Studi e ricerche sulla Resistenza e l’Età contemporanea · seppe, antifascista e condannato al...

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Studi e ricerche sulla Resistenza e l’Età contemporanea ISTITUTO STORICO DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA DELLA PROVINCIA DI SAVONA n. 7 Savona, giugno 2008 Aut. Trib. di Savona n. 463 del 27.8.1996. Poste Italiane S.p.A. sped. abb. post. - 70% - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n. 46). Dir. comm.: Business Savona.

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Studi e ricerche sulla Resistenza e l’Età contemporanea

ISTITUTO STORICO DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEADELLA PROVINCIA DI SAVONA

n. 7Savona, giugno 2008

Aut. Trib. di Savona n. 463 del 27.8.1996. Poste Italiane S.p.A. sped. abb. post. - 70% - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n. 46). Dir. comm.: Business Savona.

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ISTITUTO STORICO DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEADELLA PROVINCIA DI SAVONA

n. 7Savona, giugno 2008

Quaderni savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’Età contemporanea.Anno 13, Nuova Serie n. 7, giugno 2008.Autorizzazione del Tribunale di Savona n. 463 del 27.8.1996. Poste Italiane S.p.A. sped. abb. postale - 70% - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n. 46).Direzione commerciale: Business Savona.

Nota: Su richiesta dell’ISREC della provincia di Savona, il tribunale di Savona ha ordinato in data 6 aprile 2007 l’iscrizione del mutamento del nome del nostro periodico “Il Notiziario” in “Quaderni savo-nesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’Età contemporanea”, nell’apposito registro tenuto dalla Cancelleria.

Referenze fotografiche:Archivio dell’ISREC di Savona: foto di copertina, foto di pagina 58, 64, 114, 129, 131, 132;Nuova CEI Informatica SpA Milano: il Parlamento italiano, 1991: foto di pagina 7, 78, 98, 122;Comune di Savona, “io Farfa”, 1985: foto di pagina 135.

In copertina: l’attentato del 14 luglio: l’on. Togliatti, gravemente ferito, viene trasportato d’urgenza dal-l’infermeria di Montecitorio al Policlinico. Fra gli accorsi il senatore Edoardo D’Onofrio (con gli occhiali scuri).

Direttore: Umberto Scardaoni

Direttore Responsabile: Mario Lorenzo Paggi

Progetto grafico: Federico Grazzini

Redazione: ISREC della provincia di Savona, via Maciocio 21/R, 17100 Savona Casella postale 103, 17100 Savona telefono e fax 019.813553 e-mail: [email protected] sito internet: www.isrecsavona.it

Stampa: Coop Tipograf, corso Viglienzoni 78/R, 17100 Savona

I dati riferiti ai destinatari dei “Quaderni savonesi” vengono utilizzati esclusivamente per l’invio della pubblicazione a mezzo servizio postale e non vengono ceduti a terzi per nessun motivo.

Le iniziative dell’ISREC della provincia di Sa-vona sono rese possibili anche grazie al contri-buto della Fondazione “A. De Mari” della Cassa di Risparmio di Savona.

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Apriamo questo numero dei “Quaderni Savonesi” rivolgendo un rin-graziamento a quanti, in questi ultimi tempi, hanno donato al nostro

istituto documentazioni di varia natura concernente l’antifascismo, la re-sistenza e la Storia Contemporanea.In primo luogo i ragazzi del campus universitario di Savona dell’Uni-versità degli Studi di Genova - Corso di Laurea in scienze della Comuni-cazione con i loro insegnanti Augusta Molinari, Felice Rossello e Diego Scarponi che hanno realizzato 30 video-interviste con protagonisti del-l’antifascismo e della Resistenza e le hanno messe a disposizione del-l’Isrec per essere utilizzate da ricercatori e studiosi. Un grazie anche a Gian Paolo De Luca per DVD riguardanti episodi e personaggi della Resi-stenza in Valbormida.Il ringraziamento si estende aLuigi Lirosi per il materiale documentario sul movimento studentesco del ‘68 a Savona, a Genova e in Italia;Nina Bazzino per la documentazione relativa al processo subito dal pa-dre Francesco dal Tribunale Speciale;Piero Garrone per i numerosi ed interessanti documenti concernen-ti la vita di suo zio Stefano Giordano, esule in Francia, combattente nella guerra civile in Spagna, partigiano nel maquis francese;Giancarlo Rossello per i fascicoli che illustrano la nascita e lo sviluppo della Coop. Stovigliai di Albisola Superiore;Walter Grillotti per la lettera autentica del padre fucilato;Ester Rapetti per il volume “Lettere dei condannati a morte della resi-stenza Europea” e “Canti della Resistenza Europea, 1933-1963”;Claudio Bottelli per foto e documenti riguardanti l’On. G.B. Pera;Rosiemarie Traverso Mantovani per i libri dello zio Del Bosco, noto medico ed esponente socialista;Nicolò Siri per le annate de “La Gazzetta di Savona” (1943-44-45);Emma e Franca Musso per foto e attestati riguardanti il loro padre Giu-seppe, antifascista e condannato al confino.Tutto questo materiale, come documentato in altra parte dei “Quaderni” è stato o sarà catalogato secondo criteri moderni ed è conservato accura-tamente per essere reso disponibile alla consultazione.A questo proposito anche in questa occasione ci rivolgiamo a quanti han-no in loro possesso libri, fotografie, giornali, articoli, documenti di qual-siasi genere, afferenti periodi della nostra Storia contemporanea. Il no-stro obiettivo è quello di costruire un Archivio, il più ampio possibile, per documentare nel modo più completo e veritiero avvenimenti degli anni del secolo scorso in particolare, che hanno segnato così profondamente la vita e la storia della nostra provincia e del nostro paese.Mettere assieme un “corpus” di tale natura è non solo il compito prima-rio del nostro Istituto, ma è un dovere per respingere, con la verità, i ten-tativi di falsare la Storia, per sconfiggere il “revisionismo” e la strumenta-lizzazione che di questa “storia” falsata e strumentalizzata viene fatta per esigenze politiche di parte.

Umberto Scardaoni

ISTITUTO STORICODELLA RESISTENZA

E DELL’ETÀ CONTEMPORANEADELLA PROVINCIA DI SAVONA

ISREC RINGRAZIA

L’attentato a Togliatti mentre usciva da Montecitorio Mario Lorenzo Paggi

Quaderni Savonesi 4

volta che non sono mai stati e non sono fautori della violenza per la violenza.E la democrazia progressiva era concepita come una forma di democrazia parlamentare caratte-rizzata, però, in senso post liberale i cui elemen-ti portanti da inserire nella costituzione dovevano essere il riconoscimento di tutte le libertà moder-ne, una forma di governo parlamentare, la scelta di una economia mista e la legittimazione di for-me diverse di proprietà (privata, statale e coope-rativa), la nazionalizzazione di alcuni monopoli, qualora fosse necessaria per lo sviluppo economi-co nazionale, un ordinamento regionalistico dello Stato…Nè va dimenticata l’amnistia di Togliatti, ministro di Grazia e Giustizia, del 1946 che graziava tutti i fascisti e li reintegrava nelle varie amministrazioni dello Stato, né il suo intervento del 25 marzo del 1947 alla Costituente in difesa dell’art. 7 che rati-ficava il Trattato lateranense e il Concordato con la Chiesa.Ciò nonostante, nel corso del 1947 si spezzò la col-laborazione tra le forze di ispirazione democrati-ca e antifascista che aveva dato vita ai “governi di unità nazionale presieduti, negli ultimi due anni da Ferruccio Parri prima e da Alcide De Gasperi do-po.La crisi si svolse in due tempi.De Gasperi, dopo il viaggio negli Stati Uniti dal 5 al 14 gennaio 1947 nel corso del quale da parte ame-ricana gli venne richiesto l’allontanamento dei so-cialcomunisti dal governo in cambio di consisten-ti aiuti economici e finanziari, presenta improvvi-samente, in quel mese, le dimissioni da Presiden-te del Consiglio. In quel decennio di “guerra fred-da” da poco iniziato, sempre in quel mese di gen-naio avviene la scissione operata da Giuseppe Sa-ragat a Palazzo Barberini dello PSIUP, così si chia-mava il partito socialista a quel tempo, dando vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.Il nuovo governo De Gasperi, il terzo, basato an-cora su una coalizione con i comunisti e i sociali-sti, resse ancora per pochi mesi nel corso dei qua-li vi fu la firma del trattato di pace a Parigi. Ma a maggio De Gasperi decise di liquidare i governi di coalizione con le sinistre, dando vita al suo quarto governo, un governo democristiano con la parte-cipazione, come indipendenti, del liberale Einau-di al Bilancio e di Sforza, repubblicano, agli Este-ri, mentre il democristiano Mario Scelba, presen-

vantaggio delle classi lavoratrici.Anche se questa strategia viene messa in discus-sione nei cinque giorni di dibattito, quel Congres-so si conclude, tra l’altro, con un forte richiamo all’art. 3 della Costituzione, appena entrata in vi-gore, con l’affermazione che “il Partito comunista non concepisce la Costituzione repubblicana co-me un semplice espediente per utilizzare gli stru-menti della democrazia borghese fino al momen-to della insurrezione armata per la conquista dello Stato e per la sua trasformazione in uno Stato so-cialista, ma come patto unitario, liberamente stret-to dalla grande maggioranza del popolo italiano e posto a base dello sviluppo organico della vita na-zionale per tutto un periodo storico”2 e con la pre-cisazione che i comunisti dichiarano ancora una

Roma, 14 luglio 1948, ore 11,30 circa

L’ATTENTATO A TOGLIATTI

MENTRE USCIVADA MONTECITORIO

Mario Lorenzo Paggi

All’apertura del VI Convegno nazionale del PCI a Milano il 15 gennaio 1948, Pietro Secchia, re-

sponsabile dell’organizzazione, descrive la situa-zione del partito con questi dati: “due milioni e 331.217 iscritti; 50 mila cellule; 10 mila sezioni; una forte presenza nel Nord (quasi il 60%); una carat-terizzazione fortemente operaia (43,8%); significa-tive presenze nelle altre componenti sociali: 18,7% di braccianti e salariati agricoli; 15,7% di coltivato-ri diretti; 9,8% di casalinghe; 5,1% di artigiani; 1,5% di professionisti, intellettuali e studenti”.1

Questo risultato sembrava dare ragione alla impo-stazione che Togliatti, capo indiscusso del “partito nuovo”, aveva elaborato dopo la svolta di Salerno del 13 marzo 1944.Era la dottrina della “democrazia progressiva”, ap-provata dal V Congresso del PCI, basata sull’assun-to che soltanto con l’esercizio del potere politico, cioè stando al governo, il movimento operaio po-tesse imprimere il proprio indirizzo sociale ed eco-nomico al Paese e modificare i rapporti di forza a

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te già nel precedente ministero, resse gli Interni con propositi nettamente anticomunisti e antiope-rai. Si chiudeva così, definitivamente, quella colla-borazione governativa fra i grandi partiti di massa sorti dai Comitati di Liberazione Nazionale.Con l’inizio del 1948 si apre su ogni fronte una campagna elettorale drammatica nel corso della quale scendono in campo a fianco della Democra-zia Cristiana, non solo tutte le forze e le organiz-zazioni produttive, sociali ed economiche antico-muniste, ma anche e direttamente la Chiesa istitu-zionale e le sue organizzazioni laiche tra cui i Co-mitati civici.È una guerra ideologica e propagandistica senza esclusione di colpi e sostenuta da ingenti risorse finanziarie nel corso della quale il papa Pio XII e i vescovi dipingono il comunismo come “intrinse-camente perverso” ed escludono la collaborazione con esso “da parte di chiunque voglia salvare la ci-vilizzazione cristiana”.O esortano i fedeli “a non lasciarsi intimorire o tra-viare dalla propaganda senza scrupoli di falsi profe-ti che vanno diffondendo con l’astuzia e con la vio-lenza concezioni del mondo e dello Stato contra-rie all’ordine naturale, anticristiane ed atee, e, co-me tali, condannate dalla Chiesa”.“Chi non è con me è contro di me” è lo slogan che Pio XII lancia nel giorno di Pasqua del 1948 riferen-do il pronome personale direttamente a Cristo.Nè vi è da stupirsi se i vescovi liguri, il 31 marzo, pubblicano una dichiarazione in cui affermano che chi voterà comunismo, commetterà “un peccato mortale”.Le successive elezioni politiche del 18 aprile deter-minano una gravissima sconfitta per il Fronte de-mocratico popolare che vedeva alleati il PCI e il PSI e una grande vittoria della DC, il cui capo indiscus-so, Alcide De Gasperi dà avvio, nel maggio di quel-l’anno, al suo quinto governo sostenuto anche da PLI, PRI, PSLI, in un clima caratterizzato da una vio-lenta e continua campagna anticomunista che tro-va ispirazione nel governo italiano, nel governo de-gli USA (dopo il trattato di pace del ‘47, le truppe anglo-americane lasciavano l’Italia. ma la loro par-tenza fu tuttavia accompagnata da una dichiarazio-ne nella quale era espressamente avanzata la riser-va di un loro ritorno qualora fossero stati minaccia-ti l’ordine e la libertà)3, nei partiti alleati e fra que-sti il PSLI di Saragat il cui giornale, l’Umanità, scri-ve, tra l’altro, per mano di Carlo Andreoni: “prima

che armate straniere possano giungere sul nostro suolo per conferire ad essi (ai comunisti) il mise-rabile potere “quisling” al quale aspirano, il gover-no della Repubblica e la maggioranza degli italia-ni avranno il coraggio, l’energia, la decisione suffi-ciente per inchiodare al muro del loro tradimento Togliatti e compagni: e per inchiodarveli non me-taforicamente”.Né la Chiesa di Pio XII si sottrae dall’alimentare questo clima di odio verso i cittadini italiani iscritti al PCI o che lo votano.Se è vero, infatti, che la scomunica dei comunisti avverrà con un decreto dell’anno successivo, non vi è dubbio che esso “appariva la logica conseguen-za dell’impegno della Chiesa nello scontro epoca-le tra due proposte di civiltà dell’anno precedente durante la campagna elettorale”, quasi un comple-tamento della mobilitazione del ‘48, scriverà An-drea Riccardi nella “Storia della Chiesa Universa-le”.Ma che lo scontro in Italia fosse tra due proposte di civiltà è tutto da dimostrare, visto che il PCI ave-va contribuito alla elaborazione della Costituzione, l’aveva approvata e, con il suo voto determinante, aveva contribuito ad inserire in essa l’art. 7!Anche se risponde a verità il fatto che nel PCI era presente una corrente rivoluzionaria del tutto mi-noritaria nella base del partito, “comprensibile ere-dità della Resistenza”4 (Claudio Pavone nel suo vo-lume edito da Bollati Boringhieri nel 1991, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nel-la Resistenza, documenta come sia stata contem-poraneamente “una guerra patriottica, una guer-ra civile, una guerra di classe”), riesce difficile giu-stificare l’anticomunismo viscerale di Pio XII e del-le gerarchie ecclesiastiche anche dopo il 18 aprile 1948 non soltanto per le scelte strategiche del PCI di cui si è appena accennato, ma anche per il fatto che un precedente congresso del PCI aveva delibe-rato che l’adesione al partito non comportava an-che l’adesione all’ideologia marxista.Ma in quel momento storico la Chiesa di Pio XII persegue una sua autonoma azione politica lega-ta al tentativo di realizzare in Italia una società to-talmente cristiana, non condivisa, però, da De Ga-speri.È questo, dunque, il contesto politico, sociale, cul-turale in cui va letto e interpretato l’attentato a Pal-miro Togliatti, segretario del Partito Comunista Ita-liano, di cui fu vittima la mattina del 14 luglio 1948

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Quaderni Savonesi 6

alle ore 11,30 circa, mentre usciva dal palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei Deputati in-sieme a Nilde Iotti.Quel grave fatto di sangue perpetrato da Antonio Pallante, uno studente universitario di Giurispru-denza, “nazionalista e anticomunista”5, destò nel Paese una enorme sensazione.“Sciopero generale, manifestazioni popolari, occu-pazione di luoghi di lavoro, perfino di gangli del-l’apparato amministrativo (come la prefettura di Milano): in alcune località lo sciopero tende ad as-sumere carattere insurrezionale. È necessario dare massima ampiezza alla protesta mantenendola pe-rò nell’ambito della legalità: evitare di cadere nel-la provocazione e superare le soglie del “non ri-torno”, ispirarsi insomma all’impegno democra-tico assunto con la Costituzione: questa la parola d’ordine che proviene dal centro dirigente del par-tito di cui erano vicesegretari generali Luigi Longo e Pietro Secchia e dello stesso Togliatti che, colpi-to alla nuca, alla schiena e al torace, gravemente ferito disse ai suoi compagni: “Non perdete la te-sta” e che una volta ristabilitosi “non lesinò le sue critiche a certe velleità avventuristiche che si era-no manifestate subito dopo la notizia del grave at-tentato”6.In questo modo il gruppo dirigente dell PCI riesce ad assolvere con fermezza le proprie responsabili-tà contenendo gli impulsi generosi e la combattivi-tà tumultuosa della base del partito e di vasti stra-ti popolari.Dal dibattito contenuto negli Atti parlamentari che inizia alla Camera dei Deputati nel pomeriggio di quel 14 luglio, pubblicati in questo numero della nostra rivista, emerge con chiarezza la situazione politica che si viene a creare in Italia e fra i partiti politici. Sarà la DC, il PSLI, il PLI, il PRI che salveran-no da una mozione di sfiducia presentata dall’on. Giancarlo Pajetta, il quinto governo De Gasperi, con 173 voti contro, 83 favorevoli, 2 astenuti.E al termine di quelle drammatiche giornate in cui cadono nelle strade e nelle piazze d’Italia morti e feriti in incidenti con le forze di polizia e l’esercito, essendo ministro dell’Interno Mario Scelba, ven-gono rinviati a giudizio 92 mila lavoratori di cui 73 mila comunisti.La ricerca di Antonio Martino e le testimonian-ze raccolte da Rita Vallarino descrivono in modo

esaustivo quelle giornate drammatiche a Savona mentre Umberto Scardaoni, Presidente dell’ISREC documenta, dopo una sua ricerca d’archivio pres-so l’Istituto Gramsci di Roma il ruolo della Fede-razione del PCI di Savona e Franco Astengo de-scrive in una ricerca la situazione politica di Savo-na e della nostra provincia nell’aprile del 1948 at-traverso, anche, un puntuale commento dei risul-tati elettorali di quelle elezioni. Al riguardo, è op-portuno ricordare che questo impegnativo lavoro di Astengo ha costituito il nucleo della sua relazio-ne: “I risultati delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 nel contesto nazionale e nella provincia di Sa-vona” tenuta nel corso del recente convegno orga-nizzato dal nostro Istituto presso la sala consiliare della Provincia lo scorso 6 giugno, sul tema: “Il 18 aprile 1948 in Italia e a Savona. Una svolta nella sto-ria, nella politica, nei rapporti sociali”.E “Il Letimbro”, settimanale cattolico delle dioce-si riunite di Savona e Noli appresa la notizia alla ra-dio dell’attentato a Togliatti così commenta quel drammatico avvenimento:“No alla violenza. Noi vorremmo ora soltanto sot-tolineare con parole roventi come ogni atto di vio-lenza da chiunque sia compiuto e per qualsiasi sco-po, sia sempre un atto esacrabile… Bisogna ap-profondire la convinzione che è soltanto colla for-za della ragione e del dibattito che si può salvare la democrazia e la libertà”.Così, dopo quella estate infuocata che a raffreddar-la non fu certo la vittoria di Bartali al giro di Fran-cia secondo una leggenda metropolitana non priva di malizia politica perché mirata a svalutare il ruo-lo essenziale svolto dal gruppo dirigente del PCI e della CGIL di Di Vittorio per impedire una prospet-tiva insurrezionale in una realtà che non lo con-sentiva e che del resto avrebbe contraddetto la li-nea politica del PCI uscita dal VI Congresso, che la vita politica riprende la sua attività, governata fino al 1953 da maggioranze centriste e contrastata da una opposizione di cui il PCI insieme al PSI erano i partiti principali.Avendo ben presente il PCI che “nelle condizio-ni del dopoguerra l’alternativa non era tra rifor-me e rivoluzione, bensì, come Togliatti sottolineò in una celebre conferenza alla Normale di Pisa del 1946, fra programmi di riforme diversi”7, avendo ben presente il ruolo essenziale dei partiti per l’ac-

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Togliatti tiene un discorso alle Brigate internazionali durante la guerra di Spagna (1937). Egli si trovava nel Paese iberico come inviato dell’Internazionale comunista, con lo pseudonimo di Alfredo.

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cesso dei cittadini alla direzione dello Stato (“i par-titi sono la democrazia che si organizza, la demo-crazia che avanza”).Due lezioni, quelle del ‘48, la battaglia elettorale del 18 aprile prima e l’attentato a Togliatti del 14 luglio dopo, la cui rilettura è necessaria anche per l’oggi.Perché sull’anticomunismo virtuale è ancor oggi basato in buona misura il successo politico di for-ze politiche, economiche, culturali e clericali che come nella prima metà del ‘900, in contesti storici diversi e con mezzi formalmente democratici, cer-cano con successo “di impedire la realizzazione di un programma di modernizzazione del nostro Pae-se guidato dalla classe operaia” si diceva in que-gli anni. Guidato da un nuovo blocco sociale com-posto dalle forze produttive, disponibili, del lavo-ro, compresi tutti i lavoratori, si potrebbe afferma-

Note1 Il Parlamento italiano (1861-1988), volume quin-

dicesimo. Palmiro Togliatti. Nuova CEI, Roma, Il VI Congresso del PCI, pag. 367;

2 Quaderno di storia del PCI. La rottura dei gover-ni di unità nazionale redatto da Franco Di Ton-do, pag. 71. Tip. Salemi, Roma.

3 Ernesto Ragionieri, Storia d’Italia, Volume quarto, Tomo terzo, pag. 2469, Giulio Einaudi Editore, To-

rino, 1976.4 Quaderno di storia del PCI, pag. 195 Massimo L. Salvadori, Storia/3. Dal 1948 a oggi,

pag. 351, Loescher Editore, Torino, 1978.6 Quaderno di storia del PCI, pag. 19.7 Giuseppe Vacca, Plamiro Togliatti, Il Parlamento

italiano (1861-1988), volume quindicesimo, pag. 362. Nuova CEI, Roma.

8 Giuseppe Vacca, Palmiro Togliatti, cit. pag. 366.

re in oggi.“Quel programma di quel “partito nuovo” fu un realistico progetto di riforme da realizzarsi per in-tero ma da perseguirsi gradualmente con le risorse della politica democratica.Nella misura in cui Togliatti ne fu l’autore, esso fu l’opera di un “riformatore italiano”8.Del capo di un partito di donne e di uomini comu-nisti che “per venti anni, durante il regime fasci-sta (sono parole di Di Vittorio in risposta a De Ga-speri nel corso del dibattito alla Camera in quel lu-glio del ‘48) a decine di migliaia avevano sacrifi ca-to tutto: la propria libertà, i propri affetti familiari e affrontato la fame, la miseria, la tortura, il carcere, la deportazione, l’esilio per non desistere mai dal-la lotta per la conquista della libertà”.

Mario Lorenzo Paggi

Il dibattito in Parlamento per l’attentato al deputato Togliatti

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Roma, 14, 15, 16 luglio 1948

IL DIBATTITO IN PARLAMENTO“PER L’ATTENTATO AL DEPUTATO TOGLIATTI”

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I dirigenti del PCI nel 1945. Da sinistra: Pietro Secchia, Togliatti, segretario generale, Pietro Longo, vicesegretario, Mauro Scoccimarro, Giorgio Amendola. Nell’agosto di quell’anno Togliatti fu nominato segretario del partito nel corso del V Congresso del PCI, il primo dopo la liberazione.

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Segue una lunga discussione sul carattere dell’O.d.g. presentato dall’On.le Pajetta: se debba cioè essere considerato o no una vera e propria mozione di sfi ducia per il governo e quindi soggetto alle norme costituzionali in materia (presentato con le fi rme di un de-cimo dei componenti la Camera dei Deputati e discusso non pri-ma di 3 giorni dalla presentazio-ne). (n.d.r.)

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La seduta si apre con una ripre-sa del dibattito sul carattere del-l’O.d.G. Pajetta, presentato nel-la seduta pomeridiana del 14 lu-glio, che si conclude con l’accordo che si tratta di mozione di sfi du-cia. Quindi prende la parola l’On.le Mario Scelba (Ministro dell’In-terno) che risponde alle numero-se interrogazioni ed interpellan-ze. (n.d.r.)

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(Prende quindi la parola l’On.le Serbandini, Deputato Comunista di Genova) (n.d.r.)

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Il dibattito in Parlamento per l’attentato al deputato Togliatti

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Il dibattito in Parlamento per l’attentato al deputato Togliatti

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Il dibattito in Parlamento per l’attentato al deputato Togliatti

Sandro Pertini ai tempi in cui era Direttore del quotidiano “Il Lavoro” di Genova, deputato e infl uente membro della Direzione nazionale del P.S.I. Come noto, Pertini nel 1968 fu eletto Presidente della Camera dei deputati e l’8 luglio del 1978, Presidente della Repubblica.

3.

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Gli avvenimenti relativi all’atten-tato a Togliatti e al suo stato di salute erano seguiti naturalmen-te, anche al Senato.Il Presidente comunica all’aula il bollettino medico del 16 luglio. Su questo il socialista Sandro Perti-ni chiede la parola. Trascriviamo il suo intervento per documentare la stima e l’amicizia che lo legava a Togliatti al punto di fargli dire che “queste notizie” possono vera-mente riguardare solo noi di que-sto settore (indica il settore di si-nistra) e tormentare il nostro ani-mo”. (n.d.r.)

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si il PCI nei momenti dell’attentato e della conse-guente esplosione di rabbia popolare, non è altro che il riflesso della posizione difficile in cui esso è stato collocato dalla nuova situazione internazio-nale, che, nel quadro della nascente “guerra fred-da”, lascia ben poche speranze ai partiti comuni-sti occidentali, pure usciti vittoriosi dalla guerra di resistenza e dalla clandestinità. Ma si evincono an-che alcuni degli elementi fondamentali che han-no caratterizzato la polemica politica nell’imme-diato triennio postbellico, un periodo di contrap-posizioni fortissime, che hanno rischiato di rende-re effimera la pace conquistata nel 1945. L’atten-tato a Palmiro Togliatti, rappresenta il momento di definitiva “resa dei conti” cui vogliono giunge-re, per interessi contrapposti, sia i settori più con-servatori della compagine di governo, sia le fran-ge più marcatamente rivoluzionarie interne alla si-nistra.Si è molto discusso, in sede storiografica, sulla scelta, operata dal PCI, di frenare le spinte insur-rezionali di una parte consistente della sua base; ci si è chiesti, in primo luogo, se fosse stata una scelta dettata da considerazioni di carattere tatti-co, potremmo dire opportunistico, piuttosto che motivata da un sincero attaccamento ai principi e alle istituzioni democratiche. Globalmente, si può dire che le reazioni suscita-te, seppure in forma diversa, dalla notizia dell’at-tentato tradiscono la convinzione diffusa tra molti militanti comunisti, che soltanto una resa dei con-ti con l’avversario violenta e armata può portare ad un mutamento dei rapporti di forza e, in ulti-ma istanza, delle condizioni di vita di milioni di la-voratori italiani.Ma con altrettanta sicurezza si può dire che è sta-to proprio l’intervento del gruppo dirigente co-munista ad evitare che questa resa dei conti si tra-sformasse in una guerra civile vera e propria, dagli effetti imprevedibili ma sicuramente nefasti per la precaria situazione economica e sociale italiana. La scelta compiuta dai vertici comunisti, in quel momento drammatico e in assenza del carisma del leader, ha costituito infatti un passo fonda-mentale per il paese verso l’attenuazione di quei conflitti sociali sviluppatisi in misura sempre cre-scente all’indomani della liberazione dal nazifasci-smo. E ha rappresentato inoltre, per il PCI stesso, una tappa fondamentale sulla strada dell’adesio-ne, questa volta non soltanto formale ma di princi-

lano, Torino, e soprattutto Genova. La risposta del governo e del ministro dell’interno Mario Scelba è durissima. L’Italia vive tre giorni di guerra civile: 30 morti, più di 800 feriti, fabbriche occupate, bar-ricate nelle città, dissotterrate le armi della guer-ra partigiana, caserme assaltate, carabinieri e po-liziotti fatti prigionieri, collegamenti e comunica-zioni telefoniche e telegrafiche interrotte, che fan-no intravedere a molti, sia a destra che a sinistra, lo spettro di una lacerante guerra civile.Scorrendo i rapporti dei Prefetti e le pagine dei principali quotidiani emergono alcuni elementi interessanti per la ricerca storica sul secondo do-poguerra italiano. L’impasse in cui viene a trovar-

ORDINE PUBBLICO E STAMPA LOCALE IN

SAVONA E PROVINCIA NEI GIORNI

DELL’ATTENTATOA TOGLIATTI

Antonio Martino

Introduzione

Il 14 luglio del 1948, di fronte all’uscita seconda-ria del Parlamento, a Roma, l’onorevole Palmi-

ro Togliatti, capo indiscusso del Partito comunista italiano, viene ferito gravemente da alcuni colpi di pistola, sparati contro di lui da un giovane si-ciliano, Antonio Pallante, di idee politiche con-fusamente fasciste. Egli stesso dichiarerà poco dopo “di avere agito per un impulso del suo ani-mo che gli faceva riconoscere in Togliatti uno dei peggiori nemici del Paese.” Togliatti, caduto a terra, pare che abbia sussurrato a Mauro Scocci-marro “State calmi, non perdete la testa, non per-dete la testa!”.La notizia dell’attentato si propaga velocissima in-nescando l’immediata protesta della base del Par-tito comunista, che conta due milioni e mezzo di iscritti. Molto forti le ripercussioni in tutta la Peni-sola: in particolare a Roma, nelle campagne tosca-ne e al Nord, nei grandi centri industriali come Mi-

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pio, ai valori della democrazia e alle istituzioni su di essa fondate. Un processo che porterà il Parti-to Comunista Italiano a diventare una delle grandi forze democratiche e nazionali del nostro Paese.

Le fonti

Col presente studio ci proponiamo di ricostrui-re i fatti accaduti a Savona e provincia il 14 luglio 1948 e nei giorni successivi, subito dopo la diffu-sione della notizia dell’attentato contro l’on. To-gliatti a Roma.La documentazione utilizzata per la prima parte, è inedita, essenzialmente è quella del Gabinetto del Ministro dell’Interno, conservata all’Archivio Cen-trale dello Stato a Roma1 e dell’Archivio di Stato di Savona. Gli articoli della stampa locale, pubblicati nella seconda parte, sono conservati alla Bibliote-ca Universitaria di Genova.

Prima parte: Le comunicazioni tra il Prefet-to di Savona e il Ministro dell’Interno

Dal 14 al 16 luglio 1948 a seguito dell’attentato al-l’on. Togliatti il Prefetto di Savona e i comandanti dei Carabinieri inviano tempestivamente messag-gi al Ministro dell’Interno, l’on. Mario Scelba, ag-giornandolo puntualmente su quanto accade nei settori di loro competenza.

14 luglioore 18

Oggi 14 corrente subito dopo comunicato radio ore 14 relativo attentato contro On. Togliatti circa due-mila operai abbandonato lavoro si sono concentra-ti improvvisamente questa piazza Marconi. Elemen-ti facinorosi penetrati sede provinciale Democrazia Cristiana sita nella piazza stessa hanno devastato uf-fici asportandone mobilio che est stato incendiato. Durante incendio verificavansi scoppio alcune bom-be conservate dentro un armadio che ferivano leg-germente tre persone. Perdura nella popolazione vi-vissimo fermento. Adottati misure sicurezza dirette mantenimento ordine pubblico.Prefetto Vici2

ore 21.45Giorno 14 corr. ore 14 in Savona appena conosciu-to attentato contro On. Togliatti circa 10.000 ope-rai hanno abbandonato lavoro et concentratesi im-

provvisamente in Piazza Marconi avanti Federazio-ne Democristiana. Alcuni elementi penetrati nella sede detto partito devastavano Ufficio et distrugge-vano mobilio che veniva incendiato pubblica piazza. Durante incendio scoppiavano alcune bombe con-servate dentro un armadio che ferivano lievemente 3 persone. Intervento Carabinieri impediva ulterio-ri altre violenze. Perdura tensione animi et viva agi-tazione nella città. Adottate misure sicurezza per af-frontare situazione et prevenire ulteriori incidenti. Segnalazione completa. Ten. Col. Cacopardo [comandante Gruppo Carabi-nieri di Savona]3

ore 23.30Verso le ore 15 oggi ignoti devastavano in Finalma-rina sede democristiana rompendo porta ingresso, sedie, tavoli et armadio arrecando danni per circa 40.000 lire. In corso indagini per identificazione re-sponsabili. Operai stabilimento Piaggio avuto notizia attentato on. Togliatti abbandonavano lavoro. Fino-ra nessun altro incidente. Ordine pubblico normale. Segnalazione completa.Maresciallo Persico [comandante Sezione Carabinie-ri di Finalmarina]4

15 luglio 1948ore 10

Pomeriggio di ieri seguito notizia attentato On. To-gliatti sono state devastate da gruppi dimostranti se-di Democrazia Cristiana Finalmarina Vado et Valleg-gia. Maestranze stabilimenti Val Bormida riunitesi Cairo Montenotte per dimostrazione protesta svol-tasi senza incidenti. Questo capoluogo ferrovieri hanno sospeso servizio dalle ore 14.25 alle 15. Grup-pi di facinorosi hanno tentato assalto sede A.C.L.I. questa via Pia ma sono stati dispersi da forze polizia che controllano situazione. Notte trascorsa senza in-cidenti. In corso indagini per identificazione respon-sabili violenze.Prefetto Vici5

ore 12.45Situazione provincia Gruppo di Savona ore 24 del 14 corr. est invariataTen. Col. Cacopardo6

ore 18Seguito radiogramma ieri precisasi che secondo te-stimoni oculari bombe a mano scoppiate occasione

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nota dimostrazione anziché essere contenute in uno dei mobili appartenenti sede democrazia cristiana sarebbero state gettate nel fuoco da giovinastri non potuti finora identificare. Al riguardo sono in corso ulteriori accertamenti e riservomi comunicare esito.Prefetto Vici7

ore 18.40Seguito radiogramma odierno. Situazione control-lata organi polizia e ordine pubblico normale ben-ché siano stati effettuati durante giornata vari tenta-tivi ostruzioni stradali subito sventati intervento for-za pubblica.Prefetto Vici8

16 luglio 1948ore 11.35

Seguito precedente segnalazione. Decorsa notte est stato effettuato tentativo isolamento depositi petro-liferi Vado Ligure mediante tre ostruzioni stradali et cospargendo chiodi Via Aurelia scopo impedire ac-cesso automezzi polizia. Ciò malgrado forza pubbli-ca prontamente intervenuta ha rimosso dette ostru-zioni nonché altra analoga prossimità Altare. Perife-ria cittadina elementi approfittando oscurità hanno lanciato pietre contro automezzo polizia e fatto se-gno due colpi arma da fuoco pattuglia agente mo-tociclisti fortunatamente senza conseguenze. Battu-ta immediatamente eseguita per ricerca responsabili ha dato esito infruttuoso. In corso attive indagini et operati veri fermi. Situazione peraltro in via comple-ta normalizzazione.Ieri sera svoltesi riunioni sindacali preventivamente autorizzate at Albenga Alassio et Cairo Montenotte senza incidenti.Prefetto Vici9

18 luglio 1948La situazione è tornata normale nella provincia di Savona. Il vice segretario provinciale della De-mocrazia Cristiana G. B. Allegri invia un espresso al Ministro dell’Interno Scelba per informarlo sui danni subiti della sede e del comportamento te-nuto dai dirigenti politici avversari.

