STRADE E PAESAGGI DELLA TOSCANA emanuela morelli 2007

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STRADE E PAESAGGI DELLA TOSCANA IL PAESAGGIO DALLA STRADA, LA STRADA COME PAESAGGIO emanuela morelli 2007

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STRADE E PAESAGGI DELLA TOSCANA IL PAESAGGIO DALLA STRADA, LA STRADA COME PAESAGGIO

Indice

(bozza 2007)

1. PRESENTAZIONE 2. INTRODUZIONE 3. UN METODO DI LETTURA PER IL RAPPORTO STRADA/PAESAGGIO: FRUIRE – ATTRAVERSARE IL

PAESAGGIO • Elementi di lettura della strada nel paesaggio: “le strade appartengono al paesaggio” • Viaggiando per la Toscana: il paesaggio dalla strada, la strada come paesaggio • Il paesaggio della strada: le risorse paesaggistiche.

4. LA COSTRUZIONE DEI PAESAGGI TOSCANI ATTRAVERSO LE SUE STRADE • Un quadro conoscitivo per le strade e paesaggi della Toscana • La matrice del paesaggio antropico: la formazione della regione Etruria, e il dominio

romano Le vie cave etrusche

Le strade consolari: la Cassia e L’Aurelia • Il pellegrino e il viandante nell’età dei Comuni e delle Signorie.

La Via Francigena • La Toscana rinascimentale dei Medici: dal controllo militare allo sviluppo dello scambio

La Via de’ Cavalleggeri Le strade murate del contado fiorentino

• Il Granducato di Toscana dei Lorena: la riorganizzazione di una intera regione Le transappenniniche: La Modenese e la Strada del Muraglione

Il viale di Cipressi di Bolgheri • Dal Regno di Italia alla Firenze-mare

La Firenze-mare • Brevi note delle Toscane della Toscana alla soglia della modernità

L’Appennino, Le colline, La Maremma, La pianura dell’Arno

• Dalla Grande trasformazione ai giorni nostri La Valle dell’Arno Inferiore: dalla via Pisana alla Fi-Pi_li

La Chiantigiana Le strade bianche della provincia di Siena

Le strade del Vino e dei Sapori 5. VERSO I PAESAGGI DI DOMANI • La strada e il paesaggio negli obiettivi del PIT

• Dissonanze infrastrutturali contemporanee

Problematiche a carattere generale dei progetti infrastrutturali contemporanei Problematiche strettamente legate al carattere regionale

• La destinazione delle strade nel paesaggio: obiettivi e temi per la progettazione paesistica delle strade

• Post fazione- conclusione

6. BIBLIOGRAFIA RIFERIMENTI ICONOGRAFICI

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INTRODUZIONE Quando ci troviamo dinanzi alla necessità di dover realizzare una nuova infrastruttura viaria, i primi dubbi che ci poniamo riguardano principalmente la natura delle conseguenze che investiranno il contesto paesaggistico coinvolto. Ma una strada è solo causa di scempio o viceversa può contribuire alla qualità del paesaggio? Indubbiamente se pensiamo o più semplicemente osserviamo le nostre più recenti realizzazioni in campo viario, costituite da manufatti rigidi, invasivi, arroganti, che generano fenomeni di marginalizzazione, degrado e frammentazione, la risposta non può che essere negativa. In realtà, per quanto oggi la strada sia diventata fonte di inquinamento e di disturbo, essa è, ed è sempre stata, una componente fondamentale del paesaggio antropico, una degli strumenti principali con cui organizzare e guidare, non solo fisicamente, lo spazio dell’uomo1. Così, come il reticolo idrografico superficiale è riconosciuto, tra i sistemi a rete, l’intelaiatura principale per la circolazione delle energie naturali, anche l’insieme delle strade può essere conseguentemente definito come la maglia entro cui la vita dell’uomo scorre e si organizza: due sistemi differenti e contrapposti ma comunque necessariamente integrati l’uno all’altro affinché possa essere concepito il paesaggio come quell’affascinante sistema costituito dall’interrelazione di forze naturali e antropiche. Se esaminiamo quindi attentamente i paesaggi che ci circondano è possibile notare che le strade hanno contribuito attivamente alla loro costruzione, determinandone soventemente la qualità. In particolare alcune regioni mediterranee, densamente antropizzate, come appunto la Toscana oggetto di indagine di questo studio, presentano un’antica e fitta trama viaria che si è evoluta nel corso dei secoli con modalità distinte a seconda dei luoghi, delle popolazioni e delle epoche, strutturando e/o influenzando le continue trasformazioni del paesaggio. Fino ai primi del Novecento le strade, seppure portatrici di nuovi e profondi cambiamenti, erano comunque sempre state concepite in rapporto ai caratteri territoriali e ambientali presenti, aiutando così di volta in volta la creazione di un paesaggio, si nuovo, ma che derivava al tempo stesso da un processo trasformativo continuo, ricalcante la matrice originaria, che talvolta veniva ampliata, modificata ma comunque rafforzata e arricchita. Con la grande trasformazione, così come definisce Eugenio Turri2 il periodo italiano immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, ovvero con la diffusione della macchina, sia come automobile, mezzo privato per lo spostamento, che come trattore, nuovo strumento per lavorare la terra, così come l’attuarsi di nuove modalità insediative3 che hanno comportato il dilatarsi impressionante delle città nelle campagne, si sono prodotti nuovi mutamenti, veloci, profondi e non radicati nel territorio che hanno stravolto completamente l’assetto del paesaggio innescando gravi processi di degrado. Il risultato, ben evidente nei tessuti paesistici, si è rilevato come un mosaico complesso di ambienti frammentati, spesso in conflitto l’uno con l’altro e privi di identità: “Ciò che più indistintamente si nota è la sovrapposizione di nuove strade e nuovi insediamenti sul tessuto vecchio. La strada nuova non è più serpeggiante come quella antica, che si adeguava viziosamente a tutte le minime accidentalità del terreno e alle varie forme di insediamento: essa corre veloce, ampia, non indugia sugli insediamenti, e case e nuclei abitati si dispongono rispetto ad essa non più ammassandosi come lungo la vecchia arteria, ma distanziandosi indifferentemente l’uno dall’altro, quasi senza una regola motivata della distanza, e ciò spiegabilmente dato che oggi l’automobile e la motorizzazione hanno reso superflue le vecchie regole di aggregazione fondate sulla funzione utilitaristica del vivere secondo precisi rapporti di spazio.”4

1 La strada difatti si è rivelata anche una sorta di misura con cui disporre gli oggetti nello spazio antropico. 2 EUGENIO TURRI, Semiologia del paesaggio italiano, Longanesi, Milano 1979. 3 Dovute da una parte all’aumento demografico ma anche allo spopolamento delle montagna e delle campagne, le cui popolazioni si sono riversate nei centri urbani. 4 EUGENIO TURRI, Semiologia del paesaggio italiano, (1979) Longanesi, Milano 1990, pag. 23.

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Responsabile di questa trasformazione, ma non l’unico, quindi il sistema viario che ha presentato alcuni ordini di problematiche differenti riguardo al suo rapporto con il paesaggio: da una parte una natura sempre più invasiva nella sua nuova accezione di corridoio utile solo allo spostamento veloce, divenendo così barriera e fonte inquinamento, in cui il paesaggio subisce e sopperisce dinanzi alla nuova infrastruttura innescando gravi processi di frammentazione, dall’altra permettendo un nuovo modo di raggiungere, percepire e quindi comprendere il paesaggio stesso5, diffondendo ovunque la presenza dell’uomo nel territorio, in particolar modo lungo i propri manufatti stradali. In ultimo, in quanto elemento strutturante, segni di cedimento e labilità dinanzi alla perdita dei suoi caratteri identitari culturali (anche locali), che hanno comportato inevitabilmente la sua semplificazione e omologazione6. In virtù di queste argomentazioni fino a pochi decenni fa l’attenzione rivolta alle infrastrutture viarie nel paesaggio si era limitata alla sola problematica relativa all’introduzione di un “oggetto più o meno brutto”, in genere un’autostrada o una superstrada, che creava danni dal punto di vista estetico e percettivo-visivo, poiché la scala vasta della grande infrastruttura entrava in conflitto con la trama minuta del contesto7. Oggi grazie alle numerose pubblicazioni, nonché studi e dibattiti su questo tema, è possibile riscontrare una presa di coscienza da parte della società e di alcune pubbliche amministrazioni, in cui l’infrastruttura viaria non è più riconosciuta come semplice esile linea da calare superficialmente su di un territorio, ma come fattore di profondo cambiamento paesaggistico e territoriale che investe spazialmente e funzionalmente non solo le parti direttamente adiacenti, ma ripercuote la sua influenza nella profondità di interi paesaggi, sia nei suoi aspetti ecologico-naturali, storico-culturali, estetico-percettivi. Per quanto quindi espresso il presente studio, che ha come oggetto le “Strade e Paesaggi della Toscana”, ha come fine l’individuazione dei caratteri identitari delle strade nel paesaggio toscano e la messa a fuoco delle principali problematiche scaturite all’interno di questo complesso rapporto, in modo così da individuare utili contributi per le disposizioni in materia di pianificazione paesaggistica contemplate all’interno degli strumenti regionali8. Fondamentale è pertanto la fase analitica/diagnostica in cui viene registrato quanto e come le strade hanno influito nella costruzione del paesaggio toscano ovvero la comprensione di quei fenomeni

5 La macchina, il treno e l’aereo hanno introdotto nuovi modi di percepire e di osservare il paesaggio, e quindi di approcciarsi ad esso. Dall’aereo si perde il mito della velocità e l’osservatore viene introdotto in una realtà per lui completamente nuova (la materializzazione della carta geografica) completamente privata dall’emotività del mondo quotidiano. Il treno e l’autostrada hanno invece la percezione legata alla velocità di percorrenza e, anche se il punto di vista è il medesimo di quello quotidiano, si creano nuove illusioni per lo scorrere veloce di ciò che è a nostro fianco e di ciò che è immobile in lontananza. È con queste ultime linee di trasporto che si creano due modi diversi di percepire il paesaggio: uno da dentro l’infrastruttura, in cui l’uomo diviene osservatore (dentro il veicolo o il treno) dove il paesaggio scorre velocemente lateralmente, l’altra da fuori, nel paesaggio, in cui l’infrastruttura ne fa parte o come elemento integrante o come oggetto di disturbo. 6 La strada sembra cioè aver perso il ruolo di misura, di scansione e di organizzazione morfologica. Anche nei casi in cui essa sia presente come elemento caratterizzante e strutturante del paesaggio rischia comunque la sua cancellazione (vedi ad esempio il reticolo viario minuto della campagna) o la sua banalizzazione (in caso ad esempio di processi di adeguamento). 7 Conseguenza di un modo di operare, indifferente al suo contesto, in cui il paesaggio è omesso quale componente progettuale. Nonostante questa dimenticanza in realtà il paesaggio ha continuato a modificarsi a ritmi sempre più veloci e molto più profondamente di quanto abbia fatto precedentemente. 8 Il P.I.T., Piano di Indirizzo Territoriale Regionale, approvato con D.C.R. n.12 del 25 gennaio 2000, dispone che l’articolazione della rete delle infrastrutture stradali debba essere messa in relazione con i diversi sistemi territoriali attraversati. Il riferimento regionale è la suddivisione del territorio toscano in quattro sistemi territoriali di programma (le cosiddette Quattro Toscane: dell’Arno, dell’Appennino, della Costa e dell’Arcipelago e la Toscana interna e meridionale), funzionali alla formulazione di strategie di pianificazione. Queste indicazioni fanno presupporre quindi una sorta di “spostamento” del punto di osservazione del tema: non è più solo la strada in sé ad essere oggetto di interesse progettuale, ma il suo rapporto biunivoco col paesaggio che la accoglie e da essa viene attraversato. La Regione Toscana attualmente ha avviato la revisione del Piano di Indirizzo Territoriale di cui all’art. 48 della L. R. 1/2005. Ha inoltre firmato un Protocollo di Intesa (23 gennaio 2007) con il Ministero dei Beni culturali per l’applicazione integrale del codice del paesaggio nel nuovo PIT. Tra gli obiettivi si riscontrano la tutela del paesaggio non più attraverso l’imposizione di vincoli, ma attraverso azioni di pianificazione (o per meglio dire di copianificazione tra i vari enti, Regione, Provincia, Comune e Soprintendenza, “in una filiera di responsabilità e azioni” - Giuseppe De Luca -) in modo da coniugare tutela e sviluppo.

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generali di trasformazione contemplati dai processi contemporanei di infrastrutturazione viaria9, poiché la conoscenza è la premessa fondamentale per progettare: cogliere ed utilizzare le leggi di funzionamento e riproduzione di un determinato paesaggio vuol dire operare in continuità e in armonia con esso. Il presente studio, che interpreta la strada non solo nella sua semplice accezione di strumento di mobilità, ma nei suoi molteplici ruoli paesaggistici (immagine, strumento di conoscenza e diffusione di cultura, propagatore della presenza dell’uomo, barriera ecologica, eccetera…), ripercorre sinteticamente il modo con cui la viabilità si è sviluppata ed ha contribuito alla processo di antropizzazione del paesaggio toscano. Per ogni periodo storico sono state estrapolati alcuni esempi significativi del periodo, presentati sotto forma di schede, al fine di evidenziare alcune delle caratteristiche dello specifico rapporto temporale e culturale strade-paesaggio indagato. Inimmaginabile censire tutte le strade significative della regione, per questo mi scuso con tutti coloro che non ritrovano in queste pagine i propri percorsi o quelle vie particolarmente significative delle molte realtà locali della regione. Questa ricerca difatti non si pone come una meta, ma piuttosto come uno dei punti di partenza di un processo di conoscenza, continuo e aperto alle sue molteplici diramazioni, utile a recuperare “quel saper fare” che ci ha consegnato quei tanti e diversi e cari paesaggi che ci circondano.

9 Sia nel caso la strada sia di nuova previsione, di impianto storico o soggetta ad opere di adeguamento, in base alle nuove esigenze di mobilità e velocità dei veicoli.

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UN METODO DI LETTURA PER IL RAPPORTO STRADA/PAESAGGIO: FRUIRE – ATTRAVERSARE IL PAESAGGIO Elementi di lettura della strada nel paesaggio: “le strade appartengono al paesaggio”10 Ogni azione progettuale rende opportuna un’approfondita fase di conoscenza utile ad individuare non solo ciò che si intende tutelare, ma anche per comprendere quali siano le componenti che entrano in gioco nel progetto, cosa come trasformare, e dove agire con interventi di riqualificazione e valorizzazione, in modo tale che il risultato di ogni nuovo processo di antropizzazione si basi sulla matrice paesistica presente, al fine di costruire un nuovo paesaggio unico e irrepetibile, così come lo sono in questo caso i luoghi che costituiscono nel loro insieme la Toscana. L’uomo vive nel paesaggio e in esso egli opera una continua azione innovativa che rappresenta il suo rapporto specifico con la natura, la propria identità, la propria storia, ovvero costituisce la singolarità e peculiarità dei luoghi in cui abita: il paesaggio d’altra parte aiuta anche a capire quale comunità lì vive. Per realizzare nuove infrastrutture viarie occorre pertanto afferrare e focalizzare quella intima relazione che ha legato nel corso dei secoli e che tutto oggi lega le strade con il suo contesto paesaggistico. Il processo di conoscenza non si limita, quando possibile, alla sola individuazione delle posizioni fisiche dei tracciati storici, ma anche come e quali erano le relazioni, i particolari, con cui il loro rapporto con il contesto si esprimeva. Ancora non si tratta di ricostruire la storia dei luoghi fine a se stessa, ma comprendere come essa si sia sviluppata attraverso il sistema viario coinvolgendo e influenzando le culture di altri luoghi per infine individuare quali di questi caratteri sono tutto oggi presenti. Cos’è una strada? Un sentiero? Un’autostrada? Un percorso solcato dal passaggio di uomini, mezzi, prodotti e culture diverse e su cui si sono costruite memorie di intere generazioni? Oggi soventemente il termine strada è sostituito dalla parola infrastruttura11, ma anche su quest’ultima espressione vi sono molteplici definizioni12. Più precisamente il termine tecnico infrastruttura viaria, ovvero infrastruttura lineare, che ha il compito di garantire il trasporto di persone, cose e animali, nel territorio, utilizzato all’interno della disciplina urbanistica, è parte di un’ampia gamma di “oggetti” di forte interesse pubblico che per il loro compito di erogare servizi hanno la capacità di produrre effetti a scala territoriale sia a livello economico, funzionale e ambientale. La funzione preminente delle strade è quindi quella di facilitare il movimento delle persone e dei beni, giocando un ruolo centrale nello sviluppo economico e urbano e stimolando interazioni sociali innumerevoli. Senza le strade o altre forme di trasporto, le risorse minerali non avrebbero nessun valore, la produzione agricola sarebbe limitata alle aree adiacenti e i lavoratori sarebbero radicati nei propri posti di lavoro13. Ma il termine strada include in sé altri concetti che superano il solo significato di trasporto che non possono essere tralasciati: cammino, percorso, passaggio da un luogo ad un altro14, e molto altro ancora, stabiliscono le relazioni tra le società, le popolazioni e i luoghi. Scoperta, comunicazione,

10 JOHN BRINCHERHOFF JACKSON, A sense of place, a sense of time, New Haven & London, 1994. 11 In alcuni casi si trovano anche termini quali corridoio infrastrutturale, arteria o asse di scorrimento viario, proprio ad indicare la potenza della caratterizzazione funzionalistica di uno spazio longitudinale utilizzato da mezzi veloci ai fini del trasporto. 12 Vedi EMANUELA MORELLI, Disegnare linee nel paesaggio. Metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze University Press, Firenze 2005, pagg. 11 – 29. 13 Vedi RICHARD T. T. FORMAN, DANIEL SPERLING, ET AL., Road Ecology. Science and solutions, Island Press, Washington, Covelo, London 2003, pag. 25. 14 Vedi FRANCESCO CARERI, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Giulio Einaudi Editore, Torino 2006.

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influenza, incontro, viaggio sono invece i temi che li caratterizzano, che assegnano alla strada un grande potere sociale ed estetico.15

Figure n. 1 e 2. È con il XVIII secolo che nasce una vera e propria estetica della strada: se il viale tradizionale alberato di epoca rinascimentale, con tracciato rettilineo che si conclude dinanzi all’edificio di rappresentanza, è il primo tentativo significativo di dare un ruolo estetico alla strada, sarà con la nascita del giardino barocco e romantico che questa viene ad assumere un ruolo per la lettura della delimitazione dei piani visivi e degli spazi. Mentre i principi classici e rinascimentali hanno difatti una visione del paesaggio prevalentemente statica, fondata su esclusivi punti di vista, quelli del paesaggismo inglese, attingendo dalla scuola cinese, permettono una percezione in movimento grazie ad un percorso tortuoso che in genere racconta ciò che avviene nel suo intorno. Si noti la differenza dell’impianto dei sentieri e dei viali tra il Giardino di Boboli di Firenze (S. Vascellini, Pianta del Reale Giardino di Boboli da F. Parlatore, 1874), tipico giardino rinascimentale, e il Parco di Pratolino, sempre vicino a Firenze, nella sua sistemazione paesaggistica ottocentesca (J. Frietsch, pianta dell’I. e R. Parco di Pratolino, 1814).

15 Le strade sono state e lo sono tutt’oggi iconemi della società: “Con il termine iconema si definiscono quelle unità elementari di percezione, quei quadri particolari di riferimento sui quali costruiamo la nostra immagine di un paese. […] È la cultura che li ha individuati, ci ha insegnato a coglierli, a indicarli come riferimenti del nostro guardare” (EUGENIO TURRI, Semiologia del paesaggio italiano (1979) Longanesi e c., Milano 1990, introduzione alle tavola fuori testo).

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Nel primo assumono fondamentale importanza i viali principali, rettilinei, che stabiliscono vedute basate sulla prospettiva; In particolare è l’asse centrale (in genere che parte dall’entrata del giardino fino al suo culmine) a fornire l’organizzazione spaziale e percettiva dell’impianto. Nel Parco di Pratolino invece non esiste una vera gerarchia e i sentieri si dipanano sinuosamente adattandosi alla morfologia del terreno. Le viste si aprono e chiudono sul paesaggio circostante, e forniscono sorprese quando incontrano particolari oggetti (ad esempio sculture come nel caso de L’Appennino). Questo modo di percorrere e vivere un sentiero verrà ben presto riportato anche lungo la viabilità ordinaria. I requisiti tecnici sui quali si basa la costruzione di una strada sono comunque stabiliti in base alla classificazione del Codice della Strada. Nell’art. 2 le strade sono distinte riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, e quindi alle relative velocità di percorrenza, nei seguenti tipi: A - Autostrade; B - Strade extraurbane principali; C - Strade extraurbane secondarie; D - Strade urbane di scorrimento; E - Strade urbane di quartiere; F - Strade locali16. Dal punto di vista ingegneristico la velocità di progetto/sicurezza del tracciato sono quindi l’informazioni principali, ma questi dati, per quanto indispensabili, non sono sufficienti da soli ad instaurare un corretto rapporto tra strade e paesaggi. Occorrono ad esempio informazioni in relazione al tipo/tipi di fruitore, all’intensità di traffico e al contesto attraversato, parametro quest’ultimo fondamentale per progettare qualitativamente la strada nel paesaggio: su quale tipo di paesaggio essa preme? Quali sono gli effetti che si ripercuotono nel suo intorno? Quale è lo stato di resistenza che esso offre, quali le relazioni che si instaurano? Come si trasforma, cambia o si evolve, proprio in relazione alla nuova strada? Un modo con cui la viabilità può essere letta, dal punto di vista del paesaggio, è quello di dividerla in due grandi gruppi di strade che esprimono il modo con cui esse si rapportano con gli ambiti paesistici attraversati. - La prima si riferisce a quelle vie che potrebbero essere definite grandi direttrici (ad eccezione delle autostrade, oggi tutte di competenza regionale), o comunque grandi strade di importanza primaria in quanto collegano tra loro i centri maggiori. Esse generalmente attraversano17 vasti territori relazionandosi generalmente a più ambiti paesistici. Si tratta di un rapporto tra strada-paesaggio che si esplica fondamentalmente attraverso un unico tracciato, con un manufatto oggi diventato esclusivo per i veicoli a motore e decisamente invasivo, che si confronta innanzitutto con la scala vasta del paesaggio ma che al tempo stesso si scontra con la scala locale dei luoghi18. Qui la strada contiene una sua organicità in quanto percorso/viaggio e influisce in maniera determinante nei processi di trasformazione in quanto permette il collegamento tra regioni e quindi culture diverse, la possibilità di raggiungere un determinato contesto ambientale e diffondere la presenza dell’uomo. Definita spesso grande infrastruttura viaria agisce anche fisicamente nell’organizzazione spaziale in quanto può porsi come asse principale della struttura insediativa19, moltiplicare i punti di vista interni, porsi come barriera suddividendo un paesaggio superiore in paesaggi minori tra loro non relazionati. Fondamentali sono i punti di incontro tra strada-luoghi, che devono garantire il reciproco ancoraggio, la continuità (non solo visiva ma anche

16 Nuovo Codice della Strada (con le modifiche apportate dalle leggi 7 .12.1999 n. 472 e 30.12.1999 n.507) in www.tutticodici.it. 17 Attraversare è un termine che può contenere due significati: si può attraversare nel senso di recarsi da una parte all’altra senza relazionarsi al contesto, ma si può attraversare nel senso di percorrere, ovvero nel significato di attraverso e per mezzo di (la strada diviene un mezzo, uno strumento che permette di addentrarsi all’interno di un paesaggio). 18 Ha cioè la funzione di collegare punti tra loro distanti, ma contemporaneamente attraversa e si presenta come un susseguirsi di luoghi (tappe intermedie). 19 Ad esempio Siena è chiamata “figlia della strada”, più precisamente della via Francigena, in quanto la sua forma urbana è stata fortemente influenzata dal tracciato viario. Molti altri sono comunque i nuclei urbani che devono il disegno del proprio tessuto al passaggio di una via principale. Il passaggio di un manufatto infrastrutturale innesca comunque dei processi di trasformazione che devono essere preventivamente conosciuti e valutati.

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ecologica–ambientale) del tessuto attraversato, e l’identificazione dei luoghi a cui il tracciato si rapporta e, comunque, appartiene20. - La seconda categoria comprende non più un singolo elemento ma un sistema di percorsi che si rapportano con il paesaggio a scala locale21. Partendo dalle strade di competenza provinciale e comunale22, che dovrebbero porsi come spina centrale del sistema viario, sino a scendere a quel reticolo minuto di vie costituito da sentieri, strade bianche, poderali, vicinali, eccetera… si evidenzia un disegno complessivo che detiene una maggiore capacità organizzativa per l’insediamento umano, in confronto ad esempio alla grandi infrastrutture, in quanto porta a fruire e a costruire direttamente il paesaggio a cui il sistema stesso appartiene. Il reticolo viario del paesaggio agrario, il quale è costituito da numerosi elementi, oggi di valore storico-culturale (monumenti, chiese, ville, organizzazione agricola su terrazzamenti, maglia poderale, eccetera…), funge ad esempio da matrice, scandisce la trama dei campi, la misura della distanza tra edifici e organizza le principali sistemazioni vegetali (siepi e filari alberati). Nel paesaggio urbano diviene invece, quale elemento di disegno della città, spazio aperto pubblico di relazione (si pensi alla successione strade, piazze, edifici di carattere pubblico) in cui la vita degli abitanti stessi si svolge.

Figura n. 3. Foto aerea del Valdarno aretino: si osservano le grandi infrastrutture viarie quali autostrade e ferrovie che corrono linearmente mentre la rete viaria minore si dipana nel paesaggio seguendo la morfologia del territori e organizzando la struttura antropica.

20 Ad esempio si pensi alle antiche porte di accesso alla città, oppure alle pievi e agli spedali, eccetera…. oggi sostituiti dai caselli autostradali, dalle rampe degli svincoli, dalle aree di sosta e di servizio. Sulle grandi infrastrutture viarie vedi anche EMANUELA MORELLI, op. cit., Firenze 2005, e la relativa bibliografia. 21 In questo caso la funzione non è quella di collegare punti distanti ma di fornire una fruizione capillare all’interno di un territorio, rendendo questo così accessibile in “ogni suo punto”. 22 Anche queste tipologie di strade tendono purtroppo ad essere concepite sempre più similarmente alle grandi direttrici per requisiti del manufatto, ma anche per la funzione principale che esercitano, cioè quello della mobilità motorizzata. Spesso difatti mancano marciapiedi, piste ciclabili, equipaggiamento vegetazionale, eccetera…

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Figure 4-5. La grande strada (Autostrada del Sole, Bagno a Ripoli) permette una lettura dinamica e sistemica, nonché alla grande scala del paesaggio circostante, mentre il reticolo di strade minore permette una fruizione più lenta e a contatto del paesaggio stesso (Panzano).

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Viaggiando per la Toscana: il paesaggio dalla strada, la strada come paesaggio. “Certi luoghi. La loro bellezza. Siamo lì e guardiamo. Davanti a noi il moto delle onde e delle nuvole, lo spettacolo di forme, luci e colori allestito dalla natura, uno spettacolo che assorbe la specificità del luogo, e la consuma. In verità non stiamo semplicemente guardando: in quello spettacolo siamo coinvolti con un stato d’animo e con l’agitato universo dei sensi.”23 “Le ragazze avevano l’ombelico scoperto. Ridevano camminando o sedute ai tavoli lungo la via che era affollata da giapponesi, tedeschi, inglesi: ghiotti di vino e di buona cucina, e di paesaggio italiano.”24

Figura 6. Guida per viaggiare la Toscana, del secolo XVIII: il viaggio da Lucca a Firenze. Per poter leggere il rapporto tra strade e paesaggi è utile comprendere che la strada è, tra i suoi molteplici ruoli, anche uno strumento di conoscenza/scoperta grazie al fatto che essa ha un potere sociale e estetico che introduce il senso del “viaggio” (tramite il movimento nel tempo e nello spazio) ovvero accompagna il visitatore all’interno del paesaggio: “la molteplicità dei punti di vista che provoca e soprattutto la possibilità di movimento lungo una linea sempre differente determinano importanti possibilità conoscenza e di analisi degli aspetti formali del territorio”25. Viaggiare è sempre stata un’esperienza significativa e importante per la crescita e la formazione culturale degli individui: la strada difatti sembra essere nata da quando l’uomo ha cominciato a muoversi, ma muoversi non era il fine ma piuttosto il mezzo per crescere e svilupparsi, organizzarsi in forme associative con il conseguente aumento degli scambi a distanza, conquistare sempre più vaste aree di territorio, costituire relazioni tra popolazioni e quindi influenze fra paesaggi tra loro molto diversi.

23 RAFFAELE MILANI, Il paesaggio è un’avventura. Invito al piacere di viaggiare e di guardare, Feltrinelli, Milano 2005, pag.13. 24 NICO ORENGO, Di viole e liquirizia, Edizioni Einaudi, Torino 2005, pag. 16. 25 GUIDO FERRARA, L'architettura del paesaggio italiano, Marsilio Editore, Padova 1968, pag. 133.

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L’esplorazione quindi di nuovi ambienti da parte dell’essere umano come momento di crescita non è una prerogativa dell’era moderna ma ha radici molto più antiche, così come il viaggio in Italia non lo è dei Grandtourist. Già in epoca medievale le strade italiane erano sistematicamente battute dai pellegrini che si recavano a Roma per motivi religiosi. Queste, grazie alla diffusione lungo i percorsi di immagini simboliche, strutture ricettive, edifici, servizi tipici del contesto temporale e culturale, si possono intendere come le prime precorritrici degli odierni itinerari culturali (in questo caso principalmente religiosi). In breve tempo le strade pellegrine si moltiplicarono e si allungarono sino a Brindisi per raggiungere Gerusalemme e ai viandanti religiosi si associarono mercanti artisti, ma anche banditi e avventurieri. Nel corso del XV secolo anche se vennero meno gli obiettivi religiosi il viaggio verso Roma non si fermò ma si trasformò in percorso da laico a erudito, il quale si arricchì di nuove tappe costituite dalle città d’arte tra le quali predominavano Venezia, Firenze e Napoli. È quindi dopo il periodo medievale, nel Cinquecento che prende avvio la felice era del Gran Tour che porta alla scoperta dei luoghi e delle città d’arte, e nel periodo del romanticismo anche delle bellezze naturali26, del paese italiano. Il Gran Tour, termine di gran moda fino all’Ottocento e utilizzato la prima volta da Richard Lessels con il suo Voyage in Italy pubblicato nel 1670, costituiva il momento conclusivo dell’educazione umanistica del giovane inglese (ma in seguito anche dei coetanei aristocratici europei). Esso era costituito da un viaggio, che poteva durare alcuni mesi, ma anche anni, in cui l’allievo aveva il compito di attraversare i vari paesi europei “per conoscere il mondo e le popolazioni che vi abitano.” 27 La meta classica del Gran Tour era Roma e con sé l’Italia. Per questo motivo soventemente era semplicemente chiamato Viaggio in Italia, ciò nonostante l’Italia da scoprire non era quella medievale ma quella delle cento città, ovvero un museo all’aperto costituito da innumerevoli opere d’arte (tra reperti archeologici e monumenti più recenti rinascimentali), a cui facevano da sfondo paesaggi finemente disegnati, un’articolata organizzazione politica, un’ispirata vena musicale e un clima solare spettacolare per chi era abituato a vivere sopra la catena alpina. È quindi con il Gran Tour che il viaggio acquisisce “valore per le sue intrinseche proprietà. Indipendente dalla soddisfazione di questo o quel bisogno, si propose esso stesso come unico e solo fine, in nome di una curiosità fattasi più audace, in nome del sapere e della conoscenza da un lato e del piacere dell'evasione, del puro divertimento dall'altro”28: il viaggio offre pertanto momenti ludici e al tempo stesso occasioni per conoscere, permettendo così di far nascere nel giovane allievo la coscienza critica e la consapevolezza grazie “il salutare esercizio del confronto”29. Il Gran Tour così concepito trova il suo momento massimo nel corso del XVIII secolo. Dopo il periodo napoleonico e il Congresso di Vienna, ma nello specifico con la nascita nelle nuove vie ferroviarie, il viaggio assume un significato diverso poiché il giovane benestante viene accompagnato da una guida ufficiale scritta30, da tutors, artisti, politici, diplomatici, mercanti e uomini d’affari, collezionisti, e talvolta intere famiglie, gettando così i primi germi di quello che nel corso del Novecento sarà chiamato turismo organizzato e di massa. Ogni Grantourist poteva apportare al percorso alcune deviazioni personali che dipendevano da esigenze ben precise31, ma generalmente tendeva a ricalcare il medesimo itinerario dei suoi precedenti. Le modalità del mezzo di trasporto e i tempi di sosta erano invece spesso soggetti al gusto personale (comodo o avventuroso secondo la sua indole) o in relazione ai mezzi che il

26 Vedi ATTILIO BRILLI, Quando viaggiare era un'arte. Il romanzo del Gran tour, Il Mulino Firenze 1995. 27 MONICA MEINI, Paesaggio e territorio nella Toscana di ieri: in viaggio col Gran Tour, in MARGHERITA AZZARI, LAURA CASSI, Itinerari turistico culturali in Toscana, University Press Firenze, Firenze 2002. 28 Biblioteca Centrale Nazionale Firenze, Gran tour. Il viaggio in Toscana dei viaggiatori Inglesi e francesi dalla fine del XVII secolo agli inizi del XIX secolo, in http://www.spacespa.it/nazionale/. 29 Ibidem. 30 Ad esempio i famosi Baedeker dei primi dell’Ottocento (il primo è del 1839), collana di libri tascabili che prende il nome dall’editore tedesco. Oggi il termine è spesso utilizzato come sinonimo di guida turistica. 31 Le deviazioni rispetto agli itinerari comuni erano soggetti principalmente dagli interessi del viaggiatore, che poteva avere aspirazioni religiose (quindi ad esempio erano contemplate visite a monasteri che potevano trovarsi in posizioni isolate), o diverse quale lo studio delle antichità (le visite quindi alla città di Cortona e di Volterra), della natura con i suoi fenomeni, dell’arte della pittura e così via.

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viaggiatore aveva a disposizione: dal cavallo da sella, utilizzato ad esempio da Montaigne alla fine del Cinquecento, alla carrozza che domina incontrastata per un lungo periodo, status symbol nonché oggetto di trattatistica e antenata del moderno camper, sino ai “comodi vagoni delle ferrovie sui cui binari Thomas Cook edificò la sua fortuna di tour operator ante litteram”32. Ma il viaggio migliora a seconda del mezzo e della qualità delle strade che si vanno via via a rammodernare e a dotare di strutture ricettive. “In Toscana in particolare, grazie alla cura prestata dai Lorena al problema della viabilità, la risistemazione delle vecchie direttrici e l’apertura di nuove strade determina la progettazione delle stazioni di posta contestualmente al tracciato, costituendo un interessante esempio di architettura stradale. Compatte e decorose, funzionali, esse prevedono un porticato, stalla e rimessa per le carrozze al piano terra, camere ai piani superiori”33. Nonostante i mezzi, talvolta non mancano occasioni in cui il viaggiatore decide comunque di percorre a piedi alcuni tratti del percorso “non solo nelle vie mulattiere come la Bolognese del Gioco, ma anche nella nuova Bolognese della Futa e nella Pisana, all’inizio del XIX secolo, per libera scelta, e cioè per poter meglio cogliere gli aspetti del paesaggio e degli ambienti attraversati”34. Il viaggiatore nordeuropeo poteva entrare in Italia e raggiungere Roma generalmente attraverso tre strade, ovvero tramite gli antichi percorsi giubilari: “quella occidentale, detta "Francesca" o "Francigena", che per Piacenza e il passo della Cisa, portava a Lucca, Siena e Viterbo. Quella centrale, che aveva inizio a Bologna e attraversando il passo del Giogo, prima, e della Futa, poi, toccava Firenze e si riuniva, a Siena, alla Via Francesca (l'attuale Via Cassia). Quella orientale, che, partendo da Bologna, per la Via Emilia giungeva a Fano e di qui, per la Via Flaminia, a Spoleto e Terni. C'era inoltre, la possibilità che, una volta giunto a Firenze, il viaggiatore si ammettesse nella valle dell'Arno fino ad Arezzo e quindi arrivasse a Roma proseguendo per Perugia, Spoleto, Terni”35. Durante il viaggio i Grand tourists tenevano un diario su cui annotavano le loro esperienze e soventemente descrivevano i paesaggi attraversati: innumerevoli sono dunque le narrazioni riguardanti la Toscana, in cui non si trovano solo le singole città (oltre a Firenze, Lucca, Siena, Arezzo, Livorno ecc…), ma una serie di paesaggi che vanno dalla brulla, sterile, che quasi mette paura, campagna che circonda Radicofani, alla descrizione delle vallate fiorenti dell’Arno spesso paragonate a dei veri e propri giardini, infine ai fuochi di Pietramala lungo la Bolognese e alla difficoltà ad attraversare l’Appennino. “Sabato, 22 settembre 1764: Firenze-Pistoia-Lucca - Da Firenze a Pistoia si attraversa per venti miglia una bella pianura. Oltre Pistoia, il paese si restringe di colpo e si entra fra gole e strette di montagne difficilissime. Presto, però, la scena si fa più ridente - si esce da queste gole per entrare in una valletta da cui le montagne si scostano di mano in mano che ci si inoltra, e si aprono alla fine per formare una bellissima conca nella quale si trova la città di Lucca. Questo è il fondo del vicolo cieco che tuttavia comunica con la Lombardia attraverso numerose e segrete gole dell'Appennino. Tutta questa terra è ricca in modo inconcepibile di vino, d'olio e di grano. I campi e le vigne sono tagliati a ogni passo dalle siepi, coperti e quasi nascosti dal gran numero d'alberi che vi sono piantati." Lunedi, 24 settembre 1764: Lucca-Pisa - "Usciamo di nuovo dalla bella conca di Lucca; si vedono sulla sinistra scomparire le montagne e si entra nel territorio di Pisa che è piatto, paludoso, malsano”. 36 "La valle dell'Arno, una delle più belle valli del mondo ... verso l'esterno è delimitata da terreno che prende forma di colline più o meno elevate, le quali sono coltivate su tutti i lati salendo più in alto possibile. In mezzo alla valle scorre l'Arno, che va verso Livorno e offre un facile trasporto di merci da e verso il mare. Il margine della strada è pieno di viti, e i grappoli pendono da gelsi e olmi e, a

32 Biblioteca Centrale Nazionale Firenze, op. cit. 33 Ibidem. 34 ANNA GUARDUCCI, In viaggio. Viabilità, mezzi di trasporto, supporti di traffico e percezione paesaggistica nella Toscana centro-settentrionale del Settecento, in “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997, pag. 49. 35 MONICA MEINI, op. cit., Firenze 2002. 36 EDWARD GIBBON in MONICA MEINI, op. cit., Firenze 2002.

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volte, si vedono un albero di uva rossa e uno di uva bianca insieme per un lungo tratto.” (Joseph Spence) “La via da Firenze a Bologna passa sopra una serie di catene montuose ed è, credo, la peggiore strada di tutte le appenniniche” (Joseph Addison) “Il passaggio delle montagne tra Bologna e questo luogo [Firenze] è certamente il passo più difficile di tutti gli Appennini” (Joseph Spence) “Tra Bologna e Firenzuola, strade deplorevoli, fra monti e rocce” (Lady Mary Wortley Montagu)37 Nonostante il confronto tra i molteplici luoghi della regione che mette in risalto le diversità dei territori toscani, dalle descrizioni emerge “l'esistenza di una “idea regionale”: l'unità interna si rivela proprio attraverso l'analisi e il confronto di realtà contrastanti all'interno della regione (la prepotente Firenze contro la soggiogata Siena; la moderna Livorno contro la decaduta Pisa; la Repubblica di Lucca come modello politico da contrapporre al Granducato di Toscana). In questo i viaggiatori esaminati sembrano in effetti avere colto le molteplici individualità dello spazio regionale, una Toscana dai tanti campanili le cui eredità culturali sono giunte fino ai nostri tempi”38. Dalle descrizioni la Toscana appare come una regione montuosa, forse per le numerose colline presenti ma in particolare per l’andamento delle strade che in genere scendono e salgono continuamente i rilievi collinari, ma ciò che attira maggiormente l’attenzione sono soprattutto quei paesaggi costituiti dall’insieme di città e campagna (in particolare quella che circonda Firenze e Siena), dove prevale il carattere di “urbanità” grazie alla presenza di numerosi poderi, fattorie, ville con parchi e giardini e campi geometrici riccamente coltivati, strutturati secondo la pratica mezzadrile con campi a pigola nelle colline e con l’alberata in pianura: ovunque viene ammirata la bellezza dell’austero rigore geometrico della struttura a cui si contrappone l’esuberanza della coltura promiscua.

Figura 7. Il paesaggio “brullo e desolato” di Radicofani.

37 Le citazioni sono state prese da: MONICA MEINI, op. cit., Firenze 2002. 38 MONICA MEINI, op. cit., Firenze 2002.

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Grazie alle direttrici interne nord-sud è quindi la Toscana di mezzo ad attirare il maggior interesse, mentre la Toscana appenninica è percepita come una barriera da superare, ad eccezione dei “fuochi” di Pietramala39, mentre la Maremma e la costa, segnata dalle paludi e dalla malaria appare una terra lontana. A queste due ultime aree “cuscinetto” che circondano la “Toscana vera” vi era associata anche il territorio di Radicofani per il suo carattere “brullo e desolato”40. Questa prima tripartizione paesistica della Toscana viene già egregiamente descritta nell’Ottocento dell’agronomo franco-svizzero Lullin de Chateauvieux che evidenzia come ai paesaggi degli ambienti montuosi della catena appenninica, a quelli collinari e pianeggianti interni, sino a quelli costieri che si affacciano sul mar Tirreno, corrispondono diverse e precise organizzazioni socio-economiche, ovvero, rispettivamente “la piccola proprietà particellare dei contadini allevatori residenti nei villaggi, il sistema dell’agricoltura promiscua basata sulla mezzadria poderale, il latifondo cerealicolo-pastorale”.41 È tramite i numerosi scritti del Gran Tour che quindi che affiora il mito della Toscana, regione dotata di affascinanti paesaggi finemente lavorati che esprimono un rapporto in armonia tra uomo e natura, “tra cose grandi e cose piccole, fra le cose terrene e le divine”42. Chiuso definitivamente l’epoca del Gran Tour, nei primi decenni del Novecento si consolidano varie forme di turismo: in particolare il turismo balneare e del tempo libero che nel dopoguerra si trasformano in turismo di massa e infine globale. Notevoli, complesse e innumerevoli sono le reciproche influenze che si instaurano tra turismo e paesaggio ma ciò esprime maggiormente il rapporto tra strade e paesaggi è l’adozione dell’itinerario turistico-culturale quale strumento di valorizzazione dei luoghi43. I percorsi difatti hanno natura dinamica, una caratteristica idonea che permette la lettura del paesaggio “mettendo in luce la stratificazione storica delle componenti che ne rappresentano l’identità e la memoria”44, mentre il termine culturale assume una pluralità di significati che nel loro insieme incidono sul paesaggio. Nel corso della fine del Novecento il “clamore” del paesaggio toscano non accenna a diminuire: anzi le sue immagini vengono riprodotte nelle pubblicità, nella filmografia italiana e straniera, in spot ed altre forme pubblicitarie dove però soventemente l’identità del paesaggio toscano sembra quasi essere stereotipato entro poche immagini fisse. Il tipico paesaggio proposto è costituito da strade tortuose che si distendono tra i rilievi delle colline, affiancate, sottolineate o solo punteggiate da cipressi, che conducono a poderi e casali disposti sulle sommità: intorno o il silenzioso e austero disegno della campagna delle crete senesi, o quello più esuberante di vigneti e oliveti del Chianti. Le strade in particolare si ergono tra gli iconemi più significativi, ispirano poeti e scrittori e sono rappresentate con modalità e forme espressive diverse: la strada si presenta comunque come l’immagine stessa del paesaggio toscano45.

39 Ad eccezione di Johann Wolfgang Goethe che nel 1786 racconta di essere rimasto incantato dalle montagne e dalla varietà di vegetazione che fiancheggia la strada 40 MONICA MEINI, op. cit., Firenze 2002. 41 ANNA GUARDUCCI, op. cit., 1997, pag. 53. 42 CURZIO MALAPARTE, Maledetti toscani (1956), Mondadori editore, Milano 2001. 43 La nozione di itinerario turistico-culturale fu utilizzato per la prima volta a livello amministrativo negli anni Ottanta, negli accordi stabiliti tra il Ministero dei Beni culturali e quello degli Interventi straordinari nel mezzogiorno. Per la realizzazione degli itinerari, così come per le strade, sono utilizzate risorse finanziarie pubbliche (locali, regionali, statali e comunitari). A livello legislativo i beni culturali sono tutelati dallo Stato mentre la regolamentazione riguardo al turismo è di competenza regionale. La valorizzazione e promozione delle attività culturali vedono la collaborazione dello Stato con le Regioni e gli enti locali, in ogni caso però non sussistono leggi a carattere generale (cioè norme primarie) in tema di itinerari (esistono cioè solo leggi ad hoc: come ad esempio quella per il Giubileo 2000 - L. 270 del 07/071997 Piano degli interventi di interesse nazionale relativi a percorsi giubilari e pellegrinaggi in località al di fuori del Lazio - , e per l’istituzione delle Strade del Vino - L. 268 del 27/07/1999 “Disciplina delle strade del vino”), quindi la competenza e gli attori principali diventano le regioni e gli enti locali, mentre lo Stato ha la funzione di regolare e coordinare i fondi e agevolare il lavoro delle Soprintendenze competenti che hanno il compito di verificare la compatibilità dei progetti con i beni culturali e le aree si interesse paesistico coinvolte. 44 G. CARLA ROMBY in AA.VV. Popoli, arte, devozione. Itinerari nelle cinque verdi terre, Edifir, Firenze 1999, pag. 8. 45 Tra i vari e numerosi tratti di romanzi e tra e innumerevoli poesie si cita ad esempio: “La strada tortuosa che da Siena conduce all’Orcia Traverso il mare mosso di crete dilavate che mettono di marzo una peluria verde

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Figure 8-9. L’immagine tradizionale della Toscana è rappresentata soventemente dal paesaggio del Chianti o da strade serpeggianti scandite da individui di cipressi. In alto San Gaudenzio a Campoli, San Casciano. L’immagine presenta l’alta varietà e ricchezza del mosaico agricolo e forestale del Chianti. Alle parti sommitali dei colli, ricoperte da vegetazione boschiva, si individuano nei versanti l’ordine e la regolarità, scandita dalla viabilità minore, con cui si articolano i singoli insediamenti e le colture agricole, le quali per quanto specializzate, sono quasi sempre accompagnate da elementi di naturalità (macchie di bosco, siepi e filari) e sistemazioni paesaggistiche ornamentali. In basso sistemazione paesaggistica, attribuita al paesaggista Cecil Pinsent, presso La Foce, Cianciano.

è una strada fuori dal tempo, una strada aperta e punta con le sue giravolte al cuore dell’enigma. (MARIO LUZI, La strada tortuosa che da Siena conduce all’Orcia, in Toscana Mater, Internlinea edizioni, Novara 2004, pag. 105).

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A conferma di ciò basta sfogliare (o solo guardare la copertina) delle innumerevoli pubblicazioni fotografiche, o sbirciare tra le cartoline postali: la strada toscana appartenenti ai paesaggi rurali, serpeggiante con i cipressi con l’alternanza cipresso – pino, oppure fragile e leggiadra, costeggiata da siepi che scorre in mezzo a vigneti e oliveti, così pure quella “più costruita” delimitata da muri di pietra, ricorre quasi in modo ossessivo. Anche la comunicazione televisiva utilizza e ripropone la strada del paesaggio toscano come immagine della “toscanità”46 e come simbolo di qualità della vita: lo spot della Rover47 strutturato secondo il tema del viaggio48 si svolge lungo una strada affiancata da individui di cipressi che attraversa una campagna e un borgo caratterizzati di notevole valore storico-culturale. Sono luoghi fortemente identificativi di un tipico paesaggio (quello toscano). Tutto è ben tenuto, non vi sono rumori sgradevoli, nessun degrado ma è presente quiete e armonia: i due signori anziani, i cavalli, la bicicletta, il borgo, case rurali. La sensazione è quella di poter percorrere strade bianche e sinuose con serenità e senza il timore di non sapere orientarsi, l’unica componente contemporanea sembra essere l’automobile che appunto rende con il suo colore rosso, attuale e contemporaneo il paesaggio: non è un’immagine antiquata ma giovane49. La complessità degli itinerari turistico-culturali sembra però possedere la possibilità di proporre e ampliare l’immagine del paesaggio toscano, che deve esprimere contemporaneamente la sua storia ma anche la sua contemporaneità50, così come le sue varie sfaccettature51, staccandolo così dai soliti stereotipi dati dalla casa colonica, il cipresso, il borgo medievale e il palazzo rinascimentale: il paesaggio toscano, “contenitore dinamico di continue esperienze di attraversamento della sua multidimensionalità […] comincia ad essere proposto nella sua complessità antropica, sociale e culturale: un paesaggio a più dimensioni, da attraversare liberamente nello spazio e nel tempo, secondo percorsi tematici tradizionali e innovativi”52.

46 “Toscana sembra un nome dato apposta per coniarne sopra un altro: toscanità. Toscanità non sembra neppure un derivato, sembra una parola altrettanto elementare e primaria quanto lo è Toscana. Non direi questa linearità nominale si ritrovi in altri casi: c’è sempre di un po’ astrusamente concettuale e perfino di capzioso nell’isolare la quintessenza regionale e nel denominarla. Fate pure la prova, ci sarà la sola eccezione di Sicilia e sicilianità. C’è un motivo? C’è un senso? È probabile di si. La toscanità è un dato ovvio e innato come quello di ogni altra condizione locale. Più di altri tuttavia è divenuto un concetto e una elettiva assunzione di valori. […] I grandi titoli della gloria domestica sono messi da parte: quello che la parola toscanità evoca è piuttosto sobrietà, elementarità concretezza; qualcosa di spoglio, di arioso da cominciare e non da celebrare.” (MARIO LUZI, Toscanità, in Toscana Mater, Internlinea edizioni, Novara 2004, pag. 20). 47 Molti sono gli spot, automobilistici e non, che ripropongono i luoghi toscani come sinonimo di “bellezza” e quindi di qualità della vita. “Quiet Drive” è stato premiato come “fondale” più significativo e rappresentativo del paesaggio senese al festival “SI gira” di San Giovanni d’Asso dell’8 Novembre 1998 da una giuria presieduta da Omar Calabrese, con la seguente motivazione: “Il telecomunicato mostra un insieme di paesaggi urbani e rurali, visioni di piccole città e di monumenti che riescono a caratterizzare immediatamente la provincia di Siena, ma soprattutto esso suggerisce l’atmosfera e i caratteri tipici della zona, in particolare: il silenzio incantato, la facilità di potersi immergere nella natura incontaminata, la dolcezza complessiva che si prova viaggiando o visitando la zona”. (Relazione (Tesina), Franco Lodini “Emozione Tecnologica”: analisi dello Spot Rover 600 “Quiet Drive”, Corso Scienze della Comunicazione, A.A. 1998-99, pag. 4). Nello Spot la Rover sceglie il paesaggio per rappresentare i valori di base, ovvero quelli esistenziali dove spiccano la vita, i sentimenti e l’identità. L’identità quindi è oggi un valore fondamentale e primario. 48 La strada diviene in questo caso il luogo delle attese per raggiungere la meta. 49 Vedi: Relazione (Tesina), Franco Lodini, “Emozione Tecnologica”: analisi dello Spot Rover 600 “Quiet Drive”, Corso Scienze della Comunicazione, A.A. 1998-99, pag. 4. Nello Spot la Rover sceglie il paesaggio per rappresentare i valori di base, ovvero quelli esistenziali dove spiccano la vita, i sentimenti e l’identità. L’identità quindi è oggi un valore fondamentale e primario. 50 Vedi RAFFAELE MILANI, Il paesaggio, l’arte, l’estetica, “F/L – Film e letterature, Rivista di Cinema e Letteratura”, monografie, 4, http://www.almapress.unibo.it/fl/default.htm 51 Comprendendo così i paesaggi delle Maremme, degli Appennini, delle isole e della costa. 52 Lanfranco Binni, Di segno in segno. La Toscana per l’arte contemporanea, I territori della scultura contemporanea. Arte all'aperto in Emilia Romagna, Ferrara 3 aprile 2003, in http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it/approf/scultura/Binni.htm.

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Figura n. 10. Luogo di sosta panoramico lungo la strada provinciale dell’Isola d’Elba (Cavoli).

Figura n. 11. Un ciclista percorre la strada la strada statale n. 67, costeggiata da filare di tigli.

Figura n. 12. Il viale di accesso della Badiola (Castiglione della Pescaia), tenuta di Leopoldo II, costituita dall’alternanza pino-cipresso.

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Il paesaggio della strada: le risorse paesaggistiche. “Come l’arredo architettonico, pur in sé costituito da piccole cose, è tuttavia in grado di definire il monumento, anche un paesaggio altamente umanizzato quale quello fiorentino, è composto di innumerevoli dettagli, piccoli episodi locali che alla fine si fondono in un più ampio disegno compositivo”53. La strada non è costituita soltanto da una linea più o meno percorribile, è qualcosa di molto di più. Indiscutibilmente sono fondamentali la posizione del manufatto rispetto alla morfologia del territorio, che può essere di crinale, a mezza costa, di pianura o arrampicarsi sui versanti, e la sua sezione, a raso, in trincea, in rilevato, su viadotto, in galleria, ma il progetto paesistico di una strada si deve spingere oltre e interessare quello spazio ad essa relazionato fisicamente, in particolare il suo margine stradale che non necessariamente si identifica nell’esile fascia strettamente adiacente alla strada. Il paesaggio risulta costituito da un insieme di opere e numerosi dettagli grandi e piccoli, relazionati tra loro. Pertanto la strada, affinché possa essere concepita come componente di qualità, deve essere pensata sia alla scala vasta, che nel suo più piccolo particolare e in relazione agli ambienti attraversati: le opere d’arte del manufatto, gli spazi ad esso relazionato, il suo equipaggiamento, che in particolare contrariamente a quanto oggi viene inteso non è una sorta di “belletto” con cui nascondere la strada ma contribuisce a ricucire la trama del paesaggio, dovrebbero essere legati e correlati al paesaggio circostante secondo un disegno unitario che ingloba così automaticamente al suo interno il manufatto stradale stesso garantendo così la continuità dei luoghi. Il tema dell’equipaggiamento si è evidenziato come problematica in epoca contemporanea, ovvero solo conseguentemente alla diffusione dei veicoli a motore e quindi alla necessità di realizzare manufatti maggiormente invasivi: però se da una parte si è manifestata l’esigenza di progettare con più attenzione il suo “corredo”, dall’altra la risposta ha contemplato di contro una progettazione esclusivamente ingegneristica privando così la strada di qualsiasi opportunità in quanto oggetto d’arte, dotato di senso, che può legarsi al suo paesaggio. Nel passato invece la strada ha sempre contenuto una serie di elementi di corredo utile a renderla un’opera pubblica, e quindi collettiva, anche se oggi molti di questi “oggetti minori” rischiano di essere cancellati dai nuovi interventi insediativi e infrastrutturali. Elencare tutte queste componenti presenti in Toscana appare difficoltoso, per numero di tipologie e vastità delle soluzioni architettoniche. Anche uno stesso particolare può avere più ruoli: ad esempio il cipresso, qui inserito nell’equipaggiamento stradale di natura vegetale, ha anche la funzione di “segnalare” e quindi potrebbe ricadere nella segnaletica, così come un’opera del manufatto, ad esempio un muro di contenimento, può trasformarsi in una sorta di arredo per la qualità con cui è stato creato. Ancora edicole e tabernacoli sono indicati come equipaggiamento ma per la loro capacità di aggregazione potrebbero essere inseriti in alcuni casi anche sotto la voce spazi di uso pubblico e di aggregazione. Qui vengono pertanto brevemente accenate le categorie e quegli elementi quelle più evidenti e ricorrenti. Spazi di uso pubblico e di aggregazione La strada, come si è detto, non è solo costituita da una linea, spazio esclusivo della mobilità, ma anche da una serie di luoghi di servizio utili sia agli utenti della strada, sia a coloro che abitano nei territori adiacenti ad essa. Talvolta la strada era in funzione proprio di questo spazio54. Nel passato questi erano caratterizzati dall’aspetto religioso: ad esempio le pievi, gli oratori, e le cappelle votive, così come gli spedali lungo le vie pellegrine costituivano i luoghi collettivi in cui i viaggiatori si raccoglievano e permettevano una lettura della strada quale sistema territoriale. Con il tempo alcune di queste strutture si sono trasformate in vere e proprie strutture ricettive, come le locande e le poste delle strade del periodo lorenese. Oggi gli spazi relazionati alla strada hanno funzioni molteplici: innumerevoli sono i piccoli spazi (in genere piazzole sterrate delimitate da arbusti di vegetazione locale) dove è possibile sostare con 53 ITALO MORETTI, L’arredo, in AA.VV., Il paesaggio riconosciuto. Luoghi, architetture e opere d’arte nella provincia di Firenze, Vangelista, Milano 1984, pag. 72 54 Così come la strada che giunge ad un eremo.

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l’automobile per poter ammirare il paesaggio circostante55 che possono contenere qualche panchina, binocoli, e qualche pannello informativo, oppure, in senso opposto, accogliere barriere fonoassorbenti per isolare il disturbo diffuso, come rumore, polveri eccetera…, dall’ambiente circostante. Più comunemente però si trovano aree di sosta (in particolare lungo le grandi infrastrutture), di servizio e parcheggi, per lo più omogenei per carattere e tipologie costruttive in tutto il paese italiano, che possono interferire con la natura dei luoghi esistenti. Inoltre l’infrastruttura viaria odierna tende a creare spazi marginalizzati caratterizzati spesso dall’abbandono, che rischiano di generare disordine all’interno di un più vasto tessuto paesistico e che non contengono nessun significativo collettivo.

Figura n. 13. Luogo di sosta dal quale inizia una strada bianca sulla strada laureteana.

55 Generalmente sono definite strade panoramiche.

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Figura n. 14. La chiesa di San Giovanni Battista, situata nel comune di Campi Bisenzio in stretta relazione con l’Autostrada del Sole. Progettata e realizzata da Giovanni Michelucci tra il 1960 e il 1964 la chiesa, reputata uno dei maggiori capolavori del Novecento italiano, un tempo sorgeva in un paesaggio agricolo che ne esaltava la plasticità delle forme (le “tende” della copertura in rame, mentre il basamento è di pietra). Oggi ricade all’interno di un lotto verde punteggiato da olivi e circondato dai tipici processi di banalizzazione e frammentazione della piana di Firenze (infrastrutture, alternanza di campi coltivati con capannoni industriali e commerciali, eccetera…) che riducono la forza comunicativa dell’architettura.

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Figura n. 15. Oggi lungo le nuove strade, data la loro “monofunzionalità” e l’elevata velocità dei veicoli a motore, il viaggiatore- conduttore del veicolo è quasi sempre impossibilitato a fermarsi, ma in molte strade meno recenti sono ancora presenti numerosi spazi di uso pubblico utilizzati in modi molteplici. In alcuni casi questi possono essere attrezzati per la sosta (esempio come tavoli e sedute, pannelli informativi, eccetera…) che possono permettere al viaggiatore di fermarsi, osservare o prendere i sentieri per introdursi nel paesaggio circostante.

