Storia e Storie collana diretta da Gianni...

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Storia e Storie collana diretta da Gianni Fara

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Storia e Storie

collana diretta da Gianni Fara

IVAN CICCONI

IL LIBRO NERO

DELL’ALTA VELOCITÀOVVERO

IL FUTURO DI TANGENTOPOLI

DIVENTATO STORIA

Ivan CicconiIl libro nero dell’Alta Velocità

ISBN 9788889828175

©copyright by Koinè/nuove edizioni

prima edizione settembre 2011

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Indice

9 Premessa

LA MADRE DI TUTTE LE BUGIE

11 La pietra tombale sulla bugia del secolo

18 Il futuro di Tangentopoli diventato storia

21 I ladri dell’Alta velocità

LUIGI PRETI E LA GRANDE TRUFFA

27 La lettera del presidente onorario del PSDI

29 I ministri dei Trasporti che sono venuti dopo

33 Le lettere di Luigi Preti

40 Il silenzio della politica e l’inquinamento della magistratura

BENIAMINO ANDREATTA E I LADRI DI VERITÀ

43 La coincidenza vergognosa

49 Beniamino Andreatta ed il Progetto TAV

53 I pareri pilateschi

55 La transizione alla nuova Tangentopoli

LA VERA STORIA DELL’ALTA VELOCITÀ

61 La grande cerimonia

69 La storia ai tempi del ministro “falce e carrello”

73 La sepoltura e la resurrezione del Progetto

77 Il decollo e i contratti di TAV SpA

TAVOLA RICCA ED OSPITI ILLUSTRI

83 Il Comitato nodi ed il Garante dell’Alta velocità

87 Le nuove Stazioni AV e la Stazione Mediopadana

92 I cambiamenti radicali di Cimoli

98 I costi taroccati e quelli ignorati da Moretti e Cipolletta

102 La Legge obbiettivo

106 L’esempio della Torino-Lione

I COSTI VERI DELL’ALTA VELOCITÀ

119 Gli “interessi intercalari” e il costo vero del progetto TAV

123 I general contractor e i costi delle “tratte”

128 I “nodi” e la navigazione a vista

131 Le “infrastrutture aeree” e l’Italianità

137 Il “materiale rotabile” e il flop dell’ETR 500

147 Il “pacco dono” per i campioni del made in Italy

LA TANGENTOPOLI DELLO STATO POSTKEYNESIANO

157 Dai ladri ai marioli del modello TAV

160 La Tangentopoli postfordista e postkeynesiana

164 Il debito pubblico e le politiche keynesiane alla rovescia

169 Il debito occulto e la catastrofe prossima ventura

174 La corruzione liquida e i partiti catalizzatori di illegalità

183 Indice dei nomi

Premessa

Le pagine che seguono non hanno alcuna pretesa di delinearenuovi scenari della corruzione in Italia a cavallo del xx secolo,dentro il percorso: opere pubbliche, esigenza di modernizzazionee politica. Si propongono soltanto di chiarire le architetture,nuove, messe in atto nel nostro Paese, in modo particolare legateal Progetto di Alta Velocità e qualcos’altro intorno.

Dal racconto emerge la conferma dell’attualità della storicaespressione di Ernesto Rossi, forse con la necessità di riconside-rare la parola profitti (privatizzazione dei profitti) per declinarlaverso la meno nobile ‘affari’, se non ‘rapine’.

Il racconto è duro, forse aspro, ma non disperante. è un raccontoche invita a guardare la realtà molto grigia che troppo spessonasce e cresce intorno ai palazzi del potere politico nel rapportocon le grandi imprese e le grandi opere. Sono pagine certamentedi verità, dalla quale non si può prescindere pensando alle im-mense difficoltà che comporterà un progetto di onesto risana-mento della vita economica, sociale, politica del nostro Paese.Non dovrebbero favorire pulsioni moralistiche, piuttosto solleci-tare quella presa di coscienza che ogni limite, in materia, si siaconsumato e che dunque occorra una condanna radicale e defini-tiva. è anche una sorta di auspicio affinché quanti avranno la re-sponsabilità di governo, nel settore, attingano a quelle residueenergie sane ancora presenti nella pubblica amministrazione;stringano rapporti con quanti, tecnici e imprese, abbiano datosegni di competenza ed estraneità al malaffare; mettano cioè inessere processi virtuosi caratterizzati dalla trasparenza.

Percorsi non certo facili, lascia intendere questo scritto, oltre-tutto neanche sufficienti, se non si avrà l’intelligenza e il buonsenso di guardare con serena obbiettività ad alcuni movimenti dipopolo, come quello della Val Susa e non solo. Questo fenomenodei cosiddetti No-Tav, in un certo senso, rappresenta un paradigmadell’Italia di questa fase che non si è contrapposto alla moder-nizzazione, come si è ostinatamente cercato di far apparire, ma

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LA MADRE DI TUTTE LE BUGIE

La pietra tombale sulla bugia del secolo

Quella volta feci fatica a spiegare al ministro di Grazia e Giu-stizia che il project financing per il piano carceri era un’emeritabaggianata. Era il settembre del 2000 ed il governo presiedutoda Giuliano Amato era impegnato nella elaborazione del do-cumento di programmazione economica e finanziaria (Dpef)per il triennio 2001-2003.

Quella del 2000 fu un’estate particolarmente torrida, a farnele spese furono fra gli altri i detenuti. Nelle carceri, vecchie esovraffollate, ci furono proteste e ribellioni per le condizioniinaccettabili che il caldo aveva fatto esplodere. Alla ripresadelle attività, il ministro dei Lavori Pubblici si accordava conquello di Grazia e Giustizia per definire il capitolo carceri delDpef. L’incontro fra i due ministri e le rispettive segreterie tec-niche veniva fissato per la metà di settembre. Il piano carceripensato dal ministero competente prevedeva un intervento dav-vero straordinario.

Nonostante il debito pubblico e la scarsità delle risorse, ilpiano, a detta del ministro di Grazia e Giustizia, poteva essereattuato attraverso un ampio ricorso al project financing. Il mi-nistro dei Lavori Pubblici, non appena quello della Giustiziapronunciò questa locuzione, lo interruppe immediatamente erivolgendo lo sguardo verso il capo della sua segreteria tecnica,disse: «vedo l’ingegnere particolarmente perplesso su questaipotesi finanziaria». Il ministro a quelle parole fece seguire l’in-vito esplicito all’ingegnere ad esprimere il suo parere in meritoa quella magica locuzione. Nella mia testa il commento era lu-cidamente presente, ma non potevo esternarlo senza tradurloin una forma meno offensiva. Spiegai con fatica che quell’ipo-tesi era inattuabile e che le norme in vigore consentivano forsedi ricorrere ad altri istituti contrattuali, quali la permuta o il

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ha, anzi, rappresentato e rappresenta un modello da cui non si do-vrebbe prescindere. Infatti, esaltando le fondamenta della demo-crazia, ha fatto emergere – forse non poteva essere disgiunto –competenze e culture tecniche elevate, apparse ancora più grandidi fronte all’insipienza, la superficialità, la grossolanità delle com-petenze espresse dalle istituzioni.

Con il progetto dell’Alta Velocità messo in campo, dicono que-ste pagine, non si è portata avanti alcuna modernizzazione, anzisi sono prodotti danni seri, si sono distrutte alcune imprese espres-sione dell’eccellenza tecnica italiana e si è rafforzata quella cor-ruzione che certamente connota la gran parte dei paesi, ma chevede il nostro ancora all’avanguardia nella costruzione di semprenuovi e sofisticati percorsi essenzialmente finalizzati alla ben nota‘socializzazione delle perdite’.

Queste pagine prendono la luce, quando i rumori sempre piùassordanti del declino del mondo cosiddetto sviluppato ci stordi-scono, mentre i problemi di bilancio, e non solo, nel paese ren-dono sempre più incerto il nostro futuro. Eppure, soltanto sulfinire del secolo scorso, meno di venti anni fa, l’idea che ormai sifosse alla fine della storia era una certezza biblica; mentre sinoad un anno fa, forse meno, nel nostro paese, oggi in subbugliocome non mai, ogni segno di crisi veniva negato dagli allegri go-vernanti. La forza della concreta realtà economica e sociale nelmondo ha costretto tutte le accademie a riaprire le pagine dellastoria, mentre queste pagine, mille volte più modeste, disvele-ranno a molti un dato nascosto nelle pieghe della contabilità delloStato: alla voragine del nostro debito pubblico noto vanno ag-giunti i debiti per miliardi e miliardi di euro occultati nei bilancidelle Spa pubbliche e nei Proiect financing modello Alta Velocità.è banale dire che solo se guarderà in faccia alla realtà economico-finanziaria per quella che è, il nostro paese potrà trovare la forzaper uscire dalla crisi che ormai più nessuno è in grado di nascon-dere.

E il libro rappresenta, vorrebbe essere, un contributo per questopercorso.

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quella locuzione proliferano, insieme all’esplosione di societàdi diritto privato, pubbliche o miste, pronte a realizzare opereo gestire servizi pubblici.

Le bugie, che con il project financing raccontano gli ammi-nistratori pubblici ed i boiardi nominati nelle società controllateo partecipate, hanno consentito in poco meno di dieci anni diimpegnare non meno di 150 miliardi di euro fuori bilancio, at-traverso prestiti, accesi dai promotori cosiddetti privati, quasisempre garantiti dal committente pubblico. Prestiti che sonosostanzialmente debito pubblico differito nel tempo, debitipubblici “a babbo morto”, nascosti nella contabilità di societàdi diritto privato.

La “madre” di tutte queste bugie, la più grande, è stata partoritaben dieci anni prima della legge che ha riformato il contratto diconcessione e della contestuale emanazione della Legge obbiet-tivo per le grandi opere. Il modello di architettura finanziaria econtrattuale disegnato dalle due leggi nei primi anni duemila nonera infatti una novità, era già stato definito nella “prima repub-blica”, agli inizi degli anni novanta, e sperimentato nella transi-zione alla “seconda”, mentre, con le leggi di riforma sulle societàper la gestione dei servizi pubblici, si creavano anche le condi-zioni per la sua diffusione a livello locale.

Per misurare gli effetti di queste “riforme” dovremo aspettareancora qualche anno, quando le bugie emergeranno in modocrescente e devastante nel bilancio dello Stato e nelle centinaiae centinaia di bilanci degli Enti locali che hanno mascheratoquelle bugie con il project financing. Per la madre di tutte lebugie gli effetti sono invece già noti, la bugia è stata accertata,addirittura certificata da organismi ufficiali dello Stato e del-l’Unione Europea.

La madre di tutte le bugie è stata soltanto rimossa, senzaalcun funerale, in silenzio e all’insaputa di tutti. Un parlamentosilente ed un governo di centro-sinistra hanno provveduto a na-scondere sotto una gigantesca pietra tombale i suoi numeri cla-morosi ed i nomi delle decine di bugiardi che per quindici anni

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leasing immobiliare. In quel Dpef, e nella conseguente legge finanziaria per il

2001, di project financing per le carceri non ci sarà traccia, masarà solo una breve parentesi. Quella locuzione senza signifi-cato era ormai sulla bocca della maggioranza degli ammini-stratori pubblici alle prese con la ristrettezza di risorse perinvestimenti in opere pubbliche.

Nel 2002, con i nuovi ministri del governo di centro-destra,proprio questa locuzione diventerà la formula magica per pro-grammi faraonici. Per le carceri si costituisce la società “DikeAedifica SpA”, per le grandi opere la società “InfrastruttureSpA”, per il patrimonio immobiliare “Patrimonio dello StatoSpA”, per i beni culturali “Arcus SpA”, tutte a totale capitalepubblico. La loro missione, la valorizzazione del patrimonioedilizio-infrastrutturale pubblico e la promozione dell’investi-mento privato con il project financing. Non produrranno alcunavalorizzazione e tanto meno investimenti privati; alcune fini-ranno sotto la scure dell’Europa, altre sotto la lente dei magi-strati, tutte sotto il controllo delle “cricche” di boiardi di Stato,faccendieri, pseudo-imprenditori e politici di pseudo-partiti.Non saranno però le sole: ne sorgeranno a decine sotto il con-trollo diretto e indiretto dello Stato e a migliaia sotto il controllodiretto e indiretto degli Enti locali, anche grazie alle riforme chegià il centro-sinistra aveva promosso per la privatizzazione deiservizi pubblici locali.

Il governo di centro-destra, oltre a varare la cosiddetta Leggeobbiettivo per le grandi opere, modificava nel 2002 anche laLegge quadro sui lavori pubblici, riformando la definizione delcontratto con il quale si sostanzia il cosiddetto project finan-cing, il contratto di “concessione”. Da quel momento anche neigoverni locali, di centro-destra e di centro-sinistra, quella lo-cuzione diventa la parola d’ordine per millantare un coinvol-gimento di capitali privati nella realizzazione di opere e nellagestione dei servizi pubblici. Dopo quella riforma della con-cessione, le infrastrutture pubbliche realizzate con la magia di

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tarocchi da parte di una cartomante». Così dunque si sono realizzati gran parte dei lavori della

grande opera partorita dalla madre di tutte le bugie: e intantopresidenti della Repubblica, premiers e ministri continuano acalcare le straordinarie passerelle delle continue inaugurazionidi pezzi e pezzettini di questa infinita infrastruttura ferroviaria.Considerando la sola tratta Bologna-Firenze, la passerella ètoccata il 5 dicembre 2009 a Silvio Berlusconi e ad Altero Mat-teoli; ma prima, per la stessa tratta, nel 2001, era toccata anchea Carlo Azeglio Ciampi e a Pierluigi Bersani e, ancora, nel2004, a Silvio Berlusconi e a Pietro Lunardi.

Nei costi della grande opera ci sono ovviamente anche quelliper le pompose passerelle ma, secondo i cerimonieri, gli italianipossono stare tranquilli perché “i privati” garantiscono la co-pertura dei costi: per anni questa pura e semplice “bugia” haconsentito di nascondere una clamorosa “truffa” ai danni delloStato e di tutti i cittadini italiani.

Il parlamento italiano, con una norma definita dai magistratidella Corte dei conti “anodina”, ci ha messo sopra una pietratombale, sotterrando, senza alcun colpevole, la bugia che hanascosto la più grande truffa del ventesimo secolo. Con cinquesemplici righe, contenute nel comma 966 dell’unico articolodella legge n. 296/2006, la Finanziaria per l’anno 2007, si san-civa la seguente previsione economica: «gli oneri per capitaleed interessi dei titoli emessi e dei mutui contratti da Infrastrut-ture Spa fino alla data del 31 dicembre 2005 per il finanzia-mento degli investimenti per la realizzazione della infra-struttura ferroviaria ad Alta velocità “Linea Torino-Milano-Napoli”, nonché gli oneri delle relative operazioni di copertura,sono assunti direttamente a carico del bilancio dello Stato».Con ciò si prendeva atto che il “finanziamento privato” per larealizzazione delle infrastrutture per il treno ad Alta velocità,era in realtà, appunto, una pura e semplice bugia. La truffa ve-niva in questo modo sanata senza che alcuno si esponesse alpubblico ludibrio della colpa grave costituita dagli oneri per

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l’hanno raccontata. La “bugia” era stata presentata pubblicamente il 7 agosto 1991,

con una cerimonia che aveva visto la presenza del gotha dell’im-prenditoria pubblica e privata del nostro Paese. Raccontava cheper la prima volta un’infrastruttura ferroviaria sarebbe stata rea-lizzata con il 60% dei costi coperti dal finanziamento privato. Ilcosto complessivo era quantificato nell’equivalente di 14 mi-liardi di euro, mentre la sua completa realizzazione era previstaal massimo entro il 1999. Costerà in realtà almeno 90 miliardi eandrà bene se sarà completamente realizzata entro il 2020.

L’opera pubblica più grande ed onerosa della storia della nostrarepubblica è stata realizzata con il project financing in questomodo: «Sottostimando, minimizzando, andando a dritto dibrutto, ci saremmo aspettati almeno che l’opera sarebbe finitaprima e che il tutto, alla fine, sarebbe dovuto costar meno. Sepresto e bene non stanno insieme, ci si aspetta che possano in-vece combinarsi almeno presto e male. Oppure, cattiva qualità,ma costi minori. No, qui si riesce nella sintesi, nella summa:male, tempi infiniti». Questa descrizione lapidaria è stata fornitada un magistrato, il dott. Gianni Tei, nella requisitoria pronun-ciata il 10 aprile 2008 a carico dei responsabili dei danni am-bientali causati durante i lavori per la realizzazione della trattaferroviaria per l’Alta velocità Bologna-Firenze. I responsabili,chi ha eseguito l’opera e chi doveva vigilare sulla sua realizza-zione, si sono difesi con argomentazioni che ormai da decennirimbalzano, senza contraddittorio, sui mass media. Il magistratonon si esime dal commentare: «(...) il valore che si può dare adaffermazioni lette nei documenti e risuonate in questa aula, ancheda pubblici amministratori, quali “opera grandiosa realizzata daimigliori specialisti e tecnici”, “tecniche innovative a livello mon-diale”, “un’opera di primaria importanza”, “abbiamo le miglioriprofessionalità”. Chiunque vorrà usare questi argomenti do-vrebbe prima spiegare perché in questa opera pubblica l’indica-zione e fissazione dei tempi e dei costi di realizzazione abbianoavuto una affidabilità pari a quella della lettura di un mazzo di

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si sarebbero offerte al confronto sarebbero state completamentediverse: 3,4 per cento per il deficit 2006 e 3,3 per il 2007, quasiidentiche. Non sarebbe cambiato nulla, ovviamente, essendodifficile immaginare una batosta del PD e della sinistra più cla-morosa di quella subita nella primavera del 2008. Rimane peròla curiosità sul perché, scontata l’ignoranza dei più, nemmenogeni della finanza creativa del centro-destra abbiano mai fattocenno – prima, durante e dopo quella campagna elettorale – aquesto chiaro travisamento delle cifre sul deficit pubblico.Forse ancora per ignoranza? è sempre più difficile poterloanche solo immaginare.

Quel comma 966 della Finanziaria ci è stato imposto dal-l’Unione Europea che, nell’ambito della procedura di infra-zione per deficit eccessivo avviata nel 2005 e chiusa nel 2007,ci ha chiesto esplicitamente di rimuovere la “truffa TAV”, con-sistente nel tenere il cosiddetto finanziamento privato dell’Altavelocità fuori dai conti pubblici. Ignoranza da parte dei più cer-tamente, ma non dei ministri del Bilancio Tremonti, Siniscalcoe Visco, che hanno gestito la procedura e che sono stati costrettiad ingoiare quella “bugia”.

Questa storia dunque ha bisogno di essere raccontata e com-presa: troppo clamorose sono le cifre, troppo numerose le fur-bate che la punteggiano, troppo curiosi i silenzi che la cir-condano. Forse è l’unica storia che caratterizza in modo em-blematico la lunga e travagliata transizione dalla “prima” allacosiddetta “seconda repubblica”. Comincia infatti agli inizidegli anni ‘80, senza soluzione di continuità si svolge fino ainostri giorni e promette di durare ancora per diverso tempo.Attraversa indenne anche la stagione di Mani pulite. Cono-scerla è essenziale anche per capire che cosa sia diventata oggila Tangentopoli disvelata da quelle indagini.

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capitale ed interessi scaricati sul bilancio dello Stato. Nella discussione in aula su quella Finanziaria il tema che

polarizzò il confronto politico e l’attenzione dei mass mediafu quello relativo al “ticket sanitario”, pari a circa 800 milionidi euro: su questa cifra i parlamentari si confrontarono a lungoe duramente. Ebbene, il valore del comma 966 era di oltre 15volte superiore, esattamente 12 miliardi e 950 milioni di euro,26.000 miliardi circa di vecchie lire. In quel parlamento, suquel comma che certificava quella bugia e scaricava sulla testadi tutti i cittadini una valanga di debiti, non si è sentita una solaparola, non una domanda, nulla: un silenzio tombale. Igno-ranza? Personalmente penso proprio di sì, almeno per la stra-grande maggioranza dei parlamentari, salvo la rara eccezionedi chi per furbizia o per interesse ha preferito o scelto di tacere.

La riprova è ancora in quella stessa Finanziaria. Il comma1364, l’ultimo di quell’unico articolo di quella legge, stabilivache la previsione contenuta nel comma 966 sarebbe entrata invigore non dal primo gennaio del 2007, bensì alla “data di pub-blicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato”. Lalegge è stata pubblicata il 27.12.2006: in questo modo quellacifra è stata scaricata sul bilancio dell’anno precedente, quellodel 2006, con al governo il centro-destra. Solo grazie a questa“furbata” (valutata illegittima nei pareri scritti dai tecnici delladue Camere che richiamavano il Governo al rispetto del comma3 dell’articolo 11 della legge sulla contabilità generale delloStato n. 468/1978) il rapporto deficit/PIL del 2007 è sceso al2,4 per cento, mentre quello del 2006 è salito al 4,3 per cento.

In occasione delle elezioni politiche anticipate del 2008, pro-prio queste cifre sono state al centro della campagna elettoraledel nascente Partito Democratico. L’arma propagandistica piùbrandita contro il nascente Popolo delle Libertà è stata quelladello sforamento del 3 per cento nel 2006, mentre il merito piùimportante rivendicato al centro-sinistra è stato quello di avereabbassato il deficit nel 2007 di ben 2 punti percentuali. Nes-suno però ha mai detto che senza quella “furbata” le cifre che

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una sola parte dei protagonisti di Tangentopoli, il sistema deipartiti. Quel processo è stato anche l’unico celebrato, e nem-meno fino alla sentenza, dal magistrato simbolo di quella in-chiesta. Il PM il 6 dicembre 1994 – a conclusione di una lungae colorita arringa accusatoria – con una mossa teatrale dellesue abbandona la toga lasciando ai colleghi l’onere di portareavanti le fasi più difficili e meno appariscenti del lavoro delmagistrato inquirente, quelle dei processi che i numerosi filonidi indagine avevano fino a quel momento sviluppato.

La data di quella mossa teatrale segna l’inizio di una nuovastagione pilotata dai vassalli e valvassori di Tangentopoli, maanche alimentata dall’abbandono della toga e dalla entrata inpolitica dell’ex magistrato Antonio Di Pietro.

Da quel momento, la qualità del sistema di corruzione, l’og-getto specifico, il contenuto di quelle indagini, scompaionodalla cronaca e dalla scena politica. L’attenzione ed il confrontovengono spostati sui protagonisti delle indagini, sulle presuntecolpe dei magistrati, sulle vicende e gli affari personali dell’exsimbolo di quelle inchieste. In questa stagione, sul contenutodelle indagini la politica registra una totale assenza in sinergiacon il silenzio dei mass media. La rimozione dei fatti e del me-rito di quelle inchieste è totale: saranno solo oggetto di studiodi qualche raro cultore della materia.

A partire dal 6 dicembre 1994, quella nuova stagione appa-riva del tutto delineata nei suoi contorni essenziali. Proprio laconsapevolezza del processo di rimozione che si avviava conla vicenda segnata da quella mossa teatrale mi spinse a scrivereil saggio La storia del futuro di tangentopoli, uno dei primiusciti sulla materia. Oltre ad analizzare gli aspetti fondamentalidel sistema di Tangentopoli e a tipizzare i diversi riti tangentizidisvelati dalle indagini dei magistrati di diverse procure in di-versi contesti, descrivevo i primi passaggi di questo processoed il suo probabile sbocco. La tesi sostenuta in quel libro, pub-blicato nel dicembre 1997, risultava così sintetizzata: «Tangen-topoli era un Sistema, come tale aveva dei caratteri e mec-

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Il futuro di Tangentopoli diventato storia

Il 17 febbraio 1992 è la data archiviata come l’inizio della sta-gione del crollo del sistema delle tangenti. Quel giorno la ri-chiesta di arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio diMilano, da parte del Magistrato che diventerà simbolo di quellaindagine, veniva autorizzata dal giudice per le indagini preli-minari e dunque eseguita. Il segretario nazionale del partito diappartenenza del malcapitato collettore di tangenti lo definiva,poche settimane dopo l’arresto e alle prime notizie delle con-fessioni, un povero “mariuolo”. Il segretario forse non avevatutti i torti, Mario Chiesa era un ladruncolo di periferia che re-plicava il sistema messo in piedi dalle cupole nazionali delleimprese e dei partiti, e che non disdegnava di fare la cresta sulletangenti richieste ai piccoli appaltatori che lavoravano con que-sto committente pubblico minore. Certamente era una figura disecondo piano di fronte ai ladri eccellenti delle cupole nazionaliche si misuravano su affari di ben altra dimensione e che le in-dagini, seguite a quell’arresto, hanno consentito di smascherare.

I capi della cupola delle imprese corruttrici, con il comodoracconto della loro condizione di vittime della concussione, liabbiamo visti entrare ed uscire dalle patrie galere nelle centi-naia di indagini avviate dai magistrati, nelle molte cause chiusecon il patteggiamento e nei pochi processi che sono arrivatinelle aule dei tribunali prima della prescrizione. I leaders na-zionali della cupola dei partiti corrotti li abbiamo invece vistisfilare nell’unico processo immediatamente celebrato, quellorelativo alla cosiddetta “madre di tutte le tangenti” distribuitada Raul Gardini e dai suoi accoliti a tutti i vertici dei partiti al-l’epoca presenti in parlamento.

Quel primo processo di Mani pulite, voluto ed imposto daSergio Cusani, pur mettendo a nudo il sistema di collusione frapolitica e affari fu di fatto condotto, per ragioni oggettive maanche per volontà e strategia del Pubblico Ministero, contro

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vere la storia del futuro può apparire un improbabile esercizioprofetico, eppure il Nuovo Sistema presenta una struttura tal-mente chiara e definita che raccontarne la storia del suo futuroè in realtà molto più semplice che ricostruire o indagare sui ca-ratteri del Sistema che lo ha preceduto».

Di quella “storia del futuro” si sono consumati quasi tre lustrie possiamo misurare oggi quanto profetica fosse quella disa-mina se consideriamo la realtà sotto i nostri occhi. Il libro nero

dell’Alta Velocità è un aggiornamento di quel lavoro, è la storiadel futuro diventata semplicemente storia, nella quale quellaprevisione si è realizzata pienamente, ma con contorni ancorapiù perversi e pervasivi di quelli immaginati.

Questo aggiornamento racconta di come quell’architetturacontrattuale è diventata un “modello” legalizzato e dunque re-plicato e diffuso, per la realizzazione di altre grandi e piccoleopere o per la gestione di grandi e piccoli servizi pubblici, conaltre grandi e piccole “TAV SpA”.

I ladri dell’Alta velocità

Hanno subito la gogna mediatica per 1022 giorni, dal 17 feb-braio 1992 al 6 dicembre 1994, ma hanno vinto loro. Molti diessi hanno subito l’onta del carcere ed il ludibrio della pubblicaopinione, ma erano certi che non sarebbe durata a lungo. Con-fidavano nella straordinaria intuizione di un protagonista indi-scusso di quel sistema, che, ancora prima dell’arrivo di Manipulite, aveva inventato una nuova architettura per integrare gliaffari privati e la gestione della cosa pubblica. In quei giorniquella sua invenzione era ancora in rodaggio ma da lì a pocoavrebbe garantito la ricostruzione di una nuova Tangentopoli,senza i rischi della contestazione dei reati che ha consentito lademolizione del vecchio sistema.

Il compito di dare corpo a questa straordinaria invenzione fu

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canismi propri che consentivano la celebrazione di alcuni rititangentizi connessi al contesto politico e imprenditoriale nelquale venivano celebrati: il Rito Ambrosiano della tangentepropriamente detta, in un contesto con partiti e imprese collusima con strutture di comando nettamente distinte e separate; ilRito Emiliano della sovrapposizione e intreccio fra politica eaffari, in un contesto caratterizzato da una forte diffusione diimprese cooperative e aziende municipali, con i vertici sotto ilcontrollo diretto dei partiti; il Rito Mafioso della tangente al-largata e del condizionamento della sub-contrattazione, in uncontesto nel quale la criminalità organizzata esercita un con-trollo militare del territorio. Nell’era di Mani Pulite, intendendocon questa locuzione le indagini sviluppate dai giudici milanesicon la presenza di Antonio Di Pietro, si è colpito solo uno diquesti riti, quello Ambrosiano. Mani pulite, e soprattutto il suosimbolo, ha spesso incrociato gli altri riti, ma li ha deliberata-mente ignorati per non pregiudicare la strategia giudiziaria cen-trata sulla contestazione del solo reato di corruzione e di quellia questo eventualmente connessi. Proprio questo “limite” hareso più efficace quella strategia ed in tal modo ha potuto pro-durre il terremoto di quegli anni. Un terremoto che però ha pro-dotto danni consistenti solo sul sistema dei corrotti dediti alrito Ambrosiano, mentre ha solo incrinato il Sistema che con-sentiva ai corruttori di celebrare anche gli altri riti, invisibili eirraggiungibili con il solo reato di corruzione. Il simbolo diMani Pulite è stato talmente lontano dai meccanismi strutturalidi Tangentopoli fino al punto che, lo stesso sistema dei corrut-tori, negli stessi mesi in cui fioccavano gli arresti e gli avvisidi garanzia, costruiva un Nuovo Sistema più potente e razio-nale, quello che si è articolato nell’architettura contrattuale efinanziaria per la realizzazione delle infrastrutture per il trenoad Alta velocità». Alla descrizione della Nuova Tangentopoli,strutturata e decollata durante l’era di Mani Pulite, era dedicatol’ultimo capitolo del libro, “Alta velocità: ovvero la storia delfuturo di tangentopoli”. Nella premessa precisavo che «Scri-

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formazioni sui progetti ufficiali mai pubblicati sui siti di TAVSpA, RFI SpA o FS SpA, ricchi solo di informazioni generiche,spesso smaccatamente pubblicitarie sulle magnifiche sorti deltreno veloce. Men che meno le informazioni possono essererintracciate nei siti dei general contractor e delle imprese socieche, per grazia ricevuta, hanno avuto in dono il grande affaredella progettazione e costruzione delle tratte ferroviarie.

L’aggiornamento di quel lavoro era dunque anche un atto do-vuto ai tanti cittadini dei tanti comitati che mi hanno consentitodi conoscere e capire molto di più di quello su cui mi ero giàmisurato, di arricchire il bagaglio di dati specifici sulla storiae le implicazioni di quel Progetto e di fornirmi una chiave dilettura della realtà del nostro Paese.

La storia dell’Alta velocità è la metafora per eccellenza dellarecente storia del nostro Paese: ci spiega le principali vicendeche hanno segnato la cosiddetta “seconda repubblica”. Quelladella privatizzazione delle aziende pubbliche senza i privati esenza liberalizzazioni. Quella dell’ingresso nella moneta unicacomunitaria e delle furbizie per eludere le regole europee.Quella dei boiardi di Stato, con la loro corte di faccendieri, alservizio degli interessi privati. Quella dei magistrati e degli av-vocati collusi, guidati non dalla legge ma pilotati e al soldo degliindagati. Quella dei conflitti di interesse diffusi, coperti e ali-mentati dal conflitto di interesse per eccellenza. Quella dellaquestione morale, già negli anni ‘80 declinata nel rapporto per-verso fra partiti e istituzioni, nella occupazione delle istituzionida parte dei Partiti in quanto tali, nella partitocrazia senza partitie senza politica che usa ed abusa della cosa pubblica.

La storia del progetto TAV racconta pure dell’ignoranza diinteri parlamenti della “prima” e della “seconda repubblica” edelle dichiarazioni fantasiose di tutti i presidenti del Consiglioe ministri dei Trasporti o delle Infrastrutture di tutti i governiche si sono succeduti. Dal primo, con presidente Bettino Craxie Claudio Signorile ministro, con i quali a metà degli anni Ot-tanta si è dato avvio alla follia di un Progetto tecnicamente sba-

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affidato, dallo stesso inventore, l’allora ministro del BilancioPaolo Cirino Pomicino, al commissario straordinario delle FSLorenzo Antonio Necci il quale ebbe comunque il merito ditraghettare quella invenzione durante tutta la stagione di ManiPulite. Alla fine di quella stagione il nuovo sistema era già aregime e poteva garantire una ripresa semplicemente straordi-naria, con tante risorse e senza ormai inutili mazzette. A dargliil nome ci pensò, diversi anni dopo, Lunardi, il ministro checonsiderava naturale la convivenza con la Mafia: lo definì “mo-dello TAV” e lo legalizzò con la Legge obbiettivo.

L’ultimo capitolo del mio libro del 1997 non era contro l’Altavelocità e tanto meno contro l’ammodernamento e la velociz-zazione delle infrastrutture ferroviarie. Il tema non era questo,bensì quello dell’architettura contrattuale e finanziaria, vistacome nuovo sistema di relazione fra politica ed affari al riparodai rischi della contestazione del reato di corruzione stretta-mente connesso con la celebrazione del rito Ambrosiano dellatangente. Così è stato. Quella architettura è diventata un mo-dello che si è riprodotto e diffuso, inquinando sia la politicache gli affari.

Quel capitolo del libro mi ha però offerto l’opportunità di in-contrare quasi tutti i comitati “NOTAV” nati su tutto il tracciatodel Progetto. Grazie a loro, ed alla competenza delle personecon le quali ho condiviso la presentazione e la diffusione diquel lavoro in decine di assemblee, la mia conoscenza si è po-tuta arricchire di tutti i risvolti tecnici, sociali, ambientali chela sua realizzazione implica e produce. Del resto, chi volessemisurarsi con la ricerca di informazioni, di qualsiasi tipo, sulProgetto TAV, può provare ad attivare un motore di ricerca suinternet. Le informazioni più pregnanti le troverà solo sui sitiNOTAV, compresi ad esempio gli atti del processo dei magi-strati fiorentini contro il Consorzio CAVET (sub-contraente diFIAT SpA e con società capofila Impregilo SpA) per i danniambientali prodotti nella costruzione della tratta Bologna-Fi-renze. Solo su questi siti si possono trovare anche le poche in-

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più frequente denuncia bipartisan dell’ineluttabile persistenzadel sistema di corruzione. Tutto, secondo questa generica e mi-stificatoria posizione, continuerebbe come prima, e si accreditacosì l’idea che tutto sia rimasto come era prima dell’interventodi Mani pulite. Ma non è così. I cambiamenti sono sostanzialie ci disegnano un Sistema ben più vorace e devastante.

Lo scambio tangentizio prima celebrato da soggetti distinti eseparati è diventato intreccio e compromissione, ed i confini frapolitica e affari sono ormai indefiniti. Le Istituzioni sono diven-tate tavole imbandite per l’abbuffata dei partiti, tutti; delle impresedi diritto privato di proprietà pubblica, tutte; delle imprese privatecooptate nel banchetto da boiardi e faccendieri o penetrate nel-l’affare in cambio di “favori” o “piaceri” ai tanti mariuoli che po-polano i cosiddetti partiti della “seconda repubblica”.

La descrizione del furto consumato in questi anni a dannodel Paese dalla partitocrazia e dal mondo contiguo degli affari,attraverso la ricostruzione della vera storia di questa infrastrut-tura, non poteva non vedere il riconoscimento delle vicende,sostanzialmente inedite ed occultate, di cui sono state protago-niste due personalità che hanno provato a contrastare proprioquesta storia. Un ex ministro dei Trasporti ed un professorescomodo, che hanno cercato di impedire che quella truffa siconsumasse. Sono due vicende essenziali da considerare ancheper avere la misura della miseria di tutti coloro che nella storiadell’Alta velocità ci sono comunque entrati per interesse, perfurbizia, per ignoranza o per stupidità.

All’ex ministro ed al professore sono dedicati due capitolidel libro scritti da un bolognese di adozione come loro, chenon può nascondere la rabbia di vivere in una città diretta dasindaci che alle passerelle mediatiche per l’Alta velocità nonhanno fatto mai mancare la loro presenza silente, inutile, igno-rante, offensiva. I ladri ad Alta velocità del modello TAV sonoanche questo: disprezzo della verità ed offesa alla memoria dipersonalità come Luigi Preti e Beniamino Andreatta.

Quella di Preti è la storia di un padre della nostra Costitu-

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gliato, fino all’ultimo, con presidente Silvio Berlusconi e Al-tero Matteoli ministro, che arricchiscono oggi con quella follialo spettacolo mediatico della politica. Passando per il governocon Giulio Andreotti presidente e Gianni Prandini ministro, cheha declinato la follia di quel Progetto in truffa, e per il governocon Romano Prodi presidente e con i doppi ministri competentiAntonio Di Pietro e Alessandro Bianchi, che a quella follia e aquella truffa, lasciata più viva che mai, hanno aggiunto la beffadell’affidamento del servizio AV ad una società privata a trat-tativa privata per un affare esclusivamente privato.

La vera storia dell’Alta velocità è comunque la chiave di let-tura indispensabile per capire come il sistema di relazioni fon-dato sulle tangenti sia stato sostituito da un nuovo sistema checonsente la transazione affaristica fra gli accoliti dei partitidello Stato postkeynesiano ed i cosiddetti manager delle im-prese cosiddette private dell’era postfordista, al riparo dellacontestazione del reato di corruzione. Ci consente di caratte-rizzare quello che è diventato il modello TAV, oggi replicatonegli Enti locali dai mariuoli post-moderni, non più affaccen-dati a celebrare il rito a rischio della tangente ma trasformatiin sanguisughe delle Istituzioni. A questa realtà perversa e de-vastante è dedicato soprattutto l’ultimo capitolo di questo ag-giornamento che, senza la pretesa di caratterizzare gli assettiimprenditoriali e statali del capitalismo contemporaneo, cercadi proporre un’analisi del nuovo sistema di relazioni fra la po-litica e gli affari, che proprio il modello TAV consente di leg-gere sia dal lato delle imprese investite dalla riorganizzazionepostfordista, che dal lato dello Stato sociale rimodellato dallepolitiche postkeynesiane.

