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S tu d i e ricerche
Le aristocrazie terriere europee nell’età contemporanea
Maria Malatesta
Questo saggio intende individuare i caratteri delle élite terriere in Europa in un periodo che va dall’inizio dell’Ottocento alla prima guerra mondiale analizzando le loro risposte alla crisi dell’Ancien régime, all’industrializzazione e alla grande depressione degli anni ottanta. La proprietà fondiaria conservò il suo predominio in Europa per tutto il secolo. Le aristocrazie terriere dell’area occidentale, formate dalla nobiltà e dalla ricca borghesia urbana e rurale, derivarono la loro immutata influenza sociale dal ruolo di mediatrici tra la città e la campagna e dal controllo sulle comunità rurali. La terra continuò ad essere fonte di potere ma anche di investimenti economici. La comunità internazionale dei proprietari terrieri frequentava gli stessi centri economici e sociali, che andavano dalle società agrarie al Parlamento; essi contrattavano i matrimoni per consolidare il loro patrimonio e continuavano a ricorrere a espedienti testamentari per evitare il frazionamento della terra; infine si sentivano accomunati da una solida cultura agronomica. Comunque il concetto di rifeu- dalizzazione, pur spiegando la persistenza del potere agrario, non risulta affatto valido per l’intero secolo. La scomparsa del sistema dei notabili in Francia, la rovina della aristocrazia terriera irlandese per mano di una nuova élite di grandi affittuari e commercianti, la vendita delle terre della maggior parte dei proprietari terrieri inglesi, tutti questi fenomeni contribuirono a modificare la composizione e il ruolo delle élite terriere. D’altro canto, le conseguenze economiche della crisi agraria, nel contesto del mutato clima sociale di fine secolo, avrebbero innescato una riorganizzazione delle élite terriere, a partire dalla ricerca di una nuova identità basata sul concetto di professionalità agraria.
This essay aims to identify the peculiarities o f the landed élites in Europe in a period running from the start o f the XIXth century up to the First World War by analysing their attitudes and reactions in the face o f the collapse o f the Old Regime, the industrialization process and the great depression o f the Eighties. Landow- nership retained its dominance in Europe throughout the century. The persistent social influence o f Western landed aristocracies, made up o f nobility and urban and rural rich bourgeoisie, was the result o f their role o f mediators between the town and the country and o f the control they held on rural communities. Land was to remain a source o f power as well as an economic investment. An international community o f landowners frequented the same social and political centres, ranging from the agrarian societies to Parliament; they contracted marriage in order to reinforce their real estate and they continued to be protected by testamentary devices which avoided dividing up the land; f i nally they felt joined by a strong agronomic culture. However, i f the concept o f refeudalisa- tion can state the persistence o f land power in Europe, it is by no means valid for the entire century. The disappareance o f the notables system in France, the violent overthrow o f the Irish landed aristocracies by a new élite o f large farmers and traders, the sale o f land by most o f the English landowners, all helped modify the composition and role o f the landed élites. Meanwhile, the economic effects o f the agrarian crisis, along with the climate o f social change at the end o f the century, were to bring forth a reorganization o f the landed élites, starting from the search o f a new identity based on the concept o f professionalization in agriculture.
Italia contemporanea”, marzo 1995, n. 198
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I processi di formazione delle élite
Gli sguardi incrociati che gli osservatori ottocenteschi si scambiarono tra gli Stati Uniti e l’Europa hanno tramandato al Novecento l’immagine della diversità tra vecchio e nuovo mondo costruita sulla contrapposizione tra aristocrazia della ricchezza e aristocrazia del sangue, tra modelli plurimi di distinzione sociale e un unico modello di distinzione ricalcato sulla nobiltà. La recente storiografia europea ha messo in luce la varietà dei processi di formazione delle élite europee ottocentesche, più complessi e articolati di quanto non supponga la tesi della rifeudalizzazio- ne dell’Europa ottocentesca elaborata dalla storiografia americana.
Secondo la prospettiva europea, le aristocrazie terriere furono solo una fra le élite che formarono le società ottocentesche. Pur mantenendo indiscussi privilegi, esse spartirono con altri gruppi sociali emergenti spazi e poteri in misura sempre più consistente man mano che i processi di industrializzazione e di articolazione sociale diventano più diffusi e radicati. Il modello della condivisione sociale, piuttosto che quello della dominazione, contraddistingue l’approccio europeo allo studio delle élite terriere rispetto a quello statunitense ancora catturato, come lo fu Henry James, daH’immagine di una nobiltà che continua a rappresentare la cifra della civiltà europea otto-novecentesca1. Élite tra le élite (e per questo i due termini possono considerarsi per molti aspetti sinonimi), l’aristocrazia terriera produsse un capitale simbolico al cui interno il concetto di nobiltà si intrecciava a quell’idea di ordine naturale profondamente connesso alla terra e all’agricoltura. Questo capitale simbolico fu il prodotto materiale di un’economia eu 1
ropea ancora dipendente dall’agricoltura e di un processo di defeudalizzazione che mantenne una proprietà terriera socialmente, anche se non più giuridicamente, vincolata. Da queste basi materiali scaturì una costruzione immateriale che consentì ai ceti vecchi e nuovi di sfruttare l’eredità del passato e creare nel nuovo regime un sistema di distinzione sociale incentrato sul possesso terriero.
Uno studio sui processi materiali di produzione del capitale sociale delle élite terriere dell’Europa occidentale in una prospettiva comparata deve tenere conto di due fattori fondamentali. Innanzitutto la ristrettezza della mobilità sociale verso il possesso terriero europeo, rimasta sostanzialmente limitata ai ceti medio-alti. Ai vincoli sociali che ancora pesavano sulla proprietà si aggiunse il fatto che in Europa la colonizzazione della terra si era conclusa nella prima età moderna. La scarsità di terra disponibile aggravò nell’Ottocento la chiusura sociale impedendo quella mobilità verso l’alto che contraddistinse buona parte della società rurale americana non solo all’Ovest, ma anche nel Sud delle piantagioni. Il passaggio da coltivatore senza terra a proprietario non esaurì certo tutta la storia della colonizzazione statunitense. Da un lato 1’esistenza di un’emigrazione “proprietaria”, composta soprattutto da inglesi che in alcuni casi formarono nel Middle-West dei veri latifondi; dall’altro la crescita di una proprietà rurale assenteistica di origine urbana che fece aumentare nella seconda meta dell’Ottocento il numero degli affittuari; infine la presenza di massicci fenomeni speculativi che interferirono nella distribuzione delle terre federali creando situazioni di monopolio: tutti questi fattori hanno indotto da anni a ripensare a
1 Francis Joseph Grund, Aristocracy in America from the sketch-book o f a German nobleman, London (prima ed. 1839), New York, Harper & brothers, 1959. La migliore rappresentazione tracciata da Henry James della nobiltà europea è contenuta nei romanzi L ’americano (1876) e La coppa d ’oro (1904). Cfr. Arno J. Mayer, Il potere del- l ’Ancien régime fino alla prima guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 1982.
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quel modello americano, basato sullo sfruttamento di infinite possibilità sociali, tanto elogiato da Turner2. Letti in una prospettiva comparata questi fenomeni appaiono in ogni caso indotti da logiche di mercato e non, come in Europa, dal retaggio di privilegi sociali ed economici. L’altro fattore da considerare sono le caratteristiche e le dimensioni della mobilità europea nel corso dell’Ottocento. Diversamente da quanto accadde nell’Europa dell’Est, all’Ovest essa fu di grande dimensioni e provocò un ingresso massiccio della borghesia urbana e rurale nel novero di proprietari terrieri, completando così quella fusione tra nobiltà e borghesia già iniziata durante l’antico regime. Il concetto di aristocrazia terriera esprime più esattamente di quanto non lo faccia quello di nobiltà questa configurazione sociale caratteristica dell’Europa occidentale. Esso comprende infatti sia il concetto di mobilità ristretta che quello di composizione nobiliare-borghese delle élite terriere.
