’equità e va osser-

vata in tutti i contratti, dagli esempi riportati di seguito emerge, piuttosto che il riferimento

va inteso solo per i contratti dai quali sorge un’azione di buona fede (iudicium bonae fidei). Il

rapporto tra buona fede ed equità viene successivamente precisato nel senso che occorre

distinguere tra buona fede, che opera quale criterio di valutazione della condotta delle sole

parti contrattuali, ed equità, quale fonte dalla quale trarre la norma più consona agli interes-

si di tutte le parti coinvolte nell’affare

Diversamente negli ordinamenti di Common Law, in Inghilterra ed in Irlanda, pur

non essendo stato ancora riconosciuto in via generale il principio della buona fede si nota

un’apertura giurisprudenziale in tal senso, atteso che, in un numero crescente di sentenze, le

Corti di questi paesi analizzano sotto il profilo della buona fede il comportamento delle

parti sia nella fase delle trattative che in quella della conclusione del contratto.

Alla stregua della buona fede, anche la ragionevolezza, quale parametro di valutazio-

ne a carattere generale applicabile a tutti i settori del Progetto, viene collocata tra le disposi-

zioni generali del libro I (art. I.-1:104) e richiamata sia nei “Principi” che nelle “Definizio-

ni”. Il suo accertamento deve svolgersi su un piano oggettivo e deve tener conto della natu-

ra, dello scopo dell’atto da compiere, delle concrete circostanze del caso, degli usi e delle

pratiche rilevanti.

Si evidenzia come nel diritto romano ed intermedio la ragionevolezza rileva princi-

palmente come criterio interpretativo. Il termine rationabilis viene, difatti, più volte citato

11V. L. SOLIDORO MARUOTTI, Aequitas e ius scriptum. Profili storici, in Annali della Facoltà Giuridica nuova serie Università degli Studi di Camerino, 1/2012, Camerino, 2012, p. 207 ss. 12D. 16,3,31 (Tryph. 9 disp): ...Bona fides que in contractibus exigitur aequitatem summam desiderat: sed etiam utrum aestimamus ad merumius gentium an vero cum praeceptis civilibus et praetoriis? ... 1. Incurrit hic et alia inspection. Bonam fidem inter eos tantum <inter>quos contractum est, nullo extrinsecus adsumpto aestimare debemus, an respect etiam aliarum personaru, ad quas id quod geritur pertinent? …et probo hanc esse iustitiam, queae suum cuique…tribuit. ...

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nelle fonti con riferimento all’opinione del giurista Celso su un problema di competenza

territoriale, all’interpretazione di una disposizione testamentaria in tema di tutela e al con-

corso tra azioni penali per uno stesso illecito13. Pomponio14ricorre alla forma comparativa

rationabilius per interpretare nel modo più adeguato e sulla base delle circostanze concrete il

contenuto di un contratto stricti iuris, una stipulatio conclusa con la pronuncia di determinate

parole da uno schiavo in comunione.

Se nelle codificazioni di Civil law si rinvengono meri riferimenti alla ragionevolezza,

soprattutto a seguito della ricezione delle Direttive comunitarie sulla tutela del consumato-

re15 essa assume un ruolo centrale nel Common law inglese, tenuto conto del suo frequente

richiamo da parte della Court of Equity per ovviare alle situazioni “irragionevoli” derivanti

dalla rigida applicazione della tecnica del precedente “stare decisis” e della sua positivizza-

zione nella legislazione speciale in materia di protezione del consumatore, come avviene

nell’ Unfair Contract Terms Act del 1977, che ha introdotto, a discapito della teoria con-

trattuale classica incentrata sulla libertà negoziale ed interdicente ogni controllo giudiziale,

un controllo di ragionevolezza delle Corti nei contratti per adesione.

4. Quanto alla “Nozione di contratto ed autonomia contrattuale”(cap. II), il DCFR

riporta per la prima volta in ambito europeo la definizione di contratto16(art. II.-1:101), qua-

le accordo bilaterale o multilaterale funzionalmente diretto a far sorgere obbligazioni ovve-

ro a produrre altri effetti giuridici, quali la modifica o l’estinzione di un rapporto obbligato-

rio o effetti reali17.

Illuminante l’excursus storico circa il sistema contrattuale dal diritto romano alle mo-

derne codificazioni. Dalle fonti giuridiche romane si ricava la nozione più antica di contrat-

13Cfr. nell’ordine: D. 5,1,2,3 (Ulp. 2 ad ed.), D. 50,16,122 (Pomp. 8 ad Quint Muc.) e D. 44,7,34 pr. (Paul. l. sing. de cuncurr. action.). 14Cfr. D. 45,3,37 (Pomp. 3 ad Quint. Muc). 15Cfr. artt. 1386-4 del Codice civile francese sulla responsabilità da prodotti difettosi, l’art. 1519-ter del Codice civile italiano, ora trasfuso nell’art. 129 del Codice del consumo (d.lgs. 206/2005) e §313 del BGB. 16I redattori dei PECL, all’opposto, avevano preferito omettere una definizione espressa di contratto. 17Art. II.-1:101(1) (Meaning of “contract” and “juridical act”): “A contract is an agreement which is intended to give rise to a binding legal relationship or to have some other legal effect. It is a bilateral o multilateral juridi-cal act.”.

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to a noi pervenuta, fornita da Labeone18 e collocata tra la tarda repubblica e il primo secolo

del principato, che individua l’elemento centrale del contratto nella bilateralità delle obbli-

gazioni che sorgono reciprocamente a carico delle parti (c.d. sinallagma) e che si discosta

dall’orientamento di Sesto Pedio, poi condiviso da Ulpiano19, che, all'opposto, fissa nella

conventio il requisito essenziale per l’esistenza di un contratto, anche quando per il suo perfe-

zionamento sarebbero necessari ulteriori requisiti, come la consegna di una cosa nei con-

tratti reali o l’uso di certe parole in quelli verbali.

Pur nella diversità di posizioni, è indubbia l’identificazione del contratto quale fonte

di obbligazioni: se Labeone ritiene che da un contratto (sinallagmatico) possano derivare

unicamente obbligazioni corrispettive, Gaio20, movendo da Pedio, in un passo delle sue I-

stituzioni riconosce quali fonti di obbligazioni, oltre il contratto, anche il delitto, indivi-

duando quattro categorie di contratti tipici: i contratti reali, verbali, letterali e consensuali,

ove solo in questi ultimi è necessario e sufficiente per il loro perfezionamento il mero in-

contro di volontà.

Ed è ancora dalla concezione di Pedio, espressa da Ulpiano, che si partirà per aprire

alla libertà contrattuale e accordare riconoscimento ai contratti innominati sulla base della

sussistenza di una conventio e di una causa.

Il sistema contrattuale romano, infatti, ancorato per lungo tempo alla tipicità della sti-

pulatio, conosce una prima apertura verso la libertà contrattuale con la protezione da parte

del pretore dei pacta conventa e con l’introduzione dei contratti innominati a partire da Ari-

stone.

Ma solo con Giustiniano la stipulatio viene a perdere il carattere formale, pur mante-

nendo l’ampiezza di contenuto, e i contratti innominati vengono inquadrati in un apposita

categoria; permane tuttavia la distinzione tra contratto e nudo patto malgrado

l’attenuazione tra le due figure che si rinviene nella definizione di contratto fornita da Teo-

18Cfr. D. 50,16,19 (Ulp. 11 ad ed.): ...Labeo libro primo praetoris urbani definit quod quaedam “agantur”, quaedam “gerantur”, quaedam “contrahantur “… contractum autem ultro citroque obligationem, quod Graeci συνάλλαγµα vocant, veluti emptionem venditionem, locationem conductionem, societatem... . Sul punto vedi F. MERCOGLIANO, Fundamenta, seconda edizione, Satura editrice, Napoli, 2012, pp. 256 ss. 19Cfr. D. 2,14,1,3 (Ulp. 4 ad ed.); prima ancora dell’adesione alla posizione di Sesto Pedio da parte di Ulpiano, nei primi decenni del III secolo, nelle Istituzioni di Gaio (3, 91) si mette in luce come tale tesi fosse quella prevalente già poco dopo la metà del II sec.. 20Cfr. Gai. 3,88-89.

