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Anna Rita Guaitoli SUA MAESTÀ LO SCARABOCCHIO Per una lettura non banale della traccia grafica ARMANDO EDITORE

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Anna Rita Guaitoli

SUA MAESTÀLO SCARABOCCHIO

Per una lettura non banale della traccia grafica

ARMANDO EDITORE

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Sommario

Capitolo primo Da fare e da non fare 9

Capitolo secondoE all’inizio fu un segno 20

Capitolo terzoE ora sto crescendo 42

Capitolo quartoE vado a scuola 66

Capitolo quintoE ora comincio a diventare grande 83

Capitolo sestoE ora sono grande 99

Capitolo settimoE da adulto dico che… 126

Bibliografia 141

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Offeso come prodotto di chi non sa fare, svalutato quale attività di chi non ha niente da fare, lo scarabocchio offre un aiuto imperdibile per comprendere chi lo disegna, di per sé arricchendo il senso di una plurisignificativa attività grafica.

Così come il Principe Ranocchio (che fa capolino qui in alto) ha bisogno di chi lo ami per manifestarsi nella sua bellezza, il nostro scarabocchio, per diventare davvero “Sua Maestà”, ha bisogno di chi lo liberi dai legacci in cui lo hanno imbrigliato le interpretazioni semplicistiche da bassa psicologia.

Insomma, per fargli riconquistare la sua dignità occorre leggerlo in un modo, il più possibile, scientifico.

Troppo ambiziosa la qualifica “scientifico”? Ma che almeno non sia interpretazione fantasiosa, bizzarra, inverosimile.

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Capitolo primoDa fare e da non fare

1. Non s’ha da fare (né domani né mai…)

Soprattutto quando ci si riferisce allo scarabocchio dell’adulto, si tende a collegare il segno a figure dall’accezione codificata, proce-dendo a interpretazioni che ne fissano il significato, così come il libro della smorfia suggerisce il numero da giocare.

Per carità: niente di male guardare il segno che costruisce figure con sana curiosità. Margaret Thatcher diligentemente aveva raccol-to una vera collezione di scarabocchi (doodles, sciocchezzuole in in-glese), da tempo diventata pubblica: tra i tanti, quelli del presidente americano Reagan che aveva scarabocchiato anche la caricatura di se stesso. Sono, peraltro, ormai diverse le pubblicazioni di scarabocchi dei personaggi famosi: il generale Eisenhower che tratteggiava navi da guerra e soldati; Johnson, equivoche figure con tre facce; Kennedy riquadri, forme geometriche, e parole; e Manzoni, Kafka…

Sono, appunto, “curiosità”: passare direttamente all’interpretazio-ne, però, può determinare magre figure.

Un aneddoto. Nel 2003 scarabocchi attribuiti a Tony Blair scate-narono negli esperti azzardate interpretazioni. In effetti, fu proprio il Times a chiedere ad una grafologa loro collaboratrice cosa potessero significare quegli scarabocchi lasciati da Blair sul tavolo dopo un sum-mit a Davos. Ne uscì un quadro quantomeno preoccupante dell’allora premier del Regno Unito: risultava infatti “molto più aggressivo che negli anni passati”, con “molta irritabilità che sta faticando a tenere

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sotto controllo”. Sarebbe emersa, insomma, “una natura ossessiva-compulsiva, malata di megalomania”.

Così, dunque, sul Times. Intervengono altri quotidiani e altri grafo-logi. Il quadro si appesantisce: il leader ormai “fa fatica a concentrar-si”, “non è un leader nato”, “lotta per tenere sotto controllo un mondo che lo confonde”, è “una persona instabile”.

Siamo all’epilogo: il giorno dopo Downing Street fa sapere che quel foglio era di Bill Gates.

Sarebbe bene, sempre, evitare ogni tipo di analisi “da salotto tele-visivo prima della pubblicità”1.

Gli esempi migliori da evitare, ovviamente si trovano in rete. Le indicazioni sono tutte lì: una a ricopiarsi dall’altra. Una a contraddire l’altra: talvolta con effetti divertenti.