Nella prospettiva di uno studio comparato dei processi di formazione della società europea contemporanea proponiamo, sulla base delle indicazioni fornite da Michael Confino a proposito delle nobiltà europee3, un modello di analisi delle aristocrazie terriere dell’Europa occidentale formato da alcune variabili: le aristocrazie furono un’élite economica e di potere; furono un gruppo misto, a composizione nobiliare-borghese, con una mobilità limitata agli strati alti che
favorì la fusione tra le due componenti sociali; reagirono al mutamento economico e sociale; elaborarono strategie riproduttive (ereditarie, matrimoniali e culturali) e organizzative per difendere la loro identità.
Le aristocrazie come élite economica e sociale
La base del potere delle aristocrazie terriere nel XIX secolo fu la persistenza in buona parte dei paesi europei di sistemi agrari dominati dalla grande proprietà. Il grande possesso fondiario non esauriva il panorama dell’Europa agraria. Esso coesisteva, come in Spagna, in Italia, in Francia, in Germania e in Austria, con la piccola proprietà coltivatrice, o aveva un ruolo insignificante in paesi come la Svezia o la Danimarca dove la politica anti-nobiliare settecentesca della Corona aveva favorito il consolidamento agli inizi dell’Ottocento di uno strato di contadini proprietari che divenne la base dei sistemi agrari dei paesi nordici. Negli altri paesi europei, al centro e nelle periferie il processo di liberazione delle terre dai vincoli feudali, conclusosi all’Ovest entro la prima metà dell’Ottocento e prolungatosi all’Est fin quasi alla fine del secolo, non smantellò il sistema della grande proprietà. In molti casi esso venne anzi rafforzato, o creato ex novo, dalla formazione di una proprietà terriera individuale con libero accesso al mercato4. Anche la Francia, nonostante la crea-
2 Shearer D. Bowman, Antebellum Planters and Vormärz Junkers in Comparative Perspective, “The American Historical Review”, 1980, n. 4, pp. 799-808; A.G. Bogue, From prairie to corn belt. Farming on the Illinois and Iowa prairies in the Nineteenth Century, Chicago and London, 1963.3 Michael Confino, Some Current Problems in Comparative Social History: the Case o f the European Nobility, in Ferenc Glatz (a cura di), Modern Age-Modern Historian. In Memorian György Ränki (1930-1988), Budapest, Institute o f history of the Hungarian accademy of sciences, 1990; Hartmut Kaelble, La storia sociale comparata dell ’Europa contemporanea, “Italia contemporanea”, 1993, n. 193, pp. 691-7064 Josefina Cruz Villalón, Proprietad y uso de la tierra en la Baja Andalucia: Carmona, sighs XVIII-XX, Madrid, Serie Estudios de Agricoltura, 1980; Werner Conze, The Effects o f Nineteenth-Century Liberal Agrarian Reforms on Social Structure in Central Europe, in F. Crouzet, W.H. Chaloner, W.M. Stern (a cura di), Essays in European Economic History 1789-1914, London, 1969; Marta Petrusewicz, Latifondo. Economia morale e vita materiale in una periferia dell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1989.
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zione di un ampio strato di contadini proprietari autosufficienti, non fu esente da questo processo. A fine Ottocento, un quarto del suolo agricolo francese era dominato dalla grande proprietà. In Inghilterra e in Irlanda, paesi rimasti estranei ai sommovimenti del mercato seguiti alla caduta dei vecchi regimi continentali, fino agli anni settanta dell’Ottocento rimasero intatte la concentrazione e l’estensione delle unità agrarie raggiunte nel Settecento5. Grande proprietà non significava ovunque concentrazione del possesso fondiario, né necessariamente grande coltura. Poteva far parte, come nel Sud e nell’Est dell’Europa di un sistema integrato con la piccola proprietà contadina. Aveva dimensioni differenti che andavano dagli enormi possedimenti inglesi e dell’Europa dell’Est, alle minori dimensioni della grande proprietà francese e italiana. Si presentava nella versione capitalista della grande azienda inglese, prussiana, francese o del Nord Italia, o in quella semifeudale del latifondo del Sud della Spagna, dell’Italia meridionale e dell’Europa orientale. Poteva essere una proprietà assenteistica condotta attraverso il sistema dell’affitto (il che non contrastava con il suo sfruttamento capitalistico), o una proprietà gestita dal proprietario, o condotta a mezzadria con i contadini. Questi tipi di conduzione coesistevano, come accadeva in Francia e in Italia, all’interno delle medesime regioni e contribuivano ad arricchire la varietà del panorama agrario europeo.
Diversificata nell’estensione e nelle forme di sfruttamento, la grande proprietà terriera convisse nell’Europa occidentale con il processo di industrializzazione e da esso trasse indubbi vantaggi economici. Finita la crisi agraria degli anni venti e trenta, l’agricoltu
ra europea fu caratterizzata da un’ascesa spettacolare dei prezzi agricoli e della rendita, provocati dall’aumento della produttività della terra e dalla lievitazione della domanda di generi alimentari indotta dalla crescita della popolazione urbana. L’alta produttività dell’agricoltura capitalistica occidentale si sviluppò all’interno di sistemi economici che, pur avendo imboccato la via dell’industrializzazione, rimasero per tutto il secolo legati al settore primario. Nel Novecento solo l’Inghilterra e il Belgio, seguite dalla Svizzera e dall’Olanda, si erano totalmente emancipati dall’agricoltura, mentre in Francia e in Germania rispettivamente il 43 e 40 per cento della popolazione dipendeva da questo settore. Ma queste percentuali, che nel Sud dell’Europa arrivavano al 72 e 65 per cento della Spagna e del Portogallo, restavano complessivamente inferiori a quelle dell’area orientale, dove la forte dipendenza dal settore agricolo si univa al permanere di un sistema fondiario ancora permeato da tratti di feudalesimo. L’industrializzazione dell’Europa occidentale accentuò per certi versi la sfasatura tra lo sviluppo economico e quello sociale. Un declino più rapido dell’antico regime e il precoce avvio dell’industrializzazione non furono sufficienti a smantellare il potere socio-economico della grande proprietà terriera, come dimostrano in modo esemplare i casi dell’Inghilterra, del Belgio e della Germania. Le élite terriere dell’Ovest spartirono il loro potere con le nuove élite urbane. Ciò nonostante la loro influenza sociale continuò ad essere garantita nella prima metà dell’Ottocento da sistemi elettorali censitari che privilegiavano la rappresentanza politica dei proprietari terrieri; da sistemi notabiliari che in Francia, Spagna e Italia garantivano il potere locale
5 Pierre Barrai, Aspects régionaux de l ’agrarisme français avant 1930, “Le Mouvement Social”, 1969, n. 67, pp. 3- 16; Michael Thompson, The Social Distribution o f Landed Property in England Since the Sixteenth Century, “The Economic History Review”, 1966.
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alla nobiltà e alla borghesia terriera; dal mantenimento di poteri giurisdizionali e di polizia per le aristocrazie terriere inglesi e prussiane.
Il potere delle aristocrazie terriere occidentali si mantenne anche grazie al consenso accordato loro per essere divenute delle élite nazionali.
L’adesione ai regimi liberali italiani e spagnoli è un esempio della capacità di adattamento delle aristocrazie terriere alle trasformazioni politiche e della loro abilità di sfruttarle per garantirsi una posizione di potere alPinterno della società. La dimostrazione e contrario è data dalla nobiltà portoghese, distrutta economicamente dal rifiuto di appoggiare il regime liberale6. Ma anche in Germania, in Inghilterra, in Belgio l’identificazione tra terra e nazione rimase uno dei capisaldi dei sistemi politici e costituzionali ottocenteschi.
L’ostilità della nobiltà francese alla Terza Repubblica e la competizione apertasi tra aristocrazie terriere e repubblicani per il controllo delle campagne fu il momento conclusivo di un lungo periodo di adesione delle aristocrazie terriere ai precedenti regimi monarchici.