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filo21, per il quale, la convenzione è il consenso di due o più persone al fine di costituire fra

loro un vincolo obbligatorio da cui sorgerà responsabilità, se inadempiuto.

La separazione, sotto il profilo degli effetti, tra contractus e pactum22 riemerge con forza

nel XII secolo ad opera dei Glossatori, che pur recependo la nozione di contratto propria

del diritto giustinianeo, contrappongono i nuda pacta ai pacta vestita, questi ultimi i soli ad ac-

quisire il carattere di contratto e la conseguente efficacia di far nascere rapporti obbligatori.

Il sistema dei vestimenta medioevali domina il sistema contrattuale medioevale fino a tutto il

XVI secolo tanto che, per evitare l’eccezione in sede processuale “non intervenit stipulatio sed

pactum nudum fuit”, si adottava per la stipula di un contratto la forma scritta con l’aggiunta di

una clausola stipulatoria o una forma solenne.

Già a partire dal XIII secolo, nel diritto canonico e mercantile, stante la necessità di

tutelare la buona fede dei contraenti e l’aequitas, si osserva il superamento della differenzia-

zione quanto agli effetti tra contratto e patto in quanto “etiam ex nudo pacto oritur actio” ma, è

nel XVII secolo, grazie alla diffusione delle teorie giusnaturalistiche, che la scienza giuridica

europea accoglie e applica concretamente ad ogni tipo di contratto il principio secondo il

quale “solus consensus obligat23”.

Sebbene l’influenza delle teorie giusnaturalistiche si rifletta anche in Inghilterra, Bla-

ckstone nei suoi Commentari sul diritto inglese, sul finire del XVIII secolo, pur conside-

rando il contratto come un accordo o convenzione per fare o non fare qualcosa, giudica

necessaria pure la sussistenza di una sufficiente “consideration”, riproponendo la distinzio-

ne tra contratto -che ne è provvisto- e nudo patto. Nel XVIII secolo la traduzione delle

opere di Domat, Pothier, Grozio e Pufendorf favorisce la penetrazione nel Common Law

di larga parte delle disciplina del contratto di matrice continentale, comprese le teorie con-

sensualistiche.

In ordine all’autonomia contrattuale, il DCFR, all’art. II.-1:102, quale unico limite alla

libertà di determinare il contenuto del contratto, impone il rispetto delle norme imperative,

21Cfr. Institutionum Iustiniani Teoph., Paraph. 3,13,2 8 (trad. ed. Ferrini): ...Contractus autem est duorum vel plurium in idem conventio atque consensus, ut obligation constituatur et alter alteri obnoxious efficiatur... 22Tale distinzione non rilevava per il diritto canonico, secondo il quale anche dai nudi patti potevano sorgere obbligazioni. 23Emblema della teoria consensualistica, in Francia, è la definizione di conventio fornita da Domat e Pothier, quest’ultima ripresa nell’art. 1101 del Codice napoleonico; in Germania e in Olanda rilevano le teorie di Pu-fendorf e Christian Wolf che partendo da Grozio influenzano il pensiero di Savigny.

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EMANUELA NALLI

10 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

superando quelli della buona fede e correttezza, che erano in aggiunta già previsti nei

PECL.

Il II comma del medesimo articolo II.-1:102 chiarisce, altresì, il significato

dell’autonomia contrattuale alla luce della disciplina generale del Progetto, individuandola

nella possibilità di non applicare tale normativa sia riguardo ai contratti che ai diritti da essi

nascenti, di modificarne o derogarne gli effetti, salvo un esplicito divieto, pur non esclu-

dendo la rinuncia da parte di un contraente di un diritto già sorto dal contratto di cui era a

conoscenza. Sempre nel rispetto del limite delle norme imperative, si ammette espressa-

mente la possibilità di stipulare contratti misti, ricadenti cioè nella disciplina di due o più fi-

gure tipiche di contratto o regolati in parte da clausole proprie di un determinato tipo e in

parte dalle norme previste per il contratto in generale, salvo che ciò contrasti con la natura

o lo scopo del medesimo contratto misto, che sia diversamente stabilito, ovvero dalla rego-

lamentazione prevalga palesemente la corrispondenza ad un determinato tipo, tale da ren-

dere irragionevole la sua non inclusione in esso.

5. Strettamente connesso alla definizione di contratto quale conventio, è quanto previ-

sto per la sua formazione e circa i suoi requisiti (“Formazione del contratto”-cap. III-, “Re-

quisiti generali per la formazione del contratto”- III.2)-.

Dall’esame dell’art. II.-4:101 del DCFR gli elementi richiesti in ordine alla conclusio-

ne del contratto sembrano essere tre: l’intenzione di dar vita ad un vincolo obbligatorio o

ad un altro effetto giuridico, la manifestazione della volontà e il raggiungimento di un ac-

cordo sufficiente.

Stante le difformità di fondo sul punto delle due concezioni che sono alla base delle

moderne codificazioni europee, come quella, da un lato, seguita dai Codici civili francese e

italiano, che elenca espressamente i requisiti essenziali del contratto, e quella, prediletta dal

Codice civile tedesco, che invece. sceglie di desumerli dalla disciplina generale del negozio

giuridico, i redattori del Draft preferiscono non prendere posizione, escludendo dai requisiti

del contratto quelli più discussi (causa, “consideration”, forma, consegna di una cosa …).

Sull’argomento, movendo dal diritto romano, gli a. ricordano, anzitutto, la suddivi-

sione dei contratti tipici nelle quattro categorie di contratti reali, verbali, letterali e consen-

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Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti

11 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

suali, ove rilevano quali elementi essenziali: la consegna di una res, la pronuncia di determi-

nate parole, la forma scritta ed il consenso; per i contratti innominati, invece, si richiede an-

che il requisito della causa. Tali elementi saranno ripresi dalla scienza medioevale del XII

secolo che, soffermandosi sulla causa, la eleva a requisito essenziale per la qualificazione di

un accordo, non come nudum pactum ma, come pactum vestitum e, dunque, quale contratto.

Per la scienza giuridica europea illuminante è il passo di Ulpiano [Ulp. 4, ad edictum in D.

2,14,7,2]24, che riprendendo la teoria di Aristone, qualifica contratto una conventio innomina-

ta qualora sussista una causa fatta consistere nell’esecuzione di una controprestazione25.

6. Sempre nell’ambito della formazione del contratto, particolare rilievo assumono

nel Progetto gli articoli dedicati alla responsabilità precontrattuale (“Responsabilità precon-

trattuale: trattative e doveri di riservatezza”- III.1-), la quale, oltre ad essere regolamentata a

livello generale (art. II.–3:301 e 3:302), trova concreta applicazione anche nell’ambito della

contrattazione standardizzata, ove centrale è la tutela del consumatore, essendo il miglio-

ramento e l’armonizzazione dell’acquis esistente in tale settore una delle principali finalità

del DCFR.