Democrazia CristianaSegreteria Provinciale di SavonaEspresso, Savona, 18 luglio 1948A S.E. l’On. Mario Scelba

Ministro degli InterniRoma

Eccellenza,desidero fare direttamente a Lei – che in questa tra-gica circostanza è stato il vero salvatore del Paese (e qui nessuno lo mette in dubbio) – una breve rela-zione di quanto avvenuto in questa città e provin-cia il 14 e 15 corr.La RAI aveva appena dato la notizia dell’attentato a Togliatti che già colonne di operai degli stabilimenti ILVA e “Scarpa e Magnano” si dirigevano incolonna-ti verso Piazza Marconi dove ha pure sede la Demo-crazia Cristiana. Alle ore 14 (cioè a 45 minuti dal ter-mine del giornale radio) la nostra sede provinciale e sezionale era già completamente distrutta. E’ stata una devastazione veramente integrale, non si è sal-vato nulla, neppure un foglio di carta. Sono stati sel-vaggiamente devastati i locali, gettati i mobili dalle fi-nestre e quindi incendiato tutto il materiale (mac-chine da scrivere, ciclostile, radio, etc.). Il carteggio è stato in parte incendiato e in parte asportato e tra-sportato nelle vicine sedi dei partiti P.S.I. e P.C.I. do-ve è stato esaminato. Anche il quadro murale è sta-to asportato.Gli assalitori provenivano dalla sede del P.C.I. e men-tre compivano la loro opera nella piazza antistante parlavano in termini violentissimi diversi oratori fra i quali: l’on. Minella, il federale comunista Lunardel-li, i segretari della Camera del Lavoro Prof. Cazzulo (P.S.I.) e dott. Ghigliotto (P.C.I.), l’anarchico Marzoc-chi. Non sono state toccate le sedi degli altri partiti (Liberale, P.S.L.I., P.R.I.).Una commissione composta dalla On. Minella, dal federale Lunardelli, dall’Ing. Dotta (candidato socia-lista al Senato non riuscito) e dal rag. Bruzzone (ex prefetto della Liberazione) si recava quindi in Prefet-tura per chiedere la consegna dei poteri. Intanto la città era praticamente in mano ai rivoltosi che però non compirono altri vandalismi. Successivamente al-cuni nostri elementi vennero aggrediti od inseguiti, senza però gravi conseguenze.In provincia sono state completamente distrutte le sedi delle nostre Sezioni di Finale Ligure, Valleggia, Quiliano e Vado Ligure; la sede della Sezione di Spo-torno è stata invasa, tutto asportato e bruciato senza però danni ai mobili e locali.L’Autorità – grazie specialmente all’energia dimo-strata dal Col. dei Carabinieri Cacopardo, comandan-te il Gruppo di Savona – ha potuto presto ripren-

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dere il controllo della situazione senza alcun spar-gimento di sangue. Non vi furono che tre feriti leg-geri durante la devastazione della nostra sede e ciò per lo scoppio di alcune bombe lanciate dagli assa-litori stessi. Infatti è completamente priva di fonda-mento la notizia che nella sede stessa vi fossero del-la armi od esplosivi; bombe a mano furono lanciate dai dimostranti contro la sede e contro i falò dei no-stri mobili accesi nella piazza stessa.Purtroppo sinora non è stato fatto ancora alcun ar-resto nel mentre sono stati facilmente individuati gli esponenti che evidentemente hanno incitato la teppa all’azione devastatrice. Si tratta delle persone suaccennate che hanno poi avuti l’ardire di chiede-re al Prefetto la cessione dei poteri impegnandosi a garantire loro l’ordine pubblico. Simile assurda pre-tesa è stata recisamente respinta anche in seguito al-l’intervento del Col. dei Carabinieri.Riassumendo:- danni alle nostre sedi per oltre tre milioni;- aggressione, sottrazione di documenti, a qualche nostro elemento;- asportazione di tutto il nostro carteggio che in par-te almeno è stato portato nelle sedi socialista e co-munista che si trovano nelle immediate vicinanze della nostra sede;- nessun arresto.I nostri amici – interpreti di tutta la parte sana del-la popolazione conscia del pericolo incorso – chie-dono che le autorità dimostrino ogni possibile ener-gia sia nel denunziare od arrestare i veri responsabi-li (specialmente i mandanti e gli eccitatori), sia nel tentare di reperire parte almeno del materiale che ci è stato rubato e ciò mediante perquisizioni tempe-stive, che sinora non sono state eseguite.Si fa inoltre rilevare che la nostra città – che ha una notevole importanza come secondo porto d’Italia, sede di grandi complessi industriali, con le raffinerie di petrolio di Vado, etc. – dovrebbe essere più ade-guatamente provvista di forze armate.I carabinieri hanno fatto del loro meglio; gli agenti di P.S. si sono pure fatti onore; ottima impressione han-no pure fatto i soldati del locale battaglione presidia-rio che però ha effettivi troppo ridotti. Ma è assoluta-mente necessario che queste forze vengano integra-te e rese più efficienti mediante l’assegnazione alme-no di un reparto mobile con autoblindo e che possa facilmente spostarsi anche nei vicini centri industria-li di Cairo, Finale Ligure, Pietra Ligure, Varazze.Eccellenza,

i democristiani del Savonese guardano a Lei con pie-na fiducia e chiedono che sia fatta giustizia.Voglia accogliere, Eccellenza, i devoti omaggi ed i cordiali saluti dei democristiani savonesi.Suo devotissimo

Il V. Segretario Provinciale e Segretario Organizzativo Prov.

(G. B. Allegri)10

Il 22 luglio il Segretario democristiano Angelo Ba-rile presenterà la denuncia della devastazione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona11 nella quale sono presenti otto fotogra-fie della sede di Savona, ne pubblichiamo tre.La pubblicazione delle fotografie è stata concessa dal Direttore dell’Archivio di Stato di Savona con autorizzazione prot. n.1308, class. 28.13.05 del 24 maggio 2008.

19 luglio

I fatti di Vado e di Quiliano

Il Prefetto Vici comunica che, a seguito di indagini relative alle devastazioni verificatesi nella provin-cia i carabinieri di Vado e Quiliano hanno denun-ciato nove persone per le devastazioni delle se-di D.C. di Quiliano, Valleggia di Quiliano e Vado e due donne per istigazione a delinquere. Inoltre ribadisce che le indagini per identificazione deva-statori sede D.C. di Savona sono avanzate e che ri-ferirà al più presto.12

Il Ministro Scelba chiede al Prefetto di “riferire ul-teriormente su fatti segnalati precisando perchè non est procedutosi at arresto responsabili avve-nute devastazioni. Governo pretende che autorità agiscano senza debolezza et con rigore confronti tutti responsabili”13.

20 luglio

Il Prefetto aggiorna che in seguito ad ulteriori in-dagini dei carabinieri di Vado e Quiliano ha de-nunciato oltre 10 persone quali responsabili delle note devastazioni. Pertanto il numero complessi-vo persone finora denunziate è di diciannove.14

Ma intanto il Ministro Scelba ha ricevuto l’espres-so del V. Segretario Provinciale della D.C. G. B. Al-legri del 18 luglio, il cui contenuto allarmante lo porta a telegrafare al Prefetto

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Nella foto, la devastazione della sede provinciale della DC a Savona.4.

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Risulta questo Ministero che giorno 14 corrente commissione composta Minella, Lunardelli, Dotta et Bruzzone sarebbesi presentata V.S. chiedendo ces-sione poteri. Invito V.S. riferire su circostanze et mi-sure adottate contro autori grave reato nonché con-tro autori noti altri gravi reati. Avverto V.S. che ogni tentativo lasciare impuniti responsabili risponderà direttamente. Agisca inoltre per recupero materiale asportato sede democrazia cristiana.Ministro Interno Scelba15

Sono parole dure quelle del Ministro, alle qua-li il Prefetto risponde inviando un telegramma il 23 luglio.

Notizia secondo la quale commissione composta Mi-nella Lunardelli Dotta et Bruzzone si sarebbe pre-sentata per chiedere cessione poteri est assoluta-mente priva fondamento alt Suddette persone ri-cevute dopo comizio hanno protestato, ritenendo-le provocatorie, contromisure adottate per preve-nire altre violenze et hanno rappresentato che atti commessi in danno sedi provinciali democrazia cri-stiana erano dovute a sdegno irrefrenabile masse operai per attentato contro On. Togliatti alt Lunar-

delli ripeté di avere parlato invitando operai rientra-re stabilimenti alt Sottoscritto prendendo occasione presenza suddetto deplorò atti vandalismo assolu-tamente ingiustifi cabili, li invitò collaborazione per distensione animi, avvertendo che nel caso si veri-fi cassero ulteriori violenze sarebbero stati richiama-ti direttamente responsabili et forza pubblica avreb-be fatto uso armi alt Per quanto riguarda le misure adottate avverso autori reati ho riferito dettagliata-mente con telegramma 21 corrente n° 1011-6-3 alt Comunque ho rinnovato precise direttive organi po-lizia per procedere massima urgenza at a carico au-tori violenze stesse alt Per quanto si riferisce al mate-riale sedi devastate preciso che mobilio est stato di-strutto; sono in corso rigorose indagini per recupe-rare documenti alt Da parte mia nulla est stato trala-sciato perchè ordine pubblico venisse prontamente ristabilito perchè indagini dirette stabilire responsa-bilità vengano svolte massimo impegno et ogni mia azione è diretta perchè responsabili vengano colpi-ti rigore legge. Per quanto si riferisce alla commissio-ne spedisco oggi dettagliato rapporto espresso. Pre-fetto Vici.16

Il giorno dopo, il Prefetto risponde al Ministro sul

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La riproduzione del manifesto della D.C. Savonese affisso per Savona dopo la devastazione della sua sede.

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CITTADINI!

dall’atto di un forsennato, che noi con-danniamo con la stessa fermezza con cui abbia-mo sempre esecrato ogni violenza, si è voluto trarre pretesto ad una agitazione politica che ha profondamente turbato il Paese lasciando pie-tose vittime tra i civili e i generosi tutela-tori dell’ordine. Per il fine propostosi e per il modo in cui si è svolta essa è stata un pale-se attentato ai principi della Democrazia par-lamentare, un nuovo e maggiore ostacolo frappo-sto al penoso sforzo ricostruttivo della Nazio-ne. Ma soprattutto ha servito ad alimentare sem-pre più negli animi il torbido spirito della so-praffazione e dell’odio. Ne è tristissimo esem-pio la vandalica, bestiale violenza che da parte socialcomunista è stata scatenata contro la no-stra sede Savonese e contro altre valorose se-zioni della Provincia.

Di fronte a simili fatti che disonorano non meno chi li ha ispirati di chi li ha compiu-ti, si erge fiera e indignata l’anima della De-mocrazia Cristiana Savonese e certamente si uni-scono alla nostra protesta tutti gli spiriti li-beri e onesti.

Ma molto più delle distruzioni patite – e dalle quali le nostre sedi risorgeranno ben pre-sto a più fervida vita – ci addolorano e ci fanno pensosi le profonde devastazioni morali e quel-l’imbarbarimento del costume politico di cui, per colpa dei nostri avversari, è ancora una vol-ta vittima il popolo.

Questo è il vero pericolo dell’ora che volge, contro il quale si eleva la voce della no-stra umana e cristiana civiltà e lancia il suo sguardo a tutti i cittadini devoti alla Libertà e alla Patria

La D.C. Savonese.

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perchè i responsabili delle devastazioni non sono stati immediatamente arrestati con un lungo te-legramma

Devastazioni sedi D.C.: di cui precedenti segnalazio-ni si sono verificate improvvisamente et contempo-raneamente at inizio manifestazioni protesta per at-tentato contro Togliatti rilevanti masse prevalenza operaie et mentre forze polizia erano in gran par-te impegnate per presidiare importanti stabilimen-ti petroliferi Vado Ligure seriamente minacciati oc-cupazione da parte scioperanti et pertanto necessità prevenire altri disordini impedì primo momento di perseguire autori violenze stesse. Seguito immedia-to energico intervento scrivente questore et coman-dante locale Gruppo carabinieri forze polizia dislo-cate opportunamente nella città periferia et comuni dove erano stati segnalati incidenti hanno impedito altre violenze at persone et cose disperdendo grup-pi facinorosi che tentavano ostruzioni stradali et as-salti altri obiettivi. Ordine pubblico veniva immedia-tamente ristabilito et nessun ulteriore incidente ve-rificavasi durante sciopero generale in tutta provin-cia. Seguito attivissime indagini locale Questura con concorso arma carabinieri habet denunziato autorità giudiziaria n. 5 persone per devastazione sede D.C. Savona, due per illecito possesso documenti aspor-tati detta sede, due per violenza contro giovani de-mocristiani, et una per danneggiamento bacheche D.C., una per rifiuto generalità et sei fra esponen-ti sindacali quali promotori et oratori riunioni pub-bliche tenute senza prescritto preavviso autorità. Per altre devastazioni sedi D.C. cui precedenti segnala-zioni sono state denunziate 54 persone. Complessi-vamente persone denunziate ammontano a 71. Inte-ressata locale Procura Repubblica per sollecita defi-nizione procedimenti penali et avuta assicurazione che azione giudiziaria avrà rapido corso. Riservomi dettagliato rapporto.Prefetto Vici17

Lo stesso giorno il Prefetto riferisce in modo det-tagliato sull’incontro con la commissione compo-sta dalla Minella, Lunardelli, Dotta e Bruzzone.

Faccio seguito al telegramma di ieri 23 corr. perchè credo opportuno di riferire dettagliatamente circa la richiesta che una Commissione costituita dall’On. Minella, Lunardelli, Dotta e Bruzzone avrebbe fatto per la cessione dei poteri.

Come comunicato, la notizia non corrisponde a veri-tà; il fatto va circoscritto nei suoi precisi termini che sono i seguenti:Dopo il comizio svoltosi in piazza Marconi, le perso-ne suddette si recarono in Prefettura e chiesero di essere da me ricevute.Entrate nel mio Gabinetto l’On. Minella enunciò lo scopo della visita con le seguenti testuali paro-le: “Chiediamo rispetto e comprensione”. E poiché le parole pronunciate non mi parvero chiare, chie-si di volerne spiegare il contenuto. L’On. Minella re-plicò lamentando che la forza pubblica fosse in vista del popolo, perchè ciò poteva servire di provocazio-ne, e cercò di far comprendere come la devastazio-ne della sede della Democrazia Cristiana fosse avve-nuta contro il loro volere e fosse dovuta ad un mo-to irrefrenabile di popolo, indignato per l’attentato contro l’On. Togliatti.Il Lunardelli, segretario del partito comunista, ebbe cura di mettere in evidenza come nel discorso tenu-to poco prima egli avesse replicatamente invitato gli operai alla calma e a rientrare negli stabilimenti. Un accenno dell’Ing. Dotta al mantenimento dell’ordi-ne pubblico provocò una interruzione del Colonnel-lo dei Carabinieri in modo che lo stesso Dotta s’in-terruppe e non poté continuare a parlare. Interven-ni subito invitando il Dotta stesso a proseguire per-chè desideravo conoscere il suo pensiero in modo chiaro e senza equivoci.Fu chiarito immediatamente che si alludeva ad una cooperazione perchè non avvenissero altri inciden-ti. Da parte mia credetti bene di precisare che l’or-dine pubblico sarebbe stato mantenuto ad ogni co-sto anche facendo uso delle armi, e che io non avrei tollerato inframmettenze di sorta come avevo già di-chiarato in altre occasioni, non ultima quella in cui convocai i segretari dei partiti alla vigilia delle elezio-ni politiche. Nello stesso tempo prendevo occasione della presenza degli intervenuti per invitarli a com-piere opera per la distensione degli animi, mentre deploravo nel modo più vivo l’atto vandalico com-messo ai danni di un partito, e tanto più mi dichia-ravo profondamente dolente in quanto nessun inci-dente aveva turbato la vita della città e della provin-cia durante i quattordici mesi della mia permanenza a Savona, pure avendo attraversato momenti parti-colarmente difficili.Il Rag. Bruzzone non disse parola.Dopo di ciò i componenti della Commissione se ne andarono silenziosi e scossi, mi parve, per le mie pa-

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role.Affermo pertanto nel modo più esplicito che la Commissione stessa non chiese né cessione di po-teri, né in qualunque modo di sostituirsi alle Auto-rità costituite.Se avessi avuto dinanzi a me una Commissione la quale mi avesse fatto la richiesta di cui si tratta, ne avrei informato immediatamente codesto Ministero, e tanto io quanto il Questore ed il Colonnello dei Carabinieri, presenti al colloquio, avremmo agito in conseguenza.Il Prefetto Vici18

26 luglioIl Prefetto invia un rapporto definitivo su “Savona e provincia - Agitazioni seguite alla notizia del-l’attentato contro l’On. Togliatti.”

Sciogliendo la riserva di cui alle segnalazioni telegra-fiche n.1029/6-3 e n.01867 del 24 corrente. Si comu-nica che il giorno 14 corrente, poco dopo le ore 14, una folla di notevole entità (circa 10.000 persone) si radunava improvvisamente in questa piazza Marco-ni, in seguito alla notizia, comunicata per radio, del-l’attentato contro l’On. Togliatti. La folla era compo-sta in massima parte di operai, giunti sul posto in corteo, provenienti dalle fabbriche, concentrati nel-la piazza quasi simultaneamente, in seguito a istru-zioni diramate nello stesso tempo dalle varie com-missioni interne. La folla aveva appena occupata la piazza che forti gruppi di facinorosi fulmineamen-te invadevano la sede provinciale della Democrazia Cristiana, sita nella piazza stessa, distruggendo com-pletamente i mobili e gli arredi vari in essa esisten-ti, buttando tutto dalle finestre, mentre alcuni indi-vidui tra la folla sottostante formavano due cumuli del materiale scaraventato dalle finestre, cui appic-cavano il fuoco.Nel contempo, diversi oratori (senza aver dato il prescritto preavviso all’Autorità) prendevano la pa-rola da una finestra della sede provinciale del P.S.I., prospiciente la stessa piazza Marconi, e precisamen-te: Amilcare Lunardelli e l’On. Angiola Minella, del P.C.I.; l’ing. Andrea Dotta, del P.S.I.; il rag. Francesco Bruzzone, aderente al F.D.P., e Umberto Marzocchi, anarchico.Ad un certo punto, dal rogo acceso sotto le finestre della sede della Democrazia Cristiana esplodevano alcuni ordigni, successivamente identificati in bom-be a mano “balilla”, ferendo leggermente tre perso-

ne. Uno degli ordigni venne rinvenuto, inesploso, nel corso delle indagini, e sequestrato.Intanto, quasi contemporaneamente, analoghe de-vastazioni venivano segnalate da alcuni comuni della Provincia, e precisamente: Vado Ligure, Finalmarina, Valleggia di Quiliano, Quiliano.In seguito all’energico immediato intervento dello scrivente, unitamente al Questore e al Comandante il locale Gruppo Carabinieri, le forze di polizia dispo-nibili, opportunamente dislocate nella Città, in pe-riferia e nei comuni dove erano stati segnalati inci-denti, impedivano altre violenze alle cose e alle per-sone, disperdendo gruppi di facinorosi che tentava-no ostruzioni stradali e assalti ad altri obbiettivi, qua-li la sede del partito liberale e la sede dell’A.C.L.I. locale. L’ordine pubblico veniva immediatamente ri-stabilito, ma, il giorno successivo, e per tutta la du-rata dello sciopero generale di protesta proclamato dalla C.G.I.L., le forze di polizia erano continuamen-te impegnate nella rimozione di ostruzioni strada-li, disposte in numerose località della Provincia, sen-za tuttavia venire a contatto coi dimostranti, che, al-l’approssimarsi della forza pubblica, per sottrarsi al-la cattura, abbandonavano gli sbarramenti, disper-dendosi.In particolare, la notte sul 16 corrente, veniva effet-tuato un tentativo d’isolamento dei depositi petroli-feri di Vado Ligure – fortemente presidiati da forze di polizia – mediante tre ostruzioni stradali e cospar-gendo di grossi chiodi la via Aurelia, allo scopo d’im-pedire l’accesso agli automezzi di polizia. Ciò mal-grado, la forza pubblica, prontamente intervenuta, rimuoveva le ostruzioni e ripristinava il traffico. La stessa notte, alla periferia cittadina, ignoti, approfit-tando dell’oscurità, lanciavano pietre contro un au-tomezzo della polizia e facevano segno a due colpi di arma da fuoco una pattuglia di agenti motociclisti, fortunatamente senza conseguenza.Alle ore 12 dello stesso giorno 16, cessato lo scio-pero generale, il lavoro veniva ripreso regolarmen-te in tutta la Provincia, senza che si fossero verifica-ti altri incidenti.Gli improvvisi e simultanei perturbamenti conse-guenti alla notizia dell’attentato contro l’On. Togliat-ti, si erano verificati in un momento in cui gran parte delle forze di polizia erano immobilizzate per presi-diare i quattro importanti stabilimenti petroliferi si-ti nella zona di Vado Ligure e seriamente minacciati di occupazione da parte degli scioperanti, e pertan-to la necessità di prevenire altri disordini e di sventa-

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re, con le forze al momento disponibili, attacchi ad altri obbiettivi minacciati (come già si è detto), im-pedì in un primo momento di perseguire in flagran-za gli autori delle devastazioni. Ma, appena ristabili-to l’ordine, la locale Questura, col concorso dell’Ar-ma dei Carabinieri, e previe attivissime e comples-se indagini, ha identificato e denunziato all’Autori-tà Giudiziaria n. 5 persone per devastazione alla se-de della Democrazia Cristiana di Savona, n. 2 per ille-cito possesso di documenti asportati dalla sede stes-sa, n. 2 per violenze contro aderenti alla D.C., n. 1 per danneggiamento delle bacheche della D.C., n. 1 per resistenza e rifiuto di generalità agli agenti della forza pubblica, n. 6 quali promotori e oratori di riu-nioni pubbliche tenute senza il prescritto preavviso all’Autorità di P.S.. Quest’ultimo numero compren-de i cinque esponenti di partiti politici che presero la parola durante la dimostrazione in piazza Marco-ni e in più il segretario della corrente socialista della locale C.d.L. Cazzullo Aldo, per analogo comizio te-nuto ad Altare.Per quanto riguarda le bombe inesplose duran-te il rogo degli arredi devastati della D.C., mentre la stampa di sinistra e, in parte, l’opinione pubblica hanno sostenuto ch’esse fossero contenute nei mo-bili asportati dalla sede della D.C., le indagini suc-cessive, eseguite dalla Questura, hanno permesso di appurare, attraverso deposizioni di testimoni ocula-ri, che gli ordigni furono gettati nel fuoco da alcuni giovinastri, adunati fra la folla.Per le devastazioni delle altre sedi della D.C nei suin-dicati comuni della Provincia, sono state denunzia-te complessivamente 54 persone. Pertanto, il totale delle persone finora denunziate ammonta a 71.La locale Procura della Repubblica, interessata per la sollecita definizione dei procedimenti penali, ha dato assicurazione che l’azione giudiziaria avrà rapi-do corso.Fra gli episodi di carattere politico, commessi con l’attentato contro l’on. Togliatti e le tumultuose agi-tazioni che ne sono seguite, vanno segnalate una riu-nione interna del P.C.I., avvenuta la sera del 16 cor-rente, presso la federazione provinciale, con l’inter-vento degli onn. Pessi e Velio Spano, della direzio-ne del Partito, per l’esame della situazione politica contingente, e una riunione dei dirigenti provincia-li dell’A.C.L.I., avvenuta il pomeriggio del 17 corren-te, presso la sede locale, nel corso della quale gli in-tervenuti si sono espressi, a forte maggioranza, per il distacco della corrente sindacale democristiana del-

la C.G.I.L.Il comportamento delle forze di polizia in occasio-ne dei suddetti disordini, è stato degno del massimo elogio. Pur essendo costrette ad agire in condizioni di particolari difficoltà (per i motivi già esposti), le forze dell’ordine hanno dato prova di abnegazione, di coraggio e di alto senso del dovere, prodigando-si con spirito di sacrificio nei numerosi, gravosi e im-pegnativi servizi, senza badare a rischi, e guadagnan-dosi l’ammirazione e la simpatia della gran maggio-ranza della popolazione.Il Prefetto Vici19

Il rapporto definitivo parla di armi nascoste del-le quali fa riferimento il cartello esposto dai dimo-stranti durante la devastazione. Si tratta del depo-sito di armi nascoste nell’Ospedale S. Paolo sco-perto il 3 maggio dello stesso anno.20

Quel giorno l’Arma dei Carabinieri, d’intesa con la Questura, in seguito a predisposte indagini, pro-cedeva alla perquisizione dell’Ospedale civile. Rin-veniva, accuratamente occultato, numeroso mate-riale bellico in ottimo stato di conservazione, fra cui: due mitragliatrici pesanti, due fucili mitraglia-tori, due “sten”, un “parabellum”, due fucili auto-matici, sette moschetti, trentacinque bombe a ma-no, alcune migliaia di cartucce ecc.Undici persone (di cui 6 in istato d’arresto) appar-tenenti all’amministrazione dell’ospedale, quasi tutte iscritte o simpatizzanti per i partiti comuni-sta e socialista italiano, erano denunciate alla lo-cale Procura per detenzione di armi da guerra e munizioni.Il processo contro di loro si svolgeva il 9 e il 10 giugno presso il locale Tribunale. Il meccanico Boagno Angelo di Dalmazio era condannato a due anni di reclusione e L. 50.000 di multa; i guardia-ni Virano Giulio di Pietro e Sobrero Francesco di Francesco erano assolti per insufficienza di pro-ve, e gli altri otto imputati per non aver commes-so il fatto. Il processo, che aveva richiamato mol-to pubblico, si era svolto ordinatamente, senza in-cidenti.21

29 luglioIl Prefetto di Savona comunica al Ministro che il quotidiano “L’Unità”, nel n° 180 dell’edizione ge-novese, ha pubblicato il contenuto di una lette-ra sottratta durante la devastazione sede democri-stiana di Savona. “Questura habet proceduto de-

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nunzia Modena Aldo et Antonio Calvi responsabili sottrazione stessa. Richiamata nuovamente atten-zione autorità giudiziaria per sollecita definizione provvedimenti legali in corso. Prefetto Vici”.22 Nel-la documentazione è presente la copia del fono-gramma prefettizio inviato il 2 agosto al Ministero di Grazia e Giustizia.In realtà “L’Unità” (edizione genovese) già aveva pubblicato nel n° 178 un’altra lettera, che presen-tiamo nella seconda parte del presente lavoro, e la notizia del rinvenimento delle lettere era stata data il 21 luglio da “L’Unità” nella cronaca di Savo-na. Aldo Modena e Antonio Calvi, impiegati all’Uf-ficio provinciale del Lavoro, verranno interrogati in Questura ma durante l’istruttoria non emerge-ranno elementi a loro carico.

I fatti di Pallare

Il 28 luglio 1948 la Direzione Generale di P.S. del Ministero dell’Interno comunica al Prefetto di Sa-vona e per conoscenza al Gabinetto del Ministro, che “I Carabinieri di Cairo Montenotte, con tele-gramma n. 270 del 17 corr. hanno segnalato che il 16 detto mese in località Assopini del comune di Pallare ignoti esplodevano colpi di arma da fuoco contro tali Castiglia Rocco e Minetti Carlo, feren-doli. Si prega di disporre le più opportune indagi-ni per l’identificazione dei responsabili, riferendo-ne il risultato. Il capo della polizia”23.Rocco Castiglia morirà per le ferite riportate, gli autori dell’assassinio avevano approfittato del cli-ma di tensione sociale di quei giorni. Non siamo in possesso di ulteriore documentazione tra la Di-rezione Generale e il Prefetto di Savona su questo episodio. Il 1 ottobre 1948 il Prefetto riferisce al Gabinetto del Ministro

dagli accertamenti fin qui praticati è risultato che l’omicidio in persona del Castiglia Rocco, è da rite-nersi dovuto a vendetta. Il predetto, condannato nel 1945 dalla Corte di Assise Straordinaria di Savona ad anni 6 e mesi 8 di reclusione per collaborazionismo, rimase in carcere dall’aprile 1945 al 28 giugno 1946, data in cui venne scarcerato per amnistia.Era iscritto al Casellario Politico Centrale con prov-vedimento di normale vigilanza.Nei Comuni di Carcare, Bormida, Pallare e frazio-ne Biestro era ritenuto delatore, autore di rastrella-menti e conseguenti fucilazioni di partigiani. Le in-

dagini praticate dall’Arma per l’identificazione degli autori del delitto hanno dato fino ad oggi esito nega-tivo, ma proseguono con vivo interessamento e si fa riserva di ulteriori comunicazioni.Il Capo della Polizia24

I fatti di Varazze

Il 13 agosto il Prefetto di Savona invia un telegram-ma al Ministro25 che a seguito di indagini svolte, i carabinieri di Varazze hanno denunziato all’autori-tà giudiziaria sedici persone responsabili violenza privata per aver imposto, mediante minacce, chiu-sure esercizi pubblici durante lo sciopero genera-le nei giorni 14/15 luglio scorso.Di questa vicenda sappiamo solo che quasi due anni dopo, il 6 giugno 1950, il Prefetto informerà il Ministro26 che delle persone responsabili di “vio-lenza privata ai danni di esercenti ed artigiani del-la città di Varazze, in occasione delle dimostrazio-ni sedizione verificatisi in seguito all’attentato al-l’on. Togliatti”:

Il locale Tribunale, con sentenza in data 22.5. c.a. condannava:1) Salaroli Antonio fu Cesare, di anni 53, a mesi 4 di

reclusione;2) Rossetti Adalgisa di Modesto, di anni 37;3) Tomasi Galliano fu Giuseppe di anni 42, a mesi 3

di reclusione;4) Ghigliotto Gerolamo di Pietro, di anni 47, a mesi

2 di reclusione,nonché al pagamento delle spese e tasse in solido, concedendo al Salaroli, alla Rossetti ed al Ghigliotto il beneficio della sospensione condizionale e dichia-rando interamente condonata la pena al Tomasi.Assolveva gli altri 11 imputati per insufficienza di prove.

Il 14 agosto 1948 il Prefetto comunica che a segui-to ordini di cattura emessi il 10 dall’autorità giu-diziaria, sono stati arrestati “Arena Vincenzo bar-biere et Bontà [Botta] Luigia operaia stabilimen-to Servettaz Basevi per reati art. 635 c.p. commes-si durante sciopero generale 14 luglio u.s. alt.”27. Il processo inizierà il 1 settembre. Il 26 agosto una raccomandata del Prefetto comunica che la Que-stura, con rapporto del 25 corr., “ha denunziato all’Autorità Giudiziaria altre due persone, quali re-sponsabili della devastazione della sede provincia-

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le della Democrazia Cristiana, e quattro per co-struzione di barricate in strade cittadine. Pertan-to, il numero delle persone complessivamente de-nunziate in questa Provincia, per i noti incidenti, è salito a 93”. Tutte le persone denunciate saranno prosciolte durante l’istruttoria.L’azione del Prefetto continua, il 29 agosto riferi-sce sui fatti accaduti a Quiliano e Valleggia:

in esecuzione mandati cattura emessi autorità giu-diziaria sono stati arrestati Trevisan Sante di Valerio residente a Vado ligure operaio locale Stabilimento Scarpa Magnano et Aliprandi Riccardo di Angelo re-sidente Quiliano garzone muratore per reati art. 635 c.p. commessi et Quiliano et Valleggia di Quiliano durante sciopero generale 14 luglio scorso. Segui-to tali arresti operai stabilimento Scarpa Magnano et stabilimento Vado Ligure hanno sospeso lavoro per dieci minuti segno protesta. Nessun incidente. Ordi-ne pubblico normale. Prefetto Vici.28

Dopo più di un anno, il 21 settembre 1949 il Pre-fetto comunica che il processo a carico dei re-sponsabili della devastazione delle sedi della De-mocrazia Cristiana di Vado Ligure, Valleggia e Qui-liano, “che doveva aver luogo ieri presso il locale Tribunale, è stato, dopo breve discussione, rinvia-to a nuovo ruolo in attesa che la Corte di Cassa-zione si pronunci sull’istanza di rinvio ad altra se-de per legittima suspicione” 29.Il 1 settembre 1948 inizia il processo a carico di Arena Vincenzo e Botta Luigia arrestati il 10 ago-sto per concorso nella devastazione della sede della Democrazia Cristiana di Savona durante lo sciopero del 14 luglio. Il Prefetto comunica al Mi-nistro che su richiesta del P.M. il processo è sta-to rinviato a nuovo ruolo e ai due imputati è sta-ta concessa la libertà provvisoria e il 3 settembre invia il verbale di rinvio. Il processo riprende il 20 aprile 1949, Arena e Botta vengono assolti per non aver commesso il fatto.