Ed è ancora questo modello che ci consente di avere unachiave di lettura delle miserie raccontate dalla cronaca quoti-diana, le vicende pittoresche o suscettibili di sollecitare la cu-riosità morbosa, senza alcuna riflessione sul contesto, né sulleragioni che hanno determinato o che consentono lo sviluppodi tali comportamenti. In questa cronaca si registra la sempre

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LUIGI PRETI E LA GRANDE TRUFFA

La lettera del presidente onorario del PSDI

La data della lettera, 17 febbraio 1993, destava da principiosolo curiosità. Il caso aveva voluto che fosse stata scritta nelprimo anniversario dell’arresto che aveva segnato l’inizio dellastagione di Mani Pulite. Singolari però erano il simbolo stam-pato sulla lettera, in alto a sinistra, il sole nascente con la scritta“socialdemocrazia”, e la firma, in basso a destra, del presidenteonorario del PSDI, Luigi Preti. Un simbolo ed un nome chenon potevano non evocare, nella mente del destinatario, ricordiideologici di radicale dissenso, se non addirittura di disprezzo.

Fra le prime letture giovanili del destinatario infatti v’erastata anche quella di un famoso libretto di Vladimir Ilic Lenin,scritto in una sola notte, fra il 9 e il 10 novembre 1918, che sa-rebbe diventato il manuale dei comunisti nella polemica conla socialdemocrazia. Lenin rispondeva ad uno scritto di KarlKautsky, “La dittatura del proletariato”, con il quale, a difesadell’ortodossia marxista, rimproverava a Lenin di aver tentatouna rivoluzione proletaria in un paese sottosviluppato e accu-sava il potere bolscevico di essere una dittatura più blanquistache marxista.

A un anno dalla “rivoluzione d’ottobre” e nel pieno della fasepiù critica della rivoluzione russa, la risposta del leader comu-nista alle accuse di blanquismo provenienti da una voce cosìautorevole dell’ortodossia marxista doveva essere immediataed il tono era ben riassunto nel titolo dato al suo scritto: “Larivoluzione proletaria ed il rinnegato Kautsky”.

Erano passati molti anni da quelle letture, c’era stato il crollodel muro di Berlino, la dissoluzione dei governi e delle classidirigenti nei paesi del cosiddetto socialismo reale si era ormaiconsumata, in Italia il PCI aveva già rinnegato se stesso e siera ridefinito PDS, i partiti della cosiddetta “prima repubblica”

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zione che, inascoltato e dimenticato, questa truffa l’aveva ri-conosciuta e denunciata per primo, fin dall’inizio e prima chesi consumasse.

Quella di Andreatta è la storia di uno straordinario protago-nista della nostra Repubblica che, con competenza e determi-nazione, ha cercato di smascherare le bugie che quella truffanascondeva.

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LUIGI PRETI E LA GRANDE TRUFFA

La lettera del presidente onorario del PSDI

La data della lettera, 17 febbraio 1993, destava da principiosolo curiosità. Il caso aveva voluto che fosse stata scritta nelprimo anniversario dell’arresto che aveva segnato l’inizio dellastagione di Mani Pulite. Singolari però erano il simbolo stam-pato sulla lettera, in alto a sinistra, il sole nascente con la scritta“socialdemocrazia”, e la firma, in basso a destra, del presidenteonorario del PSDI, Luigi Preti. Un simbolo ed un nome chenon potevano non evocare, nella mente del destinatario, ricordiideologici e personali di odio, se non addirittura di disprezzo.

Fra le prime letture giovanili del destinatario infatti v’erastata anche quella di un famoso libretto di Vladimir Ilic Lenin,scritto in una sola notte, fra il 9 e il 10 novembre 1918, che sa-rebbe diventato il manuale dei comunisti nella polemica conla socialdemocrazia. Lenin rispondeva ad uno scritto di KarlKautsky, “La dittatura del proletariato”, con il quale, a difesadell’ortodossia marxista, rimproverava a Lenin di aver tentatouna rivoluzione proletaria in un paese sottosviluppato e accu-sava il potere bolscevico di essere una dittatura più blanquistache marxista.

A un anno dalla “rivoluzione d’ottobre” e nel pieno della fasepiù critica della rivoluzione russa, la risposta del leader comu-nista alle accuse di blanquismo provenienti da una voce cosìautorevole dell’ortodossia marxista doveva essere immediataed il tono non poteva certo essere quello elegante della pole-mica letteraria, anzi. Il titolo, “La rivoluzione proletaria ed ilrinnegato Kautsky”, è emblematico, così come l’incipit del li-bretto di Lenin: «“La dittatura del proletariato” (Vienna 1918,Ignaz Brand, pp. 63), uscito recentemente, è uno degli esempipiù lampanti del completo e ignominioso fallimento della II

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zione che, inascoltato e dimenticato, questa truffa l’aveva ri-conosciuta e denunciata per primo, fin dall’inizio e prima chesi consumasse.

Quella di Andreatta è la storia di uno straordinario protago-nista della nostra Repubblica che, con competenza e determi-nazione, ha cercato di smascherare le bugie che quella truffanascondeva.

Due grandi personaggi, scomparsi di recente, oltraggiati dailadri dell’Alta velocità e ignorati dai ladri ad Alta velocità.

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che si tratterebbe almeno di 50 mila miliardi. Io però, docu-mentandomi come ex ministro dei Trasporti con valorosi tec-nici, penso che si arriverebbe a 100 mila. È una cifra dacapogiro, ed è una truffa. (...)». L’incipit della lettera ad An-dreatta faceva immediatamente archiviare ricordi di militanzapolitica o riserve ideologiche sulla firma.

Il ruolo del destinatario di quelle missive, che era all’epocasegretario della federazione provinciale di un neonato Partitoper la Rifondazione del comunismo, passava subito in secondopiano; quella più sollecitata era la competenza professionaledell’esperto di opere e infrastrutture pubbliche, immediata-mente catturata dal merito e dal dettaglio con il quale l’ex mi-nistro dei trasporti descriveva l’architettura finanziaria delProgetto TAV.

La lettera di Preti ad Andreatta si concludeva con un appelloaccorato: «Tu sei un uomo di profonda onestà e un economistadi grande valore. La Democrazia Cristiana ne deve tenereconto, se vuole evitare che il progetto dell’Alta velocità si rea-lizzi sul serio e se ne dia poi colpa al tuo Partito dopo la cata-strofe. Cordiali saluti ed auguri. Luigi Preti». Grazie a quellalettera dell’odiato lacchè della borghesia, ha inizio una conti-nua ed approfondita attenzione che ha portato l’esperto di operee infrastrutture pubbliche a diventare forse il maggiore espertodell’architettura contrattuale e finanziaria del Progetto TAV edella truffa ad esso connessa.

Luigi Preti è morto il 19 gennaio 2009. Era nato a Ferrara 95anni prima. Oltre che ministro in diversi governi fu più voltesottosegretario, vicepresidente della Camera, presidente dicommissioni parlamentari, deputato per 40 anni. Con LuigiPreti scompariva non solo l’ultimo grande personaggio dellasocialdemocrazia italiana, ma anche uno degli ultimi firmataridella Costituzione ancora viventi, l’unico non nominato sena-tore a vita. Dopo di lui restavano in vita solo tre costituenti,tutti a Palazzo Madama, tutti senatori a vita, tutti ex democri-stiani: l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro,

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Internazionale, di cui da molto tempo parlano tutti i socialistionesti di tutti i paesi. La questione della rivoluzione proletariasi pone ora praticamente all’ordine del giorno in tutta una seriedi Stati. È quindi necessario analizzare i sofismi da rinnegato ela totale abiura del marxismo da parte di Kautsky. I cadetti cihanno abituati a ragionamenti di questo genere. Tutti i lacchèdella borghesia in Russia ragionano così: dateci dunque il be-nessere generale in nove mesi, dopo una guerra devastatrice diquattro anni, mentre il capitale straniero aiuta largamente il sa-botaggio e le rivolte della borghesia in Russia. In realtà non viè più assolutamente alcuna differenza, nemmeno l’ombra di unadifferenza, tra Kautsky e un controrivoluzionario borghese».

Erano passati molti anni da quelle letture, c’era stato il crollodel muro di Berlino, la dissoluzione dei governi e delle classidirigenti nei paesi del cosiddetto socialismo reale si era ormaiconsumata, in Italia il PCI aveva già rinnegato se stesso e siera ridefinito PDS, i partiti della cosiddetta “prima repubblica”erano ormai prigionieri della rete di Mani pulite e quel simbolodel partito socialdemocratico sopravviveva solo a se stesso.

I cascami di odio verso quel simbolo avrebbero potuto por-tare quella lettera nel cestino dei rifiuti; il tempo passato e, so-prattutto, la forte curiosità ne salvò la lettura.

La lettera di Preti era di pochissime righe, avendo il precipuoscopo di accompagnarne altre due, lunghissime, riservate e per-sonali, che lo stesso Preti aveva inviato qualche giorno prima.Una a Beniamino Andreatta (datata 10 febbraio 1992), al-l’epoca responsabile economico della Democrazia Cristiana; el’altra (con data 13 febbraio 1992) al ministro del BilancioFranco Reviglio. Quella indirizzata ad Andreatta, bolognese diadozione come lo era Preti, era più immediata ed accorata. Co-minciava così: «Caro Andreatta, dal punto di vista economicola questione della cosiddetta Alta velocità è sicuramente la piùgrossa da metà secolo ad oggi per la spesa immensa che com-porterebbe. Le Ferrovie Spa parlano di 30 mila miliardi pernon allarmare troppo l’opinione pubblica, ma in realtà pensano

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I ministri dei Trasporti che sono venuti dopo

Dopo Luigi Preti, nei mitici anni ‘80, la lobby dei costruttorisulla poltrona di quel dicastero hanno trovato invece ministridisponibili a tutto pur di realizzare un qualche interesse per ilpartito di turno che occupava quella poltrona. Per quasi tuttigli anni ‘80 il partito di turno sarà il PSI, ribattezzato per questodalla stampa dell’epoca il partito della “falce e carrello”. Sonogli anni dell’esplosione della spesa pubblica, che porterà il de-bito dell’Italia al primo posto fra i paesi sviluppati; sono glianni della programmazione e degli investimenti in opere pub-bliche pilotati da comitati d’affari con il solo scopo dell’affareper l’affare e relativi annessi e connessi.

Solo grazie a questo contesto di scelte sganciate dalle esi-genze reali del Paese e di finanza allegra, poteva essere conce-pito un Progetto privo di qualsiasi logica, assurdo sia dal puntodi vista della scelta tecnologica che sul piano delle esigenze ditrasporto, utile solo a fare incontrare gli appetiti della lobby del“ferro e cemento” con gli interessi della “falce e carrello”.

Dopo Luigi Preti, tutti i ministri che si sono succeduti al di-castero dei Trasporti non hanno mai mostrato la minima con-sapevolezza sulla scelta tecnologica e trasportistica operata conquel Progetto TAV e tanto meno il minimo dubbio sulla suascarsa utilità a fronte della valanga di lire e di euro necessariaper la sua realizzazione. Dopo Luigi Preti, tutti i ministri chesi sono succeduti su quella poltrona sono stati complici più omeno consapevoli di questa scelta sbagliata e della bugia cheha consentito di consumare una clamorosa truffa.

Il primo che diede concretamente avvio all’avventura è statoClaudio Signorile (ministro dal 4.8.1983 al 1.8.1986 e dal1.8.1986 al 17.4.1987), seguito da Giovanni Travaglini (dal17.4.1987 al 28.7.1987), da Calogero Mannino (dal 28.7.1987al 13.4.1988) e da Giorgio Santuz (dal 13.4.1988 al 22.7.1989).

I ministri che hanno anche convissuto, senza fare una piega,

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Giulio Andreotti ed Emilio Colombo. Parlamentare dalla Costituente, Preti venne chiamato per la

prima volta a ricoprire la carica di ministro, alle Finanze, nel1958, nel secondo governo Fanfani, e tornerà alla direzione diquel dicastero altre due volte (dal 1966 al 1968, nel terzo go-verno Moro, e dal 1970 al 1972, nel terzo governo Rumor enel successivo governo Colombo). Oltre alle Finanze ha rico-perto anche altri incarichi di governo: ministro per il Commer-cio estero (1962 - 1963), ministro per la Riforma della Pubblicaamministrazione (1964 - 1966), ministro del Bilancio e dellaProgrammazione economica (1969), ministro dei Trasporti(1973 – 1974).

L’ultimo incarico ministeriale lo ha ricoperto ancora al dica-stero dei Trasporti (negli anni 1979 – 1980, nel quinto governoAndreotti), proprio nel periodo in cui la lobby dei costruttoriavviava la sua pressione sul governo per aprire anche in Italiai cantieri per l’Alta velocità già a pieno regime nella vicinaFrancia. Con Preti, i pretoriani del ferro e del cemento, trova-rono le porte sbarrate. I programmi tecnici e tecnologici del-l’Ente nazionale Ferrovie dello Stato, alle dirette dipendenzedel ministro, erano orientati in una direzione diversa, stanti leforti differenze dell’assetto infrastrutturale del nostro Paese ri-spetto a quello della vicina Francia. La scelta dei francesi perun’Alta velocità con linee dedicate al solo trasporto passeggeriera stata valutata non adatta alle esigenze dell’Italia.

Proprio in quegli anni si stava lavorando al completamentodella nuova tratta “Direttissima” fra Roma e Firenze, concepitae realizzata come linea universale per velocizzare il trasportodi passeggeri e merci con la stessa alimentazione elettrica delleinfrastrutture storiche. Analogamente si operava nel campo delmateriale rotabile, sul quale si era pure investito in maniera si-gnificativa, essendo proprio di quegli anni l’entrata in serviziodel primo treno al mondo ad assetto variabile, il famoso Pen-dolino. Le scelte tecniche e tecnologiche erano queste, e con-trastavano decisamente con quelle della vicina Francia.

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su molti tavoli, avrebbero meritato ben altra attenzione. Una diqueste è arrivata anche sul tavolo del capo della Procura di Roma,imponendo l’avvio di accertamenti e dunque l’attenzione del ma-gistrato incaricato di indagare sulla truffa TAV. In questo casoperò l’obbligatorietà dell’attenzione fu subito inquinata da altriinteressi che nulla avevano a che fare con l’accertamento dellaverità. Di quell’indagine e del suo inquinamento si ebbe notiziasolo diversi anni dopo e grazie ai magistrati perugini che, percompetenza, avevano ereditato un filone di un’indagine della Pro-cura di La Spezia. I giudici spezzini, indagando su traffici illecitidi auto ed armi nel porto di quella città, avevano casualmente in-tercettato i colloqui del faccendiere che le cronache sulle indaginidi Tangentopoli avevano collocato “un gradino sotto di Dio”.L’Alta velocità era il tema dominante dei colloqui intercettati edaveva portato quei giudici a chiedere l’arresto, eseguito il 15 set-tembre 1996, di Lorenzo Necci. Dalla stessa inchiesta un filoneche vedeva coinvolto Antonio Di Pietro sarà, sempre per compe-tenza, trasferito a Brescia e determinerà le immediate dimissionidell’ex PM che nel frattempo era diventato ministro dei LavoriPubblici del primo governo Prodi.

I risultati del lavoro dei magistrati perugini sugli inquinamentidella attività dei magistrati romani diventano noti il 7 febbraiodel 1998: «Nove arresti, trenta indagati, ottanta perquisizioni,duecento investigatori al lavoro (…). L’operazione si chiama“Little Tower”, piccola torre, forse per indicare la roccafortenella quale vigeva un presunto sistema di corruzione. L’enne-simo scoperto dai magistrati perugini, attraverso intercettazioni,confessioni e rogatorie internazionali. Il nuovo filone corre suibinari dell’Alta velocità e porta in carcere per la prima voltaGiorgio Castellucci, il piemme romano, e due avvocati, Fio-renzo Grollino e Astolfo Di Amato. Non solo: agli arresti tornaanche “Chicchi”, Pier Francesco Pacini Battaglia, ancora unavolta indicato come regista delle operazioni. “Manette da casa”sono scattate per Lorenzo Necci, ex amministratore straordina-rio delle FS, per Emilio Maraini, ex presidente della partecipata

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con la grande bugia del finanziamento privato sono stati CarloBernini (ministro dal 22.7.1989 al 12.4.1991 e dal 12.4.1991al 28.6.1992), Giancarlo Tesini (dal 28.6.1992 al 28.4.1993),Raffaele Costa (dal 28.4.1993 al 10.5.1994), Publio Fiori (dal10.5.1994 al 17.1.1995), Giovanni Caravale (dal 17.1.1995 al17.5.1995), Claudio Burlando (dal 17.5.1995 al 21.10.1998),Tiziano Treu (dal 21.10.1998 al 18.12.1999), Pierluigi Bersani(dal 22.12.1999 al 25.4.2000 e dal 25.4.2000 al 11.6.2001),Pietro Lunardi (dal 11.6.2001 al 23.4.2005 e dal 23.4.2005 al17.5.2006), Alessandro Bianchi e Antonio Di Pietro (dal17.5.2006 al 8.5.2008), Altero Matteoli (dall’8.5.2008). In oltre25 anni si sono succeduti su quella poltrona 16 ministri e nes-suno di loro, senza alcuna eccezione, ha in nessun modo maimesso in discussione la realizzazione di quel Progetto.

Pochi anni prima di morire Luigi Preti scriveva: «Pensavamodi costruire un’Italia democratica composta da uomini onesti,sia di maggioranza sia di opposizione, allo scopo di contribuireall’avanzata economica e sociale del nostro Paese. La nostraCostituzione, che andò in vigore all’inizio del 1948, fu giudi-cata una delle migliori del mondo, anche all’estero. Ma soprat-tutto si rivelò un abito molto adatto alle esigenze dell’ Italia diallora». Questa la statura e la sensibilità del personaggio, ogginemmeno paragonabili con quelle dei lacchè di se stessi chepopola il panorama contemporaneo della politica.

La riconoscenza a questo padre costituente non potevo te-nerla chiusa nei miei ricordi insieme a quelli sul rinnegato lac-chè della borghesia. Lo incontrai nella sua casa di Bolognanella primavera del 1998: lo ringraziai per quelle lettere chemi aveva inviato cinque anni prima e gli consegnai il mio libroche raccoglieva la sua isolata denuncia della grande truffa. Ilcolloquio, intenso e di quelli che segnano la memoria, non fumolto lungo; il peso degli anni, 86, si faceva sentire e non vo-levo abusare della sua disponibilità. Stima e simpatia sono isentimenti che ho nutrito per lui da quel momento.

A Preti diedero ascolto in pochi. Eppure quelle lettere, arrivate

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Le lettere di Luigi Preti

Il 10 febbraio 1993 così scriveva a Beniamino Andreatta:«Caro Andreatta, (…). Si è detto che una cosa importantissimasarebbe il coinvolgimento dei privati nella società TAV (TrenoAlta velocità) nella quale lo Stato avrebbe solo il 40% delleazioni. Non è assolutamente così, perché le quote sottoscritteappartengono per il 90% a banche ed aziende di pubblica pro-prietà, dato che i privati non si fidano e temono di perdere iquattrini. I cosiddetti privati sono la Banca Commerciale, ilCredito Italiano, la Banca del Lavoro, ecc. che sono stati co-stretti a sottoscrivere piccole quote in quanto sono di proprietàstatale e perciò obbligate. Comunque queste società o enti peril momento non sborsano danaro. In gran parte il danaro lo do-vrebbe sborsare lo Stato; e per il resto la TAV ricorrerebbe, seci riesce, a grossi prestiti per i quali lo Stato medesimo sarebbetenuto a pagare gli interessi. Alla fine, una volta realizzatal’Alta velocità, poiché questa non sarebbe sicuramente attivacome tutte le Ferrovie del mondo, il capitale dovrebbe essererimborsato dal povero Stato. Si dice che sarebbe una grande epositiva novità il fatto che i contratti con l’Iri, l’Eni e la Fiatsarebbero a “tempi e prezzi certi”. A parte che non sappiamoquali aziende di questi general-contractors dovrebbero fare ilavori, faccio notare che molte di queste sono gravemente so-spettate dalla magistratura per le tangenti da esse pagate. È ri-dicolo dire che si intende realizzare l’iniziativa dell’Altavelocità a causa del disinteresse delle Ferrovie statali negli ul-timi tempi. Ma, se questo disinteresse c’è stato, si dovrebbespendere i danari per mettere a posto tutte quelle linee ferro-viarie, soprattutto meridionali, che sono in orribili condizioni.Invece il danaro andrebbe per un impresa nuova. Si affermache la Francia – paese con una struttura geografica profonda-mente diversa da quella dell’Italia, che è lunga e stretta –avrebbe realizzato grandi cose con l’Alta velocità. Questo non

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FS Italferr Spa, per Ercole Incalza ex amministratore della TAVSpa e per l’Avvocato Marcello Petrelli consulente della stessasocietà».1

Il faccendiere più noto dell’era di Mani pulite, Pier FrancescoPacini Battaglia (P.P.B.), il massimo regista delle tangenti della“prima repubblica”, intercettato l’11 gennaio del 1996, parlavadell’indagine e dei magistrati costretti da Preti ad indagare sullatruffa TAV con l’avvocato Marcello Petrelli.

Questo il tono delle interlocuzioni: «P.P.B.: ... te devi dire alSig. Squillante che deve smettere di rompere i coglioni a casaNecci, c’è andato 6 volte; l’avvocato risponde:lui è andato arompere i coglioni a Necci, facendo il furbo perché questi sichiamano ricatti morali… ha… è per colpa di quella “cimice”,potrebbe avere sentito i colloqui di me con l’amico di Pacini,che cazzo di discorso sarebbe...noi non si è chiesto nulla al Si-gnor Squillante riguardante Necci. Noi si è detto ti diamo 50milioni e te ne diamo degli altri se te ci chiudi il problema».

E infine P.P.B. precisa:«Che smetta di rompere i coglioni, habeccato già i soldi. Smetti eh io dico...Castellucci becca e in-crimina. Quello (Squillante) becca i soldi e ci rompe i coglioni.Io dico che chi becca i soldi sta zitto! Lui becca i soldi e rompeil cazzo».2

L’attenzione a quelle lettere ci avrebbe risparmiato anche lalettura di queste misere intercettazioni. La loro pubblicazione èdunque un atto doveroso di riconoscenza e di attestazione delmerito di Luigi Preti per avere per primo riconosciuto e denun-ciato la grande truffa dell’Alta velocità.

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1 Italo Carmignani, “Tangenti ad alta velocità: nove arresti”, il Messaggero,8 febbraio 1998.

2 “Ti diamo altri milioni se ci chiudi il problema”, il Messaggero, 8 febbraio

1998.

fedeli e spende somme enormi nelle società da lui inventate.Alla Susanna Agnelli, come consigliere della Tav, toccano ben400 milioni l’anno. Sugli sperperi di Necci a suo tempo io hoscritto al ministro Costa, che si occupa di queste cose, e ti inviocopia, se le vuoi leggere, delle due lettere. So che la Procuradella Repubblica di Roma sta occupandosi di cose grossissime,come quella dell’Anas, ma io comunque ho denunziato al capodella Procura il dr. Necci per come ha sperperato i danari delloStato, regalando soldi da tutte le parti. Penso che tu sappia chenel dibattito in Parlamento quasi tutti i Partiti hanno criticatoil Progetto Alta velocità. Tu sei un uomo di profonda onestà eun economista di grande valore. La Democrazia Cristiana nedeve tenere conto, se vuole evitare che il progetto dell’Alta ve-locità si realizzi sul serio e se ne dia poi colpa al tuo Partitodopo la catastrofe. Cordiali saluti ed auguri. Luigi Preti».

A parte i riferimenti alle singole persone, per i ruoli e le re-sponsabilità attribuiti e più o meno accertati, in questa letteravi era già una descrizione puntuale della truffa ai danni delloStato connessa con l’architettura finanziaria e contrattuale diquel Progetto.

La lettera inviata da Preti al ministro Franco Reviglio, pur ri-prendendo gran parte delle motivazioni di quella inviata ad An-dreatta, ci dice di una interlocuzione già in corso da tempo econtiene un riferimento particolarmente importante, quello aduna delibera assunta dai ministri competenti il 9 dicembre1992, della quale Preti mette in rilievo punto per punto i limiti.

Il 13 febbraio 1993 così scrive al ministro: «Caro Reviglio,rispondo alla tua lettera del 29 gennaio u.s., nella quale fai pre-sente che avete posto alcune limitazioni al progetto Alta velo-cità. Ciò è vero, ma è anche vero che si tratta di un’impresasbagliatissima, ideata a suo tempo da Ligato (del quale tu co-nosci le vicende), respinta da Schimberni (che si dimise soprat-tutto per questa ragione) e riportata avanti da Necci, unmegalomane che anche all’Enichem-Enimont diede prova diuna certa disinvoltura. L’attuale ministro Tesini, entrato al mi-

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è vero, perché la Francia si è limitata a rendere più veloci certeferrovie esistenti con le opportune ristrutturazioni tecnologichee non ha costruito nuove linee ferroviarie, come si vorrebbefare in Italia col progetto Alta velocità. Comunque tutti sannoche in Francia si ride di questo progetto, ed è pure notorio chein Spagna si è voluto costruire una nuova linea ferroviaria adAlta velocità tra Madrid e Siviglia in occasione dell’Esposi-zione, con esiti disastrosi da tutti i punti di vista, e la magistra-tura sta indagando sulle grandissime tangenti ricevute da moltiche hanno perorato l’iniziativa. Premuto da chi ben si sa il go-verno ha stanziato 18 mila miliardi per l’Alta velocità nel pe-riodo di 4-5 anni, però sono state poste condizioni, che ancoranon si sono verificate, e perciò il piano è tuttora fermo, anchese la Fiat, l’Iri e l’Eni insistono per cominciare, sapendo be-nissimo, a mio avviso, che lo Stato troverebbe il modo di pa-gare più del pattuito. I presidenti dell’Iri e dell’Eni, con ciò chei giornali dicono di loro, farebbero bene a non insistere sul-l’Alta velocità e a non dare prebende a certi giornalisti. I lavoridovrebbero cominciare a Bologna e nella Roma-Napoli. A Bo-logna però hanno detto di no all’attuale progetto tanto il Mu-nicipio del capoluogo emiliano, quanto i piccoli Comuni traBologna e Firenze dove dovrebbe passare la nuova linea fer-roviaria. Se tutto va bene, i lavori - che dovrebbero avvicinarel’Italia all’Europa secondo le Ferrovie Spa - si farebbero traRoma e Napoli, dove ci sono già due linee ferroviarie a doppiobinario. Si arriverebbe ad avere tre linee con sei binari, mentrela linea Bologna-Verona, che conduce al Brennero e in Ger-mania, è ancora a binario unico. Credo che tu sappia che il capodi Gabinetto del ministro Tesini, che ha convinto costui a so-stenere l’Alta velocità, è il Dr. Rossi Brigante, il quale era capodi Gabinetto anche nel precedente Governo col ministro Pran-dini. Formigoni ed altri democristiani, che hanno inviato ai par-lamentari un documento contro l’Alta velocità, hanno avutocontatti con altissimi funzionari delle Ferrovie cacciati daNecci, il quale assume per conto suo in modo da avere persone

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La delibera del 9 dicembre ‘92 del Bilancio, del Tesoro e deiTrasporti, della quale tu mi invii copia, stabilisce che lo Stato(ossia le Ferrovie) non dovrà pagare di interessi più di 5.500miliardi per l’intera costruzione della tratta Torino-Milano-Napoli. Gli eventuali superi dovrebbero essere pagati dallaTAV con i proventi della gestione. Ciò mi pare assurdo, perchénon esistono ferrovie attive in nessun Paese del mondo, nep-pure negli Stati Uniti, dove lo Stato deve dare contributi, per-ché si tratta di un servizio pubblico. Se la TAV volesseguadagnare, dovrebbe far pagare i biglietti a prezzi elevatis-simi, e nessuno prenderebbe più questi treni, destinati a restarevuoti, anche perché i ricchissimi hanno l’aereo personale. Ildocumento dice che “l’indebitamento assunto dalla TAV dovràprevedere mediamente tassi di interesse in linea con quelli nelpari periodo applicati allo Stato Italiano”. Tale documento nonè scritto troppo bene, ma ritengo di aver capito che cosa vuolsignificare: ossia che chi farà i prestiti alla TAV non potrà chie-dere interessi maggiori a quelli dello Stato. Non so se vi sianobanche disposte a chiedere interessi bassi, anche perché l’im-presa è molto discutibile, e non vorrei che Necci trovasse uncavillo per interpretare diversamente il testo. Resta comunquefermo che i cosiddetti privati non pagano nulla e che la TAV(ossia Necci, che controlla il Presidente della Società, come ilsettantaquattrenne Presidente delle Ferrovie spa) dovrà chie-dere prestiti. Non ne avrebbe bisogno, se i cosiddetti privatisborsassero il denaro. La delibera dice che le tariffe dovrannoessere stabilite in base ai proventi del traffico in modo che siaprodotto un reddito sufficiente almeno a coprire il servizio deldebito direttamente o indirettamente a carico dello Stato. Misembra di essere nel mondo delle nuvole! Prima infatti si do-vrebbero costruire le linee ad Alta velocità (con tutti i costo-sissimi annessi), e poi successivamente la TAV dovrebbemettere tariffe tali da coprire il servizio del debito dello Stato.Questo è impossibilissimo. Quando io sarò morto e tu, Necci,Tesini e Barucci sarete vecchi, colui che presiederà al momento

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nistero senza conoscere i problemi, si è fatto convincere dalCapo di Gabinetto Rossi Brigante (un uomo che aveva fatto ilCapo di Gabinetto con il Ministro Prandini, del quale tuttisanno le vicende per l’ANAS ed altro). Questo Rossi Brigante,che mi sembra continui a rimanere al suo posto malgrado idubbi avanzati dalla magistratura sul suo operato ai LL.PP.,non ha tardato affatto ad accordarsi con Necci per l’Alta velo-cità. Comincio col dirti che non è in nessuna maniera accetta-bile la tesi che l’Alta velocità sarebbe “un sostegno allosviluppo e all’occupazione” nonché “uno strumento utilizza-bile per ridare ossigeno all’industria nazionale”. Se si tratta diaiutare la FIAT, l’IRI e l’ENI – che sono i general contractor –per fare guadagnare ad essi qualcosa, può esser compreso daalcuno, ma non da me. L’industria non si sviluppa con questilavori di costruzione, ma con imprese destinate a durare. D’al-tro lato, dieci o quindicimila persone eventualmente impegnateper alcuni anni nei lavori dell’Alta velocità sono ben piccolacosa sul fronte dell’occupazione. Senza contare che altri lavori,intesi a mettere a posto tante linee ferroviarie in pessime con-dizioni già esistenti, darebbero almeno lo stesso risultato.

Si dice che la TAV, inventata da Necci, avrebbe il pregio dicoinvolgere i privati nella Società. Questo è assurdo, perché ioho l’elenco nominativo degli Enti o Società che dovrebberosottoscrivere una parte delle azioni, ma questi sono quasi tuttipubblici, a partire dalla Banca Commerciale, dal Credito Ita-liano, dalla Banca Nazionale del Lavoro, dalla Banca delle Co-municazioni. Il cosiddetto capitale privato non arriva nemmenoal 10%, e dubito molto che venga immediatamente sottoscrittocon effettiva disponibilità di denaro. Ho visto che tra i privatici sarebbe la Fondiaria. Ma non credo che il Gruppo Ferruzzi,il quale oggi la controlla, sia in grado o comunque sia dispostoa sborsare denari. La verità è che questa è solo una montaturadi Necci per convincere il governo di una “grande novità”, chein realtà non esiste. Tutto sarà pagato dal Tesoro dello Stato,se l’operazione si dovesse fare.

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intervenire, se non per sborsare quattrini e il solito Necci, cheregala prebende a tutti – compresa la Susanna Agnelli, la qualericeve 400 milioni all’anno - disporrà di soldi del tesoro perfare tutto quello che vuole. Ne avrete voi la responsabilità; edovete pensar bene prima di dare il via a questa impresa, men-tre gran parte delle ferrovie esistenti sono allo sfascio. Cordialisaluti. Tuo Aff.mo Luigi Preti».

Le osservazioni di Preti sulla delibera mostravano una cono-scenza di quel Progetto decisamente superiore a quella dei mini-stri competenti, che la storia confermerà in tutta la loro evidenza.

Il silenzio della politica e l’inquinamento della magistra-tura

Lo sperpero di denaro pubblico che Luigi Preti denunciavacon quelle lettere si è rivelato di gran lunga superiore alle cifregià allarmanti previste. Da un costo di 30 mila miliardi di vec-chie lire siamo arrivati ad oltre 90 miliardi di euro, 180 milamiliardi di vecchie lire. Da un costo medio a chilometro per ilquale i ministri competenti avevano deliberato l’allineamentocon il costo medio di altre analoghe infrastrutture europee,siamo ad un costo almeno cinque volte maggiore sia di quellespagnole che di quelle francesi.

Per circa quindici anni, Luigi Preti ha scritto lettere che sonoarrivate senza alcuna esagerazione su centinaia di tavoli, quellidi tutti i presidenti del Consiglio, di decine di ministri, di moltideputati e senatori di cinque legislature. Nel ricordo della suasegretaria particolare, che lo ha assistito dal 1947 fino agli ul-timi giorni prima della sua scomparsa, proprio questa lunga esolitaria battaglia di Luigi Preti è il periodo che riaffiora conmaggiore tristezza e sofferenza. Dopo la sua morte i faldonidel suo archivio che per anni hanno accumulato quelle missivesono finiti nella biblioteca del Senato, chiusi in qualche polve-

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la TAV dirà che non è umanamente possibile fare ciò che il do-cumento prevede. Così come io ho sempre detto, pagherà tuttolo Stato dei nostri figli e nipoti.

Nel documento si dice che il prezzo forfettario per le nuovetratte non potrà in nessun modo cambiare e i general contrctorsdovranno consegnare “chiavi in mano” nei tempi previsti. Sonomatematicamente sicuro che i general contractor troveranno ilmodo di farsi pagare di più, indipendentemente dalla scusadegli scavi archeologici. Poiché l’ENI e l’IRI in quel momentoavranno verosimilmente cessato di esistere, coloro che succe-deranno porranno il problema della maggiorazione delle spese.Per quanto poi riguarda la FIAT, sappiamo benissimo che essasa facilmente risolvere questi ed altri problemi e lo Stato è sem-pre verso di essa molto comprensivo. La delibera dice che i ge-neral contractor dovranno “prestare fideiussione pari al 20%delle opere da realizzare, maggiorata dell’importo di eventualianticipi”. È chiaro che la fideiussione dell’IRI e dell’ENI fa ri-dere: sarebbe lo Stato a fare la fideiussione a sé stesso. Allafine il documento dice che “il costo delle singole tratte dovràrisultare allineato al costo medio di opere ad alta Velocità” dialtri Paesi europei. Se si tratta della Spagna, le spese sono stateiperboliche (a parte le tremende tangenti, su cui stanno inda-gando i giudici spagnoli) e l’Alta velocità tra Madrid e Sivigliasi è rivelata un enorme fiasco dal punto di vista sia economicosia gestionale. In Francia le cose vanno un po’ meglio, mal’orografia francese non ha nulla a che fare con quella dellalunghissima, stretta e montuosa Italia.

Per concludere ricordo che nel documento si dice che “le sin-gole operazioni finanziarie della TAV saranno approvate dalleFerrovie dello Stato Spa con apposita delibera del Consiglio diAmministrazione”. Questo significa che decide tutto Necci,perché il Consiglio di Amministrazione sarà manovrato da lui,il Presidente settantaquattrenne è solo una “lustra” e non com-batte più nessuna battaglia, e il presidente della TAV non potrànon essere d’accordo con Necci. In sostanza lo Stato non potrà

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vestigare sulle cause e gli effetti di questo meccanismo, chetende a trasformare lo Stato in semplice mallevadore di obbli-gazioni e comportamenti autocraticamente adottati dalle pro-prie società». La Corte però si ferma qui. Alle accuse, diirresponsabilità all’indirizzo dei manager delle SpA pubblichee di omissione nei confronti della burocrazia di Stato, non faseguire alcun provvedimento nei confronti degli accusati, evi-tando persino di farne i nomi e i cognomi.

La Corte dei conti comunque ci attesta che, in oltre quindicianni, una truffa evidente, fondata su di una pura e semplicebugia, non è stata riconosciuta come tale da decine di ministriche si sono succeduti sulle poltrone dei dicasteri competenti,da interi parlamenti di diverse legislature, da autorevoli organied autorità dello Stato.

La ricostruzione di questa storia dunque è fondamentaleanche per capire il perché di un Paese che riesce a non vedereuna truffa di dimensioni colossali, che resta silente quando que-sta viene certificata da leggi ed organi dello Stato e che lasciain libertà i mariuoli che l’hanno ordita o consentita o favoritao tollerata o anche solo colpevolmente ignorata.