L’integrazione delle aristocrazie terriere occidentali nei nuovi regimi venne facilitata anche dall’assenza di quella “diversità etnica” tipica dell’Europa orientale7. Sebbene in paesi quali la Polonia e l’Ungheria la nobiltà avesse assunto — come avvenne anche in Italia — la leadership politica del movimento di indipendenza nazionale, la diversità etnica fece sì che la lotta dei contadini per la riforma della terra coincidesse con la
lotta per la rivoluzione nazionale, mentre fu la ragione del consolidamento di un sistema sociale basato sul dualismo delle élite. Fino alla seconda guerra mondiale la nobiltà terriera e la gentry dell’Europa orientale restarono portatrici di una cultura totalmente distinta da quella della borghesia urbana, composta da ebrei e stranieri; e la separazione tra le due culture non venne mai totalmente colmata nonostante i processi di complementarità ed inclusione intercorsi tra le due élite8. L’assenza di una diversità etnica facilitò nell’Europa occidentale la fusione tra i segmenti dell’aristocrazia terriera, la sua integrazione sociale e il ruolo di mediatore da essa svolto tra città e campagna, due realtà che in questa area erano sempre più correlate grazie alla crescita dell’urbanizzazione, all’integrazione dei mercati e allo sviluppo delle comunicazioni. L’importanza dell’identificazione con la nazione nel processo di riproduzione delle élite terriere occidentali è dimostrata dall’eccezione dell’Irlanda. L’Irlanda fu l’unico paese dell’Europa dell’Ovest nel quale si verificò la congiunzione tra la questione della terra e la questione nazionale. La guerra della terra scoppiata negli anni della grande depressione di fine Ottocento si sviluppò all’insegna di un conflitto socio-politico che ricalcava i modelli dell’Europa dell’Est. Ma in Irlanda la borghesia urbano- rurale fu in grado di mettersi alla guida del movimento di rivolta agrario e nazionale e di provocare il totale ricambio delle élite spodestando, per la prima volta in Europa, l’aristocrazia terriera e sostituendola con
6 Nuno G. Monteiro, Los ingresos de las casa tituladas portuguesas en la crisis del Antiguo Regimen, in Pegerto Saavedra, Ramón Villares (a cura di), Señores y campesinos en la Península ibérica, siglos XVIII-XX, vol. I, Barcelona Editorial critica, 1991.7 Derek W. Urwin, From Ploughshare to Ballotbox. The Politics o f Agrarian Defence in Europe, Universitetsfor- laget, Oslo-Bergen-Troms0, 1980, pp. 174 sg.8 Victor Karady, Une élite dominée: la bourgeoisie juive en Hongrie dans l’entre-deux-guerre (Un cas du problème de la dualité des élites dans la modernization en Europe Centrale), paper presentato al Colloque international “Anciennes et nouvelles aristocraties”, Université Toulouse - Le Mirail, settembre 1994.
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una nuova élite formata da affittuari e commercianti9.
Le aristocrazie come gruppo misto nobiliar- borghese
Lo smantellamento degli antichi regimi non mutò in modo sostanziale la struttura gerarchica della proprietà terriera europea. Il possesso nobiliare non fu distrutto, mentre si aprì per la borghesia un canale straordinario di mobilità sociale. Grazie alla defeu- dalizzazione nell’Europa continentale dell’Ovest si accelerò il processo di fusione tra nobiltà e borghesia iniziato nel Sei-Settecento e già compiutosi in Inghilterra. Nell’Europa orientale la terra rimase invece appannaggio della nobiltà e della gentry. L’ingresso della borghesia rurale nelle campagne russe, iniziato dopo il 1861, non apportò modifiche sostanziali nella struttura agraria e nella mentalità collettiva. Il caso della Bulgaria, dove la riforma agraria degli anni sessanta creò una classe stabile di contadini proprietari indipendenti, può considerarsi l’eccezione che conferma la regola10 11.
La composizione sociale mista delle aristocrazie terriere fu il risultato della forte mobilità che interessò la proprietà terriera all’Ovest. Anche la proprietà inglese, seppure più stabile di quella continentale perché non toccata dalle tempeste della defeu- dalizzazione, fu attraversata da un movimento massiccio di trasferimento del possesso fondiario. Nel 1889 più di nove milioni di ettari di terra inglese avevano cambia
to di mano nel corso di una o due generazioni. La crisi agraria degli anni venti e trenta accentuò la mobilità del possesso fondiario continentale a spese dei contadini affrancati e a vantaggio della borghesia. Anche in Inghilterra fu l’erosione della proprietà degli yeomen, accentuatasi negli anni venti, a offrire un canale di ascesa sociale ai ceti mercantili, che poterono entrare a far parte delle gentry anche attraverso la piccola proprietà terriera11.
L’espulsione dei contadini dalle proprietà acquisite con la defeudalizzazione e l’erosione della proprietà yeomen rafforzarono complessivamente la struttura gerarchica della proprietà terriera dell’Ovest. La sua uscita dall’antico regime non differì molto, nella struttura, dagli andamenti della defeudalizzazione giapponese. A partire dalla riforma fiscale del 1873 crebbe la percentuale dei contadini che avevano perso la terra, facendo arrivare nel 1930 al 50 per cento la percentuale delle terre date in affitto12. Come in Europa, anche in Giappone la perdita della proprietà contadina favorì i vecchi signori feudali o i nuovi proprietari di estrazione urbana. Nell’Europa occidentale buona parte della mobilità interna al mondo rurale passò attraverso il ceto medio agricolo dei grandi affittuari. Presenza trascurabile nelle campagne dell’Europa orientale, dove la locazione dei latifondi costituiva una minima percentuale rispetto alla conduzione diretta o dove l’affittuario era, come in Romania, un intermediario simile al gabellotto siciliano, i grandi affittuari diedero invece un contributo fondamentale allo sviluppo
9 James S. Donnelly jr., The Land and the People o f Nineteenth Century Cork, London and New York, Routledge and Kegan Paul, 1975; Michael D. Higgins, John P. Gibbons, Shopkeepers-graziers and land agitation in Ireland 1895-1900, in P.J. Drudy (a cura di), Ireland: Land, Politics and People, Cambridge, Cambridge University Press, 1982.10 Dominic Lieven, The Aristocracy in Europe, 1815-1914, London, Basingstoke, 1992, p. 91; John D. Bell, Peasants in Power. Alexander Stamboliski and the Bulgarian National Union, 1899-1923, Princeton, Princeton University Press, 1979.11 M. Thompson, English Landed Society in the Nineteenth Century, London, Routledge & Kegan, 1980, pp. 109 sg.12 Yojiro Hayami et al., A Century o f Agricultural Growth in Japan, Tokyo, 1975, pp. 47 sg.
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dell’agricoltura capitalistica dell’Ovest. Detentori di capitali, furono i primi esponenti delle comunità rurali a realizzare l’ascesa sociale. In Prussia, Francia, Italia, Spagna e anche in Inghilterra divennero proprietari mantenendo spesso anche il mestiere di affittuario. Nei paesi latini divennero caposti- piti di grandi fortune familiari, entrarono a far parte dell’aristocrazia terriera e acquisirono in alcuni casi anche la nobilitazione. Quando la crisi agraria di fine secolo indusse parte delle aristocrazie terriere a disfarsi delle terre, gli affittuari restarono il vettore principale della mobilità sociale nelle campagne. Il fenomeno si presentò in forma spettacolare nell’Inghilterra del primo Novecento quando essi furono costretti ad acquistare le proprietà frazionate dell’aristocrazia terriera, ma interessò anche la Francia. Dopo la prima guerra mondiale in Italia e in Spagna, entrarono in possesso di larghe porzioni di terra13. Ovunque, essi furono tra gli attori principali della “ruraliz- zazione” delle campagne, ossia di quel processo che tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale riconsegnò la terra lasciata dai notabili ai ceti rurali. Ma la mobilità del possesso terriero occidentale riguardò soprattutto la borghesia che, assie
me alla terra, acquistò quel potere sociale che scaturiva dal suo ingresso nell’aristocrazia terriera. Essa si accaparrò le terre rese disponibili dalla defeudalizzazione e diventò in buona parte dell’Europa il maggior proprietario terriero. Due modelli possono essere individuati. Il modello dell’inclusione fu caratteristico dell’Europa centrale dove la diffusione della proprietà borghese avvenne all’interno di quella nobiliare mantenendo la struttura di privilegio ad essa connessa. La borghesia prussiana entrò in possesso nella prima metà dell’Ottocento del 66 per cento delle terre e divenne proprietaria a fine Ottocento della quota maggiore delle terre superiori ai cento ettari14. Il modello della contiguità caratterizzò invece l’aristocrazia terriera dei paesi latini, dove la vendita dei beni nazionali e di quelli ecclesiastici consentì che si formasse una proprietà borghese a fianco di quella nobiliare. La contiguità diede origine, in Spagna e in Italia, alla formazione di un blocco sociale nobiliare-borghese coeso. In Francia le due componenti, unite nello spazio sociopolitico del notabilato, mantennero una maggiore distanza sociale determinata dalla tendenza alla separatezza della nobiltà francese15.