Seconda parte: la stampa locale“L’Unità” del 16 luglio 1948

Tutta la Liguria è scesa in lottaSavonaPochi minuti dopo mezzogiorno la notizia dell’at-tentato a Togliatti cominciò a diffondersi fra i fer-rovieri. In pochissimo tempo essa fece il giro del-

la città, si diffuse a Vado, nell’albissolese, a Quilia-no, si propagò nelle sale mensa delle fabbriche. C’era tuttavia della perplessità poiché mancava una conferma ufficiale. Ma il giornale radio delle 13 – purtroppo – dissuase ogni dubbio. Parve che una scossa elettrica scuotesse la città, accerchian-dola. Le sirene degli stabilimenti sibilarono in co-ro. E, subito dopo, colonne concentriche di lavo-ratori si diressero verso piazza Marconi dall’Ilva, dal Porto, dalla Scarpa e Magnano, dalla Servet-taz, dalle Funivie.L’atmosfera era accesa. Autocarri carichi di carabi-nieri apparvero improvvisamente, la folla, tremen-damente calma, li costrinse a rientrare.Frattanto, al colmo dell’esasperazione, gruppi di cittadini, seriamente provocati, invasero la sede della D.C. scaraventando dalle finestre mobili e suppellettili cui fu appiccato il fuoco. Improvvisa-mente dal falò partirono numerose esplosioni. Si trattava di bombe a mano rinchiuse nei cassetti dove, evidentemente erano occultate da tempo.Su una finestra della sede D.C. veniva immedia-tamente affisso un cartello con la scritta: “Celere! Carabinieri” Ecco dove sono le armi che voi cer-cate!”.Le esplosioni ferirono leggermente alcune perso-ne.Tutto ciò accadde mentre il comizio si era appena iniziato e stava parlando il compagno Lunardelli, segretario della Federazione Comunista; successi-vamente espressero i loro sentimenti e quelli dei loro partiti, l’on. Angiola Minella, l’ing. Dotta, se-gretario della Federazione Socialista, l’ex Prefetto della Liberazione, Bruzzone, l’anarchico Marzoc-chi.Più tardi, mentre la Federazione Comunista ema-nava un vibrato ordine del giorno nel quale si ele-vava fiera protesta per il nefando attentato a To-gliatti, i dirigenti del PSI e del PCI richiedevano energicamente alle autorità di provvedere con ur-genza nei confronti degli esponenti D.C. nella cui sede erano state rinvenute armi e munizioni. Il co-mandante dei carabinieri dava vaghe e arroganti risposte.La situazione intanto si manteneva calma, grazie anche al fatto che la polizia, dopo la fugace appa-rizione iniziale, si era astenuta dall’intervenire. In serata giungeva l’edizione straordinaria dell’Unità il cui camioncino veniva preso letteralmente d’as-salto dalla folla ansiosa di avere notizie sullo sta-

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to di salute di Togliatti e sulla situazione. Ieri, poi, l’ordine più assoluto regnava in città, mentre lo sciopero generale proseguiva compatto. Capan-nelli foltissimi di gente sostavano in permanenza presso le radio che trasmettevano le ultime noti-zie, le sedi dei partiti e la Camera del Lavoro.La giunta comunale, interpretando la volontà una-nime della popolazione, votava un ordine del giorno manifestando lo sdegno di Savona per il vile attentato.La C.d.L., con suo bollettino, ha messo in guardia la popolazione contro i propagatori di notizie fal-se. Anche in provincia lo sciopero prosegue com-patto.

“Il Secolo XIX” del 17 luglio 1948

Cronistoria di illegalità e disordini ampiamente documentata da Scelba al Senato[...]

Savona e le armiVengono poi lette alcune interrogazioni vertenti tut-te sugli avvenimenti degli ultimi due giorni. In ri-sposta ad esse parla il ministro Scelba il quale co-munica anzitutto che le condizioni dell’on. Togliat-ti, per quanto peggiorate rispetto a ieri, non destano preoccupazione. Il Paese auspica la pronta guarigio-ne di Togliatti perchè egli possa tornare a combatte-re la sua battaglia.Il Ministro ritiene non soltanto di dover rispondere alle interrogazioni, ma soprattutto di dover informa-re l’assemblea sulla situazione. Ciò anche perchè il Senato abbia tutti gli elementi di giudizio quando di-scuterà la mozione di sfiducia presentata dall’oppo-sizione. Conferma che sono stati compiuti attentati gravissimi alle libertà civili e che si sono rivelati sin-tomi che vanno valutati attentamente, Ribadisce che tutto il Paese ha esecrato il gesto criminoso e odioso contro l’on. Togliatti, ma le manifestazioni che, nella maggior parte del Paese, si sono svolte austeramen-te, hanno degenerato in alcuni centri in violenze che il Senato deve conoscere.Non ripeterà i particolari già ieri comunicati alla Ca-mera ma li completerà con le ultime notizie.Il Ministro legge un elenco di sedi di partito distrut-te. Quando accenna alla sede della D.C. di Savona da sinistra si grida: “C’erano le armi!”.Cappa: “Non c’era nulla”.Scelba: “E’ stato accertato che le bombe scoppiate mentre bruciavano i mobili della sede democristia-

na, sono state lanciate dagli stessi dimostranti.”Terracini “Non è vero!”

Violenze contro la stampa

Cappa: “Vai piano Terracini e attento a quel che affermi!”Anche la stampa ha subito violenza, continua l’on. Scelba; giornali sono stati bruciati. E’ stata invasa la sede della Stampa di Torino e quella di un settima-nale in Toscana.Queste violenze rammentano il periodo nefasto del-le squadre d’azione (da sinistra su levano alti clamo-ri: i democristiani reagiscono e avviene uno scambio prolungato di invettive).Li Causi grida: “Il popolo è contro di voi!” Da de-stra si risponde: “Vorreste prendere il posto dei fa-scisti!”.Li Causi: “Siete responsabili dell’assassinio di To-gliatti. Verrà la tua ora, Scelba, perchè sei un as-sassino e mandante di assassini; sei circondato dall’odio generale.”Il ministro Scelba impassibile guarda davanti a sé. Il presidente scampanella, ma ogni volta che il tumul-to accenna a calmarsi, qualche nuova frase urlata da una parte o dall’altra ne determina il riaccendersi.Il senatore Terracini si rivolge al senatore Sereni che è tra i più accesi e a bassa voce gli dice qualcosa pro-babilmente per calmarlo.Li Causi si alza e si slancia verso l’emiciclo, ma scivola e cade sulla scala per cui, quando si rialza, già il que-store, senatore Priolo, è pronto a sbarrargli il passo.Cessato il tumulto. L’on. Scelba, prosegue dicendo che non pensa minimamente che “qualcuno in que-st’aula abbia responsabilità diretta per ciò che è successo”.Scoccimarro, interrompendo: “Assumiamo tutte le responsabilità del movimento!” (Dal centro si gri-da: “Squadristi!”, mentre l’estrema sinistra applaude alla frase del senatore Scoccimarro).Scelba riprende a parlare, ma da sinistra si grida che deve ritirare la frase sui metodi squadrasti. Tanto che il presidente richiama all’ordine il senatore Li Causi, Scelba chiarisce che, richiamandosi a un tem-po del quale egli stesso fu vittima, non poteva e non voleva offendere la classe operaia che giudica estra-nea alle violenze di ieri (rumori e clamori ancora a sinistra).Il Ministro prosegue elencando le aggressioni e le violenze più gravi. Tra queste sono il ferimento del

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Quaderni Savonesi 72

parroco di Imperia e alcuni tentativi di linciaggio in Toscana.

“Il Cittadino” del 16 luglio 1948Quotidiano cattolico di Genova

I fatti accaduti in Italia fanno parte di un piano preordinato

Roma, 16 - A un giorno di distanza dal folle attenta-to contro l’on. Palmiro Togliatti è necessario ferma-re alcuni punti.Niente hanno potuto dire i social comunisti sui lo-ro fogli oltre alla responsabilità personale dell’indivi-duo che ha compiuto il gesto folle.Il Governo ha risposto a 17 interrogazioni dell’oppo-sizione e in esse non si è potuto andare oltre a ge-nerici riferimenti.Intanto i fatti accaduti simultaneamente in varie par-ti d’Italia fanno vedere lo sviluppo di un preordina-to piano.Non parliamo degli incidenti fra polizia e dimostran-ti ne delle devastazioni a sedi di partiti politici per-chè questi effettivamente possono essere stati dei moti spontanei. Parliamo di fatti più gravi. Quando si apprende infatti che a Piombino è stato formato un comitato cittadino di controllo a Taranto dimostran-ti si sono inferociti colpendo bestialmente agenti ca-duti a terra, a Vicenza è stata tentata l’invasione del campo Arar, a Torino sono stati sequestrati contem-poraneamente trenta dirigenti di aziende, a Venezia, è stata occupata la sede della radio, ad Abbadia San Salvatore – mentre il Ministro Scelba stava parlan-do alla Camera – bombe a mano sono state lanciate contro agenti dell’ordine che impedivano il cavo te-lefonico che mette in comunicazione il nord al meri-dione, al chilometro 67 della Roma - Civitavecchia è stato tagliato un tratto di linea, quando bombe sono state lanciate contro la linea Chiusi – Terni e Orte – Falconara, quando a Genova è accaduto quello che tutti quanti hanno avuto possibilità di vedere coi lo-ro occhi, non si può dire che non vi sia stato un di-segno preordinato, non siano stati dati in preceden-za incarichi precisi.Questa sera si dice che sia avvenuta in Roma la par-tenza di “qualcuno” – non meglio identificato – che aveva forse compiti ben precisi.Intanto i social comunisti da una richiesta massima, sono passati a sempre minori richieste, infatti in un primo tempo sono state chieste le dimissioni del

Governo, poi la sostituzione di Scelba al Ministero dell’Interno e infine la richiesta, larvata, ma ugual-mente richiesta di partecipazione a quel Governo di cui fanno parte quei partiti cui vogliono addossare tanta responsabilità.Dopo la seduta della Camera si è riunito l’Esecutivo della C.G.I.L. per decidere sulla cessazione o la pro-secuzione dello sciopero generale.Secondo voci diffuse a Montecitorio si ritiene proba-bile la decisione di terminare lo sciopero alle 24 e ciò nonostante l’intransigenza di Di Vittorio.Alla seduta non ha partecipato la corrente cristiana la quale ha diretto all’Esecutivo una lettera nella qua-le viene precisata nettamente la propria posizione di fronte a questo sciopero e nella quale si precisa che in base alle deliberazioni dell’Esecutivo sarà termi-nata la necessità di mantenere ulteriormente l’uni-tà sindacale.Dopo che sarà resa nota la decisione dell’Esecutivo si riunirà l’Alleanza sindacale e trarrà le sue conse-guenze delle decisioni adottate.Si è frattanto riunito al Viminale un Comitato di Mi-nistri, presieduto da De Gasperi, che ha comunica-to gli sviluppi della situazione politica e dell’ordine pubblico nelle varie regioni.

R. LucatelloL’Ilva a Savona occupata dalle maestranze.Savona, 16 – Durante lo sciopero generale anche a Savona sono state erette barricate nei punti nevralgi-ci della città. L’Ilva è stata occupata delle maestran-ze. Non si sono deplorate morte e feriti.

“L’Unità” del 21 luglio 1948

Ecco chi ci accusa di fomentare la violenza e il disordine!Con le bombe, lettere di proscrizione nella sede democristiana di Savona. Un manifesto alla cit-tadinanza delle Federazioni socialista e comu-nista – Si attendono gravi rivelazioni.

Savona, 20In seguito ad uno spudorato manifesto fatto affigge-re dalla direzione provinciale della Democrazia Cri-stiana in merito alla devastazione della sede della D.C. e allo scoppio delle bombe nascoste nei mobi-li di tale sede la Federazione del PSI e quella del PCI hanno lanciato il seguente manifesto.

“Cittadini,

Ordine pubblico e stampa locale in Savona e provincia Antonio Martino

n. 7 - giugno 200873

Con ispirazione diabolica la Democrazia Cristia-na tenta di addossare ai Partiti Socialista e Comu-nista la responsabilità della devastazione della lo-cale sede.Respingiamo sdegnosamente l’ignobile tentativo di bassa speculazione politica.Tutti gli onesti sanno che l’evento di Piazza Marco-ni determinato dalla politica antipopolare del Go-verno e dalla campagna di odio e di violenza del medesimo, ha superato per la sua fulminea spon-taneità ogni previsione e dell’Autorità e nostra.Per quanto precipitosamente i dirigenti dei Parti-ti sinceramente democratici abbiano potuto recar-si in Piazza Marconi, al loro arrivo già il rogo di-vampava e le bombe, cristianamente custodite as-sieme alle lettere di proscrizione nella sede della Democrazia Cristiana, scoppiavano.Le alte Autorità preposte all’ordine possono dare atto che se nella nostra città e provincia non una stilla di sangue fraterno è stata versata, alcun mi-nimo atto di violenza è stato inferto ai cittadini e alle private proprietà, se la vita ha ripreso disci-plinatamente il suo ritmo normale di lavoro ciò è dovuto, oltre che allo spirito di comprensione del-le Autorità suddette, all’opera solerte dei dirigenti dei Partiti sottoscritti e a personalità democratiche pensose solo di risparmiare alla Patria nostra altri lutti e altre rovine”.

E’ forse inutile ricordare come si sono svolti i fatti: dopo la tremenda notizia data dalla Radio delle tre-dici cessò la vita nelle fabbriche e negli uffici. Le stra-de in un baleno furono affollate di persone con il do-lore e lo sdegno nel volto.L’invasione e la distruzione della sede fu un atto irre-frenabile della folla che manifestava il suo sdegno. I dirigenti dei Partiti democratici intanto cercavano di invitare alla calma. Chi era in piazza quel giorno. an-che se (per caso) avversario – può testimoniare che questa è la verità. Era però impossibile pretendere che non succedesse nulla, e se null’altro è successo, questo lo si deve allo spirito di responsabilità dimo-strato dai compagni, dai democratici e dal popolo.Ma i sedicenti pastori del buon vivere civile – che predicavano la pace, il disarmo dei cittadini, l’one-stà politica, il lavoro fecondo, ecc. ecc. – e che sono stati trovati in possesso di armi da guerra, che san-no che l’opinione pubblica conosce il contenuto di alcune loro lettere, infami e degne del loro costume politico (lettere di cui faremo quanto prima cono-

scere il contenuto ai nostri lettori) continuano anco-ra ad avere l’impudenza di piangere false lacrime sul “costume politico imbarbarito”, sulle “profonde de-vastazioni morali”.Ritornando alla scoperta delle bombe nella sede D.C., stralciamo dal “Corriere del Popolo” del 18 lu-glio questo interessante trafiletto: “Pare che i diri-genti della d.c. siano in grado di portare la testimo-nianza di persone che erano presenti al fatto e che avrebbero visto alcuni tra coloro che avevano pre-so parte al saccheggio della sede, lanciare le bom-be stesse nel rogo”.L’impudenza di coloro che hanno ispirato e scritto questa roba passa ogni limite. Sarà interessante ve-dere la faccia di questi presunti testimoni che inten-derebbero smentire ciò che migliaia di persone di tutti i partiti e senza partito sono pronte a confer-mare.

Seconda paginaCronache savonesi

Dopo il rinvenimento di bombe, pistole, muni-zioni alla D.C.Sia fatta una rigorosa inchiesta e siano proces-sati i responsabiliUn precedente importante: qualche tempo fa in un ripostiglio presso la sede della D.C. venne tro-vata dalla custode una bomba a mano dello stesso tipo di quelle trovate nella Sede.

Occorre dire ancora qualcosa – indubbiamente – sulle bombe, sulle armi e munizioni rinvenute nel-la sede della D.C. di Savona e scaraventate in piaz-za, assieme ai mobili in cui erano contenute da chi evidentemente non era stato a guardare tanto per il sottile.La voce – comoda, troppo comoda – che le bombe erano state gettate dai dimostranti è stata diffusa in città il giorno dopo il fatto: Cappa e Scelba l’hanno fatta propria e l’hanno spudoratamente sostenuta in Senato. Domenica i giornali “indipendenti” gover-nativi di Genova che nei giorni precedenti non ave-vano potuto fare a meno di dare la notizia – anche se con il cuore piangente – che le bombe erano sta-te trovate alla D.C., hanno pubblicato un comunica-to di quel Partito che dice testualmente “La Giunta esecutiva provinciale della Democrazia Cristiana di Savona dichiara privo di qualsiasi fondamento le voci calunniose diffuse circa la esistenza nella

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sede della D.C. di Savona di armi ed esplosivi che ivi sarebbero state rinvenute nel corso dell’azione devastatrice attuata il 14 corrente”.La cosa, se non fosse di una sfrenata impudenza, sa-rebbe terribilmente buffa. La Giunta Esecutiva della D.C. – quella Giunta che dovrebbe essere imputata in massa! In base ai ben noti sistemi vigenti nella no-stra città, per detenzione abusiva di armi da guerra – smentisce in un comunicato che trova troppo como-da accoglienza, l’esistenza nella sede di bombe i cui effetti purtroppo due persone hanno assaggiato sul-la carne e che migliaia di cittadini comprovano.Noi vogliamo per ora rilevare un fatto accaduto qual-che settimana fa. Un giornale democristiano- e non gli altri – pubblicò una breve notizia “Una bomba rinvenuta presso la sede della D.C.” Si trattava di questo. La custode del caseggiato ove ha sede la D.C. in piazza Marconi, nelle prime ore del pome-riggio, aprendo la porta di un ripostiglio che dà sul cortile dopo le prime rampe delle scale (e cioè a me-tà strada tra il portone e il primo piano, sede del-la D.C.) trovò una bomba a mano. Venne avvertita la polizia e la bomba venne ritirata dai carabinieri. Essa è dello stesso tipo dei quelle esplose in piazza Marconi, Chi aveva messo la bomba nel ripostiglio o meglio, che ve l’aveva dimenticata? Sono interroga-tivi questi che il nostro giornale pone a cui l’Autori-tà deve dare una risposta. Noi rileviamo soltanto al-cuni elementi: la bomba venne scoperta dalla custo-de e non da un dirigente o da un chierichetto demo-cristiano; il giornale d.c. si limitò a dare seccamente la notizia – senza le solite montature in cui essi sono ormai specializzati; bombe dello stesso tipo vennero rinvenute nella sede ed esplosero in piazza.C’è quindi – in ogni modo – un importante prece-dente, che l’autorità giudiziaria di polizia non può ignorare.Un giornale governativo della città ha pubblicato ie-ri che la polizia non è ancora in grado di accertare la verità. Sarebbero comunque in corso indagini.Nel disgraziato caso delle armi dell’Ospedale la “ve-rità” fu presto accertata, mandando in galera 11 per-sone innocenti (anche se l’innocenza di uno non è stata ancora dichiarata).Ed ecco ora l’occasione per dimostrare alla popola-zione che l’Autorità non agisce esclusivamente nel-l’interesse di una parte e che – almeno in un caso clamoroso, aperto, chiaro come questo – la legge è equale per tutti, che il bianco è bianco e non è ne-ro.

Coloro che più d’ogni altro gridavano allo sdegno per il rinvenimento di armi all’ospedale, che più d’ogni altro gridavano alla Camera e al Senato, so-no stati trovati – una volta! – con le mani nel sacco. La popolazione attende i provvedimenti – altre vol-te così solleciti – dei preposti al rispetto della leg-ge, e spera che ancora una volta l’omertà non abbia a soffocare tutto.Nella sede della D.C. di Savona sono state rinvenu-te bombe, pistole e munizioni. Siano imputati tutti i membri della Giunta esecutiva e dei funzionari di Partito. Gli elementi vi sono, inconfutabili ed altri se ne potranno trovare.Non solo nella nostra città poi sono state trovate bombe nelle sedi D.C., ma in altre parti d’Italia. Su questo si deve riflettere: non è quindi un caso la sco-perta di Savona, ma probabilmente qualcosa di ben organizzato e diretto.Anche noi siamo ansiosi di vedere il comportamen-to delle Autorità: se daranno maggior peso ad un co-municato di smentita dei processabili, o alla realtà dei fatti, al ritrovamento delle bombe, agli elemen-ti indiziari che abbiamo indicato, alla testimonian-za di migliaia di cittadini, alla unanime accusa del-la città, contro i falsi apostoli di pace, veri seminato-ri d’odio, contro i sepolcri imbiancati, contro coloro che lanciano urli di sdegno per ogni atto commes-so dei lavoratori e che – colla connivente complicità dello Stato che essi corrompono definitivamente – trasformano le loro sedi in arsenali.Noi dal canto nostro stiamo raccogliendo elementi precisi in una nostra indagine particolare.Ci auguriamo però che l’Autorità cui l’indagine com-pete abbia a procedere.

Sul ritrovamento di una bomba nella sede D.C. av-venuto nel mese precedente, dalla relazione men-sile della Questura di giugno rileviamo che non è vero che la bomba fosse dello stesso tipo di quel-le esplose nel rogo.

Il pomeriggio del 19 corrente, a Savona, sulle scale dello stabile ove ha sede anche la Democrazia Cri-stiana, è stata rinvenuta una bomba “Sipe”, tipo in-glese, avvolta in un giornale. Malgrado un primo al-larme, le indagini prontamente esperite hanno per-messo di escludere qualsiasi ipotesi delittuosa, an-che perché l’ordigno è inattivo, per mancanza di detonante, e dev’essere stata colà abbandonata da ignoto, allo scopo di disfarsene.30

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“Il Letimbro” del 23 luglio 1948Settimanale della Diocesi di Savona

Appunti e spuntiErcole al bivio

Su un giornale anarchico affisso all’angolo del Corso sono svolte alcune considerazioni di estremo inte-resse a proposito dei fatti della scorsa settimana. Di-ce l’ignoto redattore: il proletariato italiano è par-tito ancora una volta sconfitto: e questo perché si è lasciato troppo imbrigliare dal rispetto della lega-lità – anche sindacale – della forma costituziona-le. La insurrezione popolare (è significativo che qui si parli con franchezza a differenza di quel che da in questi giorni la stampa frontista la quale smentisce che le agitazioni di metà luglio avessero fine insurre-zionale) dice il foglio anarchico, è stata soffocata da questo spirito per colpa dei suoi capi deboli ed in-certi: il proletariato italiano dovrà un’altra volta tenere conto di questa esperienza, ed agire con de-cisione senza dare tregua ai rivali, e senza ascolta-re la voce dei rimorsi, dei dubbi, delle indecisioni.La nota è significativa: ed in fondo non si può negare al suo redattore di avere in certo senso ragione. Pur-troppo i dirigenti del P.C.I. stanno da un po’ di tem-po a questa parte facendo tutto il possibile per ren-dere la vita dura alle masse che rappresentano: essi vogliono dare alla lotta politica condotta dal proleta-riato un carattere di violenza pur restando nell’am-bito di una presunta democrazia (magari progres-siva). Su questo terreno è naturale che il comuni-smo sarà certo battuto, perché sul terreno democra-tico, è evidente che le simpatie del popolo andran-no sempre verso i partiti sinceramente e saldamen-te democratici.I comunisti quindi si trovano oggi in questa situazio-ne: vogliono passare per democratici, ma non san-no vivere appieno l’essenza che questo concetto im-porta e nella loro prassi finiscono per destare sem-pre sospetti. Sono così visti con diffidenza dalla mag-gioranza dei cittadini, i quali vogliono solo ordine e tranquillità: e quando vogliono cercare di uscire da questo terreno trovano parte dei loro adepti impre-parati, e si vedono innanzi altre forze che sul terreno extrademocratico sempre si trovano.Può darsi che per uscire da questa situazione ad es-si non resti che la soluzione proposta dagli anarchici oggi: potrebbe darsi per il fatto che essi forse sono incapaci di vivere democraticamente cioè civilmen-

te: ma quanto ai risultati che essi potrebbero con-seguire spostando la lotta su questo terreno, a par-te l’esito materiale della lotta, occorrerebbe che si convincessero di due cose: che le conquiste più sal-de siano quelle violente e che gli interessi dei co-munisti (uomini) coincidano con quelli del comuni-smo (dottrina) il quale, come è noto, mira alla ditta-tura di classe.

EffeIn breve

La fiducia al Governo è stata riconfermata ieri, 22 corr., al Senato con 173 voti contro 83 e 2 astenuti. I comunisti avevano presentata una mozione di sfidu-cia in seguito all’attentato all’on. Togliatti.De Gasperi nel suo discorso ha deplorato che l’op-posizione tentasse di risolvere un problema politico quale è quello della fiducia e della composizione del governo con pressioni di piazza.

In seguito allo sciopero politico proclamato dalla C.G.I.L. dopo l’attentato a Togliatti, i rapporti tra la corrente sindacale cristiana e la Confederazione del Lavoro si sono fatti sempre più tesi.Dopo che saranno state consultate le organizzazioni periferiche sarà definito l’atteggiamento da tenersi dai sindacati cristiani nei riguardi della C.G.I.L.

“L’Unità” del 27 luglio 1948 n. 178 (edizio-ne genovese)

Con le bombe, liste di proscrizione nella sede sa-vonese della D.C.“Caro Taviani, dì al governo di mandar via da Savona il signor...”Un documento rivelatore del “regime” democri-stiano

Savona, 26Avevamo detto nella nostra corrispondenza del 20 scorso che nella sede della Democrazia Cristiana di Savona si trovavano – oltre a un deposito di bombe – anche vere e proprie liste di proscrizione contro cittadini colpevoli del grave delitto di non condivi-dere le idee e di non apprezzare i sistemi dei segua-ci di De Gasperi.Siamo ora in grado di pubblicare un primo esempla-re (altri verranno in seguito) di tali documenti – cui alludeva anche un manifesto del P.S.I. e del P.C.I. ai

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savonesi – documenti che rivelano in modo impres-sionante la mentalità e la “prassi” tipicamente fasci-sta dei dirigenti democristiani.Si tratta di una lettera commendatizia del febbraio scorso firmata dall’allora segretario provinciale sa-vonese della D.C. ed ora deputato democristiano al Parlamento Carlo Russo e indirizzata all’on. P. E. Ta-viani, vice segretario nazionale della D.C., nella quale si chiede nientemeno che di “eliminare” (per il mo-mento si tratta soltanto di trasferire) dall’Ufficio del Lavoro di Savona il compagno socialista geom. Al-do Modena. Sostituite nella lettera al nome dell’avv. Carlo Russo quello di un qualsiasi segretario federa-le o altro gerarchetto fascista di provincia e al nome dell’on. Taviani quello di Starace e vedrete che l’uni-co particolare stonato nel documento è la data: 20 febbraio 1948 anziché alcuni anni addietro quando i gerarchi usavano apporre alla data dell’era cristiana quella dell’era mussoliniana.Ma è da rilevare particolarmente che per ottenere l’arbitrario trasferimento si sollecita l’intervento del vice segretario nazionale della D.C., cioè non del-l’autorità competente, ma di un dirigente di parti-to, autorevole quanto si vuole, ma che tuttavia in si-mili questioni non dovrebbe e non potrebbe avere la benché minima ingerenza. Viene così confermato ciò che da tempo andiamo denunciando: che il Go-verno De Gasperi non è un governo nazionale, rap-presentante gli interessi di tutti gli italiani, bensì un governo fazioso che serve gli interessi di una classe e di un partito e che si avvia a diventare “regime”.Ecco il testo della lettera:

Urgente-riservata7709-3 AGB/srDirigente Ufficio Provinciale Lavoro Savona20 febbraio 1948On. Paolo Emilio TavianiV. Segretario D.C. – Roma

Caro Taviani, A Savona dirige da tempo l’Ufficio Provinciale del Lavoro il geom. Modena. Si tratta di un elemen-to settario (esponente del P.S.I) a noi decisamen-te avversario, il quale non tralascia occasione per svolgere propaganda antigovernativa mettendo in dubbio, con quanti devono accedere al suo Ufficio, le intenzioni del Governo circa gli stanziamenti per opere pubbliche.Il geom. Modena è un vero abile sabotatore del-

l’opera governativa e svolge questa sua azione de-leteria approfittando del posto che egli occupa pro-prio in un Ufficio governativo.Questo stato di cose dovrebbe cessare perchè esso ci danneggia molto; per ottenere ciò non vi è che un mezzo: eliminare il geom. Modena dall’Ufficio Pro-vinciale del Lavoro di Savona sia pure mediante un trasferimento che però dovrebbe essere attuato nel più breve tempo possibile.Ti raccomando molto di volerti prendere a cuore questa faccenda e al riguardo mi giungerà molto gradita una tua assicurazione.Il Segretario Provinciale(Avv. Carlo Russo)

Ci hanno informati che la succitata lettera, conse-gnata al geom. Modena, il quale – in regime demo-cristiano – ha ancora l’audacia di mettere in dub-bio le “intenzioni del Governo” sugli stanziamenti per opere pubbliche, è stata rispedita all’on. Russo a Montecitorio con il seguente scritto di accompagna-mento, inviato per conoscenza al Taviani:

Raccolta nella piazza Marconi – a Savona - fra i resti della devastazione della Sede Provinciale del Partito D.C. mi è stata recapitata l’unita lettera che ho letto con vivo senso di disgusto. Mi affretto a re-stituirvela perchè possiate ricollocarla nel vostro archivio. F.to Modena.

“L’Unità” del 29 luglio 1948 n. 180 (edizio-ne genovese)

Con le bombe, liste di proscrizione nella sede sa-vonese della D.C.“Caro Cappa, il tale è comunista bisogna fargli cambiar aria...”Un altro documento del “regime” democristiano

La letterina con la quale il deputato democristiano Carlo Russo chiedeva al vice segretario nazionale del suo partito on. P.E. Taviani di “eliminare” dall’Uffi-cio del Lavoro di Savona il geom. Aldo Modena non è il solo documento del genere che la sede savonese della D.C. nascondeva insieme alle bombe.Eccovi qui intanto la lettera inviata dalla segreteria provinciale savonese della D.C. all’ex Ministro del-la Marina, il d.c. Cappa (quello che recentemente al Senato si è lamentato perchè, secondo lui, le repres-sioni ordinate da Scelba sono “poco dure”):

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16 ottobre 1947S.E. l’avv. Paolo CappaMinistro Marina MercantileRoma

6568-3Ufficio Prov. del Lavoro – SavonaCaro Cappa,Sarebbe molto opportuno che venisse trasferito ad altra sede il sig. Calvi... impiegato presso l’Ufficio Prov. del Lavoro di Savona dove è addetto al collo-camento mano d’opera disoccupati.Il Calvi, attivista comunista, è elemento settario e non sa spogliarsi della sua veste politica nell’esple-tamento del suo compito che è assai delicato e che lo mette a diretto contatto con tanti lavoratori.Il provvedimento di trasloco potrebbe essere moti-vato da ragioni di salute dato che il Calvi, ex-inter-nato in Germania, è in condizioni fisiche precarie ed avrebbe bisogno di aria di montagna.Sotto ogni punto di vista il provvedimento richiesto sarebbe quanto mai consigliabile.Cordiali saluti

Stavolta dunque alla scandalosa richiesta di un inter-vento governativo per sbarazzarsi di un avversario politico, è aggiunto anche il suggerimento del prete-sto, tanto più cinico in quanto lo si fonda proprio sul passato democratico del cittadino a danno del quale

si chiede l’arbitrio, un ex internato in Germania. Ci-nismo e insieme “carità” gesuitica, del Calvi – one-sto democratico e buon impiegato che si vuol cac-ciar via perchè le sue opinioni politiche non collima-no con quelle dei d.c. – è detto che ha “bisogno di aria di montagna”.Viene in mente quel frate di qualche secolo fa che, aggiungendo di suo un pò di legna al fuoco che ab-bruciava vivo un eretico, diceva compunto: “Per la salvezza della tua anima, fratello!”.Naturalmente, i dirigenti democristiani, con De Ga-speri e Scelba in testa, sarebbero pronti anche oggi, non diciamo a mettere nuovamente in funzione il rogo, ma quanto meno a sopprimere tutte le libertà. A fin di bene, si capisce: per salvare l’anima dei loro anniversari politici.Il compagno Calvi ha rispedito alla segreteria pro-vinciale savonese della D.C. il ripugnante documen-to aggiungendovi, la seguente nota:

(Raccomandata) 20-7-1948Al segretario Prov. della Democrazia CristianaSavonaMi è stata recapitata una lettera che credo raccol-ta fra i resti della sede di Codesto Partito e che, pro-fondamente disgustato per quanto in essa espres-so nei miei confronti e per l’intromissione poco de-mocratica del suo Partito nella vita privata di ogni singolo cittadino, mi affetto a restituirLe perchè possa nuovamente archiviarla.

Note1 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Inter-

no (da ora ACS, Min. Int.), Gabinetto, 1948, b. 47, f. 12033/74, Savona - Incidenti 14, 15 e 16/7/1948 per attentato contro On. Togliatti. Altra documen-tazione è conservata sempre in ACS, Ministero del-l’Interno, Dir. Gen. P.S., AGR, Categorie annuali, 1947-48, C1, b. 120 Sciopero generale per l’attenta-to all’on. Togliatti. Rapporti riassuntivi e proposte dei Prefetti del 26 luglio 1948.

2 ID., Telegramma 17885 da Prefetto di Savona invia-to ore 18 arr. ore 19.30.

3 ID., Fonogramma 24617 da Gruppo Carabinieri Sa-

vona inviato ore 21.45.4 ID., Fonogramma 24639 da Sezione Carabinieri Fi-

nalmarina inviato ore 23.30.5 ID., Telegramma 18069 da Prefetto di Savona ore

10 arr. ore 16.6 ID., Fonogramma 24734 dal Gruppo Carabinieri

Savona ore 12.45.7 ID., Telegramma 18130 da Prefetto di Savona ore

18 arr. ore 20.8 ID., Telegramma 18131 da Prefetto di Savona ore

18.40 arr. ore 20.9 ID., Telegramma 18314 da Prefetto di Savona ore

11.35 arr. ore 17.

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La copertina del settimanale americano “Time” del 5 maggio 1947 dedicata a Togliatti.

5.

L’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948 nella illustrazione di copertina della “Tribuna Illustrata”. L’attentatore siciliano Antonio Pallante, fu arrestato dopo il fatto e condannato a 20 anni di reclusione, poi ridotti a 13 e in parte condonati.

6.

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10 ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segrete-ria particolare del Presidente De Gasperi, b. 1 Scio-pero generale 14.15.16 luglio in occasione dell’at-tentato on.Togliatti. Espresso del 18 luglio 1948 al Ministro dell’Interno Scelba.

11 Archivio di Stato di Savona (da ora ASS), Tribuna-le penale di Savona, busta 66, fascicolo 551/48, n° 1938/48/PM, n° 227/48 G.I.

12 ACS, Min. Int., Gabinetto, 1948, b. 47, Telegramma 18744 da Prefetto di Savona ore 12 arr. ore 13.

13 ID., Telegramma cifrato precedenza assoluta 36819 a Prefetto di Savona.

14 ID., Telegramma 18877 da Prefetto di Savona ore 12.45 arr. ore 18.

15 ID., Telegramma da cifrare a Prefetto Savona.16 ID., Telegramma urgente decifrato 19184 da Pre-

fetto di Savona ore 15.05 arr. ore 20.17 ID., Telegramma 19253 da Prefetto di Savona ore

16.45 arr. ore 18.10.18 ID., Prefetto di Savona, Gab. 1030/6-3.

19 ID., Raccomandata riservata da Prefetto di Savona a Min. Int., Gab.

20 ASS, Questura di Savona, b. 107, Relazione mensile 24 maggio 1948.

21 ID., Relazione mensile 24 giugno 1948.22 ACS, Min. Int., Gabinetto, 1948, b. 47, Telegramma

19726 da Prefetto di Savona ore 14.20 cop. ore 16.23 ID., Min. Int., Dir. Gen. P.S., Div. AGR, a Prefetto di

Savona e p.c. Min. Int., Gab.24 ID., Min.Int., Dir. Gen. P.S., Div. AGR, 442/30558 a

Min. Int., Gab.25 ID., Telegramma 20880 da Prefetto di Savona ore

12.10 arr. 19.15.26 ID., Prefetto di Savona 03940 a Min. Int., Gab. 27 ID., Telegramma urgente 20931 da Prefetto di Sa-

vona ore 15.35 arr. ore 18.28 ID., Telegramma n. 21944 da Prefetto di Savona

ore 14.25 arr. ore 16.30.29 ID., Prefetto di Savona 1649/6-3 a Min. Int., Gab.30 ASS, Relazione mensile 24 giugno 1948.