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roso ripostiglio. Chissà se un giorno saranno catalogate e resedisponibili, o fatte sparire per sempre.

Se quelle lettere avessero ricevuto l’attenzione che merita-vano ci saremmo anche risparmiati l’onere del comma 966della finanziaria del 2007 e la lettura della relazione della Cortedei Conti, depositata l’11 dicembre 2008, specificatamente de-dicata ai “debiti accollati al bilancio dello Stato contratti daFF.SS., RFI, TAV e ISPA per le infrastrutture ferroviarie e perla realizzazione del sistema Alta velocità” . Una relazione che,con linguaggio più forbito, nulla aggiunge alle lettere di LuigiPreti. Scrive la Corte dei conti: «In buona sostanza l’uso deldebito pubblico abbondantemente praticato da FF.SS., anchein periodi storici talvolta già lontani nel tempo, e poi scaricatosull’Erario viene trasmesso a generazioni future, senza che siadata alcuna prova che le stesse possano in qualche in modo av-vantaggiarsene: non esiste infatti alcuna relazione o documen-tazione, negli atti a supporto dell’accollo del debito, dalla qualesi evinca che allo stesso siano correlati beni pubblici ancoraproduttivi al momento in cui tale debito finirà di essere pagato.Anzi, le modalità anodine con cui questi debiti vengono assuntilascia intendere che gli effetti sulla distribuzione intergenera-zionale delle risorse non siano stati in alcun modo tenuti pre-senti e neppure calcolati in astratto».

Preti metteva in evidenza il rischio della truffa nel 1993, laCorte dei conti ne attesta la realizzazione nel 2008, ben 15 annidopo. La Corte si esprime pure con pesantissime accuse di re-sponsabilità sia nei confronti del management delle FS, di RFIe di TAV, sia nei confronti di chi avrebbe dovuto vigilare sullaattività di società con il cento per cento di capitale pubblico:«Il Ministero dell’economia e delle finanze e la Cassa Depositie Prestiti (per la parte di propria competenza nella veste di sog-getto incorporante ISPA) non sono stati in grado di rispondereai quesiti istruttori illustrati: la posizione dei funzionari prepostiai competenti uffici appare piuttosto impegnata a garantire lacopertura finanziaria e la puntualità dei pagamenti che ad in-

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BENIAMINO ANDREATTA E I LADRI DI VERITÀ

La coincidenza vergognosa

Nel 1998 avevo inviato ad Andreatta il mio libro in cui rife-rivo anche delle sue posizioni sul progetto per l’Alta velocità,e spiegavo le ragioni della sua inaspettata nomina a ministroper gli Affari Esteri nel governo Ciampi. Mi ero ripromesso diapprofondire quella vicenda, di trovare puntuali confermeanche dalla sua diretta testimonianza: non ne ebbi il tempo el’opportunità. “Il 15 dicembre del 1999, nel corso di una sedutaparlamentare per il voto della Legge Finanziaria, ebbe un gravemalore e finì in coma profondo in seguito ad un infarto e alleconseguenze di un’ischemia cerebrale. Venne trasferito d’ur-genza all’ospedale San Giacomo di Roma, dopo aver ricevutoi primi soccorsi in aula da parte del medico della Camera e deideputati Pino Petrella e Pierluigi Petrini rispettivamente me-dico ed anestesista. Nonostante i pronti soccorsi, prima di es-sere rianimato Andreatta rimase in stato di sofferenza cerebraleda ipossia per venti minuti, riportandone danni permanenti. Ibollettini medici dichiararono da subito che il ministro si tro-vava in "condizione critica", e venne dichiarato il coma pro-fondo. Il 1 gennaio 2000 venne trasferito a bordo di un mezzodi trasporto militare dal San Giacomo all’ospedale Sant’Orsoladi Bologna. Andreatta rimase fino alla morte in uno stato ve-getativo, spegnendosi dopo più di sette anni di stato comatosoil 26 marzo 2007”.1

La notizia, sulla stampa, dell’epilogo del lungo e tragicocoma è stata accompagnata da una cinica coincidenza. Quellostesso giorno le grandi imprese cooptate nell’affare TAV ac-quistavano un’intera pagina sui tre maggiori quotidiani nazio-nali per pubblicare una “lettera aperta ai cittadini per un

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tando persino di farne i nomi e i cognomi. La Corte dei conti comunque ci attesta che, in oltre quindici

anni, una truffa evidente, fondata su di una pura e semplicebugia, non è stata riconosciuta come tale da decine di ministriche si sono succeduti sulle poltrone dei dicasteri competenti,da interi parlamenti di diverse legislature, da autorevoli organied autorità dello Stato.

La ricostruzione di questa storia dunque è fondamentaleanche per capire il perché di un Paese che riesce a non vedereuna truffa di dimensioni colossali, che resta silente quando que-sta viene certificata da leggi ed organi dello Stato e che lasciain libertà i mariuoli che l’hanno ordita o consentita o favoritao tollerata o anche solo colpevolmente ignorata.

1. Voce “Beniamino Andreatta”, su enciclopedia telematica Wikipedia.it.

di persone e merci e a forte interazione con la rete tradizionale(Alta Capacità-AC)». In quattro righe, apparentemente neu-trali, poste in apertura quasi come semplice premessa, vieneinvece offerta una ricostruzione della nascita del Progetto incui date, motivi e obbiettivi sono semplicemente inventati,privi di qualsiasi riscontro oggettivo. Assolutamente falso il ri-chiamo al consenso politico unanime.

Il Progetto, quel Progetto di AV, prende avvio in realtà a metàdegli anni ‘80, mentre proprio agli inizi degli anni ‘90, dopogli scandali che avevano investito le FS, rischiava di essere let-teralmente cancellato. Nel 1989, proprio il commissario stra-ordinario, nominato dal Governo per rimettere ordine nei contidelle Ferrovie dello Stato, aveva liquidato quel Progetto conuna affermazione secca: « Se uno ha una Cinquecento che nonfunziona, non può pensare di risolvere il problema compran-dosi una Ferrari». Ancora nel 1992 il ministro del Bilancio incarica Franco Reviglio riprende la metafora e definisce quelprogetto come “un motore da fuoriserie montato su un’utilita-ria”. La metafora sintetizzava in maniera efficace il parere degliesperti di trasporti più autorevoli dell’epoca e quello della stra-grande maggioranza dei tecnici delle FS non compromessi conla lobby del “ferro e cemento”.

Gli autori di quella pagina confidavano nel vizio della me-moria che da anni praticano le classi dirigenti del nostro Paese.Le rarissime eccezioni che si sottraggono a questo vizio tro-vano spazio solo quando accadono vicende clamorose. Una diqueste voci si è fatta sentire in occasione del tragico incidenteferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009: è stata quella diun economista liberale di grande spessore come il professorGiulio Sapelli. è stata l’unica voce che non ha partecipato alcoro autoassolutorio dei boiardi delle Ferrovie dello Stato e deiloro sponsor politici e affaristici. Ricordava delle semplici ve-rità: «Il terribile incidente del treno merci di Viareggio e le po-lemiche sui pendolari (...) impongono una riflessione sulmodello complessivo delle Ferrovie italiane. In particolare oc-

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giudizio informato sul decreto legge sulle cosiddette liberaliz-zazioni che ha disposto la revoca dei contratti TAV per le lineeMilano-Verona, Verona-Padova e Genova-Milano”. La letteraera in realtà un puro e semplice elenco di insulti, destinatari ilparlamento ed il governo nazionali, formulati con la facciatosta di chi, mentre spende di fatto soldi pubblici, non si peritatuttavia a fornire ai cittadini informazioni stravaganti quandonon palesemente false.

L’attacco nei confronti del governo era senza precedenti e siriferiva al Decreto Legge n.7 del 31.01.2007, la cosiddetta “len-zuolata” del ministro Bersani sulle liberalizzazioni, che, fra l’al-tro, disponeva la revoca dei contratti per la realizzazione delletratte di Alta velocità Genova-Milano, Milano-Verona e Verona-Padova. Il decreto non metteva in discussione la realizzazionedi quelle opere: imponeva semplicemente l’espletamento di ungara pubblica per l’affidamento della loro realizzazione e, a talfine, sanciva la revoca della concessione a TAV SpA e conse-guentemente azzerava i sottostanti contratti che la stessa TAVSpA aveva affidato ad altrettanti general contractor.

La pagina a pagamento, fatta uscire alla vigilia del voto perla conversione del decreto in legge, contestava l’articolo rela-tivo ai contratti TAV con termini forti e di aperta sfida. Definivaquell’articolo “illegittimo” e “arrogante” e contestava i motividel provvedimento con un titolo, “è falso”, ripetuto per benquattro volte. Insieme agli insulti, un terzo di pagina era occu-pato da un box con il quale si dichiarava di voler garantire la“lnformazione ai cittadini sul progetto, avanzamenti, statodell’arte del sistema italiano di AV/AC ferroviaria”. Un vero eproprio capolavoro di ipocrisia.

La presunta informazione ai cittadini iniziava così: «Perun’Italia più coesa, efficiente e competitiva, agli inizi degli anni‘90 il governo decideva, con consenso politico unanime, di do-tare il paese di oltre 1000 chilometri di nuove linee ferroviariead alta tecnologia da Torino a Venezia, da Genova a Milano eda Milano a Napoli, per il trasporto veloce (Alta velocità-AV)

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grado di regolazione, insensibilità per i bisogni della gente nor-male. Occorre cambiare una strategia che si è rilevata fallimen-tare e rimettere al centro quella ferrovia leggera e verde, chepuò scorrere per tutto il Paese, così come aveva sognato a suotempo, prima di essere cacciato dagli oligopoli e dai politici,Mario Schimberni».3

Prima di quell’incarico Schimberni era stato ai vertici dellaMontedison, della quale era diventato presidente nel 1980 pergovernare il dopo della gestione di Eugenio Cefis, figura con-troversa, prototipo di quella che venne definita la borghesia diStato. Non aveva solo governato brillantemente il dopo-Cefis:aveva allargato la presenza della Montedison arrivando a sca-lare, alla luce del sole, importanti centri di comando di gruppiindustrial-finanziari. La sua avventura in Montedison si con-cluse quando la sua idea strategica di fare del colosso chimicoitaliano una grande pubblic company si scontra con i disegniautarchici del cosiddetto salotto buono dell’alta finanza e delsuo deus ex machina Enrico Cuccia. Già nell’estate del 1986Schimberni aveva conquistato il 37% della compagnia assicu-rativa La Fondiaria, il fiore all’occhiello di Mediobanca, pro-vocando però anche le ire dell’avvocato Agnelli. Con l’uscitadi scena di Schimberni, costretto a lasciare il campo, la Mon-tedison, con dietro il gruppo Ferruzzi, gioca con l’ENI la partitadelle tre carte della società EniMont che si conclude con la co-struzione di quella che Mani pulite ha archiviato come la“madre di tutte le tangenti”.

Dopo lo scandalo delle “lenzuola d’oro”, Schimberni è il tec-nico ideale per ridare credibilità all’Ente Nazionale delle Fer-rovie dello Stato. Il lavoro di risanamento viene subito avviato.Per circa un anno riesce a lavorare senza condizionamenti po-litico-affaristici, chiude il rubinetto degli investimenti inutili,blocca il progetto dell’Alta velocità con la storica metafora

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corre andare alle radici del tema sicurezza e, per quanto ri-guarda i passeggeri, riconoscere che le Ferrovie dello Stato nonriescono a risolvere il problema. Anzi, si deve con coraggiodire che negli ultimi anni esso non solo si è aggravato, ma haanche provocato una sorta di divisione sociale e morale e cul-turale tra italiani di serie A e italiani di serie B: ossia quelli chepossono spostarsi – per reddito e per comodità di vita – con lacosiddetta Alta velocità e coloro che invece debbono ricorrereai più modesti e troppo spesso sporchi e inefficienti treni perpendolari.» 2

Proprio così: questa cosiddetta Alta velocità è all’origine deldegrado sociale e morale e culturale del sistema della mobilitàsu ferro di persone e merci, e comincia in un preciso momento:«Mi viene sempre più alla mente il monito che Mario Schim-berni affidò alla memoria storica di questo paese allorché, no-minato commissario prima, e amministratore delegato poi,delle ferrovie nel 1988, si convinse che occorreva abbandonareil progetto dell’Alta velocità - che risale a quel tempo - per in-sistere, invece, su un progetto di riqualificazione dell’interarete ferroviaria, trasformando i cosiddetti rami secchi in verdirami di un albero che doveva coprire con la sua ombra tutto ilterritorio nazionale. Dopo un breve intervallo politico in cui fulasciato lavorare, Schimberni fu costretto, dietro il paraventodel cosiddetto primato della politica, ad abbandonare l’incaricoe a dimettersi. Quel primato, nascondeva come sempre, in ve-rità, corposi interessi di lobby oligopolistiche che si pensavanotraditi dal piano del grande manager. Visione, peraltro, assaimiope, dato che, invece, con esso avrebbero potuto unirsi pro-fitti e responsabilità sociale. Nasceva, così, la faraonica ferro-via italiana che ha socialmente diviso in due l’Italia e haemarginato il popolo laborioso (...). Monopolio, errate strategiemanageriali, frettolose forme di liberalizzazione a bassissimo

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2. Giulio Sapelli, “Ferrovie, modello da ripensare”, Corriere-Economia delCorriere della Sera, 6 luglio 2009.

3. Giulio Sapelli, “Ferrovie, modello da ripensare”, Corriere-Economia del

Corriere della Sera, 6 luglio 2009.

concepito come “un sistema sostanzialmente indipendente dalresto della rete per consentire collegamenti veloci tra le prin-cipali città di Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma e Na-poli”, lo dice testualmente persino Mauro Moretti, nella suaveste di amministratore delegato di FS SpA, nel marzo del2007, davanti ai membri dall’Ottava Commissione del Senato.La stessa TAV SpA, cinque anni prima, nel 2002, con un dé-pliant patinato e pagine multicolori raccontava che “nel 1997-98 il programma Alta velocità ha subito una radicale revisione,che ha avuto il suo elemento più visibile nel cambio dellostesso nome: da Alta velocità ad Alta Capacità”.

Ancora Moretti, sempre di fronte ai senatori, per rivendicaredei presunti meriti, aggiunge che il progetto “..è stato succes-sivamente trasformato in un sistema integrato tra una nuovarete di elevate prestazioni e la corrispondente rete esistente,così da costituire un vero e proprio quadruplicamento merci epasseggeri”.

Il balletto delle definizioni, dall’Alta velocità al Quadrupli-camento veloce fino all’Alta capacità, non può però occultarela realtà dei fatti. Il progetto contrattualizzato nel 1991, sia peri tracciati delle tratte ferroviarie, sia per il sistema di alimenta-zione dei treni ad Alta velocità, è rimasto uguale a se stessocon tutti i limiti e le conseguenze di scelte tecniche sbagliate.

Beniamino Andreatta e il Progetto TAV

Nel dicembre del 1992, l’anno della esplosione di Tangento-poli, il parlamento era chiamato ad approvare una Finanziariache risulterà la più pesante mai varata, novantamila miliardidelle vecchie lire. Quella storica manovra economica ha potutovedere la luce grazie soprattutto a Beniamino Andreatta, nonsolo per le sue competenze ma anche per il fatto che egli rive-stiva il ruolo di responsabile economico della Democrazia Cri-

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della Cinquecento e della Ferrari. Metafora che, a ben vedere,non era del tutto casuale, visto che il capo della lobby di quelProgetto di Alta velocità era il suo ormai acerrimo nemico Gio-vanni Agnelli.

La crisi politica determinata dallo scandalo delle “lenzuolad’oro” nel frattempo era stata risolta ed aveva portato alla for-mazione del sesto governo Andreotti, figlio dell’ultimo pattoconsociativo della “prima repubblica”, quello del CAF (dalleiniziali dei protagonisti, Craxi, Andreotti, Forlani). Sulla pol-trona del ministero dei Trasporti era arrivato Gianni Prandini,entrato subito in aperto conflitto con le decisioni di Schim-berni, mentre su quella del ministero del Bilancio sedeva PaoloCirino Pomicino, subito in azione come regista e come veroinventore di quella che sarà la nuova architettura finanziariadel Progetto TAV. Il braccio di ferro durerà qualche mese, maalla fine la avranno vinta i ministri. Prandini e Pomicino, otte-nute le dimissioni di Schimberni, possono finalmente nominareun boiardo di Stato più malleabile e che, come gli stessi mini-stri, garantisse la frequentazione della Tangentopoli che solodi lì a poco sarebbe stata scoperchiata da Mani pulite.

Secondo gli autori della pagina pubblicata il giorno dellamorte di Andreatta, questo era il “consenso politico unanime”con il quale “agli inizi degli anni ‘90” si è dato avvio ad unprogetto “per un’Italia più coesa, efficiente e competitiva”:esempio eloquente di storia ad uso e consumo di un Paese conla memoria corta, raccontata da ladri di verità che, per perse-guire il loro esclusivo interesse, non disdegnano di mentireanche sui dati strettamente tecnici. Quel Progetto TAV, comeera ed è l’Alta velocità francese dalla quale traeva ispirazione,concepito e progettato per il trasporto passeggeri con linee de-dicate e indipendenti da quelle tradizionali, diventa, nella vul-gata dei lobbisti, “un progetto con linee ferroviarie (...) per iltrasporto veloce di persone e merci e a forte interazione con larete tradizionale”.

Che quel Progetto agli inizi degli anni Novanta fosse stato

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della rete esorbitanti rispetto all’incremento effettivo di velocità(...). Le vere priorità dovrebbero essere l’universalità contro laspecializzazione, l’integrazione contro la separatezza e l’utilizzodella linea esistente anziché la costruzione di una integralmentenuova».5 Proprio questo documento dei parlamentari della DCconteneva le critiche e le osservazioni tecnicamente più puntualie documentate, e che contestavano alla radice proprio la sceltadel modello francese di Alta velocità.

Nel frattempo, sotto l’incalzare delle critiche, i ministri com-petenti per il contratto di programma con le FS, oltre ad alcunelimitazioni al progetto decidevano che la tratta ferroviaria fraMilano e Torino si sarebbe dovuta affidare con un gara interna-zionale. La reazione del capofila della lobby del “ferro e ce-mento” non si fece attendere: «Martedì 2 febbraio. Più di 20minuti di telefonata. Da una parte del filo Giovanni Agnelli,dall’altra Giuliano Amato. Tema: l’Alta velocità. Contenuto: se-greto, ma ricostruibile. Oggetto: la Milano-Torino. La tratta delpercorso che sta viaggiando a passi da gigante verso la gara d’ap-palto internazionale. Ma che, con un ennesimo colpo di scena,potrebbe tornare presto alla sua vecchia destinazione. Cioè laFiat, il general contractor che dall’ottobre del 1991 sta lavorandoalla progettazione del percorso. Per il gruppo torinese la gara in-ternazionale significa rischiare di perdere una commessa di oltre3.000 miliardi. Per questo le armi non sono state ancora deposte,nonostante la decisa posizione del ministro dei Trasporti, Gian-carlo Tesini, e l’appoggio del responsabile economico della DC,Beniamino Andreatta, primo sostenitore dell’apertura della garaalle altre nazioni della CEE».6 In realtà il contratto firmato unanno prima aveva un valore di 2.100 miliardi di vecchie lire, mail firmatario Cesare Romiti, all’epoca amministratore delegatodi FIAT SpA, sapeva benissimo che la gallina dalle uova d’oroavrebbe fruttato molto di più: lieviterà negli anni fino al 2010

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stiana, il partito che garantiva circa il 70% dei voti della mag-gioranza parlamentare.

Fino a quel momento il parlamento non aveva mai approvatoo discusso quel Progetto di Alta velocità. Nelle Commissioniparlamentari si era solo espresso un parere non vincolante sul“contratto di programma” sottoscritto il 23 gennaio del 1991dai ministri dei Trasporti, del Bilancio e del Tesoro con l’EnteNazionale delle FFSS.

Proprio in occasione di quella storica legge finanziaria, il re-sponsabile economico della DC presentò un ordine del giorno,approvato con voto quasi unanime della Camera dei deputati:si chiedeva la revisione radicale di quel Progetto. Con quel-l’ordine del giorno si riaffacciava minaccioso lo spettro diSchimberni, mettendo a rischio i contratti che TAV SpA avevada poco firmato con FIAT SpA e tutte le maggiori imprese na-zionali delle costruzioni. Il clima, nelle cronache dell’epoca,era esattamente questo: «Prima erano solo i Verdi e qualchevoce isolata tra i “cartesiani” delle politiche di bilancio comeNino Andreatta. Poi, a poco a poco il carro degli oppositori hapreso a riempirsi di gente. L’ultimo esempio è quello delle mo-zioni parlamentari che propongono di rimettere in discussione,più o meno radicalmente, tutto il discorso dell’Alta velocità eche hanno trovato sostenitori un po’ in tutti i partiti».4

Contro quel Progetto prende posizione anche un gruppo di par-lamentari della Democrazia Cristiana, e fra questi vi era persinoil futuro governatore della Lombardia: «Contro l’Alta velocitàferroviaria arriva un’altra bordata che porta la firma di dieci par-lamentari dc, tra cui Vittorio Sbardella e Roberto Formigoni. Inuna lunga lettera “agli onorevoli colleghi”, i parlamentari met-tono sotto accusa il sistema Alta velocità sia nella componenteprogettuale sia in quella finanziaria. Diversi i capi d’accusa: pre-visioni “irrealistiche” della domanda, costi di velocizzazione

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4. “Acrobazia in alta velocità”, su Affari-Finanza de la Repubblica, 29 gennaio1993.

5. “Alta velocità, il no dei deputati dc”, Corriere della Sera, 29 gennaio 1993.6. “Ora siamo fermi, ma ripartiamo”, Mondo Economico, 20 febbraio 1993.

di un incarico alla società di revisione internazionale “Coopers& Lybrand” per la verifica sui costi e la costruzione finanziariadi quel Progetto; con la stessa delibera ne viene decisa la tra-smissione al Consiglio di Stato e all’Autorità per la concor-renza, con la richiesta di parere sulla legittimità dei contrattistipulati dalle FS e da TAV. Era un colpo micidiale per l’affaredel secolo ma, in un paese affetto dal vizio della memoria, nullapuò essere dato per scontato.

Il governo Amato chiuse i battenti il 28 aprile del 1993. Ilnuovo governo tecnico di transizione era diventato l’ultimaspiaggia della lobby del grande affare, un’occasione semplice-mente immancabile. Non verrà mancata: anzi, paradossalmente,proprio quel governo di garanzia per l’uscita da Tangentopoligarantirà invece la partenza del grande affare e creerà le condi-zioni per il rilancio in grande stile di una nuova Tangentopoli.

Le iniziative promosse dal ministro del Bilancio BeniaminoAndreatta saranno ostacolate o ignorate dai ministri che segui-ranno, mentre compiacenti boiardi di Stato, collusi o pressatidalla lobby del grande affare, garantiranno pareri che avrebberofatto impallidire Ponzio Pilato.

I pareri pilateschi

Il parere del Consiglio di Stato venne pronunciato dalla PrimaSezione il primo ottobre del 1993 con una relazione che pre-mette, per far velo alla sua inconsistenza, che «il parere pre-scinde da qualsiasi valutazione globale circa la complessaoperazione posta in essere». La scarna relazione glissa total-mente sulla questione fondamentale dei finanziamenti privati. Ilmillantato finanziamento da parte dei privati viene puramente esemplicemente ignorato. A base del parere di legittimità dei con-tratti ultra miliardari, il Consiglio di Stato pone questo unico efondamentale pilastro: «la circostanza che la TAV è partecipata

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arrivando al valore di 16.000 miliardi di vecchie lire e con i contiancora non definitivi.

Questo dunque il consenso politico unanime millantato dailobbisti! Alle loro facce di bronzo non era bastata la pressioneche, sempre agli inizi degli anni ‘90, avevano esercitato suipartiti dell’epoca per impedire che Andreatta si occupasse dellebugie che alimentavano i loro affari con quel Progetto.

Sull’onda dello scandalo di Tangentopoli, il 5 aprile del 1993,i “referendum Segni” raccolgono una valanga di SÌ. Il GovernoAmato, già falcidiato dagli avvisi di garanzia, venne sostituitoin pochi giorni da un “governo tecnico”, con l’incarico di primoministro affidato al Governatore della Banca d’Italia Carlo Aze-glio Ciampi. è in questa occasione che l’esercito dell’Alta velo-cità dispiega tutte le sue truppe per archiviare la battuta d’arrestodeterminata dall’ordine del giorno approvato dal Parlamento eche, fra il dicembre ‘92 e l’aprile del ‘93, aveva determinato unavera e propria guerra dagli esiti tutt’altro che scontati.

Nei giorni successivi alla telefonata dell’Avvocato, il governoAmato viene decimato da Mani pulite: era ancora l’epoca in cuil’avviso di garanzia determinava le dimissioni del politico avvi-sato dell’indagine a suo carico. Il 10 febbraio si dimette ClaudioMartelli dalla poltrona di ministro della Giustizia, il 19 GiovanniGoria da quella di ministro delle Finanze, il 21 è la volta di Fran-cesco De Lorenzo dalla Sanità. Nell’inevitabile rimpasto, Amatoforse coglie al volo l’occasione per soddisfare la più o menoesplicita richiesta dell’Avvocato di rimuovere dal ministero delBilancio l’indigesto Franco Reviglio: viene spostato al dicasterodelle Finanze. Al Bilancio però, dovendo rimanere in quota DC,andrà l’unico nome pulito e competente disponibile. Nel totalesconcerto della lobby dell’Alta velocità, venne nominato Benia-mino Andreatta.

Il ministro del Bilancio, il 3 marzo 1993, a pochi giorni dalsuo insediamento, convoca i ministri con competenza sul con-tratto di programma di FS e con firma sua e quella dei ministridei Trasporti Tesini e del Tesoro Barucci delibera l’affidamento

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dal citato regolamento per l’attività negoziale dell’Ente Ferro-vie dello Stato n. 69T/1987 non sembrano essere stati piena-mente soddisfatti. Peraltro, eventuali carenze sotto profilidiversi da quello della concorrenza potranno, certamente, es-sere oggetto di esame delle competenti autorità giurisdizionali,amministrative e contabili, alle quali questo provvedimentoverrà trasmesso». La delibera per lo sviluppo della fase istrut-toria, dieci scarne righe, che ignorava totalmente il contenutodella relazione, venne approvata a maggioranza con tre voti afavore; due i voti contrari e uno di questi, caso più unico cheraro, fu quello del relatore Fabio Gobbo.

La conclusione dell’istruttoria e la formulazione del pareredefinitivo si ebbe molto più tardi, quando ormai la lobby avevariconquistato il controllo dei centri topici di loro interesse. L’in-dagine venne chiusa definitivamente il 10 gennaio del 1996con una delibera ancora più pilatesca della precedente: «Tuttociò premesso e considerato; delibera la chiusura dell’indagineconoscitiva di natura generale nel settore delle infrastruttureper il servizio di trasporto ferroviario ad Alta velocità. Firmato,il Presidente». Nulla di più, nessun provvedimento, nessunaraccomandazione: tutto va bene madama la marchesa.

La transizione alla nuova Tangentopoli

Nella formazione del governo Ciampi, per il ministero deiTrasporti, il veto lobbista su Tesini, che aveva avuto solo la de-bolezza di ubbidire alle indicazioni del responsabile economicodel suo partito, era semplice e scontato. Tesini scompare dallacompagine governativa. La FIAT, in quel ministero chiave, ne-cessitava delle massime garanzie, e dunque ai Trasporti venneimposto un torinese doc, il liberale Raffaele Costa, che, ovvia-mente, lavorerà per riattivare il Progetto e far dimenticare in-carichi e pareri scomodi. Costa era perfettamente a conoscenza

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maggioritariamente da privati (40% Ente FF.SS. e 60% privati)e che, quindi, non è autorità pubblica, né è una impresa pubblica,ai sensi dell’art. 1 e 2 della direttiva n. 90/531».

Alla data della firma del parere, con una semplice visura ca-merale, la Prima Sezione avrebbe potuto avere contezza non solodel fatto che TAV SpA era partecipata al 45% (e non al 40%) daFS ma anche del fatto che la Banca Nazionale delle Comunica-zioni (al momento al 100% di FS) aveva una quota del 5,5%, edunque la maggioranza non solo era pubblica ma era addiritturain capo alle sole Ferrovie dello Stato. Non solo, la stragrandemaggioranza dei cosiddetti privati che avevano sottoscritto il ca-pitale sociale erano quasi tutti istituti bancari pubblici, e in quelmomento il capitale effettivamente versato - sui 100 miliardi divecchie lire sottoscritti - risultava essere di 51 miliardi e 100 mi-lioni, tutti versati dall’Ente Statale delle Ferrovie.

Il pilastro che reggeva il parere di legittimità del Consigliodi Stato era dunque una pura e semplice bugia: la TAV SpA,proprio ai sensi della direttiva europea richiamata dal Consigliodi Stato, era a tutti gli effetti una autorità pubblica. Per la cro-naca è bene ricordare che a presiedere quella Sezione era il pre-sidente del Consiglio di Stato Giorgio Crisci il quale, un annodopo aver firmato quel parere pilatesco all’ennesima potenza,lasciava la presidenza del Consiglio di Stato ed assumevaquella di Presidente della neonata società FS SpA.

L’Antitrust impiegò quasi un anno solo per la fase istruttoria,conclusa il 21 febbraio del 1994. La relazione del commissarioFabio Gobbo, articolata su 59 punti, smontava e demoliva l’ar-chitettura finanziaria della Grande Opera e si concludeva conqueste note: « Appare indubbio, d’altro canto, che le procedureseguite per individuare i general contractor avrebbero potutocaratterizzarsi per un più elevato grado di trasparenza, non acaso, d’altronde, la direttiva CEE 90/531 impone che dal 1°gennaio 1993 i contratti di fornitura e di lavori conclusi da im-prese pubbliche nel settore dei trasporti devono essere oggettodi appalto. Gli stessi requisiti richiesti per la trattativa privata

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Ciampi in persona, seppe che il suo dicastero non sarebbe piùstato quello del Bilancio. I lobbisti per determinare le condi-zioni di questo cambiamento ricorsero all’abilità ed alla fanta-sia non comuni di un altro ex ministro del Bilancio, già cadutonella rete di Mani pulite ma ancora particolarmente attivo:Paolo Cirino Pomicino, il nume tutelare del modello TAV.

Il governo Ciampi era anche il primo della storia repubbli-cana che vedeva la presenza diretta al suo interno dei post-co-munisti del PDS: entreranno nella compagine governativaAugusto Barbera (Rapporti col parlamento), Giovanni Berlin-guer (Università e ricerca scientifica), Vincenzo Visco (Fi-nanze). La mossa vincente per impedire ad Andreatta di avereil Bilancio fu la proposta, fra i diversi tecnici cosiddetti indi-pendenti, di Luigi Spaventa, un economista già presente in quelministero nell’ultimo governo Andreotti, proprio nello staff delministro Pomicino. Prima della collaborazione come “tecnico”de “‘O Ministro” era stato deputato nella Settima (1976-1979)e Ottava (1979-1983) legislatura, eletto nelle liste del PCIcome indipendente. Nella discussione sulla proposta di Leggefinanziaria a “legislazione invariata” presentata nel dicembredel 1980 al Parlamento dal ministero del Tesoro diretto da Be-niamino Andreatta, fu proprio Luigi Spaventa a sferrare l’at-tacco più astioso dell’opposizione.

La proposta del nome di Luigi Spaventa, attribuita in quotaal PDS, fornì la chiave per sottrarre il ministero del Bilancioal professore bolognese. Ad Andreatta, sorpreso e contrariatosecondo i testimoni di allora, nello stupore generale, e con ilbrindisi dei generali del grande affare, venne affidato il mini-stero degli Affari Esteri.

L’ultimo brivido per la lobby, che era riuscita a collocare lepersone giuste in quella compagine governativa, si registrò tregiorni dopo il giuramento dei ministri davanti al presidentedella Repubblica. Il 29 aprile 1993 la Camera dei deputati èchiamata a votare sulla richiesta di autorizzazione a procederenei confronti di Bettino Craxi: la richiesta venne respinta con

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della grande truffa dell’Alta velocità e del forte coinvolgimentoin quell’affare della Fiat e della famiglia Agnelli. Era stato in-formato, con ben due lettere. «Sugli sperperi di Necci a suotempo io ho scritto al Ministro Costa, che si occupa di questecose, e Ti invio copia, se le vuoi leggere, delle due lettere»: cosìscriveva a Beniamimo Andreatta l’ex ministro dei Trasportinella sua lettera riservata e personale del 10 febbraio 1992; Pretinon ricevette alcuna risposta, ma è del tutto probabile che quellelettere dal tavolo di Raffaele Costa siano arrivate sul tavolo delpresidente o dell’amministratore delegato dell’amata e rispettataazienda nazionale di Torino.

Altro colpo vincente dei lobbisti viene assestato con la no-mina a ministro di Paolo Baratta che aveva, fin dall’inizio, par-tecipato alla costruzione dell’architettura finanziaria di quelProgetto. Baratta era in quel momento membro del Consigliodi amministrazione proprio della TAV SpA, dove sedeva findalla data di costituzione, il 21 luglio 1991. Nel CdA della so-cietà, garante della bugia del finanziamento privato, rappre-sentava i cosiddetti privati, e cioè istituti bancari di proprietàpubblica con vertici di nomina diretta o indiretta della partito-crazia. Era già stato presidente dell’ICIPU, il consorzio di cre-dito per le imprese pubbliche, presidente del Crediop, ilconsorzio di credito per le opere pubbliche, vice-presidente delNuovo Banco Ambrosiano e dell’Associazione Bancaria Ita-liana. Come tutti i grand commis di questo Stato occupato daipartiti, anch’egli è sempre al posto giusto al momento giusto.Nel 2007, guarda caso, sarà nominato nel Consiglio di ammi-nistrazione di FS SpA, la holding di controllo di tutte le societàdel gruppo, TAV SpA compresa.

Nella composizione del governo Ciampi, la conferma di Be-niamino Andreatta come ministro del Bilancio era ovvia escontata, e così fu, ma solo fino a qualche ora prima della con-segna della lista dei ministri al presidente della Repubblica.Solo la notte precedente la mattina della presentazione dei mi-nistri, Andreatta, con una telefonata imbarazzata di Azeglio

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Andreatta era stato ministro in tutti e cinque i governi che sisono succeduti dal maggio del 1979 al dicembre del 1982. L’ul-timo incarico ministeriale era stato quello del Tesoro nel go-verno Spadolini, e fu proprio una dura polemica di Andreattacon il socialista Rino Formica, passata alla storia come “litedelle comari”, che provocò la caduta di Spadolini e l’insedia-mento di un nuovo governo, senza il Professore, in questo e intutti i governi che seguiranno. Il veto socialista e degli accolitidella loggia di Licio Gelli su Beniamino Andreatta durerà pertutti gli anni ‘80 e fino all’esplosione di Tangentopoli. Fino al1993 non aveva più avuto alcun incarico di governo. è ritornatoa fare il ministro solo dopo che Mani pulite aveva quasi azzeratoil gruppo dirigente della Democrazia Cristiana, al Bilancio magiusto per qualche settimana: poco, troppo poco per demolireuna bugia che garantiva un esercito di interessi.

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il voto dei parlamentari della coalizione di governo, senza peròquello dei parlamentari del PDS. I ministri Barbera, Berlinguere Visco rassegnarono immediatamente le dimissioni. Il mini-stro del Bilancio, in quota PDS, nonostante le pressioni dellostesso partito rimase invece al suo posto. Il 4 maggio, i tre mi-nistri dimissionari vennero rimpiazzati, senza alcun altro spo-stamento. Luigi Spaventa, dalle cronache dell’epoca collocatofra i Pomicino-boys, rimaneva al Bilancio, mentre il più auto-revole economista del momento rimaneva agli Affari Esteri ela lobby dell’Alta velocità poteva finalmente dormire sonnitranquilli.

Anche l’ostacolo più duro di quella straordinaria mobilitazioneera superato. Con altri, i lobbisti avrebbero potuto anche tentareun abbordaggio diretto, ma la statura morale del personaggionon poteva non consigliare il ricorso a mezzi che solo il di-sprezzo per la dignità e la verità possono consentire.

Negli anni più critici della storia dell’Italia contemporanea,Andreatta non aveva avuto alcun timore a sancire la separazionedella Banca d’Italia dal ministero del Tesoro e quando, nel 1981,emerse lo scandalo della P2 fu inflessibile nel rimuovere i fun-zionari e i dirigenti che comparivano nella lista sequestrata aLicio Gelli. Con lo scandalo della banca vaticana dello IOR, diRoberto Calvi e Paul Marcinkus, Andreatta non esitò ad imporrelo scioglimento del Banco Ambrosiano e la sua liquidazione,ignorando le pressioni politiche e mediatiche che ne volevano ilsalvataggio con fondi pubblici. Andreatta stesso tenne uno sto-rico discorso in Parlamento riferendo pubblicamente delle re-sponsabilità della banca vaticana e dei suoi dirigenti.