Figure 16-22. Aree di servizio lungo la superstrada Siena-Arezzo e l’Aurelia a quattro corsie. Le aree di servizio connesse alle grandi infrastrutture presentano quasi sempre soluzioni progettuali standardizzate e omologate a prescindere dall’ambito in cui queste vengono collocate. Seguendo invece l’esempio francese, le aree di sosta e di servizio, se opportunamente progettate, possono diventare delle interessanti opportunità di promozione delle comunità circostanti grazie al fatto che il visitatore-viaggiatore può entrare in “contatto tattile” con il paesaggio (vedi ad esempio Aire de Nîmes-Caissargues e di Crazannes ad opera di Bernard Lassus). Le opere d’arte del manufatto La strada a prescindere dal tipo di fruitore per il quale è stata realizzata56 è costituita da opere d’arte: la superficie della sede stradale, le opere per il drenaggio (canalette e fossetti), movimenti di terra, muri di contenimento e ponti sono quelle più ricorrenti, ai quali in epoca moderna si sono affiancati gli imbocchi delle gallerie, i viadotti, gli spartitraffico, i guard rail, i caselli, eccetera… I ponti, da sempre oggetto di studio dalla storia dell’architettura, sono forse i manufatti che hanno riscosso maggior successo all’interno della progettazione stradale e a cui sono state rivolte maggiori attenzioni: più di altri, rispecchiano difatti il contesto culturale che li ha concepiti, forse perché essi rappresentano il superamento di un ostacolo, l’acqua in movimento, e attraversando “il vuoto” congiungono una parte di terra all’altra. Ogni epoca vede pertanto opere con soluzioni strutturali e stilistiche diverse. Ne sono conferma le numerose presenze in tutta la regione, talune veri e propri monumenti, che arricchiscono le peculiarità dei luoghi.

56 Strade motorizzate caratterizzate dall’alta velocità di percorrenza, traffico misto, pedonale-ciclabile, eccetera…

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Figure 23-24. Il ponte romanico di Ponte a Buriano sul fiume Arno, il primo dei ponti, venendo da Arezzo, che ha dato il nome alla strada dei Setteponti e il ponte medievale di Borgo a Mozzano sul fiume Serchio (Ponte della Maddalena, così chiamato per un’edicola un tempo presente in prossimità del ponte, o Ponte del Diavolo).

Figura 25. Il Ponte Mediceo di Cappiano, sul canale navigabile dell'Usciana che collegava il lago di Bientina, il Padule di Fucecchio, l'Arno e il mare, in una rete di relazioni commerciali, funzionanti sino alle bonifiche ottocentesche, fra Pistoia e Pisa. In epoca medievale il ponte di Cappiano era gestito dai frati ospitalieri di Altopascio (qui difatti passa la via Francigena), ma a causa di un conflitto tra i fiorentini e i lucchese, nel 1325 il ponte vine distrutto. Cosimo I, durante il suo governo, “ne decise la riedificazione nella forma che sostanzialmente ancora oggi osserviamo. Furono allora realizzati il ponte scoperto e il ponte coperto, insieme a vari edifici annessi: l'osteria, la ferriera, il mulino e la casa del provveditore che presiedeva all'amministrazione della fattoria” (Istituto e Museo di Storia della Scienza http://brunelleschi.imss.fi.it/ist/luogo/pontemediceocappiano.html). Figura 26. Il ponte sulla Sieve che dà il nome all’omonima cittadina (Pontassieve). Durante la metà del Cinquecento, a seguito di un’alluvione, viene decisa la riedificazione del ponte, grazie anche al fatto che si presenta in un punto strategico per l’accesso al Casentino, alla Romagna e al Valdarno Inferiore. Non a caso, in occasione del progetto stradale lorenese, “sulla base della perizia fatta dall’Ingegnere Anastagi, il matematico regio Ferroni informava il Granduca Pietro Leopoldo con lettera del 20 maggio 1788 della necessità di risistemare la "pedata destra", rifare il lastrico e abbassare le spallette, per una spesa complessiva prevista nella somma di 820 scudi. In quell’ occasione vennero anche temporaneamente rimossi i due "cartelloni in marmo annunzianti l’epoca della sua costruzione", da riapporre, in seguito all’abbassamento delle spallette, aggiungendo ad uno di essi un’iscrizione in memoria del restauro leopoldino (Vedi A.S.F., Segreteria di Finanze, 960 http://www.storiaecultura.it/cornucopia/ponti/pntsieve.htm,).

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Ma non vi sono solo le grandi opere, piccoli dettagli quali muretti, muri alti, in pietra a secco, intonacati, sulle pareti o tra le fessure dei quali nascono muschi e licheni che formano disegni e cromatismi, oppure le modalità di drenaggio delle acque, così come le pavimentazioni, costituiscono delle importanti risorse paesaggistiche. Le tipologie costruttive per la realizzazione di queste opere anticamente dipendevano comunque, oltre dalla cultura architettonica, dalla reperibilità dei materiali, dalle risorse economiche, dalle strategie politiche e dalla percezione che il territorio aperto si riversava sul viaggiatore57, così come la sensibilità e l’attenzione per il contesto paesaggistico.

Figure 30-31. I graffiti (a punta di forchetta) presenti sull’intonaco che ricoprono alcuni muri campestri presenti nelle strade intorno a Firenze (Via di San Leonardo e Viuzzo delle Masse)

57 In epoca medievale ad esempio molte strade si presentavano come opere provvisorie per proteggere il più possibile i nuclei urbani dagli attacchi esterni, mentre nel periodo romano, le strade pavimentate erano difatti pensate per durare in eterno.

Figure 27-29. Percorrendo la viabilità minore è possibile trovare numerosi ponti, anche se meno monumentali di quelli della grande viabilità. Sono piccole opere d’arte che conferiscono identità e caratterizzazione ai luoghi. In alto a sinistra il Ponte del Garbo sull’Ombrone, sulla viabilità principale per Asciano, ricostruito nel 1948 dopo la distruzione ad opera dei tedeschi durante la loro ritirata, del 1944. Le altre due immagini si riferiscono ad alcuni ponti che è possibile incontrare percorrendo le strade bianche di Siena. Le misure protettive aggiunte recentemente (guard-rail) e la sistemazione dei corsi d’acqua non sembrano valorizzare la natura dei luoghi.

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Figura 32. Le arcate della viabilità principale che contorna il centro urbano di Colle di Val d’Elsa diventano un elemento compositivo del parco e garantiscono continuità alla fruizione dello spazio.

Figura 33. Viadotto dell’Autostrada A15 della Cisa in prossimità di Pontremoli.

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Recentemente i dettagli costruttivi delle strade si sono standardizzati e omologati comportando un impoverimento alla caratterizzazione dei luoghi e una banalizzazione del manufatto stesso. Ad esempio la fascia spartitraffico interna, di separazione delle carreggiate autostradali, nel corso degli anni è diventata sempre più esigua: nella Firenze-mare la fascia di vegetazione di oleandri che che separava le due corsie si è trasformata in una cortina di elementi prefabbricati, i new jersey, che oltre a non caratterizzare il manufatto, rafforzano l’effetto barriera dell’infrastruttura viaria sia dal punto di vista percettivo che ecologico.

L’equipaggiamento L’equipaggiamento della strada può concorrere a conferire identità ai luoghi in quanto, instaurando una relazione tra strada e paesaggio, contribuisce al processo di significazione del paesaggio stesso. “Le strade rappresentano un ulteriore elemento di caratterizzazione del paesaggio, ancora una volta in funzione dell’uso umano del territorio”58 e non a caso la presenza di elementi simbolici, che

58 GUIDO FERRARA, L'architettura del paesaggio italiano, Marsilio Editore, Padova 1968, didascalia pag. 135.

Figure 34-36. La viabilità odierna richiede consistenti opere d’arte per il superamento degli “ostacoli” morfologici o derivanti della pressione insediativa circostante, ma spesso esse sono ridotte a semplici assemblaggi di elementi prefabbricati. 34. Imbocco di una galleria lungo la SS 69 in prossimità di Pontassieve. 35. Raddoppio della galleria per i lavori di adeguamento a grande strada di comunicazione della Siena-Grosseto (SS 222). 36. Sovrappasso stradale e svincolo della Mezzana – Perfetti Ricasoli a Fibbiana (Campi Bisenzio).

Figura 37. Barriera in New Jersey per la separazione delle corsie nel raccordo autostradale della Firenze-Mare.

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hanno appunto non una funzione produttiva ma di rappresentanza, “è particolarmente significativa laddove l’umanizzazione del paesaggio si è molto accentuata nel tempo59”. L’equipaggiamento, non è quindi un mero abbellimento ma piuttosto il modo con cui la strada interferisce in modo evidente con il paesaggio. La vegetazione utilizzata sottoforma di siepi e filari alberati è forse il corredo stradale più utilizzato. A seconda della sua disposizione essa difatti può rafforzare o contrastare la sua integrazione con l’ambiente circostante60, conferire cromatismo, dinamismo attraverso il variare dei colori, delle luci e ombre e delle masse, ovvero la contrapposizione tra i pieni e i vuoti, o fra forme orizzontali e verticali. La vegetazione comunque non assume solo il significato simbolico e di rappresentanza ma riveste numerosi altri ruoli. Siepi e filari alberati ad esempio hanno protetto il viandante dagli agenti atmosferici, in particolare dal vento e dalla pioggia nei messi freddi, e dal sole nella stagione estiva, ma hanno costituito anche una forma produttiva agricola61, mentre in epoca moderna sono stati utilizzati per limitare l’abbagliamento dei fari, per creare barriere protettive dal rumore e dalle polveri inquinanti, per aumentare la biodiversità dell’ambiente. L’arredo vegetale più ricorrente in Toscana è costituto da individui o gruppi di cipressi e di pini62. Il cipresso comune (Cupressus sempervirens), introdotto nel nostro paese dagli Etruschi e dai Romani, è una pianta proveniente dall’Iran, dall’Afghanistan e dall’Asia Minore, che nel corso dei secoli si è naturalizzata, riproducendosi così spontaneamente nella regione per seme. Sin dall’epoca etrusca il cipresso ha seguito la trasformazione del paesaggio trovando quasi sempre un ruolo primario grazie alla sua forma piramidale63 e per il suo colore scuro che ad esempio contrasta con il colore argenteo degli oliveti: in giardini, parchi, viali, cimiteri, per segnalare confini, agli incroci tra due strade, in prossimità degli edifici religiosi o di qualche edificio rurale, raggruppato in boschi più o meno fitti, in filare lungo viali e strade. Il cipresso poiché quindi attira l’attenzione dell’osservatore punteggia, segnala, o sottolinea la presenza degli “oggetti” di riferimento della comunità di un territorio. Numerose sono pertanto le strade che sono affiancate da questo albero. Per quanto riconosciuto come albero di pregio, recentemente però il suo uso indifferenziato attorno a rotatorie, svincoli, strade di accesso ai poderi ristrutturati, eccetera…, così come in ambiti non strettamente legati alla sua simbologia, ha portato conseguentemente alla banalizzazione del suo impiego e la perdita del suo ruolo di “segnalatore”e/o di monumentalità (i grandi viali delle ville).

59 GUIDO FERRARA, op. cit., Padova 1968, pag. 143. 60 Ad esempio i filari di pini disposti lungo l’Autostrada Firenze-mare giocavano su contrasto strada – velocità e paesaggi. 61 Esistono difatti molte regolamentazioni riguardanti gli alberi fruttiferi e i gelsi per la coltivazione del baco da seta, disposti lungo le strade in particolare quelle maestre. 62 Secondo gli antichi il cipresso purifica l’aria grazie al suo profumo balsamico, così come i pini: si pensi alle innumerevoli pinete realizzate in area di bonifica e per la protezione dei venti caldi marini che provenivano dalle aree umide, oppure a quelle situate a sud-ovest di Firenze utili “alla sanità dell’aria” che Ferdinando I tentò di salvaguardare (vedi LUIGI ZANGHERI, Le pinete attorno a Firenze, in AA.VV., Il paesaggio riconosciuto. Luoghi, architetture e opere d’arte nella provincia di Firenze, Vangelista, Milano 1984, pag. 78). 63 In Toscana viene chiamato solitamente il Cupressus sempervirens varietà “pyramidalis”, maschio, mentre la varietà "horizzontalis" femmina, nonostante la specie sia monoica,ossia abbia contemporaneamente sulla medesima pianta fiori maschili e femminili.

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Figura 38. Cipressi isolati o a filare (sullo sfondo) lungo la viabilità della Val di Cecina. Figure 39-40. Cipressi, isolati o a gruppetto lungo la viabilità nel comune di Cerreto Guidi.

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Figura 41. Cipressi scandiscono la viabilità nel comune di Pienza (Monticchiello). Filari di pini marittimi e domestici sono invece tipici dei paesaggi di bonifica e delle coste, anche se talvolta non è inconsueto trovarli lungo qualche tratto rettilineo in mezzo alla campagna collinare, dove viceversa generalmente si incontrano notevoli esemplari di querce (cerro, rovere, roverella e sughere). Solitamente invece, le strade di accesso di accesso ai nuclei urbani situati tra la zona collinare e montana sono spesso accompagnate da filari di tigli o platani. Lungo le vie campestri è invece possibile trovare ancora qualche tratto residuale di aceri, gelsi, e noci.

Figure 42-43. Filari i pino-cipresso lungo il viale di accesso alla Badiola (Castiglione della Pescaia) e la strada tra San Gimignano e Gambassi.

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Figure 44-46. Strade alberate con pini nella campagna di Incisa Valdarno, nel comune di Livorno, e nel viale tra Cecina – Marina di Cecina. In basso Filari di sughere in prossimità del Lago di Burano (figure 47) e a Garavicchio (Capalbio) (figura 48). In fondo alla pagina Querce lungo la strada in prossimità di Pitigliano (figura 49) e filari di tigli sulla strada per Marradi. (figura 50).

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Per dare protezione al viaggiatore della strada la strada poteva anche essere delimitata o contenere muri. Un esempio sono le strade murate campestri presenti nel contado fiorentino o i muri disposti sul passo della Futa e del Muraglione, quest’ultimo appunto realizzato in mezzo alla strada per poter offrire riparo al viandante secondo la direzione da cui spirava il vento.

Figura 51. Viale di Platani a Vada. Figura 51-a. Filare di noci presso Vicchio Figura 52. Castell’Azzara. Figura 53 Filari residuali di gelsi nel Valdarno inferiore (Lago di Montepulciano) Figura 54. Gli Arbusti delimitano la strada apportando ricchezza e permettendo al tempo stesso ampie visuali sul paesaggio (Asciano SP 438) Figura 55. La presenza di vegetazione riduce l’invasività delle grandi strade (Aurelia ).

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Negli elementi di corredo ricade anche la segnaletica stradale e quella turistica, nonché quella pubblicitaria. I cippi cilindrici64 e le pietre miliari utilizzate in tempo romano segnalavano ad esempio la distanza percorsa dal centro urbano (da cui i toponimi Terzolle, Quarto, Quinto, oppure Quintole, Sesto, Settimello, Decimo, Vigesimo, eccetera…65), mentre formelle raffiguranti il labirinto poste sulle facciate degli edifici religiosi lungo la Via francigena segnalavano l’itinerario del pellegrinaggio verso Gerusalemme. La prima segnaletica ufficiale riportante le località a cui la strada portava sono però presumibilmente le colonnine segnavia create sotto la riforma stradale lorenese, poste agli incroci delle strade comunitative. Con la diffusione della macchina come mezzo di trasporto, lungo le strade, oltre la convenzionale segnaletica stradale (divieti di accesso, limiti di velocità, segnali di pericolo eccetera…), sono proliferati i cartelloni pubblicitari e le indicazioni, ivi comprese quelle ricadenti nella segnaletica turistica che ha la funzione di “accogliere” il visitatore suggerendo i percorsi da intraprendere nei viaggi, i monumenti da visitare, la scelta delle strutture ricettive presenti. La disposizione, la frequenza e la dimensione, nonché forma e colori di questi modi di comunicazione, sono molto importanti sia per la loro leggibilità da parte dell’utente della strada sia perché con la loro presenza posso creare un senso di confusione nella percezione del paesaggio circostante, oppure addirittura obliterarlo. Percorrendo la viabilità periurbana e quella rurale è facile incontrare edicole e tabernacoli collocati in punti strategici i quali fungevano da luoghi di aggregazione e di riferimento della comunità rurale. I tabernacoli con immagini sacre “erettivi dalla cristiana pietà dei nostri avi per rammentare a chi vi risiede come a chi vi transita che la presenza di Dio è in ogni luogo acciocché nei loro viaggi della vita terrena operino in modo da non demeritare per quello della vita eterna”66 in genere si trovano ai crocicchi, sui muri a retta, sui ponti, sulle facciate delle case, e in tutti quei luoghi ove si sentiva la necessità di proteggere il viandante e gli abitanti del luogo, dai pericoli. Un tempo contenevano icone sacre ma oggi possono trovarsi o privi di queste, e quindi vuote, o contenenti immagini sostitutive. Alcuni di questi tabernacoli ed edicole hanno alto valore artistico e per questo motivo sono stati vincolati o ricadono nell’elenco del beni culturali da tutelare, ma più generalmente sono soggetti all’incuria e trattati come oggetti di poco valore. Altri oggetti che conferiscono peculiarità ai luoghi, possono essere le fonti utili un tempo a dissetare i viaggiatori lungo il loro cammino, oppure emblemi, stemmi, monumenti, e altri simboli atti a segnalare punti strategici, o realizzati per la commemorazione degli accadimenti storici, o in onore di personaggi, famiglie eccetera… (come ad esempio le piramidi lorenese posti sulla strada modenese al confine del granducato). Nelle nuove forme di equipaggiamento contemporaneo ricadono le barriere per isolare dal rumore e dalle polveri gli ambienti circostanti una strada densamente transitata. L’isolamento può avvenire attraverso la realizzazione di barriere vegetali, ma queste generalmente richiedono spazio e manutenzione. Più generalmente quindi vengono utilizzati pannelli aventi tecnologie e materiali diversi, ma la loro installazione lungo la strada solitamente avviene in modo meccanico, “per aggiunta”, senza nessuna preoccupazione progettuale67.

64 Dal latino Cippus o cipsu significa palo, ovvero un termine agrario che indica una struttura verticale riferibile ad una mezza colonna o pilastro, soventemente utilizzato per commemorare. 65 Le strade hanno influito anche sulla nascita dei toponimi che a loro volta sono caratterizzati dal contesto storico e temporale. È facile quindi trovare lungo una strada il susseguirsi di toponimi di cronologia diversa: ad esempio l’odierna provinciale fiorentina 8, la strada militare per Barberino di Mugello, presenta toponimi quali Quarto, Quinto Sesto Settimello, Le Croci di Calenzano, Osteria degli Alberi, Tavernaccia, Pod. La Strada, Carraia, Ca’ Spedaletto, Case Strada, Vigesimo che indicano allo stesso tempo anche il grande fermento dell’attività che avveniva lungo la strada. La toponomastica appare quindi un importante valore e bene culturale che necessita di essere salvaguardato: essa difatti può aiutare a ricostruire i percorsi e i tracciati viari, e quindi rafforzare la memoria e l’identità dei luoghi (vedi LAURA CASSI, I nomi di luogo in riferimento alla viabilità nell’area fiorentina, in LEONARDO ROMBAI (a cura di), Le strade provinciali di Firenze: geografia, storia e toponomastica, Firenze, L. S. Olschki, 1992, pagg. 169-198). 66 SILVANO GUERRINI, La via Aretina, in AA.VV., La terra benedetta. Religiosità e tradizioni nell’antico territorio di Ripoli, Salimbeni, Firenze1984, pag. 290. 67 Una barriera fonoassorbente può essere utilizzata in forme compositive originali, e quindi con ruolo attivi, specifici per ogni luogo. Ci sono difatti alcune esperienze straniere in cui il pannello non è solo inteso solamente come un “muro” ma

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si trasforma in pareti e quinte delle “stanze” degli spazi pubblici disposti lungo l’infrastruttura (ad esempio giardini) o della strada stessa.

Figura 56. Croce votiva e cipressi al fianco di una strada campestre nella provincia di Siena. Figura 57. Edicola religiosa, sottolineata da un gruppo di cipressi, posta all’incrocio di due strade murate (via del Boldrone e via dell’Osservatorio, Firenze). Figura 58. Fonte in pietra (largo Enrico Fermi, Firenze). Figura 59. Tabernacolo (provincia di Siena) Figura 60. Numerosi tabernacoli sono posti sopra i ponti per proteggere i viandanti e gli abitanti del luogo, dai pericoli derivanti dal corso d’acqua (Capalle, Campi Bisenzio).

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Figure 61-67. Per quanto obliterate dalla segnaletica e spesso caratterizzate dall’incuria esistono ancora molte delle colonnine segnavia del periodo lorenese poste agli incroci della viabilità principale. Figura 61. Galleno, Castelfranco di Sotto. Figura 62. Santa Maria a Ripa, Empoli. Figura 63. Capalle, Campi Bisenzio Figura 64. Colonna del Grillo, Castelnuovo Berandenga. Figura 65. Mammiano, San marcello Pistoiese Figura 66. Arezzo Figura 67. Monteriggioni.

Figura 68. Il simbolo del labirinto indicava ai pellegrini la via per Gerusalemme (Lucca). Figura 69. Indicazioni di epoche diverse poste sulla facciata di un edificio all’angolo tra la Via Pisana e la strada statale 429 (Ponte a Elsa).

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Figura 70. Segnaletica turistica (Galleno, Castelfranco di Sotto). Figura 71. La posizione, la dimensione e la quantità dei cartelloni pubblicitari può conferire un senso di disordine ai luoghi attraversati. Figura 72. Segnaletica riportante lo schema della viabilità poderale nella pianura di Grosseto. Figura 73. Segnaletica stradale sulla superstrada Firenze –Pisa-Livorno (uscita Interporto).

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LA COSTRUZIONE DEI PAESAGGI TOSCANI ATTRAVERSO LE SUE STRADE Un quadro conoscitivo per strade e paesaggi della Toscana Il paesaggio è soggetto dinamico e in continua trasformazione. Esso è frutto di continui processi di stratificazione che possono arricchire, distruggere, alterare la natura del paesaggio stesso. All’interno di questi processi di mutamento la viabilità ha assunto sempre un ruolo decisivo e rilevante in quanto si è posta quale guida mentale e fisica dei processi di trasformazione territoriali, contribuendo così alla nuova organizzazione paesistica. D’altra parte la strada, via, sentiero, percorso, o qual si voglia chiamare, si identifica come uno dei primi processi di appropriazione da parte dell’uomo della selvaggia Natura, essa cioè si pone come matrice dell’organizzazione umana: una sorta di misura con cui predisporre il proprio ambiente di vita. Pertanto, attraverso la lettura dell’evoluzione del sistema viario dal reticolo minore su cui si svolge la vita quotidiana sino alle grandi direttrici che collegano i luoghi, l’una con l’altra le città e queste con i paesi lontani, possono essere letti ed evidenziati i processi di trasformazione che hanno costituito e che tutto oggi strutturano il tessuto paesistico. In questo contesto la strada diviene conseguentemente uno degli strumenti interpretativi, e dunque anche narrativo delle varie culture a cui essa appartiene1, con cui intraprendere il processo di conoscenza utile al progetto perché è proprio la singola storia di ogni luogo che conferisce diversità e identità, ovvero esclusività. Ogni epoca storica vede l’alternarsi di governi e società e quindi obiettivi diversi e ognuno di questi paesaggi lascia una propria impronta nel carattere identitario della regione: si tratta di una stratificazione continua di avvenimenti, i cui segni appaiono ben evidenti nelle strutture agrarie e urbane, negli aspetti architettonici, nelle sistemazioni vegetali, nei toponimi e così via, che di volta in volta si sedimentano nella matrice insediativa e naturale. Così, ad esempio, per quanto riguarda le strade, in base al ruolo che esse rivestono e ai fruitori che le percorrono, nei periodi in cui sono prioritari i rapporti sovralocali viene prediletta la costruzione di grandi direttrici, mentre in altri, in cui sono primari i collegamenti interni, viene infittita la maglia viaria minuta. In altri periodi ancora, in cui la popolazione vive una situazione disagiata e di paura racchiudendosi in se stessa (come ad esempio nel periodo medievale) le strade sono ridotte a semplici sentieri, tratturi, quasi impraticabili, per poter scoraggiare qualsiasi forma di contatto con il mondo circostante. Le strade possono quindi fisicamente correre velocemente lungo i fondovalle dei fiumi, oppure arroccarsi sui rilievi collinari e montuosi, rappresentando in modo chiaro la società a cui appartengono e determinando al tempo stesso la fortuna o la decadenza di tanti centri urbani. Per affrontare la lettura di un paesaggio percorrendo la storia delle strade è utile però non limitare la ricerca ai soli aspetti localizzativi, individuando cioè dove gli itinerari passavano fisicamente, ma estenderla alla comprensione di come i tracciati hanno influenzato, anche nel disegno, l’organizzazione territoriale, l’insediamento e il modificarsi della Natura, indagando anche il modo con cui venivano “equipaggiati” in quanto l’equipaggiamento non è un mero abbellimento ma piuttosto il modo con cui la strada interferisce in modo evidente con il paesaggio comprendendo i servizi ad essi collegati. Il fine è quello di individuare i molteplici legami che esistono tra la strada e il paesaggio, sia in termini di ecologia, storia, cultura e percezione, i quali a loro volta sono utili per l’individuazione degli indirizzi progettuali di riferimento di una determinata collettività, in maniera così da

1 La strada può difatti essere definita segno poiché ogni azione antropica ha natura semiologica. La semiologia si occupa difatti di quegli elementi che recano determinate informazioni (i segni) che possono essere definiti come le forme disegnate sul territorio dalle azioni naturali o antropiche (vedi VALERIO ROMANI, Il paesaggio. Teoria e pianificazione, Franco Angeli, Milano 1994, pag. 118). I segni hanno una corrispondenza non solo estetica ma anche funzionale, permettono difatti la lettura della stratificazione del paesaggio e l’individuazione della sua struttura, ovvero di quel sistema, in cui scorrono i flussi di energie e le forze, costituito pertanto dalle regole a cui il corpo deve sottostare (vedi UMBERTO ECO, La struttura assente, Bombiani, Milano 1968, pag. 45).

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trasformare in modo innovativo da una parte ma anche coerente al proprio passato e alla propria identità dall’altra. La struttura della rete stradale è direttamente influenzata da numerosi fattori, in primis la posizione della regione a cui essa appartiene (cioè la collocazione che assume rispetto ad un contesto più ampio che può essere più o meno centrale, marginale o isolata) e la sua natura fisico-geografica dove la morfologia del territorio un tempo costituiva la prima determinante progettuale. Con la definizione di Compartimento Toscano del 31 dicembre 1861, viene indicata “quella porzione di territorio a forma grossolanamente triangolare collocata fra l’alto Tirreno, l’Appennino centrale ed una convenzionale linea di confine con il vecchio Stato pontificio”2. Un tempo Granducato di Toscana, e oggi indicata come Toscana, la regione si trova in una posizione nevralgica all’interno dei collegamenti nazionali: situata difatti nella parte nord-occidentale della penisola italiana, laddove lo Stivale comincia a restringersi tra il mar Tirreno e l’Adriatico, è una zona basilare all’interno delle connessioni che uniscono il nord e il sud e le due coste occidentali e orientali del paese, in quanto assicura interscambi tra territori tra loro molto diversi. Inoltre grazie ai suoi circa 633 chilometri3 di sviluppo costiero che la rendono “tradizionalmente aperta ai rapporti con l’esterno”4 assume un ruolo rilevante anche nei collegamenti marittimi che stimolano a loro volta i trasporti interni. Morfologicamente la Toscana è costituita per lo più da colline (circa il 66,5%), da montagne (25,1%) e infine da pianure che si sviluppano soprattutto lungo il tratto costiero e i fondovalle dei maggiori tre corsi d’acqua, l’Arno, il Serchio e l’Ombrone (8,4%)5. Al di sopra di questa ossatura vegetazione, usi del suolo e processi insediativi si distendono con storie e modalità diverse: i caratteri morfologici hanno difatti influenzato il reticolo delle comunicazioni viarie e la ubicazione e la disposizione dei centri urbani. Questo però, almeno inizialmente, in Toscana sembra dipendere più che dalle valli, dalla linea dei crinali, delle dorsali e delle creste, perché, a causa dei fondovalle stretti con terreno instabile, i primi centri abitati e le prime aree coltivate sorgono proprio sulle sommità dei rilievi. Appoggiandosi così a questi capisaldi geografici ben precisi le strade hanno iniziato il loro contributo alla strutturazione dei paesaggi della regione e alla loro diversa caratterizzazione che dipende sia dai processi evolutivi socio economici che dalle condizioni di naturalità di ogni area. È un’influenza reciproca: i processi insediativi sono influenzati e influenzano le caratteristiche naturali con specificità derivanti anche dagli eventi storici che investono l’area. Se il sistema agricolo della regione trova una sua propria sistematizzazione nell’alto e basso medioevo, periodo dal quale risalgono la maggior parte dei capoluoghi comunali e dei centri minori, ad una prima grossolana distinzione della viabilità nella regione è possibile osservare matrici viare diverse da zona a zona: nella parte centro-meridionale, in particolare nelle aree collinari interne, la rete viaria è stata fondata principalmente nel periodo etrusco con tracciati relativamente brevi che si dispongono lungo i rilievi e tendono ad unire i centri abitati lì situati; lungo le pianure e i fondovalle più pianeggianti del fiume Arno si trovano invece le grandi direttrici di impianto romano, mentre le mulattiere tortuose di epoca medievale, sembrano insinuarsi in qualche area collinare meridionale, nella costa nord (Massa, Viareggio e Livorno) e qualche centro a sud (Grosseto e Orbetello) 6. Un reticolo viario geometrico infine, caratterizza le recenti pianure delle maremme (Valdichiana, Fucecchio Maremma pisana, senese e grossetana) le quali, grazie a consistenti opere di bonifica e di

2 GIORGIO MORI, Il compartimento nel 1861, in GIORGIO MORI (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. La Toscana, Giulio Einaudi Editore, Torino 1986, pag. 6. 3 Dati Irpet in http://www.irpet.it 4 B. NICE, Caratteri del territorio, in CENTRO STUDI E RICERCHE ECONOMICO-SOCIALI DELLA TOSCANA, Risorse economiche della Toscana, Giuffrè editore, Varese 1968, pag. X, qui citato da ALESSANDRA BROGI, La rete stradale della Toscana, nei suoi caratteri attuali, nella sua evoluzione storica, nelle sue esigenze di sviluppo, Istituto Geografico Militare, Firenze 1977. 5 Sinteticamente la descrizione fisica della regione può essere così delineata: una formazione montagnosa contorna il nord – nord-est della regione. Da questi rilievi nascono numerosi corsi d’acqua che sono principalmente raccolti nei tre bacini dell’Arno, del Serchio e dell’Ombrone e in altri bacini minori, aventi tutti sbocco nel mar Tirreno. Le poche pianure sono tutte di origine paludosa e le più grandi riguardano il sistema fluviale dell’Arno, in particolare il Valdarno inferiore che si estende dal capoluogo di regione sino alla costa, e la vasta distesa maremmana a sud, nella provincia di Grosseto. 6 Vedi anche LANDO BORTOLOTTI, L’evoluzione del territorio, in GIORGIO MORI (a cura di), op. cit., 1986, pag. 781.

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regimazione idraulica, trovano una propria organizzazione insediativa tra l’ epoca lorenese (periodo in cui sono realizzate anche le grandi transappenniniche lungo la catena montuosa e viene a consolidarsi la rete viaria che permea ormai tutta la regione) e il secondo dopoguerra. Infine la rete viaria contemporanea si sviluppa un po’ in tutto il territorio regionale7 ma in particolare nella aree di pianura, dove avviene difatti anche una maggiore espansione dell’urbanizzazione (la pianura del Valdarno inferiore, ma anche nella piana tra Firenze – Prato – Pistoia, collegando il capoluogo al porto di Livorno, a Pisa e alla costa come luogo turistico e a Genova come collegamento nazionale) e lungo i collegamenti nazionali con il nord e il sud della penisola italiana dove il Valdarno Superiore tra Firenze e Arezzo, e il Mugello a nord, con la rete autostradale che collega il capoluogo di regione con Roma a sud e Bologna-Milano a nord, svolgono un ruolo prioritario.

7 Ad esempio il potenziamento della Siena – Grosseto per la realizzazione di una strada di grande comunicazione stradale detta dei “due mari”, ma anche piccole nuove opere stradali che deviano il traffico interno ai centri urbani verso il territorio aperto.

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La matrice del paesaggio antropico. La formazione della regione, l’Etruria, e la colonizzazione romana. Dal VI al II sec. a. C, con gli Etruschi, la regione acquista la sua prima effettiva organizzazione socio-politica: è difatti nell’Etruria8, la quale si estende dall’Appennino sino alla riva destra del Tevere, che si formano le prime matrici dell’attuale paesaggio toscano. Gli etruschi iniziano a plasmare il territorio e a trasformarlo in paesaggio agrario con le prime opere di bonifica delle vaste pianure, la rettifica e la canalizzazione dei corsi d’acqua, la modellazione dei versanti collinari in campi coltivati, dove tra l’altro si hanno le prime fonti certe circa l’introduzione della coltura promiscua grazie alla tecnica della vite maritata, oltre consistenti opere di disboscamento in particolare sulle isole dell’Arcipelago e lungo la costa. Piccoli centri urbani si dispongono generalmente sulle sommità dei rilievi, in quanto il terreno si presenta più stabile rispetto ai fondovalle soggetti a inondazioni e paludamento. Ma la propensione ai viaggi tipica della cultura etrusca non favorisce solo l’olivocoltura, la viticoltura e la produzione di grano, tipici ad esempio nell’area del Chianti, e la produzione del lino nel sud della regione, ma incoraggia lo scambio delle merci con altri paesi, in particolare quei prodotti che provengono dall’estrazione mineraria, che provoca i primi consistenti disboscamenti per ottenere il legname sufficiente al funzionamento delle fornaci. In ragione di questa politica di scambio, nel momento di maggior floridezza economica tra il VII e VI secolo a. C., viene disegnato il primo sistema stradale, per lo più disposto sui crinali dei rilievi collinari, costituito da strade che collegano i centri principali e da una viabilità minore che penetra all’interno del territorio proprio per incentivare lo scambio delle merci. I nodi principali sono individuabili in Chiusi, Arezzo e Volterra, e in seguito Luni e Fiesole. Ma numerose sono anche le vie che dall’interno si dirigono verso la costa a confermare l’importanza delle comunicazioni via mare come ad esempio la strada per il Tirreno che, superando il valico di Castelluccio della Foce, correva lungo le valli dell’Orcia e dell’Ombrone, giungeva a Roselle, alle colline Metallifere di Vetuolonia e infine ai porti fluviali posti sulle sponde settentrionali del Lacus Prilius (che allora occupava la pianura grossetana) dove si trovavano anche le importanti saline. Questi tracciati, ancora oggi in gran parte esistenti9, costituiti da un fondo naturale e larghi allora circa 2,80 – 3,00 metri, percorrevano la base delle colline preappenniniche, o si inserivano a mezza costa lungo le principali valli, o più comunemente si disponevano lungo le creste per ovviare al pericolo di smottamenti. Nella maggior parte dei casi erano comunque di breve percorso in quanto erano prediletti i collegamenti interni a livello locale, mentre per le grandi comunicazioni erano preferite le vie marittime. Durante il seguente periodo di colonizzazione romana la struttura insediativa etrusca viene consolidata e sviluppata grazie a consistenti opere di bonifica e alla creazione di nuove città, tra cui Firenze che, in virtù della sua favorevole posizione geografica (posta sul fiume Arno e immediatamente sotto la catena appenninica), assume un ruolo sempre più predominante. In questa espansione le strade diventano principalmente degli strumenti militari di conquista e di appropriazione di territori. Il disegno radiale del sistema viario, avente come centro Roma, rende difatti difficile i collegamenti tra le province in quanto impedisce alle singole aree di organizzarsi contro l’Impero e sottolinea la potenza della città romana. Se gli etruschi cominciano a modellare il territorio con interventi tuttavia delimitati e locali, con i romani le trasformazioni si fanno estese e consistenti. I territori a loro assoggettati, tramutati in colonie romane, sono investiti da vaste sistemazioni agrarie denominate centuriazioni. Tracce di questa antica organizzazione sono a tutto oggi ben visibili nella piana fiorentina, ancora a sottolineare il “principio di inerzia del paesaggio agrario” così ben espresso da Emilio Sereni nel suo testo sulla “Storia del paesaggio agrario italiano”10.

8 La regione prenderà il nome di Etruria, poi Tuscia longobarda, Tuscania e infine Toscana. 9 La strada ad esempio che collegava Fiesole con Arezzo, tracciata sull’altopiano della riva destra del fiume Arno, lungo le pendici del Pratomagno, è l’attuale Strada dei Sette Ponti, mentre la via Amerina9 romana ricalcava ad esempio la strada etrusca per Perugia, così come la Cassia seguiva la strada etrusca per Bolsena, attraverso le Valli della Chiana e del Paglia, passando per Orvieto. 10 EMILIO SERENI, Storia del paesaggio agrario, Editori Laterza, Bari 1961.

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L’organizzazione si basa su di una ampia maglia quadrata avente il lato di 710 metri, disposta lungo la via consolare Cassia e orientata in modo da assecondare le funzioni ambientali e di drenaggio della piana11. Lungo questo reticolo, che costituisce il limite di ogni campo agricolo, si dispone il sistema infrastrutturale delle strade vicinali e pubbliche (limites) e dei fossi drenanti, oltre a siepi e filari alberati. Questo sistema che rappresenta fisicamente il sistema giuridico a cui appartiene e che, per sviluppo non ha precedenti, era delicato e complesso in quanto ogni elemento aveva un proprio ruolo specifico: la vegetazione posta sul confine dei campi aveva varie funzioni come quella di delimitazione della proprietà, di protezione delle coltivazioni e di consolidamento delle sponde della rete drenante. Aree libere ed incolte venivano invece lasciate in posizione strategica tra i campi agricoli: spesso paludose, raccoglievano le acque dei fossi, ed erano ricche di vegetazione arbustiva per garantire la presenza di alcuni prodotti delle aree boscate precedenti, ora scomparse, quali il legname e la selvaggina. Grazie alle opere di bonifica e una maggior esperienza nella regimazione delle acque superficiali, con i romani il sistema insediativo si sposta pertanto dalle colline alla pianura. Anche le strade realizzate, fatta eccezione per quelle utili all’organizzazione degli insediamenti come nel caso della centuriazione, dato il loro scopo militare, diventano grandi direttrici rettilinee che collegano via via i territori conquistati con Roma, proprio a rimarcare l’importanza della comunicazione come strumento di conquista, piuttosto che come mezzo di scambio e di comunicazione locale. La strada, assimilabile come concezione all’attuali autostrade, diviene quindi una realtà fisica e stabile, con un proprio nome, tutto oggi ancora esistenti, solitamente derivante dal magistrato (abitualmente un censore, ma poteva essere anche un console come nei casi delle vie Flaminia ed Emilia) che ne aveva ordinato la costruzione. In questo vasto processo di costruzione sono riadattate e collegate tra loro molti dei tracciati etruschi: nel III sec. a C. attraverso il raccordo di alcuni tracciati etruschi vengono realizzate la Cassia, l’Arimensis e la Clodia” (Luni-Lucca per Siena). Con la conquista della Liguria e l’annessione di altre parti di territorio vengono costruite l’Aurelia (che collega Roma con Pisa), la Flaminia (Roma-Rimini per Fano e Arezzo-Bologna), Aemilia da Rimini a Piacenza, della Claudia e della Aemilia Scauri che prosegue dall’Aurelia fino a Vado per Genova. Con la fondazione di Firenze (I sec. a C.) la Cassia da Arezzo viene fatta proseguire per Firenze, Pistoia, Lucca, e Luni mentre la Faentina collega Firenze a Faenza. A differenza di quelle etrusche le strade romane, che fecero tesoro delle esperienze delle popolazioni conquistate, si presentano maggiormente evolute nella tecnica12: generalmente larghe dai 4 ai 6 metri, in modo da far incrociare due carri, e talvolta dotata ai lati di marciapiedi lastricati, sono imbrecciate con ghiaia (viae glarca stratae) o con massicciata o selciatura (viae silice stratae). Se gli etruschi seguivano di preferenza le quote del terreno risalendo le colline a zig zag e tagliandole solo nei punti più aspri, i romani, con l’intento di creare collegamenti diretti e lineari, tracciavano l’itinerario il più dritto possibile affrontando decisamente gli ostacoli del terreno, anche se ciò comportava consistenti movimenti di terra, la realizzazioni di opere d’arte come i tagli nella roccia per mantenere le pendenze nei limiti del 20%, e la costruzione di ponti arditi per superare i corsi d’acqua (vedi il ponte Romito sull’Arno sulla strada vecchia aretina). Un esempio sono ancora le strade a mezza costa: gli etruschi generalmente le realizzavano scavandole completamente nella roccia, con la presenza di un fosso a monte per evitare che questa si trasformasse in un torrente, mentre i romani preferivano incidere solo un gradino nel fianco del monte e sostenere la strada verso valle con muri di sostegno. Per il drenaggio delle acque utilizzavano la sezione a schiena d’asino, ovvero inclinata sui due fianchi, e realizzavano su entrambi i lati i fossi per la raccolta delle acque.

11 Mentre il Cardo e il Decumano della città sono orientati secondo i segni cardinali. 12 Le strade erano pensate per durare a lungo: prima di tutto veniva scavata una trincea su cui posare la strada, poi venivano messi dei grossi massi, coperti da ghiaia e quindi sabbia, su cui poggiava uno spesso lastricato di basalto o calcare. Questi profondi letti di pietre sbriciolate servivano anche per far si che le strade rimanessero asciutte, in quanto l'acqua riusciva a filtrare tra le pietre evitando così di tramutare i terreni argillosi in fango e quindi la strada in un fiume. Le tecniche costruttive comunque variavano in base alle caratteristiche morfologiche, alla reperibilità dei materiali e alle problematiche incontrate di volta in volta.

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Le distanze percorse lungo le vie consolari, in particolare dalla città di Roma, erano un riferimento importante. Per questo motivo i romani adottarono l’uso delle pietre miliari, piccole pietre lapidee poste sul ciglio stradale indicanti il numero del miglio13 in riferimento ad un punto convenzionale, come il milliarium aureum nel foro romano. Le strade consolari, in quanto realizzate come strumenti militari di potenza e conquista14, furono dotate di poste, dispacci governativi, stalle e alloggi (le mutationes o mansiones). Esse dovevano evitare di attraversare i boschi in modo tale da sfuggire ad eventuali agguati, ma la vegetazione come sorta di riparo del viaggiatore non doveva essere assente in quanto in molti bassorilievi raffiguranti viaggiatori è possibile notare la presenza di piante sullo sfondo. È quindi possibile che lungo le vie venissero introdotte delle alberature, o molto più facilmente lasciate crescere fasce di vegetazione spontanea in modo da offrire riparo dal sole, dal vento e dalla pioggia. L’importanza sovralocale dell’intero sistema viario romano delle strade consolari è ancora oggi ben visibile in quanto funge da matrice base di tutto il sistema viario principale nazionale e in alcuni casi anche europeo. Non è un caso difatti che durante i secoli, lungo la rete viaria di matrice romana si siano sviluppati i più importanti centri economici e politici. L’approccio viario romano, basato sulla centralità e la potenza della capitale, la necessità di intendere i collegamenti stradali come strumenti militari di conquista, la dimensione a vasta scala del sistema, tralasciando l’importanza della scala locale e delle comunicazioni interne, hanno però anche generato alcuni fenomeni negativi. In particolare, la mancanza di collegamenti trasversali in specifico quelli che dalla costa si spingevano verso l’interno causarono la marginalizzazione di alcune aree così come accadde nell’Etruria meridionale, la quale perse importanza economica e venne via via abbandonata con conseguente presa del latifondo. Molte terre furono destinate a pascolo estensivo (ager publicus) e la malaria, conseguenza piuttosto che causa dello spopolamento e dell’abbandono delle colture, infierì in molte zone.

Figura 1. Caratteristica della regione, in particolare delle zone collinari, è la rete insediativa che si distende sui crinali in modo da aginare le problematiche relative all’instabilità dei versanti e avere ampie vedute sui territori circostanti (Rapolano).

13 Il miglio romano è costituito da “mille piedi”, ovvero è lungo circa 1500 metri. 14 Non sarà la prima e l’ultima volta che le strade saranno utilizzate nel corso della storia come strumenti di conquista: le famose autobahnen tedesche, realizzate sotto il Terzo Reich in Germania, che dovevano rappresentarne la monumentalità e la cultura della nazione attraverso la messa in mostra dei paesaggi attraversati, cercando di coniugare la modernità con la tradizione romantica tedesca, avevano un fine tutt’altro che romantico. Esse difatti erano state ideate con lo scopo di far muovere le truppe militari naziste per invadere gli Stati vicini.

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Figure 2-3. Viabilità odierna scavata nel tufo (Pitigliano).

Figura n. 4. Segmento toscano della Tabula Peutingeriana (la tabula, scoperta alla fine del XV secolo, sembra essere la copia medievale di la cui datazione originale di una carta originale dell'età romana imperiale.

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Figura 5. Schema delle principali vie consolari romane. Figura 6. Antico lastricato stradale presumibilmente riconducibile alla via Flaminia minor (in prossimità del passo della Futa).

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Scheda n. 1 LE VIE CAVE ETRUSCHE Non tutte le strade nascono per mettere in connessione il più velocemente possibile due punti: esse hanno difatti altri scopi tra i quali emerge su tutte la fruizione e l’organizzazione dello spazio antropico. Le Vie Cave etrusche, per la loro funzione, per il loro modo di essere realizzate, sembrano essere un esempio sufficientemente rappresentativo. Queste strade, realizzate presumibilmente tra il nono e l’ottavo secolo avanti Cristo, sono difatti incise nei suoli tufacei ubicati nella parte meridionale della Toscana, nella valle media del Fiora e in particolare in prossimità di Pitigliano, dove le pareti dei percorsi incavati hanno un caratteristico colore rosso e giallastro. Non è ben conosciuta la funzione di queste “tagliate” ma l’ipotesi più comune è che queste venissero utilizzate come strade, anche se dal punto di vista funzionalità pratica e della mobilità, così come la concepiamo oggi, sembra non avere ragione per il loro andamento talvolta parallelo o labirintico. Tutte comunque attraversano una necropoli, e spesso dai punti più alti di questi percorsi si può raggiungere alture da dove è possibile avere ampie visuali sul territorio circostante. Molte di queste opere, che nel loro insieme hanno modificato profondamente l’assetto del paesaggio, presentano alcune similitudini tra loro: una lunghezza di 400 metri, quasi come unità di misura ideale, una larghezza compresa tra uno e quattro metri, all’estremità superiore presentano una scalinata intagliata anch’essa nel tufo per raggiungere il livello del terreno originario e sono dotate di un canale di scolo delle acque posto lateralmente. Infine la profondità di questi percorsi può giungere anche i venti e i venticinque metri. Nonostante la relativa difficoltà dell’intagliato nel suolo, i percorsi si presentano audacemente sinuosi, con bivi e diramazioni, oppure paralleli l’uno all’altro, anche se “tutte più o meno conducenti negli stessi paraggi” 1. Il mistero che avvolge da sempre gli etruschi e il carattere stesso delle Vie Cave, hanno portato a definire queste opere come dei percorsi sacri utilizzati dalle collettività anche in epoche successive2, ovvero dei luoghi in cui l’individuo attraverso il movimento, il camminare, instaura un processo evocatore originale delle caratteristiche intrinseche dell’ambiente che lo avvolge3. Non a caso la fondazione degli insediamenti etruschi era strettamente legata sia ad aspetti razionali e funzionali sia a riti che permettevano la consacrazione del territorio: la stessa dodecapoli nasceva dall’individuazione del centro sacro della struttura, riferimento spirituale, religioso e culturale, attorno al quale il territorio veniva diviso in dodici fasce, ciascuna delle quali governata da un centro minore, le “lucumonie”. Il tutto doveva essere quindi in armonia con la volta celeste (i dodici segni zodiacali, quindi le dodici città e le dodici lucumonie) e la madre-terra (assecondando così le linee insediative all’andamento morfologico del territorio). Il modello insediativo degli etruschi pertanto modificò profondamente il paesaggio circostante alle città, in quanto non si basava tanto sull’espansione dei maggiori centri urbani4, ma piuttosto su di un’occupazione diffusa su tutto il territorio, poiché vivo e spazio sacro, conteneva forme divine da rispettare e con le quali entrare in armonia. Oggi molte delle Vie Cave, che come gli orridi hanno un microclima entro cui crescono caratteristiche specie vegetali (in particolare licheni e muschi) e arricchiscono di fascino il paesaggio, ricadono all’interno del sistema museale archeologico all’aperto del comune di Pitigliano. 1 GIOVANNI FEO, Le vie cave etrusche, Laurum editrice, Pitigliano (Gr) 1997, pag. 25. 2 In epoca medievale questi luoghi furono inglobati nella cristianità attraverso l’erezione di chiese, oratori, romitori, eccetera… 3 “Le strade non conducono più soltanto a luoghi, sono esse stesse dei luoghi”: John Brickerhoff Jackson adotta il termine odologia, da Odos parola greca che significa strada, cammino, per rappresentare l’ambiente, o la spazio vissuto, e quindi al camminare, piuttosto che al cammino, al “senso geografico” anziché alla misura numerica (vedi JOHN BRICKERHOFF JACKSON, A Sense of Place, a Sense of Time, e GILLES A. TIBERGHIEN, La città nomade, in FRANCESCO CARERI, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Giulio Einaudi Editore, Torino 2006, pag. X). 4 In particolare le città rupestri, sorgevano sui poggi e l’accesso dal basso era difficile e protetto.

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Figura 1. Via Cava del Gradone (Museo archeologico all’aperto Alberto Manzi, Pitigliano) Figure 2 -3. Via Cave (Pitigliano)

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Figura 4. (sotto) Via Cava di San Sebastiano (Sorano). Figura 5. Via Cava del Cavone (Sorano).

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Scheda n. 2 LE STRADE CONSOLARI ROMANE: L’AURELIA/AEMILIA SCAURI E LA CASSIA L’Aurelia e l’Aurelia/Aemilia Scauri, nel loro insieme, oggi costituiscono la strada statale n. 1, un’importante via di comunicazione che scorre lungo la costa Tirrenica collegando Roma con Ventimiglia. Le due strade hanno origini romane, benché è possibile che queste abbiano inglobato nel loro percorso più antichi tracciati di origine etrusca. Comunque la via Aurelia, consolare romana, i cui i primi tratti risultano costruiti nel III a. C.1, aveva lo scopo di collegare via via le varie colonie etrusche conquistate, tra cui Cosa presso il Monte Argentario, e pare giungesse sino al Porto Pisano2. Nel 109 a. C. il console Emilio Scauro, prolunga la strada con un secondo tratto, l’Aemilia Scauri3, che passa per l’antica città portuale del marmo, Luni, e termina a Ventimiglia: l’intento è quello di realizzare, assieme alla Via Domiziana e Augusta un collegamento tra la capitale e Gades in Spagna. Non a caso nei reperti archeologici rinvenuti, il percorso presenta le tipiche caratteristiche delle grandi stradi consolari costituite da lunghi rettifili, ma a causa delle difficoltà di attraversamento di alcune sue parti, come il tratto ligure costituito da numerosi e ravvicinati dislivelli, in epoca imperiale l’Aurelia viene utilizzata principalmente come via commerciale che collega la capitale con i vari porti sparsi nella costa e solo raramente come via di grande comunicazione4. Il suo tracciato correva abbastanza prossimo al mare, almeno fino a Vada Volterrana, dove era consistente la presenza dei “vada”, ovvero di guadi e secche. Oltrepassato il fiume Cecina a causa dell’asperità dell’alta costa rocciosa, la strada si spostava all’interno ai piedi della collina di Rosignano per poi riavvicinarsi nuovamente al mare presso il Porto Pisano. Lungo la direttrice si trovavano numerose realtà, tra cui gli antichi insediamenti etruschi, qualche nuovo porto romano come quello di Civitavecchia nel Lazio, e quello di Luni tra la Liguria e la Toscana, nato appunto per trasportare i blocchi di marmo provenienti dalle cave lunensi, zone per l’itticoltura e per la coltivazione agraria. In realtà esistono numerose teorie sugli effettivi tracciati dell’intera strada consolare5, questo a causa in particolare della dinamicità dei paesaggi costieri, soggetti alle correnti del mare e ai regimi delle acque delle foci che potevano causare l’arretramento della linea di costa (come ad Alberese) oppure zone più o meno soggette a inondazioni e impaludamenti. È comunque con il potenziamento della Via Flaminia6 e della Via Cassia, interne e più sicure, che l’Aurelia perde di interesse. I primi disusi innescano un processo di impaludamento che, associato alla vivacità della linea di costa nelle aree di pianura e alle invasioni saracene provenienti dal mare, portano al completo abbandono della costa in particolare in tutta la zona meridionale della regione. Alla fine dell’anno Mille gli antichi centri etruschi costieri sono completamente abbandonati: a causa dell’incuria paludi e stagni occupano oramai quasi tutto il territorio pianeggiante. Sarà solo con Pietro Leopoldo e soprattutto con Leopoldo II, nel corso del XIX secolo, che la strada acquisirà nuovamente importanza, in vista anche della radicale trasformazione che avviene lungo tutta la costa per strapparla dalla malaria e dal latifondo: i processi di bonifica, le allivellazioni, supportate appunto da una nuova viabilità, mutano nuovamente e profondamente il paesaggio. Parti della via, più che adeguamenti sono veri e propri tracciati ex novo: sotto Livorno, viene recuperata parte della strada della Via Cavalleggeri allargando la sede stradale a circa 7 metri e con 1 Nel 241 a. C. il console Lucio Aurelio Cotta concepì l'idea di unificare la capitale con le colonie etrusche attraverso appunto una via di penetrazione militare che prese il suo nome. 2 Per taluni inizialmente la Via Aurelia Vetus giungeva sino all’odierna Scarlino, per altri sino a Pisa. Esiste poi una Aurelia Nova, realizzata tra il 200 e il 144 a. C. che collegava Pisa con Luni. 3 “L’antico nome di via Emilia, dalla Aemilia Scauri, è rimasto tutt’ora, con uso locale, al tratto Pisa-San Pietro in Palazzi (Cecina strada statale 206)” PAOLO BELLUCCI, I Lorena in Toscana. Gli uomini e le opere, Edizioni Medicea, Firenze 1984, pag. 333, nota n. 56. 4 Sembra difatti che le legioni dirette in Spagna preferissero passare per la Via Emilia e per il valico di Monginevro. 5 Delle stessa Aurelia esistevano due tracciati: l’Auerlia Vetus e l’Aurelia Nova. 6 Realizzata nel 220 a. C. da Caio Flaminio, e potenziata e ammodernata sotto Augusto e Adriano.

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la costruzione di nuovi ponti, mentre “nella pianura maremmana tratti lunghissimi [sono] rettificati o costruiti di sana pianta con un nuovo percorso”7. Nel 1841 l’Aurelia è completata tra Livorno, ormai importante centro portuale del Granducato, e il Chiarone, sul confine con lo Stato pontificio, declassando da regia a provinciale nel 1844 l’antico tratto interno della via detta Emilia, tra Pisa e il bivio di Cecina, passante per Collesalvetti8. Con l’istituzione dell’AASS9 ovvero della più recente ANAS, la strada viene classificata “statale n 1” e percorre su tutta la lunghezza la costa regionale. In alcune delle sue parti la strada oggi, denominata Aurelia o Aurelia Vecchia si presenta ancora costituita da un manufatto a due corsie, con il piano leggermente rialzato rispetto al terreno circostante e fornita da due fossi laterali per la raccolta delle acque. In particolare presenta tratti di filari alberati di platani su entrambi i lati da nord sino Venturina, (sopra a Viareggio i filari di platani si alternano a quelli di pini secondo il contesto urbano o costituito da pinete), e prevalentemente di pini nella parte ricadente nella provincia di Grosseto. Per le nuove esigenze di traffico veloce che contrastano con le caratteristiche geometriche del tracciato e per essere stata inglobata all’interno dei molti tessuti urbani a cui ha dato sviluppo, l’arteria è stata declassata a viabilità locale e affiancata dalla realizzazione dell’ autostrada A12 da nord sino a Rosignano10, e dalla “Variante Aurelia” a quattro corsie che collega Livorno con Grosseto. Il tratto dell’Aurelia che da Roma giunge sino a Castiglioncello fa inoltre da sfondo, insieme ai paesaggi e ai filari alberati circostanti, al famoso film Il Sorpasso di Dino Risi11.

7 Lando Bortolotti, La Maremma settentrionale 1738-1970. Storia di un territorio, Franco Angeli, Milano 1980, pag. 146. 8 “Nel frattempo, tra il 1834 e il 1843, era stato ripristinato fino a Roma il tratto laziale dell'Aurelia e, come ebbe a registrare il Baldasseroni, “quella via, che serbò il nome di Emilia-Aurelia, corse in lungo tutta la Maremma, congiungendosi alla nuova del littorale da Livorno a Cecina con più opere d’arte, fra le quali il Ponte sulla Cornia, fatto in marmo cavato dalla prossima Campiglia, con un solo arco di sessanta gradi, o quaranta braccia di corda”. (http://www.toscana-europa.it/?sezione=11&dettaglio=32) 9 AASS, Legge del 17 maggio 1928 10 L’ultimo tratto autostradale realizzato tra Livorno e Rosignano è stato inaugurato nel 1993. 11 Primo road-movie italiano, del 1962, è prorpio l’Aurelia che diviene la struttura, il percorso narrativo, della storia. Gli interpreti principali Bruno Cortona e Roberto Mariani (rispettivamente Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant), a bordo della Lancia Aurelia B24 (del 1954), percorrono il tratto stradale che da Roma giunge sino a Castiglioncello, offrendo una lettura dei paesaggi della costa di quel periodo, ormai influenzati dal boom economico degli anni Cinquanta – Sessanta (soprattutto influenzate dalla Capitale), i quali denunciano le prime avvisaglie della successiva fase di declino (ad esempio l’abusivisimo).

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Figura 1. La via Aurelia nel tratto di Capalbio. Figura 2. Platani e pini presso lo svincolo del Tombolo (Castagneto Carducci). Figura n.3. La Dogana costruita sull’Aurelia sul confine regionale in periodo lorenese (Capalbio).

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Figura n. 4. Platani affiancano il tracciato della Via Aurelia (Castagneto Carducci). La via Cassia Le principali vie consolari romane che attraversavano la Toscana erano la Via Aurelia/Aemilia Scauri e la Via Cassia12. Diversamente dall’attuale strada statale n. 2 denominata Cassia13, la via consolare omonima passava per il Valdarno superiore e la Valdichiana per collegare Roma con Firenze. Nel tratto iniziale tra Arezzo e Settignano la Cassia denominata Vetus o Clodia (II a. C.), sembra ricalcare il tracciato etrusco dell’attuale “Strada dei sette ponti” (o Setteponti)14, collegante Arezzo con Fiesole e passante con andamento pianeggiante allineata ai bordi interni dei terrazzi quaternari del Valdarno Superiore (circa 300 m slm) tra Arezzo e il gomito di Pontassieve, in modo da evitare

12 La Flaminia minor o la Flaminia militare fu costruita dal console Gaio Flaminio nel 187 a.C. (figlio dell’omonimo Gaio Flaminio che nel 220 a. C. aveva realizzato la Flaminia) e collegava Arezzo con Bologna (fondata da soli due anni, nel 189 a. C.) varcando presumibilmente l’Appennino in prossimità del Passo della Futa o del Passo dell'Osteria Bruciata. Rinvenuti alcuni tratti dell’itinerario negli anni Settanta, e quindi ancora oggetto di studio, è attualmente utilizzata come itinerario ciclistico. 13 Così come per l’Aurelia e per molte strade di epoca romana, esistono numerosi tracciati identificati come tratti originali della Via Cassia. Oggi comunque viene così chiamata la Strada Postale Romana (detta anche Cassia Francigena), che congiunge passando per Siena, Firenze con Roma. Questa ammodernata sotto il principato di Ferdinando I dei Medici, ereditava parte del percorso medievale della Via Francigena, tra Roma e Poggibonsi (la quale invece proseguiva per la Val d’Elsa), per poi continuare in direzione di Firenze. Sino al periodo lorenese, ovvero all’avvio dei lavori di rinnovamento della Via Lauretana, strada identificata come parte del percorso del Via Flaminia ma ormai impraticabile, che aveva il compito di ristabilire e migliorare le comunicazioni trasversali nella Toscana centro-meridionale attraverso il collegamento tra Siena e la Val di Chiana per mezzo della realizzazione del Ponte Taverne d’Arbia, rappresentava il principale asse viario della provincia senese. Attualmente il collegamento più rapido per Siena è garantito dalla superstrada Firenze-Siena. 14 La presenza di un tracciato viario etrusco è confermato sia dalla necessità di realizzare un percorso collegante i due grandi centri di Arezzo e Fiesole, senza attraversare il fondovalle del Valdarno, ma anche dal susseguirsi di toponimi aventi matrice etrusca (vedi anche http://www.setteponti.toscana.it/show/text.it/strada-setteponti.html).