13 Jean-Marc Moriceau, Gilles Postel-Vinay, Ferme, entreprise, famille. Grande exploitation et changements agricoles: les Chartier XVIIe-XXe siècles, Paris, Ecole des hautes études en sciences sociales, 1992; Jean Pierre Jessen- ne, Le pouvoir des fermiers dans les villages d'Artois (1770-1848), “Annales E .S.C .”, 1983, n. 3, pp. 702-734; Roberto Robledo, Los arrendamientos castellanos ante y después de la crisis de fines del siglo XIX, in Ramón Garra- bou et al. (a cura di), Historia agraria de ¡a España contemporánea, vol. II, Barcelona, Editorial Crítica, 1985; Maria Malatesta, Gli affittuari capitalistici inglesi e italiani, in L'agricoltura in Europa e la nascita della questione agraria, Annali 14/15, Istituto Alcide Cervi, Bari, 1994; Hanna Schissler, Preussische Agrargesellschaft im Wan- del, Gòttingen, 1978, p. 87.14 Wilhelm Abel, Congiuntura agraria e crisi agrarie: storia dell’agricoltura e della produzione alimentare nell’Europa centrale dal XIIIsecolo all'età industriale, Torino, Einaudi, 1976, pp. 339-357; Hans Rosenberg, Die Pseudo- dekratisierung der Rittergutsbesitzerklasse, in Michael Sturmer (a cura di), Moderne deutsche Sozialgeschichte, Diisseldolf, 1981.15 Pedro Ruiz Torres, La aristocracia en el país valenciano: ¡a evolución dispar de un grupo privilegiado en ¡a España del siglo XIX', Adeline Daumard, Noblesse et aristocratie en France au XIXe siècle, in Les noblesses européennes au XIXe siècle: actes du colloque organisé par l ’Ecole française de Rome et le Centro per gli studi di politica estera e sull’opinione pubblica de l ’Université de Milan (Roma 21-23 novembre 1985), Roma, Ecole française de Rome, 1988; Carlo Capra, Nobili, notabili, élites: dal modello francese al caso italiano, “Quaderni storici”, 1978, n. 37, pp. 12-42; Maria Teresa Pérez Picazo, De regidor a cacique: las oligarquías municipales murcianas en el siglo XIX, in P. Saavedra, R. Villares, Señores y campesinos en la península ibérica, cit.
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Gli investimenti terrieri della borghesia, proseguiti nel corso dell’Ottocento, ebbero un evidente significato sociale. L’emulazione dello stile di vita nobiliare fu alla base della diffusione di quel modello aristocratico che spinse industriali, finanzieri e professionisti ad acquistare proprietà e dimore rurali. Se il valore simbolico di questi comportamenti è particolarmente alto soprattutto quando essi vennero messi in atto nei paesi piii industrializzati, non va sottovalutato il valore economico rivestito a seconda dei contesti e dei periodi dagli investimenti fondiari.
Il confronto tra l’andamento degli investimenti della borghesia in Francia, Italia e Spagna nella seconda metà dell’Ottocento illustra chiaramente il significato economico connesso alla continua ed anzi accresciuta presenza della borghesia urbana sul mercato immobiliare terriero.
In Francia la tendenza della borghesia a privilegiare gli investimenti immobiliari che aveva dominato durante la Restaurazione subì nel secondo Ottocento una netta inversione. Gli investimenti terrieri diminuirono sensibilmente a favore di quelli mobiliari pur senza sparire dal portafoglio delle classi elevate. Andarono invece proporzionalmente crescendo in quello delle classi popolari. In Spagna e in Italia al contrario professionisti, commercianti, industriali continuarono ad acquistare terra fino alla prima guerra mondiale. La ritardata industrializzazione e, perciò, la minore possibilità di investimenti mobiliari alternativi, unita al perdurare di un alto valore della rendita fondiaria, rafforzarono al Sud dell’Europa la componente borghese delle aristocrazie terriere16.
Le risposte al mutamento economico-sociale
La sopravvivenza delle nobiltà alla defeuda- lizzazione e all’industrializzazione è il primo esempio di adattamento delle aristocrazie terriere al mutamento sociale. Sia che fosse tutelata giuridicamente, come la nobiltà tedesca, sia che godesse come negli altri paesi di una situazione di fatto, la possibilità di sopravvivenza della nobiltà continentale nel nuovo regime dipese dalla sua capacità di garantirsi un reddito sicuro. Le strategie economiche della nobiltà che possedeva della terra furono così orientate a trasformare i vecchi beni feudali in fonti di reddito all’interno dell’economia di mercato. Nella prima metà dell’Ottocento sopravvissero — in alcuni casi si rafforzarono — quei gruppi nobiliari che furono in grado di uscire dalla crisi finanziaria di fine Settecento, fronteggiare la perdita dei diritti feudali e superare la crisi agraria della prima metà del secolo. Queste tre congiunture agirono da selezione della specie. Più colpita fu la nobiltà terriera che possedeva esclusivamente beni signorili, come quella portoghese e valenziana, mentre resistettero quei patrimoni signorili che furono svincolati in un lungo arco di tempo17. La nobiltà veneziana soccombette al passaggio al nuovo regime perdendo il 61 per cento delle terre. Quella prussiana, sotto gli effetti dell’indebitamento e della crisi agraria, perse nel corso di un secolo un terzo delle proprie terre. La nobiltà milanese iniziò il suo declino economico negli anni trenta. Ovunque, la perdita del possesso nobiliare andò ad aumentare la percentuale di terra posseduta dalla borghesia.
16 A. Daumard (a cura di), Les fortunes françaises au dix-neuvienne siècle: enquête sur la répartition et la composition des capiteaux privés a Paris, Lyon, Lille, Bordeaux et Toulouse d ’après l ’enregistrement des declarations de succession, Paris-La Haye, Mouton, 1973; R. Robledo, La renta de la tierra en Castilla ¡a vieja y Leon (1836-1913), Madrid, Banco de España Servicio de Estudios, 1984; Alberto M. Band, Les richesses bourgeoises dans l ’Italie du XIXe siècle: exemples et remarques, in Mélanges de l ’Ecole française de Rome, tomo 97, 1985.17 Maria J . Baz Vicente, El patrimonio de ¡a casa de Alba en Galicia en el siglo XIX, Lugo (Galicia), Servicio de pubblicaciones, 1991.
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Le congiunture della prima metà del secolo accentuarono il divario tra nobiltà ricca e povera, come dimostra in modo esemplare il caso della nobiltà francese. Tuttavia questa distinzione patrimoniale non corrispose necessariamente ad una distinzione di status. Se in Prussia fu la nobiltà inferiore a subire le perdite maggiori, a Valencia essa fu la più abile a riconvertire il suo patrimonio signorile. In Italia, alcune famiglie della nobiltà recente — come i Torlonia di Roma — costituirono tra Sette-Ottocento dei veri imperi fondiari. La maggior parte della nobiltà continentale — a differenza' della stabilità economica mantenuta da quella inglese fino agli anni ottanta — subì delle perdite, ma in linea di massima seppe sfruttare la congiuntura e risanare i suoi patrimoni. In Belgio, Spagna e Francia, allo stesso modo che in Inghilterra, molti nobili proprietari terrieri continuarono a far parte durante il secolo del gruppo dei magnati dei loro paesi.
Parte della nobiltà francese aveva ricostituito il proprio patrimonio terriero prima ancora della legge sui beni degli emigrati. Nella regione parigina e in quelle limitrofe, nel Nord-ovest, nel Sud-ovest e nella regione alpina i beni fondiari della nobiltà resistettero alla congiuntura economica e alle ondate speculative. Altre nobiltà sfruttarono le varie modalità ed i tempi della defeu- dalizzazione. Nel Sud e nell’Ovest della Germania, colmarono negli anni trenta l’indebitamento a spese dei contadini senza disfarsi delle proprietà18. In Italia e Spagna impiegarono gli indennizzi loro concessi per
la perdita dei diritti feudali e approfittarono della vendita dei beni nazionali per ricostituire le loro fortune. Grandi casate dell’antica nobiltà spagnola attestano la capacità di adattamento delle élite terriere alla nuova congiuntura e l’oculatezza da loro dimostrata nel risanamento dei patrimoni.