Quanto alla disciplina generale, pur riconoscendo la libertà di ciascuno di entrare in

trattative per la conclusione di un contratto, oltre a sanzionare il comportamento di chi ini-

zi trattative inutili, viene censurata la mala fides superveniens di chi continui a trattare dopo a-

ver deciso di non voler concludere un contratto e di chi interrompa ingiustificatamente le

trattative nonostante l’affidamento ingenerato nella controparte.

Un’applicazione del canone della buona fede e correttezza è insito, altresì, nella nor-

ma a tutela del segreto delle informazioni confidenziali apprese durante la fase prenegozia-

le: l’inosservanza di un tale dovere genera responsabilità per tutte le perdite causate all’altra

parte.

24Cfr. D. 2,14,7,2 (Ulp. 4 ad edictum). 25Oggi tale interpretazione è discussa. Nella scienza giuridica successiva la nozione di causa è ampiamente di-battuta a cominciare da Accursio, che la individua nell’esecuzione di una prestazione da parte di un contraen-te. Sul tema della causa nei contratti vedi M. BRUTTI, Vittorio Scialoja, Emilio Betti due visioni del diritto civile, Giappichelli editore, Torino, 2013, pp.163-175. Circa la nozione di contratto e di causa nella tradizione giuri-dica europea cfr. T. DALLA MASSARA, Il contratto nella prospettiva storico-comparatistica, in “Index” 40/2012, Jovene Editore, Napoli, 2012, pp. 750-772.

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12 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

Circa il quantum del danno risarcibile, gli a. sottolineano come, mediante la disposi-

zione di cui all’art II.–3:501, nella quale si dichiarano applicabili in riferimento alla violazio-

ne dei doveri di comportamento precontrattuali le norme contenute nel libro III in tema di

risarcimento dei danni per inadempimento, i redattori del Draft abbiano ampliato la tutela

risarcitoria precontrattuale, non limitandola al solo interesse negativo, ma rendendo possi-

bile un ristoro integrale.

Pur se nel diritto romano non è dato rinvenire una categoria generale di responsabili-

tà prenegoziale, un dovere precontrattuale di informazione si rinviene nella responsabilità

oggettiva che l’editto degli edili curuli fa conseguire in capo ai venditori per i vizi occulti

degli schiavi o degli animali venduti nei mercati o per la mancanza delle qualità promesse26.

Inoltre, per quel che concerne la fase delle trattative negoziali, a Roma, le condotte

menzognere o reticenti idonee a produrre un inganno sulla determinazione della volontà

della controparte, vengono sanzionate con i rimedi di natura extra contrattuale dell’actio doli

e della corrispondente exceptio, nonché, per i negozi assistiti da iudicia bonae fidei, con il rico-

noscimento dell’actio contrattuale27. A conferma di quest’ultima ipotesi si cita un frammento

delle Institutiones di Giustiniano28, ove, dalla compravendita di luoghi extra commercium o di

uomini liberi creduti schiavi si fa discendere l’actio contrattuale diretta a risarcire l’interesse a

non essere tratto in inganno circa l’effettiva conclusione del negozio.

Ed è proprio movendo dall’analisi di tali fonti romane, con l’affermazione di

un’azione risarcitoria di natura contrattuale anche nelle ipotesi in cui il contratto non può

ritenersi valido, che Jhering nel XIX sec. procede alla creazione della categoria dogmatica

della culpa in contrahendo.

Secondo la tesi dell’illustre giurista tedesco, nel corso delle trattative si creerebbe un

particolare rapporto giuridico, che imporrebbe a ciascuna parte un obbligo di diligenza, con

la conseguenza che, in caso di inosservanza, chi abbia per sua colpa concluso un contratto

invalido, debba risarcire all’altro contraente i danni derivatigli per aver confidato nella vali-

dità del contratto stesso.

26Cfr. D. 21,1,1,1 (Ulp. 1 ad aed. cur.). 27Cfr. D. 11,7,8,1 (Ulp. 25 ad ed.); D. 19,1,13,5 (Ulp. 32 ad ed.); D. 18,1,62,1 (Mod. 5 reg.). 28Cfr. Inst. 3,23,5.

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Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti

13 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

La teoria di Jhering della culpa in contrahendo, dapprima accolta nella giurisprudenza

tedesca e austriaca, trova formale riconoscimento nel BGB, solo nel 2001, in forza della

legge di modernizzazione del diritto tedesco delle obbligazioni. Anche nell’ordinamento o-

landese, come in Germania, si ritiene che le trattative diano luogo ad una relazione giuridica

protetta dalla legge, tuttavia la responsabilità per la rottura ingiustificata delle trattative non

è prevista da una specifica norma, bensì si fa discendere dalla violazione del principio della

buona fede. Altra differenza rispetto la Germania e l’Austria concerne il quantum dei danni

risarcibili: se nell’ordinamento tedesco e austriaco si tende a limitare il risarcimento al solo

interesse negativo, il sistema olandese, qualora la negoziazione preliminare sia in uno stadio

avanzato tale da ingenerare una legittima aspettativa alla conclusione dell’accordo nella con-

troparte, ammette il ristoro anche dell’interesse positivo.

In Italia, il Codice civile dedica alla responsabilità precontrattuale le norme di cui agli

art. 1337 e 1338, ove, la prima, impone alle parti contraenti l’obbligo di comportarsi secon-

do buona fede (oggettiva) sin dal momento in cui hanno inizio le trattative, e la seconda,

chiamando in causa la buona fede soggettiva, costituisce una specificazione della prima

prevedendo il diritto al risarcimento del danno subito da chi abbia confidato incolpevol-

mente sulla validità di un contratto, qualora la controparte conosceva o avrebbe dovuto

conoscere l’invalidità. Pur nella diversità di opinioni riscontrate in dottrina circa la natura

della responsabilità precontrattuale, la giurisprudenza dominante, in Italia, tende ad inqua-

drarla nella responsabilità extracontrattuale. Un orientamento simile trova riscontro

nell’ordinamento francese, ove la rottura colpevole delle trattative trova sanzione nella

clausola generale della responsabilità aquiliana, uniformando il risarcimento dei danni ai cri-

teri per essa previsti.

Il Common law, invece, pur non possedendo una categoria generale della responsabi-

lità precontrattuale e non imponendo alle parti l’obbligo di condurre le trattative secondo

buona fede, accorda tutela alla riservatezza delle informazioni ricevute e, in particolari ipo-

tesi, ricollega una responsabilità a determinati comportamenti prenegoziali.

7. Nella sezione del Draft dedicata alla disciplina sulla formazione del contratto non

poteva, inoltre, mancare il riferimento allo schema tradizionale proposta-accettazione

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14 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

(“Proposta e accettazione”-III.3-), largamente diffuso in tutti gli ordinamenti dei paesi eu-

ropei e già adottato nei progetti di armonizzazione precedenti (PECL, Principi Unidroit e

Convenzione di Vienna sulla Vendita Internazionale di Merci), nonché un’apposita norma-

tiva dedicata alla conclusione del contratto fra persone distanti, dove la conoscibilità della

manifestazione di volontà si fa di regola coincidere con l’effettiva conoscenza della mede-

sima.

In particolare, l’art. II.-4:201 chiarisce che un’offerta integra gli estremi di una propo-

sta contrattuale in senso tecnico solo se sufficientemente determinata nel contenuto, nel

senso di includere quanto meno gli elementi essenziali del contratto che è preordinata a

concludere. La proposta, inoltre, può qualificarsi recettizia o meno a seconda che sia rivolta

ad un soggetto determinato o al pubblico. Rientra nell’ambito di quest’ultima, quale pre-

sunzione relativa di proposta di vendita o di fornitura del servizio fino ad esaurimento,

l’offerta ad un prezzo determinato di beni o servizi fatta da un professionista mediante

pubblicità o con l’esposizione in cataloghi. Ai sensi degli artt. II.-4:204 e 4:-205

l’accettazione dell’oblato può essere esplicita o tacita, cioè per facta concludentia, ove soccor-

rono le norme sull’interpretazione del contratto29.