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l’insicuro fondovalle soggetto alle inondazioni del fiume Arno. Giunta a Settignano evitava la collina di Fiesole, e girava, passando per il Ponte a Mensola, San Gervasio, il Pellegrino, Montughi e Quarto, per poi dirigersi verso Pistoia e Lucca15. Florentia che sorgeva in riva del fiume Arno fu messa in collegamento con la Via attraverso il prolungamento del cardine massimo (oggi via Ginori e San Gallo). Sempre nel II sec. A. C. fu realizzata la Cassia Nova Adrianea in sinistra d’Arno la quale presenta maggiori dubbi sull’ipotesi di percorso nel tratto tra Arezzo e Firenze che per la maggior parte degli studiosi corrisponde al tracciato della attuale SP 1 (cioè passante per Incisa In Val d’Arno) e per altri al tracciato della SP 66 (cioè passante per Poggio alla Croce)16. In entrambe le ipotesi di percorso le strade comunque si presentano più veloci e brevi rispetto al percorso in destra d’Arno, dato che tra l’altro queste giungevano direttamente a sud della città presso il Ponte Vecchio. Entrambe le strade comunque assumono sia nel periodo medievale che in quello rinascimentale un importanza fondamentale per lo sviluppo insediativo dei versanti collinari del Valdarno Superiore, e sarà solo alla fine del XVIII secolo, con la costruzione di una viabilità di fondovalle più veloce, che la Cassia perderà la sua importanza come arteria di grande comunicazione. Una volta giunta a Firenze la Cassia partiva dalla Porta Faenza per prendere la direzione per Prato, Lucca e Luni con un tracciato rettilineo e pedecolinare, che “servì da base per la divisione dell’agro in centurie al momento della nascita della colonia di «Florentia»”17 Il tratto da Firenze e Prato, scandito dai toponimi militari riferenti ai migli (Terzolle, Quarto, Quinto, Settimello) e oggi inglobato nelle espansioni dei centri urbani di Firenze, Sesto Fiorentino, Calenzano, e Prato, fino a pochi decenni fa si individuava nella strada provinciale n. 6. Il notevole carico di traffico ha portato la realizzazione di un nuovo asse viario, la perfetti Ricasoli-Mezzana che si sviluppa a sud dei centri urbani citati, interessando anche il Comune di Campi Bisenzio, ovvero in quella parte di “Piana” occupata da molteplici attività (polo universitario, aree industriali- artigianali, centri commerciali, aree di importanza naturalistica, eccetera…).

Figure 5-6. Tracciati della Cassia Vetus e Novas

15 La strada dei Setteponti, oggi raggruppa in unico comprensorio turistico (Comprensorio Turistico Setteponti)i comuni di Laterina, Terranuova Bracciolini ed i quattro comuni che compongono la Comunità Montana Pratomagno (Pian di Scò, Castelfranco di Sopra, Loro Ciuffenna e Castiglion Fibocchi). Dalla strada è possibile ammirare i monti del Chianti, posti sul versante opposto della vallata, sia il fondovalle, oltre una serie di testimonianze storico – culturali di epoche diverse pungolo stesso percorso. 16 LEONARDO ROMBAI, Per una storia della viabilità provinciale di Firenze: La «Rivoluzione stradale» dell’età comunale, gli interventi dei governi granducali, la gestione provinciale, in LEONARDO ROMBAI (a cura di), Le strade provinciali di Firenze: geografia, storia e toponomastica, Firenze, L. S. Olschki, 1992, pag. 83. 17 DANIELE STERPOS, Firenze - Roma. Comunicazioni stradali attraverso i tempi, Autostrade Roma 1964, pag. 17.

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Figura /. L’antico tracciato della Cassia vetus, oggi Strada dei Setteponti, era situato ai bordi dei terrazzi quaternari del Valdarno Superiore (Balze in prossimità di Reggello).

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Il pellegrino e il viandante nell’età dei Comuni e delle Signorie. Dopo la decadenza dell’impero romano si ebbero influssi negativi in tutta la regione e conseguentemente anche nelle vie di comunicazione. Mentre il sistema insediativo tornava ad occupare le alture, vaste aree coltivate vennero abbandonate e ricolonizzate dal bosco. A tutto ciò contribuiva l’invasione dei Longobardi del 568 d. C. che aveva diviso politicamente per la prima volta l’Italia in due, interrompendo così i legami e le comunicazioni istaurati dal sistema viario romano e pertanto i flussi del commercio e gli scambi tra le regioni. In questo quadro di arretratezza si formarono grandi proprietà laiche ed ecclesiastiche tendenti ad assicurarsi l’autonomia amministrativa, giurisdizionale ed economica. I castelli, luoghi di difesa e strumenti di dominio di ogni proprietà, raggiunsero così il loro maggiore sviluppo: questi, costruiti dal signore feudale e circondati da cinta murarie, potevano accogliere la poca popolazione circostante che viveva nelle campagne quando vi era caso di pericolo, oppure fungere da luogo di raccolta dei prodotti proveniente dalle terre assoggettate. Dato che mancava lo scambio e le relazioni tra i vari feudi, le strade di grande comunicazione persero via via d’importanza1; viceversa la viabilità locale venne recuperata in particolare se questa era costituita da sentieri e mulattiere, possibilmente dominate da curve, con forti e frequenti pendenze visto che borghi e monasteri erano per lo più situati sulle sommità dei rilievi. Di rado le vie medievali erano strade “costruite”, piuttosto si manifestavano come sentieri creati dal passaggio continuo dei carri, degli animali, in particolare bestie da soma (muli), e di viandanti. Nei pochi casi in cui venivano effettivamente pavimentate erano utilizzati materiali locali, lastre di arenaria, mattoni posti di coltello "a spina di pesce" e altri di facile reperimento e comunque poco costosi. In genere si trattava di selciare quei brevi tratti che presentavano problemi di drenaggio delle acque. Le strade così tornarono a preferire i crinali e le dorsali come nel periodo etrusco anche se per motivi diversi: dato che la nuova organizzazione territoriale vedeva insediamenti di altura per proteggersi dagli attacchi nemici, i percorsi di accesso ai piccoli centri dovevano essere difficili e tortuosi. Inoltre la viabilità disposta lungo le creste permetteva un’ampia visione panoramica dell’intorno riducendo il pericolo di imboscate e le occasioni di incontrare fiumi o corsi d’acqua. Le scorrevoli vie romane, vissute come fonte di pericolo2, furono trascurate o percorse solo per brevi tratti. Nelle aree abbandonate persero la loro funzione di collegamento a causa o della colonizzazione del bosco o perché, in quanto realizzate in aree pianeggianti, vennero interessate da dissesti idraulici, alluvioni, frane e in breve tempo furono ricoperte dal fango. Dopo un primo periodo di assestamento del regno longobardo fu evidente però la necessità di ripristinare percorsi di più ampio raggio. Roma difatti avendo preso nuovamente importanza come centro ecclesiastico aveva scaturito la necessità di ristabilire i contatti tra il potere centrale e quelli locali, ovvero tra la Chiesa e i suoi vescovi. Ma non solo: la città agli occhi delle popolazioni non era un centro politico ma principalmente un luogo sacro da visitare. Per questo motivo ogni anno aumentava il numero di pellegrini che da tutte le parti si recavano alla città santa per motivi devozionali. Così al fine di rendere più sicuri e agevoli i loro viaggi lungo le strade nelle città attraversate o comunque in prossimità del collegamento, iniziarono a sorgere abbazie, ospizi, piccoli ospedali con la stessa funzione delle mansioni romane, luoghi di sosta ancora oggi riconoscibili in quei toponimi che riportano termini come spedale, spedaletto, ospedale, eccetera….3 La via Francesca o Romea, denominata così a seconda da dove si partiva e quale era la meta (la Francia nel primo caso e Roma nel secondo), ma chiamata più comunemente Francigena, era

1 Per rendere più difficile il percorso sulle grandi direttrici veniva messo ogni sorta di ostacoli (dai balzelli alle dogane, dai veti ai sequestri). 2 Vedi RENATO STOPANI, Le vie per Roma nella prima età longobarda, in STOPANI RENATO (a cura di), Prima della Francigena, Itinerari romei nel “Regnum Langobardorum, Le Lettere, Firenze 2000, pag. 6. 3 Ne sono un esempio come Spedaletto sulla Limentra di Sambuca, Spedaletto in Val d’Orcia, Ospedaletto presso Pisa, Passo dello Ospedaluccio vicino al Passo del Cerreto, Spedaluzzo fra Firenze e Siena, Ospedale vicino a Barberino di Mugello sulla strada della Futa, Ospedaletto in Garfagnana, Ospitale sulla Pistoia-Modena in val di Lima, del valico dell’Ospedaletto sulla Pistoia-Modena.

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l’arteria più importante: da Roma passava per la Valdelsa, ancora per Lucca in direzione di Parma. Essa però non era solo una semplice via di comunicazione ma un sistema territoriale di relazioni che comportò consistenti modifiche al paesaggio. Tra queste lungo il tracciato nacquero e si svilupparono numerosi centri urbani, come San Gimignano e Siena, città quest’ultima chiamata non a caso “figlia della strada” proprio perché grazie ad essa assunse un rilevante potere politico ed economico. La via quindi non era solo un’esile linea: in breve tempo divenne il viaggio del pellegrino che voleva recarsi ai vari luoghi santi (da Santiago di Compostela, a Roma, a San Michele Arcangelo sul Gargano, e infine alla Terra Santa) che di volta in volta, grazie ad un sistema di servizi di accoglienza e di edifici religiosi4, si rapportava anche con le città e le campagne circostanti. Con la ripresa dei viaggi politici e religiosi seguì il risveglio anche dello scambio delle merci: la via Francigena funzionò da attrattore fondamentale dato che nuove arterie, in particolare transappenniniche (che facevano capo a Lucca, Pistoia e Firenze) confluirono in essa, mentre la Via Aurelia lungo la costa e la Cassia che attraversava il Valdarno furono abbandonate definitivamente: nel XII secolo le inondazioni della Chiana portarono l’impaludamento totale della valle e quindi la via Cassia sparì completamente. Verso il Mille quindi con il riprendersi degli scambi venne registrata una generale ripresa economica dei paesi occidentali europei. In questo contesto la “Toscana, con i suoi uomini, le sue città, i suoi mezzi, assunse funzioni nevralgiche, di grande rilievo, nella scacchiera economica generale, dispiegando forze mercantili bancarie, armatoriali, industriali, assicurative soprattutto organizzative e di studio e lasciò impronte decisive nella civilizzazione economica e generale dei popoli europei”5. Questo perché dopo poco l’anno Mille nella regione avvenne la rivolta dei servi della gleba che spezzarono il latifondo e portarono così al formarsi in alcuni casi di piccoli proprietari ma più comunemente di forme di concessione in affitto dei fondi rustici che comportò nel Duecento l’inizio della diffusione del contratto di mezzadria6. Questo patto comportò una vera e propria rivoluzione territoriale: si riprese a lavorare nei paesi costieri per sfruttare le risorse minerarie e le saline presenti in particolar modo nel Grossetano, nacquero nuovi borghi e castelli e l’attività agricola riprese a diffondersi in tutto il bacino dell’Arno (in particolare nel Lucchese e nel Fiorentino) e in parte anche nelle colline del Senese, attraverso nuove clausole contrattuali che prevedevano la piantagione di vigneti, oliveti e frutteti e seminativi. Lavori di regimazione come le opere di bonifica furono cominciate nella Valdichiana, attraverso la realizzazione del Fossatum novum, l’attuale Canale Maestro, e lungo il corso del fiume Serchio. Lo sviluppo maggiore di questo consistente processo di antropizzazione si ebbe comunque nella parte settentrionale della regione, dove vi era un numero maggiore di città che si presentavano anche come i principali nodi stradali, mentre la campagna era disseminata di pievi. Minore invece era lo sviluppo a sud, in particolare nel Volterrano e nella Maremma. Il sistema delle pievi7, che era la struttura base dei “popoli” e delle comunità, dipendeva direttamente dal sistema stradale locale8: “non a caso molte pievi si trovano allineate lungo strade di antica origine; valga per tutti l’esempio della via dei «sette ponti» nel Valdarno superiore”9. Il sistema costituito da pievi e strade comporta una profonda trasformazione del territorio in quanto esso stesso funzionerà da matrice del sistema insediativo, sulla quale ogni epoca andrà ad implementare ogni proprio processo di trasformazione. Un esempio è il territorio di Bagno a Ripoli

4 Ad esempio i monasteri, le chiese canonicali e gli xenodochi. Tutte le strutture erano situate in punti strategici, come i monasteri che erano generalmente situati nei punti di valico o in prossimità dei punti di attraversamento di un corso d’acqua, ed erano costituite da edifici e costruzioni fortificati poiché dovevano essere luoghi sicuri. 5 FEDERIGO MELIS, Tracce di una storia economica di Firenze e della Toscana in genere dal 1252 al 1550 (raccolta a cura di Bruno Bini), Università degli Studi di Firenze 1965-66, pag. 5-183. 6 Il primo contratto mezzadrile poderale sembra però risalire all’anno 821. 7 La pieve è una struttura religiosa che assume una importanza fondamentale nell’alto medioevo. Essa è sostanzialmente un edificio pubblico che ha il compito di accogliere le genti del piviere e quindi deve essere facilmente raggiungibile. 8 Data l’importanza delle strade, la loro manutenzione ricadeva tra le funzioni laiche del plebato. 9 ITALO MORETTI, Pievi e Abbazie, in AA.VV., Il paesaggio riconosciuto. Luoghi, architetture e opere d’arte nella provincia di Firenze, Vangelista, Milano 1984, pag. 55.

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che grazie alla sua vicinanza alla città di Firenze e alla presenza numerosa di pievi vedrà nel tempo sorgere tanti piccoli centri urbani piuttosto che un unico addensamento. Con la rivoluzione stradale del 1200 si può quindi definitivamente considerare chiuso il periodo di “arroccamento” dei centri urbani dato che i grandi itinerari ritornano ad interessare le pianure e i fondovalle10 dove nascono nuovi centri urbani. Se durante il periodo etrusco e romano erano state fondate quasi tutte le grandi città della regione (Cortona, Fiesole, Volterra, Arezzo, Siena, Massa Marittima, Firenze, Pisa, Lucca, Pistoia), nel periodo medievale fioriscono, oltre alle città di Grosseto, Prato, Massa e Carrara, numerosi centri urbani comunali. Con la ripresa delle comunicazioni e del mercato i castelli si aprono e crescono di importanza demografica, nascono anche nuovi mercatali, veri centri di polarizzazione della viabilità che vanno a sostituirsi nel tempo alle antiche strutture religiose. Ad esempio si può riscontrare che molti dei centri abitati che presero importanza in questo periodo erano proprio quelli situati nei punti di incontro tra più provinciali come Certaldo in Valdelsa, Barberino nel Mugello, Signa nel Valdarno Inferiore, eccetera… Si tratta in genere di piccoli nuclei abitati, anch’essi ancora racchiusi da mura (non a caso difatti chiamate “terre murate”), struttura difensiva tutt’oggi in molti casi esistente. I mercatali si presentano invece come centri abitati aperti, fondati appunto sulla viabilità che si apre formando una piazza oblunga circondata da portici (ad esempio Greve e Pelago). Altri villaggi aperti e insediamenti rurali registrano un aumento demografico grazie proprio alla loro posizione sul sistema stradale che al tempo stesso influenza anche lo sviluppo urbanistico: il centro abitato acquisisce in questo caso un aspetto allungato, quasi nastriforme poiché lungo la strada si dispongono le unità abitative (Tavarnelle, San Piero a Sieve, Bagno a Ripoli, eccetera….) In questo proceso di crescità generale sarà comunque Firenze a dimostrare con il proprio sistema radiale di strade il suo importante ruolo di dominio11. Difatti con la crescita economica e politica della città viene ricomposta la rete dei collegamenti che erano stati configurati durante il periodo romano quando Florentia Tuscorum era la capitale dell’VIII Regio12. Tra le vie più importanti si menzionano quelle in direzione del mare, prima verso Pisa e poi verso Livorno, sede del nuovo porto toscano dopo l’interramento di quello pisano, quelle verso Arezzo13 e Siena , capisaldi di primo ordine per il dominio delle grandi vie che mettono in comunicazione Roma con l’Europa centrale14, e infine la strada per Pistoia che prosegue poi per Bologna e per la pianura padana. Questo sistema radiale che diparte dalla città per collegarsi e penetrare in tutto il suo contado diventerà poi nel tempo il sistema viabilistico di grande comunicazione, ovvero strade regie ai tempi di Lorena e in seguito strade statali. Dal punto di vista dei collegamenti a livello regionale la Francigena, seppur modificata nella Valdelsa, e la strada Bologna-Firenze-Siena15 si presentano come le direttrici principali in cui si innestano altre vie quali il tracciato dell’attuale statale 325, la Firenze-Siena-Roma che partiva da

10 Vedi GIUSEPPE DE LUCA (a cura di), Piano di Indirizzo Territoriale, Regione Toscana, 2003, pag. 71. 11 Il ruolo politico della città sarà sempre maggiore: nel corso del Settecento Firenze si imporrà come centro politico economico della regione; non a caso “la viabilità maggiore della Toscana dipartiva quasi tutta da Firenze: ponendo la città al centro di un ipotetico cerchio, sei grandi arterie stradali si diramano come altrettanti raggi verso zone di interesse vitale per lo stato, quali Pisa, Siena, Arezzo, la Romagna, il Mugello e per questo Bologna, la Valdinievole e Altopascio con il padule di Bientina attraverso Pistoia” (LEONARDO ROMBAI citato MONICA MEINI, Paesaggio e territorio nella Toscana di ieri: in viaggio con Grand Tour in MARGHERITA AZZARI, LAURA CASSI, Itinerari turistico culturali in Toscana, University Press Firenze, Firenze 2002. 12 Vedi GABRIELE CORSANI, Nota introduttiva, pagg. 5-6, “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997. 13 In particolare dalla strada della Consuma e del Casentino, oltre che per la Cassia di Adriano e per la via di Pratomagno. Lungo la Cassia (Pieve di Gaville a Figline Valdarno), nel Pratomagno e nel Casentino sono presenti, a testimonianza del passaggio dei pellegrini, numerose pievi romaniche. Da Arezzo si andava poi per Rimini o si scendeva per Perugia. 14 Inoltre con la strada Civitella Paganico – Grosseto si giungeva al porto senese di Talamone e con le Maremme che servivano per il rifornimento di grano e per il pesce e sale. Nel XVI secolo (dal 1557 sino a Napoleone) parte della costa tra Talamone, Orbetello, il Monte Argentario, e Ansedonia, fu sottomessa al governo spagnolo di Carlo V (Stato dei presidi). 15 Questa sorta di mulattiera, che varcava l’Appennino al Giogo, svolse un ruolo primario nei collegamenti dal Trecento fino al XVIII secolo, mentre la strada che passava per la Futa si presentava come diramazione locale.

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Porta romana, ricalcando la strada romana. Inoltre a San Casciano partiva un ramo che si congiungeva con la Francigena a Poggibonsi, mentre un’altra diramazione attraversava il Chianti per Siena (San Donato in Poggio, Fonteruoli, Castellina, Quercegrossa) la quale fu teatro di molti scontri tra fiorentini e senesi. Ma oltre a queste e al sistema radiale fiorentino altre strade acquisirono importanza nella trasformazione dei paesaggi. Nel particolare una vera e propria rete di vie, che utilizzava antichi tracciati, si sviluppò a causa della transumanza, tra la catena appenninica e le maremme. Nel territorio di Bagno a Ripoli ad asempio passavano molte vie provenienti dal Pistoiese, dal Mugello e dal Casentino che si dirigevano in Maremma passando per il Chianti. Il borgo di San Donato in Collina rappresentava un punto focale per queste strade, sia per chi attraversava l'Arno a Rosano, provenendo dalla Val di Sieve, o a Rignano, scendendo dal Pratomagno, così come quelle passanti per Grassina: tutte comunque si dirigevano nel Chianti, al Passo dei Pecorai. Una volta poi giunte alle porte della Maremma, confluivano in un numero più limitato di tracciati. Queste vie, dette Maremmane della Transumanza, di origine quindi medievale, sono rimaste in funzione sino al secondo dopoguerra16.

16 Tra i tracciati forse il più importante era quello che da Siena, passando per il castello di Luriano, antica dogana senese, scorreva lungo il Torrente Rosia, poi per la valle della Merse per infine sdoppiarsi dirigendosi verso Massa Marittima e verso Roccastrada. Di questa strada se ne hanno notizie documentate fin dalla metà del Settecento, notizie che confermano, quindi, l’antichità del tracciato tra l’altro oggi arricchito da moltissime testimonianze architettoniche di grande valore (ad esempio a Rosia è presente un ponte medievale riconducibile a quello che Dante menziona nel Canto V del Purgatorio a proposito del “tormentato passaggio di Pia dei Tolomei da Siena alla Maremma, dove troverà la morte rinchiusa nel Castello di Pietra in Maremma. Il forzato spostamento (meglio sarebbe dire esilio) avvenne alla fine del XIII secolo e per questo, probabilmente, fu utilizzata l’antica Strada Maremmana. D’altra parte l’elegante arco in sasso che supera il torrente Rosia poco dopo l’omonimo centro abitato è da sempre ricordato con il nome Ponte della Pia. L’arcata a schiena d’asino è infatti databile al XIII secolo. Ma tutta la Strada Maremmana è ricordata anticamente anche con il nome di Strada della Pia. (Sulla strada maremmana, http://www.itinerariitaliani.com/toscana%20piedi/piedisiena1frame.htm, vedi anche http://www.mega.it/bagno-a-ripoli/stoecu/antvie.htm.

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Figure 1-4. Molti centri urbani collinari hanno matrice medievale. Sorgono quindi sulle cime dei rilievi, con un tessuto compatto e poche strade di accesso: Figura 1 e 2. Il castello di Roccatederighi e di Roccastrada sorgono su di una massa di roccia trachitica sporgente. Figura 3. Figura 4. Sullo sfondo del pascolo il profilo del centro medievale di Montemassi raffigurato nel celebre affresco Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini (Figura 5). (Pagina successiva) Figura 6. Abbazia di Sant’Antimo a Siena. Pieve di Santa Maria Assunta a Pian di Scò (figura 7) il ponte medievale con il paese di Loro Ciufenna, lungo la strada dei Setteponti.

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Figura 8. Grazie alla via Francigena in epoca medievale il centro urbano di San Gimignano acquisisce un rilevante potere economico e politico. Prima dello sviluppo urbano causato da una variante collinare della via pellegrina, San Gimignano era un piccolo villaggio rurale che aveva subito l’incastellamento durante l’Alto Medioevo. Il percorso della Francigena che unisce la porta di San Giovanni a quella di San Matteo e che qui incrocia la strada che porta Pisa e al mare, funge da spina dorsale o “asse portante dell’insediamento”. È una struttura gerarchica che scandisce tutte le varie funzioni del centro urbano che dagli ospizi, alle piccole chiese eccetera… giungendo alla piazza centrale della Cisterna, sede del mercato, e alla piazza del Duomo in cui sono concentrate tutte le strutture pubbliche e private principali, ovvero gli edifici del potere politico e religioso. L’aumento del capitale di San Gimignano dovuto all’intensa attività commerciale, portò all’erezione di numerose case torri, quali simboli di potere economico e politico ben visibili in tutta la vallata.

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Scheda n. 3 LA VIA FRANCIGENA Un tempo Strada del Monte Bardone1, la strada Romea o più comunemente Francigena2, attraversava le valli interne della Toscana: scendendo a Lucca, si dirigeva per Altopascio, attraversava l’Arno, e percorreva tutta la Valdelsa, sino a Siena, per poi attraversare le valli dell’Arbia e dell’Orcia, in modo da non far entrare in contatto i Longobardi, autori del percorso, con i Bizantini. La via, dato il lungo tragitto che doveva coprire, si presentava inizialmente come un “collage”3 di tronconi di strade consolari di origine romane e altre vie minori, ma in breve tempo venne trasformata dagli stessi Longobardi in un vero asse attrezzato, dotato di dispositivi di difesa (come Filattiera, Fucecchio e Radicofani), abbazie (Marturi a Poggibonsi e San Salvatore sul Monte Amiata), mansioni, alberghi (hospitia) e spedali (hospitales), pievi e chiese (che svolgevano anch’esse attività ospitaliera), croci, fonti e cippi, situati in punti strategici in modo da dare assistenza, indicazioni e protezione ai viandanti e ai pellegrini4. Come gran parte dei percorsi medievali, questa importante via di comunicazione non era concepita in modo tale da raggiungere il più velocemente possibile due località: l’obiettivo principale era difatti quello di servire il numero più alto possibili di centri abitati “tanto da dover parlare piuttosto di una sorta di territorio-strada, cioè di un’intera area svolgente funzione di collegamento viario”5. A causa poi dell’instabilità politica che caratterizzava questo periodo storico, la via si presentava con tratti stretti e tortuosi, con poche opere, tra l’altro di modesta entità e in legno, per l’attraversamento dei corsi d’acqua (che in genere avveniva a guado) e per questo transitabile in genere a piedi o cavallo e solo raramente con il carro6. Finita la dominazione longobarda con i Franchi, Carolingi e Merovingi di Francia, la strada prese definitivamente la funzione di via di grande comunicazione: con l’espressione “di via Francigena (letteralmente generata dalla Francia), si intenderà la strada che metteva in comunicazione con l’odierna Francia e con le regioni del bacino renano”7. Essa era soprattutto la via peregrinalis per eccellenza, un cammino di purificazione collettivo che accomunava le diverse classi sociali: il ricco al povero, l’uomo di chiesa al semplice pellegrino. Nonostante le numerose varianti del tracciato, il percorso ufficialmente riconosciuto, per le sue fonti certe, è quello citato da Sigerico, arcivescovo di Canterbury, il quale durante il suo viaggio di ritorno da Roma nel 990 d. C., dove era andato per ricevere dal Papa il pallium8, descrisse in un diario l’intero tragitto costituito da 79 tappe e 1600 chilometri. Il percorso comunque si ampliò e divenne la parte centrale di quel sistema di “peregrinationes maioeres” che collegava i luoghi sacri del mondo cristiano. I pellegrini che dal nord d’Europa giungevano a Roma, potevano proseguire il loro cammino verso la Puglia, grazie alla Via Appia Traiana, dove era possibile imbarcarsi per la Terrasanta, mentre i pellegrini provenienti da sud,

1 Con Mons Langobardorum veniva indicato il settore appenninico in prossimità della Cisa, che divideva la Padania dalla Tuscia. 2 La strada era detta Romea da coloro che dalla Francia si recavano a Roma, e Francigena da coloro che viceversa si recavano in Francia. 3 Vedi RENATO STOPANI, La via Francigena in Toscana: storia di una strada medievale, Salimbeni, Firenze 1984, pag. 6. 4L’influenza del tracciato è tutt’oggi ben riconoscibile anche nei toponimi lasciati in eredità dallo stesso percorso: tra i più ricorrenti ricadono Spedale, Spedaletto, Osteria, eccetera…, toponimi che però sono stati utilizzati in seguito anche per altre funzioni ospitaliere non necessariamente legate alla via Francigena. 5 Vedi RENATO STOPANI, op. cit., Firenze 1984, pag. 14. 6 A conferma di ciò è possibile osservare che la Via Francigena, dipinta nel celebre affresco del Buon Governo, che esce dalla porta della città è percorsa da signori a cavallo e contadini a piedi mentre non si vedono carri. 7 RENATO STOPANI, op. cit., Firenze 1984, pag. 8. 8 Il pallium era un mantello di lana, ma soprattutto un paramento sacro usato nella Chiesa cattolica destinato al Papa e solo in casi eccezionali agli arcivescovi come simbolo del legame della diocesi con la Santa Sede.

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giunti in Francia potevano utilizzare la diramazione che attraversava i Pirenei per giungere a Santiago de Compostela9. Questi tre itinerari costituirono degli eccezionali passaggi per le culture, i linguaggi e i segni dell’Occidente cristiano, tali forse da costituire, pur rimarcando le diverse identità, una prima idea di Europa. Alcuni segni convenzionali, come il labirinto10, venivano riproposti in tutto il percorso a testimoniare un processo di sacralizzazione del territorio circostante: “Dalla figura ieratica del Volto Santo di Lucca, alla Veronica romana, ai cicli figurativi della leggenda di san Jacopo, le immagini costituivano un mezzo per focalizzare, alimentare e concentrare lo slancio del pellegrino”11. Ma non solo. La via permise la modifica del paesaggio in diversi modi: Innanzitutto permettendo la diffusione di culture diverse in quanto via utilizzata non solo da pellegrini ma anche da coloro che effettuavano scambi e commerci: ad esempio lungo l’itinerario è possibile incontrare in alcune località influenze stilistiche e architettoniche di luoghi lontani, ma comunque situati sulle vie di pellegrinaggio12. Inoltre il tracciato influenzava lo sviluppo e la trasformazione di determinati luoghi. La strada difatti diffondeva in tutto il territorio che lo circondava, numerose strutture religiose e ricettive. Ad esempio nel solo territorio di Lucca è stata documentata la presenza di oltre duecento ospedali edificati entro il XV secolo. Essa però non solo influenzava le economie circostanti ma influiva anche fisicamente il processo di trasformazione ponendosi quale asse principale di molte realtà insediative. Tra le più importanti risulta quasi sicuramente la crescita urbana di Siena che oltre a risentirne economicamente, articolò il proprio impianto urbano sulla strada, da cui la denominazione “Figlia della Strada” e la caratteristica forma ad Y della città: la via Francigena difatti si incontrava a Castelvecchio, l’antico nucleo urbano, con una antica strada13, probabilmente di origine etrusca. Lungo queste direttrici, in particolare sulla via pellegrina, Siena si sviluppò con borghi lineari e ubicò le principali porte di accesso alla città. Data la sua importanza, alla strada vennero apportati importanti modifiche e miglioramenti: essa difatti venne rettificata nei due chilometri al di fuori delle mura, fino alla Fonte detta di Fontebecci in modo che “questa “via et strata de Camollia” fosse bella e diritta”14. Tutti i territori della regione toccati dalla Via Francigena ricevettero notevoli impulsi economici che ebbero ripercussioni a livello territoriale. Ad esempio nella Val d’Orcia, lungo o in prossimità della strada che l’attraversava in tutta la sua longitudinalità15, si diffusero centri urbani, castelli e“spedali”. Le terme dei Bagni di San Filippo e di Bagno Vignoni (già conosciuti in epoca romana) si inserirono nell’importante sistema di siti termali che ebbe il suo maggior sviluppo nel corso del Quattrocento. Simile sorte ebbe anche la Valdelsa importante nodo nei collegamenti interni tra l’Etruria marittima e quella meridionale nel periodo etrusco che però aveva subito un preoccupante processo di emarginazione durante il periodo romano a causa della realizzazione della Via Aurelia e soprattutto della Via Cassia. Con la Francigena, che qui subì tra l’altro numerosi varianti, la valle riacquistò nuovamente vigore economico e se “il fascio dei percorsi della via Francigena costituiva l’asse portante della viabilità medievale valdelsana, e quindi l’elemento polarizzante delle più cospicue espressioni territoriali della vita economica e sociale, altri importanti tracciati viari contribuivano a innervare la valle e a

9 Il pellegrino viaggiava preferibilmente in gruppo, piuttosto che solo e indossava le insegne del suo pellegrinaggio: le chiavi per Roma, la croce per la Terrasanta e la conchiglia per Santiago de Compostela. 10 Lungo la strada si trovavano nelle chiese ripetutamente formelle che rappresentavano il Labirinto, simbolo del cammino spirituale del pellegrino, inteso come “Chemin de Jerusalem” (vedi ad esempio il porticato della facciata di San Martino a Lucca, oppure la chiesa di San Pietro a Pontremoli). 11 RENATO STOPANI, op. cit., Firenze 1984, pag. 9. 12 La Francigena che permetteva collegamenti con luoghi lontani diffondeva lungo il suo percorso influenze di culture distanti determinando una grande varietà artistica locale: in particolare nelle architetture della Valdelsa si trovavano influenze di culture come quella lombarda e islamica o con il mondo oltralpe. 13 L’attuale Croce al Travaglio (Trivetum). 14 ODILE REDON, Lo spazio di una città. Siena e la Toscana meridionale (secoli XIII-XIV), Nuova immagine editrice, Siena 1999, pag. 180. 15 Il cui percorso non doveva essere di molto differente rispetto a quello dell’attuale strada statale Cassia

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collegarla con i maggiori centri e mercati della Toscana. Si trattava prevalentemente di strade “trasverse”, spesso eredi di quegli antichi tracciati etruschi o romani che raccordavano la Valdelsa a Volterra, alla Maremma, al Valdarno e a Pisa (e quindi al mare)16. Colle, Poggibonsi, San Gimignano, Certaldo e San Miniato, situato all’incrocio tra la Via Pisana e la Francigena, ebbero un notevole sviluppo urbano che comportò la nascita di piccoli contadi che ben presto andarono a diffondere in tutta la vallata una struttura agraria basata sul sistema poderile. Passata la Valdelsa, la strada procedendo verso nord superava presso Fucecchio il fiume Arno, che qui aveva allora un ramo secondario (Acqua Nigra e Arneblanca), proseguiva sulle colline che lambivano il padule di Fucecchio e di Bientina, e attraversava Altopascio, città in cui a metà dell’XI secolo nacque l’ordine religioso dei Frati di San Jacopo d'Altopascio. Chiamati anche Cavalieri del Tau qui realizzarono un complesso architettonico costituito da un castello fortificato da un’imponente cinta muraria che inizialmente offrì assistenza ai pellegrini della Francigena ma che in seguito divenne un importante centro di assistenza sanitaria per cure specifiche. Caratteristica era la torre dello Spedale sulla quale si trovava la campana, detta la Smarrita, che aveva la funzione di richiamare tramite i suoi rintocchi e le luci, i pellegrini che rischiavano di perdersi tra le paludi circostanti. Lucca infine era l’ultimo centro urbano importante che la Francigena incontrava in Toscana prima di raggiungere Luni dove convergevano “le strade provenienti dalla Spagna e dalla terra di San Jacopo”17, costeggiare la Val di Magra (oggi approssimamene la statale n. 62 ricalca l’antico tracciato), per in ultimo varcare l’Appennino sul Monte Bardone. Il lungo percorso della via pellegrina, che aveva così messo in comunicazione due grandi aree mercantili del medioevo, quella mediterranea e quella del Mar del Nord divenne ben presto una via non solo utilizzata dai pellegrini ma anche da uomini e merci contribuendo così sostanzialmente al rifiorire del grande commercio internazionale. Il fenomeno portò alla ramificazione del tracciato il quale si aprì anche verso la catena alpina e appenninica, indebolendo l’identità della strada come unico percorso. Firenze, nel contempo divenuta potenza economica e politica, nel corso del Duecento prima attrasse la via in destra del fiume nella Valdelsa (spostandola cioè nel territorio fiorentino) ma soprattutto catturò l’asse principale delle comunicazioni fra la Padania e Roma, attraverso la Valdichiana e la Val Tiberina, riducendo così l’importanza della strada. Nel 1994 la Via Francigena così come il Cammino di Santiago de Compostela in Spagna sono stati dichiarati dal Consiglio d’Europa “Itinerario Culturale Europeo”, con lo scopo di valorizzare il patrimonio monumentale e artistico di questo sistema territoriale e paesaggistico rappresentativo dell’identità culturale europea nelle sue diversità e nella sua unitarietà.

16 RENATO STOPANI (a cura di), Storia e cultura della strada in Valdelsa nel medioevo, Centro studi Romei, Poggibonsi-San Gimignano, 1986, pag. 14. 17 NIKULAS DI MUNKATHVERA citato in RENATO STOPANI, op. cit., Firenze 1984, pag. 107.

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Figura 1(pagina precedente)-2. In basso a sinistra resti dell’antico tracciato della Via Francigena a Galleno. Figura 3. Segnaletica del percorso della via Francigena a Galleno.

Figura 4. Il percorso di Sigerico da Roma a Canterbury. Figura 5. Foto aerea di San Miniato. Si osserva lo sviluppo lineare dell’edificato. Figura 6. Profilo di San Miniato, situato in una posizione strategica tra il corso del fiume Arno, la via Pisana e la via Francigena.

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Figura 7 -7a (particolare). Nobili e contadini percorrono la via Francigena che esce dalle mura della città di Siena (Affresco del Buon Governo, Ambrogio Lorenzetti 1337-40). Figura 8. Insediamento fortificato di Spedaletto, costruito nel XII secolo, per offrire accoglienza ai viandanti, ai pellegrini, così come ai transumanti che dal Pratomagno scendevano in Maremma. Dal 1236 il complesso, a pianta quadrata costituito da torri angolari, un fabbricato e una chiesetta, venne amministrato dallo Spedale di S. Maria della Scala di Siena ed era denominato lo “Spedale del ponte dell’Orcia” poiché era ubicato in prossimità dell’attraversamento della Francigena sul fiume Orcia. Figura 8. Pieve di Sorano a Filattiera.

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La Toscana dei Medici: dal controllo militare allo sviluppo dello scambio nella campagna mezzadrile. Durante il lungo periodo mediceo la viabilità principale regionale non subisce modifiche rilevanti. Per la famiglia del Granducato la Toscana sembra possedere sufficienti vie di collegamento e quindi piuttosto che costruire nuove strade le forze si concentrano su determinati obiettivi quali il consolidamento della rete viaria, sviluppare i collegamenti tra la capitale e il porto, agevolare i viaggi attraverso nuovi servizi di posta. Cosimo I, ancora duca1, in un ottica generale di rinnovamento politico per la riorganizzazione territoriale e urbana dell’intera regione, con la legge del 10 settembre del 1549, attua la riforma dell’antica Magistratura dei Capitani di Parte Guelfa che viene strutturata come una specie di “Ministero dei Lavori Pubblici”. Essa difatti esercita l’attività di controllo e di progettazione delle bonifiche, della regimazione delle acque, dell’apertura e conservazione dei tracciati stradali e di tutto ciò che concerne l’attività edilizia, tramite documentazione grafica (rilievi, misurazioni, progetti) e scritta (relazioni, perizie, consuntivi). Uno dei primi compiti affidati riguarda il censimento e la suddivisione della viabilità in Popoli riportando lunghezza e larghezza del tracciato e tutti i nuclei insediativi e gli edifici fondamentali che toccano la strada. Dalla lettura di questi documenti è possibile individuare la struttura insediativa dell’epoca, dalla quale emerge un paesaggio articolato in strade maggiori e minori “caratterizzato da borghi murati e mercatali, edifici di servizio come mulini e gualchiere, ville signorili e case da lavoratore, chiesette di campagna e pievi importanti, testimonianze del diverso grado di popolazione, delle permanenze e delle innovazioni prodottesi nel sistema insediativo delle campagne.”2 A livello di grande viabilità l’unico evento fondamentale è registrato dal consolidamento del collegamento tra Firenze e il suo porto, Livorno: lungo l’asse principale della piana dell’Arno, a fianco del fiume, si sviluppano verso il mare le più importanti vie allo scopo di incrementare lo scambio estero. La fertilità della pianura, soventemente paragonata per le sue coltivazioni ad un giardino, e il passaggio di grandi direttrici tra la capitale e il mare, favoriscono tra l’altro lo sviluppo di numerosi centri abitati dai quali prendono origine non a caso le attuali due più importanti aree metropolitane toscane3. Il sistema mezzadrile, sorto in epoca medievale, si diffonde in molte delle aree agricole collinari, in particolare in quelle che contornano i grandi centri urbani che hanno il sottosuolo roccioso, caratterizzandone fortemente il paesaggio. In virtù di questa trasformazione numerose piccole stradelle poderali strutturano gran parte delle campagne fiorentine, senesi e lucchesi. Vite e olivo diventano i segni dominanti di questo ricco paesaggio agrario. Il contado fiorentino è quello che per sviluppo appare più esteso e complesso. Sin dal XIII qui cominciano a collocarsi le prime case-torri, cioè le case di quei signori che intendevano investire i propri averi nella campagna. L’architettura di questi edifici rimanda evidentemente ai palazzi urbani duecenteschi ma la loro funzione è preminentemente militare. Dal Quattrocento, grazie ad una maggiore tranquillità politica, la casa-torre si trasforma in villa, via via con giardino e parco, mentre i poderi tra il XVI e il XVII, si organizzano nella struttura della fattoria (un processo di riorganizzazione fondiaria che troverà piena maturità nell’Ottocento). Ciò che sta al di là delle mura urbane non incute più paura ma diviene una campagna lavorata e abitata: “Il «contado» fiorentino comprendeva di fatto un tessuto assai vario di comunità, popoli, leghe, ecc., con le loro autonomie e le loro caratteristiche; ma tutti si riconoscevano come membra del corpo specificatamente cittadino e fiorentino” 4.

1 Il Granducato difatti nasce nel 1569. 2 G. CARLA ROMBY, RENATO STOPANI, Strade, paesaggio, insediamenti dal medioevo all’età moderna, in LEONARDO ROMBAI (a cura di), Le strade provinciali di Firenze: geografia, storia e toponomastica, Firenze, L. S. Olschki, 1992, pag. 162. 3 Molti degli attuali centri urbani principali della regione hanno origine proprio da piccoli borghi sorti lungo la strada, talvolta alla confluenza di più vie, oppure in prossimità di ponti come ad esempio Pontassieve. 4 G. CARLA ROMBY e PIERO ROSELLI, Presenze architettoniche e immagine storica del territorio fiorentino, in AA.VV., Il paesaggio riconosciuto. Luoghi, architetture e opere d’arte nella provincia di Firenze, Vangelista, Milano 1984.

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La viabilità locale tra strade poderali e interpoderali si infittisce e arricchisce il paesaggio agrario al punto tale che si “potrebbe forse affermare che nel granducato mediceo la strada sia diventata, tra l’altro, un veicolo di diffusione di modelli culturali (architettonici, abitativi, artistici) ed un fattore quindi di «unificazione» del territorio statuale”5. Lungo la strada difatti in campagna si incontrano case e palazzi signorili che ripropongono i caratteri culturali della città, le logge del pesce e del mercato che nascono nell’innesto della strada modernamente potenziata nel tessuto urbano (come a Montevettolini, Montepulciano, San Sepolcro e Barberino del Mugello), ma anche alberature quali il gelso, detto “moro” utile alla coltivazione del baco da seta6, siepi e fiori (ad esempio i giaggioli). Gli assi viari più importanti del contado fiorentino erano la strada che si sviluppava lungo il Valdarno per Pisa, la strada che per Poggio a Caiano e Borgo a Buggiano, collegava Pistoia, Lucca Pisa e Livorno, la transappenninica bolognese per il Giogo e la direttrice Siena Roma. In particolare il Valdarno inferiore assieme alla pianura dell’Arno diviene un luogo nevralgico in cui si incontrano ed incrociano tutte le vie di traffico che attraversano longitudinalmente e trasversalmente la Toscana. Tra le più importanti opere stradali quindi si trovavano la strada Firenze-Pistoia per Poggio a Caiano che attraversava la bassa pianura del fiume Ombrone, la pistoiese, la quale assieme alla conseguente bonifica della piana pratese concorrono alla nascita della Villa di Poggio a Caiano7, legata a sua volta alle Cascine di Tavola dove veniva coltivato prevalentemente riso e grano, ed ad altre importanti direttrici viarie che portavano a Prato. Sulla direttrice pisana Francesco I e Ferdinando I realizzano rispettivamente la Villa dell’Ambrogiana e poco distante, in destra d’Arno la Villa di Artimino. Questi rilevanti interventi che ricadono tra la pianura che si sviluppa da Firenze verso il mare e le prime aree collinari circostanti indicano l’importanza che stava sempre più assumendo quest’area a livello territoriale. È per questa ragione che il tecnico Alessandro Sanesi nel 1618 elabora un progetto per rendere carrozzabile la mulattiera che dalla piana di Firenze (più precisamente a Ponte a Signa), giungeva a Bologna via Barberino, ma il progetto, molto vicino all’attuale via Barberinese8, viene in realtà bocciato dal principe e dalla Parte in quanto utopistico poiché prevedeva la realizzazione di ben oltre quaranta ponti. Interventi per il miglioramento della viabilità sono comunque previsti sulle direttrici principali per Pisa, Arezzo, e in particolar modo lungo la Cassia tra Firenze, Siena e Acquapendente9, oltre la riorganizzazione di alcune strade di fondovalle, come la via di Rosano realizzata nel tardo Cinquecento nella piana di Ripoli e Candeli. Su queste direttrici viene istituito il servizio di poste per incentivare e agevolare il transito dei viandanti, per lo più mercanti, che favorivano l’attività commerciale.

5 G. CARLA ROMBY, RENATO STOPANI, Strade, paesaggio, insediamenti dal medioevo all’età moderna in LEONARDO ROMBAI (a cura di), Le strade provinciali di Firenze: geografia, storia e toponomastica, Firenze, L. S. Olschki, 1992, pag. 164. 6 Il gelso è stato introdotto in Italia dall’Oriente (Cina) nel 1300, ed è stato utilizzato in tutta la Toscana per volere prima della famiglia Medici e degli Asburgo Lorena poi, con precise disposizioni governative. Grazie in particolare alle manifatture fiorentine, la pianta si è diffusa in tutto il territorio circostante le principali città, in particolare lungo la viabilità, e come sostegno dei filari delle viti: “L’ente ospedaliero senese, ad esempio, non trascurò mai di far piantare gelsi nei suoi poderi, ai bordi dei campi o lungo le viottole e le strade vicinali” (Vedi LUCIA BONELLI COTENNA, Nel paesaggio toscano: cipressi, vigne, ulivi e … ginestre, giaggioli e zafferano, in LUCIA BONELLI CONENNA, ATTILIO BRILLI, GIUSEPPE CANTELLI, Il paesaggio toscano. L’opera dell’uomo e la nascita di un mito, Banca dei Monti dei Paschi di Siena, Siena 2004, pag. 25). Per quanto la cultura del baco da seta sia stata interrotta alla fine dell’Ottocento, con l’importazione della seta dall’Oriente, ancora oggi è possibile incontrare numerosi alberi secolari di gelsi ai margini dei campi o delle strade. 7 Realizzata da Giuliano Sangallo su incarico di Lorenzo il Magnifico. 8 La via Barberinese, che oggi ha origine dal centro storico di Capalle, ha in realtà antiche origini. Denominata nel corso dell’Ottocento Via Militare secondo lo Zuccagni Orlandini la strada difatti conservava “l’antico passaggio dell’etruria ai galli Boii per Visegimo”. (A. ZUCCAGNI – CRLANDINI, 1841 citato in MARGHERITA AZZARI, SP 8 di Barberino di Mugello, in ROMBAI LEONARDO (a cura di), Le strade provinciali di Firenze: geografia, storia e toponomastica, L. S. Olschki Firenze, 1992). 9 La strada era lastricata con grosse pietre fino a Radicofani dove i granduchi eressero nel 1587 una grande osteria. Al confine sul fiume Paglia, lo Stato pontificio costruì invece il Ponte Gregoriano (o detto anche Centino) in muratura.

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Con l’aumento del dominio a scala regionale dei Medici il Mugello assume il ruolo come “il più importante «nodo di valico» della barriera montana, per la polarizzazione del transito dei passeggeri e delle merci tra l’Europa occidentale e l’Italia settentrionale, tra Bologna e Firenze (e i rispettivi contadi) e buona parte dell’Italia centrale”10. In realtà le strade che allora valicavano l’Appennino erano almeno dodici, ma in realtà nessuna di esse si trovava in buono stato in modo da agevolare il traffico e il trasporto di cose e persone. Questo stato di degrado e di precarietà che le caratterizzava è però voluto in virtù della strategia militare attuata dal governo centrale: per quanto difatti utili al favorire il mercato, le strade erano principalmente concepite come strumenti militari: non solo in questo periodo difatti venne realizzata la famosa Strada dei Cavalleggeri situata lungo tutta la costa che aveva il compito di fermare e scoraggiare le invasioni provenienti dal mare, ma le stesse strade provenienti dall’Appennino dovevano, in breve tempo, essere sbarrate , ovvero rese impraticabili per bloccare possibili incursioni provenienti dal nord. Comunque Leghe, Popoli e Comunità, ovvero tutta la popolazione era obbligata a mantenere al meglio la rete stradale e fluviale. Nonostante ciò, ed i buoni propositi iniziali di Cosimo I, quali ad esempio la fondazione dell’antica magistratura e la conseguente redazione delle Piante di Popoli e Strade del 1582-86, il sistema viario in tutto il periodo mediceo si presenta in uno stato di manutenzione decisamente mediocre a causa soprattutto della mancanza di una visione sistemica territoriale e organizzativa. Ogni progetto viario era difatti concepito fine a se stesso e molte delle aree della regione si presentavano difatti ancora marginalizzate: mano a mano che ci si allontanava dalla città di Firenze e dalle pianure, ai “giardini” dei paesaggi mezzadrili11 si sostituivano prati pascolo, vaste colture (come il grano), alternate ad ampie aree di bosco, i quali a loro volta costituivano paesaggi meno esuberanti, dove la presenza di strade era scarsa e la presenza dell’uomo rarefatta. In definitiva se nelle colline circostanti i centri abitati si diffondeva difatti il tipico paesaggio basato sul contratto mezzadrile, nelle restanti colline, quasi sempre di natura argillosa, in particolare della provincia senese allora costituita anche dalla provincia di Grosseto, si trovavano maggiormente pascoli, le coltivazioni cerealicole e i campi d’erba, essendo in pratica quasi sempre gestiti dal latifondo. Al di fuori del Granducato di Toscana, ma sempre ricadente nell’attuale territorio regionale, è da citare la realizzazione della Via Vandelli, tra il Ducato di Massa e Carrara e la Garfagnana estense: a causa del matrimonio stabilito nel marzo del 1738 fra suo figlio, il principe Ercole, e Maria Teresa Cybo-Malaspina, principessa di Massa e Carrara, il Duca di Modena Francesco III d’Este incarica l’abate Domenico Vandelli di realizzare un collegamento diretto tra Modena e Massa (senza attraversare il territorio di Lucca e quindi percorrendo la Garfagnana, passando per le valli di Arnetola e dell’Edron, e il passo della Tambura 1634 slm) che aveva il compito di incentivare i traffici padani verso l’alto Tirreno e il porto di Livorno. La strada terminata nel 1751 che si inerpica sui ripidi fianchi della mole marmorea della montagna, utilizzata in seguito come “via di lizza” dalla metà del secolo XIX a causa dei tentativi di cava nelle sue immediate vicinanze, in realtà si dimostra ben presto poco agevole per i grandi traffici, anche per le continue interruzioni invernali causate dalle nevicate e dal clima rigido, e si riduce ben presto in un sentiero12.

10 LEONARDO ROMBAI, Una storia della viabilità di Firenze, in LEONARDO ROMBAI (a cura di), op. cit., Firenze 1992, pag. 94. Il Mugello sin dall’epoca medievale ha sempre rappresentato, così come lo rappresenta tutt’oggi, l’asse privilegiato dalle infrastrutture di trasporto (tracciati ferroviari, alta velocità, autostrade, eccetera….) per il superamento della “barriera” appenninica. 11 L’insieme delle coltivazioni promiscue del paesaggio mezzadrile per la loro ricchezza e varietà sono state spesso paragonate, sia da viaggiatori che da scrittori, a dei giardini. 12 Sostituita dalla Via Giardini-Ximenens, oggi l’antico tracciato della Via Vandelli, che mantiene ancora l’antica pavimentazione, è stato sottoposto a restauro. La strada che detiene oltre un valore storico-culturale di per sé, notevoli punti panoramici che permettono di ammirare la scenografia del paesaggio circostante e le altre ripide strade di lizza utili a far scivolare i marmi, otre essere un segno antropico molto forte, ben visibile nel versante montuoso, è un’importante percorso del Parco delle Alpi Apuane.

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Un’altra importante strada del periodo mediceo e ricadente nelle Alpi Apuane risulta la Via dell’Altissimo, detta anche Strada nuova di Marina, che si snoda entro le cave della Val di Serra13. Su questa strada non esistono fonti certe su l’effettivo tracciato e autore. Sembra però consolidata l’ipotesi che questa strada sia stata progettata da Michelangelo14 e dal capomastro Donato Benti, tra il 1516 e il 1518, nel tratto che dal pontile situato sulla costa per l’imbarco dei marmi nel luogo dove presumibilmente oggi è situato Forte dei Marmi15, attraversando le allora paludi e la Via Romana e poi utilizzando un più antico tracciato, giungeva sino alla Cappella, mentre il successivo tratto, incavato nel versante montano, da Giovanni Barbolani di Montauto nel 1567, sotto Cosimo I dei Medici16.

Figure 1-2. Adorazione dei Magi (Benozzo Gozzzoli 1459-60). Nel particolare si osserva la strada sinuosa che conduce al castello posto sulla sommità di un rilievo, bordata da siepi.

13 Oggi la valle del Serra, che unisce tra il Monte Altissimo e la costa della Versilia è situata in una posizione di margine rispetto ai confini del parco delle Apuane ed è investita da fenomeni diversi: in poco spazio si passa dalla montagna (1589 m slm) alla collina e alla costa13, le attività emergenti sono legate all’estrazione dei marmi e al turismo, che comportano il consumo di paesaggio e inquinamento (fenomeni di urbanizzazione nei fondovalle e sulla costa, modifiche rilevanti della morfologia del rilievo dovuta all’estrazione del marmo, cave e ravaneti, eccetera…), fenomeni di abbandono nelle alture (nella Versilia storica13). 14 “Dopo la donazione delle comunità di Seravezza e della Cappella nel 1515 a Firenze di tutti i monti esistenti nel loro territorio per l’escavazione del marmo” (FRANCESCA LAGOMARSINI, Le fonti storiografiche nel territorio Apuo-Versiliese, in PIERO PIEROTTI, La Valle dei Marmi. La Strada di Michelangelo, il paesaggio storico alle falde del Monte Altissimo, il progetto di recupero, Pacini Editore, Ospedalletto (Pisa), 1995, pag. 12), compreso i terreni per la realizzazione delle strade utili a trasportare il marmo, il papa incaricò Michelangelo Buonarroti, al quale era affidato nel frattempo anche la redazione del progetto della chiesa di San Lorenzo a Firenze che prevedeva la realizzazione di una facciata in marmo, di localizzare nuove cave di marmo statuario (marmo da figura) sul monte Altissimo, il rilievo più alto nel comune di Seravezza. Sino ad allora difatti il marmo proveniva da Carrara, più precisamente dalle cave di bianco del Polvaccio, che oltre ad avere costi più alti per le maestranze, ricadeva nel territorio di Alberico Cybo Malaspina e quindi fuori del Granducato di Toscana. Il territorio del capitanato di Pietrasanta comprendeva gli attuali comuni di Pietrasanta, Forte dei marmi, Seravezza e Stazzema. Gli altri possedimenti medicei di questa zona erano la Lunigiana e la Garfagnana (Bagnone, Fivizzano, Barga, ecc…). 15 Il “forte” dei Marmi rappresenta uno dei simboli più importanti dell’impegno lorenese a vantaggio della allora periferica Versilia. Fatto costruire nel 1788 dal granduca Pietro Leopoldo, ospitava il magazzino, realizzato agli inizi del XIX secolo, ove venivano depositati i marmi provenienti dalle cave del Monte Altissimo, caricati poi tramite un ardito pontile attrezzato, realizzato in legno, sui bastimenti che li trasportavano al porto di Livorno. A Livorno gli stessi bastimenti caricavano il ferro proveniente dalle miniere dell'Elba per le ferriere di Pietrasanta. La località fu quindi denominata Forte dei Marmi. Fu costituito in comune autonomo nel 1914, staccandosi da Pietrasanta. 16 L’odierno tracciato, ancora funzionante, della Via dell’Altissimo risale comunque al XIX secolo, quando sotto il dominio lorenese furono impiegati consistenti capitali per finanziare l’estrazione di marmo, facendo così decollare definitivamente l’attività estrattiva in Versilia, la quale a sua volta comportò un profondo cambiamento nella viabilità e ovviamente del paesaggio.

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Figura 3. Una delle sedici lunette di Giusto Utens raffigurante la villa di Poggio a Caiano (1598-99). Le sedici lunette raffigurano i possedimenti dei Medici costituiti dall’insieme villa-parco-giardino secondo la vista prospettica a volo d’uccello, permettendo così contemporaneamente una lettura cartografica e iconografica dell’oggetto: da queste rappresentazioni è possibile osservare come questi possedimenti funzionavano come centri dell’organizzazione territoriale agricola. Figura 4. Lungo la viabilità che conduce al castello si sviluppa l’insediamento tramite case filo strada e uno slargo che funziona da piazza (Barberino del Mugello nel XVIII secolo). Figura 5. Viabilità e parcellizzazione dei campi nella campagna intorno a Filattiera sono delimitati da filari di vite erborata.

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Figure 6-8. La via Vandelli nel versante massese del Monte Tambura. Figura 9. Tracce dell’antica via del marmo nella Val di Serra.