La capacità di adeguarsi al nuovo ordine si espresse attraverso l’applicazione di strategie economiche diversificate. Contrapporre una strategia imprenditoriale ad una strategia rentière — ossia l’adesione al mutamento economico introducendo nell’agricoltura sistemi di sfruttamento capitalisti- co, o la resistenza ad esso perpetuando una logica economica semifeudale corrispondente allo sfruttamento estensivo della terra — appare riduttivo, soprattutto se lo si fa coincidere con la divisione tra Nord e Sud. È innegabile che il Nord Europa fu caratterizzato da uno sviluppo capitalistico delle campagne legato alla diffusione delì’high- farming. Ma accanto alla precoce scelta imprenditoriale dell’aristocrazia inglese e quella della nobiltà prussiana affermatasi nel primo Ottocento, anche l’aristocrazia terriera francese, quella del Nord Italia e persino quella spagnola furono complessivamente attente a seguire i ritmi dell’economia capitalistica e di mercato19. Presa nel suo complesso l’aristocrazia terriera occidentale, nobile e borghese, mostrò un’attitudine spiccata verso lo sfruttamento capitalistico anche in molte aree del Sud Europa. Dall’altro canto, non possiamo dimen-
18 Ronald H. Hubscher, L ’agriculture et la société rurale dans le Pas-de-Calais du milieu du XIXe siècle à 1914, vol. I, II, Arras Mémoires de la Commission Départementale des monuments, 1979; David Higgs, Nobles in Nineteenth-Century France. The Practice o f inegalitarianism, Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, 1987; Gregory W. Pedlow, The Survival o f the Hessian Nobility 1770-1870, Princeton, Princeton University Press, 1988.19 H. Schissler, The Junkers. Notes on the social and historical signifiance o f the agrarian élite in Prussia, in Robert G. Moeller, Peasant and Lords in Modern Germany, Boston, London, 1986; Alain Guillemin, Rente, famille, innovation. Contribution à !a sociologie du grand domaine noble au XIXe siècle, “Annales E .S.C .”, 1985, n. 1, pp. 54-70; R. Garrabou, J. Sanz Fernández, La agricultura española durante et siglo XIX: immobilismo o cambio?, in R. Garrabou et al. (a cura di), Historia agraria de la España contemporánea, cit.; Alberto M. Banti, Terra e dena- ro. Una borghesia padana dell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1989.
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ticare il permanere di logiche latifondisti- che, volte a mantenere come avvenne ad esempio nel Centro-sud dell’Italia, il patrimonio terriero ampliandone l’estensione piuttosto che la redditività e mantenendo il più a lungo possibile la produzione agricola al riparo dalle fluttuazioni del mercato. In questi casi, ma anche in alcune forme di gestione nobiliare della Franche-Comptée, prevalse sulla razionalità capitalistica un’economia morale, volta da un lato a preservare l’universo comunitario intatto, a perpetuare dall’altro lato uno status e uno stile di vita nobiliare20. L’attitudine imprenditoriale delle aristocrazie terriere occidentali fu il segno del loro adattamento alle trasformazioni capitalistiche dell’agricoltura. Nobili e borghesi furono a fianco nel processo di modernizzazione delle campagne. In Italia e in Francia formarono quel gruppo di capitani deH’industria rurale che introdussero le nuove tecniche agronomiche e la meccanizzazione nell’agricoltura. Questo modello di comportamento economico differenziò profondamente l’aristocrazia terriera dell’Europa occidentale da altre realtà. In Europa orientale 1’“agronomia” delle élite terriere non si tradusse nella modificazione dei sistemi agrari in senso capitalistico, né — come accadde in Russia prima dell’affrancamento dei servi — fu in grado di sostituire una nuova razionalità economica all’agricoltura consuetudinaria praticata nelle comunità contadine. La modernizzazione dell’agricoltura dell’Europa occidentale si
realizzò prevalentemente grazie all’iniziativa delle élite terriere. Questo modello di intervento nell’economia agraria gestito dai privati avvicinò maggiormente l’Europa occidentale agli Stati Uniti, mentre la differenziò sia dall’Europa dell’Est che dal Giappone di fine Ottocento. In queste due aree, infatti, fu l’intervento dello stato a creare, attraverso riforme dall’alto, le condizioni per lo sviluppo capitalistico dell’agricoltura e ad organizzare capillarmente — come avvenne in Giappone — la produzione agricola aH’interno delle comunità rurali21.
Le aristocrazie terriere rimasero legate all’economia agraria. Il loro contributo all’industrializzazione fu prevalentemente, anche se non solo, indiretto, basato cioè sul finanziamento attraverso il capitale azionario e sullo sfruttamento delle risorse. In entrambi i casi il loro agire economico, pur modellandosi sugli imperativi dell’economia capitalistica, mantenne alcuni caratteri tipici della mentalità del proprietario terriero. La partecipazione diretta delle aristocrazie fondiarie all’industrializzazione seguì in linea di massima la diffusione dello sviluppo industriale. Nel Sud dell’Italia e in Spagna fu inesistente, mentre si ebbero casi di forte partecipazione, attraverso la fornitura di capitali e imprenditoria, della nobiltà terriera in regioni come la Normandia, la Slesia, la Boemia e la Sassonia. Anche in Lombardia, la prima regione italiana a industrializzarsi, alcune famiglie titolate divennero imprenditrici. Tuttavia la relazione tra indu-
20 Guido Pescosolido, Terra e nobiltà. 1 Borghese. Secoli XVIII e XIX, Roma, Jouvence, 1979; Eduard E. Malefa- kis, Agrarian Reform and Peasant Revolution in Spain: Origins o f the Civil War, New York, Yale University Press, 1970; Claude I. Brelot, Une politique traditionnelle de gestion du patrimoine foncier en Franche-Compté au X Ie siècle, in Les noblesses européennes, cit.21 M. Confino, Systèmes agraires et progrès agricole: l ’assolement triennal en Russie au XVIIIe-XIXe siècles, Paris, La Haye, Mouton, 1969; Péter Gunst, Agrarian Systems o f Central and Eastern Europe, in Daniel Chirot (a cura di), The Origins o f Backwardness in Eastern Europe: Economics and Politics from the Middle Age until the Early Twentieth Century, Berkley, University of California Press, 1989; M. Petrusewicz, Agromania: innovatori agrari nelle periferie europee dell’Ottocento, in Piero Bevilacqua (a cura di), Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, vol. Ili, Venezia, Marsilio, 1991; Thomas R. H. Havens, Farm and Nation in Modem Japan. Agrarian Nationalism 1870-1940, Princeton-N.Y., Princeton University Press, 1974.
Le aristocrazie terriere europee nell’età contemporanea 29
strializzazione precoce e partecipazione economica diretta delle élite terriere non fu una regola. In Belgio furono pochi i nobili divenuti imprenditori. Anche in Inghilterra la partecipazione dei proprietari terrieri all’industria metallurgica, che ebbe un certo peso nella prima metà dell’Ottocento, andò diminuendo nel periodo successivo. Complessivamente in Europa, compresa quella dell’Est, la nobiltà si ritirò dal settore manifatturiero su cui aveva mantenuto il controllo durante l’antico regime, optando per forme di investimento meno rischiose e impegnative22. Non solo l’investimento nei titoli di stato e nelle banche ma anche la partecipazione azionaria alle industrie avvennero all’insegna della logica economica della sicurezza. I finanziamenti industriali delle élite terriere iniziarono a decollo industriale avvenuto e quando i settori industriali si erano affermati, come mostrano gli investimenti fatti nelle ferrovie. L’adattamento al ciclo industriale non modificò in modo radicale la mentalità rentière che caratterizzava al fondo le aristocrazie terriere. La stessa aristocrazia inglese, la prima in Europa ad introdurre nell’agricoltura la logica degli investimenti di capitale, non sfuggì a questa tendenza e preferì affittare le miniere di ferro e di carbone piuttosto che sfruttarle diretta- mente. Lo stesso dicasi per i proprietari terrieri slesiani che affidarono la gestione delle proprie industrie ai manager, trasferendo anch’essi sul piano industriale quella separazione tra proprietà e gestione che è alla base dell’affitto rurale. La partecipazione all’industria agro-alimentare — come quella degli
Junker nelle distillerie o degli agrari emiliani nelle fabbriche di zucchero, formaggio e pomodoro — non contraddice quanto detto prima. L’impegno nel settore agro-alimentare era un prolungamento dell’economia agricola, la trasformazione industriale di un’attività che restava sotto il controllo del proprietario.