Per quanto concerne la contrattazione inter absentes ed in particolare l’individuazione

del momento di conclusione del contratto, il DCFR aderisce alla c.d. teoria delle ricezione,

per la quale il contratto è concluso quando l’accettazione giunge all’indirizzo del proponen-

te, a prescindere dalla sua effettiva conoscenza: fino a quel momento l’accettazione non è

vincolante. L’unica eccezione a questo principio si rinviene qualora il tenore letterale della

proposta, le pratiche commerciali o gli usi prevedano che l’accettazione possa avvenire

tramite esecuzione e senza avviso al proponente: in tal caso il contratto si perfeziona con

l’inizio dell’esecuzione.

Il Progetto accoglie, viceversa, la teoria della spedizione per quanto concerne la revo-

ca della proposta, posto che essa si realizza quando la revoca perviene al destinatario prima

che quest’ultimo abbia spedito la sua accettazione ovvero, nelle ipotesi particolari, prima

29In generale non viene attribuito alcun significato al silenzio e al comportamento meramente passivo, mentre accordi quadro e pratiche commerciali tra le parti possono integrare un’accettazione tacita della proposta. Sul-la rilevanza giuridica del silenzio v. L. SOLIDORO, Gli obblighi di informazione a carico del venditore. Origini storiche e prospettive attuali, Satura editrice, Napoli, 2007, pp. 9-37.

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Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti

15 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

che la comunicazione dell’avvenuto comportamento giunga al destinatario o prima

dell’esecuzione del contratto stesso. La revoca della proposta è tuttavia inefficace: se la

stessa era irrevocabile, se è stato fissato un termine per l’accettazione e questo non è scadu-

to, nonché nel caso in cui si sia ingenerato in capo all’oblato un legittimo affidamento circa

l’irrevocabilità della proposta, salvo il caso in cui l’accettazione contempli il diritto di reces-

so del proponente. D’altro lato, l’accettazione, per essere efficace, deve giungere al propo-

nente prima del termine da egli fissato per il consenso o comunque entro un termine ragio-

nevole; un’accettazione tardiva produce i suoi effetti solo se, senza ingiustificato ritardo, il

proponente informi l’oblato che essa è ritenuta efficace. Pur mancando nel Draft la previ-

sione della revoca dell’accettazione30, l’art. II.-4:208 considera la risposta dell’oblato che al-

teri sostanzialmente le clausole della proposta come rifiuto della stessa, configurandosi co-

me nuova proposta.

Circa l’individuazione del momento perfezionativo del contratto nelle fonti di diritto

romano, si mette in luce come i quattro contratti consensuali (compravendita, locazione,

società e mandato)31, che prescindono per il loro perfezionamento da qualsiasi formalità ol-

tre il consenso, siano gli unici che possono essere conclusi tra persone distanti mediante let-

tera o messaggero32 distinguendosi dalla stipulatio, la quale, invece, deve necessariamente in-

tercorrere tra presenti, stante la imprescindibile esigenza di un’esatta corrispondenza tra il

tenore della domanda -interrogatio- e il contenuto della risposta -responsio-33.

Dall’esame del passo di Ulpiano (D. 2,14,1,1-2)34, secondo il quale il nudo patto si ri-

solve nell’accordo o consenso di due o più persone su una stessa cosa, e del frammento di

Paolo (D. 2,14,2)35, il quale, citando Labeone, asserisce che si può convenire anche con un

comportamento e tra assenti per lettera o messaggero, gli a. -tenuto conto anche

dell’ampiezza di contenuto dei nudi patti- fanno derivare la generalizzazione delle regole

sulla formazione del consenso tra soggetti distanti.

30La revoca dell’accettazione è invece presente nella CVIM (Convenzione di Vienna sulla Vendita Internazio-nale di beni Mobili), che si realizza se l’accettazione perviene all’autore della offerta prima del momento in cui l’accettazione avrebbe avuto effetto o nello stesso momento. 31Cfr. Gai 3,135. 32Cfr. Gai 3,136. 33Cfr. Gai 3,102 e D. 45,1,1,3(Ulp. 48 ad Sab.). 34Cfr. D. 2,14,1,1-2 (Ulp. 4 ad ed.). 35Cfr. D. 2,14,2 (Paul. 3 ad ed.).

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Solo con la moderna nozione di contratto sviluppata dal giusnaturalismo ed il supe-

ramento della distinzione tra patto e contratto si ha un’effettiva generalizzazione della di-

sciplina romana dei contratti consensuali e si deve a Grozio la prima elaborazione dello

schema proposta-accettazione, in seguito perfezionata dalla pandettistica tedesca e poi tra-

sfusa nel BGB.

La dettagliata disciplina sulla conclusione del contratto mediante proposta e accetta-

zione, introdotta nell’ABGB austriaco e poi trasfusa nel BGB, viene diffusa inizialmente in

materia di contratti commerciali36 e poi presa a modello da gran parte delle successive codi-

ficazioni del XX secolo (così la disciplina svizzera sulle obbligazioni, il codice civile italiano,

portoghese e olandese) nonché dal diritto sovranazionale, come la Convenzione di Vienna

sulla vendita internazionale di beni mobili. Altri ordinamenti, come quelli francese37 e spa-

gnolo, si sono limitati invece ad un generico riferimento al perfezionamento dell’accordo,

deferendo alla giurisprudenza il compito di decidere quando esso possa dirsi raggiunto.

Perfino negli ordinamenti di Common law per la formazione del consenso -“agreement”- è

necessario che alla volontà di una parte, espressa in determinati modi, corrisponda la volon-

tà dell’altra e tale principio sembra valere anche per la contrattazione tra persone lontane

con l’utilizzo di strumenti idonei a consentire lo scambio immediato e contestuale di reci-

proche dichiarazioni di volontà.

Più complessa è invece la disciplina circa l’individuazione del momento perfezionati-

vo del contratto tra assenti quando non vi sia l’uso di mezzi di comunicazione che permet-

tono un confronto immediato. Pur nella varietà dei modelli astrattamente ipotizzabili, la

teoria maggiormente seguita, nonostante le differenze è quella della ricezione38, per la quale

il contratto è concluso nel momento in cui l’accettazione dell’oblato perviene al proponen-

te, che nel nostro ordinamento è espressa dalla presunzione di conoscenza di cui all’art.

1335 c.c., mitigata dal riconoscimento in capo al destinatario di fornire la prova contraria.

36Il modello bifasico proposta-accettazione viene dapprima richiamato con esclusivo riguardo alle trattative commerciali tra persone lontane nell’art. 36 del Codice di commercio italiano del 1882 e nell’art. 54 del Códi-go de Comercio Español del 1885. 37Recentemente anche in Francia, nel Progetto di riforma del diritto dei contratti del 2008, è stata inserita un’apposita sezione dedicata alla formazione del contratto per mezzo del meccanismo proposta-accettazione. 38Così AGB; BGB, NBW, Codice portoghese e Principi Unidroit.

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Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti

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Ugualmente nel Common law inglese, pur nella diversità degli orientamenti delle

Corti, il contratto si perfeziona con l’accettazione che diviene efficace nel momento in cui

perviene al preponente, il quale può vincere la presunzione di conoscenza provando di es-

sere stato impossibilitato senza sua colpa; nondimeno, se l’accettazione viene spedita me-

diante posta, sembra prevalere la teoria della spedizione, per la quale il momento perfezio-

nativo coincide con quello in cui la lettera è stata inviata.