Il 14 luglio 1948 nel racconto di alcuni testimoni Rita Vallarino

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mediatamente si mobilitano, sia che si trovino sui luoghi di lavoro assieme ai loro compagni, sia che si trovino nelle loro case o altrove.In questo caso ci si affretta a raggiungere le sedi politiche di riferimento, la sezione “del partito”. Giuseppe Vallerino, allora giovane operaio della fonderia Savonese, apprende la notizia ascoltando la radio a casa dov’è rientrato per il pranzo; si pre-cipita in sezione e poi alla Federazione del P.C.I.Elvio Varaldo, giovanissimo segretario della sezio-ne del P.C.I. di Cairo Montenotte, è a casa, vie-ne avvertito da un operaio della Montecatini che c’è sciopero perché “Hanno sparato a Togliat-ti”; prende la bicicletta e raggiunge il corteo de-gli operai della Montecatini , di Cokitalia e delle Funivie già diretti a Cairo dove si terrà il comizio. Passerà giorni e notti tra sezione e portineria del-la Montecatini, a discutere, a parlare con gli ope-rai che si recavano alla fabbrica per sapere che co-sa fare.Antonio Mirgovi, Segretario della Camera del La-voro di Varazze, a Genova per un esame, riesce a rientrare col treno nel primo pomeriggio e va in sezione per sapere, per decidere che fare e, con il segretario Vittorio Busso e altri, organizza rapida-mente la fermata delle attività presenti sul territo-rio: Cantieri Baglietto, Cotonificio, Corderia, im-prese edili, ecc.Angelo Cavallero, che avrebbe dovuto fare il turno dalle 2 alle10 all’Ilva, va subito in fabbrica e poi as-sieme ad altri raggiunge la Federazione; partecipa alla manifestazione quindi torna alla fabbrica con altri suoi compagni.Nei grandi stabilimenti industriali come in quelli piccoli , salvo eccezioni in provincia, si ferma im-mediatamente il lavoro, restano attivi solo i co-mandati per la sicurezza degli impianti; si esce e ci si raccoglie nelle piazze consuete per esprimere il dolore, l’allarme, la protesta.Per Savona in quell’occasione il punto di concen-tramento strategico è Piazza Marconi e dintorni, per una ragione logistica molto semplice: lì vicino si trova la Prefettura, vi si affacciano la sede del-la Democrazia Cristiana e del Partito Socialista, al-l’inizio di Corso Italia sono collocate la Federazio-ne del Partito Comunista e la Camera del Lavoro. Tutti interlocutori chiamati in causa, per diverse ragioni, in quel frangente.Tutto accade senza che e prima che la Confede-razione Generale del lavoro abbia proclamato lo

Emergono soprattutto le voci di militanti del P.C.I., che per altro fu il partito più drammatica-mente coinvolto negli eventi, sia perché era sta-to colpito il suo Segretario Generale, sia perché dovette assumere a tamburo battente decisioni di grande responsabilità, decisive, anche per il peso che la sua organizzazione e la sua voce avevano tra i lavoratori.Non mi sembra quindi che i suddetti limiti della ricerca possano invalidarne i risultati, essa appare anzi assai utile a comprendere il significato politi-co e storico di quelle giornate.

Ciò che anzitutto colpisce nell’ascoltare e poi nel rileggere le testimonianze raccolte, è l’enorme portata della reazione che la notizia dell’attentato a Togliatti provocò nel movimento operaio.In Savona e in provincia migliaia di persone im-

IL 14 LUGLIO 1948NEL RACCONTO

DI ALCUNITESTIMONI

Rita Vallarino

Non sempre il ricorso alle testimonianze è lo strumento più utile per ricostruire gli even-

ti del passato nel loro preciso accadere, specie se si tratta di tempi molto lontani. A tal fine occorre-rebbe comunque una vastità di ricerca e di riscon-tri che qui manca e che forse sarebbe piuttosto difficile realizzare, se non altro per ragioni anagra-fiche.Tuttavia in questo caso il valore della fonte testi-moniale appare avvalorato, anche sul piano della ricostruzione dei fatti, dalla concordanza sostan-ziale che manifesta con i rapporti delle fonti isti-tuzionali.Del resto non è questo l’obiettivo del mio piccolo contributo. Esso si propone piuttosto di recupera-re le emozioni e le riflessioni con cui gli eventi so-no stati vissuti, sia nell’immediato sia nella ricon-siderazione che di essi ci si trova a fare a posterio-ri, da parte di chi stava dentro la mischia come di chi ne stava fuori e vi assisteva senza essere coin-volto in prima persona.

Il 14 luglio 1948 nel racconto di alcuni testimoni Rita Vallarino

Quaderni Savonesi 80

sciopero generale, sopraggiunto nel frattempo, anche per cercare di assumere il controllo e la di-rezione del movimento.“Quel giorno appena avuta notizia dell’attenta-to a Togliatti suonò la sirena dell’officina e subi-to uscimmo schierandoci fuori della fabbrica, in Via Fiume […] Eravamo allora più di 800 e non tardammo a muoverci in corteo verso il centro della città […] crescendo mano a mano di nu-mero con la popolazione che si aggregava. Allo-ra Villa Piana era un quartiere tipicamente ope-raio” Così Rodolfo Badarello della Scarpa & Ma-gnano.Incontrano quelli dell’Ilva, della Servettaz Basevi, della Dotta & Venè, della Balbontin… e comincia-no a fare la dimostrazione.Si raccoglie una folla immensa, una massa impo-nente di lavoratori e di cittadini. Lo dice ancora Rodolfo Badarello e lo confermano Luigi Pezza e Giuseppe Vallerino. Si pensi che l’Ilva da sola raccoglieva più di 5000 dipendenti e quasi un mi-gliaio la Scarpa & Magnano.Ci furono momenti molto accesi e anche pericolo-si, risolti senza gravi conseguenze.Tutti i testimoni savonese ricordano ciò che ac-cadde nella sede della D.C.Solo alcuni rammentano l’arrivo e lo schierarsi dei carabinieri, con i fucili puntati contro la folla, co-me pure le barricate che vennero erette, a dife-sa dei dimostranti ma anche delle sedi operaie di Corso Italia, attingendo al tavolame di uno o due cantieri edili aperti in zona.“Senza che nessuno avesse detto niente a nessu-no … nessuna direttiva -vi fu una spontaneità formidabile- hanno preso le “penole” che erano nei cantieri e hanno fatto delle barricate, all’ini-zio della piazza dove adesso c’è il delfino, Piaz-za Marconi, e qui dove c’era il genio Civile, in modo da isolare e proteggere la Federazione del Partito. Non potevi entrare”. (Giuseppe Valleri-no)È invece ricordo comune il discorso che l’On. An-giola Minella rivolse ai dimostranti per placare gli animi (dopo che erano risultati inutili preceden-ti tentativi di altri oratori). “Dal balcone della vi-cina sede del Partito Socialista l’Onorevole An-giola Minella riuscì, dopo un’infinita attesa che ci calmassimo, ad arringarci per convincerci a ritornare tutti al proprio posto di lavoro, rima-nendovi a disposizione delle direttive che sareb-

bero state emanate […] cosa che noi abbiamo fatto”. (R. Badarello)Si esce dalla fabbrica, ma poi alla fabbrica si torna, per presidiarla, per difenderla, per “armarla”.Da molti è sentita come un fortilizio, da tutti come uno dei punti di riferimento fondamentali.Badarello dice: “Ne abbiamo protetto ogni pos-sibile ingresso con un potente sbarramento di corrente elettrica ad alta tensione servendoci dei trasformatori da noi prodotti, che all’occor-renza messi in funzione avrebbero impedito a chiunque, nel caso la Polizia, di entrare”.Angelo Cavallero ricorda il blocco degli ingressi dell’Ilva, il presidio nella Commissione Interna, dove si sarebbe discusso anche con l’On. Minella, assai preoccupata dello stato delle cose, e ricorda i cavalli di frisia posti all’imboccatura del porto.Luigi Pezza dice che ci fu un punto di raccolta e di vigilanza sul Priamar i cui camminamenti e cuni-coli, noti solo a pochi, durante la Resistenza erano stati un buon nascondiglio. All’Ilva di Vado Ligure, lo ricorda Mario Conterno, disarmato il guardiano (o i guardiani?), un gruppo di lavoratori assume il controllo della fabbrica: C’è un presidio importante, vi si passa tutta la notte in attesa vigile e preoccupata e si preparano chiodi a tre punte da spargere sulla via Aurelia per con-trastare temute incursioni della “Celere”. Si teme-va, quasi ci si attendeva, la reazione della polizia, ai cui attacchi purtroppo i lavoratori erano avvezzi nelle loro manifestazioni.

Viene da chiedersi come sia stato possibile tutto questo. Oggi sembra incredibile.Lo spiegano i testimoni.Occorre tenere conto che esisteva una rete orga-nizzativa capillare e con un sistema di comunica-zione che era semplice, per lo più materiale, ma molto efficace e collaudato negli anni della clan-destinità. I partiti dei lavoratori avevano un inse-diamento sul territorio e nelle fabbriche molto ar-ticolato e connesso. Alla domanda se nella Monte-catini operasse una cellula del P.C.I., Elvio Varaldo risponde che ce n’era una per reparto.Le Commissioni Interne, espressione diretta ed elettiva dei lavoratori, erano molto attive e presti-giose; per lo più furono loro a proclamare lo scio-pero.Un ruolo importante, per affermazione di molti dei nostri testimoni, fu svolto da uomini che ave-

Il 14 luglio 1948 nel racconto di alcuni testimoni Rita Vallarino

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vano preso parte alla lotta partigiana e che lavo-ravano in fabbrica. Lo sottolineano in particolare Rodolfo Badarello e Luigi Pezza, ma anche Ange-lo Cavallero.Il primo ricorda che alla Scarpa & Magnano i par-tigiani erano oltre 150, che molti di essi avevano responsabilità sia nel sindacato sia nel P.C.I.e che la loro organizzazione fu allora “la più combat-tiva”.Il legame tra partecipazione alla Resistenza e for-mazione politica emerge anche nella conversazio-ne con Elvio Varaldo, quando parla del ruolo che ebbero le Funivie e Cokitalia nel sostegno dato al-la lotta di liberazione, anche se egli, in tal senso, privilegia l’esperienza dell’antifascismo.Ma l’energia che muove tanti uomini all’unisono ha a che fare con l’insieme fervido di sentimenti e di idee che agitavano cuori e menti dei lavorato-ri in quel 1948.La guerra e la lotta di liberazione erano finite da poco, si era impegnati in uno sforzo enorme per la ricostruzione tra attese, speranze e timori. I la-voratori più politicizzati avevano molto partecipa-to e molto lottato, molto sperato in un paese nuo-vo, libero e giusto; avevano molto creduto nella Costituente e nei frutti che ne sarebbero scaturi-ti, ma nella realtà quotidiana vedevano che le lo-ro attese venivano spesso deluse, sentivano che c’era qualcosa di irrisolto e temevano fortemen-te ” la reazione”. Questo termine ricorre sulle pa-gine de “Il Casone”, settimanale interno dell’Ilva (1945/1947). Sicuramente il timore di un ritorno a qualche forma autoritaria che vanificasse i sacrifici compiuti, sentimento che da tempo serpeggiava, dovette essere avvertito con particolare intensità e inquietudine in quell’estate, tenendo conto dei fatti che erano da poco accaduti nella vita politica italiana e di quelli che si preparavano.Secondo molti testimoni, al diffondersi della no-tizia dell’attentato a Togliatti, il sentimento domi-nante nelle file degli aderenti al P.C.I. e nel movi-mento operaio in genere fu proprio quella pau-ra. Lo dice bene Conterno che ricorda l’atmosfe-ra di tensione che si viveva in quel tempo, per cui subito si temette che l’attentato a Togliatti faces-se parte di un disegno reazionario, fosse un at-to provocatorio destinato, nell’intenzione di chi l’aveva compiuto, a provocare una reazione ope-raia da reprimere prendendola a pretesto per un colpo di stato.

Ci si sente attaccati e ci si prepara a difender-si, in attesa che la situazione si chiarisca, in atte-sa di”disposizioni”. Lo sottolineano in particolare anche Rodolfo Badarello, Angelo Cavallero e Lui-gi Pezza.

È da questo allarme e da questa inquietudine che nasce qualche tentazione insurrezionale. Quasi che da una situazione politica vischiosa e infida, in cui tutte le speranze sembrava che dovessero essere tradite e sconfitte e l’ingiustizia perpetuar-si all’infinito, si potesse uscire solo con un gesto definitivo.E qualcuno va a recuperare le armi nascoste do-po la guerra . Le testimonianze in tal senso con-cordano.Anche in Valbormida le armi ricompaiono nelle fabbriche che più intensamente avevano parteci-pato alla Resistenza: “non poche, soprattutto alla la Cokitalia”, dice Varaldo.Del resto, come è noto, avere armi nascoste non fu certo un’esclusiva di chi aveva combattuto in montagna o si richiamava agli ideali comunisti, in quel dopoguerra in cui le contrapposizioni sociali e politiche si facevano sempre più marcate e acce-se, e in cui si subiva in modo devastante il riflesso della contrapposizione tra i due blocchi.Sembra che anche a Savona proprio in quel 14 lu-glio se ne sia manifestato un segnale, anche se in sé l’episodio potrebbe definirsi simbolico. Secondo le testimonianze raccolte, quelli che pensano che forse è arrivato il momento di fare la rivoluzione sono frange minoritarie, per lo più giovani e partigiani, frange che attraversano mar-ginalmente l’insieme dei militanti e dei quadri del Partito Comunista savonese, ma l’interrogativo percorre e scuote fortemente e a lungo il partito.Di qui le discussioni animate nelle notti di presi-dio delle sezioni e delle fabbriche; a Santa Rita, al-la sezione Ugo Piero, vi partecipò anche il parro-co, lo racconta Giuseppe Vallerino, ed è un fatto che stupisce solo in parte.Di qui la lunga e affollatissima riunione in Federa-zione, durata una serata e una notte intere, in cui Velio Spano, inviato dalla Direzione del P.C.I. e re-duce da Genova, spiega perché non si può e non si deve fare la rivoluzione e che la strada è un’al-tra. Dev’essere stato un evento memorabile, infat-ti quando ho parlato con Dalmazio Montonati ho notato che quello dell’assemblea con Velio Spano

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è stato il primo dei ricordi che gli sono tornati in mente e Vallerino la descrive a lungo.Di qui le difficoltà a far riprendere il lavoro in qual-che fabbrica, come ad esempio la Montecatini di Cairo dove ci volle qualche giorno, dopo la cessa-zione ufficiale dello sciopero, perché la situazione tornasse alla normalità; o l’Ilva di Savona dove si ebbe un rientro graduale.Di qui il protrarsi nel tempo delle riunioni e del-la discussione, anche quando il movimento era completamente rientrato.

Ma, nonostante le dimensioni imponenti dell’agi-tazione e ciò che ribolliva negli animi, si può dire che non successe niente di graveI momenti drammatici del pomeriggio in Piazza Marconi a Savona furono superati con la tempe-stività dell’intervento dei dirigenti del movimen-to operaio, grazie al senso di responsabilità loro e di chi doveva dirigere le forze dell’ordine. Le trat-tative tra le parti, a cui Cavallero, Pezza e Vignola accennano, dandola per certa, portò ad una spe-cie di congelamento delle forze in campo: le forze dell’ordine nelle caserme, i dimostranti nelle fab-briche, nelle sezioni, nelle loro organizzazioni, nei loro presidi in attesa dell’evoluzione degli eventi.Giuseppe Vallerino dice: “Noi eravamo conse-gnati in sezione e nelle fabbriche, ma la polizia era consegnata nelle caserme”. E questo fatto, che di polizia non se ne vedeva, è sottolineato an-che da altri testimoni, e Varaldo lo conferma per la Valbormida come Mirgovi per Varazze.Qui colpisce ancora una volta il formidabile appa-rato organizzativo a cui i lavoratori e i cittadini po-tevano appoggiarsi, come colpisce il ruolo svolto dai dirigenti del Partito Comunista Italiano, coor-dinati a quelli del Partito Socialista, come ricorda Dalmazio Montonati, e a quelli della Camera del Lavoro; questi per altro provenivano prevalente-mente dalle file del P.C.I. e del P.S.I., specialmen-te del primo, nel savonese in misura molto mar-cata.Il sindacato assume nelle testimonianze un rilie-vo decisamente minore, fatte salve le Commissio-ni Interne, e questo è un dato che fa riflettere, ri-mandando alla scarsa autonomia della CGIL ri-spetto ai partiti, ma anche al travaglio che da tem-po agitava la Confederazione, dove la tenuta uni-taria era ormai giunta al punto di rottura e lo scio-pero generale proclamato per l’attentato a To-

gliatti fu l’occasione per farla precipitare.Quei dirigenti, a tutti i livelli, seppero essere tem-pestivi e capaci, assumendo decisioni operative e politiche di grande peso, spesso senza ricevere, per ragioni anche logistiche e di comunicazione, un grande aiuto dalle istanze superiori, e lo fecero profondendo tutte le loro energie.A parte Savona, dove c’era la Federazione e la pre-senza di un gruppo dirigente attrezzato, presumi-bilmente anche in grado di mettersi in contatto con la Direzione, toccò anche a giovani di scarsa esperienza politica farsi carico della situazione.A Varazze Antonio Mirgovi, assieme al segretario della sezione del P.C.I. Vittorio Busso e ad altri at-tivisti, deve confrontarsi con gli ardori rivoluzio-nari di una “compagna” torinese che si trovava lì e di pochi altri e organizzare in modo ordinato la protesta.A Cairo Montenotte, in un contesto molto più complesso, difficile e impegnativo, è un segreta-rio di sezione di ventun anni, da poco eletto a ri-coprire quella carica, Elvio Varaldo, che deve recu-perare e orientare il movimento, con grande fatica e con difficoltà non da poco da superare, come si può leggere nella sua testimonianza e come è già stato dello in queste pagine.Sono lì, a loro tocca e ce la fanno.D’altro canto c’è da considerare il rispetto con cui in quel tempo si guardava ai dirigenti. Per alcu-ni di essi, i maggiori, si andava anche molto oltre, c’era addirittura un affetto paragonabile a quello che si può provare per i familiari.Emerge con grande evidenza da un episodio che mi ha raccontato Rodolfo Badarello, accaduto ap-punto nel 1948 quando Palmiro Togliatti venne a Savona per la campagna elettorale.Si fece il servizio di guardia, i partigiani gli fecero il picchetto d’onore e di lì in poi “Mingo” avrebbe detto sempre che l’onore più grande della sua vi-ta era stato aver fatto la guardia a Togliatti.. Sem-bra quasi che per Togliatti molti fossero disposti a tutto. Quando Vallerino ricorda le discussioni sul-la necessità di non fare sciocchezze, di non col-tivare velleità rivoluzionarie destinate al fallimen-to, dice: ”…molti aggiungevano: possiamo an-che essere d’accordo, ma se Togliatti dovesse mo-rire… allora…!”Qui c’è non tanto un assurdo logico, non può essere infatti che la morte di Togliatti renda fat-tibile ciò che di per sé non è tale, quanto piut-

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tosto l’espressione di quanto fosse inaccettabile per i militanti del P.C.I. la morte, violenta, del lo-ro Segretario e quanto ciò potesse chiamarli a ge-sti estremi, quasi sacrificali. E le sue parole furono importantissime per mantenere il controllo della situazione.C’è il rispetto, c’è l’affetto, c’è la disciplina. Anche chi aveva altre aspettative, specie dove c’è mag-giore maturità politica, come alla Scarpa & Magna-no di Savona o alle Funivie di Cairo, rientra seppu-re “brontolando”Ma anche gli altri in fondo obbediscono. Si conti-nua a discutere ma intanto si obbedisceSi segue “la linea”, si ha il senso del partito e della sua tenuta unitaria.Anche a posteriori i nostri testimoni esprimono ri-conoscenza per i loro dirigenti di allora per aver saputo dare le giuste indicazioni ed evitare inizia-tive che avrebbero avuto conseguenze tragiche.È per tutto questo che si riesce a controllare fin dalle prime ore un movimento imponente che aveva assunto anche forme “paramilitari”, come le definisce nel suo racconto Luigi Pezza. Tali in fondo possono definirsi le disposizioni difensive messe in atto alla Scarpa & Magnano o in altre fab-briche, come i presidi posti in diversi punti stra-tegici e il fatto che siano ricomparse le armi, tal-ché a qualcuno poteva sembrare “di avere il mon-do in mano”.Nonostante tutto questo non ci sono sbavature, la situazione non sfugge di mano; come dicevo al-l’inizio di questa parte non succede niente di gra-ve.Sono significativi due episodi raccontati da An-tonio Mirgovi e Angelo Cavallero di cui si resero protagonisti il Maresciallo dei Carabinieri di Varaz-ze e un Ufficiale della Guardia di Finanza di stan-za alla caserma presso il porto di Savona, episo-di che possono fornire anche qualche chiave in-terpretativa.Il primo cerca di assicurarsi in via colloquiale che non avvengano assalti alla Caserma o al Comune. Il secondo si mostra disponibile, in caso di irruzio-ne, a cedere le armi. Entrambi vengono tranquil-lizzati, ché non c’è alcuna intenzione di fare qual-cosa del genere. Quella di questi due ufficiali delle forze dell’ordi-ne potrebbe sembrare arrendevolezza disdicevo-le, ma forse fu piuttosto senso di responsabilità, volontà precisa di evitare scontri o spargimenti di

sangue che tra l’altro avrebbero potuto far preci-pitare le cose. Certamente il loro comportamento rivela che temevano attacchi. E se, come dice Mir-govi, a Varazze intervennero anche aspetti caratte-riali del personaggio, per Savona, date le dimen-sioni dell’agitazione, si può pensare anche che le forze dell’ordine non si sentissero sicure di poter fronteggiare gli eventi in modo conveniente e che abbiano preferito prender tempo facendo buon viso a cattiva sorte. Questa è l’opinione di diver-si testimoni circa quella giornata.

E chi non è comunista, chi non è operaio, chi sta fuori della fabbrica, come reagisce agli avvenimen-ti del 14 luglio 1948?In Savona, che era una città industriale e che an-che complessivamente aveva un orientamento politico prevalentemente di sinistra, parte della cittadinanza partecipa alla manifestazione e al fer-mento2.Ma altrove non è così. Antonio Mirgovi ci dice che a Varazze, al di là del movimento operaio, la città non partecipa, addirittura gli “avversari di maggior spicco” prudentemente si allontanano.Elvio Varaldo ci descrive una Cairo curiosa e im-paurita.La stessa reazione operaia non è uniforme, si hanno anche segni di distacco. In Valbormida ad esempio, come ci spiega sempre Varaldo, accanto alle fabbriche in cui l’adesione allo sciopero è to-tale (resta dentro solo chi, come alla Montecatini, deve preservare la sicurezza degli impianti) ce ne sono altre dove l’adesione è stentata o minorita-ria, come la Ferrania e l’ACNA di Cengio. Ci dovet-tero essere anche pressioni.Stupisce che nel ricordo dei testimoni questi aspetti restino piuttosto in ombra. E che quando si viene a parlare degli argomenti con cui si con-trastarono allora le voci più spinte, si rammentino le questioni legate alla collocazione internazionale dell’Italia e non invece quelle interne, dell’orien-tamento dei cittadini, tra i quali le forze di sini-stra, anche dove erano più radicate, non mancava-no di suscitare diffidenze e paure. Per non parlare del versante militare, che, almeno in prima battu-ta, sarebbe stato decisivo. Solo Luigi Pezza accen-na alla forza degli apparati dello stato e al fatto che l’Italia non era tutta dello stesso segno. Forse que-sti argomenti sarebbero stati poco efficaciElvio Varaldo, che allora era reduce da una bat-

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taglia politica vittoriosa nella sezione del P.C.I. di Cairo proprio contro chi manifestava velleità rivo-luzionarie, rileva che quel movimento era isolato e aggiunge, anche a posteriori, un giudizio com-plessivamente non positivo e non generalmente condiviso su quell’evento, pur riconoscendo che non ne conseguirono defezioni dal partito e che non mutò in seguito l’orientamento elettorale dei cittadini della Valbormida, dove il P.C.I. manten-ne la sua forza.Certo per la vita di molte persone protagoniste dei fatti quelle giornate ebbero ripercussioni ne-gative. Accanto a chi fu sottoposto a procedimen-ti giudiziari (di cui in queste interviste non si par-la), ne pagarono lo scotto ad esempio molti di-pendenti della Montecatini e anche all’Ilva di Sa-vona dove pochi mesi dopo iniziarono i licenzia-menti; ma qui erano in gioco anche disegni di po-litica industriale.

Illuminante, al fine di cogliere il punto di vista de-gli “altri”, è il lungo e dettagliato racconto di Fede-rico Rosa che quel giorno si trovava a Genova per sostenere un esame universitario.Si vide invitato dallo stesso Professore che avreb-be dovuto esaminarlo a lasciare la sede universita-ria e a cercare di raggiungere la stazione ferrovia-ria per rientrare a Savona dove abitava.Nel tentativo, faticosamente riuscito, di salire su un treno con cui tornare a casa, assieme ad una giovane e impaurita compagna di avventura, eb-be modo di cogliere qualche aspetto delle con-vulse vicende che Genova visse allora: movimen-ti, grandi concentramenti di persone, rumoreggia-re, autoblindo che affrontavano la folla, silenzi, ur-la, spari.Ci fa capire come dovettero sentire e vivere quei momenti coloro che non ne erano partecipi, ma forzatamente coinvolti. Ci restituisce i sentimenti di sconcerto e di paura che essi sicuramente pro-varono e anche le valutazioni che furono e sono sue ma che dovettero essere allora di tanti, i qua-li, pur senza alcuna esasperazione di parte, non si riconoscevano nello schieramento di sinistra (an-che se magari avevano militato nella Resistenza, come nel suo caso).Egli pensò, e pensa, che pur davanti a un fatto gravissimo come l’attentato a Togliatti, la base del Partito Comunista abbia scatenato una reazione “esagerata”, anche per quei tempi, “ingiustificabi-

le” anche se “comprensibile”. Gli attacchi al Go-verno appena insediato, come se condividesse la responsabilità dell’attentato, gli appaiono assolu-tamente infondati. Anche a posteriori considera i” moti” del 14 luglio 1948 un tentativo di rovesciare sul campo il recen-te risultato elettorale che aveva dato la vittoria alla Democrazia Cristiana.La testimonianza di Federico Rosa ci restituisce anche l’immagine della città di Savona come egli la trovò la sera verso le 19,30-20 quando finalmen-te vi rientrò.È una città tranquilla, dove un amico comunista prudenzialmente lo accoglie alla stazione per ac-compagnarlo a casa, ma dove non si hanno più se-gni di movimento.Egli non ricorda che sia accaduto qualcosa di no-tevole nei giorni successivi, né allora ebbe notiziache qualcosa di notevole fosse accaduto prima.Anche questo concorre a testimoniare che il con-trollo della situazione era stato ripreso tempesti-vamente in città. A quell’ora ciascuno era conse-gnato nelle sue sedi in attesa.

L’analisi delle testimonianze raccolte ci porta quindi a concludere con un paradosso: nel mo-mento in cui molti sperarono, seppure per oppo-ste ragioni, e molti temettero che volesse fare la rivoluzione, il P.C.I. fu invece garante dell’ordine pubblico e democratico.

Testi di alcune delle testimonianze rac-colte

Rodolfo Badarello

Conversazione con Rodolfo Badarello sul 14 lu-glio 1948 a Savona. Casa Badarello, 25/05/2008 ,. Trascrizione, passi.

Rodolfo Badarello, oggi conosciuto soprattutto come storico (specie del movimento dei lavorato-ri) e come poeta, nel 1948 era operaio qualificato presso la Scarpa & Magnano di Savona.

“Quel giorno appena avuta la notizia dell’atten-tato a Togliatti suonò la sirena dell’officina e su-bito uscimmo schierandoci fuori della portine-ria, in Via Fiume.D. Chi ha fatto suonare la sirena, la Commissio-

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ne Interna?R. Si, la Commissione Interna e ci pensò perso-nalmente, se ricordo bene, l’operaio Pietro Fa-san, un ex partigiano, che già l’aveva fatta suo-nare la mattina del 25 luglio e dell’8 settembre 1943.D. Quindi suona la sirena e si esce.R. Si e molti lavoratori che non erano di turno, avendo recepito a casa la notizia, accorsero an-che loro a radunarsi con noi fuori dello stabili-mento. Eravamo allora più di 800 e non tardam-mo a muoverci in corteo verso il centro della cit-tà, su per Via Milano verso Piazza Brenneroraccogliendo gli studenti del Boselli e poi giù per Via San Lorenzo, crescendo mano a mano di numero con la popolazione che si aggregava. Allora Villa Piana era un quartiere tipicamen-te operaio. […]Ci incontrammo con i lavoratori dell’Ilva, della Servettaz Basevi, della Dotta & Vené, della Bal-bontin provenienti da Corso Ricci. […] Erava-mo tanti. Migliaia. Ci muovemmo a manifesta-re la nostra rabbia lungo le vie del centro do-ve i negozi intanto avevano abbassato le saraci-nesche, quindi andammo sotto il palazzo della Prefettura. Non ricordo se una delegazione sa-lì e fu ricevuta dal Prefetto, so che poi ci river-sammo tutti nella vicina Piazza Marconi dove si trovava la sede della Democrazia Cristiana. Quelli che poterono, nonostante la vigilanza di un nucleo di carabinieri, che nemmeno tentaro-no di impedirlo di fronte alla loro furia, entra-rono nel portone e salirono su al secondo o ter-zo piano ad occuparla. Io mi trovavo in mezzo alla piazza. Allora non c’era ancora la fontana del pesce. Quelli che erano saliti ricomparvero a basso con un fucile, o due, che avevano eviden-temente trovato in quella sede.3R. Qualcuno mi ha parlato dell’esplosione di bombe che sarebbero state trovate all’interno.R. Si, […]. Probabilmente di quelle italiane, det-te Balilla, che facevano un gran fracasso e poco danno. Una delle tante armi poco efficaci con le quali i nostri soldati sono stati mandati in guer-ra.Con quell’assalto si può dire che finì la nostra di-mostrazione. Anche perché dal balcone della vi-cina sede del Partito Socialista l’Onorevole An-giola Minella riuscì, dopo un’infinita attesa che ci calmassimo, ad arringarci per invitarci a ri-

tornare tutti al proprio posto di,lavoro, rima-nendovi a disposizione delle direttive che sareb-bero state emanate dal Partito Comunista e dal-la Confederazione del Lavoro: cosa che noi la-voratori della Scarpa & Magnano abbiamo fat-to ritornando in corteo nel nostro stabilimento e provvedendo subito ad armarlo.D. Armarlo in che senso?R. Ne abbiamo protetto ogni possibile ingresso con un potente sbarramento di corrente elettri-ca ad alta tensione servendoci dei trasformatori da noi prodotti, che all’occorrenza messi in fun-zione avrebbero impedito a chiunque, nel caso la Polizia, di entrare.D. Siete rimasti in fabbrica, avete occupato la fabbrica e l’avete difesa.R. Così hanno fatto all’Ilva, so che avevano degli operai sui tetti dei capannoni a vigilare …Co-sì in altre fabbriche. Aspettavano la reazione da parte della Polizia.D. Vi aspettavate un attacco?R. Si, perché ad ogni dimostrazione che faceva-mo, prima o poi arrivava la Celere a caricarci con le jeep, a colpi di manganello.E invece quel giorno non si era visto un poliziot-to: forse perché eravamo troppi e soprattutto fu-riosi o forse dietro precisi ordini.D. Quindi la Polizia non si vede in giro?R. No, quel giorno vedemmo solo il gruppo di ca-rabinieri di servizio davanti alla sede della De-mocrazia Cristiana.D. Già il giorno dopo si riprese il lavoro?R. No, lo sciopero durò quarantotto ore come di-chiarato dalla Confederazione del Lavoro e in-tanto era giunta la notizia che Togliatti era fuo-ri pericolo di vita. E giusto la sera del giorno do-po abbiamo smobilitato il nostro apparato di-fensivo, senza che la polizia si facesse vedere.D. Durante questo tempo in cui siete stati in fab-brica avevate dei contatti con qualche organiz-zazione, con “il Partito”?R. Con la federazione del P.C.I. prima di tutto, della quale ancora facevano parte alcuni ope-rai della Scarpa & Magnano.D. E il sindacato invece?R. Il sindacato era rappresentato attivamente dalla Commissione Interna … E poi l’A.N.P.I. … Molti erano i partigiani che lavoravano al-la scarpa & Magnano, oltre 150, con responsabi-lità nel sindacato, nel P.C.I., tra i giovani … Im-

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pegnati soprattutto nella loro Associazione che si dimostrò, e credo non solo alla Scarpa & Magna-no, la parte più combattiva di quella “rivolta” operaia che con una certa esaltazione del mo-mento tanti avrebbero voluto continuare …D. Così si pensava che fosse giunto “il momen-to”?R. Si, noi giovani ex partigiani, almeno, sconten-ti come eravamo di come andavano le cose al-lora.D. Ma eravate un po’ tutti d’accordo che fosse ve-nuto il momento di fare la rivoluzione?R. Noi giovani si. Poi è stato scritto che l’entu-siasmo per la vittoria di Gino Bartali al Tour di Francia ci aveva bloccati. Una boiata: sono stati gli anziani compagni più fedeli al Partito a con-vincerci che dovevamo tranquillizzarci. Ci por-tarono giustamente l’esempio dei partigiani co-munisti greci che non deposte le armi erano tor-nati sui monti per finire massacrati con l’aiu-to militare inglese e l’estraneità di Tito sull’aiuto del quale avevano sperato.D. E poi quando invece vi è stato detto;”Basta co-sì”, come l’avete presa?R. Riprendendo il lavoro non è che fossimo tan-to soddisfatti. Era più la voglia di fare qualcosa contro lo stato delle cose. Comunque sia nel Par-tito sia all’A.N.P.I., come nel sindacato si tenne-ro molte riunioni per spiegarci.D. Però non c’è stato nessun, come dire, niente di preordinato, è stata una cosa spontanea?R. Si, tutto iniziò con la dimostrazione di prote-sta per l’attentato a Togliatti e poi le cose presero ad andare come andarono. Anche l’assalto alla sede della D.C. fu spontaneo.D. Ritenevate la D. C. politicamente responsabi-le?R. Si. Ricordiamoci sempre delle violenze della Celere di Scelba, voluta, contro noi lavoratori.D. Quindi tutto è finito in due giorni?R. Si, il tempo di durata dello sciopero generale dichiarato dalla Confederazione. Poi, come ho già detto, le discussioni durarono a lungo all’in-terno delle organizzazioni. Per tanti di noi po-teva essere l’occasione di cambiare le cose. In-genuamente, si, ma visto come vanno oggi dopo tanti anni ancora le cose …D. Si, si. Senta poi in fabbrica ci sono state delle conseguenze per chi era stato protagonista del-l’occupazione, per esempio ci sono state rappre-

saglie?R. No, non subito almeno da noi. Tenga presen-te che alla Scarpa & Magnano allora, ancora, c’era una gestione operaia.4 E fu per questo che quel giorno riuscimmo in poche ore a metter su quello sbarramento di difesa con l’alta tensione per ricevere la Polizia.D. La fabbrica era diventata un fortilizio.R. Si. Invece all’Ilva, per esempio, gli operai ave-vano disposto la difesa diversamente, con vedet-te sui tetti dei capannoni, squadre a guardia nelle portinerie e fuori … Non so bene …Pen-so però che fu con gli operai dell’Ilva che comin-ciò la reazione smobilitando poco alla volta lo stabilimento.D. Già nel 48?R. A cominciare da allora, con i quasi forzati trasferimenti all’Ilva di Cornigliano, a Novi Li-gure …D. Nell’ambito dei progetti di sviluppo della side-rurgia in Italia?R. Si, si intendeva incrementare la produttività degli stabilimenti di Taranto, di Bagnoli …D. Secondo lei c’erano delle ragioni politiche in queste scelte di smobilitazione?R. Si, Savona era allora un grosso centro ope-raio, ritenuto “sovversivo”, da demolire. E da noi alla Scarpa & Magnano la reazione comin-ciò con il recupero della gestione dello stabili-mento da parte dell’Edison –nel secondo seme-stre del ’49- e si concluse, dopo continue malver-sazioni, soprusi, disconoscimento dei diritti sin-dacali, e con il licenziamento di 150 lavoratori, quasi tutti ex-partigiani e attivisti della F.I.O.M., che poi dovendo affrontare le esigenze della pro-duzione in corso, furono sostituiti in breve tem-po con nuove selezionate assunzioni.D. La Camera del Lavoro non sembra che com-paia, non me ne parla nessuno, tutti mi parla-no del Partito.R. Del Partito, dell’A.N.P.I., della Camera del La-voro. L’attività di ognuna di queste associazioni quasi si confondeva con le altre, anche gli attivi-sti si prestavano sia all’una che alle altre, si può dire. E poi le Commissioni Interne avevano rap-porti continui con la Camera del Lavoro.D. Senta, la città, la gente della città ha parteci-pato o era una cosa dei lavoratori?R. Ha partecipato. E come! Quando noi della Scarpa & Magnano, per esempio, ci siamo mossi

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da Via Fiume su per Via Milano e poi per Via San Lorenzo (facevamo sempre Via San Lorenzo per evitare un’eventuale chiusura del passaggio a li-vello ferroviario di Via Torino), lungo il tragitto tanta e tanta gente, donne e ragazzi del quartie-re, si aggregò al nostro corteo ed i negozi chiuse-ro, non per paura ma per solidarietà.D. Le vorrei chiedere se è vero che c’è stata qual-che opera di difesa anche attorno alla Federa-zione.R. Senz’altro. Molti operai erano sempre presen-ti in essa per sapere, mentre altri erano fuori del portone di guardia … E lo stesso accadeva per la sede dell’A.N.P.I., in Corso Italia e nella vicina Camera del Lavoro”.

