Storia naturale del nerd

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11 Prima di lanciarci in una disamina del concetto di nerd e della sua origine, vorrei fare una confessione: quando avevo undici anni con- ducevo una vita di fantasia molto intensa e in questa vita non mi se- paravo mai dal mio bastone luminoso. La mia esistenza terrena mi vedeva correre in classe schiacciato sotto il peso di uno zaino L.L. Bean stracolmo di libri, che puntualmente dimenticavo di lasciare nell’armadietto perché ero troppo preso dalla mia vita medievale, inseguito da un’orda di giocatori di lacrosse che erano veri e propri guerrieri, anche loro medievali. Quando li vedevo cercavo di con- fondermi tra la folla, e se non ci riuscivo scappavo a gambe levate. E intanto loro mi scimmiottavano: busto chino in avanti a indicare il fardello dei libri sulla schiena, gomiti in fuori, tipo pollo che sbatte le ali, pugni al petto per dare l’idea delle bretelle strette dello zai- no. Il fatto che con questo zaino, quando correvo per i corridoi, fossi in grado di fare seriamente del male al prossimo non mi aiutava cer- to ad attirare le simpatie, e così nessuno batteva ciglio se ogni tanto venivo colpito nelle parti basse da una custodia di clarinetto o da un bastone da hockey. Ho fatto tutta questa premessa per spiegare che non posso garantire una serena obiettività giornalistica nei confron- ti dell’argomento di cui mi accingo a parlare. Ma cercherò lo stesso di fare del mio meglio. In pratica non ho intenzione di scrivere né una difesa del nerd, né una sua esaltazione, né tantomeno una polemica contro lo stereotipo

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Le prime pagine del libro di Benjamin Nugent

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Prima di lanciarci in una disamina del concetto di nerd e della sua origine, vorrei fare una confessione: quando avevo undici anni con-ducevo una vita di fantasia molto intensa e in questa vita non mi se-paravo mai dal mio bastone luminoso. La mia esistenza terrena mi vedeva correre in classe schiacciato sotto il peso di uno zaino L.L. Bean stracolmo di libri, che puntualmente dimenticavo di lasciare nell’armadietto perché ero troppo preso dalla mia vita medievale, inseguito da un’orda di giocatori di lacrosse che erano veri e propri guerrieri, anche loro medievali. Quando li vedevo cercavo di con-fondermi tra la folla, e se non ci riuscivo scappavo a gambe levate. E intanto loro mi scimmiottavano: busto chino in avanti a indicare il fardello dei libri sulla schiena, gomiti in fuori, tipo pollo che sbatte le ali, pugni al petto per dare l’idea delle bretelle strette dello zai-no. Il fatto che con questo zaino, quando correvo per i corridoi, fossi in grado di fare seriamente del male al prossimo non mi aiutava cer-to ad attirare le simpatie, e così nessuno batteva ciglio se ogni tanto venivo colpito nelle parti basse da una custodia di clarinetto o da un bastone da hockey. Ho fatto tutta questa premessa per spiegare che non posso garantire una serena obiettività giornalistica nei confron-ti dell’argomento di cui mi accingo a parlare. Ma cercherò lo stesso di fare del mio meglio.

In pratica non ho intenzione di scrivere né una difesa del nerd, né una sua esaltazione, né tantomeno una polemica contro lo stereotipo

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del nerd. Ho più di un motivo per disprezzare ciò che ero da ragaz-zino. Cercherò insomma di mettermi allo stesso tempo nei panni del nerd e in quelli dell’antinerd.

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che cos’è un nerd?

Sulla pagina di Wikipedia, consultata stamattina, c’è scritto che «per definizione, lo stereotipo o archetipo del nerd descrive un individuo che preferisce coltivare interessi intellettuali a discapito di altri in-teressi, utili in contesti sociali, quali la comunicazione, la moda e la cura della forma fisica». Sembra una definizione piuttosto preci-sa, e invece non lo è.