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Scheda n. 4 LA STRADA DEI CAVALLEGGERI Nel Catasto del 1823 è evidenziata una via che per Cala di Forno collega Livorno con Piombino descritta come “Strada lungo la marina di Livorno per ogni parte lungo la spiaggia”1. Le origini di questo percorso non sono chiare in quanto le prime tracce probabilmente risalgono al periodo medievale o addirittura erano parte di una delle varianti della strada romana Aurelia/Aemilia Scauri2. È certo però che esso viene consolidato nel secolo XVI da Cosimo I (1537) per fini militari. La nuova viabilità rinascimentale, molto prossima al mare, difatti ha il compito di collegare le torri che su più punti sono state edificate lungo il bordo: un sistema lineare di “difesa lungo costa, organizzata in un collegamento tra torre e torre battuto da cavalleggeri in continua perlustrazione” 3. Il primo sistema di fortificazione di questo tratto di costa risale al periodo in cui Pisa diviene grande Repubblica del Mare (1078-1406), ed è costituito da una serie di torri a base quadrata, collegate a vista e distribuite lungo tutto il litorale nel territorio del Porto Pisano e a sud di esso. Queste, insieme al percorso sudetto, costituiscono il sistema difensivo che prende il nome di Strada dei Cavalleggeri, proprio dai soldati, i cavalleggeri appunto, che erano addetti alla “scorreria”, ed ha il compito di fornire protezione dagli attacchi vandalici da parte di pirati, impedire l’attracco dei navicelli che portavano le genti che dalla Liguria, dalla Francia e dalla Spagna, scappavano dalla peste, e infine somministrare un efficiente servizio postale per la messa in sicurezza del trasporto del materiale ferroso da Portoferraio (nell’Isola d’Elba) a Livorno. Il percorso “con caratteri di mulattiera, si snodava lungo tutto il litorale roccioso e sabbioso, sia a nord di Livorno lungo il Tombolo, sia a sud fino a Torre Nuova, ove si allacciava alla tratta piombinese”4. A causa delle ragioni militari della strada poche erano le strutture insediative civili ad essa associata, ad eccezione del piccolo nucleo urbano di Cecina allora costituita poco più da un forno fusorio5. La funzione stessa della strada non contribuiva quindi ad attivare dei processi antropizzazione, ma piuttosto tendeva a consolidare lo stato di abbandono che la circondava. Il tracciato difatti transitava in un territorio depresso e confinario rispetto ai maggiori centri politici (ovvero quella della Maremma pisana o volterrana), costituito per lo più da vasti appezzamenti di pianura, con boschi e paludi, organizzati a latifondo. Sarà con la riforma stradale di Pietro Leopoldo che il tracciato prenderà vita. Avviato il rimodellamento del paesaggio della maremma pisana attraverso le opere di bonifica, le regimentazioni dei corsi d’acqua e le riforme agrarie, il percorso viene investito da un ruolo completamente diverso da quello svolto nel corso dell’era medicea. Difatti il sistema costiero di torri perde la sua funzionalità sia per le condizioni di arretratezza delle costruzioni sia e soprattutto perché venuto meno il motivo di pericolo proveniente dal mare. Il granduca quindi ordina il restauro

1 Vedi PAOLO BELLUCCI, I Lorena in Toscana. Gli uomini e le opere, Edizioni Medicea, Firenze 1984, pag. 332. 2 “Nei secoli centrali del medioevo il collegamento terrestre tra Pisa e la zona della Maremma era rappresentata dalla via di Maremma, che si snodava lungo un percorso collinare interno”, Paola Baldari, Riqualificazione della costa di Calafuria a Livorno, Rel. Prof. Guido Ferrara, corr. Arch.tti V. Demi, E. Morelli, P. Talà, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Firenze A.A. 2004/05. 3 ESTER DIANA, La via dei Cavelleggeri, percorso militare di «marina», in BORIANI MAURIZIO, CAZZANI ALBERTA, Le strade storiche, Guerrini associati, Milano 1993, pag. 46. 4 Strada dei Cavalleggeri/Strada della Principessa/Strada Maestra Piombinese, http://www.toscana-europa.it/ 5 Il Granduca Ferdinando I per avere un controllo amministrativo sulla possessione, fece costruire nel 1590 un palazzo, Il Fitto, sulla riva sinistra del fiume ed in corrispondenza di questi fu eretto, qualche anno più tardi, un ponte di legno. Il Granduca insediò nel 1596 un forno fusorio in prossimità del palazzo del Fitto denominato la Magone del ferro che non avrebbe avuto problemi nell'assicurarsi la fornitura di legname. L'attività perdurò fino ai primi anni del Settecento caratterizzando il paesaggio per un raggio di otto miglia, entro i quali era esercitato il diritto esclusivo di taglio dei boschi da parte della ferriera (il vincolo magonale proibiva di tagliare, smacchiare e fare centine). Altre ferriere furno poi costruite in corrispondenza dell'attuale cimitero. Piccoli insediamenti produttivi sorsero nel corso del Seicento costituendo un sistema artigianale intimamente relazionato con il fiume Cecina, elemento fondamentale per il ciclo produttivo delle varie attività di lavorazione (Vedi Comune di Cecina, Storia del territorio, http://www.comune.cecina.li.it/).

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delle architetture in modo da supportare quelle attività commerciali che andavano piano piano ad affiorare lungo il tracciato: ne sono un esempio le forti-dogana di Bibbona e Castagneto. Dal punto degli spostamenti e dei traffici inoltre la ricostruzione tra il 1765 e il 1785 della strada Grossetana6 e del suo successivo prolungamento fino a Castiglione della Pescaia nel 1788, suggeriva una naturale estensione verso il porto di Livorno. Nel 1806, durante la reggenza francese, dopo alcune idee e ipotesi di progetto di ristrutturazione del tracciato della Strada dei Cavalleggeri, Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte e principessa di Lucca, dette ordine di ricostruire e prolungare il tratto della via dalla Torre Nuova a Piombino sino a S. Vincenzo7, ma dopo il dominio francese e ritornati al potere i Lorena la strada allora compresa nelle strade regie8, viene declassata a strada comunale. Un viaggiatore dell’epoca (1832) descrive così il paesaggio che circonda la strada: “La mattina del 22 Ottobre noi ci ponemmo in viaggio. Era la nostra vettura un picciolo calesse tirato da un cavallo, ed un ardito giovinetto ci serviva di guida. Lasciammo a piè di Montenero, su la cui cima si venera un assai celebre Santuario dedicato alla Santissima Vergine, la Via Aurelia, e ci dirigemmo verso la marina. Per tre grandi strade, secondo Cicerone, da Roma si andava nell'alta Italia. Per la via Flaminia, che costeggiava il mare adriatico, per la Via Cassia, che traversava il centro della Toscana, e per la Via Aurelia, fatta quasi lungo il littorale etrusco, o mediterraneo. Eran queste le tre principali strade; le particolari però, che ad esse riuscivano, eran varie, ed una fra le altre era quella, che costeggiando il mare, guidava di porto in porto. Abbandonando noi l'Aurelia ci dirizzammo a questa, e si giunse sul lido. Avevamo da una parte il mare, dall'altra montagne erme e deserte, e piene tutte di boscaglie, e di macigni. Cominciammo fin d'allora a concepir l'idea del paese, ch'eravamo per trascorrere; mentre una solitudine, ed un tetro silenzio ci accompagnava per ogni dove. Incontravasi solo di tratto in tratto qualche torre, dove vedevansi pochi soldati, dall'ozio consumati, e dalla miseria. Giungemmo finalmente alla torre di Saraccone, che forse corrisponde ad fines delle tavole, perchè era distante 8 miglia da’ Vadi Volterrani; ma nulla di rimarchevole o di antico rintracciar vi potemmo. S'incontrò quindi poco dopo la torre detta del Romito, posta su la cima di un enorme scoglio, che sporge in mare, e che presenta da ogni lato un accesso difficilissimo. Siccome offriva una veduta assai graziosa, così il mio compagno non trascurò di farne un disegno. Io però non potei dargli alcuna spiegazione del nome, e della sua origine, non trovandosi alcuna memoria della medesima. Passata questa torre si scese in una picciola, ma bella pianura, che faceva un ammirabile contrasto con le incolte montagne, e con le solitarie spiagge trascorse fino allora. Ed oh quanto è mai dilettevole all'occhio del viaggiatore una così capricciosa e bizzarra varietà della natura!”9 Infine con nel periodo seguente all’Unità d’Italia i tratti della strada più interni vengono assorbiti o dalla nuova Aurelia che percorreva, come strada statale n. 1, tutto il litorale toscano, o dallo sviluppo degli insediamenti urbani. Oggi, quasi del tutto scomparsa, rimangono solo pochi segni del tracciato, alcuni manufatti (le torri) e la toponomastica locale10 che ne mantengono la memoria.

6 La strada che da Siena giunge a Grosseto. 7 Tratto che fu anche denominato “Strada della “Principessa”, in onore appunto di Elisa Baciocchi. 8 Tutto il tratto poteva essere chiamata Strada Maremmana oppure Strada Maestra Piombinese. 9 Ab. P. Pifferi con disegni analoghi di Carlo H. Wilson, Viaggio antiquario per la Via Aurelia da Livorno a Roma, Lettera I, 1832. 10 Nonostante siano sorte una moltitudine di “via dei Cavalleggeri” locali, all’interno dei tessuti urbani.

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Figura n. 1. Disegno raffigurante la torre dell’Ardenza. Figura 2. Il sistema difensivo costiero. Figura 3. Il tracciato della Via Cavalleggeri da Livorno a Piombino.

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Figura 4. La torre, il tracciato stradale e ferroviario a Calafuria.

Figura n. 5. Disegno della Torre del Romito di Carlo H. Wilson tratto dal suo testo “Viaggio Antiquario per la Via Aurelia da Livorno a Roma” del 1832.

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Scheda n. 5 LE STRADE MURATE “Le antiche strade intorno a Firenze non avevan subìto uno screzio. Soltanto una bomba era caduta, durante la guerra, in via Suor Maria Celeste. Per il resto, correvano ancora fra i loro muri, salivano sulle colline, si svolgevano tortuose nella piana, fra le campagne fiorite. […] Ma il tempo era passato su molte cose. […] Qualche muro, per le antiche strade, cominciava a cadere. Al principio di via Quarto furono abbattuti sia l’uno che l’altro. Sorte uguale è toccata a via delle Montalve e a via dell’Osservatorio, al loro inizio da via delle Panche […] Allora i graffiti resistevano sugli intonaci. Gli antichi muratori conservavano nel sangue il gusto di certe cose. E volevano abbellire anche una semplice strada tra i campi. A volte tracciavano cerchi concentrici, come quelli in via Belvedere, che sembrano misteri solari, oppure linee serpentine, guizzanti, simili a spiritelli rimasti sui muri. […] Eppure ho sempre avvertito, in certe cose, la presenza di un misterioso genio indigete, il quale sembra aver guidato la mano a coloro che le apriron, edificarono i muri, li istoriarono e altri, con loro, che scelsero il punto adatto dove piantare un cipresso o fare un tabernacolo a una svolta o a un incrocio. Forse, se gli si fosse domandato il perché, non avrebbero saputo rispondere. Era dentro di loro, nella gente.”1 Non esistono notizie certe su quando le strade intorno alla città di Firenze hanno cominciato ad essere racchiuse da alti muri di pietra ma è presumibile che esse abbiano avuto origine nella fiorente campagna del contado fiorentino2 che nasce intorno alla cerchia muraria della città tra i secoli XIII e XIV: non a caso difatti Giovanni Villani nel Trecento descrive che intorno alla città di Firenze, per un raggio di sei miglia “aveva tanto ricchi e nobili abituri che due Firenze non avrebbero tanti”3. Le emergenti famiglie cittadine arricchite iniziano ad investire acquistando nuovi terreni al di fuori delle mura, ma perché essi diventino effettivamente il capitale ambito vi è la necessità di trasformarli in campi coltivati gestiti da un’organizzazione solida nel tempo. In virtù di ciò si diffonde la pratica della mezzadria poderale, che vede una presenza stabile dell’uomo, la famiglia del contadino, nella campagna essendo organizzata secondo “un’unità fondiaria, con la villa padronale, il podere e il contadino”4, che in pochi anni arricchisce l’intorno di Firenze di strade, ville, poderi, oliveti e vigneti, ma anche di piante ornamentali quali il cipresso, il platano, le querce caducifoglie e i lecci e numerose siepi. Tra i primi costruttori delle vie equipaggiate con muri campestri vi è certamente la famiglia Medici che ha la necessità di mettere in comunicazione la città con le loro proprietà terriere circostanti, ma sembra certo che esse vengono messe “a sistema” tra il Seicento e il Settecento, prima come viottoli e via via come veri e propri percorsi racchiusi da mura per stabilire un limite fra suolo pubblico e terreno padronale, e in seguito come ulteriore prolungamento della città, attraverso le proprie strade, nella campagna5. “La prima carta che le ufficializza è la Pianta di Firenze con la cinta daziaria e nuovi quartieri secondo il piano regolatore d’ampliamento dedicata al Commendator Ubaldino Peruzzi, sindaco di Firenze”6 del 1875 dove vi si trovano via Monteuliveto, San Vito, Via Piana, di Marignolle, delle Campora, di San Leonardo, Belvedere, Villamagna e Barbacane. Oggi molte di queste vie permangono ancora a sistema nelle aree collinari del paesaggio periurbano, mentre pochi esempi, per lo più relitti inglobati nelle aree urbane, rimangono nelle aree di pianura, ormai interessate da recenti processi di trasformazione che quasi sempre non ne hanno tenuto conto. 1 GUIDO BIFFOLI, Antiche strade intorno a Firenze, Vallecchi, Firenze 1982, pag. 12. 2 Già dall’anno Mille la campagna intorno alla città di Firenze era vissuta come importante investimento da parte dei signori fiorentini che detenevano non a caso numerosi appezzamenti di terreno coltivati secondo un rapporto padrone-contadino molto simile alla pratica mezzadrile (Vedi Ildebrando Imberciadori, Contadini e proprietari nella Toscana moderna. Dal Medioevo all’età moderna, Olschki, Firenze pag. 545). 3 Renato Stopani, Il paesaggio agrario della Toscana. Tradizione e mutamento, FMG Studio Immagini S.A.S., 1989 Firenze, pag. 108 4 Guido Biffoli, Antiche strade intorno a Firenze, Vallecchi, Firenze 1982, pag. 12. 5 Le strade murate, con il loro carattere di urbanità conferivano un senso di protezione a coloro che le percorrevano. 6 Guido Biffoli, Antiche strade intorno a Firenze, Vallecchi, Firenze 1982, pag. 23

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È facile percorrerle e scorgere numerose persone che passeggiano a piedi nelle ore più assolate invernali, o in quelle più fresche nei mesi estivi, altri individui che praticano sport quali footing o similari nell’arco dell’intera giornata, nonostante il traffico veicolare sempre più presente, quasi a consolidare l’importanza dei luoghi, del paesaggio agrario e dei suoi caratteri fortemente identificativi, al fine di creare, o ancor meglio consolidare e tutelare quei corridoi verdi che costituiscono parte di ciò che potrebbe essere considerato il parco urbano fiorentino7. I muri possono essere relativamente bassi quando limitano una strada di mezza costa, creando una continuità tra campi coltivati su terrazzamenti e strada8, ma per lo più presentano alti muri di pietra, al di sopra dei quali è possibile scorgere le chiome leggere e argentee degli olivi, oppure quelle più scure e dense dei lecci, segnalando la presenza di un giardino privato9. Talvolta, ma sempre più di rado, il muro presenta tracce di intonaco con sopra qualche rustico graffito (a punta di forchetta)10, oppure, in particolare agli angoli, arricchito dalla presenza di un tabernacolo; altre volte diviene la parete di un abitazione posta a filo strada, o si apre con un cancello da cui è possibile scorgere un filare di cipressi che porta a qualche villa. I suoni dei passi, la luci e le ombre, gli odori, il clima, ogni aspetto tende a caratterizzare fortemente l’aspetto di queste strade: quando percorrono parti di paesaggio agrario sono quasi sempre essere esposte al sole, mentre più ombreggiate e umide nel caso in cui attraversino giardini e parchi. Anche la vista quindi può essere raccolta oppure aprirsi sul profilo della città, o verso le colline circostanti. “… Il babbo sapeva certe strade solitarie, deserte, fuori di mano, dove si camminava agio adagio per ore intere e senza incontrare anima. Il babbo era quasi sempre soprappensiero – io guardavo. Di sopra ai muri in cui la strada era incassata si spenzolavano i rami convulsionari dé bigi olivi o sfilavano i rosai nani, poveri, non curati, i rosai con le rose fradice sbiancate che cascavano foglia a foglia giù nella zanella a marcire. Quante miglia rasente a quei muri! Muri che vedo ancora; muri bassi, quasi muriccioli che invitano la gente e a sedere; muri altissimi con alberi grossi, neri e fronzuti in alto, quasi a sostenere giardini pensili; muri nuovi, appena fuori di porta, incalcinati da poco e decorati di rustici graffiti di manovale. Ogni tanto un cancello di villa – cancelli chiusi e scuri – contro i quali saltava e rintronava di dentro, il cane abbaiante; cancelli spalancati, con un cipresso per parte, come per guardia, e un viale che andava in su, in pendio, fra siepi di mortella e alloro. Ogni tanto i muri si sparivano e succedevano le siepi vive, alte, prunose, bianche di brina e di neve in inverno, bianche di fiori in primavera, nere di more alla fin dell’estate. E più lontano sparivano muri e siepi – e la strada solinga e massicciata (come i viottoli convettuali in montagna) saliva tra i cipressi o gli abeti e avelo là sotto le valli solcate e i prati bagnati e i fondi di nebbia e l’illusione dell’infinito.”11 Di queste vie esistono infinite descrizioni più o meno celebri, tra citazioni letterarie, dipinti, fotografie, ma anche, più semplicemente, ma non per questo meno importante, nelle immagini dei ricordi delle genti che hanno vissuto nei quartieri e nella campagna posti ai limiti della città. “Gli ulivi erano bianchi sotto il sole, emergevano con tutti i rami dai muretti in cui è incassata via S. Leonardo. Al di là, i campi arati, perfetti in leggera pendenza; un gran frinire di cicale, e farfalle smarrite nella luce. Non incontravamo mai nessuno, raramente dai campi proveniva una voce. I cancelli delle ville erano sempre chiusi. Camminavo apposta battendo i tacchi perché l’eco fosse più forte. Fra i muretti e il lastricato v’era a tratti un margine erboso: vi crescevano i papaveri. Le case 7 Il paesaggio rurale intorno alla città di Firenze “può diventare una risorsa strategica dal punto di vista ecosistemico e culturale.” Il sistema delle strade, in particolare quelle murate, può quindi aiutare il processo di riappropriazione del rapporto tra città e campagna attraverso la “costituzione di un sistema a rete di percorsi con ruolo di ossatura funzionale per la fruizione turistica e ricreativa del paesaggio collinare come parco urbano, secondo requisiti di valorizzazione dei caratteri storico-culturali e di salvaguardia e sviluppo dei caratteri naturali”7 AUGUSTO BOGGIANO (a cura di), Passeggiare Firenze, Comune di Firenze, Firenze 2004. 8 Le strade a mezza costa che attraversano le coltivazioni a terrazzi, sono in genere comprese tra due terrazzamenti: hanno un muro di contenimento più alto a monte, mentre l’altro, alto poco più di qualche decina di centimetri sulla strada, contiene il terreno sottostante, permettendo il godimento della vista verso valle. 9 A volte sono chiamate, semplicemente muri campestri o siepi in muratura (Vedi ITALO MORETTI, L’arredo, in AA.VV., Il paesaggio riconosciuto. Luoghi, architetture e opere d’arte nella provincia di Firenze, Vangelista, Milano 1984, pag. 72.) 10 Vedi ad esempio via San Leonardo. 11 GIOVANNI PAPINI, Un uomo finito, Vallecchi, Firenze 1912, pag. 49-53.

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dei contadini avevano alti usci socchiusi, dipinti di verde come gli ombrelloni che si usano nel contado: ne proveniva odore di latte e di stalla.”12 Eppure nonostante tutto ciò le strade murate continuano a non essere riconosciute come oggetto di tutela e soprattutto come importante patrimonio paesaggistico13, ogni nuovo intervento di urbanizzazione sembra che non sia capace di inglobarle e di reinterpretarle, le travolge e le distrugge, perdendo così un’inestimabile risorsa capace di creare luoghi.

Figura 1. Via della Petraia (Firenze).

Figure 2-3. Via delle Cappelle (Sesto Fiorentino).

12 VASCO PRATOLINI, Cronaca familiare, Vallecchi, Firenze 1947, pag. 15. 13 L’importanza è sia sotto l’aspetto storico, culturale, percettivo e visivo ma anche ecologico poiché spesso muri in pietra respirano, sono attraversati dall’acqua (non a caso necessitano di manutenzione), contengono muschi e licheni e piccole famiglie di specie animali.

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Figura 4. Via delle Cappelle (Sesto Fiorentino).

Figura 5. Via del Boldrone (Firenze) Figura 6. Via di Fontemezzina (Sesto Fiorentino).

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Figura 7. Via della Pietra (Firenze). Figura 8. Vicolo di San Marco Vecchio (Firenze) Figura 9. Via de’ Bruni (il ponte è l’ingresso alla Villa La Pietra - Firenze).

Figura 10. Intonaco a punta di forchetta in Via di San Leonardo. Figura 11. Particolare del muro in via Suor Maria Celeste. Sopra e tra le pietre cresce la vegetazione.

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Figura 12. Via di San Leonardo (Firenze) Figura 13. Via San Leonardo in un dipinto di Ottone Rosai.

Figure 14-15. Sui muri nascono muschi, licheni e giaggioli.

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Il Granducato di Toscana dei Lorena: la riorganizzazione di una intera regione. Morto Giangastone dei Medici (1735), ultimo erede della famiglia, il granducato toscano entra a far parte dei territori appartenenti alla corona austriaca. Il 20 gennaio del 1739 Francesco Stefano di Lorena accompagnato dalla moglie Maria Teresa d’Austria, varca l’Appennino grazie alla scomoda via Bolognese ed entra a Firenze attraverso il nuovo arco di trionfo, fatto erigere in tutta fretta in suo onore alla Porta di San Gallo della città, per essere investito quale nuovo governatore della regione: per la Toscana si inaugura così una nuova epoca, quella lorenese, che la traghetterà all’Unità d’Italia come regione moderna e competitiva grazie ad importanti processi di trasformazione sia politici, socio-economici che territoriali. Sul principio della “civiltà dell’utile e del fare”1 tra i punti fondamentali della nuova politica della famiglia austriaca si trova l’uguaglianza fiscale, il riordino dell’istruzione scolastica e universitaria, la soppressione del Tribunale dell’inquisizione e l’abolizione della pena di morte e della tortura (1779). L’obiettivo è quello di trasformare, attraverso la disposizione di un unico quadro legislativo di riferimento e l’eliminazione di “ogni residuo e privilegio feudale”2, lo Stato ora formato dall’aggregazione di vari comuni in un’idea unitaria di regione moderna. Dal punto di vista territoriale il vasto programma di opere pubbliche si concentra laddove le aree si presentano in maggior stato di degrado o comunque marginalizzate rispetto agli altri territori: anche qui l’intento è di ammodernare e sviluppare la regione sia dal punto di vista culturale che economico3, grazie all’eliminazione del latifondo e di tutti quegli ostacoli che impediscono il libero scambio dei prodotti agricoli ribaltando la naturale predilezione legislativa in favore della città a danno delle campagne. Non è più solo quindi Firenze al centro dell’attenzione, ma la capitale e il suo Stato: “come dire che sviluppo e miglioramento della viabilità, andandosi a congiungere ai benefici derivati dalle bonifiche, si dimostravano funzionali alla politica generale del ‘decentramento’ che rientrava programmaticamente – e non sembri una contraddizione – nella logica del «territorio riunito».”4 Nascono così nuovi paesaggi fortemente strutturati secondo la nuova riforma agraria, dove i segni impressi in particolare da Pietro Leopoldo e Leopoldo II, tutt’oggi ben evidenti, derivano dalla regimentazione dei corsi d’acqua, dalle consistenti opere di bonifica nella Valdichiana, nel padule di Fucecchio, nel lago di Bientina e nelle Maremme (che dovrebbero vedere tra l’altro la nascita di piccoli proprietari terrieri attraverso l’allivellamento5), e dal nuovo assetto della viabilità più capillare e efficiente. Nonostante il basso grado di conservazione della viabilità lasciato in eredità dalla famiglia Medici6, a metà del Settecento il sistema complessivo delle comunicazioni viarie della regione si presenta

1 LEONARDO ROMBAI, Strade e comunicazioni nella Toscana lorenese, in Vie e mezzi di comunicazione nella Toscana dei Lorena, Comune di Fiesole, Fiesole 3-23 dicembre 1989, pag. 14. 2 ROMBAI LEONARDO, op. cit., Fiesole 3-23 dicembre 1989, pag. 13 3 Pietro Leopoldo difatti vuole rendere i contadini dei piccoli proprietari, migliorando al tempo stesso il loro tenore di vita. 4 CARLO CRESTI, La Toscana dei Lorena. Politica del territorio e architettura, Edizioni Amilcare Pezzi – Banca Toscana, Firenze 1987, pag. 121. 5 Con Pietro Leopoldo viene attuata la politica delle allivellazioni, “che tende a cambiare l’assetto della proprietà terriera: l’intervento è anche qui, di spezzettare il latifondo, vendere o «dare a livello» terreni di proprietà granducali, o di corpi morali, o delle comunità, a piccoli o medi coltivatori in proprio: gente, insomma, che stia sulla terra per farla produrre. Questo avvio delle allivellazioni maremmane, nel periodo leopoldino, è forse più importante delle bonifiche idrauliche compiute: è un’azione meno appariscente, ma che darà il via agli appoderamenti, agli insediamenti umani e ai miglioramenti delle produzioni agricole” (PAOLO BELLUCCI, I Lorena in Toscana. Gli uomini e le opere, Edizioni Medicea, Firenze 1984, pag. 257-258). 6 Ad esempio, la via Pontremolese e la Strada del Gioco, i due soli percorsi che collegavano la Toscana con il nord d’Italia e l’Europa, erano ridotti la prima ad una mulattiera e la seconda in strada alquanto impervia, lunga e disagevole. A sud i collegamenti erano svolti dalla strada romana per Firenze-Siena-Radicofani-Centeno-Stato Pontificio, e dalla strada aretina per Perugia. Il traffico mercantile veniva invece assicurato dal Val d’Arno inferiore, attraverso i territori altamente alluvionali delle “Cinque Terre” in Valdinievole (S. Maria a Monte, S. Croce, Castelfranco di Sotto, Montopoli e Fucecchio), congiungendo Firenze con Pisa, che a sua volta era collegata a Livorno e al suo porto. A parte i grandi tracciati il resto del sistema viario era fortemente in stato di degrado, senza nessuna gerarchia dei vari percorsi: “le vecchie strade pubbliche vicariali e comunitative, costruite senza codificate regolamentazioni, si presentavano, agli occhi di Pietro Leopoldo, soprattutto, come stradine, poco più di sentieri, sui quali a male pena era agevole il passo a cavallo. Anche le strade vicinali che, servendo agli interessi di pochi proprietari frontisti, dovevano, in teoria, versare in migliore stato, non

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abbastanza maturo e diffuso grazie ad una stratificazione plurisecolare di avvenimenti antropici sul territorio. Pietro Leopoldo (1765-1790) che succede a Francesco Stefano concepisce il riordino del nuovo sistema viario principalmente secondo due strategie: la realizzazione di strade carrozzabili che hanno il compito di mettere in comunicazione lo Stato con l’Europa, e in particolare con Vienna, e la messa in opera di un reticolo viario minore, che funge a scala locale, utile a favorire gli scambi tra le parti interne e ad organizzare i nuovi interventi antropici: se nei periodi precedenti era stata data alternamente maggior rilevanza alla viabilità locale o a quella di grande comunicazione, sotto Pietro Leopoldo l’intera viabilità viene concepita in un’unica ottica, in modo sia da migliorare le grandi strade sia quelle interne, “le quali sono quelle che più delle altre servono al trasporto di tutte le cose per l’intero”7. Alla rete di lunga percorrenza viene quindi affiancata una viabilità minore quale sistema connettivo e di sostegno allo sviluppo delle risorse economiche delle varie compagini territoriali: essa, in quanto strumento utile all’incremento e allo sviluppo dell’agricoltura, ha difatti il compito di collegare i vari centri agricoli tra loro, avendo comunque come riferimento principale del sistema, la città di Firenze. Le grandi strade hanno invece il compito di guardare all’estero, in particolare verso Vienna e l’Austria da una parte, paese di origine dei Lorena, e dall’altra oltre il porto tirrenico di Livorno: la strada non è più uno strumento strategico-militare ma assume la funzione di “veicolo di progresso economico, sociale e civile”8. Così la necessità di comunicare con il nord porta alla realizzazione delle prime vere transappenniniche quali la via dell’Abetone e della Futa (la Bolognese che in parte ricalca il tracciato medievale viene prontamente ammodernata e deviato da Leopoldo, reduce dall’esperienza di un viaggio lungo e faticoso per giungere dall’Austria a Firenze9) che comporteranno la modifica dei molti paesaggi montani improntati sulla struttura medievale. Appurato che la Magistratura dei Capitani di Parte istituita da Cosimo I de Medici nel 1549 non risultava sufficiente alla manutenzione e gestione delle strade Pietro Leopoldo nel 1763 fonda la Congregazione sopra le Strade e Ponti in sostituzione dei Capitani di Parte. I nuovi organismi operativi decentrati hanno il compito di redigere un registro delle strade nel quale sono indicate le misure della larghezza, della lunghezza, i relativi punti di partenza e di arrivo, i ponti, i toponimi, le proprietà confinanti, la presenza di edifici religiosi, di tabernacoli e maestà. Nel 1767 il granduca promulga una legge che obbliga tutte le comunità (città, borghi, terre o ville che fossero) a chiedere un prestito allo Stato per restaurare o costruire strade, ponti e fosse di scolo laterali10, e nel 1774 avvia la Riforma Comunicativa, dalla quale emerge la tendenza ad attribuire agli enti locali, ovvero alle comunità, il ruolo di unità politico-amministrativa di base dell’organizzazione statale: è qui che il granduca rimanda definitivamente alla singole comunità locali la gestione delle strade comunitative e dei tratti urbani di quelle regie che sono “quelle che per una sola direzione ed insieme con gli stabilimenti delle poste situate sulle medesime si partono da Firenze cominciando dalle infrascritte Porte di Città”11.

si trovavano, in realtà, in condizioni differenti.” (ESTER DIANA, In viaggio con il Granduca. Itinerari nella Toscana dei Lorena, Edizioni Medicea, Firenze 1994, pag. 18.) 7 CESARE BECCARIA, Elementi di economia pubblica, in “Biblioteca economica”, serie I, vol. III, pag. 426-27 o in “Scrittori classici di economia politica” parte moderna , vol. XI-XII, Milano 1803-1816. 8 ROMBAI LEONARDO, op. cit., Fiesole 3-23 dicembre 1989, pag. 15 9 La carrozzabile da Firenze a Bologna causò numerosi impatti al paesaggio circostante e non solo perché venne concessa la facoltà di “cavar pietra da ogni luogo”. Molti boschi difatti furono abbattuti, i limitrofi campi coltivati invasi da cantieri, fornaci, depositi di pietrame e occupati da recinti per gli animali utilizzati per il trasporto del materiale. Il nuovo tracciato che veniva poi spostato verso Barberino, comportò il declinarsi dell’attività economica di S. Piero a Sieve, Scarperia e di Firenzuola, che dovevano il loro passato sviluppo proprio grazie all’antico tracciato viario (vedi GIUSEPPINA CARLA ROMBY, Le grandi transappenniniche toscane: le strade carrozzabili bolognese e modenese, in “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997, pag. 97). 10 Tale legge serviva anche a realizzare le così dette strade dei poveri, opere che miravano a fornire lavoro ai disoccupati, allo stesso tempo cercando di risolvere un problema di organizzazione territoriale. 11 PIETRO LEOPOLDO citato in GABRIELLA OREFICE, Il rinnovamento del sistema stradale toscano nel ‘700. Ordinamenti, magistrature e tecnici, in “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997, pag. 23.

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Il sistema stradale fondato dai Lorena12, diviso in strade regie13, provinciali e comunitative, si distribuisce equamente in ogni provincia della regione e rimarrà pressoché immutato sino all’avvio delle grandi trasformazioni del secondo dopoguerra. Riguardo all’equipaggiamento stradale nel novembre del 1750 viene emanato un provvedimento che permette di piantare alberi, in particolare gelsi che sono utili per la coltivazione del baco da seta, lungo le strade regie nel territorio pisano, provvedimento poi esteso anche nelle province di Pistoia e Arezzo: “se l’intenzione era quella di rendere «fruttiferi i margini delle strade della Toscana» è anche vero che si ponevano in tal modo «le premesse per una nuova caratterizzazione formale (mediante i filari paralleli di alberi) della campagna»14 e per un diverso inserimento paesistico dell’intera rete stradale nel territorio”15. Le strade poi, in base alla classe di appartenenza (I regie e postali, II le comuninative) erano dotate di stazioni di posta , di locande per i viaggiatori, di cippi, fontane, abbeveratoi pubblici e di dogane poste ai confini dello Stato. Il carattere architettonico, la soluzione formale, rispondeva correttamente allo scopo per il quale venivano realizzati, con un linguaggio improntato sia alla efficienza, alla essenzialità compositiva, pur tuttavia non venir meno al preciso senso estetico del tempo. Nel febbraio del 1781 viene definitivamente stabilito che i proprietari dei terreni adiacenti o confinanti alle Strade Regie e Comunitative hanno “«una piena e libera facoltà di piantare per loro proprio profitto sul margine delle medesime qualunque specie di Piante, cioè gelsi, ed altri alberi da cima, o da frutto». Ciò poteva avvenire solo lungo i tracciati con una larghezza superiore alle 8 braccia, in modo da non impedire il transito dei carri e delle vetture”16. Riguardo alla tecnica costruttiva del tempo le strade possono essere lastricate (soprattutto nelle grandi città) e selciate (cioè fatte con sasso macigno17), o altrimenti sterrate. In genere in pianura sono preferite le più semplici massicciate, in particolare nei tratti meno transitati, i quali a protezione dell’acqua sono “con fosse ben fatte, larghe e profonde, di spazio in spazio fornite di zane dove guidare gli scoli verso i fiumi a torrenti vicini”18. Con il passare del tempo però la tecnica costruttiva utilizzata prevalentemente passerà dalla massicciata, all’inghiaiata o imbrecciata. L’attività di Pietro Leopoldo è fervente e varia, pur avendo sempre dinanzi un unico obiettivo regionale. Gli strumenti che egli adopera per il suo conseguimento sono agricoltura, bonifiche, viabilità e trasporti, cultura e istruzione, accomunati dal senso di razionalità, utilità e bellezza della semplicità. In questo modo con un’imponente opera di bonifica rende ad esempio la Valdichiana una terra fertile attraversata dalla via rotabile Firenze-Arezzo-Perugia: la strada, tracciata prevalentemente in pianura, da Firenze, passa per Pontassieve, supera la Sieve sul ponte mediceo e si avvia per la stretta valle dell’Arno al Ponte dell’Incisa19.

12 Gli interventi sono numerosi e di vario tipo riguardano progetti di adeguamento così come la realizzazione di nuovi tracciati. Per le varie descrizioni dei tracciati si rimanda ai numerosi libri sull’epoca lorenese, alcuni dei quali citati nella bibliografia del presente volume. 13 Dette anche Postali poiché erano quelle che per la loro maggior lunghezza necessitavano delle poste, ovvero i luoghi di sosta per il cambio dei cavalli dotati di osterie e locande per il ristoro del viaggiatore, che si andavano via via a sostituire all’antico sistema costituito da edifici e strutture religiose, ospizi e spedali. Queste si trasformeranno poi dopo la seconda guerra mondiale in strade statali. 14 CARLO CRESTI, op. cit., Firenze 1987 pag. 19. 15 GABRIELLA OREFICE, Il rinnovamento del sistema stradale toscano nel ‘700. Ordinamenti, magistrature e tecnici, in “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997, pag. 19. 16 ASF, Acquisti e Doni, f. 220, ins. 6. Citato in Gabriella Orefice, op. cit., 1997, pag. 19. 17 realizzate a secco nei tratti non molto battuti e con l’impiego di calcina in pianura 18 « Arch. Accad. Georg..» Concorso sulle strade, Memoria Porcius Cato…, citato in ILDEBRANDO IMBERCIADORI, Campagna toscana nel ‘700. Dalla reggenza alla restaurazione 1737-1815, Accademia Economico-Agraria dei Georgofili, Firenze 1953, pag. 113. 19 All' Incisa si riuniscono le due strade regie di Arezzo, quella più antica che da Firenze, per il Bagno a Ripoli, sale all'Apparita, per poi attraversare il poggio di S. Donato in Collina e di Torre a Quona (oggi a Cona) e poi scendere al Pian della Fonte, vecchia mansione ed ospedale presso l'Incisa, a 15 miglia da Firenze. L'altra è la via postale che dalla Porta alla Croce percorre lungo la ripa destra dell'Arno passando per Pontassieve, S. Ellero, davanti a Rignano e quindi, varcato l'Arno sul ponte di pietra di fronte al borgo dell'Incisa, va a riunirsi, dopo 21 miglia di cammino, alla vecchia strada aretina.

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Altre opere di bonifica sono effettuate nel padule di Fucecchio, nella maremma Pisana e livornese in minor misura in quella grossetana, nelle quali dopo un periodo preparatorio delle terre a pascolo e ad agricoltura cerealicola, si diffonde il paesaggio dell’alberata (Valdichiana, Valdinievole, Bientina, Fucecchio). Anche gran parte dei canali navigabili vengono restaurati e utilizzati come vie, in particolare quelli situati tra Firenze (Ponte a Signa), Livorno e Pisa, aventi tutti come riferimento principale il corso del fiume Arno: “una delle maggiori ricchezze del Granducato consiste nella navigazione dell’Arno. Questo fiume può dirsi il tronco maestro del commercio dei sudditi, e per tale causa la valle dell’Arno superiore ed inferiore vedesi la più popolata e la più ricca della Toscana. Le valli dei fiumi attirano sempre presso di sé in ogni luogo ed età il nerbo della popolazione, specialmente allora che furono navigabili e additarono quivi la via del commercio. Tutto tende a scendere vers’Arno il frutto industriale del Granducato”20. Sempre sotto il Granduca sono aperti i numerosi cantieri per i lavori riguardanti le nuove transappenniniche, poste a nord della Regione, e per rendere carrozzabili le grande arterie già esistenti. Per tutti i lavori Pietro Leopoldo si affida alle consulenze delle maggior figure di rilievo del momento in campo scientifico e di varie professionalità, matematici, ingegneri e architetti in genere, come Leonardo Ximenes il quale opera in particolar modo nella Valdichiana. Pur tuttavia il Granduca segue direttamente, attentamente e con passione, ogni scelta e ogni stato di avanzamento delle opere con l’intento di eseguire opere utili e belle senza mai in ogni modo eccedere nello sfarzoso e nell’inutile. Egli difatti prende veramente a cura i problemi della popolazione della regione, e per questo motivo effettua numerosi viaggi per tutta la regione dei quali sono rimaste numerose annotazioni trascritte: seguendo le strade che percorre emergono varie caratteristiche locali e le diverse realtà geografiche della regione stessa così come la diversa fisionomia e le numerose realtà economico-sociale delle aree attraversate. Per incentivare i rapporti con gli stati esteri viene restaurata la strada che per Roma passa da Siena e Radicofani. Il tratto sino a Siena e all’attraversamento dell’Orcia mantiene il solito tracciato, subendo solo un allargamento della massicciata (quattro metri e mezzo e sei con le banchine), ma in prossimità di S. Quirico viene deviata e portata in pianura costruendo ben cinque ponti sull’Arbia, sull’Ombrone a Buonconvento, sul fosso delle Serlate, sull’Asso a Torrenieri e sul Formone. Anche qui come con i Medici il restauro si ferma a Radicofani, lasciando ancora un ponte in legno sul torrente Elvella. Da Firenze le strade per raggiungere Arezzo sono tre: la via Aretina, che passa lungo il fondovalle dell’Arno, l’antica “Strada dei Sette Ponti” che passa a mezza costa e lungo la quale si concentrano toponimi di origine etrusca, numerosi borghi e pievi del periodo romanico, e la strada Casentinese, che avrebbe dovuto comunicare con l’Adriatico. Per la casentinese il matematico Pietro Ferroni assieme agli ingegneri Giuseppe Salvetti e Anastagio Anastagi, studiano un progetto di riammodernamento della rete stradale evitando di distruggere “il vecchio sistema degli antichi tracciati, [cercando piuttosto di effettuarne] una attenta riconfigurazione grazie ad esempio ad interventi puntuali (anche ponti), adattando il percorso alla naturale conformazione del sito, e la possibilità di costruire alcune “opere di ingegno” laddove questo non è possibile”21. La strada casentinese, classificata come strada comunitativa numero 2 nella redazione delle “Piante di Popoli e Strade della Comunità di Ponte a Sieve”, viene quindi resa carrozzabile tra il 1787 e il 1789, da Pontassieve sino alla Consuma22: quest’operazione, insieme alla nuove liberazioni delle risorse boschive modificano profondamente il paesaggio circostante.

20 PIETRO FERRONI citato in ROMBAI LEONARDO, op. cit., Fiesole 3-23 dicembre 1989, pag. 22. 21 ELISABETTA PIERI, Tra Arno e Appennini: i collegamenti da Firenze ad Arezzo in periodo leopoldino, in “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997, pag. 60. 22 Ai primi del Novecento venne aperta la “Strada Baccelli” ministro dell’agricoltura nel gabinetto Zanardelli), congiungente la Consuma con Vallombrosa ed il Saltino. La strada Casentinese fu invece completata sul versante del Casentino soltanto nell’età della restaurazione, nel 1815, “sotto la soprintendenza dell’ingegnere Neri Zocchi, e potevano dirsi praticamente conclusi nel 1818; la nuova rotabile venne classificata come “Strada Provinciale del Casentino”. Vedi La strada casentinese e il passo della Consuma in http://www.storiaecultura.it/cornucopia/abitati/consuma.htm

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Con queste molteplici opere Pietro Leopoldo evidenziava che il problema principale non era dovuto alla mancanza di tracciati (pensiamo ad esempio alla fitta rete di stradelle che collegava Firenze con Siena attraverso la campagna, borghi e case sparse), ma piuttosto alla loro transitabilità e percorribilità, fatto che sottolineava una problematica relativa alle competenze e alle responsabilità, in cui spesso l’ interesse del privato prevaleva su quello pubblico: per questo motivo la manutenzione delle strade di I Classe ovvero le strade Regie o Postali e di II Classe (le strade Comunitative con l’esclusione delle vie vicinali ad uso privato) rimase a carico dello Stato mentre nel “caso di strade di campagna lungo le quali i confinanti avessero piantato alberi fruttiferi come gelsi, viti ed olivi, la legge invece stabiliva che i costi di manutenzione dovessero ricadere su questi stessi possidenti secondo il principio “che chi vi ha l’utile vi abbia anco l’incomodo”23. Così come le strade vicinali che, se pur a gestione pubblica, dovevano essere mantenute dai singoli proprietari dei fondi da queste attraversati. È indubbio che queste grandi opere portano un nuovo impulso all’agricoltura: le sistemazioni idraulico-agrarie si propagano in pianura, con la rete dei fossi e dei canali affiancati dalla viabilità campestre, e in collina con i ciglioni, le lunette, i terrazzi o i gradoni su cui vengono sistemati non solo la vite o l’olivo ma anche i castagneti, come così è possibile ancora oggi osservare nel Chianti e sull’Amiata e nel Casentino. La campagna si arricchisce di colori, piante, coltivazioni, ogni cosa ha un suo preciso ruolo così come le più umili piante di rose canine, ginestre e giaggioli che sembrano casuali e spontanee ma che in realtà crescono ai margini dei campi o sui ciglioni, in quanto utili alla produzione delle essenze. Durante l’intervallo napoleonico, tra il 1796 e il 1814, viene emanata la prima legge sulle strade con decreto del 27 marzo 1804 e la legge del 6 maggio 1806 che costituisce il Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade sul modello del Pont et chaussees francese. In questo periodo viene progettata nel 1809 la strada tra i due mari che avrebbe dovuto collegare il Tirreno con Adriatico, seguendo il tragitto che dal porto di Livorno congiungeva via Arezzo, Fano o Pesaro. In realtà dell’intera direttrice viene però realizzato solo il tratto tra Arezzo e San-Sepolcro. È forse in questo periodo che molti viali di accesso ai centri urbani, in particolare su volere Elisa Baciocchi o per imitazione del gusto francese che con loro andamento rettilineo vengono affiancati da grandi filari alberati in particolare di platani e tigli. Con il ritorno dei Lorena e in particolare con Leopoldo II (granduca dal 1824 sino al 1859, cioè all’unità d’Italia), riprendono i lavori per le opere pubbliche cominciate da Pietro Leopoldo: nel suo primo anno cominciano i lavori per via Firenze-Arezzo-Chiusi-Roma che corre lungo la riva sinistra del Canale maestro grazie ai lavori di bonifica ormai quasi completamente terminati e nel 1825 mette Alessandro Manetti alla direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade. Durante il suo regno vengono completate quasi tutte le grandi bonifiche e aperte definitivamente tutte le transappenninche tra le quali si evidenziano per bellezza sia del tracciato che dei paesaggi attraversati quella del Muraglione e la Modenese dell’Abetone. Viene completato inoltre il recupero e il restauro della Via Aurelia, tracce dell’antica strada erano difatti riaffiorate durante la bonifica delle Maremme. Ma la sua grande passione, o per taluni una vera e propria fissazione, è la Maremma grossetana a cui dedica molte delle sue forze per levarla dalla condizione di degrado e di insalubrità. Con motuproprio nel 1828 viene decisa l’ opera di bonifica dell’intera Maremma attraverso la colmata del lago di Castiglione, la regimazione delle acque e la realizzazione di nuovi collegamenti stradali, i quali servono ad allacciare tra loro i paesi esistenti e a costituire una continuità tra l’entroterra e la costa. Nella sola provincia grossetana sono realizzati e/o restaurati 393 chilometri di strade e 126 ponti, ma il sistema viario necessita di un fulcro principale. Appare quindi la necessità di costruire una strada maestra “che la fendesse tutta, e l’aprisse al commercio e questa fu l’opera di sette mesi di lavoro attraverso impenetrabili macchie e perigliosi pantani. Questa strada detta la Emilia [che era poi l’Aurelia], fu di poi ricongiunta dall’una estremità al porto di Livorno, dall’altra al confine romano verso Civitavecchia, perché potesse servire al transito delle merci e dei passeggeri dall’alta

23 ILDEBRANDO IMBERCIADORI, op. cit., Firenze 1953, pag. 115

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alla bassa Italia. Essa era inoltre destinata a collegare ogni tentativo di colonizzazione futura delle diverse valli della Maremma”24. Grazie a queste opere in pochi decenni il volto della Maremma muta: nel 1839 Leopoldo II decide che il cippo stradale di San Vincenzo debba essere “maggiore degli altri e più distinto, perché l’ingresso della Maremma”25 ovvero perchè segnare l’ingresso ad una zona, che paludosa e malarica è destinata a diventare “un grande maestoso giardino”26. Anche in campo urbano sotto il periodo lorenese avvengono modifiche determinanti che cambiano il modo di costruire le città: a Firenze e a Lucca vengono allargate, prolungate o anche aperte nuove direttrici, al fine di decongestionare particolari zone problematiche, la nuova Livorno, città che ha il principale porto del granducato, vede invece un’espansione che dal nucleo antico e mediceo della città si espande a raggiera, “offrendo chilometriche quinte ad un’edilizia grandiosa e severa, improntata a quella spoglia efficienza che è una caratteristica che accomuna le forme più povere del classicismo della Restaurazione, qui nella sua versione per così dire popolare, alla gloriosa tradizione e lorenese e toscana dell’architettura della pubblica utilità”27. Una novità importante dal punto di vista dei trasporti e che comporta un ulteriore sviluppo edificatorio legato fortemente all’infrastrutturazione della regione è dato dall’arrivo del treno come mezzo utile allo spostamento. Sotto Leopoldo II sono realizzate le prime tratte ferroviarie che mettono in comunicazione Firenze con Pisa-Livorno (tra il 1844-48 viene realizzata la “Leopolda” che giungerà alla stazione di Porta a Prato a Firenze il 10 giugno del 1848) e con Prato-Pistoia-Lucca (la “Maria Antonia” che partendo dagli orti di S. Maria Novella giungeva a Prato e a Pistoia nel 185128) e infine con la linea Empoli-Siena, dando così complessivamente un ulteriore notevole impulso insediativo in tutta la piana del Valdarno inferiore. L’utilizzo del treno comporta inoltre la totale scomparsa della pratica della navigazione dell’Arno, attività già ridotta a causa della bonifica dei laghi e dei paduli di Massacciuccoli, Fucecchio e Bientina, per colmata piuttosto che per canalizzazione e riduzione. In conclusione il rafforzamento della maglia infrastrutturale e delle vie di comunicazioni del periodo lorenese portano all’accelerazione della diffusione delle persone nella campagna, facilitando la politica di decentramento. Esempio sono le nuovi grandi fattorie granducali e delle alienazioni dei bacini di Bientina e Fucecchio, della Valdichiana, della Maremma Cecinese e Grossetana. Nel complesso però, anche se lungo la rete stradale si registrano aumenti di locande, alberghi, poste, mulini e frantoi, piccoli borghi e nuove case di abitazione, non si annotano fenomeni particolari “di coagulazione di nuovi agglomerati”29 ad eccezione della via Aurelia–Emilia lungo la quale sorgono nuovi insediamenti come Cecina, Vada e Follonica, oltre a pochi altri casi dove germogliano piccoli villaggi legati alle strutture proto-industriali come le ferriere della Montagna Pistoiese. La popolazione quindi si diffonde consistentemente nella campagna in modo quasi puntuale, con i propri poderi, e costella il proprio territorio, fittamente lavorato, di oratori, cappelle votive, tabernacoli, croci stradali, a testimonianza del carattere sacro assunto da taluni luoghi dove la vita religiosa trova i suoi momenti di aggregazione e le sue manifestazioni devozionali30.

24 LEOPOLDO II, Memoria dettata il 14 luglio 1840, A.S.F., Segr. Di Gabinetto, Appendice 235, citato in PAOLO BELLUCCI, op. cit., Firenze 1984, pag. 261. 25 Leopoldo II, Maremma viaggi, 1839, appunto n. 84, A.S.F., Segr. Di Gabinetto, Appendice 162. 26 Maremma giornale, 7 dicembre 1843, A.S.F., Segr. Di Gabinetto, Appendice 175. 27 Itinerari lorenesi in Toscana, La viabilità in http://www.toscana-europa.it/?sezione=13&dettaglio=69 28 Tratto che poi sotto Vittorio Emanuele II verrà prolungato sino oltre l’Appennino (l’inaugurazione della stazione di Porretta Terme avviene nel 1864). 29 Vedi ROMBAI LEONARDO, op. cit., Fiesole 3-23 dicembre 1989, pag. 29. 30 RENATO STOPANI, Il paesaggio agrario della Toscana. Tradizione e mutamento, FMG Studio Immagini S.A.S., 1989 Firenze, pag. 90.

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Figura 1. Pianta dei Paesi nei quali restano situati gli Spedali fissati per il ricevimento ei Poveri e Pellegrini che passeranno per lo stato della Toscana per andarsene ad altri Stati Alieni” […] All’avvenire i pellegrini o poveri potranno introdursi e attraversare la Toscana perché non vadano vagando per lo Stato”.

Figura 2. La pianura di Grosseto dal castello di Castiglione della Pescaia. Si osservano la Pineta del Tombolo lungo la costa a protezione delle terre interne e i retrostanti specchi d’acqua residui dell’antico Lago di Prile.

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Figura 3. Viabilità principale nella pianura bonificata di Grosseto. Figura 4. Tipica casa colonica lorenese nel Valdarno (dalla strada dei Setteponti).

Figure 5-6. Filari di tigli affiancano le strade di accesso ai centri urbani di Scarperia e Palazzuolo.

Figura 7. Casa Ximenes o Casa Rossa dotata di cataratte per regolare l’entrata e l’uscita delle acque tra il lago di Castiglione e il mare. Figura 8. Nei paesaggi maremmani dominano i seminativi, talvolta delimitati da filari di querce da sughero.

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Figura 9. Le strade principali esistenti al 1859 (cioè alla fine del granducato lorenese) in Toscana.

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Scheda n. 6 LE TRANSAPPENNINICHE: LE STRADE DELL’ABETONE E DEL MURAGLIONE. Tra le caratteristiche del progetto riformatore lorenese che riguarda nello specifico la grande viabilità vi è la realizzazione di numerose strade che hanno il compito di superare la barriera appenninica posta a nord della regione. Ben otto delle dodici vie vengono difatti riammodernate, cioè rese carrozzabili, o costruite ex novo, sotto Pietro Leopoldo e Leopoldo II. Esse dovevano innanzitutto mettere in comunicazione il Granducato con le regioni del nord Italia, ma soprattutto con l’Austria, paese di origine della casa lorenese, e creare un legame tra il porto austriaco di Trieste il porto toscano di Livorno. La prima strada di montagna che fu resa rotabile tra il 1740 e il 1750 fu proprio la Bolognese per il valico della Futa e della Raticosa (m. 968), ovvero quella strada che molto faticosamente aveva permesso a Francesco Stefano di Lorena e a Pietro Leopoldo poi di giungere a Firenze per essere proclamati governatori del Granducato della Toscana, ma la Strada Modenese (o dell’Abetone) e la Strada di Romagna (o del Muraglione) sono forse gli esempi più significativi. La strada Modenese dell’Abetone. Risalgono al Medioevo le prime fonti certi circa l’esistenza di una via di collegamento tra Pistoia e Modena1, e al 1600 circa la prima idea di realizzare una carrozzabile tra il granducato di Toscana e il ducato di Modena. Il progetto di rendere la strada percorribile ai traffici comunque risultò subito un’opera prioritaria per la famiglia lorenese in quanto permetteva, tramite Pistoia, una rapida via per Mantova, la più importante base austriaca in Italia2, oltre a stabilire un più celere collegamento tra il porto di Livorno e l’Austria, senza passare dallo Stato della Chiesa (territorio bolognese). I lavori della strada Pistoia – valico del Boscolungo cominciarono sotto Pietro Leopoldo nel 1767 e furono terminati nel 1781: autori del progetto furono Leonardo Ximens3 che revisionò il precedente progetto di Anastasio Anastagi nel versante toscano, e l’ingegner Pietro Giardini che operò nel versante modenese. La strada «militare» e «commerciale» Ximeniana, per raggiungere più rapidamente il porto di Livorno fu inoltre “raccordata alla Valdinievole mediante il rifacimento delle idrovie collegate all’Arno e la costruzione, tra il 1773 e il 1783, di un nuovo sistema di vie carrozzabili, a cui attesero lo stesso «matematico regio» Ximenes e Pietro Ferroni.”4 La strada, data la morfologia del territorio, comportò subito immediate conseguenze al paesaggio: in particolare nel tratto tra S. Marcello ed il confine, essa veniva tracciata a mezza costa e attraversava vaste aree boscate ancora intatte. Nell’ultimo tratto, tra il Fosso di Botraia e il valico la strada necessitava di numerosi tornanti in quanto doveva superare un dislivello di 700 metri in una breve distanza lineare, infine poi percorreva “la pianeggiante foresta di Boscolungo, particolarmente adatta con i suoi “bellissimi abeti” a riparare i viaggiatori dai venti”5. I lavori richiedevano quindi numerosi cantieri, il taglio nei boschi e del profilo dei versanti, quest’ultimi quasi sempre effettuati con l’esplosivo. Presso il valico di Boscolungo, oggi Abetone6, a 1375 metri, nel 1778, a completamento dell’opera, furono erette due piramidi in pietra e ornate di marmo “le cui epigrafi rispecchiano la diversa mentalità dei due governi: in quella modenese si parla di strada militare da Mantova al confine

1 In realtà sembra che un antico tracciato che collegava l’Etruria padana all’Etruria toscana fosse qui presente sin dal VI sec. a.C. 2 Vedi PAOLO BELLUCCI, I Lorena in Toscana. Gli uomini e le opere, Edizioni Medicea, Firenze 1984, pag. 322. 3 La strada è stata denominata in vari modi: Modenese, Ximeniana o Giardini-Ximenes in onore del suoi progettisti, strada commerciale e/o militare, infine strada dell’Abetone. 4 MARGHERITA AZZARI E LEONARDO ROMBAI, La rottura degli equilibri. Il processo di colonizzazione della toscana fra Sette e Ottocento, in CLAUDIO GREPPI (a cura di), Quadri ambientali della Toscana. Paesaggi dell’Appennino, Marsilio Editori, Venezia 1990, pag. 46 5 PAOLO BELLUCCI, op. cit., Firenze 1984, pag. 323. 6 Il nome dell’attuale centro sorto proprio sul punto di valico sembra derivare da un abete “tanto grande da non poter essere abbracciato neppure da sei persone con le braccia tese” abbattuto per far posto alla settecentesca strada Modenese.

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toscano, nell’altra si loda il granduca Pietro Leopoldo come il restauratore della libertà di commercio”7. Il disegno delle due piramidi, la forma classica e la dimensione che le contraddistingue, è riconducibile a quel concetto di architettura, illuminista e sentimentale al tempo stesso, a servizio della società: un’architettura che oltre ad essere funzionale deve contenere in sé il concetto di monumento e di simbolo in quanto deve parlare, comunicare, con la società al fine di accrescere la dignità civile8. Altre importanti opere andarono ad ornare la strada come i due ponti monumentali dello Ximenes sui torrenti Lima e Sestaione. La strada non modificò solamente fisicamente il contesto con la sua presenza ma determinò l’organizzazione, lo sviluppo o il regresso, dei processi insediativi ad essa collegati. Dal punto di vista economico ebbero vantaggi i centri siderurgici della Val di Lima, (Cammino, Pontepetri, Sestaione e Cutigliano), mentre i centri abitati di Piteglio, Lizzano, Lancia e Gavinana vennero marginalizzati dalla nuova direttrice. Certo è che lungo la Modenese nacquero fabbriche e locande, ma nuovi poderi e appezzamenti agricoli9, dato che ad intere famiglie di contadini avevano ricevuto la concessione di costruire lì la propria casa al fine di provvedere al mantenimento della strada stessa, si insediarono in prossimità del valico e dettero vita all’odierno centro urbano dell’Abetone. Con l’inaugurazione della ferrovia Porrettana, nel 1863, la strada perse via via di importanza come principale collegamento con l’Emilia Romagna e l’economie delle località ad essa connesse ebbero un brusca ricaduta. Solo con l’avvio dell’attività turistica che ebbe inizio negli anni Trenta del Novecento con il progetto di realizzare un grande centro sciistico nella Val di Luce, l’economia della valle riceve un nuovo impulso positivo. In quanto opera di prestigio la strada dell’Abetone fu considerata da molti viaggiatori del passato una delle più belle realizzazioni stradali della Toscana. Ad esempio nel 1786 da Bourkard la descrive come via splendida e lussuosa: “La via serpeggia dolcemente intorno alle montagne più alte e in nessuna sua parte la pendenza è ripida. È dotata di una balaustra ininterrotta in pietra e spesso, per consolidare la strada, questa muraglia discende giù nel burrone. Non esiste alcun punto in cui i cavalli, anche quelli più focosi e che le briglie non riescono a trattenere, possano mettere in pericolo i viaggiatori. Sono state ovunque prese misure per evitare che una vista paurosa provochi qualsiasi impressione fastidiosa. I ponti sono magnifici; due in particolare sono degni di nota: uno in marmo bianco che oltrepassa un piccole fiume [Lima], l’altro che unisce sul vuoto due alte pareti rocciose tra le quali precipita un torrente tumultuoso [Sestaione]. Questo ponte è un’opera bella e temeraria, degna dei Romani, di straordinaria leggerezza ed eleganza. È abbellito da due fontane con getti d’acqua ed è opera del celebre Ximenes.”10 La transappenninica dell’Abetone venne considerata in breve tempo la “più importante opera stradale del secolo XVIII in tutto l’Appennino settentrionale e, fra i lavori pubblici, «il più grandioso di tutti quelli portati ad esecuzione durante il regno Leopoldino, eccetto il tentativo di bonificare la pianura grossetana»11 Oggi la strada ricade in parte nel tratto della strada regionale n. 66 tra Pistoia e San Marcello Pistoiese, e tra quest’ultimo e il confine regionale nella strada statale n. 66 che da Lucca si collega al Brennero. Lungo l’arteria, in particolare nella vicinanze del centro urbano di Pistoia, si sono sviluppati anche recentemente, numerosi agglomerati lineari di case – villette per la residenza, mentre la strada stessa appare abbastanza transitata nei giorni festivi e nella stagione invernale per raggiungere le varie località sciistiche situate a più alta quota. Per questo motivo la Provincia di

7 ESTER DIANA, In viaggio con il Granduca. Itinerari nella Toscana dei Lorena, Edizioni Medicea, Firenze 1994, pag. 354. 8 Vedi CARLO CRESTI, La Toscana dei Lorena. Politica del territorio e architettura, Edizioni Amilcare Pezzi – Banca Toscana, Firenze 1987, pag. 122. 9 Con motupropri del 1782 e del 1783 il granduca decise di incentivare la realizzazione di piccole case nel tratto più montano a nord ai margini della strada regia Pistoiese. 10 A.C. BOURKARD, Journal d’un voyage en Italie en 1786, Paris, s.i.t. 1983, citato in ANNA GUARDUCCI, In viaggio. Viabilità, mezzi di trasporto, supporti di traffico e percezione paesaggistica nella Toscana centro-settentrionale del Settecento, in “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997, pag. 43. 11 ANTONIO ZOBI, Storia civile della Toscana, citato in PAOLO BELLUCCI, I Lorena in Toscana. Gli uomini e le opere, Edizioni Medicea, Firenze 1984, pag. 324.