8. Altro importante complesso di norme inserito nel DCFR e analizzato a fondo da-

gli a. è quello in tema di rappresentanza (“Rappresentanza”-cap. IV-) che, pur apparendo in

linea coi PECL e i Principi Unidroit quanto all’intento di regolare la sola rappresentanza

volontaria39, non regolamenta i rapporti interni tra rappresentante e rappresentato, bensì

unicamente le relazioni esterne costruite sugli atti di rappresentanza tra rappresentato e ter-

zi e tra costoro e il rappresentante.

Alla base dell’istituto della rappresentanza si dà rilievo alla procura -“authority”-, che

ne costituisce il fondamento, e al suo contenuto, quale manifestazione di volontà del rap-

presentato di conferire ad un soggetto -“the rappresentative”- i poteri di rappresentarlo nei

confronti di terzi e di stabilire i limiti di tale potere. Allo scopo di evitare disposizioni trop-

po minuziose sui poteri del rappresentante, sul modello della Convenzione di Ginevra del

1983 sulla rappresentanza nelle vendite internazionali di beni mobili e dei Principi Unidroit,

all’art. II.-6:103, si chiarisce che la procura può essere espressa o implicita e che essa ri-

comprende tutti gli atti accessori diretti alla realizzazione degli scopi per cui viene conferita

la rappresentanza.

Una novità rispetto ai PECL è la trattazione unitaria, nell’ambito della normativa ge-

nerale del Capitolo VI, delle due diverse forme di rappresentanza, diretta (art II.-6:105), ove

la spendita del nome del rappresentato vincola quest’ultimo verso la controparte senza cre-

are rapporti giuridici tra rappresentante e terzo evitando una responsabilità in proprio del

rappresentante, e indiretta (art. II.-6:106), nella quale, invece, gli effetti dell’atto giuridico

compiuto dal rappresentante, che agisce in nome proprio, si producono direttamente sulla

39Risultando la disciplina inapplicabile per la rappresentanza fondata sulla legge o su un provvedimento del giudice o di una pubblica autorità.

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18 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

sua sfera giuridica impedendo il sorgere di una relazione giuridica diretta tra rappresentato e

terzo.

Seguono le disposizioni sulle questioni connesse all’attività del rappresentante sforni-

to di poteri o posta in essere col superamento dei limiti della procura: in entrambi i casi

consegue l’inefficacia dell’atto compiuto rispetto alla sfera giuridica del preteso rappresenta-

to e l’inesistenza di un rapporto giuridico tra il falsus procurator e il terzo, salvo l’obbligo del

risarcimento del danno. Qualora non sia intervenuta la ratifica del rappresentato, i redattori

del DCFR hanno posto a carico del falsus procurator l’obbligo di risarcire i danni subiti dal

terzo, codificando il principio del risarcimento dei danni ai terzi inconsapevoli della carenza

dei poteri del rappresentante, al fine di tutelare la loro buona fede. L’art. II.-6:111 ricono-

sce, infatti, al preteso rappresentato, quando ne abbia interesse, il potere di ratificare

l’operato del falsus procurator per godere così degli effetti degli atti dallo stesso compiuti, ov-

viando agli eccessi del contenuto della procura o alla sua totale mancanza. Intervenuta la

ratifica, gli atti compiuti dal falsus procurator sono in grado di vincolare ex tunc rappresentato

e terzo, pur salvando gli eventuali diritti altrui maturati dalla situazione di falsa rappresen-

tanza. Allo scopo di porre fine ad uno stato di incertezza giuridica, inoltre, il Draft contem-

pla la possibilità per la controparte consapevole dell’assenza dei poteri in capo al rappresen-

tante di fissare un termine ragionevole, mediante avviso al rappresentato, entro il quale rati-

ficare l’operato del falsus procurator; nei casi dubbi la soluzione è quella di chiedere delucida-

zioni al rappresentato.

Nel diritto romano non si rinviene un concetto tecnico ed unitario di rappresentanza,

anche se nelle fonti si colgono soluzioni concernenti casi di sostituzione negoziale che di

certo hanno influenzato la formazione del moderno istituto: i giuristi romani non discipli-

narono mai la rappresentanza in via generale e astratta, ma, nell’età del principato, ne svi-

lupparono molti aspetti, tanto da spingere molti studiosi recenti a rivalutarne il loro contri-

buto40.

40Sulla rappresentanza nel diritto romano v. M. MICELI, Studi sulla rappresentanza nel diritto romano, vol. I, Giuf-fré Editore, Milano, 2008 e G. COPPOLA BISAZZA, Dallo iussum domini alla contemplatio domini. Contributo allo studio della storia della rappresentanza, Giuffré Editore, Milano, 2008.

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Sulla base delle fonti a noi pervenute, una prima forma di “rappresentanza organica”

risale probabilmente al più antico ius civile, ove vigeva il principio espresso da Gaio41 (2, 95)

“per extraneam personam nobis adquiri non posse”, che rinvia chiaramente alla famiglia patriarcale,

ove il pater familias, esclusivo titolare del patrimonio familiare, svolgeva personalmente le

proprie attività negoziali ovvero si avvaleva, come strumenti per le stesse, dei propri servi o

fili in potestate, entrambi privi di capacità patrimoniale. Tuttavia, con riferimento alla capacità

di agire dei sottoposti, la rappresentanza operava in modo imperfetto: se in tema di acquisti

(commoda) gli effetti si producevano direttamente sul patrimonio dell’avente potestà, sul lato

passivo, i debiti e i pesi (incommoda) non si trasmettevano al pater42. L’unica deroga a tale si-

stema fu introdotta, fin dalle XII tavole, per il tutore e il curatore dell’infermo di mente (il

curator furiosi) in quanto tali rappresentanti legali avevano il potere di acquisire e trasmettere

il possesso con effetti diretti in capo ai propri amministrati. Con il passaggio ad un econo-

mia di tipo mercantile, a partire dalla fine del III sec a. C., per rispondere alle necessità del

commercio, il sistema della rappresentanza nella gestione di patrimoni ed affari diviene più

articolato, accordando al contempo maggiore tutela a coloro che contrattavano con perso-

ne in potestate. In questo mutato contesto emergono nuovi istituti riconducibili alla rappre-

sentanza: la figura del procurator; il contratto consensuale di mandatum, l’attività imprendito-

riale gestita da un rappresentante dell’imprenditore (magister navis e institor) e le attività nego-

ziali poste in essere da soggetti a potestà, situazioni queste due ultime, che giustificano la

creazione delle c.d. actiones adiecticiae qualitatis.

Accanto al procuratore con mandato si vengono, poi, distinguendo due figure che

per diverso tempo si confondono: il gestore spontaneo di affari altrui (negotiorum gestor) e il

falsus procurator, con accezione negativa, per identificare colui che simula di essere un procu-

ratore pur non avendone ricevuto i poteri o perché eccede quelli conferitogli.

Circa gli atti compiuti dal falsus procurator, gli a., citando alcuni frammenti di Ulpiano,

si soffermano sulla ratifica da parte dell’interessato e sui suoi effetti, essendo certa la re-

sponsabilità dell’agente. In D. 46,8,12,1 (Ulp. 80 ad ed) egli definisce la ratifica come il rico-

41Gai 2,95. 42A tal proposito, sia pure limitatamente alla stipulatio, rileva D. 45,1,38,17 (Ulp. 49 ad Sab.), secondo il quale non si può acquistare mediante tale contratto un credito ad un’altra persona, a meno che lo stipulante sia uno schiavo o un filius in potestà, in quanto i rapporti obbligatori verbis vanno contratti personalmente.