Al suo rigore esemplare su quelle vicende inquietanti dellastoria repubblicana si associarono nello stesso periodo le ac-cese polemiche con gli alleati di governo socialisti: con GianniDe Michelis sulle partecipazioni statali, con Signorile sugli in-terventi straordinari nel Mezzogiorno e persino con BettinoCraxi che arrivò, bontà sua, ad accusare Andreatta di distrug-gere l’economia.

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LA VERA STORIA DELL’ALTA VELOCITÀ

La grande cerimonia

La storia dell’Alta velocità, nella versione dei ladri di verità,comincia agli inizi degli anni Novanta. Di vero c’è solo il fattoche il 7 agosto del 1991 il Commissario straordinario dell’Entenazionale delle Ferrovie dello Stato firma la delibera numero 971alla presenza, fra i molti altri, del ministro dei Trasporti, del pre-sidente dell’IRI, del presidente dell’ENI e dell’amministratoredelegato della FIAT SpA. Per l’occasione era stata convocata unaconferenza stampa per presentare in pompa magna la più grandeoperazione di project financing mai realizzata in Italia.

Con quella delibera veniva dato ufficialmente avvio alla rea-lizzazione del progetto TAV che, era scritto, aveva «(...) l’ob-biettivo strategico di dotare il Paese di una rete di collegamentiad Alta velocità, in generale su nuove linee da costruire a curadell’Ente Ferrovie dello Stato, in esse comprese, in via priori-taria, la Milano-Napoli e la Torino-Venezia e, ove ricorrano lecondizioni, la Genova-Milano». Di quel Progetto si parlava giàda diversi anni, ma in quella delibera – per la prima volta – sisanciva in modo perentorio una straordinaria novità: «il finan-ziamento degli investimenti sarà coperto con ricorso al capitaleprivato per una parte rilevante dello stesso, circa il 60% delcosto complessivo, restando a carico dello Stato la sola diffe-renza (circa il 40%) nonché l’onere per interessi durante la co-struzione e l’avviamento».

Il costo previsto era già in quel momento quello delle grandioccasioni e veniva quantificato con una cifra precisa, con lastima persino del costo dovuto all’inflazione: «il costo delleopere da realizzare, sulla base delle stime allo stato disponibili,è stato valutato, a valori correnti e ipotizzando un’inflazionedel 5% annuo, in circa lire 30.000 miliardi, per cui il contributodel 40% è stimabile in lire 12.000 miliardi».

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quella conferenza stampa, la differenza fra la disponibilità diFIAT, quale stazione appaltante, e quella di ENI ed IRI, di ga-ranzia ab externo, venne taciuta e le tre grandi aziende nazio-nali vennero indistintamente presentate come general con-tractor impegnati nella consegna “chiavi in mano” delle infra-strutture e come garanti dell’esecuzione con “prezzi chiusi” e“tempi certi”.

Oltre alla progettazione e costruzione delle infrastrutture,anche il presidio ed il controllo della esecuzione era vincolato:la delibera stabiliva «di riservare all’Ente FS la facoltà di affi-dare il presidio della area tecnologica, ingegneristica e siste-mica, nonché il controllo della fase esecutiva di realizzazionedel progetto ad una propria controllata, individuata nella so-cietà “Italferr -SIS.TAV S.p.A.”, con l’obbligo per la conces-sionaria di stipulare con detta società idonei accordi per ladefinizione dei reciproci obblighi e dei relativi aspetti econo-mici, da regolarsi secondo condizioni di mercato privato».

Il ruolo effettivo dunque che rimaneva in capo a TAV SpAera solo quello di gestire lo “sfruttamento economico”. In quelmomento, quell’oggetto insolito non trovava alcuna corrispon-denza nelle norme in vigore. Nelle direttive europee sugli ap-palti pubblici, e nel nostro ordinamento, era rintracciabile solouna definizione della “concessione” strettamente vincolata alla“gestione”, esattamente questa: «La concessione (...) presentale stesse caratteristiche dell’appalto, ad eccezione del fatto chela controprestazione dei lavori consiste unicamente nel dirittodi gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo».

Nel contratto di concessione, la controprestazione che garan-tisce al concessionario il recupero dell’investimento necessarioalla realizzazione della infrastruttura è, appunto, il “diritto digestire l’opera”. Secondo le norme in vigore, la TAV SpA dun-que, quale concessionaria delle infrastrutture, avrebbe dovutorecuperare l’investimento attraverso la “gestione” del servizioAlta velocità. Nella delibera però di questa previsione non viera alcuna traccia, la gestione del servizio non era in capo a

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Ancora più straordinaria era la previsione con la quale si ipo-tizzava la possibilità del recupero non solo del finanziamentoprivato ma anche di quello pubblico: «Considerato che qualorail costo reale delle opere da realizzare risulti inferiore alla pre-visioni o il mercato determini un successo dell’iniziativa supe-riore alle attese ovvero si realizzino condizioni tali da consentireulteriori margini di ammortamento del capitale investito (oltreil 60% di parte privata), dovrà intervenire un meccanismo diammortamento della quota di capitale pubblico erogata in qua-lità di contributo dall’Ente F.S. alla concessionaria ed eventual-mente il rimborso degli oneri finanziari sovvenzionati nelperiodo di costruzione ed avviamento».

Il fulcro di questo straordinario sogno era una nuova societàcostituita ad hoc qualche giorno prima della grande cerimonia.Con la stessa delibera si decideva infatti «di attribuire ad unapartecipata dell’Ente FS, individuata nella società “Treno Altavelocità - TAV. S.p.A.”, la responsabilità finanziaria e patrimo-niale della realizzazione del progetto, affidandole in concessionela progettazione esecutiva, la costruzione e lo sfruttamento eco-nomico di linee e infrastrutture per il Sistema Alta velocità se-condo criteri, termini e modalità da definirsi nella convenzioneattuativa del provvedimento di concessione».

Per la progettazione e la costruzione delle infrastrutture peròla concessionaria TAV SpA era vincolata ad affidare i contrattia soggetti predefiniti; nella delibera 971 erano individuati at-testando «la disponibilità della FIAT SpA ad assumere il ruolodi general contractor esclusivamente come stazione appaltante,fermo restando l’obbligo da parte della medesima di garantirein proprio la realizzazione delle opere ai prezzi ed entro i ter-mini fissati», e nonché « la disponibilità di ENI ed IRI ad as-sumere ab externo la garanzia di realizzazione delle opere, aiprezzi ed entro i termini prefissati, da parte di soggetti com-plessi che provvedono direttamente alla esecuzione delle pre-stazioni e servizi loro affidati dalla concessionaria, e nei qualiassumano posizione di rilievo società proprie partecipate». In

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stiti, tutti garantiti dallo Stato, che stiamo pagando e continue-remo a pagare per molti anni.

La delibera 971 forniva solo l’importo totale del Progetto.

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TAV SpA e quindi non era questa la controprestazione con laquale avrebbe potuto rientrare dell’investimento privato e,forse, restituire il finanziamento pubblico.

Anche lo “sfruttamento economico” era dunque una straordi-naria novità. La delibera non ne dava una definizione, specificavaperò il suo contenuto, stabilendo «di riservare in via esclusivaall’Ente FS l’esercizio tecnico delle linee realizzate dalla Con-cessionaria verso il pagamento di un corrispettivo tale da consen-tire il recupero e la remunerazione del capitale investito dallaConcessionaria stessa, (..); di affidare ad una controllata dell’EnteF.S., individuata nella società “Treno Alta velocità Commerciale,TAV-CO S.p.A.”, la commercializzazione dei servizi Alta velocitàsulle linee realizzate dalla Concessionaria».

La TAV SpA non avrebbe dunque recuperato l’investimentogestendo il servizio e vendendo biglietti per il servizio ferro-viario AV, bensì attraverso la stipula di due contratti: uno conTAV-CO SpA, incassando, da questa nuova società - che FSavrebbe dovuto costituire per gestire il servizio Alta velocità -un canone per l’uso delle infrastrutture; uno con l’Ente FS, conil quale lo stesso Ente, oltre a garantire la manutenzione el’esercizio tecnico dell’infrastruttura, si impegnava al “paga-mento di un corrispettivo tale da garantire il recupero e la re-munerazione del capitale investito dalla concessionaria”.

In quella storica conferenza stampa, dove era presente il fiorfiore della classe dirigente pubblica e privata del nostro Paese,sulle modalità con le quali TAV SpA realizzava il singolareruolo di concessionario dello sfruttamento economico nessunoha manifestato il minimo dubbio. La bugia dell’investimentoprivato era però talmente evidente che solo l’ignoranza di al-cuni e l’interesse dei più ha potuto consentire di chiudere occhi,orecchie e bocca di fronte a quella che anche uno studente alprimo anno di Economia e Commercio avrebbe definito unapura e semplice truffa ai danni delle casse pubbliche. Il recu-pero del finanziamento pubblico rimarrà nel libro dei sogni,mentre gli investimenti privati di TAV SpA saranno banali pre-

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Voci di costo

7 Agosto 1991

Miliardi

di £

Contraente

di FS

Oggetto

del contratto

Tratte 18.100 TAV Spa

Progettazione esecutiva ecostruzione: MI-BO; BO-FI;FI-RM (adeguamento); RM-NA; TO-MI; MI-VR; VR-VE;GE-MI

Nodi 2.080 TAV Spa

Progettazione esecutiva ecostruzione dei nodi di: Na-poli, Roma, Firenze, Bolo-gna, Milano, Torino,Verona, Venezia, Genova

Materialerotabile

4.800 ConsorzioTrevi

Fornitura di: 100 ETR500, treni a composizionefissa con 2 motrici e 12carrozze

Infrastruttureaeree

1.200 Consorzio Saturno

Realizzazione delle lineeelettriche e del sistema dicontrollo e segnalamentoper tutte le tratte ed i nodi

Interessi intercalari

1.500 Banche Interessi durante l’esecu-zione dell’opera fino all’en-trata in esercizio

Totale 27.680

(Tab.1 - Costi delle singole voci del Progetto TAV presentato il 7 ago-

sto 1991)

gnalamento e per la sicurezza della circolazione, il contrattosarà firmato direttamente dall’Ente FS con il Consorzio Sa-turno, con la previsione di un costo complessivo di 1.200 mi-liardi di vecchie lire.

Per la progettazione e la fornitura del “materiale rotabile”specificamente progettato per il servizio Alta velocità il con-tratto invece era già stato affidato direttamente dall’Ente FS alConsorzio Trevi, con un valore della commessa previsto in4.800 miliardi di vecchie lire per la fornitura di 100 treni ETR500 a composizione fissa, con due motrici, un vagone risto-rante ed undici carrozze passeggeri.

Tutti i contratti, ad esclusione di quelli per i nodi, sono statiaffidati a trattativa privata con i singoli interlocutori, senza garae senza il vaglio o la verifica di alcun organo di controllo tec-nico, amministrativo o contabile dello Stato.

Il costo della voce “interessi intercalari” era previsto in 1.500miliardi, calcolati ipotizzando un costo del 5% annuo dei co-siddetti investimenti privati per la realizzazione delle “tratte”,con la previsione di una erogazione più o meno lineare nell’arcodei sei anni previsti per la costruzione e l’avvio dell’esercizio.

Il costo delle “tratte”, includendo anche la Genova-Milano,che in quel momento non era ancora deliberata, era esattamentedi 18.100 miliardi di vecchie lire (inclusi i 100 miliardi previstiper i lavori di solo adeguamento della tratta Firenze-Roma).

Il 40% di finanziamento pubblico della voce “tratte” davauna cifra di 7.240 miliardi; aggiungendo le voci di costo pagatedirettamente dall’Ente FS, la cifra di finanziamento pubblicoera pari 16.820 miliardi, ben diversa dai 12.000 miliardi pub-blici ipotizzati nella delibera. Di certo, comunque, con quellevoci e quei contratti era assolutamente impossibile capire daquale calcolo scaturissero i 18.000 miliardi di lire di investi-mento privato, visto che solo i contratti per le tratte rientravanonel cosiddetto project financing, ed il 60% dell’importo di que-sti dava una cifra di 10.800 miliardi.

Nonostante queste macroscopiche anomalie, il Governo, con

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Le singole voci di costo vennero presentate nella conferenzastampa dal grande cerimoniere Lorenzo Necci. Il costo com-plessivo era determinato da cinque voci fondamentali (vediTab.1). La voce “tratte”, e cioè il costo per la realizzazione disette nuove coppie di binari per collegare i nodi delle città in-teressate dalle linee. La voce “nodi”, con i costi per l’adegua-mento o la costruzione dei binari di penetrazione nelle stazioniinteressate. La voce “materiale rotabile”, cioè il costo dei treniper fornire il servizio ai passeggeri. La voce “infrastruttureaeree”, cui corrispondeva il costo delle linee elettriche e degliimpianti di segnalamento per le nuove tratte AV. La voce “in-teressi intercalari”, infine, col costo del denaro cosiddetto pri-vato, e cioè gli interessi sui prestiti bancari per tutta la duratadei cantieri e fino all’avvio del servizio.

La realizzazione delle sette “tratte” ferroviarie era affidata inconcessione a TAV SpA, la quale a sua volta si sarebbe avvalsadi altrettanti general contractor; a questi erano affidate la pro-gettazione esecutiva e la costruzione di tutte le “infrastrutturea terra”, associate alla gestione di tutte le attività tipiche di uncommittente pubblico, come ad esempio la direzione dei lavori,ma anche gli espropri e gli indennizzi ai proprietari di aree edimmobili interessati dai nuovi tracciati.

Sempre a TAV SpA, ed a cascata ad altri contraenti privati,era affidata la realizzazione dei “nodi” e cioè sempre e solo delleinfrastrutture a terra per la penetrazione nelle stazioni delle cittàinteressate dalle nuove linee.

Mentre nel caso delle “tratte” gli interlocutori privati eranogià individuati, e con questi TAV SpA firmerà subito i contrattiper un importo complessivo di 18.000 miliardi di lire, nel casodei “nodi” la delibera del Commissario straordinario definivasolo l’impegno di FS ad affidare tale attività a TAV SpA rin-viando però la definizione contrattuale ad atti successivi.

Per la progettazione e la realizzazione di tutte le “infrastrut-ture aeree”, e cioè delle linee per l’alimentazione elettrica deglielettrotreni, delle sottostazioni elettriche, degli impianti di se-

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“nodi”, poco si sa del costo del “materiale rotabile”, pochis-simo dei costi delle “infrastrutture aeree”, ancora meno su tuttele opere indotte e inizialmente non previste, comprese le nuovestazioni per l’Alta velocità. Nulla è stato mai detto sulla voce“interessi intercalari”, quella che lieviterà in modo astrono-mico, oltre il mille per cento, a conferma dell’assurdità sullaquale si fondava l’architettura finanziaria con la quale si è datoavvio a questa costosissima avventura.

La storia ai tempi del ministro “falce e carrello”

La data del 7 agosto 1991 segna in realtà la riproposizione diun Progetto che aveva alle spalle già diversi anni e nel quale lescelte tecniche, per le infrastrutture ed il materiale rotabile,erano già state fatte. Quel Progetto portava le firme del ministrodei Trasporti, Claudio Signorile, e del Presidente dell’Ente FS,Ludovico Ligato. Prima di loro si era già lavorato alla realizza-zione di nuove infrastrutture per migliorare il servizio ferrovia-rio dal punto di vista anche della velocità, ma è con Signorile eLigato che la lobby del cemento riesce ad imporre la scelta delmodello francese, abbandonando il lavoro serio e competenteche era iniziato negli anni ‘60. Già a quegli anni infatti risalivala scelta della realizzazione della cosiddetta “Direttissima”Roma-Firenze, in assoluto il primo progetto in Europa di infra-struttura per treni veloci. Nello stesso periodo partivano anchei primi studi per migliorare le prestazioni del materiale rotabile,ed anche in questo caso l’Italia sarà la prima in Europa a rea-lizzare treni ad assetto variabile, i famosi “Pendolini”.

Proprio sulla spinta di queste esperienze il progetto di velo-cizzazione della rete e del servizio trova all’inizio degli anni‘80 una prima traduzione nel Piano Generale dei Trasporti ap-provato dal Parlamento con la Legge 245/84. Nel PGT si indi-cava un indirizzo; il Piano non conteneva soluzioni tecniche o

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il parere di competenza delle Commissioni parlamentari, fir-merà con FS il contratto di programma 1991-1993 nel quale sileggerà la cifra tonda di 30.000 miliardi di vecchie lire, con unfinanziamento pubblico di 12.000 miliardi e un investimentodei privati di 18.000 miliardi di lire, senza alcuna altra minimaspecificazione.

Nel contratto di programma successivo, 1994-1996, inviatoalle Camere il 27 luglio 1995, non si troveranno maggiori detta-gli: anzi, il più grande progetto mai realizzato dalle Ferrovie delloStato era descritto in questo modo:«SISTEMA ITALIANOALTA VELOCITÀ. A carico dello Stato 14.673 miliardi. A ca-rico dei privati 24.075 miliardi. TOTALE 38.748 miliardi». Duesole righe, ma il totale aveva già registrato, con il progetto ancorasulla carta e nessun cantiere ancora aperto, un aumento del 30%.La grande abbuffata era comunque iniziata, ed eravamo solo al-l’antipasto.

Da quei 30 mila miliardi iniziali siamo arrivati, nel 2010, aspendere o impegnare almeno 120 mila miliardi di vecchie lire,e per realizzare solo una parte di quel Progetto, quella relativaalla linea Torino-Napoli. Mancano ancora da contabilizzare i costidella Milano-Verona-Venezia e della Genova-Milano, con i quali,più o meno nel 2020, si arriverà ad almeno 180 mila miliardi,tutti, proprio tutti, usciti o che usciranno dalle casse pubbliche.

La grande cerimonia del 1991 aveva in realtà un solo scopo,quello di arrivare il più in fretta possibile alla firma dei con-tratti. Solo la “firma” era nell’interesse dei commensali, con-sapevoli e certi che la grande abbuffata sarebbe stata di granlunga più ricca rispetto a quanto scritto in contratti che dove-vano semplicemente garantire la partenza del banchetto e ilposto a tavola.

Per tutte quelle voci di costo, l’attendibilità si è rivelata pariallo zero assoluto: sono tutte lievitate a dismisura, ma nessunoha mai fornito dati aggiornati ed attendibili. Le informazionisui costi delle “tratte” sono fornite dalle società del gruppo FSin modo incompleto e parziale; poco si conosce del costo dei

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genti, il braccio di ferro per la scelta del “modello” tecnico daadottare durò pochissimo. La “lobby” del “modello francese”vinse a tavolino senza giocare alcuna partita.

Il primo atto per l’avvio del Progetto TAV è la decisionedell’Ente Ferrovie dello Stato - su imput del ministro dei tra-sporti Claudio Signorile - di costituire la prima SpA delle FS,una società specificamente incaricata di progettare e realizzarele nuove linee per l’Alta velocità. Il 25 ottobre 1984 veniva co-stituita la “Italferr SpA”, una società di ingegneria con oggettosociale “… la definizione, lo sviluppo e la progettazione di si-stemi di trasporto ferroviario ad Alta velocità”. Costituita dalnulla, ma subito impegnata nello sviluppo della progettazione,già alla fine degli anni Ottanta era in grado di vantare il pro-getto di massima delle nuove infrastrutture. Condizionata dallescelte tecniche imposte e pilotate dalla Fiat e dalla lobby dellegrandi imprese, il progetto sviluppato da Italferr aveva adottatoin tutto e per tutto il “modello francese”. Di più, le quattro so-cietà di ingegneria scelte come bracci operativi per la produ-zione del progetto erano tutte prive di esperienze specifiche nelsettore e non potevano fare altro che copiare, anche nei minimidettagli, le scelte tecniche dell’esperienza francese.

All’Italferr SpA, oltre alla progettazione di massima, era peròstata affidata anche la missione di gestire le gare di appalto perl’affidamento della progettazione esecutiva e della costruzionedi tutte le infrastrutture. Il 26 giugno 1991 la stessa Italferr as-sumerà la denominazione sociale di “Italferr SIS.TAV SpA”.Il presidente, Emilio Maraini, protagonista fino a quel mo-mento degli accordi con i futuri commensali, era a conoscenzadel disegno che il nuovo Commissario straordinario, LorenzoNecci, stava portando avanti con la ridefinizione dell’architet-tura contrattuale e finanziaria. Nel timore di essere messo daparte nella fase di realizzazione del progetto, Maraini cercavadi riaffermare il ruolo che era stato affidato alla società por-tando in evidenza, anche nella propria denominazione, la mis-sione sociale fissata nello statuto: «progettare e realizzare il

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tecnologiche; non si parlava comunque di Alta velocità conlinee dedicate, bensì di «quadruplicamento ed in via prioritariasulle direttrici Torino-Milano-Verona-Venezia e Milano-Bolo-gna-Firenze-Roma-Napoli-Battipaglia». I tecnici che avevanodefinito quel piano, in gran parte di FS e Ansaldo, avevanocome riferimento tecnico le esperienze, appunto, della “Diret-tissima” e del “Pendolino”, con implicazioni che non facevanocerto pensare alle scelte fatte nello stesso periodo in Franciacon il TGV (Train a Grande Vitesse, Treno a Grande Velocità)sulla Parigi-Lione.

Tre erano le opzioni tecniche più significative per l’Alta ve-locità che si potevano registrare in quel momento nel panoramaeuropeo. Quella del “modello tedesco”, che interveniva sul tra-sporto merci e passeggeri, tendente a servire anche le città in-termedie con un sistema di treni con velocità diversificate nonsuperiori a 250 km/h, realizzato con larghissimo utilizzo dellelinee preesistenti rimodernate o integrate. Vi era poi quella del“modello svizzero”, orientato verso la razionalizzazione dellarete passeggeri esistente, con la velocizzazione dei servizi in-tercity con velocità di punta fino a 200/225 km/h ed un caden-zamento di almeno ogni ora di un treno per qualsiasidestinazione della rete e coincidenze in tutte le stazioni allastessa ora. Vi era infine il “modello francese” che intervenivacon la costruzione di nuove linee, impostate con velocità dipunta di 300 km/h e con tratte dedicate al solo servizio passeg-geri fra aree metropolitane separate da ampie distanze.

Rispetto a queste tre opzioni, in Italia, gli esperti di mobilitàferroviaria erano decisamente orientati verso i modelli tedescoo svizzero, in quanto più aderenti alla geografia urbana, all’as-setto infrastrutturale e alle esigenze di mobilità del nostroPaese. La lobby delle grandi imprese, con al vertice la FIATSpA, era invece decisamente schierata per l’adozione del “mo-dello francese”. In pieno clima di Tangentopoli, quando le cu-pole forti delle imprese e dei partiti decidevano come e quandospendere il denaro pubblico per alimentare il sistema delle tan-

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messe per centinaia di milioni di euro. Alla fine degli anni ‘80 dunque il Progetto avrebbe potuto

già decollare; erano pronti i progetti di massima ed era in vi-gore la norma per indire le gare e per affidare la progettazioneesecutiva e la costruzione di tutte le infrastrutture per il TAV.Così sarebbe stato se il 25 novembre 1988 non fosse scoppiatonelle FS il clamoroso scandalo definito dalle cronache del-l’epoca delle “lenzuola d’oro”. Il ministro Signorile fu costrettoa rassegnare le dimissioni, così come tutto il CdA delle Ferro-vie dello Stato ed il presidente Ludovico Ligato. Il Governo,presidente del Consiglio Giovanni Goria, nominò immediata-mente un Commissario straordinario e la scelta cadde su untecnico di riconosciuta capacità ed autorevolezza, il dott. MarioSchimberni.

La sepoltura e la resurrezione del Progetto

Il Progetto TAV è subito sottoposto dal Commissario ad unaattenta valutazione tecnica dei costi e dei benefici: il responsonon poteva che essere quello che gli esperti veri, quelli non as-soldati dai lobbisti, avevano da tempo formulato. La scelta del“modello francese” ridiventava quello che in realtà era semprestata: una scelta sbagliata, molto costosa e soprattutto inutile,non adatta a soddisfare le esigenze di mobilità del nostro Paese.Il Commissario straordinario manifesta pubblicamente questoorientamento con una metafora netta ed inequivocabile, cele-brando il de profundis di quel Progetto.

La decisione si scontra però con gli interessi della più gover-nativa impresa nazionale e di tutto l’esercito bipartisan chequesta aveva arruolato. Schimberni, come gli era capitatoquando era ai vertici della Montedison, si trova nuovamentead incrociare gli interessi dell’Avvocato, per di più - in questocaso - intrecciati con quelli di tutti i maggiori gruppi economici

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Sistema (SIS) per il Treno ad Alta velocità (TAV)». Le preoccupazioni non erano infondate: un mese dopo, il 21

luglio 1991, Necci costituiva la TAV SpA, che verrà presentatain grande stile qualche settimana dopo nella storica conferenzastampa del 7 agosto del 1991. Era in effetti questa la società chedi fatto subentrava a Italferr SIS.TAV SpA e che avrebbe dovutogarantire la novità del finanziamento privato.

Prima di quella data l’architettura contrattuale e finanziariapresentava delle sostanziali differenze. Sempre nel 1984, in-fatti, il ministro dei Trasporti aveva definito anche le modalitàper la realizzazione delle infrastrutture, prevedendo l’affida-mento della progettazione esecutiva e della costruzione attra-verso regolari gare di appalto. Non vi era alcuna ipotesi dicosiddetto project financing, nessun tentativo di millantare lapresenza di investimenti privati.

Per dare corpo alle modalità realizzative previste, il ministroClaudio Signorile, contestualmente alla nascita di Italferr SpA,presentava un disegno di legge che il Parlamento approverà invia definitiva il 17 febbraio 1987 con la Legge n. 80, aventecome titolo “Norme straordinarie per l’accelerazione dell’ese-cuzione di opere pubbliche”. L’articolo 8 della legge sanciva lapossibilità di affidare attraverso gara, svolta sulla base di un pro-getto di massima, un contratto definito dalla legge come “con-cessione per la progettazione e la sola costruzione dell’opera”,e cioè una forma contrattuale analoga a quella che quindici annidopo verrà inserita nella Legge obbiettivo per le grandi opere,con la definizione del “contraente generale” quale “concessio-nario con la esclusione della gestione dell’opera”.

Nel frattempo Italferr Spa aveva definito il progetto di mas-sima con quattro società di ingegneria: CTIP SpA, FosterWheeler SpA, Techint SpA e TPL SpA, cooptate nell’affaresenza alcuna gara nel clima consociativo degli anni Ottanta.Una di queste, la TPL SpA, il “Giuda” che ha garantito l’emar-ginazione di Italferr SpA, sarà l’unica alla quale, anche con lanuova architettura contrattuale, saranno ancora garantite com-

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realizzabili senza il consenso delle maggiori cariche societariecon potere decisionale, producono per TPL».

I giudici perugini scrivevano queste cose il 7 gennaio 1999nella richiesta di rinvio a giudizio di Lorenzo Necci e di altre56 persone coinvolte nell’inchiesta sulla corruzione dei magi-strati romani per vicende legate all’affossamento delle inchie-ste sull’Alta velocità. In quell’atto precisavano anche: «Lacontinuità tra le vicende ENI/ENIMONT e FERROVIE/ALTAVELOCITÀ è stigmatizzata in una lettera scritta dal dr. Salva-tore Portaluri, ex Presidente di TAV, ad Ercole Incalza, del cuicontenuto ha dato ampia conferma in sede di esame testimo-niale (...). “Con Mario Maddaloni (TPL) i rapporti venivanotenuti dall’ing. Incalza. Da parte mia non ho mai apprezzatol’atteggiamento ammiccante tenuto da Maddaloni il quale, tral’altro, aveva esercitato enormi pressioni per l’assunzione del-l’ing. Savini Nicci, attuale Direttore Generale di TAV”. Appareevidente che la posizione anomala di TPL sia stata correttadopo che l’iniziale vertice di TPL (Sebasti, Maddaloni, Tra-dico) era stato decapitato da “mani pulite”».

Mentre TPL, massacrata dalle indagini giudiziarie, era giàscomparsa all’epoca della testimonianza dell’ex presidente Por-taluri, nel 1998, Savini Nicci, invece, nominato secondo quellatestimonianza su pressione della banda di TPL, era ancora il Di-rettore generale di TAV SpA. Conservava quell’incarico, senzasoluzione di continuità, anche dopo che la “bugia” della mag-gioranza privata e del finanziamento privato di TAV SpA erastata denunciata pubblicamente, nel 1998, dal ministro dei Tra-sporti in carica Claudio Burlando; dopo che, nel 2005, la bugiaera stata formalmente contestata da Eurostat come truffa ai dannidell’Unione Europea; dopo che, nel 2006, era stata riconosciutacome tale e sanata dal Parlamento nazionale con la Legge finan-ziaria per il 2007; dopo che, nel dicembre 2008, la Corte deiconti rivolge parole di fuoco contro i management di TAV SpA,RFI SpA e FS SpA proprio per quella bugia che aveva portato ilParlamento ad assumere un provvedimento “anodino” nei con-

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del Paese, pubblici, privati e cooperativi. Come due anni prima,sarà costretto a lasciare il campo.

Il 15 giugno 1990 viene nominato Commissario straordinariodelle FS Lorenzo Antonio Necci. Reduce dal fallito mercimonioEniMont, era la persona giusta, scelta al momento giusto, pergarantire proprio il decollo del Progetto TAV, essendo già datempo un protagonista del grande affare come socio occulto diTPL SpA. Saranno i Magistrati Perugini, ma solo diversi annodopo, a svelarci come e perché TPL SpA e Necci avevano par-tecipato al rilancio del progetto cestinato da Mario Schimberni.

Prima, ai tempi del mercimonio fra ENI e Montedison, scri-vono i giudici, «(...) la TPL SpA è la società da cui Necci nasceed è rappresentata da Maddaloni Mario, Sebasti Leonello e Tra-dico Pietro, anch’essi legati a Pacini Battaglia, (...). Non a casoi responsabili della TPL vengono perseguiti per la costituzionedi fondi neri, ossia per reati di falso in bilancio per importinell’ordine di varie decine di miliardi e tra le vicende oggettodell’indagine giudiziaria si colloca quella attinente alla crea-zione di fondi extracontabili in TPL, destinati al pagamento diuna somma di 5 miliardi (anticipata da Pierfrancesco PaciniBattaglia) richiesta da Gardini, per l’assegnazione a TPL deilavori di ricostruzione del cracker di Brindisi. Non a caso Pa-cini Battaglia è stato il gestore dei conti dei responsabili di TPLe di taluni degli stessi sono anche soci della Karfinco: ed è intale contesto che Necci, ha ricevuto da Pacini Battaglia sommedi denaro rilevantissime, nell’ordine di diversi miliardi, di cuinon ha fornito valide giustificazioni».

Poi, ai tempi dell’affare TAV, «(...) non appare occasionale,l’analogia riscontrabile nel modus operandi evidenziato daisoggetti della “vicenda Ferrovie”, con quello tenuto appenapochi anni prima dai protagonisti della “vicenda Petroli”, conparticolare riferimento al preminente ruolo svolto dal verticesocietario, in entrambe le circostanze impersonificato da Lo-renzo Necci. Così come ricorrente in entrambe le vicende è ilvantaggio patrimoniale che tali comportamenti, certamente non

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Il decollo e i contratti di TAV SpA

Il 7 agosto 1991 dunque Lorenzo Necci resuscita un progettoche aveva rischiato di essere seppellito. Le lobby del “ferro ecemento” e della “falce e carrello” ripartono con una nuova al-leanza garantita dai boiardi di Stato. Il miracolo però viene ce-lebrato con qualche improvvida e affrettata nomina cheimpedisce di salpare a vele spiegate. Per lo stesso giorno erafissata anche la firma del contratto più importante, quello chegarantiva il decollo effettivo del grande affare, il contratto conil quale FS affidava a TAV SpA «La concessione per la proget-tazione, la costruzione e lo sfruttamento economico delle in-frastrutture per l’alta Velocità delle linee Milano-Napoli eTorino-Venezia». Dopo la firma della delibera, nello sconcertodei general contractor, tutti presenti e rappresentati dai massimivertici, il contratto viene solo presentato, la firma è rinviata.

Le ragioni del rinvio emergeranno subito dopo sulla stampa:«L’Alta velocità è partita ma la battaglia per la presidenza dellaTav è ancora aperta. Per ora al vertice della Tav è stato mandatoBenedetto De Cesaris, il direttore generale dell’Ente. Ma l’in-carico affidatogli è temporaneo. L’amministratore straordinariodell’Ente Lorenzo Necci attende infatti che la DC riesca a tro-vare un candidato per questa poltrona. La rissa nelle scorse set-timane è stata furibonda. Per placare gli animi è dovutointervenire, a quanto si dice, lo stesso Presidente del Consiglio,che avrebbe chiesto a Necci di trovare una soluzione tempora-nea, De Cesaris per l’appunto».1

Il gran cerimoniere era riuscito a trovare la soluzione tempo-ranea ma solo il giorno prima della firma si era accorto che DeCesaris non poteva firmare quel contratto, anzi non potevanemmeno assumere quell’incarico e tanto meno poteva firmarei contratti che TAV SpA avrebbe dovuto affidare ai general con-

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fronti delle generazioni future. Nel 2010, il manager che più alungo ha convissuto con quella bugia sarà promosso ammini-stratore delegato.

Ovviamente quello di Savini Nicci non è un caso isolato.Tutti i manager di queste stesse aziende pubbliche, che hannogestito, sostenuto o non si sono accorti della “bugia” che permolti anni ha coperto una “truffa” ai danni dell’UE, dello Statoe delle future generazioni, i vari Incalza, Maraini e Moretti, percitare solo i più noti, se non conservano il loro posto sono statipremiati con incarichi ancora più importanti.

Così è avvenuto con l’amministratore delegato di TAV SpAErcole Incalza e col presidente di Italferr-SIS.TAV SpA EmilioMaraini, scelti dal ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardicome bracci operativi per le grandi opere. Nel 2010 Incalza èai vertici del ministero delle Infrastrutture come capo dellastruttura tecnica di missione per le grandi opere, e Maraini rap-presenta FS nell’Unione Internazionale delle Compagnie fer-roviarie, senza disdegnare la presidenza di una societàpubblica, Metronapoli SpA, e di una società di ingegneria pri-vata Italsocotec SpA. Così è avvenuto con Mauro Moretti, pro-mosso amministratore delegato della holding FS SpA dalgoverno Prodi nel 2007 e confermato dal governo Berlusconinel 2010, il quale si autoassegna anche le poltrone di Presidentedi Italferr SpA e di Grandi Stazioni SpA, controllate dallastessa holding, a garanzia che il controllore ed il controllatosiano esattamente la stessa persona.

Ovviamente questi manager hanno solo convissuto col disa-stro economico del Progetto TAV, non si sono accorti di nulla,non hanno alcuna colpa. La colpa di tutto, delle bugie, delletruffe, dei costi fuori controllo, dei tempi dilatati e dei debiticolossali prodotti e scaricati sulle nostre e sulle teste dei nostrifigli e nipoti è, ovviamente, tutta e solo di Lorenzo Necci, buo-nanima.

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1. Gennaro Schettino, “FS, ora spunta Santuz per la presidenza Tav”, la Re-

pubblica, 10 agosto 1991.

ranno, saranno fedeli e tempestivi esecutori anche nella firmadei contratti con i general contractor, del resto già pronti datempo. Il 15 ottobre 1991 firmano le sei convenzioni per la pro-gettazione esecutiva e la costruzione delle tratte che compone-vano le due linee di Alta velocità Milano-Napoli e To-rino-Venezia. Due tratte, Torino-Milano e Bologna-Firenze,sono affidate a FIAT SpA; altre due, Roma-Milano e Milano-Verona, a due Consorzi di imprese con aziende dell’IRI al 55%;altre due, Bologna-Milano e Verona-Venezia, ad altrettantiConsorzi con aziende dell’ENI al 52%. La differenza del ruolo,ab externo, di ENI ed IRI dunque si appalesa.

TAV SpA firma direttamente con la FIAT i contratti con i qualiviene affidata la progettazione e la costruzione di due tratte; laFIAT a sua volta affida la progettazione e realizzazione dellestesse tratte a due Consorzi di imprese, il CAVET per la Bolo-gna-Firenze ed il CAVTOMI per la Torino-Milano, nei quali l’im-presa capofila è la sua controllata del settore costruzioni, laCogefar-Impresit SpA. Tutte le attività affidate da TAV SpA aFIAT sono esattamente quelle che FIAT affida ai due Consorzi, eper questo ruolo da “passa-carte” incasserà il 3% dell’importocomplessivo, una sorta di tangente contrattualizzata e legittimatada un contratto fra soggetti di diritto privato.

ENI ed IRI invece avranno la decenza, ab externo appunto,di non firmare alcun contratto con TAV SpA, rinunciando allapseudo tangente che, nel loro caso, quali aziende ancora con-trollate dallo Stato, sarebbe apparsa alquanto incomprensibile.I contratti con TAV SpA in questi casi saranno firmati diretta-mente dai Consorzi di imprese con capofila aziende controllateda IRI (con Iritecna) e da ENI (con Snam Progetti), costituititutti pochi giorni prima della grande cerimonia: il 29 luglio1991 i consorzi CEPAVUNO per la Bologna-Milano e CEPAV-DUE per la Verona-Venezia, il 6 agosto 1991 i consorzi IRI-CAVUNO per la Roma-Napoli e IRICAVDUE per laMilano-Verona.