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Pistoia sta attuando un progetto di variante alla strada regionale al fine di ridurre i tempi di percorrenza, fluidificare il traffico con aumento della sicurezza stradale12, costituita da un nuovo tracciato che elimina due tornanti di raggio molto stretto13.

Figura 1. Carta della provincia di Pistoia con il tracciato della Via Modenese..

12 Vedi Provincia di Pistoia, Variante alla S.R. 66 Pistoiese in località Bimestre, Progetto esecutivo, Relazione generale, http://www.provincia.pistoia.it/VIABILITA/PROGETTI/VarianteSS66_Limestre_Esecutivo_28_06_06/index.htm. 13 Purtroppo, come in molti altri casi simili, nella relazione generale del progetto esecutivo che prevede, data la natura morfologica, numerosi sbancamenti e movimenti di terra, non compaiono precise indicazioni per quanto riguarda il rapporto tra infrastruttura e paesaggio. Gli unici suggerimenti sembrano provenire dalla Soprintendenza che consiglia di ricoprire i muri di sostegno con pietra locale ad opus incertum e limitare il più possibile i movimenti di terra. Incerta appare anche la futura destinazione del tracciato storico dimesso.

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Figure 2-3. Immagini della Via Modenese presso il passo dell’Oppio e San Marcello Pistoiese.

Figura 4. Fabbrica del 1822 sul torrente Lima. Figura 5. Centrale idroelettrica dei primi del Novecento sul torrente Lima

Figura 6. Ponte sul torrente Lima per la deviazione per Lizzano.

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Figura 7. Immagine del ponte sul torrente Lima oggi non più esistente. Figura 8. Recenti opere di contenimento del terreno.

Figura 9. Le due piramidi poste sul confine del granducato toscano, oggi centro abitato dell’Abetone.

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La Strada di Romagna o del Muraglione Al fine di eliminare l’isolamento della “«meschina» Romagna Toscana […], e insieme per collegare Livorno a Cesenatico e agli scali vicini, e così «aprire al commercio toscano uno sbocco verso l’Adriatico […] mediante una strada comoda e in tutti i tempi praticabile dalla ruote, anche sul dorso della montagna»”14, nel 1782 il granduca Pietro Leopoldo dispose la realizzazione della terza “barrocciabile” appenninica (dopo appunto la Bolognese e la Modenese) che avrebbe dovuto collegare Firenze con Forlì15. La realizzazione della strada, a causa dell’intervallo della dominazione francese incontrò notevoli difficoltà sia di carattere tecnico che politico. Per questo il problema relativo all’attraversamento di questo tratto appenninico tra la Toscana e l’Emilia Romagna viene risolto definitivamente solo sotto Leopoldo II. Nel 1831 su incarico del granduca, Alessandro Manetti preparò il progetto indicando il tracciato più diretto per raggiungere San Benedetto, “cioè arrivando a una «colla» poco lontana in linea d’aria e calando poi lungo il Montone”16. Per la prima volta, per varcare il passo appenninico, non vi era la necessità di prendere accordi con interlocutori di altri Stati in quanto anche il versante opposto ricadeva nel granducato di Toscana. Non a caso infatti la strada aveva il compito si di trovare una via più agevole tra Firenze e l’Adriatico, ma anche quello di connettere la Romagna Toscana al suo granducato essendo questa situata oltre il crinale, isolata e quindi povera e mal governabile. Il percorso fu completato nel 1836, e lungo 16 miglia, largo dai 5,80 ai 6,40 metri, ricalcava il tracciato di qualche antica mulattiera: partiva da Pontassieve (staccandosi dalla Firenze-Arezzo), e risalendo il corso della Sieve e di un suo affluente, raggiungeva Ponticino presso San Godenzo e i “piedi della parete montuosa che separa la valle della Sieve da quella del Montone”17. Il Manetti infine risolse con una serie di tornanti il superamento di una parete aspra nella salita, avente un dislivello di circa 300 metri, per raggiungere la Colla di Patriglioni, oggi Passo del Muraglione (907 msl), una depressione del crinale da cui poi la strada scendeva verso Rocca San Casciano, Castrocaro e Terra del Sole, terra di confine del granducato situata a pochi chilometri da Forlì e dalla via Emilia. Proprio per la difficoltà di attraversamento del passo appenninico, la strada venne definita come un’ardita opera di ingegneria che richiese, come per la Modenese, tagli nel fianco della montagna che furono realizzati con l’aiuto delle mine. Il risultato era un’affascinante carrozzabile che permetteva di osservare i seducenti paesaggi della montagna: con le nuove transappenniniche l’Appennino non era più una scomoda barriera da superare ma un insieme di luoghi di alto valore naturalistico e scenografico: “siccome la conformazione della montagna era tale che il suo versante rivolto a mezzogiorno non aveva contrafforti molto sporgenti sulle insenature, si combinò il tracciamento dall’alto in basso, come dal basso in alto, potesse riuscire per buona parte visibile a chi scendeva e a chi saliva, con effetto veramente scenico prodotto dai suoi serpeggiamenti”18. Sulla Colla di Patriglioni l’architetto Manetti costruì una casa cantoniera, un albergo ed un grande muro a vela in mezzo alla strada utile a riparare i viaggiatori dal forte vento che proveniva da ogni direzione. Il caratteristico muro, chiamato “il Muraglione” che dette così il nome al passo e alla strada, fu realizzato secondo l’asse della strada in quanto doveva dare “la scelta del passo ora da una parte ora dall’altra per coprirsi dal vento spirante con preponderanza sul vento opposto”19. La strada del Muraglione, oggi strada statale n. 67, è tutt’oggi una via famosa per i suoi tornanti, particolarmente amati dai motociclisti, da cui è possibile ammirare la bellezza dei paesaggi che la circondano. Al Passo del Muraglione è difatti ubicata una delle “porte di accesso” del Parco

14 LEONARDO ROMBAI, Una storia della viabilità di Firenze … in LEONARDO ROMBAI (a cura di), Le strade provinciali di Firenze: geografia, storia e toponomastica, Firenze, L. S. Olschki, 1992, pag. 101. 15 Anche in questo caso la strada è stata denominata in diversi modi: via Dicomanese, Forlivese, Regia Forlivese, Nazionale Forlivese, Nazionale per Livorno, strada maestra di Pontassieve, strada o maestra di Romagna, via Romagnola per Pontassieve-Dicomano-S. Godenzo. 16 PAOLO BELLUCCI, op. cit., pag. 336 17 Ibidem. 18 DANIELE STERPOS, Le strade di grande comunicazione della Toscana verso il 1790, Firenze, Sansoni 1977. 19 ALESSANDRO MANETTI. Manetti fu allievo (dal 1808) della Scuola parigina dei “Ponti e Strade” e lavorò a diverse opere pubbliche in Francia, Belgio, Olanda e Prussia. Suo è anche il famoso ponte sospeso con canapi di ferro sull’Ombrone, alla Villa di Poggio a Caiano.

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nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Inoltre la strada si presenta ancora come una valida e rapida alternativa all’autostrada Firenze – Bologna – Forlì (A1 – A14) per coloro che dalla provincia di Firenze vogliono raggiungere le località balneari romagnole.

Figura 10. Strada del Muraglione: Viadotto con arcate in muratura e pietra.

Figure 11-12. Tornanti della strada del Muraglione.

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Figura 13. Veduta della catena appenninica dalla strada del Muraglione.

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Figura 14 -15. Il muraglione a vela al centro della strada e il “cartellone in marmo” che annunzia la realizzazione dell’opera stradale per dare “facile accesso alla Romagna Toscana”.

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Scheda n. 7 IL VIALE DI CIPRESSI DI BOLGHERI I cipressi che a Bólgheri alti e schietti Van da San Guido in duplice filar, Quasi in corsa giganti giovinetti Mi balzarono incontro e mi guardâr. Mi riconobbero, e - Ben torni omai - Bisbigliaron vèr me co 'l capo chino - Perché non scendi? perché non ristai? Fresca è la sera e a te noto il cammino. Oh sièditi a le nostre ombre odorate Ove soffia dal mare il maestrale: Ira non ti serbiam de le sassate Tue d'una volta: oh, non facean già male! Nidi portiamo ancor di rusignoli: Deh perché fuggi rapido così Le passere la sera intreccian voli A noi d'intorno ancora. Oh resta qui!1 Il maestoso Viale dei Cipressi, una delle sistemazioni paesaggistiche più eloquenti della regione tanto da diventare simbolo della stessa provincia di Livorno, taglia trasversalmente la piana litoranea della Maremma settentrionale, palude bonificata dai Lorena2, attraversata longitudinalmente dall’antica consolare Via Aurelia, oggi Strada Statale n. 1, collegando fisicamente la pianura con le prime pendici collinari dell’entroterra. Il Viale, oggi ricadente nel comune di Castagneto Carducci, prese l’attuale sistemazione tra il 1800, durante i lavori di rettifica della Via Aurelia in Strada Regia3 e i primi anni Venti del Novecento, dopo cioè la morte del poeta Giosuè Carducci che qui vi aveva soggiornato in gioventù e dedicato ai luoghi maremmani poesie quali Idillio Maremmano, Nostalgia e Davanti a San Guido. Durante i lavori di ammodernamento della Strada Regia del 1825, la sede stradale dell’Aurelia viene spostata e ampliata rispetto al tracciato precedente, raggiungendo così circa 7 metri di larghezza, e rialzata rispetto al terreno circostante bonificato di 1,20 m.: al suo fianco corrono due fossi laterali per la regimazione delle acque e una palizzata per proteggerla dagli animali allo stato brado. Il Conte Guido Alberto della Gherardesca, proprietario dei terreni che si estendevano tra Bolgheri e Castagneto, sia per motivi tecnici, ovvero consolidare gli argini della strada, sia per motivi ornamentali e di rappresentanza, oltre che per dotare di un’opportuna ombreggiatura la strada, pianta su ambo i lati un filare di pioppi cipressini lungo tutto il tracciato di sua competenza. I nuovi lavori di rettifica dell’Aurelia rafforzano la necessità di completare lo stradone rettilineo iniziato nel 1732 utile a collegare il castello di Bolgheri, lì situato dalla prima metà del 15004, direttamente con la nuova strada regia5. Nel 1828 la manutenzione dello “stradone” viene affidata al conte che come aveva già fatto per l‘Aurelia, lo correda nella parte iniziale di pioppi cipressini.

1 Giosuè Carducci, Davanti san Guido 2 Come testimonianza della palude oggi rimane il “Padule” di Bolgheri, importante area umida e oasi del WWF. 3 La Via Consolare romana, che divenne Regia nel 1825, passava anticamente con un tracciato spostato verso la costa. Nel corso dei secoli questo fu modificato numerose volte sino a spostarlo nella parte interna al di sopra delle aree delle paludi. 4 L’esistenza del centro abitato di Bolgheri è documentata dall’VIII sec., ma in realtà aveva una ubicazione diversa quella attuale. 5 Il nucleo urbano era difatti collegato con la Via Aurelia con una strada sinuosa che scorreva a fianco del torrente della Carestia Vecchia, che incrociava la strada per Bibbona.

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Inoltre, in occasione della visita del Granduca, che avviene nel 1832 quando la strada Regia è terminata, sistema gli spazi esterni del podere San Guido “affinché risultasse ben curato”6. Le piante però in questo caso non vengono protette dalla palizzata e in breve tempo le piccole pianticelle vengono divorate dagli animali allo stato brado. Così il conte decide di sostituire i pioppi con i cipressi, i quali erano “immaginabili anche dalle bestie che pascolavano liberamente”7. Attorno agli anni Quaranta dell’Ottocento il notevole effetto paesaggistico del primo tratto del viale spinge il conte ad ordinare numerose altre piante di cipressi8 a Firenze e in seguito a realizzare un apposito vivaio, per protrarre i filari alberati sin verso Bolgheri: nel 1911 lo “stradone” grazie anche agli interventi dei fratelli Ugolino e Giuseppe della Gherardesca, si trasforma definitivamente in un “viale” rettilineo alberato di 4962 metri, che collega la Via Aurelia sino a Verdolino, situato a 250 metri del castello di Bolgheri9, la cui prospettiva viene chiusa a valle dall’obelisco commemorativo in onore di Giosuè Carducci fatto erigere nel 1908, un anno dopo la morte del poeta, sull’altro lato della via Aurelia10. Oggi il Viale, caratterizzato da un duplice filare di circa 2370 piante che ha inoltre sviluppato un esuberante e fitto sottobosco, si presenta come un maestoso monumento vegetale sia che lo si percorra al suo interno sia come segno forte percepibile dai vari punti della piana circostante, che enfatizza la verticalità del viale, mentre la linea ondulata delle colline agisce da sfondo. La campagna circostante difatti presenta strade rettilinee che appunto ricalcano la maglia geometrica abbastanza ampia della bonifica, ma l’equipaggiamento di queste è costituito da alberi di pino, mentre pochi individui di platani, relitti di una più recente sistemazione, costeggiano ad intervalli l’Aurelia. Nel 1995 con Decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali il Viale dei Cipressi è stato dichiarato bene di interesse artistico e storico e sottoposto alle previste tutele di legge, conservare però un soggetto vivo come un giardino e, come in questo caso, un viale alberato, incontra alcune difficoltà in quanto i componenti della sistemazione paesaggistica invecchiano, si ammalano: sono cioè sempre in continua trasformazione. Benché il Cupressus sempervirens var. pyramidalis sia una specie arborea molta robusta, attorno agli anni Cinquanta del Novecento si sono presentate le prime manifestazioni del cancro corticale, malattia causata dal’agente fungino Seiridium cardinale che nel giro di pochi anni ha messo in crisi uno dei valori culturali più importanti della regione, l’uso cioè del cipresso quale componente fondamentale della tradizione culturale e paesaggistica della Toscana. In particolare le favorevoli condizioni climatiche allo sviluppo della malattia nel Viale hanno portato ad un rapido degrado del suo patrimonio vegetale tale che nel 1994 la Provincia di Livorno è costretta a prevedere una consistente operazione di bonifica. L’intervento però viene prontamente interrotto dalla Sovrintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Pisa, preoccupata appunto per la quantità di piante che avrebbero dovuto essere abbattute. Dopo una serie di altri tentativi che evidenziavano la difficoltà di organizzare e coniugare insieme aspetti estetici, fitosanitari e amministrativi, nel 2000 è stato infine firmato un protocollo di intesa tra enti pubblici, istituzioni scientifiche e privati, per la salvaguardia e la valorizzazione del Viale di Bolgheri. Il protocollo è organizzato in quattro categorie di azioni: ricognitoria (censimento e schedatura delle piante), intervento (ad esempio sostituzione delle piante con esemplari resistenti al cancro11), mantenimento e ricerca (ad esempio selezione degli esemplari del viale che resistono alla malattia e

6 Amministrazione Provinciale di Livorno, CYPMED, Interreg III B Med.Occ, I Cipressi di Bolgheri. Riqualificazione paesaggistica del viale di Bolgheri. Studio progettuale per il suo recupero e gestione, Bolgheri 2003, pag. 7. 7 Ibidem. 8 Circa 3582 inviati tra il 1843 e il 1844. 9 L’ultimo tratto della strada ricalcando l’antico tracciato, non si presenta rettilineo. 10 Accanto all’obelisco si trova anche il Tempietto di San Guido, realizzato nel 1703 dalla famiglia dela Gherardesca in commemorazione dell’antico antenato San guido vissuto nel XIII secolo). 11 Tra le piante resistenti al cancro del cipresso c’è il Cupressus sempervirens “Bolgheri”, Brevetto n. 11279. Al fine del mantenimento del germoplasma del viale sono stati selezionati 75 piante tra i cipressi del viale che si sono dimostrati resistenti alla malattia e di questi ne sono stati fatti dei cloni. Messi a dimora in un vivaio sperimentale nella stessa località (“Parco dei cloni” nell’azienda del marchese Incisa Della Rocchetta), saranno utilizzati per la sostituzione delle piante malate del Viale.

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continuo monitoraggio), ed ha come fine collegiale quello di tutelare nel tempo un importante patrimonio paesaggistico della regione.

Figura 1. La via Aurelia e il viale di Bolgheri nel 1908.

Figura 2. La via Aurelia declassata., scorre nella pianura bonificata nella provincia livornese, rialzata e affiancata principalmente da platani anche se non è rado incontrare qualche pino. Il viali trasversali, che sottolineano la maglia geometrica della bonifica, sono quasi sempre monospecifici e costituiti da pini.

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Figura 3. Il viale di Bolgheri visto dalla pianura circostante.

Figura n. 4. L’obelisco commemorativo in onore di Giosuè Carducci chiude la prospettiva dalla parte della via Aurelia, sullo sfondo il nuovo tracciato dell’Aurelia a due corsie per senso di marcia.

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Figura 5. Il viale di Bolgheri.

Figura 6 il tempietto di San Guido a fianco dell’Aurelia. A sinistra il tracciato della nuova Aurelia a due corsie per senso di marcia.

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Figura 7. Il podere San Guido e destra il viale di Bolgheri.

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Dal Regno di Italia alla Firenze-mare Con “Compartimento toscano”, ovvero “quella porzione di territorio a forma grossolanamente triangolare collocata fra l’alto Tirreno, l’Appennino centrale ed una convenzionale linea di confine con il vecchio Stato pontificio” veniva indicata [la Toscana] nel I Censimento generale della popolazione del nuovo regno, celebrato con sollecitudine ma anche frettolosamente il 31 dicembre del 1861. Suddiviso in sette province (Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Pisa e Siena), esso si estendeva su una superficie pari a 22 270,63 kmq. Attorniato e percorso da importanti e continue formazioni montagnose dal cui interno si dipartivano numerosi fiumi e torrenti che correvano poi verso il mare raccolti da nord a sud nei tre bacini del Serchio, dell’Arno e dell’Ombrone e in altri minori; povero di pianure, d’altronde parzialmente paludose specie al centro e al sud nella vasta distesa maremmana ancora in larga parte insalubre, esso ritrovava la propria caratteristica morfologica più spiccata nella nettissima prevalenza di terreni collinari, mentre un terzo o quasi della superficie, peraltro in diminuzione, era coperto di boschi, e gli altri due terzi, ad esclusione delle poche centinaia di chilometri quadrati occupati dai fiumi, dai laghi, dalle strade, dai fabbricati, erano divisi all’incirca a metà, fra i seminativi (arborati e nudi) ed il sodo a pastura (a pascolo o sterile) con una leggera prevalenza dei primi.”1 La legge sui lavori pubblici del 1865 (20/3 n. 2248) art. 11 stabilisce che tra le strade ora divenute nazionali e le linee ferroviarie non deve esserci parallelismo, ad eccezione fatta dei tratti appenninici (abolita con la costituzione dell’A.A.S.S nel 1928). Fino al 1904 viene così privilegiata il potenziamento la rete minore viaria che avviene attraverso il declassamento della viabilità principale, sostituita a sua volta dai nuovi tracciati ferroviari2. Durante l’unificazione d’Italia in quasi tutto il territorio nazionale la viabilità principale comincia a perdere di importanza poiché la politica della mobilità si concentra in particolar modo sulla realizzazione delle nuove linee ferroviarie: il treno difatti permette di raggiungere ora in minor tempo grandi distanze e di viaggiare comodamente rispetto alla carrozza. Importanti tracciati ferroviari nella regione sono realizzati lungo la costa, affiancando comunque il tracciato viario costiero ripristinato nel corso del XIX secolo, e in direzione della città di Roma, nelle valli della Chiana, dell’Astrone-Paglia e del Tevere, anziché per l’antico percorso umbro (linea Firenze–Roma)3. A partire dal 1890 nei principali centri urbani vengono realizzate, così come nel resto d’Italia, le linee di tramvie extraurbane, utili a garantire percorsi relativamente brevi dalla città al suo “intorno”4. La Toscana si presenta comunque con una buona eredità viabilistica, difatti è una delle regioni con maggior dotazione di reticolo viario, e forse anche per questo motivo, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento non si registrano particolari sviluppi in campo stradale, ad eccezione di qualche strada come quella del Lagastrello, di Castiglione dei Pepoli, dei Mandrioli e di Montecorano. Mediocre invece era diventata ormai la presenza di canali navigabili: tramontata difatti la stagione in cui l’Arno tra Firenze sino alla sua foce, veniva utilizzato come via navigabile, in tutta la regione rimangono solo quattro canali navigabili: il canale dei Navicelli, di Ripafratta, dell’Usciana e di Bientina. In definitiva il territorio toscano sotto il Regno di Italia si presenta ad una prima lettura dominato dalla coltura promiscua in campo agricolo, cioè da un’agricoltura arborata sistematizzata in campi rettangolari di non grandi dimensioni, separati sui lati maggiori da filari di viti e da fossetti. Un fittissimo reticolo stradale impregna tutto il territorio: circa oltre 12.000 chilometri tra strade nazionali, provinciali e comunali che, anche se in mediocri condizioni, assegnano “alla Toscana una 1 GIORGIO MORI, Il compartimento nel 1861, in GIORGIO MORI (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. La Toscana, Giulio Einaudi Editore, Torino 1986, pag. 6. 2 Vedi BRUNO VECCHIO, Vie di comunicazione e mezzi di trasporto, in MASSIMO FIRPO, PIER GIORGIO ZUMINO (a cura di), La Storia e le sue Immagini. L’Italia dall’Unità a oggi (con corredo iconografico Alinari), Garzanti editore, Torino 2003, I volume, pagg. 144-178. 3 LANDO BORTOLOTTI, L’evoluzione del territorio, GIORGIO MORI op. cit., Torino 1986, pag. 793. 4 Ad esempio da Firenze Porta Romana partiva la linea per il Chianti percorsa da un treno a vapore. Solo a partire dalla fine dell’Ottocento verrà introdotta la linea elettrica in particolare per la mobilità urbana e più lentamente per quella extraurbana: in Italia la prima linea di tram elettrici è la Firenze-Fiesole del 1890.

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specie di primato pensinsulare sia rispetto alla superficie che agli abitanti”5. Un sistema infrastrutturale tra l’altro rafforzato dalla presenza di una “microscopica attrezzatura ferroviaria”6, di circa 350 chilometri, oltre linee telegrafiche (qualche chilometro) e un modesto sistema portuale in cui Livorno si pone in fase di ampliamento7. Anche il sistema insediativo appare per la maggior parte costituito da centri urbani ancora racchiusi entro le mura: borghi e città costituiscono difatti realtà se pur simili sotto certi aspetti, molteplici situazioni ambientali, artistiche e sociali ben caratterizzate. Allo stesso tempo, ai nuclei urbani ben definiti si contrappone un’elevata dispersione abitativa nel territorio (circa il 23,90% di case sparse): case sparse e centri abitati assieme a loro volta vanno a creare un’area a forma trapezoidale che occupa parte delle province di Firenze, Lucca, Pisa e Livorno, con i propri vertici a est in Pistoia e Firenze ed a ovest in Viareggio e Livorno (quest’ultima città portuale di sempre maggior importanza della penisola). Qui, in circa 2500 mq, più o meno l’11% della superficie dell’intero compartimento8, si concentra quasi il 75% della popolazione regionale consolidando quell’andamento sempre più esponenziale, su quest’ampia porzione di territorio attraversata centralmente dai rilievi del Montalbano e delle aree umide come il Padule di Fucecchio, che la individua come l’area regionale sottoposta a maggior carico insediativo. Questa tendenza sembra avere origine nella matrice mezzadrile del paesaggio, ma se la “mezzadria”, che caratterizza gran parte delle aree delle colline e delle pianure settentrionali, identifica la Toscana, non si può dire che tutta la regione è in realtà mezzadria9. Nella parte meridionale della regione e in particolare nelle aree agricole delle maremme sia pisane sia grossetane, dove permangono ampie aree paludose, domina ancora la grande coltura cerealicola a salariati, mentre nella provincia di Lucca, la mezzadria risulta inesistente a causa della presenza di una proprietà terriera aristocratica che concede in enfiteusi i propri terreni, alla quale si affianca una sminuzzata diffusa piccola proprietà (in particolare nelle aree montane e provenienti dalle allivellazioni di Pietro Leopoldo). Oltre a ciò si rileva che non tutta l’economia della regione è basata sull’agricoltura: piccoli poli industriali, oltre a quelli già citati nella Montagna Pistoiese, acquistano rilievo10, mentre l’industria turistica incomincia a prendere campo in particolare nell’area costiera compresa tra Viareggio e la Versilia. Tra le grandi innovazioni della fine Ottocento e i primi del Novecento, una in particolare modifica il modo di trasformare, fruire e percepire il paesaggio: negli anni Venti comincia a diffondersi l’uso dell’automobile da cui nasce l’esigenza di trovare una sede esclusiva al traffico motorizzato. Come in Germania, il regime fascista italiano utilizza una propaganda che cerca di instaurare un legame tra tradizione e modernizzazione. Le “autovie”, che prevedono l’esclusione di qualsiasi viaggiatore non dotato di veicolo a motore, sono nuove strade moderne utili a collegare le città con i centri turistici (sul modello delle prime parkways americane11) e si basano, in Italia, su di un approccio percettivo basato sul contrasto: il

5 GIORGIO MORI, op, cit., Torino 1986, pagg. 6-7. 6 Ibidem. 7 Le nuove linee ferroviere, rigide, il più possibile diritte, che entrano nella città ma che attraversano campagne e aree naturali introdurranno i primi elementi di rottura con i processi di stratificazione secolari del passato. Essi inoltre, come già facevano le strade, si pongono come nuovi assi per l’urbanizzazione, fungendo anche da nuovo limite dell’espansione delle città. 8 In quest’area erano ubicati 8 dei 10 centri abitati con più di 6.000 abitanti (vedi Giorgio Mori, GIORGIO MORI, op, cit., Torino 1986, pagg. 6-7. 9 Vedi GIORGIO MORI, Torino 1986, op, cit., pag. 13. 10 Questi piccoli poli diventeranno negli anni Venti del Novecento dei veri propri centri industriali come le aree legate al porto industriale di Livorno, di Carrara e Apuania. Altri centri industriali basati sullo sfruttamento delle risorse nascono nell’Amiata e nelle Colline Metaliffere, quasi tutti lungo la costa come l’importante centro industriale della Solvay di Rosignano: non si tratta solo di fabbriche ma di un’organizzazione vasta e territoriale che vede la creazione di infrastrutture di trasporto, borghi con abitazioni per operai, cave e quant’altro utile per il funzionamento della industria. 11 Vedi ad esempio la Bronx River Parkway: con la realizzazione di una strada viene realizzato un parco ad essa collegato per lo svago, ma innanzitutto il progetto dell’infrastruttura viene un’opportunità per riqualificare l’intera vallata del fiume Bronx tra l’omonimo quartiere di New York e la diga Kensico, grande riserva di acqua nel Westchester County, occupata da situazioni inquinanti e di degrado. Vedi EMANUELA MORELLI, Disegnare linee nel paesaggio. Metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze University Press, Firenze 2005 e relativa bibliografia.

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nuovo nastro stradale, per la sua natura ingegneristica12 e tecnologica si stacca completamente dal contesto che attraversa, differenza ancor più esaltata dai vari raccordi, quali ponti, “sottopassi, gallerie, teleferiche, dove forma e struttura coincidono, elevando le infrastrutture tecnologiche a segni iconici del viaggio”13. I grandi rettifili d’altronde sono necessari ad esaltare il mito della velocità, simbolo di progresso e mito in Italia ancor più sostenuto grazie all’avanguardia artistica dei Futuristi. Seguendo questi principi, che trovano origine nell’esperienza nella stesura dei tracciati ferroviari, tra il 1924 ed il 1935 nel paese italiano sono costruite otto autostrade per una lunghezza complessiva di 482 chilometri14, tra le quali compare la Firenze-Mare che ha lo scopo di incentivare lo sviluppo turistico della città di Viareggio e dell’area termale di Montecatini. I loro tracciati rigidi e geometrici mettono subito in evidenza l’effetto distruttivo con il paesaggio e la loro scarsa sicurezza in quanto gli estesi e frequenti rettifili (che raggiungono i venticinque chilometri) causano noia e sonnolenza al guidatore. L’avvento dell’automobilismo anche per i trasporti privati conferisce nuovamente alla strada una rinnovata importanza e nel 1928 viene istituita l’azienda Autonoma Statale della Strada che focalizza i propri sforzi più sulle vie interregionali piuttosto che su quelle locali. Così in Toscana le vie di penetrazione interne rimangono più o meno invariate, mentre dal 1930 al 1931 l’AASS procede all’appalto dell’Aurelia, della Pisa-Firenze e della Firenze-Siena per un totale di 308,300 chilometri. Il tracciato dell’Aurelia nel tratto che attraversa la provincia di Pisa, quasi del tutto nuovo, viene rettificato, allargato, con l’eliminazione di tutti i passaggi a livello. Con i lavori di adeguamento del tracciato, la strada Firenze-Siena-Roma prende la denominazione di Cassia. L’antica Cassia ovvero la strada che da Bolsena deviava verso Chiusi ed Arezzo raggiungendo Firenze per la Valle dell’Arno, diviene invece la strada statale 71 fino ad Arezzo e strada statale 69 fra Arezzo e Firenze15. Se da una parte il regime propaganda la modernità attraverso l’uso dell’automobile, il mito della velocità e del progresso oltre a realizzare le prime grandi autostrade, dall’altra appare evidente che queste grandi trasformazioni non riguardano le popolazioni che vivono nella campagna che appunto al tempo stesso non vedono migliorare le proprie condizioni di vita. Non a caso il sistema viario nei paesaggi agrari non subisce profonde modifiche in quanto vengono emanate leggi che rafforzano il contratto mezzadrile, in modo anche da impedire l’inurbamento dei contadini. Le uniche opere riguardano principalmente le strade che rientrano nella bonifica integrale, nelle province di Siena e Grosseto, processo di bonifica che viene poi definitivamente completato, dopo lunghi secoli, solo nel 195116 e che comporterà profonde modifiche all’assetto territoriale e la definitiva migrazione delle popolazioni dalle colline retrostanti alla pianura costiera. È proprio quindi tra le due guerre che la mezzadria giunge ad una delle sue fasi più mature attraverso l’organizzazione della fattoria (concentrate soprattutto nelle province di Firenze, Siena e Pisa). Questo sistema difatti raggiunge “la sua massima estensione territoriale, la Toscana annovera

12 Che rimanda come esperienza a quella costruttiva delle linee ferroviarie, quindi con rigidità del tracciato, raggi di curvatura non inferiori ai quattrocento metri, con il massimo utilizzo dei rettifili. 13 ELISABETTA PIERI, Alberi in velocità: l’autovia da Firenze al mare, in “Storia dell’Urbanistica/Toscana VI” Suppl. “Storia dell’Urbanistica”, luglio-dicembre 1998, pag. 125. 14 Il 21 settembre del 1924 viene inaugurata la prima autostrada italiana: la Milano Laghi. A questa si succedono: la Milano Bergamo (28 ottobre 1927), la Napoli Pompei e la Roma Ostia (inaugurate entrambe il 28 ottobre del 1928) la Bergamo Brescia (28 ottobre 1931). Nel 1932 vengono realizzate la Torino Milano, la Firenze mare (anch’esse il 28 ottobre), nel 1933 la Torino Milano, (15 ottobre), la camionabile Genova Torino nell’ottobre 1935. A tale data si possono contare ben otto autostrade per un totale di quattrocentottantadue chilometri. 15 Nel 1934, quasi contemporaneamente alla Firenze-mare, in campo ferroviario viene terminata la direttissima Firenze-Bologna cominciata già nel 1922. 16 Nel 1951 per Decreto Presidenziale viene creato l’Ente Maremma, che modifica gran parte del territorio maremmano al fine di mettere fine al latifondo. Nascono così nuove strade, borgate, case, e quindi nuovi toponimi, costruendo così un paesaggio completamente nuovo. Per più di un decennio difatti l’Ente Maremma espropria, fraziona, bonifica, secondo una rete poderale geometrica, assegnando terreni e case ad una classe contadina che non era mai stata proprietaria di nulla (Vedi anche http://www.capalbio.it/LaStoria/la%20storia.htm).

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ben 95.000 poderi riuniti in 4215 fattorie che coprono oltre il 40% del suolo regionale. Solo il 10% circa del territorio a mezzadria non è entrato a far parte del sistema fattoria”17. Il contratto di mezzadria si era presentato indubbiamente come un strumento di progresso per la popolazione rispetto alla politica del latifondo e dei grandi proprietari terrieri del periodo medievale. Nel corso dei secoli esso si era modificato, in particolare adattandosi alla varie realtà locali e poteva comportare più o meno svantaggi per il colono (sul quale ricadevano gli svantaggi del contratto annuale, l’incombenza delle opere idrauliche –agrarie, eccetera…) Era evidente anche che il contratto di mezzadria aveva plasmato gran parte del paesaggio toscano, attraverso la sua sistemazione razionale costituita dal reticolo di strade poderali e interpoderali, con siepi e i filari ad essi associati che forniva legname e frutti di bosco o ghiande per i maiali, tabernacoli e pievi, la coltura promiscua dei campi, la diffusione dei poderi, le fattorie e le ville padronali, le sistemazioni idraulico-agrarie che avevano reso fertili anche porzioni di territorio che avevano problematiche per la produttività agricola: niente era lasciato al caso e ogni piccola porzione di territorio veniva curata e resa produttiva poiché tutti ne avevano il vantaggio. Ma fu proprio la rigidità del sistema sociale della mezzadria, rafforzata dalla restaurazione contrattuale fascista, a determinare la sua crisi. Nel 1922 fu difatti firmato il “Nuovo Patto colonico Toscano” e nel 1928 il patto colonico regionale (non molto differente da quello precedente), i quali segnavano un regresso rispetto al patto colonico regionale del 1920 che si basava invece sullo “spirito di collaborazione” tra azienda e colono.

Figura 1. Veduta della strada pisana al Masso della Gonfolina o Golfolina nei pressi di Ponte a Signa in Provincia di Firenze, sono visibili due carri per il trasporto del fieno sulla strada. Figura 2. Veduta di Filigare, al confine tra Toscana ed Emilia: in primo piano la strada provinciale presso l'ex dogana pontificia.

17 Vedi ZEFFIRO CIUFFOLETTI, Un mirabile artificio. Il lavoro dell’uomo, in LUCIA BONELLI CONENNA, ATTILIO BRILLI, GIUSEPPE CANTELLI, Il paesaggio toscano. L’opera dell’uomo e la nascita di un mito, Banca dei Monti dei Paschi di Siena, Siena 2004, pag. 88.

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Figura 3. Piteccio. Il viadotto della ferrovia Figura 4. Forte dei Marmi. Il pontile Figura 5. Veduta di San Domenico posta ai piedi della collina di Fiesole. In primo piano due vetture percorrono la nuova linea tramviaria. Figura 6. Migliarino Pisano. Olivicoltura Figure 7-8. La passeggiata lungomare di Viareggio.

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Scheda n. 8 LA FIRENZE-MARE La nascita dell’automobile come mezzo privato per lo spostamento e le esperienze straniere delle Parkways americane dei primi Novecento e delle coeve Autobahnen tedesche portano nel 1920 l’ingegnere Piero Puricelli a definire l’autostrada uno strumento che deve assicurare al traffico motorizzato una sede esclusiva tale da consentire agli autoveicoli le condizioni più adatte al pieno impiego delle loro prestazioni. La autovia prevede difatti l’esclusione di qualsiasi veicolo non a motore, la soppressione degli incroci a livello, l’eliminazione di ogni attraversamento abitato e deve “possedere le seguenti caratteristiche tecniche: sviluppo massimo del rettilineo, curve di raccordo con raggio minimo di quattrocento metri, carreggiata a due corsie non separate (con sede stradale di otto metri e banchine laterali di un metro ciascuna) e pavimentazione in calcestruzzo”1, ovvero in grandi lastroni di calcestruzzo bitumati e incatramati. Seguendo questi principi, che trovano origine nell’esperienza nella stesura dei tracciati ferroviari, tra il 1924 ed il 1935 in Italia sono costruite otto autostrade, per una lunghezza complessiva di 482 chilometri2. Così come negli Stati Uniti queste strade hanno principalmente il compito di collegare le città alle località turistiche così come Milano con le località rivierasche dei laghi, Roma con Ostia, Napoli con Pompei e Firenze con Viareggio e la Versilia, mentre dal punto di vista tecnico-costruttivo, su imitazione dell’esperienza tedesca, il regime fascista italiano cerca di instaurare un legame tra tradizione nazionale e modernizzazione. Ma se oltralpe, si cerca di esprimere tutto ciò pubblicizzando e facendo mostra dei propri paesaggi3, in Italia si manifesta attraverso un nuovo approccio percettivo basato sul contrasto: il nuovo nastro stradale, per la sua natura ingegneristica e tecnologica si stacca, volutamente, completamente dal contesto che attraversa. I tracciati difatti sono rigidi e geometrici, causa dell’esaltazione del rettifilo che consacra il mito della velocità, mito appunto ancor più sostenuto in Italia dall’avanguardia artistica dei Futuristi. I risultati si dimostrano però ben presto negativi sia per l’impatto e l’incoerenza tra la linea del manufatto con la trama del paesaggio, sia per la scarsa sicurezza dei percorsi in quanto gli estesi e frequenti rettifili (che raggiungono i venticinque chilometri) causano noia e sonnolenza al guidatore. L’autostrada Firenze-Mare ha una lunghezza di ottantadue chilometri ed è una delle opere che meglio rappresenta l’ambizioso progetto infrastrutturale che deve collegare i centri urbani alle principali località turistiche4. Nel 1923 sono proposti due tracciati5: il primo, più corto, raggiunge Pisa e Livorno attraverso la Valle dell’Arno, il secondo invece, più a settentrione, si sviluppa lungo la fascia pedecollinare attraversando le valli del Bisenzio, di Nievole, e del Serchio, collegando numerosi centri urbani quali Prato, Pistoia, Montecatini e Lucca. Benché decisamente più costoso viene scelto il secondo tracciato in quanto ha la possibilità di collegare il capoluogo anche alle altre città turistiche e termali. A causa di vari problemi di ordine finanziario il progetto non decolla fino a quando l’ingegner Puricelli presenta un nuovo progetto, sempre con soluzione pedecollinare, in cui sono apportate 1 ELISABETTA PIERI, Alberi in velocità: l’autovia da Firenze al mare, “Storia dell’Urbanistica/Toscana VI”, 1998, pag. 125. 2 Il 21 settembre del 1924 viene inaugurata la prima autostrada italiana: la Milano-Laghi. A questa si succedono: la Milano Bergamo (28 ottobre 1927), la Napoli Pompei e la Roma Ostia (inaugurate entrambe il 28 ottobre del 1928) la Bergamo Brescia (28 ottobre 1931). Nel 1932 vengono realizzate la Torino Milano, la Firenze mare (anch’esse il 28 ottobre), nel 1933 la Torino Milano, (15 ottobre), la camionabile Genova Torino nell’ottobre 1935. A tale data si possono contare ben otto autostrade per un totale di quattrocentottantadue chilometri. 3 Vedi inoltre il capitolo Le prime strade a scorrimento veloce: parkways, autostrade e autobahnen, in EMANUELA MORELLI, Disegnare linee nel paesaggio. Metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze University Press, Firenze 2005, pagg. 51-68. 4 Per un maggior approfondimento della storia dell’autostrada Firenze –mare vedi: LANDO BORTOLOTTI, GIUSEPPE DE LUCA, Fascismo e autostrade. Un caso di sintesi: la Firenze-mare, Franco Angeli, Milano 1994. 5 Redatto dagli ingegneri: Luigi Frosali, capo dell’Ufficio Tecnico della Provincia, Federigo Bartolini, del Genio Civile, e Giuseppe Marrucchi.

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alcune modifiche richieste dalle varie amministrazioni locali: ad esempio spostando più a sud il tracciato nel tratto della piana fiorentina, per non limitare lo sviluppo del centro urbano di Prato, e al tempo stesso avvicinandolo al centro abitato di Altopascio. Invano invece rimangono “le richieste degli agricoltori della piana tra Firenze e Pistoia che vedono in molti casi tagliati i propri terreni da un nastro stradale che non tiene conto della scansione geometrica della «centuratio» poderale.”6 Il tracciato ha così un andamento trasversale rispetto alla naturale morfologia del territorio attraversato. Tagliando le valli presenti occorrono circa cinquecento opere di ingegneria di cui trenta ponti, centotrenta sovrappassi o sottopassi per le ferrovie e per altre strade pubbliche, tre grandi viadotti, una galleria (un numero cospicuo di opere d’arte presso Ripafratta per l’attraversamento della statale, delle ferrovia, del fiume Serchio e del canale Ozzeri) e altre trecento opere minori, quali caselli e case cantoniere. Il problema estetico dell’infrastruttura viaria, realizzata in periodo fascista soprattutto per collegare le città con i centri turistici, viene invece risolto solo attraverso l’introduzione di filari alberati, che per quanto concepiti su ispirazione dei grandi viali che collegano le dimore reali tra il centro urbano e la campagna (si pensi a quello tra Parigi e Versailles e da Berlino a Sans Souci7), servono qui invece a rimarcare il distacco della strada dal paesaggio e ad esaltare maggiormente la velocità del rettifilo. In una circolare del Ministero dei LL.PP. vengono indicate una serie di requisiti per la piantagioni di alberi:

- Sono consigliate piante rustiche, idonee al clima e al tipo di terreno, belle nel portamento e resistenti alle potature, con fogliame resistente alle polveri, alle malattie ed al catrame, con una buona stabilità e quindi con un apparato radicale robusto e ben sviluppato;

- Si consigliano piante italiane e ben intonate al paesaggio; - Platani, tigli, e castagni di india sono sconsigliati in quanto piante banali, mentre é

raccomandato l’impiego di Sophore e Bagolari. Tra tutte comunque il pino domestico diviene una “sorta di manifesto vegetale”8, che nel 1927 viene piantato lungo l’autovia che collega la Basilica di San Paolo a Roma con il Lido. Il pino sembra difatti rispondere a tutte le esigenze aspirate: è una pianta robusta, ha un portamento maestoso, è sempreverde, e indigena romana, è chiara espressione di mediterraneità, ruralità e monumentalità, temi assai cari ai principi estetici del fascismo. Disposti in filare a fianco delle autostrade percorse in velocità, diventano un “lungo portico vegetale”9, in cui diviene interessante la contrapposizione che instaura tra l’orizzontalità del nastro percorso e la scansione verticale di questi, enfatizzando e ritmando la velocità e la dinamicità: il filare in lontananza rimane per lo più immutato e immobile, man mano che scorre al nostro fianco. Il ritmo dato dai tronchi degli alberi acellera, ogni elemento quindi si “sgrana” e velocemente scorre via. Il tratto Firenze – Viareggio (che parte dalla località Carraia a Firenze per giungere alla statale Aurelia, in prossimità del borgo di Migliarino) è costituito prevalentemente da rettifili raccordati con curve, il cui raggio è tra i mille e i duemila metri. Qui, tra Prato e Pistoia, interrotto nel tratto della stretta di Seravalle, per poi tornare pressoché continuo fino alla Pineta di Parco di Migliarino, si trovano filari di pini disposti con un sesto di impianto di circa quindici metri10. Il principio di realizzare immensi filari alberati a fianco delle autostrade prende ispirazione anche dalle autobahnen tedesche, anche se in Germania il disegno della vegetazione che accompagna l’infrastruttura è basato su concetti completamenti diversi: i grandi filari che seguono i rettifili

6 ELISABETTA PIERI, op. cit., 1998, pag. 126. 7 In realtà l’abbinamento albero-strada ha radici molto più antiche, sia per ragioni produttive sia per ragioni funzionali, quali difendere il viaggiatore dalle intemperie invernali e dal caldo estivo. In Toscana un bando mediceo del 1580 raccomanda di piantare filari di gelsi successivamente poi integrati da alberi da frutto. 8 Vedi ELISABETTA PIERI, op. cit., 1998, pag. 130. 9 ANDREA SPERELLI in ELISABETTA PIERI, op. cit., 1998, pag. 130. 10 Oltre alle alberature, anche gli elementi architettonici sono di fondamentale importanza per creare un segno continuo all’interno del paesaggio: in particolare i caselli, per lo più case cantoniere “circondate da un orticello e tali da offrire una vita sana e attraente per il personale. L’ideale sarebbe che queste case avessero sempre una costruzione semplice, intonata al paesaggio e alla finalità e poi soprattutto facilmente distinguibile e particolarmente robusta.” (B. BOLIS, in ELISABETTA PIERI, op. cit., 1998, pag. 128).

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italiani sono costituiti principalmente da una unica specie arborea (filari monospecie), che ha la negatività di costituire poi in fondo una sorta di monotonia al viaggiatore e di esaltare il segno stradale nel paesaggio11. In Germania invece le alberature non sono disposte a filare, ma a macchie, seguendo il disegno della vegetazione esistente, o con esemplari individuali con l’intento di creare una continuità tra la strada e il paesaggio e valorizzare le aperture visive sul paesaggio, rispettando così la tradizione della paesaggistica romantica del paese. L’impianto arboreo della Firenze-mare rimane per lo più immutato fino agli adeguamenti al tracciato e al manufatto, causati dall’aumento di traffico, degli anni Sessanta. Successivamente poi a causa dei vari danni all’apparato radicale e ad altre problematiche legate alla sicurezza, nonché alla manutenzione della vegetazione, la Società Autostrade ha progressivamente eliminato queste alberature senza però sostituirle con nessuna altra pianta in modo da privare definitivamente la strada di qualsiasi tipo di equipaggiamento vegetale. Anche la siepe centrale, fra le due corsie, costituita da piante di oleandro, presente fino a pochi anni viene progressivamente sostituita, sempre in ragione dei lavori di adeguamento della strada, che vede l’ampliamento delle carreggiate, con elementi prefabbricati in calcestruzzo (New Jersey). In memoria quindi del vecchio equipaggiamento del tracciato degli anni Trenta oggi rimangono solo pochi individui di pini sparsi, e il tratto a filare riscontrabile ancora nell’accesso alla città di Prato, strada ora declassata12 ma un tempo facente parte del tratto autostradale.

Figura 1. Progetto del raccordo tra il piazzale di accesso all’autostrada e la viabilità cittadina a Firenze.

11 A differenza di quanto consigliava Pietro Porcinai in un suo celebre articolo su Domus: “E per alberarle s’intende porre in margine ad esse non tanto la solita fila di piante simmetricamente equidistanti, quanto fornirle di quegli alberi, arbusti, fiori, piante in genere che stiano lungo o in prossimità delle strade stesse seguendo i motivi del paesaggio ch’esse attraversano: gli stessi criteri insomma che ci guidano per la piantagione di un grande parco naturale.” (PIETRO, PORCINAI, La nazione intera deve essere un giardino, le strade siano alberate creando veri elementi di paesaggio, “Domus”, 115, 1937, pag. 41). 12 Che collega comunque sempre Prato con Firenze attraverso il nuovo progetto della Perfetti Ricasoli – Mezzana.

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Figure 2-5. Opere lungo la Firenze Mare.

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Figura 6. Viadotto della Firenze Mare. Figure 7 - 8. L’Autostrada Firenze-Mare che attraversa l’acquedotto del Nottolini nei pressi della città di Lucca ai tempi della realizzazione ed in epoca contemporanea. Si osserva che inoltre il sovrappasso pedonale oblitera la visuale dell’opera idraulica, e che questa è stata definitivamente interrotta dal raddoppio delle carreggiate stradali.

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Figure 7 – 8 - 9. L’autostrada Firenze – mare oggi. Una barriera di elementi prefabbricati in New Jersey. Il casello di Lucca mostra un’architettura diversificata rispetto alle classiche strutture standardizzate

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Figura 10. Imbocco della galleria risalente all’epoca di costruzione della Firenze-mare. Figura 11. Antico tratto delle Firenze Mare, ora declassato, pressa la città di Prato.

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Brevi note delle Toscane della Toscana alla soglia della modernità La Toscana è costituita da un insieme di territori molti diversi tra loro che hanno avuto inoltre percorsi e storie diverse. Ciò nonostante, questa diversità sembra rafforzare il concetto di unitarietà e idea di regione che li accomuna e tiene legati l’uno agli altri: piccoli e innumerevoli esempi e avvenimenti hanno allacciato queste diverse realtà, in modo che ogni luogo potesse individuare un proprio specifico ruolo, nell’interezza regione, enfatizzando così la necessità di salvaguardare le proprie specificità, peculiarità e diversità, in quanto valori e risorse1. Alla soglia della seconda guerra mondiale le diversità si esprimono ancora in modo decisivamente caratterizzante, i paesaggi hanno precisi connotati, così come ovviamente le realtà socio-economiche ad essi appartenenti. Molto sinteticamente la Toscana alle soglie della seconda guerra mondiale può essere descritta dai seguenti macrosistemi paesaggistici2: - L’Appennino L’Appennino toscano è “quella catena montuosa che alla Toscana fa spalliera”3 costituita da un insieme di valli che si estendono dalla Lunigiana alla Valtiberina4. I paesaggi, le cui basi insediative sono state gettate in epoca medievale, sono caratterizzati da piccoli borghi fortificati nella parte occidentale, mentre nelle valli orientali e in particolare nel Mugello, si ritrova una presenza abbastanza diffusa di case sparse. Un fittissimo reticolo di tratturi che un tempo collegavano i pascoli dell’Appennino con le terre di Massacciuccoli e delle maremme nel sud della costa toscana, scendono e si arrampicano sui versanti. Accanto agli insediamenti, quasi sempre situati alla medesima quota altimetrica, si ritrovano i castagni laddove i terreni sono acidi, dato che la castagna, il pane dei poveri, si sostituiva al grano e garantiva l’autosufficienza alimentare, che fungono da cerniera tra l’ambiente montano inospitale per l’uomo e l’ambiente antropizzato sottostante. Sopra ancora pascoli e boschi e cime quasi sempre arrotondate, prive di asperità, ad eccezione delle “Apuane che, da circa mille metri in su, espongono profili rocciosi nudi, irti di creste, guglie e pareti verticali.”5 Ma la catena appenninica non è ovunque uniforme e presenta anch’essa specificità e caratteristiche marcatamente diverse in ogni valle. Comunque l’impostazione medievale, così come la sensazione di terra povera, marginale e di “barriera”, che rimane impressa nei viaggiatori che faticosamente devono varcare i rilevi appenninici per raggiungere le terre del Granducato più floride e ricche di città, resta più o meno immutata sino al periodo lorenese. La politica stradale di Pietro Leopoldo comporta profonde modifiche ai paesaggi appenninici. Le strade rinnovate, adeguate e progettate adoperando una drastica selezione nell’antichissima maglia di sentieri e mulattiere, al fine di creare un numero limitato di assi stradali il più equamente distribuito nelle varie zone6, mette a disposizione una nuova struttura su cui si articolano i nuovi assetti paesaggistici. I nuovi progetti riguardano le seguenti operazioni:

- Tra il 1749-52 la realizzazione della carrozzabile Bolognese della Futa; - La Modenese per l’Abetone nella Montagna Pistoiese realizzata tra 1766-80 con lo scopo di

raccordare il porto di Livorno con la pianura padana;

1 E sono forse proprio queste diversità, le diverse realtà che rischiano di essere travolte nei decenni a seguire, dai processi di omologazione e banalizzazione. 2 Vedi inoltre Atlante ricognitivo dei caratteri strutturali del paesaggio della Toscana, Regione Toscana, Dipartimento delle politiche territoriali e Ambientali, a cura di Antonella Valentini (coordinamento), Emanuela Morelli, Gabriele Paolinelli e Paola Venturi, 2005 in www.rete.toscana.it/sett/pta/territorio/pit_2005_2010/quadro_conoscitivo/ 3 EMANUELE REPETTI, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, Contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana, (1833 al 1845), Stianti, Firenze 1972, Vol. I pag. 83. 4 Lunigiana, Garfagnana, Montagna Pitoiese, Mugello, Casentino e Valtiberina. 5 FRANCESCO PARDI, Orogenesi e morfologia. L’interpretazione geologica dell’Appennino, in CLAUDIO GREPPI, Quadri ambientali della Toscana. Paesaggi dell’Appennino, Marsilio Editori, Venezia 1990, pag. 77. 6 Di cui è forse eccezione il suo settore orientale.

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- Nel 1780 circa viene realizzato il primo tratto della Forlivese, nella Val di Sieve orientale, tra Pontassieve e il Posticino di San Godendo, mentre il successivo Passo del Muraglione risale al 1830;

- Attorno al 1780 viene realizzata la Pontassieve sino al Passo della Consuma che successivamente nel 1816-17 viene proseguita per Ponte a Poppi e Arezzo;

- Tra il 1817 e il 1843 viene resa carrozzabile la Faentina da Firenze a Marradi e tra il 1820 e il 1830 la Vecchia Bolognese del Gioco nel tratto appenninico fra Scarperia e Pietramala;

- Tra il 1808 e il 1817 viene realizzato nella Valtiberina il tratto da Arezzo a San Sepolcro, poi prolungato fino a Bocca Trabaria nel 1830, della “Strada dei due Mari” che dovrebbe collegare il Tirreno e l’Adriatico7;

- Tra il 1815-17 viene realizzata la “Via Povera”, (effettuata per dare lavori ai poveri in tempi di carestia), ovvero la Strada Traversa o “calessabile da Firenzuola alla regia Bolognese al Covigliaio”, e la via Carrozzabile del Giogo e dell’altra strada Comunicativa tra Piancaldoli e la Bolognese (1830);

- La Bolognese della Porretta (detta anche la Porrettana) viene realizzata nel 1840 (affiancata attorno agli anni Sessanta dalla ferrovia Porrettana Pistoia – Pracchia-Bologna) e la Traversa Mammianese Pescia-Mammiano.

Pietro Leopoldo finanzia grosse somme anche per i lavori stradali per due altre grandi direttrici “l’antica strada Francesca o romea, che Clodia e di Monte Bardone fu pure appellata, la quale attraversa il giogo dell’Appennino al varco della Cisa”8 e la Strada che da Sarzana porta a Reggiano per Fosdinovo. Le due strade si congiungono a Ceserano (in Lunigiana), per poi dividersi a Fivizzano in modo che una si diriga verso Parma (per Comano e Rigoso), e l’altra a Reggio, Modena e Bologna per la Foce di Sassalbo. Inoltre un’altra strada da Fivizzano conduceva in Garfagnana. Tra il 1829 e il 1843 in collaborazione con il governo modenese su progetto di Alessandro Manetti viene realizzata la «via militare del Cerreto», che da Fosdinovo e Sassalbo, discende in Val di Secchia. Nel 1812 la Strada della Cisa viene riaperta dai francesi e completata solo nel 1859. È proprio questo insieme di opere che creano “una nuova montagna” in quanto innescano profondi processi di trasformazione grazie ad una maggiore fruibilità e accessibilità. Le modifiche di questi versanti non rimangono però a loro volta limitati ai luoghi montani ma, dato che nel paesaggio tutto è correlato, si ripercuotono e si intrecciano con i mutamenti degli altri territori, investendo tutta la regione per mezzo, soprattutto, del delicato e fragile sistema idraulico. In un’ottica di insieme la montagna vede nascere un maggior numero di coltivazioni e sistemazioni a terrazze che si spingono sempre più ad alta quota, oltre ad essere sottoposta a consistenti disboscamenti sui versanti per la produzione di legname per i centri urbani: queste attività comportano processi di erosione del soprassuolo, che accomunati alle opere di bonifiche, canalizzazione e regimentazione dei corsi d’acqua, con la conseguente riduzione e/o scomparsa delle aree umide e dei pascoli invernali, nelle grandi pianure, pregiudicano l’intero sistema idrico superficiale della regione. Poche sono le zone di montagna interessate dalla mezzadria: è in particolare il Mugello, il bacino definito in qualche modo fiorentino e che risente della città per il suo facile accesso, ad essere il più “simile alla pianura di tutti i bacini dell’Appennino con un cuore pianeggiante, ricco di campi di grano, incentrato sull’insediamento di Borgo San Lorenzo”9 e le zone più pianeggianti dei fondovalle. Le parti sommitali dei rilievi vengono invece via via sempre più emarginate. Con le nuove transappenniniche, pensate come collegamenti esterni, con il nord d’Italia, ma in particolare con l’Austria, viene facilitato l’utilizzo delle risorse presenti: ai processi di 7 Oggi Strada Europea E78 o S.G.C. (strada di grande comunicazione) che ha il compito, trasversalmente alle classiche vie di scorrimento longitudinali della penisola italiana, di collegare l’Aurelia, che scorre lungo la costa tirrenica, dalla città di Grosseto all’autostrada adriatica A14, a Fano. Il percorso oggi in progetto per la realizzazione di due corsie per senso di marcia (ovvero con caratteristica di superstrada), utilizza parte di tracciati già presenti, come la statale 223 per Siena-Grosseto, ma presenta anche consistenti opere di terra, ponti, attraversamenti e collegamenti con la rete viaria locale, eccetera…, che necessitano di un’attenta progettazione relazionata al contesto paesaggistico. 8 EMANUELA REPETTI 1881 citato in MARGHERITA AZZARI e LEONARDO ROMBAI, La rottura degli equilibri. Il processo di colonizzazione della toscana fra Sette e Ottocento. in CLAUDIO GREPPI (a cura di), op. cit., Venezia 1990, pag. 43. 9 CHRIS WICKHAM, La montagna e la città. L’Appennino toscano nel medioevo, in CLAUDIO GREPPI (a cura di), op. cit., Venezia 1990, pag. 17

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disboscamento di abetine, faggete, querceti, che si presentavano ancora compatti grazie alla severa legislazione introdotta dai Granduchi dal 155010 che tra l’altro portano tra il 1830 e 1840 alla emanazione dei primi provvedimenti per i piani di riforestazione da eseguirsi in quelle porzioni montane rimaste nude e sassose, si associa lo sviluppo industriale – artigianale (carta, tessile, metallurgici…) in alcune valli, in particolare laddove è possibile sfruttare la forza motrice dell’acqua dei torrenti. Percorrendo quindi le valli di questi luoghi, in particolare le Apuane, sottoposta ad un’intesa attività estrattiva e la montagna pistoiese dove sono presenti attività industriali, non è difficile incontrare imponenti viadotti e ponti di strade e ferrovie utili alla attività industriale presente.

10 MARGHERITA AZZARI e LEONARDO ROMBAI, op. cit., Venezia 1990 pag. 33.

Figura 1. Tornanti circondati dal bosco sulla Faentina (SS. 302) in prossimità di Razzuolo. Figura 2. La Faentina apre le vedute sulle cime, in prossimità dei Prati di Casaglia.

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Figura 3. Vie di Lizza sulle Apuane presso Stazzema Figura 4. Vagli di Sotto e il lago omonimo da Campocatino (in prossimità della Via Vandelli). Figura 5. Viabilità in prossimità di Pian di Novello.

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Figura 6. Prati pascolo presso il Passo della Calla (Casentino). Figura 7. Filari di platani lungo la SS. 65 della Futa, in prossimità di Cafaggiolo. Figure 8-9. Pianta storica e veduta di Pontremoli, che si distende lungo il percorso della Francigena. Figura 10. Viabilità rurale presso Stazzema.