Immaginate di aver organizzato una festa, e tra gli invitati c’è un critico d’arte che si presenta in canottiera e pantaloni dozzinali, si versa sei dita di Jameson, flirta con vostra figlia ancora adolescente, va in bagno e fa la pipì con la porta aperta. Ecco: si può senz’altro af-fermare che quest’uomo è un intellettuale socialmente inetto che non ha la più pallida idea di cosa siano la moda e la cura della forma fisi-ca. Ma non si può certo dire che il suo sia un tipico comportamento da nerd. Mettiamo che avete da poco conosciuto una ragazza che la-vora nel campo della grafica. Questa ragazza viene a casa vostra per la prima volta e per tre ore di fila vi parla degli impulsi suicidi che la assalgono da quando ha abbandonato il corso di specializzazione post laurea. Poi guardando il vostro poster di Klimt osserva che è la tipica cosa che si trova appesa alla parete di «un pivellino al primo anno di università»: anche lei è un’intellettuale socialmente inetta. Ma non si comporta da nerd. In altre parole, il problema dell’attua-le definizione di Wikipedia è che l’essenza del concetto di nerd non sta nell’intellettualismo o nell’inettitudine sociale.

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A mio avviso esistono fondamentalmente due macrocategorie di nerd: la prima, per la stragrande maggioranza composta da soggetti di sesso maschile, comprende individui che esprimono il proprio in-tellettualismo in modo quasi meccanico, e la cui inettitudine sociale ha qualcosa di altrettanto meccanico. Questi nerd danno l’impressio-ne, non sempre sgradevole, di essere simili a macchine.

E ciò perché:1) Nutrono una passione per attività tecnicamente sofisticate che

escludono il coinvolgimento emotivo o fisico, il sesso, il cibo, la bel-lezza (la maggior parte delle attività che appassionano i non-nerd – la pallacanestro, il violino, il sesso, il surf, la recitazione, il lavoro a maglia, la decorazione d’interni, la degustazione di vini ecc. – si ba-sa invece su uno di questi presupposti).

2) Parlano un inglese standard privo di connotazioni gergali.3) Tendono a evitare lo scontro e il coinvolgimento sul piano fi-

sico ed emotivo.4) Preferiscono un tipo di comunicazione logica e razionale a for-

me di comunicazione o di pensiero non verbali e non razionali.5) Usano la tecnologia per lavoro o per divertimento e la amano

molto più di quanto la ami la media delle persone.

Questo vuol dire forse che la suddetta tipologia di persone è forma-ta da robot umani? Certo che no.

Brian Wilson non ama il mare. «Ho paura dell’acqua» rispon-de a chi gli chiede se pratica il surf. Un giornalista, dopo averlo in-tervistato, ha detto che la sua «personalità alla Rain Man» dà un po’ l’idea della «voce nei messaggi telefonici registrati». Wilson è californiano, di Hawthorne, una località a dieci minuti dall’oceano Pacifico, e ciò rende la sua idrofobia ancora più strabiliante. La ma-dre, Audree, ha sempre sostenuto che, prima ancora che imparasse a parlare, Brian era già in grado di canticchiare la melodia dell’inno dei marines, e che anche la sua capacità di suonare vari strumen-ti musicali è un talento che si è manifestato in tenera età. Dennis, il fratello minore, lo convinse a scrivere una canzone su un nuovo passatempo dei giovanissimi, e fu così che Brian compose Surfin, il primo successo dei fratelli Wilson, che presto avrebbero dato vi-ta ai Beach Boys. Le canzoni di Brian sono affreschi in musica che

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parlano di un’America senza tempo, fatta di ragazzi atletici pieni di macchine e di fidanzate. Verso la metà degli anni sessanta, men-tre gli altri componenti dei Beach Boys erano impegnati in un tour in Asia, Brian si chiuse in studio con dei musicisti e registrò «Pet Sounds», usando bottiglie di Coca-Cola come strumenti a percus-sione, registrando in una stanza dal pavimento coperto di sabbia per ottenere il sound giusto, scrivendo le partiture e lasciando ad altri il compito di comporre i testi. Più la gente credeva nel mondo di fan-tasia creato da Brian, più lui si chiudeva in studio, lontano da tutto e da tutti, con la sola compagnia di strumenti e apparecchiature.

Wilson ha fatto cose che la tecnologia non è in grado di fare. Il suo lavoro ha una qualità più intuitiva che logica. I nerd che appar-tengono a questa categoria non hanno niente di meccanico, anche se possono sembrare simili a macchine. Vengono definiti nerd per-ché il loro comportamento è allo stesso tempo troppo poco umano e sovrumano.

La seconda categoria di nerd è costituita in egual misura da maschi e da femmine. Si tratta di individui che vengono definiti nerd per-ché socialmente ai margini.

Nel 1959, Anne Beatts – una ragazzina che a dodici anni fre-quentava già il primo anno delle superiori – si trasferì dal picco-lo ambiente protetto di una scuola privata nella contea di Dutchess, nello stato di New York, a una scuola pubblica di Somers, all’epoca una delle più sperdute cittadine satellite della Grande Mela.