Antonio Mirgovi

Conversazione sul 14 luglio 1948. Casa Mirgovi, 19 maggio 2008. Trascrizione, passi.

Antonio Mirgovi era allora Segretario (non funzio-nario) della Camera del Lavoro di Varazze e cose-gretario assieme a Vittorio Busso della locale se-zione del P.C.I.. Lavorava ai Cantieri Baglietto do-ve era anche membro della Commissione Inter-na.

Il 14 luglio 1948 si trova a Genova per sostenere un esame. Sul punto di uscire dalla sede dell’Isti-tuto Vittorio Emanuele viene trattenuto da un bi-dello il quale gli dà notizia che uno studente ha attentato a Togliatti e lo invita a non uscire per-ché in città si dà la caccia agli studenti, fatto rive-latosi poi non vero. Egli non si lascia scoraggiare e, con alla mano la tessera e il distintivo del P.C.I,. da usare eventualmente come lasciapassare anche dall’amico Rogantin che lo accompagna, si avvia. Riesce a raggiungere la stazione senza incontrare ostacoli degni di nota. Ricorda di aver “assistito al-le scene dei portuali di Genova che addirittura hanno levato dai binari i tram e li hanno sposta-ti in modo che non potessero camminare. La po-lizia stava a vedere”.Rientra nella sua città in treno nel primissimo po-meriggio“Come sono arrivato a Varazze sono andato in sezione. Lì ho trovato una compagna di Torino che si trovava provvisoriamente a Varazze , non ricordo per che cosa, e voleva che andassimo a

occupare il Comune, la Caserma dei Carabinie-ri, cioè che facessimo la rivoluzione.Io, che un po’ avevo sentito, un po’ avevo capito, che non erano queste le condizioni - c’era l’Ame-rica di mezzo, c’era … e poi noi non eravamo assolutamente preparati- ho cercato di convin-cere tutti. Per fortuna Segretario della Sezione, congiuntamente con me, era Vittorio Busso, lo zio dell’attuale Busso. Era un uomo amante del-la pace e della tranquillità, non gli piacevano per niente la rivoluzione e i rischi illegali […] L’abbiamo convinta che non si poteva e non si doveva fare.È venuto anche qualcun altro a dire:”Allora, che cosa facciamo?” […]. Però non c’è stato proble-ma […] non hanno insistito, non ci sono sta-te difficoltà.Poi sono uscito fuori a vedere, ho incontrato il Maresciallo dei Carabinieri il quale era preoc-cupato, mi dice: ”Che cosa fate, non venite mi-ca a occupare edifici pubblici?”. Voleva dissua-derci da gesti clamorosi e rassicurarsi che non sarebbe accaduto nulla di grave. “Ma si figuri se veniamo ad assalire la Caserma dei Carabinie-ri!” Era un tipo fatto così. Quando poi io diffon-devo L’Unità alla domenica, lui veniva da me e diceva:”Geometra, ma perché diffonde L’Uni-tà in Piazza del Comune? Vada a diffonderla al Molo, vada a diffonderla a San Nazario, viene in Piazza della Chiesa, in Piazza del Comune?”. […]Abbiamo fatto un corteo …D. Praticamente la sezione è stata un punto di raccolta?R. Si, si. Si è riempita di gente la Sezione e abbia-mo fatto un corteo per Varazze, al quale hanno partecipato molte persone, abbiamo fatto ferma-re tutte le aziende.D. Allora a Varazze che cosa c’era?R. Cotonificio e Cantieri Baglietto. Nei Cantie-ri Baglietto […] facevo parte della Commissio-ne Interna.Io lavoravo ai Cantieri Baglietto, ci ho lavorato da quando avevo 14 anni e mezzo, ho lavorato sette anni nei Cantieri, non tutti, perché c’è stato il periodo della cospirazione […]Quindi c’è voluto poco. Poi sono andato dalla corderia, era una fabbrichetta dove facevano cordame per le imbarcazioni, esportavano an-che in Unione Sovietica.

Il 14 luglio 1948 nel racconto di alcuni testimoni Rita Vallarino

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Insomma quel giorno non abbiamo fatto la rivo-luzione, ma abbiamo bloccato un po’ tutto. […] Non c’era di polizia, non ci sono stati scontri, non ci sono stati momenti di tensione particola-re, non abbiamo trovato nessuno che abbia pro-vocato o abbia in qualche modo contrastato la dimostrazione. C’era solo il Maresciallo che era una persona ragionevole e che si preoccupava che non facessimo cose che richiedessero un in-tervento. È passato quel giorno, sono state diffuse le paro-le di Togliatti, che diceva di non fare sciocchez-ze, e così abbiamo fatto. Io ho telefonato in Fede-razione, è venuto a Varazze, mi pare ma non so-no sicuro, il marito di Angiola Minella, Molina-ri, che io avevo conosciuto durante la cospira-zione,[ ] è venuto lui, mi pare, e un altro a dirci di stare attenti, di non accettare provocazioni.Intanto in quel giorno lì sono spariti tutti gli av-versari, diciamo così, di maggior spicco, si sono allontanati con assoluta discrezione. Quindi è finita la giornata e poi il giorno dopo … insom-ma la cosa praticamente è finita lì.I miei ricordi del 14 luglio sono questi. Tenuto conto che poi io quel giorno lì non l’ho vissuto dall’inizio, perché io ero al Vittorio Emanuele. […]D. E la cittadinanza?R. La cittadinanza non ha partecipato molto, salvo i compagni che erano tanti, tieni conto che allora a Varazze, nel 48, c’era una buona ade-sione al partito, era il periodo subito dopo le ele-zioni del 18 aprile …Io mi ricordo sempre il tito-lo di apertura de L’Unità: Il Fronte è in testa!D. Il Cotonificio e i Cantieri avevano tanti dipen-denti?R. Il Cotonificio aveva un migliaio di dipendenti, più del 90% donne. Ai Cantieri Baglietto lavora-vano circa 300 persone. C’era anche il Gas, ci la-vorava Vittorio Busso, lì c’era Giuntini[…]D. E senti un po’ la C.G.I.L.? Tutto è partito dalla sezione del Partito Comunista?R. Si, si. Alla Camera del Lavoro non c’era nessu-no, c’ero io con Carbone, della D.C., era un ra-gazzo meridionale. Cominciavo allora a fare il Segretario della Camera del Lavoro.D. Quindi insomma protagonisti sono stati …R. Il P.C.I., si. Tutti in giro chi da una parte, chi dall’altra. Per gli edili noi avevamo un capocan-

tiere molto conosciuto allora, è andato da tutte le imprese che lavoravano a Varazze per dire di sospendere il lavoro. Si chiamava Aismondo. Lui si era occupato di questo, Vittorio si era occupa-to dell’Officina Gas e, insieme a me, dei Cantieri Baglietto, io mi ero occupato della Corderia Fer-ro e del Cotonificio.D. Quant’è durata la sospensione del lavoro?R. Un giorno e mezzo, mi pare. Quel giorno lì e il giorno dopo. Anche perché c’erano stati i giorna-li, la comunicazione che si era trattato di un fat-to individuale, e poi questa posizione di Togliat-ti, che era stata molto responsabile. Se lui aves-se detto “partite” probabilmente non si sarebbe-ro fermati”.

Federico Rosa

Conversazione circa il 14 luglio 1948. Casa Rosa, 17/03/2008. Trascrizione.

Il 14 luglio 1948 mi trovavo a Genova presso la Facoltà di Lingue per sostenere un esame di sto-ria medievale col Professor Marmorale.Nella divisione in gruppi degli studenti che si erano presentati, io ero stato assegnato a quel-lo del pomeriggio ed ero rimasto nella sede uni-versitaria per ascoltare, come altri, alcuni degli esami del mattino e per il classico ripasso.Verso le 14-14,30, stavamo attendendo il Prof. Marmorale perla seduta pomeridiana.Lo vediamo arrivare con i suoi Assistenti eviden-temente molto turbato. Raduna tutti i presenti per dare una comunicazione importante:”Hanno attentato a Togliatti!”La notizia lascia un po’ perplessi gli studenti, al-cuni dei quali forse non conoscevano bene il personaggio in questione.Io avevo avuto occasione di conoscere Palmiro Togliatti nel mese di giugno del ‘45, appena fi-nito il mio periodo partigiano. Avevo trascorso un mese come volontario presso il Comando Ita-liano nell’Oltrepo, nelle vicinaze di Cesena, do-ve si trovava infatti mio fratello come interpre-te. In quel periodo, mi sono recato con mio fra-tello a Roma ché aveva una missione da com-piere al Ministero; non ho mai saputo quale fos-se. Sono andato a Roma con lui e siamo rima-stile tre o quattro giorni lì. Erano i giorni 20-23. Lui è andato per la sua missione, io me ne so-

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no andato a spasso per Roma e a un certo mo-mento, passando per Via dei Fori Imperiali, vedo scritto: discorso di Palmiro Togliatti. Sapevo chi era, vagamente; si avvicinano dei giovani… in-somma vengono a sapere che io sono stato parti-giano in Liguria, lo vanno a dire a lui, lui scen-de dal palco gentilmente e mi viene incontro, mi viene a stringere la mano e dice:”Tu sei stato…” “Si – dico – in una brigata garibaldina in Li-guria, provincia di Savona”. “Ah, mi congratulo con te, bravo hai fatto bene, hai combattuto per l’Italia”. “Eh – dico – si, io sono un italiano con-vinto e ho fatto quello che ritenevo il mio dovere, perché essendo della classe 1925 ero stato chia-mato dalla Repubblica ma non mi sono mai pre-sentato perché non ero di quell’avviso, e poi mio fratello era dall’altra parte con gli inglesi, per-ciò ci saremmo trovati in contrasto”. Mi ha fat-to le congratulazioni, stretto la mano, m’ha fat-to sedere lì in prima fila e ho ascoltato il discor-so di Togliatti.Ecco perché l’annuncio dell’attentato a Togliatti mi ha impressionato un poco più degli altri.Dopo aver dato la notizia il Professore dichiara sospesi gli esami e ci invita a ritornare a casa, segnalandoci che Genova è in subbuglio.Mentre gli altri erano di Genova, io e una gio-vane collega di un paese rivierasco del Ponen-te avevamo il problema di rientrare nelle nostre città e la ragazza era piuttosto impressionata.Eravamo in Via Montegrappa, siamo scesi giù e abbiamo raggiunto la stazione Brignole; nella piazza antistante si vedeva un po’ di movimen-to, dentro la stazione era piena di gente all’inve-rosimile. Ma noi non ce ne siamo preoccupati, a noi interessava venire a casa. Andiamo a chiedere, ma: “I treni sono fermi, non passa nessun treno”. “Che facciamo? “mi di-ce ‘sta ragazza. Vedevo che era proprio spaven-tata. Dico: “Sta a sentire, raggiungiamo la sta-zione Principe”. In quel momento intanto si sen-te qualcosa, dei rumori sospetti che era difficile identificare: potevano essere spari o urla… un rumoreggiare. Dico: “Beh, passiamo da Via San Vincenzo, andiamo su”. Percorriamo Via San Vincenzo abbastanza comodamente, quando arriviamo alla congiunzione con Via XX Settem-bre, sbucando lì sotto il ponte, ci troviamo da ogni parte in mezzo ad una folla di persone che urlavano, veniamo quasi avvolti dalla folla..

La cosa, sia a me sia a quella poverina non an-dava troppo a genio.Io mi dico: “Mi sono salvato dai tedeschi, mi so-no salvato dai loro spari, mi sono salvato da una condanna a morte del Tribunale Speciale Fasci-sta, ho fatto tutto quello che dovevo fare, farci la figura del topo in fogna a me non piace; trovia-mo una formula”. Eravamo sotto i portici: tutti i negozi chiusi ecc. La faccenda durava forse già da qualche ora. Ci sganciamo: la mandavo un pochettino avanti, poi un pochettino avanti an-davo io, insomma sgattaiolavo attraverso la fol-la. Ogni tanto qualcuno dice: “Venite andiamo” “Si – dico – un minuto, lo dico a mio fratello co-sì viene anche lui”, trovavo delle scuse. Non mi andava di mescolarmi alla folla, perché la folla è sempre pericolosa. Mi son detto questo.Io poi quando ero partigiano, essendo abitua-to a operare per conto mio, ho sempre fatto del-le missioni da solo. Io avevo un incarico di ser-vizio di informazione militare che mi era stato dato dal mio comandante, perciò ero obbligato ad operare sempre da solo e disarmato. Anda-vo anche davanti al Comando Tedesco di Fina-le, ci passavo davanti, non dico tranquillo, con lo spavento di essere preso, e una volta per poco non succede; preferivo stare sempre da solo, an-che se poi qualche volta mi sono trovato a dover sparare assieme a degli altri perché non potevo sparare da solo.Pian piano pian piano andiamo su. A un cer-to momento ti vedo sbucare, e non sono riusci-to a capire da dove, due autoblindo che si erano piazzate proprio davanti alla folla. “Ah – qui di-co – santo cielo!” La ragazza si infila in un por-tone, io guardo un po’, non la vedo, la chiamo e… “Sono qui”, sono andato anch’io. E adesso che facciamo? È difficile decidere, fare qualco-sa.C’era sempre il rumoreggiare della folla, ur-la contro il Governo; si tenga presente che il 18 aprile c’erano state le elezioni ecc. Non so, io non sono di estrazione comunista, perciò ho co-minciato a pensare che ci fosse qualcosa di trop-po politico lì dentro.A un certo momento sentiamo veramente spara-re, ma non si riesce a capire dove sia.Erano colpi secchi, doveva essere un fucile o una mitragliatrice: conosco le armi, le ho usate an-ch’io e so che anche la mitragliatrice può spara-

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re colpi singoli, non solo a raffica.Non si riusciva a capire. Due autoblindo cam-peggiavano lì davanti con la classica mitraglia-trice puntata verso la folla e silenzio da parte della polizia. Quello che meravigliava era pro-prio il comportamento della folla, sembrava di assistere ad una situazione bloccata: fermi gli uni, fermi gli altri. Poi a un certo momento c’è un po’ di movimento, non si capisce bene, sem-bra che qualcuno urlando si avvicini alle auto-blindo, al che queste fanno una lieve retromar-cia e poi si mettono in posizione tale che sembra proprio che possano sparare o vogliano … non lo so, non sono in condizione di dire di più.“Cosa facciamo?” Intanto i minuti passavano, finalmente arriviamo in Piazza De Ferrari. Lì c’era concentramento di gente, ma minore. Al-lora attraversando dal Carlo Felice, ancora di-strutto, ci infiliamo in quei vicoli a noi scono-sciuti che scendono giù e infine, attraverso via Pré, raggiungiamo la stazione Porta Principe. Erano passate almeno due ore.C’era un po’ di gente. Nessuno sapeva dare ri-sposte alle nostre domande. All’ improvviso un annuncio: treno per Savona partenza fra mez-z’ora o… non ricordo. Vediamo sfilare la loco-motiva con due vetture mentre gli altri erano tutti carri merci. Allora si viaggiava anche sui carri merci, saltiamo sopra e chiudiamo lo spor-tello; stiamo lì in attesa, a vedere, il convoglio è stato parecchio prima di partire, sembrava che non partisse poi a un certo momento: partito!Quando siamo arrivati a Sampierdarena abbia-mo cominciato a tirare un respiro di sollievo. Poi è successa una cosa strana: appena arriva-ti Savona, alla stazione Savona Le timbro, ho vi-sto che c’era un mio amico iscritto al Partito Co-munista, si chiamava Vincenzo Sclavo. Dopo i convenevoli di rito gli ho raccontato com’era-no le cose e lui mi dice: “Ho pensato di venire ad aspettarti alla stazione per accompagnarti fi-no a casa perché sai ci può essere qualcuno che, avendo tu idee diverse dalle mie, potrebbe essere un po’ dispettoso; preferisco accompagnarti”. Mi ha commosso, perché effettivamente si presenta-va come un amico. Sono arrivato a casa e si è chiusa la giornata.

Ed ecco i miei commenti personali. L’attentato a Togliatti era stato una cosa grave, senz’altro,

come qualsiasi altro attentato ad un uomo poli-tico. Certamente ho pensato che avrebbe provo-cato dei sussulti nella vita politica italiana, pe-rò non ritenevo fosse giusto che migliaia e mi-gliaia di persone si mettessero a inveire contro il Governo appena costituito per una cosa per la quale era difficile stabilire che ne avesse la re-sponsabilità. E allora la cosa mi è dispiaciuta, io dico che non si deve arrivare a queste forme, che dovrebbero essere ormai superate. Supera-te dai tempi, dalla storia e superate anche dal buon senso.D. Certamente … eravamo nel ‘48.R. Eravamo nel ‘48, la situazione era del tutto di-versa. Oggi non sarebbero più comprese.D. Certamente no.R. Allora sono avvenute e forse hanno costituito una prova della diversità tra il modo in cui si vi-veva allora e quello in cui si vive adesso. Adesso potrei dire di avere concluso.D. Posso farLe qualche domanda? R. Come no!D. Lei ha ricordo di qualcosa che sia accaduto a Savona?R. No, Savona assolutamente no.Pensi che ero partito alle 7 da Savona e vi sono ritornato che erano le 19,30, forse le 20. Dodi-ci ore fuori, per cui non so, anche se questo mio amico, Sclavo, mi dice:”Sai, c’è in po’ di movi-mento”.D. Niente di paragonabile a quello che era acca-duto a Genova.R. Per quello che ne so io, no perché lì era come, interpretazione mia, i prodromi di una possibi-le rivoluzione La mia impressione è questa. Non si è verificata fortunatamente perché vi è stata una ferma presa di posizione del Governo Ita-liano appena eletto e mi piace pensare che al-trettanta disponibilità abbia dimostrato il par-tito avverso.D. Sono stati poi gli stessi dirigenti del Partito Co-munista e del Sindacato a cercare di far rientra-re l’agitazione.R Io non ho mai collegato le due cose, perché ho sempre avuto dei buoni amici fra gli aderenti al Partito Comunista; potrei citarle, uno per tutti, Demetrio Provino che è stato per anni Console del portuali. Siamo stati sempre in ottimi rap-porti; noi abitando alla Villetta avevamo fonda-to assieme il Consiglio di Quartiere e poi, aven-

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do io preso più voti di lui, lui disse:”E’ giusto che lei faccia la Presidente” ed io ho voluto che lui fosse il Vicepresidente. Questo per dire che non ho mai confuso le questioni politiche con le que-stioni drammatiche magari conseguenti alla po-litica.D. Quindi c’era proprio l’impressione da parte di chi ha vissuto allora che fosse in gioco qualco-sa di grosso, che ci fosse un pericolo?R. Si si, direi di si.. Guardi, per quanto ne so -la storia ci ha insegnato e non recentemente ma in altri tempi ho letto qualcosa anche su pubbli-cazioni che chiamerei pubbliche o ufficiali- era avvenuto un capovolgimento di una situazione che si stava invece normalizzando, che col nuo-vo Governo si stava regolarizzando. E perché ho pensato una cosa del genere? Perché in quell’oc-casione chi aveva vinto era stata la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista (presentatosi al-le elezioni assieme al Partito Socialista nel Fron-te Popolare) aveva perso perciò poteva nascere quella forma di reazione.D. Come reazione all’esito delle elezioni?R. Come reazione all’esito delle elezioni; sono tutte valutazioni che non hanno un fondamen-to preciso, sono impressioni.D. Quindi Lei pensa che potrebbe essere stato un disegno dei vertici.R. Questo non l’ho pensato. Quando ebbi l’oc-casione di conoscere Togliatti, avevo ascolta-to il suo discorso con la massima attenzione e lo avevo trovato una persona amabile e dalle idee chiare. Non avevo nessuna idea (politica) in quel tempo, probabilmente dipendeva un po’ dalla provenienza. La nostra era una famiglia cattolica, cristiani cattolici convinti, e avevo co-minciato anche a studiare un pochettino la fi-losofia, le idee di altri, da Proudhon a Marx a Engels ecc., in somma non collimavano con le mie.Del vertice no. Una reazione esagerata da parte della base. Non giustificata ma comprensibile.D. Una reazione emotiva?R. Più emotiva che altro.D. E, per quel che può ricordare, successivamen-te come è stata vissuta quella vicenda?R. Nei giorni successivi non ho avuto nessun problema, sono uscito, incontravo le solite persone,compresi amici di altro pensiero politi-co e tutto era rientrato nella normalità

[…]D. Vorrei ancora chiederLe: leggendo le carte di Prefettura su quello che è accaduto a Savona in quei giorni, si trova che c’era stata un’irruzione da parte di dimostranti nella sede della D.C., che erano stati buttati giù i mobili, che vi si era dato fuoco …, ci sono state poi delle denunce. Lei ha memoria di qualcosa di questo genere?R. No, assolutamente. D. Quindi Lei non ricorda disordini.R. Io non ricordo assolutamente disordini.D. Quindi non sono state cose di grosso rilievo.R. Per quanto ne so io no.Tra l’altro, una cosa che non c’entra niente, ave-vo accennato a quella ragazza: io non l’ho mai più vista, ho saputo poi, forse dopo un anno, che era morta per una broncopolmonite.[…]

Giuseppe Vallerino

Conversazione con Giuseppe Vallerino sul 14 lu-glio 1948 a Savona. Casa Vallerino, 08/05/2008.Trascrizione, passi.

Giuseppe Vallerino allora aveva vent’anni, lavora-va alla fonderia Savonese.ed esercitava la sua atti-vità politica presso la sezione del P.C.I. Ugo Pie-ro. Di lì a poco, nel gennaio del 50, dopo un bre-ve periodo di esperienza alla Camera del Lavoro, sarebbe stato eletto segretario provinciale della ri-costituita Federazione Giovanile Comunista . Fa-ceva anche parte del Comitato Direttivo provin-ciale del P.C.I. ed era responsabile dei quadri.

“Io ricordo benissimo che il 14 luglio a mezzo-giorno uscii dalla fabbrica per andare a man-giare, stavo lì in corso Ricci in quel palazzo a strisce bianche e nere dove, di sotto, c’era la ti-pografia di Spirito, avevamo la radio … sento il giornale radio e la notizia.È stata una cosa così proprio istintiva, sponta-nea: sono partito, sono andato in sezione. Lì ho trovato degli altri compagni. Allora il segretario della sezione era un compagno che lavorava al-l’Ilva Bates, Tito era il nome di battaglia. Cosa facciamo, cosa non facciamo … andiamo in Federazione. Già lì si radunava gente.La cosa interessante qual è stata?La Federazione era all’inizio di Corso Italia, do-

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ve adesso credo che ci sia anche la Comunità Montana; era una Federazione grande, al tem-po di guerra c’era il Comando Tedesco; la Ca-mera del Lavoro era proprio di fronte. Lì vici-no stavano costruendo un palazzo; come pure dove adesso c’è il Cinema Diana. Ebbene, sen-za che nessuno avesse detto niente, senza nessu-na direttiva- vi fu una spontaneità formidabile … quelli che parlano di organizzazione!- han-no preso “penole” (pali da costruzione, n.d.r.) e tavolame che erano nei cantieri e hanno fatto delle barricate, sia all’inizio della piazza dove c’è il pesce, sia qui dove c’era (sic?) il genio Civi-le, in modo da isolare e proteggere la Federazio-ne del partito.D. Praticamente barricate a monte e a valle!R. Non potevi entrare. Mi ricordo bene tra l’altro che polizia in giro non se ne vedeva, però lì do-ve costruivano l’edificio che oggi ospita il Diana c’erano due o tre carabinieri, non so se i compa-gni dell’Ilva o i portuali li hanno presi, li hanno accompagnati alla Prefettura e li hanno conse-gnati. Non uscite fuori e nessuno vi fa niente.Nel frattempo arrivava sempre più gente e lì do-ve c’è Piazza Marconi, c’era la sede della Fede-razione delle Cooperative e anche la sede del-la Democrazia Cristiana. I compagni sono sali-ti su, hanno buttato giù in strada i mobili e nei mobili c’erano delle bombe a mano, sono scop-piate. E lì è uscito che anche la Democrazia Cri-stiana …Poi però bisogna dire che il partito prese subito in mano la direzione, fin dalle prime ore: stare in sezione, non andare in giro, stare nelle fab-briche, anche per evitare che potessero succe-dere degli incidenti. Perché, parliamoci chiaro, delle armi ne giravano, facevamo guardia gior-no e notte alle sezioni … […]Si discuteva tutta la notte. La cosa interessante, esperienza che ho fatto io personalmente, è che nella Chiesa di Santa Rita c’era un prete che, si chiamava … il nome non lo ricordo, ma il co-gnome si, si chiamava come il mio patrigno, Pi-nasco, ci teneva compagnia alla notte.D. Lì c’era una sezione?R. Si, la sezione Ugo Piero, era proprio vicino al-la chiesa […]. E questo prete stava lì a discutere con noi ed era solidale con noi. […] E lì le gran-di discussioni.D. Di che cosa si discuteva?

R. Si discuteva se fare la rivoluzione.D. Lo avevate questo interrogativo?R. Si, si, c’era. E c’era una grossa spaccatura perché dicevamo: “Compagni, vi ricordate co-s’è successo, per quanto ne sappiamo, in Gre-cia, dove hanno voluto proseguire … sono in-tervenuti … perché ci sono degli accordi inter-nazionali, noi facciamo parte … ci annientano nel giro di 24 ore. Adesso sembra che abbiamo il mondo in mano, però se decidono di spazzarci via in 24 ore ci spazzano via”.D. E tu come la pensavi, eri convinto di ciò che hai appena detto?R. Si, io ero convinto che la rivoluzione non si potesse fare. Molti aggiungevano: “Possiamo an-che essere d’accordo, ma se Togliatti dovesse mo-rire, allora …!” E lì discussioni; ma la situazio-ne rivoluzionaria (avevamo già cominciato a studiare Lenin) non si inventa: se oggi non esi-ste la morte di Togliatti la può creare? E su que-sta cose si discuteva. Si riusciva, con la Federa-zione …D. Ma da parte del partito come si interveniva ri-spetto a questa discussione, a livello locale e na-zionale?R. Adesso ci arrivo. Allora segretario della Fede-razione era Lunardelli, che è mancato da poco, aveva una posizione giusta ed era uno di quel-li che diceva: “Calma”. Però all’interno del par-tito alcuni […] spingevano par andare avanti. Su queste posizioni era anche il gruppo dei parti-giani di un certo tipo. Ma c’era un vecchio grup-po di partito, gente che aveva fatto anche la ga-lera, come Molinari, che invece aveva un orien-tamento più …D. Più razionale.R. Quindi io so che in quel momento il partito diceva: mobilitazione, state calmi, mantenete le sedi. […]Il partito ha cercato di tenere la situazione, di non spingerla avanti. Non è vero che lo sciope-ro… Lo sciopero è stato proclamato se ricordo bene dalla CGIL per cercare, come dire, di con-tenere, per dare uno sbocco, mettersi alla testa delle lotte. In quel momento sai era il partito che dirigeva. A Genova sono successe cose … hanno saldato le ruote dei tram ai binari!E poi, non ricordo più bene se il secondo o forse il terzo giorno, è arrivato a Savona, inviato dal-

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la Direzione, Velio Spano.Abbiamo fatto una riunione. La Federazione era strapiena. Un’assemblea dove c’erano i qua-dri, anche dalla provincia., quelli che son potu-ti venire Abbiamo cominciato alla sera alle otto, alle quattro del mattino eravamo ancora lì, tut-ta la notte a discutere.Io ricordo come fosse adesso che Spano prima fe-ce una relazione per spiegare quando è che esi-ste una situazione rivoluzionaria e perché non si poteva fare …Ma non ha mica convinto tutti!Infatti ricordo che chiuse la riunione dicendo: “ Compagni mi rendo conto che molti di voi non li ho convinti, che c’è molta insoddisfazione per la situazione politica generale. Volete che vi di-ca come la penso? Anch’io non sono contento, anch’io non sono soddisfatto, anche a me le cose non stanno bene, però l’unica soluzione è quel-la di far rientrare lo sciopero senza [parola in-comprensibile] perché veramente c’è il pericolo che ci distruggano”. La riunione poi finì, la maggioranza fu convin-ta.D. Ma c’è stata qualche votazione?R. No, no. L’ordine era di rientrare nelle fabbri-che, di cercare di convincere gli operai. Non è vero che si evitò lo spargimento di sangue, l’in-surrezione, grazie alla vittoria di Bartali al Tour de France. Ad evitare questo è stata soprat-tutto la grande funzione che ha avuto il Partito Comunista. Per tranquillizzare si faceva sentire la voce di Togliatti che diceva di non fare scioc-chezze.Siamo ritornati nelle fabbriche a lavorare. […]. Ci siamo messi a discutere, a parlare e abbiamo cominciato a posare anche i “ferri”. […]D. Quindi tu dici che non c’è stata mai da par-te del partito l’intenzione di approfittare della si-tuazione.R. No, mai, anzi la consapevolezza che bisogna-va fare tutt’altro, che l’obiettivo non era quello della rivoluzione, ma che noi dovevamo prose-guire sulla strada …Sai c’era stato il 18 aprile del ‘48, avevamo preso una sventola non da poco e i compagni che vo-levano, come dire, darci un colpo, erano spinti anche dal rammarico, dalla rabbia.C’era il fatto che qualcuno sentiva che la lotta di liberazione era stata tradita, invece l’analisi che

faceva il partito era quella giusta, era quella che poi ha fatto diventare grande il partito. […]D. Vorrei chiederti ancora se c’è stato qualche episodio di scontro con la polizia.R. No, niente. Noi eravamo consegnati in sezio-ne e nelle fabbriche, e la polizia era consegna-ta nelle caserme. Il tentativo di sdrammatizza-re è stato immediato, per quel che ho percepito io. […]D. Si conclude tutto nel giro di qualche giorno, tra il 14 e il 16? A Genova invece … ma perché c’era una situazione diversa in Federazione o gli ha preso di mano il movimento e non sono riusciti a controllarlo?R. Gli ha preso di mano.[ …]A Vado L., durante la lotta di liberazione, so-pra alla Valle di Vado, c’era una postazione con una mitraglia e i fascisti, a meno che non faces-sero un rastrellamento, al di là del passaggio a livello non andavano, se no …Io mi ricordo,che quando andavo alle riunio-ni della federazione giovanile la domanda era sempre:“Quando, quando?”D. C’era questa “attesa del giorno”. Ma questo sentimento riguardava una fascia giovanile? Tu mi accennavi prima ai compagni che avevano fatto l’antifascismo e che erano molto più rifles-sivi.R. Era molto presente anche tra quelli che erano stati partigiani, capisci … […]

Elvio Varaldo

Conversazione con Elvio Varaldo sul 14 luglio 1948 a Cairo Montenotte. Casa Varaldo, 13/05/2008. Trascrizione, passi.