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- Il bacino del Valdarno Il fiume Arno attraversa la Toscana contribuendo alla costruzione di diversi tipi di paesaggio: la prima vallata, il Casentino viene associata a quella fascia precedentemente descritta come “Appennino”. Il Valdarno inferiore tra Arezzo e Firenze, un tempo lago pliocenico situato tra il rilievo del Pratomagno e quelli dei Monti del Chianti, è invece una lunga valle attraversata sin dall’antichità da antiche direttrici (la via Cassia per Roma e la strada etrusca e poi romana oggi denominata “dei Setteponti”), essendo naturalmente collegata con la Val di Chiana. Ricco di castelli, a cui poi si sono associati pievi, poderi e ville sulle colline, più o meno disposte sino agli orli della terrazze quaternarie, il Valdarno Superiore è morfologicamente definito e costituito da un paesaggio ricco di borghi, macchie di boschi, campi lavorati, delimitati da gelsi per la coltivazione del baco da seta, grazie all’influenza della vicina città di Firenze che contribuisce ad una celere diffusione della mezzadria. L’Arno poi incontra la sua città, Firenze la quale con l’unità di Italia, giovane stato di cui è per breve tempo capitale, rompe le proprie mura e si ingrandisce con la costruzione di nuovi quartieri: non urbanizza però la campagna circostante, perché questo è già avvenuto. Città e campagna sono ancora comunque due realtà diverse ma dal nucleo urbano una innumerevole presenza di strade (spesso chiamate “murate” ovvero delimitate da mura alte circa da due a cinque metri) lungo le quali, a filo strada, sono state costruite case, torri, dimore rurali e signorili, piccoli borghi, oratori e chiese, si distendono su tutte le colline e la pianura circostante costituendo una rete le cui maglie sono piene di coltivazioni agricole e di giardini. Nei processi di stratificazione di pianura la singola iniziativa dell’individuo, del singolo podere, prende forma su quella struttura “collettiva” a maglia geometrica e regolare costituita dalla centuriazione romana che persiste, nonostante qualche piccola sinuosità, anche in epoca medievale: il signore prima11 e il contadino poi, utilizza e prende come misura principale il quadrato, poi suddiviso in tanti lunghi rettangoli, per la disposizione delle sue terre, una struttura che rimane inalterata sino alla metà del Novecento. Dalla città verso la sua estesa pianura partono importanti direttrici: la via per Pisa e Livorno lungo la riva destra dell’Arno, la via per Pistoia che costeggia dall’altra parte il fiume, passando per Poggio a Caiano e l’antico tracciato dalla Cassia, che staccandosi dalla città e passando all’attuale altezza del quartiere di Novoli, si sposta con un tracciato pedecollinare lungo il quale si trovano i piccoli insediamenti che si collocano sulle antiche pietre miliari della strada romana, così come lo confermano i nomi di Quarto, Quinto, Sesto, Settimello, eccetera…. Questo sistema infrastrutturale e l’organizzazione minuta di piccoli insedianti, costituisce la matrice di quella trasformazione territoriale che coinvolgerà tutta la pi ana del fiume e che romperà in alcuni punti la natura stessa della propria fondamenta. Proseguendo lungo il corso si incontra l’estesa pianura del fiume che da Signa giunge a Pisa. Vasti territori pianeggianti ricavati da ingenti opere dì bonifiche e strutturati secondo i collegamenti principali, a cui si assocerà poi la linea ferroviaria, portano a costruire nel corso dei secoli una valle fertile e intensamente coltivata più volte definita come un immenso giardino. Ovunque si incontrano piccoli insediamenti e nuclei urbani disposti lungo la viabilità principale che segue il fondovalle, in particolare laddove le strade si incrociano con le grandi vie di percorrenza come l’antica Francigena all’altezza di San Miniato, ma anche con le vie che poi si dispongono sui crinale delle colline e che fungono da guida di quel fitto reticolo che avvolge tutta la campagna.

11 Il signore era in realtà su tutti la famiglia Medici: nel corso del loro granducato, acquistano terre, regimentano i corsi d’acqua (ad esempio il Terzolle) e costruiscono le proprie ville nella fascia bassa collinare che abbracciano la città, attorno alle quali prevale la coltura della vite e dell’olivo.

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Figura 11. Carta IGM 1889 e 1954.

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Figura 12. Vista della piana di Firenze. Figura 13. Strada pisana per Fucecchio presso Cerreto Guidi. Figura 14. Un tabernacolo e un gruppetto di cipressi segnalano i confini amministrativi di Cerreto Guidi. Figura 15. La via Pistoiese sul confine tra Campi Bisenzio e Signa.. Figura 16. Strada murate (via Santa Marta Firenze).

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- Le colline interne e meridionali La Toscana è costituita soprattutto da colline. Oltre la metà del suo territorio (66,5%) è difatti occupata da rilievi collinari che si susseguono visivamente uno dietro l’altro, aventi altezze modeste, comprese quasi sempre fra i 200 e i 500 metri, dove si sono formati paesaggi decisamente caratteristici e oggi ampiamente rinomati, al punto che rappresentano, per antonomasia, il tipico paesaggio toscano. Morfologia e geologia diverse, di sabbia o di argilla, austere o floride come giardini, il disegno dei paesaggi delle colline della provincia senese (che fino a Pietro Leopoldo comprendeva anche quella di Grosseto), del Chianti, della Val d’Elsa e della Val d’Era sono ognuno distinti dagli altri. Alla base della trasformazione di questo territorio è vero c’è la Toscana quale “terra della città”12 che comprende tutto il Valdarno Superiore e Inferiore, ma anche le colline tra Firenze e Siena: “in quanto giardino, la campagna Toscana fa parte integrante della società urbana, ne segue le vicissitudini e ne riproduce le gerarchie di valori”13. Il grado di trasformazione della campagna dipende quindi in larga misura dall’importanza del centro urbano da cui le aree agricole stesse derivano. Se è vero che laddove vi è maggior popolazione la campagna appare più ricca e costituita da campi con coltura promiscua e dove la densità abitativa invece è minore vi sia la dominanza del seminativo nudo e del latifondo, da un’indagine analitica della situazione dell’Ottocento si osserva che non esiste un limite ben preciso ma piuttosto “una varietà di combinazioni che sfumano l’una nell’altra senza rigide delimitazioni”14. Anche qui la maglia mezzadrile è basata sulla geometria che segue però il naturale andamento delle colline, con filari alberati, viottole e fossi di scolo, una struttura che si è sedimentata su di un prolungato periodo e con fatica: un lungo processo che inizia in età comunale ma che si consolida e matura in particolare dalla fine del Settecento, con i Lorena, fino ai primi anni del Novecento15. Molte delle “città”, in particolare quelle di origine medievale o che comunque ricevono in questo periodo un impulso insediativo più rilevante, si strutturano secondo la viabilità: innumerevoli sono gli esempi tra cui svettano i centri legati alla Via Francigena come Siena, San Gimignano e San Miniato16. L’influenza della strada sulla città appare sotto diversi punti di vista: economico e sociale 12 Che coinvolge attivamente anche tutto il Valdarno inferiore e superiore. “Nessuna regione europea, se non forse la Fiandra, può essere definita, nel Basso Medioevo, una terra di città altrettanto legittimamente della Toscana” (GIOVANNI CHERUBINI, in CARLO CRESTI (a cura di), I centri storici della Toscana, Silvana editoriale d'arte, Milano 1977, pag. 7.). Con “l’affermarsi della civiltà comunale, emergono numerosi organismi urbani quasi tutti dislocati nella parte collinare e valliva della Toscana centro-settentrionale, solcata dalla più formidabile via di comunicazione naturale tra il mare e l’interno, l’Arno, e dalle principali arterie stradali costruite per i contatti commerciali con l’esterno e specialmente con l’Italia settentrionale” (LEONARDO ROMBAI, Storia del territorio e paesaggi storici: il caso della Toscana, “Storia e Futuro”, 1, 2002). “Terra di città” non solo per la quantità ma anche per la qualità delle strutture insediative e per la ricchezza delle diverse individualità (vedi GIOVANNI FANELLI, FRANCESCO TRIVISONNO, Città antica in Toscana, Santoni Editore, Firenze 1882, pag. 5). Durante il Medioevo, mentre in tutta Europa prende forma la civiltà feudale, nella regione, grazie alla dinamica strutturale del territorio si instaura quella politica tipica da cui nasce il policentrismo tipico della Toscana: è qui che “si costituisce un reticolato così fitto di città e di cittadine con un dinamismo economico, civile e artistico, che non ha eguale in tutto l’Occidente cristiano”. (ZEFFIRO CIUFFOLETTI, Un mirabile artificio. Il lavoro dell’uomo, in LUCIA BONELLI CONENNA, ATTILIO BRILLI, GIUSEPPE CANTELLI, Il paesaggio toscano. L’opera dell’uomo e la nascita di un mito, Banca dei Monti dei Paschi di Siena, Siena 2004, pag. 88. 13 CLAUDIO GREPPI, Introduzione, in Claudio Greppi, Quadri ambientali della Toscana. Paesaggi dell’Colline, Marsilio Editori, Venezia 1991, pag. 9 14 CLAUDIO GREPPI, op. cit., Venezia 1991, pag. 14. 15 Vedi MARGHERITA AZZARI, e LEONARDO ROMBAI, La Toscana della Mezzadria. Mutamenti varianti locali fra età moderna e contemporanea, in CLAUDIO GREPPI, op. cit., Venezia 1991, pag. 38. 16 San Miniato sorge in posizione centrale ed elevata rispetto a diversi assi di comunicazione: la via che collega Pisa con Firenze, la via Francigena o Romea che dalla Valdelsa si dirige verso Lucca, le vie fluviali dell’Arno e dell’Elsa. Il suo ruolo originale è quindi quello di “sentinella” sul territorio circostante e sulle rispettive vie di comunicazione, che conferisce all’impianto urbano una caratterizzazione prevalentemente militare. Il suo sviluppo segue però le linee delle direttrici naturali (i crinali) su cui si distende la viabilità principale: “il colle fortificato, dominato dalla rocca; un aggregato urbano composto da quattro borghi lineari fortificati sulle estremità mediante fortezze in corrispondenza delle porte, e lungo le linee perimetrali, grazie a muri, antimuri e rafforzamenti delle cortine posteriore degli edifici. La morfologia di San Miniato dimostra che le strade medievali, a andamento curvilineo, nascono al pari delle strade a linea retta, da una intenzione progettuale razionale. Le piazze – di forma ora allungata, ora rettangolare, ora triangolare o trapezoidale – corrispondono allo svolgimento organico delle strade.” (GIOVANNI FANELLI, FRANCESCO TRIVISONNO, Città antica in Toscana, Santoni Editore, Firenze 1882, pag. 12).

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ovviamente, ma in particolar modo nella stessa morfologia della struttura urbana17: la strada come spazio aperto e luogo pubblico su cui si svolge la vita quotidiana costituisce lo stesso paesaggio urbano. Descrivere il rapporto della viabilità con il paesaggio per tutte le colline toscane sarebbe un lavoro lungo e articolato così come per i paesaggi della valle dell’Arno, dell’Appennino e della costa. Due note particolari vengono però espresse in questo caso per due ambiti: il Chianti e la provincia senese. Il Chianti ha una fitta maglia di strade di matrice etrusco romana, nella quale durante i secoli si è organizzato spazialmente, ma non solo, l’uomo. In epoca medievale il reticolo si arricchito prima di castelli, poi di pievi e villaggi, poderi e fattorie18. Dalle descrizioni redatte durante i viaggi chiantigiani di Pietro Leopoldo, che parte dalla Villa di Lappeggi, oggi nel territorio di Bagno a Ripoli, percorrendo la strada Chiantigiana la quale passa per Greve, Panzano, Radda per giungere a Siena, e la diramazione Panzano-Castellina-Siena, generalmente preferita poiché più agevole e più breve, emerge un paesaggio finemente lavorato dove si produce grano, vino e seta: le colline sono difatti “coltivate a meraviglia con terreni fertili a grani, ulive e vigne bellissime, ben disposte, assolative tutte tenute ottimamente come giardini”.19 Alle soglie della seconda guerra mondiale il Chianti continua a svolgere un ruolo decisamente centrale all’interno della viabilità della regione: esso difatti funge da luogo di raccolta e smistamento di molti prodotti agricoli, in particolare del vino, oltre che di tutti quei percorsi transumanti che dall’Appennino, in particolare dalla Romagna Toscana e dal Casentino, scendono in Maremma. Il vasto territorio che ricade sotto la provincia senese ha invece una storia lunga e articolata. Alle ricche terre ricadenti intorno a Siena (il contado senese) si contrappone a sud un entroterra collinare marginalizzato che si affaccia sulla Maremma. Pietro Leopoldo, solo dopo un anno dalla sua reggenza, vista l’incuria che Siena rivolge alla parte meridionale della propria provincia, divide il territorio senese in Provincia Superiore e Provincia Inferiore. La parte Superiore vede un paesaggio abbastanza fertile, con grandi proprietà agricole, ampi pascoli inframezzati da fitte macchie di bosco, attraversati da due grandi direttrici la “Lauretana”, che attraversa le crete senesi, e la strada consolare Romana. Dalla Romana per “una cattiva salita” si sale ai Castelli di Rocca S. Casciano e di Castiglion d’Orcia e poi verso l’Amiata passando per Seggiano per giungere alla provincia Inferiore. Da S. Fiora dipartono poi tre strade una per Arcidosso, una per Badia S. Salvatore e per Pian Castagnaio. Montalcino insieme a S. Quirico e ad Asciano rappresenta invece il terzo indiscusso polo economico-stradale del territorio senese, benché le strade che vi giungono sono mal percorribili. La Provincia Inferiore comprende invece i vicariati della Maremma (Massa, Grosseto, Sovana, Arcidosso e le podesterie di Castiglion della Pescaia, di Sorano, di Castellottieri, di S. Giovanni di S. Fiora, di Pitigliano e di Scansano) e, ad esclusione della zona fra Pitigliano e Arcidosso più montana, è caratterizzata da un’alternanza di colline (principalmente interne) e paludi, vasti canneti

17 “Nella città «antica» si possono distinguere tre tipi di percorsi: i grandi percorsi da porta a porta, i percorsi anulari che collegano internamente i percorsi precedenti, i percorsi di distribuzione interna entro le zone residenziali. La strada antica è, per più aspetti, assai più ricca rispetto alla strada contemporanea. Spesso è sede, almeno in parte, di attività produttive: le botteghe artigiane si prolungano sulla strada; la residenza stessa è legata alle attività produttive e i rapporti fra case–botteghe-strada sono strettissimi e quotidiani. Le attività commerciali da quelle dei mercati a quelle del commercio al minuto, e le stesse attività finanziare, da quelle dei cambiavalute a quelle degli usurai, si servono, in maniera più o meno diretta, della strada. Anche il modo di abitare coinvolge largamente la strada. I servizi erano collocati fuori dall’abitazione e comportavano quindi un rapporto obbligato fra abitazione e strada: la fontana (o pozzo pubblico), il lavatoio, il forno (a volte comune), i pubblici bagni. Le donne intente ai lavori domestici, gli uomini durante il riposo, i bambini e gli anziani, durante tutta la giornata, sostavano o si muovevano sulla strada.” GIOVANNI FANELLI, FRANCESCO TRIVISONNO, op. cit., Firenze 1882, pag. 66. 18 Uno dei più antichi e importanti percorsi è quello etrusco che collega Chiusi con Artimino e che interessa il Chianti fra Cetamura della Berardenga (ove sono state rinvenute tracce consistenti di insediamenti etruschi) ed Impruneta: questo breve tratto è ancora oggi segnato dalla presenza di tre pievi: Santa Maria Novella, San Leolino a Panzano, San Piero a Cintoia. 19 PIETRO LEOPOLDO D’ASBURGO LORENA, Relazioni sul governo della Toscana, (a cura di A. Salvestrini, Olschki Firenze, 1969-1974, vol. III pag. 204).

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ed estesi pascoli, dove le strade si perdono in lunghe e contorte circonvallazioni per evitare gli acquitrini. Il traffico si svolge quindi prevalentemente attraverso il cabotaggio costiero, lasciando le aree più interne in una condizione di maggiore di isolamento. Solo con le opere di Pietro Leopoldo, che tra l’altro ricostruisce ex-novo la direttrice consolare Grossetana o Maremmana già attiva in epoca medicea ma in cattive condizione dopo Paganico e la strada per Campagnatico, anche la viabilità locale ritrova un nuovo impulso, in particolare intorno a Montorsaio, recuperando addirittura antichi tracciati etruschi. Pietro Leopoldo riscontra però un’eccezione nella desolazione della Maremma: Sorano e Pitigliano si presentavano “popolose e benestanti”, in particolare Sorano importante centro per il vino, che teneva le botti nelle cantine scavate nel tufo, più legato però ad Orvieto ed allo Stato pontificio che a territorio senese. Le strade per giungervi dal Granducato difatti erano solo due : la prima quella dell’ “Alberese” che partiva da S. Maria, passava per Montiano, Scansano, Capalbio, Montemerano, Saturnia. L’altra dipartiva da Petriolo sulla Regia Grossetana, saliva ad Arcidosso, Roccalbegna, S. Fiora e Pitigliano: Pietro Leopoldo arrivò a Pitigliano per una strada tagliata nel tufo per una lunghezza di cinque miglia.

Figura 17. Campagna intorno a Civitella Marittima vista da una piazzola di sosta della SR 222 Siena-Grosseto. Figura 18. SP 438 senese

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Figura 19. Cancello di accesso con viale di cipressi, olivi e muri di delimitazione lungo la strada presso San Casciano. Figura 20. Strada presso Tavernelle. Figura 21. Nella viabilità rurale possono essere disposi filari di olivi anche quando il campo è costituito da vigneti o da filari alternati di vite e olivo (Fracassi, Castelnuovo Berandenga). Figura 22 e 23. Viabilità in prossimità di Pitigliano e presso Monterotondo.

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Figura 24. Dalle si possono osservare i diversi paesaggi,. Qui l’area agricola si presenta scandita dalla regolarità delle colture a seminativo e delimitata dalle aree boscate. L’elemento di naturalità, il Merse, serpeggia leggermente fra i campi ( Figura 25. Viabilità, seminativi, edifici rurali presso Ponte d’ Arbia (Gabellino, Montieri)

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- La costa e l’arcipelago delle isole toscane. La costa, per sua stessa natura, “raccoglie” tutto ciò che proviene dall’entroterra. Questo è vero in particolar modo per la Toscana che vede i suoi tre bacini principali, l’Arno, il Serchio e l’Ombrone, ma anche molti dei suoi corsi d’acqua minori, giungere al traguardo proprio nel medesimo tratto di costa regionale. Non è solo un fatto di “acqua che scende” attraverso i fiumi e i torrenti, ma di “genti, cose, animali”, terra, culture e risorse e altro ancora. Per questo i confini tra le varie realtà della Toscana appaiono indefiniti, sfumano l’una nella altre o si intrecciano in alcuni nodi principali. La costa difatti entra a contatto con le “altre toscane” con modalità diverse:

- con l’Appennino tramite le Alpi Apuane, ma non solo con l’attività estrattiva del marmo, arrivando a costituire quasi un unico inscindibile;

- con tutto il bacino dell’Arno tramite lo stesso fiume quale percorso naturale e ricco di storia, non si può negare difatti il rapporto di un fiume con la sua stessa foce;

- con le colline interne e meridionali attraverso le maremme, siano esse pisana, livornese che senese.

La costa è inoltre una “porta di accesso” al mare e quindi alle isole e alle terre lontane. Eppure la costa, così come d’altra parte l’area appenninica, è stata spesso trascurata e trattata come terra marginale. Questo perché abbandonata dopo il periodo etrusco e diventata terra insana, di paludi e di malaria, nonché territorio soggetto alle invasioni e su cui si è diffuso il latifondo. Predilette le grandi direttrici interne come la via Francigena e la via consolare Romana che passa per Firenze, durante i secoli la grande direttrice che correva lungo tutto la costa, l’Aurelia, in epoca medievale e granducale perde di importanza, così come i nuclei urbani ad essa collegati, e tratti del proprio percorso scompaiono definitivamente nei territori impaludati: questo avviene in particolare nella parte meridionale della regione, più lontana alla grandi città. Anche il dominio politico dei territori collegati al mare, la costa e le isole, appare frantumato, che vede l’alternarsi di guerre, atti di pirateria e vandalismo, di nuovi e diversi governatori come la Repubblica di Genova, gli Estensi, i Presidi spagnoli e gli stessi Medici. Più che insediamenti e nuclei urbani, qui nascono torri, costruzioni militari e piccoli villaggi a sostegno delle strutture militari stesse: ne sono un esempio le innumerevoli torri presenti sia lungo la costa che nelle isole, il borgo fortificato di Portoferraio e il sistema difensivo mediceo incentrato sulla strada dei Cavalleggeri. Ne risulta così una costa costituita da paesaggi, diversi e complessi sia per la variabilità della morfologia che dei caratteri naturali, ma in particolare per le diverse storie e vicende che si sono susseguite: “Nel caso della costa cambia prima di tutto il ruolo dei centri urbani: le città che si trovano lungo la fascia costiera, da Massa ducale a Pisa e Livorno, a Piombino, Massa Marittima, Grosseto e Orbetello, hanno esercitato funzioni diverse secondo i casi e hanno conosciuto le vicende demografiche più varie, dalla stagnazione, al regresso, al rapido sviluppo.”20 Così alle coste alte e rocciose, apparentemente più stabili, si alternano aree pianeggianti, sabbiose o paludose, dove la trasformazione è avvenuta in modo più profondo ed evidente. A partire dall’epoca medicea, nella tenuta di San Rossore, si sono andate a distendere lungo tutto il litorale fasce di pinete (pino marittimo e domestico), “per «frenare, senza spegnerlo, l’impeto purificatore dei venti di mare»”21. Ai rimboschimenti di pino si sono succedute, in epoche diverse le bonifiche, che hanno portato il prosciugamento dei molti acquitrini presenti e modificato profondamente l’assetto naturale del paesaggio. Con Pietro Leopoldo e Leopoldo II l’Aurelia viene ripristinata e su di essa, spina centrale di tutta la costa si snodano le varie realtà costiere. La popolazione comincia a scendere dalle colline, nascono nuovi centri urbani come Cecina e Vada, alla contorta e rada viabilità locale, che doveva scansare le aree paludose, si sostituisce una viabilità regolare e geometrica che scandisce l’organizzazione

20 CLAUDIO GREPPI, Introduzione, in CLAUDIO GREPPI (a cura di), Paesaggi della costa toscana, Giunta Regionale, Marsilio Editori, Venezia 1993, pag. 9. 21 STEFANO CAVALLI, Macchia e paduli, tomboli e rupi. Il paesaggio vegetale della costa e delle isole, in CLAUDIO GREPPI (a cura di), op. cit., Venezia 1993, pag. 62.

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agraria delle varie tenute da nord a sud della regione22, costituita in genere da viali rettilinei dotati di filari alberati e fossi laterali per lo scolo delle acque: “per lo sviluppo della zona fu importante anche il lavoro di potenziamento delle infrastrutture portato avanti da Leopoldo II, come la costosa costruzione di una viabilità costiera sulla direttrice nord-sud costituita dalla Via Aurelia (o Emilia Scauria), da Pisa a Livorno, aperta nel 1828-30 con un percorso più rettilineo e regolare di quello antico. Il Granduca volle di fatto realizzare una strada maestra, carreggiabile e sicura, che attraversasse tutta la maremma e l’aprisse al commercio, consapevole dell’importanza della rete viaria come mezzo di diffusione dello sviluppo e del progresso. Numerosi furono anche gli interventi di riassestamento ad altri tronconi come la Livorno-Vada o la strada detta della Camminata per Bibbona, e costruzioni ex-novo, tra cui la strada da Venturina a Piombino.”23 Poche comunque, ad eccezione della tratto di costa collegata dalla via Pisana e dalla più recente autostrada Firenze-mare, le strade che dall’interno si collegano con la costa. È ancora quindi la Aurelia a metà del Novecento che determina le economie e i paesaggi costieri, in questo caso tenendo nuovamente insieme una serie di realtà diverse, quali le aree paludose e malariche, le pianure bonificate24, i tratti di costa rocciosa e ricoperta da folta vegetazione mediterranea, grandi poli industriali come quello di Follonica, Piombino, Livorno e Massa Carrara, le nuove emergenti zone dedite al turismo, Viareggio e la Versilia, individuabili non a caso in quel tratto di costa raggiungibile con l’autostrada da gran parte delle maggiori città interne della regione e infine i porti che permettono di collegarsi alle isole dell’arcipelago, ancora comunque appartate dal resto della Toscana: ad eccezione dell’isola d’Elba, su gran parte di esse si trovano piccoli paesi, che vivono soprattutto di viticoltura, e colonie penali agricole: un insieme di diverse realtà, ognuna con una propria storia25, che costruiscono le basi dell’attuale paesaggio costiero regionale26. 22 Nelle pianure umide le aziende poderali si presentavano più estese e quindi con una maglia decisamente più larga rispetto a quelle presenti nelle pianure asciutte e sulle colline: “la maglia dell’alberata si presentava più semplificata e rarefatta e priva dell’olivo. In altri termini qui erano i seminativi nudi e i prati permanenti (e quindi il patrimonio zootecnico) ad improntare decisamente gli ordinamenti produttivi che di frequente investivano anche aziende non appoderate.” (LEONARDO ROMBAI, Storia del territorio e paesaggi storici: il caso della Toscana, “Storia e Futuro”, 1, 2002). 23 LEONARDO ROMBAI e RAFFAELLA SIGNORINI, La piaga risanata. Paesaggi e bonifiche nelle Maremme, in CLAUDIO GREPPI (a cura di), op. cit., Venezia 1993, pag. 154. 24 La caduta e la rinascita dell’Aurelia ha direttamente influito nell’abbandono o nello sviluppo dei centri urbani della costa. Dopo i consistenti sforzi di Pietro Leopoldo, ma soprattutto di Leopoldo II, con l’aiuto di Leonardo Ximenes, di Alessandro Manetti e di Vittorio Fossombroni per strappare la Maremma alla malaria, nel 1928 il governo fascista attua la bonifica integrale tramite la costituzione di consorzi e di enti pubblici come l’Opera nazionale dei combattenti (benché il Consorzio di Bonifica operasse già precedentemente: vedi http://www.provincia.grosseto.it/cultura/bonifica/cap_03.html). In realtà la Maremma verrà completamente bonificata solo dopo la seconda guerra mondiale: con l’uso del DDt viene sconfitta definitivamente la malaria e il paludismo attraverso la riforma agraria o più precisamente fondiaria con la legge stralcio n. 841 del 21 ottobre 1950, in cui veniva creato appositamente l’Ente Maremma per mettere fine al latifondismo ed esproriare le terre, secondo i criteri fissati dalla legge, per distribuirle a coloro che ne erano privi o che avevano proprietà insufficienti. “Ne derivò la nascita di un’agricoltura intensiva e meccanizzata, sostenuta da centinaia di piccole imprese diretto-coltivatrici e da una ragguardevole rete cooperativistica.” (http://www.toscana-europa.it/?sezione=11&dettaglio=23). Con la riforma agraria ancora una volta l’orditura infrastrutturale, fatta adesso di strade rurali, canali, pali per l’elettricità, si infittisce. Si costruiscono edifici rurali e alcuni centri di servizi “in cui si concentrano poche case, uno spaccio, la chiesa e la sede dell’Ente della Riforma.” (ARTURO LANZANI, I paesaggi italiani, Meltemi editore, Roma 2003, pag. 60). 25 Le sette isole dell’Arcipelago Toscano, Gorgona, Capraia, Elba, Pianosa, Montecristo, Giglio Giannutri, hanno una genesi geologica, l’una diversa dalle altre. Sommati ai successivi eventi geologici, climatici, politici e antropici di vario genere, uniti dal fattore isola, si sono così costruiti in ognuna di esse paesaggi unici, ricchi di endemismi sia vegetali che animali e caratteristiche culturali legate ma diversificate allo stesso tempo. 26 La parte settentrionale della costa toscana è stata interessata, così come oggi, da consistenti fenomeni di urbanizzazione dovuti in particolar modo al fenomeno delle seconde case al mare. I pochi acquitrini rimasti nelle aree pianeggianti dopo le grandi opere di bonifica, insieme alle coste rocciose folte di vegetazione mediterranea e a gran parte delle pinete situate sui cordoni dunali costituiscono il sistema delle aree protette alle varie scale (tra tutte una di livello nazionale e due di livello regionale: il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, il Parco Regionale di San Rossore, Migliarino Massaciuccoli e il Parco Regionale Naturale della Maremma. A nord invece si affaccia sulla costa il Parco Regionale delle Alpi Apuane. Più intricate appaiono le aree industriali, che presentano problematiche legate all’inquinamento e alla loro integrazione con il paesaggio circostante, che si intrecciano, insieme alle aree sottoposte ad attività estrattiva, ad aree complesse di rilevanza naturalistica instaurando così un’alternanza tra l’istituzione di parchi minerari e archeologici in zone industriali dismesse, zone residenziali e/o ricolonizzate dalla vegetazione.

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Figura 26. Veduta della costa versiliese con il profilo delle Aouane. Figura 27. Lungomare e spiaggia di sabbia (Bocca di magra). Figura 28. Veduta panoramica della costa versiliese. Figura 29. Area portuale di Piombino. Figura 30. Area industriale della Solvay a Rosignano.

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Figura 31. Il lago di Massacciuccoli, una delle più importanti aree naturali della costa. Figura 32. Telamone. Figura 33. La strada fatta costruire da Leopoldo II che congiunge Orbetello con l’Argentario. Figura 34. La via Aurelia presso Capalbio. Figura 35. Viabilità dell’Isola d’Elba.

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Figura 36 - 37. Veduta dalla viabilità della costa verso la riserva naturale del lago di Burano (Cosa-Ansedonia), e del susseguirsi di promontori dell’Isola d’Elba e della costa di Piombino.

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Figure 38-39. Sulla costa sono presenti numerose strade panoramiche: strada panoramica dell’Argentario dalla quale è possibile scorgere l’Isola del Giglio, strada panoramica dell’Isola d’Elba. Figura 40. In basso la Via Aurelia a sud di Fonteblanda.

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Dalla “Grande Trasformazione” ai mutamenti odierni “Attraversano paesi stretti e campagna chiusa da capannoni industriali, una lunga fila di hangar che impediva la vista sulle colline. […] con colori blu, gialli, rosa confetto. Capannoni che marcavano le strade come un unico, gigantesco Lego. […] Un paesaggio monotono: colline e colline di vigne tutte uguali. Non c’è più un albero da frutto. Vede in giro un ciliegio, un pesco, un susino? No, più niente. Tagliati tutti i frutteti per far posto alla vigna.”1 All’inizio degli anni Cinquanta nel paesaggio italiano è ancora ben leggibile quel lento processo di stratificazione che lo ha costituito: la struttura, le caratteristiche, i connotati paesistici sono ancora presenti, chiari e precisi, distinguibili l’uno dall’altro, così come città e campagna si presentano l’una l’opposta dell’altra e contemporaneamente la prima integrata nella seconda2. Ma è gia dalla fine degli anni Quaranta che si innescano i primi meccanismi di quel profondo mutamento che investirà nei decenni seguenti il paesaggio: il crollo della vita rurale, in particolare della mezzadria, la meccanizzazione delle pratiche agricole supportate dall’utilizzo dei fertilizzanti e dei pesticidi che comportano l’abbandono della coltura promiscua a vantaggio di quelle specializzate, l’incremento della motorizzazione di massa intrecciata ad una profonda infrastrutturazione del paese, costituita dai numerosi progetti di adeguamento dell’intera rete nazionale e dal nuovo sistema autostradale, lo sviluppo industriale, l’esodo rurale verso la città e quindi la conseguente crescita delle città che diventa di per sé una fonte di reddito3. È con la “grande trasformazione”4 che si costruiscono i nuovi “paesaggi dell’abitare”5 composti da fenomeni e realtà diverse che generano fratture, scollamenti e diversificazioni interne e complesse. Alla fine degli anni Cinquanta si apre così una nuova epoca per la viabilità che vede la riorganizzazione dell’intera rete stradale nazionale causata anche dalle nuove esigenze dettate dall’uso dei mezzi motorizzati: la rete viaria esistente principale (in pratica tutte le strade statali), uscita dalla vicende belliche devastata e distrutta6, viene sottoposta a progetti di adeguamenti e asfaltatura, alla quale si affianca, così come previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1950, una nuova rete di “grandi strade” che hanno il compito di collegare l’Italia con il resto d’Europa7. La spina centrale di questo nuovo importante sistema autostradale è la realizzazione dell’A1, l’Autostrada del Sole, una grande arteria completata nel 1964 che attraversa longitudinalmente tutto il paese con lo scopo di collegare il nord con il sud, favorendo così l’utilizzo dell’automobile a scapito delle altre forme di trasporto, in particolare rispetto al treno che utilizza ferrovie “non modernizzate e trascurate”8. Nel tratto toscano infatti, tra Bologna-Firenze-Roma tutto il tracciato scorre parallelamente alla ferrovia.

1 NICO ORENGO, Di viole e liquirizia, Edizioni Einaudi, Torino 2005, pagg. 41 e 50. Il romanzo di Orengo si riferisce nel particolare al paesaggio delle Langhe, ma i processi di trasformazione descritti in questo breve tratto, tra cui l’avvio delle monocolture e in particolare la diffusione dei vigneti specializzati nelle colline a scapito della policotura e della diversità ambientale, riguardano tutto il paese italiano. 2 I piccoli e i grandi centri urbani sono difatti ben radicati nel mondo rurale (Vedi LANDO BORTOLOTTI, L’evoluzione del territorio, storia di Italia). 3 Ovvero una città che cresce sotto la spinta edile che crea periferie fatte di sole case costituita da edifici multipiano filostrada, con attività commerciali al piano terreno, ma ancora legata alla strada dato che la maglia viaria nel paesaggio urbano scandisce ancora l’organizzazione degli spazi, attraverso l’isolato. Costituita quindi da spazi aperti ben definiti che però diventano ben presto aree a parcheggio per la sosta dell’auto privata (priva ancora di quei spazi vuoti tipici delle periferie anni Sessanta e Settanta), in cui la strada costituisce ancora, in questa processo di espansione, comunque la matrice del paesaggio urbano (è ancora quindi la città tradizionale che è legata ancora alla strada). Sui lungomari invece avviene la diffusione di ville, villette, villini e talvolta qualche palazzina. 4 “Il difetto del paesaggio uscito dalla Grande Trasformazione è l’incoerenza del discorso storico. L’incoerenza, cioè, non è tanto l’autostrada che «vola» da una dorsale all’altra dell’Italia collinare, quanto la sua non perfetta congiunzione con la restante realtà territoriale, è lo scatenarsi dei capannoni ai suoi lati, l’esibizione di brutture edilizie in aree di natura già splendide o in paesaggi sacralizzati per i valori culturali, storici, simbolici” (EUGENIO TURRI, Semiologia del paesaggio italiano, (1979), Longanesi, Milano 1990). 5 Vedi ARTURO LANZANI, I paesaggi italiani, Meltemi editore, Roma 2003, pag.19. 6 Numerose opere stradali, ponti, muraglioni a retta erano stati distrutti durante la guerra. 7 Legge Romita del 21 maggio 1955 n. 463 con cui viene emanato il piano nazionale per le nuove autostrade. 8 EUGENIO TURRI, Cent’anni di trasformazioni, in Il paesaggio italiano nel Novecento, Touring Club editore, Milano 1994, pag. 40.

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La nuova arteria quindi attraversa un’infinita varietà di contesti, ma il paesaggio, nonostante siano già avvenute importanti esperienze straniere in campo di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie come le parkways americane, non viene preso in considerazione. In particolare il tratto appenninico che collega Firenze con Bologna, realizzato con un numero esiguo di professionisti e senza nessuna organicità di stile, suscita non poche critiche, tra cui quella di Bruno Zevi comparsa sull’ “Espresso” nel febbraio del 19619: “… Basta esaminare una decina di ponti e di viadotti per accorgersi che i progetti sono stati fatti a caso, con risultati naturalmente difformi e stridenti. Vicino ad esempi pregevoli, troviamo una serie di strutture mediocri: il Viadotto Quercia-Setta, quello sul Rio della Serra, il viadotto Castellare, il ponte sul torrente Lora. Bruttissimi sono poi Case Olmi, Corzanello, la Cassina, Formicaio e Podere Vicchio che, per le inerti sequenze di arcate, sembrano appartenere a una civiltà ingegneresca remota, di cinquanta o cento anni fa. Nessuno si è preoccupato di garantire un minimo di coerenza figurativa e tecnica tra le varie opere d’arte. Le gallerie sono, quasi senza eccezioni, orrende, con testate mal disegnate anzi non disegnate affatto. Le carreggiate, i ponti, i viadotti, s’imbattono in queste gallerie senza alcun raccordo formale o strutturale. Tutto ciò rivela un metodo che è insieme architettonicamente deplorevole e anti-economico”10. Lo scontro tra la scala imponente della grande infrastruttura e la trama del paesaggio appenninico, ancora basata su un sistema minuto di reti, la mancanza di un progetto organico e di un disegno unitario dell’infrastruttura, e di “ricucitura”, cioè di un progetto rivolto a quello spazio in cui il manufatto si scontra fisicamente con la morfologia montuosa attraverso sbancamenti, viadotti, tagli al profilo del versante, gallerie eccetera…, sono le problematiche maggiormente evidenti. La mobilità permette inoltre modelli di vita differenti, senza precedenti, che comportano conseguentemente forme insediative diverse. In auto ci sposta per raggiungere il posto di lavoro, per le gite del fine settimana, per andare in vacanza, e altro ancora. Pertanto lungo le strade alle pievi, alle case a filo strada, ai tabernacoli, eccetera… si sostituiscono stazioni di servizio, autogrill e aree di sosta per l’auto, parcheggi, capannoni industriali e artigianali, centri espositivi-commerciali e carrozzieri: “è con le strade che si definisce un radicale cambiamento dell’ordinamento territoriale in un ambiguo rapporto tra riuso di armature di lunga durata, distruzione e cancellazione di storici paesaggi e emergere di nuove forme insediative.”11 Con l’automobile cambia il paesaggio ma anche il modo con cui viene percepito, letto e quindi compreso e acquisito: il concetto di velocità, di movimento, di accessibilità permette di far scoprire paesaggi, anche remoti, alla popolazione, rendendoli così raggiungibili e possibili, anche se da esclusivi punti di vista12, oltre la possibilità di far leggere più facilmente la sistematicità e il dinamismo che lo caratterizza13. Al tempo stesso però le visuali che si aprono dalle strade rischiano di essere obliterate dalla presenza di cartellonistica pubblicitaria invadente, da edifici ingombranti, simili a “degli scatoloni”, anonimi disposti lungo i margini delle strada, dai processi di urbanizzazione che spontaneamente si diffonde anch’essi a fianco delle strade, di attività diverse e di marginalizzazione e abbandono che la stessa strada sembra attrarre e generare. Anche in città il tessuto si modifica, l’auto difatti occupa quasi tutti gli spazi aperti, i marciapiedi diventano esili strisce, le piazze diventano luoghi congestionati o addirittura aiole spartitraffico. 9 Questa critica ebbe risonanza in tutta Europa. La Svizzera, che si apprestava a costruire nuove infrastrutture decise subito di correre ai ripari chiamando l’architetto Rino Tami consulente estetico alla progettazione, ma anche in Italia, a nord, la provincia di Trento chiese esplicitamente che al progetto dell’autostrada del Brennero collaborasse l’architetto paesaggista Pietro Porcinai. Per il testo di Bruno Zevi e per ulteriori approfondimenti vedi le schede Autostrada N2 Chiasso-San Gottardo e l’Autostrada del Brennero, in EMANUELA MORELLI, op. cit., Firenze University press, Firenze 2005. 10 BRUNO ZEVI in CARLONI TITA (a cura di), Rino Tami. 50 anni di architettura, Electa Editrice, 1984, pag. 122. 11 ARTURO LANZANI, op. cit., Roma 2003, pag.71. 12 Ad esempio l’automobile e lo spazio stradale. 13 Molteplici sono le esperienze e i contributi disciplinari in materia di paesaggio in cui la strada viene intesa come opportunità di conoscenza e di lettura del paesaggio: tra tutti si citano le parkways americane che da progetti di riqualificazione del margine urbano diventano grandi direttrici scenografiche che attraversano la nazione. La grande strada diventa uno strumento con cui la popolazione americana si appropria del proprio territorio e con la quale genera le prime forme insediative decentrate e immerse nella natura. Velocità, dinamicità, lettura del paesaggio urbano, ridefinizione del suo stesso margine, sono solo alcuni dei concetti invece espressi in DONALD APPLEYARD, KEVIN LYNCH AND JOHN MYER, A view from the road, Massahusetts Institute of Tecnology, Cambridge 1964.

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Con gli anni Sessanta i nuclei urbani, in particolare quelli maggiori, tendono ad espandersi “a macchia d’olio”, attraverso la costruzione di nuovi quartieri residenziali realizzati per singole parti, caratterizzati dalla mancanza di relazioni con l’antico centro. Gli spazi aperti difatti che hanno il compito di creare il tessuto e la continuità della città, i luoghi della vita pubblica, sono spazi marginalizzati, spazi residuali dell’attività edificatoria privi di qualsiasi forma e connotazione: l’edificio rompe il proprio legame con la strada urbana e si dispone liberamente sul suolo. Questi processi di trasformazione investono tutto il paese italiano, in particolare le aree metropolitane che occupano le grandi pianure, così come quella tra Firenze-Prato-Pistoia e il Valdarno inferiore che vedono sia l’insorgere di conurbazioni lineari, in particolare lungo le strade statali e provinciali, sia nuove urbanizzazioni distrettuali che formano tante isole, che come un arcipelago, si dispongono lungo le tre direttrici principali che da Firenze si dirigono verso Livorno, Pistoia e Montevarchi. La crescita urbanistica delle tre città della conca di Firenze, Prato e Pistoia, e le sue diramazioni nelle aree pianeggianti del Mugello, del Valdarno (inferiore e superiore, quindi verso Livorno, Pisa e Arezzo), della Valdipesa e Valdelsa definisce un “continuum che non è né urbano né rurale, ma che in sostanza è una proiezione, della città, dei suoi modi di vivere, dei suoi valori nella campagna che Giacomo Becattini battezzò – circa trent’anni or sono, con felice interpretazione – come nuova campagna urbanizzata” 14. Anche la costa non è esente dal fenomeno dell’espansione edilizia. Nel giugno del 1967, tra Viareggio e Pisa, viene inaugurato il primo tratto dell’autostrada A12 detta “Azzurra” che avrebbe dovuto collegare Roma con Genova15 ricalcando il percorso dell’antica Aurelia. La facilità di accesso alla parte settentrionale toscana della costa, grazie alla presenza di autostrade che acconsentono di renderla vicino alle grandi città16, permette una espansione edilizia guidata dai lungomare, i quali piuttosto che creare una continuità tra lo spazio urbano e gli stabilimenti balneari e la spiaggia, diventano arterie di traffico e quindi barriere lungo le quali si articolano in modo disordinato tessere costituite da centri urbani, lottizzazioni di residenze turistiche, spazi residuali campestri o pinete dunali. Verso l’interno tra la piana di Lucca e la Valdinievole che “si congiura come un insieme produttivo di agricoltura specializzata nel florovivaismo e di impiantistica ad essa collegata”17 nascono insediamenti continui lungo la viabilità principale, costituiti da serre che si alternano a piccoli fabbricati industriali o abitazioni a villetta degli stessi floricultori. Il paesaggio agrario quindi si modifica celermente e profondamente o poiché inglobato dai processi di urbanizzazione o a causa della industrializzazione della stessa attività agricola che comporta l’abbandono di un sistema di segni “minori” strutturanti tra cui la rete dei sentieri sterrati, le cappelle votive, i tabernacoli, le canalizzazioni secondarie. Con l’incentivi della PAC e l’utilizzo dei mezzi meccanici i campi si accorpano e ampliano la propria maglia, vengono eliminate le siepi quali elementi di intralcio e disturbo, così come i muretti e i fossi disposti ai perimetri dei campi. Con la crisi della mezzadria nelle pianure si impongono le colture industriali, come il mais, la soia e la colza mentre sulle colline il vigneto specializzato prende il sopravvento sulla cultura promiscua18: le nuove colture vitivinicole disposte a rittochino, in un'unica direzione e parallelamente ala linea di massima pendenza, per favorirne la meccanizzazione, e non più su supporti di legno o su specie arboree ma su paletti di cemento, sono parte di una nuova agricoltura verticale che scalza quella orizzontale dei terrazzamenti e dei ciglionamenti. Non sono solo le tessere a modificarsi, la grandezza e il contenuto, ma anche la stessa morfologia: difatti “la costruzione delle autostrade e di altre extraurbane, l’intensificazione dell’attività edilizia,

14 LEONARDO ROMBAI, L’evoluzione del paesaggio toscano nel tempo e le qualità paesistiche subregionai e locali, in LUCIA BONELLI CONENNA, ATTILIO BRILLI, GIUSEPPE CANTELLI, Il paesaggio toscano. L’opera dell’uomo e la nascita di un mito, Banca dei Monti dei Paschi di Siena, Siena 2004, pag. 126. 15 Attualmente interrotta tra Rosignano e Civitavecchia, 16 Non solo l’Autostrada A12 e la Firenze –mare, ma anche la costruzione dell’Autostrada della Cisa ha favorito, oltre lo sviluppo del porto-containers di Livorno, la discesa da parte delle popolazioni lombarde ed emiliane in Versilia durante la stagione estiva. 17 RENATO STOPANI, Il paesaggio agrario della Toscana. Tradizione e mutamento, FMG Studio Immagini S.A.S., 1989 Firenze, pag. 126. 18 Ad esempio grazie alla disciplinare sui vini a denominazione d’origine controllata il Chianti tra il 1965-70 salva la propria economia dalla crisi mezzadrile modificando però profondamente il proprio paesaggio.

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e la connessa urbanizzazione di vaste aree (e urbanizzazione significa in primo luogo costruzione di una rete stradale) hanno comportato una crescente richiesta di materiali lapidei: pietrisco, ghiaia e sabbia”19 con conseguenze importanti non solo lungo i corsi d’acqua e nella modifica del profilo20 del terreno ma anche nell’arretramento stesso delle spiagge. Attorno agli anni Settanta la rete stradale regionale si trova abbastanza sviluppata: le strade statali e le autostrade rappresentano il 18% della regione contro una media nazionale del 16,9.%21. Nonostante ci siano numerose iniziative che incentivano un’attenzione maggiore tra i nuovi processi di trasformazione e il valore della stratificazione avvenuta sia nei paesaggi aperti che in quelli urbani, nella progettazione stradale, dal punto di vista paesaggistico, continua a non essere presa nessuna disposizione. Ciò che conta sono difatti i flussi, il traffico, la velocità: la strada diviene un oggetto progettato esclusivamente da tecnici che adottano regole matematiche e geometriche e che niente sembra avere a che fare con il contesto attraversato. La complessità della lettura dei processi recenti e in atto causati dalle infrastrutture evidenzia numerose realtà basate quasi tutte dalla richiesta di una maggiore mobilità intraregionale e inteprovinciale: crescono difatti i movimenti turistici causati non solo dal turismo balneare ma anche quello del fine settimana che si sposta o in campagna, o nei centri urbani storici o nei parchi; nascono nuove forme di commercio, dalla strada-mercato, dove lungo i nastri stradali si dispongono in modo disordinato spazi commerciali, produttivi, residenze e attività agricole residuali22, alla diffusione di ipermercati e di grandi centri commerciali che al loro interno contengono spazi pubblici che ricordano il passeggio e la piazza e altre attività ricreative23. Tutto ciò comporta un aumento della distanza del movimento pendolare tra casa e lavoro e soprattutto una profonda modifica dello stesso modo di abitare: “La crescente mobilità di segmenti rilevanti della popolazione che lavorano in un luogo, risiedono in un altro, consumano in un terzo spazio e si ritrovano in luoghi ancora differenti di socializzazione e di frequentazione, di svago e di piacere è anche legata a un’esplosione della stessa residenza in spazi differenti. Si tratta certo di un fenomeno minoritario ma non privo di interesse. Per alcuni soggetti, la seconda casa diventa sempre meno il luogo del tempo libero e delle vacanze, e più che altro una residenza complementare all’altra”24. La richiesta di una maggiore viabilità meno congestionata e più veloce comporta sia nelle aree metropolitane e più densamente abitate, sia in prossimità di altri centri urbani, la moltiplicazione degli interventi sui manufatti stradali. Oltre la realizzazione di alcune nuove strade, si tratta per lo più di adeguamenti che vedono il raddrizzamento del tracciato o l’allargamento della sede stradale25, la realizzazione di piccole o grandi varianti che si pongono come alternative al tracciato 19 LANDO BORTOLOTTI, L’evoluzione del territorio, in GIORGIO MORI (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. La Toscana, Giulio Einaudi Editore, Torino 1986, pag 776. 20 Le cave di sabbia e argilla vengono aperte generalmente sui depositi alluvionali, in aree pianeggianti e quasi sempre nelle immediate vicinanze dei torrenti e fiumi, facendo così affiorare l’acqua di falda. Raramente questi nuovi “laghetti” al momento della dismissione dell’attività estrattiva, sono stati ricoperti, presentando così la problematica relativa alla maggior possibilità di inquinare l’acqua di falda con attività incongrue: oggi generalmente sono utilizzati o per fini ludici (zone di pesca, eccetera…) o come zone di rilevante interesse naturalistico essendo costituite da aree umide e dalla ricolonizzazione di vegetazione di tipo palustre. Altre tipologie di cave (pietra, pietrisco, eccetera…) mutano invece profondamente i profili dei rilievi. 21 Oltre alla rete autostradale citata, vengono realizzate le superstrade tra Firenze-Siena, Siena-Bettolle e la Firenze-Pisa-Livorno. La dotazione complessiva di infrastrutture viarie è inferiore solo alle seguenti regioni: Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto (vedi ALESSANDRA BORGI, La rete stradale della Toscana: nei suoi caratteri attuali, nella sua evoluzione storica, nelle sue esigenze di sviluppo, Istituto geografico militare, Firenze 1977, pag. 537). 22 Gli spazi aperti interclusi tra gli edifici (abitazioni, saloni commerciali, capannoni, poderi agricoli, eccetera…) lungo una strada che presenta rilevanti processi di urbanizzazione sono spesso aree in attesa di essere rese edificabili, saldando così il tessuto edificato che amplifica l’effetto barriera della strada, o di ospitare il passaggio di una nuova diramazione stradale. In realtà sono spazi che hanno un’alta potenzialità: dal riordino ecologico ambientale a quello relazionale funzionale ricreativo degli stessi tessuti urbanizzati. 23 Le ultime tipologie commerciali sono i factory outlet center, cioè il raggruppamento di tanti piccoli negozi specializzati nell’offerta di specifici marche di produzione, come quella ultima di Barberino di Mugello, generalmente situate in luoghi ben visibili dalla grande viabilità. 24 ARTURO LANZANI, op. cit., Roma 2003, pag. 367. 25 In genere a scapito dei pochi filari alberati esistenti. Una delle recenti problematiche emerse riguarda la realizzazione della terza corsia per l’Autosole in spazi già particolarmente urbanizzati e congestionati (ad esempio comune di Bagno a Ripoli e Scandicci). Il progetto di allargamento stradale dell’A1 in località Casellina sembra comunque porsi come

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originale26, l’introduzione di nuove circonvallazioni intorno ai centri urbani, che implicano nel loro insieme l’ intromissione di nuove forme geometriche, come le rotatorie e gli svincoli mai integrati con il contesto27, di pesanti e rigidi cavalcavia, misere aiole spartitraffico, brutali movimenti di terra, muri a retta, scarpate, pannelli fonoassorbenti: un insieme di piccoli o grandi interventi, soventemente non realizzati secondo un disegno unitario ma piuttosto per successive aggiunte, che scalfiscono profondamente il paesaggio, innescando processi di degrado e di frammentazione che a loro volta degenerano influendo in modo devastante sulla qualità del paesaggio stesso. Certo alla domanda di una maggiore infrastrutturazione si è associata da parte delle comunità, una più intensa richiesta:

- di spazi aperti di qualità sotto il carattere estetico ed ecologico-ambientale; - di percorsi alternativi alle strade carrabili, quali quelli pedonali e ciclabili, in quanto i primi

sono caratterizzati da un senso di insicurezza per chi le percorre senza automobile; - del recupero, valorizzazione e tutela dei caratteri identitari locali attraverso la realizzazione

di veri e propri percorsi che si snodano all’interno del paesaggio: dai processi di riqualificazione dei molti centri storici, legati a processi di pedonalizzazione del tessuto viario con conseguente insorgere di attività commerciali legate al turismo, ai progetti di greenways recuperando tracciati infrastrutturale dismessi, sino al recupero della viabilità minore nella campagna, all’istituzione dei percorsi storico-culturali e eno-gastronimici che hanno lo scopo di sostenere l’economia locale, attraverso la promozione turistica, salvaguardando, valorizzando i caratteri peculiari locali.

Figura 1. L’autostrada del Sole a Bellosguardo.

occasione per il riassetto del tessuto urbano attraverso “interventi di recupero, sistemazione a verde e inserimento ambientale”. Vedi LORENZO VALLERINI, Terza corsia dell’Autosole e trasformazioni urbane (Casellina, Scandicci), “Opere”, 09, 2005, pagg. 48-51. 26 Numerosi sono gli interventi che riguardano le varianti alle strade regionali così come quelle provinciali. 27 Lo spazio “interno” alle rotonde e agli svincoli viene quasi sempre vissuto come uno scarto, un vuoto, chiuso in se stesso, da riempire con sculture o discutibili composizioni vegetali dove domina l’utilizzo del cipresso per il suo ruolo di barriera vegetale sempreverde ai rumori, alle polveri e alla vista, ma soprattutto per il suo carattere di “toscanità”, banalizzando così il suo stesso ruolo e creando una cortina che separa sempre più la strada dal paesaggio stesso.

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Figure 2 - 4. Opere dell’autostrada del Sole: il viadotto sul torrente Aglio nel tratto appenninico (all’epoca della sua realizzzione era il più grande di Europa). Viadotto di Bellosguardo dall’alto e dal basso.

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Figure 5. Area di Servizio Aglio. Le aree di servizio presentano architetture omologate in tutto il paese. Poche sono le diversità che le contraddistinguono. Inoltre sono luoghi più o meno chiusi in se stessi, che hanno poca relazione con il paesaggio circostante. Figura 6. Tratto autostradale A1 presso Calenzano: si osserva la capacità della grande infrastruttura viaria a richiamare capannoni e zone industriali-artiginali ai suoi margini. Figura 7. Tratto dell’A1 presso Bagno a Ripoli (pagina seguente) Figura 8. A1. Viadotto di Legri (Calenzano). Figura 9. Veduta del Valdarno Superiore (da Incisa). Nel fondovalle, un tempo lago pliocenico, scorrono a fianco del fiume Arno, le più importanti infrastrutture del paese per il collegamento nord-sud (ferrovia, TAV, Autostrada del Sole). Insieme al reticolo di strade quale la SS 69, questa infrastrutturazione ha comportato una discreta pressione antropica su tutto il fondovalle, purtroppo non sempre gestita in modo coerente e da permettere una relazione trasversale tra i due versanti sia sotto il profilo ecologico, che relazione-funzionale.

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Figure 10-12. Versilia, Autostrada A12 – Azzurra

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Figura 13. Viadotto sulla Cassia (SS2) in prossimità di Bagno Vignoni. Figura 14. La superstrada Firenze – Siena presso la Sambuca: le grandi infrastrutture richiamo da una parte le attività commerciali e produttive mentre possono causare abbandono nelle attività agricole. Figura 15. I raccordi stradali alle grandi infrastrutture sono spesso realizzati con soluzioni invasive (Fi-Pi-Li). Figura 16. Superstrada Siena – Arezzo Figura 17. – 18. Strade mercato preso Poggibonsi e Cerreto Guidi. Figura 19. Di contro alle grandi infrastrutture, lungo la viabilità provinciale e statale non adeguata alle caratteristiche geometriche della grande velocità, sorgono nuovi insediamenti residenziali (SS. 69 Rignano)

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Figure 20-21. Lavori di adeguamento a S.G.C. della Siena-Grosseto (ss 223). Figura 22. Sovrappasso per la viabilità locale e svincolo a Firenze nord. Figura 23. Lavori di adeguamento per la terza corsia A!, presso Scandicci. Figura 24. Realizzazioni di dune a fianco del raccordo autostradale Firenze-nord. Figura 25. Recente sistemazione dello svincolo per l’accesso al Ponte all’Indiano (strada a scorrimento veloce - lato Ponte a Greve) con inserimento di piante di cipressi.

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Figure 26. Viabilità tra Grosseto e Marina di Grosseto. Figure 27-28. L’Aurelia nel tratto Versiliese. Figura 29. La viabilità scandisce le prime lottizzazioni residenziali della costa (Tonfano).

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Figura 30. Rotonda presso ad Arezzo. Figura 31-32. Viabilità lungomare in Versilia (Tonfano e Lido di Camaiore). Figura 33. Nuova viabilità sul Lago di Bilancino (Barberino di Mugello).

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Figure 34 35. Lavori di sistemazione del nuovo svincolo, uscita A1 Barberino di Mugello e l’insediamento del recente Factory Outlet, ben visibile dalla grande infrastruttura.