Il “pasticciaccio” del presidente aveva dunque impedito la

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tractor. La ragione di questo impedimento si conoscerà quandola stampa annuncerà che è stata trovata anche la soluzione: «Ilcommissario straordinario delle Ferrovie dovrebbe riuscire asciogliere questa mattina il “pasticciaccio” della presidenzaTav. A guidare la Tav a luglio era stato mandato Benedetto DeCesaris, l’attuale direttore generale dell’Ente FS. La scelta eracaduta su De Cesaris nonostante il divieto assoluto impostodalla Legge 210 di assumere questi incarichi direttivi in societàcollegate con le Ferrovie.».2 Proprio così, il presidente dellasocietà che doveva firmare il contratto più oneroso della storiadi FS era in aperto conflitto di interesse, incompatibile con ilruolo di direttore generale dello stesso Ente.

La firma ci sarà, ma solo un mese e mezzo più tardi, dopo lanomina di un nuovo presidente: «L’ultimo nome che circola èquello di Salvatore Portaluri, attuale amministratore delegatodell’Agip di area democristiana. (...). Con l’arrivo di Portaluripotranno essere definiti i contratti con Iri, Eni e Fiat, le tregrandi holding a cui è stata affidata la realizzazione operativadel progetto alta Velocità».3

Il nuovo presidente Portaluri, ultrasettantenne, e l’ammini-stratore delegato Ercole Incalza, di area socialista, il 24 settem-bre 1991 firmano il contratto con l’Ente FS. Lo stesso giornoaffidano alla Italfer-SIS.TAV SpA un contratto “per la presta-zione di servizi relativi alla realizzazione del sistema AV”, conun ruolo comunque subordinato e che, qualche anno dopo, por-terà la stessa società a cambiare nuovamente la propria deno-minazione ritornando ad essere semplicemente “Italferr SpA”.

La TAV SpA, con il nuovo presidente, che efficacementeLuigi Preti definiva “una lustra”, e con un amministratore de-legato protagonista delle cronache di Tangentopoli che segui-

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2. Gennaro Schettino, “Necci scioglie il nodo TAV”, la Repubblica, 10 set-tembre 1991.

3. Gennaro Schettino, “Necci scioglie il nodo TAV”, la Repubblica, 10 set-tembre 1991.

prima spartizione del grande affare. Grazie al recupero in zonaCesarini del consorzio COCIV, nei sette Consorzi di impreseerano finalmente rappresentati tutti i maggiori gruppi impren-ditoriali del momento, nessuno escluso (vedi Tab.2).

Le coop bianche con il Consorzio CER recuperate nel Con-

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firma non solo del contratto di TAV SpA con FS, ma anche diquelli di TAV SpA con i general contractor, non a caso costituitialla vigilia della grande cerimonia ed in quella occasione tuttipresenti e pronti anche loro alla firma.

I prezzi dei contratti comportavano un costo a chilometro, inquel momento, più o meno in linea con quelli delle analogheinfrastrutture già realizzate in Francia e con quelli delle infra-strutture che si stavano realizzando in Spagna per la linea AVMadrid-Siviglia. I prezzi concordati, sui quali si era giuratoche erano “prezzi chiusi”, lieviteranno in realtà con una mediache nel 2010 arriverà ad oltre il quattrocento per cento.

Nella delibera 971/91 si ipotizzava, ove ricorrano le condi-zioni, la realizzazione della tratta Genova-Milano. Quali fos-sero queste condizioni non era in alcun modo specificato, masi realizzeranno comunque nell’arco di qualche settimana.Un’autorevole testimonianza in tal senso ci verrà fornita daSergio Cusani molti anni dopo. Invitato in Val di Susa nel 2006a portare la sua testimonianza sull’affare Alta velocità ai tempidi Tangentopoli, racconterà che la spartizione delle sei tratte,fra FIAT, ENI ed IRI, con la cooptazione delle imprese privatee cooperative, aveva mandato su tutte le furie il Gruppo Fer-ruzzi che, reduce come ENI dall’affare EniMont, non potevatollerare di restare fuori dall’affare del secolo, definito e spar-tito a tavolino.

Le condizioni dunque, grazie anche al pagamento di tangenti,secondo le cronache giudiziarie di qualche anno dopo, non tar-dano a realizzarsi ed il 16 marzo del 1992 l’Ente FS con unnuovo atto di concessione affida a TAV SpA la progettazioneesecutiva, la costruzione e lo sfruttamento economico dellatratta AV Milano-Genova. Lo stesso giorno TAV SpA sotto-scrive il contratto per la progettazione esecutiva e la costru-zione della medesima tratta con un settimo general contractor,il Consorzio COCIV, costituito il 3 dicembre 1991 con la par-tecipazione di due controllate del gruppo Ferruzzi-Montedisoned altri gruppi imprenditoriali che erano rimasti fuori dalla

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General contractor firmatari

dei contratti con Tav Spa

Milioni

di €

Km €/Km

FIAT Spa per la tratta Torino-Milano

(sub-contratto Fiat-CAVTOMI Scrl)

1.074 125 8,6

CEPAVUNO Scrl per la tratta Milano-Bologna

1.482 182 8,2

FIAT SpA per la tratta Bologna-Firenze

(sub-contratto Fiat-CAVET Scrl)

1.074 79 13,6

IRICAVUNO Scrl per la tratta Roma-Napoli

1.994 204 9,8

IRICAVDUE Scrl per la tratta Milano-Verona

1.125 112 10,1

CEPAVDUE Scrl per la tratta Verona-Venezia

896 116 7,7

COCIV Scrl per la tratta Genova-Milano

1.585 130 12,2

Totale importo dei contratti

affidati ai general contractor

9.230 948 9,7

(Tab.2 - Importo e costo a chilometro dei contratti firmati da TAV SpA

con i General contractor)

TAVOLA RICCA E COMMENSALI ILLUSTRI

Il Comitato nodi e il Garante dell’Alta velocità

Prima ancora che il primo cantiere fosse aperto, al menù TAVsi aggiungono nuove portate e la tavola accoglie nuovi com-mensali. Già all’antipasto gli assaggi si moltiplicano e l’invitoa tavola si estende ad altri ospiti, a volte anche illustri o famosi.

L’Amministratore delegato delle FS, il 16 gennaio 1992, coni cantieri ancora di là da venire, firma la delibera numero 1077,questa volta senza molta pubblicità. La deliberazione nasce«dalla necessità di individuare le linee di intervento per la de-finizione di politiche culturali ed urbanistiche finalizzate da unlato all’ottimizzazione del patrimonio ferroviario, con partico-lare riferimento agli interventi nelle aree metropolitane, e dal-l’altro all’analisi delle conseguenze sul territorio derivanti dallacostruzione del sistema italiano ad Alta velocità». La decisioneche scaturisce da questa esigenza è quella di istituire «Il Co-mitato per i nodi e per le aree metropolitane con il compito distudiare un nuovo modello delle funzioni ferroviarie nell’evo-luzione del sistema di mobilità e nella trasformazione dellestrutture urbane». Oltre al “Comitato per i nodi” viene istituitaanche la figura di un “Garante” del sistema Alta velocità e dun-que con la stessa delibera si decide che «Il professor RomanoProdi è nominato Garante, con il compito di studiare l’impattodiretto ed indiretto del sistema italiano ad Alta velocità sul ter-ritorio e sul sistema produttivo del Paese». Per il Comitato ladelibera stabilisce che esso «è composto da: Senatore SusannaAgnelli, Presidente, dal Professor Carlo Maria Guerci, Dott.Giuseppe De Rita, Arch. Renzo Piano».

Per lo svolgimento delle attività del Comitato e del Garante,la delibera stanziava la somma di 9.000.000.000 (novemiliardi)di vecchie lire e stabiliva altresì che sia il Comitato che il Ga-

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sorzio COCIV; le coop rosse nei consorzi IRICAVUNO e CE-PAVUNO e con l’immancabile CMC di Ravenna nel Consor-zio CAVET; le imprese dei Cavalieri di Catania, già sospettatinegli anni ‘80 di rapporti con Cosa Nostra, nel Consorzio CAV-TOMI con il Cavalier Costanzo e nel consorzio CEPAVUNOcon il Cavalier Rendo; non poteva mancare, anzi, il cavalieresiciliano della Milano da bere Salvatore Ligresti, in ben dueConsorzi, il CAVET ed il COCIV; ovviamente erano presentitutte le imprese delle grandi famiglie di costruttori associateall’ANCE, dai Caltagirone ai Lodigiani, dai Todini ai Salini,dai Del Favero ai Girola, dai Manzi ai Pizzarotti, dai Del Pratoai Fioroni, dai Federici ai Recchi, sparse in tutti e sette i Con-sorzi; infine, insieme a Snam Progetti e Iritecna, altre tre im-prese di Stato che facevano sempre capo ad ENI ed IRI.

La durata dei lavori per la realizzazione di tutte le tratte eraprevista in sessantadue mesi, ad eccezione della Bologna-Fi-renze, tutta in galleria, per la quale i mesi previsti erano set-tantotto. Entro la fine degli anni ’90, con costi e tempi certi, letratte, i nodi e le infrastrutture aeree dovevano essere pronteper fornire al Paese il nuovo servizio ferroviario ad Alta velo-cità.

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TAVOLA RICCA E COMMENSALI ILLUSTRI

Il Comitato nodi e il Garante dell’Alta velocità

Prima ancora che il primo cantiere fosse aperto, al menù TAVsi aggiungono nuove portate e la tavola accoglie nuovi com-mensali. Già all’antipasto gli assaggi si moltiplicano e l’invitoa tavola si estende ad altri ospiti, a volte anche illustri o famosi.

L’Amministratore delegato delle FS, il 16 gennaio 1992, coni cantieri ancora di là da venire, firma la delibera numero 1077,questa volta senza molta pubblicità. La deliberazione nasce«dalla necessità di individuare le linee di intervento per la de-finizione di politiche culturali ed urbanistiche finalizzate da unlato all’ottimizzazione del patrimonio ferroviario, con partico-lare riferimento agli interventi nelle aree metropolitane, e dal-l’altro all’analisi delle conseguenze sul territorio derivanti dallacostruzione del sistema italiano ad Alta velocità». La decisioneche scaturisce da questa esigenza è quella di istituire «Il Co-mitato per i nodi e per le aree metropolitane con il compito distudiare un nuovo modello delle funzioni ferroviarie nell’evo-luzione del sistema di mobilità e nella trasformazione dellestrutture urbane». Oltre al “Comitato per i nodi” viene istituitaanche la figura di un “Garante” del sistema Alta velocità e dun-que con la stessa delibera si decide che «Il professor RomanoProdi è nominato Garante, con il compito di studiare l’impattodiretto ed indiretto del sistema italiano ad Alta velocità sul ter-ritorio e sul sistema produttivo del Paese». Per il Comitato ladelibera stabilisce che esso «è composto da: Senatore SusannaAgnelli, Presidente, dal Professor Carlo Maria Guerci, Dott.Giuseppe De Rita, Arch. Renzo Piano».

Per lo svolgimento delle attività del Comitato e del Garante,la delibera stanziava la somma di 9.000.000.000 (novemiliardi)di vecchie lire e stabiliva altresì che sia il Comitato che il Ga-

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Le coop bianche con il Consorzio CER recuperate nel Con-sorzio COCIV; le coop rosse nei consorzi IRICAVUNO e CE-PAVUNO e con l’immancabile CMC di Ravenna nelConsorzio CAVET; le imprese dei Cavalieri di Catania, già so-spettati negli anni ‘80 di rapporti con Cosa Nostra, nel Con-sorzio CAVTOMI con il Cavalier Costanzo e nel consorzioCEPAVUNO con il Cavalier Rendo; non poteva mancare, anzi,il cavaliere siciliano della Milano da bere Salvatore Ligresti,in ben due Consorzi, il CAVET ed il COCIV; ovviamente eranopresenti tutte le imprese delle grandi famiglie di costruttori as-sociate all’ANCE, dai Caltagirone ai Lodigiani, dai Todini aiSalini, dai Del Favero ai Girola, dai Manzi ai Pizzarotti, daiDel Prato ai Fioroni, dai Federici ai Recchi, sparse in tutti esette i Consorzi; infine, insieme a Snam Progetti e Iritecna,altre tre imprese di Stato che facevano sempre capo ad ENI edIRI. Al banchetto erano tutti presenti e la grande abbuffata po-teva cominciare.

Il menù prevedeva una durata del pranzo di 62 mesi, di 78mesi per la Bologna-Firenze, e dunque la conclusione entro lafine degli anni ‘90. Dall’inizio del 2000, con costi e tempi certi,il materiale rotabile, le tratte, i nodi e le infrastrutture aeree do-vevano essere pronte per fornire al Paese il nuovo servizio fer-roviario ad Alta velocità.

Nel 2010, a quasi 20 anni dall’inizio del banchetto i com-mensali sono ancora seduti a tavola. Si sono però alzati perbrindare in occasione delle innumerevoli celebrazioni per lafine dei lavori di gallerie, ponti e tratte. Brindano e però man-giano ancora, e continueranno a farlo per almeno altri 10 anni.Il menù si è arricchito con nuove portate e con ospiti semprepiù numerosi.

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cietà dagli stessi prescelte non sono mai stati resi noti ma si-curamente hanno di gran lunga superato i miseri 9 miliardi divecchie lire stanziati dalla delibera 1077/92. Miliardi attintidalle somme che lo Stato annualmente trasferisce a FS per ga-rantire il servizio ferroviario universale e che sono stati dirottatial finanziamento di due organismi e due società che, come lu-cidamente denunciava Luigi Preti, solo boiardi di Stato deditialla distribuzione di prebende potevano concepire.

Quegli incarichi non avevano alcuna seria utilità per un pro-getto ormai tutto definito e contrattualizzato. Le nomine del Co-mitato e del Garante però garantivano il sostegno a, o il silenziosu, un progetto tecnicamente sbagliato e costruito su bugie tal-mente evidenti che solo con l’invito al banchetto anche di per-sonaggi famosi o illustri il pranzo poteva apparire più degno diessere consumato. Serviva il sostegno o il silenzio di personeautorevoli e in quel momento particolarmente corteggiate dallapolitica, come Susanna Agnelli e Romano Prodi. Serviva ancheil sostegno o il silenzio di Carlo Maria Guerci, presidente delCesit, il più importante centro studi sul trasporto ferroviario,nonché consulente di FIAT ferroviaria. Serviva pure il sostegnoo il silenzio di Giuseppe De Rita, presidente del Censis e autoredel più importante e commentato rapporto socio-enonomico an-nuale sul Paese. Serviva il sostegno o il silenzio dell’architettoitaliano più celebre, per arricchire il banchetto e garantire ilposto a tavola ad altri famosi architetti. Serviva ovviamenteanche il contratto con Nomisma, per produrre tonnellate di cartache finiranno in qualche cantina, ma che saranno subappaltatea diversi Istituti universitari per comprare il sostegno o il silen-zio di numerosi esperti del settore.

Il solo contratto di Nomisma assorbirà tutti i 9 miliardi divecchie lire stanziati con la prima delibera. Quanto ha incassatoProdi non è dato sapere, così come non è stato mai reso noto ilcosto dei quattro componenti del Comitato; altri 9 miliardi,forse. Nulla si sa sui contratti portati a casa dalla società“Renzo Piano Building Workshop srl”, ma è difficile pensare

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rante «potevano avvalersi di volta in volta delle strutture e delleprofessionalità interne ed esterne all’Ente necessarie per il per-seguimento degli obbiettivi».

A gestire i contratti con il Garante ed i membri del Comitatonon sarà però il Commissario straordinario di FS: il compitoviene affidato alla Italferr-SIS.TAV Spa. Emilio Maraini, presi-dente della società, formalizza gli incarichi nel Consiglio di am-ministrazione del 25 marzo 1992: «Il consiglio di ammini-strazione, dopo approfondito dibattito, all’unanimità delibera didare mandato al Presidente del Consiglio di Amministrazione distipulare con i membri del Comitato per i nodi e le aree metro-politane e con il Garante gli atti contrattuali necessari per l’esple-tamento dei compiti loro demandanti nell’ambito dellaistituzione di detti organismi». Il verbale della seduta però pro-segue, riservando un’ulteriore portata: «Il Presidente sottolineale ragioni che consigliano, con riguardo alle prestazioni partico-larmente articolate dal punto di vista tecnico richieste al Comi-tato ed al Prof. Romano Prodi, di avvalersi di strutture pro-fessionali esterne da essi prescelte e rispettivamente, la RenzoPiano Building Workshop Srl con sede in Genova e la NomismaSpa con sede in Bologna». Renzo Piano dunque sceglie comesupporto una sua società, mentre Romano Prodi sceglie una so-cietà della quale è un autorevole collaboratore.

Il contratto con il Garante è quello che avrà la durata piùbreve. Con l’esplosione di Tangentopoli, molti manager diStato finiscono in manette. Il 12 maggio 1993 viene arrestatoil presidente dell’IRI Franco Nobili con l’accusa di corruzionee finanziamento illecito ai partiti. Alla guida dell’Istituto vienerichiamato Romano Prodi. L’abbandono dell’incarico di Ga-rante dell’Alta velocità non determinerà però alcuna conse-guenza sul contratto della società che lo stesso Garante avevaprescelto per svolgere le prestazioni particolarmente articolatedal punto di vista tecnico che con quella nomina gli erano staterichieste.

I costi delle prestazioni del Comitato, del Garante e delle So-

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dente della Commissione dell’Unione Europea. Questa voltala risposta, ad un quotidiano ed una firma così autorevoli, nonpoteva mancare; venne affidata ad un ambiguo comunicato conil quale si precisava che «Il sig. Prodi non ebbe ruolo decisio-nale nell’assegnazione dei contratti a Nomisma. Inoltre il sig.Prodi non aveva alcun interesse, finanziario o altro, in Nomi-sma. Non era azionista e non copriva alcun ruolo operativo odecisionale. Era semplicemente il presidente del comitatoscientifico della compagnia».

L’inchiesta giudiziaria finì nel nulla. A parte gli inquinamenti,che forse hanno orientato questa conclusione, troppo com-plessa era l’architettura contrattuale di quel Progetto, troppe leleggi ed i decreti di riferimento, troppi gli atti e le società coin-volte, troppe le norme e le competenze necessarie per conte-stare illeciti che attenevano più al diritto contabile eamministrativo e molto meno a quello penale. Anche questainfatti era la forza di quel Progetto: un’architettura contrattualee finanziaria complicata ed una rete altrettanto complessa direlazioni contrattuali fra società tutte di diritto privato. Avevaun solo punto debole, la bugia madre di tutte le bugie: quelladel finanziamento privato, sulla quale però si sono “distratti”,oltre che i magistrati, tutti gli organi di controllo dello Stato,governi, ministri e interi parlamenti della Repubblica.

Le nuove stazioni AV e la stazione Mediopadana

Susanna Agnelli ed i membri del Comitato non avevano com-messo alcun reato e potevano dunque consigliare o garantirele decisioni dei boiardi di Stato di dirottare in altre direzioni isoldi pubblici destinati ai pendolari ed ai migranti degliespressi, intercity e treni notturni a lunga percorrenza. Consi-gliano la progettazione e la costruzione di nuove stazioni, spe-cificamente “dedicate” al servizio per l’Alta velocità, a Torino

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che il loro importo sia stato inferiore alla cifra incassata da No-misma. Ancora più ignoto è il lavoro prodotto dal Comitato,non essendoci traccia degli studi che avrebbe dovuto produrresul “modello delle funzioni ferroviarie nell’evoluzione del si-stema della mobilità”, e che poco avevano a che fare conl’unica proposta nota uscita da questo organo, quella di realiz-zare nuove stazioni per l’Alta velocità.

Sugli incarichi e le attività del Comitato, del Garante e delleSocietà di supporto, anche la guardia di finanza nel 1996, nel-l’ambito di una inchiesta più vasta disposta dal PM di RomaGiuseppa Geremia, cerca di capire il perché ed il come di que-sti affidamenti: «le Fiamme Gialle hanno acquisito negli ufficidi Fs e della Tav il materiale relativo ai finanziamenti, alle con-sulenze, agli incarichi di appalto e subappalto e ai rapporti in-trattenuti con aziende e sodalizi interessati al progetto, tra cuiil Comitato per i nodi. Per questa tranche di indagine sono in-dagati, oltre a Susanna Agnelli, altre tre persone: sul fascicolosono indicati i reati di falso in bilancio, truffa ed evasione fi-scale (...). Contro ignoti rimangono ancora i fascicoli sulle con-sulenze affidate a Nomisma (della quale l’ex capo del governoRomano Prodi è stato a lungo presidente del Comitato scienti-fico) ed al Credit Lyonnais.»1.

Le notizie dell’indagine sulla stampa sono del giugno del 1998.Romano Prodi non figurava fra gli indagati, ma per diversotempo rimase il bersaglio preferito di un quotidiano della fami-glia Berlusconi, con una lunga campagna di stampa proprio sulleconsulenze affidate fino all’aprile del 1996 a Nomisma.

La questione del conflitto di interesse del Professore, comeGarante del Progetto Tav e collaboratore autorevole di Nomi-sma, venne riproposta il 4 maggio 1999 con un articolo moltopolemico a firma di Ambrose Evans-Pritchard sull’autorevole“Daily Telegraph”, dopo la nomina dello stesso Prodi a presi-

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1. Haver Flavio, “Alta Velocità, indagati Romiti e Susanna Agnelli”, Corrieredella Sera, 25 giugno 1998, pag. 12.

dennizzi per i disagi previsti si avviano agli inizi del 2000,dopo che il Comune, la Provincia e la Regione avevano giàsottoscritto l’accordo di programma per la realizzazione delnodo. Il disagio per i lavori era previsto per la durata di quattroanni: inizio dei lavori 2004, fine dei lavori 2008. Proprio sullabase di questi presupposti vengono concordati gli “indennizzi”ai residenti e ai piccoli esercenti di via de’ Carracci. Le “bugie”anche in questo caso sono state la norma, ma questa volta nonricadono su impersonali casse dello Stato, bensì sulla testa,sulla vita e sulle tasche di persone in carne ed ossa.

I disagi cominciano subito con l’inizio dei lavori, per il ru-more e la produzione di polvere, ma sarà il meno. Dopo qual-che settimana si registra una incredibile invasione di “ratti”nelle cantine e nei piani terra degli edifici, causata dalla perfo-razione di alcune fognature con getti di cemento, prodotta dagliancoraggi sparati sotto le fondazioni degli edifici. Dopo qual-che mese nelle case iniziano a comparire delle fessurazioni chesi allargano e si allungano di giorno in giorno. Tutti gli edificiprospicienti la via sono più o meno lesionati, in alcuni casi deb-bono essere evacuati e puntellati per evitare rischi di crolli.

Tutto questo accade nel più totale silenzio degli addetti ai la-vori e nella più totale disattenzione dell’Amministrazione dellacittà. I cittadini, lasciati soli, sono costretti ad organizzare de-nunce ed azioni legali. In 650 firmano una azione collettiva dirisarcimento per gli sforamenti continui del livello delle polveri“pm 10”, una media di 155 giorni all’anno oltre i limiti dilegge. Un’altra causa viene promossa da 500 famiglie e 30 at-tività commerciali per lo sforamento della durata dei cantieriche era stata assunta per il calcolo degli indennizzi per i disagida polveri e rumore. I disagi ipotizzati e gli indennizzi erogatisi sono rivelati semplicemente ridicoli. La durata effettiva, seandrà bene, sarà almeno il triplo di quella promessa.

Per i disagi causati da polveri e rumore i cittadini forse riu-sciranno ad avere un qualche minimo risarcimento. Un primoriconoscimento delle loro ragioni arriva con una sentenza del

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Porta Susa, a Firenze Belfiore, a Roma Tiburtina, a NapoliAfragola e pure una stazione di interscambio nella zona Vesu-vio Est in provincia di Salerno.

Grazie al “Comitato per i nodi”, l’Italia è il primo ed unicopaese al mondo ad avere concepito e realizzato stazioni “dedi-cate” al servizio Alta velocità, decentrate rispetto a quelle sto-riche. I progettisti scelti sono però nomi eccellenti, quasisempre star internazionali, che consentono di spostare l’atten-zione mediatica sul progetto del famoso architetto e nasconderel’assurdità della dislocazione delle stazioni stesse, e la loroscarsa utilità ai fini dell’effettivo miglioramento del servizioferroviario.

Sempre attraverso il “Comitato per i nodi” è passata la deci-sione di affidare al famoso architetto spagnolo Ricardo Bofilil progetto per la nuova stazione centrale di Bologna, in questocaso con la stazione per l’Alta velocità sensatamente associataa quella storica. Il mega progetto proposto dall’architetto post-moderno catalano ebbe però la sventura di essere presentato acavallo della storica sconfitta della sinistra che portò sulla pol-trona di sindaco Giorgio Guazzaloca. Il progetto, travolto daun mare di polemiche, viene abbandonato e finisce in qualchearchivio polveroso. La polvere però non finisce sulla parcelladovuta all’architetto che, ovviamente, sarà regolarmente pa-gato. Non va nemmeno in archivio la decisione di costruire unastazione specifica per l’Alta velocità e dunque si riaffida la pro-gettazione ad un’altra star internazionale, questa volta giappo-nese, Arata Isozaki.

Se è vero che le polemiche e la vittoria di Guazzaloca hannoprodotto una soluzione più razionale e meno costosa per lecasse dello Stato, non è stato così però per le tasche e la salutedei cittadini bolognesi che abitano in via de’ Carracci, adia-cente e parallela alla nuova stazione per l’Alta velocità. Per lecentinaia di famiglie e di piccoli commercianti di quella stradasarà un inferno per almeno un decennio.

Gli incontri e le trattative con i residenti per definire gli in-

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dopo molti anni che segnerà l’ingresso nel capoluogo toscanodella più importante infrastruttura pubblica oggi in costruzionein Italia, le linee di Alta velocità”. Il perché ci fosse bisogno diuna nuova stazione non è stato ovviamente spiegato: il progettodella stazione però era firmato da Norman Foster, una superstarinternazionale dell’architettura.

Dopo sette anni i cantieri dovevano ancora partire e, nel2009, con il rinnovo dell’Amministrazione, a far riflettere ilfuturo sindaco di Firenze sui rischi di replicare l’esperienza bo-lognese ci ha provato la storica associazione fiorentina “Idra”.Nella campagna elettorale del 2009 Matteo Renzi aveva pro-messo che questa riflessione si sarebbe aperta. Vinte le elezionied insediatosi a Palazzo Vecchio le sollecitazioni e le proposteconcrete che il professor Girolamo Dell’Olio, presidente del-l’associazione fiorentina, continuerà ad inviare sono rimastesenza risposta. L’unica iniziativa nota ai cittadini assunta dalnuovo sindaco fiorentino sarà quella di condividere e parteci-pare all’evento del “Capodanno ad Alta velocità” promosso dalcollega bolognese Flavio Delbono che, un mese dopo, subiràuna “rottamazione” poco onorevole.

Se gli amministratori di Bologna spendono tempo e denaro perpromuovere eventi che celebrano questa cosiddetta Alta velocità,i colleghi di Reggio Emilia e quelli della Regione non sono dameno. Complice il “Comitato per i nodi”, gli Emiliani si sonoinventati - qui però siamo davvero ben oltre la follia dei fiorentini- un’altra nuova stazione per l’Alta velocità. Collocata a nord diReggio Emilia, nella pianura padana e più o meno a metà fra ilnodo di Milano e quello di Bologna, si chiamerà “Stazione Me-diopadana AV”. Sarà, è la previsione più semplice che si possafare, un monumento allo spreco e all’inutilità. La nuova stazioneoffrirà il servizio a qualche decina, forse un centinaio di passeg-geri eccellenti al giorno, che potranno salire, forse, su due o treFrecciarossa che fermeranno in quella stazione, forse quasi tuttii giorni della settimana. Per la costruzione, finanziata solo consoldi pubblici nazionali ed emiliano-romagnoli, non basteranno

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Tribunale di Bologna, nel novembre 2010, creando le premesseper la richiesta di risarcimento dei danni alla salute per qualchemigliaio di euro, forse, ad essere ottimisti, entro una decina dianni. Il problema vero sarà quello dei costi e degli anni neces-sari per riparare i danni prodotti dal cantiere TAV agli edifici,e sarà la partita più difficile per le famiglie e i piccoli commer-cianti coinvolti. Sarà dura per questi far fronte al contenziosocon imprese che lavorano ormai solo con i loro uffici legali econ SpA pubbliche per le quali il tempo è una variabile scono-sciuta. Il rischio di dover pagare di tasca propria, o anche soloquello della risoluzione in tempi biblici, è quasi una certezza.Il gioco dello scaricabarile delle responsabilità fra i tanti,troppi, protagonisti che hanno firmato accordi, patti, conven-zioni e contratti è infatti iniziato ancora prima delle azioni le-gali promosse dai cittadini.

Come a Bologna anche a Firenze per il “nodo” è previsto ilsottoattraversamento della città, al quale però si aggiunge lastraordinaria idea di realizzare una nuova stazione sotterraneaspecificamente dedicata all’Alta velocità, non associata alla sto-rica stazione di Santa Maria Novella.

I treni che arrivano da Bologna - compresi i Frecciarossa -passano per le due stazioni fiorentine di Castello e di Rifrediprima di arrivare alla stazione di Santa Maria Novella. Quandoripartono per Roma passano per un’altra stazione, quella diCampo Marte. Mentre Santa Maria Novella è una stazione “ditesta”, le altre tre sono stazioni cosiddette “passanti”: da quipassano sempre i treni veloci che saltano la fermata di FirenzeS.M.Novella. Il sottoattraversamento della città è anche conse-guente alla decisione di realizzare una nuova stazione passantesolo per i treni ad Alta velocità. Una decisione concepita dal“Comitato per i nodi”, adottata senza colpo ferire dai boiardi diFS ed accolta con entusiasmo dagli amministratori in carica aPalazzo Vecchio e in Regione Toscana. Si ritroveranno tutti aFirenze il 25 Novembre 2002 alla conferenza stampa che pre-senta “la prima grande opera di architettura realizzata a Firenze

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Lo stesso Lorenzo Necci, il 16 0ttobre 1995, firma l’atto conil quale viene modificata la convenzione FS-TAV del 1991, conla previsione di non costituire più la società TAV-CO Spa, allaquale, secondo la delibera 971, era attribuita l’esclusiva dellagestione commerciale del servizio AV. Con lo stesso atto si de-cideva pure che non ci sarebbe più stata la cessione della retea FS mantenendo di fatto in capo alla stessa TAV SpA anche lagestione dell’infrastruttura.

Le modifiche alla convenzione comportavano anche dei cam-biamenti nei rapporti fra gli azionisti cosiddetti privati e FS,con la previsione della «(...) mitigazione delle obbligazioni fi-nanziarie di FS nei confronti di TAV, attraverso l’eliminazionedell’obbligo di pagamento del canone C1 e la contestuale in-troduzione, in sostituzione, di una nuova obbligazione, ricon-ducibile alla fattispecie dell’accollo interno, che operi solo edesclusivamente in caso di impossibilità temporanea o definitivadi TAV di far fronte al servizio del debito nei confronti degliistituti finanziatori... ». Tradotto in parole semplici chi paga èsempre e comunque lo Stato pantalone.

La cosa però più esilarante è che la descrizione di queste stra-ordinarie novità era scritta nell’allegato numero 11 della Rela-zione al Parlamento presentata dal ministro Burlando nelfebbraio del 2007. Con quella Relazione si dava avvio alla ve-rifica del Progetto TAV sancita con la Legge 662 del 23 dicem-bre 2006 dopo i clamorosi arresti di Necci, Pacini Battaglia edaltri. La Relazione del ministro riprende alla lettera le presuntenovità scritte nell’allegato; fra le altre questa: « (...) è utile se-gnalare al riguardo che l’impegno al rimborso del finanzia-mento pubblico non era contemplato nelle pattuizioni inizialidel ‘91, ma è frutto di un accordo successivo tra FS e TAV.».

A parte il fatto che questo impegno fantasioso e inesigibileera già contemplato nella delibera del 1991, sarebbe interes-sante sapere chi ha steso quella Relazione, copiando pari parile “fantasie” contenute negli allegati forniti da FS, e se è rima-sto al suo posto anche dopo il 23 marzo del 1998. Quel giorno

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100 milioni di euro. Ma il problema sarà la gestione e la manu-tenzione: nemmeno il più sprovveduto degli amministratori po-trebbe avere l’ardire di giustificarne la sostenibilità. Per ilprogetto però, ovviamente, è stato scelto un altro famosissimoarchitetto, Santiago Calatrava.

L’architetto spagnolo pare che a Reggio Emilia, per qualchecongiunzione astrale favorevole, abbia trovato l’eldorado.Nella stessa città, sempre grazie all’Alta velocità, ha progettatotre ponti a vela che sovrastano l’autostrada - segni straordina-riamente efficaci per distrarre gli automobilisti che sfreccianonella pista sottostante - costati tre volte di più di ponti normali.

Per la nuova stazione mediopadana si poteva solo sperare chequalche amministratore avesse fatto almeno qualche contoprima di dare corso a questa follia. I conti comunque dovràfarli chi si farà carico di gestire e manutenere il monumentoallo spreco e all’inutilità, ovviamente dopo che il ministro diturno avrà celebrato il rito per la cerimonia dell’inaugurazioneaccompagnato dal presidente della Regione, dal presidentedella Provincia e dal sindaco della Città.

I cambiamenti radicali di Cimoli

Fra le tante bugie che i boiardi pubblici e privati ci hannoraccontato per fare affari con l’Alta velocità, quella della qualenon si è mai esplicitamente preso atto è il millantato finanzia-mento privato. Per questo si continua a parlare di project fi-nancing e a raccontare bugie, modificando l’architetturacontrattuale e finanziaria ma solo con lievi aggiustamenti chelasciano intatte le scelte di fondo del topico 1991. Ad ogni cam-bio dei vertici di FS SpA, si è lasciato solo trasparire gli erroridel passato, annunciando però cambiamenti sostanziali. In re-altà si sono aggiunti errori ad errori facendo in questo modolievitare a dismisura i costi.

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tutti i contratti dei cosiddetti general contractor, caricando suiconti pubblici tutti gli oneri futuri della bugia del finanzia-mento privato e premiando gli stessi “privati”, complici ed at-tori, con il rimborso della loro quota.

A gestire questa straordinaria operazione gattopardesca, conil consenso dello stesso ministro che aveva bollato come falsala partecipazione privata, è stato Giancarlo Cimoli, il boiardoche aveva preso il posto di Necci dopo l’arresto di quest’ultimonel settembre del 2006. Cimoli, per gli oltre 6 anni che rimaneal vertice di FS, millanta in più occasioni cambiamenti radicalial Progetto TAV, ma non modifica nemmeno una virgola dellasua architettura finanziaria e contrattuale. Non solo: come ilsuo predecessore assume il doppio incarico, e la doppia retri-buzione, di amministratore delegato di FS e di Presidente diTAV SpA. Risolverà questo conflitto di interesse nel 1999, masolo dopo insistenti e ripetute richieste del nuovo ministro deiTrasporti Pierluigi Bersani. Darà le dimissioni da presidente diTAV SpA ma rimarrà seduto nel mega-Consiglio di ammini-strazione della stessa società accanto a Mauro Moretti, futurosuo successore, a Giuseppe Sciarrone, futuro amministratoredelegato di NTV, Nuovo Trasporto Viaggiatori, la società pri-vata che gestirà il servizio Alta velocità, ed altri nove boiardidi Stato, tutti in rappresentanza di un unico socio, FS SpA.

A chiedere invece un importante cambiamento, quello di azze-rare i contratti di TAV SpA con i general contractor affidatari delletratte ancora in fase di progettazione, fu proprio il successore delministro Burlando. Per dare attuazione a questo indirizzo, lostesso ministro, di fronte all’inerzia dell’amministratore delegato,fu costretto a presentare senza successo prima un emendamentoad un disegno di legge per la conversione di un decreto, poi unprogetto di legge mai arrivato in aula. Riuscì a far diventarenorma la sua richiesta di azzerare i contratti TAV con l’articolo131 della Legge finanziaria per il 2001.

All’inizio del 2000, fra le tratte ancora in fase di progetta-zione vi era ancora la Torino-Milano. Su pressione della FIAT

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il ministro Burlando partecipa a Milano ad un importante con-vegno sui temi della mobilità. Nel suo atteso intervento parlaanche del celebrato finanziamento privato del Progetto TAV e,destando lo stupore dell’uditorio, afferma: «(...) quando siamoandati a vedere abbiamo constatato che era una cosa falsa, èbene che si sappia che è finita la quota pubblica del 40%, men-tre il 60% dei privati non si è mai visto».2 La bugia per la primavolta veniva pubblicamente denunciata dal ministro dei Tra-sporti in carica con parole inequivocabili, facendo però nascereil sospetto che egli non avesse nemmeno letto la Relazione cheun anno prima aveva consegnato a tutti i parlamentari, ed ildubbio sulla sua effettiva consapevolezza delle affermazionifatte in quel convegno.