«Fu allora che sentii per la prima volta la parola nerd» raccon-ta Anne. «La tipica immagine del nerd era uno che scoreggia nella vasca da bagno e scoppia le bolle che salgono in superficie. Ma pra-ticamente i nerd erano tutti i ragazzini visti come sfigati dai popu-lar kids, i più fichi della scuola. Erano tante le cose per cui si finiva per essere bollati come nerd: erano nerd i secchioni, quelli che an-davano a fare i compiti in sala studio. Dal punto di vista dell’aspet-to fisico, l’acne giovanile era uno dei requisiti più comuni. Io porta-vo la maglia della salute, mentre le altre ragazze già indossavano i primi reggiseni.»

Anne non aveva amici e cercava di finire i compiti a scuola, per cui si ritrovava a studiare durante l’ora di coordinamento o nella

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pausa pranzo. L’unica persona, oltre a lei, che aveva scelto quella vi-ta appartata era «un genio della matematica, un ragazzino che par-lottava da solo». Si chiamava Marshall.

«Qualcuno ci fece caso e mi chiese: “Ti piace Marshall?”. Io non ero addentro a certe sottigliezze del gergo della high school né mi ren-devo conto della carica esplosiva di un verbo come “piacere”. Non volevo rispondere: “No, non mi piace”, per cui dissi: “Sì, certo”. E al-lora tutti a dire: “Ah, le piace, eh? Allora è la fidanzata di Marshall!”. E così venni presa in giro per tutto il primo anno di scuola: ero “la fi-danzata di Marshall”, guadagnandomi anche il marchio di nerd.»

Era il 1962 e, a furia di saltare classi, Anne Beatts, a soli quin-dici anni, era arrivata all’ultimo anno di scuola. Era la redattrice del giornalino scolastico e coltivava qualsiasi attività potesse aiutarla a sentirsi accettata dai compagni, arrivando persino a preparare hot dog per le partite di football. Aveva raggiunto uno status che le ga-rantiva un’immunità dalla costante presa in giro. Fu in quel perio-do che decise di pubblicare sul giornalino scolastico un editoriale dal titolo «Lasciate in pace i nerd». L’articolo fu molto controverso e Anne alla fine fu sospesa dal suo incarico.

Nei primi anni settanta cominciò a scrivere per il National Lampoon e nel 1975 approdò al Saturday Night Live. Lì creò sketch incentrati su personaggi nerd, scrivendo a volte i testi insieme a Rosie Shuster, contribuendo così a far entrare nell’uso comune la pa-rola nerd, come vedremo meglio in seguito. Beatts è stata anche au-trice del telefilm Zero in condotta, una sitcom con protagonisti nerd, uno dei quali si chiamava Marshall Blechman.

Anne Beatts rappresenta la seconda categoria di nerd. È diven-tata una nerd non perché somigliasse in qualche modo a Marshall, ma perché i compagni di scuola, in cerca di zimbelli da far sentire esclusi, l’accomunavano a lui (che invece era un nerd appartenen-te alla prima categoria).

Nella cultura popolare americana gli eroi sono i surfisti, i cow-boy, i pionieri, i gangster, le cheerleader e i giocatori di pallacane-stro, gente che dà il meglio nell’impeto dell’espressione fisica di sé. Ma questi personaggi spesso sono frutto della fantasia di individui che somigliano molto di più ad Anne Beatts. Quel loro tipico vo-yeurismo da esclusi che spiano le gesta di una nazione splendente

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produce un’immagine dell’America che trova da sempre consensi in tutto il mondo, e anche nella stessa America. Il pianeta è pieno di outsider che muoiono dalla voglia di vedere, anche solo di sfuggita, la patria di tanti miti, e i nerd americani soddisfano questo bisogno producendo icone da adorare. Brian Wilson – essere incorporeo, ma-niaco della sala di registrazione, che trascorreva giorni interi ad affi-nare le sonorità delle percussioni per canzoni che parlavano di squa-dre liceali di football e spiagge piene di ragazze – non rappresentava certo un’eccezione, bensì la regola fra gli inventori di miti nordame-ricani, che vanno dalla DreamWorks alla Microsoft. In questo libro cercherò di analizzare come una serie di personaggi mediatici – tut-ti nerd, chi più chi meno – hanno contribuito personalmente a for-giare il concetto attuale di nerd.