Ricopio alcune interpretazioni relative agli scarabocchi che propon-gono “cose”: sono offerte in rigoroso ordine alfabetico per soddisfa-re ogni tipo di curiosità (non senza qualche segno di mio intrattenibile commento: per l’ovvietà, o la compresenza arruffata dei significati): − ali di farfalla: carattere emotivo e facilmente influenzabile, amore

verso gli altri e spirito di sacrificio per il prossimo. Grande entu-siasmo, ma anche stanchezza psichica e voglia di evadere dalle responsabilità;

− automobile: desiderio erotico non soddisfatto (!?); − cerchi: timidezza, semplicità, sensibilità, ma anche ambizione an-

cora non realizzata, difficoltà ad ambientarsi. E poi: passionalità a stento contenuta ma anche femminilità e maternità;

− denti, lato di una sega: aggressività celata a stento ma anche ego-centrismo, egoismo forse causato da un complesso di inferiorità (!);

− figure geometriche: egoismo, difficoltà a sottomettersi agli ordini (!?); − figure umane: indica qualità artistiche, cortesia, benignità, ma an-

che insicurezza e difficoltà a frenare i propri impulsi erotici (!); − fiori: fervida immaginazione, bontà, romanticismo, indulgenza,

ma anche tendenza all’introversione, difficoltà a stabilire rapporti positivi;

1 Da un articolo del giornalista Vittorio Zucconi, 18 marzo 2012, “La Repubblica”.

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− frecce: indicano pulsioni, aggressività ma anche la voglia di rag-giungere obiettivi ambiziosi, e… irruenza verbale (!?);

− lettere maiuscole: senso estetico, tendenze artistiche, gusti raffinati ed eleganza innata, ma anche tendenza alla superficialità e al nar-cisismo;

− linee: simboleggiano calma e ottimismo (!?); − linee a raggiera: amore per l’avventura, fantasia e spiccata versati-

lità, ma anche l’abbandono a sogni impossibili e sbagliati; − spirali: un bisogno di esprimere se stessi (?); − stelle: energia fisica, fiducia nell’avvenire, saggezza, intelligenza

razionale, ma anche poca naturalezza e fantasia; − uccelli: bisogno di regredire al passato (!?).

E poi, con possibilità interpretative davvero originali: − bocca: chi sa comunicare emotivamente − grata: indica tormento, depressione, costante senso di colpa − labirinto: situazione di stallo − occhi: chi è curioso e ha capacità di seduzione − palma: voglia di evadere − rettangolo: razionalità − nave: desiderio di cambiare ambiente e di realizzarsi.

Qualcuno fa un lavoro di classificazione più generale, individuan-do anche: − scarabocchi complessi: un disegno ripetuto indefinitamente a cre-

are una qualche composizione indica: voglia di crescere, socializ-zazione (!?);

− scarabocchi decorativi: la classica cornicetta. Indica, ovviamente ordine, gusto delle proporzioni, pignoleria. Se ci sono fiori: ro-manticismo;

− scarabocchi riempitivi: riempire gli occhielli di uno stampato, o disegnare i baffi o la barba a un viso, esprime il bisogno di accu-mulare.

Io sono stanca. Ognuno può continuare: e magari scrivere un libro.

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2. Si deve fare

Bisogna guardarlo, lo scarabocchio: nella sua ampiezza, nella forza del suo movimento, nella larghezza della trama, nella qualità della stessa…

Soltanto guardando, e poi guardando, e poi guardando ancora; ac-cumulando esperienze nelle più diverse fasi della vita; mettendolo a confronto con altre prove grafiche: ecco, allora sì, può diventare… Sua Maestà.

Ovviamente, il guardare sarà il primo principio: “necessario ma non sufficiente”, come si recitava nelle dimostrazioni. Brevemente, presento un protocollo di base che nasce dalla mia esperienza di stu-diosa del segno grafico in ogni sua manifestazione: si limiterà ad ana-lizzare quei livelli definibili, in linguaggio tecnico, grafico e formale. Saranno pertanto da valutare:a) il tratto nella sua qualità, nell’appoggio, nella conduzione, nella

ampiezza, nella continuità, nella velocità; b) lo spazio, per la zona occupata e per il rapporto tra zone bianche/nere;c) il ritmod) la direzionee) l’inclinazionef) la dimensione g) le cancellature h) la qualità delle forme i) la qualità del movimentoj) gli stili di esecuzione.