Nonostante la denuncia della “bugia”, infatti, nulla si feceper azzerare o comunque ridefinire un’architettura contrattualee finanziaria fondata su presupposti falsi. Anziché procedereall’azzeramento di una società inutile, costituita al solo scopodi millantare finanziamenti privati, è stata imboccata la stradaesattamente opposta. I cosiddetti investitori privati, soci di TAVSpA, sono stati tutti rimborsati della loro quota di partecipa-zione; in quel momento i soci cosiddetti privati erano 42, tuttee sole banche, con una quota di capitale da 1 a 2 milioni di eurocadauna. Presenti nella società con un capitale di rischio ridi-colo, ma pronte per il grande affare del “finanziamento pri-vato”, e cioè quello di “prestare soldi” alla stessa societàpartecipata, con totale garanzia dello Stato. A nessuno è maibalenato il dubbio di un evidente conflitto di interesse di questapresenza. Se il loro interesse specifico, ovvio e legittimo, eraquello di “prestare soldi” a TAV SpA, altrettanto ovvio era l’in-teresse a fare aumentare il più possibile i costi del Progetto, edunque accrescere l’esigenza dei “prestiti”.

TAV SpA, anziché essere cancellata, viene trasformata in unasocietà al 100% di FS SpA, garantendo così la continuità di

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2. “TAV fallimento annunciato”, Italia Oggi, 24 marzo 1998.

sarà finanziata - tre gruppi di banche sono molto interessate - conle condizioni sopra descritte. Tutto viene finanziato. I soggetticoinvolti sono Trenitalia ed RFI. Qualcuno paga per linee nuovee, in funzione del numero di passeggeri, si può ripagare il debitoavendo allungato la concessione da 40 a 60 anni. In questa ipotesi,credo che lo Stato dovrebbe pagare circa otto miliardi di euro nel-l’arco di una trentina di anni. L’impegno è quindi meno gravoso;ciò che è più importante è che se tutto questo viene attuato, l’Altavelocità è praticamente finanziata».

Che la Milano-Torino fosse molto costosa i conti finali lo con-fermeranno chiaramente, ma che fosse anche “altamente reddi-tiva” era già in quel momento una previsione ospitata solo nellafantasia del grande manager. Il modello di esercizio di quellatratta prevedeva il passaggio di 160 coppie di treni al giorno, 120per i passeggeri e 40 per le merci. Nel 2010 sulla nuova tratta diAV/AC Milano-Torino passano 9 coppie di treni al giorno perpasseggeri e non passa nessun treno merci. Previsioni sbagliate?No, erano semplicemente invenzioni per giustificare la realizza-zione di una nuova tratta assolutamente inutile ed a “redditività”negativa. Cimoli stava raccontando delle storie che i senatorihanno bevuto, in alcuni casi, con entusiasmo.

Il presidente della Commissione, definendo le parole del ma-nager un grande disegno strategico, chiude la seduta nel modopiù degno per celebrare le storie raccontate in quell’aula: «Ilfatto che una società (Ispa, ndr), sia pure pubblica, si fa caricodella realizzazione di un’opera così strategica come conti-nuiamo a ritenere l’Alta velocità non può che farci piacereanche perché viene esternalizzata rispetto alle forze del bilan-cio dello Stato».

Nel 2005 l’Unione Europea certificherà che quelle “storie”erano delle “favole” e per questo dovevano essere cancellatedai documenti contabili delle società di diritto privato, TAVSpA e Infrastrutture SpA, perché indebitamente tenute fuoridalla contabilità nazionale. Il Parlamento, nel dicembre del2006, accoglierà questa prescrizione dell’UE, decidendo di li-

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e della nuova proprietà di Impregilo, Cimoli, nonostante il pro-getto di legge già depositato in Parlamento che ne prevedeval’azzeramento, accelera la firma dell’atto integrativo per l’aper-tura dei cantieri. La firma con il general contractor FIAT SpAci sarà prima che quella previsione, il 1 gennaio 2001, diven-tasse norma di legge. Salvato l’azzeramento del contratto, latratta cambia ufficialmente la sua collocazione. Il ProgettoTAV, fino a quel momento era stato deliberato e pubblicizzatocon due linee, la verticale Milano-Napoli e la trasversale To-rino-Venezia, più l’appendice della Genova-Milano. Da quelmomento la Torino-Milano non sarà più nella linea trasversaleTorino-Venezia e nel famoso Corridoio europeo numero cin-que, bensì nella nuova linea Torino-Napoli, entrando, come ap-pendice, o come non si sa, nel famoso Corridoio europeonumero uno.

Con il cambio del governo nel 2001, Cimoli, confermatosulla stessa poltrona, continua a millantare i cambiamenti ra-dicali del Progetto. Convocato dalla Ottava Commissione delSenato, il 10 aprile 2003, racconta che « (...) inizialmente siprevedeva di costruire la TAV con il 40 per cento dello Statoed il 60 per cento del mercato con il take or pay; progetto chefeci saltare.». Ovviamente non era cambiato nulla, anzi: maquesto gli consentiva di raccontare che «(...) con la stima deipasseggeri, dei ricavi eventuali e del pedaggio nel frattempodefinito, feci presente al Governo di allora, che si disse d’ac-cordo, di prevedere il 60 per cento di finanziamento pubblicoed il 40 per cento di risorse private.».

Cimoli, sempre davanti ai senatori, conclude il suo racconto inlibertà facendo intendere che questa sua straordinaria intuizioneha ispirato la costituzione, ad opera del creativo Giulio Tremonti,di ISPA, lnfrastrutture SpA, ed annuncia ai senatori la quadraturadel cerchio per il finanziamento della “nuova” linea di AV: «At-traverso ISPA canalizziamo la Torino-Napoli, ad eccezione dellatrasversale, di cui ancora non conosciamo il costo, con tratte al-tamente redditive e molto costose come la Milano-Torino, che

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contentino al ministro dello Sviluppo economico del governoin carica che di quella forma di affidamento aveva chiesto l’az-zeramento.

Fra i motivi più onerosi, secondo i super pagati vertici delleFS, vi era quello della fase di «approvazione, da parte dellecompetenti autorità Territoriali e Locali, del progetto che haquasi sempre comportato onerose ricadute in termini di appe-santimento delle opere da realizzare e di allungamento deitempi di esecuzione, gravando altresì il Progetto, in numerosicasi, di ineludibili obiettivi di riqualificazione delle aree attra-versate estranei alle finalità proprie dell’opera ferroviaria».Colpa dunque anche degli Enti locali, che hanno appesantito icosti ed allungato i tempi, proponendo però, si dice, ineludibiliobbiettivi ai quali FS non si è potuta sottrarre anche se estranei,si dice, all’opera ferroviaria.

L’inventario dei maggiori costi fornito ai senatori era rias-sunto puntualmente: «Modalità di affidamento, 6 M; Speci-fiche progettuali, orografia e sismicità del territorio, 7 M;Prescrizioni ambientali e territoriali, 6 M; Antropizzazionedel territorio e acquisizione delle aree, 2 M». Il totale dei costigiustificati dalle differenze di contesto e modalità realizzativeera di 21 milioni di euro a chilometro. Secondo i campioni delmanagement di Stato le infrastrutture per l’Alta velocità in Ita-lia sarebbero costate, scalando dal costo complessivo i mag-giori oneri esattamente descritti, più o meno come in Franciae Spagna, 11 M/Km.

Anche concedendo alla ipocrisia di Moretti e Cipolletta il be-neficio d’inventario dei maggiori costi così puntualmente elen-cati, i conti però non tornano. Moretti e Cipolletta, purammettendo alcuni limiti, ma solo per il passato, hanno fornitoai senatori delle cifre taroccate che hanno consentito di nascon-dere uno scarto, nel confronto con Francia e Spagna, ben piùclamoroso, esattamente il doppio di quello presentato.

Il costo medio a chilometro è il risultato del rapporto fra ilcosto complessivo delle infrastrutture considerate ed il numero

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quidare ISPA e di trasferire nel debito pubblico tutti i debiti ac-cumulati per l’Alta velocità “esternalizzata”. Nel frattempo, ilpresidente della Commissione era diventato addirittura que-store dello stesso ramo del Parlamento ed il grande manager,dopo le favole raccontate dal vertice di FS, era stato spedito araccontare storie al vertice dell’Alitalia e lì, pure, sappiamocom’è finita.

I costi taroccati e quelli ignorati da Moretti e Cipolletta

Con le parole in libertà non scherza nemmeno il vertice nomi-nato dal governo Prodi nel 2006; anche in questo caso l’occasioneè data da un’audizione sempre nella stessa aula dell’Ottava Com-missione del Senato.

L’amministratore delegato Mauro Moretti ed il presidente In-nocenzo Cipolletta, convocati nel marzo del 2007, raccontanola loro versione della storia. Con le informazioni fornite, con-segnano ai senatori dati dettagliati sui costi delle infrastruttureper l’AV, pure confrontati con quelli di altri Paesi. Le cifre for-nite indicano un costo medio per le tratte italiane, in quel mo-mento in esercizio, di 32 milioni di euro a km, rispetto ai 10della Francia ed ai 9 per la Spagna. I dati indicano anche lalunghezza complessiva delle linee o tratte in esercizio alle qualiquei costi si riferiscono: 564 km per l’Italia, 1.548 km per laFrancia e 1.030 km per la Spagna.

Fornendo un costo di due terzi superiore a quello degli altriPaesi giustificano dettagliatamente i tanti motivi dello scarto,compresi quelli delle modifiche tecniche intervenute dopo lapresunta trasformazione del Progetto da Alta velocità nella in-definita Alta capacità. Segnalano pure quelli dovuti al contra-ente generale che “ha posto la Committenza in una condizionedi minore capacità negoziale rispetto al ricorso ad una compe-tizione di mercato tra soggetti qualificati”: concedendo così un

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e, comunque, pur escludendo dal calcolo - come dovrebbe esserefatto - il costo attualizzato di questo onere finanziario futuro, gliinteressi intercalari sugli stessi prestiti non possono non essereconsiderati un costo di costruzione a tutti gli effetti.

Alla fine, facendo un confronto omogeneo, senza tarocchi,le nuove tratte AV italiane, in quel momento in esercizio (To-rino-Novara e Roma-Napoli, 290 km), sono costate 63,4 mi-lioni di euro a chilometro, a fronte del costo a chilometro dellaprincipale linea francese (Parigi-Lione, 417 km) di 10,2 mi-lioni, e della principale linea spagnola (Madrid-Siviglia, 470km) di 9,8 milioni.

Anche prendendo per buone le precise e dettagliate ragionidei maggiori oneri consegnate ai senatori, rimane da spiegareche cosa hanno finanziato i 31,4 milioni di euro a chilometroche mancano all’appello. Per la prossima audizione, sarebbebene chiedere al vertice delle FS, oltre ai chiarimenti su questoclamoroso buco relativo solo al costo delle “tratte”, di fornireun rendiconto su tutte le “voci” di costo del Progetto AV pre-sentato e celebrato nel 1991. Da quello dei “nodi” a quellodelle “infrastrutture aeree”, da quello del “materiale rotabile”a quello degli “interessi intercalari”: e solo per rimanere allevoci che nel Progetto del 1991 erano previste e quantificate.

Ovviamente non sarebbe sgradito che il Parlamento fosse in-formato sulle voci di costo che in quel Progetto non erano pre-viste, ma che nel corso del banchetto si sono aggiunte conl’invito esteso ad altri commensali. Quella dei costi diretti so-stenuti dalle Società, FS SpA, TAV SpA, Italferr SpA, RFI SpA,Infrastrutture SpA, che hanno gestito, in toto o per la parte dicompetenza, le attività connesse con il Progetto. Quella dei costisostenuti dalle medesime società per Comitati, Garanti, studi,consulenze, incarichi a persone e società, attinenti o connessi.Quella dei costi sostenuti per la progettazione e la realizzazionedelle nuove stazioni per l’Alta velocità, compresa quella “Me-diopadana”. Quella dei costi per tutte le opere, compensative oindotte, finanziate con soldi pubblici e che non sono passate at-

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di chilometri lungo i quali queste si sviluppano. Bene, nel casoitaliano il costo complessivo assunto era di 18.000 milioni dieuro, esattamente il costo sostenuto per realizzare solo le “infra-strutture a terra” delle “tratte” Torino-Novara (85 km), Firenze-Roma (241 km) e Roma-Napoli (204 km). La somma di questetratte, però, che è di 531 km, non corrisponde alla cifra utilizzataper il rapporto e scritta nei documenti forniti ai senatori, che era561 Km. Il costo era dunque solo quello delle “tratte”, senzaquello dei “nodi”, mentre i chilometri erano sia quelli delle tratteche quelli dei nodi. Ma questo era solo il tarocco più veniale,portava il costo a km da 32 a 34 milioni di euro.

Il tarocco clamoroso era un altro, quello di avere incluso nelcalcolo anche la tratta Firenze-Roma, una furbata degna di unpremio al disprezzo dell’intelligenza. Con quel Progetto di Altavelocità quella tratta non ci entrava assolutamente nulla e nullaaveva a che fare con le caratteristiche tecniche delle “linee dedi-cate” francesi e spagnole. La Firenze-Roma, quando il ProgettoTAV è decollato era già in funzione. È stata concepita e realizzatacome linea veloce ed universale, per passeggeri e merci, con unsistema di alimentazione classico, lo stesso delle linee storiche.Costruita attraverso normali gare di appalto, affidate e gestite di-rettamente da FS.

Escludendo dal calcolo la furbata della Firenze-Roma, il costoa chilometro delle nuove tratte italiane di AV/AC, in quel mo-mento in esercizio, Torino-Novara e Roma-Napoli, confrontabilicon quelle francesi e spagnole, sale ad una media di 55 milionidi euro a km. Ma non basta: nei casi esteri il costo consideratoincludeva ovviamente anche quello delle “linee aeree”, assenteinvece in quello italiano. Infine, mentre in Francia e Spagna lelinee considerate sono state realizzate direttamente dalle societàstatali, SNCF e RENFE, con soldi dello Stato e attraverso normalicontratti di appalto, in Italia lo Stato si è fatto carico direttamentedegli “interessi intercalari”, per i cosiddetti finanziamenti privati,per il tempo della costruzione e fino all’avvio dell’esercizio. Ov-viamente i prestiti dovranno essere restituiti con relativi interessi

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nuovo istituto contrattuale, quello dell’ “affidamento a contra-ente generale”. Il principio fissato nella legge non era riferitoal contratto bensì al contraente ed era esattamente questo: «(...)il Contraente Generale è distinto dal Concessionario di operepubbliche per l’esclusione della gestione dell’opera eseguita».

La definizione conseguente, data dal Governo con il decretolegislativo 190/2002, non aveva nulla da invidiare alla straor-dinaria invenzione dello “sfruttamento economico” attribuitodalla delibera 971 alla “Concessionaria” TAV SpA. In questocaso però la definizione del Contraente Generale come “Con-cessionario” senza “la gestione dell’opera” (cioè del corrispet-tivo tipico della concessione) non era in realtà una novità. Eraesattamente quello che la Legge 80/1987, proposta all’epocadal Ministro Signorile, definiva appunto “Concessione di solacostruzione”. L’articolo 8 della Legge Signorile però aveva unadurata limitata e la Corte europea nel giugno 1992 ne avevavalutato il contrasto con la direttiva 71/305/CEE. Lo stessoParlamento italiano con l’art. 19 della Legge “anti-tangento-poli”, la n. 109/1994, ne aveva sancito la definitiva cancella-zione dal nostro ordinamento.

Il ministro Lunardi, nella relazione introduttiva del decretolegislativo, per reintrodurre proprio questo istituto contrattuale,arriverà perfino a scrivere che nell’Alta velocità la forma di af-fidamento del general contractor aveva consentito di rispettaretempi e costi dei contratti. Con il Contraente generale dunquele grandi opere della Legge obbiettivo partono con gli stessiimpegni che il commissario straordinario delle FS aveva as-sunto con la firma della delibera 971/1991: il tarocco dei tempicerti e prezzi chiusi.

Con la delibera del CIPE n.121 del dicembre 2001, con laquale si identificavano le opere della Legge obbiettivo, allelinee ad Alta velocità del progetto del 1991 se ne aggiungonodiverse altre.

Il costo di queste nuove linee AV (vedi Tab.3) è stimato inoltre 77 miliardi di euro. Le risorse stanziate al dicembre 2009,

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traverso i contratti dei general contractor. Sarebbe infine gradito che fosse fornita almeno una stima di

altre voci che sono certamente di difficile quantificazione mache non sono meno importanti delle precedenti, anzi. Quelladei danni ambientali provocati dai lavori dei general contractor,sui quali si sono già specificamente misurati i magistrati dellaProcura di Firenze per la Bologna-Firenze e di Milano per laGenova-Milano. Quella del contrasto della corruzione e dellacriminalità organizzata che ha visto impegnate le forze di po-lizia con quasi tutte le Procure della Repubblica delle città deinodi delle nuove linee dell’Alta velocità, oltre a quelle di LaSpezia e di Perugia. Quella dei danni prodotti sull’industria na-zionale sia dal Consorzio Trevi nel settore del materiale rota-bile, che dal Consorzio Saturno nel settore del segnalamentoferroviario. Quella delle risorse pubbliche, trasferite annual-mente dallo Stato a FS SpA per gestire il servizio ferroviariouniversale, che surrettiziamente e indebitamente sono state di-rottate sul servizio AV offerto al 5% degli utenti dei servizi fer-roviari. Quella del danno scaricato sulle tasche e sulla qualitàdella vita del 95% degli utenti delle ferrovie per l’evidente peg-gioramento del servizio universale determinato dalle scelte tec-niche, dalle modalità finanziarie e contrattuali nonché dallastessa tempistica con la quale le voci di costo del progetto TAVsono state definite e consumate.

La Legge obbiettivo

Solo in un Paese che riesce a non vedere un furto così cla-moroso può succedere che gli strumenti che hanno consentitodi consumarlo siano assunti addirittura come modello legaliz-zato per realizzare le grandi opere.

Con la Legge obbiettivo, la n. 301/2001, fra le deleghe chequesta affidava al Governo vi era anche quella di definire un

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somme stanziate erano appena l’1,6% delle risorse effettiva-mente necessarie. Se consideriamo anche le tratte del ProgettoTAV del 1991 che sono ancora da realizzare, le risorse da met-tere in campo si avvicinano ai 100 miliardi di euro, ed anchein questo caso le risorse disponibili rappresentano solo il 2,8%di quelle effettivamente necessarie.

Nel 2006 il Centro-sinistra vince le elezioni con un pro-gramma nel quale si impegnava esplicitamente a superare laLegge obbiettivo e cancellare dal nostro ordinamento l’istitutocontrattuale del contraente generale. Nei due anni del GovernoProdi non si è vista nemmeno una traccia della modifica di que-ste norme speciali. Il ministro delle Infrastrutture Antonio DiPietro non ha trovato nemmeno il tempo di presentare almenoun progetto di legge.

Il tavolo politico del CIPE ha continuato ad approvare i pro-getti di questo elenco di sogni che svaniscono solo quando asognare non sono le lobby con molti interessi e forti legamicon il potere. È il caso ad esempio della linea AV “Salerno-Reggio Calabria e Messina/Palermo/Catania”, in bella mostranelle “grandi opere” prioritarie fino al 2008 con una previsionedi costo di 12.291 milioni di euro. Nel Dpef 2010-2013 non sitrova più alcun riferimento all’AV/AC per questa linea ma soloqualche riferimento al semplice e indefinito “potenziamento”di qualche tratta con una previsione di costo di qualche centi-naio di milioni.

Al contrario, quando gli interessi della lobby del “ferro e ce-mento” ci sono, la follia del sogno diventa realtà ed a garantire que-sto passaggio è - si continua a raccontare - il cosiddetto “finan-ziamento privato” del mitico project financing. Proprio su questeopere anche presidenti di Regioni, di Province e sindaci di grandiComuni scommettono il loro futuro politico, a prescindere dalla“sostenibilità” per le casse pubbliche e dalla “utilità” per i loro ter-ritori, calpestando anche le ragioni ed i diritti dei loro stessi cittadini.L’esempio della Torino-Lione è quello più emblematico.

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con la Legge obbiettivo, erano esattamente il 2,9% dei costiindicati nei documenti ufficiali di programmazione, in granparte vecchi o sottostimati. Rispetto a stime più veritiere le

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Nuove tratte e linee AV nei programmi

della Legge Obbiettivo

Costi Ufficialinel Dpef

2008-2012 M

Nostre stime2009 M

Impegni di spesaDicembre2009 M

Quota italiana della Tratta internazionale AV

Torino-Lione

4.686 7.500 349,0

Tratta AV Bruzolo-Torino

2.375 4.400 0,0

Quota Italiana della Tratta internazionale AV

Verona-Monaco

3.000 6.700 260,0

Tratta AV Fortezza-Verona

8.000 9.500 0,0

Linea AV Venezia-Trieste

6.129 12.500 29,4

Linea AV Salerno-Reggio Calabria

e Messina-Palermo-Catania

12.291 28.500 54,0

Linea AV Napoli-Bari

4.920 8.200 550,0

Totale 41.401 77.300 1.242,4

(Tab.3 - Costi e impegni di spesa per le nuove linee di AV inserite nellaLegge obbiettivo)

matiche immagini del Seghino, di Mompantero e di Venausche dal 31 ottobre a fine dicembre 2005, in una valle militariz-zata, hanno polarizzato l’attenzione mediatica nazionale. Menonote però, e prive di riscontro negli stessi media, sono le mo-dalità di approvazione e di gestione del progetto che quelledrammatiche vicende hanno provocato.

A presentare quel progetto è stato un ministro delle Infra-strutture che, con una sua Società di Ingegneria lavorava pro-prio sulla tratta per la quale chiedeva l’approvazione del CIPE.L’impresa del ministro lavorava sul versante francese, ma il fi-nanziamento richiesto all’Italia era esattamente il 67% dell’in-tero importo preventivato, mentre solo il 33% della trattainternazionale era sul territorio italiano. Dunque il ministrochiedeva soldi per finanziare i lavori anche della sua impresa.

Lo staff tecnico che ha garantito al ministro la gestione diquel progetto vedeva la presenza, in posizione di comando, diErcole Incalza, già amministratore delegato di TAV Spa, edEmilio Maraini, già presidente di Italferr SIS TAV SpA. Chefossero esperti di Alta velocità non poteva essere messo in di-scussione, ma che fossero nelle condizioni di fornire al mini-stro consigli e valutazioni disinteressate c’è sicuramente dadubitare; anzi, probabilmente erano le persone meno indicate,e forse anche in una posizione di dubbia legittimità. Entrambierano stati indagati, e poi rinviati a giudizio, per diversi reaticonnessi proprio con il Progetto TAV e la parte offesa per queireati era, fra gli altri, il ministero delle Infrastrutture dal qualeerano regolarmente retribuiti.

Questo dunque il progetto approvato in sede politica e per ilquale Lunardi, Incalza e Maraini hanno chiesto nel dicembre2005 l’intervento dell’esercito, della polizia e dei carabinieri.

Dopo le drammatiche vicende del 2005, i cittadini ed i sin-daci della Val di Susa sono anche riusciti a far uscire il progettodalle procedure della Legge obbiettivo e a far ritornare la va-lutazione di quell’opera su di un tavolo tecnico. Si confidavanel ritorno alla ragione, alla valutazione di merito, al confronto

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L’esempio della Torino-Lione

Il CIPE, con la procedura della Legge obbiettivo, il15.12.2003 approva il progetto preliminare della tratta inter-nazionale di questa linea con una stima dei costi della quotaitaliana di 2.278 milioni di euro. Sempre con un progetto pre-liminare, nel 2010 - e senza alcun cantiere aperto - la stimadella quota italiana salirà ad oltre 8 miliardi di euro. Non cam-biano invece le stime di traffico, per le quali l’unica domandaplausibile che si porrebbe una normale Commissione tecnicadi valutazione è se a proporre quell’opera siano dei marziani odegli imbroglioni.

Succede però che, a differenza del governatore, del presi-dente e del sindaco del capoluogo che sollecitano l’inserimentonella Legge obiettivo e poi applaudono per la sua agognata ap-provazione, nei territori interessati della Val di Susa ci sianocittadini molto informati e che da anni conoscono bene quellestime e sanno bene quanto siano prive di fondamento. In questocaso, allora, dalla sede politica del CIPE si passa a quella delministero dell’Interno che, su richiesta del ministro delle In-frastrutture, invia l’esercito e le forze dell’ordine per aprire icantieri. Ci hanno provato nel dicembre 2005 e, per la primavolta, il TAV è stato fermato dalle ragioni di chi, semplice-mente, vuole che alla base delle decisioni di realizzare infra-strutture pubbliche, l’interesse pubblico ci sia veramente, e siaquanto meno dimostrato.

La scelta di approvare in sede politica il progetto, con la pro-cedura speciale della Legge obbiettivo, comporta comunque ladefinizione di un quadro programmatico che ne giustifichil’utilità sociale e la sostenibilità economica. In questo caso peròdiventa molto più difficile garantire la valutazione indipen-dente di un progetto presentato su di un tavolo politico comeuna bandiera, e da un ministro, per giunta, personalmente in-teressato. I risultati di questa scelta si sono visti con le dram-

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merito. Forse sono da sommare i due motivi insieme, in quantopare proprio che la Torino-Lione sia diventata un dogma, unassunto ideologico, indiscutibile.

Quell’opera, nella volontà e nelle parole dei ministri delleInfrastrutture, Lunardi con la difesa militare, Di Pietro con unaipotesi di progetto presentato all’UE per avere un qualche fi-nanziamento, Matteoli col progetto nell’elenco delle opere an-ticrisi, e ancora nelle parole dei presidenti della Regione Bressoe Cota, del presidente della Provincia Saitta, dei sindaci Chiam-parino e Fassino e di molti altri esponenti politici, rimane an-corata ad un quadro programmatico che, in sede tecnica, è statosemplicemente demolito. I numeri dicono che quella nuovalinea non è necessaria. Loro continuano a ripetere che è indi-spensabile.

Qualche tecnico di quel tavolo ha provato a difendere la ve-rità acclarata, di fronte alle sempre più fantasiose esternazionidel politico di turno; uno lo ha fatto anche con una letteraaperta al ministro dopo l’ennesima dichiarazione ancorata ascenari privi di qualsiasi riscontro: «Illustrissimo Sig. Ministro,La disturbo, come ho già fatto in altra occasione, scrivendolein qualità di membro dell’Osservatorio Tecnico sul nuovo col-legamento ferroviario tra Torino e Lione e a seguito dell’in-contro con gli amministratori locali svoltosi ieri, 30 luglio2009, presso la prefettura di Torino. Ella, in quel contesto, hapresentato uno scenario di cui l’Osservatorio come tale non eraconsapevole; (...) ciò che Lei ha comunicato ai presenti è statoche se il nuovo tunnel di base non si farà il traffico raggiungeràla paralisi nel giro di una decina di anni. Se è così si prospettauna situazione di assoluta emergenza in quanto, come Lei sa,la data ufficiale di entrata in funzione del tunnel di base è il2024, non solo, ma il programma di completamento delle operedi adduzione sul versante francese prevede scadenze che vannoanche al di là del 2030. Per altro, Lei ci ha detto, questo allar-mante scenario non era presentato alla leggera ma derivava dastudi effettuati da suoi consulenti. Mi spiace che, essendo il

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sui numeri, al calcolo dei costi e dei benefici di quell’opera. Il primo marzo del 2006, con un decreto del presidente del

Consiglio, si istituiva anche un Osservatorio del ministero delleInfrastrutture “con rappresentanti della Presidenza del Consi-glio dei Ministri, dei dicasteri della Salute, dell’Ambiente edelle Politiche Comunitarie e degli esperti designati dagli entiterritoriali interessati, Regione Piemonte, Comune e Provinciadi Torino, Comunità Montane dell’Alta e Bassa Valle di Susa,Comuni della Gronda di Torino”. Con lo stesso decreto, SilvioBerlusconi nomina il Commissario-presidente dell’Osservato-rio e la scelta cade sull’architetto Mario Virano, un ex comu-nista, amico e compagno di partito del segretario del maggiorepartito di opposizione, Piero Fassino. Già insieme nella segre-teria della Federazione del PCI a Torino negli anni Ottanta, Vi-rano era stato al ministero della Giustizia nel 2000 comeesperto economico del ministro Fassino. Era anche stato no-minato dal ministro Lunardi nel 2001 nel Cda dell’ANAS,dopo che lo stesso ingegner Lunardi era stato consulente dellaSitaf SpA, concessionaria dell’autostrada del Frejus, nellaquale l’architetto Virano era amministratore delegato. Il neo-presidente annuncia subito un orientamento promettente sullefinalità dell’Osservatorio: «Fin dall’inizio ho apertamente con-diviso l’idea dei sindaci che la discussione debba avvenire apartire dal “se” e non solo “come”, valutando “l’opzione zero”e “l’impatto cumulativo” delle infrastrutture sul territorio».

I primi quaderni tecnici prodotti dall’Osservatorio in effettisembravano confermare il primato della valutazione del “se”,ed i numeri forniti con quei primi approfondimenti in sede tec-nica offrivano una risposta quasi univoca. Le stime e le previ-sioni di traffico, condivise e sottoscritte da tutti i rappresentantidegli Enti rappresentati, disegnavano un quadro programma-tico univoco: quella nuova linea non serve. O l’inutilità certi-ficata in sede tecnica, però, non è stata illustrata ai vertici degliEnti più importanti rappresentati a quel tavolo, o la volontà diquesti stessi ormai prescindeva dalle logiche del confronto di

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ramente, sopra e contro la logica dei numeri. La sua colpa èstata solo quella di essere caduto nella trappola ordita da unpresidente che, nella gestione di quel tavolo tecnico, dovevaperseguire un solo obbiettivo, quello della realizzazione di quelprogetto.

Proprio l’impegno che, alla vigilia dell’insediamento di queltavolo, il presidente dell’Osservatorio aveva assunto per la va-lutazione del “se”, e dunque anche della eventuale “opzionezero”, era infatti una delle tante bugie che da sempre accom-pagnano questo Progetto. Quella possibilità, nel decreto cheistituiva l’Osservatorio e che lo nominava presidente, nonc’era, anzi, al contrario, ed a chiare lettere, si affermava chequello era il progetto che si doveva realizzare e, con un breveaccenno, faceva riferimento solo ad “eventuali modifiche”.Tecnicamente, la sua nomina era e rimane quella di “Commis-sario straordinario per la realizzazione della nuova lineaAC/AC Torino-Lione”. L’Osservatorio è e rimane un organi-smo utile solo a millantare un coinvolgimento del territorio chenon vi è mai stato. Non è un caso che il testo di quel decretosia rimasto sconosciuto per molti mesi al pubblico, e cosìquella “bugia” ha consentito al presidente di costruire una raf-finata trappola, nella quale anche i rappresentanti dei sindacidella Val di Susa sono in parte caduti, e di sbandierare un pre-sunto accordo storico, quello cosiddetto di “Prà Catinat”, pre-sentato alla Francia ed all’Unione Europea come il via liberaalla realizzazione della grande opera con il consenso di tutti iComuni della Val di Susa. Un accordo mai votato da alcunConsiglio comunale e mai sottoscritto da alcun sindaco, bensìun puro e semplice verbale scritto dal Commissario-presidente,un capolavoro di affermazioni ambigue dalle quali è statoestratto solo quello che conveniva e che la cassa di risonanzadei mass media ha fatto diventare addirittura un esempio dipartecipazione e condivisione di scelte urbanistiche.

Quando però gran parte dei sindaci, che erano stati presi peri fondelli, sono stati rieletti nel 2009, e con un programma che

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suo ministero parte dell’osservatorio, nessun suo funzionarioabbia mai fatto menzione di queste previsioni, che sicuramente,se conosciute, avrebbero dato una svolta importante ai nostrilavori torinesi. Vorrei pregarla ora di far cortesemente perve-nire all’Osservatorio gli studi e le analisi di cui dispone, inmodo che in quella sede, istituita anche a questo scopo, se nepossa discutere dal punto di vista tecnico. La pregherei anchedi invitare gli autori degli studi a venire in Osservatorio per il-lustrare direttamente le loro risultanze. È molto importante checiò avvenga in quanto tutte le audizioni di esperti di varia ten-denza effettuate fin qui avevano prospettato scenari diversi daquello che apprendiamo ora (...). Se riterrà di rispondere glienesarò fin d’ora grato. La pregherei però, nel caso, di farlo nelmerito; l’Osservatorio è un organismo tecnico e pertanto la lo-gica che in esso vale è quella che si basa su numeri e ragiona-menti comprovabili. Ci sono altre logiche che però valgono insedi diverse. Personalmente sono sensibile solo ad argomenta-zioni di ordine razionale».

Alla lettera non c’è stata alcuna risposta. Gli studi effettuatisono rimasti ignoti così come i consulenti del ministro che liavevano effettuati. Nessuno si è mai presentato per illustrarele risultanze di quello scenario drammatico che il ministroaveva presentato ai Sindaci della Val di Susa e della Val San-gone. A scrivere quella lettera era il professor Angelo Tartaglia,docente di Trasporti al Politecnico di Torino, apprezzato e ri-conosciuto come uno dei maggiori esperti del settore e fra ipochi con una conoscenza approfondita di quel progetto. Era,fra l’altro, il tecnico che da vari mesi era sottoposto alle critichepiù feroci dei comitati NOTAV, soprattutto per l’uso politicodistorto delle risultanze tecniche di quel tavolo e che Tartagliaancora accoratamente con quella lettera cercava di difendere.Nonostante la sua onestà intellettuale ed il contributo decisivoche ha fornito a quel tavolo, le sue argomentazioni razionalisono diventate carta straccia e proprio le logiche di altre sediche richiamava nella sua lettera erano quelle che contavano ve-

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Val Cenischia, nel presupposto che il progetto di realizzazioneper la realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione, ap-provato dal CIPE con la delibera 113/2003, sia stato stralciatodall’ambito applicativo della Legge 443/2001 e ricondottonell’alveo delle procedure ordinarie ex art.81 del DPR616/1977».

Il ministero delle Infrastrutture, dal 2006 al 2009, ha convo-cato solo delle pseudo “riunioni preparatorie” della Conferenzadei servizi. Fino al Maggio del 2010 una vera e propria Con-ferenza dei servizi non è stata mai convocata e nelle cosiddetteriunioni preparatorie i Comuni interessati non hanno mai vistoalcun progetto definitivo o preliminare.

Nella più totale disinformazione dei sindaci, Il 17 maggio2010 la società LTF (Lyon Tourin Ferroviaire) pubblica sullastampa l’avviso per l’avvio del “procedimento finalizzato alladichiarazione di pubblica utilità mediante l’approvazione, aisensi dell’art. 166 del D.Lgs. 163/06 del progetto definitivo delcunicolo esplorativo de La Maddalena sito nel Comune diChiomonte (To) facente parte della nuova linea Torino-Lione,parte comune Italo/Francese, tratta in territorio italiano”. Conlo stesso avviso comunica “che il cunicolo esplorativo de LaMaddalena è progettualmente necessario ai fini della realizza-zione del collegamento ferroviario Torino-Lione che rientranell’ambito del primo Programma delle Infrastrutture Strate-giche di cui alla Deliberazione del 21 dicembre 2001, n.121/2001 (Legge Obbiettivo) del Comitato Interministerialeper la programmazione Economica (CIPE)”.

Il presunto “cunicolo esplorativo”, per il quale LTF avviavala procedura per la dichiarazione di pubblica utilità, era in re-altà una “galleria di servizio” analoga a quella che aveva de-terminato lo stralcio della Torino-Lione dalla Legge obbiettivo.All’origine della decisione di stralciare la Torino Lione dallaLegge obbiettivo vi era stato proprio il tentativo di apertura delcantiere per la galleria di servizio che nel progetto approvatodal Cipe nel 2003 prevedeva l’imbocco a Venaus.

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ribadiva la contrarietà all’opera, proveranno nuovamente achiedere chiarezza al momento della ricostituzione dell’Osser-vatorio, le finzioni della partecipazione e delle scelte condivise,verranno messe subito da parte.

La risposta alle loro legittime ragioni, depurate dal mai esi-stito accordo di Prà Catinat, uscirà da Palazzo Chigi l’8 gen-naio del 2010 con un comunicato stampa, condiviso daipresidenti della Regione Bresso e della Provincia Saitta, con ilquale il governo “constata che la nuova Comunità Montana,con riferimento alla nuova linea Torino-Lione non si connotacon un profilo di sensibilità politico-istituzionale idoneo a rap-presentare il pluralismo delle Comunità locali presenti sul ter-ritorio”. Ed a questa esilarante constatazione fa seguireaddirittura il criterio in base al quale i Comuni ricadenti negliambiti territoriali interessati dai tracciati potranno partecipareal tavolo dell’Osservatorio: «Comuni ricadenti in tali ambitiche dichiarano esplicitamente la volontà di partecipare alla mi-glior realizzazione dell’opera nel quadro della miglior tutela evalorizzazione del territorio e del rispetto del calendario euro-peo». Anche per la nomina dei propri rappresentanti in un ta-volo senza poteri si partecipa solo se si è favorevoli allarealizzazione della Torino-Lione. Il decreto che seguirà, ancoraa firma di Silvio Berlusconi, confermerà ovviamente presi-dente dell’Osservatorio l’odiato comunista Mario Virano.