Un ulteriore esempio della razionalità economica delle aristocrazie terriere ottocentesche, orientate a sfruttare i benefici loro derivati dall’industrializzazione evitando di pagare costi elevati e senza esporsi a rischi, è rappresentato dagli investimenti immobiliari urbani. Nell’Ottocento la presenza dell’aristocrazia nella città non ebbe più, come in passato, lo scopo di modellarla a sua immagine, ma quello di sfruttare dal punto di vista economico i processi di urbanizzazione. Per le aristocrazie terriere che — come quella del Nord e dell’Ovest della Francia o quella prussiana — accentuarono nel corso del secolo la loro fisionomia rurale, le rendite urbane non erano una componente rilevante dei loro patrimoni. Per quelle spagnole, italiane e inglesi, che mantennero una fisionomia urbano-rurale o decisamente cittadina, le rendite urbane svolsero un ruolo decisivo per la loro sopravvivenza. Per gli esponenti più ricchi dell’aristocrazia inglese, proprietari anche di immobili e suoli urbani, la crescita vertiginosa delle città si tradusse in una fonte di reddito superiore alle entrate agricole e fu la ragione della loro tenuta economica dopo la crisi agraria di fine secolo, diversamente da quanto accadde a coloro che possedevano solo terreni agricoli. La ri-
22 D. Spring, English Landowners and Nineteenth Century Industrialism, in John Tower Ward, Richard George Wilson (a cura di), Land and Industry: the Landed Estate and the Industrial Revolution, Newton Abbott, David and Charles, 1971; Jürgen Kocka, Enterpreneurs and Managers in German industrialization, in Peter Mathias, Michael M. Postan (a cura di), The Cambridge Economic History, voi. VII, part 1, Cambridge, University Press, 1978; Samuel Clark, Nobility, Bourgeoisie and the Industrial Revolution in Belgium, “Past and Present”, 1984, 105, pp. 140-175; Guy Richard, La noblesse dans l ’industrie textile ex Haute-Normandie dans la premiere moitié du X IX e siècle, “Revue d’Histoire Economique et Sociale”, 1968, 3, pp. 305-338; Costanza Patti, Strutture associative e formazione professionale, in Giorgio Fiocca (a cura di), Borghesi e imprenditori a Milano dall’Unità alla prima guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 1984.
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conversione della rendita agricola in rendita urbana dopo la crisi agraria fu un fenomeno comune anche a parte dell’aristocrazia terriera italiana, settentrionale e meridionale. In Inghilterra, paese in cui nel 1914 era aumentata la percentuale dei ricchi aristocratici proprietari di immobili urbani, e in Lombardia, la regione italiana a maggiore sviluppo industriale, ci troviamo di fronte ancora una volta ad un comportamento economico delle élite terriere caratterizzato da una forte sensibilità nei confronti del trend economico e da un suo intelligente sfruttamento. Gli investimenti immobiliari urbani delle élite terriere inglesi e lombarde si accentuarono infatti, alla fine della grande depressione, in concomitanza con la ripresa del ciclo delle costruzione23.
Una valutazione del comportamento economico delle aristocrazie terriere nel periodo dell’industrializzazione deve tenere conto di un’ulteriore variabile, ossia del significato economico assunto — a seconda dei periodi e delle zone — dagli investimenti extraagricoli. Nella fase del decollo industriale essi furono — come dimostra il caso dell’Inghilterra, del Belgio, della Germania e, sia pure in misura minore, della Francia e dell’Italia — una dislocazione dei capitali eccedenti in agricoltura nel settore industriale e finanziario. Si trattò di un fenomeno analogo a quanto avvenne all’inizio dell’industrializzazione giapponese, quando i proprietari terrieri investirono tutti i proventi derivanti dagli indennizzi per la perdita dei diritti feudali nelle banche, trasformandosi in magnati della finanza.
Alla fine della grande depressione, quando avvenne il mutamento del ciclo economico che condusse alla definitiva affermazione in Europa dell’economia industriale, si verificò il processo inverso. Il calo della rendita fondiaria seguito al crollo ventennale dei prezzi agricoli unito all’esodo della manodopera rurale con la conseguente lievitazione dei salari agricoli, produsse soprattutto in Inghilterra, ma anche in Francia, un’ondata massiccia di vendite delle proprietà terriere. I patrimoni vennero deruralizzati per necessità economica, per paura del futuro, per la perdita di fiducia nella terra come bene rifugio, per la fine dell’“aura” connessa alla proprietà terriera. La deruralizzazione dei patrimoni comportò uno spostamento verso la ricchezza mobiliare o la rendita urbana24. Gli investimenti extraagricoli furono in questo caso il segno del ritiro delle élite terriere dalle campagne. Ma la deruralizzazione dei patrimoni non fu una prerogativa dei paesi più industrializzati. Essa interessò anche l’Italia centro-meridionale non industrializzata in cui si assistette a rilevanti spostamenti delle rendite agricole nel settore finanziario e immobiliare urbano. In Spagna al contrario il risanamento dei patrimoni della nobiltà nel corso dell’Ottocento avvenne — come mostra il caso madrileno — attraverso la loro ruralizzazione. La vendita delle proprietà urbane servì allora per risanare il patrimonio rurale. Il ritiro della nobiltà madrilena dalla città lasciò così uno spazio che venne occupato dalla borghesia proprietaria25.
Non dobbiamo sopravvalutare la dipen-
23 M. Thompson, The Land Market in the Nineteenth Century, “Oxford economie Papers”, 1957, n. 3; David Cannadine, Lords and Landlords. The Aristocracy and the Towns 1774-1967, Leicester, Leicester University Press, 1980; M. Malatesta, I signori della terra. L ’organizzazione degli interessi agrari padani (1860-1914), Milano, Angeli 1989, pp. 314-319.24 D. Cannadine, The Decline and Fall o f the British Aristocracy, New Haven and London, Yale University, 1990; Maurice Levy-Leboyer, Le revenue agricole et la rente fondere en Basse Normandie. Etude de croissance regionale, Paris, Editions Kemckseck, 1972."5 Angel Bahamonde Magro, Crisis de la nobleza da cuna y consolidación burguesa (1840-1880), in Madrid en la societad del siglo XIX, Madrid, 1986, voi. I.
Le aristocrazie terriere europee nell’età contemporanea 31
denza delle aristocrazie terriere dal ciclo economico. Non si può nondimeno trascurare il peso esercitato dal livello di industrializzazione dei vari paesi europei nella sopravvivenza delle élite fondiarie. Tra Otto e Novecento in Francia e in Inghilterra vi fu un “ritiro pacifico” delle élite terriere dalle campagne dovuto principalmente al mutamento del ciclo economico. In Italia e in Spagna, paesi ancora dominati a fine Ottocento dall’economia agricola, non si verificò invece un ritiro in massa delle élite terriere dalle campagne. La terra continuò ad essere una forma di investimento privilegiato per i ceti urbani, perché il valore della terra restava alto e la rendita fondiaria aveva ripreso a salire, diversamente da quanto avvenne nei paesi più industrializzati. L’intensificazione dello sfruttamento capitalistico delle campagne del Nord Italia a fine Ottocento, che si giovò della “nuova colonizzazione” attuata attraverso la bonificazione delle terre della bassa Valle Padana, accentuò la fisionomia imprenditoriale delle élite terriere del Nord Italia che in tal modo concorsero a sostenere l’avvio del processo di industrializzazione.