3. I maestri

Niente nasce da niente. Il protocollo da me proposto, si nutre, come ovvio, della lezione dei “maestri”.

In realtà non sono stati molti quelli che hanno sperimentato prima e organizzato poi un corpus teorico sugli scarabocchi in quanto espres-sione di personalità. E non li voglio dimenticare2.

2 Per una sintesi delle indicazioni metodologiche-interpretative dei “maestri” intorno agli scarabocchi, vedere la scheda n. 1.

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Anche se Robert Meurisse, grafologo, già nel 1948 aveva parlato di scarabocchi come proiezione dell’inconscio, il mio primo omaggio va a marthe bernson, studiosa troppo dimenticata ma molto “saccheg-giata”. È stata lei a farne oggetto di studio sistematico: a partire dagli anni ’30, osservando nel tempo gli scarabocchi, ha proposto le fasi evo-lutive del segno; ha sottolineato come da subito il fanciullo fa di quel foglio “lo specchio di sé e dell’universo”; ha evidenziato il legame con la successiva scrittura (“legge della permanenza”); ha detto – lei, e non i più famosi professori universitari che non la citano – che “Il benessere arrotonda, allarga i movimenti… il malessere li restringe…”.3

La Bernson, insomma, ci ha regalato la (preziosa) consapevolez-za che lo scarabocchio (nelle diverse prove e nel corso del tempo) va ad indicare lo stato d’animo del momento; contemporaneamente, può dare espressione al modello relazionale interno che il bimbo sta costruendo.

louis corman, il medico psichiatra tanto attento ai bambini da aver fondato un servizio di psichiatria infantile all’Ospedale Saint-Jacques de Nantes, ha prestato attenzione a tutto il linguaggio non verbale: ha progettato il PN (test proiettivo, basato su immagini, per bambini dai 4 ai 12 anni) e l’ancora più famoso test “Il disegno della famiglia”: proprio in questa occasione ha stigmatizzato i livelli in-terpretativi cui faccio riferimento: grafico, formale, e – solo per chi ha professionalità idonea ad instaurare un colloquio terapeutico – il livello contenutistico.

Corman ha anche analizzato gli scarabocchi, considerandoli “tra-duzione della personalità profonda”. Nel test che considera “proietti-vo”, appaiono le emozioni e i conflitti che lo studioso ha interpreta-to all’interno dello schema generale degli stadi evolutivi valutati dal punto di vista strettamente psicoanalitico. Una sua particolare atten-zione sarà per gli scarabocchi dei due-tre anni (pre-scarabocchi) in quanto espressioni delle “tendenze vitali” del soggetto.

C’è, poi, rocco Quaglia, psicologo delle dinamiche evolutive do-cente all’Università di Torino. Quaglia ha sempre dato importanza alla

3 M. Bernson, Dallo scarabocchio al disegno, Armando, 1968, p. 51.

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produzione grafica dei bambini (suoi i test del “Disegno del bambino cattivo”, e del “Disegno della classe”).

Negli scarabocchi, lo studioso dà importanza al gesto che “acca-rezza o colpisce” in rapporto alle relazioni che si stabiliscono con gli adulti. Quaglia, afferma – ed è stata una grande lezione – che “Gli scarabocchi non sono espressione di una gratificazione motoria e neppure pulsionale, ma nascono all’interno di una relazione”4: ogni contatto, insomma, lascia una traccia.

Sappiamo quanto la relazione con i genitori (a partire dalla prima-ria identificazione con la madre) sia fondamentale: porterà il bambino a costruire le immagini interne degli adulti con cui ha un rapporto; soprattutto, sappiamo che ogni soggetto, già da bambino, costruisce – anche attraverso quei rapporti – una immagine di sé: da tutte queste immagini interne che si sono andate a comporre, nascerà il “segno”.