Il gioco delle tre carte non ha risparmiato nemmeno la deci-sione sottoscritta a palazzo Chigi, sotto il governo Berlusconinel 2005, e poi sbandierata dal governo Prodi nel 2006, diescludere la Torino-Lione dalle procedure speciali della Leggeobbiettivo: gestita scientemente per illudere ed ingannare gliamministratori della Val di Susa. Quella decisione aveva tro-vato un riscontro persino in una sentenza che non lascia mar-gini ad interpretrazioni ambigue. Il Consiglio di Stato, VISezione, con la sentenza n. 4482 del 23.8.2007 dichiarava «im-procedibile per cessata materia del contendere il ricorso in ap-pello proposto dalla Comunità Montana Bassa Valle di Susa e

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tratta di un’opera del tutto similare, ma ai fini della concorrenzaanche se fosse la stessa identica opera, l’indizione di una garaad evidenza pubblica non può in alcun modo essere aggirata».

L’avviso per il cunicolo esplorativo era però solo un assaggiodella faccia tosta dei ladri dell’Alta velocità. Qualche settimanadopo, in piena estate, esattamente il 10 agosto, LTF pubblica unnuovo avviso con il quale annuncia il deposito del progetto pre-liminare della soluzione di tracciato in Italia in variante dellatratta internazionale della nuova linea Torino-Lione. Anche inquesto caso la procedura viene avviata con richiamo esplicitoalle norme speciali della Legge obbiettivo. Un richiamo palese-mente illegittimo; la Torino-Lione era fuori dal perimetro di ap-plicazione della Legge obbiettivo, agli atti non risultava alcundocumento che consentisse anche lontanamente di richiamarequelle norme speciali.

L’esposto degli amministratori della Val di Susa e della ValSangone alle autorità competenti poneva semplicemente que-stioni di rispetto della legalità, della corretta spèndita di denaropubblico e di garanzia della concorrenza. Sui quotidiani nazio-nali non si è letta alcuna notizia in merito a questa palese e ar-rogante violazione delle norme, e nessuno dei tanti paladini diquesti pilastri fondamentali del funzionamento di un paese ci-vile si è fatto vivo.

In molti invece si erano pronunciati nel dicembre del 2005.Per un paio di settimane, dopo che il 6 dicembre le immaginidrammatiche della carica notturna delle forze di polizia al pre-sidio di Venaus avevano fatto il giro del mondo, le firme piùprestigiose di giornalisti e politici si sono esercitate a scriverearticoli su articoli e dotti editoriali. Quasi tutti favorevoli allarealizzazione della nuova linea Torino-Lione.

Un docente dell’Università di Ancona con i sui studentiiscritti al corso di “Analisi delle Politiche Pubbliche” propriosu questi articoli avevano realizzato “un itinerario di lettura permostrare come le ragioni del sì alla Tav in Val di Susa sareb-bero state recuperate dagli archivi e dai documenti pertinenti e

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Quello definito “cunicolo” è, da progetto definitivo deposi-tato, una galleria con un diametro di 6 metri e della lunghezzadi quasi 8 chilometri che, dal punto di imbocco sito nel comunedi Chiomonte, raggiunge la galleria di base della nuova lineaTorino Lione in territorio francese. Nelle stesse carte depositatesi scopre addirittura che LTF definisce quello presentato noncome nuovo progetto ma semplicemente come Variante Tec-nica della galleria di Venaus. Il tentativo di nascondere la ve-rità non inganna però la Comunità montana della Val di Susa edella Val Sangone, che invia un esposto dettagliato alle diverseAutorità competenti con il quale si denuncia «(…) il compor-tamento del Committente, contraddittorio ed omissivo, teso atenere nascosto ai cittadini ed alle istituzioni una verità: l’operache si intende realizzare è non solo del tutto simile alla galleriadi servizio di Venaus, ma addirittura per LTF è formalmenteproprio la stessa. Quella che oggi viene presentata al pubblicocome nuova opera eufemisticamente ribattezzata “cunicoloesplorativo” o “cunicolo geognostico”, viene invece trattataformalmente come semplice variante del progetto della galleriadi servizio di Venaus già affidata e contrattualizzata con l’im-presa CMC”.

Non solo si ricorre alle procedure speciali della Legge ob-biettivo per un’opera che era stata esplicitamente stralciata daquesto perimetro, ma si tenta anche di aggirare le norme sullaconcorrenza come giustamente la Comunità montana denun-ciava con lo stesso esposto: «(...) se LTF con questa definizioneformale di “variante tecnica” ha aggirato o intende aggirare lenorme europee e nazionali sull’affidamento dei contratti pub-blici, il comportamento illegittimo è ad avviso degli scriventitalmente palese e clamoroso che merita solo poche righe dicommento. Quello già affidato, o che LTF ha chiaramente in-tenzione di affidare a trattativa privata alla CMC, è comunqueuna nuova opera, da realizzare in un sito ed in un anno total-mente diversi da quelli per i quali è stata espletata la gara perl’affidamento della galleria di servizio di Venaus. Di certo si

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registrato un andamento esattamente opposto. Secondo le valutazioni ufficiali di FS l’attuale infrastruttura

può garantire un traffico di merci fino a 32 milioni di tonnel-late, nel 2003 si prevedeva il raggiungimento di questo volumenel 2015. Dal 2003 al 2010 il volume di traffico non solo nonè aumentato ma è addirittura diminuito del 72 per cento. Nel2010 sono transitate 2,4 milioni di tonnellate di merci, il 7,5%della potenzialità consentita dalla linea storica.

Marziani o imbroglioni? Nessun giornalista e nessun politico,che nel dicembre del 2005 sosteneva le ragioni del sì, ha pro-vato a misurarsi con questo quesito. Non si faranno vivi, nem-meno dopo che a Chiomonte il Ministero degli interni, cercheràdi replicare quello che a provato a fare sei anni prima a Venaus,con lo stesso drammatico risultato. Perché le ragioni del no deiValsusini sono fondate su dati inoppugnabili, mentre quelle delsì sono nel limbo di una ideologia sostenuta solo da bugie cla-morosamente smentite dalla realtà. Perché il confronto non èquestione di ordine pubblico, ma è questione etica. Perché inValdisusa è in discussione le ragioni della verità e la prova dellademocrazia.

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poi comunicate, spiegate e come esse sarebbero affiorate senzatroppa fatica nel dibattito pubblico, benché con le semplifica-zioni e le carenze normali della comunicazione giornalistica”.3

Il docente, Antonio Calafati, racconta: «abbiamo iniziato asfogliare i quotidiani e discutere gli articoli più importanti viavia pubblicati sull’argomento, articoli nei quali le ragioni delsì, ne ero sicuro, le avremo trovate, anche se solo delineate,anche se discutibili. E ho scelto, per questo esercizio, tre quo-tidiani di indiscussa autorevolezza e grande diffusione: Il Cor-riere della Sera, La Repubblica, La Stampa ».

Lo studio, avviato e condotto senza alcun pregiudizio, è ar-rivato a queste conclusioni: «non è stato trovato niente, nienteche assomigli a una ragione, a una argomentazione razionale.Accorgersi, prima sorpresi e poi sconcertati, dell’incapacità digiornalisti e politici di organizzare un pensiero sul tema dellaTav in Valdisusa che abbia un significato, una logica, un senso.Accorgersi di come giornalisti e politici siano, tuttavia, a favoredell’opera, risolutamente, ostinatamente, inspiegabilmente. Ini-ziare cercando le ragioni del sì alla Tav in Val di Susa e termi-nare riflettendo, sconfortati, su che cosa possa essere accadutoai nostri maggiori quotidiani. Giungere a pensare che, forse, ildeclino italiano nasce da qui, da questa incapacità del giorna-lismo italiano di fornire un resoconto attendibile, pertinente efondato, degli effetti delle politiche pubbliche. Un giornalismoche ci impedisce di pensare collettivamente».

Nel 2010 non si è vista alcuna grande firma commentare ilnuovo progetto preliminare depositato da LTF; eppure, sia sulmetodo, che sul merito, cose da dire non mancavano di certo.Il nuovo progetto contiene addirittura le stesse previsioni ditraffico di quello approvato dal Cipe nel 2003, vengono sem-plicemente traslate di 7 anni. Quelle previsioni di traffico, chesupportano la scelta della costruzione di una nuova linea, neisette anni trascorsi, non solo non si sono verificate ma hanno

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3. Antonio Calafati, Dove sono le ragioni del sì, Edizioni SEB 27, Torino 2006

I COSTI VERI DELL’ALTA VELOCITÀ

Gli “interessi intercalari” e il costo vero del Progetto TAV

Quanto ci è costata la cerimonia celebrata il 7 agosto del 1991,e quanto ci sono costate o ci costeranno tutte le bugie con an-nesse consulenze, opere aggiuntive, opere indotte e nuove sta-zioni che si sono aggiunte alla madre di tutte le bugie? Ci hannoprovato in molti a formulare questa domanda. Una risposta mi-nimamente affidabile non è mai arrivata.

La misura del valore di tutte le bugie raccontate in questa sto-ria è data proprio dalla variazione del costo preventivato per ilproject financing nel 1991. La stima dei costi per gli “interessiintercalari”, quelli dovuti alle banche, per i cosiddetti prestitiprivati, per il solo periodo della durata dei cantieri, erano statiquantificati in 1.500 miliardi di lire (770 milioni di euro); nel2010 la stima è di 8.700 milioni di euro. Gli oneri finanziari,solo per la fase di realizzazione delle infrastrutture, passereb-bero così da un valore unitario 100 stimato da FS nel 1991 adun valore pari a 1.130, con un aumento di oltre il mille percento. La voce interessi intercalari è quella che registra la piùalta variazione, dal doppio al triplo delle altre voci di costo pre-ventivate per il Progetto TAV nel 1991 (vedi Tab.4).

Del tutto sconosciuti sono invece i costi sostenuti per opereed attività che nei preventivi del 1991 non erano stati eviden-ziati o presi in considerazione. Quelli che almeno dovrebberoessere considerati per una corretta valutazione dei costi effettivisostenuti, o da sostenere, sono sintetizzabili in tre voci. Quelladei costi diretti (personale e servizi) e indiretti (studi, consu-lenze, comitati, progetti, pubblicità, etc.) sostenuti dalle societàinteramente a capitale pubblico: FS SpA, TAV SpA, ItalferrSpA, RFI SpA, e Infrastrutture SpA. Quella dei costi per le“opere compensative o indotte” concordate con gli Enti locali

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nelle conferenze dei servizi e fuori dai contratti affidati ai ge-neral contractor per la realizzazione delle tratte e dei nodi.Quella, infine, già segnalata, per la realizzazione delle nuovestazioni AV dedicate. Per le SpA pubbliche la stima è pari a3.900 milioni di euro, per le opere compensative è di 9.200 mi-lioni di euro e per le nuove stazioni 6.350 milioni di euro.

Il progetto presentato il 7 agosto 1991, stimato e contrattua-lizzato con una cifra complessiva pari a 14.156 milioni di euro,è oggi lievitato a 96.850 milioni di euro. Fatto 100 il costo nel1991, nel 2010 siamo ad un costo stimato pari a 684 e, comun-que, anche non includendo le voci di costo non considerate nelprogetto presentato nel 1991, si è passati da un indice 100 adun indice di 547, con un aumento percentuale del 447%.

Anche sui tempi di realizzazione il disastro TAV non scherza.Nel 1991 avevano promesso non solo costi ma anche “tempicerti”, e avevano giurato che non avrebbero superato i setteanni. Dopo venti anni quel Progetto è stato realizzato per circai due terzi e per il suo completamento ce ne vorranno almenoaltri 10. Nel 2020, quando il Progetto sarà completato, dallecasse pubbliche saranno usciti circa 100 miliardi di euro; nelfrattempo i cittadini italiani avranno già iniziato a pagare i rim-borsi e gli oneri finanziari del cosiddetto finanziamento privatoscaricato nel debito pubblico. Le stime indicano in un importodi circa 2.200 milioni di euro la quota media annua, da versareper circa 30 anni, necessaria per l’estinzione dei debiti contratticon gli istituti bancari.

Da queste cifre disastrose non emerge però il dato più per-verso. Alla data del suo completamento nel 2020, il costo, nellestime più attendibili, sarà di 96.850 milioni di euro: ma da dovesarà arrivata questa montagna di soldi? Le stime anche in que-sto caso sono abbastanza facili da fare, essendo fondate su 20anni ormai consolidati, e 10 da valutare sulla base di un mo-dello ormai altrettanto noto nel suo funzionamento.

Nei bilanci annuali dello Stato le cifre che riscontriamo comeespressamente stanziate per l’Alta velocità in questo periodo

121120

Voci di costo progetto TAV 1991

(in milioni di )

Dati ufficiali1991

Stime 2010

Indice 2010(1991=100)

Tratte 9.254 48.700 526

Nodi 1.064 8.400 789

Materiale rotabile 2.454 8.200 334

Infrastrutture aeree 614 3.200 521

Interessi intercalari 770 8.700 1.130

Totale voci ufficiali progetto TAV 1991

14.156 77.400 547

Studi, progettazione e realizza-zione delle nuove stazioni per

lalta velocità con finanziamentipubblici

non previsto

6.350

Costi diretti (Struttura) e indiretti(Comitati, garanti, consulenti, con-ferenze, promozione , pubblicità,etc.) sostenuti da FS, RFI, TAV,Italferr, ISPA, per lAlta velocità

non previsto

3.900

Opere indotte e/o compensativeconnesse con lalta velocità fuoridai contratti per le tratte stipulati

con i general contractor

nonprevisto

9.200

Totale voci non previste 19.450

Totale costi progetto TAV 14.157 96.850 684

(Tab.4 - Variazione delle voci di costo del Progetto TAV, dal 1991 al2010)

Fatto 100 il valore complessivo dei contratti firmati nel 1991,nel 2010 ha raggiunto un importo equivalente di 536. La trattaBologna-Firenze registra il valore del costo a chilometro piùelevato, giustificato dal fatto che questa è quasi tutta in galleria;registra però anche un aumento dell’indice di costo complessivonettamente superiore alla media, secondo solo a quello dellatratta Torino-Milano. In tutti e due i casi il general contractor èFIAT SpA, ed il capofila dei due Consorzi sub-affidatari è Im-pregilo SpA: la più grande impresa nazionale del settore dellecostruzioni, passata dalla FIAT nelle mani della famiglia Romitie poi in quelle delle banche e dei monopolisti delle Autostrade,i due gruppi economico-finanziari che fanno capo a MarcellinoGavio e alla famiglia Benetton.

La linea Torino-Napoli comprende anche la tratta Firenze-Roma, non ricompresa in quelle affidate ai general contractor,in quanto già in esercizio dagli anni ‘80; per questa tratta erano

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ammonteranno a poco più di un terzo del costo complessivo,mentre poco meno di un terzo saranno i prestiti delle bancheaccesi da TAV SpA e da Infrastrutture SpA fino al 2005, e suc-cessivamente da FS SpA e RFI SpA. Manca all’appello unacifra più o meno pari ad un terzo dell’importo complessivo.Sono circa 30 miliardi di euro spesi per il Progetto TAV, mache sono finiti nel bilancio di FS sotto voci di spesa che pocoo nulla hanno a che fare con l’Alta velocità.

Lo Stato ogni anno con il contratto di programma trasferiscealle FS le risorse necessarie per garantire il servizio ferroviariouniversale: nel periodo di riferimento mediamente una cifra dicirca 4 miliardi di euro all’anno. Bene, ogni anno i boiardi dellesocietà di Stato hanno sottratto circa un quarto di queste risorseal servizio universale per coprire i costi per realizzare le infra-strutture, nodi e linee aeree, e per acquistare il materiale rota-bile, ETR 500, per il servizio Alta velocità.

Tutti i cittadini italiani hanno pagato, stanno pagando e pa-gheranno la bugia del finanziamento privato, mentre, per of-frire un servizio di mobilità veloce al 5 per cento degli utentiferroviari, al restante 95 per cento sono stati e saranno scippaticirca un miliardo di euro ogni anno, per trent’anni.

I general contractor e i costi delle“tratte”

Anche per la linea già in esercizio, la Torino-Napoli, i costicomplessivi sono ancora sconosciuti. I costi noti sono soloquelli sostenuti per la realizzazione delle singole “tratte”, lacui realizzazione è stata affidata ai general contractor (vediTab.5).

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Nuove tratte AV della linea

Torino-Napoli

Contratti 1991

milioni di

Dati Fs2006

milioni di

Stime2010

milioni di

Indice di costo nel 2010

(1991=100)

Costo /km1991

Costo/km2010

Torino-Milano 1.074 7.788 8.300 773 8,6 66,4

Milano-Bologna 1.482 7.150 7.950 536 8,1 43,7

Bologna-Firenze 1.074 5.954 6.700 624 13,6 84,8

Roma-Napoli 1.994 6.235 7.200 360 9,8 35,3

TOTALE LINEA TO-NA 5.624 27.127 30.150 536 9,4 51,1

(Tab.5 - Costi delle infrastrutture a terra delle nuove tratte della linea To-rino-Napoli)

La Genova-Milano in apparenza registra un aumento dell’in-dice del costo complessivo decisamente inferiore rispetto allamedia, mentre, al contrario, il costo a chilometro vede un au-mento record, ben 200 punti sopra la media dell’indice delcosto a chilometro delle tre tratte. Per questa tratta il contrattofirmato nel 1992 prevedeva la realizzazione di un tracciato di130 chilometri, che si sviluppava fra Genova Principe e MilanoRogoredo. Il progetto originario viene bocciato una prima voltadalla Commissione Valutazione di Impatto Ambientale del mi-nistero dell’Ambiente, il 2 giugno del 1994. La stessa Com-missione il 4 maggio del 1998 si esprime ancora sul progettoripresentato dal consorzio COCIV. Alla Commissione perven-gono 104 osservazioni da parte di privati cittadini, associazioniambientaliste e di categoria. Il parere finale del Comitato det-taglia le osservazioni al Progetto in ben 24 punti.

Le osservazioni, sul quadro programmatico, espresse in quelparere sono semplicemente disarmanti: «1) la finalità primariadell’opera, collegamento passeggeri veloce Ge-Mi, appare ge-

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previsti solo lavori di adeguamento. L’adeguamento non ri-guarda però il sistema di alimentazione elettrica dei treni: con-cepita negli anni ‘60, insieme al Pendolino, è alimentata concorrente continua a 3kV. I costi di adeguamento previsti eranoquantificati in 51 milioni di euro, sono stimati nel 2010 in 950milioni di euro, con un indice che, fatto 100 il preventivo del1991, arriva a 1863 nel 2010.

Il costo preventivato per tutte le tratte della linea Torino-Na-poli, compreso l’adeguamento della Firenze-Roma, era nel1991 di 5.675 milioni di euro, nel 2010 è salito a 31.150 mi-lioni di euro, con un indice che passa da 100 a 549. Nessunodei contratti, nel 2010, nemmeno quello della tratta Napoli-Roma, in esercizio dal 2006, è ancora chiuso. Contenziosimolto consistenti, ad esempio, sono aperti per i lavori realizzatinella tratta Bologna-Firenze, ai quali si dovrebbero aggiungerei danni ambientali, quantificati nel 2009 dal Tribunale di Fi-renze in 900 milioni di euro. I giudici hanno condannato ilCAVET al risarcimento di 180 milioni euro, ma anche su questipende un contenzioso con TAV SpA alla quale la FIAT chiedel’eventuale rimborso in caso di condanna definitiva delCAVET.

Per le tratte con i cantieri che nel 2010 non sono ancora apertile stime dei costi sono ancora più problematiche. Quelli indi-cati in questo caso rappresentano solo il valore minimo che cisi può attendere, alla fine della grande abbuffata (vedi Tab.6).

La Verona-Venezia registra il valore più basso del parametrodi costo a chilometro. Il motivo è dato dal fatto che il contrattocon il Consorzio IRICAVDUE ha registrato nel 2001 lo scor-poro della sub tratta Padova-Venezia, che è stata realizzata daRFI attraverso gare di appalto, mentre la sub tratta Verona-Pa-dova di 76 km è rimasta in capo al general contractor. Nel costoindicato pesa dunque quello decisamente inferiore che si è re-gistrato per la realizzazione della sub tratta Padova-Venezia,confermando, se ce ne fosse bisogno, l’onerosità del sistema diaffidamento del contraente generale.

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Tratte della lineaMilano-Venezia

e Genova-Milano

Contratti1991

milioni di

Dati Fs2006

milioni di

Stime2010

milioni di

Indice di costo nel 2010

(1991=100)

CostoM/Km1991

CostoM/Km2010

Milano-Verona 1.125 5.735 6.400 569 9,8 57,1

Verona-Venezia 896 5.455 5.900 658 7,7 50,9

Genova-Milano 1.585 4.979 5.500 347 12,2 101,8

Totale tratte 3.606 16.169 17.800 494 10,1 63,1

(Tab.6 - Costi delle tratte AV nel 2010 ancora prevalentemente in fasedi progettazione)

25kV, per garantire la sostenibilità di un forte traffico e velocitàfino a 300 km/h. Le previsioni di traffico erano ovviamentegonfiate fino all’inverosimile ma, anche con quelle assurdeprevisioni, progettare una tratta di quella lunghezza con infra-strutture che consentono di raggiungere i 300km/h di velocitàera già oltre il limite della ragionevolezza. La riduzione dellanuova tratta a 54 km ha ovviamente imposto di adottare lostesso sistema di alimentazione delle linee storiche, consen-tendo comunque una velocità di punta di 250 km/h e una mag-giore integrazione del traffico ferroviario merci e passeggeri.

Nonostante il ridimensionamento non è però cambiato ilcosto, rimasto esattamente uguale a quello del progetto boc-ciato cinque anni prima. Non è cambiato nemmeno il generalcontractor che è sempre il consorzio COCIV, nel quale però isoci vendono e comprano le quote di partecipazione, regi-strando alla fine una presenza addirittura al 94,5% di Impre-gilo, a conferma della appetibilità del controllo di generalcontractor che per grazia ricevuta sono i maggiori commensalidel banchetto ad Alta velocità.

Sia il COCIV che gli altri due Consorzi, IRICAVDUE per laMilano-Verona e CEPAVDUE per la Verona-Venezia , hannorischiato per ben due volte la perdita del contratto. Nel 2001con la Legge Finanziaria e nel 2007 con il Decreto Legge n.7,la cosiddetta lenzuolata Bersani. In entrambi i provvedimentisi sanciva la decadenza dei contratti firmati da TAV SpA con igeneral contractor, e il successivo riaffidamento degli stessi at-traverso gare di appalto in linea con le direttive europee.

I tre Consorzi hanno salvato i contratti grazie ai cambi di mag-gioranza, con i nuovi esecutivi che hanno immediatamenteprovveduto all’azzeramento delle norme varate dai precedenti:nel 2002 con il collegato alla Finanziaria e nel 2008 con il De-creto legge anticrisi di Tremonti, n. 112. In entrambi i casi laformula utilizzata è stata la stessa: «Per effetto delle revoche irapporti convenzionali stipulati da Tav spa con i contraenti ge-nerali in data 15 ottobre 1991 e in data 16 marzo 1992 conti-

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nerica e non è circostanziata la consistenza qualitativa e quan-titativa dei benefici socio-economici che conseguono alla ridu-zione del tempo di percorrenza. Relativamente al traffico merci,non risulta giustificata la realizzazione dell’intera Ge-Mi comesoluzione al problema, di natura più limitata, del “terzo valico”appenninico; 2) l’intero procedimento di stima e previsione deitraffici è esplicato in modo generico e non sufficientemente cir-costanziato perché possa essere ripercorso e valutato; 3) la stimadei traffici attuali appare sovradimensionata rispetto altre stimesempre di ambito FS e parimenti appaiono sovradimensionatele previsioni di crescita del traffico risultanti dalle simulazionimodellistiche, addirittura doppie rispetto a quanto assunto ini-zialmente dallo stesso studio di impatto ambientale, e questosia per il traffico passeggeri che per il traffico merci, per l’areavasta come per la direttrice specifica».

La stessa Commissione di Valutazione avrebbe sicuramenteespresso lo stesso identico parere tecnico, cinque anni dopo,senza la Legge obbiettivo che ha cambiato le procedure diapprovazione per le “grandi opere”. Con le nuove norme ver-ranno approvate tutte le tratte che ancora erano al palo e lenuove linee di Alta velocità che nel tempo si sono aggiunte aquelle del 1991.

Dopo la bocciatura del 1998, nel 2003, viene approvato, sultavolo politico del CIPE, anche il progetto della Genova-Mi-lano, ribattezzato con nome di “Terzo valico dei Giovi”. Lalunghezza della nuova tratta di AV si riduce da 130 a 54 chilo-metri, di cui 39 in galleria, per collegare Genova a Tortona. ATortona la nuova tratta si congiunge con la linea storica Pia-cenza-Milano, mentre poco prima di Tortona, all’altezza diNovi Ligure, è previsto un raccordo tecnico con la linea storicaper Torino. La “tratta” in sostanza diventa un “trattina” che col-lega Genova alle linee storiche sia per Milano che per Torino.

Ma c’è anche un’altra novità, emblematica degli errori tecnicioriginari. Come per le altre tratte, il progetto di partenza pre-vedeva infrastrutture aeree alimentate con corrente alternata a

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Nel nodo di Milano, e così in tutti i nodi, i treni veloci utiliz-zano le stesse linee storiche dove transitano anche i treni mercie quelli passeggeri per pendolari e a lunga percorrenza.

Dopo l’entrata in esercizio delle nuove tratte AV, i disserviziindotti su tutti i servizi tradizionali sono più o meno evidentiin tutti i nodi della linea Torino-Milano. Nessun nodo delle sta-zioni delle città interessate (Torino, Milano, Bologna, Firenze,Roma, Napoli) era al momento, dicembre 2009, risolto in viadefinitiva; proprio il ritardo con il quale si è avviata questaparte del Progetto, con l’entrata in esercizio delle nuove tratte,l’effetto imbuto sui nodi è diventato e resterà per diversi anniparticolarmente critico.

Sul nodo di Bologna confluiscono due nuove tratte dedicate.La tratta che arriva da Milano si ferma a Lavino, a circa 10 chi-lometri dalla Stazione Centrale, mentre quella che arriva da Fi-renze si ferma all’altezza di Rastignano a circa 7 chilometri. Ilprogetto del 1991 prevedeva una soluzione analoga a quelladel nodo di Milano, con un innesto “a raso” delle nuove trattesulle linee storiche.

A metà degli anni ‘90 però, nella “Conferenza dei servizi”,convocata secondo la normale procedura di approvazione deiprogetti che investono competenze autorizzative di diversi sog-getti, la proverbiale capacità degli amministratori Emiliani rie-sce ad imporre una soluzione completamente diversa, ilpassaggio in galleria sotto la città. Lo “straordinario risultato”ottenuto dalla Regione Emilia-Romagna, dalla Provincia e dalComune di Bologna, farà scuola. Subito dopo, nella conferenzadei servizi per il nodo di Firenze, su di un progetto che preve-deva una razionale e poco impattante soluzione “a raso”, anchegli amministratori della Regione Toscana, della Provincia e delComune di Firenze riescono ad imporre la soluzione in galleria.

La soluzione in galleria, inventata a tavolino, nella trattativapolitica, ha portato alla realizzazione, secondo la definizioneche all’epoca diede il più famoso architetto Bolognese, PierluigiCervellati, alla realizzazione di una “diga sotterranea” in una

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nuano senza soluzione di continuità». Nella legge del 2008 latitolarità dei contratti però passava di mano: veniva tolta a TAVSpA ed attribuita a RFI SpA. Tremonti, memore della bugia delfinanziamento privato, che l’Unione Europea gli fece ingoiare,non poteva certo tollerare la sopravvivenza di TAV SpA.

Le magnifiche sorti della società che doveva garantire la piùgrande operazione di project financing mai tentata in Europa,finiranno in una liquidazione in sordina, senza cerimonie, anzi,nell’assoluto occultamento della sua scomparsa. Eppure ancheper liquidare l’incubatrice della madre di tutte le bugie del Pro-getto TAV ci vorrà tempo e denaro a causa di tutti i contenziosiche aveva in piedi con i general contractor che hanno realizzatole tratte della linea Torino-Napoli.

I “nodi” e la navigazione a vista

La realizzazione dei nodi, e cioè delle tratte di penetrazionenelle stazioni ferroviarie delle città interessate, era inizialmenteprevista a carico di TAV SpA. L’inerzia e la mancanza di com-petenze di questa società “scatola vuota”, avevano portato giànella seconda metà degli anni ‘90 allo scorporo di questo com-pito in RFI SpA, quale gestore di tutte le infrastrutture ferro-viarie dello Stato.

Il nodo più grande è quello di Milano. Sul nodo confluisconotre tratte di Alta velocità (una in meno dopo il ridimensiona-mento della tratta Ge-Mi). I lavori per la realizzazione delletratte, affidati ai general contractor, si fermano a diversi chilo-metri dalla Stazione. La tratta che arriva da Bologna, ad esem-pio, si ferma a Melegnano, a circa 20 chilometri dalla StazioneCentrale di Milano. Fino a Melegnano il sistema di alimenta-zione elettrica è a “25kV, corrente alternata”; da questo puntoin poi il sistema di alimentazione diventa quello delle linee sto-riche, tutte alimentate a “3kV, corrente continua”.

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Le “infrastrutture aeree” e l’italianità

Per la progettazione e la realizzazione delle infrastruttureaeree (elettrodotti, sottostazioni elettriche, impianti di segna-lamento e sicurezza, ecc.) di tutte le tratte, l’attività è stata af-fidata ad un unico consorzio di imprese, il Consorzio Saturno.Il contratto viene firmato il 17 gennaio 1992 ma gli accordicon FS erano precedenti alla grande cerimonia del 7 agosto del1991. Il Consorzio infatti era stato costituito il 24 luglio del1986, già ai tempi di Ligato e Signorile. Anche in questo casol’affidamento del contratto non ha seguito alcuna procedura adevidenza pubblica e nessuna verifica di mercato.

Le stime di costo per questa voce sono quelle più problema-tiche, nell’arco di due decenni non si registra neppure una mi-nima “indiscrezione”. Il costo annunciato nel 1991 per tutte lelinee era pari a 614 milioni di euro; nelle nostre stime azzar-date, forse per difetto, è arrivato a 3.200 milioni di euro. Fatto100 il costo annunciato nel 1991, diventa 521 nel 2010.

Proprio le linee aeree sono uno degli elementi critici della mil-lantata integrazione delle nuove linee di AV con le linee stori-che. Sulle linee tradizionali il sistema di alimentazione elettricaè fornita con corrente continua di 3kV, nelle nuove tratte è in-vece stato adottato un sistema di alimentazione con corrente al-ternata a 25kV (sospetto cancerogeno), scelta già fortementecontestata dai maggiori esperti dell’epoca. Nel 1997, con l’av-vio della verifica parlamentare, imposta con il comma 15, arti-colo 2, Legge 23 dicembre 1996, n. 662, il ministro deiTrasporti e quello dell’Ambiente nominano una CommissioneInterministeriale incaricata di effettuare una approfondita valu-tazione. Fra le nomine di esperti esterni spiccano quelle del pro-fessor Marco Ponti, docente di economia dei trasporti alPolitecnico di Milano e del professor Francesco Perticaroli do-cente di sistemi elettrici per i trasporti nello stesso Politecnico.

La Commissione il 20 ottobre 1997 consegna il rapporto con-clusivo al governo. A parte la valutazione complessiva di quel

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città con un sottosuolo che presenta un equilibrio idro-geologicoche solo i posteri ci dirà se e come sarà modificato e quale im-patto produrrà sulle migliaia di edifici sovrastanti.

Occorre ricordare, per la verità, che, nell’accordo di pro-gramma per il nodo, gli amministratori Emiliani avevano ancheconquistato un altro impegno delle FS, quello della contestualerealizzazione della rete per il Servizio Ferroviario Metropoli-tano (S.F.M.) di superfice. La diga sotterranea per l’Alta velo-cità è stata realizzata, mentre il S.F.M. è rimasto nel cassetto.Era forse la cosa più seria e più sensata di quell’accordo, pur-troppo non aveva dietro alcuna lobby interessata, e i tre Sindaciche sono venuti dopo, Guazzaloca, Cofferati, Del Bono, forsenon hanno mai letto quell’accordo di programma e comunquenon hanno mai detto e fatto nulla. Grazie alla diga sotterraneaperò, per i pendolari e tutti i treni a lunga percorrenza normali,per diversi anni il servizio è peggiorato e non migliorerà al-meno fino alla fine dei lavori del nodo e della connessa sta-zione per l’Alta velocità.

Il costo della voce “nodi”, per le città della linea Torino-Na-poli, era stimato da FS nel 1991 in 810 milioni di euro. Attri-buendo il valore 100 al costo del 1991, passa a 341 nelle stimefornite da TAV SpA nel 2003, a 447 in quelle di RFI SpA nel2006 e a 802 nelle nostre stime del 2010, equivalente a 6.500milioni di euro.

Pur evidenziando la difficoltà della valutazione dei costi at-tribuibili interamente al servizio Alta velocità, e dunque anchei limiti delle nostre stime, certo è che i costi per i “nodi”, so-stenuti e da sostenere, sono tutti coperti dai trasferimenti delloStato al gruppo FS per gli investimenti e la gestione del servi-zio universale.

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queste cifre:«Opere Civili, 2,97%; Armamento O,91%; Im-pianti Tecnologici, nessuna variazione».

Mentre la Relazione conclusiva del Commissione Intermini-steriale non arriverà mai sui tavoli dei parlamentari, a circolareinvece saranno proprio le analisi con due cifre decimali su vocidi costo che sono aumentate mediamente del 400% e dellequali gli stessi geni matematici non hanno mai dato conto.

Nonostante tutto il ministro dei Trasporti sembrava comun-que orientato ad una revisione del progetto per le linee Torino-Venezia e Genova-Milano, pur senza mettere in discussione icontratti in essere. Il ministro però non avrà il tempo di assu-mere alcuna decisione. Il 9 ottobre 1998 la fiducia richiesta dalgoverno Prodi, con un solo voto di scarto, non viene concessa.L’occasione per i lobbisti dell’Alta velocità, come successo inaltre analoghe circostanze, viene colta al volo. Il ministro cheandava raccontando che il finanziamento privato era una cosa“falsa” e che era orientato a qualche “lieve” cambiamento delProgetto Alta velocità, non poteva più restare su quella pol-trona.

Il 21 di ottobre si insedia il primo governo D’Alema, fra isoli due ministri che scompaiono dalla compagine governativaci sarà proprio Claudio Burlando, e quello dei Trasporti saràl’unico ministero che vedrà il cambio anche di tutti i sottose-gretari. La poltrona, e non a caso, sarà rivendicata da Rinno-vamento Italiano, il gruppo parlamentare promosso da Lam-berto Dini che, già nel 1995, con il suo governo tecnico, avevadato una spinta finanziaria decisiva al decollo del ProgettoTAV. Il nuovo ministro sarà Tiziano Treu che, con tutto il ri-spetto per le sue straordinarie competenze sul diritto del lavoro,su quella poltrona stava come i cavoli a merenda. Per i lobbistisarà una passeggiata.

Quelle analisi, con la seconda cifra decimale, porteranno ilnuovo ministro a chiedere la nomina di una nuova Commis-sione Interministeriale; eppure proprio quelle analisi erano giàstate oggetto di valutazione e, proprio la loro totale inattendi-

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Progetto, e le puntuali critiche sulle scelte tecniche operate finoa quel momento, la relazione si concludeva con la richiesta dialcune verifiche. Proprio per le infrastrutture aeree, in partico-lare per la Torino-Venezia, in quel momento ancora solo sullacarta, chiedeva in modo esplicito: «La convenienza dell’elettri-ficazione in “corrente alternata monofase a 2x25kV”, rispettoalla soluzione a “3 kV corrente continua”, va accertata effet-tuando una convincente confronto tecnico ed economico chetenga conto, in particolare, dei costi sia degli impianti fissi siadei mezzi di trazione».

D’altro canto, proprio su quella linea, sia la lunghezza delletratte sia la domanda di traffico passeggeri, sconsigliava deci-samente l’adozione di un sistema di alimentazione per garan-tire una velocità di 300 km/h ed una frequenza di un treno ogni3 minuti.