Strategie a difesa dell’identità aristocratica
Pur adattandosi alle trasformazioni sociali ed economiche, le aristocrazie terriere difesero per tutto il secolo la loro identità. Attraverso la famiglia, la cultura e la sociabilità esse cercarono di preservare la fisionomia del proprietario terriero di fronte alle minacce costituite dalPindustrialismo, dall’urbanizzazione e dalla società di massa. La conservazione del possesso fondiario all’interno della famiglia continuò ad essere una delle più importanti forme di riproduzione delle 26
élite terriere. Mantenere all’interno del lignaggio le terre che gli appartenevano rivestiva ancora un alto valore simbolico, oltre che economico e sociale. Favorite furono, da questo punto di vista, le aristocrazie terriere del Nord Europa che usufruivano di sistemi ereditari che consentivano di evitare il frazionamento del possesso terriero. Lo strici settlement fu uno dei fattori di maggiore rafforzamento dell’aristocrazia inglese. Si trattava di un dispositivo ereditario che consentiva di mantenere intatto il patrimonio fondiario grazie a una pianificazione familiare estesa a più generazioni. Esso contribuì anche a formare quella mentalità lungimirante necessaria alla aristocrazia terriera per realizzare nel Settecento le grandi migliorie fondiarie che comportavano ingenti investimenti di capitali.
L’alta nobiltà tedesca aveva mantenuto il privilegio di una forte autonomia familiare e la prerogativa di trasmettere la proprietà per linea maschile. Nonostante ciò, essa si batté nel corso dell’Ottocento perché venissero reintrodotti i fedecommessi, allo scopo di restituire alle terre una fisionomia nobiliare sottraendole al mercato, ossia alla possibilità di un loro acquisto da parte dei borghesi. È significativo che i fedecommessi, reintegrati in Germania nel 1852, avessero avuto la maggiore diffusione negli anni ottanta quanto più forti furono le perdite economiche della nobiltà terriera a causa della crisi agraria25. Nello stesso periodo in Inghilterra, sotto gli effetti congiunti della crisi agraria e dell’opinione pubblica radicale che voleva la liberalizzazione del mercato della terra per colpire l’aristocrazia e facilitare la formazione della piccola proprietà coltivatrice, fu emanato nel 1882 il Settled land act. Frutto del compromesso tra le tendenze
26 Eileen Spring, The Settlement o f Land in Nineteenth Century England, “The American Journal o f Legal History”, 1964; Christof Dipper, La noblesse allemande à Tepoque de la bourgeoisie. Adaptation et continuité, in Les noblesses européennes au X IXe siècle, cit.
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radicali e quelle conservatrici, il Settled land act non eliminò lo strici settlement ed anzi rafforzò i poteri del tenant for life. Consentì però che le terre vincolate arrivassero sul mercato, accelerando in tal modo la deruralizzazione dei patrimoni aristocratici.
Nei paesi europei dove la legislazione napoleonica aveva introdotto il principio della successione egualitaria, i proprietari terrieri ricorsero a strategie familiari per impedire quella frantumazione del possesso fondiario che era stata all’origine della rovina di molte famiglie nobili sul continente. La trasmissione della proprietà indivisa venne garantita attraverso tre strategie. In primo luogo una forte ripresa deH’endogamia familiare caratterizzata — come avvenne nel Sud dell’Italia — dalla violazione del divieto di consanguineità fino al quarto grado di parentela. La logica del cognome si intrecciò con le necessità economiche dei patrimoni fondiari. Nell’Italia meridionale il fenomeno riguardò sia nobili che borghesi. Ma fu soprattutto la borghesia agraria ad essere interessata alla contrazione della parentela, perché non era disposta a perdere le terre faticosamente conquistate. La seconda strategia consistette nella formazione, attraverso matrimoni tra gruppi familiari, di famiglie allargate — come avvenne nel Sud della Spagna — attraverso le quali garantirsi il controllo di fette imponenti di territorio. Infine, il mantenimento del possesso terriero indiviso poteva essere il frutto di una strategia economica basata da un lato sull’accumulazione delle terre, dall’altro sulla pianificazione dei ruoli degli eredi nella gestione del patrimonio, in modo tale 21
da evitare che la proprietà venisse smembrata27.
Il ripiegamento sul lignaggio per contrastare gli effetti dello sviluppo del mercato fondiario ebbe come conseguenza un’accentuazione della separatezza delle aristocrazie terriere, confermata dai comportamenti matrimoniali di molte nobiltà europee. Fu soprattutto la vecchia nobiltà ad essere caratterizzata da una stretta correlazione tra lignaggio ed endogamia. La separatezza sociale fu però contraddetta in molti casi dall’imperativo economico di immettere nella famiglia nuovo capitale. La fusione tra nobiltà e ricca borghesia continuò, anche se spesso fu realizzata attraverso il matrimonio degli eredi maschi con donne borghesi, o affidata in altri casi alla funzione di relais che la nobiltà minore ebbe tra borghesia e alta nobiltà, o infine realizzata attraverso il matrimonio con famiglie di industriali nobilitate di recente28.
La cultura fu l’altro elemento di distinzione delle aristocrazie terriere. Di fronte alla nuova cultura urbana e industriale le élite terriere riaffermarono la loro identità proseguendo la tradizione agronomica settecentesca e rinnovandola con l’apertura ai nuovi risultati della scienza e della tecnica ottocentesche. L’“agronomia” che si diffuse in tutta l’Europa fu il terreno in cui i segmenti dell’aristocrazia terriera trovarono un’ulteriore e solidissima occasione di unificazione. La passione per la scienza diede origine ad un’Internazionale agraria europea, formata dalla crema delle élite terriere, quel gruppo di riformatori agrari fiduciosi nel progresso e nella possibilità di mantenere per l’agricoltura una funzione di
21 Gerard Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli, Torino, Einaudi, 1988, pp. 325-338; Paolo Macry, Ottocento. Famiglia, élites e patrimoni a Napoli, Torino, Einaudi, 1988, pp. 172-175; François Héran, Les bourgeois de Séville. Terre et parenté en Andalusie, Paris, Puf, 1990.28 Gary W. Me Donogh, Good Families o f Barcelona, Princeton, Princeton University Press, 1986; A.M. Banti, Strategie matrimoniali e stratificazione nobiliare. Il caso di Piacenza, in Les noblesses européennes, cit.; H. Kael- ble, Borghesia francese e borghesia tedesca 1870-1914, in J. Kocka (a cura di), Borghesie europee dell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1989.
Le aristocrazie terriere europee nell’età contemporanea 33
guida anche nelle società industrializzate. L’élite delle aristocrazie terriere era ricca, colta e conosceva le principali lingue europee. Partecipava ai congressi agricoli, visitava le esposizioni universali e faceva viaggi di studio. Diffondeva informazioni sulle tecniche agronomiche e sui sistemi agrari dei vari paesi, incrementava la circolazione della letteratura scientifica, contribuendo a mantenere elevato il livello di aggiornamento tra le élite terriere. Gli scambi furono incrementati dalla diffusione in tutta l’Europa delle associazioni agrarie. La sociabilità agraria, eredità dell’Antico regime o frutto dell’età napoleonica, non si limitò a rafforzare il volto conservatore delle aristocrazie terriere. Essa fornì il modello dal quale, attraverso un processo di filiazione diretta o di trasformazione e diversificazione, prese avvio l’associazionismo agrario di fine Ottocento. Il capitale culturale delle aristocrazie terriere fu investito nel nuovo terreno dell’organizzazione degli interessi. Le nuove associazioni agrarie furono da un lato il prodotto dell’evoluzione dell’antica sociabilità delle accademie, dei club e delle piccole associazioni agrarie locali. Dall’altro lato furono istituzioni completamente nuove dotate, rispetto al passato, di obiettivi più complessi quali la difesa della produzione agricola dalle fluttuazioni del mercato e il conseguimento di politiche economiche, fiscali e sociali favorevoli alla proprietà terriera. Esse nacquero sotto gli effetti della grande depressione di fine secolo allo scopo di difendere — come in Germania e in Italia — la produzione agricola dalla concorrenza straniera; oppure — come nel 1868 in Francia o nel 1907 in Inghilterra — per fronteggiare la politica liberista o la nuova politica fiscale filo-popolare dei rispettivi governi; infine per contrastare gli scioperi agricoli del primo Novecento, come le associazioni agrarie del Nord Italia. Attraverso le associazioni, le aristocrazie terriere misero in atto una strategia di riproduzione e di
riconversione che raggiunse un duplice risultato. Creò, attraverso il ricorso all’azione collettiva e alla partecipazione una nuova identità del proprietario terriero professionista dell’agricoltura. Ridisegnò i confini sociali delle élite terriere completando l’integrazione dei grandi affittuari e rimarcando la differenza nei confronti dei piccoli proprietari e dei lavoratori agricoli.