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20 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

noscimento dell’attività del falsus procurator ad opera del dominus negotii, il quale accetta che gli

effetti vengano ad incidere sulla propria sfera giuridica; in D. 46,3,12,4 (Ulp. 30 ad Sab.) e-

quipara la ratifica ad un mandato (rati habitio mandato comparatur), facendone conseguire la

liberazione del debitore che abbia pagato a un procurator non verus del creditore. Ne conse-

gue, il dovere del mandatario di osservare con diligenza i limiti del mandato, ponendosi in

essere, in caso contrario, un aliud pro alio, come oggetto della sua prestazione, e di conse-

guenza una sua responsabilità per inadempimento43.

La pluralità delle figure di rappresentanti permane nel diritto giustinianeo, sebbene

evidenti siano gli sforzi di semplificazione e di razionalizzazione sistematica operata dai

compilatori, cui si deve la distinzione tra procuratori, la cui attività si ricollega sempre ad un

mandato, e gestori di affari altrui, che invece agiscono al di fuori di un incarico contrattuale.

I compilatori contribuiscono, altresì, alla piena affermazione generalizzata della possibilità

di acquistare direttamente per extraneam personam il possesso e la proprietà di ogni cosa me-

diante traditio e ad essi si ricollega la tendenza ad estendere tale possibilità anche a taluni

rapporti obbligatori sia dal lato attivo che passivo, con l’inserimento nel Corpus di testi di

giuristi classici che lo ammettevano.

Con i princìpi "potest quis per alium quod potest facere per se ipsum" e "qui facit per alium est

perinde ac si faciat per se ipsum", pure il diritto canonico ha alimentato il pieno riconoscimento

dell’idea di rappresentanza. Le posizioni della normativa canonista si trasmettono, poi, nel

diritto comune, i cui doctores comprendono a pieno l’importanza della possibilità di conclu-

dere contratti anche in nome e per conto di altri, superando il principio delle Istituzioni di

Giustiniano, cui erano rimasti ancorati i Glossatori, ed elaborando una prima nozione uni-

taria di rappresentanza.

Le correnti giusnaturalistiche costituiscono un’ulteriore spinta verso la costruzione di

una categoria generale e unitaria di rappresentanza. Pothier ne sintetizza i concetti, che

sembrano trovare fondamento nella tradizione giuridica anteriore; diretta conseguenza so-

no le codificazioni del XIX sec., ove la rappresentanza viene trattata nell’ambito del con-

tratto di mandato con un evidente richiamo alla tradizione già delineata dal diritto romano e

medioevale e consolidata dalle correnti giusnaturalistiche. Un esempio si rinviene nel codice

43 Cfr. D. 17,1,5, pr.-1 8 (Paul. 32 ad ed.).

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Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti

21 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

napoleonico, ove la procura ed il mandato si identificano così da essere considerati un con-

tratto informale che può concludersi anche per lettera, oralmente e in modo tacito. Nel

Progetto francese di riforma del diritto dei contratti del 2008, invece, la rappresentanza vie-

ne scissa dal mandato riservandole un apposito capitolo ove ne vengono sviluppati i suoi

vari aspetti. Il codice civile spagnolo e quello austriaco riproducono quasi fedelmente il co-

dice francese, ove non si ravvisa una separazione sistematica fra i rapporti interni tra man-

datario e mandante e rapporti esterni tra mandante e terzo; diversamente nel BGB tedesco

le norme sulla rappresentanza regolano il rapporto tra il rappresentato e il terzo, mentre la

relazione tra rappresentato e rappresentante viene disciplinata nell’ambito del mandato, col-

locato fra i contratti tipici. Sistematiche simili al BGB tedesco si rinvengono nel codice civi-

le portoghese, olandese e italiano.

Il Codice italiano, in particolare, non slega del tutto la rappresentanza dal mandato,

distinguendo al suo interno tra mandato con rappresentanza, ove valgono le regole dettate

per quest’ultima e mandato senza rappresentanza, ove il mandatario agisce in nome proprio

senza creare rapporti giuridici tra mandante e terzi, salvo che per i diritti di credito risultanti

dall’esecuzione dell’incarico44. Peculiarità del Codice italiano riguardano la forma della pro-

cura e della ratifica, che non è libera ma vincolata a quella da osservare nel contratto da

concludere a mezzo di rappresentante, e la responsabilità del falso procuratore, che viene

configurata quale responsabilità precontrattuale45, accordando ai terzi il risarcimento dei

danni per lesione del loro affidamento sulla validità del contratto.

Diversamente, nel sistema di Common Law, pur non essendo mai stato elaborato un

concetto generale di rappresentanza, dall’ “equity” è sorta la figura dell’ “agency”46 per indi-

care la relazione che si instaura tra un “principal” e un “agent” in virtù di un contratto in

forza del quale si conferisce un’ “authority” al secondo. Allo scopo non è necessaria la

spendita del nome e la conoscenza da parte del terzo dei poteri di rappresentanza, essendo

44Riproponendo la distinzione fra atti di ordinaria amministrazione e quelli che la eccedono. 45Diversamente, nel diritto francese, ove il mandatario agisca esulando dai propri limiti, senza aver sufficien-temente informato il terzo contraente, sorgerà a suo carico una responsabilità per danni che la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie francesi qualificano come extracontrattuale, avendo il falsus procurator violato oltre i doveri di buona fede e correttezza anche il generale divieto del neminem laedere, avendo taciuto al terzo una causa di invalidità del negozio. 46Cui si riconducono anche quelle figure fondate su vari tipi di mandato commerciale come il preposto e l’agente di commercio.

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EMANUELA NALLI

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sufficiente, affinché l’agente produca effetti diretti nella sfera giuridica del “principal”, che

l’attività si svolga nell’interesse altrui. Se l’ “agent” manchi di tali poteri si realizza una situa-

zione simile a quella del falsus procurator : dagli atti dell’ “agent” non sorge alcun vincolo fra

il “principal” ed il terzo, salvo la ratifica del primo che opera retroattivamente. In mancanza

di una siffatta ratifica sorge, invece, una responsabilità a carico dell’ “agent”, che lo obbliga

ad eseguire la prestazione nei confronti del terzo oppure a risarcirlo dei danni derivanti

dall’inadempimento.

9. Da ultimo gli autori affrontano il tema dell’interpretazione (“Interpretazione”-Cap.

V-).

E’ qui evidente come il DCFR riprenda la sistematica dei PECL dettando, tra le di-

sposizioni generali del libro I, le linee guida per l’interpretazione di tutte le regole-modello

contenute negli altri nove libri del Progetto, concentrando, poi, nell’ottavo capitolo del li-

bro II alcune norme specificatamente dedicate all’interpretazione del contratto.

Secondo i redattori del Progetto l’articolo I.-1:102, stante la sua collocazione sistema-

tica fra le “Disposizioni generali”, ha natura programmatica avendo lo scopo di indicare a

legislatori, giudici, arbitri ed interpreti una serie di criteri guida fondamentali

all’interpretazione e la scelta di isolare una specifica disciplina dedicata al contratto trova la

sua ragione d’essere nell’esigenza di comprendere a pieno le disposizioni contrattuali al fine

di stabilirne la validità o il corretto adempimento delle obbligazioni delle parti.

In via generale, si impone un’interpretazione coerente agli scopi del Draft, ma che de-

ve svilupparsi in modo autonomo e alla luce dei principi sottostanti, anche per colmare le

lacune di alcuni settori del Progetto: si vuole promuovere la buona fede e la correttezza, la

certezza del diritto e l’uniformità di interpretazione e si prescrive, quale criterio ermeneuti-

co principale, la lettura delle norme alla luce della tutela dei diritti umani, delle libertà fon-

damentali e dei principi costituzionali, quali valori fondanti dell’Unione europea.47

Per quel che concerne l’interpretazione del contratto, il DCFR, al primo comma

dell’art. II.-8.101, elegge a criterio ermeneutico principale la comune intenzione delle parti

al momento della conclusione dello stesso, che prevale rispetto al significato letterale delle

47Sul punto cfr. F. MERCOGLIANO, Fundamenta, cit., pp. 59-83.