Elvio Varaldo nel 1948 aveva 21 anni ed era da po-co stato eletto alla carica di segretario della se-zione del P.C.I.di Cairo Montenotte5, in un con-gresso straordinario in cui coloro che proveniva-no dalla Resistenza, e “parlavano solo della possi-bilità di fare la rivoluzione”, si erano confronta-ti con coloro che invece, per lo più giovani come lui, “pensavano al comunismo in una prospetti-va diversa. […] La sezione era importante: aveva numerosi iscrit-

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ti e operava in un centro industriale di rilievo che raccoglieva molte fabbriche.6

“D. Eravate freschi quindi di una lotta, di uno scontro all’interno del partito?R. Si, ma poi c’è stata collaborazione. C’era stato uno scontro sul piano politico, sulla strategia.Venendo all’attentato a Togliatti, vi furono delle reazioni diverse a seconda della zona, a secon-da diciamo anche della cultura politica.Possiamo allargare un po’ il discorso sulla tradi-zione della Valbormida sul piano politico, fatto-re che ha avuto la sua importanza.Per esempio a Ferrania, praticamente, all’infuo-ri dello sciopero generale. non ci fu molta rea-zione, anche perché lì siamo sempre stati molto deboli sul piano politico; pesava inoltre il fatto che alla Ferrania quasi 1/3 dei dipendenti erano donne, e spesso marito e moglie lavoravano nel-la stessa azienda, e quindi si trovavano in una situazione economico-sociale diversa da quella generale.È stata la prima fabbrica in cui c’è stato il sin-dacato autonomo, sia pure dopo la scissione sin-dacale. Insieme poi all’ACNA è stata la fabbrica in cui il sindacato autonomo ha avuto un cer-to peso. […]Diverso per esempio è il caso delle Funivie -la più vecchia fabbrica che esisteva a Bragno- co-me delle due vetrerie di Carcare e di quella di Altare.Lì gli operai erano collegati non solo attraver-so le funivie, ma anche con la stazione di Savo-na dove sul piano politico si era molto più avan-zati. Il primo CLN qui in Valbormida è nato al-le Funivie; la partecipazione alla lotta partigia-na è stata grande; è stata la fabbrica che ha da-to di più alla Resistenza, proprio per questo col-legamento. […]D. Dicevi che le Funivie e le vetrerie avevano avuto una reazione diversa rispetto alla Ferra-nia.R. Si, molto più organizzata, nel senso di parteci-pare allo sciopero.Ma il problema qui da noi è stato quello di recu-perare le fabbriche che hanno aderito allo scio-pero; poi diremo più particolarmente della Mon-tecatini.D. Qual è stata la reazione immediata?R. Lo sciopero. Ferrania è rimasta isolata, han-

no partecipato pochissimi, ma qui, spontanea-mente, alla Montecatini, alla Cokitalia e alle Fu-nivie, c’è stata la proclamazione dello sciopero e una manifestazione. Un corteo è partito dal-le tre fabbriche e si è diretto in centro a Cairo in Piazza Stallani. Non era la totalità dei lavorato-ri, una parte se ne sono andati a casa, la gran parte ha partecipato a questa manifestazione che si è conclusa con un comizio.[ …] L’allora segretario di zona ha fatto un discorso barrica-diero, proprio di quelli della vigilia della rivolu-zione. E questo poi non ha contribuito a recupe-rare dopo, alla fine della manifestazione e an-che poi alla fine dello sciopero, recuperare cer-te situazioni. […]Un discorso barricadiero per cui a un certo mo-mento, quando finì la manifestazione, qualcu-no …D. Pensava di andare a prendere la pistola?R. C’era già andato o ci stava andando.Sono rispuntati gli sten, i mitra e anche qualco-sa d’altro a un cero momento, soprattutto alla Cokitalia.La difficoltà poi è stata recuperarli. Mentre le Funivie, decidendo Savona di finire lo sciopero, hanno ripreso regolarmente a lavorare, alla Co-kitalia ci furono difficoltà a far riprendere il la-voro, ancor più alla Montecatini. […]”Il diverso comportamento derivò, secondo Varal-do, dalla diversa provenienza del personale.Alla Cokitalia infatti lavoravano molti operai antifa-scisti che perciò, a suo tempo, erano stati licenzia-ti o trasferiti dall’Italgas di Asti e, come manovra-tori, ferrovieri del torinese licenziati perché non avevano voluto la tessera del fascio. Di qui “una presenza politica “molto più posata, molto più matura”. Delle Funivie si è già detto.

“Mentre la Montecatini era stata sempre, assie-me alla Ferrania la fabbrica più difficile sul pia-no sindacale e sul piano politico, anche se ave-vamo tanti iscritti”. (456). […] Io, davanti alla portineria della Montecatini, se-duto lì sotto davanti all’ingresso, ci sono stato dal mattino fino alla sera alle 10 e all’indoma-ni mattina, a convincerli di riprendere il lavoro, perché c’era il rischio che quelli che erano den-tro non ce la facessero più a mantenere gli im-pianti a ciclo continuo e c’era il rischio non solo

Il 14 luglio 1948 nel racconto di alcuni testimoni Rita Vallarino

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di mandare a “bordello” gli impianti , ma c’era-no due gasometri da 80000 metri cubi l’uno di gas che continuavano ad essere alimentati dalla Cokitalia e se qui non lo utilizzavano c’era il pe-ricolo di un’esplosione disastrosa. Quindi c’era anche questa responsabilità oltre che quella po-litica. Oltretutto i poliziotti e i carabinieri erano spariti, non si vedevano. La responsabilità l’ave-va il partito. Quindi convincere l’uno e l’altro singolarmente, spiegargli che non eravamo in una situazione rivoluzionaria e che non ci sa-rebbe stato permesso di fare la rivoluzione, che i sovietici erano lontani e non ci avrebbero potu-to aiutare. Questo era il discorso che faceva più leva, li faceva riflettere. Comunque abbiamo faticato, la Montecatini è andata di nuovo in produzione veramente do-po quattro o cinque giorni, perché poi rimettere in pressione gli impianti e ristabilire il ciclo non è una cosa semplice né facile, si correva anche qualche rischio. […]D. Quindi voi giovani dirigenti della sezione ave-te avuto in mano la responsabilità di …R. Ci lasciarono parlare. Il comizio lo fece Ferran-do, responsabile di zona, che era stato segretario della sezione di Cairo, ma era già andato via, era quello che avevamo “spodestato”.L’abbiamo avuta in mano noi con pochissimo aiuto da Savona. […]Non ricordo la presenza del sindacato.D. Quindi c’è stata una reazione tutta spontanea dei lavoratori e gli unici a cercare di dirigerla e a prenderne la responsabilità sono stati i dirigen-ti del Partito Comunista?R. Soprattutto quelli di Cairo perché degli altri paesi io non ne ho visti quei tempi lì.. […] Ci sia-mo trovati noi a litigare a battagliare […] poi la cosa sul piano generale è andata in un certo mo-do e quindi si è bene o male riusciti …D. Si sono avuti degli strascichi, delle ripercussio-ni?R. Certamente, qualcuno si è giocato la carriera, a qualcuno hanno cambiato di posto all’interno della fabbrica. Per esempio l’officina meccanica della Montecatini, che era una delle migliori, ha fornito tecnici a diverse fabbriche d’Italia, man mano l’hanno smantellata, perché è stata indivi-duata come il centro … D’altra parte è comin-ciato un po’ un miracolo, per cui tutti questi mec-

canici erano richiestissimi dalle imprese. […]D. E il paese? Questa è stata tutta una cosa degli operai?R. Nel paese non c’è stato assolutamente … curio-sità, paura, i commercianti non aprivano il nego-zio perché avevano paura e cose di questo gene-re, ma non in modo drammatico. Non è che sia successo molto.D. Quindi è stata una cosa degli operai.R. Degli operai, almeno per quanto riguarda Cai-ro.Degli altri paesi posso dire questo: i vetrai non hanno abbandonato i forni perché altrimenti ci sarebbero voluti mesi a ricostruirli, hanno parte-cipato alle manifestazioni laddove ci sono state, ad Altare ad esempio, c’erano i vecchi operai; a Carcare pochissimo; ancora meno a Cengio, dove c’era una fabbrica che aveva 4000 dipendenti, la maggior parte provenienti dal Piemonte, vi fu dif-ficoltà anche a fare lo sciopero, […]. Qui a Cairo non ci fu questo problema, qui, per convinzione o per paura abbandonarono le fabbriche, all’in-fuori di quelli che vennero lasciati a presidio de-gli impianti a ciclo continuo. Invece all’ACNA se-condo me più di 1/3, per essere cauti, andarono a lavorare anche se non comandati. […]D. Quindi se per caso il P.C.I. non avesse tenuto in mano la situazione sarebbe stata una trage-dia anche perché eravate isolati.R. Isolati. Complessivamente, se si dovesse dare adesso a posteriori un giudizio, quell’evento non è stato positivo per quanto riguarda lo sviluppo nostro, non ha giovato né alla maturità, né alle condizioni e soprattutto poi c’è stato qualche ti-po di violenza tra i lavoratori. E poi ci sono sta-ti degli strascichi successivi”.

Nonostante queste parole, con cui esprime una valutazione non ricorrente sui fatti in questione, Elvio Varaldo annota poi che essi non causaro-no defezioni dal P.C.I. – “C’è stata qualche fuga, ma anche perché avevamo un numero di iscritti troppo alto e quindi se ne sono andati man ma-no” – né ebbero conseguenze negative sul peso elettorale del partito, che mantenne intatta la sua forza nei comuni della Valbormida.

“D. Tu ricordi dov’eri e che cosa facevi quel 14

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luglio?R. Io sono nato lì sopra ( poco sopra la sua attua-le abitazione fuori Cairo centro) ed ero lì. Arriva uno che lavorava alla Montecatini e mi dice, in dialetto: “Guarda che c’è sciopero: hanno spara-to a Togliatti!”D. Lo sciopero chi l’ha proclamato?R. All’interno della fabbrica.D. All’interno della fabbrica c’era una cellula del partito?R. Ce n’era una per reparto, però c’era uno che dirigeva un po’ inoltre c’era Ferrando che lavo-rava nella Montecatini.. Tutta la gente si avviava già ad andare verso Cairo.Io ho avuto la poliomielite a sette anni ma a quei tempi andavo in bicicletta, prendo la bicicletta e vado giù. Mi sono accodato al corteo, c’era una coda che non finiva più, sono andato in Piazza Stallani e ho sentito il comizio di cui ho già det-to.D. Poi vi siete riuniti?

R. Si noi la sezione l’avevamo in via Colla, adesso han demolito, han fatto un palazzo. Ci siamo vi-sti con i compagni che sono venuti e poi abbiamo avuto qualche contatto con la Federazione, poi penso che sia venuto su qualcuno, non ricordo se fu Recagno, che era responsabile dell’organizza-zione, o altri e ci hanno dato qualche indirizzo. Praticamente in sezione ci siamo stati notte gior-no per tre o quattro giorni. Io avevo riunione qui e poi andavo davanti alla Montecatini, a parlare con gli operai man mano che si presentavano per sa-pere che cosa fare, ma non ho visto un sindacali-sta. […]Ed è andata bene secondo me che c’era il partito che ha fatto opera di convinzione e di moderatez-za, perché se si fosse lasciato spazio ai battitori li-beri, non lo so che cosa sarebbe successo.D. Quindi la tesi che ci sarebbe stato un disegno del P.C.I. …R. Assolutamente, non c’era alcuna strategia, mai se ne è parlato”.

Note

1 Ringrazio Badarello Rodolfo, allora dipendente della Scarpa & Magnano di Savona; Cavallero An-gelo, allora dipendente dell’Ilva di Savona; Conter-no Mario, allora dipendente dell’Ilva di Vado Ligu-re; Mirgovi Antonio, allora Segretario della Camera del Lavoro di Varazze nonché dipendente dei Can-tieri Baglietto; Montonati Dalmazio, allora dipen-dente dell’Ilva di Savona; Pezza Luigi, allora dipen-dente dell’Ilva di Savona; Rosa Federico, allora stu-dente universitario; Vallerino Giuseppe, allora di-pendente della Fonderia Savonese; Varaldo Elvio, allora Segretario della sezione di Cairo Montenot-te del P.C.I; Vignola Narciso, allora dipendente del-la Balbontin di Savona.

2 Ho già ricordato le parole di Badarello circa il quar-tiere di Villapiana; il fatto è sottolineato anche da Luigi Pezza e da Angelo Cavallero.

3 Questo dato non risulta nelle altre testimonianze.4 “Lo stabilimento eravamo andati a riprendercelo

nel 1945 a Milano dove l’Edison l’aveva trasporta-to durante la guerra con il compiacimento dei te-deschi e, grazie alle nostre maestranze, una volta a Savona, aveva ripreso gradatamente la sua produ-zione sino a riconquistare, oltre quello nazionale,

molti mercati esteri: in Olanda, in Brasile, in Tur-chia …”

5 In seguito ha ricoperto incarichi dirigenziali e am-ministrativi di rilievo, ricordo per tutti l’esperienza trentennale di Consigliere e decennale di Assesso-re della Provincia di Savona.

6 “C’era la Montecatini (adesso è abbandonata, c’è una serie di fabbrichette che occupano 6-700 persone) che aveva 1100 dipendenti, e noi ave-vamo 456 iscritti al partito”. Il Partito Comunista era organizzato in questo modo. La sezione di Cai-ro Centro aveva nella sua giurisdizione la Monte-catini, mentre c’era una sezione del partito a Bra-gno che si occupava della Cokitalia e delle Funi-vie, le uniche due fabbriche che sono sopravvis-sute e che ci sono ancora oggi, anche se tutte e due hanno molto meno dipendenti di allora. Allo-ra la Cokitalia aveva sui 400 dipendenti e le Funivie 320, oggi l’una meno di 300 e l’altra meno di 200; erano sotto la giurisdizione della sezione di Bra-gno in cui c’era un segretario un po’” matto”, veni-va dalla Resistenza [ … ]. C’era ancora una sezio-ne a Ferrania nella cui giurisdizione c’erano: la Fer-rania, che prima si chiamava Film, che aveva quasi 4000 dipendenti, più di 1/3 erano donne; la Siced; le Distillerie,e la Fnet che faceva l’acido tannico.”

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dine pubblico. L’esasperata reazione alla notizia dell’attentato a Togliatti che oggi può apparire esagerata nasceva dal confluire nella massa ope-raia di diversi sentimenti: l’affetto e l’ammirazione per Togliatti, capo dei comunisti e dell’opposizio-ne su cui, non certo come nei paesi comunisti, si era comunque costruito una sorta di “culto della personalità”; la paura che non si trattasse, come si saprà dopo, del gesto di un isolato ma fosse par-te di un piano per eliminare l’opposizione (nella memoria di molti erano presenti le vicende che, non molti anni prima, con l’assassinio di Matteot-ti avevano portato al regime fascista e tutti aveva-no presenti fatti sanguinosi che proprio in quegli anni avevano colpito i lavoratori e le loro organiz-zazioni per mano della polizia, del bandito Giulia-no o della mafia; infine la rabbia e la frustrazione che nascevano dalla sconfitta del 18 aprile che al-la base elettorale della sinistra appariva non come frutto di una scelta democratica ma come risul-tato di un ricatto e di un tradimento, anche per-ché l’impostazione della D.C. e dei Comitati Civi-ci nonché del neonato P.S.L.I. aveva puntato mol-to nell’attacco personale a Togliatti indicato come lo straniero da cacciare o l’antipatriota da “mette-re al muro non metaforicamente”.2. Dal dibattito interno si può certamente affer-mare che esisteva nel P.C.I. una corrente sebben largamente minoritaria, che collegandosi a setto-ri marginali della classe operaia più legati all’espe-rienza della Resistenza che non aveva digerito il disarmo dei partigiani, l’amnistia del 1946, il vo-to sull’art. 7 della Costituzione, accusava la Dire-zione di cedimenti ed invocava non la rivoluzio-ne ma una non meglio precisata “fase più avan-zata di lotta”. L’orientamento dei gruppi dirigen-ti appare invece chiaramente orientato all’uso de-gli strumenti di lotta democratica e lo stesso scio-pero politico, subito rientrato, ne è stato la massi-ma espressione ed è servito soprattutto a dare ri-sposta alle pressioni di base e ad incanalare la rab-bia popolare. La dirigenza si è resa conto del di-vario di orientamento tra base e vertice del parti-to e del sindacato e di come, di fronte ad un fat-to di tale eccezionalità, la situazione sia loro sfug-gita di mano tanto che ancora nel mese di luglio viene convocato dalla Federazione del P.C.I. di Sa-vona un “convegno delle cellule di fabbrica” in cui pur in modo non esplicito si analizza la situazione dei fatti del 14 luglio 1948 e si cerca di riafferma-

successive.Interessanti anche perché nella sostanza fanno da riscontro alle testimonianze raccolte dalla Vallari-no e alla documentazione di A. Martino pubblica-te in questo numero.Lascio al lettore trarre le conclusioni storico-poli-tiche su quegli avvenimenti. Credo però che dal-l’insieme della documentazione prodotta si possa obiettivamente affermare:1. Che l’esplosione del movimento che ha riguar-dato in primo luogo le fabbriche sia stato vera-mente spontaneo e che i gruppi dirigenti del par-tito e del sindacato a tutti i livelli siano stati sor-presi come lo furono le autorità preposte all’or-

I DOCUMENTIDEL PCI DI SAVONA

SUGLI AVVENIMENTI A SEGUITO

DELL’ATTENTATOA TOGLIATTI

Umberto Scardaoni

Ho trovato all’Istituto Gramsci di Roma nel “fondo” che raccoglie le carte della Direzione

del P.C.I. alcuni documenti della Federazione co-munista di Savona riferiti alle giornate del 14, 15, 16 luglio 1948:• una relazione sugli avvenimenti a Savona a se-

guito dell’attentato a Togliatti;• il verbale della riunione dell’Attivo tenutosi il 16

luglio 1948 nella Federazione di Savona alla pre-senza di Secondo Pessi, allora segretario regio-nale e di Veglio Spano membro della direzione nazionale;

• una lettera di Gerolamo Assereto a Pietro Sec-chia e la risposta per conto dello stesso da parte della commissione di organizzazione di cui Sec-chia vice segretario nazionale del P.C.I. era re-sponsabile.

I documenti sono di grande interesse, come ve-drete, perché evidentemente sinceri e datati, in quanto rivolti ad un istanza superiore e non in-fluenzati ne da avvenimenti ne da scelte politiche

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Il palco dei dirigenti all’VIII Congresso nazionale del PCI (dicembre 1956). Da sinistra: Togliatti, Mauro Scoccimarro, Pietro Longo, Giuseppe Di Vittorio (segretario della CGIL), Celeste Negarville, Giancarlo Pajetta, Giuseppe Dozza, Arturo Colombi, Giacomo Pellegrini, Velio e Nadia Spano, Enrico Berlinguer (segretario della federazione giovanile del partito), Antonio Roasio.

7.

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re la funzione dirigente verso la classe operaia at-traverso una crescita organizzativa del partito nel-le fabbriche e una educazione politico-ideologica dei quadri operai;3. Appare poi evidente che sul terreno della utiliz-zazione della vicenda a fi ni politici e propagandi-stici era in atto una sfi da tra D.C. e le sinistre pro-prio sul terreno della democrazia e delle regole della convivenza: D.C. da un lato e P.C.I. e P.S.I. dall’altro si accusavano a vicenda di aver violato il rispetto per la vita democratica. In questa sfi da, che per alcuni anni caratterizzerà la situazione po-

litica nel nostro paese in modo spesso dramma-tico, apparirà che il successo arrida alle sinistre: nel 1953 alle elezioni del 7 giugno la sconfi tta del disegno democristiano rappresentato dalla legge maggioritaria con l’uscita di scena di De Gasperi, di Scelba e l’inizio della crisi del centrismo, dimo-stra che il corpo elettorale del nostro paese che nel 1948 aveva fatto la scelta occidentale, non era però d’accordo nel mettere fuori legge il P.C.I. e di mutare il carattere della nostra Costituzione re-pubblicana.

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Il 14 luglio 1948 di “Matteo” a Savona Gian Franco Venè

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pensava, era lì per esplodere, divorando tutto ciò che stava dalla sua parte: gli amici la sua casa e Marvi. «Oh Marvi!» si sorprese a mormorare da so-lo a solo: lei abitava fuori città, suo padre era com-merciante. Matteo cercò di sistemare la figura del grosso commerciante nella furia del giorno, e fug-gì col pensiero ai rivoluzionari del Manzoni che as-salirono i forni, alla rivoluzione francese. «Addio Marvi!». Quieta e lontana, assopita nel ricordo, gli tornò alla mente Ivana; ora ciascuno di questa gente si poneva da sè da una parte o dall’altra: – Ha servito a qualcosa questa nostra Repubblica – diceva suo padre. Uscì con le mani sudate per le vie che nel quartiere eran silenziose: due giovani disegnavano una croce sul muro, faticando in bici-cletta un uomo ancora in tuta portava una bandie-ra rossa avvolta all’asta. C’era sole e caldo, la stra-da ondeggiava di vapori, un gatto dilaniava la car-ta straccia lurida di interiora di pesce, le quattro ci-miniere dell’ILVA alitavano un fumo denso e lento che saliva in alto dilatandosi senza disperdersi.Matteo corse per tutta via Paleocapa, uomini scri-vevano sotto i portici, sul selciato, «morte agli as-sassini» e la firma era la falce e il martello. Sbot-

gliavano pietre divelte dal selciato contro la poli-zia. – Ma cos’è che vogliono perdio! non si sono contentati dei trecentomila morti della rivoluzio-ne? – diceva il padre di Matteo. E ora, quel giorno di luglio, la folla si adunava davanti alla sede della democrazia cristiana alle due del pomeriggio, ed era sempre la stessa gente faticata, nera di sole e di lavoro. Gino, dopo mesi che non si faceva vivo te-lefonò a Matteo raccomandandogli che suo padre non escisse di casa: – Perché è meglio, oggi, dav-vero – disse tragicamente.– Ti ringrazio tanto, Gino – fece Matteo con gra-titudine già adulta, e fu sincero. Una guerra, egli

IL 14 LUGLIO 1948 DI “MATTEO”

A SAVONA PROTAGONISTA DEL ROMANZO

“L’AMORE A MEZZOGIORNO”

Gian Franco Venè

Il 14 luglio, no? Era l’una del pomeriggio quan-do dalla radio venne l’annuncio, con quel tono

di voce che un tempo pronunciava i bollettini di guerra, e anni più tardi avrebbe detto la morte di Croce. Assistito da una suora sembra che Togliat-ti abbia detto «Dio mio!»; e la madre di Matteo fe-ce: – Lo vedete se anche i comunisti ci credono? è inutile, non si fa a meno della religione. – Ma il marito, che stava curvo sull’apparecchio, le fe-ce cenno di tacere. Quando poi richiuse la radio con una mano si copriva mezzo viso: – Chissà co-sa succede adesso – disse disperato.Non erano più i primi tempi, la piccola siderurgia cominciava la sua passione, quella che di lì a po-co avrebbe fatto morire la prima fabbrica, non una gran fabbrica del resto, poco più di un’officina che cessò di lasciare nubi evanescanti a mezz’aria sul-l’ultima periferia, ma fu un principio. C’era stato uno sciopero giorni prima del 14 luglio, che aveva riempito le vie dell’aria frenetica di tre anni avan-ti; dietro le colonne di via Paleocapa gli operai sca-

Il 14 luglio 1948 di “Matteo” a Savona Gian Franco Venè

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tonò il colletto della camicia lasciando che la cra-vatta s’aprisse. Sotto gli alberi del Corso, all’om-bra, c’erano capannelli di gente che si volgevano a guardarlo mentre passava, e lo guardavano den-tro gli occhi. Allora riconobbe, Matteo, che i suoi sentimenti erano invasi dalla paura; quando scor-se la folla in piazza Marconi davanti alla sede del prtito democristiano ebbe nell’animo di sfuggire ma gli venne come un pudore, o peggio, una ver-gogna, e andò avanti copn la testa che si riempiva di echi e di voci.Voci che raccontavano delitti, ma non sommessa-mente: anzi li gridavano, gli uomini, l’uno all’altro da un capannello all’altro. Era chiaro della coscien-za che avevano di essere padroni del momento. A Genova avevano saldato i tram alle rotaie e un uo-mo che sentì questo rise forte, con il volto tutto una smorfia; a Vado Ligure, sette chilometri più in là di Savona ogni fabbrica era occupata dagli ope-rai, la S. & L. (Matteo tornò a pensare fugacemen-te a Ivana) si difendeva dalla polizia con i fili del-l’alta tensione.Egli arrivò sulla piazza che cadevano i vetri dalla fi-nestra del primo piano del palazzo e la gente fe-ce un vuoto e le imposte sbatterono al muro. Fuo-ri della finestra fu spinto un tavolo che si spezzò le gambe cadendo sulla piazza, poi le sedie, una macchina da scrivere, fasci di fogli bianchi, leggeri che si sparpagliarono per l’aria e un rotolo di ma-nifesti, poi un ritratto grande e, quasi di sorpresa, dal mucchio di roba sulla piazza si levò del fumo e fiamme trasparenti sotto il sole.Matteo stava con le spalle al muro, dal lato oppo-sto della piazza. Il sudore gli saliva agli zigomi e sentiva i fianchi che gli formicolavano, si premeva il ventre con la mano aperta; la gente che acoorre-va con furia lo urtava, ma lui quasi non si accorge-va. Per diversa ragione Matteo era fra i pochi a non chiedersi come mai la polizia non intervenisse. Lo sgomento gli girava nelle vene col sangue, quanto vedeva era sì un mondo sospettato ma più nulla conservava della vita cui egli partecipava. Era per questo che ogni urtone lo sospingeva, senza che egli si ribellasse, verso il rogo e la folla più accani-ta che inveiva con voci estranee: neppure immagi-nò di poter andare altrove, tutto il mondo gli stava bruciando dinanzi.– Matteo!E fu come un risveglio; era Gino, gli teneva le ma-ni sulle spalle e lo guardava con un mezzo sorriso:

– Cristo! come sei pallido Matteo! – Lo trascinò indietro, verso il crocevia dove il Corso sboccava sulla piazza, scavandosi il passaggio a suon di spin-toni e di colpi di spalla: teneva Matteo per mano. – Come pallido? – faceva Matteo, ma solo quan-do furono fermi, dove la folla era diradata e spet-tatrice. Gino gli rispose: – Hai paura nè? perché sei uscito?– E tu? – disse Matteo quasi arrogante. Gino gli sorrise: – Ma è logico che io ci sia… hai sentito la porcheria di Roma?Matteo accennò di sì col capo, fece per avviarsi dalla parte opposta al rogo, verso il Corso, sentì Gino che lo tratteneva al braccio.– Stai tranquillo – gli disse Gino – qui siamo al si-curo da tutto. Stiamo un po’ a vedere. – Ma non è finito? cos’avete ancora da bruciare? – disse Mat-teo ostile, e Gino: – Non è roba che ti piaccia ve-ro questa?– Piace a te che ci siano altri morti? – gli fece Mat-teo. Gino lo guardò dal sotto in su, strofinandosi il naso, scosse la testa: – No, no che non mi pia-ce. ma dovresti capire cosa significa aver lasciato sparare a Togliatti, se tutti se ne stessero calmi e non succedesse questo significherebbe che siamo al punto di quando hanno ammazzato Matteotti. – Ma figurati! – fece Matteo alzando le spalle e guar-dando da un’altra parte. Gino indugiò, si vedeva che studiava il discorso; poi disse calmo, quasi di-stratto, come ispirandosi alla folla che si affannava davanti al rogo: – Scendere in piazza vuol dire che abbiamo coscienza di contare ancora.Erano forse le tre; Gino, così dicendo, fantasticava che per tutta Italia accadevano cose come questa qui, nella piazza. Una nuvola piccola, nera assorbì il sole per qualche istante, scomparvero le ombre. In quello stesso momento Gino Bartali fuggiva so-lo verso la maglia gialla, in Francia. La polizia arri-vò veloce e urlante, ci furono grida e maledizio-ni, uno vicino a Matteo e Gino strinse con le ma-ni una grondaia sperando di svellerla, poi scappò coprendosi il viso col braccio, dopo aver bestem-miato. Attorno al falò presto non ci fu più nessu-no e fecero cerchio le camionette; si alzava un fu-mo denso dagli avanzi dei mobili, Matteo scappò avanti, di nuovo Gino lo trattenne: – Non fare lo scemo! – gli disse – vieni con me che sono prati-co di queste cose –. Rasentarono un muro, Gino tirando per mano Matteo, fino ad un portone, al-lora Gino prese a salire correndo e se lo tirò vici-

Il 14 luglio 1948 di “Matteo” a Savona Gian Franco Venè

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no. Con un sorriso di compressione lo guardò, ac-cennando al chiasso della strada alzò le sopracci-glia. – Ci scommetto che ti sbatte il cuore – gli dis-se: Matteo si portò una mano al petto, fece di sì col capo senza riuscire a smettere la smorfia della paura. L’altro tirò fuori di tasca due sigarette, glie-ne passò una e gliela accese: – Fuma un po’, tanto c’è solo da aspettare. –Matteo fumava piano senza staccare la sigaretta delle labbra. «Racconterò questo a Marvi», pen-sava. Era bello immaginare che in quel momento Marvi si mordesse le mani distrutta dall’ansia per Matteo. La scala era in penombra, la luce entrava da strette finestre in vetrocemento oltre le quali il cielo appariva come fosse nuvoloso. I due ragaz-zi se ne stavano in silenzio: Gino, che per primo aveva tentato di attaccar discorso, ora era conten-to di poter tacere, poiché se mostrava naturalez-za per gli avvenimenti, anch’egli era intimamen-te sbalordito dalla furia del giorno. La giustifica-zione che mostrava per la ribalderia in verità non c’era, o meglio non la trovava in se stesso, come accade, talvolta, di essere irati per qualcosa che si è dimenticato.Ma per Matteo la cosa era già diversa: egli senti-va vacillare quelle posizioni quasi ataviche in cui si credeva costretto. Si trovava nel punto in cui l’on-da ove fino a quel tempo egli aveva galleggiato, se-guendola, era giunta presso la spiaggia e lì l’acqua ribalta tra gli scoppi di spuma furiosa: è vano cer-car di tenrsi a galla. Pure egli si dibatteva col pen-siero per dare un ordine al tumultuare dei ricordi dei due anni: aveva la certezza di trovarsi a un pun-to d’arrivo; come aveva fatto nel ‘46 a non ricono-scere i germi di questo che ora esplodeva, latenti sotto la crosta d’ebbrezza?La rabbia d’esser stato frodato – ancor più viva da-ta la paura e l’età – si univa in Matteo così a un senso di comprensione mai più sospettata, per la gente di fuori. E pur immaginando, senza dar-si del tutto ragione, di poter essere definitivamen-te sommerso e distrutto, tuttavia riconosceva di istante in istante una certa lealtà per chi infuria-va nella piazza. «Senonaltro – si diceva – questa è una rivoluzione faccia a faccia».Stettero quieti, finché Matteo finì la sigaretta, la posò sotto il calcagno e poi la schiacciò.– Non dici niente Matteo? – gli fece Gino. – Non dico niente – disse lui che era ancora rapito dai suoi pensieri. Fuori le grida andavano ora disper-

dendosi; di lì a poco azzardarono a uscire, sulla piazza c’erano pietre e zolle frantumate, rubate al-le aiuole: solo un gruppo di poliziotti con l’elmo e una camionetta vicino al falò che ormai era cenere bianca e qualche legno nero.– E ora? – chiese Matteo.– E ora cosa?– È finito tutto? dove sono andati?– Molti in prigione – fece Gino serio, con una vo-ce di bambino che Matteo non gli conosceva.– Vai a casa? – Gino disse. matteo gli rispose di sì, invece quando fu solo si avviò verso il suo bar. Le saracinesche erano abbassate a metà come si suo-le al passar dei funerali e delle processioni. Tra una siepe di gente ammutolita la radio vociava: era il trionfale arrivo di Gino bartali: quando dallo sta-dio francese si udì il torrente di clamori, gli ascol-tatori lì attorno arsero di felicità. Matteo ordinò un caffé, si vedeva nello specchio dietro il banco, fu contento di trovare il suo volto non più sconvol-to dalla paura. Telefonò a Marvi; ella rispose con voce tranquilla, gli chiese dove fosse. La voce di lei giungeva a Matteo infantile ma caldissima e te-nue, le vocali scivolavano come un respiro, tutta-via Matteo aveva l’impressione che gli fosse estra-nea; quando Marvi gli disse: – Vieni a trovarmi, non c’è nessuno, – egli pensò alla quiete della bel-la villa silenziosa più che alla ragazza. Salì su un au-tobus vuoto, i vetri frastornavano, vicino al mare l’autobus si fermò perché una piccola folla attorno a una autoambulanza ostruiva la strada. (Per terra c’era la barella sulla quale avevano disteso Carlo, battuto a sangue, ma Matteo non lo vide).Il cielo s’andava via via coprendo di nubi leggere e vaste, ora l’autobus sussultava lungo la passeg-giata a mare: dall’altra parte dell’acqua il porto era fermo, treni e gru. Il mare era quieto e bianco ver-so l’orizzonte: lo stesso panorama di una domeni-ca nel primo pomeriggio, quando le ore sono vuo-te, e la campana che si è fatta un nome e una tradi-zione nella provincia suona inascoltata dalla torre quadrata. In quell’ora, sotto un cielo che si poteva supporre uguale, tanto liscio e uniforme era quel-lo che scorgeva Matteo, la Francia vicina tripudiava di bandiere per la presa della Bastiglia e si morde-va le mani per il corridore di Firenze.La fermata dell’autobus sorprese Matteo fra le fan-tasticherie che gli facevano intravvedere coinci-denze di rivoluzioni nel 14 luglio. Salì il sentiero di pietre fino al cancello di marvi, ella gli venne ad

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Veduta di Savona nella seconda metà degli anni ‘40 dopo le distruzioni causate dai bombardamenti della 2a guerra mondiale.8.

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aprire coi capelli biondi sciolti, i pantaloni azzur-ri, un fazzoletto bianco e rosso al collo; nel giardi-no si baciarono.– Sei carina, è per me? – disse Matteo.– È per te – disse Marvi prendendolo al braccio. – E per chi se no?Condusse Matteo per mano sulla veranda, lo spin-se a sedere sul divano, di dove tolse due libri te-nendoli aperti. – Cosa leggi? – disse Matteo.,È latino, sto studiando – fece Marvi.– Chissà se faremo la maturità – disse Matteo. Spiegò che per le vie bruciavano i mobili della D.C. – È per Togliatti – disse.– ma coa vuoi che succeda? – disse Marvi con un bel sorriso, dilatando gli occhi chiari con una scin-tilla di vivacità. matteo se la guardava, non rispon-dendo le afferrò le mani e le portò al petto.– Avessi visto fuori… – cominciò, e il discorso che aveva in animo di fare si smarrì. Era quieto, in quella veranda fresca, di vetri luminosi oltre i qua-li tremavano al venticello i cespugli di rose e l’ede-ra rampicante lungo le vetrate. Pure, poco prima, Matteo aveva visto una mezza rivoluzione. la pia-cevolezza d’ora e il recente ricordo si confonde-vano dandogli una senso di squilibrio, nel quale

di quando in quando, cosa di attimi, si imponeva il volto, bellissmo ora, di Marvi che gli dava come una scossa ai fi anchi.– Cosa vuoi che succeda: basta avere una casa un po’ fuori città, come questa, che non si sente nemmeno il rumore delle rivoluzioni come quel-le d’oggi – disse ancora Marvi, poi cambiò voce e tornò a sorridere con malizia: – Semmai, vieni qui a stare con me – disse scoprendo i denti.Marvi s’era curvata fi no al viso di Matteo, si libe-rò del fazzoletto che le stringeva il collo, c’era, sot-to, una catenella con la Madonna di Pompei. La sua bocca era rosa, semiaperta ed esalava un pro-fumo che a Matteo era familiare, e che non sape-va dire. Egli ora sentiva caldo alla schiena, ed eb-be baluginante lo stimolo di scappare ad ogni co-sto sommosse e pericoli: e insieme una gran vo-glia di scordare ciò che aveva visto in piazza. Altro, la gente come Marvi e lui, non sapeva fare, pen-sava. La strinse a sè, sul divano, e già nella men-te si scioglievano i ricordi, se li beveva il sangue furibondo.Però fu ancora più triste dover tornare solo, la se-ra, in città, col petto gonfi o di paura, sempre più ad ogni passo.