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Scheda n. 9 LA STRADA FIRENZE-PISA-LIVORNO Il collegamento viario che unisce il capoluogo toscano al mare attraverso la valle dell’Arno ha origini antiche. I romani, con l’affermazione di Firenze come centro dell’Etruria, sistematizzano un primo tracciato continuo grazie alla presenza di brevi tratti stradali realizzati in periodo etrusco1 al fine di trovare un rapido collegamento terrestre tra la Via Cassia e la Via Aurelia2. La via romana, con una lunghezza di 81 km3, scorre prevalentemente in pianura a fianco del fiume ad eccezione del punto critico in cui l’Arno si immette nella gola della Gonfolina (detta anche Golfolina). Per evitare questo tratto pericoloso dal punto di vista idraulico la via approfitta di un altro tracciato etrusco che passa per colline di Lastra a Signa per poi ritornare nuovamente nella pianura in prossimità di Montelupo. Durante il Medioevo, con l’accrescere dell’importanza del centro abitato di Pisa, con la necessità di collegare la via Francigena con l’Aurelia, ma anche per l’incremento insediativo che avviene lungo i versanti collinari della valle4, il tracciato acquista sempre maggiore importanza. All’inizio del XII secolo in località Gangalandi, nel tratto tra Firenze e la Gonfolina, viene realizzato il primo ponte (in legno) sull’Arno e un piccolo porto che segna la fine della navigabilità del corso d’acqua per le barche più grandi. La nuova via medievale e poi rinascimentale, denominata Pisana raccoglie i principali tracciati viari che con andamento nord-sud attraversano questa vasta parte di territorio permettendo ad esempio così un collegamento verso Barberino del Mugello attraverso una strada militare (il tracciato antico dell’attuale via Barberinese) e con Roma e la maremma attraverso la Via Francigena che parallelamente al corso d’acqua dell’Elsa da sud scorre lungo la Valle immettendosi nella Pisana ad Empoli. A Portone infine incrocia l’Aurelia/Aemilia Scauri. La direttrice procede abbastanza facilmente lungo tutta la valle dell’Arno inferiore, tra campi coltivati e piccoli borghi, ampiamente descritta in molti testi per la sua bellezza e per essere paragonata ad un giardino. È di Montaigne (1533-1592) una delle prime descrizioni del paesaggio che avvolge il percorso: dopo Legnaia lo scrittore si trova in “una strada la più parte piana e fertile, e per tutto popolatissima di case, castellucci, villaggi, quasi continui, Attraversassimo fra le altre una bellina terra nominata Empoli. Il suono di questa voce ha non so che d’antico. Il sito piacevolissimo. Non ci riconobbi nessun vestigio d’antichità fuora che un ponte ruinato vicino sur la strada, c’ha non so che di vecchiaia.”5 Ma sarà durante il Settecento che la via acquisterà un ruolo di grande strada, vale a dire quando Livorno con la sua attività portuale si dimostra una delle città economicamente più vivaci6. Per questo motivo la strada, che esce da Firenze da Porta San Frediano, per giungere alla Porta Fiorentina di Pisa e infine alla Barriera Fiorentina di Livorno, viene interessata da numerose opere di manutenzione7 al fine di renderla carrozzabile e da un progetto di variante per risolvere il problema alla Gonfolina: “La Golfolina, luogo attraverso il quale in epoca preistorica il «lago di 1 Gli etruschi difatti preferivano utilizzare la via d’acqua a quella di terra e navigavano il fiume Arno fino all’altezza di Fiesole. 2 Un’iscrizione militare rinvenuta nei pressi di Montelupo Fiorentino afferma che la via è stata aperta nel 13 d. C.. La via consolare quindi “prendeva inizio dalla "Platea in capite pontis" sulla sponda sinistra dell'Arno a Firenze, e continuava costeggiando il fiume, proseguiva ricalcando l'attuale s.s. 67 toccando Settimo, dove era posto il VII° cippo miliare, Ponte a Signa, ove presso la deviazione per S. Martino a Gangalandi era posto il IX° cippo miliare, e Porto di Mezzo, il cui toponimo ricorda il porto fluviale "Ad Arnum", procedeva quindi lungo l'angusta "Chiusa della Gonfolina" alle pendici delle colline selvose, proseguiva poi verso l'attuale centro di Montelupo” (http://www.mizi.it/lastra/storia.htm). 3 Ovvero di 49 miglia toscane. 4 E in alcuni tratti anche in pianura, grazie alle bonifiche attuate dai monaci di Badia a Settimo. 5 MICHEL EYQUEM DE MONTAIGNE, Viaggio in Italia (1774), Laterza Bari 1991, pag. 302. 6 Vedi GABRIELE CORSANI, La via Pisana. Biografia del tratto fiorentino, in “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997, pag. 122. 7 Poiché la strada incontrava tutti gli affluenti in riva sinistra del fiume Arno vennero realizzati diversi ponti in muratura: sulla Greve, due torrenti a Brucianesi e a Montelupo, sull’Orme, l’Elsa, l’Egola, la Cecinella, l’Era, e infine sul canale Fosso d’Arno, che veniva utilizzato in caso di piena dell’Arno.

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Firenze» aveva trovato la via per il deflusso delle acqua, come già Leonardo aveva capito, si rivela nel Settecento un vero topos naturalistico, minutamente ritratto in alcune incisioni di Giuseppe Zocchi, edite nel 1744, pochissimi anni prima dell’inizio del lavori”8. Qui la strada appare poco più di un sentiero, ma anche i nuovi lavori consolidano la caratteristica di percorso comodo con amene vedute: non a caso difatti, è proprio dalla Via Pisana, che il medico naturalista fiorentino Giovanni Targioni Tozzetti intraprende il primo dei suoi viaggi naturalistici e storici9. Emanuele Repetti, nel suo dizionario geografico comincia così la sua definizione della via Pisana: “È la strada più frequentata di tutte le altre postali, sia per le merci, sia per le vetture che vi passano, sia per il comodo, largo e ben tenuto stradale, come ancora per la frequenza de' villaggi, de' borghi e delle Terre che essa attraversa, per i ridenti e ben coltivati bacini dell'Arno, in mezzo ai quali essa per 49 miglia toscane di cammino da Firenze a Pisa percorre, ed è in tutte le stagioni dell' anno di non troppo rigida né troppo calda temperatura, in un clima saluberrimo, talché può dirsi senza tema di esagerare, che nel tragitto di queste 49 miglia consista il vero giardino della Toscana”10. La descrizione della valle dell’Arno inferiore, compresa tra Firenze, Pisa e Livorno (il porto ma non solo) ricorre ancora innumerevoli volte nei diari dei viaggiatori del Gran Tour confermando il suo aspetto di bella vallata coltivata a coltura promiscua (gli stessi campi producono grano, vino e legna) alternata a qualche pascolo, filari di gelsi lungo le vie maestre, disseminata da case contadine “distanti l’una dall’altra non più di cento passi”11, e ancora siepi, pioppi e una deliziosa varietà di vegetazione che riveste le rive in pendenza del fiume: “Lasciando Pisa, entrammo in una strada che ci condusse, con un lento viaggio di due giorni ai nostri vecchi alloggi nella capitale. La campagna presentava un aspetto più ridente, per lo stato avanzato della stagione, e noi contemplavamo in silenziosa ammirazione, mentre attraversavamo la valle dell’Arno, quella deliziosa varietà di vegetazione che rivestiva le sue rive in pendenza. La strada scorre lungo il percorso che segue le anse del fiume e che non lascia alcuna zona di questa bella vallata nascosta agli occhi del viaggiatore”12. “È impossibile immaginare una passeggiata più bella; poiché se l’Italia è il giardino d’Europa, i contorni di Firenze sono il giardino d’Italia”13. Durante il primo ventennio del Novecento la Via Pisana, divenuta strada statale n. 67, è soggetta nuovamente ad opere di miglioramento, tra le quali la modifica del tratto di ingresso a Firenze, (l’attuale via Baccio da Montelupo) e la realizzazione di un nuovo ponte sulla Greve. Nei paesaggi intorno alla strada e al corso d’acqua vengono nel frattempo completate le bonifiche rendendo produttive anche le stesse anse del fiume e in tutto il Valdarno cominciano a riversarsi sempre più numerose genti per lo più provenienti dall’Appennino o dalle aree collinare più impervie, contribuendo così al manifestarsi dei primi dissesti idraulici14. “Con la ripresa economica del dopoguerra la strada diventa una delle più transitate d’Italia”15. I problemi riguardano soprattutto la sicurezza dei centri abitati disposti lungo la via che sono quotidianamente attraversati da macchine e camion diretti all’area portuale di Livorno e a Firenze, l’innesto delle numerose vie nell’arteria principale e la presenza di alcuni tratti tortuosi nel tratto empolese. Per queste ragioni il 31 gennaio del 1967 l’Anas approva la decisione di realizzare una superstrada che parte dalla città di Firenze per giungere a Pisa e Livorno, ma i lavori dell’opera cominciano molti anni dopo proseguendo poi con lentezza, in alcuni casi con una media di mezzo chilometro all’anno, fino al 1985, nonostante sia sempre più evidente la necessità di collegare con una più

8 GABRIELE CORSANI, op. cit., 1997, pag. 118. 9 Vedi GABRIELE CORSANI, op. cit., 1997, pag. 123. 10 EMANUELE REPETTI, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, Vol. V, 1843, voce “Via Regia Postale Livornese per Pisa”, pagg. 720-721. 11 “Costruite in mattoni, l’architettura ha saputo dare a tutte queste case una giustezza di proporzioni e una eleganza di forme sconosciute nei nostri climi”. LULLIN DE CHATEAUVIEUX , 1812, citato in ANNA GUARDUCCI, In viaggio. Viabilità, mezzi di trasporto, supporti di traffico e percezione paesaggistica nella Toscana centro-settentrionale del Settecento, in “Storia dell’urbanistica toscana”, V, La rete stradale della Toscana centro-settentrionale tra ‘700 e ‘800, 1997, pag. 158. 12 J. OWEN, Travels into different parts of Europe, in the years 1791 and 1792, London, T. Cadelejun and W. Davies, 1796, 2 voll., citato in ANNA GUARDUCCI, op. cit., 1997, pag. 44. 13 DE VILLEMAREST, XVIII secolo, in ANNA GUARDUCCI, op. cit., 1997, pag. 158. 14 Particolarmente gravi e pericolosi per le piene dell’Arno si rivelarono gli anni 1919, 1926, 1929 e 1929. 15GABRIELE CORSANI, op. cit., 1997, pag. 124.

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rapida e scorrevole infrastruttura, il capoluogo toscano con il porto e l’aeroporto (Pisa) principale che ha assunto importanza sia a livello regionale che nazionale. Nel frattempo il supporto reale allo sviluppo artigianale industriale di questa vasta zona, in particolare per quel settore di industria detta “tipica” (ovvero tessuti, vestiario, cuoio, calzature, mobilio, vetro, ceramica), continua ad essere garantito, seppur con qualche difficoltà, dalla rete infrastrutturale statale, provinciale e comunale, ovvero da quella viabilità ereditata dai molteplici processi di trasformazione avvenuti nei secoli. Lungo i principali collegamenti si vanno a trasformare vere e proprie città lineari come ad esempio l’area urbana che parallelamente all’Arno si sviluppa da Barbacina (Pisa) fino a La Rotta (Pontedera), per una lunghezza di circa 26 chilometri. “Con la costruzione in corso della Superstrada Firenze Pisa-Livorno, […], si avrà un ulteriore rafforzamento, e per così dire una traduzione autostradale, dell’antico doppio percorso Firenze-mare, e un ulteriore rafforzamento della parte «forte» della regione”16. Difatti con la Fi-Pi-Li la viabilità principale regionale assume uno schema ad H17, nel quale si innestano i vari collegamenti interni: da una parte i due assi verticali, le direttrici Tirrenica (l’Aurelia e il tratto autostradale costiero) e Centrale (l’Autostrada del Sole), dall’altra i due assi orizzontali, paralleli e non molto distanti tra loro tra loro (la superstrada Fi-Pi-Li e l’autostrada Firenze-mare), che attraversano le aree di pianura più densamente popolate della regione collegando Firenze alla costa settentrionale (Livorno e Viareggio). Il paesaggio della valle paragonata ad un giardino contemporaneamente al rafforzamento di queste infrastrutture si trasforma rapidamente: alla coltura promiscua si sostituiscono colture industrializzate, ma soprattutto sorgono nuove aree industriali che si dispongono quasi casualmente lungo le arterie principali su tutta la piana tra Firenze e Pisa e Livorno, mentre nascono piccoli insediamenti (gruppi casuali di edifici o di piccole lottizzazioni senza un effettivo rapporto funzionale con la terra), che disseminati anch’essi intorno alle città della Toscana settentrionale, si trasformano rapidamente, in pochi decenni, in veri e propri centri urbani o in alternativa vengono completamente assorbiti all’interno dei processi di espansione delle città vicine: il nuovo tessuto paesistico è composto da centri urbani vecchi e nuovi aree industriali che si saldano tra loro secondo la maglia della viabilità, all’interno della quale talvolta permangono aree residuali del paesaggio agrario o ambienti naturali. Come gran parte delle grandi infrastrutture eseguite in Italia, anche la Fi-Pi-Li è stata realizzata senza nessuna attenzione al contesto paesaggistico attraversato. Perfino dal punto tecnico-ingegneristico, a causa sembra della natura geologica del territorio attraversato e del continuo traffico di grandi autoveicoli, presenta non poche problematiche che tutt’oggi si mostrano ben evidenti18. È certo che nella nuova viabilità del Novecento non è presente nessuna memoria dell’antico percorso che rapportandosi continuamente con il paesaggio circostante si svolgeva tra Firenze, Pisa e Livorno: le amenità delle vedute della valle sono distrutte, perse o obliterate da oggetti intrusivi disposti lungo il tracciato infrastrutturale e il tracciato di per sé oltre creare confusione e frammentazione ai luoghi non contiene nessuna caratteristica tipica del viaggio19.

16 LANDO BORTOLOTTI, L’evoluzione del territorio, in GIORGIO MORI (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità a oggi. La Toscana, Giulio Einaudi Editore, Torino 1986, pag. 794. 17 Vedi LANDO BORTOLOTTI, op. cit., Torino 1986, pag. 794 18 Sono difatti in fase di approvazione numerosi interventi di adeguamento del manufatto per migliorare la sicurezza dei viaggiatori. 19 La Fi-Pi-Li è percorsa anche da numerosi veicoli stranieri, provenienti dal nord-europa per recarsi al porto di livorno per raggiungere i luoghi di villeggiatura come le isole (Isola d’Elba, ma anche Sardegna e Corsica).

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Figura 1. Il Viaggio da Livorno a Firenze. Il corso del fiume Arno e la Via Pisana funzionano da linee di confluenza orizzontali dei rispettivi corsi d’acqua minori e viabilità nord-sud. Figura 2. Carta IGM 1889. In giallo è evidenziato il percorso della Via Pisana. Si può osservare come già alla fine dell’Ottocento lungo la Via Pisana s era sviluppata una presenza continua di edifici.

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Figura 3. La Valle dell’Arno inferiore dalla strada per San Miniato. In primo piano, nella pianura, il tracciato della Fi-Pi-Li.. Figura 4. Tabernacolo della Madonna del Buon Viaggio lungo la via Pisana (Capanne). Figura 5. Attività commerciali lungo la via Pisana (Cascina).

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(Pagina precedente) Figura 6. Viale alberato a bagolari da Cascina sino a Pontedera Figura 7. La Fi-Pi-Li dalla via Pisana (Capanne, Montopoli in Valdarno). Figura 8. Area di sosta lungo la superstrada. Figura 9. L’incontro tra la Superstrada Fi-Pi-Li in primo piano, e l’Autostrada A12, oltre altri sovrappassi (Interporto pisano). Figura 10 Paesaggio stradale della Fi-Pi-Li (in prossimità di San Miniato).

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Scheda n. 10 LA VARIANTE SS 222 CHIANTIGIANA, PONTE A NICCHERI – POGGIO UGOLINO. Il paesaggio non viene trasformato esclusivamente da grandi opere, come quelle autostradali, ma soprattutto dall’insieme di quei tanti piccoli interventi, che più o meno a scala locale, intervengono sul territorio e quindi nel tessuto paesistico: le modalità con cui realizzare la viabilità locale e secondaria è pertanto importante quanto quella per progettare le grandi infrastrutture viarie. Al fine di deviare il traffico dal centro urbano di Grassina della strada statale1 Chiantigiana n. 222 è stata prevista dagli attuali strumenti urbanistici2 una variante lunga circa 7-8 km che dallo svincolo di Ponte a Niccheri (comune di Bagno a Ripoli) si stacca dall’attuale tracciato, scorre alle spalle dell’abitato di Grassina, per sovrapporsi poi alla Strada provinciale del Brollo e del Poggio alla Croce in località Le Ghiacciaie, scorrendo così a fianco del Torrente Ema, e che con by-pass Capannuccia-Mortinete si riconette alla Chiantigiana al toponimo Villa Le Mortinete. Lo studio sulle conseguenze ambientali della Variante SS 222 Chiantigiana è stato condotto, in seguito alla richiesta dello stessa Amministrazione di Bagno a Ripoli, presso il laboratorio del Master in Paesaggistica, Università degli Studi di Firenze, AA 2005/063, al fine di comprendere quali sono le trasformazioni indotte dal presente progetto di variante stradale nel territorio di Bagno a Ripoli e nel particolare nel rapporto tra il paesaggio agrario delle colline e il centro urbano di Grassina. I confini dell’area di studio coincidono fondamentalmente con i limiti della porzione del bacino del torrente Ema ricadente nei Comuni di Bagno a Ripoli ed Impruneta: si tratta di una valle caratterizzata dal tipico paesaggio della mezzadria4, con viabilità di crinale di matrice etrusca, ville e edifici colonici di pregio, campi coltivati prevalentemente a oliveto, terrazzamenti, eccetera…. La diffusione di diversi edifici colonici con la corrispettiva organizzazione delle Ville - Fattorie (Lappeggi e Mondeggi tra tutte), oltre un sistema gerarchico di strade poderali e vicinali, avviene in un primo momento sotto Cosimo I de’Medici. L’assetto del paesaggio viene poi successivamente riorganizzato sotto Pietro Leopoldo, secondo i principi illuministici che incoraggiano l’agricoltura e la piccola proprietà, benché solo nel secolo successivo, con Firenze Capitale, si concretizzeranno nel tessuto. Il metodo predisposto per l’indagine del paesaggio di questa valle caratterizzata da un alto valore storico culturale usa una procedura ampiamente sperimentata e riconosciuta in ambito professionale e scientifico che ha, al tempo stesso, l’opportunità di essere attentamente calibrata per l’area oggetto di indagine. Esso prende origine dai contributi della disciplina dell’Ecologia del Paesaggio “che considera il paesaggio come la risultante di tutti i processi che avvengono in un mosaico complesso di ecosistemi”5, e dagli studi semiologici e percettivi del paesaggio. Lo studio quindi è stato organizzato in cinque diverse fasi:

1) Inquadramento e conoscenze di base del paesaggio coinvolto6; 2) Analisi del progetto della infrastruttura viaria; 3) Confronto tra il progetto infrastrutturale e paesaggio, anche in riferimento all’assetto

istituzionale; 4) Sistematizzazione e sintesi delle criticità e degli impatti riscontrati; 5) Approfondimenti degli aspetti sensibili della vegetazione.

La prima fase si conclude quindi con l’individuazione degli ambiti paesistici omogenei, ovvero con quel momento di sintesi del processo analitico in cui si definiscono i soggetti ambientali utili alla 1 Oggi le strada statali sono tutte di competenza regionale. 2 Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Firenze approvato nel 1998. 3 Studenti dott.ri: Elisa Ferretti, Ariaanna Gentile, Sara Lateana, Domenico Lillo, Brunella Lorenzi, Angela Mirri, Anna Sambado, con il contributo dei docenti del Master, coord. proff.ri Guido Ferrara, Fabio Salbitano e Lorenzo Vallerini. Tutor arch. Emanuela Morelli. 4 Il territorio di Bagno a Ripoli difatti ricadeva all’interno del famoso contado di Firenze. 5 Relazione sullo studio sulle conseguenze ambientali della Variante SS 222 Chiantigiana. 6 Attraverso l’elaborazione di carte tematiche di base (esempio carta della copertura vegetazionale ed uso del suolo) e elaborati di sintesi (carta della semiologia antropica, della visualità assoluta, ecotopi, ambiti paesistici omogenei).

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diagnosi e che si pongono come intermediazione tra i fattori ecologici-ambientali e naturalistici, storico-insediativi e architettonici e visuali-percettivi e dell’aspetto sensibile. L’idea di realizzare una variante risale a diversi anni fa: essa vede diverse ipotesi, tutte ricadenti nel territorio di Bagno a Ripoli che appunto detiene la parte terminale della Chiantigiana che si innesta sulla viabilità principale Firenze-Antella, e deriva dalla necessità di salvaguardare dal traffico veicolare il centro urbano di Grassina, oggi continuamente attraversato al suo interno dai mezzi che si dirigono o provengono dalla regione del Chianti. Nonostante la relativa brevità della variante il tracciato attuale proposto scorre su diverse soluzioni (su viadotto, in rilevato, tratti in galleria artificiale, ecc…) a causa della natura collinare del territorio e può essere così brevemente descritto: all’altezza del centro abitato di Ponte a Niccheri da cui inizia, è costituito da tre rotatorie. Il tracciato passa poi adiacente al viale dei Tigli di Grassina, prosegue dietro il centro sportivo dell’abitato, salendo per un tratto di quota su piloni o su rilevati in terra per aggirare la collina, e attraversa con un ponte il Fosso delle Argille o Borro del Baratro. Passa poi dietro l’abitato Il Boschetto, si innesta con una rotatoria in Loc. Ghiacciaia con la SP della Capannuccia del Brollo per poi proseguire lungo il fondovalle sostanzialmente in sovrapposizione con il tracciato della strada provinciale esistente, con rotatorie di innesto all’altezza dell’area artigianale-industriale di Capannuccia e in prossimità di altra viabilità esistente. Il percorso, una volta superati i campi da Golf dell’Ugolino, risale il versante per innestarsi, con una nuova rotatoria, all’esistente S.S. Chiantigiana all’altezza della località Le Mortinete. Le problematiche riscontrate mediante la sovrapposizione del tracciato con gli elaborati riguardano aspetti molteplici. Il progetto del tracciato, come la maggior parte dei progetti infrastrutturali contemporanei che inoltre attraversa un paesaggio di rilevante importanza storico-culturale7, si basa principalmente sui problemi e dati tecnici funzionali relativi alla mobilità (velocità e sicurezza del tracciato che stabilisce determinate pendenze e curvature), mentre il paesaggio è vissuto come una delle tante singole componenti da valutare nella procedura di Valutazione di Impatto ambientale8. Lo studio in oggetto ha individuato tre aree con cui la variante si rapporta al paesaggio circostante con modalità simili: 1) Le problematiche maggiori sono riscontrate nel tratto iniziale tra il centro abitato di Grassina e quello di Ponte a Niccheri che si estende nel fondovalle situato tra la confluenza dell’Ema con il borro dell’Antella sino al centro ospedaliero, delimitato a nord dal paesaggio dell’autostrada Firenze-Roma, e il cui paesaggio è caratterizzato dal tipico disordine dei piccoli centri urbani situati in prossimità delle grandi città9. Qui il passaggio del tracciato innesca un ulteriore processo di frammentazione e degradazione del tessuto in particolare per il contrasto che si istaura tra il manufatto, l’orditura del paesaggio agrario e urbano posto al margine del centro abitato, la modifica della morfologia mediante la realizzazione di sbancamenti e reinterrri, la costituzione di barriere ai corsi d’acqua minori, l’eliminazioni di siepi interpoderali e vegetazione riparia, oltre scontrarsi fisicamente con lo storico Viale dei Tigli di accesso al centro di Grassina. Tre grandi rotatorie invasive che innestano la nuova via Chiantigiana sulla viabilità per Firenze e per l’Antella creano un ulteriore isolamento del piccolo centro abitato di Ponte a Niccheri. 2) Nel secondo tratto il tracciato ricalca sostanzialmente la strada provinciale esistente e non comporta interferenze importanti con il paesaggio, poiché segue una linea già consolidata. Le problematiche qui riguardano essenzialmente, l’arredo, l’equipaggiamento e l’introduzione di nuove rotatorie, in quanto aggiungono un nuovo segno alla struttura paesistica. L’allargamento della sede stradale comunque dovrebbe prevedere la permeabilità dei vari flussi trasversali (di relazione ed ecologico ambientali riscontrati tra il torrente e la collina.

7 Il territorio è sottoposto a vincolo paesaggistico (ex-legge 1497/39), e molte parti del tracciato ricadono difatti nell’Area protetta di tipo “a”, n. 64 “Colline Fiorentine”, interessano molti beni di rilevanza storico-culturale e anche naturale, tra cui aree boscate e forestali e altre aree a protezione Idrogeologica – Aree sensibili di cui all’art. 3 delle Norme di attuazione del Piano territoriale di Coordinamento della Provincia di Firenze. 8 Procedura di valutazione e verifica di competenza provinciale ai sensi della L.R. 3/11/1998 n. 79 “Norme per l’applicazione della valutazione di Impatto Ambientale”, con atto dirigenziale n. 1189 del 04/10/2000. 9 Nel tessuto si alternano difatti episodi residenziali, industriali artigianali, intervallati da aree residuali agricole, spazi aperti in abbandono e comunque non coerentemente messi a sistema l’uno con l’altro in modo da creare una connettività tra i luoghi.

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3) Nel terzo tratto infine, situato al di fuori del Comune di Bagno a Ripoli sono riscontrate altre nuove importanti problematiche in quanto il manufatto attraversa macchie boscate che, se pur di piccola dimensione, costituiscono habitat importanti dal punto di vista naturalistico, per poi tagliare trasversalmente l’ordinamento colturale dei coltivi, generalmente delimitati da siepi. Lo studio analizza gli impatti sia in fase di cantiere che di esercizio della strada, inoltre prosegue con l’individuazione di alcuni indirizzi di intervento per la correzione, mitigazione e compensazione degli impatti grazie l’individuazione dei punti di forza, di debolezza, fattori provenienti dal contesto interno, e le opportunità e le minacce, fattori derivanti dall’esterno (Analisi SWOT10).

Figura 1. Foto aerea IGM 1954

10 L’analisi SWOT (= Strength, Weakness, Opportunity, Threat) è un’analisi che individua e utilizza i punti di “forza” e di “debolezza” nel quadro delle opportunità e dei rischi presenti.

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Figura 2. Immagine Foto area Regione Toscana 2000.

Figura 3. Il Viale dei Tigli, strada di accesso alla centro urbano di Grassina. Figura 4. Il torrente Ema.

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Figura 5. Studio semiologico (semiologia antropica) del paesaggio. In rosso il tracciato della variante Chiantigiana. Figura 6. Studio del manufatto stradale: come è possibile vedere delle sezioni riportate l’opera stradale richiede consistenti movimenti di terra.

Figura 7. Veduta generale della valle in prossimità del centro urbano di Grassina. A destra della foto l’Autostrada A1. Figura 8. Particolare del paesaggio agrario.

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Scheda n.11 LE STRADE BIANCHE DELLA PROVINCIA DI SIENA Nell’immediato dopoguerra, causa l’abbandono della campagna, la specializzazione produttiva e la meccanizzazione delle pratiche agricole, la predilezione nell’utilizzare arterie di scorrimento rapide e veloci oltre ad altri considerevoli processi di urbanizzazione, il reticolo di strade minore subisce un grave processo di semplificazione e omologazione che vede la totale cancellazione di intere parti di esso o la riconversione dei tracciati in strade asfaltate secondo i dettami della tipica viabilità carrabile1, con conseguente perdita del patrimonio culturale e degli elementi di diversificazione del paesaggio agrario. Contrariamente a questo andamento che si è protratto sino agli Ottanta, nell’ultimo decennio è possibile registrare alcune inversioni di tendenza che portano a rivalutare l’insieme delle emergenze paesistiche, ivi comprese la viabilità minore, come risorsa primaria. La causa principale risiede nella evidente perdita di innumerevoli valori paesaggistici che comportano la tendenza al degrado, all’impoverimento dei caratteri strutturali e pertanto alla banalizzazione del paesaggio, ma in particolare nel riconoscimento del paesaggio stesso come valore sociale ed economico visto anche l’incremento della domanda turistica di tipo rurale, attenta alla riscoperta dei valori storico-culturali dei luoghi. Esemplificativo sembra essere in questo quadro l’esperienza, ancora in corso, del progetto “Valorizzazione dei percorsi viari storico ambientali. Strade bianche” condotto presso la Provincia di Siena2. In un’ottica che parte dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) di Siena che tutela e disciplina la tessitura agraria che è “l’insieme degli elementi fisici e vegetazionali che compongono il disegno del suolo e del paesaggio agrario” in quanto risorsa sia sotto il profilo paesaggistico che sotto quello della difesa del suolo, la viabilità minore viene riconosciuta quale componente fondamentale del paesaggio poiché è parte della maglia agraria3. La Provincia stessa quindi “incentiva tramite finanziamenti diretti o indiretti, le opere di manutenzione delle opere stradali realizzati in materiali tradizionali, nonché le opere di ricostituzione/manutenzione degli elementi fisici e vegetazionali che compongono il disegno del paesaggio agrario …”4 Il presente progetto di valorizzazione si pone quindi l’obiettivo di censire circa 1400 metri di chilometri di competenza provinciale e comunale (a cui sono associati circa 1800 manufatti di pertinenza stradale) con il fine di costituire un quadro conoscitivo di quegli elementi fisici che compongono il paesaggio, tramite una precisa metodologia di analisi unitaria, e conseguentemente modalità di tutela, gestione e valorizzazione omogenee5 per tutto il territorio senese.

1 L’accorpamento dei campi ha comportato la riduzione delle vie sterrate che suddividevano la campagna in numerose unità poderali. Altre strade invece sono diventate tronchi morti in quanto tagliate improvvisamente da barriere (date ad esempio dalla realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto come strade a scorrimento veloce e ferrovie realizzate su rilevati). Quelle di maggior estensione e più frequentate sono state bitumate introducendo elementi di urbanità nei paesaggi agrari, quali ad esempio cancelli e cancelletti di accesso alle proprietà e recinzioni realizzati con soluzioni architettoniche e materiali diversi dalle tipiche tipologie locali, impianti di illuminazione, segnaletiche e quant’altro possa creare un senso di confusione e di intrusione nel paesaggio. In alcuni casi le strade minori e i sentieri sono stati privatizzati perché ricadenti in proprietà private, escludendo così definitivamente la fruizione pubblica. 2 Amministrazione Provinciale di Siena, Assessorato alla Pianificazione territoriale, Dirigente del Servizio Assetto del territorio Ing. Fabio Galli, progetto Arch. Marco Vannocci (2006). Il progetto è stato inoltre finanziato dalla Fondazione Monte di Paschi di Siena. 3 La maglia agraria è costituita dalla forma e dalla dimensione dei campi, dalla viabilità poderale, dalla rete scolante, e dalla dotazione arborea ed arbustiva, dai confini aziendali, ovvero da quell’insieme di segni impressi sul territorio dall’attività agricola (vedi PTCP di Siena, in particolare GIAN FRANCO DI PIETRO, TERESA GOBBÒ, Il paesaggio come fondamento del Ptc di Siena, in Il Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Siena, “Urbanistica Quaderni”, 36, 2002, pagg. 116-118). 4 PTC della Provincia di Siena, parte III, Capo M: Disciplina delle emergenze del tessuto agrario. Vedi anche Marco Vannocci, Relazione generale, progetto di Valorizzazione dei percorsi viari storico ambientali. Strade bianche, pag. 3. 5 Applicabili non solo entro lo stesso Ptc della provincia ma anche all’interno di altri strumenti come i Piani Strutturali (PS) e i Piani di miglioramento agricolo e aziendale (PMAA).

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Le strade bianche non sono difatti semplici strade sterrate: esse, oltre a permettere una fruizione del paesaggio a misura d’uomo permettendo con esso il rapporto diretto, “la visione dei particolari, la conoscenza lenta e approfondita dei luoghi”6, hanno un imponente valore paesaggistico sia sotto il profilo percettivo visivo, culturale e ed ecologico. Il reticolo di strade minore è difatti la matrice insediativa, parte della struttura profonda, quindi una delle invarianti strutturali del paesaggio dato che su di esso, nel corso dei secoli, si sono succeduti i processi di trasformazione, si sono disposte le abitazioni e gli edifici di culto e si è articolata la disposizione dei campi, acconsentendone l’accesso. Ad esso sono collegate inoltre una serie di elementi quali ponti, tabernacoli, cappelle votive, croci, fontanili, fonti, pozzi, lavatoi, muri in pietra, elementi arborei e siepi, che nel loro insieme conferiscono identità a quei determinati luoghi: “La definizione generica di “manufatti di arredo rurale”, che vuole essere comprensiva di tutti i manufatti minori (lavatoi, fontanili, tabernacoli) ci deriva da un paragone con quello che in epoca storica (e con sorprendente continuità) è successo ne centri urbani principali. L’arredo urbano, inteso nella accezione più nobile del termine, era il disegno e la collocazione di oggetti diversi (ma normalmente di piccola scala) che arricchivano e qualificavano, oppure essi stessi lo erano, i luoghi della città. […]. La loro caratteristica era però sempre la stessa: servire, “abbellire” e qualificare. L’arredo urbano ha inoltre una doppia capacità: si uniforma alla immagine complessiva di un luogo e di una città e al contempo arricchisce lo spazio di oggetti riconoscibili e di fruizione pubblica (sono tali anche per il solo fatto di essere visti da tutti).”7 Anche se non si può pensare di arrestare i processi di trasformazione e che quindi è impossibile mantenere inalterate tutte le caratteristiche del reticolo viario minore, deve essere previsto che asfaltare una strada bianca vuole dire soprattutto modificare la percezione di quel paesaggio e pertanto il modo di fruire e di approciarsi ad esso8. Nello specifico inoltre, in presenza di un contesto particolarmente rilevante dal punto di vista turistico, il visitatore non può essere costretto entro rigidi e definiti percorsi, ma deve aver la possibilità di scegliere tra più opportunità: un percorso aperto dove l’individuo è capace di decidere di perdersi, ovvero dove “l’errare potrebbe essere considerato come un valore piuttosto che un errore”9. Le strade bianche sembrano quindi offrire un’opportunità per apprendere e comprendere, modificare continuamente i punti di riferimento, o anche solo per lasciarci dominare dallo spazio circostante10.

6 CASTELLANI EUGENIO, La viabilità pedonale nel paesaggio, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1971, pag. 11. 7 Marco Vannocci, Relazione generale, progetto di Valorizzazione dei percorsi viari storico ambientali. Strade bianche, pag. 8-9. 8 Ad esempio una strada sterrata ci induce a percorrerla a piedi, o con mezzi lenti mentre una strada asfaltata ci “incita” ad attraversarla con mezzi motorizzati. “La strada è indubbiamente uno degli elementi più importanti che compongono l’ambiente territoriale, ma sotto un profilo particolare: la dinamicità del suo uso infatti è tale che essa finisce per svolgere una funzione attiva di interpretazione del contesto ambientale stesso di cui pure, in ultima analisi, costituisce un fattore: la molteplicità dei punti di vista che provoca e soprattutto la possibilità di movimento lungo una linea sempre differente determinano importanti possibilità di conoscenza e di analisi degli aspetti formali del territorio”. (GUIDO FERRARA, Architettura del paesaggio, Marsilio Editore, Padova 1968, pag. 133). 9FRANCESCO CARERI, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Giulio Einaudi Editore, Torino 2006, pag. 9. 10 Vedi FRANCO LA CECIA, Perdersi, l’uomo senza l’ambiente, 1988, citato in FRANCESCO CARERI, Walkscapes. op. cit., Torino 2006, pag. 24.

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Figura 1. SC 8. Castellina. Figura 2. SC 3. Castellina.

Figura 3. Valdorcia.

Figura 4. SC 13. Castellina. Figura 5. SC 35. Gaiole

Figura 6. SP 103 Castiglion Bosco Figura 7. SP 34. Murlo

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Figura 8. SC14 Castelnuovo Berardenga

Figura 9. SC14 Castelnuovo Berardenga Figura 10. SC23 Castelnuovo Berardenga

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Figura 11. SC8 Castellina Figura 12. SC16 Castelnuovo Berardenga

Figura 13. SC22 Castelnuovo Berardenga

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Scheda n. 12 LE STRADE DEL VINO E DEI SAPORI “Si stima un vino con la chimica che ne registra i costituenti, mentre le degustazione registra le nostre reazioni e le interazioni fra queste componenti”1. La denominazione via del vino ha un’origine molto antica rispetto agli attuali percorsi turistici eno-gastronomici, in questo modo si usava ad esempio chiamare quelle strade che portavano ai luoghi di raccolta e smistamento del vino. Le vie così chiamate in Toscana erano nel Settecento principalmente due: il tratto viario interno alla regione del Chianti che passava da Castellina, Panzano e Greve e il tratto Valdarnese che da Reggello–Rifiglio si congiungeva alla viabilità San Niccolò-Strada in Casentino che aveva come centro di smistamento Montevarchi2. Con la Legge n. 268 del 27 luglio 1999 Disciplina delle “strade del vino” vengono riconosciute a livello nazionale le strade del vino3 come percorsi segnalati atti alla valorizzazione dei territori a vocazione vinicola4 Oggi a livello regionale esse sono regolamentate dalla Legge Regionale 5 agosto 2003, n. 45, Disciplina delle strade del vino, dell’olio extravergine di oliva e dei prodotti agricoli e agroalimentari di qualità, con il fine di comprendere nel processo di valorizzazione una maggior varietà di prodotti derivanti da precise realtà geografiche5. 1 NICO ORENGO, Di viole e liquirizia, Edizioni Einaudi, Torino 2005, pag. 29. 2 Pietro Leopoldo ci parla delle strade del vino riferendosi alla via Chiantigiana che dalla Villa di Lappeggi, in prossimità di Firenze, passando per Greve, Panzano, Radda “dove si perdeva tra i boschi”, giungeva a Siena. Una strada alternativa partiva da Panzano per Siena passando da Castellina attraversando così paesaggi “riccamente lavorati” dove veniva prodotto grano, vino seta e “la ghianda per i maiali che vi sono molto numerosi” (PIETRO LEOPOLDO, Relazioni sul governo della Toscana, vol. III qui citato in ESTER DIANA, In viaggio con il Granduca. Itinerari nella Toscana dei Lorena, Edizioni Medicea, Firenze 1994, pag. 204). Panzano, che raccoglieva anche il vino proveniente da Brolio fungeva indubbiamente da centro di raccolta del prodotto. 3 Le Strade del Vino, ufficialmente così denominate, sono esistenti da molto tempo, tra le prime vi sono ad esempio quelle istituite in Alsazia sia come rilancio economico della comunità rurale, sia per offrire nuove forme di vacanza a nuclei famigliari più modesti. Il percorso era segnalato “nei suoi punti di inizio e di fine tramite l’installazione di due porte a sud e a nord degli 80 km lungo i quali si snodavano i vigneti” (MAGDA ANTONIOLI CORIGLIANO, Strade del vino ed enoturismo. Distretti turistici e vie di comunicazione, FrancoAngeli Milano 1999, pag. 32-33), dove erano sistemati inoltre un ufficio informazioni, materiale cartografico, parcheggi, eccetera…. Le Strade del vino poi si collegavano con altre Strade tematiche come ad esempio l’incrocio tra la strada del vino alsaziana e la strada Romana. Del 1935 è invece l’istituzione di una strada del vino nella Land renania palatinato (Rheiland-Pfalz), un percorso già chiamato Weinstraße sin dal XVIII secolo. La Regione Toscana è stata la prima regione italiana a regolamentare le strade del vino con la Legge Regionale n. 69, 13 agosto 1996, Disciplina delle strade del vino, e relativo Regolamento: art. 1 - La Regione Toscana, nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale, allo scopo di valorizzare e promuovere i territori ad alta vocazione vitivinicola, con particolare riferimento ai luoghi delle produzioni qualitative di cui alla legge 10 febbraio 1992, n.164, nonché le produzioni e le attività ivi esistenti attraverso la qualificazione e l’incremento dell’offerta turistica integrata, promuove e disciplina in ambito regionale la realizzazione delle "Strade del vino". art. 2 - Le "Strade del vino" sono percorsi caratterizzati da attrattive naturalistiche, culturali e storiche, nonché da vigneti e cantine di aziende agricole singole o associate aperte al pubblico. Legata alla strada del Vino è anche la Legge n. 164, 10 febbraio 1992. Norme generali – Classificazione delle denominazioni di origine delle indicazioni geografiche tipiche e ambito di applicazione. 4 In pochi anni in tutta Italia sono nati circa cento percorsi. 5 In Toscana sono presenti le seguenti strade: Strada del Vino Chianti Colli Fiorentini Docg Strada Medicea dei Vini di Carmignano Strada dei Vini Colli di Maremma Strada dei sapori del Casentino Strada dei sapori della Valtiberina Toscana Strada dell’olio e del vino Montalbano - Le colline di Leoonardo Strada dell’olio dei Monti Pisani Strada dei Vini Chianti Rùfina e Pomino Strada del vino Colline Lucchesi e Montecarlo Strada del Vino delle Colline Pisane Strada del vino Costa degli Etruschi Strada del Vino di Montecucco Strada del Vino Monteregio di Massa Marittima Strada del Vino Nobile di Montepulciano Strada del Vino Montespertoli

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L’immagine della Toscana maggiormente raffigurata e oggi comunicata rimanda a paesaggi agrari strutturati secondo l’organizzazione della mezzadria, con poderi, viali alberati, per lo più con cipressi, e un’armoniosa alternanza di colture, oliveti e vigneti terrazzati, punteggiati nelle zone più aspre da macchie di bosco di querce (sia sempreverdi che caducifoglie). Effettivamente per quanto la regione si presenti tra le più ricche di Italia per zone boscate, il suo paesaggio è dominato per circa due terzi dalla collina, una superficie ondulata che ha portato l’uomo a disegnare nel corso dei secoli sistemazioni agrarie in realtà ben diversificate tra loro che oggi costituiscono i numerosi volti della Toscana. Ad una lettura più accurata della regione si può affermare che non esiste un unico modello di paesaggio agrario6: dalla costa all’entroterra, dalla Lunigiana, al Mugello alla Maremma, innumerevoli paesaggi esprimono una interazione tra uomo e natura ben diversa per quanto quasi sempre dominata dalle colture pregiate della vite e dell’olivo. I paesaggi viticoli sono riconosciuti come le forme antropiche più affascinanti impresse ad un territorio, in particolare per la loro capacità di esprimere una precisa cultura “del piacere”7 con cui l’uomo ha modellato la Natura8. La vite, accompagnando molto spesso altre colture, trovando sistemazioni di volta in volta diverse per adattare la pianta alle diverse realtà (dei suoli, del clima e della morfologia)9 difatti è stata riconosciuta come una delle prime “invenzioni paesaggistiche”, divenendo simbolo dei paesaggi di prestigio: “i paesaggi viticoli rinviano sovente ai vitigni reputati, e soprattutto a denominazioni geografiche che sono state associate a dei vini: Tokaj, Borgogna, Champagna, Mersault, Jeret, Frascati, Saint-Emilion, Napa Valley, Rioja, evocano non solo un vino, ma un luogo e un paesaggio”10 . I paesaggi viticoli in definitiva sono associati alla cultura della natura, del benessere, alle tradizioni artigiane e al raggiungimento di un prodotto finito simile ad un’opera d’arte. Pertanto appare quindi significativo, analizzare il ruolo che le Strade del vino e dei sapori hanno e possono avere all’interno dei processi di trasformazione del paesaggio. Per la loro capacità di promuovere lo sviluppo rurale “attraverso la qualificazione e l’incremento dell’offerta turistica integrata e la collaborazione intersettoriale tra le imprese”11, esse non solo una dotazione infrastrutturale ma sono innanzitutto degli strumenti utili alla lettura dei contesti paesaggistici a cui appartengono12. Tutte le strade hanno difatti il potere di raccontare: ogni paesaggio è caratterizzato da eventi passati, recenti e contemporanei, composto da luoghi e peculiarietà diverse, esso cioè ha una propria storia da raccontare che per poter essere compresa da un viaggiatore, deve essere messa con lui in relazione visiva e percettiva. Vedere, osservare comprendere il paesaggio non sono azioni utili solo per coloro che lo visitano ma anche per quanti lì vi abitano poiché conoscere il proprio territorio e il riconoscere memorie e significati della propria Strada del Vino Terre di Arezzo Strada del Vino Vernaccia di San Gimignano. 6 Quello del Chianti a cui recentemente si è associato quello delle Crete Senesi. 7 Nel passato se le colture del grano, dell’olivo corrispondevano ai bisogni fondamentali, la coltivazione della vite, associata ad una bevanda, il vino che procurava il piacere sino all’ubriachezza, corrispondevano ad un arbitrio umano. La coltivazione della vite poteva essere inoltre legata alle tradizioni familiari oppure alle ragioni di culto dato che il vino accompagnava numerosi riti religiosi sia pagani che cristiani. (Vedi YVES LUGINBÜHL, Paysages viticoles, ICOMOS Julliet 2005 in www.icomos.org/sudies/viticoles.htm). 8Vedi REGINA DURIGHELLO, Le paysages culturels viticoles, ICOMOS Julliet 2005 in www.icomos.org/sudies/viticoles.htm. 9 la diversificazione dei vigneti dipende dalle:

- componenti del terreno (geologia-pedologia, topografia, clima, …; - componenti tecniche: le pratiche colturali, tra cui la conduzione della vite (circa 50 forme identificate da

Carbonneau, 2003) e la costruzione di opere specifiche (opere per la captazione del calore, protezione per il vento, per il drenaggio delle acque, eccetera…)

- componenti culturali. Vedi FABIENNE JOLIET, Typologie plastique des paysage de vigne, ICOMOS Julliet 2005 in www.icomos.org/sudies/viticoles.htm. 10 YVES LUGINBÜHL, Paysages viticoles, ICOMOS Julliet 2005 in www.icomos.org/sudies/viticoles.htm. 11 Art. 1, comma 3, L. R. n. 45/03. 12 Chi usufruisce delle Strade del vino è parte di quel crescente turismo eno-gastronomico, nato in contrapposizione ai processi di globalizzazione e omologazione, in cui sono ricercate emozioni ed esperienze di vita rurale che comprendono nella loro totalità la conoscenza dei luoghi, il contatto con le persone che ci vivono, la degustazione dei prodotti locali che porta tra le altre l’incentivarsi di eventi e manifestazioni locali (sagre, feste tradizionali, fiere, eccetera…), nonché l’incremento dell’editoria a scala locale, per quanto purtroppo non sempre di qualità.

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cultura permette a quella determinata comunità di orientarsi nei propri processi di crescita e trasformazione coerentemente ai propri caratteri identitari e alle peculiarietà dei luoghi in cui essi vivono. I finanziamenti previsti per la costituzione delle Strade del vino e dei sapori sono principalmente indirizzati alla predisposizione della segnaletica, per la realizzazione di un centro espositivo e di documentazione, spazi di degustazione, ma al loro interno non sembrano ricadere sistemazioni paesaggistiche13. Creare una segnaletica, un museo e strutture ricettive qualificate sono effettivamente condizioni utili ma non sufficienti per la valorizzazione del paesaggio stesso. Nella legge difatti per quanto si faccia riferimento a percorsi entro un territorio denso di valori storico-culturali in cui si produce vino e prodotti gastronomici che rimandano appunto nella loro denominazione ad una zona geografica tipica, si indicano come requisiti episodi di tipo puntuale. La valorizzazione di un prodotto, attraverso un’esperienza turistica, legata in questo caso ad un percorso, non può quindi essere data dalla sola “semplice somma dell’operato dei singoli agenti. È in realtà qualcosa di più. Essa si basa, attraverso un’azione collettiva, sulla creazione di un sistema coerente di elementi, materiali ed immateriali, che riflette l’identità locale”14. Per questo se le Strade possono valorizzare economicamente le aziende direttamente coinvolte, i benefici devono essere risentiti a livello territoriale. Le strade del vino e dei sapori ricadono all’interno della categoria degli itinerari turistico-culturale ossia “sono percorsi a tappe (nodi), collegati da segmenti, caratterizzati da un (o più) tema culturale unificante, che dà il senso all’intero itinerario, il quale si svolge in modo lineare, o talvolta reticolare o a spirale, interessando comunque un territorio più o meno vasto. Il collegamento funzionale dei segmenti e dei nodi al tema e l’avere a riferimento un territorio determinato ne sono, dunque, gli elementi strutturali. La funzione - s’è anticipato - è quella di organizzare e promuovere la diffusione del turismo culturale e l’occupazione giovanile”15. Le strade diventano in definitiva una struttura reticolare, organizzata secondo un “tema culturale”, il vino o un prodotto gastronomico tipico locale16, che si ancora al contesto attraverso le aziende agricole che lo producono, le varie strutture ricettive e culturali e comunque tramite tutti gli operatori coinvolti, che diventano i punti nodali del sistema che a loro volta si relazionano con altri soggetti o componenti, come i luoghi di interesse storico culturale, lì presenti. Per questo un itinerario turistico-culturale deve essere attentamente progettato e gestito nel tempo al fine di non incorrere in alcuni rischi come la banalizzazione del paesaggio a causa dei processi di semplificazione ad esempio delle colture e dell’equipaggiamento vegetale e dai fenomeni di urbanizzazione causati dalle stesse strutture ricettive. La Strada se opportunamente realizzata ha la possibilità di valorizzare positivamente il paesaggio circostante tramite:

13 La Legge regionale n. 45/03 definisce per le caratteristiche delle Strade: Art. 2 (Definizione e caratteristiche delle strade) 1. Le strade sono percorsi segnalati e pubblicizzati lungo i quali insistono vigneti, oliveti, altre coltivazioni, allevamenti, aziende agricole singole o associate e strutture di trasformazione aperte al pubblico, nonché beni di interesse ambientale e culturale. 2. La lunghezza e le caratteristiche di ciascuna strada configurano un itinerario turistico all’interno di aree sub-regionali al fine di valorizzare il territorio e le relative produzioni agricole e agroalimentari. 3. Le strade possono caratterizzarsi per la presenza di: a) un centro di informazione finalizzato alla diffusione di notizie relative alle attività, alle produzioni ed al territorio interessati dalla strada; b) un centro espositivo e di documentazione dedicato, secondo le specifiche realtà produttive e culturali presenti all’interno della strada, alla vite e al vino, all’olivo e all’olio, agli altri prodotti valorizzati dalla strada e in generale alla civiltà contadina; c) spazi espositivi e di degustazione dei prodotti e dei relativi preparati gastronomici caratterizzanti la strada. 14 ADANELLA ROSSI, La valorizzazione dei prodotti del territorio, in Atti del convegno “Le strade per valorizzare la multifunzionalità dell’azienda agricola”, Regione Toscana, Firenze 26 gennaio 2005. 15 SANDRO AMOROSINO, Gli itinerari turistico-culturali nell’esperienza amministrativa italiana, “Aedon, Rivista di arti e diritto on line”, “3”, 2003. 16 “Canone di garanzia e di identità culturale” (SANDRO AMOROSINO, Gli itinerari turistico-culturali nell’esperienza amministrativa italiana, “Aedon, Rivista di arti e diritto on line”, “3”, 2003).

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- da una parte la sua qualità in quanto percorso fisico che si dipana nel territorio, ma che è assimilabile ad un percorso di un parco, ripropone sistemazione paesaggistiche locali, è corredato di idonei e strategici punti panoramici, permette la fruizione grazie al suo collegamento con la rete minore dei sentieri17, penetrando così all’interno dei fondi agricoli e delle aziende, mantenendo un presidio diretto sul paesaggio18;

- dall’altra parte la sua presenza può attivare, tramite la promozione turistica, la tutela e la valorizzazione del paesaggio attraversato. È bene però comprendere che il paesaggio proposto non è quello falso che imita il passato, ma quello attivo, vivo del presente, che dal passato discende. Inoltre il termine “identità culturale” non si riferisce ad un solo aspetto: La strada del vino e dei sapori nella sua accezione di strada multiculturale conseguentemente mette difatti, già di per sé, in discussione la monocultura. Pertanto l’incremento di alcune colture agricole direttamente promosse dai percorsi eno-gastronomici, quali ad esempio la conversione di numerosi appezzamenti di terreno a vigneto, o la loro sempre più specializzazione, non deve portare ad una estrema semplificazione o ad una banalizzazione del paesaggio riproponendo immagini stereotipate e omologate, ma piuttosto basarsi sulla valorizzazione e reinterpretazione delle diversità e delle peculiarietà presenti, anche riproposte in forme innovative, in modo tale da creare un’affascinante ed unica continuità tra passato, presente e futuro.

Figura 1. Vigneti specializzati a Montalcino.

17 Strade bianche, strade vicinali, eccetera… 18 Le strade del vino e dei sapori trattano percorsi esistenti e consolidati ma talvolta essi necessitano di adeguamenti per il traffico automobilistico o accorgimenti per la valorizzazione, quali creazione di aree di sosta, punti di vista panoramici, parcheggi, accessi alle aziende, eccetera…

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Figura 2. Vigneti del Chianti Figura 3. Torre a Cona.

Figura 4. Montepulciano Figura 5. Bolgheri

Figura 6. Isola d’Elba.

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Figura 7. Cerreto Guidi Figura 8. Fiano (Certaldo). Figure 9- 10. Scansano Figura 3. Torre a Cona.

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Figure 11-12. Le strade del vino e dei sapori in Toscana.

Figure 13. Cerreto Guidi.

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VERSO I PAESAGGI DI DOMANI PUÒ UNA STRADA CONTRIBUIRE ALLA QUALITÀ DEL PAESAGGIO? “Paesaggio come bene culturale, paesaggio come identità profonda e radicata dei singoli territori relazionata alle popolazioni che in quei territori vivono ed operano, paesaggio come risorsa trasformabile, ma non rinnovabile e quindi da proteggere nella sua evoluzione. Questi sono i concetti che stanno alla base di una corretta azione pubblica che si occupa non solo delle porzioni di territorio che appaiono particolarmente pregiate e che sono dunque da tutelare e tramandare nella loro strutturale connotazione, ma anche e soprattutto dei paesaggi antropizzati, vivi e vitali, da conservare, gestire e pianificare, secondo obiettivi e requisiti di qualità in relazione alla loro evoluzione sociale ed economica”1.

Figura 1. Autostrada, reticolo viario comunale e minore, elettrodotti, … insistono nel medesimo ambito spaziale (Limite, Sesto Fiorentino). Con i due principi tutto è paesaggio e il paesaggio è tutto, la Convenzione Europea del Paesaggio2 estende finalmente il concetto di paesaggio a tutto il territorio. Essa difatti dichiara che “il paesaggio deve essere giuridicamente riconosciuto e tutelato indipendentemente dal valore attribuitogli”3, ovvero è un bene immateriale della collettività, a prescindere dal valore attribuito, sia che esso sia considerato eccezionale, della vita quotidiana o degradato.

1 MARIELLA ZOPPI, Politiche del Paesaggio, Editoriale, “Culturae”, 10, autunno 2005. 2 Firmata a Firenze il 20 ottobre del 2000 in Italia è stata ratificata con la L. n.14 del gennaio 2006. 3 Un altro principio sancito dalla Convenzione si basa sul coinvolgimento attivo delle popolazioni nei processi decisionali pubblici che riguardano il paesaggio. È significativo anche segnalare che l’UNESCO nel 1972 aveva deliberato una

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Non è difatti un caso, poiché costituito da una componente oggettiva, il territorio, sia soggettiva, la sua percezione, che il tema del paesaggio sia oggi “un tema grande e difficile. È grande, perché esige la capacità di mettere in relazioni concetti poco contabili fra loro, come lo sviluppo delle infrastrutture con la tutela degli spazi naturali di qualità, o la crescita quantitativa della domanda turistica con il turismo «di qualità», o l’apertura dei territori alla modernizzazione con il mantenimento delle tradizioni.”4 In questo contesto ogni decisione, di trasformare o conservare, “non è mai indolore rispetto alle parti interessate, siano esse rappresentate entro il corpo sociale o siano prive di voce propria (dalle falde freatiche, agli interessi delle prossime generazioni, dai lombrichi alle variazioni di isola di calore in città, ecc.)”5: i molteplici interessi, pubblici, collettivi, individuali che interessano o che si riversano sul paesaggio possono pertanto essere in contrasto l’un con l’altro. Il paesaggio è anche un soggetto estremamente complesso, costituito da spazi aperti e costruiti, dove il vuoto non è una superficie più o meno piatta da riempire o da conquistare: quale referente principale del paesaggio, ammette per sua propria natura, viva e dinamica, maggior metamorfosi rispetto al costruito e per questo viene maggiormente esposto ai processi di trasformazione, ma in quanto “contenitore” delle risorse, tessera che permette la connessione del tessuto, esso detiene essenzialmente un’importanza strategica. Come quindi tutelare, progettare, trasformare senza intaccare o addirittura contribuendo positivamente alla qualità del paesaggio? Il paesaggio innanzitutto è soggetto vivo, ha natura sistemica, essendo costituito da una molteplicità di elementi relazionati tra loro, e pertanto rifiuta un approccio che lo considera come bene immobile e statico6. Conseguentemente le decisioni riguardanti su dove, cosa e come trasformare hanno la necessità di essere supportate da un’opportuna fase di conoscenza analitico-diagnostica utile ad individuare quegli elementi e quei funzionamenti che determinano i diversi livelli di valore che a loro volta contribuiscono ad identificare le priorità e le scelte decisionali della società coinvolta7: attraverso la chiave paesaggio difatti possono essere attuati interventi sostenibili territoriali e ambientali8 in quanto il suo studio permette di individuare non solo le permanenze, ciò che deve essere sottoposto a tutela, ma anche ciò che è compromesso e degradato, da riqualificare, quali le risorse, i componenti da utilizzare nei relativi progetti di riqualificazione e trasformazione.

convenzione sul patrimonio mondiale adottando l’espressione di “paesaggio culturale”. Confrontando le due convenzioni l’una potrebbe sembrare in contrasto con l’altra. In realtà la convenzione dell’UNESCO ha un obiettivo diverso rispetto a quello del Consiglio d’Europa, essa difatti mira a fare un censimento di livello mondiale di quei paesaggi che hanno un valore universale eccezionale. Pertanto “da questo punto di vista, non è scorretto affermare che i due trattati sono complementari” (RICCARDO PRIORE, Verso l’applicazione della Convenzione europea del paesaggio in Italia, “Aedon, Rivista di arti e diritto on line”, “3”, 2005, da cui la citazione del testo). 4 MANUEL CHAVES GONZALEZ, JACQUES BLANC, CLAUDIO MARTINI in Junta de Andalucía, Région Languedoc-Roussillon, Regione Toscana, PMP 2000, Premio Mediterraneo del Paesaggio, Artes Gráficas 2001. 5 Guido Ferrara, La pianificazione del paesaggio nel Codice Urbani e le prospettive della Convenzione Europea, relazione al convegno sulla Convenzione Europea del paesaggio, Firenze 16 giugno 2006. 6 È ormai ampiamente riconosciuto che un vincolo di per sé non è sufficiente da solo a garantire la conservazione e la tutela di quel paesaggio. 7 L’attribuzione dei valori dipende da fattori di varia natura, ma sono per lo più afferenti al contesto ambientale temporale e culturale. Non a caso difatti nei secoli si è modificato non solo il paesaggio in sé, ma anche il modo con cui le popolazioni lo percepiscono e si rapportano ad esso. Generalmente il valore viene determinato in relazione all’importanza che riveste quel determinato soggetto all’interno di una comunità di riferimento (il valore può essere attribuito dalla comunità locale, in altri casi il soggetto può avere importanza sovralocale e sfuggire a quella stanziale), anche se unicità e rarità sembrano presupposti fondamentali per la loro identificazione. È comunque un’idonea analisi paesaggistica, costituita da un’equipe di figure disciplinari diverse, che dovrebbe permettere di individuare i valori necessari al sostentamento di quel determinato paesaggio, attraverso l’utilizzo di parametri e indicatori condivisi e riconosciuti, contemplando il suo effettivo ruolo a tutte le scale. 8 Vedi Riccardo Priore, La convenzione Europea del Paesaggio: matrici politico-culturali e itinerari applicativi, relazione alla giornata inaugurale del Master in paesaggistica e del Dottorato in Progettazione Paesistica, Università degli studi di Firenze, 11 gennaio 2007.

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Per comprendere se una strada può o meno contribuire alla qualità del paesaggio, deve essere pertanto indagato come questa modifica il funzionamento del paesaggio stesso, il quale a sua volta garantisce la presenza o meno di determinate risorse e caratteristiche9. Purtroppo i progetti infrastrutturali si fermano soventemente a soddisfare i requisiti tecnici e geometrici dettati da norme appartenenti a codici prettamente specifici al tema della mobilità, ed è questo il principale motivo del perchè oggi sussiste un problema tra strada e paesaggio. L’epoca moderna ha difatti introdotto nuovi modi di concepire il rapporto tra strade e paesaggio rispetto a quelli del passato. Tale mutamento è avvenuto alle varie scale a causa delle nuove esigenze date dalla meccanizzazione del movimento dell’uomo, che innanzitutto deve raggiungere alte velocità: velocità nel raggiungere un luogo all’altro, nel produrre più prodotti agricoli e non, nel visitare i luoghi stessi, e così via. È la velocità di progetto quindi il dato prioritario che determina le caratteristiche dell’infrastruttura. Tutto ciò comporta nuove realizzazioni ma spesso anche adeguamenti stradali, costituiti da tracciati il più omogenei possibile10. Essi devono avere inoltre particolari requisiti tecnici dati da norme standardizzate e omologate per il tutto paese italiano e/o europeo, ma nella priorità di soddisfarle viene dimenticato, tralasciato e disprezzato il suo ruolo paesaggistico, negando così la possibilità di rapportarle ai luoghi dato che il contesto attraversato diviene un insieme di oggetti da scansare e/o da forzare e lo spazio aperto un vuoto privo di peculiarità facilmente colmabile. Tracciati, rotatorie, scarpate rinverdite, muri di ripa di cemento, eccetera…, sono difatti utilizzati con modalità non curante dei connotati del contesto paesaggistico attraversato, inserendo così elementi di frammentazione paesistica. Ma non solo, l’utilizzo di nuovi macchinari, ad esempio come nell’agricoltura il trattore e altre macchine agricole, ha comportato, mediante l’accorpamento dei campi, l’abbandono di colture promiscue, la perdita di elementi vegetali di diversificazione, la perdita di un sistema di strade minore, e quindi di un importante patrimonio storico-culturale nonché ecologico11. Per quanto però il paesaggio possa essere dimenticato all’interno del processo progettuale questo si modifica comunque in relazione alle componenti presenti, ivi compreso le strade.