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Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti

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espressioni usate dai contraenti. Il secondo comma del medesimo articolo chiarisce, quale

corollario al primo, che la ricerca della comune volontà opera anche quando, al momento

della conclusione del contratto, una parte abbia inteso dare ad una clausola o espressione

del medesimo regolamento d’interessi un determinato significato e l’altra non poteva ragio-

nevolmente esserne a conoscenza. La norma enunciata al terzo comma, che impone

un’interpretazione del contratto secondo il significato che vi darebbe una persona ragione-

vole, svolge, infine, una funzione suppletiva essendo destinata ad operare quando non sia

possibile accertare la comune intenzione delle parti ai sensi dei due commi precedenti, ov-

vero quando la questione interpretativa sorga con un soggetto, che pur non essendo parte

del contratto, abbia ragionevolmente e in buona fede fatto affidamento sul suo significato

apparente. Al fine di ricostruire l’interpretazione di una persona ragionevole, o comunque

la comune intenzione delle parti -ove ciò non sia altrimenti decifrabile-, soccorrono una se-

rie di elementi esterni elencati nell’art. II.- 8.102, alcuni dei quali soggettivi, altri oggettivi48.

Quanto al diritto romano, principi generali sull’interpretazione del contratto si rin-

vengono già nel pensiero dei giuristi classici e successivamente nelle decisioni delle Cancel-

lerie imperiali. Ci si riferisce, più propriamente, quali criteri ermeneutici principali traman-

dateci dalle fonti, alla bona fides, alla aequitas e alla humanitas.

In particolare, in relazione alla buona fede, gli a. citano il passo di Giuliano49, ripro-

dotto quasi alla lettera da Gaio, ove il richiamo alla buona fede in funzione interpretativa

impone che ciascuno debba percepire per sé quanto acquistato ex re sua e, pertanto, anche

in caso di acquisto posto in essere dallo schiavo in comproprietà con i mezzi patrimoniali di

uno solo dei condomini. Emerge, dunque, come il riferimento alla buona fede esuli da ogni

eventuale ricerca sull’effettiva volontà delle parti contrattuali o sull’eventuale valutazione

dell’adempimento delle obbligazioni.

48Parametri soggettivi: il comportamento dei contraenti nella fase delle trattative (lett. a) e successivamente alla conclusione del contratto (lett. b); l’interpretazione usuale che essi sono soliti dare alle clausole e alle e-spressioni già impiegate nei loro rapporti (lett. c). Criteri oggettivi: le circostanze sulla base delle quali il con-tratto è concluso (ancora lett. a); la natura e lo scopo del contratto (lett. e); il significato e l’interpretazione normalmente attribuiti a quel tipo di clausole negli specifici settori di attività (lett. d); gli usi (lett. f) e, infine, la buona fede e correttezza (lett. g). La norma si conclude con il richiamo dei criteri di cui alle lettere a), b) e c) per enucleare l’interpretazione che un terzo, che non ne sia parte, ma che vi abbia fatto affidamento, potrebbe dare al contratto. 49Cfr. D. 10,3,24 pr. (Iul. 8 dig.) (= Gai 7 ad ed. prov. in D. 41,1,45).

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Una costituzione degli imperatori Settimio Severo e Caracalla50, riporta, invece,

l’aequitas in chiave ermeneutica per orientare la scelta tra due tipi di tutela giudiziaria allor-

ché alcuni schiavi abbiano dato mandato di comprare fondi con il denaro del padrone, a

sua insaputa, e i mandatari vi abbiano dato esecuzione. Non essendo ragionevole perseguire

un crimine e, nel contempo, chiedere l’adempimento di un contratto in buona fede, la can-

celleria imperiale offre al padrone la scelta tra l’azione di furto, da un lato, e l’azione con-

trattuale di mandato dall’altro: l’aequitas in collegamento alla bona fides ravvisa, pertanto,

nell’interpretazione dell’assetto degli interessi discendente dal mandato la soluzione più

consona.

Anche Trifonino51, analizzando due particolari situazioni afferenti al contratto di de-

posito, riferisce del collegamento tra buona fede ed equità, ove la prima viene utilizzata in

senso strumentale ed interpretativo per far entrare in gioco la seconda, così da offrire alle

fattispecie un trattamento adeguato alla luce dei valori correnti del comune sentire sociale.

Riguardo all’humanitas52, quale principio proprio del diritto romano che in ambito

contrattuale risulta funzionale a fondare soluzioni conformi alla ragionevolezza e al bilan-

ciamento degli interessi in gioco, ne viene evidenziata la facile sovrapposizione con i criteri

dell’aequitas e della ratio nell’orientare le scelte interpretative, così da renderne difficile la di-

stinzione.

Ulpiano [in D.18,3,4,1]53 riferendo un parere espresso da Nerazio, in occasione di una

vendita risolta per non aver il compratore pagato, dopo un anticipo sul prezzo, la parte ri-

manente, offre un primo esempio di richiamo all’humanitas asserendo che il venditore a-

vrebbe dovuto restituire l’acconto ed il compratore sarebbe stato obbligato a rendere i frut-

ti, ma se le parti avessero convenuto che il venditore fosse esonerato dalla restituzione

dell’anticipo al compratore la soluzione più “ umana”, e dunque rispondente all’assetto de-

gli interessi voluto dalle parti, sarebbe stata quella di esonerare il compratore dall’obbligo

dei frutti. Il criterio dell’humanitas si rinviene, altresì, in un celebre rescritto di Diocleziano54

in tema di compravendita di fondi, ove si giustifica l’intervento della Cancelleria imperiale

50Cfr. C. 6,2,1 (Sev et Ant. AA Theogeni, a. 200). 51Cfr. D. 16,3,31(Tryph. 9 disp). 52Circa l’humanitas cfr. F. MERCOGLIANO, Fundamenta, cit., pp.89-103. 53Cfr. D. 18,3,4,1 (Ulp. 32 ad ed.). 54Cfr. C. 4,44,2 (Diocl. et Max. AA. Aurelio Lupo, a. 285).

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Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti

25 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

per incidere sullo squilibrio delle prestazioni, offrendo la soluzione più adeguata al caso

concreto.

In via generale, spiegano gli a., l’interpretazione negoziale da parte del giurista roma-

no opera in sede di responso in relazione ad un caso concreto ma, le regole ermeneutiche

utilizzate assumono via via la portata di canoni generali orientati alla ricostruzione della

comune volontà delle parti. In particolare, le regole di interpretazione soggettiva si rifanno,

in primo luogo, a criteri linguistici e logici ancorati alle dichiarazioni e ai comportamenti

delle parti e, solo qualora la lettera del contratto appaia oscura o ambigua si dà la prevalenza

alla volontà effettiva dei contraenti sulla base della verosimiglianza. Un passo tratto dai Di-

gesta di Celso55 offre un esempio concreto del percorso concettuale posto alla base della

ricostruzione della volontà delle parti contrattuali, già affrontato nel I sec. a. C. dai due giu-

risti repubblicani Servio e Tuberone: Celso, optando per la tesi di Tuberone, individua nella

volontà del dichiarante il criterio ermeneutico fondamentale per intendere il contenuto di

un atto, a discapito delle parole in cui essa si traduce, con il limite di non sovvertire il signi-

ficato comunemente attribuito ai termini usati e dell’irrilevanza di una volontà non dichiara-

ta.