La professionalizzazione dell’agricoltura e la difesa degli interessi agricoli diede origine ad un’identità collettiva e difensiva. Essa però non fu tanto il frutto dell’opposizione dei vecchi notabili e aristocratici al cambiamento sociale ma — ancora una volta — il risultato della loro capacità di adattamento. Le aristocrazie terriere, soprattutto in Francia e in Germania, realizzarono dei progetti di ingegneria sociale sfruttando tecniche vecchie (come il paternalismo e l’alleanza con la chiesa cattolica) e nuove (come il nazionalismo e l’organizzazione del consenso di massa) per non perdere il controllo sulle campagne minacciate dall’industrializzazione e dal socialismo.
Lo spopolamento delle campagne nei paesi industrializzati non fu solo una minaccia economica, costituita dalla crescita dei salari agricoli, ma fu anche una minaccia sociale in quanto condusse alla dissoluzione di quella struttura di deferenza che era stata uno dei fattori indispensabili alla conservazione dell’identità delle aristocrazie terriere. Il mutamento del ciclo economico, tra Otto e Novecento, coincise con la perdita del valore sociale della terra. Significativamente il possesso di terra cessò di essere — come si evince dal caso del Belgio e dell’Inghilterra — il requisito indispensabile per la nobilitazione. La nuova nobiltà di stato, dell’industria e delle professioni era ormai emersa ed aveva strappato alla vecchia aristocrazia il capitale simbolico. In questa svolta epocale, le aristocrazie terriere difesero la loro identità attraverso la forma collettiva dell’organizzazione e del grup
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po di pressione. Elaborarono, attraverso le associazioni, strategie di riconquista delle campagne usando, a seconda dei contesti sociali, varie tecniche: il paternalismo oppure la violenza; la diffusione dell’istruzione agraria; l’organizzazione della produzione e della distribuzione. L’azione modernizzatri- ce delle organizzazioni agrarie riguardò soprattutto il campo economico. La diffusione della cooperazione agricola, frutto dell’alleanza tra le aristocrazie terriere e gli scienziati economici e sociali, fu uno dei canali della ripresa dell’agricoltura dopo la crisi agraria e al tempo stesso uno strumento di organizzazione del consenso dei contadini e dei piccoli proprietari. La capacità di innovazione delle aristocrazie terriere raggiunse l’apice là dove le organizzazioni agrarie diedero vita — come avvenne per la Société des agriculteurs de France e per il Bund der Landwirte — a reseaux conglomerés, ossia ad organizzazioni a differente vocazione (associazione politica, sindacato economico, credito agricolo, assicurazioni sociali) coordinate o unificate dalla stessa direzione. Altre associazioni concentrarono la loro attività su settori specifici, come la politica fiscale per la Central Land Association, la difesa contro gli scioperi per le associazioni agrarie padane o la cooperazione economica per la Federazione Italiana dei consorzi agrari29.
La rappresentanza politica delle aristocrazie terriere
L’organizzazione agraria fu il risultato della capacità delle élite terriere di adeguarsi
al mutamento formulando le domande sociali attraverso il nuovo canale del gruppo di interesse. L’adesione alle nuove identità collettive non modificò tuttavia in modo radicale la struttura della rappresentanza politica delle aristocrazie terriere. Lo scopo finale delle associazioni agrarie era aumentare la rappresentanza dell’agricoltura nei parlamenti per contrastare le politiche economiche filo-industrialiste e la pressione fiscale sulla proprietà terriera. La nascita dei gruppi di interesse ha mutato nell’Europa del Novecento la rappresentanza politica, sostituendo alla rappresentanza di tipo notabilia- re, fondata sull’accumulazione del capitale personale, una rappresentanza fondata sul capitale delegato, ossia detenuto interamente dall’organizzazione. Tra Otto e Novecento questa trasformazione era appena iniziata e si realizzò solo in Germania, dove era già avanzato il processo di formazione del capitalismo organizzato30. A differenza di quella prussiana, le altre aristocrazie terriere europee furono restie ad abbandonare la logica individualistica e a rispettare sul piano politico la disciplina dell’organizzazione. A1TE- st come all’Ovest le associazioni di proprietari terrieri non si trasformarono in un partito agrario31. La spiegazione di questo fatto è duplice. In primo luogo i gruppi economici sono strutturalmente impediti di diventare un partito perché rappresentano interessi settoriali, non generali. Le aristocrazie terriere si trovarono tra Otto e Novecento in un’impasse. Si proclamavano i rappresentanti dell’interesse generale. Ma non potevano più richiamarsi all’agricoltura come alla sola industria in grado di rafforzare l’identi-
29 Hans-Jürgen Pulhe, Agrarische Interessenpolitik und preussescher Konservatismus im wilhelminischen Reich 1893-1914, Bonn-Bad Godesberg, Verlag Neue Gesellschaft GmbH, 1975; Pierre Barrai, Les agrariens français de Méline à Pisani, Paris, 1968; M. Malatesta, Une nouvelle stratégie de reproduction: les organizations patronales agraires européennes (1868-1914), paper presentato all’Eleventh International Economie History Congress (Milano, settembre 1994).30 Pierre Bourdieu, La representation politique, “Actes de la recherche en sciences sociales”, 1981, n. 38; Hans P. Ullmann, Interessenverbände in Deutschland, Frankfurt am Mein, Suhrkamp Verlag, 1988.31 Lâszlo Péter, The Aristocracy, the Gentry and their Parliamentary Tradition in Nineteenth-Century Hungary, “Slavonic and Easter European review”, 1992, n. 1, pp. 97-98.
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tà economica nazionale, né potevano rappresentare la nazione anche a nome dei ceti medi e delle classi lavoratrici. In secondo luogo, esse non pensarono mai di creare un partito di massa. Lo stesso Bund der Land- wirte era un gruppo di pressione extraparlamentare e tale restò. Usarono invece delle tecniche trasversali, per ottenere il consenso più vasto possibile tra i vari schieramenti
parlamentari sulla politica agraria. La tecnica delle alleanze aiutò la rappresentanza dell’agricoltura nei parlamenti europei otto-no- vecenteschi. Ma fu anche il segno che l’epoca del privilegio delle aristocrazie terriere era tramontata e che la loro sopravvivenza dipendeva ormai dalla loro capacità di contrattazione.
Maria Malatesta
Maria Malatesta insegna Storia economica contemporanea all’Università di Bologna. Si occupa di storia dell’agricoltura e di recente ha curato due volumi sulla storia delle professioni nell’Italia contemporanea, di prossima pubblicazione presso la Cambridge University Press e la casa editrice Einaudi.
STUDI STORICISommario del n. 3, 1994
Giuseppe Cambiano, Automatorr, Alessandra Gara, L’esperimento nella cultura antica.
Opinioni e dibattiti
Michail M. Narinskij, Togliatti, Stalin e la svolta di Salerno; Federico Romero, Le frontiere storiografiche della guerra fredda.
Ricerche
Anna Girgenti, Vittorio Amedeo II e la cessione della Sardegna: trattative diplomatiche e scelte politiche; Luigi Parente, Luigi Blanch e la sua “Scienza militare"-, Giorgio Borniquez, Interessi regionali e politica internazionale: il traforo del Sempione (1850- 1914); Paolo Blasina, Santa Sede e Regno dei serbi, croati e sloveni. Dalla missione di dom Pierre Bastien a! riconoscimento formale (1918-1919); Valerio Marchi, "L’Italia" e la questione ebraica negli anni trenta.
Note critiche
Paolo Alatri, Amministrazione e riforme del Settecento francese; Roberto Vivarelli, Salvatore Adorno, A proposito di Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma.