STUDI E degli Annali Pubblicadella Istruzione 53 · NE SPERIMENTALE DI NUOVI MODULI ORGANIZZATIVI...

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Roma - 1990

STUDI E

Annali della

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DOCUMENTIdegli

Pubblica Istruzione

IL NUOVO ORDINAMENTODELLA

SCUOLA ELEMENTARE

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STUDI E DOCUMENTIDEGLI

ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE53

IL NUOVO ORDINAMENTODELLA

SCUOLA ELEMENTARE

CASA EDITRICE LE MONNIER

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

SETTEMBRE 1990

1 7 0 3 9 . 4 - STABILIMENTI TIPOLITOGRAFICI «E. ARIANI» e «L’ARTE D E L L A STAMPA»della S.p.A. Armando Paoletti - FIRENZE

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INDICE

Presentazione d e l m i n i s t r o d e l l a P u b b l i c a I s t r u z i o n e . Pag. VII

PROGRAMMI E ORDINAMENTI NELLA NUOVA SCUOLA ELEMENTARE,(Mauro Laeng) . . . 1

LA PROFESSIONALITÀ DEI DOCENTI: NUOVI DOVERI E NUOVE COMPE-TENZE , (Ferdinando Montuschi) . 7

1, L’autonomia culturale, 9. - 2. La disponibilità al cambiamen-to, 10. - 3. Ricostruire l’identità professionale, 11. - 4. Affron-tare la critica, 11. - 5. Vivere il gruppo, 12. 6. Scoprire ladiversità e la pluralità, 13. 7. Verso la definizione di un profi-lo: le dimensioni centrali, 14. - 8. Una specializzazione atipica,15. - 9. Dalla responsabilità alla corresponsabilità educativa, 17.10. Indicazioni conclusive, 21. - Bibliografia, 24.

LA DIDATTICA NEI NUOVI ORDINAMENTI PER LA SCUOLA ELEMENTA-RE , (Benedetto Vertecchi) . . 25

LA CONTINUITÀ EDUCATIVA DELLA SCUOLA DI B A S E, (Clotilde Ponte-corvo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1. Perché la continuità, 34. 2. Come intendere la continuità,36. - 3. Il mutamento di ruolo della Scuola elementare, 38. -4. Scuola di base e alfabetizzazione, 39. - 5. Raccordare la Scuolaelementare alla media: come?, 41. - 6. Aspetti organizzativi del-la continuità: alunni e insegnanti, 44. - Bibliografia, 47.

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L ’ORGANIZZAZIONE DIDATTICA NELLA NUOVA S CUOLA ELEMENTARE,( L i v i a Bellomo, V i t t o r i o Vincenzi e A l b e r t o A l b e r t i )

Introduzione, 48. - 1. I soggetti, 50. - 2. Gli aspetti didattico-organizzativi, 67. - 3. Il gruppo docente, 82.

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D UE FILOSOFIE IN GIOCO, (Roberto Maragliano) . . .1. Cosa v u o l dire primario?, 90. - 2. Le vie del compromesso,95. - 3. Le questioni aperte, 100. - Bibliografia, 102.

IL TEMPO-SCUOLA NEL NUOVO ORDINAMENTO DELLA SCUOLA ELE-

MENTARE , (Giovacchino Petracchi) . .

1. Una chiave di lettura del testo normativo, 103. - 2. Orariodelle attività didattiche, 109. - 3. Organizzazione dell’orario set-timanale, 111. - 4. Modalità di svolgimento dell’orario delle at-tività didattiche, 114. - 5. Progetti formativi di tempo lungo,115. 6. Orario di insegnamento, 118.

LA LINGUA STRANIERA NELLA SCUOLA ELEMENTARE: CRITERI ORGA-

NIZZATIVI DI UN «MINI-PROGRAMMA» LINGUISTICO . .

Premessa, 122. - 1. Giustificazione del programma, 124. - 2.Necessità di pianificazione, 126. Appendice: Dieci tesi sull’in-segnamento precoce delle lingue straniere (Prolegomeni a qual-siasi sperimentazione), 138.

GLI ALUNNI IN DIFFICOLTÀ: SITUAZIONI DI HANDICAP E SITUAZIONIDI SVANTAGGIO NELLA SCUOLA ELEMENTARE, (Ma t i l de Pa ren t e )

1. L’handicap come misura dell’integrazione, 142. - 2. L’obiet-tivo della riduzione dello svantaggio, 153.

APPENDICE

NUOVI PROGRAMMI DIDATTICI PER LA SCUOLA PRIMARIA - D.P.R.n. 104 del 12 febbraio 1985 . . . . . . .

NUOVI PROGRAMMI DIDATTICI PER LA SCUOLA PR I MAR IA. ATTU A Z I O-

NE SPERIMENTALE DI NUOVI MODULI ORGANIZZATIVI - Circolare

n. 288 del 22 settembre 1987 . . . . . . . .

NUOVI PROGRAMMI DIDATTICI PER LA SCUOLA PRIMARIA. ATTUAZIO-NE SPERIMENTALE DI NUOVI MODULI ORGANIZZATIVI PER L'ANNO

SCOLASTICO 1988-89. - Circolare n. 143 del 24 maggio 1988

INDA G I NE CONOSCITIVA SUL FUNZIONAMENTO DEI MODULI P R E VI S T I

DALLA CIRCOLARE N . 143 DEL 24 MAGGIO 1988 - Circolare n.17, dell’11 gennaio 1989 . . . . . . . . . .

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INDAGINE CONOSCITIVA SUI MODULI SPERIMENTALI . RELAZIONE FINA-LE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 256

1. Relazione finale, 256. - 2. Rappresentazione dei dati, 266.

ATTUAZIONE SPERIMENTALE DI NUOVI MODULI ORGANIZZATIVI PER

L ’ANNO SCOLASTICO 1989-90 - Circolare n. 196, del 5 giugno1989 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273

RIFORMA DELL’ORDINAMENTO DELLA SCUOLA ELEMENTARE - Leggen. 148, del 5 giugno 1990 . . . . 276

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Il presente fascicolo è dedicato al nuovo ordinamento della scuolaelementare introdotto dalla recente legge n. 148 del 5 giugno 1990.

Con esso si vuole dare un contributo fattivo per l’approfondimentodelle tematiche inerenti l’applicazione della legge.

Con l’auspicio di aver svolto un’opera utile per i docenti e i dirigen-ti scolastici impegnati nella realizzazione degli obiettivi didattici ed edu-cativi della nuova scuola elementare, rivolgiamo un particolare ringra-ziamento, oltre a coloro i quali hanno offerto il contributo intellettua-le, anche alla d.ssa Maria Luisa Preden, vice-direttore generale dellaistruzione elementare, che ha curato l’organizzazione del fascicolo.

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L’approvazione della legge n. 148 del 5 giugno 1990, concer-nente la «Riforma dell’ordinamento della Scuola elementare»,costituisce un evento di rilievo che si riflette sull’intero sistemascolastico e si pone come il compimento di un processo di inno-vazione che nell’ultimo decennio ha coinvolto responsabili poli-tici, uomini di cultura e di scuola e la medesima opinione pub-blica. Ciò fa subito certi che non si tratta di un intervento legi-slativo diretto a provocare parziali aggiustamenti nell’ordinamentodella Scuola elementare: siamo di fronte a un documento cheridisegna configurazione ordinativa e linee di funzionamento diquel segmento della scuola obbligatoria.

Non si può qui dedicare spazio a una ricognizione analiticadelle ragioni di tale atto di radicale innovazione. Basti ricordareche anche la Scuola elementare non può mancare di finalizzarela sua opera alla congrua risposta educativa a due esigenze essen-ziali. Si pone anzitutto il dovere di offrire al cittadino la possibi-lità di esercitare a pieno il diritto all’educazione, promuovendole capacità e le abilità che gli consentano di coinvolgersi respon-sabilmente ed efficacemente nella vita della comunità. Questoobiettivo educativo non è perseguibile in una scuola che preten-da di rimanere ancorata a modelli culturali oggi largamente su-perati. L’altra esigenza concerne l’improcrastinabile impegno dirafforzamento del costume democratico. Anche la vita di rela-zione si è fatta accentuatamente più complessa negli ultimi de-cenni e ai cittadini si pongono doveri partecipativi richiedentilivelli sempre più qualificati e consapevoli di presenza sociale.

Con la legge n. 148/199O si è inteso portare contributi -c’è da ritenere positivi - per concorrere alla soluzione dei pro-blemi prospettati. Vi emergono innovazioni di diversa natura:

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quelle individuabili a livello di impostazione, quale ad esempiola specificazione delle finalità educative; quelle di carattere orga-nizzatino, fra le quali emerge la configurazione dei « m o d u l i » ;quelle di natura funzionale; ecc. Rilevante significato culturale,soprattutto nella prospettiva comunitaria europea, assume l’in-troduzione dell’insegnamento obbligatorio della lingua straniera.Si deve ricordare anche la norma che prevede l’attuazione del«Piano straordinario pluriennale di aggiornamento»; norma chericonduce, oltre che ai problemi di professionalizzazione, a moti-vi politico-sociali. Non è congruo impegnarsi a strutturare unas c u o l a «democrat ica» badando solo a determinare un ordinamen-to: tutti i docenti chiamati ad operare in tale scuola devonoconseguire qualificati livelli di preparazione culturale e professio-nale. Si perviene alla realizzazione di questa generalizzata condi-zione ove le iniziative di aggiornamento non si esauriscano nel-l’ambito di gruppi ristretti di insegnanti, bensì si rivolgano allatotalità dei docenti.

Acuto interesse ha risvegliato l’introduzione dei cosiddetti «mo-duli organizzati»: è un genere di organizzazione che implicala «pluralità dei docenti». Perché più docenti anziché il «maestrounico»? Anche in campo politico si sono verificate divergenzesu questo problema; poi il Parlamento ha optato, a maggioranza,per la «pluralità». Ragioni giustificative di tale decisione sonoricavabili sia dalla consistente rivalutazione del curricolo dellaScuola elementare, operata col nuovo documento dei Programmididattici, sia dalla rilevazione che i processi culturali sono forte-mente dinamizzati e che le conoscenze subiscono sostanziali eravvicinate ristrutturazioni.

Le pagine di questo volume intendono offrire criteri di inter-pretazione della nutrita normativa della legge n. 148, nell’auspi-cio che sul complesso delle disposizioni innovative si accentrinoattenzione e intelligente interesse, oltre che di docenti e dirigentiscolastici - ai quali, in larga misura, è affidato il buon esitodell’intervento legislativo -, anche delle famiglie e delle istitu-zioni operanti sul territorio, in una comune e rinnovata consape-volezza del problema scuola.

Roma, luglio 1990SERGIO MATTARELLA

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PROGRAMMI E ORDINAMENTINELLA NUOVA SCUOLA ELEMENTARE

Mauro Laeng

La messa in pari degli ordinamenti e dei programmi dellaScuola elementare era attesa dal 1981: vale a dire da quandola commissione ristretta dei «vent i», convocata dal ministroBodrato per dare il « v i a » all’operazione programmi, aveva chie-sto subito in via preliminare al ministro che si procedessecontestualmente sui due piani. Il ministro aveva allora pro-messo di fare del suo meglio, ma le cose andarono diversa-mente; e non poterono assumere diversa andatura col mini-stro Falcucci e poi col ministro Galloni. Gli ostacoli frappostinon si contarono, a livello di forze politiche e sindacali, diConsiglio nazionale della pubblica istruzione, di commissioniparlamentari, di pubblica opinione.

E quindi un momento importante quello che segna final-mente col ministro Mattarella il conseguimento del sospiratotraguardo. Il ministro ha motivo di esserne dal suo canto or-goglioso; quanto ai mille oppositori occulti e palesi che aveva-no contrastato la legge spesso per ragioni diametralmente op-poste, è ovvio che mantengano le loro riserve. Ma intantola legge è fatta, e la Scuola elementare può intraprendereil suo cammino per la realizzazione dei nuovi programmi inmaniera meno incerta e malsicura.

Diremo fra poco delle soddisfazioni e delle insoddisfazio-ni. Ma prima di tutto si deve rammentare una premessa pro-cedurale. Quando fu convocata la commissione ristretta dei«vent i» e poi quella allargata dei «sessanta» non furono pochi

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I profeti di sventura, che pronosticarono vita breve a entram-be. E una delle ragioni più forti era appunto quella che pare-va avventuroso disegnare i nuovi programmi per una scuolache ancora «non c’era»; parecchi sostenevano che bisognava«anzitutto» provvedere agli ordinamenti, e solo dopo ai pro-grammi: prima il contenitore, poi i contenuti.

C’era tuttavia una esperienza legislativa infelice che am-moniva a non seguire questa strada: l’esempio della tentatae mai riuscita riforma della Scuola secondaria superiore, av-viata nel 1970 e rimasta sempre al punto di partenza. Allora,si era voluto affrontare il nodo delle strutture prima di quellodei programmi: col risultato di avvolgersi in inestricabili gro-vigli di difficoltà. Per le elementari si poteva e si dovevaseguire altra via: prendendo come punto di partenza la nor-mativa che aveva già consentito dal 1935 al 1945, al 1955,il varo di programmi per semplice decreto, l’ostacolo dello«stal lo» dovuto alle irrisolte diatribe parlamentari poteva es-sere aggirato. E così è stato.

Ma c’era un’altra ragione forse meno politica e più «peda-gogica» per procedere in questo modo. Le esigenze della scuolasono in prima linea educative, e se devono piegarsi nell’ambi-to dell’ordinamento statale ai vincoli di tipo amministrativoe giuridico, possono a loro volta reagire su questi sollecitan-done l’adeguazione. Secondo una dottrina largamente segui-ta, il sociale precede il giuridico e lo fonda. Ovvero, dettala cosa in maniera evangelica, « i l sabato è per l’uomo, e nonl’uomo per il sabato». Anche senza giungere a queste proposi-zioni, era certo che disegnare un progetto di scuola, primadi formare attorno a tale progetto l’abito che avrebbe dovutovestirlo, costituiva la scelta di fondo per un processo più na-turale, e per questo basato sulla fiducia nella forza delle cose.

Le cose sono andate per il loro verso, nel senso che ilprocesso si è svolto più o meno come avevano ritenuto i piùfiduciosi. Non sono mancati però momenti di incertezza, didubbio e di sconforto, quando sembrava che la «volontà poli-tica» vacillasse, e rinnegasse o almeno rinviasse le promessepiù volte ribadite. Non occorre dire che questi momenti sonostati di volta in volta strumentalizzati dai nemici della rifor-

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ma, inclini a soluzioni «minimaliste» e avversari degli stessiprogrammi ritenuti troppo avanzati. Ma sono stati strumen-talizzati anche dai troppo accesi amici della riforma in senso«massimalista». Mentre svolgevo per conto del sen. Fassinoil compito di coordinatore dei lavori, più volte proprio questiultimi minacciarono di sospendere tutto fino a che il ministro(o meglio il Parlamento) non avesse dato il « v i a » anche agliordinamenti. La pazienza necessaria fu dura, ma è stata allafine premiata.

Premiata? A questo punto conviene dire qualcosa dellesoddisfazioni e insoddisfazioni. Soddisfatto il ministro, sod-disfatti in buona misura i sottosegretari e moltissimi deputatie senatori; soddisfatto, se può avere qualche valore la dichia-razione, anche il sottoscritto. Non tutto ciò che avrei deside-rato è stato attuato, ma la politica è l’«arte del possibile»,e questa era la legge possibile con l’attuale Parlamento.

Sarebbe cecità non vedere i difetti e le difficoltà; ma an-zitutto vanno valutati gli aspetti positivi. E stato finalmenteaccettato il principio dell’orario attestato sulle 30 ore setti-manali « a regime» (inclusa la lingua straniera). E meno diquanto si era chiesto nella commissione dei «vent i» col «do-cumento di medio termine», ma sempre di più di quanto glioppositori della riforma erano disposti a concedere. Il bloccodelle situazioni di «tempo pieno» può contrariarci, ma è giàqualcosa averne salvata l’esistenza. La cosa di gran lunga piùimportante era ottenere il prolungamento generalizzato deltempo scuola, e questo è aumentato ovunque del 25%, pas-sando da 24 a 30 ore in linea di principio.

E passato di conseguenza anche il principio della pluralitàdegli insegnanti, correlato all’orario, e consolidato sulla basedel «modulo tre per due» risultato dalla sperimentazione co-me il più praticabile. Questa era una conseguenza pedagogicadi grande rilievo, e contro di essa si era scatenata una vera« b a g a r r e » con accuse destituite di ogni fondamento, come quel-la che si volessero privare i bambini di una «figura di riferi-mento» nel primo ciclo. Molti parlamentari disinformati, so-stenuti da giornalisti disinformatori, hanno confuso le esigen-ze che sono fondamentali da zero a tre anni, e ancora di

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qualche importanza limitata da tre a sei, con la situazionedei bambini scolarizzati a sei. L’esperienza ormai quasi seco-lare delle scuole montessoriane e di altre avanzate sembravanon avesse insegnato nulla a queste persone, che si sono bat-tute con zelo degno di miglior causa. Alla fine, non hannoottenuto ciò che volevano, ma sono riuscite a imporre unasoluzione di compromesso introducendo nel primo ciclo il mae-stro «prevalente», una soluzione che indebolendo il principiodella piena contitolarità rappresenta forse il punto più fragiledegli ordinamenti e che provocherà difficoltà organizzativee psicologiche.

La pluralità degli insegnanti è comunque affermata, e con-solida le esperienze già condotte. Essa spinge inoltre l’attivitàlegislativa a farsi carico urgente della formazione universita-ria dei maestri, attesa fin dalla legge del 1973 che introduce-va i decreti delegati. 1 maestri potranno infatti nel loro se-condo biennio di studi universitari scegliere discipline che ap-profondiscano un settore preferenziale. Sarà così funzionantela complementarità dei docenti entro il modulo. Rimane inol-tre decisamente respinta la insinuazione che gli ordinamentisiano stati pensati solo in funzione «sindacale» per mantenereil posto di lavoro ai maestri minacciati dal calo demograficodegli iscritti. Questa tesi obliqua era stata sostenuta da qual-che deputato isolato, ma aveva avuto degli ascoltatori fra genteostile per prevenzione alla riforma. La pluralità degli inse-gnanti era stata pensata otto anni prima dalla commissioneministeriale, al di fuori di qualsiasi nesso con problemi simili.Il voto delle Camere ha fatto giustizia delle illazioni infondate.

E passato infine, come accennavamo, il principio dell’in-segnamento della seconda lingua, benché subordinato ad unapreparazione ancora poco definita. Questo è uno dei banchidi prova della riforma, perché ne include quasi tutti gli ele-menti qualificanti: novità del curricolo, articolazione delle com-petenze, formazione degli insegnanti. Fino ad ora i risultatidelle prime rilevazioni (non esami!) compiute dal ministeronon sono molto incoraggianti. Pochi sono gli insegnanti chehanno già studiato a livello postsecondario una lingua stranie-ra (meno di uno su sette); di essi peraltro solo un terzo circa

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offre qualche garanzia di effettiva competenza; si aggiungache oltre la metà di questi è disponibile ad insegnare il fran-cese, mentre ogni sondaggio presso le famiglie dà la nettapreferenza all’inglese. Bisognerà affrontare seriamente il pro-blema, facendo tesoro di quanto il progetto ILLSE ed altriseguenti hanno evidenziato. Occorre che gli insegnanti impa-rino bene non solo una seconda lingua, ma il modo di inse-gnarla ai bambini. Forse non tutto sarà perfetto all’inizio,ma bisogna pure cominciare.

Altri aspetti minori possono essere variamente commenta-ti: come le due ore settimanali che risultano dalla differenza24-2 e che devono essere destinate a coordinare l’attività di-dattica; come la distribuzione nelle classi dei portatori di han-dicap e la presenza dell’insegnante di sostegno; come la possi-bilità di settimana corta, apprezzabile se lascia un più consi-stente tempo libero «familiare», che però richiede orarigiornalieri lunghi (da sconsigliare) o rientri pomeridiani (pre-feribili ma da organizzare con attenzione); come le ore direligione, tuttora sotto l’alternanza di pronunce giurisdizio-nali contraddittorie, ma di fatto chieste dalla stragrande mag-gioranza: esse costituiscono problema dove ci sono minoranzedissenzienti, fra i genitori o fra gli stessi insegnanti. La scuo-la ha sempre dovuto inoltre affrontare problemi particolarida luogo a luogo: e non occorre rammentare che in certe zonedel Paese ci sono ancora problemi aperti di tipo materiale,come la disponibilità di aule regolari, di servizi e di attrezza-ture sufficienti.

In conclusione, gli ordinamenti stabilizzano le situazioniche già erano innovative, e garantiscono il quadro normativoalla attuazione operativa dei programmi. Di più: determinanosituazioni a dir poco «rivoluzionarie» come la pluralità deidocenti, la esigenza della loro formazione universitaria (cherenderà obsolete anche le forme attuali, fortemente discussee discutibili, di aggiornamento polivalente e poliennale), laintroduzione della lingua straniera.

Non è esagerato dire che dai tempi del Gentile non siera visto un rinnovamento più profondo. Se si pensa che moltestrutture erano ferme al 1923, altre al 1928, non si può che

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constatare che oltre sessant’anni dopo era ora di voltare pagi-na. L’Europa ci aspetta: e l’Italia, che occupa ormai uno deiprimi posti fra i paesi economicamente e tecnologicamentesviluppati del mondo, deve guadagnarsi anche il posto corri-spondente sul piano della cultura, sviluppando la sua scuoladell’obbligo, elevandone i termini, e profondamente impegnan-dosi a una revisione della Scuola secondaria, postsecondariae universitaria. Tutto sta nel cominciare bene dal basso.

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LA PROFESSIONALITÀ DEI DOCENTI:NUOVI DOVERI E NUOVE COMPETENZE

Ferdinando Montuschi

Il profilo della nuova professionalità dei docenti, oggi, èpiù oggetto di ricerca che di certezze: e questo non solo per-ché la professione è in continua, rapida evoluzione, ma so-prattutto perché essa richiede di essere costruita e completata,anche con il contributo di coloro che la esercitano, oltre cheda norme specifiche e coerenti.

Nella ricerca e nella costruzione di un profilo - che nonpuò che essere del tutto provvisorio - vi sono comunque al-cuni sicuri punti di riferimento che possono essere tenuti pre-senti: sono i riferimenti alla normativa, i risultati deh più re-cente ricerca pedagogico-scolastica, la introduzione dei nuovi pro-grammi della Scuola elementare con tutte le loro «novità»implicite ed esplicite.

Si tratta allora di cogliere, nella professione che cambia,quelle richieste e quelle competenze che, se da un lato la carat-terizzano in maniera inequivocabile, dall’altro non possonovenire minimamente trascurate.

La identità di cui andiamo alla ricerca, infatti, non è com-piutamente indicata nella normativa scolastica, ma può esserericostruita analizzando sia l’evoluzione delle norme, sia le po-sitive risposte che in questi anni sono state date dagli inse-gnanti alle questioni scolastiche di maggior rilievo.

1 cambiamenti normativi più massicci e vistosi hanno ini-zio con la legge di delega n. 477 del 1973 ed i successividecreti delegati del 1974 in cui viene introdotto il concetto

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di «corresponsabilità educativa» ad integrazione del concettodi responsabilità individuale.

Questa nuova forma di responsabilità, condivisa fra i mem-bri di una comunità scolastica, rivoluziona non solo i rapportiinterpersonali ed operativi, ma cambia la struttura dell’inse-gnamento e della proposta pedagogico-didattica della scuola.

La pluralità degli insegnanti in sostituzione del maestro«unico», che oggi viene presentata come la grande novità,coglie di sorpresa solo quanti non si erano accorti che le pre-messe di questa innovazione erano già largamente contenutein quelle norme che già prescrivevano momenti di collegialitànella programmazione, nella verifica, nella gestione dei pro-blemi educativi e didattici della scuola.

Accanto a questa prospettiva relazionale che colloca il do-cente al centro di una pluralità di relazioni interpersonali esociali, abbiamo assistito, negli ultimi due decenni, ad unaserie ininterrotta di richieste di nuove competenze tecnichee professionali rivolte ai docenti: una competenza relativa al-la programmazione dei processi educativi, una conoscenza diquestioni docimologiche per effettuare una valutazione sia qua-litativa che quantitativa dei processi di apprendimento, unacompetenza pedagogica sempre più specialistica per collabo-rare in maniera determinante all’inserimento dei soggetti por-tatori di handicap nelle classi comuni; si è chiesto all’inse-gnante una competenza pedagogica ed una sensibilità educa-tiva aggiuntiva per awenturarsi in nuovi campi educativi: dallapsicomotricità all’educazione musicale, dall’educazione sessualeall’educazione ecologica, dalla nuova linguistica all’insegna-mento delle lingue straniere.. .

La professione docente, nella Scuola elementare, è di fat-to cambiata e cambiati risultano, pertanto, anche 1 « d o v e r i »e le competenze professionali.

Si tratta di « impegni» non esplicitati in un regolamentodettagliato ma che, di fatto, rappresentano la condizione perpoter esercitare la professione in modo efficace e coerentecon le richieste: vale pertanto la pena identificarli.

1 nuovi doveri, che si possono individuare attraverso lanormativa ed il cambiamento recente dell’attività dei docen-

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ti, si presentano più come competenze da costruire che noncome norme da rispettare: sembrano cioè fuori dalla logicatradizionale dei doveri, incentrata su ciò che si può fare esu ciò che non si può fare, per presentarsi come impegni dacostruire, da inventare, da definire e da realizzare nel mo-mento stesso in cui vengono riconosciuti come importanti efondanti la stessa professione.

Sulla linea di queste considerazioni è allora possibile ini-ziare la ricerca di un nuovo profilo professionale cominciandodalla individuazione e dall’analisi dei nuovi doveri-competenzerichiesti nella scuola di oggi.

1. L'AUTONOMIA CULTURALE .

L’introduzione dei nuovi programmi sembra innanzi tuttorichiedere ed esigere dall’insegnante una nuova competenzaculturale: non solo maggiori conoscenze intorno alle discipli-ne che sono oggetto di insegnamento, ma anche e soprattuttouna nuova autonomia culturale che gli consenta di elaborarecultura e di utilizzare in maniera originale i contenuti delsapere. Il diritto-dovere all’aggiornamento e alla sperimenta-zione nella scuola sono indicazioni precise al riguardo chemeriterebbero uno specifico approfondimento.

L’autonomia culturale è la premessa necessaria affinchél’insegnamento non si riduca ad una ripetuta trasmissione diinformazioni ma diventi una rinnovata costruzione del sape-re: una crescita che avviene all’interno della scuola stessa eche garantisce all’apprendimento non solo freschezza e novitàma soprattutto motivazione e significato.

Quando parliamo di autonomia culturale possiamo a buondiritto sostenere che si tratta di un dovere: ma con altrettantiargomenti possiamo affermare che si tratta anche di un «di-ritto» per l’insegnante raggiungere questo livello che gli con-sente di uscire da un ruolo di pura esecutività. Si apre quitutto il capitolo della formazione degli insegnanti che merite-rebbe una trattazione del tutto particolare.

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2. LA DISPONIBILITÀ AL CAMBIAMENTO.

Una condizione fondamentale per esercitare la professio-ne docente nella realtà contemporanea è la disponibilitàal cambiamento. Non si tratta di una accettazione acriticaper ogni novità. L’entusiasmo puramente emotivo per tuttociò che è nuovo può portare a fanatismi pericolosissimi,a forme di «dipendenza» irrazionali. Si può giungere perfinoa dar vita ad un bisogno «artificiale» di novità svalutandoil valore ed il significato di tutto ciò che non presentail luccicore del nuovo. È così che la corsa esclusiva versociò che ancora non esiste rende spesso impossibile la perce-zione del significato di quella realtà e di quel presenteche già esistono.

Il comportamento opposto a questa forma di fanatismoè la resistenza ad ogni novità. Si tratta di un atteggiamentopiù frequente, anche perché più comodo, meno rischioso edispendioso. Molti sono i modi di difendersi dai cambiamen-ti: dalle forme di svalutazione ( « M a queste cose le abbiamosempre fatte...»), fino alla esagerazione delle difficoltà («è trop-po difficile... è utopia fare tutto questo»); dal bisogno di si-curezza statica («era tanto bello fare scuola come prima...»),fino alla svalutazione delle capacità proprie e della categoria(«non saprò mai fare quello che ci chiedono; p r i m a dovremmoprepararci.. .»).

Disporsi al cambiamento significa avere il coraggio di met-tersi in discussione, di esporsi; significa rinunciare a sentireil passato come l’unica sicurezza cui è possibile aggrapparsi.Disporsi al cambiamento significa cogliere nel presente le ra-dici del futuro, osservarle con curiosità ed alimentarle coninteresse.

La novità turba quando coglie di sorpresa: è per questoche ha bisogno di essere attesa, considerata come il risultatonormale dello scorrere della vita personale e professionale.Per essere accolta, ha bisogno di trovare una corrispondenzainteriore nella persona e di essere interpretata come l’incon-tro inevitabile del passato con il presente, il prodotto natura-le di quanto di positivo e di negativo è già stato consumato.

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3. RICOSTRUIRE L’IDENTITÀ PROFESSIONALE.

Accettare il cambiamento, come nel caso della introduzio-ne della pluralità degli insegnanti in sostituzione del docenteunico, può significare anche «ricostruire» la propria identitàprofessionale. Il maestro vede all’improvviso la propria im-magine professionale dividersi, frantumarsi: la crisi di identi-tà è inevitabile e non può essere superata in termini pura-mente organizzativi di distribuzione di ore, di compiti, diinterventi.

Pensare la propria professione divisa e vissuta in relazio-ne impegna l’insegnante, ciascun insegnante, a ricostruire dallefondamenta le proprie identità. La unità « i n relazione» è in-fatti molto diversa dalla unità raggiunta attraverso la unicitàdella propria persona e del proprio ruolo. Si tratta allora discoprire il senso della propria professionalità e di superarela sensazione di «divisione», guadagnando la consapevolezzadella «condivisione». Si tratta di un cammino possibile, maanche lungo ed emotivamente costoso che può essere facilita-to dalla disponibilità al cambiamento: un «dovere» atipico chesi configura come una trama effettiva e razionale che passaper l’intera personalità e che caratterizza capacità, rapporti,atteggiamenti verso di sé e verso gli altri.

4. AFFRONTARE LA CRITICA.

Uno dei problemi enfatizzati dalla introduzione della plu-ralità degli insegnanti riguarda la preoccupazione per la criti-ca. Lavorare insieme significa mostrare le proprie capacità,i propri limiti e, quindi, esporsi al confronto, al giudizio, allacritica.

La critica più pesante è quella che «immaginiamo» di sen-tire sul nostro conto da parte dei colleghi, dei superiori, deigenitori degli alunni. Non è tanto, o solo, quello che lorodicono a preoccupare, quanto piuttosto quello che noi «peri-siamo» che essi dicano di noi. In questo senso la fantasiadella critica è più pesante della critica stessa.

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Questa fantasia è tanto più dolorosa quanto più noi siamocritici con noi stessi. La critica degli altri, vera o presunta,diventa infatti intollerabile quando noi la temiamo in virtùdella nostra insicurezza, della nostra disistima. Quando noicritichiamo noi stessi, ogni sguardo ci sembra severo, ogniparola assume un significato minaccioso e la vita di relazionediventa insopportabile. Possiamo dire più semplicemente chequando combattiamo noi stessi ed abbiamo dentro di noi laguerra, sul piano dei rapporti sociali il conflitto è inevitabileed insanabile.

La capacità di affrontare la critica «es te rna» è dunquelegata alla capacità di stabilire con se stessi un rapporto posi-tivo ed accettante risolvendo positivamente la critica «inter-na». Si tratta di premesse fondamentali, «doverose» per co-struire la propria identità, ed anche di prerequisiti essenzialiper avventurarsi nelle relazioni interpersonali e sociali all’in-terno della scuola.

5. VIVERE IL GRUPPO.

Il passo successivo potrà essere dato dalla capacità di vi-vere positivamente in gruppo. La vita di gruppo è un’espe-rienza che può essere «appresa» e le competenze comporta-mentali precedentemente ricordate possono costituire un’uti-1e premessa al riguardo. Il tema meriterebbe un’analisiapprofondita e, soprattutto, un apprendimento « i n situazio-ne». Nel breve spazio disponibile mi limito a segnalare tretappe evolutive della esperienza di gruppo che possono costi-tuire un punto di riferimento nel vivere questa fondamentaleesperienza professionale.

La prima fase è il momento più critico perché vede l’indi-viduo, nella sua solitudine, di fronte al gruppo. E la fasedenominata, appunto, della «dinamica individuo-gruppo» do-ve ogni persona ha di fronte « g l i altri» considerati come indi-vidui anonimi, senza volto e senza nome, che nel loro insie-me costituiscono una realtà monolitica: il gruppo.

In questa prima fase il gruppo è sentito come minaccioso,

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potente, inattaccabile. La lotta per la sopravvivenza è moltodura e la domanda permanente che ogni membro del grupporivolge a se stesso è: « C h e cosa ci guadagno da questa espe-rienza?». La risposta determina la presenza attiva o la parte-cipazione passiva, la permanenza o l’abbandono.

La seconda fase riguarda i «rapporti interpersonali» edè caratterizzata dalla «scoperta» di alcuni membri del gruppo.Si tratta di « c a t e n e » di relazioni, di sottogruppi disposti avivere ed a produrre facendo sentire la loro presenza nell’in-tero gruppo. Tali gruppi possono diventare utili alla comuni-tà, oppure specializzarsi nella contestazione permanente.

Il gruppo può allora regredire fino a diventare il luogopermanente dei conflitti, oppure può evolvere verso la fasesuccessiva: quella dei «rapporti sociali». E questa la fase dellamaturazione piena delle relazioni ed ogni individuo sente diappartenere al gruppo e di essere espresso dal gruppo. Prevaleil senso del « n o i » , prevale l’accettazione delle diversità e sicrea una intimità sociale fatta di comunione fra i membridel gruppo. Si tratta di un’esperienza particolare, non semprefacile da realizzare, ma possibile anche in ambiente scolastico.

6. SCOPRIRE LA DIVERSITÀ E LA PLURALITÀ,

Un requisito professionale che può diventare «doveroso»riguarda il rapporto con la «divers i tà» che caratterizza i colle-ghi di lavoro. La diversità di idee, di punti di vista, di meto-di di intervento, di sensibilità educativa... non è occasionalee nemmeno può essere considerata un incidente di percorso.La diversità è una norma ed il pluralismo dei punti di vistaè conseguente ai criteri adottati per il reclutamento dei docenti.

La diversità è generalmente percepita come una minaccia,un’aggressione alle proprie idee: da qui la fuga o l’attacco,il silenzio o la messa al bando dell’«avversario».

La tentazione di «vedere chi vince» o chi possiede la veri-tà è sempre molto forte ed urta con un sano principio plurali-sta. Lo stesso sistema democratico risulta riduttivo quandoviene applicato alla vita di una comunità, di una famiglia.

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Non si tratta di collocare operatori - che hanno uguale ti-tolo per incidere sulla educazione dei ragazzi - nel gruppodi maggioranza o di minoranza, nel gruppo di chi ha avutoragione o in quello di chi ha avuto torto.

Nella scuola, dove tutti i docenti hanno lo stesso dirittoad educare, indipendentemente dalle idee e dalle convinzioniche professano, le diversità hanno bisogno di essere «valoriz-zate e integrate». Si tratta di un lavoro lungo e difficile e,insieme, entusiasmante che le due strade maestre della vitaprofessionale - il « f a r e » insieme e lo «s ta re» insieme - pos-sono consentire di realizzare e di portare a compimento.

7. V ERSO LA DEFINIZIONE DI UN PROFILO : LE DIMENSIONI

CENTRALI.

Il rapido excursus sulle nuove competenze richieste al do-cente ci porta ad identificare due fondamentali dimensionidella sua professionalità: quella «culturale» e quella «relazio-nale». Analizzando queste dimensioni saremo in grado di av-vicinarci maggiormente a quel nuovo «profilo» professionaledi cui andiamo alla ricerca.

1 nuovi programmi richiedono una diversa cultura all’in-segnante: il rischio maggiore che si può correre, di frontea questa legittima richiesta, è di interpretarla in senso pura-mente quantitativo, senza riferimenti ad una teoria, ad un«model lo» di cultura funzionale, al compito. All’insegnantedella Scuola elementare non basta «sapere di p i ù » ; così comesi rivelano del tutto inadeguati i modelli di «maggior cultura»esistenti ed utilizzati in altri tipi di scuola. In altre parole,se si passasse dall’attuale modello di cultura a quello utilizza-to nella Scuola media inferiore avremmo fallito completamen-te l’obiettivo: ci troveremmo di fronte ad una pericolosa se-condarizzazione della Scuola elementare con la conseguenteperdita della sua identità: ci troveremmo cioè di fronte aduna perdita del valore prevalentemente formativo dell’appren-dimento, verrebbe sconvolto e annullato il concetto di disci-plina «gradualmente emergente», verrebbero sovvertiti i pro-

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cessi di apprendimento e la loro unità interdisciplinare: inuna parola, avremmo un pericoloso anticipo di quel saperedisciplinare che nella Scuola elementare rappresenta una me-ta, non un punto di partenza.

Il modello di cultura che « s e r v e » all’insegnante della Scuolaelementare deve potersi configurare a due dimensioni bilan-ciate e prevedere da un lato le discipline da apprendere e, dal-l’altro, l’alunno che apprende. Il sapere disciplinare va pertan-to ripensato in funzione non solo di una sua «elementarità»conoscitiva, ma anche e soprattutto nella sua possibilità diessere utilmente proposto in processi di apprendimento gra-duali, significativi, motivati, capaci di riunificare e insiemedi scomporre i diversi saperi disciplinari.

Questa padronanza culturale non può allora essere acqui-sita isolatamente e rimanere separata da una competenza ma-turata intorno al «sogget to» dell’apprendimento. La conoscenzadel soggetto che apprende e la conoscenza dell’oggetto daapprendere richiedono di essere considerate e acquisite con-giuntamente attraverso quella competenza specifica che è pro-pria del docente della scuola primaria.

La fuga verso le discipline può portare verso la seconda-rizzazione, così come l’attenzione esclusiva al soggetto - chenon sia anche il soggetto che apprende e che realizza il suo«diritto allo studio» - potrebbe portare ad una forma distallo o di pericolosa regressione. I nuovi programmi devonoessere tenuti al riparo da questi rischi, soprattutto da quellodi portare l’insegnante verso una cultura specialistica di tipodisciplinare che, inevitabilmente, darebbe alla proposta di-dattica un carattere di pericolosa secondarietà. Vale allora lapena di analizzare in che senso una «maggior» cultura possanon solo evitare deformazioni ma portare la Scuola elementa-re a meglio realizzare le finalità che le sono proprie.

8. UNA SPECIALIZZAZIONE ATIPICA .

La cultura che possiamo ipotizzare e auspicare dovrà con-sentire al docente di identificare soprattutto il «potenziale

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educativo» di ogni disciplina: quel potenziale che gli consen-tirà di programmare e di verificare gli effetti formativi del-l’apprendimento disciplinare distinguendo i progressi dell’al-lievo sia rispetto alla struttura essenziale della disciplina, siain ordine alla sua maturazione cognitiva ed affettiva. Questaduplice valenza formativa potrà essere raggiunta attraversolo studio congiunto dei contenuti disciplinari e dei processidi apprendimento - singolarmente molto differenziati - del-l’alunno che vive l’esperienza scolastica.

Una cultura funzionale all’insegnamento elementare, oggi,più di ieri, richiede anche una atipica <(specializzazione>>, unaqualificazione per aree o per settori che consenta al collegiodei docenti di suddividere dei compiti, degli interventi, dellearee di insegnamento. L’insegnamento della lingua stranieranon è che un esempio di specializzazione richiesta, a cui pos-siamo aggiungerne altri: l’educazione al suono e alla musica,l’educazione all’immagine, l’educazione fisica.. .

La specializzazione per l’insegnante elementare, pur ne-cessaria e insostituibile, non può avere come modello la spe-cializzazione disciplinare del docente di Scuola media in cuila disciplina diventa patrimonio esclusivo, concluso. La spe-cializzazione, accanto alla finalità di acquisire una competen-za specifica e integrabile con altre competenze per la struttu-razione di un mosaico significativo di insegnamenti, ha unfondamentale valore di metodo: quello di dare all’insegnantel’opportunità di sperimentare la ricerca disciplinare, di impa-dronirsi degli strumenti di costruzione del sapere che possonoessere appresi e utilizzati, come si sa, solo all’interno di uncampo ristretto.

L’esperienza della ricerca, l’uso di strumenti specifici percondurre approfondimenti in un’area disciplinare <(educa>> inmaniera diversa e consente di andare in profondità - nonimporta in quale settore disciplinare - anziché rimanere sulpiano della estensione. Questa esperienza formativa, anchese limitata, può diventare esemplare, estendibile ad altre areedisciplinari e mettere in moto una capacità di elaborazioneculturale di grande utilità per chi insegna anche ai livelli piùelementari.

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La specializzazione correttamente intesa può produrre ef-fetti di grande portata formativa; paradossalmente, potrem-mo ipotizzare che l’insegnante elementare, specializzato in un’a-rea disciplinare, potrebbe venire utilmente incaricato di inse-gnare in un’altra area disciplinare. Se questa ipotesi a primavista può apparire assurda, o per lo meno antieconomica, allaprova dei fatti potremmo riscontrare in essa un duplice posi-tivo risultato: un facile orientamento del docente in altre areedisciplinari, ed una più facile e proficua realizzazione del prin-cipio della interdisciplinarietà.

Un secondo problema della formazione docente riguardainfatti la costruzione e la intesa su un comune progetto educa-tivo, pur nella diversità degli interventi, degli insegnamentie delle diverse presenze nella scuola.

La capacità di raggiungere questa finalità sarà allora favo-rita e garantita dalla esperienza di pensare insieme un proget-to educativo e di realizzarlo con una significativa suddivisio-ne di compiti, una distribuzione di impegni qualificati, unaverifica costante e collegiale dei risultati che vengono rag-giunti. La capacità di condividere una cultura, l’uso di uncomune linguaggio pedagogico, la capacità di elaborare un pro-getto educativo «temperato» da specializzazioni complemen-tari, sono i risultati auspicabili di «specialismi atipici», deltutto diversi da quelli che possiamo riscontrare negli altri or-dini di scuola.

La visione d’insieme dell’esperienza educativa, la capacitàdi interventi specifici e la realizzazione operativa della corre-sponsabilità educativa sembrano allora configurare un model-lo preciso, funzionale della nuova cultura professionale delmaestro.

9. D ALLA RESPONSABILITÀ ALLA CORRESPONSABLITÀ EDUCATIVA.

Un secondo asse portante del nuovo profilo professionaledel docente della scuola primaria può essere identificato nellacapacità di interagire con i colleghi, nella capacità di vivere« i n relazione» la professione e nel condurre ogni intervento

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- individuale o collettivo - all’insegna della «corresponsabi-lità educativa».

Può risultare utile, a questo proposito, entrare nel meritodel problema del «superamento» del maestro unico: una inno-vazione che modifica in maniera non trascurabile la fisiono-mia della nuova professionalità degli insegnanti elementari,e che pone altresì interrogativi non indifferenti sul piano edu-cativo.

La legge che prevede l’abolizione del maestro <<unico>>, ela introduzione di più insegnanti nello stesso gruppo classedella Scuola elementare, ha avviato un vivace dibattito cheinteressa non solo la categoria dei docenti ma anche la gene-ralità delle famiglie. E questo «doppio» interesse alimenta to-ni aspri, incomprensioni, equivoci trasformando la questionein un inevitabile tiro alla fune dove da un lato vengono collo-cati gli interessi delle famiglie e dei bambini e, dall’altro,quelli corporativi degli insegnanti.

1 sostenitori della «unic i t à» del docente nei primi annidella scolarizzazione hanno buone ragioni nel voler garantireal bambino una figura importante di riferimento, un educato-re che assicuri un passaggio «morb ido» dalla esperienza fami-liare a quella scolastica. Questo è infatti un momento critico,delicato che fa registrare in ogni bambino, anche se in formeindividualmente molto differenziate, degli assestamenti emo-tivi forti: si pensi alla diversa esperienza di sicurezza che ilbambino vive nella relazione con i «par i» , alla diversa auto-nomia che sperimenta nella scuola e, soprattutto, alla nuovaimmagine di sé che costruisce mentre vive la particolare espe-rienza di apprendimento scolastico. Una immagine che, comesi sa, costituisce una eredità destinata a rimanere nel tempoe ad incidere profondamente sia nella scolarizzazione sia nellavita del ragazzo.

Non è dunque in discussione la necessità di garantire albambino una figura di riferimento che stabilisca con lui unrapporto da cui egli possa ricavarne fiducia e sicurezza: ilvero problema è di verificare come questa esperienza si rea-lizzi e come questa figura, «unica» per importanza, entri nellavita del bambino.

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L’ipotesi di quanti sono preoccupati per l’introduzione dellenuove norme nasce dalla convinzione che quella persona «spe-ciale» di cui il bambino ha bisogno si identifichi proprio conquell’insegnante «unico» che oggi la legge vuole abolire. Que-sta ipotesi merita qualche considerazione e qualche verifica.

Alcune interessanti osservazioni possono essere condottepartendo dalla situazione pre-scolastica e analizzando le rela-zioni che il bambino vive in famiglia. La prima e più elemen-tare constatazione è che il bambino non trova, ad esempio,un genitore «unico», anche se il ruolo materno è noto perla sua importanza primaria. Ma per rendere efficace il ruolomaterno non lo si isola: nessuno ha mai pensato di allontana-re il padre, di isolare i nonni o di regolamentare la presenzadegli altri familiari. Eppure proprio i primissimi anni di vitarisultano i più delicati per lo sviluppo e mai, come nell’etàprescolastica, il riferimento ad una figura significativa potrebbeessere sostenuto con tanta forza.

Il bambino, dunque, nasce a contatto con una pluralitàdi figure importanti e, prima del suo ingresso nella scuola,ha già una sua esperienza di rapporti plurimi. Ed è proprioall’interno di questa molteplicità di relazioni che matura ilsuo rapporto importante, trova la persona insostituibile e inqualche modo «unica».

E già interessante rilevare come questa unicità nasca al-l’interno di una pluralità di figure significative e come talerisultato derivi da una elaborazione del bambino e non daun semplice incontro con una persona isolata dalle altre.

Un dato ancor più interessante proviene dall’analisi delcomportamento condotta dagli psicoterapeuti, volta ad iden-tificare le persone che hanno veramente lasciato una tracciaprofonda nei loro pazienti, nel periodo della prima infanzia.A volte si scopre che un nonno ha inciso più di ogni altrapersona, altre volte può risultare di grande importanza unozio o un parente che nel contesto familiare sembrava in posi-zione del tutto periferica.

Questi dati di realtà, nella loro evidente semplicità, ciportano a concludere che quella figura «unica» importanteche garantisce sicurezza ed efficacia al dialogo educativo non

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è sempre quella che la comunità offre al bambino ma è quellache il bambino seleziona all’interno di una rete di relazionisignificative e tra di loro complementari.

Trasferendo il discorso alla Scuola elementare, non abbia-mo la sicurezza che quell’insegnante « u n i c o » , che l’organizza-zione offre al bambino, rappresenti per lui la naturale conti-nuità e la migliore sostituzione di quella figura significativaidentificata nella sua esperienza prescolastica. Non siamo nem-meno sicuri che la presenza di un solo insegnante faciliti ilbambino nella scelta della sua figura ottimale di riferimento.Se rimaniamo all’esperienza pregressa dovremmo anzi dire chela situazione del maestro unico contrasta con la situazionerelazionale familiare più ancora della soluzione pluralista.

Non intendo sostenere che la figura del maestro unicosia «sbagliata» e che siano stati sprecati secoli di buone occa-sioni educative; intendo solo dire che la preoccupazione perl’abolizione di questa figura è più degli adulti che del bambi-no: è una preoccupazione adulta che svaluta la capacità delbambino di stabilire, nella scuola come in famiglia, una plura-lità di relazioni differenziate e selezionate e che affida allaformula organizzativa della «offerta unica» la soluzione delproblema.

La vera questione consiste non nell’introdurre uno o piùinsegnanti ma nel « m o d o » con cui ciascuno degli operatorisi porrà nei confronti del bambino. Ogni formula organizzati-va ha i suoi rischi: nella soluzione del maestro unico il rischiomaggiore è quello della relazione «simbiotica», mentre nellasoluzione pluralistica il rischio più forte sembra legato al la-voro di gruppo improvvisato.

Ancora una volta, allora, il problema si sposta dalla for-mula organizzativa alla formazione professionale, alla qualitàdelle prestazioni su cui varrebbe la pena di concentrare nonsolo il dibattito ma anche migliori investimenti.

Siamo così giunti all’altro versante del problema: l’inter-vento educativo in regime pluralistico.

Affidare l’insegnamento alla responsabilità di più docentinon è una invenzione della nuova legge; non è nemmeno solofrutto della commissione così detta dei «sessanta» che ha ela-

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borato i nuovi programmi della Scuola elementare: è il risul-tato di un lento lavoro di maturazione della pedagogia scola-stica che ha trovato un suo primo impulso nella già citatalegge di delega del 1973, e nei già citati decreti delegati del1974, che contengono il principio realmente innovativo della«corresponsabilità educativa». Un principio che ha fatto pocoscalpore quando è apparso e sicuramente è rimasto oscuratoda quelle forme più vistose di partecipazione alla vita dellascuola fatta di presenze rappresentative, di assemblee, dielezioni.

La corresponsabilità educativa del corpo docente si è fat-ta strada silenziosamente all’interno delle istituzioni scolasti-che proponendo agli insegnanti momenti operativi per la suarealizzazione concreta: aggiornamento, sperimentazione, pro-grammazione, verifiche.. . Alcune norme, alcuni comportamentiscolastici risultano addirittura incomprensibili al di fuori delconcetto di corresponsabilità: si pensi, ad esempio, alla nor-ma contenuta nella legge n. 517 del 1977 che prevede, perla non ammissione di un alunno alla classe o al ciclo successi-vo, una decisione collegiale degli insegnanti di classi parallele;una collegialità giustificata non dai dati conoscitivi dei colle-ghi nei confronti dell’apprendimento dell’alunno, ma dalla realecondivisione di responsabilità in una decisione ritenuta di par-ticolare importanza nella vita della scuola.

E proprio questa corresponsabilità che ha espresso la so-luzione della pluralità di docenti per ciascuna classe: uno stiledi lavoro da perfezionare che richiede all’insegnante non solodi imparare nuove tecniche di lavoro ma anche di riscoprireuna sua nuova identità professionale e di recuperare per altravia quelle tradizionali sicurezze che il suo ruolo « u n i c o » sem-brava garantirgli, (cfr. «Uno o più maestri?», in «Avvenire»,6 dicembre 1989).

10. INDICAZIONI CONCLUSIVE .

L’intento di questo contributo non è quello di tracciareun profilo analitico e definitivo della nuova professionalità

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del docente quanto piuttosto quello di indicare gli elementiper costruirlo. Una professionalità «definita», conclusa puòdare sicurezza ma non aiuta ad interpretarla, a viverla, a mo-dificarla così come richiedono i fatti e la realtà sempre diversa.

La professione docente - come del resto ogni professio-ne - ha bisogno di essere continuamente ricostruita, «re in-ventata». In questo lavoro creativo non basta la sola geniali-tà: sono necessari degli ingredienti «sicuri», delle capacità sta-bili, delle sicurezze « i n movimento».

La nostra analisi ci ha consentito di identificare alcunipassaggi fondamentali per la costruzione della nuova profes-sionalità del docente della Scuola elementare. Innanzi tuttoun diverso modo di gestire i processi di alfabetizzazione deiragazzi: non lo svolgimento di un programma, ma la elabora-zione di un curricolo. E questo equivale a dire che la funzio-ne docente passa da una posizione di esecutività ad una posi-zione di elaborazione responsabile. L’insegnante da esecutorediventa protagonista.

Un secondo inevitabile passaggio, conseguente al prece-dente, porta l’insegnante di fronte ad un diverso impegnoculturale. Una cultura specifica, speciale - non specialisticasecondo l’accezione utilizzata in altri ordini di scuola, ma de-finitivamente fuori da ogni genericità - diventa assolutamen-te necessaria. Le prestazioni sempre più qualificate richiesteai docenti della Scuola elementare esigono una cultura di grandelivello che non può essere mutuata da nessun altro modelloformativo e che, pertanto, va «ripensata» tenendo conto diquei fondamentali esiti finali di autonomia culturale, di com-petenza pedagogica e di competenza relazionale sia orizzonta-le che verticale.

La corresponsabilità educativa diventa così il tessuto con-nettivo di tutto il profilo professionale del docente. Su que-sto tema sembra doversi incentrare particolarmente l’atten-zione perché si tratta non semplicemente di un compito ag-giuntivo, ma di una condizione di base, di una convinzioneradicale e di una decisione razionale oltre che di un atteggia-mento permanente. La corresponsabilità è alimentata da con-vinzioni e da competenze che non si improvvisano, ma che

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si possono «apprendere». Questa esperienza è relativamenterecente e la tradizionale nozione di «dovere individuale» nonsolo non aiuta, ma può addirittura ostacolare la «corresponsa-bilità educativa». Sembra allora questo uno dei punti su cuivale la pena gettare le basi più solide.

In questo quadro di elementi da ricondurre ad unità meri-ta allora una considerazione la gloriosa e discussa nozionedi «dovere» professionale. La nuova professionalità, così co-me si sta configurando, non mette in discussione i tradiziona-li valori di impegno, puntualità, rispetto delle norme contrat-tuali.. .; accanto a questi sembrano tuttavia emergere altri do-veri richiesti soprattutto dalla specificità degli interventi edalla collegialità nella loro conduzione.

Rispetto al «dovere da compiere» il vero cambiamento nonè solo di «regolamento», di normativa codificata. La profes-sione in evoluzione sembra avanzare nuove richieste non sem-pre traducibili in prescrizioni scritte. Il vero « d o v e r e » sembraallora consistere in questa capacità di interpretare la richiestaimplicita, la regola non espressa, di eseguire un compito nonprescritto, ma individuato come essenziale. Cambiando radi-calmente la prospettiva tradizionale, potremmo allora dire cheil nuovo dovere consiste proprio nel saper identificare i dove-ri fondanti e costitutivi la professione, nel costruire la stessaprofessionalità facilitando il suo emergere dalla situazione sco-lastica e sostenendola con quel tipo di presenza così ricca,complessa e differenziata che non può essere scritta una voltaper sempre, né pietrificata in un regolamento definitivo (cfr.«Professionalità: da garanzia a progetto», in «I1 Maestro», n.1-2,. 1990).

E come dire che la professionalità si costruisce non solorealizzando delle idee e non solo rispondendo a dei bisogniemergenti ma facendo in modo che le une e gli altri conviva-no, si chiariscano, si sostengano, si integrino in una circolari-tà ininterrotta, governata da quanti si sentono responsabilie protagonisti in una scuola che cambia.

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LA DIDATTICA NEI NUOVI ORDINAMENTIPER LA SCUOLA ELEMENTARE

Benedetto Vertecchi

La legge che stabilisce nuovi ordinamenti per la Scuolaelementare si presenta densa di implicazioni sul piano didat-tico. Non s i limita infatti a indicare principi generali per l’i-struzione primaria e a stabilire una struttura formale per ilfunzionamento delle scuole: dalla legge traspare la preoccupa-zione del legislatore di acquisire le indicazioni derivanti dallaricerca didattica e di predisporre una struttura sufficiente-mente flessibile per consentire adattamenti successivi. L’at-tenzione agli aspetti didattici si rivela già in apertura dellalegge, dove si individua nella prima alfabetizzazione culturaledella popolazione l’intento che la scuola primaria deve per-seguire.

Aver posto l’enfasi su un compito che si qualifica comevolto essenzialmente alla trasmissione di competenze costitui-sce una risposta al movimento di opinione che è venuto pro-gressivamente crescendo non solo in Italia, ma in generalenei paesi industrializzati. Si tratta di un movimento che ten-de a ridefinire il ruolo della scolarizzazione, e in particolaredi quella obbligatoria, una volta conclusasi la fase di sviluppotendente ad assicurare a tutta la popolazione il diritto ad unaformazione di base. Non che non esistano ancora sacche diinadempienza, ma esse sono generalmente rivelatrici di unmalessere sociale che sarebbe improprio pensare di risolvereagendo soltanto dal versante scolastico. Ben più rilevanti so-no invece i problemi che si pongono dal punto di vista della

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qualità della formazione: è vero che tutti, o quasi, vanno ascuola; ma quanti sono gli allievi che al termine della forma-zione obbligatoria dispongono, al di là degli esiti sanciti for-malmente, di quel corredo di abilità e di competenze conside-rato necessario dai programmi vigenti nella Scuola elementa-re e in quella media ed efficacemente riassunto nella formulaprima alfabetizzazione culturale, che compare nella legge suinuovi ordinamenti? Si tratta, come è chiaro, di una domandaretorica, alla quale sarebbe difficile rispondere senza esprime-re giudizi certamente non esaltanti sul quadro di competenzeche caratterizza gli allievi al termine di otto anni di istruzio-ne di base. Ma proprio in questo atteggiamento generalmentecritico del pubblico nei confronti degli esiti della formazionescolastica si può individuare la linea che, in positivo, emergedal dibattito in corso: non si può continuare a considerarela scolarizzazione un bene in sé, indipendentemente dai risul-tati che attraverso la formazione gli allievi conseguono. Oc-corre perseguire, dopo quello dell’estensione quantitativa del-la scuola, un obiettivo di qualità della formazione, che legitti-mi il ruolo del sistema d’istruzione nel contesto sociale, diafiducia al pubblico circa le caratteristiche del servizio scola-stico, risponda al crescere delle esigenze di cultura nel mondocontemporaneo.

Ma se l’indicazione di un intento di qualificazione cultu-rale costituisce una risposta appropriata al modificarsi delladomanda di istruzione, altri aspetti della legge, che pure han-no diretta incidenza nel determinare il quadro dell’attivitàdidattica, appaiono ancora scarsamente determinati, anche seil carattere flessibile di varie norme può far pensare che inseguito potrà aversi una maggiore precisione. In particolare,non appaiono congruenti con gli intenti di qualificazione del-l’istruzione primaria le indicazioni che si riferiscono alla revi-sione dei profili professionali dei docenti. E vero che si fariferimento alla necessità di promuovere un piano nazionaledi aggiornamento, che investa sia gli aspetti metodologici, siaquelli di contenuto, ma le soluzioni adombrate ricalcano schemiche hanno già mostrato di non poter essere efficaci. Se èapprezzabile che la legge, nel dettare nuove norme sul fun-

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zionamento della Scuola elementare, abbia previsto interven-ti volti a porre gli insegnanti in condizione di operare effica-cernente nel contesto che verrà a determinarsi, lascia perples-si la ritualità delle linee che vengono enunciate: si leggonoi consueti richiami agli IRRSAE, alle università, ecc. In con-creto, ciò significa che l’ipotesi di aggiornamento adombrataconsiste nell’organizzazione di un numero enorme di corsi ditipo tradizionale, ciascuno dei quali si rivolgerà ad un gruppodi insegnanti troppo ampio per consentire una efficace inte-razione tra i partecipanti e troppo ristretto perché si possanoadottare strategie razionali di intervento, che richiedono ne-cessariamente tempo e risorse per la loro progettazione e rea-lizzazione. Inoltre, proprio il gran numero di corsi che do-vranno essere organizzati non potrà non porre limitazioni perquel che riguarda il livello di approfondimento degli argo-menti trattati. In breve, un piano di aggiornamento che se-gua gli indirizzi rapidamente richiamati non sembra adeguatoad offrire al personale della Scuola elementare quella oppor-tunità di formazione in servizio che non è solo volta a farfronte alle innovazioni, ma anche a compensare i limiti chetutti conoscono, presenti nella formazione iniziale.

Basterebbe, per rendersi conto della complessità del pro-blema, confrontare la cultura didattica che traspare dalla leg-ge con l’inconsistenza degli insegnamenti professionali impar-titi nell’Istituto magistrale. Se a queste componenti di carat-tere metodologico si aggiunge l’enorme divario che separa iprogrammi di insegnamento nelle varie discipline previsti perla Scuola elementare dai programmi sui quali continua ad es-sere condotta la preparazione dei maestri nell’Istituto magi-strale, emerge un quadro che ha bisogno di soluzioni benpiù drastiche ed incisive di quelle che possano derivare dal-l’offerta dei consueti corsi di aggiornamento: a dar retta aiprogrammi, gli scolari spesso dovrebbero saperne più dei loroinsegnanti.. .

Anche se le modalità di formazione iniziale degli inse-gnanti verranno modificate, spostando la fase conclusiva ditale formazione a livello universitario, i benefici per il funzio-namento della Scuola elementare non potranno sentirsi che

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a distanza di molti anni, ossia quando il ricambio di persona-le avrà assunto una certa consistenza. Occorre quindi pensarea soluzioni che possano essere praticate immediatamente, cheassicurino una offerta culturale e professionale il più possibileomogenea e che si segnalino per un elevato livello qualitati-vo. Si tratta di soluzioni che richiedono di concentrare lerisorse disponibili, anziché disperderle in una miriade di rivo-li. Bisogna tener conto del fatto che in Italia non c’è ancorastata una politica volta ad accumulare risorse conoscitive incampo didattico. La ricerca in questo settore è stata lunga-mente osteggiata nella prima metà di questo secolo, e nonè stata certamente incoraggiata nei decenni successivi. La ri-tualità che assumono generalmente i discorsi sull’aggiornamentoconsiste proprio nel non considerare questa anomalia del qua-dro italiano: quando si afferma che gli IRRSAE e le universi-tà saranno investiti del compito di curare la formazione inservizio di centinaia di migliaia di insegnanti si lascia inten-dere che vi siano grandi risorse di competenza didattica accu-mulate, e che sia solo necessario provvedere a distribuirle.E vero il contrario: le risorse di competenza di buona qualità,e cioè scientificamente attendibili e non mere teorizzazionidel senso comune o mediazioni di seconda o terza mano, so-no estremamente limitate. Se nella prospettiva di tempi lun-ghi si può proporre di incentivare la ricerca didattica, neitempi brevi soluzioni efficaci possono venire solo dalla con-centrazione delle risorse per avviare iniziative in grado di rag-giungere la totalità degli insegnanti. Per alcuni aspetti ci sipotrà servire delle possibilità offerte dai mezzi di comunica-zione in grado di raggiungere l’intero territorio nazionale (peresempio, la televisione); per altri, più specifici, occorrerà ri-correre a modalità di istruzione, come quelle a distanza, cheassicurino insieme una elevata uniformità dell’offerta e la pos-sibilità di individualizzare il percorso di apprendimento.

Del resto, proprio le indicazioni contenute nella legge fannoemergere l’esigenza di procedere nella direzione che è statadelineata. Alcuni esempi sono rivelatori delle competenze di-dattiche e metodologiche che gli insegnanti debbono possede-re per interpretare ed applicare in modo impegnativo le nuo-

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ve norme. Innanzi tutto si dichiara che il processo educativova considerato nella sua continuità, e si indicano le condizio-ni che possono conferire concretezza a tale continuità. Essapotrà derivare da una efficace interazione fra il personale del-la Scuola elementare e quello della Scuola media (si può rite-nere che la stessa interazione debba caratterizzare i rapportifra il personale della Scuola elementare e quello della Scuolamaterna). Ma perché l’interazione sia efficace, e non si risol-va in incontri che costituiscano semplici adempimenti forma-li, occorre - come precisa la legge - disporre di dati descrit-tivi del profilo dei singoli alunni, coordinare i curricoli deglianni iniziali e terminali, stabilire criteri concordati per la for-mazione delle classi, uniformare i criteri di valutazione, deci-dere in qual modo si debba ricorrere ai servizi offerti daglienti territoriali, Il Ministero della pubblica istruzione daràindicazioni per quel che riguarda alcune soluzioni a carattereorganizzativo (la legge lascia supporre che possa nascere unasorta di Consiglio territoriale per l’obbligo); ma che cosa v u o ldire in concreto onorare le condizioni sopra ricordate?

Rilevare i dati necessari per descrivere il profilo degli alun-ni, ed arricchire tale profilo seguendone l’evoluzione attra-verso il percorso scolastico, richiede che si disponga di unacompetenza specifica. I dati vanno infatti raccolti in modouniforme, ricorrendo a seconda dei casi a liste descrittive oa scale di misurazione accuratamente definite. Bisogna poiorganizzare un sistema di archiviazione, di elaborazione e diconsultazione al quale si possa ricorrere sia che si tratti diconsiderare la situazione di un singolo allievo o che interessicogliere tendenze che riguardino gruppi di allievi, sia che sivogliano ottenere informazioni riassuntive di insieme. Un ar-chivio siffatto costituisce una condizione per attuare le altreindicazioni della legge, e cioè per coordinare i curricoli, stabi-lire criteri per la formazione delle classi, ecc.

La cultura didattica che la legge presuppone, come emer-ge dalle norme che riguardano la programmazione didattica,richiede da parte degli insegnanti la capacità di progettarein comune e di dividere parte del lavoro formativo specializ-zando le relative funzioni. Il richiamo alla esigenza di dispor-

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re di una informazione interna ai processi sottolinea una con-dizione formale per il passaggio da una organizzazione so-stanzialmente centrata sull’attività del singolo docente ad unadi tipo collaborativo: tale condizione è rappresentata dallafrequenza e dalla qualità delle comunicazioni che hanno peroggetto i singoli aspetti dell’attività formativa. E come direche un ambiente, come quello scolastico, che finora si è ca-ratterizzato per la scarsezza delle comunicazioni fra i docenti(se si prescinde da situazioni rituali di scarsa rilevanza didat-tica) dovrebbe qualificarsi quanto prima per una decisa inver-sione di tendenza.

Va osservato che l’esigenza di promuovere una comunica-zione efficace non si collega solo alla necessità di favorire ilpassaggio di informazioni fra i docenti, perché ciascuno sappiache cosa sta facendo il suo collega, ma è funzionale alla assun-zione di decisioni. La legge, nel sottolineare il ruolo della pro-grammazione didattica nel qualificare le azioni formative (adessa spetta di stabilire in che modo possano essere perseguitigli obiettivi sanciti dai programmi, di verificare e valutare irisultati di apprendimento, di assicurare il carattere unitariodell’insegnamento, di distribuire le risorse, prima fra tutte iltempo disponibile, fra i contenuti che sono oggetto dell’attivi-tà di istruzione) richiama una serie di elementi che convergonosullo scopo di consentire ai docenti di assumere decisioni capa-ci di indirizzare l’impegno formativo verso traguardi qualifica-ti e consapevolmente perseguiti. La stessa nuova precisazionedelle funzioni del direttore didattico che si ricava dalla legge,con la responsabilità che gli viene attribuita di coordinare tuttal’attività di programmazione, appare funzionale a rendere ledecisioni assunte in sede di programmazione didattica coerenticon le necessità che effettivamente vengono colte in uno speci-fico contesto scolastico. Spetta al direttore interpretare le esi-genze che vengono espresse dai diversi soggetti interessati alfunzionamento della scuola, tracciare un quadro di compatibi-lità, rendere fruibili le risorse che sono a disposizione o tentaredi reperirne di nuove, preoccuparsi di assicurare tutte quellecondizioni, formali e organizzative, che costituiscono la pre-messa per una incisiva azione didattica.

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Va osservato tuttavia che assumere decisioni è tutt’altroche facile, Non è un caso che, a dispetto delle dichiarazionidi principio, sempre tese ad esaltare una non dimostrata au-tonomia della funzione docente, buona parte dei comporta-menti degli insegnanti assuma nei fatti carattere imitativo.E come dire che gli insegnanti si comportano come possono,ossia ricorrendo a limitato repertorio professionale del qualehanno avuto, direttamente o indirettamente, esperienza. Ciòspiega la fortuna che continuano ad avere proposte didattichegià completamente definite, che l’insegnante possa limitarsiad applicare e l’insistenza con la quale, al presentarsi di nuo-ve esigenze, vengono richieste soluzioni in grado di soddi-sfarle. In breve, l’atteggiamento più comune nelle scuole èancora culturalmente lontano da quella capacità di assumeredecisioni che dà significato agli insistenti richiami alla pro-grammazione contenuti nella legge sui nuovi ordinamenti perla Scuola elementare. Se i comportamenti didattici sono imi-tativi v u o l dire infatti che la decisione non si colloca in posi-zione prossima rispetto all’attività, ma che essa è remota, eviene accettata indipendentemente dalla considerazione dellaspecificità della situazione nella quale si interviene. Ma unadecisione che si presenti come remota non può che fondarsisu chiavi interpretative generiche: la sua legittimità risiedenella presunzione dell’esistenza di una elevata omogeneità nellecaratteristiche che distinguono i singoli contesti nei quali vie-ne praticata la formazione. Ebbene, almeno su questo puntonon dovrebbero esserci ormai dubbi: le situazioni formativesono tutte diverse le une dalle altre, e tutti diversi sono gliallievi. Ogni situazione formativa si caratterizza per la pre-senza di determinati fattori, così come ogni allievo presentaesigenze, difficoltà, problemi di apprendimento che richiedo-no di essere specificamente considerati se si vuoi tendere alraggiungimento di una elevata qualità della formazione. Unadidattica che si fondi su decisioni remote non può che pre-sentarsi come aspecifica: ne deriva che spetta agli allievi adat-tarsi alla proposta di formazione. Poiché in concreto ciò equi-vale ad affermare che l’onere dell’adattamento ricade sullefamiglie, si determinano in tal modo quelle condizioni di ca-

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sualità che sono alla base della dispersione nella distribuzionedei risultati scolastici. Da un punto di vista sociale, lasciareche l’onere dell’adattamento ricada sulle famiglie equivale adaccettare che la qualità della formazione non derivi dall’atti-vità della scuola, ma dalla possibilità di intervenire dall’ester-no per introdurre modifiche e aggiustamenti capaci di soddi-sfare specifiche esigenze. La programmazione ha lo scopo dispostare l’onere dell’adattamento dagli allievi (ossia, per quelche si è detto, dalle loro famiglie) alle scuole. La prossimitàtemporale della decisione rispetto al problema serve ad assi-curare che le soluzioni adottate costituiscano interpretazionioriginali e specifiche delle esigenze di formazione degli allie-vi, come singoli e come gruppo.

Come è accaduto in occasioni precedenti (vale per tuttiil caso dell’applicazione della legge n. 5 17 del 1977), le indi-cazioni contenute nei testi legislativi rischiano di essere inin-fluenti sulla qualità dei comportamenti reali delle scuole senon vengono determinate le condizioni culturali per una lorointerpretazione impegnativa. Il caso prima citato ha mostratocome si possa convivere con l’innovazione, onorando formal-mente gli adempimenti che sono richiesti, operando aggiusta-menti di nomenclature, modifiche marginali nell’organizza-zione, ecc. Qualcosa del genere potrebbe avvenire anche perla legge sugli ordinamenti, se si presumesse che approvarenuove norme comporti ipso facto la sostituzione dei repertoridi comportamenti usuali. E vero invece che, se è importantedisporre di riferimenti normativi adeguati alle esigenze di for-mazione che emergono nella società contemporanea, altret-tanto importante è operare per favorire una sostituzione neipresupposti culturali del comportamento. Costituisce un resi-duo di stili ottocenteschi di governo della scuola supporreche le norme possano incidere su realtà complesse, come sonoin misura crescente quelle che si presentano nei singoli conte-sti in cui si pratica la formazione.

Un aspetto interessante dei nuovi ordinamenti - sempreche sia adeguatamente interpretato sul piano culturale - ècostituito dalla tendenza che da essi emerge alla demonumen-talizzazione della normativa scolastica: si capisce dal testo che

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le singole norme possono subire modifiche, per adeguare l’in-tervento della scuola all’emergere di nuovi fattori. In un cer-to senso è come se anche la decisione a carattere normativodovesse subire una trasformazione analoga a quella che è sta-ta posta in evidenza per la didattica, approssimandosi tempo-ralmente al presentarsi dei problemi. Un esempio è costituitodalla possibilità prevista dalla legge di procedere alla revisio-ne periodica dei programmi: si tratta di un cambiamento si-gnificativo nell’approccio ai problemi, se si pensa che è usua-le continuare a qualificare come « n u o v i » i programmi di inse-gnamento a lustri di distanza.

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LA CONTINUITÀ EDUCATIVADELLA SCUOLA DI BASE

Clotilde Pontecorvo

1. PERCHÉ LA CONTINUITÀ.

È ragione di grande soddisfazione constatare la centralitàdella tematica della «continuità del processo educativo» nellalegge di riforma dell’ordinamento della Scuola elementare. In-fatti il tema appare come caratterizzante la «nuova» Scuolaelementare nelle sue finalità generali già nel primo articoloche recita: « L a Scuola elementare, anche mediante forme diraccordo pedagogico, curricolare ed organizzativo con la Scuolamaterna e con la Scuola media, contribuisce a realizzare lacontinuità del processo educativo».

E un riconoscimento assai importante e significativo diuna impostazione teorica e della validità di un impegno ope-rativo, particolarmente confortante per tutti coloro (scuole,insegnanti e ricercatori, come chi scrive) che hanno lavoratoin questi ultimi anni a specifici progetti relativi alla continui-tà educativa (tra Scuola materna e Scuola elementare, e traScuola elementare e Scuola media), come pure per 1 compo-nenti della commissione nazionale per i programmi della Scuolaelementare che, sostenendo prima in termini generali nel rap-porto a breve termine e poi ancora cercando di metterla inopera nei termini specifici riferiti alle singole aree disciplina-ri, hanno promosso una collocazione della Scuola elementareall’interno del sistema formativo della scuola di base.

Qual è la ragione storica e culturale dell’affermazione di

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questo principio? Quali sono i suoi fondamenti scientifici,di tipo psicologico e pedagogico?

E una tematica relativamente nuova che si è diffusa alivello europeo e internazionale e che ha guidato molte delleinnovazioni curricolari di questi ultimi anni. Alcune essenzia-li motivazioni alla continuità sono di tipo socioeducativo esi collegano alla diffusione dalla scolarità infantile, così comealla piena realizzazione della estensione dell’obbligo fino allaScuola media. La «naturale» estensione della frequenza dellascuola infantile alla grande maggioranza della popolazione in-teressata, particolarmente marcata nel nostro paese dove laquasi totalità dei bambini dai tre ai sei anni frequenta unqualche tipo di scuola, ha portato a vedere in una luce nuovail rapporto con la Scuola elementare, rendendo tutti più con-sapevoli del fatto che il bambino che entra nella prima ele-mentare ha già sviluppato complesse competenze nella cultu-ra di appartenenza che la scuola non può azzerare, con ilrischio di fallimenti sul piano della motivazione ad apprendere.

A ciò si collegano strettamente gli esiti degli studi evolu-tivi più recenti che hanno messo in questione rigide scansioniin stadi di sviluppo e ovviamente escludono qualsiasi pretesadi far coincidere fasi evolutive e discontinuità scolastiche. Que-sto non vuol dire escludere qualsiasi differenziazione nellosviluppo. E infatti noto che ci sono specifici settori delle com-petenze cognitive e socio-emotive dei bambini che sono sog-gette a cambiamenti tra i quattro-cinque anni di età: ciò valeper la capacità di decentramento sociale e di assunzione delpunto di vista dell’altro, così come è solo intorno ai cinqueanni che il bambino diventa capace di una «rappresentazionedella mente» dell’altro che gli consente di capire che ci puòessere una differenza tra quello che sa lui e quello che sal’altro in funzione di una esperienza conoscitiva precedente.

Altri settori invece, quale è quello delle cosiddette <(provedi conservazione» presentano un cambiamento verso i sette-otto anni, anche se è stato dimostrato 1 che sono profonda-

1 Cfr. P, LIGHT. A. N. PERRET-CLEMONT, Costruzione sociale delle strutture logi-che o costruzione sociale del significato, in «Rassegna di Psicologia», n. 3, 1986, pp. 47-58.

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mente legate all’acquisizione di capacità linguistiche adeguatee a una serie complessa di variabiti situazionali: in quello stessoperiodo si constatano cambiamenti nell’area della comunica-zione referenziale, nelle modalità di categorizzazione, nell’u-so di strumenti di registrazione logica.

Tuttavia molte di queste capacità risultano particolarmen-te sensibili alle innovazioni curricolari, come abbiamo potutodimostrare nella ricerca sulla continuità educativa dai quattroagli otto anni, dove gli effetti positivi del curricolo sperimen-tale sono stati più marcati per i bambini che sono entratinella sperimentazione in età più precoce 2.

Una ragione anche più essenziale è l’abbandono di unavisione generale che pretenda di abbracciare tutti gli ambitidello sviluppo all’interno di una suddivisione in «stadi». An-che se questi ultimi, nella formulazione piagetiana, non corri-spondono né a età cronologiche precise, né a scansioni chepossano essere fatte corrispondere con quelle dei gradi di scuo-la, oggi si tende sempre di più a dare rilievo, non solo alledifferenze tra individui, ma soprattutto all’influenza determi-nante del contenuto sulle specifiche competenze e quindi allagrande variabilità che è presente in uno stesso soggetto ri-spetto ai diversi ambiti del conoscere. Le richieste poste daicontenuti e dai sistemi simbolici specifici e le diverse attivitàche i soggetti vi compiono, producono lo sviluppo di una gam-ma molto ampia di capacità e conoscenze, quindi alla presen-za di «intelligenze multiple» (come dice Howard Gardner 3)che non sono più riportabili ad un unico percorso evolutivo.

2. CO M E I N T E N D E R E L A CONTINUITÀ.

Se questi che abbiamo ora citato sono alcuni dei presup-posti della esigenza di continuità educativa all’interno del si-

2 Cfr. Continuità educativa dai quattro agli otto anni. a cura di C. Pontecorvo,G. Tassinari, L, Camaioni, Firenze: La Nuova Italia, ‘1990,

3 H. GARDNER. Frames of mind, The theory of multiple intelligences, New York,Basic books, 1983 ‘(trad. it.:’ Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza,Milano, Feltrinelli, 1987).

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stema formativo di base, prima di passare a considerare ilpiano della realizzazione pedagogica e didattica e quindi an-che organizzativa, è necessario far chiarezza su alcuni puntiSU cui è stata fatta una qualche confusione da parte dei «de-trattori» della continuità.

In primo luogo, considerare il processo educativo in ter-mini di continuità non significa affatto escludere la possibili-tà e la necessità del cambiamento, l’introduzione di elementidi innovazione organizzativa e didattica, la funzione solleci-tante del non familiare, del nuovo, dell’inaspettato. Siamotroppo convinti di una impostazione ecologica, nel senso diBronfenbrenner 4, per non sapere che i contesti di vita e disocializzazione che sono offerti modificano i comportamentie gli atteggiamenti dei soggetti. Quindi continuità non signi-fica uniformità né mancanza di novità e di cambiamento. Si-gnifica piuttosto, in ogni fase educativa, non azzerare le com-petenze già acquisite dal bambino, tener conto della «stor ia»scolastica precedente in modo attivo e proporre elementi cur-ricolari e organizzativi nuovi, che a quella storia si possanocollegare, essendo consapevoli di ciò che richiedono sul pianocognitivo e socio-emotivo.

In secondo luogo, la continuità non va intesa in un versosolo: in altri termini non v u o l dire anticipo di contenuti emetodi di un livello di scuola successivo nel livello preceden-te, Non si vuole comunque escludere che ciò debba accadere,ma in ogni caso si tratta sempre di «anticipare per fare diver-samente», come è avvenuto in questi anni per le attività dilingua scritta che sono diventate, in forme peculiari, anchepatrimonio della Scuola materna, o per alcune attività scien-tifiche che sono state felicemente «anticipate» alla Scuola ele-mentare 5. Voglio solo sottolineare che la continuità va intesain senso bidirezionale, cioè anche come passaggio e assunzio-

4 U. BRONFENBRENNER, The ecology of human development, Cambridge Mass.,Harvard University Press (trad. it.: Ecologia dello sviluppo umano, Bologna, Il Muli-no, 1986).

5 G. GRAZZINI HOFFMANN in Un curricoIo per la continuità educativa dai quattroagli otto anni, Firenze, La Nuova Italia, 1989.

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ne di modalità organizzative e di metodologie di conduzione,proprie del grado di scuola inferiore da parte della scuolache segue. A titolo esemplificativo, ricordo quanto sia neces-sario che la Scuola elementare assuma, soprattutto nelle pri-me classi, le forme di organizzazione, articolazione e curadell’ambiente scolastico che caratterizzano le migliori espe-rienze di scuola dell’infanzia del nostro Paese; mentre, perl’altro snodo, è importante che nella Scuola media si dia ade-guato rilievo alla metodologia didattica con cui si conduconole attività, e si abbia cura quindi per le forme di comunica-zione attivate dall’insegnante, per il discorso autonomo e/oguidato dei ragazzi, per il rapporto tra esperienza e linguaggio.

3. IL MUTAMENTO DI RUOLO DELLA SCUOLA ELEMENTARE.

È chiaro che l’enunciazione legislativa della continuità,che abbiamo richiamato all’inizio, come base della riformadell’ordinamento elementare, ha un grandissimo valore pertutto l’insieme della scuola di base, anche se saranno deter-minanti le forme concrete che il principio della continuitàeducativa dovrà avere per essere effettivamente realizzato nellospecifico delle singole realtà scolastiche e territoriali, anchesulla base delle «forme e modalità di raccordo» che il Mini-stro della pubblica istruzione è chiamato a definire secondoil dettato dell’art. 2.

Il cambiamento investe infatti tutto l’itinerario educativoche viene offerto dai tre ai quattordici anni, perché rompe,almeno nelle intenzioni del legislatore, la compartimentalizza-zione tra i « g r a d i » di scuola e quindi anche l’interna autosuf-ficienza di ciascuno di essi.

La tematica investe in modo particolare la Scuola elemen-tare e giustamente quindi è posta in cima ai nuovi ordina-menti. Perché, collocandosi essa all’interno del sistema for-mativo della scuola di base, la Scuola elementare sembra esse-re maggiormente investita dalle relazioni di continuità chedeve stabilire sia con la parte di itinerario che la precedesia con quella che segue.

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Ma la ragione è anche un’altra. La distanza temporale,storica e culturale che separa questi nuovi ordinamenti dallalegge che finora reggeva la Scuola elementare è veramentegrandissima, maggiore rispetto agli altri segmenti di scuoladi base che sono assai più recenti. Va infatti ricordato chela Scuola elementare ha continuato a essere regolata, in ter-mini normativi generali, dalla legge di ordinamento del 1928,che sia per il momento storico in cui era stata emanata siaper i grandi rivolgimenti politico-culturali intervenuti nel frat-tempo, oltre a essere superata nei fatti, costituiva addiritturaun fastidioso fossile rispetto alla realtà democratica e plurali-stica e a una pratica scolastica spesso già molto avanzata,ben prima che venissero emanati i nuovi programmi del 1985.E d’altra parte una modalità acquisita nel nostro paese chesi proceda al cambiamento dei programmi didattici prima dipor mano alle modifiche degli ordinamenti: ed è quanto siverificherà probabilmente anche nella scuola dell’infanzia icui ordinamenti richiederanno anch’essi di essere cambiati inrelazione al contenuto e all’impostazione del nuovo testo pro-grammatico che è in via di definizione.

4. SCUOLA DI BASE E ALFABETIZZAZIONE.

In ragione del riconoscimento della continuità e della cen-tralità che questa ha assunto, la Scuola elementare non hapiù, nemmeno ufficialmente, il carattere di iniziazione allascolarizzazione. In una certa misura ciò costringe a vederein termini diversi proprio quel ruolo di alfabetizzazione, comeprimo contatto e avvio alla lingua scritta, che l’aveva finoracaratterizzata. In altri termini la Scuola elementare perde ilsuo ruolo esclusivo di «scuola dove si impara a leggere e scri-vere». Lo perde per molte ragioni: innanzitutto perché mag-giormente condivide questo suo ruolo tradizionale con i livellidi scuola che la precedono e la seguono. Infatti l’aumentodelle richieste di scrittura e lettura e l’esigenza che tutti siimpadroniscano effettivamente delle fondamentali abilità le-gate alla lingua scritta fa sì che il processo di apprendimento

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della lettura e della scrittura, come padronanza di tutta lagamma di capacità di comunicazione proprie della lingua scrit-ta, debba necessariamente includere anche la Scuola media.Si presenta quindi particolarmente opportuno considerare questoprocesso in una prospettiva di continuità (come peraltro giàriconosciuto nei programmi della Scuola media del 1979) persolidificare, estendere e approfondire le competenze già ac-quisite. Non certo per rinviare a dopo quello che deve esserefatto prima, dato che, come è noto, le acquisizioni culturalie la familiarità con gli strumenti, i registri e i modi del leggeree dello scrivere producono effetti cognitivi specifici anche infunzione della più generale fase di sviluppo del soggetto, comeci ha insegnato Vygotskij e la ricerca sugli effetti dell’alfabe-tizzazione nei processi cognitivi che si è a lui ispirata.

Il prolungamento e affinamento nell’itinerario verso la pa-dronanza della lingua scritta è accompagnato da un correlatomovimento verso il basso. Come ci indica la ricerca nel setto-re che è stata condotta in questi anni in Italia così comein altri contesti culturali e linguistici, il processo di costruzio-ne e acquisizione della lingua scritta inizia di fatto assai pri-ma dell’intervento sistematico della Scuola elementare, in par-ticolare nelle nostre culture urbane dove la lingua scritta ap-pare ovunque, associata all’immagine, mediata dal suono,presente nella realtà quotidiana della strada e della città. Ese quella è un’esperienza che è vissuta indistintamente datutti i bambini, e che li porta a cimentarsi con modalità per-sonali e non convenzionali di scrittura, già a partire dai treanni di età, diventa invece un compito proprio della scuoladell’infanzia quello di consentire l’esercizio di queste comedelle altre capacità di simbolizzazione dato che la fase di etàdai tre ai sei anni è caratterizzata dallo sviluppo e dall’eserci-zio in tutti i sistemi simbolici propri della nostra cultura: nel-la gestualità, nella ritmica, nella pittura, nel disegno, nellamusica, ma anche nella rappresentazione spaziale e nella scrit-tura di parole, testi, numeri, quantità.

Va considerato anche che un buon avvio del processo dialfabetizzazione è fortemente dipendente dalla familiarità pre-coce che i bambini piccoli, appartenenti per lo più a famiglie

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di livello socio-culturale alto, possono avere con la letturadi libri insieme agli adulti e con le successive discussioni chene scaturiscono. E pertanto fondamentale che quelle partico-lari pratiche di sostegno linguistico e sociale alla comprensio-ne e alla elaborazione cognitiva divengano usuali e diffusenelle scuole che sono rivolte ai bambini piccoli per far parte-cipare tutti ad una esperienza motivante e arricchente, in cuifra l’altro il contesto scolastico consente assai più di quellofamigliare, per la presenza di più bambini della stessa età,la costruzione sociale della comprensione, della conoscenza,della memorizzazione.

5. RACCORDARE LA SCUOLA ELEMENTARE ALLA MEDIA: COME?

Le esemplificazioni che abbiamo sopra riportato si riferi-scono tutte a uno dei settori in cui sarà necessario dare ilmassimo sviluppo alle forme e modalità di raccordo tra i varigradi di scuola che è quello del «coordinamento dei curricolidegli anni iniziali e terminali».

E un discorso assai complesso che è stato in questi annipiù sperimentato ed elaborato per quanto riguarda il currico-lo della prima fase, cioè quello relativo al nesso Scuola materna-Scuola elementare su cui chi scrive ha coordinato dal 1982al 1987 una complessa ricerca-sperimentazione 6, e dove sonostate compiute e sono ancora in atto numerose e ben fondatericerche in diverse zone del paese.

Manca invece una vera e propria sperimentazione allarga-ta del raccordo tra Scuola elementare e Scuola media, ancheper una inspiegabile e non motivata resistenza dell’ammini-strazione centrale a consentire sperimentazioni in questo set-tore. Ci sono poche scuole sperimentali che hanno già opera-to in questo settore, che hanno cioè mirato a stabilire unsolido collegamento «pedagogico, curricolare e organizzativo»tra questi due gradi di scuola. Tra queste scuole voglio ricor-

6 Un curricolo per la continuità educativa dai quattro agli otto ami, cit.

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dare Scuola-Città Pestalozzi di Firenze, sia perché ha unalunga tradizione in questa direzione sia perché ne conoscola struttura e il funzionamento di prima mano. Nata nel 1945,quindi molto prima dell’istituzione della scuola media unica,ha avuto, fin dalla fondazione, un impianto didattico costrui-to su otto anni: impianto che si è progressivamente adattatoalle nuove esigenze educative e ai nuovi programmi della Scuolamedia e più recentemente della Scuola elementare. Ha attual-mente un’articolazione curricolare in bienni (di cui uno a ca-vallo tra Scuola elementare e Scuola media), una strutturadi laboratori per la programmazione didattica degli insegnan-ti e una organizzazione interclasse in gruppi finalizzati a spe-cifiche attività per i ragazzi, dedicati ad esempio alla produ-zione del giornale della scuola, all’uso e alla gestione dellabiblioteca 7, all’inserimento del computer, ma anche alla fale-gnameria, all’orto, alle scienze (si vedano, per la biologia, leesperienze e proposte contenute in Grazzini Hoffmann 8), al-le attività espressive. Anche la suddivisione delle aree tra idocenti, garantisce una differenziazione progressiva del curri-colo e degli insegnamenti, senza soluzioni di continuità traelementare e media, attraverso presenze incrociate dei docen-ti di un grado nell’insegnamento dell’altro e viceversa.

Non c’è dubbio che si tratta di un settore a cui si dovràdedicare molta attenzione, soprattutto perché si è poco ope-rato in questi anni, come invece sembrava possibile e neces-sario negli anni Sessanta dopo la riforma della Scuola media,quando si volevano diminuire le distanze tra i due ordini discuola e stabilire forme concrete di raccordo. Infatti, tra idue ordini di scuola non si è effettuato in questi venti anni,come ci si poteva aspettare, quel processo di osmosi che sipoteva realizzare, e che caratterizza la continuità, al di fuoridella normativa unificata sugli organi collegiali e della leggedel 1977 che ha uniformato le modalità di programmazionee valutazione.

7 Cfr. Il laboratorio-biblioteca, a cura di A, Binazzi, Firenze, La Nuova Italia, 1990.s Esperienze di biologia, a cura di G. Grazzini Hoffmann, Firenze, La Nuova

Italia, 1988.

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Sono però rimaste molto diverse le richieste accademicherivolte ai due tipi di insegnanti e quindi anche le loro identi-ficazioni primarie, senza che né per l’uno né per l’altro ordi-ne si sia ancora realizzato l’itinerario formativo previsto. Leipotesi legislative di strutture formative per l’una o per l’altrascuola, ormai in fase di approvazione da parte del Parlamen-to, sanciscono una netta distinzione tra i due itinerari forma-tivi, l’uno centrato sulle scienze dell’educazione e l’altro sullespecifiche aree disciplinari, ma completati da una successivascuola di specializzazione centrata sulle scienze dell’educazio-ne e sulla pratica didattica,

Sembra invece relativamente facile progettare dei currico-li coordinati e delle attività didattiche consequenziali in mol-te aree disciplinari. E particolarmente facile laddove si è riu-sciti a impostare una didattica di laboratori con relative atti-vità finalizzate all’esercizio di capacità o alla realizzazionedi progetti. Si pensi ad attività di tipo musicale o scientifico,all’uso e alla gestione di una biblioteca, alla produzione diun giornalino scolastico e all’uso dei computer per le attivitàredazionali di revisione, impaginazione e grafica 9, ma ancheper molte altre attività di scrittura o per l’archiviazione eil recupero di dati della classe o relativi a inchieste, indaginistoriche, ricerche di tipo scientifico o geografico (si vedanole proposte contenute in «Golerm») 10.

Non a caso sono attività che abbiamo realizzato in questianni all’interno di sperimentazioni che hanno coinvolto Scuoleelementari e medie: si è trattato in alcuni casi di scuole cheerano già organizzate in una prospettiva di continuità, ma neicasi in cui non lo erano, hanno dato origine a ipotesi di raccor-di didattici e organizzativi che scaturiscono dalla stessa esigen-za di continuare attività motivanti, le cui valenze educativenon si possono esaurire all’interno di un solo grado di scuola.

Gli ultimi esempi sopra ricordati si legano a istanze che

9 D. CESARENI, Alle elementari fanno unOltre», n. 4, 1988, pp. 192-194.

10 « G o l e m » , n, 2, 1990: numero specialemento didattico».

giornale «elettronico», in «Italiano e

dedicato a: « I I data-base come stru-

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sono tipiche della fase preadolescenziale e adolescenziale, incui non c’è più soltanto il gusto di fare e di agire, che carat-terizza il bambino delle prime classi elementari, ma i ragazzisono più motivati a svolgere attività progettuali, finalizzate,che conducono a un risultato «tangibile», in cui si producequalcosa che resta.

6. ASPETTI ORGANIZZATIVI DELLA CONTINUITÀ: ALUNNI E INSE-GNANTI.

Restano però anche altri aspetti a cui la legge fa riferi-mento e che sono enunciati con una certa puntigliosità dal-l’art. 2. Essi individuano dimensioni importanti del raccordoche riguardano le modalità di lavoro degli insegnanti (la pro-grammazione didattica, il sistema di valutazione degli alunni,la formazione delle classi iniziali) e, in modo specifico, glialunni (informazioni, dati scolastici e non, supporti offertidagli enti territoriali).

Due capoversi riguardano in modo puntuale lo scambiodi dati e informazioni relativo agli alunni. E infatti materiadi raccordo: « a) la comunicazione di dati sull’alunno; b ) lacomunicazione di informazioni sull’alunno in collaborazionecon la famiglia o con chi comunque esercita sull’alunno, an-che temporaneamente, la potestà parentale».

Devo dire che di questo doppio riferimento mi sfuggeil valore e il significato specifico. Sembra semplicemente cheb) aggiunga rispetto ad a) il richiamo alla famiglia (considera-ta tale anche se non «naturale») che deve venire consultata,sembrerebbe implicito, quando le scuole si scambiano infor-mazioni. La presenza di due indicazioni così simili fa suppor-re che nel secondo caso si tratti di «informazioni» di tipodiverso: non riguardano più l’alunno, considerato cioè nel suorendimento scolastico, ma il bambino/ragazzo visto nella suadimensione più personale e famigliare. Forse si può recupera-re qui (tra le righe) quel coordinamento tra i criteri per laintegrazione scolastica degli alunni handicappati, di cui si par-lava esplicitamente in una precedente versione del testo.

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Nel parlare di alunni si dovrebbe anche richiamare l’im-portanza delle «informazioni per i ragazzi». Infatti nel pas-saggio dalla Scuola elementare alla Scuola media, c’è tuttauna serie di vissuti di difficoltà e di ansia che possono essereaffrontati anche attraverso una corretta informazione relativaalla futura Scuola media per modificare le rappresentazionimentali che se ne fanno al momento della fine della Scuolaelementare. Può essere un’area importante della continuità,che può essere affrontata con visite, incontri, discussioni trai ragazzi delle classi terminali e iniziali e i loro insegnantie che dovrebbe comunque essere oggetto di analisi e di speci-fico intervento psicopedagogico (su cui si rinvia agli esempiriportati da M. Pontecorvo) 11.

Quanto alla formazione delle classi iniziali, è indubbia-mente un’area dove già si è realizzata una ampia messe diesperienze tra le scuole di diverso grado che hanno avutola volontà di comunicare tra loro, perché si sono rese contodi quanto poteva essere preziosa la conoscenza del grado pre-cedente ai fini della formazione di classi a eterogeneità inter-na ben calibrata in forme tali da facilitare i processi di ap-prendimento e di integrazione sociale. Non è male però checiò sia esplicitamente richiamato anche per dare indicazioniprecise sull’argomento rispetto al rischio di fare classi omoge-nee, e quindi in qualche modo divise per livelli, quando sem-plicemente si lascia fare che i genitori più avvertiti possano«scegliere» il « b u o n » insegnante.

Quanto alle aree di possibile raccordo che riguardano gliinsegnanti la più importante e più comprensiva è sicuramentequella che riguarda la programmazione didattica che è di fat-to lo strumento essenziale di realizzazione del «coordinamen-to dei curricoli» di cui si è detto in precedenza. La program-mazione didattica congiunta è indispensabile per identificareall’interno di un’area di intervento didattico, quello che èproprio e specifico di ciascun livello insieme con una lineadi sviluppo organicamente prospettata e con una impostazio-

11 M. PONTECORVO, La dimensione emotiva dell’apprendere-insegnare, in C, e M.PONTECORVO, Psicologia dell’educazione. Conoscere a scuola, Bologna, Il Mulino, 1989.

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ne metodologica congruente. Ad esempio, nell’area scientifi-ca è possibile identificare tra la materna e l’elementare unadistinzione tra una accentuazione manipolativa e prevalente-mente esplorativa propria della prima scuola e una focalizza-zione più metodologica, di progressiva padronanza e autono-mia nell’uso delle tecniche di indagine, che può essere pro-pria della Scuola elementare. In una prospettiva di continuità,ciò significa che, attraverso semplici e motivanti proposte diattività - di cucina, di fisica elementare, di semina e ger-minazione - già i bambini di quattro-cinque anni possonoimparare a osservare e a descrivere, a sperimentare variazio-ni, a «raccontare» ciò che hanno fatto e a cercare di spiegar-lo. E su questa base di esperienza e di prima assunzione diabiti scientifici che la Scuola elementare può proporre attivi-tà più complesse, che richiedono tempi più lunghi di svolgi-mento, ma che possono essere il naturale sviluppo di quelleavviate in precedenza, purché non siano state «bruciate» dametodologie didattiche inadeguate ai livelli di competenza emotivazione dei piccoli.

Come è ovvio, siamo venuti ancora a parlare di «coordi-namento curricolare». Che lo si voglia o no è su questo pianoche si giocherà nei prossimi anni la sfida della continuità.E però altrettanto importante lavorare sulle condizioni e glistrumenti che rendono possibile tale coordinamento, non solosulla carta ma anche nella pratica delle realizzazioni didattiche.

Tra queste condizioni, è risultato essenziale il modo dilavorare insieme degli insegnanti: sia negli scambi che si pos-sono realizzare tra insegnanti delle diverse scuole (come èstato fatto con successo in molte delle sperimentazioni di con-tinuità) sia « a livello adulto» nelle attività di aggiornamento.C’è da chiedersi come mai questo non appaia nel testo legi-slativo come un settore su cui operare congiuntamente. Eun punto da segnalare perché potrebbe essere recuperato insede di definizione ministeriale delle forme e modalità di rac-cordo. La «comunicazione» in senso forte tra gli insegnantidei diversi gradi è stata nella nostra esperienza, così comein quella di altri, uno degli strumenti fondamentali per unabuona realizzazione della continuità.

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BIBLIOGRAFIA

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H. G A R D N E R, Frames of mind. The theory of multiple intelligences, NewYork, Basic books, 1983 (trad. it.: Formae mentis. Saggio sulla pluralitàdell’intelligenza, Milano, Feltrinelli, 1987).

«Golem», n. 2, 1990: numero speciale dedicato a « I I data-base come stru-mento didattico».

Esperienze di biologia, a cura di C. Grazzini Hoffmann, Firenze, La NuovaItalia, 1988.

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Un curricolo per la continuità educativa dai quattro agli otto anni, a curadi C. Pontecorvo, Firenze, La Nuova Italia, 1989.

Continuità educativa dai quattro agli otto anni, a cura di C. Pontecorvo,G, Tassinari, L. Camaioni, Firenze, La Nuova Italia, 1990 ( v . in parti-colare: G. TASSINARI, Le condizioni di realizzazione: il lavoro come degliinsegnanti).

M. PONTECORVO, L a dimensione emotiva dell’apprendere-insegnare, in C. eM. PONTECORVO, Psicologia dell’educazione. Conoscere a scuola, Bolo-gna, Il Mulino, 1986.

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L’ORGANIZZAZIONE DIDATTICANELLA NUOVA SCUOLA ELEMENTARE

Livia Bellomo, Vittorio Vincentie Alberto Alberti

La legge di riforma dell’ordinamento della Scuola elemen-tare richiede una attenta riflessione su alcuni motivi di fondoche ricorrono nell’enunciazione dei diversi articoli e ne costi-tuiscono i contenuti.

Non v’è dubbio che la legge sia profondamente innovati-va. Sappiamo che l’innovazione nel processo educativo ha unastruttura sistemica, in cui è molto stretta la correlazione tragli elementi che traggono il loro valore dalle reciproche rela-zioni. La complessità deriva dal fatto che all’interno del siste-ma generale si possono individuare dei sottosistemi: nel casodella legge che stiamo esaminando sono sottosistemi l’artico-lazione dei moduli organizzativi, il disegno degli ambiti disci-plinari, la dinamica della contitolarità. E all’interno di questitroviamo altri più particolari sottosistemi: per esempio, i mo-di come i diversi soggetti agiranno per attivare e per sostene-re i moduli organizzativi; le correlazioni tra impianto orga-nizzativo e didattica; la composizione e le modalità di lavorodel gruppo docente.

Il discorso sulla riforma degli ordinamenti della Scuolaelementare si compone allora di molti temi che si intrecciano,che presentano diverse angolature e differenti possibilità dilettura, che hanno certamente molti risvolti sul piano

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pedagogico-didattico, sul piano giuridico-amministrativo, suquello dei rapporti tra i diversi ruoli, tra azione amministrati-va e attività didattica.

In questa dimensione pluriarticolata si snoda la rifles-sione sulla legge e vengono trattati alcuni temi che fannoriferimento ai compiti dei diversi soggetti dell’amministrazio-ne scolastica, agli aspetti didattico-organizzativi, al gruppodocente.

Altri temi si potrebbero individuare, oltre quelli che sa-ranno delineati in questa nota: una ricognizione delle fonti,che possono essere assunte come osservatorio del dibattitosulla Scuola elementare dagli anni Settanta ad oggi, mostracome l’attenzione alla scuola di base sia stata molto viva,e molte siano state le «variazioni sul tema», tutte interessantie meritevoli del massimo interesse.

1 confini del nostro discorso sono tracciati dalla legge sul-l’ordinamento della Scuola elementare, che tende a regola-mentare molte e diverse situazioni creando un quadro norma-tivo di riferimento che risponda, almeno in parte, alle istanzedi rinnovamento della scuola.

L’organizzazione della Scuola elementare, così come do-vrà essere gradualmente costruita sulla base del nuovo ordi-namento, presenterà una complessità ancora più accentuatadi quella a suo tempo determinata dai decreti delegati del1974 e dalla legge 4 agosto 1977, n. 517, anche a motivodei nuovi compiti assegnati ai vari soggetti dell’istituzionescolastica, e di nuove relazioni che tra questi soggetti dovran-no stabilirsi.

La nuova prospettiva, pertanto, si potrebbe guadagnareprocedendo alle opportune integrazioni fra le norme contenu-te nella legge di riforma e tutte le fonti giuridiche appenaricordate, in particolare il D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416,sugli organi collegiali della scuola; il D.P.R. 31 maggio 1974,n. 417, sullo stato giuridico del personale docente e direttivoe la già citata legge 517/1977 sulla valutazione degli alunni.La stessa graduale attivazione della nuova organizzazione di-dattica rappresenterà lo sbocco di una serie di decisioni chenon sarà semplice coordinare e alle quali ciascun organo isti-

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tuzionale dovrà dare specifico contributo, senza ignorare icontributi degli altri.

A questo punto occorrono idee chiare e visione strategicaper orientare la complessità dell’agire di molti soggetti al rag-giungimento di obiettivi condivisi. Questa impostazione delproblema sembra giustificare una esplorazione della legge diriforma, non già seguendo la successione degli articoli, maindividuando i temi forti, che consentono di trattare l’impo-stazione della riforma tra ambito amministrativo e ambitotecnico, nella loro reciproca causalità.

Si prenderanno quindi le mosse dal rilievo ai soggetti chia-mati in causa per costruire, sull’esame dei loro compiti, ilpanorama della nuova organizzazione scolastica; seguirà la trat-tazione degli aspetti didattico-organizzativi, nell’intento di unadefinizione dei molteplici aspetti della riforma, definizioneche sarà ulteriormente precisata con gli approfondimenti rela-tivi al gruppo docente.

1. I S O G G E T T I .

1.1. I1 provveditore agli studi.

Il primo organo (individuale) cui viene affidato «l’appre-stamento» delle condizioni di fattibilità della riforma (art. 16,comma 1) è il provveditore agli studi.

La legge, nel passaggio appena sopra segnalato, chiede alprovveditore di predisporre « u n apposito piano.. . da redigersientro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presentelegge» (art. 16, commi 1 e 2). E ciò fa ponendo alcuni vincoliriguardanti sia le procedure che i contenuti.

Quanto alle procedure, il provveditore è tenuto a sentireil consiglio scolastico provinciale ed a prendere «gl i opportunicontatti con gli enti locali» (art. 16, comma 1).

È pienamente comprensibile il riferimento al predetto or-gano collegiale, che dovrà operare nella dimensione della se-zione orizzontale della Scuola elementare, per la stretta con-

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nessione fra le competenze che gli sono riconosciute dall’art.15 del D.P.R. 416/1977 ed i problemi di approntamento delpiano.

Così come è pienamente giustificata la chiamata in causadegli enti locali, per i loro compiti in materia di edilizia sco-lastica e di predisposizione dei servizi. Meno semplice sarà,per il provveditore, prendere in concreto gli opportuni con-tatti senza avvalersi della collaborazione dei direttori didatti-ci e degli ispettori tecnici.

Anche se nella legge non vi sono diretti richiami, a que-sto riguardo, ad ispettori e direttori, la natura della loro fun-zione, che è anche di collaborazione col provveditore agli stu-di, non solo legittima, ma rende necessario il loro interventonella particolare circostanza della predisposizione del «piano».

Quanto ai contenuti, invece, i vincoli sono più numerosie complessi, e implicanti capacità di discernimento e determi-nazione forte, quali si richiedono a chi si appresta a realizza-re un disegno di portata significativa come la riforma dellaScuola elementare.

Intanto c’è un’affermazione di gradualità che non può es-sere disattesa, non solo per formale ossequio alla norma (art.15, comma 6: « I l modulo organizzativo e didattico di cuiagli artt. 4, 5 e 8 si realizza gradualmente con la conversionedei posti istituiti o comunque assegnati ai sensi delle leggivigenti»), quanto per le intrinseche esigenze del laborioso pro-cesso di trasformazione che si deve avviare.

La definizione dei criteri per realizzare la gradualità ri-chiederà particolare elaborazione anche per la varietà di tipo-logia dei posti che dovranno essere «riconvertiti»: alfabetiz-zazione degli adulti, scuole reggimentali, scuole carcerarie, do-tazioni organiche aggiuntive, ecc.

. Altri vincoli possono essere così indicati:

- i posti da utilizzare non possono superare il numerodi quelli funzionanti a qualunque titolo nella provincia all’at-to dell’entrata in vigore della legge di riforma; numero so-stanzialmente coincidente con quello dell’organico di fatto1989-90 (art. 15, comma 5);

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- « i l numero complessivo di alunni per ciascun plessodovrà essere superiore a venti, ad eccezione dei plessi ubicatinelle piccole isole e nelle zone di montagna. . . » (art. 15, com-ma 4);

- deve essere valutato lo «stato delle strutture e deiservizi (nonché la) possibilità di provvedere da parte deglienti locali interessati alle relative esigenze» (art. 15, comma 2).

Il tutto alla luce «dell’andamento demografico e.. . (dei). . .suoi effetti in ordine alla popolazione scolastica di ciascuncircolo» (art. 16, comma 2). Cosa che, ancora una volta, re-clama l’intervento del direttore didattico per gli inevitabili,preliminari accertamenti.

In ogni caso, il piano del provveditore agli studi è stretta-mente legato alla determinazione dell’«organico provinciale».Questo, a prescindere dal numero delle classi comuni, specialie ad indirizzo didattico differenziato (art. 4, comma l), deiposti di sostegno (art. 4, comma 4) e dei posti per le attivitàdi tempo pieno di cui all’art. 1 della legge 820/1971 (art.8, comma 2), «non deve comunque comportare incrementidi posti rispetto a quelli esistenti alla data di entrata in vigo-re della presente legge, ivi compresi i posti delle dotazioniorganiche aggiuntive» (art. 15, comma 10).

A rafforzare il concetto, il predetto comma 10 stabiliscel’abrogazione di «ogni altra disposizione per la determinazio-ne delle dotazioni organiche, ivi comprese quelle aggiuntive,in materia di ruoli provinciali della scuola elementare».

Entro questi limiti, dunque, il provveditore deve tenderead assegnare a ciascun circolo didattico, secondo quanto pre-visto dall’art. 4, comma 2:

a) un numero di posti pari al numero delle classi e del-le pluriclassi;

b) un ulteriore numero di posti in ragione di uno ognidue classi e, ove possibile, pluriclassi.

Di qui emerge un nuovo vincolo per la gradualità: i postiper le pluriclassi saranno assegnati in un secondo tempo, co-munque «ove possibile». Questa norma deve ritenersi coordi-

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nata anche con quella già ricordata dell’art. 15, comma 4,relativa ai plessi con un numero di alunni inferiore a venti:un disincentivo per il funzionamento dei piccoli plessi chenon siano in località, come si è visto, particolarmente disagiate.

In ogni caso, assegnate entro questi limiti le risorse allescuole, la parola passa agli organi di circolo ed al direttoredidattico per la costituzione dei «moduli organizzativi» previ-sti dall’art. 4, comma 7.

Al provveditore rimane l’incombenza di accertare che lariforma avvenga «senza ulteriori oneri» (art. 15, comma 5)e, a tal fine: «Entro il mese di marzo di ciascun anno, i prov-veditori agli studi trasmettono al Ministero della pubblica istru-zione ed alla Corte dei conti una relazione finanziaria suglioneri sostenuti nella provincia di propria competenza nell’ul-timo anno scolastico, per l’attuazione del nuovo ordinamen-to» (art. 15, comma 12).

Infine, e al di fuori della prima fase di attuazione della rifor-ma, il provveditore agli studi collabora alla gestione del pianostraordinario di aggiornamento previsto dall’art. 12, comma 1,questa volta è detto esplicitamente, «avvalendosi anche degliispettori tecnici e dei direttori didattici» (art. 12, comma 2).

1.2. GLi organi collegiali della scuola.

Viene qui usata la generica espressione «organi collegialidella scuola» a proposito del problema della «continuità edu-cativa», preso in esame all’art. 2. In tale articolo, infatti, mentresi fa riferimento al potere regolamentare del Ministro e, viavia, vengono indicati scopi e modalità del raccordo con laScuola materna e con la Scuola media, nonché i compiti deicapi istituto e degli insegnanti, si precisa che tutto deve av-venire «nel rispetto delle competenze degli organi collegialidella scuola» (art. 2, comma 1).

Poiché altro non è detto a proposito di tali organi colle-giali, bisognerà rinvenire nelle norme originarie che riguarda-no ciascuno di essi il supporto al loro agire a proposito diwontinuità educativa)>.

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In primo luogo dovrà esser fatto riferimento, per il consi-glio di circolo o di istituto, all’art. 6 del D.P.R. 416/1974,in modo particolare al comma 2, punto e, dove si parla di«promozione di contatti con altre scuole o istituti al fine direalizzare scambi di informazioni e di esperienze e di intra-prendere eventuali iniziative di collaborazione». E poiché ilcosì descritto ambito di azione del consiglio di circolo di isti-tuto sembra in gran parte coincidere con « l e forme e le mo-dalità del raccordo» (art. 2, comma 1) si può individuare inquesto organo l’elemento propulsore delle iniziative in mate-ria di «continuità educativa».

Ma poiché questo deve avvenire, sempre secondo il citatoart. 6 del D.P.R. 416/1974, «fatte salve le competenze delcollegio dei docenti», quest’ultimo, per i poteri che gli sonoriconosciuti in ordine alla programmazione e alla valutazionedell’azione educativa, rimane l’organo che dovrà dare precisicontenuti alle forme di raccordo, nel rispetto di quanto preci-sato nei punti da a ad f dell’art. 2 della legge di riforma.

Inoltre, dal momento che nei passaggi indicati è richiestaanche la «collaborazione con le famiglie» degli alunni interes-sati al passaggio ad altro ordine di scuola, va da sé che devo-no ritenersi coinvolti anche i consigli di interclasse, non soloper il compito di fornire pareri al collegio dei docenti, maanche per la specifica ed esclusiva competenza di «agevolareed estendere i rapporti reciproci fra docenti, genitori ed alun-ni» (art. 3, comma 3, del D.P.R. 416/1974).

Da un punto di vista della pura e semplice lettura deltesto del D.P.R. appena citato, non risulterebbe estraneo al-l’operazione «continuità» neppure il consiglio scolastico di-strettuale (così come non avrebbe dovuto rimanere estraneoal piano che deve disporre il provveditore, secondo quantoargomentato nel capitolo precedente). Questo organo colle-giale, infatti, è tenuto a formulare (art. 12, comma 2) «pro-poste al provveditore agli studi, alla regione, agli enti locali,per quanto di rispettiva competenza per tutto ciò che attienealla istituzione, alla localizzazione e al potenziamento delleistituzioni scolastiche, nonché alla organizzazione e allo svi-luppo dei servizi e delle strutture relative, anche al fine di

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costituire unità scolastiche territorialmente e socialmente in-tegrate...».

Peraltro, è ormai nota la sclerosi dei consigli scolasticidistrettuali, tanto che lo stesso legislatore li ha del tutto igno-rati nel quadro di riforma dell’ordinamento della Scuola ele-mentare.

1.3. Il consiglio di circolo.

Col nuovo ordinamento certamente il consiglio di circolorecupera, relativamente al calendario scolastico ed all’orariodelle lezioni, attribuzioni che pur l’art. 6 del D.P.R. 416/1974gli riconosceva, ma che, di fatto, non poteva esercitare. Ora,attraverso il potere di definizione delle «modalità di svolgi-mento dell’orario delle attività didattiche» (art. 7, comma 5),il consiglio di circolo interviene praticamente in materia dicalendario scolastico in quanto rimane in sua facoltà ridurre,beninteso attraverso il recupero orario in turni pomeridiani,a meno di 200 i giorni di lezione prescritti dalla legge 9 ago-sto 1986, n. 467, che, almeno per la Scuola elementare, deveintendersi, a questo riguardo, modificata.

Comunque, le possibilità di scelta previste dall’art. 7, com-ma 5, in ordine all’orario settimanale, indipendentemente dalnumero delle ore, possono essere sintetizzate nel seguente pro-spetto.

O RARIO SETTIMANALE DELLE ATTIVITÀ DIDATTICHE.

Antimerid. e pomerid, Antimeridiano

5 Consentito

6 Consentito

Eccezionalmente <(fi-no alla predisposizio-ne delle necessariestrutture e servizi»(art. 7, comma 6)

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Quanto alla durata, l’art. 7, comma 1, prevede ventisetteore settimanali. Un aumento generalizzato fino a trenta oreverrà stabilito con D.M. quando sarà attivato l’insegnamentodella lingua straniera. Nel frattempo «l’adozione di un orariodelle attività didattiche superiore alle ventisette ore settima-nali, ma comunque entro il limite delle trenta ore», può esse-re disposta per le classi terze, quarte e quinte (art. 7, comma 2).

Disposta da chi?Per quanto debba riconoscersi che la risposta può essere

oggetto di controversia, è opportuno propendere, relativamentealle decisioni in materia di orario, per la competenza del con-siglio di circolo, unico organo al quale tale materia è assegna-ta dalla normativa primaria.

E vero che, nell’appena citato art. 7, comma 2, la derogaalle ventisette ore per le classi terze, quarte e quinte puòessere conseguente solo a «motivate esigenze didattiche» eche, quindi, tali esigenze possono essere prospettate solo daun organo tecnico-didattico come il collegio dei docenti. Maè vero altresì che il consiglio di circolo è organo nel qualeil collegio dei docenti è rappresentato dagli insegnanti elettidai colleghi (il titolo della loro elezione è proprio quello dirappresentanza del collegio dei docenti, come vuole il D.P.R.416/1974, art. 4, comma 2, punto h).

Inoltre, altre valutazioni che devono determinare le deci-sioni in materia d’orario rientrano in ambiti di conoscenzapropri del consiglio di circolo, di un organo collegiale, cioè,dove tutte le componenti della comunità scolastica sono rap-presentate. Tali valutazioni devono infatti riguardare:

- necessarie condizioni organizzative (art. 7, comma 2);- disponibilità strutturali (art. 7, comma 4);- servizi funzionanti (art. 7, comma 4);- condizioni socio-economiche delle famiglie (art. 7,

comma 2).

Quanto detto non esclude affatto che anche il collegiodei docenti si attivi per il prolungamento d’orario fino a tren-ta ore, soprattutto prospettando le motivazioni di ordine di-dattico. E ciò chiama in causa, ancora una volta, la <<funzione

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di promozione e di coordinamento delle attività di circolo>>(D.P.R. 417/1974, art. 3) del direttore didattico, senza to-gliere, ovviamente, che la decisione finale, sia pur come sin-tesi di diverse sollecitazioni, spetti al consiglio di circolo.

1.4. Le famiglie degli alunni.

Sembra sottratta, invece, al consiglio di circolo ogni deci-sione riguardante i «Progetti formativi di tempo prolungato»,previsti dall’art. 8, anche se non deve essere esclusa la fun-zione promozionale e di predisposizione delle condizioni ne-cessarie alla loro realizzazione. Ma per la decisione ci si deverivolgere ad altri soggetti.

Intanto va precisato che, in questo caso, si tratta di «atti-vità di arricchimento e di integrazione degli insegnamenti cur-ricolari». Vi deve essere, cioè, un incremento d’orario delleattività didattiche a prescindere dall’aggiunta del «tempo men-sa». Quest’ultimo, unitamente al tempo delle attività didatti-che (arricchite ed integrate) deve far sì « c h e l’orario comples-sivo settimanale di attività non superi le trentasette ore» (art.7, comma 1, punto a).

Inoltre è necessario che si realizzi una sostanziale conver-genza di intenti (e di interessi) fra le famiglie degli alunni(almeno venti, di norma, anche di classi diverse) e insegnantidisponibili ad effettuare tre ore di servizio straordinario, ov-viamente retribuito.

Ma quali potrebbero essere gli insegnanti interessati?L’art. 8, comma 1, punto d, parla di «docenti contitolari

delle classi cui il progetto si riferisce». Ma, poiché le classipossono essere «diverse», non è escluso che gli insegnanti po-tenzialmente interessati possano essere parecchi; anche tuttigli insegnanti di un plesso.

Per trovare una risposta, è necessario far riferimento adun modulo teorico (due classi - tre insegnanti) dove vi siapiena convergenza fra le richieste dei genitori e la disponibili-tà dei docenti. Vale a dire che ciascuna delle due classi adot-terà un orario di trentasette ore (totale 74 ore) e che ciascuno

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dei tre insegnanti avrà un orario di servizio di ore ventidue(normali) più tre di straordinario, per un totale di 75 ore,quante ne bastano, col resto di una, per coprire l’orario delledue classi del modulo.

Nel caso di una sola classe interessata, o di più classi,con alunni provenienti da classi diverse, si dovrà calcolarein proporzione. Ciò anche nel caso di ricorso « a d altro docen-te del plesso o del circolo, tenuto al completamento dell’ora-rio (o ad) altro docente di ruolo disponibile nell’organico pro-vinciale» (art. 8, comma 1, punto d).

Un’ultima questione riguarda il numero di alunni necessa-rio per attivare un «progetto formativo di tempo lungo». L’art.8, comma 1, punto c, vuole «che il numero degli alunni nonsia inferiore, di norma, a venti». Mentre è da ritenere cheil numero massimo rientri nell’ipotesi prevista dall’art. 3 (Com-posizione delle classi), il minimo potrebbe essere soggetto avariazioni in rapporto alla consistenza delle classi originariee, perciò, comportare deroghe rispetto alla norma del venti.Questo, per esempio, quando una classe ha un numero dialunni inferiore a venti.

Vale infine la pena di notare che quello dei «Progetti for-mativi di tempo lungo» è l’unico caso in cui la decisione èdemandata a soggetti individuali (famiglie, insegnanti) e nonad organi collegiali di gestione partecipata.

In ogni caso, verificata la convergenza di volontà tra genito-ri degli alunni ed insegnanti e, nei termini suddetti, la presenzadelle strutture necessarie ed il loro funzionamento, il «proget-t o » dovrà essere autorizzato con formale provvedimento dal di-rettore didattico, e da questi portato a conoscenza, per eventua-li decisioni di competenza, degli organi collegiali di circolo.

1.5. Il collegio dei docenti.

Anche il collegio dei docenti assume nuovi compiti che,in parte, si integrano con quelli già previsti dall’art. 4 delD.P.R. 416/1974 e dagli artt. 2 e 11 della legge 517/1977e, in parte, si riferiscono ad aspetti del tutto nuovi.

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Sotto il primo profilo è necessario ricordare la «program-mazione dell’azione educativa» che costituisce « b a s e » sulla quale«gli insegnanti» provvederanno alla «programmazione dell’at-tività didattica» (art. 5, comma 1). La rilevanza di questopassaggio sta nella distinzione, per la prima volta operata inun testo di legge, fra «programmazione educativa» e «pro-grammazione didattica».

Per quest’ultima, un riferimento preciso può essere rinve-nuto solo nei Programmi didattici, Premessa generale, 111 parte:programma e programmazione. Qui la programmazione di-dattica, è detto, spetta ai docenti, «collegialmente ed indivi-dualmente», e deve esser effettuata «con ragionevoli previsio-ni... stabilendo le modalità concrete per mezzo delle qualiconseguire le mete fissate dal programma e la scansione op-portuna di esse.. . ». Nessun rapporto viene indicato con la«programmazione educativa», peraltro mai ricordata in que-sto capitolo.

L’unico accenno a questo tipo di programmazione si ri-scontra nella prima parte della Premessa generale, là doveè detto che: « L a scuola elementare valorizza nella program-mazione educativa e didattica le risorse culturali, ambientalie strumentali offerte dal territorio e dalle strutture in essooperanti, e nello stesso tempo educa il fanciullo a cogliereil valore dei processi innovativi come fattori del progressodella storia». Nessuna preoccupazione emerge, né in questopassaggio né in altre parti del testo, di chiarire distinzionifra programmazione educativa e didattica.

Fermo restando che il problema di individuare la specifi-cità dell’una e dell’altra ha rilevanza prevalentemente peda-gogica, dai testi giuridici fin qui esaminati si può dire chela prima attiene agli aspetti generali dell’attività di insegna-mento e trova i propri confini là dove, entrando nel dettagliodelle procedure didattiche, interferisce con la libertà didatti-ca del singolo docente. Vale a dire che la prima inerisce piùai fini, la seconda più ai mezzi, in una ricerca di equilibridifficilmente individuabili con una norma, ma che sono ilrisultato di scelte culturali via via sempre più approfondite.

Di conseguenza, dovrebbero rientrare nella programma-

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zione educativa orientamenti riguardanti, secondo l’art. 5, com-ma 3:

- l’assegnazione degli insegnanti alle classi del modulo;- l’assegnazione degli ambiti agli insegnanti;

e secondo l’art. 5, comma 7:

- l’aggregazione delle materie per ambiti disciplinari;- la ripartizione del tempo da dedicare alle diverse

discipline (sia pure secondo criteri che saranno definiti condecreto ministeriale).

Aggiungeremo:

- la costituzione del modulo con classi parallele (il co-siddetto abbinamento orizzontale) o con classi contigue (ilcosiddetto abbinamento verticale), problema a proposito delquale il legislatore non fornisce, come è giusto, alcuna indi-cazione.

Ad altri soggetti, come vedremo più avanti, compete laprogrammazione didattica.

Quanto detto, tuttavia, non esaurisce le novità introdottedalla legge di riforma per il collegio dei docenti. Ne devonoessere considerate altre due che costituiscono, come anticipa-to all’inizio del capitolo, materia del tutto nuova.

La prima riguarda la possibilità di utilizzare un insegnan-te «per intervenire nella prevenzione e nel recupero, agevola-re l’inserimento e l’integrazione degli alunni in situazione didifficoltà e interagire con i servizi specialistici e ospedalieridel territorio...» (art. 6, comma 3).

Precisato che l’insegnante in questione non costituirà ri-sorsa aggiuntiva, ma ricavata fra gli insegnanti assegnati alcircolo per il normale funzionamento dei moduli organizzati-vi, va individuato chi ne decide l’utilizzazione. Ancorché nondetto esplicitamente, può ragionevolmente indursi che l’orga-no a ciò preposto sia il collegio dei docenti in quanto esso« a tal fine propone al direttore didattico i necessari adatta-menti in materia di costituzione dei moduli» (art. 6, comma 3).

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Di conseguenza, la proposta di adattamento dei modulirimane condizione sine qua non per l’utilizzazione del docen-te, anche a tempo parziale, nei compiti in parola e, pratica-mente, si configura come decisione circa la stessa utilizzazione.

Un’ultima nuova competenza attribuita al collegio dei do-centi è stabilita dall’art. 9, comma 5, là dove all’organo colle-giale è fatto carico di stabilire « i criteri per la sostituzionedei docenti assenti per un periodo non superiore a cinquegiorni.. . ». Seguono più dettagliate modalità che, a modo divedere di chi qui scrive, non esauriscono il problema e, per-tanto, comportano ulteriori disposizioni applicative.

1.6. Il gruppo docente.

Questo soggetto, ancorché possa essere considerato il ful-cro delle novità introdotte dalla riforma, non ha avuto for-male definizione, né viene ad aggiungersi ai già numerosi or-gani collegiali della scuola. E tuttavia esiste. Esiste variamen-te denominato, ma esiste.

Decisamente, è da ritenersi preferibile l’espressione «gruppodocente» (o equivalente) a quelle generiche di «insegnanti con-titolari», o di «docenti di ciascun modulo» utilizzate dal legi-slatore. Espressioni che non rendono abbastanza l’idea dell’u-nità funzionale costituita dal gruppo di docenti e della coe-sione che essi devono realizzare per garantire l’unitarietàdell’insegnamento.

Qui si parlerà, dunque, di «gruppo docente», subito sot-tolineando il suo primario compito, che è quello della «pro-grammazione didattica», come detto nell’art. 5, comma 1. Inche cosa poi consista la «programmazione didattica» si ricavadal successivo comma 2, là dove si precisa che essa si propo-ne, in sintesi:

a ) il perseguimento degli obiettivi stabiliti dai programmied un’adeguata organizzazione didattica;

b) la verifica e la valutazione dei risultati;c) l’unitarietà dell’insegnamento;

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d) un’adeguata ripartizione del tempo da dedicare al-l’insegnamento delle diverse discipline.

A questa «programmazione didattica» sono riservate setti-manalmente due delle ventiquattro ore di servizio, ovviamen-te in tempi non coincidenti con l’orario delle lezioni, dal mo-mento che vi devono partecipare i «docenti di ciascun modu-lo» (art. 9, comma 1).

Un altro richiamo alla realtà del «gruppo docente» riguar-da « l a valutazione in itinere dei risultati dell’insegnamentonelle singole classi e del rendimento degli alunni (che) impe-gna collegialmente gli insegnanti corresponsabili nella attivitàdidattica» (art. 5, comma 8).

Quanto a ripartizione dei compiti di insegnamento, perun aspetto sovviene l’art. 4, comma 3, che definisce l’impian-to dei «moduli organizzativi costituiti da tre insegnanti sudue classi nell’ambito del plesso di titolarità o di plessi diver-si del circolo; qualora ciò non sia possibile», prosegue il testo,i moduli sono «costituiti da quattro insegnanti su tre classi»del plesso.

Per altro verso deve farsi ricorso all’art. 5 che, al comma4, stabilisce il principio della collegialità e della contitolarità «dellaclasse o delle classi a cui il modulo si riferisce» nonché all’art.7, comma 5, che vuole « u n a congrua ripartizione del tempo de-dicato ai diversi ambiti disciplinari, senza sacrificarne alcuno».

In tal modo si esplicita il principio della parità che, inconcreto, è parità dei carichi professionali di ciascun inse-gnante e, conseguentemente, dei carichi orari in ciascuna classe.Principio che si presenta, tuttavia, con due eccezioni.

La prima è insita nel modulo «quattro su tre», riservata,come si è visto, ai casi residuali. Qui, a meno che non sivogliano far intervenire tutti e quattro gli insegnanti in cia-scuna delle tre classi (cosa sconsigliabile), non si può averesoluzione diversa della seguente:

-

--

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a due insegnanti è assegnato lo stesso ambito in dueclassi;al terzo, un ambito in tre classi;al quarto, ambiti diversi in due classi.

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La seconda eccezione al principio della parità è inveceintrodotta da apposita norma (art. 5, comma 5) che vuole«nei primi due anni della scuola elementare.. . la specifica ar-ticolazione del modulo.. . , di norma, tale da consentire unamaggiore presenza temporale di un singolo insegnante in ognu-na delle classi». Si tratta del cosiddetto insegnante prevalente.

Ma, poiché questo costituisce norma che può, a sua volta,subire deroga, è necessario stabilire chi tale deroga possa au-torizzare, pur tralasciando tutta la casistica che può presen-tarsi a seconda che il modulo sia «tre su d u e » o «quattrosu tre», e a seconda che le classi del modulo siano solo delprimo ciclo e dei due cicli.

La risposta rinvia certamente alle attribuzioni del collegiodei docenti e del direttore didattico in materia di assegnazio-ne degli insegnanti alle classi e, ora, anche agli ambiti. Eda ritenere tuttavia, che la sede dove sostanzialmente avvie-ne la scelta debba essere quella del «gruppo docente».

Troppe sono le implicante di tale scelta con la qualitàdelle relazioni che si devono stabilire fra insegnanti del «gruppodocente», con la «programmazione dell’attività didattica» (perl’appunto « d i competenza degli insegnanti», secondo l’art. 5,comma l), con la predisposizione « d i un’organizzazione di-dattica adeguata alle effettive capacità ed esigenze di appren-dimento degli alunni», sempre art. 5, comma 1, punto a) econ l’«unitarietà dell’insegnamento» (C.S., punto c), tralasciandomolto altro.

Che, poi, il collegio dei docenti debba essere la sede dielaborazione del problema e di riflessione sulle diverse solu-zioni, che il provvedimento formale debba essere del diretto-re didattico, tutto questo non toglie che la decisione ultimadebba essere maturata all’interno del «gruppo docente».

Al quale, per l’appunto, deve essere riconosciuto un am-bito di autonome decisioni, tale da consentire scelte flessibiliconseguenti alla lettura dei bisogni propri delle classi ad essoaffidate. A mo’ di esempio, potrebbero rientrare in questazona di decisioni riservata al «gruppo docente» il collegamen-to fra le materie di ciascun ambito disciplinare, la suddivisio-ne degli alunni in gruppi diversi dalle classi, la definizione

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dei rapporti con l’eventuale insegnante di sostegno e la ge-stione della «compresenza» anche nei termini indicati dall’art.9, comma 2, relativo, fra l’altro, al problema degli «alunnistranieri, in particolare provenienti da paesi extracomunitari».

Un’ultima riflessione sulle competenze del «gruppo docente»rimanda al problema della «continuità educativa» prescrittadall’art. 2 anche in termini di «incontri periodici.. . tra docen-ti delle classi iniziali e terminali dei gradi di scuola interessa-ti» (comma 2). Nel nostro caso, i docenti così nominati sono,in effetti, veri e propri «gruppi di docenti» di ciascuna scuo-la, sia nel caso di passaggio dalla Scuola materna alla Scuolaelementare, che nel caso di passaggio dalla Scuola elementarealla Scuola media.

Ed anche questo costituisce un fatto di continuità edu-cativa.

1 .7. Il direttore didattico.

Questo contributo si è aperto con un capitolo riguardanteun organo individuale, il provveditore agli studi; con un capi-tolo riguardante un altro organo individuale, il direttore di-dattico, si conclude. L’impianto non è casuale.

La ricchezza culturale determinata dall’esperienza colle-giale costituisce patrimonio che va a vantaggio dei protagoni-sti e di coloro che ne sono i destinatari. Le decisioni collegialicertamente maturano attraverso filtri critici che ne seleziona-no tutte le conseguenze e tutte le implicante; per di più siha la garanzia che esse sono condivise almeno dalla maggio-ranza dei decidenti che, quando eletti, rappresentano la mag-gioranza dei destinatari.

E tuttavia, l’efficienza di un’amministrazione, vale a di-re, nel nostro caso, del pubblico servizio dell’istruzione, di-pende anche dagli organi cui spetta, a seconda delle circo-stanze, la sollecitazione iniziale e la formalizzazione delle de-cisioni finali in atti aventi efficacia giuridica erga omnes.

In tale posizione si trova il direttore didattico che, anchenel quadro disegnato dal nuovo ordinamento, trova colloca-

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zione strategica in rapporto ad almeno due problemi di natu-ra organizzativa richiamati dall’art. 5: la costituzione del mo-dulo e del «gruppo docente» (commi da 3 a 7); il suo funzio-namento (comma 9).

Per il primo, si tratta di materia analoga a quella dellaformazione delle classi e dell’assegnazione ad esse degli inse-gnanti, già oggetto di controversie, anche in giurisprudenza,a motivo dell’imperfetto raccordo fra le competenze del colle-gio dei docenti definite dall’art. 4 del D.P.R. 416/1974 (pro-poste solo per la formazione delle classi) e le attribuzioni deldirettore didattico di cui all’art. 3 del D.P.R. 417/1974 (nonsolo la formazione delle classi, ma anche l’assegnazione adesse degli insegnanti, su proposta del collegio dei docenti).

Il nuovo testo risolve il problema nel senso di vincolarepiù chiaramente il direttore didattico, per l’assegnazione de-gli insegnanti alle classi, a «quanto stabilito dalla programma-zione educativa», cioè dal collegio dei docenti, ma nulla pre-cisa circa la cogenza della decisione dell’organo collegiale. Tal-ché è d’uopo rimandare alla giurisprudenza prevalente chevuole obbligatoria la procedura (che comprende anche i crite-ri generali dettati dal consiglio di circolo), ma considera pos-sibile che il direttore didattico si discosti dalle proposte degliorgani collegiali, sia pur dandone motivazione nel formale prov-vedimento.

Già questo attesta quanto sia delicato il problema, soprat-tutto per le conseguenze che una malaccorta aggregazione didocenti può determinare sul clima educativo della scuola esulla stessa efficacia dell’insegnamento. Il legislatore sembraessersi fatto carico della situazione indicando al direttore di-dattico tre impegni (art. 5, comma 3).

1. Garantire la continuità didattica. Se la continuità <(edu-cativa» riguarda il raccordo con la scuola di diverso ordine(art. 1, comma 2), quella «didatt ica» attiene all’avvicenda-mento degli stessi insegnanti su tutte le classi del quinquen-nio elementare, ovviamente parallelo col percorso degli alunni.

1 motivi di discontinuità, diciamo così, fisiologica sonotanti (pensionamenti, trasferimenti, assegnazioni e comandi,

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malattie, ecc.), a loro volta moltiplicati dalla pluralità dei do-centi, che è necessario por mente alle condizioni di partenzadel modulo, proiettandone la struttura lungo il corso deglianni al fine di controllare i possibili effetti di discontinuità.Particolarmente cruciale, a questo riguardo, risulterà la situa-zione del modulo «quattro su tre» e quella dove opererà «l’in-segnante prevalente».

2. Garantire la migliore utilizzazione delle competenze edel le esperienze professionali. Qui l’ambito di valutazione di-screzionale si allarga e presuppone un dirigente attento, capa-ce di valutare la professionalità dei docenti anche senza ilsupporto di titoli ufficiali. Prende perciò contorni sempre piùprecisi, forse non ancora del tutto definiti, la professionalitàdel direttore didattico, accorto nel valutare le situazioni, sa-gace nell’adottare decisioni, autorevole nell’imporle non tan-to per supremazia gerarchica quanto per competenza e capa-cità di mediazione delle inevitabili tensioni.

3. Assicurare, ove possibile, una opportuna rotazione neltempo. Questa indicazione, come la precedente, riguarda i cri-teri per l’assegnazione degli ambiti e sembra voler evitareche l’insegnante si fissi definitivamente su un ambito discipli-nare. I vantaggi o gli svantaggi di tale scelta dovranno essereoggetto di attenta valutazione nel corso degli anni. Intantocostituisce indicazione che arricchisce il panorama delle im-plicanze culturali della riforma.

Fin qui quanto attiene alla costituzione dei moduli orga-nizzativi.

Per quanto concerne il loro funzionamento, deve sottoli-nearsi la forte chiamata in causa del direttore didattico làdove (art. 5, comma 9) gli viene demandato il coordinamentodell’attività di programmazione non solo «educativa» (comeabbiamo visto, di competenza del collegio dei docenti), maanche «didattica», di competenza degli insegnanti, cioè del«gruppo docente».

E noto che l’aggiunta del termine «didattica» è stata og-getto di apposito emendamento da parte del Senato per sot-tolineare una richiesta di intervento, con funzioni di regola-

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zione, nell’attività del modulo, o del «gruppo docente«. Pro-blema che, almeno nella fase di avvio della riforma, costituiràil banco di prova di tutte le professionalità: docente, diretti-va e ispettiva.

Per completare il panorama delle nuove attribuzioni, sonoda ricordare, simmetricamente a quanto richiesto agli inse-gnanti ai fini della «continuità educativa», gli incontri perio-dici con i presidi degli ordini di scuola interessati alle apposi-te forme di raccordo (art. 2, comma 2).

2. GLI ASPETTI DIDATTICO-ORGANIZZATIVI.

Secondo la disamina del testo della legge, il tema degliaspetti didattico-organizzativi, con la correlazione con altritemi altrettanto rilevanti, si trova sviluppato nell’art. 5 e,in modo più sfumato, in alcuni commi degli artt. 6, 10, 13.A queste parti. della legge si farà riferimento.

2.1. La programmazione.

1 primi due commi dell’art, 5 sono richiamati per alcunicenni sulla programmazione delle attività didattiche.

La legge ribadisce la stretta consequenzialità tra program-mazione dell’azione educativa e programmazione dell’attivitàdidattica, la prima approvata dal collegio dei docenti, l’altradi competenza degli insegnanti, presumibilmente in piccoligruppi.

Finora sono stati rilevati la presenza diffusa nei circolididattici di una programmazione educativa con obiettivi mol-to generali; l’elaborazione di programmazione delle attivitàdidattiche che scendono a più precisi dettagli operativi daparte dei collegi dei docenti o, con maggiore specificità, deiconsigli di interclasse; informazione abbastanza generalizzataalle famiglie sia degli obiettivi che delle modalità di attuazio-ne della programmazione; casi non infrequenti di programma-zioni didattiche elaborate e svolte da singoli insegnanti.

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Sembra quindi che la successione delle programmazioniprevista dall’art. 5, con l’elaborazione del progetto educativoe didattico, sia già operante nella scuola.

Tuttavia, a un esame attento si può rilevare il caratterepiuttosto formale della programmazione di circolo rispetto al-lo svolgimento dell’attività nella scuola.

Questo non significa che le attività didattiche siano con-dotte in modo incerto, ma piuttosto che la programmazionenon riesce sempre a raggiungere quell’incidenza unificante edinamica che dovrebbe accompagnare l’attività didattica.

L’analisi sulle modalità di svolgimento delle riunioni e suicontenuti, sia durante l’anno per l’adozione dei dispositiviprevisti dalla legge 517, sia alla fine dell’anno per la valuta-zione dei risultati conseguiti, rileva spesso prese d’atto for-mali e generiche affermazioni positive sulla realizzazione delprogetto iniziale. Difetta cioè l’oggettività del riscontro deirisultati volto a stabilire la realtà dei fatti più che l’autogiu-stificazione, e spesso si finisce per ignorare la possibilità diriorientare l’attività didattica come conseguenza delle opera-zioni di verifica.

Si può credere che l’osservanza generalizzata della leggedarà alla programmazione una reale incisività per l’interesserilevante che il progetto didattico assume in situazioni cheaffidano la produttività del processo educativo all’azione con-certata tra coloro che operano nella scuola.

Il secondo comma dell’art. 5 stabilisce, secondo le indica-zioni delle ricerche più accreditate sulla pianificazione deglieventi didattici, e secondo quanto prescritto dai Programmi,i compiti che la programmazione deve assumere.

La declinazione degli obiettivi stabiliti dai Programmi inpercorsi didattici spetta alla scuola e pone il problema dellacoerenza complessiva della programmazione, tra istanze scien-tifiche, pratiche e sociali, nella relazione vincolante tra valorie opera didattica.

La prospettiva che si apre è il recupero della specificaprofessionalità insegnante, la riscoperta di un ruolo fino anon molto tempo fa messo in ombra dalla ricerca pedagogica,e oggi rivalutato.

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La lettura dei Programmi e della legge di riforma dell’or-dinamento suggerisce una posizione dell’insegnante attenta aicriteri di pertinenza e di coerenza delle scelte contenutistichee metodologiche, alla gerarchia tra le priorità, alle relazioniordinate tra obiettivi, contenuti, discipline, raggruppamentidegli alunni, organizzazione dei tempi e degli spazi, disposi-zione delle risorse. Il problema da risolvere riguarda l’otti-mizzazione del sistema-scuola e la funzionalità dei processiche al suo interno si attivano.

Molto dipenderà dalle modalità organizzative e dalle di-namiche della contitolarità, temi che rimandano, per una trat-tazione che vuole avvalersi di dati reali, alla sperimentazionepromossa sulla base delle circolari ministeriali 288/1987,143/1988, 196/1989.

Dalle relazioni sull’applicazione delle circolari ministerialiè emerso un dato peraltro prevedibile: nella sperimentazionedei moduli organizzativi sembrano essere stati operanti le con-dizioni ottimali per la formazione di unità docenti affiatatetra loro, disponibili reciprocamente e con una buona sintoniaprofessionale.

Ciò non toglie che dal complesso delle esperienze realiz-zate emerga l’importanza di una maggiore consapevolezza, so-prattutto culturale, delle dinamiche della comunicazione tragli insegnanti, e degli aspetti pragmatici di essa. Se ne è avu-to riscontro là dove da molti anni si erano adottate soluzionidi conduzione pluralistica delle classi e dove, disperso il nu-cleo che vi aveva dato attuazione, sono subentrati, per nor-male avvicendamento, insegnanti di diverso retroterra cultu-rale e di diversa provenienza.

E questa la situazione nella quale con maggiore approssi-mazione si prefigurano i problemi che si ritroveranno quandola riforma degli ordinamenti avrà completa attuazione. Taliproblemi non riguardano soltanto le relazioni umane, ma an-che il coordinamento e l’integrazione della programmazionee dell’azione di ciascun componente del gruppo docente. Nonappare quindi improprio preoccuparsi di questi aspetti anchein sede di aggiornamento.

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2 .2. Unitarietà e continuità didattica.

I motivi dell’unitarietà dell’insegnamento e della riparti-zione del tempo da dedicare alle diverse discipline (punti c,d del comma 2 dell’art. 5) richiamano istanze che nella Scuo-la elementare si possono considerare irrinunciabili, e che so-no chiaramente recepite dal testo dei Programmi. L’esigenzadi garantire l’unitarietà e la continuità didattica, dal momen-to che la scelta della pluralità dei docenti è irreversibile, do-vrà essere soddisfatta cercando in tale scelta le condizioniche consentano di rispettare le istanze prospettate.

Il gruppo potrà garantire unitarietà se tra le sue articola-zioni si realizzerà il massimo possibile di sintonia e di coesio-ne. Questo processo non avverrà in modo spontaneo, ma an-drà costruito avendo chiare le condizioni che lo renderannopossibile, e intervenendo con iniziative di aggiornamento checoinvolgano i direttori didattici, riferimenti importantissimiper il governo delle situazioni relazionali.

Unitarietà dell’insegnamento e contitolarità: la soluzione diun dilemma che, a prima vista, presenta dati contrastanti, do-vrà essere cercata nel tasso di compatibilità reciproca tra gli in-segnanti, nel livello di socializzazione anche in campo professio-nale, nella possibilità di tenere presenti, oltre che le competen-ze, le disponibilità e le propensioni degli insegnanti stessi.

Alcune difficoltà, o almeno qualche punto che richiederàil massimo sforzo per essere chiarito, si possono individuarea questo proposito nella prescrizione di una maggior presenzatemporale di un singolo insegnante nei primi due anni (art.5, comma 5).

Le ricerche sulla produttività dei gruppi di docenti (si pos-sono citare ad esempio i lavori promossi a partire dagli anniCinquanta dal Comité de l’Education dell’OCDE) indicanotra le condizioni che sollecitano una produttività di buon li-vello la parità degli impegni professionali (per la programma-zione, per i rapporti con le famiglie degli alunni, per la formu-lazione delle valutazioni e per la compilazione dei documentiscolastici, per le caratteristiche dell’orario e la distribuzionedegli interventi nelle diverse fasce orarie).

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Le suddette ricerche mettono in guardia dal pericolo dellediverse percezioni di sé da parte di ogni insegnante, con con-seguenze sulla stima degli altri e sull’autostima indotte dalladiversa presenza anche oraria nella classe.

D’altra parte, altre ricerche hanno sottolineato che a un«più di scuola» nel senso di un incremento della frequenza,dell’intensità e dell’efficienza, possono corrispondere, quan-do i bambini sono piccoli, vissuti di conflittualità e di ansia.Ad essi, alcuni bambini sembrano rispondere mettendo in operameccanismi di difesa che si manifestano soprattutto come con-trollo razionale dell’affettività, come blocco emotivo. Le cari-che affettive appaiono ripiegate sulle figure parentali, sentitecome più fondanti e rassicuranti, come capaci di operare unriconoscimento non riduttivo.

E stato detto che probabilmente la molteplicità degli in-segnanti, che influisce positivamente trasmettendo una plura-lità di modelli e di stili cognitivi, non risponde appieno, al-meno per alcuni bambini, ad altre esigenze. Le ricerche sem-brano suggerire che i bambini potrebbero avere bisogno, almenoinizialmente, di ritrovare una persona sufficientemente stabi-le sulla quale trasferire i sentimenti, le modalità di rapportoaffettivo sperimentate con i genitori.

La frammentazione, invece, degli spazi, dei rapporti in-terpersonali, può rappresentare un rischio di dispersione alquale il bambino reagisce, quasi a ritrovare nell’identificazio-ne con il genitore del proprio sesso l’unità minacciata da unaprecoce socializzazione intensa e pervasiva. Le figure paren-tali sono risultate, di frequente, molto valorizzate da questoinvestimento affettivo, quasi a costituire una funzione di con-trappunto all’evanescenza dei modelli sociali che avrebberodovuto sostituirle.

Nei casi esaminati questa diversione regressiva ha sem-brato garantire, nello spazio di tempo considerato (il primoanno di Scuola elementare), un buon comportamento socialee un sufficiente adattamento alle richieste ambientali ancheai bambini più provati dalla scolarizzazione intensiva e daisuoi effetti di policentrismo cognitivo.

Ma, ci si chiede, a quale prezzo?

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È evidente che siamo in un campo dove fattori psicologicied emotivi, sia da parte degli adulti che da parte dei bambi-ni, avranno una forte influenza sulla rete di rapporti che siinstaureranno, e quindi sullo sviluppo di una riforma che fadi questi rapporti un elemento forte per un esito positivo.

La giustificazione per «una maggiore presenza temporaledi un singolo insegnante in ognuna delle classi» sembra esse-re, nel testo della legge, l’impostazione unitaria e prediscipli-nare dei Programmi.

L’aggettivo «unitario/a» ricorre nella legge, quasi ad esor-cizzare il pericolo della frammentazione e a segnalare il ri-schio del permanere delle divisioni in pezzi di uno scenarioche deve, dopo le divisioni, essere ricomposto.

Una lettura dei Programmi mirata alla dimensione predi-sciplinare deve oltrepassare, in una sorta di percorso ad osta-coli, l’impostazione per discipline che i Programmi presenta-no; l’aggiornamento sulle discipline che il Piano pluriennalepersegue da anni; la divisione per aree disciplinari di alcunistrumenti di lavoro a cui gli insegnanti si appellano: rivistee guide didattiche, libri di testo, manuali.

Spetterà agli insegnanti delineare il disegno predisciplina-re deducendolo dagli insegnamenti della psicologia genetica(la globalità dell’apprendimento) e della epistemologia (i fon-damenti di alcune discipline che tendono a una comune defi-nizione). Si dovrà comporre un quadro di riferimento peda-gogico, e soprattutto ci si dovrà appellare alla competenzaelaborativa degli insegnanti e a una loro vigile attenzione al-l’andamento didattico dell’esperienza per mantenere l’equili-brio tra presenza prevalente di un insegnante e collegialità.

2.3. L ’aggregazione delle discipline.

Le implicazioni del tema della collegialità attengono a dueversanti dell’innovazione introdotta dalla legge: la contitola-rità degli insegnanti e la contiguità delle discipline.

A proposito di quest’ultima (della contitolarità si trattaapprofonditamente in altra parte della presente nota), si è

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rilevato che le aggregazioni disciplinari nei moduli sperimen-tali sono state generalmente effettuate secondo le indicazionifornite dalla C.M. 143/1988 h pc e revedeva tre ambiti specifici.

Il disegno delle aree disciplinari, che comprendono mate-rie di cui è plausibile cercare le affinità, o che risultano com-plementari perché si conferiscono reciprocamente organicitàe ricchezza, dipende in buona parte dalla ridefinizione dellematerie operata dai Programmi.

1 Programmi hanno risistemato categorie culturali rimastesostanzialmente invariate per molti anni; hanno ridefinito ifondamenti psicologici, epistemologici e didattici delle mate-rie e gli ambiti interdisciplinari; hanno disegnato per grandilinee una nuova concezione del sapere scolastico fondamenta-le, in accordo con quanto si muove in campo scientifico.

Ad esempio, l’impostazione letteraria della lingua ha ce-duto il posto a indicazioni connesse con i processi comunica-tivi; la matematica ha equilibrato la presenza dell’aritmetica,finora preponderante, con elementi di logica, di statistica,di informatica e di scienza della misurazione; la geografia haacquisito il significato di esperienza del territorio; la storiasi è focalizzata sul senso del tempo e sulla interpretazionedei documenti per un avvio al metodo storiografico e allaricostruzione storica; l’educazione all’immagine e l’educazio-ne al suono e alla musica hanno attinto a nuove dimensionidell’universo visivo e uditivo, mentre l’educazione motoriaè pervenuta alla conquista dell’identità corporea; la disciplinareligiosa ha assunto più precise valenze culturali e per la pri-ma volta la lingua straniera è entrata tra le discipline di stu-dio della scuola primaria.

La ridefinizione della mappa concettuale ha portato inno-vazioni nella scelta e nella articolazione dei contenuti dei Pro-grammi e ha giustificato le indicazioni circa l’aggregazionedelle discipline secondo criteri relativi alle loro affinità.

In vista della formulazione da parte del ministro dei crite-ri destinati a regolare le aggregazioni delle discipline (art. 5,comma 7) sembra opportuno riflettere sulle esperienze finoraacquisite per trarne una conoscenza sommaria di quanto èstato registrato (la pratica dovrebbe essere considerata, quan-

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do si parla della scuola, fonte di conoscenza) e per segnalarecosì alcuni dati di realtà.

La definizione degli ambiti disciplinari, infatti, sembra deb-ba essere dettata, oltre che da criteri di affinità di comple-mentarietà delle materie, da una accorta ricognizione dellerisorse disponibili e dal riconoscimento dei vincoli che posso-no nascere dalle necessità organizzative.

Alla progettualità del collegio dei docenti saranno ovvia-mente riservati, con il disegno degli ambiti disciplinari, i rac-cordi interdisciplinari.

Pur nella generale osservanza degli ambiti disciplinari in-dicati dalla C.M. 143 non sono mancate aggregazioni che sene sono discostate o per particolari competenze dei docenti,0 per esigenze organizzative.

Sono stati segnalati non pochi casi di valutazioni gerar-chiche delle discipline che hanno in genere sottodimensiona-to l’area storico-socio-antropologica e le discipline che richie-dono una approfondita preparazione sul piano tecnico-didattico.

Sono state anche segnalate due diverse concezioni relati-vamente alle scienze. Una vuole riunite in un unico ambitostoria, geografia e scienze cui, ovviamente, non possono nonessere associati gli studi sociali. Le giustificazioni di tale scel-ta fanno riferimento a un ambito della ricerca d’ambiente.L’altra tendenza si muove secondo la C.M. 143 che suggeri-sce l’aggregazione matematica-scienze.

Per quanto riguarda l’educazione all’immagine, l’educa-zione al suono e alla musica, l’educazione motoria si sonofinora riscontrate soluzioni diverse che possono essere classi-ficate per la contiguità delle materie e per l’opportunità orga-nizzativa.

Appartengono al primo settore le soluzioni che hanno as-sociato l’educazione all’immagine e l’educazione al suono ealla musica all’ambito linguistico, in quanto è stato ricono-sciuto un prevalente carattere di «espressività» a tale aggrega-zione; l’educazione motoria all’ambito storico-geografico e deglistudi sociali per gli aspetti di organizzazione spazio-temporalecomuni a queste discipline.

Le necessità organizzative hanno presieduto alle soluzioni

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in cui dell’educazione all’immagine, dell’educazione al suonoe alla musica e dell’educazione motoria si sono occupati tuttigli insegnanti del modulo, nei periodi di contemporaneità,per sottogruppi costituiti da alunni di tutte le classi del mo-dulo con duplice possibilità: ciascun insegnante si è occupatodi una sola educazione con tutti i gruppi di alunni, ciascuninsegnante si è occupato di tutte e tre le discipline, e i sotto-gruppi di alunni sono rimasti affidati costantemente a lui.

Analoghe necessità organizzative hanno, almeno in parte,indotto ad aggregare l’educazione all’immagine all’ambito lin-guistico e le altre due discipline all’uno o all’altro degli ambi-ti rimanenti.

In ogni caso, è risultato che sia stata finora rispettatal’indicazione della C.M. 143 secondo la quale si «dovrà assi-curare globalmente non meno della metà del tempo settima-nale agli insegnamenti di lingua italiana, matematica e scien-ze». Ciò avviene soprattutto per la consistente quota d’orarioriservata alla lingua e alla matematica, mentre le scienze sem-brano aver ricevuto uno spazio inferiore a quello che il testoprogrammatico implicitamente suggerisce.

2.4. La valutazione.

L’art. 5 della legge di riforma enuncia le prescrizioni circala programmazione e l’organizzazione didattica, temi che tro-vano un riferimento comune nelle operazioni di valutazionedei risultati dell’insegnamento per gli evidenti vincoli di coe-renza che legano programmazione e organizzazione didatticaalla vita della scuola.

In una accezione operativa, non formale, la programma-zione dovrebbe alimentarsi continuamente di verifiche e divalutazione per retroagire sulle varie fasi del processo chesi attua nella scuola.

La valutazione, che a sua volta si vale delle verifiche sen-za esaurirvisi, risulta uno dei momenti più deboli della pro-grammazione. Se volessimo essere conseguenti dovremmo di-re che la debolezza di questo punto coinvolge l’intera pro-

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grammazione: si parla di valutazione in itinere perché nonsi può attendere a valutare alla fine, quando i giochi sonofatti e non è più possibile agire per riequilibrare obiettivi,metodi, contenuti.

In questo senso la valutazione, lungi dall’essere lo stru-mento che immobilizza il soggetto dell’apprendimento legan-dolo al prodotto scolastico nella fase finale, è l’elemento chedinamizza l’intero arco della programmazione.

Appare quindi spiegabile che le programmazioni che qual-cuno ha qualificato «sta t iche» e «rituali» siano tali perché ca-renti nella fase di verifica e di valutazione.

La valutazione è sempre stata un elemento conflittualein quanto il docente che valuta non intende a sua volta esserevalutato, né crede di privarsi con ciò di una occasione dicrescita professionale.

Una logica integrale della valutazione, o come si dice oggiuna cultura della valutazione, non può permettere che restinofuori i soggetti valutanti: l’insegnante, gli organi collegiali,l’intera scuola.

L’incertezza nei principi si è finora tradotta nell’inade-guatezza degli strumenti applicativi.

Il tema della valutazione ha comunque diversi gradi diampiezza: dalle verifiche dei percorsi didattici a cui fare se-guire un impegno valutativo che vincoli a formulare propostedi lavoro per l’immediato futuro, alla ipotizzata costituzionedi un Servizio permanente di valutazione (se ne è parlatoautorevolmente nella Conferenza nazionale sulla scuola) chepermetta di controllare i risultati del sistema scolastico a li-vello centrale e a livello locale.

Senza l’elaborazione di un modello di valutazione chiaro,e di strumenti di misurazione e di monitoraggio sarà difficile,se non impossibile, vagliare l’efficace e il meno efficace, leattività più valide e quelle meno valide, e quindi effettuaredecisioni consapevoli basate su criteri validi.

Nella sua relazione alla Conferenza, Giuseppe De Ritaha sottolineato che « l a qualità dell’istruzione nasce da qui:la prima iniziativa di qualunque azienda che vuole migliorarela qualità del suo prodotto è sempre la verifica del suo fun-

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zionamento, in modo da individuare i punti di debolezza suiquali intervenire, e i punti di forza sui quali basare il proces-so di rinnovamento. Purtroppo, nonostante la scuola italianasia la più grande azienda europea, con oltre 1.200.000 dipen-denti, e sia un’azienda che ha necessità di rinnovarsi, nonsi è ancora dotata di strumenti di valutazione permanente».

2.5. Gli interventi per alunni portatoti di handicap.

Ulteriori interventi sugli ambiti disciplinari dovranno es-sere effettuati per gli alunni in difficoltà di apprendimentoa causa di svantaggio ambientale e per l’integrazione scolasti-ca dei portatori di handicap (art. 6, comma 1).

Per i primi, la programmazione didattica dovrebbe preve-dere interventi individualizzati che adattino l’attività scola-stica alle possibilità di apprendimento e alle motivazioni adapprendere di soggetti per i quali la scuola rappresenta unmomento di frustrazione. Certo, questo implica un ripensa-mento dell’attività scolastica: una trasformazione di metodie di contenuti: bisogna scegliere tra una presunta gradualitàche può anche nascondere il desiderio di cambiare il menopossibile e il tentativo ponderato di fare qualcosa di nuovo,in nome di valori diversi.

Per i soggetti portatori di handicap, e per la loro integra-zione nella scuola, i Programmi richiedono che sia predispo-sta, a cura dei servizi specialistici, una diagnosi funzionalesu cui possano fondarsi la programmazione e gli interventieducativi dei docenti.

L’elaborazione dello strumento diagnostico richiede chei vari operatori dei servizi di territorio, ciascuno per la suacompetenza, secondo una visione unitaria del soggetto, pro-cedano a una analisi attenta che evidenzi non soltanto le areedella menomazione, ma soprattutto quelle che risultano total-mente o parzialmente integre su cui si potranno fondare leazioni di recupero e di sviluppo.

Gli interventi didattici differenziali sono di competenzaesclusiva degli insegnanti, ma non possono essere predisposti,

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e progressivamente affinati senza il contributo di esperti incampo medico, psicologico e sociale. La collaborazione si ren-de necessaria nella interpretazione della diagnosi funzionale,perché la programmazione interdisciplinare dell’inserimentonella scuola del bambino portatore di handicap deve muoveredall’analisi e dalla definizione del problema, e quindi deveporre l’accento sui comportamenti osservabili e sulla cono-scenza della storia del bambino.

In questa fase di approccio al problema è necessario met-tere in gioco competenze diverse da quelle degli insegnanti,che devono raccogliere i dati indispensabili al loro interven-to. In questo modo l’inserimento dei soggetti portatori dihandicap nella scuola per tutti dovrebbe essere avviato suuna pista di realismo e di partecipazione, entrambi elementidi un intervento che esclude sia gli inutili pietismi che i piùo meno mascherati rifiuti.

2.6. La lingua straniera.

L’ambito disciplinare che comprende la lingua italiana do-vrà comprendere anche la lingua straniera (art. 10 della leg-ge): l’insegnamento/apprendimento della lingua straniera do-vrebbe infatti essere coerente con gli obiettivi generali di edu-cazione linguistica e muovere quindi dal presupposto che anchela seconda lingua risponde a esigenze educative di base. L’im-postazione di fondo nasce dal presupposto che l’abilità lingui-stica non sia una competenza estrinseca, ma una formazionecumulativa di strutture flessibili che interagisce continuamen-te con le attività cognitive. L’apprendimento di una linguastraniera consiste allora in una acquisizione funzionale allosviluppo intellettuale e all’arricchimento culturale.

In attesa delle norme che verranno emanate dal Ministro,può essere utile riassumere brevemente le indicazioni che l’in-troduzione sperimentale di una lingua straniera nel curricolodella Scuola elementare ha fornito.

Nei Programmi, a differenza delle indicazioni per la lin-gua italiana, le mete didattiche e i procedimenti suggeriti per

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la lingua straniera sono piuttosto vaghi. Mancano, nel tessutoteorico pregiudiziale alle varie indicazioni, chiari presuppostiglottodidattici.

Nel quadro di una visione globale dell’educazione lingui-stica anche l’apprendimento della lingua straniera, già nellasua fase iniziale, dovrà permettere ai bambini di comunicarecon altri attraverso una lingua diversa dalla propria.

È rilevante, a proposito degli obiettivi che la scuola sipone allo scopo di orientare e sollecitare l’uso della linguastraniera, che si tenga presente che una lingua viene usatase esiste un sistema motivazionale sufficientemente forte.

E noto che nei bambini in età scolare è viva una spiccataattitudine linguistica, a cui non corrisponde tuttavia una con-sona motivazione all’apprendimento della lingua straniera insituazioni in cui ciò non sia strettamente necessario (ad esem-pio in aree di affermato e consolidato bilinguismo); la motiva-zione all’apprendimento è da trovare dunque anche nelle mo-dalità dell’apprendimento stesso, vissuto in situazioni socializ-zanti e di comunicazione con i compagni e con l’insegnante.

La comunicazione, specialmente quella orale, si pone qua-le momento fondamentale, e le strategie didattiche dovrannomirare, conseguentemente, a un utilizzo eminentemente ver-bale della lingua, in un approccio situazionale, nella sequenzadi attività adeguatamente predisposte che, nella loro flessibi-lità, si appellano all’esperienza, alla concretezza del vissuto.

In sintesi, l’apprendimento dovrà essere fondato sulla se-quenza comprensione-assimilazione-produzione che si svilup-perà attraverso una progressiva presa di coscienza delle possi-bilità espressive e comunicative della lingua straniera.

2.7. L’aggiornamento.

L’impegno professionale degli insegnanti risulta rilevante:l’attuazione dei Programmi passa evidentemente attraversola riforma degli ordinamenti e rende necessario un nuovo in-dirizzo dell’aggiornamento al fine di conseguire una più stret-ta connessione con la fase attuativa della riforma (art. 13).

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La sperimentazione dei moduli organizzativi ha messo inluce l’importanza della progettazione delle attività scolasti-che, mentre nell’applicazione del Piano pluriennale di aggior-namento è risultata molto attenuata la promozione della com-petenza e della consuetudine all’uso di tecniche e di procedu-re di verifica e di controllo, indispensabili nella progettazionee nella gestione dei moduli organizzativi.

Si impone allora la riflessione su alcuni punti essenziali:l’individuazione dei problemi relativi alle dinamiche interper-sonali all’interno del gruppo per l’ottimizzazione del rendi-mento; l’approfondimento delle modalità di aggregazione del-le discipline (quindi anche spazio agli argomenti trasversaliquali, ad esempio, i collegamenti, i processi di programmazio-ne e di valutazione, il sostegno, il recupero); l’incentivazionedelle esercitazioni sull’uso delle tecniche di verifica e di con-trollo, l’approfondimento dei temi concernenti l’organizzazione,le dinamiche dei processi decisionali, gli aspetti pragmaticidella comunicazione.

Un futuro di grandi dinamiche relazionali richiede chetutto il personale della scuola, e non solo gli insegnanti, siattrezzi culturalmente.

Anche per il tema dell’aggiornamento l’esperienza fin quiesperita, nell’ambito del Piano pluriennale, può fornire qual-che indicazione per il futuro.

All’indagine promossa con la C.M. n. 154 del 6 maggio1989 la maggioranza dei collegi dei docenti ha risposto chel’aggiornamento ha indotto un sensibile avanzamento delleprospettive pedagogico-didattiche, ovviamente a livelli diver-si secondo la consistenza della formazione professionale deisingoli insegnanti.

Accanto a qualche segnalazione di frammentarietà e diinsufficiente approfondimento di singole aree disciplinari (studisociali; educazione all’immagine, al suono e alla musica; edu-cazione motoria) si è registrata una valutazione sostanzial-mente positiva circa l’obiettivo iniziale: avviare un gradualeapprofondimento delle conoscenze e delle competenze profes-sionali degli insegnanti per indurre un più consapevole ap-proccio ai problemi della didattica. Il cammino però è lungo,

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e per ora si parla di utili contributi e di efficaci stimolazioniper eventuali approfondimenti successivi.

Dall’esame delle programmazioni delle attività didattichesi deduce che l’aggiornamento sui Programmi ha probabil-mente contribuito all’adeguamento delle finalità, degli obiet-tivi, dei contenuti, delle metodologie, degli atteggiamenti ri-spetto all’applicazione dei Programmi stessi.

L’aggiornamento può dunque innestare un positivo pro-cesso orientato all’innovazione metodologico-didattica; la pro-grammazione può risultare più consona alle indicazioni deiProgrammi; la collegialità può diventare un dato di fatto.

Tuttavia, parlare di ricaduta sostanziale dell’esperienza diaggiornamento sulla programmazione e sul costume scolasticopuò apparire prematuro. La lievitazione suscitata non man-cherà di dare i suoi risultati in termini di crescita professio-nale degli insegnanti. Molto dipenderà, come sempre, dal lo-ro grado di sensibilità didattica, e dal grado di capacità ge-stionale dei direttori didattici che sanno di doversi prodigareper assicurare una assistenza continua, rimettendo in causaanche le competenze maturate sul campo.

L’indicazione generale che sembra scaturire dalle osserva-zioni sulle imprese di aggiornamento fin qui compiute è indirezione di una maggiore praticità e concretezza, di un mag-giore coinvolgimento dei partecipanti alla fase operativa, diuna più approfondita ricerca metodologica e didattica, in de-finitiva, più indicazioni di percorsi e di unità didattiche, ela distinzione di quanto, nei Programmi, è fattibile da chiun-que e subito, e quanto invece richiede maggior studio, appro-fondimento specifico, risorse e materiali non ancora disponi-bili, conoscenze e tecniche specifiche che la normale prepara-zione dell’insegnante elementare non fornisce.

L’aggiornamento sul campo è certamente necessario, masembra ormai tempo di porre mano ad una sostanziale edeffettiva soluzione del problema della preparazione e dellaselezione degli insegnanti, sia sul piano culturale che sul pia-no professionale.

Occorre anzitutto che l’aggiornamento degli insegnanti inservizio divenga più efficace, continuo e specifico, e che la

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preparazione degli insegnanti futuri segua strade più aderentialle necessità ed alle peculiarità che la professione docenteviene assumendo nella società attuale.

3. IL GRUPPO DOCENTE.

La trattazione elaborata fin qui ha riconosciuto la rilevan-za dell’azione del gruppo docente per una effettiva riformadella Scuola elementare.

Sul gruppo docente, sul suo funzionamento e sulla suaproduttività si deve puntare per il buon esito della riforma.

Finora ne abbiamo discusso in un contesto di improntaeminentemente giuridico-amministrativa e di tono organiz-zativo-didattico, tra altri temi con cui si è voluto esploraregli interventi e gli strumenti che dovranno sostenere il grup-po degli insegnanti nel suo impegno innovatore.

Riteniamo quindi opportuno, a conclusione del nostro con-tributo, ripercorrere le linee orientative tratteggiate dalla leg-ge e proporre alcuni tratti significativi della professionalitàdocente.

3.1. La normativa.

Meritano una considerazione particolare le nuove normeche disciplinano le modalità di lavoro degli insegnanti e chevengono a delineare la composizione del «gruppo docente».

Si tratta, principalmente, degli artt. 4 e 5. Vanno puretenute presenti altre disposizioni contenute nella stessa legge,come quella dell’art. 6, comma 2 (insegnanti di sostegno) odell’art. 9, comma 1 (ore settimanali di programmazione).

In aggiunta a quanto s’è detto nella prima parte del no-stro lavoro (cfr. supra: «Gruppo docente»), qui si vuole sotto-lineare un elemento specifico che sembra accomunare questenorme: l’idea che la professione docente si realizzi in unamodalità nuova rispetto al passato, cioè nella forma della plu-ralità organizzata.

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Per un verso, la pluralità conferma il principio della colle-gialità, introdotto in Italia prima, in via facoltativa, con lalegge 820/1971 e poi, in via generale, con i decreti delegatidel 1974. Per un altro verso, le prescrizioni di carattere orga-nizzativo e funzionale (principalmente la programmazione di-dattica settimanale e il lavoro in contemporaneità) configura-no il gruppo docente come un organismo unitario che sosti-tuisce in ogni senso il tradizionale insegnante unico.

Fino ad oggi, in verità, la presenza, accanto all’insegnantedi classe, di altri docenti, peraltro non garantita dappertutto,collegata com’è a fattori casuali ed a scelte particolari, si con-figura di solito (fatta eccezione per i casi di tempo pienoben realizzato) come una semplice «aggiunta» o «giustapposi-zione»: non necessaria e, pertanto, non importante. Con lanuova legge le cose cambiano decisamente. La prestazionedocente da attività «solitaria» o, tutt’al più, «costellata di ag-giunte» o «aggiuntiva», diventa espressione coordinata di unaconcertazione fine fra più soggetti.

Insomma, se nel modulo la pluralità non è la sommatoriadi più persone, non è neanche la successione di insegnantesingolo specialista ad altro insegnante singolo specialista, in-comunicanti tra loro, come avviene nella Scuola media (dovele materie e gli orari, cartesianamente distinti, costituisconoconfini di netta separazione).

3.2. Pluralità e moduli.

La pluralità, come dato empirico e casuale, non è ignotanelle nostre classi, dove già oggi si trovano ad operare piùdocenti sebbene in posizioni variamente configurate. Sul pia-no quantitativo la legge (deludendo quanti pensano ad unariforma in termini di investimenti produttivi e quindi anchein termini di nuove risorse), non aggiunge insegnanti a quelliche già ci sono. Anzi esclude espressamente e in vari puntiogni ulteriore incremento (art. 15, commi 5 e 10), mentrepredispone un meccanismo di verifica quadriennale (art. 15,comma 11) per evitare che il decremento demografico provo-

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chi eccedenza di posti. Insomma, una linea di severo rigoreper la quale è perfino lecito ipotizzare fenomeni di regressio-ne al di là dei tagli dichiarati (abolizione delle attività inte-grative e delle dotazioni organiche aggiuntive, da cui elimina-zione dei posti per attività psicopedagogiche, di laboratorio,educazione fisica, educazione musicale,. . . attività fin qui assi-curate con interventi di tipo <(specialistico)>, di una o dueore settimanali, distribuiti su numerosi gruppi classe). Puòsuccedere cioè che la legge riduca il numero di docenti concui entra in contatto oggi, normalmente, un alunno della scuolaelementare non riformata.

Il segno della novità nella didattica per moduli non ri-guarda quindi tanto la quantità dei docenti coinvolti quantoil fatto che si sancisca per legge il dovere di strutturare informe congrue il gruppo dei docenti.

Sotto questo riguardo importano relativamente poco gliaspetti meramente quantitativi (3 o 4 docenti, insegnante disostegno, ecc.). La stessa disposizione dell’art. 5, comma 5,secondo cui, « d i norma» deve essere consentita «una maggiorepresenza di un singolo insegnante» in ognuna delle classi delmodulo, quando queste classi siano del 1 ciclo, può qui, peril discorso che facciamo, non essere determinante. Certo, sitratta di una indicazione di per sé capace di provocare incer-tezze e tensioni nel gruppo dei docenti ma, non facendo veniremeno né la contitolarità nelle classi né l’obbligo di operare col-legialmente, non esime l’insegnante con maggiore presenza (co-munemente detto «prevalente») dalla necessità di coordinarei suoi interventi con quelli degli altri colleghi del modulo.

Ma, una volta accettato il carattere innovativo della di-dattica del modulo, sorge un problema: quello di individuareparametri di riferimento tecnico-giuridici certi e validi, in rap-porto ai quali si possa arrivare a definire u n a soglia minimadi legalità; ovvero una soglia che segna il confine tra ciò cheè didatticamente e giuridicamente adeguato e ciò che nonlo è affatto.

Al di sotto di una siffatta soglia non solo il «gruppo do-cente» funziona male o non funziona affatto, ma anzi si ponefuori della legge, in stato di inadempienza.

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3.3. I Programmi dell’85.

La descrizione di una collegialità docente organizzata nonpuò prescindere dai programmi approvati con D.P.R. 104/1985,anche in ragione del fatto che il modulo nasce come strutturadidattica necessaria alla piena attuazione di quei programmied in linea con la complessità dei curricoli e dei processi diformazione ivi registrata e proposta.

Due ordini di riflessioni attraversano, come filo condutto-re, il documento programmatico, l’uno sul versante dei conte-nuti (ampliamento «delle opportunità formative offerte dalcurricolo, sia con l’inserimento di nuove attività, sia con lavalorizzazione degli insegnamenti tradizionali»), l’altro sul ver-sante dei soggetti in apprendimento (apprezzamento della «di-versità» e uso di percorsi, procedure e canali comunicatividiversificati, stante l’impegno della scuola a «conoscere e va-lorizzare le attitudini individuali, le conoscenze acquisite daogni alunno» e « l e sicurezze raggiunte sul piano affettivo,psicologico e sociale»): da qui l’insistita sottolineatura del-l’importanza che ha l’organizzazione della scuola e della di-dattica e del ruolo cruciale che, in tale opera di organizzazio-ne e riorganizzazione, è riservato all’attività dei docenti.

L’obbligo di raggiungere, nella formazione scolastica, esitidi eccellenza uguali o almeno equivalenti per tutti, assumen-do la diversità di ognuno come principio direttivo di lavoro,pone una condizione forte. Che si appresti un ambiente at-trezzato per l’apprendimento in grado di favorire, con discri-minazione positiva gli itinerari personali di studio e di impegno.

L’«arricchimento» della componente docente fa parte diquesto scenario: assolve alla condizione di rendere disponibilicompetenze numerose e diversificate e di utilizzare molteplicicanali di comunicazione.

L’idea del team o gruppo docente si basa sul presuppostoche un maestro da solo non potrebbe garantire né il completoe totale svolgimento delle attività di studio (ci vuole compe-tenza e specializzazione per affrontare in modo adeguato lediverse materie), né una molteplicità di approcci e di itinerariche conducano ad un buon apprendimento.

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3.4. Commi principi regolativi,

Ma il tema non nasce in modo spontaneo. Perché sia pos-sibile, nel gruppo, mettere a frutto le diverse qualità e risorsedei singoli docenti e realizzare interazioni collaborative di si-curo effetto, occorre un impeto e uno studio particolari: unacontinua concertazione fine, una messa a punto degli inter-venti in via ravvicinata ed una esperienza di lavoro comune,anche in compresenza.

Nella Relazione elaborata - per conto del ministro dellaPubblica Istruzione - dal corpo ispettivo sui 7300 e più mo-duli attivati nel 1988-89, a proposito della costituzione ingruppo dei docenti, si prospetta la necessità di assumere « c o -muni principi regolativi, capaci di assicurare la funzionalità,e la conseguente produttività, del lavoro di gruppo».

La disponibilità alla collaborazione e al confronto e l’ac-cettazione del punto di vista altrui costituiscono, invero, le«condizioni essenziali alla corretta impostazione ed attuazio-ne delle dinamiche relazionali all’interno del gruppo». La di-sposizione soggettiva, tuttavia, deve trovare una sua oggetti-vizzazione in strumenti operativi in qualche misura «misura-bili», suscettibili di verifiche pubbliche o, comunque,intersoggettive.

In tale contesto rientra l’assunzione di comuni principiregolativi. Operazione da mettere a punto, in primo luogo,al momento della programmazione/ri-programmazione (cioè almomento in cui o ad inizio d’anno o in itinere si prendonodecisioni sulle cose da fare), e da tenere sotto controllo, insecondo luogo, nel concreto svolgimento dell’attività didatti-ca - sia per rendere l’assetto organizzativo più chiaro e per-tinente nei fatti sia per operarvi eventuali modifiche e aggiu-stamenti.

Da qui la rilevanza che possono assumere gli elementi strut-turali « f o r t i » del modulo: le due ore settimanali di program-mazione e la prestazione di lavoro in contemporaneità (qualeche ne sia la misura, cfr. art. 9, comma 5).

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3.5. La programmazione.

Per limitare il discorso al momento della determinazionedei principi regolativi, consideriamo l’art. 5 della legge chefinalizza la programmazione didattica, fra l’altro: a) alla pre-disposizione di una organizzazione didattica «adeguata alleeffettive capacità ed esigenze di apprendimento degli alun-ni»; b ) all’unitarietà dell’insegnamento; c) ad una ripartizione«adeguata» del tempo scuola fra le diverse discipline del cur-ricolo.

Oltre a selezionare e scandire obiettivi, contenuti, meto-dologie, verifiche, ecc., la programmazione, comprendendoparti che servono all’organizzazione del lavoro docente, inrapporto non solo ai tempi ma anche all’impiego di compe-tenze diverse da comporre in un’azione «unitaria», inevitabil-mente si atteggia a patto regolativo che orienta e vincola icomportamenti degli insegnanti del modulo.

Perché tale patto non sia arbitrario e inaccettabile sul pia-no pedagogico-didattico e giuridico, è indispensabile che siafondato su elementi di sicura validità, su parametri di riferi-mento dedotti dall’universo del sapere pedagogico e accoltinel nostro ordinamento giuridico: per esempio, su quelle ca-tegorie didattiche generali che attraversano i vari campi del-l’apprendimento secondo la descrizione che ne fanno i pro-grammi nazionali.

Mettendo, così, in relazione l’art. 5 prima citato e il se-condo capitolo della Premessa, appare evidente che la defini-zione di comuni principi regolativi deve rapportarsi agli obiet-tivi di:

a) sviluppare, nelle due direzioni opportunamente pre-cisate dai programmi, la «potenziale creatività del fanciullo»;

b) organizzare un «ambiente educativo e di apprendi-mento» nel quale ogni alunno possa «maturare progressiva-mente la propria capacità di azione diretta, di progettazionee verifica, di esplorazione, di riflessione e di studio indi-viduale»;

c) «conoscere e valorizzare le attitudini individuali» degli

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alunni, « l e conoscenze acquisite» e « l e sicurezze raggiunte sulpiano affettivo, psicologico e sociale» in modo da «evitare,per quanto è possibile, che le ‘diversità’ si trasformino indifficoltà di apprendimento ed in problemi di comportamento»;

d) attivare, «nel quadro della programmazione educativo-didattica», gli interventi «più idonei a corrispondere ai biso-gni ed alle potenzialità del singolo soggetto» anche portatoredi handicap;

e) promuovere « l a progressiva costruzione delle capaci-tà di pensiero riflesso e critico, potenziando nel contempocreatività, divergenza e autonomia di giudizio, sulla base diun adeguato equilibrio affettivo e sociale e di una positivaimmagine di s é » .

Per ognuno di questi obiettivi si possono immaginare at-teggiamenti e modalità di intervento coerenti fra loro, qualeche sia l’ambito didattico affidato al docente.

Ogni insegnante, infatti, nel rispettivo campo di inter-vento, si trova a dover considerare e «tra t tare» settori fonda-mentali di esperienze e di interessi infantili: la dimensionecorporale, intesa come insieme di esigenze di ordine fisico-funzionale e come esercizio di capacità di organizzazione diatti, spazi, tempi; l’operatività, la tecnologia, il «fare intelli-gente)>, . . . la dimensione estetico-espressiva, l’immaginazione,. . .la dimensione socio-ambientale, i condizionamenti, le regoledi comportamento e i pregiudizi che ciascuno porta con sépiù o meno inconsciamente,. . . di fronte a simili problemi ègiusto che il gruppo docente assuma linee di condotta noncontraddittorie fra loro.

Analogo discorso può essere fatto per quanto riguarda ilrispetto e la valorizzazione di caratteristiche differenziali, stabili(attitudini e caratteri di base di ciascuno) e temporanee (si-tuazioni particolari dell’individuo nel dato momento), che,connotando i processi ed i meccanismi dell’apprendimento delsingolo, postulano opportune attività di superapprendimentoovvero di riapprendimento, rinforzo, ecc., affinché la diversitàche ognuno porta in sé non diventi disuguaglianza.

Il principio regolativo da assumere nel gruppo docente

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potrà essere quello di un comune atteggiamento, per esem-pio, circa la distribuzione dei tempi. Dal momento che leattività differenziate ora accennate richiedono una trattazio-ne fine del quadro orario, con speciale riguardo all’alternanzafra insegnamento «frontale» e lavoro di gruppo, fra presenzadi un solo insegnante e contemporaneità, fra classe « c h i u s a »e classi aperte, può affermarsi l’idea non solo di una «mani-polazione dei tempi», peraltro evocata, sia pure indirettamen-te (principio della scansione in cicli «secondo una logica peda-gogica»), dai nostri programmi, ma altresì di una sua revisio-nabilità periodica.

In altri termini, il «rispetto di un’adeguata ripartizionedel tempo» invece di essere inteso come l’osservanza puntua-le ma formale di un quadro-orario fissato in maniera astrattae preventiva, può diventare: a) impegno a mettere sotto os-servazione le scansioni temporali; b) disponibilità a metterea punto una nuova configurazione dell’orario se ritenuta piùfunzionale.

Come si capisce, questo modo di operare si basa su unaconcezione della verifica e della valutazione alquanto diversada quella tradizionale. Nel mettere sotto controllo il «profit-t o » di un alunno o di una classe, non si mira a formulareun giudizio su quell’alunno o su quella classe. 0 non si fasolo questo. Si tende piuttosto a cercare di capire come x(fun-ziona» una certa organizzazione temporale e come può essereesercitato, da parte del gruppo docente, il diritto/dovere diintervento sugli assetti organizzativi per migliorare la qualitàdella didattica e conseguire risultati più soddisfacenti.

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DUE FILOSOFIE IN GIOCO

Roberto Maragliano

1. COSA VUOL DIRE PRIMARIO?

Lungo l’arco di tempo, corrispondente agli anni Ottanta,che ha visto la messa a punto e il varo prima di nuovi pro-grammi e poi di un nuovo ordinamento per la Scuola elemen-tare italiana, hanno avuto modo di scendere in campo e dimisurarsi due interpretazioni generali del ruolo e delle fun-zioni della formazione primaria: due vere e proprie «filoso-fie», di difficile se non impossibile composizione.

Scopo di questo articolo è di delineare i contorni di que-sti blocchi teorici, discutere il compromesso che tra di essisi è venuto a stabilire, identificare i problemi che il puntodi equilibrio trovato lascia inevitabilmente aperti.

Per sviluppare un tale discorso, le cui coordinate vannoal di là dei termini concreti su cui si è articolata la discussio-ne relativa ai programmi e alla riforma, è necessario prenderele distanze, almeno provvisoriamente, da questi stessi termi-ni. Ne scaturirà la delineazione di un campo di tensioni ca-ratterizzato dalla forte opposizione dei due poli. Alluderò dun-que ad orientamenti filosofici (e strategici) che nella loro con-figurazione pura e astratta non hanno mai avuto modo diemergere, dentro il dibattito politico, pedagogico e ammini-strativo, ma che comunque non hanno mai smesso di agiredal di dentro delle varie posizioni. In altri termini, è probabi-le che il lettore non si troverà nella condizione di condividerepienamente l’una o l’altra delle filosofie che verranno presen-

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tate, anche se è certo che la sua personale convinzione avràmodo di collocarsi dentro l’ambito teorico che esse delimi-tano.

A quali filosofie faccio riferimento?La prima trae le sue origini dalla scelta, tipicamente

ottocentesca (ma in vario modo ripresa nel nostro secolo,soprattutto attraverso la restaurazione gentiliana) di distin-guere nettamente la sfera della formazione primaria da quelladella formazione secondaria. Nella forma più genuina questadistinzione corrisponde ad un impianto istituzionale che facoincidere la formazione obbligatoria con la scuola primariae la formazione post-obbligatoria con la formazione seconda-ria. Al di sotto di questo orientamento opera un altro ele-mento di differenziazione, il quale attribuisce al primo poloun compito di formazione popolare e al secondo il compitodi selezionare e consolidare la classe degli individui « c o l t i » .Da questo tipo di scelta derivano una serie di conseguenzeteoriche e pratiche:

a) la prima scuola è soprattutto di «formazione genera-le», e si impegna a fornire, al di là dei requisiti minimi del-l’alfabetizzazione, una visione unitaria del mondo e del ruoloche vi svolgono i diversi saperi;

b) il curricolo iniziale è segnato dalla presenza non tan-to di «mate r ie» quanto di «esperienze» a forte valenza eticaed estetica, la cui funzione è di assicurare il mantenimentodi quell’unità delle coscienze e della conoscenza che si reputaessere il tratto distintivo della crescita «umana» del fanciullo,e del popolo (si pensi al ruolo svolto dalla religione «la ica»e appunto dall’estetica dentro il programma messo a puntoda Giuseppe Lombardo Radice);

c) l’insegnante che opera in questo ambito scolasticopresenta un’identità ed è l’esito di una formazione assoluta-mente coerente con le caratteristiche sopra delineate. E quiche si giocano e acquistano senso il suo essere «maestro» (enon «professore»), la sua sensibilità ai temi pedagogici (e, diriflesso, la sua relativa indifferenza ai temi disciplinari), unapreparazione che si ferma ai confini dell’università (diversa-

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mente da ciò che avviene per la maggior parte dei suoi colle-ghi dei livelli superiori);

d) l’impianto organizzativo di questa scuola fa centrosull’unicità della figura docente e sull’unitarietà delle sue fun-zioni; ed anche le dotazioni didattico-librarie previste hannouna forte caratterizzazione unitaria;

e) la scuola secondaria presenta una ragione sociale epedagogica nettamente differenziata da quelle della primaria:ciò risulta tanto più evidente quanto più agiscono, nella tran-sizione tra i due livelli, dei pesanti meccanismi di selezione-sbarramento (per esempio gli esami di ammissione alla media);

f) se la primaria, culturalmente parlando, è il luogo del-l’unitarietà, la secondaria è il luogo della differenziazione:al posto delle «esperienze» troviamo le materie, al posto delmaestro («unico» o comunque pensato e configurato unitaria-mente) l’insegnante formato dall’università e specializzato inuna data area di sapere; al posto del libro unico (il sussidia-rio) i molti manuali. In altri termini, il popolo fanciullo (eil suo custode pedagogico) è portatore di un solo modo difare cultura, mentre la classe dei colti (inclusi i professori)è cementata dal confronto (o dalla giustapposizione) dei sape-ri locali.

Un presupposto fondamentale di questa visione del mon-do, e della scuola, consiste nel riconoscimento della prioritàcronologica e logica che la seconda ha nei confronti del pri-mo, in ordine alla irradiazione e fissazione delle esperienzee delle conoscenze. L’accesso dell’individuo all’universo deisaperi avviene attraverso l’ineliminabile mediazione esercita-ta dalla scuola. Passiamo alla seconda filosofia. Essa è basatasu una radicale revisione del principio che ho presentato aconclusione dell’itinerario dentro la prima: la scuola, nel suocomplesso, perde il carattere di agenzia esclusiva (o material-mente prevalente) della trasmissione culturale, e la sua azioneviene di fatto a collocarsi a fianco di altre agenzie socialie culturali (in primo luogo i moderni mezzi della comunica-zione). In questo nuovo contesto il rapporto tra dimensioneprimaria e dimensione secondaria perde parte delle sue carat-

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terizzazioni sociali e pedagogiche, mantenendo soltanto quel-la logica, che si riferisce alla scansione cronologica del curri-colo. Ciò deriva anche dal fatto che l’area dell’obbligo coin-volge parte della formazione secondaria e ne ristruttura quin-di l’impianto. Le conseguenze di una tale revisione, discussequi soltanto sul piano teorico, sono che:

a) cade la distinzione pedagogica tra il luogo dell’espe-rienza e il luogo del sapere. Tutta la scuola, primaria o secon-daria che sia, diventa luogo di fissazione e patteggiamentodi saperi, i quali non possono non intrattenere un rapportodialettico con le esperienze culturali di cui l’individuo si faportatore, indipendentemente dall’età in cui avviene l’acces-so dentro le strutture della formazione istituzionale;

b) la tensione unitaria che nella prima filosofia operavacome termine da cui partire assume, nel nuovo contesto, ilruolo di sintesi a cui approdare attraverso i percorsi dellaformazione scolastica. La visione d’assieme non è un già da-to, ma un qualcosa da conquistare dentro gli equilibri disci-plinari che si vengono a determinare nel curricolo;

c) il maestro perde il carattere di figura complessiva,segnata dalla prevalenza dell’istanza pedagogica su quella cu l -turale dei diversi saperi, e va alla ricerca non di una nuova,ma di nuove identità, alla definizione delle quali concorronodegli itinerari di formazione universitaria che possono esseretra di loro anche differenziati;

d) la dotazione strumentale di cui dispone la scuola pri-maria non si riduce più al libro unico (o pensato unitariamen-te) ma si articola su numerose risorse (librarie e no) che pon-gono i presupposti di differenziazione all’interno dei qualidebbono maturare nuovi orientamenti unitari (da interpreta-re più come idee-limite, negoziabili e fissabili di volta in vol-ta, che non come valori definiti una volta per tutte);

e) la scuola, tutta la scuola, nel suo impianto tenden-zialmente unitario, opera come sede per la formazione di unaclasse colta e i confini di questa classe non sono preventiva-mente definiti (come avviene all’interno della prima filosofia)ma si fanno mobili, fino a coincidere con quelli dell’utenza.

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Una coincidenza che viene espressa sul piano teorico e chediventa tanto più realizzabile quanto più cresce la produttivi-tà e la qualità complessiva della formazione;

f) se sul piano istituzionale la divisione di fondo cheagisce dentro l’altra filosofia ha a che fare con la netta sepa-razione tra la sfera della formazione primaria e la sfera dellaformazione secondaria, nella filosofia che stiamo discutendoessa non ha piìì ragione di esistere. E al suo posto si collocaun altro tipo di divisione: quella che distingue, all’internodell’itinerario complessivo di formazione, la parte garantitadall’obbligo dalla parte non obbligatoria. Fermo restando chela seconda parte, almeno in teoria, tende a subordinarsi allaprima, fino a scomparire del tutto (come avviene quando l’in-tero itinerario preuniversitario viene considerato obbligatorio).

Per riassumere il senso dell’opposizione radicale tra primae seconda filosofia può esser utile interrogarsi sulla diversarisposta che esse danno all’interrogativo che funge da titoloal presente paragrafo: cosa intendono per «primario»?

E evidente che la risposta fornita dalla prima filosofiausa «primario» nell’accezione di «fondamentale», «ciò che vieneprima sul piano logico». La scuola primaria, in questo qua-dro, è tale perché garantisce i presupposti alla crescita indivi-duale, sia dell’individuo-popolo, destinato a lasciare prematu-ramente l’esperienza scolastica per entrare nel mondo, siadell’individuo-classe colta, destinato ad essere selezionato po-sitivamente per e attraverso la formazione secondaria. Corol-lario di tale tesi è che ciò che si presenta come fondamentalesul piano del comportamento (morale e intellettuale) apparecome più semplice sul piano della proposta educativa: di quila scelta di destinare a questo impegno politicamente «prima-rio» la scuola del fanciullo.

Diversa è la risposta fornita dalla seconda filosofia. «Pri-mario» vale come «iniziale» all’interno di una sequenza tem-porale e logica. Quindi è «pr imaria» quella scuola che perprima si misura esplicitamente con il compito di far crescerein modo intenzionale e sistematico il patrimonio di saperidell’individuo. Ed è evidente che le conoscenze da essa forni-

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te non sono esclusive («fondamentali«), né assolutamente pri-me in senso logico (il bambino non apre gli occhi sui saperisolo quando entra in classe). Com’è evidente che, dovendosila scuola confrontare con quanto l’individuo già sa, questeconoscenze sono per un verso (cronologico) «secondarie», eper un altro (logico) decisamente «complesse».

Insomma, questo tratto di formazione è primario solo intermini scolastici (e non più in termini ontologici). Nulla vie-ta che la stessa dizione cada e che si possa parlare, per ilcomplesso della formazione obbligatoria, di scuola di base (salvoriconoscere che, paradossalmente, questa diventerebbe tutta«primaria», scolasticamente parlando).

2. LE VIE DEL COMPROMESSO.

Al momento in cui, all’inizio degli anni Ottanta, ha presoufficialmente l’avvio l’itinerario politico destinato a conclu-dersi con l’emanazione dei programmi (1985) e l’approvazio-ne della riforma (1990), la situazione della Scuola elementaredentro il campo di tensioni di cui ho detto era di forte vici-nanza al polo rappresentato dalla prima filosofia.

Ma non di piena coincidenza con esso. In caso contrario,non avremmo avuto innovazione ma restaurazione (come fucon Gentile). In breve: se una domanda di cambiamento c’e-ra, essa derivava dal fatto che quella tradizionale collocazionedell’elementare non soddisfaceva più.

In un qualche modo ci si stava dunque allontanando dagliancoraggi sicuri della prima filosofia e si desiderava accelera-re (o comunque sanzionare) un tale processo.

Se però tentiamo di fare una diagnosi realistica dello sta-to dell’istruzione primaria all’inizio degli anni Ottanta, nonpossiamo non riconoscere che i tratti di quella che ho presen-tato come prima filosofia vi erano pienamente confermati.

Salvo un aspetto, di notevole importanza: e cioè che daquasi un ventennio l’elementare aveva smesso di essere l’uni-ca scuola obbligatoria. Con la riforma della media unica (1962)

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il curricolo obbligatorio dell’allievo italiano aveva incluso ilprimo tratto della formazione secondaria.

Non è questa la sede per discutere i modi attraverso cui erastato realizzato l’importante passo in avanti. Ma sarebbe con-troproducente non ammettere che una tale «apertura» aveva pro-dotto non pochi conflitti, dovuti alla difficile convivenza trale due scuole (l’elementare e la media), e che le matrici di prove-nienza dei due curricoli continuavano a farsi sentire nel nuovocontesto. In particolare, la nuova convivenza non era stata ca-pace di smussare il carattere primario di una scuola e il caratteresecondario dell’altra, al contrario tendeva ad esasperare i duecaratteri, come mostra il fenomeno corposo (allora, come delresto adesso) della reiezione nel primo anno della media.

Insomma, la differenza tra i due universi aveva assuntola configurazione di un vero e proprio contrasto, per moltiaspetti insanabile, tra una logica di «scuola facile» (l’elemen-tare) e una logica di «scuola difficile» (la media), poste insequenza all’interno del medesimo itinerario obbligatorio. Diqui il perenne contenzioso tra le due culture: quella del pro-fessore che rimproverava al maestro di non fornire agli allieviuna base solida su cui innestare i percorsi della formazionesecondaria, quella del maestro che rimproverava al professoredi partire da un livello troppo alto e qualitativamente diversoda quello fornito dalla preparazione primaria.

A tutto ciò si aggiungeva il fatto che le esperienze inno-vative maturate sul corpo della scuola primaria (soprattuttoquelle che vanno sotto la dizione complessiva di «tempo pie-no»), se per un verso avevano contribuito ad ammodernarei termini del dibattito pedagogico e politico (si pensi ai temidella pluralità dei docenti e dell’ampliamento dei contenuti),per un altro verso erano rimaste chiuse dentro i confini dellacultura elementare, senza fornire dei contributi positivi all’al-tra cultura (quella della media). Detto in altro modo, si puògarbatamente rimproverare al movimento maturato attornoa queste esperienze, il quale almeno sul piano formale punta-va ad un ripensamento complessivo della scuola di base, dinon essere riuscito a fare di tale prospettiva qualcosa di piùconcreto di un progetto teorico.

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Questa è la situazione con cui dovettero confrontarsi imembri della prima commissione incaricata dal ministro dellapublica istruzione di articolare il testo di un nuovo program-ma. Credo che si possa ammettere, con il senno di poi, cheil documento iniziale redatto dalla commissione (conosciutocome «documento di medio termine») rappresenta il più cor-poso e coraggioso tentativo, operato in tutto il periodo presoin considerazione, di recidere i legami tra la cultura scolasticaprimaria e i dogmi della prima filosofia. Immergendosi in queltesto si respira ancora oggi un’aria del tutto nuova, che fagiustizia di buona parte della tradizione pedagogica e collocail problema di definire i compiti della prima formazione en-tro un quadro strategico avanzato: non è un caso che in queldocumento i problemi di una moderna alfabetizzazione e del-la definizione di nuove aggregazioni disciplinari si intreccinocon quelli della revisione dei criteri organizzativi, della riqua-lificazione del ruolo docente, dell’ampliamento del quadro ora-rio, dell’arricchimento delle dotazioni strumentali, e che ilbambino di cui si parla abbia ben poco a che fare con l’imma-gine, tradizionale del «fanciullo-popolo».

E da questo momento cruciale, che segna il più decisivoallontanamento dalla prima filosofia e la più esplicita apertu-ra ai temi della seconda, che ha inizio una controreazionei cui risultati sono documentati dal testo definitivo del pro-gramma e da quello legislativo di cinque anni dopo.

Chi ha vissuto con partecipazione (e aggiungerei, almenoa titolo personale, con sofferenza) il dibattito sviluppatosi at-torno a questi temi sa anche che in gioco non c’era tantola possibilità di aggiornare i contenuti della formazione pri-maria e di ammodernare le sue pratiche didattiche, quantol’esigenza di prendere le distanze dall’idea che la formazioneprimaria rappresentasse qualcosa di assolutamente peculiare,irriducibile ad altri elementi. Il primo obiettivo è stato rag-giunto; però, a spese del secondo.

La discussione fu ampia e serrata: questo non può essernegato. E mobilitò non solo il villaggio scolastico, ma ancheil mondo circostante.

Riandando ad essa, con occhio disincantato, se ne ricava

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l’impressione di una prevalenza, nel taglio e nei modi delconfronto, di un’ideologia del «lutto»: quel che faceva veloall’accettazione di una reale prospettiva di cambiamento erail disorientamento che si provava di fronte alla necessita dichiudere con una ben definita tradizione culturale e con isuoi presupposti (quegli stessi che per circa un secolo eranostati pienamente condivisi).

Proprio dentro il terreno di questa cultura del lutto vennea costituirsi una forza di blocco, una vera e propria opposi-zione (dura nella sostanza quanto morbida negli argomenti)nella quale ebbero modo di convergere posizioni anche forte-mente differenziate tra di loro (concordi però nella scelta diconfermare alcuni principi della prima filosofia), corposi inte-ressi di parte (legati all’esigenza di mantenere inalterata ladivisione amministrativa, pedagogica e professionale tra la sferadella formazione primaria e quella della formazione seconda-ria), movimenti d’opinione ingigantiti quando non creati daimezzi della comunicazione sociale (si pensi ai molti interventie alle molte inchieste che i giornali dedicarono all’analisi deltrauma che nel bambino avrebbe provocato la minacciata scom-parsa della figura del maestro unico).

Non è questa la sede per ricostruire analiticamente i risul-tati ottenuti da questo blocco. Basterà ricordare che:

a) la seconda fase di lavoro della commissione sui pro-grammi vide entrare nel gruppo un gran numero di esponentidella cultura scolastica ufficiale, pienamente convinti del va-lore perenne della prima filosofia. Il loro apporto fu determi-nante sia nell’articolazione che nella confezione del testo pre-sentato al ministro, come mostra la netta separazione logicae culturale - che esso prevede - fra la pedagogia della pre-messa e le epistemologie delle sezioni dedicate ai contenuti;

b) prima in sede di CNPI, poi attraverso interventi dipenna ministeriale, il testo subì ulteriori rimaneggiamenti, sem-pre nella direzione di un recupero dei principi della primafilosofia;

c) una volta approvato, il nuovo programma (che co-munque documentava, anche per le sue tensioni interne e

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per i suoi squilibri, la convivenza delle due anime) trovò unascuola impreparata ad accoglierlo, o meglio preparata più adinteriorizzare quanto del programma stesso corrispondeva al-la logica della conservazione che a discutere ed accogliere quan-to si muoveva verso nuove direzioni. Né poteva esser altri-menti, visto che l’ordinamento della scuola era ancora quellopensato e voluto dentro l’ambito della prima filosofia. Néla scelta di accompagnare l’attuazione del programma con unprogetto di iniziative sperimentali e con un impegno massic-cio sul versante dell’aggiornamento rappresentò un punto afavore dello spostamento dell’asse strategico;

d) al fondo di questo recupero dell’impianto filosoficotradizionale va colta la scelta politica di capovolgere la logicagià sperimentata sul versante della Scuola media. Là si eraprovveduto a stendere un nuovo testo di programma (1979)sulla base di leggi che introducevano significativi cambiamen-ti nell’ordinamento culturale e didattico (517 e 348 del 1977’);qui si decideva di anticipare l’ufficializzazione del program-ma rispetto alla maturazione di un positivo indirizzo di rifor-ma. Si giustificò una tale scelta argomentando che il pro-gramma avrebbe favorito la riforma stessa. E i più accettaro-no la forza di un tale argomento.

In verità, dal punto di vista strettamente formale, le cosesono andate nella direzione auspicata: effettivamente, a di-stanza di cinque anni, una riforma c’è stata. Ma sul pianosostanziale ho l’impressione che il blocco di cui ho detto ab-bia lavorato efficacemente per svuotare di reale valore inno-vativo i termini del cambiamento legislativo e per usare ildisagio, nel frattempo diffusosi all’interno di una scuola co-stretta a far fronte ad un programma sovradimensionato ri-spetto alle possibilità didattiche e professionali, sia nella dire-zione di far cadere pezzi non marginali del programma stessosia nella prospettiva di impiantare un’idea di riforma este-riormente vicina ai principi della seconda, ma intimamenteoperante dentro la prima filosofia.

Insomma, i due compromessi che si sono venuti a delinea-re, sul versante dei programmi e su quello della legge di ordi-

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namento, testimoniano dei passi indietro che si sono fattirispetto alla direzione indicata dal documento di medio ter-mine. Sarebbe ingeneroso, a questo punto, parlare di «restau-razione», come avrebbe potuto Gentile, ai suoi tempi. Manon è consentito, almeno io credo, salutare leun’uscita decisiva dal terreno della tradizione.

novità come

3. LE QUESTIONI APERTE.

Se l’analisi che ho fin qui sviluppato ha una sua plausibi-lità, se ne possono ricavare alcuni insegnamenti e contempo-raneamente l’indicazione di punti deboli, anzi debolissimi.

Primo. La novità ha spaventato più di quanto ha rassicu-rato il ricorso agli argomenti di sempre. Si pensi, per esem-pio, al problema della pluralità dei docenti. La legge consentedi operare nella direzione di un cambiamento organizzativo,che tocca però soltanto la superficie delle cose. Non è uncaso che la ripartizione dei compiti professionali dei tre do-centi su due classi preveda una soluzione che è tipica di unafase di transizione e che invece qui assume un significatostrutturale: alludo alla scelta (sanzionata dal comma 3 del-l’art. 5 della legge) di incaricare il direttore didattico di di-sporre l’assegnazione degli ambiti disciplinari ai diversi do-centi, secondo una prassi tutta interna al clima della scuola,che rischia di non produrre ricadute sul versante della prepa-razione (universitaria e no).

Secondo. Nei fatti si è venuto a determinare un tratta-mento differenziato dei diversi ambiti di novità presenti nel-l’enciclopedia fissata dai programmi. Il caso più eclatante èrappresentato dal problema dell’insegnamento della lingua stra-niera. La legge prevede (art, 10) un piano di introduzionegeneralizzata di detto insegnamento, che dovrà far fronte al-l’esigenza di definire le competenze didattiche dei futuri do-centi e quindi di selezionare un personale adeguato. Giustamisura. Ma viene da chiedersi perché un analogo provvedi-mento non venga adottato per gli altri settori d’insegnamen-to: non solo quelli che il testo di programma coraggiosamente

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inaugura (le diverse educazioni, il settore delle scienze socia-li) ma anche tutti i restanti, che lo stesso testo innova inmodo altrettanto coraggioso. In altri termini, chi e che cosaci autorizza a pensare che un maestro sia in grado di insegna-re italiano o matematica (secondo gli indirizzi indicati dalprogramma), allo stesso modo che ci autorizza pensare chenon sia in grado di insegnare una lingua straniera? Qui l’ar-gomento formale è stato ignorato: la materia «lingua stranie-ra» è presente nel curricolo di preparazione del futuro mae-stro come la materia «italiano». Però alla prima preparazionenon si è riconosciuta validità, mentre alla seconda sì. L’erroresta, a mio avviso, non nell’aver sottoposto a rigido controlloil primo termine del problema ma nell’aver assolto da ognipeccato (e sono molti!) il secondo. Se dunque posso salutarecon soddisfazione la scelta di inquadrare l’insegnamento dellalingua straniera dell’elementare dentro la logica della secondafilosofia non posso non vedere con preoccupazione che tuttele altre materie rischiano di esser governate, ancora per mol-to, dalla prima. Se una formazione più pedagogica che disci-plinare non consente al maestro di sapere e saper insegnarel’inglese o il francese perché questa stessa formazione dovrebbeconsentirgli di sapere e saper insegnare l’italiano scritto?

Terzo. L’elementare continua ad essere vista come unascuola a sé stante, e il maestro continua ad avere uno statogiuridico e professionale anomalo, almeno rispetto alle altrecategorie della docenza. Basterà una semplice considerazione:malgrado i cambiamenti intervenuti, la «vocazione» del mae-stro non smette di essere definita e sanzionata da scelte (co-me l’iscrizione all’Istituto magistrale) che awengono circa diecianni prima di quando non viene formalmente stabilita (conla laurea) la possibilità di scegliere di diventare professore.Insomma, a questo proposito, gli anni Ottanta (con il lorocarico di programma e riforma) rischiano di esser passati in-vano: il maestro è ancora un fanciullo in cattedra, o comun-que, lo si tratta come tale.

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BIBLIOGRAFIA

Per un approfondimento dell’indirizzo interpretativo adottato in questointervento rimando ai miei più recenti scritti sull’argomento: Didatticascolastica, Bergamo, Juvenilia, 1988; Videoscriuere in classe (con LucaVitali), Roma, Editori Riuniti, 1989; 1 saperi della scuola, Firenze, LaNuova Italia, 1990.

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IL TEMPO-SCUOLANEL NUOVO ORDINAMENTO

DELLA SCUOLA ELEMENTARE

Giovacchino Petracchi

1. UNA CHIAVE DI LETTURA DEL TESTO NORMATIVO.

Ripercorriamo rapidamente l’iter legislativo del nuovo or-dinamento della Scuola elementare, in modo particolare perciò che concerne il tempo-scuola: avremo la possibilità di co-gliere elementi di valutazione utili alla comprensione dellacomplessa normativa.

Si sa che fu con la Relazione di medio termine della Com-missione di studio per la riforma dei programmi della Scuolaelementare (marzo 1982) che fu posto in discussione il temposcolastico: rilevata «l’insufficienza dell’orario di 24 ore setti-manali», si auspicò che detto orario fosse portato a 32 o al-meno a 30 ore. Parallelamente all’emanazione dei nuovi Pro-grammi didattici (febbraio 1985) fu predisposto un disegnodi legge relativo al nuovo ordinamento della Scuola elementa-re nel quale facevano spicco due norme relative al tempo-scuola: quella che manteneva in 24 ore settimanali l’orarioper le prime due classi e estendeva a 27 ore l’orario per lealtre tre classi; quella che proponeva l’abrogazione dell’art.1 della legge 820/1971 relativo al «tempo pieno».

Questo documento governativo, insieme ad altri progettidi legge, divenne strumento di riferimento per il lavoro diun Comitato ristretto nominato dalla Commissione Istruzio-ne della Camera dei deputati. Ne scaturì un documento radi-

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calmente nuovo; però nel frattempo ci fu crisi di governoe interruzione della legislatura. Quel documento fu adottatocome testo base per il lavoro di un nuovo Comitato ristretto.Fu messo a punto un provvedimento che prevedeva 27 oreper ciascuna delle cinque classi elementari, delineando nel con-tempo - per le prime due classi - «una maggiore prevalen-za temporale di un singolo insegnante in ognuna delle classi,fissata in 18 ore settimanali».

Diversamente da quanto previsto dal documento prece-dente, che consentiva la prosecuzione della «sperimentazionedella scuola a tempo pieno solo nel caso vi fossero posti resi-dui della organizzazione per moduli», il Comitato ristrettoproponeva un diverso modello didattico destinato a «attivitàdi arricchimento e integrazione degli insegnamenti curricola-ri», consentendo un orario complessivo di 37 ore settimanali.Questa scelta non fu pienamente condivisa dalla Camera chediscusse e poi approvò il testo del nuovo ordinamento dellaScuola elementare (maggio 1989). Infatti, in questo documentolegislativo viene recuperata la «scuola a tempo pieno» che,a certe condizioni, viene affiancata al modello di scuola « atempo lungo». Sarà utile decifrare le diversità impostativee didattiche dei due modelli. Vi dedicheremo spazio più avanti.Qui si v u o l proporre solo una prima riflessione sulla connes-sione che rapporta l’idea del tempo-scuola a concezioni cultu-rali e sociali e a teorie pedagogiche e psicologiche fra lorodiverse.

Va aggiunto che nel medesimo testo approvato dalla Ca-mera-si trova anche una sostanziale modificazione del dispo-sto relativo alle «modalità di svolgimento dell’orario delle at-tività didattiche». L’orario antimeridiano continuato viene con-sentito solo e fintanto che non siano state predisposte lenecessarie strutture e i necessari servizi della scuola. Inoltresi prevede che le 27 ore settimanali possano essere elevatefino a 30, oltre che per l’introduzione dell’insegnamento del-la lingua straniera, anche «per motivate esigenze didattichee in presenza delle necessarie condizioni organizzative».

La discussione del provvedimento al Senato è stata tut-t’altro che agevole. Prima in Commissione, poi in assemblea

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il dibattito è stato vivace e centrato in larga misura su pro-blemi attinenti il tempo-scuola. Vi si riapre la discussione sul-la figura del cosiddetto «insegnante prevalente» e - dopoipotesi di soluzione largamente contestate - si addiviene auna modificazione non trascurabile: il «può essere previsto»del testo approvato dalla Camera è sostituito da un « d i nor-ma» relativamente alla maggiore presenza temporale di un in-segnante in ciascuna delle prime due classi elementari.

Quindi la «facoltatività» viene accantonata e si recuperala «normatività». Qui i motivi psicologici assumono significa-to preminente: vi sarebbe solo da verificare il loro gradientedi oggettività. Non appare dubbio che quegli stessi motiviabbiano anche indotto i senatori a non consentire la possibileestensione dell’orario settimanale da 27 a 30 ore nelle primedue classi. Il Senato non ha apportato sostanziali modifichealle norme relative ai «progetti formativi di tempo lungo»:semmai ne ha costretto l’organizzazione in termini più limitanti,

Allo scopo di evidenziare i fattori che possono esercitareconcreta incidenza sugli atti di determinazione del tempo-scuola va ricordato un comma dell’art. 8 del nuovo ordina-mento. Vi si dice che parte delle ore di insegnamento puòessere destinata al recupero individualizzato di alunni in dif-ficoltà di apprendimento e di alunni stranieri e in particolaredi quelli provenienti da paesi extracomunitari.

Come sia, l’iter legislativo del nuovo ordinamento si èconcluso nel maggio scorso quando la Camera ha approvatosenza modifiche il testo sancito dal Senato.

Ora è possibile cogliere l’intento che ha motivato questasuccinta ricognizione. Il provvedimento in esame, dal testooriginale in poi, ha subito ripetute modificazioni: si deve ri-tenere che tali interventi emendativi siano esclusivamente con-seguenti alle dinamiche della società pluralistica e democrati-ca? Non credo che sia così. Certo, le «diversità» che sotten-dono il tessuto della società alimentano il confronto diconcezioni intorno a ogni problema della convivenza; ed èun confronto che, democraticamente, sbocca all’affermazionedella concezione che raccoglie la maggioranza dei consensi.Tuttavia non si dovrà perdere di vista il fatto che la dialetti-

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ca che si viene esercitando nel campo in esame assume soven-te toni e livelli esasperati. Probabilmente la causa di ciò varicercata in primo luogo nella indeterminatezza della nozionedi «tempo-scuola». A ben guardare questa è una nozione perla quale non, si è riusciti a disegnare un quadro obiettivo diriferimenti. E pacifico che tale indeterminatezza amplii il cam-po del confronto e consenta giochi dialettici capaci di piegarel’idea di tempo scolastico in direzioni anche fra loro oppositive.

Non è dubbio che la variabile « tempo» interagisca coni numerosi elementi del sistema educativo: con le finalità chesi assegnano alla scuola, con i contenuti dell’insegnamentoa ragione della loro natura (e, in conseguenza, con gli stilidi insegnamento dei docenti), con i tratti specifici della per-sonalità degli alunni, ecc. Questa collocazione del fattore tem-porale nel tessuto del sistema scolastico dà modo di coglierela disparità di valutazione che si verifica allorché il significa-to del tempo scolastico si fa derivare da una riduttiva perce-zione del complesso stato interattivo nel quale prende corpoil tempo-scuola.

Soccorre subito la nozione di «tempo necessario», per lopiù ritenuta risolutiva di molti problemi di impostazione econduzione didattica. In sostanza, si intende commisurare iltempo scolastico ai contenuti di sapere, oggetto dell’insegna-mento nella scuola: cioè, si ritiene che il dato temporale sipossa definire in relazione alla complessità delle conoscenzeda impartire e/o in rapporto ai processi di assimilazione dellemedesime conoscenze da parte degli alunni. Poiché, in questaprospettiva, il tempo scolastico viene individuato qual varia-bile dipendente da finalità e obiettivi della scuola, parrebbegiusto validare la nozione di «tempo necessario». Peraltro èda notare che non è sufficiente identificare un rapporto, oc-corre decifrarne la natura. Ora nella definizione del «temponecessario» il rapporto si palesa alquanto precario, perché fon-dato non su dati oggettivi bensì su convinzioni tradizionalie su opinioni di natura empirica. Per convincersi di ciò bastariflettere sulla disparità della durata della giornata scolasticain situazioni educative che pongono a capo della loro attivitàcomunanza di finalità, obiettivi e contenuti: è una disparità

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che non radica nella dissonanza di finalità e obiettivi, trovabensì supporto in «pre-giudizi» cui erroneamente si ricono-scono caratteri di obiettività.

Si può far cenno di un altro genere di « l e t t u r a » del tempo-scuola, Si è spesso tentati di legittimare la comune opinioneche più protratta è la permanenza dell’allievo nella istituzio-ne scolastica, migliori saranno i risultati formativi. In altritermini, si vuole che la correlazione fra tempo scolastico eriuscita scolastica sia costantemente positiva. E probabile chequesto convincimento sostenga le argomentazioni di molti dicoloro che postulano tempi di frequenza scolastica sempre piùestesi. Non sono argomentazioni da respingere aprioristica-mente. Solo che non si possono disattendere le esigenze for-mative degli educandi, le quali, probabilmente, non possonoessere corrisposte compiutamente solo dalla scuola. Inoltre,nella medesima situazione scolastica, il dato temporale si qua-lifica sul piano educativo anche in relazione ai modi di utiliz-zazione del tempo nei processi di insegnamento/apprendimento.

Si può brevemente ricordare un altro modo di pensareil tempo-scuola. Il dibattito parlamentare, si è visto, ha fattoemergere un contrasto fra quanti intendono sancire una dura-ta di frequenza omogenea per l’intero corso elementare e quantipostulano una differenziazione che abbrevi il tempo di fre-quenza per gli alunni delle prime due classi. Si dirà che que-sti ultimi sono sollecitati da non discutibili ragioni psicologi-che, per le quali il bambino di 6 e 7 anni deve essere salva-guardato da stati di surmenage provocati da affaticamentomentale. In realtà questo richiamo alla psicologia del bambi-no può da qualcuno essere considerato parziale, perché nonè tanto il tempo di permanenza nella scuola che affatica, quantola natura delle attività che nella scuola vengono attuate. Delresto, si aggiunge, quando il bambino realizza attività da luimedesimo scelte e ad esso congeniali, interesse e impegnosono difficilmente saturabili.

Quelli sopra riportati non sono che brevi riferimenti esem-plificativi con i quali si intende evidenziare l’intrinseca diffi-coltà di procedere alla determinazione del tempo-scuola evi-tando parzialità risolutive.

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E ciò perché emerge con chiarezza che non sono possibilistime oggettive del tempo scolastico. Già si deve dire che quel-lo del tempo non è un dato percettivo: si quantifica il tempoper la sua durata, correlandolo cioè a una o più azioni. Cosìil tempo scolastico è concretabile come dato quando lo si iden-tifica in ore e minuti, ad esempio, che indicano l’ingressoe l’uscita dalla scuola. Chiaro che in questa dimensione tem-porale confluiscono e vi interagiscono elementi molteplici delsistema scolastico. Da ciò il rischio permanente di valutazioniparziali,

Nessuna meraviglia, allora, se nella determinazione deltempo-scuola prevalgono criteri intuitivi. Pur non volendo iden-tificare «intuit ivo» con «opinabile», va detto che tali criteriimplicano limiti interpretativi notevoli. Questa conclusione,in qualche misura, favorisce l’espressione di giudizi più serenisui comportamenti di quanti hanno potere deliberativo in ma-teria. Riportiamo l’attenzione sulla natura del tempo scolasti-co. Non si può dimenticare che il tempo scolastico va coltoin due specifiche e diverse - sia pure intervallate - forme.

Vi è una dimensione temporale che si propone come «va-riabile praticamente stabile» e si configura nella durata delcorso di studi, nella durata dell’anno scolastico, nella duratadella giornata scolastica. Vi è poi la dimensione temporaleche si configura nella situazione di insegnamento e che sipropone come «variabile modificabile»: le ore della giornatascolastica, nel vivo delle attività didattiche, trovano un’arti-colazione commisurata alla natura degli apprendimenti, al li-vello di coinvolgimento apprenditivo di ciascun alunno, allecondizioni di spazio disponibile, ecc.

Ciò porta a riconoscere nelle determinazioni temporali dellegislatore un significato «ordinativo»: esse fissano tempi egualiper ogni scuola cui si chiede il conseguimento delle finalitàcomuni. Al di là di questi dati ordinativi si colloca l’impegnoattuativo degli insegnanti, cui spetta controllare l’uso del tempoin modo da promuovere in ciascun alunno processi di appren-dimento adeguati alle individuali capacità. Non è un caso cheil legislatore richiami alla <(programmazione delle attività di-dattiche)> e che, soprattutto, demandi ai docenti il compito

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di «organizzare l’orario didattico», rispettando una «congruaripartizione» del tempo disponibile. Il che implica non solosenso di responsabilità educativa, ma richiede, anche, in som-ma misura capacità di fare uso flessibile del tempo scolastico,evitando che il tempo assegnato per un compito di apprendi-mento mortifichi i processi apprenditivi di questo o quel-l’alunno.

Sia pure in termini stringati, si è cercato di individuareuna chiave di lettura della nuova normativa inerente il tempo-scuola. Procederemo ora con l’esame dei singoli capitoli diquella normativa stessa.

2. O RARIO DELLE ATTIVITÀ D I D A T T I C H E.

L’orario delle attività didattiche nella Scuola elementare- stabilito dall’art. 7 del nuovo ordinamento - è di 27 oresettimanali. E consentito elevare l’orario fino a un massimodi 30 ore in ragione della «graduale attivazione dell’insegna-mento della lingua straniera» e, per le classi 3 ª, 4ª, 5 ‘, per«motivate esigenze didattiche» quando sussistano le necessa-rie condizioni organizzative, «sempre che la scelta effettuatariguardi tutte le predette classi del plesso».

Forse questa norma susciterà qualche perplessità in meri-to particolarmente alla concessione di estensione dell’orariosettimanale a 30 ore alle sole classi 3 ª, 4ª, 5 ª. Si sa chela durata di 27 ore di frequenza ha incontrato molte riserve,anche di segno opposto. A chi valuta quelle 27 ore un <(tem-po debole>> si oppone chi ribadisce la richiesta di manteni-mento delle 24 ore settimanali per le classi 1ª e 2ª. Questiultimi si appellano al criterio della differenziazione dei tempidi frequenza scolastica fra anni del corso di studio. Criterioassai diffuso nei sistemi scolastici europei (ad esempio, Ger-mania Federale, Unione Sovietica, Svezia, Austria, Grecia,ecc.), che si sorregge su motivazioni particolarmente di natu-ra psicologica, per le quali va rispettata la progressione conla quale l’attività sistematica di insegnamento deve incideresulla vita del bambino.

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Quanti si sono battuti per le 30 ore settimanali hannolegittimata la loro richiesta richiamandosi al documento deinuovi Programmi didattici nel quale il curricolo risulta accen-tuatamente incentivato e nel quale si fa posto alla «prescritti-vità» del conseguimento da parte degli alunni di specifichemete di istruzione ed educazione. Il legislatore si è mossofra queste due diversificate posizioni: la sua mediazione hasortito effetti giovevoli alla complessa e difficile condizioneeducativa del fanciullo nella realtà contemporanea? Avanzia-mo qualche considerazione valutativa. E legittimo il dirittodel bambino di richiedere l’apporto affettivo e educativo del-la famiglia: di conseguenza, si dovrebbero lasciare al bambinotempi della giornata disponibili all’attivazione delle relazionifamiliari.

Ma, ci si chiede, in che misura le condizioni relazionaliall’interno della famiglia odierna rendono effettivo l’eserciziodi quel diritto? Lo si sa, c’è l’occupazione lavorativa di en-trambi i genitori; ma non si deve sottacere la diffusa situazio-ne di incomunicabilità che si è venuta configurando fra i mem-bri del nucleo familiare a causa della presenza incombentedi tutti i generi di «media», a cominciare dalla televisione.In questa dimensione, il ricorso a un’istituzione educativa-mente surrogatoria - appunto la scuola - sembra un eventoineluttabile; e, quindi, di una scuola che copra anche i tempiche il bambino avrebbe dovuto trascorrere in famiglia.

Proprio la nostra scuola elementare ha fatto esperienzain merito con il «tempo pieno» che consentiva di intrattenereil bambino anche oltre 40 ore settimanali.

Ma è stata quella esperienza che - insieme a significati-vi avanzamenti nel processo di rinnovamento organizzativoe didattico - ha fatto verificare scompensi non secondari nelquadro dei processi formativi. Per cui si è pervenuti a unripensamento riguardo a quel modello di scuola che, totaliz-zando l’esperienza del fanciullo, riduceva vistosamente i mo-delli di socializzazione, inibendo i ragazzi a « a g i r e » la propriavita o, almeno, « i l proprio tempo libero». In definitiva nono-stante la validità formale della mediazione esercitata dal legi-slatore in questo ambito, i problemi qui emarginati non avranno

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risposte risolutive. Questa valutazione trova sostegno anchenel disposto dell’art. 8, relativo ai «Progetti formativi di tem-po lungo».

3. ORGANIZZAZIONE DELL'ORARIO SETTIMANALE.

Se ne dettano le norme nel quarto comma dell’art. 7 delnuovo ordinamento. Vi si dice che «nell’organizzazione del-l’orario settimanale i criteri della programmazione dell’attivi-tà didattica devono, in ogni caso, rispettare una congrua ri-partizione del tempo dedicato ai diversi ambiti disciplinarisenza sacrificarne alcuno». Si tratta di una innovazione nonsecondaria che dovrebbe incentivare mutamenti di rilievo nellecondotte didattiche, incrementando gli spazi di autonomia deidocenti, ma anche accentuandone la responsabilità educativa.Soffermiamoci intanto sull’impegno di organizzazione dell’«ora-rio settimanale». Non si pensi a un mero recupero della nor-mativa del 1928, nella quale si dettava un orario dell’insegna-mento delle diverse discipline. Là era il legislatore che stabili-va quei tempi; col nuovo ordinamento questa competenza èdemandata ai docenti, i quali, formulando la programmazio-ne, debbono ripartire il tempo disponibile fra i diversi inse-gnamenti.

Ci si può chiedere perché si sia avvertito il bisogno dipredisporre ancora una previsione oraria dell’andamento delleattività didattiche. La ragione va ricercata nel decadere deiprincipi che qualificavano i Programmi didattici del 1955.Nei sistemi scolastici del mondo occidentale nell’ultimo ven-tennio si è verificata una marcata evoluzione dei processi im-postativi della vita della scuola. Mentre prima si privilegiava-no i «metodi informali» che si fondavano sulla garanzia diespressione degli interessi spontanei degli alunni (e, quindi,l’attività didattica della classe non poteva essere costretta inrigide configurazioni di orario), poi tornarono a imporsi i «me-todi formali». Premevano esigenze irricusabili: anzitutto l’ar-ricchimento culturale dell’alunno. Arricchimento che può at-tingere rilevanti risultati sulla base di un insegnamento siste-

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matico fondato su quadri organici e non occasionali di conte-nuti di sapere. In secondo luogo si andava imponendo unacorretta percezione della funzione educativa delle discipline,funzione correlabile alla specificità epistemologica di ciascunadelle discipline medesime.

E appunto quest’ultima considerazione che fa intravederela problematica, non semplice, del compito di ripartizione deltempo scolastico per ambiti e discipline. Pare opportuno allo-ra porsi il quesito: a quali criteri si deve ispirare tale riparti-zione? Ribadiamo il significato delle discipline. Non sono « a g -gregazioni di conoscenze»; sono modi di pensare fenomenied eventi e, perciò, sono da considerare «forme della cono-scenza». Come tali si denotano non solo per la loro «strutturasostanziale» (appunto, i contenuti di conoscenza), bensì an-che per la loro «struttura sintattica» (ossia, strategie, metodi,linguaggi quali inerenze funzionali alla organizzazione delleconoscenze). Si deve dire che anche nella Scuola elementarel’insegnamento di una disciplina non può vertere esclusiva-mente sui contenuti di conoscenza, deve anche favorire l’ap-proccio a strategie, metodi, linguaggi che ne sostengono ilprocesso di organizzazione. Certo, ciò avverrà con gradualitàrelativamente alle capacità dell’alunno; ma non si può dimen-ticare che i nuovi Programmi didattici fanno perno sul com-pito della «prima alfabetizzazione culturale».

Quanto qui notato dà il senso della peculiarità dell’impe-gno di ripartizione del tempo. A rendere palese tale caratterepossono essere utili due riferimenti. Constatato che il tempooccorrente per l’insegnamento dei diversi contenuti stabilitidai Programmi didattici rimane del tutto incerto, 1’IRRSAELombardia ha promosso una ricerca (TEOS, Tempo e orga-nizzazione scolastica) finalizzata alla identificazione di criteriper la determinazione di quei tempi. La sostanza della ricercasi può individuare nell’assunto che tali tempi debbono scatu-rire da situazioni effettive di insegnamento. Si sono utilizzatii temi contenutistici e la metodologia indicati dai Programmididattici per selezionare un repertorio di sequenze applicabi-li, per il tramite di mediatori d i d a t t i c i , nelle classi. Questaprocedura ha condotto alla «temporizzazione», ossia alla «quan-

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tificazione dei tempi richiesti per l’esecuzione corretta delleunità scolastiche programmate». A titolo di esempio, si è ri-cavato che i tempi si sono distribuiti secondo questa prioritàdi durata: lingua italiana, matematica, educazione all’immagi-ne, scienze, storia-geografia, educazione motoria, educazioneal suono e alla musica, facendo emergere l’educazione all’im-magine, il cui tempo di insegnamento è risultato più elevatodi quello di scienze, di storia-geografia, ecc.

Un secondo riferimento è fornito dalla comparazione, checonsente di rilevare alcuni orientamenti interessanti. Ad esem-pio, la lingua materna risulta l’insegnamento che mediamenteassorbe il 30% del tempo scolastico, (evidentemente con scartinon trascurabili: in Francia si sale al 33%, in Svizzera al37%, in Svezia al 34%, ecc.). In ordine di priorità segueil tempo dedicato alla matematica, mediamente il 20%; ilrimanente 50% si ripartisce fra gli altri insegnamenti del cur-ricolo .

Va detto che gli scarti delle percentuali di tempo assegna-te a ciascuna disciplina si costituiscono come un vero e pro-prio codice, facilmente decifrabile ove si pensi alla dominan-za che nel curricolo possono avere le discipline umanistichesu quelle scientifiche, o viceversa.

Nella Scuola elementare, che va attivando il nuovo ordi-namento, la ripartizione, lo si è detto, va operata nell’ambitodella programmazione delle attività didattiche e, quindi, do-vrebbe avere specifica correlazione con la situazione ambien-tale e le condizioni soggettive della scuola. Forse in questanuova modalità si annida un rischio. Ove si pensi che tempimaggiori si configurano come segnali per stabilire il « rango»di una disciplina, è probabile che fra i docenti si verifichinosituazioni conflittuali, in quanto coloro cui sono assegnatediscipline con tempi molto ridotti rispetto ai tempi di altrediscipline riterranno di trovarsi in una condizione di inferio-rità, perché operatori di insegnamenti di «rango» inferiore.

E il caso di non soggiacere a questo convincimento peda-gogicamente irrazionale. Il gradiente di rilevanza formativadi una disciplina non è ricavabile dal tempo di insegnamentoad essa assegnato. Ad esempio, l’educazione al suono e alla

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musica avrà assegnati tempi di insegnamento inferiori a quellidella lingua italiana. Ciò non riduce la valenza formativa delcontributo che essa offre, perché anche la musica è mezzoper aprire all’allievo spazi culturali educativamente essenzialiquanto quelli offerti da lingua italiana, scienze, ecc.

4. MODALITÀ DI SVOLGIMENTO DELL'ORARIO DELLE ATTIVITÀDIDATTICHE.

Ricaviamo questa modalità ancora dall’art. 7 del nuovoordinamento. Sono consentite due soluzioni: orario antimeri-diano e pomeridiano ripartito in 6 giorni della settimana, op-pure orario antimeridiano e pomeridiano ripartito in 5 giorni.Quindi il modello sancito è quello di una scuola con ritornipomeridiani, con la possibilità di adottare la settimana corta.Come già ricordato, l’orario antimeridiano continuato per 6giorni la settimana è consentito «fino alla predisposizione dellenecessarie strutture e servizi».

La scelta della modalità spetta ai consigli di circolo. Lanorma indica anche i criteri della scelta, identificandoli nelle«disponibilità strutturali», nel funzionamento dei-servizi, nel-le «condizioni socio-economiche delle famiglie». E facilmentecomprensibile il riferimento ai servizi e alle disponibilità strut-turali. Difficoltà di interpretazione si propongono riguardoalle «condizioni socio-economiche delle famiglie»: che connes-sione dovrà essere rintracciata fra tali condizioni e lo svolgi-mento dell’orario delle attività didattiche? Forse si è intesorichiamare l’attenzione sulla necessaria congruenza tra domi-nanza dei tempi di lavoro nell’ambiente e tempo scolastico.Per cui è auspicabile l’adozione della settimana corta ove nel-l’ambiente sia dominante questo orario delle attività lavorati-ve. E appena il caso di sconsigliare la settimana corta o lasettimana scolastica di 6 giorni in disarmonia con i ritmi dilavoro dell’ambiente. Rimane fermo che, comunque, la sceltava deliberata facendo perno, primariamente, su efficienza edefficacia educativa della scuola.

Problemi possono insorgere nella organizzazione didatti-

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ca. Si profila la questione a quali insegnamenti debbano esse-re dedicate le ore pomeridiane. Può darsi che prevalga la pro-pensione a rinviare al pomeriggio le attività motorie, quellegrafico-pittoriche e manipolative, quelle musicali, certi chelingua italiana, matematica, ecc. richiedano un impegno men-tale più sicuramente conseguibile nelle ore del mattino. Que-sta propensione è pedagogicamente e psicologicamente con-grua? E difficile dare risposte incontrovertibili. Forse si do-vrà procedere con cautela, verificando gli atteggiamentipartecipativi degli alunni nelle varie fasi della giornata scola-stica e nei vari ambiti di apprendimento. Probabilmente sipotrà accertare che gli alunni - ove durante le ore del mat-tino si sia realizzata un’alternanza di impegni (intercalandoattività motorie, disegno, manipolazione di materiali e attivi-tà mentalmente più impegnative) - presentino nelle ore po-meridiane buona disponibilità ad affrontare lo studio dellalingua, della matematica, ecc.

5. PROGETTI FORMATIVI DI TEMPO LUNGO

Questo il titolo dell’art. 8 del nuovo ordinamento. Vi sidettano norme relative a due modelli scolastici che hannocome fattore comune il prolungamento del tempo curricolare.Vi si prevedono «attività di arricchimento e di integrazionedegli insegnamenti curricolari» e, a determinate condizioni,si consente la prosecuzione dell’esperienza di scuola a tempopieno, di cui alla legge 820/1971.

A titolo introduttivo converrà decifrare le motivazioni chesottendono questa apertura operata dal legislatore. Riguardoalla prosecuzione della scuola a tempo pieno dovrebbe esserepalese che si è inteso non vanificare le risorse che localmentesi erano accumulate allo scopo di attivare iniziative scolasti-che che recepissero anche le istanze assistenziali delle fami-glie, oltre che rendere sempre più concreti i processi innova-tivi nell’insegnamento. Certamente questa è una concessionedatata; cioè, per questo modello scolastico non pare si possa-no configurare prospettive di sviluppo. Del resto il legislato-

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re, nell’art. 8, ha posto in primo piano l’altro modello -chiamiamolo di «tempo lungo» - che non avrebbe avutopossibilità alcuna di legittimazione ove si fosse riconosciutoalla «scuola a tempo pieno» una preminente validità organiz-zativa e formativa.

Ma veniamo a questo modello di tempo lungo e alle ragio-ni che ne giustificano l’istituzione. Si è visto, quel «tempolungo» dovrebbe corrispondere ad esigenze di «arricchimentoe integrazione degli insegnamenti curricolari». Di fatto si èindotti a pensare che primariamente vi sia stato l’intento dinon disattendere richieste di cittadini che vedono nella scuo-la l’istituzione cui affidare i figli nei periodi di assenza deigenitori dalla famiglia. Vi sarà chi si chiederà perché il signi-ficato di tale intento non sia stato tradotto esplicitamentenel disposto legislativo. Non vi sono dubbi: la scuola è istitu-zione deputata all’educazione e ad essa non debbono essereattribuiti ruoli che non le competono, fra i quali appuntoquello assistenziale. Perciò in quel disposto di legge si è do-vuto parlare di insegnamenti curricolari, anche se in definiti-va la sostanza dell’iniziativa è carica di scopi assistenziali.

Ancora un’osservazione sulla natura di questo modello di«tempo lungo». E sicuramente un «tempo extracurricolare»:ne è prova la facoltatività, perché quell’attività di «arricchi-mento e integrazione» si attuerà « s u richiesta delle famiglie».Allora, è opportuno qualificare quell’«arricchimento e inte-grazione» come «curricolare»? Questa qualificazione non po-trebbe implicare un giudizio negativo sulla compiutezza edu-cativa delle attività che si svolgono nel tempo propriamentededicato al «curr icolo»? Probabilmente si è scivolati su quelladenominazione, perché ancora condizionati dall’awersione, tut-ta ideologica e non certo pedagogica, alla cosiddetta «educa-zione compensativa». In breve, nel tempo extracurricolare gliinsegnanti si adoprano a compensare lacune, aiutando gli alunnia superare difficoltà di assimilazione/comprensione delle co-noscenze e abilità trasmesse durante il tempo curricolare.

Questa condizione di disagio apprenditivo è comune allageneralità degli alunni, per cui si può essere certi che la «edu-cazione compensativa» non può essere identificata con inter-

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venti didattici che sottolineano stati accentuati di discrimi-nazione. Indubbiamente vi saranno alunni che non soffronoquel genere di disagio: in tal caso il tempo lungo sarà riem-pito di attività che potranno essere progettate dagli stessi al-lievi, orientati e sorretti dalla presenza responsabile del do-cente.

Queste prospettive di sviluppo delle attività di tempo lungosi rivelano certamente ottimistiche quando le si confrontinocon le condizioni che la normativa pone per il funzionamentodel modello. In primo luogo la condizione temporale: si con-cedono non più di 37 ore settimanali, ivi compreso il tempo-mensa. 1 conti sono presto fatti: il surplus di ore settimanaliè rispettivamente di 10 e 7 ore, a seconda che per il curricolosi siano impegnate 27 o 30 ore. Poiché almeno tre o quattroore saranno assorbite dalla mensa, per le attività extracurri-colari rimarrà mediamente meno di un’ora al giorno, che puòdarsi possa essere impiegata prevalentemente per l’esecuzionedei compiti assegnati per casa.

Il «tempo lungo» incontrerà difficoltà anche per il reperi-mento degli insegnanti. Il disposto dell’art. 8 pare intendavincolare obbligatoriamente gli insegnanti del modulo ad assi-curare per l’intero anno scolastico lo svolgimento delle <(atti-vità di arricchimento e integrazione degli insegnanti currico-lari», prestando tre ore di servizio aggiuntive a quelle dell’o-rario settimanale di insegnamento. Tuttavia nello stesso articolosi fa menzione di una «mancata disponibilità» di quegli inse-gnanti e si dispone per la utilizzazione di altro docente delplesso o di altro docente di ruolo disponibile nell’organicoprovinciale. Rimane indecifrato se la «mancata disponibilità»debba essere riferibile ai normali casi previsti dalla vigenteregolamentazione, oppure se sia contemplabile anche una «vo-lontaria» non disponibilità dell’insegnante.

Queste condizioni non paiono incentivanti per lo svilup-po di questo modello scolastico: si deve pensare che il legisla-tore intenda intenzionalmente scoraggiare il ricorso a questasoluzione organizzativa e didattica?

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6. O R A R I O DI INSEGNAMENTO.

Brevi considerazioni per i tempi di insegnamento per gliinsegnanti. Rimangono prescritte 24 ore come orario settima-nale di insegnamento, ma di quelle ore due sono da dedicare«alla programmazione didattica da attuarsi in incontri colle-giali dei docenti di ciascun modulo in tempi non coincidenticon l’orario delle lezioni».

Questa pare un’innovazione di rilievo e, soprattutto ne-cessaria, dal momento che si viene attuando anche nella Scuolaelementare una situazione di pluralità di docenti che richiedeforme di impegno collegiale.

Nell’art. 5 del nuovo ordinamento è detto che «nell’ambi-to dello stesso modulo gli insegnanti operano collegialmentee sono contitolari delle classi cui il modulo si riferisce». Qua-le carattere assume questo impegno, particolarmente nel tem-po da dedicare alla programmazione didattica? Va tenuto pre-sente che la formulazione iniziale del progetto educativo èatto dovuto, ma non risolutivo per la gestione didattica dellascuola. Infatti il progetto educativo rimane solo il quadro diriferimento nel quale cogliere gli elementi utili a impostaree realizzare i quotidiani interventi di insegnamento. Ciò si-gnifica che giorno per giorno il docente dovrà valutare le in-dicazioni programmatiche per verificarne l’adeguatezza alleeffettive condizioni apprenditive degli alunni. Ove tale ade-guatezza viene meno si dovrà procedere alla revisione delleindicazioni riportate nella programmazione e, conseguentemen-te, all’impostazione di interventi didattici configurati sulla mi-sura delle attuali capacità di partecipazione e di apprendi-mento di ciascuno dei componenti la scolaresca.

Nel modulo organizzativo più insegnanti gravitano suglistessi gruppi di alunni: in questa situazione non sarà più suf-ficiente che ogni docente provveda singolarmente a operazio-nalizzare le indicazioni del progetto iniziale. Perciò si è rite-nuto indispensabile l’incontro collegiale per affrontare e por-tare a soluzione i problemi emergenti nella quotidiana attivitàdi insegnamento. Vanno evidenziati due generi di disponibili-tà per dare significato e valore agli incontri collegiali. Anzi-

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tutto deve essere viva e intensa la disponibilità a osservaree interpretare soggetti e eventi della vita della classe: si avràmodo di raccogliere dati e elementi di giudizio per valutarele concrete condizioni nelle quali si attuano i processi di inse-gnamento/apprendimento.

Una seconda disponibilità concerne capacità e modi di vi-vere il confronto con i colleghi insegnanti del modulo negliincontri collegiali prescritti dal nuovo ordinamento. Si trattadi un comportamento non facile e non sempre immediato.Intanto, l’osservazione esercitata deve aver fornito non epi-dermiche e approssimate notazioni, bensì dati oggettivi e con-seguenti, ponderate valutazioni. Dipoi occorre disporsi a eser-citare la capacità di ascolto: occorre «saper ascoltare» per co-gliere fino in fondo i significati di ciò che l’interlocutore vuolcomunicarci. Infine, il confronto non può esaurirsi in formesterili di discussione fine a se stessa: si deve approdare a con-clusioni e ciò esige il responsabile esercizio di capacità criti-che tramite le quali pervenire, collegialmente, alla individua-zione di obiettivi, strategie, metodi idonei a favorire l’evolu-zione positiva dell’insegnamento nelle classi affidate.

In definitiva, colti i reali significati degli atteggiamentie dei comportamenti apprenditivi degli alunni, ciascuno degliinsegnanti del modulo organizzativo si deve adoperare a pre-disporre i suoi interventi didattici connettendoli agli orienta-menti che unitariamente hanno preso fisionomia nei prescrit-ti incontri collegiali.

E probabile che seguendo questa linea di condotta si pos-sa percepire la significatività che assume il tempo che si ètenuti ore settimanalmente a dedicare alla programmazionedidattica, Anzi si potrà addirittura recriminare che le dueore settimanali concesse si palesano, allo stato dei fatti, insuf-ficienti.

Un’ultima notazione relativa a una norma già ricordatae contenuta nel citato art. 8 del nuovo ordinamento per lascuola elementare. Questo il disposto della norma: «Nell’am-bito delle ore di insegnamento, una quota può essere destina-ta al recupero, individualizzato o per gruppi ristretti, di alun-ni con ritardo nei processi di apprendimento, anche con rife-

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rimento ad alunni stranieri, in particolare provenienti da pae-si extracomunitari». Come si vede, una norma meritevole dimenzione, perché, tra l’altro, corrisponde istanze educativeattuali e molto sentite: l’ammissione di alunni stranieri allanostra scuola si è verificata fino ad oggi col solo sostegnodella buona volontà di dirigenti scolastici e insegnanti. Quisi compie un primo, timido passo, prendendo atto delle diffi-coltà di adattamento che quegli alunni vivono; è auspicabileche si intervenga con sollecitudine anche per rendere effetti-vo e pronto il recupero di quei soggetti, le cui difficoltà, perlo più, sono causate dalla loro appartenenza culturale.

Al di là di questa notazione pare opportuno avanzare duealtre considerazioni, Nella norma citata si utilizza esplicita-mente il termine «recupero»: con il che pare si voglia supera-re il convincimento che la strategia della individualizzazionedell’insegnamento costituisca comunque l’efficace rimedio perprevenire e colmare difficoltà di apprendimento. Prendiamoatto che nella concretezza delle situazioni scolastiche non inogni caso l’insegnante riesce a conseguire omogeneità di ren-dimento: rimarranno sempre alunni che abbisognano di inter-venti aggiuntivi da esperire in tempi supplementari al norma-le tempo curricolare.

L’altra considerazione si sofferma sui soggetti cui si dovràdirigere l’opera di «recupero»; nella norma si utilizza un’e-nunciazione tutt’altro che univoca. Si parla di «alunni conritardo nei processi di apprendimento». Preme subito far chia-rezza sulla natura di quel «ritardo»: causato da anomalie ge-netiche e stati patologici, indotto dal pauperismo culturalee sociale dell’ambiente di appartenenza, generato da situazio-ni contingenti e temporanee. Chiaro che nel primo caso siconfigura la condizione di handicap, nel secondo quella dellosvantaggiato culturale, nel terzo si assommano condizioni di-verse, ma tutte di non difficile recupero. Sicuramente si vole-vano richiamare i casi riferibili a quest’ultimo gruppo; tutta-via era auspicabile una norma meno generica nel definire ilcampo dei soggetti verso i quali esercitare il recupero.

Va infine ricordato che l’insegnante può distribuire l’ora-rio di insegnamento in non meno di cinque giorni la settima-

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na. E auspicabile che una giornata libera da impegni di inse-gnamento possa gratificare il bisogno, espresso spesso da nonpochi docenti, di curare la personale preparazione culturale.La scuola non potrebbe che ricavarne effetti decisamente qua-lificanti.

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LA LINGUA STRANIERANELLA SCUOLA ELEMENTARE:

CRITERI ORGANIZZATIVIDI UN «MINI-PROGRAMMA» LINGUISTICO

Renzo Titone

PREMESSA .

Non c’è dubbio che oggi l’Italia si collochi nella posizionepiù avanzata nei riguardi dei programmi di educazione lingui-stica nella scuola di base. Questo, ovviamente, in linea diprincipio, anche se non ancora in termini di fatto. L’averposto lo studio della lingua straniera come obbligatorio findalla Scuola elementare - e a un livello di significativa pre-cocità - ci colloca all’avanguardia almeno in Europa, anchese non - stranamente - tra i Paesi del cosiddetto TerzoMondo, in cui è notoriamente presente e vivo un multilingui-smo scolastico, reso necessario sia dalle comunicazioni inter-nazionali sia dalla varietà delle culture e delle lingue locali.Ma il «rea le» non coincide ancora con 1’«ideale»: moltissimoresta da fare per raggiungere uno stadio ottimale di realizza-zione nei programmi di educazione bilingue e interculturale.Le riflessioni, che seguiranno, avranno proprio lo scopo dimettere il dito sulle carenze attuali, sulle urgenze, sulle ne-cessità programmatiche, linguistiche e didattiche, che trava-gliano e travaglieranno ancora forse per una decina d’annila scuola italiana.

Sono poi emerse nuove situazioni pressanti che ci invita-no a mettere a punto i nostri programmi di educazione bilin-

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gue e interculturale. Anzitutto, il Progetto LINGUAPAX dellaComunità Europea, coordinato dal prof. Marce1 De Grèvedell’Università di Liegi, che mira a utilizzare l’apertura allealtre lingue e culture in funzione di una educazione profondaallo spirito di pace, ossia alla capacità di comprendere, rispet-tare, accettare, apprezzare le differenze culturali e linguisti-che, così da coltivare un senso profondo, vivo e permanentedi armonia e immedesimazione con tutti i popoli. Nel recenteSimposio sul Progetto LINGUAPAX, tenutosi in seno al Con-gresso della AILA (Association Internationale de Linguisti-que Appliquée) a Salonicco (Grecia), ho avuto modo di avan-zare alcune proposte in merito ad una educazione linguisticae transculturale alla pace, che spero possano essere condiviseda tutti gli insegnanti italiani, specialmente al livello di Scuo-la materna ed elementare, Si tratta di esplicitare, anzitutto,la formazione di una «mentalità pacifica» all’interno dei pro-grammi bilingui e interculturali; in secondo luogo, di prepara-re manuali e antologie letterarie e culturali che offrano unavisione storico-comparata delle civiltà in tutte le loro compo-nenti, tenendo presente soprattutto l’atteggiamento di com-prensione pacifica tra i popoli; e, infine, di utilizzare formevarie delle diverse culture, in particolare le arti, la musica,il folklore, e simili, come accesso alla comprensione e all’ap-prezzamento interculturale.

Anche in Italia, sono felicemente state avviate iniziativesocio-culturali al fine di favorire l’educazione in dimensioneeuropea, come il CESE di Milano (Centro Europeo ScuolaEducazione) e il Centro Dimensione Europea di Roma, chemirano a incoraggiare iniziative tra insegnanti e alunni di ac-costamento ai valori dell’unione europea e internazionale. So-no noti gli incontri e le varie iniziative del CESE milanesee la rivista «Dimensione europea» del centro romano.

Questo sbocciare lussureggiante di iniziative e di esigen-ze richiede, ancor più che vent’anni fa, un impegno a tuttii livelli sociali, politici ed educativi, capace di realizzare,in breve tempo, ma insieme con serietà ed efficacia, anzitut-to una formazione adeguata degli educatori deputati a talicompiti, e insieme le condizioni organizzative idonee a ga-

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rantire l’attuazione di queste nobili ambizioni della scuolaitaliana.

Il che richiede qualche ulteriore seria riflessione.Abbiamo più volte insistito sulla necessità di un’accurata

programmazione e organizzazione dei corsi di educazione bi-lingue a motivo della delicatezza e complessità del compitoe insieme della perdurante carenza di mezzi e persone compe-tenti in questo campo. L’interesse attualmente crescente inItalia non deve spingere a passi falsi o a tentare esperienzeaffrettate. Occorre quindi far tesoro dei risultati delle espe-rienze più avanzate e insieme tener conto delle ragioni chestanno alla base di alcuni fallimenti, le une e gli altri consta-tabili sia nel nostro che in altri Paesi più progrediti.

D’altra parte, occorre ricordare che le condizioni, gli obiet-tivi e i bisogni variano assai da nazione a nazione o ancheda una regione all’altra, per cui non tutto ciò che è risultatopositivo in una situazione può senz’altro essere applicato adaltre situazioni. Inoltre, sono necessarie ancora parecchie ri-cerche ed esperimenti prima di poter conferire validità asso-luta a certe indicazioni.

Fatte queste riserve, va notato che ciò che viene qui diseguito proposto come schema di criteri organizzativo-didatticirappresenta il frutto di prolungate riflessioni e di accertateesperienze, e quindi può costituire una efficace linea di azio-ne per i pianificatori di iniziative su larga scala.

Riassumiamo dunque alcune indicazioni essenziali.

1. GIUSTIFICAZIONE DEL PROGRAMMA.

L’insegnamento della lingua straniera a livello di Scuolapre-elementare e primaria dovrebbe costituire una modernaintegrazione dei programmi di alfabetizzazione di base, e per-tanto una componente essenziale e non accessoria della edu-cazione fondamentale delle nuove generazioni. Ma, come èda attendersi, una simile innovazione rappresenterà inevita-bilmente in molte nazioni una flagrante rottura con la tradi-zione scolastica. Potrà quindi cozzare contro lo scetticismo

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o le resistenze di genitori e soprattutto di insegnanti conser-vatori.

Gli insegnanti elementari potranno obiettare che l’orarioe il programma sono già sovraccarichi; gli insegnanti di linguedella scuola secondaria potranno preferire di iniziare l’inse-gnamento da zero anziché dover fare i conti con classi com-poste da fanciulli sprovveduti e altri parzialmente preparatidal punto di vista linguistico; certi genitori potranno mostrarsipreoccupati di un possibile sovraccarico mentale dei lorobambini.

Queste ed altre simili perplessità non vanno licenziate al-la leggera, ma affrontate onestamente e discusse con genitorie insegnanti.

Vi sono due aspetti principali che, a questo riguardo, van-no sottolineati:

a ) dato che l’insegnamento della lingua straniera è ini-ziato assai presto e può essere proseguito lungo tutto il perio-do della scolarità (almeno obbligatoria), le abilità linguistichehanno tempo sufficiente per maturare adeguatamente;

b) il periodo dell’infanzia è particolarmente favorevoleall’assimilazione delle abilità linguistiche di natura orale, eciò permette al bambino di impadronirsi di un efficace mezzodi comunicazione e di una solida base per lo sviluppo ulterio-re del possesso linguistico.

È chiaro che l’ambito dell’acquisizione linguistica a que-sta età precoce non può essere che limitato, accentrandosiprevalentemente sugli automatismi orali, ma tale limitatezza,anziché escludere, assicura una maggiore possibilità di espan-sione futura nei settori più avanzati della comprensione con-cettuale della lingua, dell’apprezzamento della letteratura edell’immedesimazione nella cultura straniera in generale. Ilpossesso quasi inconscio della lingua rappresenta il contributospecifico dell’insegnamento a quest’età, ma non esclude, anziprelude a gradi più evoluti di apprendimento.

In sostanza, torniamo a sottolineare, l’apprendimento diuna seconda lingua costituisce un vero arricchimento dell’e-ducazione primaria: stimola nel bambino lo sviluppo della co-

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scienza linguistica; coltiva atteggiamenti favorevoli verso al-tre culture e altri popoli; pone le basi di una futura capacità dicontatto con individui di lingua e mentalità diversa; può arric-chire direttamente anche altre parti del programma scolasti-co, come l’educazione artistica e musicale, la letteratura, la geo-grafia, le scienze, l’aritmetica e le materie sociali, quale veico-lo di possibili e utili completamenti su un piano internazionale.

2. NECESSITÀ DI PIANIFICAZIONE .

Il successo del programma bilingue dipenderà dall’aver suf-ficientemente soppesato e previsto tutto quanto riguarda ifattori essenziali di tale programma: l’età o lo stadio d’iniziodell’insegnamento linguistico; il tempo disponibile; la presen-za e la preparazione del personale insegnante; la composizio-ne delle classi; i contenuti e i metodi didattici da adottare;i sussidi o ausili didattici idonei allo specifico tipo d’insegna-mento; la possibilità di una continuità del programma dal gradoelementare al grado secondario; le disponibilità finanziarie;la presenza di un gruppo o comitato di ricerca che segua davicino l’esperimento, ne verifichi di continuo gli effetti e ria-datti gli interventi secondo le necessità emergenti.

Consideriamo più dettagliatamente tali fattori.

2.1. Scelta della lingua da insegnare.

Sta bene affermare il principio: una lingua straniera pertutti i bambini: ma quale lingua si dovrà scegliere?

L’unico valido criterio generale dovrebbe essere dato dalvalore o dall’utilità di una certa lingua per la comunità nelsuo insieme e per gli individui, in quanto mezzo di comunica-zione nel presente e nell’avvenire. A questo livello di età edi educazione, non si può indulgere a criteri superficiali comela « m o d a » o un orgoglio sociale proprio di certi genitori esibi-zionisti né a criteri teorici come il valore di una lingua dalpunto di vista letterario o culturale-nozionale.

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Pertanto, una scelta di ordine pragmatico si indirizzeràverso lingue di maggior diffusione sociale. In Italia, attual-mente, si potrebbe stabilire una scala di urgenza che poneal primo posto l’inglese e al secondo il francese e il tedesco.Se l’inglese è acquisito al livello primario, sarà possibile ag-giungere poi lo studio del francese e/o del tedesco al livellosecondario (senza tuttavia, si noti, tralasciare il già iniziatostudio dell’inglese). Tra le seconde lingue acquisibili una do-vrà essere dominante e quindi posseduta perfettamente; men-tre le altre possono essere possedute in ambiti più ristretti 1.

2.2. Età d’inizio.

Il quesito è duplice: Quando si p u ò incominciare l’inse-gnamento di una seconda lingua? Quando lo si deve cominciare?

In una precedente nostra opera abbiamo già discusso am-piamente la tesi secondo cui è possibile al bambino, almenodi capacità mentale media, iniziare ad apprendere un’altralingua a qualsiasi età, anche precocissima, Se si considera l’arcodella scolarità, va detto che svariate esperienze hanno dimo-strato che il bambino può cominciare fin dall’inizio della Scuolamaterna e proseguire con successo.

D’altra parte, un inizio precoce può essere richiesto dallaurgenza o dalla convenienza di possedere tempestivamenteun nuovo strumento linguistico. In certe culture la secondalingua diviene una necessità vitale fin dalla prima infanzia,oppure, essendone richiesto il possesso perfetto come veicolodell’insegnamento primario, occorre che il bambino la acqui-sisca sufficientemente fin dai gradi prescolastici. Ma la nostratesi sostiene generalmente la convenienza educativa di unaeducazione bilingue precoce, appunto per non privare il bam-bino, già nell’infanzia ma soprattutto più tardi, di una doteculturale di impareggiabile valore. Quindi, se ne ricava unprecetto pedagogico-didattico, che sottolinea la indispensabi-le tempestività di tale insegnamento.

1 R. TITONE, Bilinguismo precoce e educazione bilingue, Roma, Armando, 1972.

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Piuttosto, il problema che ci si deve porre è quello diuna giusta periodizzazione della lingua straniera rispetto alcompito primigenio dell’apprendimento della lettura e dellascrittura nella lingua nazionale. Alcune esperienze tendereb-bero a dimostrare che l’acquisizione orale della seconda lin-gua può benissimo precedere l’apprendimento del leggere edello scrivere nella prima lingua, ma che conviene posporreil leggere e lo scrivere nella seconda lingua fino a quandola lettura e la scrittura nella prima non si siano sufficiente-mente consolidate 2.

2.3. Gli insegnanti.

La scelta e la preparazione di insegnanti idonei a un com-pito delicato come il presente costituisce il «problema nume-ro uno» di tutta la programmazione.

Insegnare una seconda lingua ai bambini è opera di ecce-zionale abilità. Coloro che credono troppo ciecamente allaparticolare capacità innata dei piccoli di assimilare una secon-da lingua, dimenticano che tale compito richiede da partedell’insegnante un altissimo grado di abilità didattica. L’espe-rienza più di una volta ha dimostrato che non bastano l’entu-siasmo e l’improvvisazione, per quanto geniale, a condurrea buoni risultati. Nel caso, ad esempio, di insegnanti nonperfetti linguisticamente, i bambini sono giunti ad apprende-re, tra gioia e gioco, errori difficilmente sradicabili. D’altrolato, non basta che l’insegnante sia un parlante nativo perrendere fruttuoso l’insegnamento: probabilmente, non si po-trà rendere conto di che cosa significhi imparare la propriaprima lingua come seconda lingua. Perciò i partecipanti allaI Conferenza di Amburgo hanno dichiarato testualmente: «Tut-

2 «Alcuni membri della Conferenza di Amburgo pensano che il bambino do-vrebbe prima acquistare il meccanismo di base del leggere e dello scrivere la primalingua e poi tentare la lettura e la scrittura nella seconda. Altri pensano che dovesia più facile imparare a leggere e scrivere in I e II, si può cominciare da quella.Ma tutti sono d’accordo che si deve cominciare in una lingua sola». H. H. STERN,op. cit., 1 9 6 7 , p. 83.

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ti gli insegnanti di una seconda lingua dovrebbero possedereperfettamente tale lingua ed essere buoni modelli di pronun-cia. Dovrebbero anche conoscere la prima lingua degli alunni.Dove sia possibile, si dovrebbero invitare dei parlanti nativia contribuire all’insegnamento della seconda lingua, special-mente nelle classi inferiori» 3.

Un insegnante nativo forse non avrà familiare il sistemascolastico del Paese, non ne conoscerà l’orientamento meto-dologico che gli è tipico, non avrà un’idea esatta delle prece-denti esperienze dei bambini di quella nazione: ecco quindialtre ragioni che debbono far pensare prima di assumere uninsegnante per il solo fatto che sia nativo del Paese di cuisi intende insegnare la lingua.

D’altra parte, un insegnante, per quanto provetto, chepossegga soltanto l’esperienza di un insegnamento linguisticosvolto a livello di scuola secondaria, potrebbe mancare di quelledoti e di quegli accorgimenti didattici che sono richiesti dal-l’alunno di scuola primaria.

Ma dove trovare, allora, personale linguisticamente pre-parato e insieme idoneo all’insegnamento elementare, o addi-rittura pre-elementare? L’unica soluzione plausibile, anche senon immediata, sta nell’escogitare al più presto un piano diformazione a d hoc (linguistica e didattico-primaria) per futuriinsegnanti dotati di certe qualità personali atte a svilupparsinelle abilità richieste dal compito in questione. Un simile pia-no va studiato con cura e introdotto come componente obbli-gatoria nei programmi magistrali 4.

4 Alcuni autori suggeriscono che si richiedano dagli insegnanti in propositole seguenti doti: volontà di partecipare ad un programma di rinnovamento didattico;conoscenza delle strutture di entrambe le lingue (prima e seconda); comprensionedella natura della lingua in generale e delle sue variazioni (dialettali, locali); cono-scenza dei metodi per insegnare le lingue straniere; accettazione e comprensionedi tutte le culture straniere; conoscenza dei processi e ritmi di sviluppo dei bambinidi questa età; capacità di offrire un buon modello linguistico anche nella secondalingua. 1 settori di formazione glottodidattica dovrebbero di conseguenza compren-dere: lo studio della linguistica e della lingua interessata; la didattica delle linguestraniere; tecnica della programmazione; metodi di adattamento del materiale preesi-stente e di creazione di nuovo materiale glottodidattico; tirocinio pratico; studiodella cultura e civiltà straniera. Cfr. M. R. SAVILLE - R. C. TROIKE, A handbook

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Tuttavia, si può dire che tutti i Paesi sono, a questo ri-guardo, in una situazione di emergenza; gli insegnanti prepa-rati ad hoc sono rarissimi, e, di questi, molti hanno acquisitouna sufficiente preparazione in forma soltanto autodidattica.

Se quasi non esistono insegnanti qualificati, non esistono pernulla strutture organizzative che li formino. Di qui la necessitàdi ricorrere per il momento a espedienti di almeno media garan-zia. Il buon insegnante, imperfetto linguista, si varrà di sussidididattici particolarmente efficaci, come registratori, giradischie dischi di lingue, filmini, diapositive, complessi audiovisivi, ein più della consulenza di un «esperto itinerante». Il buon lingui-sta (nativo), imperfetto insegnante, dovrà essere ricuperato me-diante anche brevi seminari didattico-pratici, guide ben redatte,supervisione di esperti, ecc, Tanto minore è il numero degli inse-gnanti qualificati, tanto più urgente è la necessità di produrre inquantità notevole e in alto grado qualitativo mezzi e sussidi vari,dotati di ampia flessibilità, così da poter essere impiegati da di-versi insegnanti in diverse situazioni d’insegnamento a livello pri-mario. Si ricorderà, a questo proposito, l’esempio inglese, in cuil’esperimento su scala quasi nazionale è stato accompagnato dauno sforzo egualmente ampio di produzione di materiali glotto-didattici (i Nuffield Foreign Language Materials), così da venirein soccorso a tutti gli insegnanti, e specialmente ai meno preparati.

2.4. Tempo da dedicare alla seconda lingua.

Il tempo totale da dedicare all’apprendimento della secon-da lingua dipende dal grado di urgenza e insieme di perfezio-ne dell’abilità linguistica che si vuole far conseguire al bambino.

of bilingual education (TESOL, Washington, D.C. 1971), pp. 29-30. Il problema delreperimento degli insegnanti di lingue, per le classi elementari, non è stato ancoraaffrontato sistematicamente e ufficialmente in Italia. Una ipotesi, ragionevolissima,e con la quale concordiamo totalmente, è quella proposta da Monalda Peroni (Insegna-mento di una seconda lingua, a livello primario: il problema del reperimento degli inse-gnanti, in «Orientamenti Pedagogici», XIII, n. 6, 1966, pp. 1095-1105), secondo coisi dovrebbe risolvere il problema negli Istituti magistrali: a) con un maggior numerodi anni dedicati allo studio dalla lingua straniera; b) con un aumentato numero diore ad essa dedicate; c) con un migliore insegnamento e un preciso avviamento didatti-co all’insegnamento delle lingue nella Scuola elementare da parte del futuro maestro.

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Finora gli esperimenti non hanno fissato in modo precisoil tempo ottimale, quantunque esistano indicazioni derivantida buoni esiti ottenuti in parecchi casi. E molto probabileche un corso «intensivo» in senso stretto (da 10 ore a piùper settimana) non si adatti alla capacità di assimilazione delbambino. Ma si raccomandano in generale brevi periodi gior-nalieri (10 o 15 minuti al giorno), anche nelle ore pomeridia-ne dopo la scuola. Come principio generale la 1 Conferenzadi Amburgo aveva raccomandato « u n tempo adeguato asse-gnato ogni giorno», senza determinare quale tempo possa con-siderarsi «adeguato». L’esperienza più incoraggiante raccoman-dava, tuttavia, lezioni giornaliere di circa 30 minuti. Al dilà di tale durata, l’attenzione e lo sforzo dei bambini vengo-no posti a dura prova; d’altro canto, se gli intervalli tra unalezione e l’altra sono troppo lunghi o irregolari, i bambinitendono a dimenticare quanto hanno appreso volta per volta.E un dato di elementare psicologia della memoria.

Si nota, inoltre, un generale accordo sul principio dellaconvenienza di aumentare il numero delle ore di contatto conla seconda lingua utilizzandola con crescente frequenza e in-tensità nell’insegnamento di altre materie e in attività extra-curricolari. La lingua, in tal modo, cessa di essere puro ogget-to di istruzione e diventa mezzo vivo di comunicazione. Èciò che si realizza largamente nelle scuole bilingui o interna-zionali: e sarebbe oltremodo utile poter determinare speri-mentalmente fino a che punto sia possibile adottare tale pras-si anche nelle scuole ordinarie. Forse, un meglio organizzatoprogramma di scambio di insegnanti tra i vari Paesi offrireb-be la possibilità di utilizzare alcuni insegnanti stranieri percerte materie facilmente «internazionalizzabili», come la geo-grafia, l’educazione artistica, ecc. Ovviamente, in una scuoladotata di un programma veramente bilingue, si potranno adot-tare sistemi di alternanza linguistica, per cui certe materiesiano insegnate in determinate ore o giornate in una linguae in altri momenti nell’altra lingua, mentre altre materie sia-no insegnate unicamente in una lingua e poi nell’altra linguavengano presentate le terminologie corrispondenti (come nel-le scienze, dove lo sviluppo fondamentale dei concetti do-

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vrebbe avvenire nella prima lingua, così da offrire soltantouna traduzione dei termini specifici nella seconda lingua) 5.

Ma se l’uso veicolare di entrambe le lingue non pone pro-blemi nelle scuole «bilingui» o internazionali, esso rimane unproblema aperto, e solo in parte solubile, nelle scuole ordina-rie. Qui gli orari possono non prestarsi a uno sdoppiamentoo ad una alternanza d’uso delle due lingue come mezzo didat-tico. In ogni caso, converrebbe allargare le possibilità d’usodella seconda lingua almeno nel settore delle attività extra-curricolari, soprattutto di carattere ricreativo.

2.5. Contenuto e metodo di un «mini-corso».

Di questo punto occorrerebbe parlare più ampiamente, poi-ché esso costituisce - com’è evidente - il perno della glot-todidattica. Qui, tuttavia, vorremmo limitarci a una delinea-zione generale dell’orientamento da seguire in un corso dilingua straniera per bambini.

Sembra conveniente - poiché se ne è dimostrata prati-camente l’utilità - far convergere in uno schema generale,diremmo, di «mini-gIottodidattica», due procedimenti, non al-ternativi, ma complementari. Entrambi mirano alla rapida ac-quisizione dell’uso per quanto possibile spontaneo della lin-gua, benché in diversa maniera.

Primo procedimento. Consiste nel porre i bambini in di-retto contatto con la lingua in situazioni di vita reale, cheescludano l’uso della prima lingua. Il bambino è, per cosìdire, immerso in un bagno linguistico alla stessa guisa con

5 « U n piano accettabile potrebbe consistere nel dedicare la maggior parte deltempo giornaliero alla lingua nativa durante il periodo della Scuola materna, e dellaprima e seconda classe, e porzioni eguali a entrambe le lingue dalla terza classein avanti. Nei primi anni l’insegnamento della seconda lingua sarebbe concentratosullo sviluppo delle abilità linguistiche di base (strutture grammaticali, pronuncia,vocabolario), e seguirebbe metodi appropriati. Il programma poi giungerebbe, gra-dualmente, a far utilizzare la seconda lingua come mezzo di istruzione e continue-rebbe a sviluppare tutte le capacità espressive in entrambe le lingue parallelamente)>.M. R . SAVILLE R, C, TROIKE, A handbook of bilingual education (TESOL, Wa-shington, D.C. 1971, pp. 25-26 e ss.).

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cui fu immerso nell’ambiente della lingua nativa. Si trattadi un apprendimento per assorbimento diretto dovuto al tra-sferimento totale nell’ambiente e nelle situazioni proprie del-la seconda lingua. La «barriera linguistica» viene valicata qua-si senza sforzo e senza accorgersene. Un simile procedimentoper «immersione» è stato attuato soprattutto in quelle scuolee specialmente in quegli asili d’infanzia, in cui la secondalingua è regolarmente usata come mezzo di comunicazionee d’istruzione. In genere, l’associazione diretta awiene tralingua e ambiente umano, o più precisamente tra la linguastraniera e l’individuo che la impersona come parlante o co-me insegnante, così che la presenza di una certa persona di-venta stimolo determinante di un certo tipo di reazione lin-guistica. Al livello della prima infanzia vige dunque il princi-pio di Grammont: «Une langue, une personne».

Secondo procedimento. Un apprendimento per immediatoassorbimento sembra non costituire un fattore di sufficientestabilizzazione e quindi dovrebbe essere completato da un ap-prendimento più sistematico. La sistematicità non deve essereintesa nel senso di un itinerario formalizzato, rigido, noziona-le, ma solo come modalità di costanza nell’impiego di certi pro-cedimenti, ovviamente a quest’età giocosi, e come regolaritànella scelta e nella progressività di presentazione dei dati lin-guistici da apprendere. Se gioco vi è - e certo esso avrà unaparte importante -, esso è tuttavia introdotto non a caso ocapricciosamente, ma in vista di determinati obiettivi linguisti-ci e quindi con una funzione ben definita. Esisterà inoltre unaben definita progressività, ma le singole tappe saranno diverseda quelle che segnano la gradazione dei corsi di lingue per ado-lescenti o adulti. In fondo, se anche nel caso di una didassiinfantile si può parlare di metodo, ciò dipende dal fatto chealla spontaneità giocosa si accoppia una certa dose di sistemati-cità; altrimenti non sarebbe più «insegnamento», bensì «diver-timento» puro, senza fini che lo trascendano.

Precisiamo ulteriormente il significato di questa «sistema-ticità» del metodo. Essa è sottesa ad alcuni princìpi, di cuii seguenti rappresentano i più essenziali.

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1. Vi è sistematicità nella presentazione del materiale lin-guistico, ossia una scelta del lessico e delle strutture in fun-zione dell’età, dell’ambiente, delle situazioni e dell’esperien-za dei bambini. Vocabolario e strutture, in altre parole, do-vrebbero essere scelti coi seguenti criteri:

a) il vocabolario e le strutture più produttivi, ossia d’usopiù frequente, date certe situazioni di vita;

b) elementi comuni o simili alla prima e seconda lingua;c) collegati a reali centri d’interesse propri dell’espe-

rienza linguistica del bambino;d) facili a riprodurre e assimilare. (Sono in corso, come

dicevamo, ricerche glottostatistiche in vari Paesi anche alloscopo di determinare gli elementi comuni al linguaggio delfanciullo di una certa età).

2. La priorità va data alla lingua parlata: ascolto e con-versazione prima della lettura e scrittura.

3. La lingua va presentata fin dall’inizio e sempre in for-ma di unità significative collegate con situazioni reali. (Orien-tamento «situazionale»).

4. Il progresso nell’acquisizione della lingua non consistenell’aumento delle difficoltà nozionali o delle complessità dinatura logica o strutturale, ma nello sviluppo finemente gra-duato delle strutture e del lessico per via di imitazione e dianalogia, così da produrre una stabilizzazione dei dati lingui-stici attraverso un uso frequente e variato. Un giusto princi-pio formulato dalla 1 Conferenza di Amburgo suona così: « T u t -te le strutture nuove dovrebbero essere presentate mediantevocabolario già acquisito e ogni nuovo vocabolo dovrebbe es-sere introdotto inserendolo in strutture già acquisite. Tuttele nuove strutture o il nuovo vocabolario dovrebbero, perquanto sia possibile, essere collegati con qualche attività eser-citata dai bambini» 6.

5. Ogni corso di lingua è anche corso di civiltà, in quan-to attraverso le forme linguistiche vanno trasmessi al fanciul-

6 Cit. da STERN, op. cit., 1967, p. 88

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lo quei valori e quelle modalità di costume e di pensiero chesono propri del popolo che parla tale lingua. Si tratta di av-viare al più presto il bambino verso la comprensione e lafratellanza internazionale 7.

2.6. Distribuzione degli alunni.

Se l’insegnamento di una lingua ha un valore sociale eeducativo universale, è logico che tale programma abbraccitutti i fanciulli senza distinzione di classe sociale e senza pri-vilegi. In effetti, dove tale insegnamento non è ufficiale egratuito, ne vengono purtroppo esclusi i fanciulli di famigliemeno abbienti. Una ragione di più, dunque, per rendere lostudio di una seconda lingua parte del programma scolasticoordinario. In qualche caso, nondimeno, si è fatto notare cheil bambino ipodotato potrebbe trovare difficoltà nell’acquisi-re un secondo sistema linguistico, al di là di una pura imita-zione pappagallesca. Questo fatto può forse costituire un li-mite all’estensione universale del programma bilingue. Ma con-fessiamo di non essere del tutto convinti della invalicabilitàdi tale limite, quando non si tratti di vera e propria deficien-za mentale; e pertanto invocheremmo, a questo proposito,una verifica sperimentale.

Quanto poi alla dimensione di ciascuna classe o gruppodi alunni, parrebbe che le esigenze di esercitazione orale, dia-logazione, conversazione, drammatizzazione ed altre attivitàludiche vengano meglio soddisfatte da gruppi ridotti di nu-mero. La grandezza ottimale tende ad essere fissata ad unnumero di allievi oscillante tra i dieci e i venticinque. Ma

7 Come dice una guida americana per l’insegnamento dello spagnolo ai bambi-n i : « T h e objective is not primarily to communicate simple cultural facts or evento develop appreciation, of Hispanic culture. The objective is to reduce mono-culturalorientation by active pleasurable participation in a different cultura1 pattern». (Mo-D E R N LANGUAGE ASSOCIATION OF A M E R I C A, Beginning Spanish in Grade Three, Da-rien, Conn., Educational Publishing Corporation, 1958). Come giustamente è impli-cato in questa affermazione, la comprensione di una cultura diversa avviene perattiva partecipazione e non per semplice fruizione intellettuale.

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dovrebbe essere sempre possibile una ulteriore suddivisionein gruppi minori, ove il momento didattico lo suggerisca.

2.7. Continuità del programma Linguistico.

È del tutto evidente che l’introduzione della lingua stra-niera nella scuola primaria avrà una notevole ripercussionea livello di scuola secondaria e anche a livelli superiori.Occorre quindi stabilire uno stretto concatenamento tra tut-ti i livelli e particolarmente tra l’insegnamento di gradoprimario e quello immediatamente successivo. Il problemariguarda soprattutto il ridimensionamento dei contenuti edei metodi d’insegnamento delle lingue nella Scuola media,che dovranno evitare di apparire come un falso doppionedell’insegnamento primario ma insieme non dovranno collo-carsi ad un livello troppo alto, troppo formalizzato e eccessi-vamente ricco sotto l’aspetto contenutistico rispetto al primogrado d’insegnamento. Lo studio della lingua straniera nellaScuola media, ponendosi a un livello precisamente interme-dio, mirerà a riprendere sommariamente le acquisizioni dibase del periodo anteriore e poi a stabilizzare definitivamen-te il possesso delle strutture e a sviluppare il patrimoniolessicale, operando ampiamente anche sul piano della linguascritta.

Il fatto che lo studio linguistico possa venire distribuitosu un arco di tempo maggiore abbracciante almeno tutta lascolarità dell’obbligo (8 anni) e anche più, se incomincia neglianni della Scuola materna, permetterà una migliore distribu-zione e dosatura delle varie tappe dell’apprendimento; ma per-metterà altresì di programmare un insegnamento di più altolivello nei gradi superiori dell’istruzione (un insegnamento piùarticolato e più approfondito della cultura e della letteraturastraniera).

Tutto ciò, perché si fondi su una effettiva continuità del-l’apprendimento linguistico, esige la formazione di un comi-tato di coordinamento verticale, composto da rappresentantidi tutti gli ordini e gradi di scuola, che studia il problema

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in longitudine e in una visione unitaria dello sviluppo pro-grammatico.

Ragioni queste, che ci convincono essere il presente nonl’ultimo problema da affrontare, a rigore di schema operati-vo, bensì il «pr imo» in ordine assoluto.

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APPENDICE

DIECI TESI SULL’INSEGNAMENTOPRECOCE DELLE LINGUE STRANIERE

(PROLEGOMENI A QUALSIASI SPERIMENTAZIONE1

1. Si può partire dal dato incontrovertibile che il bambino tra i 3 e i10 anni è spinto da un forte bisogno di comunicare e perciò da un vivointeresse per l’acquisizione di ogni forma di linguaggio, verbale e non ver-bale. In questa età, l’apprendimento di una seconda o di più lingue godedel medesimo fondamentale interesse - derivante da un bisogno esisten-ziale primario - che promuove l’acquisizione della prima lingua. Inoltre,esso si inserisce su un terreno neuro-psicolinguistico in via di differenzia-zione, ma ancora aperto alla differenziata plasmazione di vari sistemi dicomportamento verbale. Apprendere una seconda lingua fa parte di unprocesso educativo di socializzazione, che, oggi, può stimarsi fondamentalein un programma moderno di educazione multi- e inter-culturale.

2. L’insegnamento di L2 in tanto acquista fecondità in quanto si avvicinail più possibile all’ideale di una «educazione bilingue» in cui il termine-chiave «educazione» sta a significare la formazione di una personalità bilin-gue attraverso l’«immersione» sincronica in due sistemi linguistici e cultu-rali. Conseguentemente, entrambe le lingue non rimangono isolate comepuri oggetti distinti di studio, ma costituiscono la piattaforma comune diun programma didattico-educativo interdisciplinare (entrambe le lingue so-no usate come medium, ossia veicolo, di tutti o di parecchi apprendimenti:storico, geografico, matematico, scientifico, artistico, etico-religioso, ecc.).

3. Il contenuto dell’insegnamento di L2 è dato dai moduli espressivo-comunicativi propri del parlante di questa età. Non è quindi costituitoné da strutture linguistiche di tipo adultistico né da nozioni formali ditipo grammaticale. È composto esclusivamente da moduli (patterbs and func-tions) di uso corrente negli interventi comunicativi dei bambini di questaetà: vale a dire, da strutture, funzioni e forme linguistiche (segmentalie sopra-segmentali) corrispondenti alle più fondamentali funzioni ed esi-genze di comunicazione soggiacenti alle normali situazioni di interazioneverbale tra bambini. Un materiale linguistico, dunque, equidistante tantodall’adultismo (sofisticata grammaticalità e lessico astratto) quanto dall’in-

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fantilismo (cantilenante ripetizione di pargoleggiamenti verbali, di nauseantipoesiole o di rime vuote di senso).

4. L’approccio strategico generale rappresenta una sintesi equilibrata di«apprendimento spontaneo» e «insegnamento sistematico». La comunica-zione in L2 deve rispondere a esigenze vive in situazioni concrete propriedella vita e dell’esperienza reale del bambino. Ma, in risposta altresì allasituazione particolare della classe e al principio della economia dell’appren-dimento, si impone una sufficiente sistematicità di programmazione, percui un certo preordinamento delle situazioni considerate tipiche, una ocula-ta selezione e graduazione del materiale da imparare (un syllabus ben co-struito a precisi obiettivi) facilitano l’apprendimento essenziale e rapidoad un «livello soglia» (o elementare-funzionale). Il tempo a disposizionecondizionerà la quantità e la qualità delle scelte, mirando a obiettivi signi-ficativi e raggiungibili.

5. Considerando che l’apprendimento infantile è per sua natura globale,coinvolgente cioè tutti i piani della personalità (fisico, affettivo, sociale)e tutte le modalità di accostamento alla realtà ambientale (approccio multi-sensoriale), il metodo didattico dovrà soprattutto poggiare su quel tipo diattività integrale nel bambino che è il gioco. Il gioco come dialogo, scam-bio verbale, espressione fantastica, realizzazione drammatica, racconto, canto,mimica verbalizzata, ritmo poetico, indovinello, insomma, tutto ciò cheper il bambino è «parola giocosa» (verbum et ludus). Questa è la base dellaspontaneità.

6. D’altra parte, una minima e sufficiente sistematicità dell’interventodocente sarà garantita dal preordinamento generale e flessibile di un itine-rario consistente nella realizzazione di un ciclo ottimale di apprendimento(ciclo matetico).

L’intero processo dell’apprendere, commisurabile a semestri e anni diinsegnamento, dovrebbe essere articolato in periodi unitari (o unità didat-tiche) costituiti da fasi tipiche, in cui i momenti essenziali dell’apprendere- comprensione del compito linguistico, rinforzo delle relative abilità ver-bali, controlli e verifica degli esiti connessi con l’acquisizione della compe-tenza comunicativa in L2 - siano costantemente e adeguatamente tenutipresenti.

7. L’esercizio come uso della lingua assume nel bambino particolari con-notazioni, caratterizzate da un lato dalla variabilità e flessibilità delle for-me di esercitazione e dall’altro dalla costante aderenza alle situazioni realidella comunicazione infantile. «Eserci tarsi» per il bambino è rifare il gioco,

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in maniera più chiara e gratificante, e non semplicemente obbedire a impe-rativi di correttezza formale o di imitazione pedissequa del modello.

8. Analogamente, anche la valutazione è parte del gioco. Il giudizio sullacorrettezza della comunicazione è anzitutto implicito nel risultato di unainterazione giocosa, in cui ha luogo una reale e accettabile trasmissionedi messaggi tra bambino e bambino, tra bambini e adulti. La comunicazio-ne come azione è essa stessa accertamento e auto-verifica di competenza,prima ancora del giudizio formale dell’insegnante. Al gioco non si dannovoti: lo si fruisce nella misura in cui riesce pertinente, ossia appropriatoe corretto.

9. La sperimentazione, tuttavia, se tale vuole essere, abbisogna di precisiaccertamenti periodici. Questi debbono da una parte commisurarsi a obiet-tivi chiaramente e realisticamente formulati inizialmente; dall’altra debbo-no essere tali da cogliere il livello di competenza effettivamente raggiuntodal singolo bambino dopo un periodo di tempo di ipotizzata lunghezza.

Più che forme vere e proprie di test, che tendono ad isolare segmentidi abilità e a individuarli in maniera rigida, conviene ricorrere a scale divalutazione e a griglie di osservazione, integrate da descrizioni riassuntiveche evidenziano il <(profilo linguistico)> del singolo bambino.

10. La lingua senza la cultura è un guscio vuoto. La lingua assume valoreeducativo soprattutto dal confronto cognitivo e affettivo con una culturache la nutre. I procedimenti utilizzabili, soprattutto a livello più avanzato,di comparazione e contrasto, traduzione e trasposizione, apprezzamentoe immedesimazione, riguardano particolarmente l’obiettivo della assimila-zione della seconda Cultura in armonia con la Cultura nativa. In dosi mini-me e in relazione a determinati comportamenti culturali sintonizzabili conl’età infantile, è possibile e desiderabile educare il bambino alla compren-sione e all’apprezzamento di culture diverse aprendolo efficacemente allacomprensione internazionale e all’affratellamento universale.

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GLI ALUNNI IN DIFFICOLTÀ:SITUAZIONI DI HANDICAP

E SITUAZIONI DI SVANTAGGIONELLA SCUOLA ELEMENTARE

Matilde Parente

La Scuola elementare «rispetta e valorizza le diversità in-dividuali, sociali e culturali». Con l’affermazione di questoprincipio normativo, enunciato nel contesto delle «finalità ge-nerale» all’art. 1 della nuova legge di ordinamento, la Scuolaelementare italiana pone al centro della sua azione formativala promozione dello sviluppo della personalità di ciascun alun-no, perseguita mediante la prima alfabetizzazione culturale.

Secondo il predetto principio, ogni alunno è accolto e va-lorizzato dalla scuola nella sua «diversi tà», cioè come sogget-to unico nella sua propria individualità di persona e nellapeculiarità della sua identità culturale e sociale. Del «rispettoe valorizzazione» delle diversità la scuola si fa carico con in-tenzionalità formativa, a fini di educazione e di istruzionedell’uomo e del cittadino che è in ogni soggetto umano affi-dato alla sua cura.

Per la prima volta in una legge di ordinamento scolastico,la nozione di «diversità», nel significato positivo di «valore»,istituisce la norma di una progettualità pedagogica e didatticamirata a fare, concretamente, della «scuola di tutti» la «scuo-la di ciascuno». È in questo ambito che il problema di talune«diversità», che interpellano la scuola con particolari istanzepersonali e sociali, può trovare autentico spazio d’attenzionee di soluzione. Le diversità problematiche di alunni portatori

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di speciali bisogni non sono un’emergenza da fronteggiare,ma una dimensione ordinaria della realtà scolastica da consi-derare e da gestire. Le diversità che fanno problema sonola sfida alla capacità della scuola di tradurre in programmidi azione il mandato di «rispettare e valorizzare le diversitàindividuali, sociali e culturali».

Ciò che si ricava subito da questo assunto, in forza dellasua valenza giuridica e istituzionale, è che l’accoglienza delle«diversità» diventa il presupposto indispensabile per l’effetti-vo perseguimento dell’«uguaglianza», sul piano sociale e civi-le. E questo il punto di approdo di un lungo e complessoitinerario di ricerca educativa e di innovazione scolastica acui l’attuale riforma della Scuola elementare sembra rendere,almeno in linea di principio, il riconoscimento dovuto. Gliimpegni operativi che ne derivano sono tali, però, da consi-gliare prudenza nell’apprezzamento delle risorse e degli stru-menti che la stessa riforma pone in essere all’inizio del suocammino. Rimane comunque acquisita l’opzione del legislato-re per una Scuola elementare adeguata alle esigenze formati-ve di alunni «diversi», sia che la diversità significhi sanità,buona dotazione genetica, ambiente di vita favorevole, siache significhi compromissione o carenza dello sviluppo, defi-cit, disabilità, deprivazione, svantaggio: considerato, questosecondo tipo di diversità, nell’ampia gamma delle sue diffe-renziazioni, quello da cui raccogliere la sfida più importanteper cambiare la scuola e per migliorarla continuamente.

1. L’HANDICAP COME MISURA DELL ’INTEGRAZIONE.

Se il diritto all’integrazione scolastica viene riconosciuto,in una prospettiva istituzionalmente nuova, a tutti gli alunni,occorre che effettive condizioni di esercizio di tale diritto sianoassicurate a partire dai soggetti più deboli, in situazioni menofavorevoli per fruirne, a quei soggetti per i quali il rischio chele «diversi tà» si trasformino in «disuguaglianze» sul piano socia-le e civile si dimostra più alto, tanto da generare, in qualchecaso, drammatici interrogativi sul senso della stessa obbligato-

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rietà scolastica. L’ottica in cui ci poniamo, infatti, è quella diuna scuola che si sforza di tradurre l’obbligo della frequenza,per gli alunni, nell’obbligo di offrire agli stessi una prestazioneadeguata e, ove necessario, differenziata attraverso l’arricchi-mento e l’articolazione funzionale del proprio curricolo e la qua-lificazione del proprio progetto educativo e didattico.

In questo contesto, la «diversità da handicap» assume leconnotazioni di una domanda di formazione a cui risponderecon il massimo di disponibilità e di competenza, non in forzadi una sollecitazione morale, ma in ragione di un compitoistituzionale preciso derivante alla scuola, e in particolare allascuola obbligatoria, dal suo essere «ambiente educativo di ap-prendimento» in cui il diritto all’educazione e all’istruzionedeve essere reso fruibile ad ogni soggetto in formazione, inquanto persona e cittadino dello Stato democratico. Anchese non sempre l’handicap costituisce la situazione a più eleva-ta densità problematica sotto il profilo scolastico (ci sono si-tuazioni di «svantaggio» che possono ostacolare in modo gra-vissimo la riuscita scolastica), la funzione di provocazione eser-citata dall’handicap nella realtà politico-sociale, culturale,educativa, è tale da giustificare l’assunto, in sede scolastica,dell’handicap come misura dell’integrazione. Quest’assunto,spogliato dell’enfasi retorica che potrebbe caricarlo di signifi-cati demagogici o anche soltanto falsamente rivoluzionari, di-venta l’onere, per la riforma, di «interventi in favore deglialunni portatori di handicap», di cui all’art. 6 della nuovalegge di ordinamento.

L’attuale norma legislativa si innesta su precedenti elabo-razioni e statuizioni di principi e di criteri che oggi vannoriconsiderati per comprenderne il valore storico e l’efficaciainnovativa. La legge n. 517 del 4 agosto 1977, resta un pun-to di riferimento ineludibile per cogliere la genesi dell’attualeriforma e, prima di questa, dei programmi didattici approvaticon D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, ed entrati in vigore,a cominciare dalle prime classi, dall’anno scolastico 1987-88.Così come le norme che l’Amministrazione ha puntualmenteemanato, con notevole attenzione ad orientare e potenziareil processo di innovazione sotto il profilo dell’integrazione

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degli alunni handicappati nelle classi comuni, costituisconoun interessante itinerario evolutivo di cui la riforma di ordi-namento può dirsi in qualche misura un risultato apprezzabi-le, soprattutto come strumento di consolidamento dell’inno-vazione e di possibile promozione del suo sviluppo ulteriore.Da questo punto di vista, si può parlare di aspetti particolar-mente significativi della riforma, non solo in quanto risoluti-vi di problemi e di attese, ma anche in quanto propositivio indicativi di obiettivi ancora da raggiungere e da perseguirecon iniziativa culturale, politica, legislativa di forte coerenzarispetto alle acquisizioni di oggi.

1.1. I l sostegno specialistico all’integrazione.

Una delle acquisizioni più interessanti che conviene sotto-lineare nella presente riforma, riguarda la definizione del ruo-lo dell’insegnante di sostegno e l’individuazione delle modali-tà della sua utilizzazione nel nuovo modello di organizzazio-ne scolastica. Già la legge 517/1977 aveva prefigurato, « a lfine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la pro-mozione della piena formazione della personalità degli alun-ni», un nuovo modo di essere della scuola caratterizzato da«forme di integrazione degli alunni portatori di handicap conla prestazione di insegnanti specializzati». Si introduceva intal modo a livello legislativo, dopo averne creato le motiva-zioni e i presupposti sul piano culturale-politico, l’istituto del«sostegno» educativo e didattico, di natura specialistica, ri-servato agli alunni in situazione di difficoltà a motivo di eventipatologici comunque intervenuti a determinare un deficit fi-sico, psichico, sensoriale, producente disabilità e, perciò, « h a n -dicap» nel campo della relazionalità, dell’apprendimento, del-l’inserimento sociale. Invece, per gli alunni soltanto «svantag-giati», cioè in situazione di difficoltà a motivo di carenzefamiliari e ambientali, di disagi economici e sociali, di divariculturali e linguistici, la legge prevedeva, già nel 1977, unaprestazione scolastica non specialistica, ma qualificata nel sensodell’individualizzazione dell’insegnamento, arricchita di oppor-

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tunità formative offerte a tutti e «organizzate per gruppi dialunni della stessa classe oppure di classi diverse anche alloscopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alleesigenze dei singoli alunni». Assumevano un ruolo di primopiano, a questo fine, le «attività integrative» che la legge n.820, del 24 settembre 1971 aveva collocato « i n orario ag-giuntivo» e che soltanto nelle migliori esperienze di tempopieno erano riuscite ad inserirsi progressivamente nella strut-tura e nell’organizzazione del curricolo tanto da modificarnesostanzialmente obiettivi e contenuti, distanziandolo semprepiù dai programmi del 1955, ormai desueti in gran parte del-la prassi scolastica.

La distinzione tra «handicap» e «svantaggio», semantica-mente discutibile (handicap = svantaggio), era entrata a farparte del linguaggio istituzionale della scuola con lo scopodi evitare una impropria e dannosa dilatazione della nozionedi «handicap», trasferendone il significato da categorie di ti-po nosografico a categorie di tipo sociologico. Il rischio diassociare o di confondere svantaggi di differente natura e pro-venienza era stato avvertito, fin dall’inizio, come l’elementodi maggiore possibile inquinamento nel processo di integra-zione che si voleva quanto più possibile personalizzato. Glialunni svantaggiati non avrebbero dovuto, in alcun caso, po-ter essere classificati come handicappati e trattati di conse-guenza, con effetti di alone irrimediabilmente negativi a li-vello sociale. La distinzione è stata recepita e rafforzata daiprogrammi didattici del 1985 che, tuttavia, ne hanno in certosenso attenuato la rigidezza prevedendo che, di fronte a si-tuazioni di difficoltà di apprendimento, imputabili sia all’han-dicap che allo svantaggio, la programmazione educativa e di-dattica debba «articolarsi e svilupparsi in modo da prevederela costruzione e la realizzazione di percorsi individuali di ap-prendimento scolastico che, considerando con particolare ac-curatezza i livelli di partenza, pongano una progressione ditraguardi orientati, da verificare in itinere» (Premessa, 1985).Nella logica dei programmi in vigore, pertanto, l’accento èposto sui «percorsi individuali di apprendimento», che rap-presentano il punto di forza di una prestazione scolastica qua-

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lificata e differenziata, se necessario in termini di specializza-zione, rifluente nella struttura fondamentalmente unitaria diun curricolo più ricco di opportunità formative e più articola-to nell’azione educativa e didattica. Obiettivo centrale di untale curricolo è l’apprendimento formativo che la scuola deveagevolare con i mezzi e le strategie più efficaci, a favore diogni alunno, considerato che «l’obiettivo dell’apprendimentonon può mai essere disatteso e tanto meno sostituito da unasemplice socializzazione ‘in presenza’, perché il processo disocializzazione è in larga misura una questione di apprendi-mento e perché la mancanza di corretti interventi di promo-zione dello sviluppo potrebbe produrre ulteriori forme di emar-ginazione» (ibid., 1985).

Questa esigenza sembra essere stata compresa dal legislato-re del 1990 nel momento in cui, ridefinendo l’ordinamento del-la Scuola elementare, ha stabilito che « i compiti dell’insegnantedi sostegno devono essere coordinati, nel quadro della program-mazione dell’azione educativa, con l’attività didattica genera-le». La predetta ‘coordinazione’, che supera ogni forma di giu-stapposizione o di aggiuntività di «attività integrative», ma ren-de il curricolo di per se stesso integrabile per gli interventi chesi ritengono necessari, non soltanto contribuisce a definire lafigura e la funzione dell’insegnante specializzato riconoscendo-gli la piena contitolarità con gli altri, ma contribuisce pure adassegnare al «sostegno» un ruolo di promozione nei confrontidi tutta l’attività didattica. Agendo all’interno del modulo orga-nizzativo e condividendone le dinamiche, l’insegnante di soste-gno potrebbe essere una figura privilegiata di riferimento nonsoltanto per gli alunni in situazione di handicap, ma anche pergli altri e per lo stesso gruppo docente, abbandonando le posi-zioni marginalizzanti che, spesso, proprio la sua specializzazio-ne gli ha procurato finora.

1.2. Quale identità per il servizio psicopedagogico?

Mentre appare più chiara e meglio definita la funzionedell’insegnante di sostegno, non altrettanto può dirsi di quel-

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la dello psicopedagogista o, meglio, dell’insegnante che, es-sendo fornito « d i titoli specifici o di esperienze in campopsicopedagogico», può essere utilizzato, su espressa volontàdel collegio dei docenti e con «i necessari adattamenti in ma-teria di costituzione dei moduli», per compiti di vitale impor-tanza nell’economia della vita e dell’organizzazione scolasti-ca, quali sono quelli di «intervenire nella prevenzione e nelrecupero, agevolare l’inserimento e l’integrazione degli alunniin situazione di difficoltà, interagire con i servizi specialisticie ospedalieri del territorio»; s’intende « n e l rispetto delle fun-zioni di coordinamento e rappresentatività del direttore di-dattico». Rende perplessi, anzitutto, tanto da far pensare aduna imperdonabile, quanto improbabile svista nella redazionedel testo, l’alternativa espressa tra «titoli specifici» ed «espe-rienze in campo psicopedagogico», che sarebbero auspicabiliinsieme, ma che non hanno pari peso specifico sul piano dellacultura professionale. Lascia, inoltre, preoccupati la aleatorie-tà di questa figura, non tanto per le scelte demandate al col-legio dei docenti (che potrebbe anche non avvertire l’esigen-za di un servizio che non conosce), ma soprattutto per ladisponibilità condizionata dell’organico e dello stesso funzio-namento dei moduli.

Sarebbe stato certamente opportuno e, per molti aspetti,necessario che il nuovo profilo ordinamentale della Scuola ele-mentare nei programmi 1985 si arricchisse della dimensionedi un servizio che attinge motivazione e sostanza dalla inno-vazione scolastica e dalla stessa ricerca educativa. È ormailargamente acquisita l’idea della spendibilità della funzionedocente, intesa in senso ampio, per compiti di espansionee di supporto della normale attività didattica e per un’azionedi facilitazione della pratica educativa attraverso «relazionid’aiuto» agevolanti la creazione di « u n clima sociale positivonella vita quotidiana della scuola». In questo senso, la funzio-ne di un «servizio psicopedagogico» proprio della scuola, atti-vato dalla presenza di un insegnante-psicopedagogista (ne oc-correrebbe più d’uno nell’ambito del circolo didattico), risul-ta rispondente a molte attese, che il processo di innovazionedegli ultimi decenni ha nettamente evidenziato, soprattutto

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in ordine all’esercizio del diritto all’integrazione per gli alun-ni più deboli e disadattati.

Nell’O.M. 282 del 10 agosto 1989, la figura dell’«opera-tore psicopedagogico», così denominato nel contesto dei nuo-vi profili professionali riconosciuti alla funzione docente (ilcoordinatore dei servizi di biblioteca e il coordinatore deiservizi di orientamento scolastico nella scuola secondaria su-periore, l’operatore tecnologico e l’operatore psicopedagogiconella scuola dell’obbligo), acquista una precisa consistenza giu-ridica in quanto risorsa funzionalmente integrata con l’attivi-tà curricolare della scuola e in quanto figura professionaleappartenente alla scuola, a tutti gli effetti. L’ordinanza, chesi appella alla legge n. 426, del 6 ottobre 1988, preannunciamodalità e criteri per la formazione del personale docenteda utilizzare nei nuovi servizi, successivamente alla fase diprima applicazione della legge che reca «norme per la razio-nalizzazione e riqualificazione della spesa nel settore della pub-blica istruzione». Si può forse inquadrare in questa ottica di«razionalizzazione», interpretata al ribasso, la scelta operatadalla riforma di ordinamento della Scuola elementare in rela-zione al servizio psicopedagogico che, se ritenuto parte inte-grante del progetto educativo e dell’organizzazione scolastica,avrebbe dovuto ricevere condizioni di inserimento, in modocoerente e mirato, nell’intero sistema. La questione non èininfluente rispetto a quanto diremo tra poco circa la comple-mentarità e l’interazione di competenze e di servizi, indispen-sabili per l’evoluzione culturale e politica e per la qualificatarealizzazione pratica dell’integrazione scolastica.

1.3. Complementarità e interazione di competenze e di servizi.

1 programmi del 1985 affermano con autorità di normache per l’integrazione scolastica di alunni « i n condizione diparticolare gravità» occorrono, anzi necessitano, insieme allavoro della scuola, « l o sforzo solidale della famiglia e l’azio-ne concorde di un sistema socio-sanitario che realizzi formedi prevenzione, di intervento precoce e di assistenza)>. Con

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analisi più dettagliata dei bisogni della scuola di fronte alproblema dell’integrazione, gli stessi programmi precisano chetale processo, per gli alunni portatori di handicap, «speciese gravi», «es ige non tanto una ‘certificazione medica’, quan-to la possibilità per la scuola di affrontare il processo educativo-didattico sulla base di una ‘diagnosi funzionale’ predispostada servizi specialistici». Del concetto di «diagnosi funzionale»i programmi sono debitori alla sagace produzione di normeamministrative che, dagli anni Settanta in poi, ha accompa-gnato e sostenuto l’innovazione scolastica in ordine all’inte-grazione dei portatori di handicap. « L a diagnosi funzionale

essi ribadiscono - deve porre in evidenza le principali areedi potenzialità e di carenza presenti nella fase di sviluppoosservata, cosicché gli interventi da attivare nel quadro dellaprogrammazione educativo-didattica, di competenza dei do-centi, siano i più idonei a corrispondere ai bisogni e alle po-tenzialità del singolo soggetto». Sempre in relazione ai casi« d i particolare gravità», si precisa inoltre che la «didatticadifferenziata» impiegata dalla scuola deve essere «integratada sostegni terapeutico-riabilitativi» e che « i n questo quadrola scuola deve potersi avvalere della collaborazione di specia-listi, nonché di servizi e di strutture stabilmente disponibilisul territorio».

La scuola, come già era nello spirito della legge 517, nonpuò essere lasciata sola nell’impresa del sostegno e della pro-mozione formativa di «diversità» difficili, che richiedono losforzo concorde e collaborativo di competenze diverse e lasolidarietà di servizi e di mezzi che impegnano altre realtàoltre a quella scolastica. Una lunga catena di difficoltà e dicarenze, ma anche di latitanze e di omissioni, riscontrabilein modo disomogeneo sul piano nazionale, ma senza dubbiopiù pesante nelle aree soggette a deprivazione, ha finora im-pedito il generalizzato decollo di quell’auspicata solidarietàche pure la legge aveva sancito. C’è il pericolo che la riforma,pur richiamandosi nei termini essenziali agli stessi principi,si areni nell’inadeguatezza degli aiuti che la scuola è tenutaa ricevere da parte degli enti preposti ai servizi che devonointegrare il suo: gli interventi specialistici da parte delle unità

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sanitarie locali, gli interventi assistenziali da parte degli entilocali.

L’urgenza di una legislazione che regoli e istituisca la po-litica delle « in tese» , come strumenti tecnico-giuridici di coor-dinamento e di programmazione congiunta degli interventimirati all’integrazione, tra gli organismi che ne hanno compe-tenza e mandato, è tale da non consentire indugi, pena l’im-miserimento della scuola in un’autosufficienza impossibile. Siaggiunga che la mancanza di una cooperazione sistematica coni servizi specialistici territoriali, sulla base di una effettivacomplementarità delle competenze e di una continua e quali-ficata interazione, non farebbe che aumentare il disagio dellascuola sulla delicatissima questione delle richieste, per l’orga-nico di fatto, di insegnanti di sostegno da utilizzare, con de-roga del rapporto di uno a quattro, per gli alunni con «handi-cap particolarmente gravi, per i quali la diagnosi funzionalerichieda interventi maggiormente individualizzati» (art. 4 dellalegge di ordinamento).

Il problema che si pone, al di là dell’esigenza di assicurareall’organico le risorse docenti necessarie, è quello di comin-ciare ad affrontare in modo rigoroso, scientificamente multi-disciplinare, tecnicamente affidabile, lo studio dei parametridi «gravità» dell’handicap, individuando criteri di analisi deicasi che non ledano il diritto soggettivo di educazione scola-stica, ma che forniscano nel contempo le indicazioni necessa-rie per progetti individualizzati di integrazione a buon indicedi fattibilità e di controllo. Il tutto per non creare utentidel pubblico servizio scolastico « a basso livello di diritto»,fornendo all’alibi dell’ineguaglianza il potere di minare allabase la scuola che stiamo cercando di costruire.

1.4. Altre questioni aperte.

Il tema della «gravità» dell’handicap, per la sua complessi-tà oggettiva e per le evidenti implicante con la storia scolasti-ca dei singoli soggetti handicappati, è tra quelli che più solle-citano la collaborazione tra le scienze che si occupano del-

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l’uomo sotto il profilo biologico e fisiologico, psicologico, edu-cativo, neuropsichiatrico, medico-riabilitativo. Una riforma sco-lastica non può che far appello a tale collaborazione, da defi-nire e regolamentare con legislazione apposita, per avere pos-sibilità di incidere, a favore degli handicappati, sulle condizionidi effettivo esercizio del diritto all’educazione e all’istruzio-ne. La riforma di ordinamento della Scuola elementare, cosìcome i programmi didattici che l’hanno preceduta e in qual-che misura determinata, dovrebbero avere una forte funzionedi stimolo per un’accelerazione doverosa delle decisioni daprendere in materia. Intanto, però, la scuola dovrà continua-re a far fronte a quelle situazioni di «particolare gravità» dellohandicap che richiedono provvidenze immediate, sinergia diinterventi sulla base di diagnosi funzionali reiterate, di conti-nua progettazione, di verifiche.

Vale forse la pena ricordare che i programmi del 1985,nell’ambito di una peculiare attenzione ai problemi dell’inte-grazione, hanno avanzato una proposta che attende di esserestudiata e dibattuta nel quadro di una politica dell’integrazio-ne di ampio respiro e di una vera cultura dell’handicap. Sitratta della «opportunità» di prevedere - come si esprime iltesto dei programmi - « i l funzionamento, nell’ambito di unostesso distretto, di centri adeguatamente attrezzati al fine diconsentire interventi specificamente mirati da realizzare instretta collaborazione tra scuola, strutture sanitarie del terri-torio e istituzioni specializzate)>. Bisogna pensare, evidente-mente, ad organismi n u o v i (i «centri attrezzati») tutti da defi-nire, ma soprattutto da caratterizzare come centri di ricercamulti- e interdisciplinare avanzata per i problemi dell’handi-cap sotto il profilo socio-educativo, medico-riabilitativo,educativo-scolastico; organismi che non dovranno essere lacattiva riproduzione di istituzioni esistenti o l’invenzione dinuovi, inutili apparati, che non dovranno svolgere funzionidi supplenza nei confronti della scuola, ma potenziarne lepossibilità di accoglienza e di comprensione delle «diversità»più problematiche. La prospettiva rimette in discussione, tral’altro, la funzione delle istituzioni specializzate e, perciò, dellescuole speciali, per alcune delle quali la trasformazione in «cen-

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tri attrezzati», operanti in stretta interazione con la scuolacomune, potrebbe delineare un futuro di grande interesse,

E una questione che la riforma di ordinamento non poteva,ovviamente, toccare, ma che indirettamente pone sul tappetodei dibattiti culturali, politici e legislativi che convergono suqueste tematiche e che devono mirare a soluzioni positive deiproblemi ormai fin troppo noti nel campo dell’integrazione sco-lastica e dell’integrazione sociale degli handicappati.

Un altro tema che ci preme segnalare per l’importanzache viene ad assumere in questo contesto, è quello della «con-tinuità educativa», intesa come processo costitutivo dell’iti-nerario formativo scolastico, da attuarsi «anche mediante for-me di raccordo pedagogico, curricolare ed organizzativo conla scuola materna e con la scuola media», come si esprimel’art. 1 della nuova legge in esame. E significativo, a questoriguardo, che un apposito articolo, il secondo, individui i con-tenuti della «continuità», demandando al Ministro la defini-zione, «sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzio-ne» e « n e l rispetto delle competenze degli organi collegialidella scuola» delle «forme e modalità del raccordo» da concre-tarsi in ordine ad un continuum di comunicazione e di infor-mazione tra le scuole di base sull’esperienza formativa dell’a-lunno, ma soprattutto sui suoi bisogni in relazione ai processidi apprendimento e di socializzazione. L’accento è posto inparticolare sul «coordinamento dei curricoli degli anni inizialie terminali», sulla «formazione delle classi iniziali», sul «siste-ma di valutazione», sull’«utilizzo dei servizi di competenzadegli enti territoriali». In tal modo, la continuità educativaesce dalla dimensione della pura idea pedagogica o dell’auspi-cio innovativo, per assumere consistenza di progetto istitu-zionale sostenuto da un’identità giuridico-legislativa inequi-vocabile. E necessario che, nell’ambito di tale progetto, tro-vino spazio adeguato «forme e modalità» pecul iar i dicollaborazione e di intesa tra le Scuole materna, elementaree media per programmare in continuità l’opera di integrazio-ne dei soggetti handicappati e svantaggiati, agendo sulla tem-pestività degli interventi (a partire dalla massima qualificazio-ne di quelli della Scuola materna) e sulla loro specificità in

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rapporto alle diverse fasi di sviluppo e di apprendimento. Al-l’interno di questa azione specializzata potranno ricevere at-tenzione e trovare progressiva soluzione i problemi posti dal-la natura dell’handicap e, in taluni casi, dalla sua stessa iden-tificazione, dalla prevenzione, riduzione e contenimentodell’handicap, dal suo ridimensionamento sotto il profilo so-ciale, dalla definizione dei criteri per la diagnosi funzionalelegata alla programmazione educativa e didattica. Di tuttociò dovrà tener conto il Consiglio nazionale della pubblicaistruzione nel momento in cui dovrà dare parere in materiadi wontinuità educativa».

2. L'OBIETTIVO DELLA RIDUZIONE DELLO SVANTAGGIO.

Nell’accezione prima indicata, la nozione di «svantaggio»trova riferimento, nella scuola, in una gamma vastissima disituazioni, per lo più socio-economiche e socio-culturali, chenon mettono tutti gli alunni sugli stessi livelli di partenza.La gamma delle situazioni tende oggi ad accrescersi, com’ènoto, a motivo delle molte cause di sofferenza familiare nonnecessariamente legate a deprivazioni materiali, della presen-za di disvalori o di pseudovalori derivati dalla società del be-nessere, dell’esistenza di un diffuso degrado morale e di unaderesponsabilizzazione allarmante nei confronti dell’educazione.Le analisi sui fenomeni di disadattamento scolastico, a cuisi collegano i dati sull’insuccesso, la dispersione, la mortalitàscolastica, con significative percentuali di inadempienza del-l’obbligo ed altrettanto significative e fondate incertezze sul-l’effettiva generalizzazione della sua efficacia, denunciano lacomplessità di problemi che non sono soltanto della scuolané possono essere risolti soltanto dalla scuola. È indubbio,però, che la scuola ha precise funzioni nell’affrontarli e con-tributi insostituibili da recare all’impresa delle soluzioni daperseguire.

In questa ottica, la riforma della Scuola elementare, inuna concezione sistemica del processo scolastico formativo dibase, assume rilevanza storica in quanto strumento di ‘ridu-

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zione’ degli svantaggi che condizionano negativamente lo svi-luppo di molte personalità in formazione nell’età della primaalfabetizzazione culturale. Con l’attuale riforma, l’istituzionescolastica abbandona definitivamente il già logoro mito della«uguaglianza delle opportunità», per puntare, invece, sull’a-deguamento quantitativo e qualitativo delle stesse alle esigen-ze formative dei singoli soggetti. Il criterio dell’«adeguamen-t o » è il motivo conduttore della riforma, sotto il profilo dellaoperatività del principio democratico del perseguimentodell’«uguaglianza», nel rispetto e nella valorizzazione della «di-versità». L’interpretazione autentica della riforma non puòdiscostarsene; né se ne potranno discostare le norme di appli-cazione e di gestione.

Punto focale della Scuola elementare, che realizza i pro-grammi del 1985 organizzandosi nel quadro dei nuovi ordina-menti, è la ricerca di un’uguaglianza sostanziale nell’eserciziodel diritto alla prestazione da parte, in special modo, degli alunniche incontrano maggiori difficoltà nell’apprendimento scola-stico. Come nel caso dell’handicap l’intervento specialistico mi-rava a reperire ed attivare le aree di efficienza, le risorse ele potenzialità esistenti ne l soggetto per favorirne l’apprendi-mento in senso formativo, così, nel caso dello svantaggio diorigine sociale o socio-culturale, specifici interventi devono con-tribuire a «rimuovere gli ostacoli» che s u l soggetto influisconocon maggiore incisività a delimitare o compromettere poten-zialità e risorse. E appena il caso di rilevare che, in questaprospettiva, il confine pratico tra handicap e svantaggio diven-ta molto difficile da tracciare, anche perché non è raro il casoin cui lo svantaggio sia all’origine di patologie psico-fisiche one alimenti l’evoluzione fino a renderle irreversibili. Senza con-tare che, talvolta, i problemi posti dallo svantaggio sono cosìgravi da superare quelli posti da alcune tipologie di handicap(per esempio, quelle a prevalenza di deficit sensoriale) o daessere assimilabili a quelli dell’handicap. Questo induce a rite-nere che la demarcazione, introdotta anche sul piano legislati-vo, debba essere vista più come un segnale di attenzione eun indicatore di analisi che non come una prescrizione di defi-nizioni o, peggio ancora, di strategie di intervento.

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Occorre, tuttavia, evidenziare che, mentre all’handicap lalegge riserva apposite provvidenze, allo svantaggio finalizzal’adeguamento strutturale e organizzativo dell’intero servizioscolastico nel momento in cui ne concepisce il funzionamento«per consentire la realizzazione degli obiettivi educativi indi-cati dai programmi vigenti» (cfr. secondo comma, art. 4). In-fatti, «per attuare i suoi compiti la Scuola elementare si orga-nizza in modo funzionale rispetto agli obiettivi educativi daperseguire e, pertanto, mentre segue le linee di un program-ma che prescrive sul piano nazionale quali debbano esserei contenuti formativi e le abilità fondamentali da conseguire,predispone una adeguata organizzazione didattica affinché ilprogramma possa essere svolto muovendo dalle effettive ca-pacità ed esigenze di apprendimento degli alunni» (Premessa,1985).

2.1. L ‘organizzazione funzionale.

L’organizzazione della scuola è, perciò, funzionale al suonuovo progetto educativo e didattico che pone la diversitàa fondamento del diritto all’uguaglianza e che, in forza deiprincipi costituzionali a cui la scuola stessa si ispira, deveservire a dare un sostanziale contributo a rimuovere «gli osta-coli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto lalibertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno svi-luppo della persona umana» (art. 3 della Costituzione) e deveservire, inoltre, a porre le premesse all’esercizio del diritto-dovere di partecipare alla vita sociale e di «svolgere, secondole proprie possibilità e le proprie scelte, un’attività o una fun-zione che concorra al progresso materiale e spirituale dellasocietà» (art. 4 della Costituzione). L’impegno della riformarisulterebbe incomprensibile, e perfino velleitario, al di fuori di questo quadro di finalità che, tra l’altro, ne storicizzanoe compendiano il significato nella <(educazione alla conviven-za democratica)>, scelta come obiettivo prioritario e basilaredella formazione scolastica di livello elementare.

Queste considerazioni vanno completate con due riferi-

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menti che ne motivano ulteriormente la centralità e l’impor-tanza: il primo riguarda la rivalutazione culturale della Scuolaelementare operata dai programmi del 1985, con il rapportostabilito tra «prima alfabetizzazione culturale» («l’acquisizio-ne di tutti i fondamentali tipi di Iinguaggio e un primo Iivellodi padronanza dei quadri concettuali, delle abilità, delle mo-dalità di indagine essenziali alla comprensione del mondo uma-no, naturale e artificiale») e «educazione alla convivenza de-mocratica» («sostenere l’alunno nella progressiva conquista dellasua autonomia di giudizio, di scelte e di assunzione di impe-gni e nel suo inserimento attivo nel mondo delle relazioniinterpersonali, sulla base della accettazione e del rispetto del-l’altro, del dialogo, della partecipazione al bene comune»).E la pregnanza educativa e culturale di tale rapporto che mo-tiva la ricerca, nel nuovo quadro ordinamentale della scuola,delle condizioni e della opportunità più favorevoli all’appren-dimento, per ciascun alunno, avendo di mira una «sostanzialeequivalenza» dei risultati.

L’interesse per gli esiti scolastici diventa norma di orien-tamento nei criteri di organizzazione e di azione. Ne scaturi-scono nuove «regolarità» per il funzionamento dell’istituzionescolastica, sempre più decisamente indirizzate a reclamare spazidi autonomia per il potere istituente di ogni singola scuolanell’uso congruo delle proprie risorse ai fini del conseguimen-to degli esiti comuni. Di qui, la valorizzazione dell’ordina-mento non in funzione di apparato, ma di servizio, nel sensoormai più volte indicato.

Non c’è dubbio che le situazioni di svantaggio rappresen-tino il banco di prova dell’organizzazione funzionale delle ri-sorse scolastiche nella dimensione delle ordinarie ‘regolarità’,dal momento che a favore degli alunni svantaggiati non sonoprevisti, normativamente, interventi specialistici di sostegno.Il sostegno, in questo caso, è prodotto dalla capacità dellascuola di qualificare, potenziare, gestire le sue risorse, in in-terazione con quelle dell’ambiente sociale e culturale, per au-mentare I’efficacia del servizio e articolarne le prestazioni,ma avvalendosi anche di particolari competenze e progetti(ritorna l’esigenza del servizio psicopedagogico; si ripropone

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d’attualità l’utilizzo, ove possibile, di modelli organizzatividi tempo pieno; resta valida la prospettiva di iniziative peda-gogiche e didattiche attivate con docenti della dotazione or-ganica aggiuntiva per particolari progetti di potenziamentodel curricolo).

2.2. Per ma concezione positiva di «recupero» scolastico.

Il punto che ci sollecita a concludere con particolare at-tenzione critica l’analisi della riforma per gli aspetti più diret-tamente implicati nella problematica dell’integrazione, è quelloche fa riferimento al secondo comma dell’art. 9 della nuovalegge di ordinamento. Vi si stabilisce testualmente che «nel-l’ambito delle ore di insegnamento, una quota può essere de-stinata al recupero individualizzato o per gruppi ristretti dialunni con ritardo nei processi di apprendimento, anche conriferimento ad alunni stranieri, in particolare provenienti daPaesi extracomunitari».

L’affermazione, inserita nel contesto della normativa cheregola l’orario di insegnamento dei docenti, appare finalizza-ta a ritagliare nell’ambito delle 2.2 ore settimanali di attivitàdidattica il tempo necessario («una quota») da destinarsi al«recupero» di singoli alunni o di gruppi ristretti di alunni«con ritardo», evidentemente rispetto a ritmi ritenuti norma-li, nei processi di apprendimento. Non si può fare a menodi cogliere una sorta di strana ambivalenza nella preoccupa-zione del legislatore: da una parte, il voler fissare criteri dieconomia nell’orario di insegnamento, che non trascurino ilbisogno di aiuto di alunni svantaggiati; dall’altra, il tentativodi trasferire in una norma di legge il contenuto pedagogicodi un problema quale è quello delle difficoltà di apprendi-mento, schematizzandolo entro le categorie del «ritardo» edel «recupero», applicate, sia pure con buona intenzione, aglialunni stranieri e, in particolare, a quelli provenienti dai Pae-si extracomunitari.

Mentre si può comprendere il tipo di sollecitazione socio-politica che sta dietro il dettato della norma, si ritiene di

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doverne indicare alcuni limiti che potrebbero trovare motividi fraintendimento e di degenerazione interpretativa nella pra-tica scolastica.

Così com’è collocato, il comma in esame fa pensare aduna attività didattica di «recupero» concepita come momentoa parte rispetto al resto dell’attività e, quasi di necessità, de-stinata a riempire gli spazi di compresenza/contemporaneitàdegli insegnanti del modulo organizzativo. E una concezionerestrittiva, rinunciataria nei confronti di una molteplicità disoluzioni che la «relazione d’aiuto» agli alunni in difficoltàpuò trovare nella scuola, sulla base della creatività pedagogicae didattica espressa dagli insegnanti in un valido lavoro diprogrammazione e sulla base di svariate risorse che la scuolapuò organizzare nel concreto di attività meno mortificantiche non siano quelle di «recupero», tanto più marginalizzantiquanto più dichiaratamente riservate ai soli alunni in difficoltà.

Il problema non è tanto quello di «recuperare» (con acce-zione ancora una volta negativa), ma di rinforzare, promuo-vere, sostenere i processi di apprendimento scolastico intral-ciati da turbe emozionali-affettive, meno corroborati da espe-rienze di apprendimento extrascolastico, resi più difficili dallamancanza di strumentalità essenziali o da barriere comunica-tive di varia natura, non ultime quelle relative all’appartenen-za ad una cultura diversa. Non si tratta, allora, di ricavarescampoli di tempo, per industriarsi a compensare gli svantag-gi, ma piuttosto di metabolizzare lo svantaggio dentro strate-gie più raffinate di integrazione nell’ambito del maggior nu-mero possibile di attività e di esperienze, con attenzione in-dividualizzata ai soggetti più deboli e disadattati di frontealle richieste della scuola. Il vero problema è quello di orga-nizzare e dotare l’ambiente scolastico (spazi, attrezzature, stru-menti) in modo congruo rispetto alle attività programmate,con le unità di personale docente sufficienti a realizzarle neitempi tecnicamente predisposti dalla programmazione educa-tiva e didattica. In questo senso, si tratta, più che di recupe-rare gli alunni, di recuperare le risorse materiali, professiona-li, logistiche, con cui incrementare l’opera della scuola permetterla all’altezza del compito.

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Una seconda osservazione riguarda il riferimento fatto dallalegge alla categoria del «r i t a rdo» nei processi di apprendimen-to, categoria di difficile dominio anche in campo psicopeda-gogico, specie se impiegata per classificare situazioni complessedi disagio scolastico o di vero e proprio disadattamento. Alunniin ritardo di apprendimento sono spesso soltanto alunni aicui bisogni la scuola non riesce a dare adeguate e tempestiverisposte o, ancora più semplicemente, alunni che vivono espe-rienze più problematiche di integrazione sociale e scolastica.Identificare le difficoltà come ritardi può far percepire la loro«diversità» più come devianza da una norma che come valoreda riconoscere e da educare, soprattutto se si tratta di sogget-ti provenienti da altri Paesi e, quindi, da altre culture.

Sono rilievi che non intendono andare oltre la notazionepedagogica: per segnalare la necessità di una lettura in talsenso di tutta la riforma, per farne lo strumento legislativoche la Scuola elementare ha atteso anche troppo a lungo, conl’obiettivo di procedere con sicurezza nel suo cambiamento.

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APPENDICE

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NUOVI PROGRAMMI DIDATTICIPER LA SCUOLA PRIMARIA

Decreto del Presidente della Repubblica, n. 10412 febbraio 1985

Articolo unico

1 programmi didattici per la scuola primaria annessi al decretodel Presidente della Repubblica 14 giugno 1955, n. 503, sono sosti-tuiti dai programmi annessi al presente decreto e vistati dal Mini-stro proponente.

I nuovi programmi entrano in vigore nelle classi prime dall’an-no scolastico 1987-88 e, progressivamente, nelle classi successivenei quattro anni scolastici seguenti.

PREMESSA GENERALE

1 Parte

CARATTERI E FINI D E L L A S C U O L A E L E M E N T A R E

Il dettato costituzionale

La scuola elementare ha per suo fine la formazione dell’uomoe del cittadino nel quadro dei principi affermati dalla Costituzionedella Repubblica; essa si ispira, altresì, alle dichiarazioni internazio-nali dei diritti dell’uomo e del fanciullo e opera per la comprensio-ne e la cooperazione con gli altri popoli.

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La scuola elementare, che ha per compito anche la promozionedella prima alfabetizzazione culturale, costituisce una delle forma-zioni sociali basilari per lo sviluppo della personalità del fanciullo,dà un sostanziale contributo a rimuovere «gli ostacoli di ordine eco-nomico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianzadei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»(art. 3 Cost.) e pone le premesse all’esercizio effettivo del diritto-dovere di partecipare alla vita sociale e di «svolgere, secondo leproprie possibilità e le proprie scelte, un’attività o una funzioneche concorra al progresso materiale e spirituale della società» (art.4 Cost.).

Scuola elementare e continuità educativa

La scuola elementare attua il suo compito nell’ambito della «istru-zione inferiore, impartita per almeno otto anni, obbligatoria e gra-tuita» (art. 34 Cost.).

La scuola elementare contribuisce, in ragione delle sue specifi-che finalità educative e didattiche, anche mediante momenti di rac-cordo pedagogico, curricolare ed organizzativo con la scuola mater-na e con la scuola media, a promuovere la continuità del processoeducativo, condizione questa essenziale per assicurare agli alunniil positivo conseguimento delle finalità della istruzione obbligatoria.

In questa prospettiva un ruolo fondamentale compete anche allascuola materna, che, integrando l’azione della famiglia, concorre,con appropriata azione didattica, a favorire condizioni educativee di socializzazione idonee ad eliminare, quanto più possibile, disu-guaglianze di opportunità nel processo di scolarizzazione.

Principi e fini della scuola elementare

Scuola, famiglia, partecipazione

La scuola elementare riconosce di non esaurire tutte le funzionieducative: pertanto, nell’esercizio della propria responsabilità e nelquadro della propria autonomia funzionale favorisce, attraverso lapartecipazione democratica prevista dalle norme sugli organi colle-giali, l’interazione formativa con la famiglia, quale sede primariadell’educazione del fanciullo e con la più vasta comunità sociale.

La scuola elementare valorizza nella programmazione educativae didattica le risorse culturali. ambientali e strumentali offerte dal

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territorio e dalle strutture in esso operanti, e nello stesso tempoeduca il fanciullo a cogliere il valore dei processi innovativi comefattori di progresso della storia.

La vita scolastica ed extrascolastica ed i mezzi di comunicazionedi massa offrono occasioni continue di un confronto vario e plurali-stico.

Sin dalla prima infanzia il fanciullo è coinvolto in una realtàsociale caratterizzata da rapidi e profondi processi di mutamentodei costumi, da atteggiamenti, comportamenti individuali e colletti-vi che lo stimolano ad interrogarsi, rendendo forte l’esigenza diconoscere adeguatamente e di comprendere nella sua complessitàla realtà che lo circonda.

La scuola, rispettando le scelte educative della famiglia, costi-tuisce un momento di riflessione aperta, ove si incontrano esperien-ze diverse; essa aiuta il fanciullo a superare i punti di vista egocen-trici e soggettivi, così come ogni giudizio sommario che privilegiin maniera esclusiva un punto di vista e un gruppo sociale a scapitod’altri.

Educazione alla convivenza democratica

Il fanciullo sarà portato a rendersi conto che «tutti i cittadinihanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senzadistinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinionipolitiche, di condizioni personali e sociali» (art. 3 Cost.).

La scuola è impegnata ad operare perché questo fondamentaleprincipio della convivenza democratica non venga inteso come pas-siva indifferenza e sollecita gli alunni a divenire consapevoli delleproprie idee e responsabili delle proprie azioni, alla luce di criteridi condotta chiari e coerenti che attuino valori riconosciuti.

Il fanciullo, quando inizia la sua esperienza scolastica, ha giàcumulato un patrimonio di valori e di esperienze relative a compor-tamenti familiari, civici, religiosi, morali e sociali.

La scuola, nel corretto uso del suo spazio educativo e nel rispet-to di quello della famiglia e delle altre possibilità di esperienze edu-cative, ha il compito di sostenere l’alunno nella progressiva conqui-sta della sua autonomia di giudizio, di scelte e di assunzione diimpegni e nel suo inserimento attivo nel mondo.delle relazioni in-terpersonali, sulla base della accettazione e del rispetto dell’altro,del dialogo, della partecipazione al bene comune.

Ciò comporta che gli insegnanti in primo luogo stimolino leenergie interiori del fanciullo per promuovere una produttiva rifles-

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sione sulle concrete esperienze della vita ed in particolare su quelleconcernenti i rapporti umani.

In relazione alle complessive finalità educative la scuola deveoperare perché il fanciullo:

- prenda consapevolezza del valore della coerenza tra l’i-deale assunto e la sua realizzazione in un impegno anche personale;

- abbia più ampie occasioni di iniziativa, decisione, respon-sabilità personale ed autonomia e possa sperimentare progressiva-mente forme di lavoro di gruppo e di vicendevole aiuto e sostegno,anche per prendere chiara coscienza della differenza fra «solidarietàattiva» con il gruppo e «cedimento passivo» alla pressione di grup-po, tra la capacità di conservare indipendenza di giudizio ed il con-formismo, tra il chiedere giustizia ed il farsi giustizia da sé;

- abbia basilare consapevolezza delle varie forme di «diver-sità e di emarginazione» allo scopo di prevenire e contrastare laformazione di stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e cul-ture;

- sia sensibile ai problemi della salute e dell’igiene persona-le, del rispetto dell’ambiente naturale e del corretto atteggiamentoverso gli esseri viventi, della conservazione di strutture e servizidi pubblica utilità (a cominciare da quelli scolastici), del comporta-mento stradale, del risparmio energetico;

- sia progressivamente guidato ad ampliare l’orizzonte cul-turale e sociale oltre la realtà ambientale più prossima, per riflette-re, anche attingendo agli strumenti della comunicazione sociale, sullarealtà culturale e sociale più vasta, in uno spirito di comprensionee di cooperazione internazionale, con particolare riferimento allarealtà europea ed al suo processo di integrazione.

La scuola elementare, nell’accogliere tutti i contenuti di espe-rienze di cui l’alunno è portatore, contribuisce alla formazione diun costume di reciproca comprensione e di rispetto anche in mate-ria di credo religioso.

La scuola statale non ha un proprio credo da proporre né unagnosticismo da privilegiare.

Essa riconosce il valore della realtà religiosa come un dato stori-camente, culturalmente e moralmente incarnato nella realtà socialedi cui il fanciullo ha esperienza ed, in quanto tale, la scuola nefa oggetto di attenzione nel complesso della sua attività educativa,avendo riguardo per l’esperienza religiosa che il fanciullo vive nelproprio ambito familiare ed in modo da maturare sentimenti e com-

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portamenti di rispetto delle diverse posizioni in materia di religionee di rifiuto di ogni forma di discriminazione.

11 Parte

UNA SCUOLA ADEGUATA ALLE ESIGENZE FORMATIVE DEL FANCIULLO

La creatività come potenziale educativo

La scuola concorre a sviluppare la potenziale creatività del fan-ciullo. Due aspetti di essa devono essere sottolineati in modo parti-colare. Il primo riguarda la necessità che le funzioni motorie, cogni-tive ed affettive giungano ad operare progressivamente e puntual-mente in modo sinergico, suscitando nel fanciullo il gusto di unimpegno dinamico nel quale si esprime tutta la personalità. Il se-condo riguarda la necessità di non ridurre la creatività alle soleattività espressive, ma di coglierne il potere produttivo nell’ambitodelle conoscenze in via di elaborazione nei processi di ricerca.

L’attenzione alla creatività rappresenta, in sostanza, la esigenzadi promuovere nel fanciullo la consapevolezza delle proprie possibi-lità e la «consapevolezza di s é » , come progressiva capacità di auto-noma valutazione dell’uso delle conoscenze sul piano personale esociale.

La scuola come ambiente educativo di apprendimento

La scuola elementare, il cui intervento è intenzionale e sistema-tico, realizza il suo compito specifico di alfabetizzazione culturalepartendo dall’orizzonte di esperienze e di interessi del fanciullo perrenderlo consapevole del suo rapporto con un sempre più vasto tes-suto di relazioni e di scambi.

La scuola elementare promuove l’acquisizione di tutti i fonda-mentali tipi di linguaggio e un primo livello di padronanza dei qua-dri concettuali, delle abilità, delle modalità di indagine essenzialialla comprensione del mondo umano, naturale e artificiale.

Essenziale a tal fine è anche la realizzazione di un clima socialepositivo nella vita quotidiana della scuola, organizzando forme dilavoro di gruppo e di aiuto reciproco e favorendo l’iniziativa, l’au-todecisione, la responsabilità personale degli alunni.

Sono queste le condizioni necessarie perché ogni alunno viva

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la scuola come «ambiente educativo e di apprendimento», nel qualematurare progressivamente la propria capacità di azione diretta, diprogettazione e verifica, di esplorazione, di riflessione e di studioindividuale.

Pertanto, le sollecitazioni culturali, operative e sociali offertedalla scuola elementare promuovono la progressiva costruzione del-la capacità di pensiero riflesso e critico, potenziando nel contempocreatività, divergenza e autonomia di giudizio, sulla base di un ade-guato equilibrio affettivo e sociale e di una positiva immagine di sé.

La scuola elementare pone così le basi cognitive e socio-emotivenecessarie per la partecipazione sempre più consapevole alla culturae alla vita sociale, basi che si articolano, oltre che nelle conoscenzee nelle competenze prima indicate, anche nella motivazione a capireed a operare costruttivamente, nella progressiva responsabilizzazio-ne individuale e sociale, nel rispetto delle regole di convivenza,nella capacità di pensare il futuro per prevedere, prevenire, proget-tare, cambiare e verificare.

Per questo la scuola elementare, nell’adempiere il suo compitospecifico, è scuola che realizza concretamente il rapporto fra istru-zione ed educazione.

Diversità e uguaglianza

Per assicurare la continuità dello sviluppo individuale delle espe-rienze educative precedenti, la scuola elementare è impegnata a cono-scere e valorizzare le attitudini individuali, le conoscenze acquisiteda ogni alunno (anche attraverso i mezzi di comunicazione di massa)e le sicurezze raggiunte sul piano affettivo, psicologico e sociale.

Pertanto è essenziale, per procedere al loro potenziamento, ac-certare fin dai primi giorni le abilità di base esistenti, relative alpiano percettivo, psicomotorio e manipolativo, ai processi di simbo-lizzazione, alle competenze logiche, espressive, comunicative e so-ciali, alla rappresentazione grafica, spaziale e ritmica ecc. Eventualidifficoltà e ritardi richiedono la utilizzazione di tutti i canali dellacomunicazione oltre a quella verbale, per perseguire, attraverso unaappropriata metodologia, una sostanziale equivalenza di risultati.

È dovere della scuola elementare evitare, per quanto possibile,che le «diversi tà» si trasformino in difficoltà di apprendimento edin problemi di comportamento, poiché ciò quasi sempre preludea fenomeni di insuccesso e di mortalità scolastica e conseguente-mente a disuguaglianze sul piano sociale e civile.

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Alunni in difficoltà di apprendimentoed integrazione di soggetti portatori di handicap

L’esercizio del diritto all’educazione ed all’istruzione nell’ambi-to dell’istruzione obbligatoria non può essere impedito dalla presen-za di difficoltà nell’apprendimento scolastico, siano esse legate asituazioni di handicap o di svantaggio che, peraltro, non vanno traloro confuse.

La condizione di svantaggio è legata a carenze familiari ed af-fettive, a situazioni di disagio economico e sociale, a divari culturalie linguistici dovuti a scarsità di stimolazioni intellettuali. La pro-grammazione educativa e didattica dovrà, quindi, articolarsi e svi-lupparsi in modo da prevedere la costruzione e la realizzazione dipercorsi individuali di apprendimento scolastico che, considerandocon particolare accuratezza i livelli di partenza, ponga una progres-sione di traguardi orientati, da verificare in itinere.

Il processo di integrazione di alunni portatori di handicap, so-prattutto se gravi, esige non tanto una «certificazione medica», quan-to la possibilità per la scuola di affrontare il processo educativo-didattico, sulla base di una «diagnosi funzionale» predisposta daservizi specialistici.

La diagnosi funzionale deve porre in evidenza le principali areedi potenzialità e di carenza presenti nella fase di sviluppo osservata,cosicché gli interventi da attivare nel quadro della programmazioneeducativo-didattica, di competenza dei docenti, siano i più idoneia corrispondere ai bisogni ed alle potenzialità del singolo soggetto;tali interventi devono mirare a promuovere il massimo di autono-mia, di acquisizione di competenze e di abilità espressive e comuni-cative e, fin dove è possibile, il possesso di basilari strumenti lin-guistici e matematici.

In ogni caso, l’obiettivo dell’apprendimento non può mai esseredisatteso e tanto meno sostituito da una semplice socializzazione« i n presenza», perché il processo di socializzazione è in larga misurauna questione di apprendimento, e perché la mancanza di correttiinterventi di promozione dello sviluppo potrebbe produrre ulterioriforme di emarginazione.

L’alunno in situazioni di handicap pone alla scuola una doman-da più complessa di aiuto educativo e di sostegno didattico.

Mentre per la maggior parte dei soggetti può essere sufficienteil potenziamento, l’affinamento e la differenziazione della prassididattica, per un minor numero di alunni in condizione di partico-

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lare gravità sono necessari interventi qualificati di didattica diffe-renziata, integrata da sostegni terapeutico-riabilitativi. In questo qua-dro la scuola deve potersi avvalere della collaborazione di speciali-sti, nonché di servizi e di strutture stabilmente disponibili sul terri-torio.

E necessario, in questi casi, che al suo lavoro si accompagninolo sforzo solidale della famiglia e l’azione concorde di un sistemasocio-sanitario che realizzi forme di prevenzione, di intervento pre-coce e di assistenza.

Per disabilità collegate ad handicap particolarmente gravi è op-portuno prevedere, nell’ambito di uno stesso distretto, il funziona-mento di centri adeguatamente attrezzati al fine di consentire in-terventi specificamente mirati da realizzare in stretta collaborazio-ne tra scuola, strutture sanitarie del territorio e istituzionispecializzate.

La valutazione dei risultati scolastici degli alunni portatori dihandicap non può che essere rapportata ai ritmi ed agli obiettiviformativi individualizzati perseguiti nell’azione didattica.

Comunque, l’esperienza scolastica dell’alunno in situazioni dihandicap dovrebbe potersi sviluppare secondo un percorso unitarioe fondamentalmente continuo, quanto più possibile in armonia coni ritmi di maturazione e di apprendimento propri del soggetto.

111 Parte

P R O G R A M M A E PROGRAMMAZIONE

Le linee del programma

Per attuare i suoi compiti la scuola elementare si organizza inmodo funzionale rispetto agli obiettivi educativi da perseguire; per-tanto, mentre segue le linee di un programma che prescrive sulpiano nazionale quali debbano essere i contenuti formativi e le abi-lità fondamentali da conseguire, predispone una adeguata organiz-zazione didattica, affinché il programma possa essere svolto muo-vendo dalle effettive capacità ed esigenze di apprendimento deglialunni.

Il programma, necessariamente articolato al suo interno, miraad aiutare l’alunno, impegnato a soddisfare il suo bisogno di cono-

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scere e di comprendere, a possedere unitariamente la cultura cheapprende ed elabora.

La peculiarità del programma scaturisce dall’intento di aiutarel’alunno a penetrare il significato della lingua, ad avviare seriamen-te una preparazione scientifica, a cominciare ad elaborare una cono-scenza attenta della vita umana e sociale nelle sue varie espressioni,ad interrogare criticamente quegli aspetti della realtà che più locolpiscono (a cominciare dal mondo delle immagini).

Programmazione didattica ed organizzazione didattica

Programmazione didattica

La programmazione didattica ha un valore determinante per ilprocesso innovativo che, con i programmi, si deve realizzare nellascuola elementare.

Spetta ai docenti, collegialmente ed individualmente, effettuarecon ragionevoli previsioni la programmazione didattica, stabilendole modalità concrete per mezzo delle quali conseguire le mete fissa-te dal programma e la scansione più opportuna di esse, tenuto con-to dell’ampliamento delle opportunità formative offerte dal currico-lo, sia con l’inserimento di nuove attività, sia con la valorizzazionedegli insegnamenti tradizionali.

La programmazione, nel quadro della prescrittività delle meteindicate dal programma, delineerà i percorsi e le procedure più ido-nee per lo svolgimento dell’insegnamento, tenendo comunque con-to che i risultati debbono essere equivalenti qualunque sia l’itinera-rio metodologico scelto.

La programmazione didattica deve essere assunta e realizzatadagli insegnanti anche come sintesi progettuale e valutativa del pro-prio operato.

Organizzazione didattica

La scuola elementare si articola in due cicli: il primo ciclo checomprende la 1ª e la 2 ª classe ed il secondo ciclo che comprendele classi successive.

Il principio della scansione in cicli si attua secondo una logicapedagogica che può non essere la medesima per tutti gli alunni eper tutti gli insegnanti.

Possono essere previste nell’arco del quinquennio anche scan-sioni diverse, sia per rispettare i ritmi di crescita individuale degli

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alunni, sia per consentire una verifica e una frequente valutazionea scopo formativo in corso di apprendimento, da raccordarsi conquella consuntiva terminale.

L’unitarietà dell’insegnamento, che costituisce la caratteristicaeducativo-didattica peculiare della scuola elementare, è assicuratasia dal ruolo specifico dell’insegnante di classe - questo partico-larmente nel 1° ciclo - che dall’intervento di più insegnanti sullostesso gruppo classe o su gruppi di alunni di classi diverse organiz-zati in un sistema didattico a classi aperte.

In particolare nel 2° ciclo, nel quale si prevede la utilizzazionedi una pluralità di docenti, ferma restando la classe il modulo basedell’organizzazione istituzionale della scuola, l’organizzazione didat-tica deve basarsi sulla valorizzazione delle esperienze e degli speci-fici interessi culturali degli insegnanti. A tale fine essenziali sonola collaborazione ed il lavoro collegiale e altresì le modalità di rag-gruppamento permanenti e temporanee degli alunni.

L’organizzazione didattica utilizzerà, inoltre, attività didattichedi sostegno e di didattica differenziata per aree d’intervento specifi-co, coordinate all’attività didattica generale; valorizzerà le tecnologieeducative che promuovono un ambiente di comunicazioni multimediali.

La valutazione

Al fine di assicurare un’effettiva valutazione dei punti di par-tenza e di arrivo, dei processi, delle difficoltà riscontrate e degliinterventi compensativi attuati, gli insegnanti devono raccoglierein maniera sistematica e continuativa informazioni relative allo svi-luppo dei quadri di conoscenza e di abilità, alla disponibilità adapprendere, alla maturazione del senso di sé di ogni alunno.

Le informazioni devono essere raccolte in forma sintetica, se-condo criteri che assicurino un positivo confronto dei livelli di cre-scita individuali e collettivi. Le modalità e gli strumenti della rac-colta di informazioni saranno differenti e sempre pertinenti al tipodi attività preso in considerazione: in alcuni casi sarà utile rifarsia prove oggettive, in altri a forme di registrazione proprie dell’espe-rienza didattica meno formalizzata.

Il complesso delle osservazioni sistematiche effettuate dagli in-segnanti nel corso dell’attività didattica costituirà lo strumento pri-vilegiato per la continua regolazione della programmazione, permet-tendo agli insegnanti di introdurre per tempo quelle modificazionio integrazioni che risultassero opportune.

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La comunicazione dei risultati di tale attività di valutazione aisoggetti interessati (famiglie e scuole) deve documentare anche quantola scuola ha fatto e si impegna a fare in ordine allo sviluppo delsingolo e del gruppo.

L’attività di programmazione e di verifica deve consentire agliinsegnanti di valutare l’approfondimento della loro preparazione psi-cologica, culturale e didattica anche nella prospettiva della forma-zione continua.

1 PROGRAMMI

Il progetto culturale ed educativo evidenziato dai programmiesige di essere svolto secondo un passaggio continuo che va da unaimpostazione unitaria pre-disciplinare all’emergere di ambiti disci-plinari progressivamente differenziati.

L’educazione linguistica viene ricondotta nell’ambito dei linguag-gi, intesi quali opportunità di simbolizzazione, espressione e comu-nicazione.

Poiché ogni linguaggio esprime la capacità dell’essere umano ditradurre in simboli e segni il suo pensiero e i suoi sentimenti, l’edu-cazione linguistica, che concerne specificamente il linguaggio verba-le, dovrà non disattendere gli apporti comunicativi ed espressiviprodotti dall’uso di altre forme di linguaggio (l’iconico, il musicale,il corporeo, il gestuale, il mimico).

L’educazione linguistica, in un’epoca di intense comunicazionie nella prospettiva di un crescente processo di integrazione nellacomunità europea, non può prescindere da un approccio alla cono-scenza di una lingua straniera.

Si intende con ciò dare assetto sistematico ad uno degli insegna-menti speciali già previsti nell’ordinamento e che potrà trovare unageneralizzata applicazione con apposite modifiche legislative.

Un breve tempo dedicato quotidianamente alla lingua stranieradurante le normali attività didattiche assicurerà la necessaria conti-nuità nell’educazione linguistica e sarà ausilio non indifferente perrinforzare il processo di apprendimento.

Componenti essenziali dell’unità educativa della persona sonoconsiderate, nei nuovi programmi, anche l’educazione estetica, mu-sicale e motoria.

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La lettura e l’interpretazione dei linguaggi iconico, musicale emotorio, con i quali il fanciullo ha così forte consuetudine, possonofavorire anche gli apprendimenti più complessi dell’area linguisticae logico-matematica.

Per la prima volta, il programma prevede uno spazio riservatoall’insegnamento delle scienze, che consentirà una più approfonditacomprensione delle realtà naturale ed umana e del mondo tecnolo-gico.

Questa disciplina, insieme alla matematica, tende a svilupparela capacità di percepire i problemi e a dare spiegazioni rigorosedelle soluzioni.

Organica attenzione viene prestata anche alle dinamiche dellavita umana, intesa nel suo sviluppo storico, nella sua collocazionegeografica, nella sua organizzazione. Questa area disciplinare è sta-ta definita per consentire al fanciullo di conoscere il patrimonioculturale in cui è immerso e di elaborare progressivamente una co-scienza del suo significato.

Per la religione la scuola elementare offre a tutti gli allievi ugua-li opportunità di conoscenza, di comprensione e di rispetto dei va-lori religiosi.

Nello sviluppo complessivo del programma e negli obiettivi del-la programmazione, è indispensabile che la scuola elementare pre-veda un graduale accostamento al mondo del lavoro ai livelli con-sentiti dalle esperienze proprie dell’età.

Questo approccio culturale obbedisce, altresì, alle caratteristi-che psicologiche proprie dell’età in chiave di operatività, di mani-polazione.

LINGUA ITALIANA

Lingua e cultura

Nessuna definizione globale può esaurire la complessità del fe-nomeno linguistico. Esistono però definizioni parziali che possonoessere utilmente assunte:

a) la lingua è strumento del pensiero, non solo perché lo tradu-ce in parole (permettendo all’individuo di parlare con se stesso,cioè di ragionare), ma anche perché sollecita e agevola lo sviluppodei processi mentali che organizzano, in varie forme, i dati dell’e-sperienza;

b) l a lingua è mezzo per stabilire un rapporto sociale: più preci-

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samente consente di comunicare con gli altri e di agire nei loroconfronti;

c) l a lingua è il veicolo attraverso cui si esprime in modo piùarticolato l’esperienza razionale e affettiva dell’individuo;

d) la lingua è espressione di pensiero, di sentimenti, di statid’animo, particolarmente nella forma estetica della poesia;

e) l a lingua è un oggetto culturale che ha come sue dimensioniquella del tempo storico, dello spazio geografico, dello spessore so-ciale.

Per l’insieme di questi aspetti, la lingua ha un ruolo centralenella scuola elementare, sia per il contributo che offre allo sviluppogenerale dell’individuo, sia per il carattere pregiudiziale che unabuona competenza linguistica ha sulle altre acquisizioni.

Pertanto, i compiti della scuola elementare in questo campo so-no i seguenti:

a) fornire all’alunno i mezzi linguistici adeguati per operazio-ni mentali di vario tipo, quali, ad esempio: simbolizzazione, classi-ficazione, partizione, seriazione, quantificazione, generalizzazione,astrazione, istituzione di relazioni (temporali, spaziali, causali, ecc.);

b) potenziare nell’alunno la capacità di porsi in relazione lin-guistica con interlocutori diversi per età, ruolo, status ecc. e indiverse situazioni comunicative, usando la lingua nella sua varietàdi codici, di registri e nelle sue numerose funzioni;

c) offrire mezzi linguistici progressivamente più articolati edifferenziati per portare ad un livello di consapevolezza e di espres-sione le esperienze personali;

d) promuovere le manifestazioni espressive del fanciullo e ilsuo approccio al mondo della espressione letteraria;

e) avviare l’alunno a rilevare che la lingua vive con la societàumana e ne registra i cambiamenti nel tempo e nello spazio geogra-fico, nonché le variazioni socio-culturali; utilizzare queste dimen-sioni della lingua per attivare in lui la capacità di pensare storica-mente e criticamente.

Il fanciullo ha un’esperienza linguistica iniziale di cui l’insegnantedovrà attentamente rendersi conto e sulla quale dovrà impostarel’azione didattica.

In particolare, ogni fanciullo:

- ha una varietà di codici verbali e non verbali (tra cui quelliderivati dai mass-media), nella quale il codice verbale è dominante;

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- ha maturato una capacità di comunicare oralmente in unalingua e in un dialetto;

- sa che la lingua scritta esiste e, percependone I’importan-za, desidera impadronirsene.

Di fatto queste caratteristiche si manifestano e si compongonoin modo diverso da alunno a alunno. La scuola terrà presenti questediversità, differenziando le metodologie e gli strumenti in rapportoalle esigenze individuali di apprendimento.

Attenzione particolare andrà posta nella identificazione tempe-stiva di eventuali disturbi del linguaggio (difetti dell’udito, difficol-tà di articolazione dei suoni, balbuzie, ecc.) e di fenomeni di di-sgrafia e dislessia, per i quali andranno predisposte specifiche stra-tegie didattiche.

Qualora gli insegnanti accertino, mediante opportune osserva-zioni e prove, la inadeguatezza dei prerequisiti sul piano percettivo,cognitivo e della motricità fine, necessari per l’apprendimento dellalettura e della scrittura, disporranno opportuni interventi, giochisensoriali, esercizi di pregrafismo, attività psicomotorie.

Obiettivi e contenuti

Nel campo della formazione linguistica la scuola elementare per-segue un insieme di obiettivi generali all’interno dei quali vengonoindividuati alcuni traguardi essenziali, prescrittivi per tutti gli alunni.

I. - La scuola si propone l’obiettivo di far conseguire la capa-cità di usare, in modo sempre più significativo, il codice verbale,senza peraltro trascurare altri tipi di codici (grafico, pittorico, pla-stico, ritmico-musicale, mimico-gestuale, ecc.) che non sono alterna-tivi al codice verbale, ma complementari ad esso. All’interno diquesto obiettivo dovrà essere garantito a tutti gli alunni il raggiun-gimento del traguardo della consapevolezza che:

- esistono diversi codici;- ciascuno di essi offre opportunità specifiche;- il codice verbale è particolarmente comodo, in quanto con-

sente, con poche unità semplici, di formare un illimitato numerodi messaggi;

- il codice verbale favorisce l’accesso agli altri codici e con-sente la riflessione su questi e su se stesso.

I I . - La scuola si propone l’obiettivo di far conseguire la ca-

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pacità di comunicare correttamente in lingua nazionale, a tutti ilivelli, dai più colloquiali e informali ai più elaborati e specializzati;va anche rispettato l’eventuale uso del dialetto in funzione dell’i-dentità culturale del proprio ambiente. All’interno di questo obiet-tivo dovrà essere garantito a tutti gli alunni il raggiungimento deltraguardo di:

- saper utilizzare la lingua nelle forme colloquiali richiestedai problemi della vita quotidiana;

- rendersi conto di punti di vista diversi riscontrabili in si-tuazioni comunicative;

- essere consapevoli della varietà di forme in cui il discorsosi realizza in rapporto a contesti differenti (ad esempio, con i com-pagni di gioco, con i genitori e i familiari, con l’insegnante, ecc.).

III. - La scuola si propone l’obiettivo di assicurare all’alunnouna buona competenza di lingua scritta (lettura e scrittura): ci sonoinfatti attività della mente che esigono questo veicolo e si avvantag-giano del suo uso.

Il fanciullo deve saper leggere, cioè capire il significato di testiscritti a fini diversi; deve saper ricercare e raccogliere informazionida testi scritti; seguire la descrizione, il resoconto, il racconto esaperne cogliere l’essenziale; apprezzare l’efficacia linguistica edespressiva dei vari tipi di scrittura.

Il fanciullo deve saper scrivere: comunicare a distanza con in-terlocutori diversi, registrare e organizzare dati e istruzioni, espri-mere impressioni, valutazioni; produrre testi di tipo descrittivo, nar-rativo, argomentativo.

Tutte queste capacità confluiscono in quella della rielaborazionedel testo (parafrasi, trasposizione, riscrittura in contesti diversi, rior-dinamento di argomenti, operazioni in cui il fanciullo può manife-stare quell’originalità e fantasia che, lungi dall’essere alternative oantitetiche alla razionalità, ne rappresentano componenti essenzia-li). All’interno di questo obiettivo dovrà essere garantito a tuttii fanciulli il conseguimento del traguardo di:

- saper leggere e capire i testi di uso quotidiano nei lorosignificati essenziali e nei loro differenti scopi comunicativi, almenoin rapporto alle necessità e situazioni più comuni;

- leggere facili testi di tipo anche letterario, che attivinoprocessi interpretativi;

- produrre semplici testi scritti di carattere pratico-co-

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municativo per utilità personale (prendere nota, prendere appunti),o per stabilire rapporti con altri;

- scrivere semplici testi che realizzino, nelle forme a ciascu-no congeniali, una iniziale elaborazione di carattere personale.

Nel programma non sono state proposte rigide scansioni internerelative a ciascun anno, perché:

- si ritiene che queste debbano rientrare nella programma-zione formulata dagli insegnanti in relazione alle esigenze della classe;

- esiste il rischio che certe indicazioni possano essere inter-pretate restrittivamente e causare non giustificati insuccessi;

- date le caratteristiche particolari della disciplina non è sem-pre possibile indicare una progressione rigida degli apprendimentinei diversi anni scolastici.

Tuttavia è possibile dare indicazioni orientative che si riferisco-no alle:

a) capacità da attivarsi nel primo anno del corso elementare;b) capacità da sviluppare nell’intero corso elementare.

a ) Capacità da attivarsi nel primo anno. - Nel primo anno discuola elementare appare necessario perseguire questi obiettivi:

- capacità da parte del fanciullo di esprimersi oralmente edi comunicare in maniera sempre più compiuta su argomenti chegli siano noti e gli appaiano interessanti;

- capacità di leggere e di scrivere almeno a quel livello stru-mentale che è indispensabile fase di accesso all’uso pieno e consape-vole della lettura e della scrittura.

In particolare, al termine del primo anno o al massimo nel corsodel secondo, dovrebbe essere raggiunta la capacità di leggere inmaniera scorrevole brevi e facili testi e di formulare il proprio pen-siero e comunicarlo per iscritto, rispettando le più importanti con-venzioni ortografiche.

b) Capacità da sviluppare nell’intero corso elementare. - Sindal primo anno vanno stimolate e gradualmente sviluppate nel cor-so. del quinquennio le capacità dell’alunno di:

- cogliere e ripetere con parole sue il contenuto di ciò cheha sentito dire o leggere, o di ciò che lui stesso ha letto;

- sapersi inserire opportunamente nelle situazioni comuni-cative più frequenti e, con gradualità, rendersi conto dei punti divista diversi;

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- descrivere ordinatamente le fasi di attività a lui familiari;- eseguire la lettura silenziosa di testi di vario tipo, oppor-

tunamente scelti e graduati, e dare prova di averne compreso ilcontenuto in forme via via più aderenti alle intenzioni comunicati-ve del testo;

- comunicare per iscritto con interlocutori diversi in modovia via più ricco e più articolato per contenuto e forma;

- produrre testi di vario genere;- acquisire il lessico fondamentale e progressivamente arric-

chirlo, utilizzando le opportunità offerte da tutte le discipline;- prestare attenzione alle corrispondenze lessicali tra dialet-

to e lingua allo scopo di evitare interferenze inconsce tra i duesistemi linguistici;

- individuare le diversità tra le pronunce regionali dell’ita-liano e la pronuncia dell’italiano cosiddetto standard, che rappre-senta anche la base per una corretta esecuzione scritta.

In particolare si raccomanda l’attivazione, a partire dal terzoanno, delle capacità di:

- eseguire la lettura a voce alta di testi noti e non, dandoprova, anche attraverso un uso appropriato delle pause e dell’into-nazione, di averne compreso il contenuto;

- scrivere in modo ortograficamente corretto e con buonuso della punteggiatura, con lessico appropriato e sintassi adeguata;

- prendere note, appunti, ecc. in forme progressivamentepiù funzionali e precise;

- produrre testi di tipo descrittivo, narrativo, argomentativo;- ricercare e raccogliere informazioni da testi scritti (libri,

giornali, vocabolari, enciclopedie, ecc.);- leggere facili testi di tipo anche letterario, che attivino

nel fanciullo elementari processi interpretativi e sviluppino il sensoestetico;

- riflettere sui significati delle parole e sulle loro relazioni(rapporti di somiglianza e differenza, gradazioni di significato, pas-saggio dal generale allo specifico e viceversa, ecc.);

- ricavare il significato di una parola sconosciuta ragionan-do sul semplice contesto in cui è contenuta;

- notare all’interno di contesti alcune elementari concordanzefra parole, organizzando gradualmente questi rilievi in schemi mor-fologici (flessioni, modificazioni, ecc.);

- individuare, attraverso la riflessione sull’uso della lingua(orale e scritta), le fondamentali strutture sintattiche;

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- applicare la naturale curiosità per la parola alla storia del-le parole, soprattutto per quanto riguarda il loro mutamento di si-gnificato, anche nel caso di vocaboli provenienti da lingue straniere.

Indicazioni didattiche

Queste indicazioni vanno considerate come un contributo perla programmazione, che, comunque, deve essere indirizzata a perse-guire gli obiettivi o a raggiungere i traguardi già enunciati.

Lingua orale. - La prima attività linguistica dell’alunno nellascuola, decisiva per gli ulteriori sviluppi, è parlare con l’insegnantee con i compagni.

In questa fase sono determinanti l’atteggiamento e il comporta-mento linguistici dell’insegnante, che deve adottare un linguaggioaccessibile, motivante e adeguato al ruolo di chi, comunque, rap-presenta per il fanciullo un modello significativo.

E importante che, fin dall’inizio, si instauri all’interno della classeun clima favorevole alla vita di relazione e, quindi, allo scambiolinguistico che progressivamente andrà organizzandosi.

Ciò comporta che l’insegnante sappia sollecitare il dialogo, dar-gli ordine (anche abituando l’alunno a «chiedere la parola», ad at-tendere il suo turno se altri l’hanno chiesta prima di lui, a tenerconto nel suo intervento di ciò che gli altri hanno detto, ecc.),tutelando gli spazi comunicativi di ciascuno e la significatività degliinterventi in rapporto all’argomento.

Qui emerge l’importanza del comportamento di ascolto, da in-tendere non come atteggiamento di passiva ricezione, quanto comecapacità di comprensione e interpretazione dei messaggi.

La comunicazione orale è anche una importante fonte per l’ar-ricchimento del lessico dell’alunno; pertanto, l’insegnante favoriràl’acquisizione di parole nuove e appropriate in situazioni a cui essefacciano preciso riferimento.

E opportuno cogliere e promuovere situazioni comunicative checonsentano all’alunno la fruizione e la produzione di una varietàdi messaggi volta per volta adeguati all’interlocutore e alle circo-stanze. Si tratta di avviare l’alunno a riconoscere nei discorsi altruie nei propri delle varianti che, gradualmente, lo porteranno ad indi-viduare l’esistenza di una gamma di usi specifici della lingua.

Devono essere sollecitate tutte le forme di comunicazione orale:descrizione, resoconto, racconto, narrazione, discussione ecc.

Sarà bene stimolare gli alunni a cogliere differenze di pronuncia

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presenti in classe e orientarli, con gradualità, verso una pronuncialargamente accettabile e ben articolata, anche in funzione di unacorretta esecuzione scritta.

Lingua scritta. - A livello di apprendimento iniziale della lin-gua scritta i metodi in uso sono parecchi e ciascuno di essi si rifàa motivazioni teoriche che vanno tenute presenti per effettuare unascelta. Vi sono tendenze metodologiche le quali partono da un tut-to (parole, frasi) che viene analizzato in elementi successivamentericomponibili; altre che partono da elementi per giungere alla lorosintesi in parole e frasi. Le une e le altre hanno una loro efficaciadidattica, purché vengano usate senza appesantimenti che riuscireb-bero sterili e demotivanti.

La scelta del metodo dovrà anche tener conto di una attentaosservazione e valutazione del livello di sviluppo percettivo e men-tale dei fanciulli. Infatti, anche in funzione delle loro disponibilitàe dei loro ritmi individuali, l’insegnante, consapevole delle opportu-nità offerte dai singoli metodi, prenderà le sue decisioni e predi-sporrà le condizioni per l’apprendimento.

Una delle prime conquiste del fanciullo, nella fase iniziale del-l’apprendimento, è la constatazione che le variazioni della scritturasono dovute a variazioni degli aspetti fonici della lingua orale; que-sta scoperta è facilitata dalla riflessione sul linguaggio parlato (per-cezione, analisi e segmentazione del continuo fonico).

Poiché la nostra lingua usa una scrittura alfabetica, è inevitabileil momento in cui, nell’apprendimento, si produce la separazionetemporanea degli aspetti del significato da quelli dei simboli forma-li (fonemi e grafemi). Sarà necessario che l’insegnante consideri que-sto passaggio come preliminare per la riconquista dei significati.Scrivere non è copiare graficamente (disegnare lettere) e non è sol-tanto problema di manualità; è essenzialmente traduzione sulla pa-gina con mezzi adeguati (anche con alfabetieri mobili, con strumen-ti come la macchina da scrivere ecc.) di contenuti che convoglianola pluralità di esperienze dell’alunno.

I contenuti concettuali relativi alle varie esperienze del fanciullosi possono tradurre in diverse forme di «testo»: non necessariamen-te, né immediatamente in frasi complete. L’alunno deve essere sol-lecitato all’attività di scrittura in relazione alla gamma più ampiapossibile di funzioni, senza ricorrere a pratiche riduttive che morti-fichino le sue scelte linguistiche.

E essenziale, comunque, che, fin dal primo anno della scuola

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elementare, si propongano stimoli e occasioni realmente motivantiil fanciullo a scrivere.

Vi saranno momenti diversi da fanciullo a fanciullo, in cui saràlo stesso alunno a manifestare l’esigenza di scrivere. L’insegnanteaccetterà qualsiasi tipo di testo che l’alunno voglia produrre e colla-borerà con lui per rendere i testi più adeguati alle intenzioni.

Poiché questa condizione non sarà né frequente, né generahzza-ta, si dovrà porre particolare attenzione a suscitare la motivazione,tenendo conto che lo «scrivere» equivale a formulare e comunicaregraficamente quanto si sente e si pensa.

Le forme di scrittura quali la descrizione, la narrazione, il rac-conto, la corrispondenza, la relazione, la poesia, ecc. sono validese scaturiscono da un effettivo interesse del fanciullo a comunicarele proprie esperienze.

Dettare alla classe un argomento quale spunto per gli alunnia svolgere la loro composizione scritta non è pratica didattica accet-tabile se, preventivamente, non ci si sarà adoperati a far convergeresu quell’argomento l’interesse degli alunni medesimi, provocandol’emergere di una non artificiosa motivazione del fanciullo a comu-nicare per iscritto gli stati d’animo, le osservazioni, le riflessioni,i giudizi che egli è venuto maturando.

Può essere necessario promuovere quell’interesse - e, quindi,motivare l’alunno a scrivere - facendo appello al criterio dell’uti-lità. Ad esempio, gli alunni sono impegnati in una ricerca o in unsemplice esperimento di scienze: si può porre in luce l’esigenza diannotare, sia pure in modo sintetico, le fasi di quell’attività, facen-do capire che riuscirà utile, più tardi, poter ricordare quelle fasinella giusta successione. Oppure, si può suggerire di raccogliere,in modo ordinato e comprensibile, appunti su letture compiute suquesto o su quell’argomento, sottolineando l’utilità di poter consul-tare al momento giusto quegli appunti.

Sembrano comunque da evitare esercitazioni scritte di linguache non siano ancorate ad un bisogno, spontaneo o indotto cheesso sia, di comunicare le proprie idee ed i propri sentimenti.

L a lettura. - La prima esperienza di lettura da parte del fan-ciullo, che deve essere protratta per tutto l’arco della scuola ele-mentare, è sentir leggere l’adulto, cioè sentirgli «eseguire» oralmen-te la lettura di testi di vario tipo (non solo racconti, poesie, braniletterari, ma anche brevi notizie tratte dai giornali, lettere, docu-menti scolastici, ecc.).

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Leggere è sostanzialmente un processo di ricerca, comprensionee interpretazione del significato del testo. Contribuiscono alla atti-vazione di tale processo la capacità di decodificare la parola scritta,le conoscenze lessicali e morfosintattiche, le attese sul tipo di testoche viene letto, la conoscenza di «ciò di cui si tratta» e della situa-zione in cui il testo è ambientato.

L’insegnante, anche testimoniando la sua consuetudine alla let-tura, stimola e accresce la motivazione del fanciullo a leggere ededica particolare attenzione alla scelta di testi validi per le loroqualità intrinseche.

Per adempiere efficacemente a tale compito, l’insegnante dovràpossedere aggiornata e non superficiale conoscenza delle pubblica-

zioni e dei libri più adatti per i fanciulli, dai testi di narrativae di divulgazione, alle collane monografiche, alle enciclopedie, ecc.

Inoltre, tenendo conto della diffusa disaffezione dei fanciullidi oggi per il leggere - assorbiti come sono dalle immagini televi-sive e filmiche - l’insegnante avrà cura di accendere interessi ido-nei a far emergere il bisogno ed il piacere della lettura.

E una esigenza anche infantile quella di accrescere la propriaesperienza e di allargare i confini della propria conoscenza e deipropri sentimenti: è opportuno che l’insegnante aiuti gli alunni atrovare i libri e, in genere, le pubblicazioni che corrispondano aquella esigenza in modo sempre più costruttivo.

La motivazione al leggere va ulteriormente incentivata: l’inse-gnante verificherà in quale misura i fanciulli si avvalgano della let-tura a livello di processi cognitivi (cioè, come l’esperienza presenta-ta dalle pagine in lettura si assimila al complesso organico di ideegià possedute), a livello affettivo-emotivo e a quello comportamentale.

Andranno individuate e valutate le cause di eventuali cadutedell’interesse a leggere.

Ciò non soltanto riguardo alle letture effettuate in aula e, quin-di, di facile controllo da parte dell’insegnante, bensì anche alle let-ture che il fanciullo può e deve essere stimolato a compiere neltempo libero dalla scuola.

Anche per la lettura, analogamente a ciò che si è rilevato perla scrittura riguardo alla produzione di testi non di natura stretta-mente scolastica, si consiglia il ricorso, oltre che ai testi scolasticie ai libri della biblioteca di classe, a una varietà di materiali idoneia incentivare il bisogno di leggere.

La scuola non dovrà trascurare alcuna iniziativa utile ad avvici-nare i fanciulli ai libri. Così consentirà loro l’accesso diretto allabiblioteca (che va quindi attrezzata a questo scopo), li solleciterà

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a segnalare l’acquisto di libri o pubblicazioni periodiche cui sianoparticolarmente interessati, e riserverà alla lettura personale tempiadeguati nell’arco della settimana.

La correzione

Per quanto riguarda l’insieme delle attività linguistiche, esisteil problema del rispetto di certe convenzioni che rendono i testiorali e scritti, «corretti», non ambigui, largamente comprensibili.

Su questo punto si è passati, in ambito scolastico, da un atteg-giamento di astratto rigore e di fiscalismo valutativo ad un atteggia-mento opposto di accettazione incondizionata e di astensione dal-l’intervento correttivo e valutativo. Occorre invece distinguere tempie modi di questo intervento per renderlo didatticamente produttivoe tale da non bloccare le attività linguistiche.

C’è una fase in cui l’alunno è così impegnato nell’attività comu-nicativa, nella codificazione-decodificazione dei significati che sa-rebbe inopportuno interrompere la sua tensione con interventi, com-menti marginali, di tipo tecnico. Questo non significa trascurarel’errore, lasciarlo correre; significa rimandarne la discussione e cor-rezione ad un secondo tempo, quando il fanciullo si è «fatto capire»e « h a capito». Allora è giusto correggere gli errori che l’alunno hacommesso, valutandoli in rapporto alla sua maturità linguistica, altipo di testo, al livello di comunicazione, all’esistenza di convenzio-ni, alla situazione extralinguistica in cui la comunicazione è awenuta.

Ciò non esclude che, in altre situazioni, l’intervento possa esse-re contestuale, indirizzato a favorire la presa di coscienza della va-rie+ di scelte offerta dalla lingua a tutti i livelli.

E comunque possibile e auspicabile che, attraverso una metodo-logia graduale e sistematica, l’errore venga prevenuto. Per esempio,si possono rendere consapevoli gli alunni delle differenze esistentifra la pronuncia del loro italiano regionale e dell’italiano cosiddettostandard in modo da evitare, soprattutto nella scrittura, gli erroriche ne conseguono.

La riflessione Iinguistica

Il fanciullo ha le sue curiosità linguistiche. Altre curiosità posso-no essere stimolate in lui: è il momento della riflessione sulla lin-gua, una riflessione esplicita concepita come momento valido in sée come strumento di conferma della competenza e delle abilità lin-guistiche.

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Dapprima e per lungo tempo la riflessione dovrebbe rivolgersiall’ambito del significato (di parole estratte dal contesto o di unitàsuperiori alla parola); questo aspetto della lingua non si può ridurrealla spiegazione episodica di una parola sconosciuta, né ad una mec-canica consultazione del vocabolario, ma deve dar luogo ad un’atti-vità programmata che tenga conto del gusto del fanciullo di giocarecon la lingua, di scoprire relazioni tra forme, tra significati, traforme e significati, di costruire catene di parole, di ripercorrere,con l’aiuto dell’insegnante, anche «storie di parole».

La riflessione, poi, può diventare individuazione di certe fonda-mentali strutture sintattiche: predicati che esprimono la caratteri-stica di un soggetto, predicati che mettono in relazione il soggettocon un altro elemento. 1 rilievi morfologici possono essere fatti sultesto e mostrare la funzionalità di certe «marche» formali che colle-gano tra loro parole o che segnalano particolari rapporti.

Importante, in tutti i casi, è che l’osservazione «grammaticale»emerga dal testo orale e scritto e serva per tornare ai testi assicu-randone una più precisa e consapevole interpretazione.

La grammatica va concepita come sollevamento a livello consa-pevole di fenomeni che l’alunno è già in grado di produrre e perce-pire. In questo concetto allargato di grammatica rientra la rielabo-razione del testo, una delle operazioni più produttive e capaci disintetizzare le varie attività linguistiche,

LINGUA STRANIERA

Nel quadro di una visione globale dell’educazione linguistica,l’iniziale apprendimento di una seconda lingua è possibile, purchési attui un’idonea mediazione didattica che tenga conto del gradua-le processo di evoluzione dell’alunno.

La finalità è quella di:

a ) aiutare ed arricchire lo sviluppo cognitivo offrendo un al-tro strumento di organizzazione delle conoscenze;

b) permettere al fanciullo di comunicare con altri attraversouna lingua diversa dalla propria;

c) avviare l’alunno, attraverso lo strumento linguistico, allacomprensione di altre culture e di altri popoli.

Per le finalità che la scuola elementare persegue, la scelta diquesta o quella lingua non è determinante. La lingua può essere

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scelta tenendo presenti, oltre alle richieste della comunità, criterioggettivi di utilità sociale e culturale. Si terrà conto, tuttavia, delcarattere veicolare della lingua inglese, in quanto offre occasionipiù frequenti di esperienza e, quindi, di rinforzo positivo per l’usogeneralizzato che se ne fa nei mezzi di comunicazione, negli scambiinternazionali e in campo tecnologico (ad esempio, nel linguaggiodei calcolatori).

Nelle zone del nostro Paese dove il plurilinguismo è condizionestorica, fondata su usi locali e garantita talvolta anche da normestatutarie o legislative di ordinamento scolastico e dove si registra-no specifici flussi migratori e turistici, la scelta della lingua stranie-ra non mancherà di tener conto di queste caratteristiche.

Quale che sia la lingua scelta, è importante che l’alunno siain grado, al termine della scuola elementare, di sostenere una facileconversazione e una breve lettura che si riferisca ad esperienze con-crete di vita quotidiana.

Indicazioni didattiche

Per aiutare il fanciullo a raggiungere senza difficoltà il traguar-do sopra annunciato, la scelta del metodo riveste una grande impor-tanza. Sarà bene, perciò, che l’insegnante programmi l’attività di-dattica tenendo conto di alcuni suggerimenti desunti dalle più vali-de esperienze in atto.

Secondo tali esperienze, anche l’approccio alla lingua stranierarispetta sostanzialmente la sequenza comprensione-assimilazione-produzione, ovviamente nei limiti in cui tale processo può realizzar-si nella scuola elementare.

È necessario che inizialmente l’attività didattica si svolga in formaorale, sviluppando nell’alunno la capacità di comprendere i messag-gi e di rispondere ad essi in maniera adeguata.

Successivamente ci si potrà avvalere, con opportuna gradualità,anche di materiali che propongano all’alunno esempi molto semplicidi lingua scritta, attivando in lui la consapevolezza delle diversitàesistenti tra il codice orale e quello scritto.

Attraverso tale fase, che include la lettura vera e propria difacili testi sui quali sarà bene soffermarsi e ritornare frequentemen-te, l’alunno diverrà capace, senza indebite forzature, anche di unaelementare produzione scritta.

Sin dall’inizio si utilizzeranno cartelloni, disegni, maschere, bu-rattini e marionette, si organizzeranno giochi individuali e di grup-po per stimolare l’apprendimento naturale delle strutture fonologi-

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che, lessicali e morfosintattiche e preparare il passaggio al successi-vo stadio dell’apprendimento analitico. Metodo, quindi, che attra-verso attività motivanti, lo aiuti ad acquisire e ad usare il lessicocon una certa libertà di variazione all’interno di facili strutture fis-se. In un secondo tempo, l’alunno sarà avviato a eseguire alcunesemplici riflessioni linguistiche in situazione di contrasto o analogiafra l’italiano e la lingua straniera.

In questo senso, anche per superare vecchi stereotipi che face-vano della grammatica e della traduzione con vocabolario il conte-nuto essenziale dell’insegnamento, si potrebbe dire che il fanciulloapprende un’altra lingua solo imparandone l’uso come strumentodi comprensione e di comunicazione.

Particolarmente importante, sotto questo profilo, sarà l’acquisi-zione di un considerevole patrimonio lessicale, scoperto e riutilizza-to in situazioni significative attraverso l’audizione, la conversazio-ne, l’associazione audiovisiva (immagine - parola - frase), l’appren-dimento di modi di dire, di filastrocche e di canzoni. Il ricorsoad alcuni sussidi ormai ampiamente diffusi, come il registratore au-dio e le videocassette, agevolerà il compito dell’insegnante ancheper quanto riguarda la correttezza della dizione nelle «catene sono-re». La corrispondenza interscolastica potrà offrire nelle ultime classioccasioni di uso concreto della lingua straniera.

MATEMATICA

Matematica e formazione del pensiero

L’educazione matematica contribuisce alla formazione del pen-siero nei suoi vari aspetti: di intuizione, di immaginazione, di pro-gettazione, di ipotesi e deduzione, di controllo e quindi di verificao smentita. Essa tende a sviluppare, in modo specifico, concetti,metodi e atteggiamenti utili a produrre le capacità di ordinare, quan-tificare e misurare fatti e fenomeni della realtà e a formare le abili-tà necessarie per interpretarla criticamente e per intervenire consa-pevolmente su di essa.

L’insegnamento della matematica nella scuola elementare è sta-to per lungo tempo condizionato dalla necessità di fornire precoce-mente al fanciullo strumenti indispensabili per le attività pratiche.Con il dilatarsi della istruzione si è avuta la possibilità di puntarepiù decisamente verso obiettivi di carattere formativo. In questasituazione, che offriva una più ampia libertà progettuale, l’insegna-

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mento della matematica, in quasi tutti i paesi del mondo, si è orien-tato verso l’acquisizione diretta di concetti e strutture matematichee ha promosso anche in Italia una intensa attività di sperimentazione.

La vasta esperienza compiuta ha però dimostrato che non è pos-sibile giungere all’astrazione matematica senza percorrere un lungoitinerario che collega l’osservazione della realtà, l’attività di mate-matizzazione, la risoluzione dei problemi, la conquista dei primilivelli di formalizzazione. La più recente ricerca didattica, attraver-so un’attenta analisi dei processi cognitivi in cui si articola l’ap-prendimento della matematica, ne ha rilevato la grande complessi-tà, la gradualità di crescita e linee di sviluppo non univoche. Inquesto contesto si è constatato che anche gli algoritmi (cioè, i pro-cedimenti ordinati) di calcolo e lo studio delle figure geometrichehanno una valenza formativa ben al di là delle utilizzazioni praticheche un tempo giustificavano il loro inserimento nei programmi.

Obiettivi e contenuti

Per chiarezza espositiva vengono distinti di seguito alcuni temimatematici articolati per obiettivi. L’insegnante si sforzerà di svi-1

upparli i n modo coordinato, approfittando di tutte le occasioni sia

per richiamare questioni di tipo matematico, sia per collegarli conargomenti di altre discipline. Gli obiettivi elencati hanno caratteri-stiche e funzioni diverse. Alcuni tengono conto della acquisizionedi abilità e di conoscenze strettamente concatenate, e vanno tradot-ti in precise progressioni e in indicatori particolari che ne segnalinouna acquisizione stabile oppure incertezze o carenze. Si tratta, prin-cipalmente, di obiettivi riguardanti i numeri naturali e decimali,le abilità di calcolo e alcuni contenuti della geometria. Altri obietti-vi riguardano fatti, concetti, principi e procedimenti meno stretta-mente concatenati, da introdurre ad un primo stadio di conoscenzae che verranno sviluppati e approfonditi ad un successivo livelloscolastico. Fra questi, si possono ricordare quelli relativi alla logica,alla probabilità, alla statistica e all’informatica. La valutazione delconseguimento degli obiettivi proposti deve pertanto tener contodi tali diversità.

a) I problemi. - Il pensiero matematico è caratterizzato dal-la attività di risoluzione di problemi e ciò è in sintonia con la pro-pensione del fanciullo a porre domande e a cercare risposte. Diconseguenza le nozioni matematiche di base vanno fondate e co-struite partendo da situazioni problematiche concrete, che scaturi-

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stano da esperienze reali del fanciullo e che offrano anche l’oppor-tunità di accertare quali apprendimenti matematici egli ha in prece-denza realizzato, quali strumenti e quali strategie risolutive utilizzae quali sono le difficoltà che incontra:

Occorre evitare, peraltro, di procedere in modo episodico e nonordinato e tendere invece ad una progressiva organizzazione delleconoscenze.

Obiettivi:

- tradurre problemi elementari espressi con parole in rap-presentazioni matematiche, scegliendo le operazioni adatte; quinditrovare le soluzioni e interpretare correttamente i risultati; inversa-mente, attribuire un significato a rappresentazioni matematiche date;

- individuare situazioni problematiche in ambiti di esperienzae di studio e formularne e giustificarne ipotesi di risoluzione conl’uso di appropriati strumenti matematici, sia aritmetici sia di altrotipo;

- risolvere problemi aventi procedimento e soluzione unicie problemi che offrono possibilità di risposte diverse, ma ugualmen-te accettabili;

- individuare la carenza di dati essenziali per la risoluzionedi problemi ed eventualmente integrarli; riconoscere in un proble-ma la presenza di dati sovrabbondanti, oppure contraddittori conconseguente impossibilità di risolverlo.

b) Aritmetica. - Lo sviluppo del concetto di numero natu-rale va stimolato valorizzando le precedenti esperienze degli alunninel contare e nel riconoscere simboli numerici, fatte in contestidi gioco e di vita familiare e sociale. Va tenuto presente che l’ideadi numero naturale è complessa e richiede pertanto un approccioche si avvale di diversi punti di vista (ordinalità, cardinalità, misuraecc.); la sua acquisizione avviene a livelli sempre più elevati di inte-riorizzazione e di astrazione durante l’intero corso di scuola ele-mentare, e oltre.

La formazione delle abilità di calcolo va fondata su modelli con-creti e strettamente collegata a situazioni problematiche. Con ciònon si intende sottovalutare l’importanza della formazione di alcuniautomatismi fondamentali (quali le tabelline, ad esempio) da conce-pire come strumenti necessari per una più rapida ed essenziale orga-nizzazione degli algoritmi di calcolo. In effetti, la conoscenza ditali algoritmi, insieme all’elaborazione di diverse procedure e stra-tegie del calcolo mentale, contribuisce anche alla costruzione signi-

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ficativa della successione degli interi naturali e di altre importantisuccessioni numeriche (pari, dispari, multipli, ecc.).

Obiettivi del primo e secondo anno:- contare, sia in senso progressivo che regressivo, collegan-

do correttamente la sequenza numerica verbale con l’attività mani-polativa e percettiva;

- confrontare raggruppamenti di oggetti rispetto alla loroquantità e indicare se essi hanno lo stesso numero di elementi, op-pure di più o di meno;

- leggere e scrivere i numeri naturali almeno entro il cento,esprimendoli sia in cifre che a parole; confrontarli e ordinarli, an-che usando i simboli = , (, ); inoltre disporli sulla linea dei numeriin modo corretto;

- eseguire con precisione e rapidità semplici calcoli mentalidi addizioni e sottrazioni;

- raggruppare oggetti a due a due contando per due, rag-grupparli a tre a tre contando per tre, e così via;

- con l’aiuto di quantità adeguate di oggetti calcolare, incollegamento reciproco, il doppio/la metà, il triplo/il terzo, il qua-druplo/il quarto, ecc.;

- eseguire, almeno entro il cento, addizioni e sottrazioni,moltiplicazioni e divisioni (con moltiplicatori e divisori di una ci-fra) anche con l’ausilio di opportune concretizzazioni e rappresen-tazioni.

Obiettivi del terzo, quarto e quinto anno:

- leggere i numeri, naturali e decimali, espressi sia in cifresia a parole, traducendoli nelle corrispondenti somme di migliaia,centinaia, decine, unità, decimi, centesimi, ecc.;

- scrivere sia in cifre sia a parole, anche sotto dettatura,i numeri naturali e decimali, comprendendo il valore posizionaledelle cifre, il significato e l’uso dello zero e della virgola;

- confrontare e ordinare i numeri naturali e decimali, utiliz-zando opportunamente la linea dei numeri (ad esempio, mediantesottograduazioni);

- - scrivere una successione di numeri naturali partendo dauna regola data; viceversa, scoprire una regola che generi una datasuccessione;

- intuire e saper usare la proprietà commutativa e associati-va nella addizione e nella moltiplicazione, la proprietà distributivadel prodotto rispetto alla somma, la proprietà invariantiva nella sot-

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trazione e nella divisione, anche per agevolare i calcoli mentali uti-lizzando opportune strategie e approssimazioni;

- eseguire per iscritto le quattro operazioni aritmetiche coni numeri naturali e decimali, comprendendo il significato dei proce-dimenti di calcolo;

- moltiplicare e dividere numeri naturali e decimali per die-ci, cento e mille, comprendendo il significato di queste operazioni;

- calcolare, in relazione reciproca, multipli e divisori di nu-meri naturali, e riconoscere i numeri primi;

- trovare le frazioni che rappresentano parti di adatte figu-re geometriche, di insiemi di oggetti o di numeri; viceversa, datauna frazione trovare in opportune figure geometriche, in insiemidi oggetti o in numeri la parte corrispondente, con particolare at-tenzione alle suddivisioni decimali;

- confrontare e ordinare le frazioni più semplici, utilizzan-do opportunamente la linea dei numeri (ad esempio, con graduazio-ni successive);

- confrontare e ordinare sulla linea dei numeri gli interi re-lativi, facendo riferimento, se necessario, a esperienze personali (adesempio, l’uso del termometro);

- rispettare l’ordine di esecuzione di una serie di operazioni(espressione), interpretando il significato della punteggiatura e com-prendendo l’ordine stesso; viceversa, costruire una espressione usandol’adeguata punteggiatura per il rispetto dell’ordine di esecuzione.

c) Geometria e misura . - La geometria va vista inizialmentecome graduale acquisizione delle capacità di orientamento, di rico-noscimento e di localizzazione di oggetti e di forme e, in generale,di progressiva organizzazione dello spazio, anche attraverso l’intro-duzione di opportuni sistemi di riferimento.

L’itinerario geometrico elementare, tendendo alla sistemazionedelle esperienze spaziali del fanciullo, si svilupperà attraverso laprogressiva introduzione di rappresentazioni schematiche degli aspettidella realtà fisica; dallo studio e dalla realizzazione di modelli edisegni si perverrà alla conoscenza delle principali figure geometri-che piane e solide e delle loro trasformazioni elementari. Si porràparticolare attenzione ad una corretta acquisizione dei concetti fon-damentali di lunghezza, area, volume, angolo, parallelismo, perpen-dicolarità.

Consistente rilievo dovranno avere, altresì, l’introduzione dellegrandezze e l’uso dei relativi procedimenti di misura, da far ap-

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prendere anch’essi in contesti esperienziali e problematici e in con-tinuo collegamento con l’insegnamento delle scienze.

Obiettivi del primo e secondo anno:

- localizzare oggetti nello spazio, prendendo come riferimentosia se stessi, sia altre persone e oggetti, e usare correttamente itermini: davanti/dietro, sopra/sotto, a destra/a sinistra, vicinoflon-tana, dentro/fuori;

- effettuare spostamenti lungo percorsi che siano assegnatimediante istruzioni orali o scritte e descrivere - verbalmente o periscritto - percorsi eseguiti da altri, anche ricorrendo a rappresen-tazioni grafiche appropriate;

- riconoscere negli oggetti dell’ambiente e denominare cor-rettamente i più semplici tipi di figure geometriche, piane e solide;

- individuare simmetrie in oggetti e figure date; realizzaree rappresentare graficamente simmetrie mediante piegature, ritagli,disegni, ecc.;

- confrontare e misurare lunghezze, estensioni, capacità, du-rate temporali, usando opportune unità, arbitrarie o convenzionali,e loro successive suddivisioni.

Obiettivi del terzo, quarto e quinto anno:

- riconoscere in contesti diversi, denominare, disegnare ecostruire le principali figure geometriche piane; costruire, con tec-niche e materiali diversi, alcune semplici figure geometriche solidee descriverne alcune caratteristiche, come, nel caso di poliedri, nu-mero dei vertici, degli spigoli, delle facce;

- riconoscere l’equiestensione di semplici figure piane me-diante scomposizioni e ricomposizioni;

- misurare e calcolare il perimetro e l’area delle principalifigure piane, avendo consapevolezza della diversità concettuale esi-stente tra le due nozioni;

- trovare il volume di oggetti anche irregolari con strategiee unità di misura diverse, avendo consapevolezza della diversitàconcettuale esistente tra la nozione di volume e quella di area dellasuperficie di una figura solida;

- individuare, in situazioni concrete, posizioni e spostamen-ti nel piano (punti, direzioni, distanze, angoli come rotazioni); rap-presentare tali situazioni anche con l’uso di reticolati a coordinateintere positive, di mappe, di cartine, ecc.;

- usare correttamente espressioni come: retta verticale, oriz-zontale, rette parallele, incidenti, perpendicolari; disegnare, con ri-

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ga, squadra e compasso, rette parallele e perpendicolari, angoli epoligoni;

- riconoscere eventuali simmetrie presenti in una figura pia-na e classificare triangoli e quadrangoli rispetto alle simmetrie stesse;

- realizzare, anche con l’uso di materiale concreto e condisegni, la corrispondente di una figura geometrica piana sottopostaad una traslazione, ad una simmetria assiale, ad una rotazione, adun ingrandimento o impicciolimento in scala;

- conoscere le principali unità internazionali e pratiche perla misura di lunghezze, aree, volumi/capacità, pesi; saperle usarecorrettamente per effettuare stime e misure;

- scegliere, costruire e utilizzare strumenti adeguati per ef-fettuare le misurazioni;

- passare da una misura espressa in una data unità ad un’altraad essa equivalente, limitatamente ai casi più comuni e con aderenzaal linguaggio corrente anche in riferimento al sistema monetario;

- effettuare misure: di ampiezze angolari (in gradi), di dura-te (in ore, minuti primi e secondi); operare con tali unità in casiproblematici reali.

d) Logica. - L’educazione logica, più che oggetto di un in-segnamento esplicito e formalizzato, deve essere argomento di ri-flessione e di cura continua dell’insegnante, a cui spetta il compitodi favorire e stimolare lo sviluppo cognitivo del fanciullo, scopren-do tempestivamente eventuali difficoltà e carenze. Particolare curasarà rivolta alla conquista della precisione e della completezza dellinguaggio, tenendo conto che, soprattutto nei primi anni di scuola,il linguaggio naturale ha ricchezza espressiva e potenzialità logicaadeguate alle necessità di apprendimento.

L’insegnante proporrà fin dall’inizio, sul piano dell’esperienzae della manipolazione concreta, attività ricche di potenzialità logi-ca, quali: classificazioni mediante attributi, inclusioni, seriazioni ecc..Con gradualità potrà introdurre qualche rappresentazione logico-insiemistica (si potranno usare i diagrammi di Eulero-Venn, i grafi-ci, ecc.) che sarà impiegata per l’aritmetica, per la geometria, perle scienze, per la lingua, ecc.. Tuttavia terrà presente che la simbo-lizzazione formale di operazioni logico-insiemistiche non è necessa-ria, in via preliminare, per l’introduzione degli interi naturali e del-le operazioni aritmetiche. Terrà, inoltre, presente che le più ele-mentari questioni di tipo combinatorio forniscono un campo diproblemi di forte valenza logica.

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Obiettivi del primo e secondo anno:- classificare oggetti, figure, numeri.., in base ad un dato

attributo e, viceversa, indicare un attributo che spieghi la classifica-zione data;

- in contesti problematici concreti e particolarmente sem-plici, individuare tutti i possibili casi di combinazioni di oggettie di attributi;

- scoprire e verbalizzare regolarità e ritmi in successioni da-te di oggetti, di immagini, di suoni e, viceversa, seguire regole -proposte oralmente o per iscritto - per costruire tali successioni;

- rappresentare con schematizzazioni elementari (ad esem-pio, con frecce) successioni spazio-temporali, relazioni d’ordine, cor-rispondenze, riferite a situazioni concrete.

Obiettivi del terzo, quarto e quinto anno:

- classificare oggetti secondo due o più attributi e realizzareadeguate rappresentazioni delle stesse classificazioni mediante dia-grammi di Venn, di Carroll, ad albero, con tabelle, con schede abordo perforato.. .;

- usare correttamente il linguaggio degli insiemi nelle ope-razioni di unione, di intersezione, di complemento, anche in rela-zione alla utilizzazione dei connettivi logici e con applicazioni alleclassificazioni aritmetiche, geometriche, naturalistiche, grammatica-li, ecc.

e) Probabilità, statistica, informatica. - Importanza educativanotevole va riconosciuta anche a concetti, principi e capacità con-nessi con la rappresentazione statistica di fatti, fenomeni e processie con la elaborazione di giudizi e di previsioni in condizioni diincertezza.

L’introduzione dei primi elementi di probabilità, che può trova-re posto alla fine del corso elementare, ha lo scopo di prepararenel fanciullo un terreno intuitivo su cui si possa, in una fase succes-siva, fondare l’analisi razionale delle situazioni di incertezza.

La classica definizione di probabilità - come rapporto fra ilnumero dei casi favorevoli e il numero dei casi possibili in situazio-ni aleatorie simmetriche - non può essere assunta come punto dipartenza, ma è piuttosto il punto di arrivo di una ben graduataattività.

Nello sviluppo di questo itinerario può realizzarsi la costruzionee l’analisi di procedimenti e di algoritmi - numerici e non nume-

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rici - anche con l’uso iniziale, ma coerente e produttivo, di op-portuni strumenti di calcolo e di elaborazione delle informazioni.

Obiettivi del primo e del secondo anno:- in situazioni problematiche tratte dalla vita reale e dal

gioco, usare in modo significativo e coerente le espressioni: forse,è possibile, è sicuro, non SO, è impossibile, ecc.

Obiettivi del terzo, quarto e quinto anno:- compiere osservazioni e rilevamenti statistici semplici; trac-

ciare diagrammi a barre, istogrammi, areogrammi, . . . . calcolare me-die aritmetiche e percentuali, usando, se ritenuto opportuno, calco-latrici tascabili; viceversa, interpretare rappresentazioni e calcoli fattida altri;

- confrontare in situazioni di gioco le probabilità dei varieventi mediante l’uso di rappresentazioni opportune;

- rappresentare, elencare e numerare tutti i possibili casiin semplici situazioni combinatorie; dedurne alcune elementari va-lutazioni di probabilità;

- tracciare e interpretare diagrammi di flusso per la rappre-sentazione di convenienti processi.

Indicazioni didattiche

1. - All’inizio della prima elementare è opportuno che l’inse-gnante svolga una attenta ricognizione dello stato di preparazionedei singoli alunni in relazione alle esigenze del processo di appren-dimento della matematica. A tal fine sembra utile un’osservazionesistematica dei comportamenti più significativi quali si manifestanonel contesto delle attività didattiche e dei giochi. Importanti settoridi osservazione sono le capacità di: cogliere relazioni e porre inrelazione oggetti fra loro, contare per contare (sequenza numericaverbale), contare oggetti (corrispondenza fra passi successivi dellasequenza numerica verbale e oggetti), orientarsi nello spazio (sopra,sotto, avanti, dietro, . ..). orientarsi nel tempo (prima, dopo).

La programmazione didattica verrà sviluppata tenendo conto delleinformazioni ottenute mediante questa prima ricognizione e saràdiretta, in primo luogo, a costituire una comune base di esperienzesu cui fondare la riflessione e la concettualizzazione matematicae un più agevole raccordo con la scuola materna e l’extra-scuola.Ciò potrà essere raggiunto anche attraverso attività e giochi sceltifra quelli tradizionalmente presenti negli ambienti di vita del fan-ciullo.

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Nel conseguimento dei diversi obiettivi è importante procederein modo costruttivo e significativo, fornendo agli alunni una ade-guata base manipolatoria e rappresentativa. Ciascun alunno va mes-so in condizione di utilizzare, inizialmente, materiali diversi, comu-ni o strutturati, che forniscano adeguati modelli dei concetti mate-matici implicati nelle varie procedure operative. Tuttavia èimportante che egli si distacchi, ad un certo punto, dalla manipola-zione dei materiali stessi per arrivare ad utilizzare soltanto le relati-ve rappresentazioni mentali nella esecuzione e nella interpretazionedei compiti a lui assegnati.

Il passaggio dall’esperienza alla rappresentazione e quindi allaformalizzazione può avvenire muovendo dalle situazioni più varie;fra di esse un ruolo importante hanno le più naturali e spontanee:quelle di gioco. Ogni attività di gioco e di lavoro, ben impostatae condotta, favorisce una attività intellettuale controllata ed educaal confronto di idee, comportamenti, soluzioni alternative, in unclima positivo di socializzazione.

Fra i giochi si possono comprendere sia quelli spontanei o ap-presi dal fanciullo nel suo ambiente culturale, sia quelli più specifi-camente indirizzati al conseguimento di particolari abilità matema-tiche.

2. - Cura particolare va posta sia nella acquisizione del com-plesso concetto di numero naturale, sia nella formazione della capa-cità di rappresentarlo nel sistema di scrittura decimale, con riferi-mento al valore posizionale delle cifre e al significato e all’uso dellozero. A tale scopo può risultare vantaggiosa l’introduzione di siste-mi di numerazione diversi da quello decimale per la notazione mul-tibase di tali numeri. Va, inoltre, tenuto presente che l’insieme deinumeri naturali ha la caratteristica fondamentale di essere ordinatoe, pertanto, è essenziale che il fanciullo acquisisca la capacità diconfrontare e ordinare gli stessi numeri, utilizzando anche la cosid-detta linea numerica o retta graduata.

Entro il secondo anno gli alunni dovranno pervenire a domina-re operativamente i numeri naturali almeno entro il cento. In terzaclasse sarà opportuno condurli a operare, come traguardo minimoper tutti, con numeri entro il mille proponendo addizioni e sottra-zioni con non più di due cambi (riporti o prestiti), moltiplicazionicon fattori di non più di due cifre e divisioni con divisore di unacifra. In quarta classe tali vincoli potranno cadere, anche se è op-portuno non oltrepassare il milione nel calcolo scritto.

L’introduzione dei numeri con virgola va realizzata a partire

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dal terzo anno e le relative operazioni vanno introdotte, con gra-dualità, negli ultimi due anni. In quarta classe ci si può limitarealle addizioni e alle sottrazioni, con specifica attenzione al valorefrazionario delle cifre secondo la posizione occupata a destra dellavirgola, e quindi all’incolonnamento. In quinta classe le moltiplica-zioni e le divisioni con numeri decimali non dovranno avere, rispet-tivamente, fattori e divisori con più di due cifre dopo la virgola.

I suggerimenti di non oltrepassare determinati limiti numericivanno intesi esclusivamente in funzione della necessità di centrarel’attenzione degli alunni sui fondamentali concetti di notazione po-sizionale e sulle relative eventuali conseguenze di cambio; questidovranno essere totalmente dominati in contesti semplici prima dipoterli ampliare, per analogia e con gradualità, in contesti man ma-no più complessi dove si utilizzano numeri di molte cifre.

L’acquisizione significativa delle tecniche ordinarie di calcolodelle quattro operazioni scritte andrà opportunamente consolidatamettendo gli alunni in grado di saper ottenere, nei casi possibili,uno stesso risultato numerico elaborando, di volta in volta, schemidi calcolo (algoritmi) differenti, sia mediante scomposizioni diversedei numeri, sia con l’uso pertinente delle proprietà delle operazioni.Tutto ciò, accompagnato dalla assunzione dei necessari automati-smi, influirà positivamente sulla formazione delle importanti capa-cità di eseguire calcoli mentali con precisione e rapidità, tenendopresente che tali capacità non solo sono utili a prevedere e a verifi-care lo sviluppo, anche in approssimazione, di operazioni complesseeseguite per iscritto, ma servono, inoltre, a controllare l’esito delleoperazioni stesse, allorché in momenti successivi verranno realizza-te mediante calcolatrici tascabili.

Le attività di manipolazione di materiali idonei, le operazionidi misura di grandezze fisiche diverse, le analisi di dati economicie demografici, ecc. possono offrire occasioni di lavoro con i numerisia in base dieci che in altre basi o, nel terzo, quarto e quintoanno, un opportuno punto di partenza per l’avvio della comprensio-ne delle potenze e della loro scrittura.

Particolarmente utile può risultare, in proposito, la scrittura deinumeri cento, mille, diecimila, . . . mediante potenze del dieci, pergiungere alla trascrizione di un numero con più cifre sotto formadi polinomio numerico.

3. - L’avvio allo studio della geometria va ricollegato, in modonaturale, ad una pluralità di sollecitazioni che provengono dalla per-cezione della realtà fisica. Sarebbe quindi oltremodo riduttivo limi-

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tare l’insegnamento di questo settore alla semplice memorizzazionedella nomenclatura tradizionale e delle formule per il calcolo di pe-rimetri, aree, volumi di figure particolari.

Va favorita, invece, un’attività geometrica ricca e variata, pren-dendo le mosse dalla manipolazione concreta di oggetti e dall’osser-vazione e descrizione delle loro trasformazioni e posizioni reciproche.

Le nozioni di perimetro, area, volume andranno introdotte -a livello intuitivo - anche per figure irregolari, in modo da svin-colare questi concetti dalle formule, le quali vanno viste come sem-plici strumenti atti a facilitare i calcoli in casi importanti ma parti-colari.

Il disegno geometrico, inizialmente a mano libera, quindi conriga, squadra e compasso, andrà curato con attenzione, sia per lenotevoli abilità operative che esso promuove, sia per favorire l’assi-milazione di concetti come «parallelismo» e «perpendicolarità».

Oltre ai sistemi di riferimento di tipo cartesiano, comunementeusati per individuare posizioni su un reticolato a coordinate interepositive (geopiano, carta quadrettata, mappe o carte geografiche),si potranno introdurre informalmente altri sistemi di riferimentopiù direttamente collegati alla posizione dell’osservatore.

Per il calcolo dei perimetri e delle aree si raccomanda di noninsistere troppo sull’apprendimento dei cosiddetti «numeri fissi» (co-stanti) attraverso la proposizione di nozioni puramente mnemoni-che il cui significato, a questo livello di età, risulta difficilmentecomprensibile; per quel che riguarda la presentazione del numerox, sarà sufficiente indicare che esso vale approssimativamente 3,14.

4. - Un itinerario di lavoro per la misura, che tenga conto delledifficoltà implicate nel processo di misurazione, dovrà comprenderele tappe del confronto diretto, del confronto indiretto con campio-ni arbitrari e del confronto indiretto con le unità di misura conven-zionali.

Una effettiva comprensione del significato di «misura» è perse-guibile solo attraverso una ricca base sperimentale, senza la qualenon è possibile comprendere che «misurare» significa scandire unaquantità continua e scoprire le difficoltà che si incontrano e glierrori che si possono commettere in un processo di misurazione.

Una riflessione sulle unità di misura locali del passato e, dovepermangono ancora, del presente, c o s ì come sulle unità di misuradi altri popoli e di altri tempi, potrà servire a consolidare l’ideadella convenzionalità del sistema in uso.

Nell’uso di unità di misura convenzionali si raccomanda di uni-

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formarsi alle norme del «Sistema Internazionale di Unità» (riporta-te nel D.P.R. n. 802 del 12 agosto 1982), che tra l’altro prescrivo-no di posporre il simbolo («marca») al valore numerico in linea conesso, senza farlo seguire da un punto; si suggerisce anche di evitareesercitazioni con unità di misura scarsamente usate, ad esempio ilmiriagrammo.

Quanto all’uso delle «marche» nella risoluzione di problemi, es-sendo inadatto a questo livello di età uno sviluppo sistematico deicalcoli dimensionali, è preferibile che esse non vengano riportatenelle indicazioni delle operazioni. E invece opportuno che accantoalle operazioni stesse si riporti una descrizione del procedimentonella quale si indicherà l’unità di misura di ciascun risultato manmano ottenuto.

E da tenere, inoltre, presente che possono essere misurati siagli aspetti della realtà fisica direttamente esperibili (lunghezze, tem-pi, pesi, capacità, temperature, . ..). sia aspetti della realtà economi-ca e sociale (produzione, migrazione, variabilità delle nascite, . ..).Il «misurare» è quindi da considerarsi come uno strumento conosci-tivo che aumenta le possibilità di comprendere i fatti e i fenomeni,come, viceversa, dallo studio dei fatti e dei fenomeni si può com-prendere che la misura non è limitabile ai ristretti campi delle lun-ghezze, dei pesi o delle aree.

5. - Gli elementi di logica e di insiemistica hanno come obietti-vo principale la padronanza dei relativi linguaggi e il loro impiegoin contesti significativi.

L’insegnante, inoltre, condurrà l’alunno, con esempi concreti, al-l’impiego corretto di termini come «tut t i» , «qualcuno» ecc. Ciò, peral-tro, non comporterà necessariamente l’impiego della simbologia ma-tematica relativa agli insiemi e alle operazioni insiemistiche e logiche.

Si raccomanda di non introdurre nozioni in modo scorretto,essendo preferibile posticipare la precisazione di un concetto allarettifica di nozioni già introdotte impropriamente. Ad esempio, èopportuno che il quadrato sia presentato come caso particolare delrettangolo, evitando di far credere che un rettangolo è tale solose ha, necessariamente, lati disuguali. Così pure una particolare cu-ra dovrà essere posta al segno di «uguaglianza»; quando, ad esem-pio, si hanno catene di operazioni, anziché il segno di uguaglianza(che in questo contesto indica il compimento di un’operazione, eche spesso viene usato in modo improprio) si impiegheranno altrisegni (ad esempio, si potrà ricorrere ai grafi).

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6. - Le raccolte dei dati, effettuate in contesti diversi e oppor-tunamente organizzate, condurranno alle prime nozioni di statisticadescrittiva anche attraverso visualizzazioni immediate.

Quanto alle prime nozioni di probabilità è importante che il fan-ciullo sia condotto ad accettare senza turbamento situazioni di incer-tezza. Si può raggiungere molto bene questo scopo mediante il gioco:molti giochi hanno carattere aleatorio o ricorrono alla sorte per l’asse-gnazione di particolari ruoli. L’abilità del giocatore consiste nel saperscegliere, fra le varie mosse possibili, quella che offre maggiore proba-bilità di vittoria; si tratta dunque, in primo luogo, di condurre l’alun-no a compiere confronti di probabilità. Ciò può essere fatto dapprimain termini più vaghi, e poi in situazioni ben schematizzate.

Anche l’informatica richiede un’attenta considerazione: da unlato, essa mette in evidenza l’idea di algoritmo, già presente nellaaritmetica ma suscettibile di un impiego assai più vasto; dall’altro,essa presenta il calcolatore come strumento di esplorazione del mondodei numeri, di elaborazione e di interazione. Si terrà presente cheesso è diventato uno strumento importante nella società contempo-ranea e non può, quindi, essere ignorato; ma, nello stesso tempo,sarà opportuno evitare infatuazioni, considerando che nessuno stru-mento, per quanto tecnologicamente sofisticato, può avere da soloeffetti risolutivi.

In definitiva, l’introduzione al pensiero e alla attività matemati-ca deve rivolgersi in primo luogo a costruire, soprattutto là doveessa si manifesta carente, una larga base esperienziale di fatti, feno-meni, situazioni e processi, sulla quale poi sviluppare le conoscenzeintuitive, i procedimenti e gli algoritmi di calcolo e le più elementa-ri formalizzazioni del pensiero matematico.

Si favorirà così la formazione di un atteggiamento positivo ver-so la matematica, intesa sia come valido strumento di conoscenzae di interpretazione critica della realtà, sia come affascinante attivi-tà del pensiero umano.

SCIENZE

Finalità generale della educazione scientifica è l’acquisizione daparte del fanciullo di conoscenze e abilità che ne arricchiscano lacapacità di comprendere e rapportarsi con il mondo e che, al termi-ne della scuola dell’obbligo, lo pongano in grado di riconoscere qua-le sia il ruolo della scienza nella vita di ogni giorno e nella societàodierna e quali siano le sue potenzialità e i suoi limiti.

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L’educazione scientifica si propone come obiettivi fondamentali:

a ) lo sviluppo di atteggiamenti di base nei confronti del mon-do, come la tendenza a porre proprie domande, o a coglierle neldiscorso degli altri come motivazione all’osservazione e alla scoper-ta; l’intraprendenza inventiva, soprattutto per quanto riguarda laformulazione di ipotesi e spiegazioni; l’abitudine a identificare en-tro situazioni complesse singoli elementi ed eventi e l’attenzionealle loro relazioni; l’esigenza di trovare criteri unitari per descriveree interpretare fenomeni anche assai diversi; l’autonomia del giudi-zio, accompagnata da disponibilità a considerare le opinioni altruied a confrontare queste e le proprie con i fatti; il rispetto consape-vole per l’ambiente;

b) l’acquisizione di abilità cognitive generali quali, per esem-pio, la capacità di analisi delle situazioni e dei loro elementi costitu-tivi, la capacità di collegare i dati dell’esperienza in sequenze eschemi che consentano di prospettare soluzioni ed interpretazionie, in certi casi, di effettuare previsioni, la capacità di distinguereciò che è certo da ciò che è probabile, la capacità di formularesemplici ragionamenti ipotetico-deduttivi;

c) la crescente padronanza di tecniche di indagine, da quelledi tipo osservativo, sino all’impiego in situazioni pratiche del proce-dimento sperimentale;

d ) lo sviluppo di un rapporto sempre più stretto e articolato trail « f a r e » ed il «pensare». Il fare, inteso come attività concreta manualee osservativa, è riferimento insostituibile di conoscenze sia per le scienzedella natura, sia per lo sviluppo di competenze tecnologiche.

Tutti questi obiettivi, in parte comuni ad altre aree disciplinari,vanno perseguiti attraverso lo svolgimento di attività e l’acquisizio-ne di conoscenze riguardanti aspetti fondamentali sia del mondofisico sia del mondo biologico, considerati nelle loro reciproche re-lazioni e nel loro rapporto con l’uomo. Il possesso di tali conoscen-ze può essere considerato come un ulteriore obiettivo collegato aiprecedenti da uno stretto rapporto di interdipendenza.

Obiettivi e contenuti

Prendendo spunto da problemi relativi alla loro vita di ognigiorno gli alunni saranno sollecitati a intraprendere attività di inda-gine al fine di acquisire conoscenze di base relative:

- agli esseri viventi, ivi compreso l’uomo, loro strutture efunzioni, nonché loro interazioni e rapporti con l’ambiente;

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- al mantenimento e alla difesa della salute;- alla Terra e al suo posto nell’universo;- alla gestione delle risorse naturali;- ai materiali e alle loro caratteristiche.

Tali attività di indagine consentiranno agli alunni di esercitarsinell’uso di procedimenti scientifici - quali osservare, misurare,classificare, impostare relazioni spazio-tempo, elaborare e interpre-tare dati, individuare e separare variabili - e acquisire, al termi-ne della scuola elementare, la capacità di farne consapevole impiegoin situazioni concrete.

Allo scopo di presentare i contenuti della educazione scientificain una forma che faciliti la loro utilizzazione nell’insegnamento,si farà riferimento ad attività che verranno organizzate e svoltenelle classi della scuola elementare con diverso grado di approfondi-mento, avvalendosi della definizione di sequenze e correlazioni di-dattiche delineabili con la programmazione, anche nella prospettivainterdisciplinare.

Le attività da svolgere sono raggruppate per temi, così delimita-ti: fenomeni fisici e chimici; ambienti e cicli naturali; organismi: pian-te, animali, uomo; uomo e natura; uomo-mondo della produzione.

Fenomeni fisici e chimici

Si condurranno esperienze con la materia nei suoi vari aspetti.Tali esperienze potranno riguardare l’esame dei singoli materiali,del modo in cui si comportano quando si interviene su di essi, diquel che succede se si mettono insieme solidi con liquidi, liquidicon liquidi, polveri con liquidi, gas con liquidi; esperienze attivedi separazione di componenti da miscugli (per setacciatura, filtra-zione, decantazione, evaporazione, con calamite, ecc.); osservazio-ne dei diversi stati della materia ed esperienze di trasformazione.

L’insegnante guiderà l’esecuzione di esperienze riguardanti rea-zioni chimiche particolarmente evidenti (comparsa di colorazioni,sviluppo di gas, ecc.), limitando l’uso di simboli e formule e met-tendo in risalto la possibile t o s s i à e pericolosità di alcuni prodottio reazioni. Esperienze di combustioni possono essere collegate conosservazioni sulle trasformazioni provocate da riscaldamento e raf-freddamento di vari materiali.

Si svolgeranno inoltre semplici esperienze di ottica, acustica,elettricità e magnetismo: le osservazioni sul comportamento dellaluce comprenderanno giochi con specchi, con luci e ombre, con

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prismi, ecc.; la considerazione di fenomeni acustici avrà luogo apartire dalla produzione di rumori e di suoni. La costruzione dicircuiti elettrici con pile e lampadine e la distinzione fra isolantie conduttori in base a prove dirette ed esperienze con calamitesono di particolare importanza perché connesse con aspetti tecnolo-gici della società moderna.

Esperienze sul movimento e sull’equilibrio, realizzate con og-getti di varie forme, consentiranno di affrontare i concetti di velo-cità, variazione della medesima, forza, baricentro, ecc.

Si condurranno infine osservazioni sulla utilizzazione nella vitapratica di apparecchi di uso comune, illustrandone al livello ele-mentare i principi di funzionamento (meccanico, termico, elettrico)e le cautele di sicurezza.

In relazione alle attività svolte, non è opportuno dare spiegazio-ni in termini di atomi e di elettroni. Solo se gli alunni proporrannotentativi esplicativi in tal senso, sarà compito dell’insegnante valu-tare l’opportunità di approfondimenti, da effettuare comunque informa adeguata alle capacità dell’alunno di scuola elementare.

E particolarmente indicato l’uso di materiali naturali ed artifi-ciali raccolti nel corso delle attività di esplorazione dell’ambienteo di impiego comune nella tecnica. A partire dalla osservazionedelle proprietà si potranno anche stimolare riflessioni sulla sceltadei materiali in relazione alle loro utilizzazioni.

Ambienti e cicli naturali

L’esplorazione dell’ambiente naturale nel territorio in cui si tro-va la scuola comprenderà, oltre agli aspetti più strettamente biolo-gici di cui si dirà più avanti, le seguenti attività da integrare conl’insegnamento della geografia:

- osservazioni sull’assetto geologico attraverso l’esame in locodegli affioramenti e la raccolta e caratterizzazione di campioni dirocce, minerali e fossili;

- esame di vari tipi di terreno e rilevazione delle loro carat-teristiche, anche in confronto a quelle tipiche delle ghiaie, sabbiee argille;

- raccolta di dati sulla situazione delle acque (acque superfi-ciali stagnanti e correnti; acque sotterranee e sorgive; acqua mari-na) anche in relazione a problemi di approvvigionamento idrico;

- osservazioni dirette, rilevazioni e riflessioni sul clima esui fenomeni atmosferici con particolare riguardo al ciclo dell’acqua(in natura, nel paese 0 in città, in casa);

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- rilevazioni delle caratteristiche del paesaggio e considera-zioni sulla sua evoluzione e sui fattori che la determinano (dilava-mento, alluvioni, frane, interventi dell’uomo . ..) anche attraversosemplici esperienze.

Partendo da motivazioni e interessi particolari che offrano spuntiper ulteriori osservazioni, si passerà dal riconoscimento nell’ambientedi singole piante e animali ad osservazioni guidate, volte a rico-struire (anche attraverso rappresentazioni grafiche) le più evidentirelazioni degli organismi fra loro e con l’ambiente fisico. Si porràparticolare attenzione alle catene alimentari; ai rapporti di preda-zione e alle difese; all’adattamento all’ambiente per la sopravviven-za, e alla riproduzione.

Si procederà alla osservazione e ricostruzione in schemi dei grandicicli ambientali: le piante e la luce, l’aria, l’acqua, il terreno; i rap-porti tra animali e piante; produttori, consumatori, decompositori.

Verranno effettuate osservazioni sulle trasformazioni periodichedegli ambienti naturali durante i cicli stagionali, compiendo ancherilevazioni quantitative di condizioni e parametri che variano du-rante l’anno (temperatura, umidità, piovosità, lunghezza del giorno).

Vanno infine osservati e considerati il movimento apparente delsole e le sue variazioni nell’arco dell’anno (anche con lo studio delleombre e la costruzione di meridiane), la misura del tempo, il movi-mento e le fasi della luna, il cielo stellato e il movimento apparentedelle stelle.

Attività di orientamento e conoscenza pratica dei sistemi di ri-ferimento sono alla base dell’esplorazione ambientale oltre che del-la geografia.

Organismi: piante, animali, uomo

Partendo dal confronto e, ove possibile, dalla raccolta e conser-vazione di materiali naturali e comunque dal loro esame e dal rico-noscimento di somiglianze e differenze (relativamente a forme, com-portamenti, nutrizione, ambienti caratteristici, riproduzione, ecc.)si effettueranno suddivisioni in gruppi e classificazioni di vari orga-nismi (alberi, arbusti, animali che camminano, volano, nuotano, do-mestici e selvatici, ecc.).

L’osservazione particolareggiata di singoli esseri porterà a di-stinguere le diverse parti che compongono un organismo vivente(le parti del corpo negli animali e nell’uomo; le parti delle piante)e i più evidenti rapporti fra struttura e funzione.

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In questo modo si potrà mettere in risalto come, pur nella varie-tà dei viventi, siano presenti caratteristiche comuni.

Si prenderà inoltre in considerazione come i diversi organismisiano adatti ai differenti ambienti, attraverso forme simili o diversedi risposta ai bisogni fondamentali della vita, non solo a livellodi strutture e funzioni, ma anche di comportamento,

Per quanto riguarda in particolare l’uomo, valendosi anche del-l’uso di modelli (e - per confronto - della pratica di dissezionisu animali usata a scopo alimentare) si condurranno osservazionisulla anatomia funzionale del corpo umano dando particolare risaltoalle caratteristiche peculiari (la stazione eretta, la mano, lo sviluppocerebrale, le attività percettive).

Verranno compiute osservazioni sulle differenze tra gli indivi-dui, tra individui di diversa età, tra i due sessi, che consentirannodi svolgere considerazioni sulla riproduzione, l’accrescimento e losviluppo, la maturità e l’invecchiamento.

La raccolta dei dati sulle abitudini alimentari, il confronto deidati sulle diete con i fabbisogni in fattori nutrienti per le varieetà, la caratterizzazione dei cibi in base ai principi nutritivi checontengono, ecc. saranno alla base di indicazioni di educazione allasalute che comprenderanno anche norme igieniche, identificazionedi fattori nocivi, ecc.

Uomo-natura

Lo studio dell’intervento umano sull’ambiente è strettamentecollegato con i temi dell’area storico-geografica.

Alcuni aspetti di tali temi possono essere approfonditi dal pun-to di vista delle scienze fisiche, chimiche e naturali. L’uomo hainfatti esplorato l’ambiente per conoscerlo adattandosi ad esso opiegandolo alle proprie esigenze. A tal fine ha costruito strumentiche gli hanno permesso di superare la soglia delle naturali capacitàpercettive e di estendere le sue possibilità di azione e di trasforma-zione, attraverso l’uso di materiali diversi e di nuove fonti di energia.

Dal punto di vista naturalistico le attività prevederanno soprat-tutto: osservazioni sulle modificazioni indotte nel paesaggio, in par-ticolare della regione, dalle pratiche agricole e da altri interventidell’uomo; osservazioni e raccolte di dati sugli effetti degli insedia-menti umani e delle attività industriali sull’ambiente naturale; indi-viduazione di fenomeni nocivi e pericoli presenti nell’ambiente uma-no e indicazione di esempi di prevenzione; raccolte di informazionisulle possibilità offerte dalla tecnologia per la tutela dell’ambiente

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e per la previsione, la prevenzione e gli interventi relativi alle cala-mità naturali.

La consapevolezza dei vantaggi e degli svantaggi che ogni inter-vento umano comporta deve maturare un atteggiamento positivodi rispetto dell’ambiente che non dovrà comunque essere confusocon uno sterile rifiuto del progresso tecnologico.

Uomo - mondo della produzione

L’alunno della scuola elementare verrà posto a confronto conla circostante realtà costituita dal mondo della produzione, dei pro-dotti e dei problemi ad esso connessi e della realtà tecnologica.

Per realizzare questo obiettivo sarà necessario promuovere l’a-bitudine alla osservazione, alla riflessione, all’intervento tecnico,facendo largo uso del metodo induttivo e ponendo in essere soprat-tutto attività operative in cui l’alunno sia condotto gradualmenteattraverso un iter che, partendo dall’osservazione prosegua con l’a-nalisi, la concretizzazione dell’intervento e la verifica degli effetticonseguenti ad esso. In questo modo sarà possibile promuovere unprimo approccio alla cultura tecnologica con la quale l’alunno dovràprogressivamente misurarsi a partire dalla scuola media di 1 grado.

Indicazioni didattiche

Gli argomenti su cui organizzare anno per anno la programma-zione didattica saranno scelti tenendo conto degli interessi cogniti-vi, delle capacità di comprensione, delle conoscenze già presentinegli alunni delle varie età, delle opportunità che l’ambiente offre.

Essi devono venire sviluppati partendo ogni volta da situazioni-problema molto semplici (che possono essere realizzate anche met-tendo gli alunni di fronte a oggetti, materiali e ambienti specifici),avendo come obiettivo lo sviluppo di un sapere che cresce in modoorganico e tende alla sistematicità solo gradualmente, durante tuttol’arco della scuola dell’obbligo. Tali argomenti devono essere svoltiprincipalmente attraverso esperienze pratiche attuabili, oltre che inappositi locali scolastici, nella classe che può essere utilizzata comelaboratorio, o attraverso attività di esplorazione ambientale. Essidevono inoltre fornire occasioni per conversazioni, discussioni digruppo, approfondimenti e raccolte di informazioni su libri o conmezzi audiovisivi, volti ad ampliare il patrimonio di conoscenzedell’alunno anche attraverso l’analisi di fatti della realtà che stannoal di là della sua diretta esperienza.

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La scelta dell’attività da svolgere nel corso dei vari anni vienelasciata all’insegnante in sede di programmazione, salva restando,da un lato, l’opportunità di ritornare (in certi casi più volte) inclassi successive su alcuni argomenti con diverso grado di approfon-dimento, e dall’altro la necessità che, per ciascuno dei cinque gran-di temi, vengano svolte un numero sufficiente di attività tali dapermettere all’alunno di familiarizzarsi con le diverse metodologiedi approccio alle discipline scientifiche. In questo modo l’alunnopotrà costruirsi un insieme di conoscenze che gli consenta di af-frontare nuovamente i vari argomenti nella scuola media, partendogià da una visione generale. Nei primi due anni e in particolarenella prima classe le attività saranno dedicate dapprima ad una rico-gnizione delle conoscenze possedute dai fanciulli attraverso espe-rienze guidate di gioco e di esplorazione, per farne patrimonio co-mune del gruppo, su cui costruire il lavoro successivo.

L’insegnante stimolerà e guiderà gli alunni ad osservare, descri-vere e confrontare gli elementi della realtà circostante (sassi, anima-li, piante, utensili, suoni, forme, colori . ..) per individuarne somi-glianze, differenze ed interrelazioni.

L’insegnante utilizzerà l’interesse degli alunni per il mondo de-gli esseri viventi, per avviarli ad esaminare alcuni semplici fenome-ni vitali e l’ambiente nel quale questi fenomeni si verificano; adindividuare alcune delle relazioni più evidenti fra il terreno, le piantee gli animali; ad una prima intuizione delle condizioni fondamentalidella vita (presenza di luce, calore, aria, acqua, nutrimenti). Unfrequente regolare controllo delle coltivazioni e degli allevamentiscolastici ed extrascolastici, esplorazioni ambientali in autunno, in-verno, primavera, estate, semplici esperimenti metteranno in evi-denza le fondamentali condizioni per lo sviluppo e la conservazionedella vita. Queste osservazioni contribuiranno ad arricchire il lin-guaggio, a promuovere esercizi di misura, ad avviare all’uso di sem-plici tabelle ed altre rappresentazioni (istogrammi, grafici, diagram-mi a blocchi, ecc.).

Negli ultimi tre anni, scegliendo opportunamente attività chealternino esperienze in classe ed esplorazioni ambientali, argomentifisici e chimici ed argomenti biologici con collegamenti interdisci-plinari, l’insegnante guiderà gli alunni alla acquisizione di specifi-che tecniche di indagine e mirerà a sviluppare in loro una semprepiù chiara consapevolezza dei procedimenti della ricerca scientifica.

Pertanto, avrà cura di portare gli alunni a riflettere sulla oppor-tunità di muovere dalla osservazione dei fatti alla formulazione di

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problemi ed ipotesi, e alla raccolta di nuovi dati per J controllodi queste ultime. Inoltre svilupperà in loro la capacita di procederein modo sempre più autonomo alla esecuzione di misure relativa-mente semplici (avendo consapevolezza delle operazioni eseguite edella validità dei risultati ottenuti), alla rappresentazione dei datiin tabella e grafici, alla elaborazione dei risultati, alla schematizza-zione dei fenomeni complessi.

La pratica di misura potrà essere attuata soprattutto in riferi-mento a lunghezze, volumi, capacità, tempi, pesi, temperature, instretto collegamento con le attività di matematica, facendo inizial-mente confronti diretti, individuando quindi la necessità di sceglie-re unità di riferimento dapprima arbitrarie e poi di convenzionegenerale. Per l’esecuzione delle misure si potranno usare sia stru-menti già costruiti (termometri, bilance, ecc.) di uso comune, siastrumenti costruiti dagli alunni. Sarà, comunque, opportuno appli-carsi alla ideazione, progettazione, costruzione e taratura di alcunistrumenti di misura semplici (come termometri, pluviometri, bilan-ce); ciò permetterà infatti, da un lato, di rendersi conto delle opera-zioni logiche e dei principi fisici connessi con il processo di misurae dall’altro della necessità di scegliere opportunamente lo strumen-to secondo la natura della grandezza da misurare, della sua entitàe della precisione richiesta.

Poiché i fanciulli hanno naturale predisposizione al « f a r e » , cheaffina le loro capacità percettive e motorie e alimenta la loro vitamentale, nelle attività di educazione scientifica si lascerà loro unospazio di libertà di operare, affinché acquisiscano autonomia e spi-rito di iniziativa. L’insegnante curerà che raccolta e registrazionedi dati risultino una pratica regolare e costante che si concludecon una relazione, orale o scritta.

Sarà utile compiere brevi escursioni, preparate e guidate, in variambienti e nelle varie stagioni, nonché riprodurre piccole comunitànaturali e curare allevamenti e coltivazioni, sia pure di modestaentità.

Per l’esecuzione di esperienze pratiche, la classe potrà essereattrezzata come un laboratorio scientifico e artigianale assai sempli-ce, utilizzando, per quanto possibile, oggetti comuni come cassettedi legno o di plastica, vasi, vasetti e scatole, strumenti (lenti, cilin-dri graduati, termometri, bilance, barometro, bussola, livella . ..) eutensili di uso corrente.

Ciò non esclude l’opportunità che la scuola provveda all’acqui-sto di attrezzature più perfezionate, ma sempre adatte ai fanciulli.

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Lo smontaggio e rimontaggio attento, a scopo interrogativo 0conoscitivo, di giocattoli, oggetti e semplici apparecchi di uso co-mune, magari inservibili, sono attività indispensabili affinché l’a-lunno padroneggi l’ambiente artificiale in cui è profondamente im-merso.

1 temi di indagine riguardanti le modalità dei processi tecnologi-ci e produttivi (considerati nelle loro fasi di ideazione, progettazio-ne, attuazione e utilizzazione, anche con la loro eventuale riprodu-zione in classe, in forma semplificata) potranno opportunamentecollegarsi con visite ad aziende agricole, artigiane e industriali.

L’insegnante cercherà di fare emergere dalle discussioni di gruppogli eventuali errori compiuti nell’attività di ricerca e nella conse-guente interpretazione dei risultati. Ciò in relazione alla necessitàdi motivare negli alunni il superamento di quegli errori.

La motivazione potrà essere rafforzata anche facendo richiamoalla storia della scienza: vi si troveranno molti riferimenti a pro-gressi che si sono verificati proprio in conseguenza dell’accertatainadeguatezza di spiegazioni date in precedenza sulla base di cono-scenze e tecniche di indagini più limitate.

S TORIA - GEOGRAFIA - STUDI SOCIALI

L’oggetto di queste discipline è lo studio degli uomini e dellesocietà umane nel tempo e nello spazio, nel passato e nel presentee riguarda tutte le loro diverse dimensioni: quella civile, culturale,economica, sociale, politica, religiosa.

L’insegnante nell’impostare il suo insegnamento non potrà pre-scindere dalla conoscenza delle metodologie e tecniche di analisiproprie dell’intero campo delle scienze sociali: storiche, antropolo-giche, geografiche, sociologiche, economiche, ecc.

L’obiettivo generale è quello di stimolare e sviluppare nei fan-ciulli il passaggio dalla cultura vissuta, assorbita direttamente dal-l’ambiente di vita, alla cultura come ricostruzione intellettuale.

Storia

La tradizione culturale e pedagogica italiana ha sempre dedicatoattenzione particolare alla comprensione storica e alla possibilitàdi inquadrare i problemi sotto il profilo storico.

In questa prospettiva pare necessario considerare i significati

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della storia intesa: come realtà del passato, come memoria collettivao insieme di tradizioni culturali che incidono sul presente, comericerca storiografica che, pur collegandosi alla memoria collettiva,tende a superarla per rinnovare il rapporto tra presente e passato.

Un efficace insegnamento della storia non si risolve nella infor-mazione su avvenimenti e personaggi del passato. È anzitutto pro-mozione delle capacità di ricostruzione dell’immagine del passatomuovendo dal presente e di individuazione delle connessioni trapassato e presente.

La ricostruzione del fatto storico deve essere indirizzata a pro-muovere sia la capacità di usare in modo via via più produttivoi procedimenti della ricerca storica, sia la comprensione sempre piùapprofondita del fatto storico stesso.

In tal modo gli alunni, nei limiti delle loro possibilità psicologi-che, perverranno a una assunzione non dogmatica delle conoscenzestoriche, acquistando progressivamente un’agile capacità critica.

L’insegnamento della storia richiede il puntuale e continuo rife-rimento alla concreta realtà nella quale il fanciullo è inserito edesige che il docente realizzi un’adeguata scelta ed una funzionaleorganizzazione dei contenuti dell’apprendimento storico.

Obiettivi e contenuti

L’insegnamento della storia persegue due obiettivi generali:

a) avviare il fanciullo a costruire la propria identità culturalecome presa di coscienza della realtà in cui vive;

b) avviare il fanciullo alla costruzione di elementari atteggia-menti e strumenti conoscitivi essenziali per la comprensione deifenomeni storici e sociali.

1 due obiettivi generali sopra detti si fondano sul perseguimentodi obiettivi specifici quali:

- il superamento da parte del fanciullo della percezione disé come perno e misura della realtà per avviarsi a sentire se stessopartecipe di un processo che ha radici e dimensioni che lo travalicano;

- la consapevolezza che ogni giudizio e ogni discorso storicodevono avere la loro fondazione nella ricerca e nella conoscenzadelle fonti e nel rigore metodologico;

- la graduale maturazione della coscienza che la ricostruzio-ne del fatto storico è il risultato di un complesso di operazionitecniche e scientifiche progredienti nel tempo ed attivate dagli inte-ressi culturali e civili del ricercatore.

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Della complessa concezione del tempo storico sembra opportu-no, in relazione alle esperienze dell’età infantile, introdurre alcuniaspetti fondamentali:

- la cronologia, intesa quale strumento convenzionale indi-spensabile per ordinare e memorizzare gli eventi del passato;

- la periodizzazione, intesa quale strumento per delimitaree interpretare i fenomeni storici complessivi;

- la crescente consapevolezza che i problemi con i quali l’uo-mo si è dovuto confrontare si sono presentati in modi diversi edhanno avuto soluzioni diverse in rapporto alle condizioni generali,ovvero ai «quadri di civiltà», che hanno caratterizzato i vari periodidella storia umana.

Inizialmente si promuoverà nell’alunno l’acquisizione delle coor-dinate spazio-temporali.

Infatti la storia, almeno come materia scolastica, è la ricostru-zione e la narrazione di eventi che avvengono in determinate locali-tà e in un certo periodo di tempo.

Il sapere distinguere il prima dal dopo ed il lontano dal vicinosono degli obiettivi fondamentali da conseguire per introdurre aduno studio dei fatti storici.

In questa fase si procederà sul terreno della massima concretez-za facendo, per esempio, osservare la successione di generazioni,si incoraggerà l’osservazione dell’ambiente in cui il fanciullo si muovee lo si avvierà ad una prima sistemazione delle « c o s e » nello spazio.

Si farà notare che alcune « c o s e » che condividono uno stessospazio non sono nella medesima relazione per quanto riguarda iltempo.

Appena si verifichi la disponibilità ad un apprendimento piùspecifico, eventualmente anche nel corso del secondo anno, si gui-deranno gli alunni ad individuare alcuni passaggi significativi nelprocesso di cambiamento storico delle realtà a loro più vicine (lacittà o il paese, i mestieri, gli strumenti di uso quotidiano e lepiù diffuse tecnologie, le forme di organizzazione sociale, produtti-va, culturale, religiosa) rimanendo nel campo di indagine esperibiledirettamente dagli alunni medesimi, ma non escludendo la ricercadi documentazioni significative anche nel passato più lontano.

In sostanza, si introdurrà l’alunno nel mondo della storia, gui-dandolo alla ricostruzione storica del suo ambiente di vita.

Accertata la possibilità, in questo ambito, di cogliere il signifi-cato degli avvenimenti storici, a partire dal terzo anno della scuola

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elementare, si avvierà uno studio che progressivamente porti il fan-ciullo dalla interpretazione della storia del suo ambiente di vitaalla storia dell’umanità e, in particolare, alla storia del nostro Paese.

Tale studio porrà peculiare attenzione ai momenti di promozio-ne e trasformazione delle civiltà, colti nel tessuto di una periodizza-zione essenziale. In seno a questa periodizzazione si fisseranno cro-nologicamente i più rilevanti avvenimenti civili, sociali, politici, re-ligiosi di cui sono stati protagonisti i popoli, personalità e formedi organizzazione sociale, che nel tempo hanno contraddistinto l’e-volversi della società umana.

Pare opportuno che il fanciullo, nel quinquennio del corso ele-mentare, pervenga ad una visione sufficientemente articolata deimomenti significativi della storia, connettendoli in un quadro cro-nologico a maglie larghe.

In particolare saranno oggetto di approfondimento i fatti, gliavvenimenti, i personaggi che hanno contribuito a determinare lecaratteristiche civili, culturali, economico-sociali, politiche, religio-se della storia d’Italia, con specifico riferimento al processo cheha condotto alla realizzazione dell’unità nazionale, nonché alla con-quista della libertà e della democrazia.

Indicazioni didattiche

Il processo di insegnamento-apprendimento prenderà avvio dal-la costruzione di domande didatticamente motivate da rivolgere alpassato. Esse nasceranno dalla riflessione su ciò che è presente nel-la esperienza e nella cultura del fanciullo, al fine di facilitare lacomparazione tra presente-passato, tra vicino-lontano.

La didattica della storia dovrà avvalersi, per quanto lo consentel’età e la concreta situazione scolastica, delle modalità della cono-scenza storiografica, recuperandone gli itinerari fondamentali: dallaformulazione di domande al reperimento di fonti pertinenti, allaanalisi e discussione della documentazione, al confronto critico frale diverse risposte. Nel sottolineare che la storia prima di esserenarrazione dei fatti è loro ricostruzione sulla base di documenti,sarà necessario procedere con molta gradualità.

All’inizio si potrà guidare l’alunno a ricostruire il fatto e a rior-ganizzare il recente passato sulla base dei suoi ricordi e delle testi-monianze offerte dagli adulti e dall’ambiente (utilizzando anche ido-nei strumenti didattici, come le «fasce storiche» o i cartelloni disintesi o semplici monografie per dare evidenza concreta al lavorodi ricostruzione). In un secondo momento si indurrà l’alunno a ri-

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flettere sui problemi metodologici che tale ricostruzione presenta(ad es.: l’attendibilità di un ricordo o di una testimonianza, oppurele varie e possibili interpretazioni di uno stesso dato) e quindi aleggere in modo sempre più consapevole i risultati di ricerche com-piute da altri.

In questo processo conoscitivo la narrazione storica si configurasoprattutto come strumento utile per comunicare sia le conoscenzeritenute necessarie in particolari momenti dell’azione didattica (quan-do si tratti, ad esempio, di raccordare i dati emersi dai documentiaccessibili all’alunno con altri dati di conoscenza), sia i risultatifinali raggiunti (per organizzare, comunicare e confrontare le cono-scenze acquisite). Se utilizzata invece in apertura del processo co-noscitivo, la narrazione rischia di ostacolare le diverse e successiveoperazioni.

Nell’affrontare la costruzione di una più ampia periodizzazionel’insegnante eviterà che l’alunno percepisca, come progressione de-terministica, la successione dei vari tipi di società fatti oggetto distudio, facendo rilevare come nello stesso tempo possano coesisterediverse società e come, all’interno di una società moderna, possanosussistere, integrati, alcuni elementi di realtà sociali del passato.

Geografia

La geografia rileva e interpreta i caratteri dei paesaggi geografi-ci, studia i rapporti tra l’ambiente e le società umane, elabora epropone modelli di spiegazione dell’intervento degli uomini sul ter-ritorio.

L’ambiente, oggetto della geografia, andrà considerato pertantonella sua globalità, come risultante delle interazioni che si verifica-no tra tutte le sue componenti. 1 caratteri fisici dell’ambiente nonpossono essere interpretati come condizionamenti assoluti delle scelteoperate dagli uomini: l’ambiente medesimo è, in qualche misura,prodotto dell’azione degli uomini.

Il concetto fisico di spazio è anche oggetto di studio delle scien-ze naturali (astronomia, geologia, ecc.): l’insegnamento della geo-grafia, oltre al concetto fisico di spazio, dedicherà opportuna atten-zione ai modi ed agli effetti della esperienza degli uomini sul terri-torio.

Tra l’altro, ciò dovrà far emergere la consapevolezza che le de-cisioni di intervento sul territorio non dovranno essere riferite esclu-sivamente ai bisogni degli uomini; dovranno essere tenute in debita

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considerazione anche le esigenze delle componenti non antropiche,specie di quelle appartenenti alla biosfera (del regno animale e diquello vegetale, ad esempio).

In questo contesto dovrà essere promossa e progressivamenterafforzata la responsabile attenzione del fanciullo al problema eco-logico.

Riuscirà utile tener presenti vari aspetti del concetto di spazioelaborati dal geografo:

- lo spazio fisico come condizione e come risultato dell’in-tervento dell’uomo sul pianeta; le possibilità, i vincoli, i problemiche pone, le trasformazioni che subisce;

- lo spazio rappresentativo come espressione di sistemi di va-lori (i luoghi di incontro e di scambio, di celebrazione sacra e profa-na, di sede dell’autorità, ecc.);

- lo spazio progettato come campo di azioni possibili o ipo-tesi di intervento (insediamenti, utilizzazione del suolo, comunica-zioni, pianificazione territoriale);

- lo spazio codificato convenzionalmente dalla cartografia eda modelli rappresentativi che utilizzano i linguaggi scientifici.

Su questa base l’insegnamento della geografia permette di ela-borare un concetto di <<paesaggio geografico)> inteso come costruzio-ne di sintesi controllabili dei modi utilizzati dagli uomini per inte-ragire con la natura e dei rapporti culturali, economici e socialioperanti nelle società stesse e fra società diverse.

Obiettivi e contenuti

L’insegnamento della geografia si propone di rendere capace l’a-lunno di orientarsi e collocarsi nello spazio vissuto dagli uominiutilizzando le conoscenze e gli strumenti concettuali e metodologicinecessari per la comprensione dell’interazione uomo-ambiente.

Si tratta di far acquisire uno specifico modo di osservare edun linguaggio appropriato per descrivere e per rappresentare.

Questo obiettivo generale si consegue attraverso l’acquisizionee l’integrazione reciproca delle capacità operative:

- di rappresentare mentalmente lo spazio, acquisendo pa-dronanza delle nozioni di punto e sistema di riferimento, posizionerelativa, percorso e spostamento;

- di osservare un ambiente e scoprirne gli elementi costitu-tivi fisici e antropici;

- di mettere in relazione fra di loro gli elementi di un am-

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biente, evidenziando le diverse funzioni ed i vari rapporti che essihanno anche con un più vasto contesto;

- avvalendosi della scoperta degli elementi fisici e antropiciosservati nell’ambiente vicino, di passare all’osservazione, sia pureindiretta, di ambienti diversi, descrivendoli in modo via via piùanalitico e differenziandoli secondo i loro caratteri geografici;

- di utilizzare mezzi diversi di descrizione linguistica e dirappresentazione grafica;

- di costruire e di interpretare, a livelli crescenti di difficol-tà, mappe e carte diverse per contenuto e scala, imparando a sce-gliere quelle più adeguate agli obiettivi, a orientarsi su di esse, ea confrontare le informazioni che offrono con quelle desumibili daaltre fonti;

- di ricercare l’informazione geografica, imparando a racco-gliere, selezionare e controllare i dati presenti in atlanti, libri, pe-riodici, annuari statistici, ecc., relativi ad ambienti direttamenteo indirettamente conosciuti o che si vogliono conoscere.

Alla fine della scuola elementare l’alunno dovrà essere in gradodi comprendere, di porre in rapporto fra di loro e di localizzaresulle carte geografiche i fenomeni studiati.

Per promuovere l’acquisizione di queste capacità, si potrà tenerconto dei nuclei tematici che qui di seguito si elencano.

La loro progressione va intesa soprattutto come graduale pas-saggio da situazioni più semplici a situazioni più complesse, poichél’intreccio tra esperienze dirette nell’ambiente ed esperienze media-te soprattutto tramite i mass media, non consente di distingueretroppo nettamente il « v i c i n o » dal «lontano».

A) Muovendo dall’orientamento nello spazio dell’alunno e dal-le conoscenze che egli possiede sul suo ambiente di vita, l’insegnan-te favorirà lo sviluppo delle capacità di rappresentazione dello spa-zio. 1 primi oggetti di indagine possono essere, ad esempio, la stra-da, la casa, gli spazi della scuola, i percorsi abituali, i luoghi divacanza, ecc.

B) In continuità con le predette ricognizioni, sempre in rife-rimento ad ambienti specificamente individuati, verranno enucleatie correlati tra loro gli aspetti geograficamente significativi del terri-torio: i caratteri fisici e naturali, gli elementi artificiali, le attivitàeconomiche, sociali e culturali e gli spazi da esse utilizzati e trasfor-mati.

Si costruiranno così progressivamente i primi schemi di riferi-

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mento e le prime chiavi di lettura dei «paesaggi geografici»; si po-tranno considerare, ad esempio, i rapporti fra l’ambiente e i diversimodi di utilizzarne le risorse, fra la flora e la fauna potenziale equella introdotta dalle coltivazioni e dagli allevamenti, fra questie le abitudini alimentari, fra le forme fisiche e gli insediamenti,le vie di comunicazione, ecc.

C) Dal confronto fra ambienti diversi (utilizzando anche rife-rimenti ad ambienti naturali tipici di varie zone della Terra) e so-prattutto dalla comprensione della ampiezza del sistema di relazioniche coinvolgono e condizionano ciascun ambiente o paesaggio saràpossibile evidenziare i problemi e le soluzioni adottate dalle diversepopolazioni.

L’attività di ricerca geografica potrà essere attuata con partico-lare riferimento al territorio e alla società italiana, alle sue trasfor-mazioni, ai suoi paesaggi fondamentali (le pianure, le zone costiere,le zone alpine e appenniniche), ai suoi problemi e ai suoi squilibriinterni (città-campagna, Nord-Sud, zone sviluppate-zone depresse),ai più stretti ed evidenti rapporti internazionali, in particolare coni paesi del Mediterraneo e dell’Europa.

In questa fase viene avvertita la necessità di un uso più appro-priato degli strumenti cartografici e di rappresentazione convenzio-nale indicati.

D) Particolare attenzione sarà, infine, rivolta ad un appro-fondimento dei rapporti che la moderna società industriale intrat-tiene con il territorio e specialmente:

- alle modalità di sfruttamento delle risorse naturali e airelativi problemi di conservazione e protezione dell’ambiente;

- ai caratteri fondamentali del paesaggio industriale e urbano;- alle relazioni significative che legano la città alla campa-

gna, l’attività industriale a quella agricola, le zone di sviluppo eco-nomico a quelle del sottosviluppo.

Indicazioni didattiche

La complessiva esperienza di vita degli alunni offre parecchiesollecitazioni per l’attività didattica relativa all’apprendimento dellageografia. Gli avvenimenti di attualità, le trasmissioni televisive,i films documentari, i viaggi, le vacanze, le escursioni didattiche,il rapporto diretto con l’ambiente offrono occasioni per l’avvio diconversazioni e per successivi lavori di ricerca.

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Le attività volte ad esplorare e conoscere gli spazi e gli ambientidevono essere intenzionali e ogni volta guidate da problemi e daproposte di ipotesi.

D’altra parte, l’insegnamento della geografia dovrà essere svoltoin stretta connessione con le altre discipline, non solo con la storiae le conoscenze sociali, ma anche con l’educazione motoria per quantoriguarda la comprensione delle relazioni spaziali, con le scienze perl’acquisizione delle abilità di misurazione e per le conoscenze relati-ve all’ambiente fisico-naturale, ai fattori climatici, all’assetto geolo-gico del territorio, ecc.

L’esplorazione degli spazi direttamente esperibili dagli alunni(l’aula, la casa, la scuola, le vie del quartiere, ecc.) può essere fina-lizzata, oltre che allo sviluppo della capacità di orientamento, diosservazione e descrizione, alla lettura dei diversi modi di organiz-zazione e rappresentazione dello spazio.

Senza indulgere a prematuri tecnicismi sarà opportuno utilizza-re e, nei limiti del possibile, far produrre una gamma significativadi materiali e di tecniche di rappresentazione, al fine di avviaregli alunni alla scoperta della convenzionalità delle simbologie utiliz-zate nella rappresentazione geografica, della funzionalità delle di-verse rappresentazioni e scale, a seconda dei problemi che si inten-dono affrontare.

L’adozione di procedure operative e l’uso degli strumenti tecni-ci non dovranno in ogni caso esaurirsi in esercitazioni fini a sestesse, ma essere funzionali ad un accrescimento di conoscenze si-gnificative e collegati, pertanto, ad un motivato itinerario di ricercasugli ambienti.

Studi sociali e conoscenza della vita sociale

Poiché la scuola elementare si propone di porre le basi per la for-mazione del cittadino e per la sua partecipazione attiva alla vita socia-le, politica ed economica del Paese, è essenziale che essa fornisca glistrumenti per un primo livello di conoscenza dell’organizzazione dellanostra società nei suoi aspetti istituzionali e politici, con particolareriferimento alle origini storiche e ideali della Costituzione.

Obiettivi e contenuti

Mentre la formazione al confronto con gli altri, allo spirito cri-tico, alla convivenza democratica costituisce un obiettivo e un me-todo comune a tutti gli insegnamenti, è compito specifico del setto-

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re degli studi sociali, sulla base delle finalità generali indicate, per-seguire i seguenti obiettivi:

- far acquisire conoscenza riflessa delle regole e delle normedella vita associata, in particolare di quelle che consentono processidemocratici di decisione;

che in- far acquisire consapevolezza del significato della legge an-funzione della comprensione dei fondamenti del sistema giu-

ridico propri di uno stato di diritto;- avviare all’acquisizione di strumenti per la comprensione

del sistema economico e della organizzazione politica e sociale, sce-gliendo contenuti e modalità di lavoro adeguati alle capacità deglialunni;

- favorire atteggiamenti di disponibilità alla verifica, per sot-trarre quest’area conoscitiva ad una trasmissione ideologica.

Indicazioni didattiche

La selezione più particolare dei contenuti e metodi e la loroarticolazione sarà compiuta nell’ambito della programmazione. Siindicano qui solo alcuni criteri in base ai quali è possibile compierescelte adeguate:

a) nella scuola elementare è indispensabile partire da quegliaspetti della organizzazione sociale che appartengono al contestodi vita del fanciullo e gli sono più vicini o comunque più facilmenteaccessibili. E ciò che si indica spesso come indagine d’ambiente(ad esempio: la famiglia, la scuola, il quartiere, il paese, le attivitàpresenti nella comunità, il Comune, ecc.) che può rappresentarecontenuto significativo e motivante per cominciare ad individuarei fattori rilevanti dell’organizzazione sociale e le loro dinamiche in-terrelazioni. Infatti l’esperienza quotidiana del fanciullo richiede in-terventi didattici di chiarificazione, di semplificazione, di ridefini-zione terminologica e concettuale, in breve di mediazione e di siste-mazione;

b) anche in relazione con i temi che verranno scelti comeoggetto di specifiche indagini di carattere storico e geografico, sipotranno affrontare, negli anni successivi, quei problemi che con-sentono di cogliere i caratteri essenziali del sistema sociale ed isti-tuzionale;

c) per rendere possibile al ragazzo che esce dalla scuola ele-mentare il procedere nella conoscenza e nella comprensione del mon-do sociale, è necessario prendere in esame anche elementi relativi

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alla organizzazione politica nazionale ed internazionale (con parti-colare riguardo all’Europa comunitaria) e al sistema giuridico chela regge.

Lo studio dei caratteri fondamentali della nostra Costituzione,visti anche nelle loro matrici storiche ideali, consente di individua-re gli elementi portanti del nostro sistema democratico (diritti dilibertà, eguaglianza e giustizia sociale, principio e organizzazionedella rappresentanza, ecc.) come sistema aperto al confronto e allatrasformazione.

RELIGIONE

La scuola riconosce il valore della realtà religiosa come un datostoricamente, culturalmente e moralmente incarnato nella realtà so-ciale in cui il fanciullo vive.

Partendo, perciò, dall’esperienza comunque acquisita dall’alun-no e anche al fine di consentirgli un rapporto consapevole e com-pleto con l’ambiente, è compito della scuola promuovere, nel qua-dro degli obiettivi educativi e didattici indicati dai programmi:

a) la conoscenza degli elementi essenziali per la graduale ri-flessione sulla realtà religiosa nella sua espressione storica, cultura-le, sociale;

b) la conoscenza e il rispetto delle posizioni che le personevariamente adottano in ordine alla realtà religiosa;

c) la consapevolezza dei principi in base ai quali viene assicu-rato nella scuola elementare lo svolgimento di specifici programmidi religione, nel rispetto del diritto dei genitori di scegliere se avva-lersene o non avvalersene.

Questi principi possono essere così sintetizzati:- riconoscimento dei valori religiosi nella vita dei singoli

e della società;- rispetto e garanzia del pluralismo religioso;- rispetto e garanzia della libertà di coscienza dei cittadini;- impegno dello Stato ad assicurare nelle scuole lo svolgi-

mento di specifici programmi di religione, definiti con Decreto delPresidente della Repubblica sulla base di intese tra lo Stato e leconfessioni religiose riconosciute. Infatti, nel nuovo accordo perla riforma del Concordato stipulato tra lo Stato e la Santa Sede,

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è stabilito, per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, che la Repub-blica Italiana <(riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenen-do conto che i principi del Cattolicesimo fanno parte del patrimo-nio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadrodelle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolicanelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educati-va dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avva-lersi o non avvalersi di detto insegnamento».

Lo Stato, inoltre, con le norme per la regolazione dei rapporticon le Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese «assicura il dirittodi rispondere alle eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalleloro famiglie o dagli organismi scolastici in ordine allo studio delfatto religioso e delle sue implicazioni».

EDUCAZIONE ALL’IMMAGINE

1 caratteri di questa forma di educazione sono ricavabili dalconcetto di «immagine».

L’immagine è un messaggio, cioè una sequenza di segni, suoni,forme, ecc., con la quale si intende comunicare qualcosa. Perciò, l’im-magine si delinea come un certo modo di considerare la realtà, nondisegnandone una copia, elaborandone bensì una rappresentazione.

L’immagine è un messaggio affidato a una pluralità di segni nonriducibili a un solo codice: ad esempio, l’immagine filmica o televi-siva è, nel contempo, parola, immagine, suono.

Per rendere comprensibile l’immagine e, quindi, assumerla infunzione educativa, si deve essere in grado sia di decodificare icodici utilizzati (parola, suono, movimento; forma, colore; ecc.),sia di interpretarne il contesto comunicativo.

L’educazione all’immagine si delinea come attività diretta al con-seguimento della competenza espressiva e comunicativa; avere que-sta competenza significa divenire capaci di tradurre in un messag-gio la propria esperienza e di conoscere i vari sistemi di segni pro-pri dell’ambiente culturale in cui si vive.

In questa prospettiva, l’educazione all’immagine si affianca al-l’educazione linguistica, all’educazione musicale, all’educazione mo-toria, ecc., in quanto l’immagine, come la lingua verbale, il suonomusicale, il gesto, ecc., appartiene all’universo del linguaggio, inte-so come opportunità di simbolizzazione, espressione, comunicazione.

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Peraltro, con l’educazione all’immagine si pone in evidenza chela ricchezza del vivere umano non è conoscibile ed esprimibile soloattraverso i sistemi di segni, perché vi è il mondo delle forme, delleraffigurazioni, dei colori, del movimento, ecc., con i quali ci si puòesprimere e si può comunicare.

La competenza comunicativa è acquisita sia quando il fanciulloè guidato a leggere le immagini, sia quando egli si dedica a produr-le. Il fanciullo scopre abbastanza presto che le immagini hanno unsignificato e che egli, progettando e realizzando sequenze di imma-gini, anche con l’utilizzazione di tecniche e media diversi, promuo-ve la sua conoscenza dei linguaggi iconici.

Non va persa di vista, tuttavia, l’opportunità di distinguere leimmagini che derivano dalle attività del disegnare, dipingere, mo-dellare, incidere, dalle immagini che rimandano alle tecnologie deimezzi di comunicazione di massa, quali telecamera, cinepresa, mac-china fotografica, ecc..

E una distinzione rilevante, perché dovrebbe favorire nell’alun-no la percezione sia del potenziale ideativo-creativo proprio dell’in-tenzionalità comunicativa, sia il limite imposto dalla struttura delmezzo tecnologico.

L’educazione all’immagine prende il via sul piano operativo coni linguaggi plastici e figurativi già sperimentati nel periodo dellascuola materna. Il fanciullo si inserisce nella realtà sfruttando leproprie capacità sensoriali: toccando e vedendo apprende e capisce.Nell’ambito di questo rapporto con l’ambiente occorre, pertanto,potenziare tutti i canali espressivi legati alle esperienze cinesteti-che, tattili e visive, in modo da offrire all’alunno l’occasione difondere elementi diversi e di tradurli in forme nuove e significanti.Queste attività mirano a educare nell’alunno la capacità di rappre-sentare in modo personale i contenuti dell’esperienza.

Le esperienze effettuate con vari mezzi espressivi dovranno sol-lecitare l’alunno a decodificare i dati acquisiti, a dissociarli, a elabo-rarli prima di ricostituirli in modi e forme nuovi. Ogni materialesfruttato in chiave espressiva diventa un medium ricco di possibili-tà diverse.

L’alunno, facendo esperienza con più media, si abitua a fronteg-giare le situazioni nuove, affina il proprio senso critico, acquisiscela capacità di trovare ordine e forma, di ristrutturare e individuarenuovi rapporti. I mezzi di espressione visuale possono essere rein-ventati e gestiti dal fanciullo e offrono, quindi, un positivo contri-buto allo sviluppo del pensiero creativo.

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Le attività legate all’immagine consentono di promuovere anchele prime esperienze di educazione estetica, abbiano esse carattereespressivo-creativo che fruitivo-critico.

L’educazione all’immagine è finalizzata al conseguimento di questiobiettivi:

- promuovere un primo livello di alfabetizzazione intesa co-me acquisizione critica dei linguaggi iconici, attivando l’espressionee la comunicazione delle esperienze, nonché la decodificazione ela interpretazione delle immagini, e consolidando progressivamentela competenza comunicativa;

- potenziare la creatività espressiva che è carattere comunea tutti gli individui ed è educabile;

- accostare alla varietà dei beni culturali, con particolareriferimento a quelli presenti nell’ambiente, e in particolare alle ope-re di scultura e pittura, di arte decorativa, del teatro, del cinema,ecc., incentivare la maturazione del gusto estetico, in modo da ren-dere sempre più ricca la comprensione del «messaggio» dell’operad’arte.

Il rapporto di interazione tra il fanciullo e l’ambiente è fonda-mentale per qualsiasi attività espressiva e comunicativa che, in ognicaso, deve scaturire dall’esigenza di manifestare i contenuti dell’e-sperienza razionale e affettiva.

Si tratta di un rapporto che non può essere compromesso dastereotipi retorici e banalizzanti.

Allo scopo di stimolare le attività espressivo-comunicative si pos-sono prendere in considerazione:

- le esperienze vissute (per esempio, giochi, eventi quotidia-ni, avventure, viaggi, feste, cerimonie familiari, religiose e tradizio-ni locali);

- le storie di persone, di personaggi reali e immaginari, pro-tagonisti di storie lette, ascoltate, viste, inventate, le storie di animali;

- gli aspetti dell’ambiente.

In questo ambito è indispensabile fare ricorso a una varietà dimateriali e di procedimenti, nonché a una serie di contatti e diitinerari guidati. Per quanto concerne i procedimenti, al fine dievitare il pericolo di un vuoto tecnicismo, occorrerà tenere presentigli obiettivi che di volta in volta si potranno perseguire, la natura

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dei mezzi utilizzati e il loro grado di rispondenza sia ai livelli disviluppo del fanciullo, che alla natura degli argomenti presi in con-siderazione. A titolo puramente indicativo si ipotizzano alcune atti-vità in vista di obiettivi specifici. Si tratta di una elencazione che,entro certi limiti, implica una intrinseca articolazione temporale,nel senso che alcune attività vanno prese in considerazione solodopo che ne saranno state proposte altre più semplici e rispondentiai procedimenti di figurazione del fanciullo,

- Modellare sabbia, creta, cere e paste di vario tipo, ecc.,per favorire la percezione tridimensionale, il contatto diretto conla materia, la coordinazione delle braccia, delle mani, delle dita.

- Disegnare e dipingere, per favorire opportunità di espres-sione e, implicitamente, il riconoscimento e la riproduzione delleforme e dei colori, la coordinazione occhio-mano, lo sviluppo delsenso estetico.

- Utilizzare materiali di varia provenienza per realizzare col-lages, stampe, composizioni e costruzioni.

- Incidere materie diverse (per esempio, vegetali, linoleum,ecc.) e rilevare impronte da varie superfici.

- Collegare l’immagine e la parola mediante la realizzazionedi fumetti per aiutare il fanciullo a superare difficoltà di verbalizza-zione, ad acquisire migliori strutturazioni spazio-temporali e a co-gliere le differenze tra discorso diretto e discorso indiretto (prepa-razione di fumetti sulla base di scalette predisposte in precedenza).

- Osservare le immagini fotografiche per interpretarne il si-gnificato e per avviare al riconoscimento dei campi, dei piani, dellediverse angolazioni e di altri elementi compositivi quali il biancoe il nero, il colore, le luci.

- Fotografare oggetti e situazioni da differenti angolazioni,in bianco e nero e a colori, in posa o istantanea, per confrontaremodi diversi di rappresentare la realtà, collegandoli alle personaliesigenze di espressione e comunicazione.

- Costruire sequenze con disegni, fotografie e diapositive,raccontando storie e documentando ricerche, anche per acquisireuna migliore strutturazione spazio-temporale.

- Conoscere il mezzo cinematografico per comprenderne imessaggi, intuire i significati delle inquadrature e delle sequenzee conoscere le fasi di lavorazione.

- Produrre films a passo ridotto, collegati all’esigenza di co-municare ed esprimersi.

- Conoscere la produzione televisiva per avviare a una let-

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tura selettiva dei programmi e ad una prima conoscenza delle pecu-liarità tecniche e comunicative del mezzo televisivo.

- Avviare, quando ciò sia possibile, alla conoscenza e all’u-SO della telecamera e del videotape.

Indicazioni didattiche

Anche le attività legate all’immagine comportano una precisaazione didattica. Occorre pertanto superare la tendenza al non in-tervento nell’attesa di un prodotto infantile che dovrebbe manife-starsi in modo del tutto spontaneo. Il fanciullo può esprimersi inmodo personale solo se opportunamente guidato in situazioni ricchedi stimoli e di materiali adatti. Sarà, pertanto, necessario:

- motivare, organizzare e arricchire l’esperienza espressivadell’alunno, evitando di ricorrere a metodi, strumenti e modelli chenon promuovano la creatività (ad esempio, disegni da completareo solo da colorare, sagome);

- rimuovere blocchi psicologici e difficoltà espressive e co-municative, aiutando il fanciullo, anche mediante il dialogo, a ri-flettere sui contenuti delle sue realizzazioni;

- conoscere le caratteristiche dell’evoluzione grafica e pla-stica infantile, al fine di rispettare il principio della gradualità, pre-disponendo anche i materiali meglio rispondenti a quei livelli disviluppo;

- organizzare l’ambiente scolastico fornendolo di una ade-guata varietà di materiali e di strumenti, non dimenticando chele possibilità espressive del fanciullo variano in rapporto agli stimoliche egli riceve dall’ambiente stesso;

- dare, al giusto momento, tutti quei suggerimenti che sirendono necessari per la migliore utilizzazione dei mezzi e deglistrumenti.

L’eventuale intervento correttivo va effettuato attraverso il gio-co e altre attività. Per quanto riguarda in particolare il disegnoe il modellamento c’è da tener presente che questi linguaggi sonostrettamente legati a una capacità di rappresentazione spaziale an-cora in fase di sviluppo.

Sarebbe, pertanto, controproducente costringere il fanciullo araddrizzare una figura rovesciata, a modificare le proporzioni, ariempire uno sfondo con un determinato colore. Certe carenze po-tranno essere colmate anche proponendo esperienze con mezzi espres-sivi diversi.

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La creatività deve essere stimolata, facendo ricorso a tipi dimetodologia attiva, ricca di sollecitazioni, utilizzando proposte crea-tive (giochi e sperimentazioni).

1 linguaggi iconici devono servire a cogliere tutte le esperienzee gli elementi di natura percettiva, tattile, visiva, cinestetica, chein altre forme di comunicazione sarebbero destinati a perdere granparte della loro identità. Un processo di integrazione attuato dal-l’interno può configurarsi in una molteplicità di rapporti interdisci-plinari. Mediante l’incontro di più linguaggi si possono realizzareprodotti espressivi autonomi come il fumetto, la fotostoria, la dia-positiva sonorizzata, la sequenza di trasparenti per la lavagna lumi-nosa, la storia e il reportage televisivo, il film, nonché molte formedi rappresentazione teatrale (mimodramma, teatro-danza, teatro delleombre, teatro delle marionette e dei burattini). Il teatro dei burat-tini, in particolare, costituisce una delle migliori occasioni per ren-dere vivo e operante il principio della integrazione.

Quando il fanciullo comincia a maturare le facoltà critiche eacquisisce una maggiore capacità di riflessione, ha bisogno di esseresostenuto, incoraggiato, indirizzato verso nuove esperienze. Nel mo-mento in cui affiora, per esempio, l’esigenza della verosimiglianza,si possono introdurre il disegno dal vero e la fotografia e metterlial servizio dell’espressione e della documentazione.

Al fanciullo che, uscendo dal momento egocentrico, cominciaad aprirsi agli interessi di gruppo, si possono proporre realizzazionicollettive (dipinti, collages, lavori teatrali, audiovisivi) secondo ilprincipio della suddivisione dei compiti,

Questo tipo di attività educa socialmente l’alunno. Il primo in-contro con le opere d’arte deve essere facilitato agli alunni, avva-lendosi anzitutto del patrimonio artistico dell’ambiente. In assenzadi tale diretto riferimento, si utilizzeranno riproduzioni a colorie diapositive che saranno presentate per promuovere negli alunnil’osservazione attenta dell’opera d’arte, allo scopo di maturare unainiziale sensibilità estetica.

Naturalmente questo criterio metodologico può essere utilizzatoanche per altri prodotti legati all’immagine (raccolte di fotografiee di manifesti, fumetti, films, trasmissioni televisive). In questo cam-po si dovranno prevedere contatti con gli enti pubblici territorialie altre istituzioni e forme di collaborazione con gli esperti dellesezioni didattiche dei musei, delle biblioteche, delle cineteche.

Nell’ambito dell’espressione grafica e plastica l’oggetto della va-lutazione non è l’idea del bello e della rassomiglianza con la rea@

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ma la linea di sviluppo della produzione del fanciullo nelle sue com-ponenti intellettive, sociali, estetiche e creative. L’insegnante do-vrebbe essere in possesso di una informazione di base intorno allafenomenologia della rappresentazione plastica, grafica e pittorica perarrivare a una più attenta e comprensiva valutazione dei prodottiinfantili.

In mancanza di locali appositi, l’aula potrà essere facilmenteorganizzata in vista delle attività che si vorranno proporre agli alunni.Si tratterà di utilizzare i banchi come delle unità mobili per crearegli spazi per il lavoro singolo, per il lavoro di gruppo, per l’incisionee la stampa, per il modellamento, per la realizzazione di diapositivesu carta lucida. Materiali e strumenti dovranno essere accessibilia tutti e verranno usati secondo il principio della comunanza deimezzi e della responsabilità comune.

E DUCAZIONE AL SUONO E ALLA MUSICA

La realtà acustica n e l l a natura e nella cultura

Il complesso mondo dei suoni, costituito dalla realtà acustica«naturale» e prodotto dalle culture e dalle tecnologie, ha sempreavuto un ruolo di primo piano nella vita del fanciullo e in modoparticolare nel processo cognitivo. Oggi, con la diffusione delle di-verse forme di comunicazione audiovisiva, esso assume certamenteuna rilevanza formativa e informativa notevole.

L’educazione al suono e alla musica ha come obiettivi generalila formazione, attraverso l’ascolto e la produzione, di capacità dipercezione e comprensione della realtà acustica e di fruizione deidiversi linguaggi sonori.

1 fenomeni acustici della natura, della civiltà urbana e contadi-na e la produzione musicale dei popoli dei differenti paesi ed epo-che storiche sono il campo delle attività di esplorazione, conoscen-za e apprendimento.

Le diverse attività dell’educazione musicale debbono essere sem-pre finalizzate a far realizzare ai fanciulli concrete e autentiche espe-rienze d’incontro con la musica.

L’operatività degli alunni è una componente indispensabile ditutte le attività, dalle più semplici alle più complesse, sia nella fasedell’ascolto (percezione, selezione, strutturazione dei suoni) che inquella dell’analisi, della registrazione, della notazione e produzionevocale e strumentale dei suoni.

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La formazione e lo sviluppo delle capacità relative alla percezio-ne della realtà sonora nel suo complesso, alla sua comprensione (chesignifica conoscere e riconoscere i vari linguaggi sonori), alla produ-zione e all’uso dei diversi linguaggi sonori nelle loro componenticomunicative, ludiche, espressive, sono alla base dei progetti di at-tività dei fanciulli.

Le diverse attività che verranno di seguito indicate includonoil rapporto della realtà sonora con altri eventi e linguaggi (parola,gesto, immagine).

Percezione e comprensione

L’ascolto e l’analisi guidata dei suoni (di qualsiasi tipo: ambien-tali e musicali o collegati a spettacoli e a comunicazioni audiovisua-li) sono due aspetti iniziali di una serie di attività rivolte a stimola-re l’attenzione sui fenomeni acustici, ad organizzare l’esperienzasensoriale uditiva e a preparare la capacità di fruire della musicanelle sue varie forme:

- percezione di suoni e rumori ambientali e loro distinzionein ordine alla fonte, lontananza, vicinanza, durata, intensità e altrecaratteristiche (altezza e differenze timbriche);

- distinzione e selezione dei suoni e rumori prodotti da es-seri umani, da animali, da eventi naturali, da strumenti musicalie oggetti meccanici;

- ascolto di materiale musicale che stimoli il riconoscimentodelle caratteristiche formali-strutturali dei brani proposti (ritmo, al-tezza ed intensità dei suoni, linea melodica, fraseggio, armonia);riconoscimento della funzione della voce umana e degli strumentimusicali e delle loro caratteristiche timbriche;

- ascolto di brani che propongano musica dei diversi popolirelativa agli aspetti della loro vita (cerimonie religiose, vita familia-re, attività di lavoro, feste popolari, ecc.); di brani di musica dellediverse epoche e di vario stile, anche in rapporto al teatro, al cine-ma, alla danza; di brani di musiche tipiche (melodramma, spiritual,jazz, ecc.).

La scelta dei brani musicali da proporre per l’ascolto deve segui-re criteri di opportuna gradualità negli anni del corso elementarein relazione alla maturazione psicologica e allo sviluppo cognitivodei fanciulli.

Le attività proposte, organizzate sotto forma di itinerario didat-

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tico nell’arco dei cinque anni di scuola elementare, permettono dievidenziare le caratteristiche integrate dei materiali sonori musicalirelative a durata, altezza, intensità, timbro, forma-struttura, orga-nizzazione ritmica, melodica e armonica.

La voce in particolare e, in generale, tutto il corpo sono glistrumenti più naturali e immediati che gli uomini hanno a disposi-zione per produrre suoni musicali o indistinti e sequenze ritmiche.Il fanciullo deve essere stimolato ad usare ed analizzare i suoniche è già capace di produrre con la voce e con il corpo:

- la voce che parla: analisi della formazione delle vocali econsonanti, analisi del modo di produzione dei suoni vocali (funzio-ne dei polmoni, del diaframma, delle corde vocali);

- giochi con la voce: parlare, leggere, parlare e leggere cono senza uso delle corde vocali (è evidente l’utilità di questi giochiin rapporto alla pronuncia delle parole);

- giochi individuali e di gruppo con la voce che canta: ana-lisi delle differenze tra voce parlante e voce cantante;

- esecuzione di canti collegati alla gestualità, al ritmo, almovimento di tutto il corpo e di parti di esso, ai diversi suoniche il corpo può produrre, (battere le mani, i piedi, ecc.);

- ricerca ed esplorazione dei diversi tipi di timbri vocali:uso della voce in campo musicale, nelle diverse attività umane (fun-zioni oratorie, cerimonie, recitazioni teatrali, sistemi di informazio-ne, cinema, TV, ecc.);

- ricerca e analisi dei diversi modelli espressivi, spontaneio progettati, della voce (grido, pianto, riso, ecc.; canzonetta, operalirica, ecc.);

- organizzazione dei giochi vocali sull’imitazione di suonie rumori, della realtà naturale, degli strumenti musicali e di altrioggetti.

Le attività didattiche finalizzate alla distinzione dei suoni stru-mentali dovranno favorire il riconoscimento dei modi di produzio-ne dei suoni medesimi con strumenti tradizionali e moderni e disperimentarne parzialmente modi e forme musicali.

E importante proporre, in ordine alle attività propriamente mu-sicali, l’apprendimento di strumenti che consentano facilmente alfanciullo una immediata gratificazione. L’educazione musicale di basenon intende formare futuri musicisti, ma fornire un primo livello

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di alfabetizzazione nel campo dei suoni. Sarà utile organizzare for-me di attività quali:

- sperimentazione ed analisi dei diversi suoni e timbri rica-vabili dalla percussione di oggetti (metallici, di legno, di pietra,cavi e pieni);

- analisi di altri modi di produrre suoni: strofinando, agi-tando oggetti, ecc.;

- ricerca ed analisi sui diversi modi utilizzati per produrre suonimusicali; famiglie di strumenti (strumenti a fiato, a percussione, adarco, a corde pizzicate, ecc.). La ricerca verrà condotta in modo ope-rativo anche realizzando piccoli strumenti con materiali poveri;

- ricerca ed analisi dei moderni sistemi per la produzionedei suoni e per la loro diffusione, amplificazione e trasformazione(microfono, amplificatore, giochi con suoni elettronici, televisione,strumenti musicali elettrici ed elettronici). Anche la sola radio puòconsentire un interessante confronto tra suono prodotto manual-mente e suono elettronico amplificato;

- esecuzione di giochi musicali con strumenti a percussioneper riprodurre le forme di ritmi più facili, comprendere il valoredegli accenti, delle pause, anche in relazione alle difficoltà dell’ese-cuzione concertata di brani musicali;

- esecuzione di brani musicali, con strumenti di facile uso,collegati a rappresentazioni gestuali e mimiche, a forme di teatrodanzato e alla elaborazione di altri progetti e attività di spettacolo(teatro delle marionette e dei burattini, teatro delle ombre, realiz-zazione di audiovisivi).

Interpretazione grafica del materiale sonoro e notazione musicate

La formazione e l’informazione relative al mondo dei suoni deb-bono procedere di pari passo con la capacità crescente di interpre-tare graficamente la produzione sonora sino a giungere ad una ini-ziale conoscenza operativa della notazione musicale.

Un insieme graduale di attività dovrà prevedere:

- la simbolizzazione di suoni e rumori con l’invenzione diforme spontanee di notazione;

- la registrazione grafica, mediante segni convenzionali, delladurata e delle caratteristiche di un evento sonoro musicale ed ex-tramusicale;

- l’adozione di sistemi facili per la lettura della notazionemusicale, sia in ordine al canto che alla esecuzione strumentale.

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Indicazioni didattiche

Nella elaborazione dei progetti didattici di educazione al suonoe alla musica è necessario tener conto del paesaggio fonico in cuiè inserito il fanciullo, delle già acquisite capacità di comprensioneed espressione musicale e del grado di codificazione da lui raggiun-to in relazione alla propria esperienza sonora.

E importante raccordare l’attività musicale ad altre esperienzeconoscitive ed espressive favorendo al massimo i processi creativi.

Perciò si debbono curare, ove possibile, i collegamenti con lealtre aree educative, (lingua, espressione e analisi visuale, educazio-ne motoria, ecc.). E indispensabile anche che si tenga conto delgrado di partecipazione e di maturazione degli alunni relativamentealle attività musicali svolte nella scuola materna.

A livello della scuola elementare e in vista di una prima alfabe-tizzazione musicale è soprattutto importante attivare la capacità pra-tica di usare i suoni per comunicare ed esprimersi.

Per questo pare necessario collegare la percezione uditiva adun più generale rapporto con le diverse forme di linguaggio.

E di grande importanza organizzare, nel quadro della program-mazione didattica generale, spazi e tempi in cui gli alunni possanoascoltare musica da soli e in gruppo; manipolare strumenti e oggettisonori per scoprirne le caratteristiche e le modalità d’uso; utilizzareapparecchiature per la registrazione e la riproduzione del suono inmodo da compiere la verifica di ciò che producono; inventare, sco-prire e confrontare vari codici grafici; sperimentare forme coralie strumentali; attuare esperienze di teatro musicale e di teatro dan-za; elaborare montaggi sonori col registratore.

Nell’ambito delle attività di educazione al suono e alla musicaè da tener presente il valore che possono assumere eventuali inter-venti specialistici di musicoterapia rivolti a soggetti in situazionedi handicap.

EDUCAZIONE MOTORIA

L’affermazione nella cultura contemporanea dei nuovi significa-ti di corporeità, di movimento e di sport si manifesta, sul pianopersonale e sociale, come esigenza e crescente richiesta di attivitàmotoria e di pratica sportiva.

La scuola elementare, pertanto, nell’ambito di una educazionefinalizzata anche alla presa di coscienza del valore del corpo inteso

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come espressione della personalità e come condizione relazionale,comunicativa, espressiva, operativa, favorisce le attività motorie edi gioco-sport.

Nel promuovere tali attività essa, mentre considera il movimen-to, al pari degli altri linguaggi, totalmente integrato nel processodi maturazione dell’autonomia personale, tiene presenti gli obiettiviformativi da perseguire in rapporto a tutte le dimensioni della per-sonalità:

- morfologico-funzionale;- intellettivo-cognitiva;- affettivo-morale;- sociale.

L’educazione motoria si propone le seguenti finalità:- promuovere lo sviluppo delle capacità relative alle funzio-

ni senso-percettive cui sono connessi i procedimenti di ingresso edi analisi degli stimoli e delle informazioni;

- consolidare e affinare, a livello concreto, gli schemi moto-ri statici e dinamici indispensabili al controllo del corpo e alla orga-nizzazione dei movimenti;

- concorrere allo sviluppo di coerenti comportamenti rela-zionali mediante la verifica, vissuta in esperienze di gioco e di av-viamento sportivo, dell’esigenza di regole e di rispetto delle regolestesse sviluppando anche la capacità di iniziativa e di soluzione deiproblemi;

- collegare la motricità all’acquisizione di abilità relative al-la comunicazione gestuale e mimica, alla drammatizzazione, al rap-porto tra movimento e musica, per il miglioramento della sensibilitàespressiva ed estetica.

Le finalità indicate concorrono allo sviluppo delle caratteristi-che morfologico-biologiche e funzionali del corpo e allo sviluppodella motricità in senso globale e analitico.

L’intervento educativo rivolto alla motricità presuppone la co-noscenza del movimento dal punto di vista strutturale, delle suemodalità di realizzazione, del suo sviluppo.

La struttura del movimento è costituita da unità basiche, riferi-bili a schemi motori e schemi posturali. Essi permettono tutte lepiù complesse attività funzionali e costituiscono il repertorio neces-sario non solo per compiere movimenti o per inibirli, ma ancheper assumere atteggiamenti o posture.

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Gli schemi motori sono dinamici e si identificano nel cammina-re, correre, saltare, afferrare, lanciare, strisciare, rotolare, arrampi-carsi; quelli posturali sono schemi statici e si identificano nel flette-re, inclinare, circondurre, piegare, elevare, estendere, addurre, ruo-tare, oscillare, ecc. e possono riguardare movimenti globali osegmentari del corpo.

Sia gli schemi motori che quelli posturali maturano secondo unprocesso di sviluppo che si evidenzia in caratterizzanti tratti di ma-turità.

In ciascuna fase dello sviluppo occorre quindi che l’insegnanterealizzi le condizioni per ampliare il più possibile il repertorio dischemi motori e posturali.

Conseguire una base motoria più ampia possibile rappresentaperciò un obiettivo educativo e didattico dell’educazione motoria.

Obiettivi e contenuti

Il movimento si sviluppa, come qualsiasi altra funzione dellapersonalità, in un rapporto continuo con l’ambiente, attraverso com-portamenti modificati dall’esperienza, mentre la sua educabilità passaattraverso i meccanismi di percezione, coordinazione, selezione edesecuzione presenti in qualsiasi azione motoria intenzionale.

Compito dell’insegnante è promuovere in ogni alunno, e, per-ciò, nel rispetto del livello della maturazione biopsichica individua-le, il progressivo finalizzato controllo del comportamento motorio.

Le differenti caratteristiche di sviluppo e maturazione dell’alun-no della scuola elementare esigono perciò tempi e modalità diversi-ficate di programmazione e di attuazione delle attività motorie, se-condo sequenze che hanno riferimento con lo sviluppo strutturaledel fanciullo e con quello funzionale della sua motricità.

Le attività motorie consentono di conseguire una prima seriedi obiettivi relativi alle capacità senso-percettiva, visiva, uditiva, tatti-le e cinestetica.

Fin dalla scuola materna, e particolarmente fra i 5-7 anni, ilfanciullo deve sviluppare le capacità di percezione, analisi e selezio-ne delle informazioni provenienti dagli organi analizzatori,

In rapporto all’organizzazione ed alla regolazione del movimen-to un’ulteriore serie di obiettivi da perseguire è rappresentata dallapromozione delle capacità coordinative deputate alla scelta del movi-mento, alla sua direzione, al suo controllo.

Queste capacità, che conoscono un periodo di sviluppo intensi-vo fra i 6 e gli 11 anni, possono essere così identificate:

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a) percezione, conoscenza e coscienza del corpo.

Attraverso le esperienze di esplorazione e scoperta, compiutetoccando, esaminando, indicando, usando le varie parti del corpo,giocando e manipolando gli oggetti, si favorisce la graduale costru-zione dello schema corporeo, inteso come rappresentazione dell’im-magine del corpo nei suoi diversi aspetti: globale e segmentario,statico e dinamico.

In tale rappresentazione si integrano gli aspetti relazionali, emo-tivi, affettivi e di motivazione per una completa consapevolezzacorporea;

b) coordinazione oculo-manuale e segmentaria.

Particolare attenzione dovrà fin dall’inizio essere rivolta al con-seguimento di tali capacità attraverso attività manipolative semplicicon piccoli oggetti, attrezzi di gioco, indirizzando gli interventi an-che al fine dell’affermazione della lateralità e del consolidamentodella dominanza e favorendo in tal senso la regolarità, la precisione,la fluidità dei gesti-motori fini e gli apprendimenti grafici;

c) organizzazione spazio-temporale.

Saranno programmate ed attuate attività che, a partire dai gio-chi di esplorazione dell’ambiente e di partecipazione a situazioniludiche organizzate, concorreranno alla progressiva costruzione edorganizzazione dello spazio fisico-geometrico e relazionale, nonchéalla iniziale intuizione della successione temporale delle azioni.

Attraverso l’utilizzazione di tutte le strutture motorie statichee dinamiche in giochi di movimento, su schemi liberi o prestabiliti,con o senza attrezzi, in forma individuale o collettiva, si favorirànel fanciullo l’acquisizione di concetti relativi allo spazio e all’orien-tamento (vicino/lontano, sopra/sotto, avanti/dietro, alto/basso, cor-to/lungo, grande/piccolo, sinistra/destra) e di concetti relativi a l tem-po e alle strutture ritmiche (prima/dopo, contemporaneamente/insie-me, lento/veloce);

d) coordinazione dinamica generale.

Integrando le precedenti capacità coordinative, la coordinazionedinamica generale controlla il movimento, consentendo al fanciullodi raggiungere una motricità sempre più ricca ed armoniosa sia sulpiano dell’espressione che dell’efficacia.

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Tale capacità si svilupperà progressivamente attraverso situazio-ni di gioco e di attività via via più complesse che, intorno ai 9-10anni, si collegheranno in modo naturale ai fondamentali gesti delgioco-sport.

Indicazioni didattiche

La programmazione degli interventi didattici dovrà tenere con-to delle diverse situazioni di partenza e dei livelli iniziali di funzio-nalità senso-percettiva e motoria di ciascun alunno al momento del-l’ingresso a scuola. Tali valutazioni iniziali saranno facilitate anchedalle indicazioni fornite dalla famiglia, dalla scuola materna fre-quentata e dai servizi sanitari del territorio.

Le attività motorie, per essere funzionali e influire positivamen-te su tutte le dimensioni della personalità, devono essere praticatein forma ludica, variata, polivalente, partecipata, nel corso di inter-venti di opportuna durata e con differenziazioni significative a se-conda delle varie fasce d’età.

In questo senso si farà riferimento inizialmente (6-7 anni) a tut-ta la vasta gamma di giochi motori frutto della spontanea e naturalemotricità dei fanciulli, attingendo sia all’esperienza vissuta, sia allapiù genuina tradizione popolare, utilizzando giochi simbolici, d’imi-tazione, di immaginazione, ecc.

L’importanza della ludicità nella educazione motoria rispondeal bisogno primario del fanciullo di una forma gratificante e moti-vata delle attività. Il gioco è quindi sempre da sollecitare e gestirein tutte le sue forme e modalità (d’invenzione, di situazione, deiruoli, di regole, ecc.). Compito dell’insegnante sarà di programmaree suggerire i giochi più idonei al raggiungimento degli obiettivi pre-fissati.

Nella seconda fascia d’età (8-11 anni) il raggiungimento di con-gruenti livelli di autonomia è legato alla ricchezza delle esperienzeeducative vissute, alla ampiezza della base motoria, al complessodelle capacità coordinative acquisite.

In una prospettiva realmente formativa, acquistano in tal sensorilevanza tutte le attività polivalenti (percorsi, circuiti, ecc.) ed igiochi di squadra con regole determinate dagli alunni o assunte dal-l’esterno (quattro porte, mini-basket, mini-volley, mini-handball,ecc.), ovvero attività sportive significative (pre-atletica: corse, salti,lanci; ginnastica: agilità, ritmo; esperienze di nuoto, ecc.).

Ciò non dovrà costituire pretesto per un prematuro avviamentoalle discipline sportive, né deve presentarsi come esperienza scola-

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stica episodica eccezionale, ma deve invece configurarsi come speci-fico intervento educativo teso a cogliere i veri significati socialie culturali dello sport.

Verranno individuati opportuni momenti di verifica e valutazio-ne attraverso l’osservazione sistematica del comportamento motoriodegli alunni, tenendo sempre presenti i punti di partenza, le diffe-renti situazioni esperienziali, i diversi ritmi di sviluppo individuale.

In presenza di alunni in situazione di difficoltà motoria, gli in-terventi saranno, in relazione ai contenuti, agli strumenti e alla du-rata, adeguati alle effettive possibilità e necessità di ogni fanciullo.

Costituiscono luogo ideale per lo svolgimento delle attività mo-torie la palestra, gli spazi aperti attrezzati e non, o comunque op-portunamente recuperati o ricondizionati allo scopo. Si rammenti,a tale proposito, l’opportunità di attivare ogni possibile interventoteso alla migliore utilizzazione delle strutture e delle risorse scola-stiche esistenti, purché rispondenti a requisiti minimi di agibilitàe sicurezza per lo svolgimento delle attività stesse. Particolare at-tenzione va data anche all’uso dei materiali e delle attrezzature chepotranno essere sia quelli tradizionali, sia altri particolarmente ido-nei (palle colorate, palloni, clavette, cerchi, bacchette, fettucce ela-stiche, ostacoli, panche, materassini, ceppi, tappeti, ecc.).

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NUOVI PROGRAMMI DIDATTICIPER LA SCUOLA PRIMARIA

ATTUAZIONE SPERIMENTALEDI NUOVI MODULI ORGANIZZATIVI

Circolare 22 settembre 1987, n. 288

L’entrata in vigore dei nuovi programmi didattici, fissata dalD.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, per questo anno scolastico a par-tire dalla prima classe, segna l’avvio del profondo processo innova-tivo della scuola elementare, in attesa della emanazione della neces-saria riforma degli ordinamenti. Tale momento assume maggior ri-levanza ove si consideri che sono trascorsi oltre trenta anni daiprecedenti programmi e che i nuovi rappresentano la valorizzazionedelle esperienze più avanzate e delle riflessioni maturate in rappor-to alla progressiva trasformazione culturale e sociale che ha con-traddistinto questo periodo.

Un effettivo rinnovamento strutturale e didattico della scuolaprimaria non potrà tuttavia realizzarsi senza il corrispondente ade-guamento degli ordinamenti, per il quale l’Amministrazione è giàimpegnata ad attivare il necessario iter legislativo, nella convinzio-ne che il Parlamento possa a breve termine pervenirne all’approva-zione, anche alla luce del significativo consenso manifestatosi nellaprecedente legislatura con l’approvazione, in sede referente, del te-sto elaborato dalla Commissione Istruzione della Camera dei De-putati.

L’attuale fase di transizione, che vede i nuovi programmi didat-tici attivati senza il supporto delle condizioni che ne garantiscanola piena e efficace attuazione, richiede l’impegno congiunto di tuttele componenti interessate, al fine di sostenere la spinta innovativain atto.

Gli strumenti organizzativi per corrispondere all’innovazione non

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possono che rinvenirsi, al momento, nella vigente normativa, la qualeva orientata verso ogni possibile forma anticipatrice dei tratti es-senziali della riforma, con priorità nelle prime classi. Essi appaionoindividuabili, sotto il profilo organizzativo, in un orario di funzio-namento della scuola non inferiore alle 27 ore settimanali, nell’uti-lizzazione di tre docenti su due classi, nella destinazione di dueore dell’orario settimanale d’insegnamento alle attività specifichedi programmazione del modulo adottato. Si avverte, pertanto, l’esi-genza di non disperdere il patrimonio delle esperienze più significa-tive attivate ai sensi dell’art. 1 della legge n. 820/1971 e di poten-ziare quelle che si pongono come anticipatrici dei contenuti cultura-li offerti dai nuovi programmi.

Gli ispettori tecnici periferici valuteranno responsabilmente lacongruità dei progetti elaborati dai collegi dei docenti rispetto allaimpostazione pedagogico-didattica ed agli obiettivi prefigurati dainuovi programmi e avranno cura di assistere le esperienze innovative.

I provveditori agli studi, pertanto, avvalendosi della collabora-zione del corpo ispettivo, procederanno preliminarmente ad una ri-cognizione dei progetti già attivati nelle scuole ai sensi del richia-mato art. 1 della legge n. 820/1971 e dell’art, 14, 6° comma, dellalegge n. 270/1982, che presentino elementi di anticipazione dei nuoviordinamenti. Consentiranno altresì ai collegi dei docenti di proce-dere entro il secondo mese dall’inizio dell’anno scolastico ad unassestamento della programmazione di circolo che renda possibilefinalizzare il funzionamento di posti di attività integrative già atti-vati nei plessi alla costituzione dei nuovi moduli organizzativi.

Gli ispettori centrali attiveranno i necessari collegamenti conle segreterie tecniche regionali o interregionali, al fine di collabora-re con gli ispettori tecnici periferici, anche con appositi incontriconvocati a tale scopo, e di fornire all’Amministrazione ogni oppor-tuno elemento di informazione e valutazione entro il 31 marzo p.v.

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NUOVI PROGRAMMI DIDATTICIPER LA SCUOLA PRIMARIA

ATTUAZIONE SPERIMENTALEDI NUOVI MODULI ORGANIZZATIVI

PER L’ANNO SCOLASTICO 1988-89Circolare 24 maggio 1988, n. 143

1. PREMESSA.

La graduale entrata in vigore dei nuovi programmi didattici perla scuola elementare, disposta dal D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104a partire dall’anno scolastico 1987-88, ha posto l’esigenza di predi-sporre, in attesa della emanazione della legge di riforma degli ordi-namenti e al fine di sostenere il processo innovativo in atto dellascuola elementare, le più favorevoli condizioni per la piena ed effi-cace applicazione del nuovo documento programmatico.

Con la circolare n. 288 del 22 settembre 1987 si è dato avvioad una sperimentazione di moduli didattici adeguati agli obiettiviformativi dei nuovi programmi. L’esperienza che ne è conseguita,peraltro molto significativa, ha evidenziato alcune difficoltà in or-dine ai tempi disponibili per la programmazione e a comprensibiliproblemi attuativi tipici di ogni avvio di un’innovazione.

Mentre si confermano i motivi ispiratori di quella circolare mi-nisteriale, pare opportuno emanare tempestivamente ulteriori di-sposizioni, necessarie per una pertinente progettazione dei caratteriorganizzativi e di funzionamento dei moduli, in relazione sia all’i-stanza della più efficace applicazione dei nuovi programmi, sia nellaprospettiva della riforma della scuola elementare sulla base degliattesi nuovi ordinamenti.

Ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 419/1974, è pertanto attivata,anche per il prossimo anno scolastico, una sperimentazione di mo-

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duli organizzativi per l’applicazione dei nuovi programmi. La speri-mentazione, che interessa le scuole di tutto il territorio nazionale,si basa su un quadro organico di criteri che garantiscano il necessa-rio livello di conformità organizzativa e funzionale in rapporto al-l’esigenza indeclinabile di conseguire le finalità e gli obiettivi pre-scritti dai nuovi programmi ed insieme consentano la necessariaflessibilità nelle scelte operative.

2. CRITERI GENERALI DELLA ORGANIZZAZIONE DEI MODULI.

2.1. Classi interessate.

Le classi interessate all’esperienza sono le prime e le secondein quanto le stesse, nel prossimo anno scolastico, saranno diretta-mente coinvolte nell’applicazione dei nuovi programmi.

Per motivi di continuità didattica, i progetti autorizzati per l’annoscolastico 1987-88 potranno proseguire eccezionalmente, anche nel-le classi successive alla seconda, purché l’esperienza dell’anno scola-stico in corso si sia dimostrata qualitativamente efficace e a condi-zione che i relativi progetti per il prossimo anno risultino rispon-denti ai criteri generali stabiliti con la presente circolare.

2.2. Tempo scuola.

Alla determinazione della durata e della articolazione delle atti-vità didattiche si perverrà tenendo conto anzitutto delle istanzeformative, dei processi di insegnamento-apprendimento e di socia-lizzazione degli alunni e valutando disponibilità e funzionalità dellestrutture e dei servizi essenziali.

L’orario delle attività didattiche avrà di norma la durata di 27ore settimanali, elevabili, comunque, fino ad un massimo di 30 ore.

Esso si articolerà preferibilmente in sei giorni con rientri pome-ridiani, tenuto conto della necessità di tempi distesi di attività di-dattica, al fine di evitare un eccessivo carico per i bambini. Saràpossibile adottare anche l’orario antimeridiano continuato oppurel’orario antimeridiano e pomeridiano, ripartito in cinque giorni alla

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settimana. La delibera relativa alla definizione ed alla articolazionedell’orario dovrà essere opportunamente motivata.

2.3. Numero dei docenti per le classi.

1 moduli saranno imperniati sull’utilizzazione di tre docenti ognidue classi o di quattro docenti per tre classi nei casi residuali.

3. PROGETTAZIONE E ATTUAZIONE DEI MODULI.

3.1. Ambiti disciplinari e tempi di insegnamento delle discipline.

La struttura dei moduli, che prevedono di norma tre insegnantiper due classi con la conseguente piena contitolarità dei docentiinteressati, richiede la aggregazione delle discipline di insegnamen-to in ambiti disciplinari. Ciò consentirà di affidare gli insegnamentidelle discipline aggregate in un « a m b i t o » a un solo insegnante.

Per procedere alla aggregazione delle discipline in ambiti disci-plinari - atto attribuito alla competenza del collegio dei docenti- si terranno presenti due ordini di criteri: quelli concernenti l’af-finità delle discipline e quelli pertinenti le istanze di corretto fun-zionamento dei moduli.

Nella Premessa ai programmi didattici per la scuola primariasono individuati alcuni criteri di massima riguardo alle affinità del-le discipline inserite nel curricolo. Richiamando tali criteri, possonoessere identificati tre ambiti entro i quali aggregare le disciplinedi insegnamento:

- ambito linguistico;- ambito logico-matematico e delle scienze;- ambito storico-geografico e degli studi sociali.

L’affinità delle altre discipline (educazione al suono e alla musi-ca, educazione all’immagine, educazione motoria) agli ambiti suin-dicati sarà definita coerentemente alla natura dei progetti educativi.

Si deve tener presente che la funzionalità degli ambiti discipli-nari è sostenuta anche dai tempi che devono essere assegnati per

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l’insegnamento di ciascuna disciplina; assegnazione che dovrà assi-curare globalmente non meno della metà del tempo settimanale di-sponibile agli insegnamenti di lingua italiana, matematica e scienze.

Nel caso che i moduli siano imperniati sul rapporto quattro in-segnanti su tre classi, il progetto dovrà essere strutturato in modoche in ciascuna classe non operino più di tre docenti.

3.2. Assegnazione degli ambiti disciplinari agli insegnamenti.

Il direttore didattico, in base alla natura della progettazione deimoduli, disporrà l’assegnazione degli insegnamenti ai docenti, aven-do cura di assegnare solo un ambito disciplinare a ogni insegnante.Sarà opportuno assicurare la migliore utilizzazione delle competen-ze e delle esperienze professionali degli insegnanti.

3 .3. Contitolarità dei docenti.

Va assicurata la effettiva contitolarità dei docenti sulle classidel modulo. Tale contitolarità avrà fondamento: 1) sulla disponibi-lità dei docenti del modulo alla efficace cooperazione in ordine allefinalità e obiettivi educativi, nonché al principio della unitarietàdell’insegnamento nella scuola elementare; 2) sulla condizione dicorresponsabilità dei medesimi docenti ivi compreso, naturalmente,l’eventuale insegnante di sostegno nella progettazione, realizzazio-ne, verifica delle attività didattiche; 3) sulla equa ripartizione deicarichi didattici (ambiti, orari, ecc.).

3.4. Orario settimanale dei docenti.

L’orario settimanale di servizio dei docenti è costituito da 22ore di insegnamento più due ore per la programmazione specifica,da non utilizzare in coda o all’interno di altri impegni collegiali.Serve sottolineare il significato delle due ore di programmazionequale momento realmente innovativo e strumento indispensabile peril conseguimento degli obiettivi della iniziativa sperimentale.

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3 .5. Contemporaneità degli interventi didattici

L’orario dei moduli e quello di lavoro dei docenti implica lapossibilità di avere un tempo (fino a 12 ore settimali) nel qualesono presenti tutti i docenti del modulo.

È necessario valorizzare questa risorsa, utilizzandola dopo averindividuato obiettivi, contenuti e modalità che la rendano piena-mente produttiva e funzionale. Nella impostazione delle attività di-dattiche da condurre nei periodi di contemporaneità si terrà contodel disposto dell’art. 2 della legge n. 517 pervenendo alla costitu-zione di gruppi di alunni, appartenenti alle classi del modulo, sullabase della natura delle attività, degli interessi, delle attitudini edelle esigenze di apprendimento degli alunni. E da riservare unacostante attenzione agli alunni portatori di handicap, per i qualioccorre assicurare, attraverso un’ampia loro partecipazione alle atti-vità comuni della classe o del gruppo, lo sviluppo di conoscenzee di sempre più consapevoli capacità relazionali.

3.6. Nuovi moduli e classi a tempo pieno.

Va precisato che l’attività di tempo pieno date la peculiaritàdell’impostazione progettuale e delle modalità organizzative stabili-te dalla normativa, va distinta dalla nuova organizzazione, che rive-ste, invece, carattere sperimentale.

Ciò premesso in linea di principio, va tuttavia rilevato che l’at-tuazione dei nuovi programmi nelle prime e nelle seconde classicostituisce occasione opportuna, nei plessi con classi a tempo pieno,per sperimentare la nuova organizzazione dell’attività didattica ar-ticolata per ambiti disciplinari, con il conseguente superamento del-la titolarità di classe dei due docenti attraverso la costituzione dimoduli per due-tre classi. Tale nuova organizzazione del tempo pie-no potrà investire le classi prime e seconde e dovrà comunque os-servare l’orario di funzionamento del tempo pieno (40 ore settima-nali), pur rispettando gli altri criteri enunciati dalla presente circo-lare (suddivisione degli ambiti, due ore di programmazione, ecc.).

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4. VEFUFICHE.

La natura sperimentale della organizzazione per moduli esigeun impegno continuato di verifica degli esiti accertabili.

Il collegio dei docenti, pertanto, unitamente al direttore didatti-co imposterà e condurrà i necessari accertamenti, curando di solle-citare gli adeguamenti organizzativi e didattici che risultassero dagliaccertamenti medesimi come necessari per imprimere maggiore effi-cacia educativa al funzionamento dei moduli.

Gli ispettori tecnici periferici avranno cura di assistere le espe-rienze innovative nel corso del loro svolgimento ed offriranno, conapposita relazione, ogni opportuno elemento di informazione e va-lutazione.

Gli ispettori centrali attiveranno i necessari collegamenti conle segreterie tecniche regionali o interregionali, al fine di forniree ricevere collaborazione dagli ispettori tecnici periferici, e di assi-curare gli elementi valutativi per una verifica nazionale dell’espe-rienza.

5. PROCEDURE PER LA PROGETTAZIONE E L’ATTIVAZIONE DEI MODULI.

La progettazione e la attivazione dei nuovi moduli organizzativirichiedono necessariamente l’impegno congiunto di tutte le compo-nenti interessate al fine di sostenere la spinta innovativa in atto.Appare pertanto opportuno che i provveditori agli studi indicanoriunioni dei direttori didattici, con la presenza e assistenza degliispettori tecnici periferici, per individuare le strategie migliori daattivare in ogni provincia. Successivamente saranno coinvolti i col-legi dei docenti, per lo studio della fattibilità e per la progettazione.

5.1. Ruolo degli ispettori tecnici.

Gli ispettori tecnici cureranno l’assistenza alle scuole nella fasedi preparazione dei progetti, individueranno le difficoltà presentie proporranno le soluzioni più idonee, offriranno i risultati delleesperienze più significative svoltesi nell’anno scolastico in corso,

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valuteranno infine la congruità didattica dei progetti ai necessaricriteri di qualità e di rispondenza agli obiettivi prefigurati dai nuo-vi programmi, esprimendo un articolato parere per ciascun modulo.

5.2. Ruolo dei direttoti didattici.

1 direttori cureranno la sensibilizzazione dei docenti e il coordi-namento della programmazione dei moduli. Svolgeranno tempestivaopera di informazione, con la collaborazione dei docenti, nei ri-guardi dei genitori degli alunni delle classi seconde e delle futureprime al fine di chiarire i contenuti innovativi e gli obiettivi deinuovi programmi e le esigenze organizzative che ne conseguono edi presentare gli eventuali moduli predisposti.

5.3. Ruolo delle famiglie.

Il consenso dei genitori è condizione che va ricercata in un dia-logo aperto sulle finalità, sui metodi, sull’organizzazione, favorendonei genitori la comprensione del significato della sperimentazione,nella considerazione anche che i nuovi programmi saranno applicatiin tutte le classi prime e seconde.

5.4. Collegi dei docenti

1 collegi dei docenti, responsabili della programmazione e del-l’organizzazione didattica, dovranno presentare i progetti elaborati,con le proposte, i pareri e le delibere degli altri organi collegialiinteressati (in particolare, con la delibera del consiglio di circolosull’adattamento dell’orario di funzionamento della scuola) entroil 25 giugno 1988.

5.5. Provveditori agli studi.

I proweditori agli studi valuteranno, sulla base del parere espres-so dagli ispettori tecnici periferici, la congruità dei progetti e auto-rizzeranno il funzionamento dei moduli entro il 15 luglio 1988.

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Quindi invieranno al Ministero i dati riassuntivi relativi ai mo-duli attivati e daranno notizia dei progetti autorizzati agli IRRSAEe alle segreterie tecniche regionali degli ispettori tecnici periferici.

Quanto ai posti necessari, il funzionamento dei moduli potràessere autorizzato sulla base della disponibilità derivante dalla con-versione dei posti ex art. 1 della legge n. 820/1971 già esistentiin organico di diritto; quando infatti, agli organi collegiali non ap-paia indispensabile, per le specifiche esigenze della scuola, confer-mare le attività di tempo pieno (di cui al precedente par. 3.6) dovràessere favorita la riutilizzazione nelle classi prime e seconde deiposti ex art, 1 legge n. 820 per l’attuazione delle iniziative speri-mentali di cui alla presente circolare. Allo stesso fine potranno es-sere utilizzati nuovi posti in organico di fatto, nei limiti peraltrodei posti soppressi per l’anno scolastico 1988-89 e, se necessario,1987-88, a condizione, in ogni caso, che anche su tali posti siapossibile utilizzare personale docente di ruolo, ivi compreso quelloappartenente alla dotazione organica aggiuntiva.

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INDAGINE CONOSCITIVA SUL FUNZIONAMENTODEI MODULI PREVISTI DALLA CIRCOLARE N. 143

DEL 24 MAGGIO 1988Circolare 11 gennaio 1989, n. 17

La sperimentazione di forme di organizzazione scolastica attea consentire la realizzazione di alcuni elementi essenziali dei nuoviprogrammi per la Scuola elementare, iniziatasi nell’anno scolastico1987-88 nel quadro delle norme della circolare n. 288 del 22 set-tembre 1987 ed estesa ulteriormente nel corrente anno scolasticosecondo i criteri generali forniti dalla circolare n. 143 del 24 mag-gio 1988, ha prodotto risultati significativi ed ha arricchito la pro-blematica di attuazione dei programmi stessi.

Il movimento sperimentale ha ormai raggiunto la dimensione diun campione rappresentativo della realtà istituzionale della scuola pri-maria, per cui si rende necessario procedere ad un’indagine conosciti-va che consenta di cogliere gli elementi determinanti del lavoro chesi sta svolgendo, sia per rilevarne caratteristiche, possibilità e limitisia per individuare ogni soluzione che possa contribuire a sostenereil processo innovativo in atto nella scuola elementare, nella prospetti-va della riforma degli ordinamenti della scuola elementare.

Per un equilibrato procedimento conoscitivo questo Ministerointende promuovere iniziative complementari fra loro, per quantodistinte da specifiche modalità: una intesa a raccogliere, ordinaree rappresentare i dati essenziali riguardanti il funzionamento deimoduli sperimentali attualmente operanti; le altre intese ad integra-re tali dati con l’apporto di osservazioni, analisi e proposte cheinsegnanti, direttori didattici ed ispettori periferici e centrali hannoelaborato nello svolgimento dell’attività, interpretando i concettiispiratori dei programmi. Gli apporti conoscitivi forniti dalle consi-derazioni degli operatori scolastici possono infatti chiarire gli aspet-

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ti più complessi dell’impegno educativo nelle sue esplicazioni meto-dologiche e didattiche e nei suoi rapporti con la realtà sociale inmodo più articolato ed approfondito.

1. RILEVAMENTO DEI DATI

1. 1 provveditori agli studi provvederanno a far compilare lascheda allegata osservando i seguenti criteri:

a) verranno riprodotte la scheda e le istruzioni allegate innumero doppio a quello dei moduli funzionanti nella provincia edinviate ai direttori didattici interessati per la compilazione;

b) per garantire esattezza ed uniformità, gli ispettori tecnici pe-riferici illustreranno i singoli punti della scheda nel corso di appositeriunioni dei direttori didattici e controlleranno successivamente le sche-de compilate richiedendo eventuali chiarimenti ed integrazioni;

c) una copia delle schede verrà inviata a questo Ministero,Direzione generale istruzione elementare - Div. II, entro e nonoltre il 15 febbraio 1989 ed una copia sarà trattenuta agli atti degliuffici scolastici provinciali.

2. Si raccomandano la massima esattezza nella compilazione ela rigorosa osservanza del termine suindicato in quanto le schedesaranno utilizzate per una tabulazione computerizzata dei dati, pre-disposta da questo Ministero.

2. CONSULTAZIONE OPERATIVA.

1. Gli ispettori tecnici periferici raccoglieranno osservazioni, pro-poste, indicazioni, riferendosi allo schema esposto al punto 4, pre-disponendo:

- visite ai moduli prescelti secondo opportuna campionatura;- raccolta di documentazioni: progetti, programmazioni, qua-

dri orario, piani educativi differenziati, relazioni singole o di grup-po, proposte, richieste, ecc.;

- riunioni di insegnanti e/o direttori didattici con la raccol-ta ordinata degli elementi emersi dalla discussione;

- studi e ricerche, anche in collaborazione con insegnanti

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e direttori didattici, su aspetti particolarmente significativi dell’at-tività educativa svolta nei moduli.

2. I risultati degli interventi elencati saranno sintetizzati nelcorso di apposite riunioni da attuarsi in sede regionale con la parte-cipazione dell’ispettore centrale di zona.

3. Gli ispettori tecnici periferici sceglieranno uno fra loro, inca-ricato di partecipare al seminario nazionale che si terrà a Romaentro il mese di febbraio, per la data che sarà comunicata con telex,al fine di presentare la sintesi del lavoro compiuto in sede regionale.

4. A scopo esemplificativo si precisano i temi sui quali è opportunoche la consultazione fornisca gli elementi desunti dall’interpretazionedell’attività didattica, delle condizioni operative, della produttività edu-cativa, non riconducibili ad una rappresentazione puramente statistica:

- Dinamica della contitolarità: interazione fra gli insegnanti delmodulo, modalità di gestione della contemporaneità, assegnazionedegli ambiti e delle educazioni, rapporti con i gruppi di alunni, formedi partecipazione alla organizzazione ed alla programmazione didat-tica, interventi nel recupero dell’handicap e degli svantaggi.

- Formazione dei gruppi di alunni: forme e tipologia dei grup-pi, flessibilità nella formazione dei gruppi, conduzione ed organiz-zazione in relazione ai tempi ed agli spazi, rapporto fra presenzafrontale e presenza nei gruppi, forme di verifica.

- Aggregazione delle discipline: natura del rapporto fra edu-cazioni ed ambiti, flessibilità o staticità delle aggregazioni, attuazio-ne dell’interdisciplinarità.

- Orati: modelli di partizione oraria fra discipline, orari gior-nalieri, rientri, calendario settimanale delle attività, aspetti negativio positivi dell’orario sul rendimento degli alunni.