Elezioni politiche del 18 aprile 1948 Franco Astengo

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operò fino al 1948 come Assemblea Costituente) fino alle elezioni del 1994, quando fu utilizzato per la prima volta un sistema elettorale misto maggio-ritario/proporzionale, è sempre stato presente un numero di partiti oscillante da nove a tredici (sen-za tener conto dei partiti regionali).In effetti la riorganizzazione delle forze politiche italiane, messe fuori gioco dal fascismo, avvenne ancor prima del 25 Aprile 1945.I comunisti ed i socialisti ricostruirono le loro or-ganizzazioni nel 1942 e 1943 sulla base delle strut-ture utilizzate durante la lotta clandestina contro il fascismo.Altrettanto fecero i liberali.La DC assorbì l’eredità del Partito Popolare, fon-dato da Don Sturzo nel 1919.Comparvero però anche nuove formazioni poli-tiche.Gruppi antifascisti borghesi di ispirazione repub-blicana diedero vita al Partito d’Azione, mentre nel Sud comparve il partito della Democrazia del Lavoro, formato da notabili conservatori.Nel settembre del 1943, i sei partiti appena ricor-dati diedero vita al Comitato di Liberazione Na-zionale (CLN); formando così la base del sistema politico italiano così come si sarebbe configura-to proprio nel periodo preso in esame nel corso di questa relazione (i mutamenti successivi, ripe-tiamo, furono dovuti essenzialmente al mutamen-to dell’offerta politica e alla ripresa dei tradiziona-li contrasti di fondo, tanto tra un partito e l’altro, tanto all’interno di ogni singolo partito).Le dinamiche elettorali nei primi anni del dopo-guerra, messe in relazione ai tre blocchi principa-li (destra, sinistra, centro) rivelarono un relativo avvicinamento ai risultati conseguiti nelle elezio-ni per la costituente del 1946, salvo lo scostamen-to verificatosi nel 1948 per l’incremento ottenu-to dalla DC.E’ a partire dal 1953 che si può parlare di una “bi-partizazzione imperfetta” secondo la celebre defi-nizione coniata da Giorgio Galli.La prima occasione di riallineamento del sistema per effetto di dinamiche esterne al sistema dei par-titi, e quindi per effetto del rinnovarsi o del pre-sentarsi di diverse fratture sociali secondo la clas-sica interpretazione di Lijpsey e Rokkan, avver-rà soltanto nel 1987, con l’introdursi nello sche-ma parlamentare di una rappresentanza specifi-catamente assestata sul “cleavage” centro/perife-

ti di massa.Dopo le elezioni del 1953 constatiamo, infatti, una sorta di stabilizzazione degli attori presenti nel-l’arena parlamentare.Il quadro politico italiano è stato contraddistinto, per un lungo periodo, da un sistema pluripartitico di tipo classico, imperniato su di un sistema elet-torale di tipo proporzionale corretto da uno sbar-ramento derivante dal conseguimento di un quo-ziente pieno in almeno un collegio (nei collegi elettorali più grandi, Milano, Torino, Roma, Napo-li, le percentuali necessarie per ottenere questo risultato oscillavano tra l’1,5% ed il 2%) e i 300.000 voti su tutto il territorio nazionale.A partire dal 1946 nel Parlamento Italiano (che

ELEZIONI POLITICHE DEL 18 APRILE E

ATTENTATO A TOGLIATTI:I RISULTATI ELETTORALI,

A LIVELLO NAZIONALEE LOCALE.

Franco Astengo

Le elezioni del 18 Aprile 1948 furono le prime che si svolsero dopo la rottura dei rapporti po-

litici tra le forze di sinistra e cattoliche, che aveva-no collaborato nei governi dal 1944 al 1947.Lo scatenamento della guerra fredda e l’esaspe-razione dell’anticomunismo, fenomeni naziona-li collegati con la situazione internazionale che evolveva nella medesima direzione, costituirono gli elementi esterni, contingenti nella determina-zione del risultato elettorale. Ci troviamo, in questo periodo storico di cui ci stiamo occupando, in una fase effettivamente “costituente” del sistema politico italiano (dopo la non breve parentesi, circa 20 anni, dal 1926 al 1943-45, contraddistinta dal “partito unico”).Vi è da dire che il peso delle relazioni e dei rap-porti di forza maturati nelle 2 prime elezioni svol-tesi con suffragio allargato maschile e sistema pro-porzionale, nel 1919 e nel 1921, appare – nell’im-mediato dopoguerra – ancora forte, soprattutto sotto l’aspetto dell’affermazione dei grandi parti-

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ria (diversa dalle presenze etnoregionaliste classi-che come SVP e UV) e della rappresentanza di un valore post-materialista emergente come quello ambientale, all’epoca strettamente connesso alla questione energetica, in relazione in particolare al disastro della centrale nucleare di Cernobyl verifi-catosi nell’Aprile del 1986 (ho accennato, credo si sia compreso benissimo, prima alla Lega Lombar-da, capace dopo l’effimero successo di Liga Vene-ta e Melone triestino di riaffermare la contraddi-zione centro/periferia; successivamente ai Verdi, stimolati anche nelle loro discesa nell’arena parla-mentare dall’esempio dei Grunen tedeschi).Tra il 1946 ed il 1987 (anche se si tratta di date da assumere come spartiacque, con un certo senso della relatività del tempo) ci siamo trovati, infat-ti, di fronte ad una situazione di forte preminen-za dei partiti sulle espressioni organizzate della so-cietà (intese come rappresentanza di interessi, di associazione, di corporazione e quant’altro).I partiti, in Italia, nel corso di questo periodo sono assolutamente al centro della scena politica (non a caso, come vedremo meglio in seguito) la parte-cipazione al voto supera il 90% degli aventi diritto ed è molto omogenea anche tra elezioni politiche ed elezioni amministrative: un dato che, compara-to ai dati degli altri paesi europei, ha contribuito a comporre il quadro di quello che fu definito, per molti anni, “caso italiano”.Gran parte degli scostamenti, spostamenti, rial-lineamenti parziali che possiamo riscontrare ed analizzare rileggendo questo periodo della no-stra storia politica sono stati dovuti, infatti, a mu-tamenti interni al sistema: tutto ciò nonostante le grandi trasformazioni economiche, sociali, nelle condizioni materiali di vita via, via, registratesi nel corso degli anni.Nella vita dei partiti, dominatori della scena e provvisti – tutti – di un meccanismo di interscam-bio dal basso all’alto e dall’alto al basso, con un forte dato di attivizzazione tra vertici e quadri in-termedi erano prevalenti l’ideologia, la tradizione culturale, la confessione religiosa, la collocazione internazionale (non solo tra l’Est e l’Ovest, ma an-che rispetto all’Europa e ai meccanismi della rico-struzione post-bellica). Anche la stessa risposta modernizzatrice, almeno nelle intenzioni dei proponenti, che il centrosini-stra cercò di fornire all’inizio degli anni’60, sarà vista come una risposta “interna” di allargamen-

to dell’arco democratico di governo, e non di rin-novamento complessivo dell’offerta politica verso una società più complessa ed in crescita e muta-mento sul piano della domanda (come è avvenu-to, invece, in seguito sul terreno di una presunta semplificazione nei rapporti tra politica e società, nel senso della riduzione del cosiddetto “eccesso di domanda”).Dal quadro che esce dalle elezioni del 1948 e dal relativo aggiustamento realizzatosi con l’esito del-le elezioni del 1953, esaurita la fase post-resisten-ziale che aveva contrassegnato le elezioni del 1946 (che pure presentarono anch’esse alcuni tratti ri-solutivi della definizione del sistema politico: gli elementi di “anomalia” di quelle elezioni posso-no essere riassunti: nella sparizione del PDA, nel voto al PSIUP ancora quantitativamente superio-re a quello del PCI, alla presenza effimera del-l’UQ), dall’esito di queste tornate elettorali, dun-que, emerge una tendenza dell’elettorato italiano ad una modesta volatilità elettorale, ad un relati-vamente alto tasso di fedeltà, a spostamenti mi-nimi tra una forza politica e l’altra e comunque dovuti ad un diverso posizionamento delle forse politiche stesse sull’asse del sistema che trovaro-no immediata corrispondenza nell’elettorato di ri-ferimento (es. PLI nel 1963, con l’opposizione al centrosinistra; PSIUP nel 1968 con il rifiuto dell’in-gresso al governo realizzato dal PSI).In ogni caso l’esito complessivo delle elezioni svoltesi nell’immediato post-dopoguerra, può es-sere così riassunto:a) proprio il ruolo dei partiti che abbiamo appe-na ricordato rende coerente il ruolo del Parlamen-to così come disegnato dalla Carta Costituziona-le (quel ruolo che, sintetizzo, nello slogan togliat-tiano del “Parlamento specchio del Paese). Furo-no così respinte le tentazioni presidenzialista (che pure ci furono, ad esempio nel PDA) e, ad ulterio-re elemento di garanzia per le forze politiche, fu stabilito il voto di fiducia al Governo da parte di entrambi i rami del Parlamento, suffragando così il cosiddetto “bicameralismo paritario” e affossan-do l’idea del Senato delle Regioni.La sinistra, su questo terreno, pagò il prezzo del-l’allontanamento nel tempo dell’esecutività del-l’ordinamento regionale, anche se nella I legisla-tura si affrontarono senza concludere i disegni di legge riguardanti la legge elettorale regionale e quella finanziaria;

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b) la scelta della legge elettorale proporzionale (e del voto come diritto/dovere). La legge elettora-le rappresentò uno dei primi impegni politici del dopoguerra, tanto è vero che la Commissione Mi-nisteriale presieduta da Nenni iniziò i suoi lavori il 1 Settembre del 1945.La Costituente compì, poi, nel merito, una scel-ta di fondo escludendo dal testo della Costituzio-ne la legge elettorale stessa, mentre, in pratica, la proporzionale fu scelta 3 volte: nella Consulta, alla Costituente e dopo le elezioni del 1953.Nella Consulta, constata l’impossibilità di portare ad una unità consociativa le diverse forze politi-che (si registrarono contrapposizioni tra uninomi-nalisti e proporzionalisti, emersero diverse conce-zioni dello Stato, si profilava una campagna eletto-rale dominata dal referendum istituzionale: si de-cise, allora, di scegliere decisamente la strada di una “democrazia dei partiti”: da qui la scelta della proporzionale come elemento di valutazione del-la quota di efficienza dei singoli partiti. La Con-sulta affrontò anche un altro aspetto del dibattito sul procedimento elettorale: quello relativo all’ob-bligatorietà del voto: ci fu uno scontro sull’art.66 relativo al ruolo del clero in campagna elettorale, con una vittoria della sinistra che fu sconfitta sul-la cancellazione delle sanzioni per gli inadempien-ti. Alla fine passò il concetto di diritto/dovere con la sola “segnalazione” sul certificato di buona con-dotta (la sola nazione europea che ha l’obbligato-rietà del voto è il Belgio).Nella Costituente, dopo un ampio dibattito, si de-cise di lavorare sulla griglia del sistema adottato dalla Consulta per quel che riguardava l’elezione della Camera dei Deputati, per il Senato si optò per i collegi uninominali quale segno di legame con il territorio (opzione dovuta all’iniziativa del democristiano Tosato in opposizione ad una pro-posta di Lussu per il voto di lista).La convergenza Dossetti/Togliatti, verificatasi pro-prio sul tema della legge elettorale per il Senato confermò la consolidata posizione che la “forma-partito” aveva ottenuto nell’impianto istituzionale della Repubblica.Non analizziamo a fondo, in questa sede, l’iter che portò al varo della modifica in senso maggiorita-rio della legge elettorale per le elezioni del 1953 (la legge dei cosiddetti “apparentamenti”, già spe-rimentata comunque nelle diverse tornate ammi-nistrative svoltesi tra il 1951 ed il 1952). Si trattò,

comunque, di un vero “maggioritario” (il premio sarebbe scattato, come è noto, soltanto se la coa-lizione degli “apparentati” avesse superato il 50% più uno dei voti validi) e furono proprio gli esiti delle amministrative 51-52 ad indurre la DC ad in-sistere, fino ad arrivare al limite della rottura isti-tuzionale nell’occasione dell’approvazione della legge da parte del Senato: la DC intendeva evitare la possibilità di maggioranze alternative al quadri-partito, che pure – appunto - l’esito delle ammi-nistrative 51-52 aveva profilato poter essere pos-sibile, ricercando al contempo la possibilità del-la maggioranza assoluta per sé stessa (su questo punto si verificò l’esiziale rottura del PSDI, la cui sinistra che aveva proposto una soglia di premio di maggioranza al 55%, vedendosi battuta nel mo-mento in cui fu stabilito il 66%, uscì dal partito for-mando con i dissidenti del PRI il gruppo di Unità Popolare i cui voti risultarono determinanti per il mancato “quorum maggioritario”;c) terzo ed ultimo punto: le elezioni del 1946, 1948, 1953, determinarono l’affermazione defini-tiva del modello imperniato sui grandi partiti di massa (quello che, poi, Duverger indicherà come la sola prospettiva possibile perché un sistema po-litico potesse reggere adeguatamente). Erano an-cora lontani i partiti “pigliatutti” e ancora il cosid-detto “partito di cartello”.Prima di passare ad una sommaria analisi dei dati, a livello nazionale e locale, mi sia permesso, anco-ra, esporre un punto preliminare.E’ nel corso della campagna elettorale del 1948, che nasce la conventio ad excludendum, perno delle successive dinamiche interne al sistema po-litico italiano per oltre 30 anni. I due partiti “anti-sistema”, a destra il MSI e a sinistra il PCI risultava-no esclusi “per convenzione” appunto, dalla pos-sibilità di approdare organicamente all’area di go-verno (ricorderò come, nella parentesi della “so-lidarietà nazionale” 1976-1979 il PCI, in un primo tempo si astenne e, successivamente, votò la fidu-cia ai governi monocolore DC senza mai avanzare candidature ministeriali).Le ragioni che fecero nascere la “conventio ad excludendum” in particolare a sinistra sono no-te, la guerra fredda, il viaggio di De Gasperi ne-gli USA, la fine della coalizione DC-PCI-PSI: non ci stancheremo mai, però, di ricordare come i lavo-ri dell’Assemblea Costituente si fossero conclusi unitariamente, proprio in ragione di quell’orien-

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tamento comune relativo alla centralità del Parla-mento, sul quale ci siamo già a lungo soffermati.Il primo dato da ricordare riguarda il numero di liste presentate nelle tornate elettorali prese in esame(dati riferiti come quelli successivi alle ele-zioni per la Camera dei Deputati): nel 1946 si pre-sentarono 51 liste ed ottennero seggi 11 collegate al CUN e 4 non collegate, nel 1948 48 liste, di cui 10 ottennero seggi, nel 1953 31 liste di cui 9 ot-tennero seggi.Le principali novità, rispetto alle elezioni per la As-semblea Costituente del 1946 furono:1. l’unica lista formata da socialisti e comunisti,

uniti nel Fronte Democratico Popolare, con il simbolo di Garibaldi;

2. la sparizione del Partito d’Azione e della Con-centrazione Repubblicana di Parri e La Malfa;

3. le liste del nuovo partito socialdemocratico, che si presentavano con la sigla di Unità Socia-lista;

4. i liberali, che nel 1946 si erano presentati nel blocco dell’Unione Democratica Nazionale, si ripresentavano come Blocco Nazionale;

5. le liste del partito dei cittadini di lingua tedesca del’Alto Adige, la SVP, ossia il Partito Popolare Sud Tirolese

6. le liste dei monarchici che nel 1946 si erano presentati come Blocco Nazionale della Liber-tà, si presentavano adesso unite con il Partito Monarchico Nazionale nell’Alleanza Democra-tica del Lavoro.

7. Le liste del nuovo partito neo-fascista con la si-gla di Movimento Sociale Italiano.

8. L’assenza delle liste del Fronte dell’Uomo Qua-lunque.

I risultati delle elezioni segnarono una schiaccian-te vittoria della DC che ottenne il 48,5% dei vo-ti e la maggioranza assoluta dei seggi alla Came-ra (305 su 574). Il Fronte Democratico Popolare ebbe il 31%. Unità Socialista il 7,1%. Il Pri raccol-se il 2,5%. Il Blocco nazionale, che comprendeva liberali e qualunquisti il 3%. L’estrema destra, nel complesso il 5,3%, tra MSI e monarchici.Veniva così modificato il risultato della Costituen-te, perchè accanto alla forza della DC (che poi for-mò comunque un governo di coalizione centrista con socialdemocratici, liberali, repubblicani) si af-fermò, a sinistra, il predominio del PCI sul PSI.La nascita di uno schieramento di sinistra in cui i comunisti avevano la nettissima prevalenza, che

sarebbe poi stata confermata in tutte le successive elezioni, fino alla scomparsa del PCI, avrebbe rap-presentato un dato importante nella struttura del sistema dei partiti.Le ragioni furono varie; l’inasprirsi dello scontro, l’indebolimento del PSI dovuto alla scissione, le maggiori capacità organizzative del PCI, la persi-stenza del mito dell’URSS, ma soprattutto l’abilitàdel gruppo dirigente e, in particolare, di Togliatti nel presentarsi come eredi della migliore tradizio-ne socialista italiana, anche riformista.La polemica, anche molto aspra, con la socialde-mocrazia non impedì ai comunisti di raccogliere, sopratutto in Emilia che divenne così la loro roc-caforte, l’eredità degli amministratori socialisti del periodo prefascista.Anche se in sede di analisi storica il giudizio sul socialismo riformista continuò spesso a essere severo,ma senza mai assumere toni denigratori, nella pratica del governo locale la tradizione rifor-mista fu ripresa in pieno.Tornando all’analisi complessiva dell’esito del vo-to è necessario ricordare come la psicologia della paura ebbe una grande influenza sui risultati delle votazioni del 18 Aprile, perchè non risparmiò nes-suna classe e nessun ceto sociale.L’11 Giugno Nenni poteva indicare alla Camera, come causa dei risultati, tre paure: la paura susci-tata dalla Chiesa con le sue lettere pastorali, i suoi miracoli, le apparizioni e la dichiarazione che sa-rebbe stato peccato votare per il Fronte Democra-tico Popolare; la paura che un determinato esito elettorale avrebbe interrotto gli aiuti provenienti dagli USA; la paura del comunismo, presentato con le tinte più fosche.In questo clima si accumulò la tensione che esplo-se, poi, il 14 Luglio quando un giovane di destra, Antonio Pallante, attentò alla vita di Togliatti feren-dolo gravemente.1. La partecipazione al voto risultò altissima, sia a livello nazionale, sia in sede locale.Nel 1946 votò, in Italia, l’89,1%, nella Circoscri-zione Ligure l’85,6%, nella Provincia di Savona il 92,4%, nella Città di Savona il 92,7%.Nel 1948 in Italia il 92,2%, nella Circoscrizione li-gure il 91,5%, nella provincia di Savona il 93,3%, nella Città di Savona il 93,2%Nel 1953 in Italia votò il 93,8%, nella Circoscri-zione Ligure il 94,0%, nella Provincia di Savona il 96,6%, nella Città di Savona il 96,9%.

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c) Gli scostamenti, tra esito del voto in sede na-zionale e in sede locale (non rammento qui le ci-fre perché contenute nelle tabelle contenute nel-le cartelline) hanno un andamento abbastanza co-stante: e si tratta di un dato significativo. I partiti di centro e di destra hanno, in Liguria e a Savona, un andamento inferiore alla loro media nazionale, mentre quelli di sinistra dimostrano un “trend” fa-vorevole. Ci troviamo, quindi, di fronte a compor-tamenti elettorali che avranno un seguito nel cor-so del tempo, complessivamente almeno per tut-ta la durata del sistema elettorale proporzionale.In questo senso i dati del voto alla DC indicano con chiarezza il trend cui si accennava poc’anzi. Nel 1946 la DC si afferma nazionalmente come il partito di maggioranza relativa con il 35,18%, nel-la circoscrizione ligure però il voto democristiano risulta inferiore alla media nazionale dello 2,67%, mentre nella provincia di Savona (una provincia particolare, come vedremo meglio analizzando al-tri dati di maggiore dettaglio) il segno - corrispon-de soltanto allo 0,37%, risalendo per quel che ri-guarda il Comune di Savona all’8,06%. Che il Co-mune di Savona si riveli terreno difficile per lo scudo crociato appare più evidente proprio il 18 Aprile 1948, allorquando la DC sul piano naziona-le raggiunge il massimo storico con il 48,51%: eb-bene sotto la Torretta la percentuale è inferiore del 12,02% rispetto a quella nazionale (il calo è più contenuto a livello circoscrizionale -2,63% e provinciale -3,34%). Nel 1953, per contro, la DC riuscì a tenere la quota nazionale (40,10%) nella provincia di Savona, calando dell’1,61% a livello circoscrizionale e facendo segnare il consueto de-ficit nel Comune di Savona (questa volta -7,85%).I dati di PCI e PSI(ricordiamo che nelle elezioni del 1946 i socialisti si presentarono come PSIUP, rias-sumendo la denominazione PSI dopo la scissio-ne di Palazzo Barberini e la formazione del PSLI) ci confermano nell’analisi, che sostanzialmente colloca la Circoscrizione Liguria come una circo-scrizione di sinistra, la Provincia di Savona come in equilibrio con un leggero vantaggio per la sini-stra grazie al voto massiccio delle zone di insedia-mento operaio, ed il Comune di Savona ai bordi di quella che sarà definita “zona rossa”, compren-dente Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria.Nel 1946, infatti, il PCI (che alle amministrative di marzo ottenne il suo massimo storico con il 47,1%) crebbe in tutte e tre le situazioni che stia-

mo esaminando in maniera molto consistente ri-spetto al dato nazionale del 19,80% (circoscrizio-ne più 8,64%, provincia di Savona più 11,09%, Co-mune di Savona 12,01%). Il predominio dei comu-nisti nella città di Savona ebbe un sicuro influs-so anche sul voto dei socialisti(ricordiamo anco-ra:al momento ancora unificato nello PSIUP), in calo rispetto al dato nazionale del 20,72% dello 0,09% (mentre a livello circoscrizionale i sociali-sti segnarono un più 5,20% e a livello provinciale un più 2,88%). Curioso il dato del Partito d’Azio-ne, il cui voto in Liguria , in Provincia di Savona e nel Comune capoluogo dimostrò un dato infe-riore a quello nazionale pur modesto dell’1,46% (rispettivamente -0,61; -0,64%; -0,88%). Il Fron-te Democratico Popolare fece registrare in Ligu-ria percentuali molte più alte di quella nazionale del 30,93%. A livello circoscrizionale più 8,14, nel-la provincia di Savona il 9,15% e al Comune di Sa-vona, addirittura del 20,32% con il conseguimen-to della maggioranza assoluta con il 51,25%). Dati ottenuti prevalentemente per la forza dimostrata dal PCI che anche nel 1953, presentatisi i due par-titi, PCI e PSI nuovamente separati, confermò me-die a livello liguri superiori a quelle nazionali (più 3,13 nella Circoscrizione, più 4,90% nella provin-cia di Savona, più 12,12 al Comune). Che siano stati i socialisti a pagare il prezzo più alto nell’ope-razione legata al FDP è dimostrato anche dai dati del partito socialdemocratico, presentatosi come Unità Socialista nel 1948 (media nazionale 7,07%, a livello circoscrizionale più 2,70%, in Provincia più 3,49%, al Comune più 0,67%: a dimostrazio-ne del permanere di un asse spostato a sinistra nel Comune di Savona anche dalla parte, per così dire, “riformista”). Del resto, nel 1953 il PSDI, pur nel risultato negativo ottenuto a livello naziona-le (percentuale caduta al 4,51%), ottenne più voti dalle nostre parti: nella circoscrizione più 2,08%, in provincia di Savona più 2,89%, nel Comune di Savona più 1,80%.La destra fece segnare, per contro, dati in costante calo rispetto alla media nazionale dei diversi par-titi presentatisi nelle occasioni elettorali che stia-mo analizzando: il boom dell’Uomo Qualunque, ad esempio, nel 1946 (5,28% a livello nazionale, risultò assai ridimensionato nella Circoscrizione: -2,60; in Provincia -3,00; ed in Comune -1,83%). Il Movimento Sociale non partecipò alle elezio-ni del 1946: il 18 Aprile 1948 conseguì complessi-

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vamente il 2,00% (in Liguria -1,19%, nella Provin-cia di Savona -1,31, nel Comune di Savona 1,17%); crescendo notevolmente nel 1953 con una per-centuale nazionale del 5,84% (ridimensionata in Liguria dello 2,05%, nella provincia di Savona del 3,19% e al Comune di Savona del 3,04%). Anche i monarchici, che pure nel 1953 raggiunsero il lo-ro massimo storico con il 6,85% (ovviamente con-centrato in massima parte al Sud) ebbero quote di molto inferiori in Liguria (circoscrizione -4,13%, provincia di Savona -4,44%, comune di Savona -4,90%).Questi dati confermano l’esattezza della nostra analisi iniziale, con particolare riferimento al Co-mune di Savona: laddove il PCI manteneva una egemonia molto forte, frutto a nostro giudizio di tre componenti essenziali: l’insediamento ope-raio, il ruolo avuto nella Resistenza ed il grande prestigio accumulato da alcuni suoi dirigenti, la capacità organizzativa posta soprattutto sul terre-no del saper legare il lavoro di fabbrica con quel-lo sul territorio.Per concludere vediamo, comunque, meglio i da-ti di alcuni importanti comuni delle diverse zone in cui si suddivide la nostra provincia, che ci indi-cano con chiarezza l’effettiva dislocazione del vo-to, anche dal punto di vista delle origini socio – economiche.Da questi dati emerge un complessivo spostamen-to di voto, tra il 1946 ed il 1953, avvenuto nella no-stra provincia, assolutamente non trascurabile e la conferma di come, questi spostamenti, avvenga-no sulla base di valutazioni interne alla “sfera poli-tica” e quindi a quella “democrazia dei partiti” cui abbiamo già più volte fatto riferimento.Dunque tra il 1946 ed il 1953, passando per lo snodo fondamentale delle “elezioni critiche” del 1948, la provincia di Savona passa da provincia po-tenzialmente di sinistra, a provincia di “confine”, “border line” si direbbe tra i due grandi schiera-menti del “bipartitismo imperfetto”.Nell’insieme, però, ci troviamo, al termine delle tre tornate elettorali di cui ci stiamo occupando ad uno spostamento verso la DC che, ovviamente, raggiunge il suo apice il 18 Aprile ma che tiene ab-bastanza anche il 7 Giugno 1953.L’analisi delle diverse zone geografiche, ed i dati specifici dei comuni più importanti, dicono infat-ti che se nel 1946 oltre a Savona e alla zona Vado-Quiliano anche la Valbormida (escluso Cengio)

poteva essere considerata come ai margini del-la “zona rossa” (intendiamo sempre, come abbia-mo già fatto rilevare come “zona rossa” le regioni dell’Emilia, Toscana, Marche, Umbria) le tornate successive indicano un sostanziale riequilibrio tra DC e partiti della sinistra, in particolare a Cairo e Carcare e soltanto Altare mantiene caratteristiche molto forti di voto a sinistra.Analogo l’andamento nelle due Albisole, dove il voto per la Costituente verifica un fortissimo suc-cesso di PCI e PSI, che successivamente vedran-no ridotti i loro suffragi (parliamo qui di una zona della provincia, quella “centrale” attorno a Savona e la Valbormida a forte influenza operaia, anche se nella Valbormida i lavoratori della campagna risul-tavano ancora numericamente consistenti, ed era in uso anche il doppio lavoro campagna-fabbrica, a Ferrania, all’ACNA, alla Montecatini, ecc).Interessante anche notare gli spostamenti avve-nuti nel ponente, zona da molto tempo tradizio-nalmente spostata nelle espressioni di voto verso il centro e la destra: da notare che parliamo di una zona le cui realtà socio – economiche del tempo erano molto diverse da quelle rilevate nei decenni successivi (il turismo, ad esempio, salvo ad Alassio e un poco a Finale contava ancora molto poco) e dove l’agricoltura risultava dominante.Nel 1946 l’esito del voto a Ponente risultava infatti molto meno omogeneo di quanto non appaia og-gigiorno, anzi con differenziazioni tra zona e zona che vale la pena di rimarcare: se la fascia tra Loa-no e Borghetto infatti presentava dati da assoluta “zona bianca” (stile Veneto, tanto per intenderci), i risultati dei Comuni di Alassio ed Albenga appa-rivano assai più contrastati,per quel che riguarda il 1946, e la ripresa di una realtà da “zona bianca” avveniva soltanto ai confini della provincia di Im-peria (sempre caratterizzatasi, questa, in una cer-ta direzione), quindi ad Andora. Successivamente, nel 1948, ad Alassio e Albenga la DC assume una qualche egemonia, capace di perdurare nel tem-po (per i partiti di sinistra sfuma, probabilmente, una qualche impatto diretto in loro favore succes-sivo ai fatti della Resistenza che, in quella zona, aveva avuto un orientamento “garibaldino” mol-to pronunciato).Alcune curiosità, per concludere: tra i comuni di maggior importanza nella nostra Provincia, quel-lo più “democristiano” può essere indicato in Sas-sello; mentre a Loano e Borghetto (già citati qua-

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li “capitali” della zona bianca) verifichiamo anche due fenomeni originali, almeno per la provincia di Savona: a Borghetto elevate percentuali per il PRI che raggiunge la percentuale a due cifre; a Loano, il PSDI, nel 1953, è addirittura il secondo partito, oltrepassando il 27%.Da rilevare,ancora, come nel 1948 le perdite accu-sate dal FDP rispetto alla somma dei voti ottenu-ti da PCI e PSI nel 1946, siano maggiori là dove US raccoglie i maggiori consensi (un dato che indica come le zone di particolare debolezza del PSI sia-no state quelle di più evidente difficoltà del Fron-te: un vero e proprio ventre molle) e come com-plessivamente, per le sinistre, l’esito delle elezio-ni 1953, confrontate con quelle del 1948, posso-no essere definite, per la provincia di Savona, il “perdurare di una sconfitta”, piuttosto che un mo-mento di “riequilibrio” verso sinistra: al momen-to la sconfitta della “legge truffa” fece, forse, pas-sa in secondo piano questo dato che, invece, ap-pare evidente ad una approfondita lettura dei da-ti, in particolare Comune per Comune.In particolare possiamo ancora rilevare come nel Comune di Albenga il FDP perda, il 18 Aprile, ri-spetto alla somma di PCI e PSI nel 1946 il 12,20%: nel 1953 il PCI recupera il 3,61% sempre – ovvia-mente – rispetto al 1946, ed il PSI cede, invece, l’11,73% (con Unità Socialista al 10,59% nel 1948, in arretramento come PSDI del 6,51% del 1953).Il mutamento della situazione elettorale in Valbor-mida, nel corso delle tornate elettorali prese in esame, cui si faceva già cenno, appare ben espli-citato dai dati concernenti i comuni di Carcare e Cairo Montenotte.A Carcare il 2 Giugno 1946 il PCI conseguì la maggioranza assoluta con il 51,10% (con il PSI al 17,76%: il FDP, due anni dopo, si fermò al 55,12% ed entrambi i partiti della sinistra uscirono ridi-mensionati nel 1953 (PCI 37,54%, PSI 15,85%, con il PSDI al 6,55%, confermando in questo caso co-me i voti PSI e PSDI risultassero pressoché comu-nicanti).A Cairo Montenotte nel 1946 si registrò un certo equilibrio tra PCI e PSI (38,77 i comunisti, 31,73% i socialisti). Il FDP ottenne, nel 1948, il 57,44% (da notare come, in questa occasione, la DC risultas-se ancora ben al di sotto della media nazionale con il 28,45%). Si andò poi, nel capoluogo della Val Bormida, nel 1953 ad un complessivo riequi-librio tra le tre forze maggiori con PCI al 33,32%,

PSI 25,05% e DC al 25,28%.Espressione di orientamento opposto infine, l’esi-to elettorale di Vado e Varazze (Vado culla del mo-vimento operaio, Varazze cittadina già turistica e commerciale, anche se provvista di industrie, ma dalla forte tradizione cattolica). Vado si colloca ai limiti della “zona rossa” e Varazze di quella “bian-ca” (percentuali di tipo veneto, tanto per inten-derci).A Vado il PCI raccoglie, nel 1946, il 50,80% ed il PSI il 21,66%, con il FDP, nel 1948, al 60,66% (Nel 1953 il PCI arrivò al 44,46% ed il PSI al 15,47 con il PS-DI ad un modesto 5,16%). La DC vadese ottenne il 21,78 nel 1946, per confermarsi tra 1948 e 1953 al 28,22% e 28,14%.A Varazze nel 1946 DC al 44,85%, cresciuto nel 1948 al 58,60%, ed assestato al 53,70% nel 1953 (per i partiti di sinistra: PCI 19,94% e PSI al 26,97% nel 1946, con il FDP nel 1948 al 29,14%, e nel 1953 PCI in calo al 17,93% e socialisti pressoché dimez-zati rispetto al 1946 con il 14,40%).Dati che confermano, nel loro insieme, quell’ele-mento del “perdurare di una sconfitta” per le si-nistre cui si accennava poco fa: arretramento evi-dente quello dei partiti di sinistra, con la contem-poranea crescita della DC tra il 1946 ed il 1953, nonostante il perdurare ed il consolidarsi di per-centuali comunque superiori alle medie nazionali tanto per il PCI, come per il PSI.Fin qui, dunque, una esposizione di dati che si ag-giungono a quelli delle tabelle in possesso ai par-tecipanti.Per concludere una annotazione, relativa al conte-sto in cui ci troviamo: una sede di studi storici.Mi piacerebbe sottolineare (come sostiene anche Pietro Scoppola nel suo “La Repubblica dei Par-titi” l’importanza che dovrebbe assumere per lo studioso di storia il concetto di “sistema politico” elaborato in sede di scienza politica e poi succes-sivamente raffinato.Ed è stato in termini sistemici che ho cercato di raccogliere gli elementi per questo modesto lavo-ro.Il sistema politico non è definibile in termini pura-mente normativi, è altra cosa dalla forma di gover-no descritta dai giuristi: è piuttosto il sistema ef-fettivo di organizzazione della società e di eserci-zio del potere che risulta da diversi elementi.Secondo l’analisi di Farneti questi elementi sono essenzialmente tre: 1) la società civile, intenden-

Elezioni politiche del 18 aprile 1948 Franco Astengo

Asinistra: Togliatti tra i banchi del governo dell’Assemblea Costituente. All’epoca era ministro Guardasigilli. A destra: dimostrazioni durante lo sciopero generale proclamato dalla CGIL in seguito all’attentato a Togliatti.