9 È utile sottolineare che, data la natura complessa del paesaggio, un unico parametro e un unico indicatore non è sufficiente a determinare la qualità, essi devono difatti riferirsi alle tre grandi categorie: ecologico-ambientali e naturalistiche, storico-insediative e architettoniche, visuali-percettive e dell'aspetto sensibile, così come definite dalla Carta di Napoli (1999). 10 “Nella progettazione di autostrade, il problema è ridotto nei termini più semplicistici e banali: traffico, volume velocità di progetto, capacità, pavimentazioni, strutture, allineamento orizzontale e verticale. Questi fattori sono abbinati a una formula costi-benefici completamente spuria, e le conseguenze di questa miopia istituzionalizzata si vedono nelle cicatrici che sfregiano la campagna e le città”. (IAN L. MCHARG, Progettare con la Natura, (1969), Franco Muzio Editore, Padova 1989, pag. 37). 11 Il reticolo viario minore nei paesaggi agricoli svolge numerose funzioni. Dal presidio della popolazione al territorio, alla fruizione di esso, alla possibilità di creare una rete su cui si poggia un sistema di vegetazione spontanea utile alla creazione di ambiti faunistici e quindi ad arricchire la biodiversità dei luoghi.

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Figura 2. Fiumi, reticoli idrografici, strade, autostrade, linee ferroviarie, trama dei campi agricoli, lingue di vegetazione, …. permeano il paesaggio di vita (foto aerea del fiume Arno presso il centro urbano di Incisa in Val d’Arno). Il paesaggio, in quanto organismo vivente, è difatti permeato da un delicato intreccio di reti diverse in cui fluiscono le energie utili a determinare il suo stato di salute12. L’insieme delle reti è una struttura che aiuta a comprendere come la realizzazione di ogni singola infrastruttura può minacciare la qualità e l’integrità13 del paesaggio attraverso tre ordini di problemi: - il primo riguarda il fatto che tutte le reti insistono nel medesimo ambito spaziale e quindi una

progettazione monobiettivo che non valuti l’intero sistema di sistemi può portare la 12 Nel paesaggio sussistono numerosi sistemi a rete: quelli storici –culturali, quelli ecologico-naturali, e quelli delle relazioni percettive-visive (per maggiori approfondimenti vedi EMANUELA MORELLI, Il paesaggio come sistema di reti (sezione temi del paesaggio), “Quaderni della Ri-Vista del Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica”, 2, volume 3, Firenze University Press, settembre - dicembre 2005. http://www.unifi.it/ri-vista/quaderni/) 13 Un paesaggio si può ritenere sostanzialmente integro laddove i processi di trasformazione in atto si fondano sulle matrici paesistiche esistenti, sono cioè coerenti ai processi di funzionamento che lo costituiscono, ai processi di stratificazione avvenuti precedentemente che hanno rinnovato, potenziato e/o reinterpretato di volta in volta le componenti presenti rendendole attuali. Un paesaggio che sta perdendo la sua integrità indica pertanto la presenza di processi che interrompono i flussi interni, modificano il suo funzionamento, alterano la sua struttura profonda: una trasformazione che non comporta evoluzione ma piuttosto un cambiamento radicale, quasi sempre purtroppo distruttivo in quanto non rispettosa di ciò che costituisce la matrice fondativa di quel determinato paesaggio, omettendo così i suoi caratteri identificativi, morfologici, storici, naturali, facendo prevaricare una rete sulle altre.

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prevaricazione di una sulle altre, rompendo così inevitabilmente flussi vitali per il paesaggio e generando frammentazione;

- il secondo risiede nel fatto che alcune di queste opere antropiche, anche se utili a risolvere determinati problemi, sono comunque fonti di inquinamento e di disturbo per le componenti biologiche presenti e quindi influenzano negativamente il funzionamento complessivo. Conseguenza questa che il sistema di reti ecologico-ambientale opportunamente potenziato e valorizzato potrebbe invece assorbire e/o addirittura annullare;

- l’ultimo è che queste infrastrutture si trasformano in tanti fili che si diramano nel territorio aperto, dai quali si diffondono processi di urbanizzazione che, se non preventivamente indagati e controllati, possono alterare la matrice paesistica presente e innescare processi di degrado, marginalizzazione e frammentazione.

L’insieme delle strade sono una struttura gerarchica fondamentalmente aperta, in cui i singoli segmenti possono essere abbandonati, ripresi, anche dopo secoli, e quindi flessibile che segue il processo di sedimentazione e stratificazione che avviene nel paesaggio. Anche nei casi in cui un singolo percorso perda il suo ruolo di strada nel territorio rimane impressa la sua traccia attraverso l’organizzazione degli insediamenti umani: per quanto sinora espresso risulta evidente che la visione monobiettivo non è sufficiente a soddisfare il progetto paesistico di una strada ma occorre ribaltare l’approccio e costituire un insieme di obiettivi, a cui ovviamente la strada può concorrere. Quali sono i nuovi obiettivi posti? Quali le problematiche emerse dalle esperienze passate e recenti? Inoltre quali i temi per la valorizzazione e le risorse per la progettazione paesistica delle strade? La seguente fase mette a fuoco in particolare le principali problematiche che riguardano nello specifico strade e paesaggi della Toscana e, in forma di sintesi ipotizza una serie di obiettivi e quindi di temi14, per la progettazione stradale nel paesaggio regionale, coerentemente alle disposizioni e gli obiettivi del PIT riguardo sia alle strade che al paesaggio15. Non si tratta ovviamente di mettere in discussione la sicurezza del tracciato, ma neanche di disegnare in modo astratto una linea su di una carta geografica, che cerca di scansare, forzare la morfologia, i centri urbani e il complesso di caratteristiche presenti, bensì di costituire un insieme di obiettivi a cui la strada, abbiamo visto, può rispondere contemporaneamente e per propria natura efficacemente, arricchendo così il progetto di quell’aspetto creativo che dovrebbe caratterizzare ogni opera dell’uomo. La stratificazione storica del paesaggio toscano, fortemente condizionato dall’opera dell’uomo e quindi dalle vie di comunicazione realizzate diviene quindi un luogo esemplificativo per evidenziare la necessità che per operare nel paesaggio si deve lavorare con il paesaggio stesso. Pertanto per poter guidare le trasformazioni future in modo innovativo ma anche coerentemente alla propria storia è opportuna una profonda conoscenza dei connotati paesaggistici presenti e delle leggi che li regolano e tengono uniti, determinare gli obiettivi che si intendono raggiungere, le priorità da perseguire, le modalità con cui ottenerle.

14 Gli obiettivi determinati dalla conoscenza del paesaggio stesso e dalla società a cui esso si rapporta diventano una sorta di controllo e di verifica all’interno del processo progettuale stesso, senza porsi così in una fase valutativa a posteriori, e permettono una riflessione su di un ambito più vasto rispetto a quello lineare solitamente indagato. L’obiettivo, opposto al rischio che può accadere conseguentemente ad ogni tipo di azione, diviene una sorta di aspettativa, in pratica una sicurezza del progetto. 15 Dal punto di vista del rapporto strade-paesaggio il PIT intende promuovere “il recupero e la valorizzazione del paesaggio, dell’ambiente e del territorio rurale quale componente produttiva e nel contempo quale presidio ambientale, […], il miglioramento della mobilità delle persone e delle merci attraverso l’integrazione delle diverse modalità di trasporto su tutto il territorio regionale.” Nel particolare “le infrastrutture ferroviarie e stradali devono essere integrate, con i diversi sistemi territoriali attraversati, favorendo il loro inserimento paesaggistico e limitando l’effetto sugli ecosistemi”. GIUSEPPE DE LUCA (a cura di), Piano di Indirizzo Territoriale, Regione Toscana, 2003.

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DISSONANZE INFRASTRUTTURALI CONTEMPORANEE Un diverso approccio culturale e quindi metodologico.

Figura 3. La strada Mezzana – Perfetti Ricasoli tra Prato e Firenze. Il principale problema che sussiste all’interno dell’odierno rapporto strade-paesaggi, ma in un’ottica più vasta tra i nuovi processi di insediamento e la matrice paesaggistica presente, è di ordine fondamentalmente culturale. Difatti grandi e piccoli progetti di trasformazione territoriale sono affrontati quasi sempre esclusivamente con un approccio di tipo tecnico, o comunque settoriale, focalizzando sempre l’attenzione sull’ “oggetto” da progettare ma mai, o in ogni caso in modo limitato, sul suo intorno16. La natura sempre più complessa del territorio in cui si opera, la ricca stratificazione del paesaggio, la scarsità e la sempre maggiore vulnerabilità delle risorse naturali, indispensabili per il riequilibrio e per lo sviluppo sostenibile, la natura sempre più invasiva delle nuove opere, rendono evidente che la V.I.A., strumento sicuramente utile e indispensabile, non è da sola sufficiente a garantire la buona riuscita di un progetto così articolato come quello infrastrutturale poiché al paesaggio viene conferito un ruolo passivo17. Occorre pertanto modificare l’approccio con cui ci si avvicina e ci si

16 Vedi EMANUELA MORELLI, Disegnare linee nel paesaggio. Metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze University Press, Firenze 2004. 17 Il paesaggio è cioè costretto a “subire” il progetto senza farne parte. Si deve inoltre sottolineare che nella consuetudine il paesaggio non hai mai assunto neanche all’interno della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) un ruolo fondamentale, benché siano valutati i singoli componenti (ad esempio l’aria, l’acqua, i singoli beni culturali, eccetera…). Il paesaggio, valutato solo a posteriori, più che come insieme viene rappresentato da una serie di immagini fotografiche, mentre la mitigazione viene intesa solo come “operazione cosmetica”: una cortina di vegetazione e di alberature disposte parallelamente al fine di nascondere l’infrastruttura, che invece può innescare processi e alterazioni non immediatamente percepibili alla vista. Si deve quindi pensare al paesaggio non solo in termini di tutela passiva ma in termini attivi del

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rapporta al paesaggio: il paesaggio toscano è stato riconosciuto internazionalmente come valore e risorsa proprio per la sua forte matrice storico-culturale e come espressione armoniosa del rapporto-uomo natura. La sua ricchezza è quella di contenere un’alta varietà di realtà sociali, economiche, ambientali e quindi paesistiche diverse, fortemente caratterizzate dalle realtà locali appartenenti, dove si insediano attività molteplici da quelle industriali, tecnologiche, turismo e agricoltura. È evidente che tale rapporto in realtà si è costruito e evoluto nel corso di numerosi secoli e che tutt’oggi continua a mutare. In virtù di ciò oggi non si deve concepire il paesaggio come un soggetto statico da conservare, ma affinché esso possa continuare a vivere, deve essere di volta in volta rinnovato attraverso un’attenta fase di pianificazione e progettazione18. Da qui la necessità di dare nuovamente vigore alle permanenze, alle matrici paesaggistiche, che possono diventare le così dette invarianti strutturali, intese proprio come il punto di partenza del nuovo processo di trasformazione portatore di un ulteriore processo di stratificazione in termini qualitativi. Il paesaggio deve entrare con ruolo attivo all’interno del processo di progettazione: progettare nel paesaggio, progettare con il paesaggio. Non si tratta dunque di prevedere nei processi infrastrutturali operazioni di cosmesi o di mimetizzazione: realizzare dune rinverdite e barriere vegetali ai lati dell’infrastruttura non è sufficiente a costruire un rapporto qualitativo tra strada e paesaggio. Date le trasformazioni profonde innescate dalla modifica o dalle realizzazioni dei tracciati viari, il problema è evidentemente molto più serio e profondo, e può compromettere non solo il carattere estetico del paesaggio, ma lo stesso insieme di componenti attuando processi di degrado che possono influire sulla qualità economica e soprattutto della vita delle comunità interessate, presenti e future. A tal fine si evidenzia pertanto la necessità di arrivare alla definizione di un metodo progettuale complessivo dell’infrastruttura viaria, basato su di una definita cultura paesaggistica, in cui il paesaggio sia riconosciuto come soggetto di riferimento, e inteso anche non solo come componente percettiva, ma come sistema complesso, il cui funzionamento è dato dall’interazione delle sue parti appartenenti alle tre categorie così come stabilito dalla carta di Napoli: ecologico-naturali, storico-culturali, estetico-percettive19. In questo senso appare evidente la necessità di comporre gruppi di progettazione pluridisciplinari in cui sia sempre presente uno o più esperti in materia di paesaggio (in particolare aventi specifiche idonee alla caratteristiche rilevanti di paesaggio interessato). In definitiva si tratta di concepire l’infrastruttura non solo come esclusivo problema di mobilità, ma come elemento complesso e quindi riferibile a più contesti e più funzioni, ivi compresi quelle relazionate al paesaggio. Tale metodologia deve essere condivisa, solo in questo modo essa può diventare uno strumento operativo che garantisce qualità alle trasformazioni. Al tal fine di occorre:

- sensibilizzare gli enti, le amministrazioni pubbliche e gli uffici competenti in materia di mobilità, le imprese private e le molteplici figure disciplinari partecipanti al progetto infrastrutturale affinché il paesaggio venga coinvolto attivamente nella fase ante-operam;

- costituire un quadro conoscitivo che diviene un processo di conoscenza dove sono evidenziati i caratteri strutturali del paesaggio che entrano in gioco nel progetto infrastrutturale sotto molteplici aspetti;

- l’individuazione dei processi di trasformazioni, delle opportunità, dei punti di forza e di debolezza20;

progetto, così come è stato costruito più o meno consapevolmente nel passato, poiché esso continua comunque a trasformarsi. Il paesaggio di qualità non appartiene solo al passato ma è qualcosa che tutto oggi può essere realizzato. 18 Come dice Roberto Gambino non vi è conservazione se non c’è innovazione: “La pianificazione è allora chiamata – proprio a partire dai riconoscimenti di valore di cui si avvale – ad offrire le idee e le condizioni operative per riaprire nel contesto sociale i discorsi paesistici interrotti, riattivare i processi di significazione, recuperare il significato attuale dei terreni storici, identificando nel patrimonio paesistico il nuovo, insostituibile referente dei moderni processi di territorializzazione” (ROBERTO GAMBINO, Il paesaggio tra conservazione e innovazione, in ANTONIO DE ROSSI, GIOVANNI DURBIANO, FRANCESCA GOVERNA, LUCA REINERIO, MATTEO ROBIGLIO (a cura di), Linee nel paesaggio. Esplorazioni nei territori della trasformazione, UTET Libreria srl., Torino 1999, pag. 24.). 19 Vedi Carta di Napoli 1999. 20 Vedi ad esempio le analisi SWOT (Strenght, Weakness, Opportunities, Threats).

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- standards, norme, indicatori che sono strumenti e non obiettivi; - la redazione di manuali che sono esemplificazioni e guide, ma non soluzioni da copiare

indistintamente poiché ogni progetto è unico. A causa della vastità e la molteplicità delle componenti che riguardano il rapporto strade-paesaggio, le problematiche riscontrate all’interno di questa studio riguardano più aspetti rispetto a quello inevitabile relativo alla diffusione di sostanze inquinanti e del rumore (problematiche che per altro potrebbero essere attutite dalla presenza di una forte struttura paesistica dal punto di vista ecologico-naturale, capace di assorbire tali effetti negativi). Esse ad una prima lettura appartengono a due classi strettamente relazionate l’una con l’altra:

- A) negli odierni paesaggi toscani si verificano le tipiche problematiche individuate in quasi tutti i progetti infrastrutturali contemporanei;

- B) nella regione (o meglio in parti di essa) si definiscono specifiche trasformazioni, caratteristiche ed esclusive di quel determinato contesto paesaggistico.

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PROBLEMATICHE A CARATTERE GENERALE DEI PROGETTI INFRASTRUTTURALI CONTEMPORANEI. Il senso della collettività nelle opere infrastrutturali Quando le strade sono concepite esclusivamente secondo l’applicazione meccanica delle norme, tralasciando così il suo rapporto con il contesto attraversato, si generano numerose problematiche. Perché questo non avvenga il paesaggio deve essere considerato e coinvolto attivamente sia nella fase di pianificazione che nella fase progettuale del manufatto. Il disegno della grande strada così come quello del sistema viario locale rivela il senso pubblico, collettivo con cui l’opera è stata pensata. Esse difatti sono un servizio pubblico. Anche al paesaggio, così come definito dalla Convenzione Europea, viene affidato un importante ruolo collettivo, pertanto emerge la stretta relazione tra strade e paesaggi. Spesso le modalità con cui le strade sono realizzate, basate sul fatto che devono risolvere il problema del singolo spostamento tramite il proprio mezzo privato, fanno si che esse diventino qualcosa di estraneo, in quanto manca di quella visione di insieme e sistemica, e quindi collettiva, dalla quale scaturisce la crisi del paesaggio attraversato: uno strumento indispensabile e utile al movimento privato, ma in cui nessun individuo si riconosce. Ogni “strada” deve quindi contenere una propria razionalità e un proprio codice, ma il disegno, il proprio equipaggiamento (dai servizi alle opere dello stesso manufatto), il modo con cui esso si mostra e si relaziona, deve anche indicare il senso pubblico e collettivo dell’opera. Chi percorre una brutta strada conferisce istintivamente un giudizio negativo a chi governa quel territorio perché fa pensare a amministratori impotenti o che non hanno rispetto e sensibilità per il proprio paesaggio e per le popolazioni lì presenti. Viceversa una buona opera, ben integrata nel suo paesaggio, è sempre un segno di vanto delle popolazioni, nelle quali immediatamente si riconoscono21.

Figura 4. Svincolo stradale a Siena.

21 Vedi ad esempio la recenti opere autostradali francesi, alle quali fanno capo un’equipe interdisciplinare guidata dal paesaggista Bernard Lassus, che diventano una sorta di “biglietto da visita” del paese, un “belvedere” in movimento, costituito più che da semplici aree di sosta da veri e propri giardini che si collocano tra la dimensione sovralocale della grande infrastruttura e quella locale del quotidiano, permettendo così al viaggiatore di entrare in contatto “tattile” con il paesaggio attraversato (vedi EMANUELA MORELLI, op. cit., Firenze 2005).

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La reversibilità delle opere infrastrutturali La tipologia degli spazi aperti ammette, per sua propria natura, metamorfosi e maggior trasformazione rispetto al sistema del costruito. Nonostante il suo aspetto dinamico, spesso gli spazi aperti subentrano nella progettazione con ruoli passivi e di annientamento, in poche parole come “vuoti” da colmare. Ciò che invece è “costruito” è in genere pensato come immobile e infinito. La storia non sembra però confermare quest’ultima teoria. È utile pertanto concepire i manufatti stradali non come opere irreversibili, ma flessibili, soggette anche loro alla trasformazione e al riuso22. Pertanto appare significativo considerare che la trasformazione morfologica del paesaggio causata da opere infrastrutturali deve essere il più possibile limitata. Problematiche legate alle grandi infrastrutture viarie23 La grandi infrastrutture, ovvero quelle grandi strade costituite da ingressi selezionati, esclusivamente dedite al traffico veloce e motorizzato, quali autostrade e superstrade, rappresentano il caso limite del rapporto infrastruttura e paesaggio, in quanto sono capaci di esprimere tutta la loro potenza distruttiva quando sono concepite come elementi estranei e completamente indipendenti dalla situazione paesistica che attraversano. Le strade causano sempre e comunque delle interferenze con il proprio contesto, in particolar modo nella fase di cantierizzazione dell’opera24. Per questo motivo le componenti ecologico-naturali si presentano come quelle più vulnerabili e fragili dinanzi ad un progetto infrastrutturale. Le componenti culturali e percettive relative all’aspetto sensibile sono anch’esse vulnerabili, ma dipendono dalla qualità del progetto, del disegno della strada e dal grado di condivisione – rappresentazione- riconoscimento assunto dalla popolazione. Le problematiche riferite alle grandi infrastrutture viarie possono essere di natura diversa, a seconda degli ambiti di riferimento. In ambito paesaggistico di interesse naturale le problematiche prioritarie riguardano fondamentalmente gli aspetti ecologici – in particolare la frammentazione ecologica che comporta l’impoverimento della biodiversità e la degradazione degli ambienti naturali. Il rapporto strade paesaggi deve qui garantire il rispetto delle risorse ecologico-naturali presenti e si esplica sia a scala vasta, cioè a livello di pianificazione, così come nella realizzazione dello stesso manufatto. Innanzitutto occorre decidere se è opportuno, prioritario, modificare un determinato contesto, introducendo così il concetto di sostenibilità dei processi di trasformazione. Tramite la conoscenza di quanto quel determinato paesaggio è vulnerabile a quel tipo di processo di trasformazione, e se quindi è compromessa la presenza di determinati valori, o se sussistono alternative, aiuta a determinare la decisione sul “passare o non passare”: “… trovare una forma per il passaggio di un’autostrada in un luogo non ha niente a che vedere col fatto di passarci o meno. […]. Impiantare una autostrada, per quanto sia ben realizzata, “la dove non dovrebbe passare”, […] trasforma il passaggio in un’aggressione e in una ferita.”25

22 Vedi ad esempio gli innumerevoli progetti di greenway recenti che contemplano tracciati infrastrutturale dimessi. 23 L’elenco di queste problematiche si riferisce a quelle prioritarie. È ovvio che ognuna di queste problematiche può riguardare più ambiti: il tema ad esempio della frammentazione ecologica appare prioritario in paesaggi di rilevante importanza naturalistica, ma esso comunque si evidenzia come fondamentale anche negli altri ambiti come quelli rurali o metropolitani. 24 Modifica morfologica per scavi e discariche per inerti o materiali di risulta da scavi, passaggio di veicoli ingombranti e inquinanti, eccetera…. 25 BERNARD LASSUS, Découvrir, s’arrêter, in CHRISTIAN LEYRIT, BERNARD LASSUS, Autoroute et Paysage, Les Éditions du Demi-Cercle, Parigi 1994, pag. 46. Traduzione dal francese a cura di Rosetta Ragghianti. In alcuni casi francesi il tracciato è stato completamente spostato su di un altro contesto rispetto all’ipotesi originaria. Nel caso del Colle del Nugère, ad esempio, Bernard Lassus, in linea con il principio che la volontà di lasciare un luogo naturale e già di per sé un fatto culturale, riesce a convincere il Ministero dei trasporti a spostare il tracciato, in modo da lasciare integro ed intatto uno dei più importanti paesaggi francesi. L’autostrada ora così contorna questo luogo, in modo tale da proporlo alla vista, all’orizzonte, dei viaggiatori.

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La pianificazione del tracciato e il progetto del suo stesso manufatto comunque non deve porsi come barriera interrompendo i flussi trasversali presenti26. Per questo deve essere garantita la permeabilità trasversale e la sistemazione dell’equipaggiamento (dai movimenti di terra all’inserimento della vegetazione) che non deve limitarsi alla fascia immediatamente adiacente alle carreggiate ma spingersi nella profondità del paesaggio nella misura in cui sono intense le trasformazioni indotte, comprendendo quindi anche misure di mitigazione e compensazione: realizzando un progetto che sia parte del paesaggio stesso riduce tuttavia le problematiche relative alla compensazione e la mitigazione e quindi anche i costi della sua realizzazione. Particolare attenzione deve essere rivolta ai processi di alterazione indotte, non immediatamente tangibili, come il rischio di urbanizzazione e/o forte pressione antropica che devono essere opportunamente gestite. In ambiti rurali le problematiche principali riguardano ad una prima immediata lettura il salto di scala tra strada e paesaggio e quindi appaiono relative ai temi della percezione, della visualità e dell’estetica. In realtà l’introduzione di un manufatto “brutto”, anonimo e quindi portatore di squallore, calato su di una realtà comporta conseguenze quali sensazione di margine, intrusione, rottura, invasione che innescano processi di frammentazione paesistica, scardinando così l’ eventuale integrità del paesaggi. Il paesaggio rurale, in particolar modo quello prevalente in Toscana che discende da quello mezzadrile, per quanto processi di semplificazione molto forti siano in atto un po’ ovunque a causa delle moderne pratiche agricole27, è costituito da una maglia complessivamente minuta, basata sugli aspetti locali messi in un sistema diffuso e a rete. La grande viabilità invece con il suo tracciato, con il manufatto, e le opere ad esso connesso, ha come riferimento il “sovralocale”. Occorre pertanto prevedere all’interno del progetto sistemazioni paesaggistiche idonee che garantiscono tale variazione di scala, in modo che non si crei una frattura tra strada e paesaggio e la strada stessa non diventi un ulteriore fattore di alterazione e semplificazione del paesaggio. Le stesse sistemazioni paesaggistiche devono essere attentamente progettate al fine di non banalizzare o entrare in conflitto con i caratteri dominanti il paesaggio. L’utilizzo della vegetazione non deve essere solo studiata nella sua associazione (riferita cioè alla zona fitoclimatica e alla funzione che deve svolgere, ovvero di abbattimento del rumore e delle polveri), ma deve anche rispettare nel suo modo di porsi (forma – disegno) i connotati culturali del paesaggio. Lo stesso vale per i materiali utilizzati per i movimenti di terra e per tutte le altre opere ad esse connesse che devono integrarsi con il contesto sia nelle forme che nei materiali28. La modalità con cui si “attraversa” un paesaggio modifica il modo di percepire quel determinato contesto. Dato quindi anche il valore economico del turismo per i contesti rurali la strada, se ben progettata, può diventare un mezzo con cui poter promuovere, conoscere, raccontare e scoprire determinati paesaggi agrari senza tuttavia sconvolgere il loro assetto, viceversa può influire negativamente anche nelle rispettive economie locali. In ambiti metropolitani visto il congestionamento e la complessità delle opere e della stratificazione presente la grande infrastruttura non deve porsi come un ulteriore processo di degrado e di disordine. Essa in alcuni casi può diventare occasione per attuare progetti di riqualificazione e di riordino dei luoghi sia dal punto di vista funzionale e identitario che quello ecologico – naturale. Nei contesti metropolitani le normali risorse naturali assumono generalmente un alto valore a causa della loro stessa scarsità, mentre il tessuto appare costituito da una serie di episodi non correlati tra di loro. La grande strada quindi può assumere in modo diverso, sia come segno ma anche come solo come motore e opportunità, il valore di spina dorsale, ovvero di promotore dei processi di riordino e riqualificazione. Inoltre in ogni progetto infrastrutturale, dal tracciato ai raccordi, deve essere fatta attenzione ai processi di frammentazione, in particolare delle funzionalità, al consumo di suolo, così come alla creazione di aree marginalizzate. In tutti i contesti si riassumono sinteticamente le seguenti categorie di problemi per le grandi strade:

- estetici 26 Come è già stato espresso vi è la necessità di pianificare e progettare in modo tale che ognuna delle reti non prevarichi le altre in quanto è la qualità dell’insieme dei sistemi che permette di garantirne la corretta efficacia. 27 Monoculture, culture specializzate, residenzialità in ambito rurale, perdita degli elementi di diversificazione, eccetera… 28 È bene comunque specificare che si tratta di soluzioni che interpretano, e non che imitano, copiano o falsificano, i caratteri strutturali presenti.

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- percettivi e visivi - culturali e di identità locali - integrazione e conflittualità - funzionali - marginalizzazione e abbandono - frammentazione - alterazioni ecologiche e ambientali, nonché modifica e distruzione degli ambienti presenti,

temi questi che sono prioritari in tutti i contesti paesaggistici, da quelli ad alta rilevanza naturalistica a quelli degradati e fortemente urbanizzati

- disturbo - interferenze - aumento di urbanizzazione a scala puntale e regionale - consumo di suolo - problematiche generali riferite alla fase di cantiere.

Strade a livello sovralocale e locale Le strade sovralocali e locali in genere sono riferite a specifici ambiti ma sono generalmente concepite con caratteristiche simili a quella della viabilità destinata allo scorrimento veloce. Anche in questo caso il loro rapporto con il contesto, per lo più aree di frangia di centri urbani grandi e piccoli e aree agricole, è decisamente fuori scala e di completa estraneità. L’insieme di questi innumerevoli progetti possono comportare una problematica molto più estesa rispetto ai grandi progetti infrastrutturale. Inoltre molte strade a livello sovralocale e locale, a prescindere dall’ambito che attraversano, presentano la problematica riferita alla cartellonistica e alla segnaletica, che generalmente si pone come problema o perché invasiva, o perché non regolata sia nelle forme e nei colori, sia perché situata i punti poco idonei, o infine perché poco chiara e leggibile, creando senso di confusione e/o obliterazione della percezione del paesaggio. Negli ambiti periurbani sono soventemente realizzate nuove strade di circonvallazione per spostare all’esterno dei centri urbani il traffico veicolare di ordine superiore o per raggiungere frazioni urbane o insediamenti produttivi adiacenti alle aree urbane principali. Queste nuove strade, anche nel caso in cui siano solo progetti di adeguamento, sono spesso realizzate fuori scala, con inserimento del disegno del tracciato (linea, rotonda, eccetera…) in conflitto al paesaggio circostante. Le problematiche presentate, seppur con dimensione minore, sono del tutto simili quindi a quelle delle grandi strade, alle quali si aggiunge:

- Fenomeni di urbanizzazione diffusa lungo le strade, che accorpano assieme nuclei rurali e abitazioni a carattere residenziale, industriale, artigianale e commerciale (ad esempio la strada mercato). La predisposizione a saturare gli spazi aperti residuali tende a far diventare la strada una barriera che divide un unico contesto in due realtà opposte e non collegate tra loro sotto gli aspetti funzionali e ambientali.

- I fenomeni di urbanizzazione sopra esposti portano il congestionamento del traffico. La strada quindi perde la sua capacità principale di collegamento tra luoghi e si presenta la necessità di realizzare nuovi manufatti stradali, spesso con carreggiate protette e modalità già citate, raddoppiando in pratica la problematica legata alla strada, con il conseguente rischio quindi di frammentazione paesaggistica e consumo di suolo.

- Le nuove varianti stradali non hanno la capacità di strutturare qualitativamente le aree interessate dall’intervento. Non sono creati nuovi luoghi, sia in ambito periurbano (che potrebbe invece ridefinire gli spazi posti tra l’urbano e il paesaggio aperto) che nel paesaggio aperto.

- Non esiste un passaggio di scala nelle strade che dal paesaggio aperto entrano in ambito urbano e viceversa. Esse in genere si interrompono brutalmente dentro il tessuto urbano creando disordine. Viceversa vi è la possibilità di creare delle “porte di accesso ai luoghi” o

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la creazione di nuovi spazi di uso pubblico per il riordino delle aree periurbane29. Anche nel paesaggio agrario manca la relazione con la viabilità minore che può diventare irraggiungibile e che comunque viene spesso interrotta e frammentata.

- L’equipaggiamento delle strade è quasi sempre assente o comunque banale (limitato a qualche filare alberato).

- La monofunzionalità con cui sono concepite (cioè quella esclusiva della mobilità tramite veicoli a motori) non contempla la realizzazione di altre piste quali quelle pedonali e ciclabili, presentando problemi di sicurezza per chi vuole fruire il paesaggio, ovvero vivere nei propri contesti, con mezzi alternativi.

29 Molteplici anche in questo caso sono gli esempi stranieri in cui la strada può diventare occasione per riqualificare un’area e creare nuovi spazi aperti di uso pubblico.

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PROBLEMATICHE STRETTAMENTE LEGATE AL CARATTERE REGIONALE. La Toscana, per quell’affascinante processo di stratificazione riportato sinteticamente nel quadro conoscitivo del presente studio, ha quasi in tutta la sua regione un marcato senso di urbanità che si diffonde dai centri urbani alla campagna. Tale urbanità non significa urbanizzazione nelle accezioni negative che oggi soventemente contempla questo termine, ma una presenza antropica che si confronta quotidianamente con il mondo della Natura. Le strade hanno contribuito in modo considerevole a creare questo aspetto così caratterizzante del paesaggio toscano e rafforzano con la loro presenza il riconoscimento di quest’ultimo come bene culturale di livello internazionale. Le prime problematiche legate alle odierne strade che risaltano in questo contesto sembrano essere di natura prevalentemente estetica e visiva-percettiva ma in realtà le alterazioni sono molto più profonde e riguardano tutti gli aspetti del paesaggio inteso come sistema complesso. A seguito sono elencate alcune delle problematiche che riguardano nello specifico il rapporto strade e paesaggi in Toscana. Nuovi progetti infrastrutturali, adeguamenti e processi di trasformazione Dato il carattere rilevante del paesaggio della Toscana, è indispensabile impedire progetti infrastrutturali omologanti e banali, in favore del mantenimento delle diversità delle varie realtà locali. Gli stessi progetti non devono distruggere ma creare luoghi di valore. Ogni progetto di adeguamento stradale, anche se costituito apparentemente da piccoli interventi, comporta comunque una trasformazione nel paesaggio (ivi compreso il modo di vivere e percepire quel determinato contesto). Un esempio sono la rettifiche di curve o i progetti di diminuzione delle pendenze, sulle strade di montagna, che comportano un maggior consumo di suolo, opere di sbancamento, consolidamento dei versanti, eccetera…. mentre il tracciato esistente perde di valore e può rimanere come “segno interrotto” o abbandonato. Occorre quindi la riprogettazione dell’intero sistema degli spazi aperti relazionati all’infrastruttura, evitando sprechi di suolo: le parti del vecchio tracciato che si affacciano sulla vallata possono essere invece “riutilizzati”, anche solo per il loro valore storico, e diventare luoghi di sosta per il godimento del paesaggio, o percorsi per la mobilità alternativa. I progetti di adeguamento o varianti alle strade statali e provinciali presentano in genere problematiche rilevanti rispetto al rapporto strade-paesaggio. Il tracciato viene pensato in modo da rendere il flusso veicolare più veloce, ma soprattutto realizzato per evitare l’attraversamento dei centri urbani. Come già approfondito nel quadro conoscitivo, l’eredità storica della maglia stradale della regione è fondamentalmente costituita da strade che avevano una profonda relazione con i centri urbani (essi in alcuni casi diventavano parte integrante della forma urbana stessa). Oggi, a causa dei problemi legati all’inquinamento, al traffico e al congestionamento, e quindi alla vivibilità e alla sicurezza dei luoghi urbani, questo rapporto non è più possibile. Nascono quindi varianti che evitano le parti urbane e si collocano tra queste e il contesto aperto. Le problematiche dipendono di volta in volta dalla singola realtà interessata ma in genere riguardano i seguenti aspetti.

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Figura 3. La strada Mezzana – Perfetti Ricasoli tra Prato e Firenze: la linea della strada contrasta con la struttura insediativa presente. La strada è inoltre priva di sistemazioni paesaggistiche (l’unico arredo è dato da pannelli fonoassorbenti prefabbricati) e di percorsi per la mobilità alternativa. Nuovi progetti stradali per la mobilità

- Realizzare una nuova strada, così come è stato più volte detto, non comporta modifiche esclusivamente alla fascia pertinente al manufatto ma produce trasformazioni di natura diversa anche alla vasta scala. Non a caso difatti nella fascia costiera a nord della regione si è sviluppata una forte pressione insediativa in particolar modo a causa dello sviluppo turistico balneare favorito dalla presenza di consistenti infrastrutture di trasporto (autostrada) che facilitano il collegamento tra costa e entroterra. La parte meridionale della costa toscana si presenta per tradizione storica con caratteri diversi rispetto a quella settentrionale, in particolare con un minor carico insediativo e con una maggior presenza di risorse naturali tali da caratterizzare fortemente queste aree30. La realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto ad alto scorrimento, quali il corridoio tirrenico, così come l’adeguamento e il potenziamento della viabilità principale, sono azioni che possono essere ritenute indispensabili ma comunque da studiare approfonditamente e da “tenere sotto controllo”, non solo per la eventuale frattura – barriera che il manufatto stesso può creare tra la fascia dell’entroterra e la costa (a seconda delle modalità con cui cioè viene realizzata31) ma soprattutto anche per le trasformazioni territoriali che può produrre (facilitando cioè l’accesso a quest’area). Il prolungamento della autostrada sino a Rosignano ha già fatto accelerare rapidamente l’espansione dell’urbanizzazione dei maggiori centri urbani costieri lì situati (per lo più “seconde case” a fini del turismo balneare). La problematica quindi riguarda il rischio di urbanizzazione che può investire

30 Vedi ad esempio la promozione della Maremma che presenta un paesaggio costituito da numerose risorse naturali e comunque costituito da caratteristiche diverse rispetto a quelle più “urbane” della Versilia. 31 Le grandi direttrici di trasporto (strade e ferrovie) attraversano nella sua lunghezza la costa. A queste sono collegate inoltre i centri urbani: il consolidarsi dell’urbanizzazione lungo queste arterie e in prossimità delle spiagge della costa può causare una barriera alle relazioni ecologiche, funzionali, eccetera… esistenti tra la costa e il suo entroterra.

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l’intera costa toscana, compromettendo il carattere identificativo della stessa Maremma (da cui banalizzazione, omologazione, eccetera…). Anche le risorse naturali rischiano di essere confinate in episodi a macchia nelle poche aree umide residuali dei processi di bonifiche e nelle aree protette disposte lungo il litorale regionale. È quindi indispensabile controllare il possibile acceleramento dell’urbanizzazione lungo la costa e sulle fasce collinari immediatamente retrostanti indotto dal potenziamento infrastrutturale e mettere a sistema il sistema delle aree di importanza naturalistica e storico culturale.

- La nuova strada che generalmente si dispone come cesura tra il nucleo urbano e il contesto aperto, crea un ulteriore processo di frammentazione degli spazi peri-urbani. Il nuovo manufatto non ha pertanto nessuna relazione con il suo intorno e ripropone le caratteristiche omologanti delle grandi infrastrutture seppur con dimensioni minori. Essa pertanto, realizzata in modo asettico, entra in conflitto con il carattere storico culturale dei luoghi “aperti e costruiti”, interrompendo la tradizionale relazione strada – nucleo urbano: l’accesso e l’attacco difatti avviene grazie a rotatorie che trattano indistintamente i luoghi32. Raramente inoltre queste strade sono pensate per essere fruite con modalità diverse ai veicoli a motori, che soventemente sono anch’essi costretti a scorrere velocemente, senza indugio, sul nastro stradale, in quanto mancano spazi di relazione, marciapiedi, piste ciclabili, eccetera… che potrebbero invece indurre una modalità di percorrenza diversa da quella motorizzata.

- L’equipaggiamento della nuova viabilità è nullo o comunque anonimo e casuale, in generale nei nuovi progetti di adeguamento vengono distrutti anche quelli presenti (muri, sistemazioni arboree, eccetera….).

- Le opere d’arte, i nuovi manufatti presentano un forte distacco con il relativo paesaggio di appartenenza, in particolare l’uso della rotonda introduce una forma nuova all’interno della maglia paesistica esistente costituito da linee, mentre le opere d’arte sono costituite dal banale assemblaggio di elementi prefabbricati.

- Le strade, in quanto organizzazione spaziale, sono concepite esclusivamente come manufatto lineare, dotato tutto al più di aree di servizio, piuttosto che come “sistema territoriale e paesistico” che si relaziona continuamente con le realtà attraversate.

- Riguardo all’uso della vegetazione in termini corretti si rimanda alla problematiche generali delle infrastrutture33. Qui però si vuole sottolineare l’uso indiscriminato e banalizzante di alcune specie vegetali appartenenti alla tradizione culturale della Toscana, vedi ad esempio l’uso del cipresso. Oggi il cipresso compare su tutti i viali di accesso ai poderi, in tutti gli interventi stradali, nelle rotatorie, nei parcheggi poiché “fa Toscana”. È quindi una pianta attualmente utilizzata in modo indiscriminato su quasi tutti gli interventi che avvengono in particolare in area rurale e peri-urbana, banalizzando il paesaggio e l’uso stesso della pianta. Questa specie arborea ha in realtà un suo ruolo ben preciso34. In Toscana quindi più che mai le specie vegetali, il loro modo di associarsi e la forma con cui si presentano, devono essere attentamente studiate in modo da elaborare progetti coerenti e in armonia ai luoghi interessati, contemplando inoltre che non esistono solo filari di cipressi ma anche di altre alberature, quali querce, tigli, platani, noci, aceri, gelsi, eccetera…. A tal fine, in particolare per realizzare l’equipaggiamento dell’infrastruttura, si suggerisce la redazione di studi in cui sono censiti materiali e specie vegetali e il loro modo di aggregarsi e presentarsi in un determinato paesaggio (il ruolo che essi assumono). Questa indagine non deve suggerire

32 Si pensi invece alle strade che conducevano ai paesi: in genere diventavano una sorta di viali alberati (tigli e platani in particolar modo), ovvero una sorta di ingresso che conduceva al cuore dello stesso nucleo urbano. 33 La problematica relativa all’uso della vegetazione riguarda due ordini di problemi: da una parte si tende ad utilizzare la vegetazione in modo da comporre una cortina che separa la strada dal suo contesto; le specie utilizzate non sempre rispettano le associazioni vegetali presenti, ma anche la composizione e il ruolo che esse assumono all’interno del contesto attraversato. 34 Il cipresso ad esempio si poteva individuare all’incrocio di una strada, affiancato anche da un tabernacolo, in coppia dinanzi all’accesso di una proprietà, in filare lungo il viale di accesso alla villa, a boschetto in alcune parti del barco della villa e in alcuni rimboschimenti.

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“soluzioni da copiare” ma da reinterpretare in termini contemporanei all’interno del progetto infrastrutturale, costituendo così una continuità tra passato e presente35.

- L’inserimento della pubblicità sia nei nuovi progetti infrastrutturali sia nei tracciati esistenti non deve creare sensazione di disordine, porsi in maniera dominante rispetto al paesaggio circostante: la pubblicità contiene linguaggi differenti e la percezione di questi segni modifica la percezione del contesto attraversato.

- Se il paesaggio è riconosciuto come opera collettiva la realizzazione di un progetto infrastrutturale deve vedere all’interno il coinvolgimento delle comunità interessate non solo nella fase decisionale ma anche nella fase della sua gestione futura. Se “la strada” investe spazialmente la profondità del paesaggio automaticamente attiva il coinvolgimento delle popolazioni presenti36.

Il reticolo viario esistente, inteso come patrimonio per la diversità paesistica

- Con il potenziamento della velocità dei percorsi, nonché dei processi di urbanizzazione, si presenta il rischio di perdita di quei percorsi su cui le popolazioni si sono mosse, hanno strutturato i loro insediamenti, il modo di vivere quel determinato territorio, la loro identità, eccetera… Si tratta di percorsi più o meno estesi lungo i quali si possono trovare testimonianze storico culturali non solo di natura puntuale ma anche diffusa37. Oggi rimangono segni più o meno integri nell’organizzazione insediativa (orientamento, edifici di riferimento, struttura morfologica dei luoghi, scansione del paesaggio agrario, eccetera…) ma i nuovi processi di trasformazione possono cancellare definitivamente le relazioni ancora presenti (la cancellazione può avvenire sotto molteplici aspetti: progetti di adeguamenti infrastrutturali che ne ricalcano approssimativamente il percorso che non tengono conto della relazione territoriale e paesistica presenti, processi di urbanizzazione, semplificazione e omologazione del paesaggio, eccetera…).

- Nei paesaggi rurali si riscontra la perdita del reticolo minore di strade e sentieri, in particolare a causa delle modalità con cui viene attuata la pratica agricola. Essa difatti comporta l’accorpamento dei campi distruggendo una serie di segni responsabili di ricchezza ecologica (vedi equipaggiamento), di diversità estetica (questi segni arricchiscono esteticamente i luoghi, comportano punti di riferimento e rafforzano la capacità mnemonica e quindi di riconoscibilità e significazione del paesaggio stesso), nonché della fruizione di quel determinato paesaggio (questo processo di impoverimento e semplificazione del paesaggio ha investito rapidamente i paesaggi di pianura e si sta diffondendo anche in quelli collinari). Le strade rurali hanno la funzione di “tenere” a sistema le risorse storico-culturali presenti, quindi di garantire un determinato presidio o custodia del paesaggio stesso. Le strade rurali strutturano il paesaggio agrario e ne permettono l’accesso ai fondi. Il problema è particolarmente evidente laddove si è avuto un maggiore sviluppo insediativo, ovvero nelle aree pianeggianti, ma anche lungo le linee di crinale dove si individua in genere la viabilità principale su cui si diffonde la presenza di residenza e di insediamenti anche produttivi che rompono la rete di relazioni38. Il paesaggio agrario assume così un carattere di marginalizzazione nelle pianure e di corredo alle residenze di crinale e collinare. Per i continui processi di ristrutturazione e urbanizzazione del patrimonio architettonico rurale, molte strade bianche vengono bitumate, presentano recinzioni e tipologie di cancelli, che oltre a determinare una “chiusura”, una privatizzazione del paesaggio, introducono elementi di contrasto con il caratteri strutturanti presenti. Occorre pertanto un censimento delle viabilità intesa come patrimonio paesistico e altrettante indicazioni per il loro mantenimento, o trasformazione, coerente al paesaggio. Oltre allo studio dei catasti e della

35 Vedi ad esempio le realizzazioni francesi di Michael Desvigne e Christine Dalnoky, o il progetto a Sierre (Svizzera, Autoroute du Rhône) di Paolo Bürgi. 36 Ad esempio vedi i casi recenti francesi. 37 Ovvero non solo le presenze puntuali come quelle architettoniche (ville, castelli, ruderi, pievi,…) quasi sempre singolarmente riconosciute ma anche quelle “areali”, quali gli stessi paesaggi. 38 La diffusione delle urbanizzazione lungo le strade di crinale ha inoltre ripercussioni negative nella visibilità e percezione del paesaggio (vedi punti successivi).

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cartografia storica, per l’individuazione della viabilità storica, quasi sempre presente in ogni piano strutturale, occorrono decisioni concrete per la loro gestione: in particolare le strade vicinali, le strade bianche, il reticolo di percorsi che struttura la scansione dei campi del paesaggio agricolo e rurale, possono essere concepiti come percorsi alternativi di fruizione al paesaggio e della vita quotidiana, greenways, elementi di diversificazione e quindi contenitori di risorse per il futuro.

- Perdita di sentieri e altri tipi di strade minori sono riscontrabili anche nelle aree montane e boscate, dove l’abbandono della gestione del bosco, e delle aree coltivate nelle aree più marginali, porta la cancellazione di numerosi percorsi che possono permettere di contro una migliore gestione delle aree boscate sia per fini turistico-ricreativi ma anche funzionali ecologico-ambientali (strade tagliafuoco, pulizia del sottobosco, eccetera…).

- La perdita del reticolo di strade strutturante il paesaggio diviene una particolare problematica nelle fasce periurbane presenti nelle aree metropolitane: l’incremento dell’urbanizzazione, l’invasività dei processi di antropizzazione, i progetti di adeguamento stradale, eccetera… fagocita, nelle modalità con cui viene attuato, i segni strutturanti il paesaggio stesso: qui avviene in pratica la rottura nel processo di stratificazione e quindi di arricchimento, attraverso la distruzione delle sue stesse matrici, alterando così la sua integrità, e la sostituzione con un paesaggio degradato e di basso livello, privo cioè di caratteri identificativi e qualitativi sia dal punto di vista culturale che ecologico-ambientale.

- Le colline sono forse la caratteristica morfologica dominante della regione. Tipica, e particolare di questi ambiti, è la viabilità di crinale. Essa ha sempre una matrice storica (in alcuni casi di origine etrusca) e permette una fruizione e una lettura del paesaggio circostante grazie alla sua posizione dominante, oltre a legare a sistema gli elementi componenti il paesaggio rurale stesso (case a filo a strada con muri di contenimento in pietra che riprendono le sistemazioni idrauliche, sistemazioni colturali, disposizione di vigneti e oliveti). Per la particolarità dei luoghi, la viabilità di crinale oggi presenta un forte rischio di urbanizzazione (di natura spesso residenziale ma anche di natura produttiva artigianale, e può avvenire per punti o per naturale proseguimento dei centri urbani che si espandono lungo le direttrici viarie), compromettendo così aspetti quali la percezione e la visibilità del paesaggio e intromettendo elementi che alterano il carattere rurale del paesaggio.

- Problematica relativa alla promozione turistica dei luoghi. L’alto carattere turistico dei paesaggi della Toscana fa si che alcune strade in particolare abbiano carattere scenografico, panoramico39, ovvero hanno la potenzialità - la funzione di “far scoprire”, di far usufruire i luoghi al visitatore. Vi è quindi la necessità di garantire una corretta fruizione del paesaggio dal punto di vista ricreativo-turistico mediante anche la realizzazione di nuove sistemazione paesaggistiche e servizi coerenti all’identità culturale presente lungo i percorsi: punti panoramici, luoghi di accesso al paesaggio, parcheggi, luoghi di sosta, punti di ombra e luce da cui mostrare o far intravedere (incuriosire) il viaggiatore, eccetera … Non solo, molte strade presentano la possibilità di essere percorse solo con veicoli a motore. La viabilità che attraversa determinati contesti paesistici di alto valore turistico-ricreativo deve avere in realtà anche la possibilità di essere adoperata da una mobilità alternativa (vedi ad esempio l’utilizzo della bicicletta che può essere un veicolo di spostamento più o meno quotidiano, o utilizzato per fini amatoriali, agonistici e turistici - non sono difatti pochi gli stranieri che percorrono i paesaggi toscani attraverso l’uso della bicicletta).

- A tal proposito si evidenzia che non esiste un preciso riferimento che regola, sotto gli aspetti paesaggistici, tutti gli itinerari turistico – ricreativi40.

39 Il disegno della strada è tale da valorizzare i punti panoramici dei luoghi attraversati. 40 Anche la normativa relativa alle Strade del Vino e dei Sapori si limita a regolare la segnaletica, le strutture ricettive, la presenza di alcuni servizi, come il museo, ma non da alcuna indicazione rispetto al percorso stesso, alla sua “territorializzazione”, ai punti di vista panoramici e scenografici presenti, ai punti di accesso per la fruizione dei paesaggi attraverso percorsi a piedi, eccetera…

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Cipressi e particolari tecnologici stradali (canalette, trattamento del bordo stradale, eccetera…) possono creare una strada “rigida”, non in armonia con il paesaggio (Montalcino).

Lungo le grandi infrastrutture si concentrano le attività produttive, commerciali e artigianali che possono rafforzare il senso di barriera ecologica, relazionale e funzionale della infrastruttura stessa (Superstrada Siena –Firenze, sullo sfondo il borgo di Fabbrica). Le opere d’arte (muri a retta, attraversamenti, eccetera…) delle grandi infrastrutture sono realizzate senza nessun accorgimento progettuale, impoverendo la qualità dei luoghi (Traversa di Barberino attraversata dalla TAV). Le nuove strade di uscita e accesso alla città non sono spesso prive di arredo e sono percorse esclusivamente da veicoli motorizzati con velocità sostenute (Arezzo).

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In prossimità del centro urbano di Monterioni è stata realizzata una deviazione della SS 2 Cassia, per tutelare il centro urbano dal traffico veicolare. La strada quindi, improvvisamente, da una corsia per senso di marcia, si trasforma, per un breve intervallo, in una superstrada che si situa tra il centro urbano e il Torrente Arbia interrompendo le naturali relazioni nucleo urbano - fiume, e mostrando una struttura sovradimensionata rispetto al paesaggio circostante. In alto a destra la deviazione della SS 67 tra l’Arno e Pontassieve A lato un’altra struttura stradale sovradimensionata per l’attraversamento della linea ferroviaria risalta nel paesaggio della Valdichiana.

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Raramente la strada viene dotata di equipaggiamento vegetale. Nei rari casi in cui però sia previsto, esso consiste generalmente in filari di cipresso disposti lungo il margine stradale che sottolineano la geometria del tracciato, enfatizzando il distacco tra strada e contesto, banalizzano l’uso stesso della pianta (Svincolo a Campi Bisenzio).

L’interfaccia tra spazi privati e strada (anche come luogo di rappresentanza), può presentare sistemazioni paesaggistiche che “galleggiano”, o che presentano falsificazioni dei caratteri tradizionali del passato, o ancora stridere con la natura del paesaggio (in alto Carmignano).

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In tutti i luoghi ma in particolare nelle aree di alto valore storico-culturale gli interventi di adeguamento stradale devono porre maggiore attenzione anche ai piccoli particolari costruttivi. Ad esempio in prossimità della Villa La Quiete e delle strade murate di Careggi (Firenze) l’allargamento della sede stradale ha contemplato, in un breve tratto, diverse soluzioni del trattamento del bordo stradale (muri in cemento armato scanalato con rifinitura in cotto, scarpate incolte con processi di erosione, scarpate rinverdite, guard – rail in acciaio, palizzata in legno) nonché scelte progettuali episodiche (ad esempio l’isolamento di un tabernacolo separato dal muro e lasciato a lato di una rotonda): il risultato fa presupporre l’assenza di un disegno unitario dell’intervento, che posso tutelare e garantire la qualità del luogo.

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Quali gli obiettivi per il rapporto strade paesaggi? Obiettivi e temi per la progettazione paesistica delle strade La fase di individuazione delle problematiche è utile per prendere coscienza di quanto sta avvenendo all’interno dei processi di trasformazione contemporanei e per sistematizzare le numerose informazioni raccolte in modo da poter agire in futuro con azioni qualitativamente valide nel paesaggio. Come già espresso, lo studio presente si pone come uno dei punti di partenza al fine di individuare regole che possono aiutare, contribuire a gestire i processi di trasformazione che riguardano strade e paesaggi, e quindi non come momento conclusivo. Ad una prima lettura occorre quindi individuare una serie di categorie di interventi che riguardano specifici temi e che al loro interno contengono indirizzi chiari, precisi, ma al tempo stesso flessibili, in modo da aiutare di volta in volta il percorso progettuale. Più che di soluzioni “fisiche”, che rischiano di essere banalmente copiate e imitate, questi indirizzi al momento contengono i principi, espressi sinteticamente, ovvero gli obiettivi che il progetto dell’infrastruttura deve raggiungere nel suo rapporto con il paesaggio. Indirizzi per il sistema viario a scala regionale. Individuazione della filosofia portante, dal punto di vista paesaggistico che struttura l’intero sistema viario della regione. Qui il paesaggio è anche inteso come risorsa progettuale, da cui poter partire in termini di trasformazione qualitativa. Questi indirizzi contengono:

- Gli obiettivi dei progetti infrastrutturali quali la permeabilità dei manufatti ai flussi trasversali, la possibilità di attivazione di progetti di riqualificazione, la tutela delle risorse presenti, il mantenimento e la valorizzazione dei valori paesaggistici presenti e/o la creazione di nuovi.

- I principi base per una metodologia per la progettazione paesaggistica delle infrastrutture viarie alle varie scale;

- Il riconoscimento che il sistema viario è costituito da diverse tipologie di scale che si rapportano anche con paesaggi diversi da cui occorre concepire un rapporto di connessione tra le varie tipologie di strade (non esiste una prevaricazione di una rete sull’altra, ma devono coesistere).

- L’indagine del rapporto, a scala regionale, tra il sistema viario, il sistema insediativo e il sistema naturale, in modo da individuare i punti di maggior conflitto. In questo modo la Regione stessa può operare in modo mirato laddove vi siano le priorità riconosciute41. L’ulteriore definizione delle Toscane della Toscana come unità programmatiche è utile a definire al meglio il processo valutativo (costituito da punti di forza, opportunità, fattori di rischio).

- Le modalità con cui prevedere i progetti di mitigazione e compensazione per le alterazioni provocate dalle opere infrastrutturali.

- Le modalità con cui avviene il censimento dei grandi percorsi regionali che hanno valore storico-culturale e delle relative modalità di gestione e/o progettazione.

- Le modalità con cui sensibilizzare ed educare ai temi del paesaggio, ovvero che la strada è oggetto di pianificazione e progettazione del paesaggio e che non riguarda esclusivamente la mobilità motorizzata, le comunità, gli enti, pubblici e privati, le società e le imprese, gli ordini professionali, eccetera…

Indirizzi per la viabilità principale (regionale, di grande comunicazione, eccetera…) Adeguamenti e nuove realizzazioni (dal tracciamento della grande infrastruttura - dai caratteri generali ai singoli contesti paesaggistici, comprensiva dei suoi spazi di servizio: dalla aree di sosta e di servizio, al trattamento dei bordi, con l’opportunità anche di operare con progetti di

41 Vedi ad esempio le teorie di Richard T. Forman oppure la programmazione infrastrutturale con il sistema naturale in Olanda, dove la rete viaria è rapportata al sistema delle reti ecologiche e delle aree naturali. Importante è comunque indagare i punti di conflitto anche interni alle aree metropolitane.

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riqualificazione laddove sono presenti fenomeni di degrado o frammentazione, e di promozione delle comunità e dei loro territori coinvolte, …) Indirizzi per il mantenimento della viabilità minore e con essa dei caratteri identitari nei paesaggi rurali, forestali e periurbani. Viabilità a scala locale che struttura la matrice fondativa dell’insediamento (es. la rete stradale delle bonifiche, dei paesaggi mezzadrili, dei territori coltivati in passato a latifondo, ma anche delle foreste e dei boschi cedui, eccetera…), conferisce integrità al paesaggio oltre un arricchimento dal punto di vista percettivo, storico-culturale, ricreativo ma anche di biodiversità ecologica. Viabilità per la fruizione dei paesaggi (alle diverse scale) per la promozione turistica dei luoghi (territori ad alta rilevanza paesaggistica) da cui la regolamentazione per gli itinerari turistico-culturale. Sono comprese quelle strade che non hanno forse un alto storico-culturale di per sé42, ma permettono la fruizione e la comprensione del paesaggio in quei determinati ambiti ad alta rilevanza paesaggistica. Si evidenzia il mantenimento dei luoghi panoramici e di quelli dai quali è possibile leggere il paesaggio attraversato, la necessità di mettere in relazione i singoli componenti che costituiscono il percorso che non si devono porre come episodi lungo la strada, ma devo essere messi a sistema come se si trattasse di “un racconto continuo”. Particolari indicazioni vengono date anche per il trattamento dell’equipaggiamento della strada (trattamento dei bordi stradali, vegetazione, …) agli spazi ad essa collegati (aree di sosta, parcheggi, accesso ai percorsi minori o alle singole aziende agricole, eccetera…) Tangenziali e nuova viabilità in aree periurbane Viabilità locale a servizio dei nuovi insediamenti (industriali, residenziali, ecc…) nel territorio aperto Viabilità per le aree metropolitane Queste tre categorie possono essere trattate assieme all’interno delle aree metropolitane. Tuttavia alcuni di questi fenomeni si presentano in modo più o meno isolato anche al di fuori dei contesti metropolitani: i progetti riguardanti la realizzazione di circonvallazioni, di strade di collegamento tra i nuclei urbani e le zone produttive e artigianali situate nel territorio aperto, rotonde, viadotti eccetera… si presentano anche in altri contesti non necessariamente situati all’interno delle aree metropolitane.

42 Nel senso che non sono i grandi itinerari come la Via Francigena, oppure la Strada dei Cavalleggeri, la Strada dei Sette Ponti, ma fanno parte di quegli elementi “quotidiani e ordinari” che nel loro insieme contribuiscono a determinare il carattere di unicità di quel determinato ambito e la fruizione del paesaggio.

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