Per lo studioso, allora, lo scarabocchio non è un semplice “movi-mento” occasionale e casuale: è la traduzione della immagine emotiva di chi disegna, che si è generata in rapporto a come si sente, all’interno di come vive la relazione.

4 R. Quaglia, Il “disegno” dello scarabocchio, Sharòn, 1996, p. 11.

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SCHEDA N. 1

Le indicazioni metodologiche di Marthe Bernson (1887-1963)

Analizzando gli scarabocchi anche dei figli (1968, Armando), seguen-doli nella loro evoluzione, era giunta ad una organizzazione in diverse fasi:1. fase vegetativo/psico-motorio (14/24 mesi): il bambino scopre il

movimento nello spazio. Vaga, curioso, sul foglio, seguendo con tutto se stesso il segno;

2. fase rappresentativa (2/3 anni): la matita comincia a staccarsi dal foglio dando vita ad abbozzi di forme, e il bambino comincia a dare dei “nomi” a ciò che rappresenta. Ben presto, a partire da questo momento, comincia a comparire la figura dell’“omino”;

3. fase comunicativa/sociale (3/4 anni): cominciano a nascere segni dritti, obliqui, angoli, archi, quadrati, e elementi di “prescrittura”. Il bambino dà l’avvio a veri “discorsi” interpretativi.

Da grafologa, la Bernson darà particolare importanza allo studio del tratto (valore quantitativo, qualitativo, dinamico) e organizzerà l’analisi riprendendo alcune delle categorie individuate dal padre della grafolo-gia francese, Crépieux-Jamin (forma, direzione, dimensione, legami).

Le indicazioni metodologiche di Louis Corman (1901-1995)

Lo studioso, psichiatra con formazione psicoanalitica, studia la produzione grafica del bambino in un contesto familiare: l’interpreta-zione dello scarabocchio (1996, Sharon) sarà fatta in termini di dina-miche conflittuali secondo le indicazioni freudiane classiche.

Considerando il foglio quale “spazio di vita”, lo studioso francese invita a fare scrivere il proprio nome e cognome (a scelta del soggetto l’uno e l’altro, o uno solo) al centro, per poi disegnare a suo piacere lo scarabocchio.

Rispetto alla possibilità di individuare dove si organizzi lo scaraboc-chio, Corman prende in considerazione 3 zone: centro (limitazione dell’e-spansione del soggetto); sopra (zona paterna); sotto (zona materna).

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Le scelte (almeno due prove vicine, meglio se ripetute nel tempo) daranno possibilità interpretative proprio sulle dinamiche relazionali, rivelando così come procede la costruzione della propria identità: in particolare, il nome indicherà la parte di sé più intima; il cognome, il rapporto con gli altri, a partire dai genitori.

Ecco alcune delle indicazioni interpretative offerte da Corman per il come si organizzi lo scarabocchio:− se si difende il nome con una cornice: si può pensare ad una difesa

instaurata;− la quantità dello spazio lasciato tra la cornice e il nome: indicherà

quanto sia estesa la zona del “proibito”;− se si passa sopra il nome con tranquillità e segno leggero: sarà pos-

sibile ipotizzare l’esistenza di buone difese, e di un buon equilibrio tra le pulsioni vitali e le regole dell’ambiente familiare;

− se si organizzano attorno al nome linee dolci ma sfumate, grigie: è possibile individuare una situazione di depressione scaturita pro-prio dalla repressione dell’aggressività;

− se nasconde il nome con segno pesante: si può pensare ad un vo-lontà di negazione dei conflitti stessi con atteggiamenti che posso-no farsi aggressivi.

Corman offre anche sollecitazioni a considerare− quanta parte del foglio sia occupata dallo scarabocchio;− come si costruisce la forma (a nido? Con elementi ripetitivi? Con

prevalenza di curva, o di angoli? Con una sola linea?).