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Quaderni Savonesi 122

do con questa espressione i rapporti reali fra le forze sociali, le condizioni dello sviluppo (o del sottosviluppo) la cultura politica e le “subculture” presenti in una determinata società; 2) la socie-tà politica intesa come aggregazione e mobilita-zione privata a fi ni collettivi che può essere spon-tanea come avviene nei moti di piazza, organizza-ta in sindacati e partiti, istituzionale come avvie-ne nelle elezioni politiche); 3) le istituzioni (parla-mento, governo, burocrazia, esercito, ecc.).Il sistema politico implica una visione globale di questi diversi fattori e deve rappresentare un pun-to di vista di estremo interesse anche per lo sto-rico.Per concludere si può ricordare che i fatti del 14 Luglio, riesaminati in questo quaderno, risultano strettamente legati a quelli del 18 Aprile, di cui rappresentarono in un certo senso l’epilogo.Con l’attentato a Togliatti l’anticomunismo che aveva caratterizzato tutta la campagna elettora-

le del centro e della destra, raggiunse la massima asprezza e mostrò a quali pericolosi sbocchi pote-va portare la competizione politica se veniva spin-ta a livelli esasperati.D’altra parte, l’esasperazione dei contrasti era un dato oggettivo, dipendente da fattori internazio-nali oltre che nazionali.Va quindi dato atto, anche in questa occasione di chiusura di un modesto lavoro di analisi statistica, del ruolo importante che svolsero, in quel dram-matico frangente, i dirigenti dei partiti politici ita-liani della sinistra, nel sapere evitare uno scontro frontale che pure, in quelle condizioni avrebbe potuto essere possibile.Savona, li 22 Giugno 2008

Franco AstengoCultore di materia

presso la facoltà di ScienzePolitiche dell’Università di Genova

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Registrare la memoria Diego Scarponi

n. 7 - giugno 2008127

Le modalità di lavoro sulla materia filmata hanno permesso una esplorazione dei contenuti e del-le scelte formali in diverse direzioni, sempre re-stando all’interno di una omogeneità complessi-va che il lavoro collettivo ha richiesto. Quindi: du-rata fissa del montaggio (dieci minuti), cartelli in-troduttivi dei vari argomenti trattati, possibilità di inserire ulteriori contributi per ancor meglio ren-dere il clima dell’epoca e la vividezza dei ricordi e delle testimonianze dei protagonisti di quelle lot-te e di quelle battaglie così fondamentali nella sto-ria locale e nazionale; gli studenti hanno perciò recuperato diversi elementi, fotografie, documen-ti, canzoni e segmenti di film, documentari d’epo-ca e video in genere, che hanno favorito la prati-ca di organizzazione e manipolazione dei vari testi comunicativi, cercando di farli convergere verso un unico e determinato obiettivo comunicativo, e trovandosi di fronte alla ovvia difficoltà di gestirli, metterli in catena, sceglierli. Da qui deriva la na-turale disomogeneità dei vari contributi, fatto che certo ha permesso ai ragazzi impegnati nel corso di comprendere meglio – se non a fondo – le va-rie possibilità e i numerosi limiti che questo tipo di lavoro pone continuamente.Il lavoro dell’intervista con testimonianze relative a fatti fondamentali per il nostro territorio più di cinquanta anni fa riveste un’importanza non solo storica e sociale, ma anche esistenziale, di relazio-ni e ideali assolutamente individuale e intima.La forza del discorso diretto, dello sguardo in ca-mera che immediatamente si riferisce agli studen-ti/intervistatori e allo spettatore in genere gene-ra una linea di contatto che – anche grazie al fat-to che gli studenti hanno maneggiato e gestito in prima persona gli strumenti – ha permesso di ap-profondire dal punto di vista linguistico i contenu-ti degli incontri avuti con una generazione distan-te per tempi e atmosfere di vita.La possibilità di contare sull’esperienza del prof. Rossello – autore televisivo di trentennale espe-rienza – ha di sicuro aiutato gli studenti nell’ap-proccio formale e nei rapporti con i soggetti filma-ti. Lo stesso Felice Rossello conferma in questa te-stimonianza come l’organizzazione del corso sia

[...] consistita in uno studio sull’approccio gior-nalistico e psicologico dell’intervista televisiva. Al-l’inizio gli studenti del corso sono stati tenuti a co-noscere e a documentarsi sul periodo storico dal-

ti hanno preparato una serie di domande relati-ve al periodo vissuto in prima persona dai sogget-ti dell’intervista, cercando poi di costruire un per-corso audiovisivo attraverso i ricordi e le temati-che raccolte.Lo strumento video, con le sue caratteristiche in-site di possibilità manipolatoria, scelta e concate-nazione che possiede, ha favorito la decostruzio-ne e successiva riscrittura del flusso di parole pen-sieri ricordi e sensazioni che gli intervistati era-no in condizione di offrire. Il fatto poi di lavora-re a gruppi, ha permesso inevitabilmente agli stu-denti di confrontarsi con un’esperienza di equipe, obbligandoli a ragionare sul fronte organizzativo e gestionale dell’esperienza, senza dimenticare la valenza fondamentale dell’aspetto relazionale che un esercizio di gruppo genera.

REGISTRARE LA MEMORIA

Storia del progetto video “Memoria della Resistenza in Liguria”

Diego Scarponi

Durante l’anno accademico 2006/2007 l’Uni-versità degli Studi di Genova, nel Corso di

Laurea di Scienze della Comunicazione della Fa-coltà di Scienze della Formazione ha intrapreso un progetto di analisi interdisciplinare avente co-me oggetto numerose testimonianze di persone coinvolte nella lotta di liberazione dall’occupazio-ne nazi-fascista nel territorio ligure.Il problema della memoria, l’approccio alla que-stione storica attraverso l’utilizzo del medium au-diovisivo, dell’intervista, sono stati l’oggetto vero e proprio dell’esperienza che gli studenti del cor-so di Comunicazione Visiva, tenuto nel corso del-l’anno dal prof. Rossello, hanno dovuto affronta-re e risolvere, attraverso una preparazione del te-ma da scomporre e riorganizzare - a livello storico e sociale - e per mezzo dello strumento video, che necessita di proprie modalità di costruzione e or-ganizzazione del materiale.La forma comunicativa scelta, come detto, è stata quella della conversazione/intervista: gli studen-

Registrare la memoria Diego Scarponi

Quaderni Savonesi 128

l’otto settembre 1943 al 30 giugno del 1960, con particolare riferimento a Genova e a Savona. Nella seconda parte sono state approntate una serie di domande sull’argomento da porre ai singoli inter-vistati tenendo conto dello studio effettuato nella prima parte del corso. Le domande a climax sono state discusse a lezione. La terza parte ha riguarda-to l’approccio psicologico dell’intervista, con par-ticolare riferimento alla presenza della telecamera e del microfono per una narrazione che, spessis-simo, toccava corde assai intime e particolari. Ar-mati di questo know how i ragazzi hanno preso contatti con i partigiani da intervistare, anche gra-zie all’Istituto Storico della Resistenza e all’ANPI, e hanno affrontato il compito. L’ultima fase è costi-tuita nel montare lo speech in un servizio di dieci minuti circa nel laboratorio del campus [...]

Per i ragazzi l’esperienza ha così rappresentato una possibilità unica di confronto con aspetti tec-nici-formali del linguaggio audiovisivo e una al-trettanto fondamentale possibilità di conoscenza di persone di generazioni diverse dalla loro. Gesti-re entrambe le cose ha sicuramente fatto scaturi-re nuove connessioni e una maggiore attenzione al tema della memoria, della testimonianza e del rapporto con i soggetti intervistati.Inoltre, le esperienze dei resistenti sono, a loro modo e nel nostro territorio, assolutamente uni-che, e in via di estinzione. I report dell’esperienza lo confermano, per esempio nelle parole di Fran-cesca Beiso, che era impegnata con il suo gruppo in un lavoro di documentazione che

[...] propone una visione della Resistenza nel nostro territorio, mettendo in relazione le dina-miche inerenti alla collaborazione tra i Partigia-ni di città ed i Partigiani di montagna. Gli inter-vistati, Renzo Marenco di Savona, e Matteo Od-done di Calizzano, durante la Seconda Guerra Mondiale parteciparono attivamente alla Resi-stenza che si sviluppò nel nostro territorio.Renzo Marenco, all’epoca operaio, faceva par-te del Distaccamento Gatti della Brigata Fal-co delle Sap (Squadre di Azione Partigiana); si occupava di volantinaggio clandestino, missioni di rifornimento ai partigiani di montagna, mis-sioni segrete in città e fu ferito durante l’attacco di una pattuglia di tedeschi in zona Villetta / Val-loria (Sv) poco tempo prima del 25 aprile 1945.

Matteo Oddone (nome di battaglia di Lince) vive-va già in clandestinità quando, all’arrivo della chia-mata alle armi da parte della Repubblica di Salò, si diede alla macchia associandosi ai partigiani di montagna, nella Brigata Gin Bevilacqua. Affron-tò il nemico in prima linea, difendendosi nei bo-schi dagli attacchi armati e dai rastrellamenti dei tedeschi.

Ma le possibilità che questo tipo di confronto creano sono molteplici, e più articolate e com-plesse di quel che potrebbe sembrare ad un pri-mo sguardo. Anzi, certe dinamiche entrano diret-tamente a contatto con le biografie di chi questo lavoro di indagine lo ha realizzato: quindi l’aspet-to dialettico si mescola con il vissuto di chi, og-gi, ha l’età che avevano i partigiani durante il se-condo conflitto mondiale. Giampaolo De Luca lo esprime appieno.

Quando iniziai a frequentare l’ANPI di Cairo Mon-tenotte sentivo come prioritaria l’esigenza di docu-mentare le testimonianze degli ex partigiani com-battenti, in quanto ne percepivo l’inevitabile per-dita, e con loro anche di un pezzo di storia. L’epi-sodio che più mi fece riflettere su questo punto fu la scomparsa improvvisa di un comandante parti-giano che da poco avevo intervistato con un mio collega di università. Mario Ferraro aveva com-battuto sulle Langhe comandando la brigata det-ta Dello Sbaranzo; la sua testimonianza insieme a quella di Gildo Milano, altro grande comandante partigiano sulle Langhe, e Augusto Pregliasco ser-virono per la realizzazione di un video sulla Resi-stenza, intitolato appunto Langhe. Ciò che mi ha reso più soddisfatto del lavoro fu l’aver dato ad al-tre persone, principalmente ai ragazzi delle scuo-le, con le quali l’ANPI di Cairo Montenotte da an-ni intrattiene rapporti di collaborazione, la possi-bilità di ascoltare la testimonianza di un ex parti-giano, di poter riflettere sulla sua esperienza e sul-le sue dure scelte di vita.La memoria si tramanda in modo più efficace oralmen-te: è il volto di una persona, il suo tono di voce, la sua emozione nel raccontare un episodio tragico, che ri-mangono nei ricordi di una persona.

I risultati di questa esperienza si possono trova-re presso l’Università di Genova, al Campus di Sa-vona, e sicuramente presso l’Istituto Storico del-

Registrare la memoria Diego Scarponi

26 luglio 1943 - Piazza Mameli - Cristoforo Astengo pronuncia un discorso per la caduta del fascismo. Gli sono accanto, tra gli altri, Antonio Zauli, Mariottini, Francesco Bruzzone, Angelo Bevilacqua e Giovanni Rosso.

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la Resistenza e dell’Età Contemporanea di Savona. Uno degli aspetti che più da soddisfazione a chi scrive è il fatto che questo materiale non solo ha permesso agli studenti di cimentarsi con il mezzo audiovisivo e di elaborare un lavoro secondo il gu-sto e la sensibilità proprie di chi lo ha creato, ma nella sua forma bruta, grezza, non montata forni-

sce circa venti ore di girato dove le testimonianze sono rese nella loro completezza, a disposizione di ulteriori ricerche, approfondimenti, possibilità per chiunque abbia desiderio di conoscere, ricer-care e creare nuove forme linguistiche impegnate nel recupero e nella costruzione e mantenimento di questa memoria collettiva, patrimonio di tutti.

Un affresco sulla Resistenza di Eso Peluzzi Silvia Bottaro

Quaderni Savonesi 130

Il terzo episodio ci presenta la Città bombardata e le vittime civili. La presa di coscienza popolare e la Resistenza personificata in una donna inerme, bella come una statua greca nella sua candida nu-dità, che abbatte un soldato, mostro della guerra.L’ultimo brano riprende lo sgomento degli scam-pati, l’abbraccio dolente di una famiglia in mezzo alle rovine, il ritorno dei prigionieri con sullo sfon-do la città turrita e dirompente con la sua forza che attraversa la storia e, come messaggio di spe-ranza, una nave in costruzione.La coscienza civile con cui Eso Peluzzi ha sapu-to riprendere tali tematiche è legata strettamente al fatto che il Pittore ha conosciuto il mostro del-la guerra poiché da lui vissuto (sarà proprio la ri-flessione sul suo essere stato militare nella prima guerra mondiale a portarlo al Santuario di Savona per ritrovare sé ed il senso della vita), così esegue le immagini con intima e vera partecipazione: “Il segno è sobrio, spoglio, ma al tempo stesso è un segno vivo, forte di intima verità, di una persuasi-va emozione” (Mario De Micheli). Nel secondo episodio giunge, a mio parere, al li-vello più alto e drammatico della raffigurazione a fresco: la fucilazione dei Patrioti. Qui la morte è guardata negli occhi di chi per la libertà subisce la crudeltà peggiore della fucilazione, una crudel-tà che genera orrore e Peluzzi cerca di raffigura-re le implicazioni etiche e spirituali che ciò com-porta: il silenzio che circonda l’azione sospende in un giudizio di universale condanna la verità del fatto, giudicandone la responsabilità dell’uomo, la sua barbarie ed avendo per i Patrioti un solenne, essenziale amore. Peluzzi ha avuto un’intonazio-ne semplice e severa, noi guardiamo le sue figure “… e nella rappresentazione dell’arte, riviviamo il passato…Noi ricordiamo una sentenza di Ber-told Brecth Beato il tempo che non ha bisogno di eroi…” (Mario De Micheli). Mi pare doveroso ri-cordare, secondo le stesse parole che più volte Pe-luzzi mi ha ripetuto, che per disegnare quest’epi-sodio del Forte della Madonna degli Angeli si è re-cato sul posto vari momenti, ha contato e guarda-to il foro delle pallottole, ha misurato l’altezza sul muro pensando a quel piombo che penetrava nel-le carni dell’Uomo: il conflitto tra il bene ed il ma-le, tra la luce ed il buio delle coscienze.Il “dolore” della perdita delle proprie cose, degli affetti più cari, della libertà è, mi sembra, la chia-ve di lettura di questi episodi salienti dell’arte pe-

che mi legava a Lui ed alla sua adorata consorte Antonietta, svolge il ruolo di introduzione alla ri-flessione che i successivi producono nell’osserva-tore, ovvero i “naufraghi”, i combattenti sopravvis-suti a Vittorio Veneto alzano la bandiera tricolore, nascono, poi, i primi disordini dell’immediato do-po guerra ed il fascismo, simboleggiato, efficace-mente, al termine della scena da uno spazio vuo-to, tenebroso, coraggioso e poderoso nella nullità grigia del racconto.Il “frammento “ successivo riprende la fucilazio-ne di sette Patrioti savonesi eseguita al forte della Madonna degli Angeli di Savona, fra i quali Cristo-foro Astengo, durante il doloroso “Natale di San-gue” (Carlo Zanelli, Sindaco di Savona).

UN AFFRESCO SULLA RESISTENZA

REALIZZATO DA ESO PELUZZI NELLA SALA

CONSILIARE DEL COMUNE DI SAVONA

Silvia Bottaro

Eso Peluzzi ha elaborato e creato un ciclo epico di affreschi nella Sala Consiliare del Comune

di Savona, dedicato alla storia bimillenaria di Savo-na di cui è stato nominato “cittadino onorario” nel 1971 dal Comune di Savona, lui nato a Cairo Mon-tenotte nel 1894 e scomparso a Monchiero (CN) nel 1985. Tali affreschi, grandiosi per realizzazio-ne, sforzo storico e fisico, di grande rilievo artisti-co, sono stati compiuti una prima parte nel 1936 – 1938, poi continuati negli anni Settanta del No-vecento nella parte danneggiata causa gli eventi bellici dell’ultima guerra mondiale. In questa sorta di “testamento” dell’Uomo e del-l’Artista, Peluzzi ha raffigurato con rara efficacia quattro episodi compresi tra la fine della prima guerra mondiale ed il 1945, lasciando trapelare un messaggio di speranza per i Savonesi per il dopo guerra e la relativa ricostruzione civile. Il primo brano della lettura propostoci dal nostro Eso, mi permetto di citarlo con il suo nome di bat-tesimo considerata la grandissima amicizia e stima

Un affresco sulla Resistenza di Eso Peluzzi Silvia Bottaro

Eso Peluzzi. Sala consiliare del Comune di Savona. Particolare del nuovo aff resco che ha sostituito quello del 1934 distrutto dai bombardamenti della 2a guerra mondiale.L’artista rievoca l’eccidio del “Natale di sangue” del 1943 in cui furono fucilati dai fascisti al forte di “N.S. degli Angeli”: Cristoforo Astengo, Renato Vuillermin, Francesco Calcagno, Carlo Rebagliati, Arturo Giacosa, Aurelio Bolognesi e Aniello Savarese.

10.

n. 7 - giugno 2008131

luzziana che nell’affresco savonese vede l’Artista impegnato non solo in un lavoro didattico e sto-rico, ma in un lavoro epico ed etico di grande ri-levanza ed eco. “Eso Peluzzi interprete genuino nell’arte del-la terra e delle Genti savonesi” (motivazione del conferimento della cittadinanza onoraria, delibe-razione del Consiglio Comunale n. 1 del 24 gen-naio 1971) ha saputo studiare i personaggi ad uno ad uno sino ad inserirli nella sua composizione a fresco unitariamente ed all’interno del discorso plastico: attraverso le gesta, i colori, le posizioni ha dato corpo all’idea per renderla comunicativa e comprensibile. Così ha giudicato gli uomini, le ragioni, i torti subiti dalle Genti savonesi inermi, dalle donne, dai bambini, ha dato forza agli Eroi,

ai Patrioti coinvolgendo i sentimenti e la ragione.Questa parte dell’affresco peluzziano mi sembra particolarmente interessante e dar far conoscere meglio, anche, al Mondo della Scuola quale mes-saggio di pace e di valori universali. La pittura di Eso Peluzzi è poetica delle immagi-ni, dei colori: “… L’uomo Peluzzi che parla con appuntite memorie, che non racconta mai di sé ma degli sconquassi del mondo, risibili o amari, fragorosi o polverosi, è tutto nei dipinti…” (Gio-vanni Arpino) e nei suoi lavori, in generale, ed in particolare in questo grandioso affresco della Sala Consiliare del Comune di Savona si può trovare il ritmo del racconto, gli slanci delle fi gure, l’anelito spirituale che dà nuova speranza e linfa alle gesta dei Savonesi e non solo.

La catalogazione del fondo sul ‘68 Angela De Giorgio, Adriana Accarini

Quaderni Savonesi 132

per renderlo consultabile non tenendo conto del-la disposizione originale perché non da una logi-ca archivistica, ma ad una raccolta casuale di docu-menti riconducibile alla matrice sessantottina.Il materiale è stato inserito in 16 faldoni titolati e di facile consultazione perché suddiviso geografi-camente e cronologicamente.La collocazione geografica interessa parecchie aree; oltre a due faldoni che si riferiscono a Savo-na, parecchia documentazione riguarda Genova, Torino, Milano e in maniera minore Napoli, Roma, Pisa e alcuni centri per i quali si dispone a volte di uno o due volantini.Nell’insieme del corpus documentale si segnala per una certa consistenza il materiale PSIUP Ge-novese e le pubblicazioni di Potere Operaio.In ciascun faldone è stata applicata una legenda per facilitare la lettura delle sigle, degli acronimi e delle abbreviazioni usate.Oltre ad un indice, ad una sintetica cronologia, e ad una bibliografia contenute in appositi apusco-li, all’interno di ciascun faldone viene elencato in maniera specifica il contenuto, l’autore, l’ogget-to di ciascun documento che ne favorisce trami-te l’indicazione del numero di pagina, una rapi-da lettura.L’Istituto è disponibile ad accogliere ulteriore ma-teriale grafico e o fotografico che andrà a cataloga-re per la conservazione e la messa a disposizione degli studiosi che ne fossero interessati.

LA CATALOGAZIONEDEL FONDO SUL ‘68 DONATO ALL’ISREC

DAL PROF. LUIGI LIROSIAngela De Giorgio, Adriana Accarini

Nell’ambito dei lavori di miglioramento nella sistemazione e catalogazione dei fondi del-

l’ISREC è stato riordinato un fondo donato dal prof. Luigi Lirosi afferente le vicende che hanno visto impegnati gli studenti negli anni che gravita-vano intorno al ‘68.La pars magna dei documenti esaminati derivan-ti dal “movimento studentesco” si presenta sotto la forma di volantini, atti di convegni, numeri uni-ci, opuscoli, che contengono momenti di rifles-sione, elaborazioni culturali, posizioni socio-poli-tiche e ripensamenti critici relativi al periodo che suole definirsi “sessantotto”, ma che in realtà si prepara negli anni ‘60 e avrà influenza sugli an-ni ‘70. Questo almeno in Italia. Parecchi studiosi hanno rilevato che questo fenomeno nel nostro Paese ha avuto una durata che travalica l’anno da cui prende il nome per prolungarsi almeno al de-cennio successivo.Si è messo mano a questo materiale riordinandolo

Farfa: un vero “anticipatore” Pino Cava

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“ricognizione” consente di conoscere il compor-tamento dei cattolici e, in particolare, di Angelo Barile nei confronti del futurismo. E recuperare la memoria della <<drammatica reazione fascista ai “quarti d’ora di poesia” ideati da Farfa e realizza-ti da Acquaviva>>, di cui parleremo in appresso. Scrive il Farris: << Farfa per la sua indole genero-sa ed espansiva, libera da ogni preconcetto, trovò via via sostenitori ed amici ovunque. Si avvicinò a Barile con stima sincera e ne coltivò l’amicizia, seppe entusiasmare alcuni frati cappuccini, Fra Ginepro e padre Tito da Ottone, che ne ammi-rarono l’innocente ingenuità e le doti poetiche. Ma a stabilire un riavvicinamento col mondo cat-tolico fu la pubblicazione del “Poema del candore negro”. In un momento storico in cui le leggi raz-ziste applicate in Germania provocarono il duro intervento di condanna della Chiesa e nel periodo in cui il fascismo preparava l’impresa in Abissinia, con una ben architettata propaganda sull’incivil-tà della razza africana, il poema di Farfa apparve ai cattolici un atto di coraggio di denunzia». Il cat-tolico Silvio Sguerso e, poi, lo stesso Angelo Ba-rile, scrissero benevole recensioni sull’opera di Farfa. Annota il Farris: «In questa recensione Sil-vio Sguerso ammira in Farfa l’uomo libero, capace di esprimere senza paura quanto di sofferto egli sentiva in una razza considerata inferiore. Ma una tale libertà nel clima politico di allora non poteva che incutere timore e sospetto. Farfa verrà pertan-to escluso dalla gara di poesia commerciale indet-ta da Martinetti sul tema “gli affari nel primo porto mediterraneo:Genova”. La ragione della sua as-senza dalla gara, scriverà, Angelo Barile, dev’es-sere questa. Farfa ha composto e pubblicherà tra breve ”Il poema del candore negro”, il cui eroe, ch’è un eroe di colore, sognando le bianche palin-genesi se la piglia a un certo punto con gli scarica-tori di carbone:

Odio gli scaricatori di carboneparodia della gente negra…

Per quanto sia valido e coraggioso non meno co-me uomo che come poeta e resistente più di un baule, versi di questo genere vietano a Farfa l’ac-cesso e il tranquillo passeggio sulle calate».Per un maggiore approfondimento sui rapporti tra la Chiesa e il fascismo, mi permetto di solle-citare la lettura del libro di Giovanni Farris “La fa-

gli altri paesi d’ Europa, la sua avventura coloniale in Abissinia. Ma nel 1934 nessuno pensava ad una guerra: men che tutti il nostro Farfa che , pur to-nitruante, era quanto di più pacifico e meno adat-to alla guerra si poteva incontrare. Ora è proprio nel 1934 che Farfa dà alla luce il suo “poema del candore negro” (dedicato a “Angelo Barile e Gio-vanni Acquaviva – cercatori con me – di poesia”): e il poema, con delicatissime e suggestive imma-gini, ci racconta la tragica vicenda del giovane ne-gro africano ossessionato dal desiderio di essere bianco». Per cercare di capire meglio cosa volesse dire “scrivere” di certi argomenti all’epoca, non si può fare a meno di ricorrere a Giovanni Farris e, più precisamente, a un suo saggio “Polemiche fu-turiste a Savona” (Ricognizione giornalistica) in-serito nel volume “Io Farfa” edito dal Comune di Savona (stampato dalla Coop Tipograf nel 1985), per iniziativa del Sindaco Umberto Scardaoni e dell’Assessore alla Cultura, Sergio Tortarolo. La

Un contributo per la storia del “secondo futurismo”

FARFA: UN VERO “ANTICIPATORE”

Pino Cava

Una chiacchierata tra vecchi amici, con Marco Sabatelli sul “ secondo futurismo” a Savona,

con la constatazione che la nostra città non sa va-lorizzare al massimo la “specificità savonese” di ta-le movimento; la ricerca e la successiva rilettura di tre libri editi a Savona , più il numero doppio di “Resine” (n. 106-107 del 2005-2006); la ricerca e la successiva rilettura di tre libri editi a Savona per documentarsi bene; la necessità di farsi fare da guida, come sempre illuminata e sapiente, da Giovanni Farris; riproporre le “testimonianze” di Luigi Pennone e Gigi Caldanzano: il tutto per deli-neare alcuni aspetti della vita e delle opere di Far-fa e le “sorprendenti“ anticipazioni di situazioni e di avvenimenti che, come vedremo, sono di una stupefacente attualità. Luigi Pennone nel libro “ Farfa a Barile”, curato da Giovanni Farris (editore Marco Sabatelli, 1979) ricorda, tra le diverse anti-cipazioni di Farfa, il suo “poema del candore ne-gro”. Chiosa il Pennone: «Fra l’ottobre 1935 ed il maggio 1936 l’Italia visse, con molto ritardo, su-

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tica di essere chiesa. Impegno religioso e cultura-le dei cattolici savonesi dal 1920 al 1940” e l’inte-ressante saggio “Il relativismo politico della Chie-sa Cattolica durante il regime fascista” di Mario Lo-renzo Paggi, pubblicato su questa rivista (n. 4 di-cembre 2007). Chissà cosa direbbe o scriverebbe oggi Farfa, sen-tendo certi cori negli stadi quando gli ultras se la prendono con i calciatori negri. Queste nuove manifestazioni di razzismo, siamo certi, non gli fa-rebbero piacere. Un giudizio letterario sul Poema ci viene, invece, offerto da Pier Luigi Ferro che su Resine scrive: «Prima degli anni Quaranta il “Poe-ma del candore negro” (edizione La Prora, 1935, Milano) che nel titolo ossimorico evidentemente allude anche al gioco tra scrittura e pagina bian-ca così efficacemente esaltato nell’impaginazio-ne originale di questa deliziosa plaquette, segnava una nuova scelta stilistica, nell’impostazione più vicina per alcuni aspetti a certi presupposti for-mali discendenti dalla linea della poesia pura, che corrisponde poi all’avvicinamento di Farfa ad una figura dell’ ”opposta riva” letteraria, come quella di Angelo Barile. Un’opzione tuttavia priva di se-guito nella produzione ulteriore».Carlo De benedetti ha scritto, edito da Marco Sa-batelli nel 1976, “Il futurismo in Liguria”, un volu-me che ha dato un notevole contributo “ad una precisa collocazione di ordine estetico e morale di uomini e cose riconducibile, sia pure a titolo di-verso, al futurismo”. Il libro è una miniera di dati per conoscere l’itinerario cronologico del secon-do futurismo (definizione inventata nel 1958 da Enrico Crispolti per indicare “l’esistenza di una ri-cerca futurista ben al di là di quel fatidico 1916 che con la morte di Boccioni e di Sant’Elia, e con l’av-venuto allontanamento di Carrà, sembrava sanci-re la fine del movimento”), di quello che è avve-nuto in Liguria, e le pubblicazioni futuriste dei sin-goli autori savonesi e, precisamente, di Farfa, Tul-lio d’Albisola (Tullio Mazzotti), Lupe (Luigi Penno-ne) e Giovanni Acquaviva. Nel marzo 1944 si ten-ne a Savona una mostra d’arte collettiva. Ricor-da Giovanni Farris: «Acquaviva in un articolo sul-la mostra d’arte collettiva futurista, apparso nel-le colonne della “Gazzetta di Savona”, quasi anti-cipando le reazioni che presto sarebbero venute da quello stesso giornale, organo delle brigate ne-re, nei confronti del futurismo, si era preoccupa-to di sottolineare come, in una situazione resa di-

sperata per le sconfitte subite al fronte e le conti-nue incursioni aeree, costituiva appunto speranza e salvezza la “festa del pensiero intorno alle lette-re plastiche che gli artisti hanno deciso di scrive-re al futuro e che porta il nome di arte”». Il 3 apri-le 1944 Farfa, proprio nell’occasione della mostra lanciò i “quarti d’ora di poesia” realizzati e diretti da Acquaviva. E’ storicamente provato che i “quar-ti d’ora” non piacquero alla locale federazione fa-scista che se la prese con Giovanni Acquaviva e il nostro Farfa. Il 4 marzo 1945, dopo la realizza-zione di 56 incontri, furono fatti tacere, dopo una serie di attacchi e intimidazioni. Ma Farfa era sta-to già oggetto delle attenzioni dei fascisti savone-si. Ricorda Gigi Caldanzano: «Quante volte l’ho vi-sto offeso e avvilito. Nelle mostre, sugli album del-le visite, quando mettevano delle cose cattive, lui ne soffriva. Dimostrava anche un certo coraggio o quasi un’incoscienza. Un bel mattino vado a tro-varlo e vedo scritto nel cortile una scritta fatta con catrame o pittura: “Disoccupato di un Farfa bada che la poltiglia la faremo con le tue budella”. Si era lasciato scappare in qualche bottega una frase un po’ pesante all’indirizzo di quelli che governavano in quel tempo, e di notte una di queste pattuglie di giovani fascisti ha voluto intimidirlo. Ma lui non se n’è reso conto. Mi disse:” Vieni che ti faccio ve-dere”, “Ho già visto”, io risposi morto di paura, “Guarda che bello, guarda che bello!”, “Ma se que-sti vengono, ti chiudono in un vagone, ti manda-no in Germania o ti fanno del male”, “No, son de-gli scemi, non lo fanno”».Su come la pensasse Farfa, è indicativo riportare un passo dell’intervista a Luigi Pennone, raccolta per Resine da Giovanni Farris: «…altra leggenda da sfatare: Marinetti non si sognò mai di influenza-re i futuristi suoi amici con scelte politiche in pro-prio. Io stesso (che sono forse uno dei pochi futu-risti fascisti sul serio con Marinetti) posso testimo-niare che i miei amici Tullio d’Albisola, Farfa, Ac-quaviva e gli altri del gruppo savonese non furono mai fascisti, tuttavia eravamo profondamente uni-ti come i quattro moschettieri: tutti per uno, uno per tutti…».Ma per rimanere in tema di “anticipazioni”, biso-gna adesso parlare dell’opera, in un atto, “Binario”. E’ stato Marco Sabatelli a raccontarmi del tentati-vo di mettere prossimamente in scena al Chiabre-ra l’opera di Farfa, con musica del compositore savonese Giuseppe Manzino. Tentativo già fallito

Farfa: un vero “anticipatore” Pino Cava

Estate 1947 - Giardino Serenella (Fornaci), serata poesie futuriste promossa dall’Assessorato alle Belle Arti del Comune. Nella foto: Farfa, Luigi Pennone, Renzo Aiolfi .

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una volta, nel 1950, quando Renzo Aiolfi per dif-fi coltà, soprattutto di ordine fi nanziario, (in quan-to il Ministero allo Spettacolo, rifi utò il suo con-tributo sostenendo di poter sovvenzionare soltan-to recite con opere di repertorio), non riuscì, con suo grande rincrescimento, a realizzare il sogno di Farfa. Il primo titolo del libretto era “Alti forni Il-va”. La vicenda è drammatica. Racconta la storia dell’amore tra l’operaio Corrado e la sua fi danza-ta Berta. La scena si svolge all’interno di una gran-de offi cina metallurgica. Berta si reca in fabbrica portando il cestello con la colazione per Corrado. Ad un tratto “si ode un fracasso sinistro, come un tonfo, seguito da un breve grido soffocato e da vampe. Al di là della cancellata si vede un accorre-re di operai ed operaie”. Gli operai si soffermano a commentare il triste episodio accaduto nell’offi -cina. Ad un operaio, Farfa fa dire/cantare:

«Morire, si, dobbiamo tutti,ma non fi nire così,ma non in guisa taleda non restar più nulla.Vidi con questi occhimentre Corrado vi precipitava,in quel pozzo incandescente

ribollente acciaio in fuocoemettendo solo un fi oco grido»

Berta capisce che Corrado è morto e con un gesto disperato si getta anche lei nel fuoco.Il fi nale è sconcertante. Gli operai portano una ro-taia. La gente grida: Corrado, Corrado. Altri operai portano un’altra rotaia. La gente grida: Berta, Ber-ta. Le rotaie vengono poste in parallelo. Gli ope-rai lasciano la scena e nel silenzio si ode la Voce del Destino , come sempre imperscrutabile. Par-ticolarmente signifi cativi sono, nell’opera, il Coro dell’acciaio Ribollente e il Canto del Fuoco. Non si può non revocare alla memoria la recente trage-dia della Thyssen di Torino.Un’ultima annotazione. Farfa voleva intitolare, co-me già detto, il libretto “Alti Forni Ilva”. E allora bisogna ricordare la tragedia avvenuta nel marzo 1899 alla Terni di Savona. Il Secolo XIX intitolò co-sì il tragico avvenimento: “Acciaio fuso sugli ope-rai di Savona”, sottotitolo: “la catastrofe di Savona. Lo scoppio di un forno nelle acciaierie. Tre morti e sette feriti gravemente. La città in lutto. I funera-li”. Il 4 marzo 1899 fu dato vita, per reazione all’av-venimento, ad una Società di Pubblica Assistenza: l’attuale Croce Bianca.

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Sommario

ISREC ringraziaUmberto Scardaoni 3

Roma, 14 luglio 1948, ore 11,30 circaL’attentato a Togliatti mentre usciva da MontecitorioMario Lorenzo Paggi 4

Roma, 14, 15, 16 luglio 1948. Il dibattito in Parlamento “per l’attentato al deputato Togliatti” 8

Ordine pubblico e stampa locale in Savona e provincia nei giorni dell’attentato a TogliattiAntonio Martino 60

Il 14 luglio 1948 nel racconto di alcuni testimoniRita Vallarino 79

I Documenti del PCI di Savona sugli avvenimenti a seguito dell’attentato a TogliattiUmberto Scardaoni 97

Il 14 luglio 1948 di “Matteo” a Savona protagonista del romanzo “L’Amore a mezzogiorno”Gian Franco Venè 111

Elezioni politiche del 18 Aprile e attentato a Togliatti: i risultati elettorali, a livello nazionale e locale.Franco Astengo 115

Registrare la memoria. Storia del progetto video “Memoria della Resistenza in Liguria”Diego Scarponi 127

Un affresco sulla Resistenza realizzato da Eso Peluzzi nella Sala Consiliare del Comune di SavonaSilvia Bottaro 130

La catalogazione del fondo sul ‘68 donato all’ISREC dal Prof. Luigi LirosiAngela De Giorgio, Adriana Accarini 132

Un contributo per la storia del “secondo futurismo”. Farfa: un vero “anticipatore”Pino Cava 133