Il criterio della comune volontà delle parti preordinata all’interpretazione del contrat-

to è presente anche nelle opere dei giuristi tardoclassici e nella costituzione dioclezianea

con riferimenti sia di carattere generale che relativi a specifiche figure. Ex multis Papiniano

utilizza tale canone ermeneutico per estendere la locazione di un fondo vectigalis da parte di

un municipio, non solo agli eredi del conduttore, ma anche ad un suo legatario56o per e-

scludere dall’oggetto di una stipulatio Aquiliana, fatta a fini transattivi, le liti alle quali alle

parti non intendevano riferirsi57.

Successivamente, nel diritto intermedio, gli autori concordano nell’individuare

nell’aequitas il criterio generale dell’interpretazione giuridica, come rileva Baldo degli Ubaldi

circa uno statuto -citando il passo di Trifonino sulla bona fides in rapporto all’aequitas- in

quanto lo statuto deve essere ricondotto all’intelletto dell’equità e ad essa deve conformarsi

non solo ogni tipo di lex, ma anche la valutazione del giudice e dell’uomo onesto. Altre te-

55Cfr. D. 33,10,7,2 (Cels. 19 dig.). 56Cfr. D. 50,16,219 (Pap. 2 resp.). 57Cfr. D. 2,15,5 (Pap. 1 def.).

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stimonianze sul ruolo ermeneutico dell’aequitas ci pervengono da Ludovico Pontano, Barto-

lomeo Sozzini e Francesco Mantica, sebbene si evidenzi l’esigenza di seguire anche il crite-

rio generale dell’humanior interpretatio in tutti i casi dubbi.

Più in generale la scienza giuridica medioevale anteriore al XIX sec. ricava i canoni

interpretativi direttamente dalle fonti romane applicandoli tanto agli atti normativi pubblici

quanto a quelli dell’autonomia privata. I Glossatori, in particolare, estrapolano dai testi del

Corpus Iuris tali principi ermeneutici, racchiudendoli in brocardi, che vedranno i primi tenta-

tivi di sistemazione giuridica solo con i Commentatori.

Tra il XV e il XVII secolo la teoria dell’interpretazione giuridica registra una sistema-

zione più organica e complessiva nell’opera di molti giuristi, anche italiani, quali Cipolla,

Rogerio e Federici, nonché di giuristi della Scuola Culta e in seguito dalle varie correnti del

Giusnaturalismo, che sviluppando le concezioni emergenti dei Commentatori eleggono a

criterio ermeneutico guida quello dell’equità.

In seguito, la maggior parte degli ordinamenti europei di Civil law elegge la buona fe-

de a criterio oggettivo fondamentale all’interpretazione del contratto. Tale principio erme-

neutico viene per la prima volta codificato nel § 157del BGB, che lo pone in stretto colle-

gamento col concetto di “Verkehrssitte” per integrare le lacune lasciate dalle parti nel rego-

lamento contrattuale. La norma chiarisce, appunto, che i contratti vanno interpretati secon-

do buona fede e correttezza e avendo riguardo agli usi comuni ovvero agli usi correnti del

traffico giuridico. Tralasciando il riferimento agli usi comuni, quello alla buona fede in

chiave ermeneutica è ripreso dall’art. 1366 del vigente Codice civile italiano, eletto dalla

maggioranza della dottrina e giurisprudenza a criterio generale alla luce del quale applicare

le altre regole sull’interpretazione. In altri ordinamenti europei, come in Austria, Francia e

Svizzera, questo principio è collocato piuttosto negli articoli dedicati all’esecuzione del con-

tratto o in quelli che si riferiscono alla buona fede in generale.

Diversamente, nei Paesi di Common Law non si ravvisano collegamenti manifesti tra

l’interpretazione del contratto e il principio di buona fede e correttezza ma, l’atteggiamento

delle Corti inglesi e irlandesi è quello ad applicare le regole ermeneutiche secondo il signifi-

cato che un “reasonable man” attribuirebbe alle espressioni usate in quel dato contesto e in

quelle circostanze, assicurando quella connessione tra interpretazione e ragionevolezza, che

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Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e contratti

27 Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino – n. 2/2013

permette di salvare l’accordo tra le parti senza pregiudicare il risultato economico che le

stesse avevano prefissato di raggiungere.

Circa il diritto sovranazionale, già la Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita

Internazionale dei beni Mobili anticipa il dettato degli articoli dei PECL sull’interpretazione

operando il collegamento con la buona fede. Ne consegue che anche le norme convenzio-

nali di diritto sovranazionale devono interpretarsi in modo tale da garantire una loro uni-

forme interpretazione e, soprattutto, il rispetto della buona fede nell’ambito del commercio

internazionale.

10. Da un attento esame dell’opera emerge, dunque, chiara l’intenzione degli autori,

che non si limita ad un arido studio alla ricerca di profili di continuità tra il diritto romano,

la tradizione romanistica ed il moderno diritto europeo, quanto piuttosto è volta a com-

prendere i principi e gli istituti giuridici posti a base del DCFR alla luce delle fondamenta

romanistiche, rimarcando il ruolo fondamentale che il diritto romano assume nella tradi-

zione giuridica europea, quale possibile esperienza interpretativa della presente dimensione

europea, funzionale alla comprensione delle origini e degli sviluppi dei singoli diritti nazio-

nali dei vari paesi europei e punto di avvio per il proposito di una loro unificazione58. Allo

scopo si deve fare riferimento al diritto romano assieme alla sua tradizione nella storia della

cultura giuridica europea, quindi non solo al diritto romano classico e a quello giustinianeo

ma anche alle elaborazioni che esso ha subìto nella scienza pandettistica e nello ius commune

europeo.

Nonostante le ferme critiche sollevate da più direzioni circa i contenuti e le preferen-

ze sistematiche e metodologiche del Draft Common Frame of Reference, gli a. esprimono toni di

ottimismo sull’avvenire del Progetto, che non può risolversi in un mero testo accademico

con finalità prevalentemente didattiche e di ricerca ma, si auspica, rappresenti la base inizia-

58Cfr. G. SANTUCCI, Diritto romano e diritti europei. Continuità e discontinuità nelle figure giuridiche “Itinerari. Diritto”, Bologna, il Mulino, 2010, p. 198; R. ORESTANO, Introduzione allo studio del diritto romano, il Mulino, Bologna, 1987, p. 668; C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea, I, Giappichelli, Torino, 1997, p. 348; R. KNÙTEL, Diritto romano e ius commune davanti alle Corti dell’Unione Europea, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo III, Napoli, 1997, pp. 521-557; J. M. RAINER, Il diritto romano nelle sentenze delle Corti europee, in L’anima ‘europea’ dell’Europa, cur. D. Castellano, Napoli 2002, pp. 45-50.

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le per la creazione di un regime unitario, anche se allo stato attuale e nell’ottica delle istitu-

zioni europee limitatamente al settore dei contratti tra consumatori e professionisti.

Stante i pressoché generali assensi accordati al Libro Verde sul diritto europeo dei

contratti ed in conformità al Regolamento (CE) n. 593/2008 (Roma I) sulla legge applicabi-

le alle obbligazioni contrattuali, il testo del DCFR, rivisto, modificato e tuttora in fase di

studio e affinamento, è divenuto, formalizzata la delibera degli organi comunitari, la base di

un regolamento opzionale offerto ai consumatori e ai professionisti per la disciplina delle

operazioni economiche transnazionali: ciò segna un notevole passo in avanti nel difficile

percorso diretto all’armonizzazione del diritto degli Stati membri dell’Unione europea.

Camerino, novembre 2013