- Rapporti fra Piano Pluriennale di Aggiornamento ed attua-zione dei moduli sperimentali: ricaduta dell’aggiornamento sulle atti-vità educative, carenze di preparazione, condizioni di operativitàriguardo ai contenuti dei nuovi programmi, approfondimenti ed ar-ticolazioni dell’aggiornamento nelle condizioni sperimentali.

La sintesi di queste tematiche e di altre che si riveleranno adat-te a cogliere gli aspetti qualificanti del nuovo assetto della scuolaelementare sarà orientata alla formulazione di proposte argomenta-te ed utilizzabili per la definizione ottimale del funzionamento dei

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2) Classi costituenti il modulo col totale degli alunni iscritti

3) Continuazione modulo anno scolastico 1987-88

4) Insegnanti impegnati nel modulo:

- titolari nel plesso- titolari in plesso diverso- appartenenti alla D.O.A.- altre pos iz ion i

n.........n .........n .........n .........

(3) Segnare con 0 le classi non comprese nel modulo, con 1,2 o 3 il numerodelle classi comprese nel modulo.

Ad esempio un modulo composto da 2 prime per un totale di 36 alunni e dauna seconda di 20 alunni va indicato nel modo seguente

(4) Segnare con 0 le classi non comprese nel modulo che continua dall’anno1987.88, con 1,2 o 3 le classi comprese.

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5) Qualcuno degli insegnanti svolge, oltre alle attività del modulo, an-che attività integrative in altre classi della scuola? (Esclusi i moduli dicui al punto 3.6. della circolare n. 143/1988)

l SI l NO

C. Orari.

1) Durata settimanale dell’attività (Esclusi i moduli di cui al punto 3.6.della circolare n. 143/1988) (5).

l ore 27 l 27,30 l 28 l 28,30 l 29 l 29,30 l 30

2) Rientri S I l N O l

2.1. In caso positivo, quanti rientri settimanali per ciascuna classe?

Classe

N. rientri

2.2. Quanti insegnanti rientrano?

Tutti e tre l D u e l Uno /YJ

2.3. Se sono due o uno, rientrano sempre gli stessi insegnanti oppurevariano?Sempre gli stessi FI Variano 2l

3) Docenti che effettuano l’orario settimanale in cinque giorni n. .

(5) La domanda riguarda solo i moduli non previsti dal punto 3.6. della C.M.n. 143/1988. Nel caso la durata settimanale di funzionamento sia da esprimersiin frazione di mezz’ora, arrotondare in più o in meno dei quindici minuti.

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4) Gli alunni compiono l’orario settimanale di cinque giorni?

S I l N O l

5) L’orario settimanale degli insegnanti rimane sempre uguale?

S I l N O l

5.1. Se no, cambia ogni

settimana E l 15 giorni El mese 0 più E l

6) Le due ore di programmazione vengono svolte

durante l’orario antimeridiano El al pomeriggio El

6.1. In giorno e orario fisso? l SI l NO

7) Funziona la mensa? S I l N O l

7.1. Quante ore settimanali impegna? n.

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D. Organizzazione

1) Aggregazione delle discipline (6)

Discipline Docenti

(6) Si segni con una crocetta la casella corrispondente alla disciplina.

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2) Ore settimanali assegnate alle discipline (7)

Discipline Ckmi

3) La contemporaneità viene realizzata:- con gruppi di alunni provenienti dalla stessa classe El- con gruppi di alunni provenienti da più classi El- in entrambi i modi El

(7) Indicare nelle caselle corrispondenti alle classi e alle discipline il numerodelle ore assegnate.

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3.1. La contemporaneità viene utilizzata:

- per arricchire il curricolo

- per il recupero, integrazione, approfondimento

- sia pet il primo che per il secondo scopo

E. Strutture-Servizi

1) Aule disponibili nel plesso n .......1.1. Aule disponibili nel plesso per il modulo n. ......1.2. Altri spazi utilizzati per il modulo n.......

2) Palestra 9 l No c l

2.1. Se si, buona Ixl d i sc r e t a l insufficiente l3) Trasporto

- nessun trasporto @II

- mattino Ixl

- rientro izI

ElElEl

- pomeriggio w

LEGENDA

* Le lettere maiuscole (A, B, C, ecc.) indicano i docenti. Ogni docente pertan-to, è rappresentato sempre dalla stessa lettera.

* I numeri romani (I, I I , I I I , ecc.) indicano i livelli di classe scolastica.* Le lettere minuscole (a, b, c, ecc.) indicano le possibii opzioni nelle risposte.* Le cifre arabe numerano le domande e indicano quantità o codici.

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INDAGINE CONOSCITIVASUI MODULI SPERIMENTALI

1. RELAZIONE FINALE.

Introduzione.

In esecuzione del D.P.R. n. 104, 12 gennaio 1985, che approva-va i nuovi programmi della scuola elementare e ne indicava la pro-gressiva applicazione a partire dal1’a.s. 1987-88, nell’anno scolasti-co corrente i detti Programmi si applicano alle classi 1 e 11 su tuttoil territorio nazionale.

Per agevolare il cambiamento di cui al nuovo testo, e al finedi favorire il progressivo rinnovamento oltre che di strutture, dimetodi e contenuti, il Ministero della pubblica istruzione avviavagià nell’anno 1987-88 una <(sperimentazione assistita)> di nuovi mo-duli di organizzazione dell’insegnamento per l’applicazione dei nuo-vi programmi. La risposta della scuola, con circa 2.000 moduli atti-vati, costituiva da una parte un positivo riscontro all’invito al rin-novamento, dall’altra (era) una valida occasione per ravvivare ildibattito sui progetti di riforma allo studio, e sulle relative con-nessioni.

Nel successivo anno scolastico, in considerazione dei lunghi tempidell’iter parlamentare del progetto di riforma, il Ministero appron-tava una seconda, analoga iniziativa con tutti i correttivi suggeritidalla precedente esperienza. Prendeva così avvio la C.M. n. 143,il cui contenuto, profondamente innovativo del tessuto scolasticoin atto, oltre ad incentivare i tentativi di cambiamento, fornivaun consistente anticipo delle parti della riforma sulle quali le con-vergenze risultavano accertate.

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È peraltro vero che la <<sperimentazione assistita)> per l’applica-zione dei nuovi programmi ha incontrato, ed incontra, difficoltàdi collocazione e di supporto del quadro giuridico: riferita all’art.3 del D.P.R. 419/1974 ne ha recepito le essenziali prescrizioni eprocedure. Tuttavia, pur senza attingere alla pienezza della legitti-mazione, essa ha attivato meccanismi didattici ed amministrativipiuttosto consistenti, che hanno inciso, con una percentuale ap-prezzabile, sia sull’organizzazione didattica interna, sia sul funzio-namento delle scuole interessate.

Il margine di inevitabile incertezza nella collocazione giuridica(tra la 820/1971, la 270/1982 e il ricordato decreto delegato419/1974) ha avuto riflessi ovviamente sugli organici provinciali,sulla disponibilità di personale, sui criteri di utilizzazione delle ri-sorse, da cui consegue la diversificata collocazione-quantificazionedei moduli nelle diverse realtà regionali e provinciali.

La sperimentazione dei moduli ex C.M. n. 143 ha anche risen-tito delle situazioni innovative generate in 15 anni di vigenza dellalegge n. 820/1971 sull’avvio al tempo pieno. Non a caso, infatti,nelle realtà delle aree urbane a forte concentrazione o delle zonealtamente industrializzate, laddove, cioè, il tempo pieno si era or-mai consolidato su modelli scolastici di tempo-scuola pari o superio-re alle 40 ore settimanali, l’innovazione dei moduli ha incontratorilevanti difficoltà, con indici percentuali molto bassi quasi a signi-ficare tacita opposizione alla proposta ministeriale.

Maggiore flessibilità di risposta si è, al contrario, avuta nei casi diposti funzionanti per attività integrative e insegnamenti speciali, e perquelle realtà provinciali in cui l’esubero del personale, legato a diversifattori (nuove assegnazioni, denatalità, contrazione della popolazionescolastica, ecc.), ha finito col favorire una riconversione delle risorseumane, ed un diverso impiego degli insegnanti comunque disponibili.

La consistente risposta registrata nel corrente anno (oltre 7.000moduli) ha certamente contribuito a risolvere i problemi legati auna diversa utilizzazione dei docenti; tuttavia non può essere taciu-to il più profondo significato dell’esito obiettivamente registrato.Il fenomeno dei moduli ha innescato tanti e tali processi di direttocoinvolgimento, di partecipazione, di corresponsabilità, da innova-re profondamente, in molti casi, il costume didattico in atto, finoa conseguire una più alta qualità del prodotto scolastico.

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Le anticipazioni contenute nella C.M. n. 143 in ordine all’orga-nizzazione dell’insegnamento, alla contitolarità, alla programmazio-ne settimanale, alle nuove metodologie di lavoro scolastico, hannocostituito la più favorevole occasione per una significativa verificadelle innovazioni previste dal progetto di riforma, e consentonouna articolata riflessione sulla complessa materia dei Nuovi Pro-grammi: discipline di studio, organizzazione didattica, indicazionimetodologiche.

Si rende pertanto indispensabile una accurata analisi delle varia-bili più frequentemente ricorrenti nell’esperienza dei nuovi modulisperimentali.

Dinamica della contitolarità,

Gli aspetti della contitolarità e delle modalità organizzative con-vergono nelle più complesse problematiche relative al gruppo do-cente, sulle quali si impone un attento esame per chiarirne il sensoe la funzione, in quanto la nuova realtà professionale contraddistin-gue l’orientamento innovativo rispetto alla tradizionale figura del-l’insegnante unico.

Ne consegue l’esigenza di garantire l’unitarietà e la continuitàdegli interventi educativi affidati ad una pluralità di docenti i qualioperano sullo stesso gruppo di alunni.

L’esperienza finora acquisita ha confermato che la maggiore pro-duttività del lavoro educativo è stata conseguita quando il gruppodei docenti, nelle sue interne articolazioni, ha realizzato il massimogrado di coesione e di convergenza nella messa in atto della globalestrategia educativa.

La costituzione in gruppo dei docenti impegnati nella sperimen-tazione implica la necessaria assunzione di comuni principi regolati-vi capaci di assicurare la funzionalità, e la conseguente produttivi-tà, del lavoro di gruppo:

- parità di carichi professionali;- parità di carichi orari nelle classi;- convergenza degli interventi sul medesimo gruppo di

alunni;

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- flessibilità organizzativa;- razionale utilizzazione anche dei tempi di non insegna-

mento, destinati alla programmazione didattica, ai collegamenti conle attività di plesso o di circolo, al confronto con i relativi livellidi produttività raggiunti nei diversi ambiti disciplinari.

La capacità di collaborazione, la disponibilità al confronto e l’ac-cettazione del punto di vista altrui sono condizioni essenziali allacorretta impostazione ed attuazione delle dinamiche relazionali al-l’interno del gruppo.

Nella generalità delle esperienze in atto il problema ha trovatofacile soluzione, in quanto gli insegnanti in esse impegnati proveni-vano frequentemente da precedenti iniziative di lavoro in équipecostituite sulla base di affinità professionali o di libere opzioni.

Quando la costituzione del gruppo-docente sarà determinata inbase ai soli coefficienti di organico, o a variabili non sempre con-trollabili, il problema potrà acuirsi fino a provocare casi di verae propria conflittualità a tutto danno della proficuità dell’interven-to educativo. Hanno provocato e provocano forti perplessità i mo-duli articolati su quattro insegnanti per tre classi, per le più com-plesse regole della dinamica di gruppo, ma anche per i problemidelle aggregazioni disciplinari, della contitolarità su tre classi anzi-ché due, della difficile distribuzione dei carichi orari,

Particolare attenzione meritano le scuole pluriclassi o con ridot-to numero di alunni per i problemi sollevati dallo scarso numerodi docenti, dal razionale abbinamento delle classi, dalla proficuaaggregazione delle discipline, dall’estensione del modulo alle classiresidue (caso dei 7 docenti per 5 classi).

Formazione dei gruppi di alunni.

Nell’ambito delle problematiche relative alla formazione dei grup-pi di alunni, viene affermato il principio che affida ai docenti lapiù ampia discrezionalità in quanto assumono carattere prioritariole singole situazioni educative, le effettive necessità di volta in vol-ta emergenti, le differenti condizioni ambientali.

Inoltre la costituzione dei gruppi risulta diversificata in rappor-

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to alle situazioni di pluriclassi, classi contigue, classi parallele, non-ché al numero di alunni per classe, ai casi di soggetti in situazionedi ritardo o di svantaggio, alla presenza di portatori di handicap.

Tra le tipologie più ricorrenti figurano:

a) sottogruppi di alunni della medesima classe;b) sottogruppi di alunni appartenenti alle classi del modulo;c) sottogruppi di alunni monoclasse, derivanti dalla disaggre-

gazione di pluriclassi;d) gruppo costituito da tutti gli alunni del modulo o da una

gran parte di essi.

Raramente si registrano aggregazioni di alunni provenienti daclassi appartenenti a moduli diversi. La classe, insomma, costituisceil costante punto di riferimento nell’organizzazione dei moduli.

Resta inteso che tempi adeguati e uso razionale degli spazi, be-ne articolati nella programmazione didattica, costituiscono fattoriineludibili per l’ottimale strutturazione e per il funzionamento deigruppi.

Aggregazioni disciplinari.

Dalle esperienze finora acquisite scaturisce la constatazione del-la generale osservanza delle indicazioni contenute nella circolareministeriale.

In questo quadro non mancano, peraltro, moduli che se ne di-scostano 0 per criteri epistemologici, 0 per preferenze e particolariabilità dei docenti, o per esigenze organizzative pragmaticamenteconnesse più alla disponibilità dei docenti che alla contiguità-affinitàtra le discipline. Non sono infrequenti i casi di scelte guidate dauna valutazione gerarchica delle discipline, generalmente accompa-gnate da eccessiva preoccupazione per l’apprendimento di certi con-tenuti o per l’acquisizione di determinate abilità.

Conseguentemente risultano sacrificate le discipline dell’areastorico-socio-antropologica, e quelle che richiedono una più appro-fondita preparazione specifica sul piano culturale e tecnico-didattico.

Non mancano infine situazioni di aggregazioni disciplinari lega-te a progetti didattici, in cui gli insegnanti operano prevalentemen-

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te su base polidisciplinare, preoccupandosi di garantire la continui-tà con i precedenti interventi educativi.

Nella prospettiva di una futura generalizzazione della sperimen-tazione (legata all’approvazione della legge sui nuovi ordinamenti),viene largamente indicata l’esigenza di definire con direttiva mini-steriale, sulla linea già perseguita dalla C.M. n. 143, una grigliadi indicazioni specifiche destinate a regolamentare il settore squisi-tamente tecnico delle aggregazioni disciplinari.

In pratica è risultata opportuna la articolazione delle disciplinein tre ambiti specifici, riservando i raccordi e i livelli di interdisci-plinarietà alla progettualità dei collegi dei docenti; inoltre è statageneralmente confermata l’inopportunità di assegnare più di una«educazione» ad uno stesso docente.

Orari.

È unanimemente riconosciuto che per un’adeguata applicazionedei nuovi programmi l’orario delle 27 ore settimanali costituisceil minimo indispensabile. Tuttavia da più parti viene richiesto chesia data la facoltà agli organi competenti di poter ampliare il monteore fino al massimo delle 30, quando le condizioni oggettive lorichiedano e lo consentano.

Sul problema della durata oraria giornaliera delle lezioni si sonodelineate due posizioni di massima: da una parte i fautori dell’ora-rio antimeridiano continuato, con estensione anche oltre la mezzaora; dall’altra i sostenitori dell’opportunità, evidenziata da ragionidi igiene mentale, di uno o più rientri pomeridiani, La dicotomia,oltre a rispondere all’esigenza di tenere nella debita considerazionele particolari variabili di carattere locale e sociale, trova adeguatemotivazioni nel pericolo di eccessivo affaticamento degli alunni, do-vuto a troppo gravosi carichi di lavoro.

Un aspetto di assoluto rilievo nella formulazione e nell’articola-zione del piano orario settimanale è costituito dalla effettiva dispo-nibilità di spazi (aule, laboratori, locali vari) utilizzabili nella prati-ca attuazione dei meccanismi interni al modulo. Tale esigenza simanifesta con maggiore rilevanza e frequenza nelle scuole situatein zone del centro e del sud del territorio nazionale. In merito,

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appare quanto mai opportuna un’iniziativa ministeriale mirata a sol-lecitare l’intervento degli Enti locali circa l’apprestamento delle con-dizioni strutturali (edifici, mense, trasporti, assistenza) richieste dallaprogressiva disseminazione territoriale dei moduli sperimentali,

Rapporto Piano Pluriennale di Aggiornamento e attivazione moduli.

L’azione degli IRRSAE nella gestione del P.P.A. non sempreha concorso a risolvere i problemi scaturiti dall’attivazione dei mo-duli ex C.M. n. 143/1988, sia perché nella progettazione non eranostati previsti interventi specifici, sia perché alcuni IRRSAE hannoaccusato crisi organizzative e funzionali, sia perché il Piano nonha, in talune occasioni, privilegiato il rapporto con la prassi profes-sionale dei docenti. D’altra parte l’attuazione dei nuovi programmipassa evidentemente attraverso l’esperienza dei moduli e, quindi,si rende necessario intervenire con un nuovo indirizzo da trasmet-tere agli IRRSAE al fine di conseguire una più stretta connessionefra l’aggiornamento e la fase attuativa dei moduli sperimentali exn. 143/1988.

In questo senso s’impone la riflessione critica su alcuni temiessenziali:

- specificazione della problematica relativa alle dinamicheinterpersonali all’interno del gruppo, per l’ottimazione del rendi-mento del team;

- approfondimento delle modalità di aggregazione delle di-scipline;

- incentivazione delle esercitazioni sull’uso delle tecniche diverifica e di controllo.

Tale attività di aggiornamento esigerebbe un tempo suppletivoda dedicare alle tematiche precedentemente enunciate, o, per lomeno, la possibilità di ritagliare un tempo specifico da quello previ-sto per le attività del Piano.

Anche l’individuazione dei gruppi d’insegnanti da aggiornaredovrebbe rispondere alle diverse situazioni di distribuzione e diconsistenza numerica dei moduli, superando gli attuali criteri adot-tati dagli IRRSAE. Le carenze di aggiornamento riguardano più

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specificatamente ed in modo particolare le «tre educazioni», le qua-li vengono spesso sacrificate anche sul piano della attribuzione deitempi di attività. In questo senso, l’attuazione di un’azione di ag-giornamento che tenga presente l’attività modulare esige l’intensifi-cazione della preparazione in educazione all’immagine, al suono-musica e motoria. .

La sperimentazione dei moduli ex C.M, n. 143/1988 ha messoin luce l’importanza basilare della organizzazione didattica rispettoalla programmazione didattica, e, quindi, la necessità di riformularele indicazioni fornite dal P.P.A. riguardo alla progettazione delleattività scolastiche. In questo ambito l’organizzazione didattica do-vrebbe trovare il punto di convergenza fra gli elementi di diversifi-cazione della funzione docente, della rimotivazione nell’ambito distrutture profondamente mutate, e della riqualificazione dell’attitu-dine a leggere, interpretare e risolvere le interazioni nel team do-cente. Il rafforzamento della individuale capacità di programmaree organizzare in team implica la gestione del tempo scuola, del tem-po docenza, dei periodi di contemporaneità, della aggregazione del-le discipline e delle verifiche.

In modo particolare, nel P.P.A. è risultata molto attenuata lapromozione della competenza e della consuetudine all’uso di tecni-che e procedure di verifica e di controllo, indispensabili nella pro-gettazione e nella gestione dei moduli. Questi procedimenti valuta-tivi devono trovare compimento e giustificazione in una operazionedi confronto tra esperienze, da prevedere in una serie di indicazio-ni normative che consentono la generale visione dei risultati rag-giunti nelle singole situazioni.

Conclusioni.

Si premette innanzitutto che pur fra le molte difficoltà, dovutea diverse concause, l’iniziativa di cui alla C.M. n. 143 ha avutosuccesso. Essa ha visto, nello spazio di un anno, non solo triplicatoil numero delle adesioni, tutte volontarie e tutte sopravvissute alleverifiche dirette e indirette, ma ha registrato un consenso inspera-to, di molto superiore agli ambiti ed agli operatori direttamenteinteressati e coinvolti.

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A ragione si può affermare che l’effetto-alone positivo si è dif-fuso a tutte le scuole, i plessi, i circoli, che hanno ospitato modulisperimentali, concorrendo da un lato a vincere differenze e timori,dall’altro a rafforzare convincimenti e attese verso l’ormai certainnovazione generalizzata.

La C.M. n. 143, diramata quando ancora le critiche sulla prece-dente n. 288 erano tutte presenti e puntuali, si è rilevata alla provadei fatti una buona circolare, che si è inserita senza sconvolgimentie fratture nel tessuto scolastico della scuola primaria, e che ha sapu-to rispondere alle aspettative dei docenti e dirigenti scolastici piùsensibili al rinnovamento in atto della scuola, ed alle attese di alun-ni e genitori.

Essa di fatto ha costituito la prova che il cambiamento volutodai nuovi programmi non è frutto di una decisione estranea allascuola ed alle sue tradizioni, né è opera di una volontà legislativaastratta, ma è la risposta illuminata e anticipatrice di una riflessionepedagogica tra le più avvertite del mondo occidentale, che ipotizzauna scuola con strutture, metodi, contenuti, in grado di reggerela sfida educativa degli anni novanta.

L’Amministrazione scolastica centrale e periferica si è sforzatadi supplire vuoti e ritardi legislativi, e ha cercato di facilitare l’in-novazione con gli strumenti a disposizione. L’esito della indagineconoscitiva ha rivelato gli esiti positivi e negativi, impliciti questiultimi nella delicata fase di avvio del cambiamento.

L’esperienza di verifica è stata tuttavia di grande utilità ancheper la presa di coscienza che essa ha favorito sui punti deboli del-l’innovazione, e sui correttivi necessari. A taluni si potrà porre ri-medio: per altri bisognerà studiare adattamenti e soluzioni particolari.

Al fine di favorire la più ampia riflessione fra tutti gli interessa-ti, anche in vista delle esperienze future, destinate ad un universosempre più dilatato, si registrano, a conclusione, le riflessioni piùsignificative dei rappresentanti del corpo ispettivo centrale e perife-rico, desunte da studi e ricerche personali, oltre che da contributidi dirigenti e docenti, e maturate nel corso dei lavori del Seminarionazionale.

Esse, unite ai dati statistici raccolti con l’apposito questionario,costituiscono una sintesi complessa e completa della verifica dell’a-dozione dei moduli sperimentali, e forniscono un quadro originale

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e veridico dell’esperienza innovativa nella scuola primaria sul terri-torio nazionale.

1) Si ravvisa la necessità di rappresentare agli IRRSAE l’esi-genza di prevedere, nell’ambito del P.P.A., appositi interventi mi-rati ad approfondire la conoscenza delle fondamentali tematiche af-frontate nei moduli sperimentali e le modalità di organizzazionee di conduzione dei lavori di gruppo.

1bis) Ove tale iniziativa non si rendesse praticabile, sarebbeauspicabile il diretto intervento dell’Amministrazione centrale e pe-riferica della pubblica istruzione.

2) L’attivazione dei moduli nelle piccole scuole comporta lafrequente adozione del rapporto quattro insegnanti per tre classi,il forzato abbinamento di classi non omogenee, il problema delleclassi dispari.

Poiché tale esperienza si è dimostrata scarsamente funzionale,si segnala l’esigenza di:

a ) limitare ai casi di assoluta necessità l’adozione del modulo4:3;

b) ampliare il campo d’azione del modulo fino a comprendereclassi appartenenti a plessi scolastici viciniori.

Si propone, inoltre, di estendere quanto prima possibile anchealle classi del II ciclo l’esperienza dei moduli per renderne più pra-ticabile l’attivazione.

3) Il tempo di docenza previsto in 27 ore settimanali nonè ritenuto sufficiente. Si suggerisce, pertanto, di consentirne l’e-stensione, ove richiesto, fino alle 30 ore settimanali.

3 bis) Nella pratica articolazione degli orari giornalieri di le-zione, si ravvisa l’opportunità di raccomandare la razionale distri-buzione dell’impegno scolastico nei periodi antimeridiano e pomeri-diano, con uno o più rientri.

4) La prevista ripartizione in ambiti delle discipline di studioè stata favorevolmente accolta e praticata. Si chiede che analogaindicazione venga esplicitamente riconfermata, in attesa della legge,anche per evitare l’insorgere di soluzioni non sorrette da adeguatemotivazioni didattiche.

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5) La programmazione didattica, nella sua più autentica acce-zione, è stata recepita e utilizzata come valido strumento d’impo-stazione e di conduzione dell’intervento educativo di gruppo. Intal senso, è ampiamente fondata l’istanza di aumento numerico del-le ore previste dalla normativa. Si propone, di conseguenza, di pre-vedere la possibilità di utilizzare, ai fini di programmazione, dueo più delle ottanta ore già destinate ad attività di non insegnamento.

6) Il successo riportato dall’iniziativa dei moduli sperimentali,sia per quanto concerne i consensi espressi dai docenti, sia per quan-to riguarda la pressoché generale adesione dei genitori, riproponeil problema della-prevista unanimità di adesione da parte delle fami-glie interessate. E stata da più parti avanzata l’istanza che venganoemanate più precise disposizioni volte a far valere il democratico prin-cipio del rispetto della volontà della maggioranza, anche per evitareche sparute minoranze impediscano la realizzazione dei progetti spe-rimentali destinati all’autentico rinnovamento della scuola elementa-re. Pur con i limiti imposti dal carattere sperimentale dei moduli,e in attesa che la legge sancisca il relativo obbligo, si segnala l’oppor-tunità di risolvere pacificamente i contrasti, al fine di consentire l’ap-plicazione dei nuovi programmi in contesti sempre più ampi.

2. RAPPRESENTAZIONE DEI DATI.

A) 1 dati forniti dalle schede compilate per ciascun modulo fun-zionante nell’anno scolastico 1988-89 sono affluiti al sistema di ela-borazione del CENSIS il quale li ha tabulati e ordinati in tabelle.Nel corso del lavoro è emerso che non tutte le schede sono statecompilate con l’esattezza e la completezza richieste. Pertanto esi-stono dispersioni che, pur marginali, impediscono tuttavia corri-spondenze numeriche perfette.

Nel rappresentare i risultati dell’elaborazione statistica si seguiran-no gli items con le suddivisioni e le numerazioni presenti nella scheda.

1 moduli attivati nell’anno scolastico 1988-89, ai sensi della C.M.n. 143/1988, sono stati in totale n. 7.320.

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Essi si sono incardinati in plessi che comprendono complessiva-mente 45.904 classi comuni, con n. 739.539 alunni.

Del totale dei moduli attivati, il campione risultato utilizzabileai fini della elaborazione statistica è stato pari a n. 6.598 unità.

Bl) Essi forniscono la seguente rappresentazione:

1) Moduli con 3 insegnanti su due classi n. 5.935 - 90 %.2) Moduli con 4 insegnanti su tre classi n. 597 - 9 %.3) Moduli con 4 insegnanti su due classi n. 5 8 - 0,9%.4) Moduli con 6 insegnanti su tre classi n. 8- O,l%.

Totale n. 6.598

B2) La distribuzione dei moduli previsti dalla C.M. n. 143/1988presenta una prevalenza di moduli che comprendono classi parallele(68%). In questo ambito, i moduli che raggruppano le prime classiassommano al 33,9%; quelli che raggruppano le seconde classi al23,3%; i moduli che comprendono le classi terze sono il 4,3%;quelli che comprendono le classi quarte sono il 3,2% e infine imoduli che raggruppano le classi quinte sono il 3,3%.

Il restante 32% comprende moduli che si sono articolati conl’aggregazione di classi successive. Più precisamente, i moduli chehanno unito le prime e le seconde classi sono il 26,5%; i moduliche hanno raggruppato le seconde e le terze sono il 2%; quelliche hanno unito le terze e le quarte sono 1’1,3%; quelli chehanno unito le quarte e le quinte sono 1’ 1,5%, mentre le altreaggregazioni presentano la percentuale scarsamente significativadell’1%.

B3) 1.952 moduli attivati nell’anno scolastico 1987-88 hannocontinuato a funzionare nell’anno scolastico 1988-89.

Gli alunni che hanno frequentato le classi costituenti i moduliin atto nei due anni scolastici 1987-88 e 1988-89 sono stati 70.219.

B4) Ai fini della conoscenza del numero e dello status degliinsegnanti impegnati nei moduli, sono risultati utilizzabili meno disettemila. Dalle risposte fornite sono emersi i seguenti dati.

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Status Modulo Modulo Modulo Modulo Totale N.insegnanti 3 su 2 4 s u 3 4 s u 2 6 s u 3 insegnanti

Titolari nel plesso 16.076 2.184 230 53 18.543

Titolari in plessodiverso 524 59 5 2 590

Appartenenti allaDOA 1.444 196 11 = 1.651

Altre posizioni 376 47 10 1 434

Totale 18.420 2.486 256 56 21.218

B5) Il 98,4% degli insegnanti impegnati nei moduli che coin-volgono 3 insegnanti per 2 classi, e il 98,6% degli insegnanti impe-gnati nei moduli che coinvolgono 4 insegnanti per 3 classi non svol-gono, oltre alle attività del modulo, attività integrative in altre classi.

C) Ora r i .

Cl) Le percentuali di durata settimanale dell’attività dei modu-li 3 insegnanti su 2 classi e 4 insegnanti su 3 classi sono distintenel modo seguente:

Ore %

27 61,427,30 2,628 13,628,30 1,929 9,629,30 0,630 10,3

Risulta evidente l’alta diffusione di moduli a 27 ore e la prevalen-za degli orari a 27, 28, 29, 30 ore rispetto a quelli con frazioni d’ora.

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C2) Per quanto concerne i rientri pomeridiani essi sono adotta-ti da circa un terzo dei moduli (31,2%), mentre i rimanenti dueterzi funzionano in orario esclusivamente antimeridiano.

C2.1) Nei moduli a rientro pomeridiano una altissima percen-tuale (79,9%) di insegnanti impegnati effettua rientri; quando irientri sono due, la percentuale cala al 12,2%; per un solo inse-gnante che effettua rientri, la percentuale è del 7,9.

Si ricava pertanto che i moduli realizzano una piena contitolari-tà in modo preponderante e che un diverso trattamento nella realiz-zazione dell’orario interessa una parte relativamente modesta deiteam-docenti.

C2.2) L’ulteriore dato riguardante la permanenza nei rientri ola rotazione individua una suddivisione pari al 56,5% per gli inse-gnanti che gestiscono permanentemente l’orario pomeridiano e al43,5% per gli insegnanti che ruotano.

C3) Il 61,2% dei docenti effettua l’orario settimanale di cin-que giorni.

C4) L’orario settimanale di cinque giorni per gli alunni è adot-tato nel 6,4% dei moduli.

C5) Preponderante la scelta di un orario settimanale fisso (93,5%dei moduli) e, nei pochissimi casi di cambiamento settimanale, ladistribuzione si presenta come sostanzialmente equivalente (41,6%con cambiamento settimanale, 30,6% con cambiamento quindicina-le e 27,8% con cambiamento mensile).

C6) Le ore di programmazione si svolgono quasi generalmente(93,3%) al pomeriggio in orario fisso (95,1%).

C7) In relazione all’orientamento prevalente verso l’orario anti-meridiano il funzionamento della mensa riguarda il 18,9% dei mo-duli per una media di 3 ore e 10 minuti settimanali.

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D 1) Aggregazione delle discipline.Dall’elaborazione dei dati è emerso che il 35,8% degli inse-

gnanti svolgono attività educative in 3 discipline, il 18,9% in 2,il 17,9% in 4 e il 16,8% in 5.

Esigue le percentuali di impegno docente sia in una sola disci-plina (0,5%) sia in più di 5 discipline (10,1% globalmente).

Nei moduli più diffusi con 3 insegnanti su 2 classi si sono iden-tificate alcune tendenze per quanto concerne l’aggregazione dellediscipline.

Nella soluzione dell’insegnamento fornito in 2 discipline l’ag-gregazione preponderante è quella che abbina la Lingua all’Educa-zione all’immagine (il 10,94%, della percentuale del 18,9% sopraspecificata) e la Matematica alle Scienze (2,63%).

Eccetto il caso dell’abbinamento Lingua-Educazione musicale,che rappresenta l’1,74%, tutti gli altri abbinamenti sono attestatiin percentuali inferiori all’unità.

Nella soluzione dell’insegnamento fornito in 3 discipline le ag-gregazioni prevalenti sono quelle fra Lingua, Educazione all’imma-gine ed Educazione musicale (4,37%), Lingua, Educazione musica-le e Religione (4,23%), Matematica, Scienze, Educazione musicale(6,66%), Matematica, Scienze, Educazione motoria (10,23%). Lealtre aggregazioni, eccetto Matematica, Scienze, Educazione all’im-magine (1,17%) e Matematica, Scienze, Religione (2,37%) presen-tano percentuali inferiori all’unità.

L’insegnamento in quattro discipline (17,9% globale) è preferi-bilmente adottato aggiungendo all’ambito degli Studi sociali (Sto-ria, Geografia, Studi sociali) una delle Educazioni (con una distri-buzione pressoché equivalente).

L’insegnamento in cinque discipline ripete in parte lo schemaprecedente con la differenza della formazione di un ambito cheaggiunge alle tre discipline degli Studi sociali le Scienze e aggregavariamente le Educazioni. Prevalente è la soluzione che combinale discipline degli Studi sociali (Storia, Geografia, Studi sociali) condue Educazioni (12,40% sul globale 16,8%).

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D2) Ore settimanali assegnate alle discipline.

L’orario settimanale assegnato alle varie discipline è riferito allamedia dei vari orari adottati nei moduli 3 insegnanti su 2 classie alle classi comprese nei moduli.

Esso risulta dalla rappresentazione grafica di cui ai prospettiallegati.

Dalla rappresentazione dei dati si rilevano la leggera diminuzio-ne dell’orario dedicato alla Lingua nelle classi del secondo ciclo,la diminuzione degli indici numerici, rapportati all’insieme dell’ora-rio disponibile, riguardanti Studi sociali ed Educazione musicalee la sostanziale equa distribuzione di tutte le discipline nel quadroorario.

Anche se si tratta di medie, e quindi di valori relativamenterispondenti alle variazioni esistenti fra moduli, la tendenza al con-seguimento di una distribuzione oraria ampiamente condivisa è con-fermata.

D3) Contemporaneità.

La realizzazione della contemporaneità avviene per circa la me-tà dei moduli (48,2%) sia con gruppi provenienti dalla stessa classesia con gruppi provenienti da più classi, ma, mentre è alta la per-centuale (38,8%) della formazione di gruppi nella stessa classe, quelladi un’operazione trasversale per classi diverse è molto più limitata(13,0%).

D3.1) L’utilizzazione della contemporaneità è superiore ai dueterzi (68,8%) nelle soluzioni in cui si attuano l’arricchimento delcurricolo ed il recupero, l’integrazione e l’approfondimento, peròla quota riservata al primo è talmente modesta (3,4%) che pratica-mente la tendenza dominante è quella di privilegiare l’interventoper il recupero di svantaggi e ritardi.

E) Strutture-Servizi.

El) 1 moduli attivati hanno utilizzato il 18% delle aule a di-sposizione della scuola (circa l/5).

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E2) Palestra.

Circa sui due terzi (61,3%) le possibilità per i moduli di utiliz-zare palestre (che sono in condizioni buone e discrete nell’85,6%dei casi).

E3) Trasporto,

Per circa la metà dei moduli (44,4%) non opera alcun serviziodi trasporto e per circa la metà in cui il servizio opera (55,3%)è limitato all’orario antimeridiano.

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ATTUAZIONE SPERIMENTALE DI NUOVI MODULIORGANIZZATIVI PER L’ANNO SCOLASTICO 1989-90

Circolare 5 giugno 1989, n. 196

Con circolari n. 288 del 22 settembre 1987 e n. 143 del 24maggio 1988 è stata avviata la sperimentazione di nuove forme diorganizzazione scolastica, al fine di realizzare elementi essenzialiper l’attuazione dei nuovi programmi didattici per la scuola elemen-tare, in vigore dall’anno scolastico 1987-88.

La graduale applicazione dei nuovi programmi - che nel pros-simo anno scolastico si estenderà alle classi terze - rafforza l’esi-genza che vengano riproposte le condizioni più favorevoli per laloro piena ed efficace applicazione anche in considerazione dellaavvenuta approvazione della legge di riforma degli ordinamenti daparte di uno dei rami del Parlamento.

Ne consegue la necessità di proseguire - estendendola alle clas-si terze - la sperimentazione dei moduli organizzativi di cui allacircolare n. 143.

Peraltro, l’indagine conoscitiva, promossa da questo Ministero,intesa a cogliere gli aspetti essenziali, nonché le problematiche ine-renti il funzionamento dei moduli sperimentali attualmente operan-ti, ha consentito di verificare i positivi risultati delle iniziative giàattuate e di individuare ulteriori contributi utilizzabili per un otti-male funzionamento dei moduli.

Fermo restando che per le parti non richiamate nella presentecircolare valgono espressamente le indicazioni contenute nella C.M.n. 143/1988, si ritiene opportuno formulare talune proposte chel’esito della verifica effettuata indica come indispensabili per impri-mere maggiore efficacia al funzionamento dei moduli stessi.

1) La verifica condotta nell’anno in corso ha dimostrato cheil modulo che prevede quattro docenti ogni tre classi presenta note-

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voli difficoltà di applicazione rispetto alla logica della organizzazio-ne del lavoro postulata dai nuovi programmi didattici, difficoltàtenute presenti dalla Camera dei Deputati che nel testo approvatoha indicato il modulo 3/2 come normale e il modulo 4/3 come asso-lutamente residuale.

Considerato che le classi interessate all’esperienza nel prossimoanno scolastico saranno le prime, le seconde e le terze, in quantodirettamente coinvolte nell’applicazione dei nuovi programmi, si ri-velano come opportune scelte organizzative che consentano di adot-tare in tutti i casi possibili il modulo 3/2.

In considerazione della estrema diversificazione delle situazioniterritoriali, i collegi dei docenti valuteranno le soluzioni organizza-tive più idonee relative alla situazione di ciascun plesso: là dovenon sia possibile ottenere abbinamenti di classi in senso orizzontaleo verticale su cui strutturare il modulo 3/2, potranno procedereall’abbinamento della classe residua di un plesso con altra di plessovicino per la costituzione di un modulo su 2 plessi.

Tale ipotesi comporta, ovviamente, una attenta valutazione ditutte le condizioni oggettive in rapporto specialmente alla distanzadei plessi, ai mezzi di collegamento nonché riguardo all’assestamen-to del quadro orario e alla distribuzione dei compiti tra gli insegnanti.

2) Si richiama ancora una volta l’attenzione sul significatodel tempo destinato alla programmazione del gruppo docente impe-gnato nei moduli.

Il momento della programmazione favorisce l’unitarietà della fun-zione docente, realizza concretamente la corresponsabilità tramiteil confronto sui diversi stili di insegnamento, l’integrazione funzio-nale delle diverse attività didattiche, l’analisi collegiale delle proce-dure di verifica e di valutazione, per addivenire alla progettazionedi coerenti interventi educativi deliberati collegialmente.

Si ritiene opportuno precisare che tale momento, pur mante-nendo una collocazione oraria autonoma e distinta dagli impegnididattici, può ugualmente trovare spazio, ove il quadro orario loconsenta, al termine di impegni collegiali che non comportino ec-cessivo aggravio di lavoro per i docenti.

3) Va ulteriormente sottolineata l’importanza della contem-poraneità degli interventi didattici quale risorsa da utilizzare pro-duttivamente.

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La disponibilità dei docenti, che si verifica nelle condizioni dicontemporaneità, può essere, quindi, utilizzata per consentire varieforme di lavoro di gruppo e garantire interventi individualizzatiper il recupero di alunni in difficoltà di apprendimento e l’integra-zione degli alunni stranieri.

4) L’esperienza fin qui condotta ha confermato che la mag-gior produttività del lavoro educativo è stata conseguita quandoil gruppo dei docenti ha realizzato, nelle sue interne articolazioni,il massimo grado di coesione e di convergenza nella messa in attodella globale strategia educativa.

Si ritiene utile sottolineare nuovamente che la capacità di colla-borazione e la disponibilità al confronto sono condizioni essenzialialla corretta impostazione ed attuazione delle dinamiche relazionaliall’interno del gruppo.

5) La C.M. n. 143 richiama espressamente il ruolo fondamenta-le delle famiglie il cui apporto ai fini della sperimentazione dei nuo-vi moduli va sollecitato attraverso un confronto sulle finalità dellasperimentazione e sulla necessità di una profonda innovazione delprogetto educativo.

Al riguardo si sottolinea che l’innovazione introdotta discendedalla esigenza indeclinabile di garantire una organizzazione scolasti-ca rispondente ai contenuti e agli obiettivi dei nuovi programmididattici ufficialmente in vigore, con il prossimo anno scolastico,nelle prime tre classi.

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RIFORMA DELL’ORDINAMENTODELLA SCUOLA ELEMENTARE

Legge 5 giugno 1990, n. 148

Art. 1. Finalità generali.

1. La scuola elementare, nell’ambito dell’istruzione obbligato-ria, concorre alla formazione dell’uomo e del cittadino secondo iprincìpi sanciti dalla Costituzione e nel rispetto e nella valorizzazio-ne delle diversità individuali, sociali e culturali. Essa si proponelo sviluppo della personalità del fanciullo promuovendone la primaalfabetizzazione culturale.

2. La scuola elementare, anche mediante forme di raccordo pe-dagogico, curricolare ed organizzativo con la scuola materna e conla scuola media, contribuisce a realizzare la continuità del processoeducativo.

Art. 2. Continuità educativa.

1. Il Ministro della pubblica istruzione, con proprio decreto,sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, definisce,nel rispetto delle competenze degli organi collegiali della scuola,le forme e le modalità del raccordo di cui al comma 2 dell’art.1, in particolare in ordine a:

a) la comunicazione di dati sull’alunno;b) la comunicazione di informazioni sull’alunno in collabora-

zione con la famiglia o con chi comunque esercita sull’alunno, an-che temporaneamente, la potestà parentale;

c) il coordinamento dei curricoli degli anni iniziali e terminali;

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d) la formazione delle classi iniziali;e) il sistema di valutazione degli alunni;f) l’utilizzo dei servizi di competenza degli enti territoriali.

2. Le condizioni della continuità educativa, anche al fine di favo-rire opportune armonizzazioni della programmazione didattica, sonogarantite da incontri periodici tra direttori didattici e presidi e tradocenti delle classi iniziali e terminali dei gradi di scuola interessati.

Art. 3. Composizione delle classi.

1. Il numero di alunni in ciascuna classe non può essere supe-riore a venticinque, salvo il limite di venti per le classi che accolga-no alunni portatori di handicap.

Art. 4. Organici del personale docente.

1. L’organico provinciale è annualmente determinato sulla basedel fabbisogno di personale docente derivante dalla applicazionedei successivi commi e dalle esigenze di integrazione dei soggettiportatori di handicap e di funzionamento delle scuole o istituzionicon finalità speciali e ad indirizzo didattico differenziato, nonchéda quanto previsto dall’art. 8.

2. Al fine di consentire la realizzazione degli obiettivi educativiindicati dai programmi vigenti, l’organico di ciascun circolo è co-stituito:

a) da un numero di posti pari al numero delle classi e dellepluriclassi;

b) da un ulteriore numero di posti in ragione di uno ognidue classi e, ove possibile, pluriclassi.

3. Gli insegnanti sono utilizzati secondo moduli organizzativicostituiti da tre insegnanti su due classi nell’ambito del plesso dititolarità o di plessi diversi del circolo; qualora ciò non sia possibi-le, sono utilizzati nel plesso di titolarità secondo moduli costituitida quattro insegnanti su tre classi, in modo da assicurare in ogniscuola l’orario di attività didattica di cui all’art. 7.

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4. 1 posti di sostegno sono determinati nell’organico di dirittoin modo da assicurare un rapporto medio di un insegnante ogniquattro alunni portatori di handicap; deroghe a tale rapporto po-tranno essere autorizzate in organico di fatto, in presenza di handi-cap particolarmente gravi per i quali la diagnosi funzionale richiedainterventi maggiormente individualizzati e nel caso di alunni porta-tori di handicap frequentanti plessi scolastici nelle zone di monta-gna e nelle piccole isole.

5. Gli insegnanti di sostegno fanno parte integrante dell’orga-nico di circolo ed in esso assumono la titolarità. Essi, dopo cinqueanni di appartenenza al ruolo degli insegnanti di sostegno, possonochiedere il trasferimento al ruolo comune, nel limite dei posti di-sponibili e vacanti delle dotazioni organiche derivanti dall’applica-zione dei commi 5, 7 e 8 dell’art. 15 .

Art. 5. Programmazione e organizzazione didattica.

1. La programmazione dell’attività didattica, nella salvaguardiadella libertà di insegnamento, è di competenza degli insegnanti chevi provvedono sulla base della programmazione dell’azione educati-va approvata dal collegio dei docenti in attuazione dell’art. 4 deldecreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416,e degli artt. 2 e 11 della legge 4 agosto 1977, n. 517.

2. Essa si propone:

a) il perseguimento degli obiettivi stabiliti dai programmi vi-genti predisponendo un’organizzazione didattica adeguata alle ef-fettive capacità ed esigenze di apprendimento degli alunni;

b) la verifica e la valutazione dei risultati;c) l’unitarietà dell’insegnamento;d) il rispetto di un’adeguata ripartizione del tempo da dedi-

care all’insegnamento delle diverse discipline del curricolo, in rela-zione alle finalità e agli obiettivi previsti dai programmi.

3. Il direttore didattico, sulla base di quanto stabilito dalla pro-grammazione dell’azione educativa, dispone l’assegnazione degli in-segnanti alle classi di ciascuno dei moduli organizzativi di cui al-l’art. 4 e l’assegnazione degli ambiti disciplinari agli insegnanti, aven-

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do cura di garantire le condizioni per la continuità didattica, non&la migliore utilizzazione delle competenze e delle esperienze professio-nali, assicurando, ove possibile, una opportuna rotazione nel tempo.

4. Nell’ambito dello stesso modulo organizzativo, gli insegnantioperano collegialmente e sono contitolari della classe o delle classia cui il modulo si riferisce.

5. Nei primi due anni della scuola elementare, per favorire l’im-postazione unitaria e pre-disciplinare dei programmi, la specificaarticolazione del modulo organizzativo di cui all’art. 4 è, di norma,tale da consentire una maggiore presenza temporale di un singoloinsegnante in ognuna delle classi.

6. La pluralità degli interventi è articolata, di norma, per ambi-ti disciplinari, anche in riferimento allo sviluppo delle più ampieopportunità formative.

7. Il collegio dei docenti, nel quadro della programmazione del-l’azione educativa, procede all’aggregazione delle materie per ambi-ti disciplinari, nonché alla ripartizione del tempo da dedicare all’in-segnamento delle diverse discipline del curricolo secondo i criteridefiniti dal Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglionazionale della pubblica istruzione, tenendo conto:

d) dell’affinità delle discipline, soprattutto nei primi due an-ni della scuola elementare;

b) dell’esigenza di non raggruppare da sole o in unico ambitodisciplinare l’educazione all’immagine, l’educazione al suono e allamusica e l’educazione motoria.

8. La valutazione in itinere dei risultati dell’insegnamento nellesingole classi e del rendimento degli alunni impegna collegialmentegli insegnanti corresponsabili nella attività didattica.

9. Il direttore didattico coordina l’attività di programmazionedell’azione educativa e didattica, anche mediante incontri collegialiperiodici degli insegnanti.

Art. 6. Interventi in favore degli alunni portatori di handicap,

1. Al fine di realizzare interventi atti a superare particolari si-tuazioni di difficoltà di apprendimento determinate da handicap si

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utilizzano gli insegnanti di sostegno di cui all’art. 4, i cui compitidevono essere coordinati, nel quadro della programmazione dell’a-zione educativa, con l’attività didattica generale.

2. Gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità delle classiin cui operano e collaborano con gli insegnanti del modulo organiz-zativo di cui all’art. 4, con i genitori e, se necessario, con gli specia-listi delle strutture territoriali, per programmare ed attuare progettieducativi personalizzati.

3. Nell’ambito dell’organico di circolo può essere prevista l’uti-lizzazione fino a un massimo di ventiquattro ore di un insegnante,fornito di titoli specifici o di esperienze in campo psicopedagogico,per intervenire nella prevenzione e nel recupero, agevolare l’inseri-mento e l’integrazione degli alunni in situazione di difficoltà e inte-ragire con i servizi specialistici e ospedalieri del territorio, nel ri-spetto delle funzioni di coordinamento e rappresentatività del di-rettore didattico. A tal fine, il collegio dei docenti, in sede diprogrammazione, propone al direttore didattico i necessari adatta-menti in materia di costituzione dei moduli.

4. L’esperienza di integrazione degli alunni portatori di handi-cap è oggetto di verifiche biennali compiute dal Ministro della pub-blica istruzione che riferisce al Parlamento e, sulla base delle stesse,impartisce adeguate disposizioni.

Art. 7. Orario delle attività didattiche.

1. L’orario delle attività didattiche nella scuola elementare hala durata di ventisette ore settimanali, elevabili fino ad un massimodi trenta ore in relazione a quanto previsto dal comma 7.

2. Per le classi terze, quarte e quinte l’adozione di un orariodelle attività didattiche superiore alle ventisette ore settimanali, macomunque entro il limite delle trenta ore, può essere disposta, oltreche in relazione a quanto previsto dal comma 7, anche per motivateesigenze didattiche ed in presenza delle necessarie condizioni orga-nizzative, sempreché la scelta effettuata riguardi tutte le predetteclassi del plesso.

3. Dall’orario delle attività didattiche di cui ai commi 1 e 2

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del presente articolo è escluso il tempo eventualmente dedicato allamensa e al trasporto.

4. Nell’organizzazione dell’orario settimanale, i criteri della pro-grammazione dell’attività didattica devono, in ogni caso, rispettareuna congrua ripartizione del tempo dedicato ai diversi ambiti disci-plinari senza sacrificarne alcuno.

5. I consigli di circolo definiscono le modalità di svolgimentodell’orario delle attività didattiche scegliendo, sulla base delle di-sponibilità strutturali, dei servizi funzionanti, delle condizioni socio-economiche delle famiglie, fatta salva comunque la qualitàdell’insegnamento-apprendimento, fra le seguenti soluzioni:

a) orario antimeridiano e pomeridiano ripartito in sei giornidella settimana;

b) orario antimeridiano e pomeridiano ripartito in cinque gior-ni della settimana.

6. Fino alla predisposizione delle necessarie strutture e serviziè consentito adottare l’orario antimeridiano continuato in sei giornidella settimana.

7. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione è dispo-sto un ulteriore aumento di orario in relazione alla graduale attiva-zione dell’insegnamento della lingua straniera.

Art. 8. Progetti formativi di tempo lungo.

1. A decorrere dall’anno scolastico 1990-1991 potranno realiz-zarsi, su richiesta delle famiglie, anche per gruppi di alunni di classidiverse, attività di arricchimento e di integrazione degli insegna-menti curriculari alle seguenti condizioni:

a) che l’orario complessivo settimanale di attività non superile trentasette ore, ivi compreso il «tempo-mensa»;

b) che vi siano le strutture necessarie e che siano effettiva-mente funzionanti;

c) che il numero degli alunni interessati non sia inferiore,di norma, a venti;

d) che la copertura dell’orario sia assicurata per l’intero annocon lo svolgimento, da parte dei docenti contitolari delle classi cui

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il progetto si riferisce, di tre ore di servizio in aggiunta a quellestabilite per l’orario settimanale di insegnamento, nei limiti e se-condo le modalità di cui all’art. 14, comma 8, del decreto del Presi-dente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 399, o, nel caso di man-cata disponibilità degli stessi, con la utilizzazione, limitata alle orenecessarie, di altro docente titolare del plesso o del circolo, tenutoal completamento dell’orario di insegnamento; ovvero, qualora nonsi verifichino dette condizioni, con l’utilizzazione di altro docentedi ruolo disponibile nell’organico provinciale.

2. Le attività di tempo pieno di cui all’art. 1 della legge 24settembre 1971, n. 820, potranno proseguire, entro il limite deiposti funzionanti nell’anno scolastico 1988-1989, alle seguenti con-dizioni:

a) che esistano le strutture necessarie e che siano effettiva-mente funzionanti;

b) che l’orario settimanale, ivi compreso il <<tempo-mensa)>,sia stabilito in quaranta ore;

c) che la programmazione didattica e l’articolazione delle di-scipline siano uniformate ai programmi vigenti e che l’organizzazio-ne didattica preveda la suddivisione dei docenti per ambiti discipli-nari come previsto dalla presente legge.

3. I posti derivanti da eventuali soppressioni delle predette at-tività di tempo pieno saranno utilizzati esclusivamente per l’attua-zione dei moduli organizzativi di cui all’art. 4.

Art. 9. Orario di insegnamento.

1. L’orario di insegnamento per gli insegnanti elementari è co-stituito di ventiquattro ore settimanali di attività didattica, di cuiventidue ore di insegnamento e due ore dedicate alla programma-zione didattica da attuarsi in incontri collegiali dei docenti di cia-scun modulo, in tempi non coincidenti con l’orario delle lezioni.

2. Nell’ambito delle ore di insegnamento, una quota può esseredestinata al recupero individualizzato o per gruppi ristretti di alunnicon ritardo nei processi di apprendimento, anche con riferimento adalunni stranieri, in particolare provenienti da paesi extracomunitari.

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3. L’orario settimanale di insegnamento di ciascun docente de-ve essere distribuito in non meno di cinque giorni la settimana,

4. A partire dal 1° settembre e fino all’inizio delle lezioni icollegi dei docenti si riuniscono per la definizione del piano annua-le di attività didattica e per lo svolgimento di iniziative di aggior-namento.

5. Nell’ambito del piano annuale di attività, il collegio dei do-centi stabilisce i criteri per la sostituzione dei docenti assenti perun periodo non superiore a cinque giorni, in modo da utilizzarefino ad un massimo di due terzi delle ore disponibili di cui al com-ma 2, calcolate su base annuale al di fuori dell’attività di insegna-mento e delle due ore previste dal comma 1 per la programmazionedidattica.

6. A tal fine si può provvedere anche mediante la prestazionedi ore di insegnamento in eccedenza all’orario obbligatorio di venti-quattro ore settimanali, da retribuire secondo le disposizioni vigenti.

7. È abrogato l’art. 12, sesto comma, della legge 24 settembre1971, n. 820.

8. Nell’orario di cui al comma 1 è compresa l’assistenza educa-tiva svolta nel tempo dedicato alla mensa.

Art. 10. Insegnamento di una lingua straniera,

1. Nella scuola elementare è impartito l’insegnamento di unalingua straniera.

2. Le modalità per l’introduzione generalizzata dell’insegnamentodella lingua straniera, i criteri per la scelta di detta lingua, perla utilizzazione dei docenti e la definizione delle competenze e deirequisiti di cui gli stessi docenti debbono essere forniti ad integra-zione di quanto previsto dal comma 3 dell’art. 5, sono definiti conapposito decreto del Ministro della pubblica istruzione da emanarsientro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge,sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione e previo pa-rere delle competenti Commissioni parlamentari.

3. Nelle scuole elementari in cui, per disposizioni legislative spe-ciali, l’insegnamento di più lingue è obbligatorio, l’introduzione del-

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l’insegnamento della lingua straniera può essere disposto previa in-tesa con gli enti locali competenti.

Art. 11. Valutazione degli alunni,

1. In relazione ai contenuti ed agli obiettivi dei programmi di-dattici in vigore, il Ministro della pubblica istruzione, sentito ilparere del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, determina,con propria ordinanza, le modalità, i tempi ed i criteri per la valu-tazione degli alunni e le forme di comunicazione di tale valutazionealle famiglie.

Art. 1.2. Piano straordinario pluriennale di aggiornamento.

1. Ad integrazione dei normali programmi di attività di aggior-namento, in relazione all’attuazione del nuovo ordinamento e deinuovi programmi, il Ministro della pubblica istruzione attua, conla collaborazione delle università e degli Istituti regionali di ricerca,sperimentazione e aggiornamento educativi (IRRSAE), un program-ma straordinario di attività di aggiornamento con durata plurienna-le per tutto il personale ispettivo, direttivo e docente, da realizzarsinei limiti degli stanziamenti a tal fine iscritti nello stato di previsio-ne del Ministero della pubblica istruzione.

2. A tal fine i provveditori agli studi, avvalendosi anche degliispettori tecnici e dei direttori didattici, collaborano alla gestionedei piani di cui al comma 1 e determinano i periodi di esonerodal servizio eventualmente necessari.

3. Le iniziative di aggiornamento, opportunamente articolate perambiti disciplinari onde consentire la migliore rispondenza a quan-to stabilito dall’art. 5, devono assicurare la complessiva acquisizio-ne degli obiettivi fissati dai nuovi programmi ed offrire ai docentimomenti di approfondimento della programmazione e dello svolgi-mento dell’attività didattica. In una fase successiva del piano saran-no attivati corsi di aggiornamento sulle singole discipline per con-sentire ai docenti approfondimenti ulteriori, in base alle loro pro-pensioni o attitudini professionali.

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4. Ad integrazione di quanto previsto nei commi 1, 2 e 3, uni-versità, associazioni professionali e scientifiche, enti e istituzionia carattere nazionale e che abbiano, fra gli scopi statutari, la forma-zione professionale degli insegnanti, possono stipulare convenzionicon gli IRRSAE per la gestione di progetti di aggiornamento chesiano riconosciuti di sicuro interesse scientifico e professionale edi specifica utilità ai fini del piano pluriennale. Il Ministro dellapubblica istruzione, con propria ordinanza, stabilisce le modalitàper la stipula delle convenzioni nonché i requisiti tecnico-scientificie operativi che devono essere posseduti dalle associazioni, dagli en-ti ed istituzioni.

5. Qualora non sussista la possibilità di provvedere alle esigen-ze di servizio, conseguenti all’attuazione del piano pluriennale diaggiornamento, nell’ambito del circolo, con personale disponibileai sensi dell’art. 14 della legge 20 maggio 1982, n. 270, si procedealla nomina di supplenti temporanei in sostituzione degli insegnantiimpegnati nelle attività di aggiornamento.

6. Analogamente è consentito procedere alla nomina di supplentitemporanei, verificandosi le condizioni di cui al comma 5, in sosti-tuzione degli insegnanti chiamati a prestare la loro opera per l’at-tuazione del piano pluriennale di aggiornamento in qualità di do-centi, di esperti, di animatori, di conduttori dei gruppi o per qual-siasi altra funzione prevista dal progetto approvato.

Art. 13. Verifica e adeguamento dei programmi didattici.

1. Il Ministro della pubblica istruzione procede periodicamentealla verifica e all’eventuale adeguamento dei programmi didatticisulla base di sistematiche rilevazioni da effettuare avvalendosi degliispettori tecnici e degli IRRSAE.

2. Sulle proposte di modifica il Ministro della pubblica istru-zione acquisisce il parere del Consiglio nazionale della pubblica istru-zione e ne dà preventiva informazione alle competenti Commissioniparlamentari.

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Art. 14. Scuola elementare non statale,

1. La scuola elementare parificata è tenuta ad adottare, per iprogrammi e gli orari, l’ordinamento delle scuole elementari statali.

2. La scuola elementare autorizzata è tenuta ad uniformarsi dimassima agli obiettivi indicati dai programmi vigenti.

3. Il Ministro della pubblica istruzione, con propria ordinanza,impartisce disposizioni in materia.

Art. 15. Disposizioni per la gradualità e la fattibilità.

1. Al fine di favorire la realizzazione del nuovo ordinamentoe di garantire la necessaria disponibilità di organico di cui all’art.4, i provveditori agli studi, sentiti i consigli scolastici provincialie presi gli opportuni contatti con gli enti locali, curano l’appresta-mento delle condizioni di fattibilità della riforma , predisponendoun apposito piano.

2. Il piano, da redigersi entro sei mesi dalla data di entratain vigore della presente legge, deve fondarsi sulla preliminare rico-gnizione delle risorse disponibili e sulla conseguente individuazionedelle esigenze; sulla valutazione dell’andamento demografico e suisuoi effetti in ordine alla popolazione scolastica di ciascun circolo;sullo stato delle strutture e dei servizi e sulle possibilità di provve-dere da parte degli enti locali interessati alle relative esigenze.

3. Compatibilmente con le capacità edilizie, sono operati op-portuni accorpamenti di plessi e conseguente concentrazione di alunninelle classi.

4. Il numero complessivo di alunni per ciascun plesso dovràessere superiore a venti, ad eccezione dei plessi ubicati nelle piccoleisole e nelle zone di montagna, nelle quali le difficoltà di collega-mento non consentano la possibilità di accorpamento o di trasportodegli alunni in altre scuole.

5. Al fine di assicurare la disponibilità necessaria di organicoper l’attuazione del modulo organizzativo di cui all’art. 4 senzaulteriori oneri, i posti comunque attivati in ciascuna provincia al-l’atto della entrata in vigore della presente legge sono consolidati,

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per la utilizzazione secondo quanto previsto dai successivi commi,fino alla completa introduzione, su tutto il territorio nazionale, deinuovi ordinamenti.

6, 11 modulo organizzativo e didattico di cui agli artt. 4, 5 e8 si realizza gradualmente, con la conversione dei posti istituitio comunque assegnati ai sensi delle leggi vigenti.

7. Soddisfatte le esigenze relative alla copertura dell’organicodi cui all’art. 4, i posti eventualmente residui nell’organico provin-ciale possono essere redistribuiti, man mano che si rendano vacan-ti, nelle province nelle quali sia necessaria ulteriore disponibilitàper l’attivazione del nuovo modulo organizzativo.

8. Con ordinanza del Ministro della pubblica istruzione sonoimpartite disposizioni al fine di consentire il trasferimento, a do-manda, di insegnanti elementari dalle province nelle quali risulticoperto l’organico di cui all’art. 4 alle province nelle quali sia ne-cessaria ulteriore disponibilità di personale.

9. Entro quattro anni dall’inizio dell’attuazione del nuovo ordi-namento della scuola elementare, il Ministro della pubblica istru-zione riferisce al Parlamento sui risultati conseguiti anche al finedi apportare eventuali modifiche.

10. L’attuazione degli artt. 4, 7, 8 e 10 non deve comunquecomportare incremento di posti rispetto a quelli esistenti alla datadi entrata in vigore della presente legge, ivi compresi i posti delledotazioni organiche aggiuntive. A partire dall’entrata in vigore del-la presente legge viene abrogata ogni altra disposizione per la deter-minazione delle dotazioni organiche, ivi comprese quelle aggiunti-ve, in materia di ruoli provinciali della scuola elementare. È fattocomunque divieto di assumere, sotto qualsiasi forma, personale nondi ruolo oltre i limiti posti dalla consistenza dell’organico consolida-to, di cui al comma 5.

11. Al termine di ogni quadriennio, a partire dalla data di en-trata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dellapubblica istruzione di concerto con il Ministro del tesoro, vienedeterminata, in relazione agli andamenti demografici e alla distribu-zione territoriale della domanda scolastica, nonché all’attuazione delprogramma del nuovo modulo, la quota di sostituzione del persona-le che cessa dal servizio.

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12. Entro il mese di marzo di ciascun anno, i provveditori aglistudi trasmettono al Ministro della pubblica istruzione ed alla Cor-te dei conti una relazione finanziaria sugli oneri sostenuti nella pro-vincia di propria competenza nell’ultimo anno scolastico, per l’at-tuazione del nuovo ordinamento. La Corte dei conti, in sede direlazione al Parlamento sul rendiconto generale dello Stato, riferi-sce in apposita sezione sui profili finanziari, a livello provinciale,connessi all’attuazione della presente legge.

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STAMPATO A FIRENZE

NEGLI STABILIMENTI TIPOLITOGRAFICI

« E . ARIANI» E «L’ARTE DELLA STAMPA»

DELLA S. P, A. ARMANDO PAOLETTI

SETTEMBRE 1990

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STUDI E DOCUMENTIdegli Annali della Pubblica Istruzione 1978-1990

1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

LA VALUTAZIONE NELLA SCUOLA DELL’OBBLIGOAtti del seminario di studio. Frascati 15-18 dicembre 1977Pagg. VI-152, L, 2700

SITUAZIONE DELL’UNIVERSITÀ ITALIANAPagg. VIII-210, L. 2700

L’EDUCAZIONE SANITARIAPagg. VIII-170, L. 2700

LA SCUOLA SECONDARIA SUPERIORE ITALIANA NEGLI ANNI SETTANTAPagg. X-190, L. 2700

LA RICERCA EDUCATIVA IN ALCUNI PAESI STRANIERIPagg. VI-114, L. 2700

SCUOLA MUSEO AMBIENTEIniziative ed esperienze scolastichePagg. VIII-164, L. 2700

PROBLEMI E STRUTTURE DELLA RICERCA EDUCATIVA IN ITALIAPagg. VI-250, L. 4000

L’AGGIORNAMENTO DEL PERSONALE DELLA SCUOLARapporto per gli anni 1977 e 1978Pagg VI-234, L. 4000

ISTRUZIONE ARTISTICADati statistici sulle Accademie di belle arti e i Conservatori di musicaPagg. VI- 150, L. 4000

L’ISTRUZIONE TECNICA SULLA SOGLIA DEGLI ANNI O-M’ANTAPagg. X-246, L. 4000

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA INFORMATICAPagg. X-118 L. 4500

L’INTEGRAZIONE DELLA ENERGIA SOLARE NEGLI EDIFICI SCOLASTICIPagg. VI-152, L. 4500

13/ 14. LA SCUOLA ELEMENTARE A TEMPO PIENOPagg. VIII-362, L. 9000

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15. ORGANIZZAZIONE DELLA SCUOLA E PROGRAMMAZIONEEDUCATIVA IN PRESENZA DELL’HANDICAPPATOProblemi e prospettivePagg VIII-288, L. 5000

16. LA SCUOLA MEDIA INTEGRATA A TEMPO PIENOPagg. VI-202, L. 5000

17/18. LA SCUOLA SECONDARIA NON STATALE IN ITALIAPagg. VI-302, L. 10.000

19. LA SCUOLA MATERNA IN ITALIAPagg. VIII-152, L. 5800

20. IL PERITO INDUSTRIALE NELLE AZIENDE MANIFA’M’URIERE:FORMAZIONE SCOLASTICA E RUOLI PROFESSIONALIPagg. VIII-184, L. 5800

2 1. EVOLUZIONE DEMOGRAFICA E SISTEMA SCOLASTICOProblemi e prospettivePagg. VI-184, L. 5800

22. L’EDUCAZIONE TECNICA NELLA SCUOLA MEDIAProgetto sperimentale CEE-Ministero P.I.-ISFOL. Parte 1: Saggi e guidaPagg. XVIII-374 (Prima ristampa ampliata), L. 10.700

23. L’EDUCAZIONE TECNICA NELLA SCUOLA MEDIA

Progetto sperimentale CEE-Ministero P.I.-ISFOL. Parte I I : Unità didattichePagg. VIII-454 (Prima ristampa ampliata), L. 10.700

24. IL SISTEMA INFORMATIVO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONEPagg. X-150, L. 6900

2.5. L’EDUCAZIONE FISICA E LO SPORT NELLA SCUOLAPagg. XVIII-230, L. 6900

26. IMPRESA E TERRITORIO: UNA PROPOSTA DI LAVORO PER LA SCUOLAPag. XII-174, L. 6900

27. PART-TIME E FULL-TIME PER I DOCENTISondaggio di opinione tra 5.000 insegnami italiani. Analisi di esperienze stranierePagg. X-150, L. 8000

28. IL PROGETTO CEE SULL’EDUCAZIONE AMBIENTALEUNA ESPERIENZA PEDAGOGICA EUROPEAPagg. VI-154, L. 8000

29. UNA NUOVA METODOLOGIA NELLA FORMAZIONE TECNICAPagg. XII-228, L. 8000

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30.

31.

32.

33.

34.

35.

36.

37.

38.

39.

40.

L’ISTRUZIONE CLASSICA, SCIENTIFICA E MAGISTRALE IN ITALIAPagg. XVI-296, L. 8000

IL PROGETTO ILSSE E L’INSEGNAMENTODELLA LINGUA STRANIERA NELLA SCUOLA ELEMENTAREPag. VIII-240, L. 9000

L’INFORMATICA NELLA SCUOLAPagg. XVI-160, L. 9000

ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALEPagg. XII-216, L. 9000

L’INSEGNAMENTO MUSICALE IN ITALIAPagg. X-182, L. 9000

DALLA SCUOLA AL LAVORO: UN OBIETTIVO EUROPEO1 progetti pilota CEE per favorire il passaggìIo dei giovani dalla scuola alla vita attivaPagg. VIII-168, L. 9900

LA SCUOLA ITALIANA NEGLI ANNI OTTANTAPagg VIIII-184, L. 9900

INDIRIZZI DI STUDIO E FABBISOGNI FORMATIVIPagg. VIII-204, L. 9900

IL BIENNIO DELLA SCUOLA SECONDARIA SUPERIOREPagg. VIII-280, L. 9900

LA SCUOLA DELL’OBBLIGO NEGLI ISTITUTI PENALI MINORILIPagg. X-142, L. 10.700

DALLA SCUOLA AL LAVORO: UN OBIETTIVO EUROPEOConferenza nazionale dei progetti pilota italianIPagg. XII-276, L. 10.700

41/42. LE NUOVE TECNOLOGIE NEI PROCESSI FORMATIVI:INFORMATICA E TELEMATICA

43. RAPPORTI TRA AMMINISTRAZIONE E SINDACATOPagg. XII-244, L. 10.700

44/45. SISTEMA INFORMATIVO - PROSPETTIVEDI ARCHITETTURA DISTRIBUITAPagg. IV-386, L. 21.400

46. IL PROGETTO SPECIALE LINGUE STRANIEREPagg. X-218, L. 10.700

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47. GLI ORDINAMENTI SCOLASTICI NEI PAESI DELLA CEEPagg. X-282, L. 11.300

48. IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLAPUBBLICA ISTRUZIONE NEL PERIODO 1983-1988Pagg. XII-196, L. 11.300

49. L’ISTRUZIONE PROFESSIONALEUna formazione per il futuroPagg. X-138, L. 11.300

50. NUOVI MODELLI NELLA FORMAZIONE POST-DIPLOMAPagg. VIII-200, L. 11.300

5 1. L’INTRODUZIONE DELLE TECNOLOGIE INFORMATICHENELLA GESTIONE DELLA SCUOLA ITALIANAPagg. VI-130, L. 12500

52. LA FORMAZIONE GENERALE NELBIENNIO - PROGRAMMI SPERIMENTALIPag XVI-160, L. 12.500

53. IL NUOVO ORDINAMENTO DELLA SCUOLA ELEMENTAREPagg. VIII-296, L. 12.500

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STUDI E DOCUMENTIDEGLI ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

RIVISTA TRIMESTRALE

A CURA DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

Comitato scientifico:ROMANO CAMMARATA - EMANUELE CARUSO - GIOVANNID’AMORE - GIUSEPPE DE RITA - ITALIA LECALDANO - GIU-SEPPE MARTINEZ Y CABRERA - ALESSANDRO PAJNO - AL-VARO POLLICE - SEBASTIANO SCARCELLA - GIOVANNIRAPPAZZO (Coord.)

Direttore responsabile:GIOVANNI TRAINITO

Redazione:GIANFRANCO BENEDE’ITELLI

I manoscritti devono essere indirizzati alla Redazione della Rivista presso la Casa EditriceLe Monnier (Ufficio Relazioni Esterne), Piazza Borghese 3 00186 Roma.

I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

Spedizione in abbonamento pastale - Gruppo IV

STUDI E DOCUMENTIDEGLI ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

a cura del Ministero della P. I.

Rivista trimestrale: Luglio-Settembre 1990

Condizioni di abbonamento (quattro numeri per complessive pagine da 800 a896)

- Annuale per l’Italia L. 48.500- Annuale per l’Estero L. 62.000- Un fascicolo singolo L. 12.500

Versamenti sul C/C Postale N. 310508 intestato a Casa Editrice Felice Le Mon-nier, Via A. Meucci, 2 - 50015 Grassina (Firenze)

Regis t raz ione presso Trib. Firenze con decreto n. 2645 in data 28-2-1978

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