Le indicazioni metodologiche di Rocco Quaglia

Quaglia, psicologo e psicoterapeuta, è studioso impegnato a tra-smettere la lezione per cui il segno dello scarabocchio (1996, Sharon) non si limiterà a rappresentare un qualsivoglia oggetto, ma racconterà lo stato emotivo: a partire, ovviamente, dalle immagini interne che va costruendo.

In quel foglio, quasi uno specchio, si manifestano allora le imma-gini dei nostri sentimenti, sia profondi che superficiali. In particolare:

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−− il sentimento che accompagna la crescita (poco conta l’età anagra-fica; molto come ci sentiamo);

−− il sentimento che ci identifica come maschio o femmina (al di fuori del sesso biologico, semmai comparandolo);

−− il sentimento che giudica il nostro valore (l’autostima).

Dal punto di vista operativo, Quaglia segue le modalità di som-ministrazione volute da Corman, ma approfondisce e articola l’uso dello spazio: sono individuate ben 9 aree con conseguente maggiore complessità simbolica.

Quali esempi:a. non solo la sinistra rappresenta l’area materna e del passato: se si

va ad occupare l’angolo in basso a sinistra, sarà da tenere presente un blocco che ritarda la crescita;

b. non solo la destra rappresenta l’area del padre e del futuro: ma se si occupa l’angolo basso a destra, si segnerà la possibile resa, la rinuncia.

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SCHEDA N. 2

Lo spazio. Pulver e il valore simbolico dello spazio

Per l’analisi dello scarabocchio il valore simbolico dello spazio è un concetto molto importante.

max pulver (1889-1952), psicologo ma soprattutto uomo di cultu-ra e di interessi vasti, ne ha fatto specifico oggetto di studio, arrivando a teorizzare il simbolismo spaziale (Pulver, La simbologia della scrit-tura) che arricchisce di significato il movimento grafico e che sarà elemento base per l’analisi del tracciato.

Il punto di partenza dello studioso svizzero è la sperimentazione dello spazio che il bimbo comincia a fare da quando… si mette il pie-dino in bocca: alto/basso, destra/sinistra, obliquo.

Questi riferimenti spaziali li ritroverà, e li riproporrà5, nel foglio: comincia, da subito, ad operare il “simbolico”, dimensione propria dell’uomo. Nello spazio, in particolare, chi disegna o scrive esprime la relazione che ha con gli altri, con i propri bisogni più profondi.

L’interpretazione del simbolo, purtroppo, comporta alcune perico-lose semplificazioni. Bisogna ricordare che: − il simbolo è di per sé polisemico e ha bisogno per l’interpretazione

di una preparazione specifica arricchita da conoscenze antropolo-giche letterarie artistiche;

− vi sono simboli il cui significato è consolidato, certo, ma in una specifica cultura: la destra, per esempio, sarà indicatrice di pro-gressione nella nostra cultura dove la scrittura procede da sinistra a destra;

− il simbolo è individuale: forte è il peso del vissuto. Obbedendo in gran parte al linguaggio del sogno, ha bisogno di una relazione terapeutica capace di indirizzare l’interpretazione attraverso il col-loquio specialistico guidato.

5 Per questo si consiglia di fargli fare le prime esplorazioni dello spazio grafico su di una superficie verticale: scoprirà che l’“alto” è la parte del foglio più lontana da lui e che per raggiungerla deve tendere tutto il suo corpo. Come appunto farà nel foglio dove seguirà il segno… con tutto il suo corpo, in genere senza lasciare la matita.

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Nello specifico del tracciato grafico, a dare senso all’interpreta-zione dei vettori spaziali (alto/basso, destra/sinistra) sarà l’analisi del segno in relazione al contesto grafico.

In particolare per lo scarabocchio: se, a caratterizzare il segno che va a destra, sarà un tratto spezzato, o troppo annerito, non indicherà, magari, la voglia di fuga per paura, o per ansia?

O ancora: la parte alta, indicherà davvero solo interessi spirituali o fantasia? E se il tratto fosse mal gestito, magari supportato da un movimento impulsivo, non darà indicazione del bisogno di rifugiarsi in una fantasticheria che potrebbe rendere più difficile l’adattamento?

I valori possono sovrapporsi, o trasformarsi nel contrario.

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