Esaminerò, inoltre, la relazione fra caratteristiche nerd e prove-nienza etnica. I nerd non appartengono necessariamente a una par-ticolare classe sociale o a un determinato gruppo etnico, ma ci sono alcuni stereotipi etnici che più di altri hanno in comune con i nerd determinate caratteristiche. Verso la fine del xix secolo i pedagogi-sti raccomandavano ai ragazzi bianchi della media borghesia di col-tivare il loro lato «primitivo», in modo che, crescendo, diventassero uomini atletici e di carattere, il contrario cioè dei cosiddetti greasy grinds, i secchioni che studiavano sodo per potersi riscattare dal-la vita che conducevano nel Lower East Side. Negli anni ottanta, gli opinionisti dei giornali paventavano l’imminente conquista del mondo da parte dei giapponesi, forti della loro passione per la tec-nologia e di una mentalità aziendale tecnologizzata. Immaginiamo che un responsabile della propaganda del Terzo Reich, grazie al-la macchina del tempo, si ritrovasse catapultato nel 1984 e vedesse un film come La rivincita dei nerds: senz’altro individuerebbe die-tro il personaggio di Lewis Skolnick, il protagonista, la tipica vec-chia caricatura dell’ebreo, e in Orco e la sua cricca, per lo più tipici jock, cioè sportivi, biondi e con gli occhi azzurri, vedrebbe (dal pun-to di vista dell’aspetto, se non da quello del comportamento) la rap-presentazione dell’ideale ariano, sebbene nel film non vengano mai sfiorate tematiche etniche o religiose. Mary Bucholtz, studiosa di lin-guistica, ha rilevato che, tra i ragazzi delle superiori, molti di quel-li che si considerano nerd parlano un angloamericano formalmente

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ineccepibile – mentre i ragazzini bianchi più «fighi» prendono in prestito termini dello slang hip-hop – tanto da essere caratterizzati da quella che lei chiama hyperwhiteness: un’appartenenza così mar-cata alla razza bianca da annullare quell’aura di normalità che in genere accompagna i bianchi. La storia dell’evoluzione del concetto di nerd ci aiuta a capire meglio alcune nostre idee sul «primitivo» e l’«orientale», sui bianchi, gli ebrei, la natura e la tecnologia.

Quando dico «nostre idee» non mi riferisco solo alla mentalità americana. Rosie Shuster, Lorne Michaels ed Elvis Costello – due canadesi e un inglese – hanno contribuito moltissimo, nello stesso frangente storico, a delineare il concetto di nerd. L’otaku è una tipo-logia umana giapponese simile al nerd americano. A Tokyo ha ad-dirittura un suo quartiere, Akihabara, famoso per le cameriere che si vestono come personaggi dei manga.1 In Inghilterra la parola bof-fin2 viene usata da secoli. Su internet si sprecano le teorie sulle sot-tili differenze di significato fra termini quali geek, dork e nerd nella Silicon Valley e in altri avamposti tecnologici. Ma in un’ottica inter-nazionale, la figura del nerd/otaku/geek/dork è quella di un perso-naggio che presenta determinate caratteristiche: solitudine, natura ripetitiva e meccanica del lavoro in un’epoca industriale e postin-dustriale, scarso uso del corpo in un contesto ipermoderno e con-dizionamento dei mass media contemporanei che invitano le per-sone a intraprendere rapporti voyeuristici con delle mere finzioni, rendendole insensibili ai piaceri della vita reale. Capire i nerd si-gnifica approfondire la nostra conoscenza di numerosi demoni del nostro tempo.

Al di là di una definizione più o meno scientifica del concetto di nerd, si può parlare di uno stile nerd, di un’estetica nerd. Ci sono cose che si riconoscono subito: gli occhiali dall’aspetto indistrutti-bile eppure sempre mezzi rotti, le coscette nude che escono da sot-to i bermuda con le pince, la risata infantile, la tendenza a prender-si molto sul serio. Questi sono sintomi universalmente riconosciuti,

1 In uno di questi ristoranti, secondo un articolo apparso sul New York Times, le cameriere si rivolgono ai clienti chiamandoli «padrone».2 Cioè «cervellone». [N.d.T.]

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ed è interessante osservare quanto siano ricorrenti in alcuni perso-naggi della cultura pop.

Qual è la storia del nerd? Che caratteristiche hanno le varie sot-toculture nerd e quali sono le regole e i rituali che accomunano que-ste sottoculture? Che cosa c’entrano le storie di due miei amici d’in-fanzia?

Questo è un argomento di solito trattato con una certa leggerezza, il mio invece sarà un approccio molto serio, da vero nerd.