Contro quella relazione si scatenarono i general contractor elo stesso Consorzio Saturno, con al rimorchio i boiardi di TAVed FS pronti a fornire dati ed analisi di comodo per contrastarele conclusioni di quel lavoro. Nelle valutazioni contrapposte aquelle della Commissione Interministeriale si arriva persino asostenere che «tenendo conto di tutte le tipologie d’opera la ri-duzione stimata di costo a causa della diminuzione della velo-cità sulla tratta Milano-Bologna è pari a circa il 2% rispettoall’ammontare complessivo della tratta mentre se rapportataall’intero costo della Milano-Firenze più Roma-Napoli la ri-duzione di costo rappresenta lo 0,7%». Gli estensori di questevalutazioni arrivavano addirittura a fornire il calcolo della dif-ferenza di costo delle singole voci delle infrastrutture a terra,per treni a 300 o a 250 km/h, fino a due cifre decimali oltre lozero:« rilevati 2,05%; trincee 1,20%, viadotti 0,23%, gallerienaturali 7,30%». I geni matematici, per le tre voci finali dicosto, con le quali si riassumevano le differenze di costo sututta la linea Milano-Napoli, con un sistema di alimentazionea 25kV c.a. oppure con 3kV c.c., ricavate come media ponde-rale rispetto ai costi delle varie tratte, fornivano esattamente

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affidati a trattativa privata al Consorzio Iricav Uno. Ancora piùinteressante ed articolato il doppio ruolo dell’esperto di ali-mentazione elettrica prescelto dal Ministro dei Trasporti. Sulprofessor Capasso ricade, infatti, l’aspetto forse più delicato edecisivo dell’intera procedura di verifica, essendo l’unico al-l’interno del Gruppo ad avere i titoli professionali idonei peresprimere valutazioni definitive sul sistema di alimentazioneelettrica. Il professore componente del Gruppo di verifica è in-fatti anche progettista consulente per conto dei Consorzi privatiautori dei medesimi progetti sottoposti a verifica. Per qualcuno,all’interno del Ministero e della società TAV, questa non è certouna sorpresa visto che le convocazioni per il professor Capassoerano indirizzate al suo ufficio in Corso d’Italia 83 a Roma,cioè nella sede romana di Fiat Engineering Spa (progettistadella To-Mi e della Bo-Fi) e dove vi sono gli uffici del Con-sorzio CAVET (titolare della progettazione e realizzazionedella tratta Bo-Fi) e dove ha sede l’Ufficio Gestione TecnicaAffidamenti del Consorzio Saturno (titolare della progettazionee realizzazione delle infrastrutture aeree)».1 I due tecnici ov-viamente hanno espresso un parere diverso da quello dei dueche li avevano preceduti. Un parere a dir poco lacunoso maerano i tecnici giusti scelti, o suggeriti, al momento giusto perdare continuità a quel Progetto e, come amavano ripetere i sug-geritori, per garantire alle imprese italiane la possibilità di unaesperienza strategica.

Proprio l’affidamento al Consorzio Saturno, senza alcuna gara,trovava infatti la sua motivazione esplicita nella difesa dell’in-dustria nazionale, e nella esigenza di garantire all’italianità unastraordinaria prospettiva sui mercati internazionali. I protagonistidi questa difesa nazionale lo mettono anche per iscritto sempre

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bilità, aveva portato la precedente Commissione a chiedere “unconvincente confronto tecnico ed economico”. Quelle valuta-zioni erano esattamente quelle contenute nell’allegato 6 dellaRelazione consegnata un anno prima al Parlamento per l’avviodella verifica del Progetto TAV.

La verifica parlamentare si concluderà il 28 luglio 1999 con ilvoto della Camera che approverà una risoluzione finale a firmadi sei parlamentari di tutto il Centro Sinistra meno Rifondazione,un capolavoro del nulla che raccomanda di procedere senza al-cuna significativa revisione di quel Progetto. Insieme alla riso-luzione viene approvata, come parte integrante, la relazione dellanuova Commissione Interministeriale, trasmessa alla Commis-sione Trasporti della Camera esattamente il giorno prima delvoto sulla risoluzione che chiudeva in via definitiva la verificaParlamentare.

La prima Commissione aveva lavorato per circa un anno,svolgendo 20 riunioni di lavoro e scrivendo una Relazione diun centinaio di pagine nella quale venivano analizzati tutti gliaspetti di un progetto particolarmente complesso. La secondaha svolto qualche riunione nell’arco di due mesi ed ha prodottouna Relazione di sette pagine nelle quali sono letteralmenteignorati gli aspetti finanziari, contrattuali, di redditività, delladomanda e dell’offerta del servizio.

Anche la seconda Commissione aveva visto la nomina di dueesperti esterni: il professor Eugenio Borgia, ordinario di Pia-nificazione dei Trasporti presso l’Università di Roma e il Pro-fessor Alfonso Capasso, titolare del corso di Sistemi Elettriciper l’Energia presso la stessa Università. Ad informarci su que-sti esperti fu un “libro bianco” sulla verifica parlamentare:«Ilprofessor Eugenio Borgia è rintracciabile, oltre che all’Univer-sità, anche presso gli uffici della società Aic Progetti Spa, consede a Roma in via della Camilluccia 589/C. Nel relativo sitoInternet, la società elenca, fra le principali referenze, i lavoriin corso, avviati nel 1994, per la realizzazione delle gallerie ar-tificiali sulla tratta ferroviaria ad Alta velocità Roma-Napoli,

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1. Enrico Fedrighini, a cura di, Libro bianco, Alta Voracità Ferroviaria: brevestoria della verifica compiuta dagli esperti del Governo sulla più grande operapubblica di questo secolo, Commissione Trasporti della federazione provincialedi Milano del Partito di Rifondazione Comunista, Novembre 1999.

apre le trattative con una multinazionale Canadese e nel 2011,con tutta probabilità, lascerà il posto nel Consorzio Saturnoalla Bombardier Transportation. Con questa Alta velocità, conquesti contratti, con queste bugie, questi sono i risultati.

Il “materiale rotabile” ed il flop dell’ETR 500

Quella del “materiale rotabile” è la voce di costo sulla qualesi dovrebbero avere le maggiori certezze essendo l’unico con-tratto delle voci topiche del 1991 che è stato chiuso, eppure no-tizie sul costo effettivamente sostenuto per questa fornitura nonè mai stato reso noto.

Le trattative per la fornitura del materiale rotabile erano par-tite nel 1984 con il presidente di FS Ludovico Ligato e si in-quadravano nella logica del Progetto che aveva come rife-rimento il “modello francese”. Gli studi vengono affidati ad unraggruppamento di imprese costituito da FIAT FERROVIA-RIA SpA, ANSALDO TRASPORTI SpA, BREDA COSTRU-ZIONI FERROVIARIE SpA, ABB TECNOMASIO SpA eFIREMA CONSORTIUM S.c.r.l..

Anche in questo caso il motivo dell’italianità fu alla basedelle trattative senza alcuna gara ad evidenza pubblica. Il 27luglio 1989 le stesse società fondano il Consorzio Trevi s.r.l.,con oggetto sociale “il coordinamento della attività delle con-sorziate per studi, progettazione e costruzione di treni ad Altavelocità, denominati ETR 500”. Il contratto, di 4.800 miliardidi vecchie lire, prevedeva la progettazione e la costruzione di100 treni ETR 500 nella composizione standard di undici car-rozze passeggeri, 4 di prima e 7 di seconda classe, una carrozzaristorante e due motrici. La sigla ETR, sta per Elettro TrenoRapido, il numero 500 indica la serie della produzione.

Il primo elettrotreno entrato in servizio nelle nostre ferrovieè stato l’ETR 200, mentre il più noto, in servizio nel 1952, è

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nello stesso allegato 6 della richiamata Relazione del ministrodei Trasporti con la quale si era avviata la verifica Parlamentare:«(...) è da notare che le realizzazioni per l’AV a 300 km/h ver-ranno portate a termine tutte da imprese italiane appartenenti alConsorzio Saturno. SIRTI, ANSALDO, SASIB, ABB tra le altresono imprese che, oltre ad essere presenti nel Consorzio, parte-cipano attivamente agli sviluppi e alle sperimentazioni dellenuove soluzioni in corso di elaborazione per i sistemi di co-mando controllo e telecomunicazioni per l’Alta velocità. Si ri-tiene inoltre che la presenza di imprese italiane nei progetti disviluppo dei sistemi europei AV costituisca una notevole oppor-tunità di partecipazione imprenditoriale sul mercato europeo,oggi particolarmente orientato ad investimenti nel settore del-l’Alta velocità ferroviaria».

I geni del calcolo con la seconda cifra decimale dovrebberoanche spiegare perché è successo esattamente l’opposto. IlConsorzio Saturno, oltre a provocare una crisi irreversibiledelle imprese italiane, è diventato il vettore per la “sperimen-tazione delle nuove soluzioni di comando e di controllo perl’Alta velocità”, delle multinazionali straniere.

In quell’allegato, i boiardi di FS si dimenticavano di segnalareche fra le altre imprese appartenenti al Consorzio c’era già la fran-cese “Alstom Transport System SpA”, un peccato veniale per nonmettere in crisi l’italianità della scelta. Ma proprio il contratto fa-cile e ben remunerato, anziché stimolare le capacità di competereha dato uno contributo decisivo alla bancarotta delle imprese ita-liane. Agli inizi del 2000, la ABB Dacom SpA viene incorporatanella multinazionale inglese Balfour Beatty Rail SpA, la SASIBRailway SpA viene incorporata nella Alstom ferroviaria SpA.

Nel 2006 la compagine societaria del Consorzio Saturno ve-deva la presenza di sei soggetti che si spartivano le commesseed i lavori per le infrastrutture aeree, tre italiani e tre stranieri:SIRTI, ANSALDO TRASPORTI, ANSALDO SEGNALA-MENTO, ALSTOM FERROVIARIA, ALSTOM TRA-SPORTI, BALFOUR FERROVIARIA. Nel 2009 l’Ansaldo

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partner in crisi, la Ansaldo Trasporti, dando vita ad Ansaldo-Breda Trasporti spa sotto il controllo di Fintecna, l’aziendapubblica erede dello smantellamento dell’IRI.

Sorte non migliore toccherà alla ABB Tecnomasio Trasportiche sarà acquistata dalla multinazionale canadese Bombardier.Più devastanti e beffardi, per l’industria nazionale, sono perògli effetti prodotti dal partner che ha pilotato la formazione delConsorzio Trevi, Fiat Ferroviaria SpA.

Nella crisi che investe la capogruppo FIAT SpA nel 2000, unadelle decisioni assunte per risanare il bilancio è quella di venderealcuni pezzi che avevano un discreto valore. Fra questi vi era FiatFerroviaria SpA, una delle poche aziende del gruppo con un por-tafoglio di commesse importante: viene venduta alla multinazio-nale francese Alstom. L’interesse del colosso francese non era certodeterminato dalla commessa ormai in esaurimento dell’ETR 500che Fiat ferroviaria aveva quale partner del Consorzio Trevi. L’in-teresse era un altro e cioè quello per il brevetto che Fiat ferroviariadeteneva grazie alla invenzione tutta italiana del “Pendolino”.

Negli anni Sessanta tutte le amministrazioni ferroviarie deipaesi europei, di fronte alla forte espansione del trasporto sugomma si erano poste il problema della riqualificazione del ser-vizio ferroviario. Solo la Francia scelse quasi subito la stradadella realizzazione di “nuove” linee ferroviarie “dedicate”,senza curve o con raggi di curvatura molto ampli, per il colle-gamento veloce fra aree metropolitane. Negli altri paesi, comel’Italia, la Gran Bretagna, la Svizzera, la Germania si pensavainvece al miglioramento delle infrastrutture esistenti e soprat-tutto alle prestazioni dei convogli ferroviari, pensando ad unmateriale rotabile che consentisse di velocizzare il servizio e diminimizzare le forze centrifughe che si producono sui convoglinelle curve strette delle linee ferroviarie tradizionali.

Proprio l’Italia vinse questa gara per l’innovazione. Già nel1969, Fiat Ferroviaria, grazie alla stretta collaborazione con itecnici della Ansaldo e delle Ferrovie dello Stato, realizzòl’ETR Y 0160, il primo prototipo di automotrice con cassa

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stato l’ETR 300, che, secondo l’enciclopedia Wikipedia: « èstato l’orgoglio delle ferrovie italiane per oltre 30 anni, almenofino all’introduzione dei Pendolini. Pur non essendo propria-mente un treno ad Alta velocità, l’ETR 300 può essere acco-munato per profili di servizio e innovazione ai recenti ETR500, e come questi ultimi era stato pensato per servire sullaprincipale linea italiana, la Milano-Bologna-Firenze-Roma.Come quest’ultimo è a cassa fissa e non ad assetto variabile».

Anche la fornitura dell’ETR 500 è emblematica degli erroriall’origine di questo Progetto. Sul piano tecnologico, siamoagli stessi livelli di un treno progettato ed entrato in funzione50 anni prima, con composizione fissa, con più carrozze, piùlunghe e più leggere. Le aziende del Consorzio Trevi, grazie aquesta commessa, facile e ben retribuita, oggi sono tutte ingravi difficoltà e comunque prive di un prodotto di punta suimercati internazionali. Il Progetto TAV, anche in questo caso,è servito a questo: distruggere le capacità innovative che l’in-dustria nazionale fino a quel momento aveva espresso.

L’ETR 500 è stato il flop più clamoroso della industria ferro-viaria di tutti i tempi. Pagato a peso d’oro da FS, prodotto soloed esclusivamente per FS, oggi è già vecchio e privo di qualsiasiprospettiva di mercato. Un flop talmente clamoroso che le ma-gnifiche sorti strombazzate nel 1991 hanno portato persino Tre-nitalia a chiedere di interrompere la fornitura di questo“carrozzone” e determinare la liquidazione del Consorzio Trevi.In sordina, senza comunicati, senza conferenze stampa, con gliitaliani in vacanza, esattamente il 3 agosto del 2009, il Consor-zio, che doveva garantire prospettive straordinarie all’industrianazionale, viene posto in liquidazione e l’ETR 500 da quel mo-mento non viene più prodotto.

La Breda Costruzioni Ferroviarie, già impegnata nella pro-gettazione e produzione dell’ETR 300, passato alla storia comeil “settebello”, dopo quarant’anni si era ritrovata a lavorare suun materiale del tutto simile e privo di qualsiasi significativainnovazione; sarà costretta già nel 2000 a fondersi con un altro

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leferro gli operai ex Fiat sono persino ricorsi al sequestro di tredirigenti della multinazionale francese, che il 6 ottobre 2009si erano presentati davanti agli operai annunciando che la fab-brica sarebbe stata chiusa entro nove mesi, hanno ottenuto cheentro fine dicembre la Alstom presentasse un nuovo progettoindustriale, ma nulla lascia ormai presagire anche una minimasperanza di riconversione.

Dati precisi sulla fornitura dell’ ETR 500 non si conoscono,ma quello che è certo è che anche questi sono fuori della con-tabilità ufficiale del Progetto TAV e dunque anche questi sonostati coperti con i trasferimenti dello Stato per la gestione delservizio ferroviario universale. Nelle stime che si possono faredebbono essere considerati anche i costi per la nuova strategiadi marketing, quella della nuova livrea dell’ETR 500, rifattacon vernice idrosolubile e con il nuovo nome “Frecciarossa”.La sola fornitura delle vernici a basso impatto ambientale per11 convogli, fatta a Trenitalia dalla società Inver SpA di Mi-nerbio in provincia di Bologna, è costata 200 milioni di euro.

Il contratto del 1991 quantificava in 2.454 milioni di euro lafornitura di 100 ETR500. La produzione si è fermata a circatre quarti della quantità prevista. La stima, anche in questo casoin assenza di cifre note, ci porta a quantificare in 8.200 milionidi euro questa voce di costo (includendo la fornitura effettivae quella necessaria per completare la previsione del contrattodel 1991). Fatto 100 il valore fissato nel contratto del 1991siamo arrivati a 334.

I boiardi di Stato avevano garantito, e continuano a raccon-tare, che grazie alle nuove tratte per l’Alta velocità percorsesolo dai treni veloci, sulla linea storica si sarebbero liberatestraordinarie potenzialità per migliorare e rafforzare l’offertadei servizi universali a breve, media e lunga percorrenza. Èsuccesso esattamente il contrario, da subito, con l’entrata inesercizio delle prime tratte di Alta velocità. Il peggioramentodei servizi ferroviari sulle linee storiche si può misurare conun semplice confronto degli orari ferroviari. Un solo esempio,

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oscillante alla quale venne attribuito il soprannome di Pendo-lino. Il primo Pendolino, l’ETR 400, entrava in servizio già nel1976 sulla linea Roma-Ancona e verrà utilizzato come un veroe proprio laboratorio viaggiante per migliorare la tecnologiadel pendolamento. Il 29 maggio 1988 entra in servizio una evo-luzione del primo pendolino, due coppie di ETR 450 sulla lineaRoma-Milano. Svolgono il servizio passeggeri con partenzasimmetrica da Roma e Milano alle ore 7 ed alle ore 19. Tempidi percorrenza, da orario, puntualmente rispettato, 3 ore e 58minuti. Con l’orario invernale 1988-1989 il servizio dei Pen-dolini si estende a Torino e Napoli. La composizione dei trenida 5 viene elevata a 9 carrozze con un’offerta di 340 posti. Nelmaggio 1989 venivano attivati collegamenti con Venezia, Sa-lerno e successivamente Bolzano. Nel 1991 e 1992, l’ETR 450effettua servizi veloci anche sulle tratte Milano-Ancona eRoma-Rimini. La relazione Milano-Ancona effettuava le fer-mate di Bologna, Cesena, Rimini, Riccione, Cattolica, Pesaroe Senigallia, il tempo di percorrenza nel primo anno di serviziotra Milano e Senigallia era di sole 3 ore, portato a 3 ore e 18minuti l’anno successivo.

Oggi, grazie al progetto TAV ed alla Fiat, il brevetto del Pen-dolino, frutto di anni di lavoro dei tecnici ferroviari italiani, èpassato in mano alla Alstom, garantendo alla industria ferro-viaria francese prospettive di mercato straordinarie. Il Pendo-lino circola già in quasi tutti i paesi europei, dalla Spagna allaFinlandia, dall’Inghilterra alla Slovenia, dal Portogallo allaGermania, ma si appresta ad arrivare in Russia ed in Cina dovela Alstom, grazie al Pendolino, si è assicurata commesse percentinaia e centinaia di milioni di euro.

Negli stabilimenti italiani della Alstom però le ricadute nonci sono. Nello stabilimento di Savigliano, dove è nato il Pen-dolino, fra il 2005 e il 2007 un centinaio di interinali sono statiespulsi e nel 2010 per le maestranze storiche si parla di 150esuberi. Situazioni altrettanto critiche sono denunciate dai sin-dacati nell’ex stabilimento di Fiat ferroviaria di Milano. A Col-

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per spostarsi in treno fra Roma e Milano sono fra lo 0,01 e lo0,03 per cento della popolazione italiana.

Grazie alla Fiat, ed alla lobby del cemento, l’Italia ha speso de-cine e decine di miliardi di euro per un’infrastruttura che potrà mi-gliorare il servizio ferroviario solo per chi si sposta sulla lineaTorino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli, solo per chi partee arriva in quelle stazioni e solo per chi ha i soldi per pagare quelservizio, e cioè fra il 4 ed il 6 percento di tutti gli utenti del ser-vizio ferroviario. Per il 95% dei passeggeri che utilizzano tuttigli altri servizi ferroviari offerti sulla infrastruttura storica, nonsolo la qualità del servizio, ma anche gli stessi orari sono peg-giorati in modo evidente. Per i treni a lunga percorrenza, daRoma a Milano, da orario ferroviario, oggi si viaggia in 6 oree 30 minuti o 7 ore con gli Intercity ed in 8 ore o 8 ore e 30minuti con gli Espressi, con tempi di percorrenza che sono finoal 30 per cento maggiori di quelli offerti dell’orario ferroviariodi cinque anni prima per gli stessi treni.

Quello che cambia, dunque, è anche l’offerta del servizio, congli Espressi e gli Intercity che sulla linea Roma-Milano sono let-teralmente scomparsi. Secondo l’orario ferroviario del 2010, men-tre i Frecciarossa (109 euro in prima e 89 euro in seconda) sonogiornalmente 36, gli Intercity (62 euro in prima e 46 in seconda)sono solo 5 e le tradotte degli Espressi (32 euro e 50 centesimi)sono solo 3. Siamo l’unico paese in Europa con questa offerta squi-librata ed anche quello con la tariffa più alta per la seconda classedel servizio AV, quella che questo sistema di offerta costringe adutilizzare. Ovviamente non va meglio per i servizi a breve percor-renza. Sono peggiorati in modo evidente anche questi e sono quellisui quali si concentra poco meno del 90 per cento della domanda.

I vertici delle FS conoscono perfettamente questi numeri,ma continuano a puntare tutto sulle poche tratte AV dedicate,dimenticando e impoverendo tutto il resto: «Circola semiclan-destino in pochissimi uffici delle Ferrovie a Roma, un docu-mento che è una bomba. In quelle pagine l’amministratore Fs,Mauro Moretti, mette implicitamente il bollo aziendale su ciò

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per riprendere quello già citato del “Pendolino”. Nel 2009, il viaggiatore che voleva andare da Milano a Se-

nigallia lo poteva fare con un Eurostar City, senza cambiaretreno, in 4 ore e 23 minuti: un’ora e 5 minuti in più del serviziofornito con il Pendolino 18 anni prima. Se lo stesso viaggiatorevoleva metterci meno tempo, poteva prendere a Milano il Frec-ciarossa alle 15,30, scendere a Bologna e prendere alle 16,56un Eurostar City, scendere a Rimini e prendere alle 18,07 untreno Regionale e scendere a Senigallia alle ore 19,00; ciavrebbe messo, se fortunato con le due coincidenze, 3 ore e 30minuti: 12 minuti in più che nel 1991.

Nel 2010 la combinazione più breve per lo stesso viaggio èsempre la stessa: parte alle 14,25 con il Frecciarossa, cambia eriparte con un Eurocity da Bologna, cambia e riparte da Riminicon un regionale ed arriva a Senigallia alle ore 17,57: 19 minutiin più del 1991, sempre a condizione di vincere la scommessadi due cambi. Con un solo cambio a Bologna e la combinazioneFrecciarossa e treno regionale, può arrivare a Senigallia in 3 oree 45 minuti: 27 minuti più che nel 1991. Se invece volesse salirea Milano e scendere a Senigallia senza fare alcun cambio, ilviaggiatore nel 2010 non troverà alcun treno disponibile.

Dovrebbe andare meglio sulla direttrice nella quale alle linee sto-riche si sono aggiunte le nuove tratte “dedicate” per i treni veloci,forse. Dal 14 dicembre 2008, dopo la inaugurazione della nuovatratta di Alta velocità Milano-Bologna, l’ETR 500, riverniciato eribattezzato Frecciarossa, offriva il servizio Milano-Roma, da ora-rio, quasi mai rispettato, in 4 ore e 13 minuti. Il servizio no-stopsulla stessa linea era offerto dal Frecciarossa in 3 ore e 59 minuti:un minuto in più del servizio offerto dal Pendolino nel 1988.

Dal 15 dicembre 2009, con la entrata in esercizio anche dellanuova tratta Bologna-Firenze, si può andare da Milano a Romain 3 ore con il servizio diretto senza le fermate di Bologna e diFirenze. Per risparmiare un’ora, quella solo promessa dall’ora-rio di Trenitalia, lo Stato ha speso circa 50 miliardi di euro. Apagare sono tutti i cittadini italiani, mentre a risparmiare un’ora

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tano in maniera significativa ma meno della perdita che si regi-stra sulle stesse distanze sui servizi non di Alta velocità.

La sbandierata liberazione delle tracce sulla linea storica nonè servita però nemmeno per incrementare il trasporto dellemerci: anzi! L’assenza di investimenti e di strategia in questosettore, proprio con l’entrata in esercizio delle nuove tratte diAV, si è tradotta in una totale e irresponsabile rinuncia all’of-ferta del servizio: «Treni merci addio. L’Italia si avvia a con-quistare anche il record di primo paese d’Europa senza unservizio cargo pubblico su rotaia. (...) Dal 2006 al 2010 il traf-fico è sceso da 68 milioni di treni a chilometro a 42 milioni.Nel 2009 il calo è stato superiore al 30 per cento e quest’annoè previsto un altro arretramento dell’8. La quota di traffico suferro è ormai appena il 6 per cento del totale delle merci tra-sportate, la metà della media europea. (...). Alla fine del primomandato e all’inizio del secondo, il bilancio dell’era Morettiper le merci è in netto passivo. Il nuovo amministratore trattail settore come una cenerentola, peggio, come una zavorra dicui liberarsi perché non fa utili, proprio come il trasporto pen-dolari e quella passeggeri sulle lunghe percorrenze. Per Mo-retti, e per il governo che gli lascia mano libera, solo i treniredditizi, i Frecciarossa, Argento e similari, sono meritevoli diattenzione. Con buona pace della natura pubblica delle Fs,azienda di proprietà del ministero dell’Economia, tenuta al-l’erogazione di un servizio universale per cittadini e merci.».3Per il momento Moretti pensa ad altro, ma qualcuno prima opoi sarà costretto a fare i conti dei danni sociali ed economiciche questa miope strategia ha prodotto e produrrà sull’econo-mia complessiva del nostro sistema dei trasporti.

Il governo non ha fatto nemmeno una piega quando, tagliandocirca 800 milioni di euro al trasporto pubblico locale con la fi-nanziaria 2010, l’azienda sussidiata dallo Stato annuncia nello

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che in molti avevano intuito alla luce delle prime settimane diesercizio dell’Alta velocità Torino-Salerno (...). Ecco le cifredell’Azienda. Trasporto regionale: riduzione dei passeggeri-chilometro da 28.615 milioni previsti originariamente a23.410 nel 2011, un passeggero ogni cinque dato per perso. Itreni-chilometro scendono dai 229 milioni precedenti a 193,20 per cento in meno. I volumi del servizio universale si ridu-cono del 13 per cento rispetto agli anni passati e del 15 percento nei confronti con le previsioni contenute nel piano 2007-2011. Drastico arretramento anche per i convogli a media elunga percorrenza: 23.332 milioni di passeggeri-chilometrorispetto ai 25.241 del 2006 e ai quasi 29.000 del piano prece-dente. Per il traffico internazionale, poi, si prepara un vero eproprio tonfo: meno 40 per cento (...). Le Fs a doppia andatura,alla ricerca di risultati sfavillanti e sprint su poche tratte, masempre più povere sul resto dei binari, non sono affatto losbocco inevitabile dell’Alta velocità, ma il punto d’arrivo diuna scelta perseguita dall’attuale dirigenza dei treni ». 2

Succede dunque quanto era perfettamente prevedibile: i viag-giatori-chilometro, e cioè tutti i biglietti ferroviari venduti da FSper i chilometri percorsi con ogni singolo biglietto, complessi-vamente diminuiscono. Ma si riduce l’uso del servizio ferrovia-rio non perché sia cambiata la domanda, bensì perché è cambiatal’offerta. Si riduce la domanda del trasporto regionale, perchél’offerta oltre ad essere pessima è stata anche ridimensionata. Siriduce però anche la domanda sul trasporto a media e lunga per-correnza; ma dentro questo dato sono inclusi oltre ai Frecciarossaanche gli Intercity e gli Espressi, diurni e notturni. Il calo in que-sto caso è tutto e solo dovuto alla drastica riduzione del servizioa media e lunga percorrenza sulla linea storica di Intercity edEspressi. I viaggiatori-chilometro sul Frecciarossa, ovviamente,essendo praticamente solo questa l’offerta di Trenitalia, aumen-

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2. Daniele Martini, “Un passeggero perso ogni cinque, l’Alta velocità si man-gia la rete regionale”, Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2010.

3. Daniele Martini,”Addio ai treni per le merci esultano i camion”, Il FattoQuotidiano, 4 agosto 2010.

cio economico dell’azienda pubblica resta per il momento inequilibrio. Di questi due terzi però nessuno ha mai verificatoquanto è stato e viene effettivamente utilizzato o investito peri servizi sussidiati. Di certo una parte consistente di queste ri-sorse è stata ed è dirottata, surrettiziamente, sul servizio cheinvece viene spacciato come redditizio e senza sussidi.

Il “pacco dono” per i campioni del made in Italy

Al fallimento dell’esperienza dell’ETR 500, alla perdita delPendolino e ai costi economici e sociali che il fallimento delConsorzio Trevi ha prodotto, si aggiunge addirittura anche labeffa della gestione del servizio ferroviario dell’Alta velocità.Anche in questo caso, impegni solenni e vincolanti diventanocol tempo parole prive di riscontro che si risolvono nell’esattoopposto.

Nella delibera n. 971 firmata dall’amministratore straordina-rio dell’Ente Ferrovie dello Stato il 7 agosto 1991, si sanciva,all’articolo 4, che «l’esercizio e l’utilizzo delle infrastrutturerealizzate dalla società concessionaria è riservato, in via esclu-siva, alla gestione unitaria dell’Ente Ferrovie dello Stato».

La riserva vincolante della gestione del servizio era conse-guente all’impegno di recuperare con la gestione del servizioil cosiddetto investimento privato. La previsione era natural-mente irrealistica, ma almeno il vincolo della esclusività delservizio in capo alle FS era previsto ed era ovviamente unacondizione indispensabile per recuperare almeno una parte diquell’investimento, di fatto, tutto e solo pubblico. Almeno que-sto il firmatario della delibera del 1991 lo aveva previsto. Pur-troppo però in questa storia non vi sono limiti all’indecenza ecosì la faccia tosta di Necci quasi impallidisce di fronte allefacce di bronzo dei boiardi e dei loro sponsor politici che sonovenuti dopo.

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stesso anno (nel numero 7 della superpatinata rivista “La Frec-cia”) l’arrivo “del treno del futuro, ultramoderno, flessibile edecocompatibile. Il nuovo treno superveloce della serie 1000sfreccerà sui binari italiani dal 2013. Surclassando anche i con-vogli giapponesi e pronto a guidare l’industria ferroviaria deiprossimi vent’anni”. Esattamente venti anni prima, Necci an-nunciava l’arrivo degli ETR 500 con gli stessi riferimenti allavelocità e alle magnifiche sorti della nostra industria ferroviaria.

Con le tratte realizzate, tutte molto più corte di quelle giap-ponesi, ma anche di quelle francesi e spagnole, gli ETR 500possono coprire le distanze fra i nodi con una velocità mediacompresa fra i 150 ed i 180 chilometri all’ora, potendo tenereuna velocità di punta di 300 solo per il dieci, massimo il ventiper cento della lunghezza delle tratte.

Orbene, con il disastro del consorzio Trevi sotto i nostriocchi, qualcuno ha la faccia tosta di annunciare una spesa dialmeno 1.200 milioni di euro per l’acquisto di 50 treni che do-vrebbero viaggiare a 360 km/h su queste “trattine” di AV, e dipresentare questa scelta, sempre nella stessa rivista patinata,con un’enfasi a dir poco indecorosa: «Il treno del futuro è in-novazione tecnologica, glamour e massimo confort per i pas-seggeri, attraverso forme fluide, generate dall’alternarsi disuperfici concave e convesse, e una nuova filosofia del colore.Che insieme condensano una inequivocabile promessa di vita-lità e movimento, segno che le FS sono oggi in grado di lan-ciare la sfida al mercato e di rispondere a qualsiasi new coming,in casa e oltre confine».

La “new coming” alla quale Moretti lanciava la sfida era lasocietà alla quale i ministri Bianchi e Di Pietro avevano garan-tito il “pacco dono” del servizio AV a partire dal 2011. Unasfida, con queste premesse, con un esito scontato. Dopo il tra-sporto aereo anche quello su ferro, ma solo per il servizio piùconveniente, passerà di mano.

Questa disastrosa strategia delle FS è finanziata per ben dueterzi da sovvenzioni dello Stato, e solo grazie a queste il bilan-

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per il potenziamento delle reti. Si stanno determinando infattienormi spazi perché la concorrenza a beneficio del consuma-tore non sia un gioco a somma zero ma l’occasione straordi-naria di sviluppo del servizio».4 Il ministro, da buon liberale,aveva immaginato un altro film, perché quello che sarà girato- ad essere buoni - con la sua totale distrazione, sarà comple-tamente diverso. Forse andrà bene se per il consumatore ilgioco sarà a somma zero, ma quello che è certo è che la sommaper lo Stato sarà assai sotto lo zero.

Già il 6 febbraio 2007 il ministero dei Trasporti concede allascatola vuota NTV SpA, in quel momento una società connemmeno un dipendente a libro paga, la licenza di OperatoreFerroviario. Il 28 luglio 2007 il ministro dei Trasporti Bianchifirma un inedito “Protocollo d’Intesa”, con il quale NTV vieneaccreditata come società di gestione del servizio Alta velocitàed impegna RFI SpA, quale gestore dell’infrastruttura, alla de-finizione del contratto di servizio.

Al primo punto del Protocollo si stabiliva che «il ministro deiTrasporti provvederà a concludere, nei termini di legge, il pro-cedimento per il rilascio del titolo autorizzatorio per l’accessoall’infrastruttura nazionale citato in premessa, con specificoprovvedimento». L’impegno del ministro sarà ottemperato senzafare attendere un solo minuto l’amministratore delegato di NTV:lo firmerà seduta stante. Rintracciare però anche solo qualchegenerico riferimento, che potesse dare legittimità a quel Proto-collo d’Intesa, nelle norme in vigore in quel momento, è faticasprecata: era semplicemente un’invenzione estemporanea. Sitrattava di un contratto con evidenti profili di illegittimità, co-munque contestabile da chi aveva un interesse legittimo da tu-telare. I boiardi di FS e di Trenitalia, o altri potenzialmentelegittimati, si sono guardati bene dal contestarlo formalmente.In silenzio resterà anche il Ministro delle Infrastrutture Antonio

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TAV-CO SpA, la società che FS si era impegnata a costituireper la gestione in esclusiva del servizio Alta velocità, non èstata e non sarà mai costituita. Non solo dunque quegli inve-stimenti non saranno mai recuperati, ma addirittura sarà unasocietà privata a lucrare i profitti della gestione.

Questo capolavoro è stato realizzato a favore di una societànuova di zecca che, priva di esperienza, senza alcun materialee senza dipendenti, è riuscita ad avere nel giro di qualche mesela licenza per l’esercizio di servizi ferroviari, il rilascio del ti-tolo autorizzatorio per l’accesso all’infrastruttura, un Decretolegge del Governo Prodi, la conversione in legge dello stessodecreto nei due rami del Parlamento e un contratto decennaleper la gestione del servizio Alta velocità.

La società, Nuovo Trasporto Viaggiatori SpA, viene costi-tuita l’11 dicembre 2006 e presentata in pompa magna con unaconferenza stampa il 12 gennaio 2007. I soci fondatori presen-tano la nuova società come se fosse un operatore ferroviariocon in tasca già tutti i titoli e requisiti previsti dalle norme, tuttoviene dato per scontato ed acquisito e le agenzie di stampa bat-tono la notizia: «Sfida della qualità, ad Alta velocità, di due al-fieri del made in Italy: Luca di Montenzemolo e Diego dellaValle. L’annuncio della nascita di Nuovo Trasporto ViaggiatoriSpa, capitale un milione di euro, partecipata da Finanziaria Svi-luppo (Montenzemolo), da Fa.Del (Della Valle) e da ServiziImprenditoriali di Giovanni Punzo (tre quote ciascuno di31,7%) e Giuseppe Sciarrone (5%) lascia intravedere nuoviscenari nel trasporto passeggeri su rotaia (...). Missione dellasocietà, spiega intanto lo stesso nuovo player ferroviario, è l’ef-fettuazione di servizi viaggiatori sulle nuove linee ad Alta ve-locità, attraverso l’offerta di servizi ad alta qualità (...).L’iniziativa ha trovato il plauso dello stesso ministro dello Svi-luppo Economico Pierluigi Bersani. È davvero una bella noti-zia, ha commentato infatti il Ministro dal vertice governativodi Caserta, la norma che introdussi nel 2001 si proponeva difavorire lo sviluppo industriale nel settore ferroviario anche

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4. “Montenzemolo e Della Valle nell’alta velocità”, La tribuna di Treviso, 13gennaio 2007

nuovo presidente della Fiat abbia chiamato il nuovo presidentedel Consiglio per garantire un affare che nulla aveva a che farecon gli interessi ed i destini della stessa Fiat.

Con l’affare ormai blindato, il 17 gennaio 2008 le agenzieannunciano che sono in corso le trattative per il più importanteacquisto di materiale rotabile degli ultimi decenni: 25 treni adAlta velocità da 500-600 posti da consegnare in un paio d’annia partire dal 2010. Gli alfieri del made in Italy trattano con tremultinazionali, la Alstom francese, la Siemens tedesca e laBombardier canadese. Di imprese italiane contattate, nemmenol’ombra: nessun invito a fare offerta, nemmeno al ConsorzioTrevi produttore del materiale per l’Alta velocità nazionale.

La trattativa si concluderà nel gennaio del 2008 ed il contrattoverrà firmato con la multinazionale francese. Solo in questo mo-mento qualche quotidiano avanzerà qualche timida critica: «Ledue anime di Luca di Montenzemolo. Quando veste l’abito dellaConfindustria, o della Fiat, raccomanda “comprate italiano”. Maquando assume il ruolo di futuro ferroviere, seppure ad Alta ve-locità, dove compra i treni? In Francia (...). La NTV ha ordinato25 treni ad Alta velocità alla francese Alstom, per una cifra dicirca 700 milioni. Per altri 10 sarebbe stata sottoscritta un’op-zione. Il tricolore francese, dunque, ha vinto ancora una volta sultricolore italiano. L’Agv (derivato dal celebre Tgv) è stato prefe-rito al prodotto “made in Italy” a disposizione, quell’ETR 500del Consorzio Trevi, che tutti conoscono perché da una quindicinad’anni è attivo sui binari nazionali ».5

Bisognerà invece aspettare quasi due anni per leggere sullastampa nazionale le modalità con le quali lo Stato ha affidatoil servizio Alta velocità ai campioni del made in Italy: «L’affi-damento del servizio viaggiatori dell’Alta velocità, a trattativaprivata, a NTV, il cui profitto potrebbe sfiorare i 600 milionidi euro, è un vero e proprio “pacco dono” del governo Prodi a

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Di Pietro, sotto la competenza del quale era la vigilanza delleinfrastrutture ferroviarie, e dunque le attività di RFI.

L’unica norma riferibile a quel Protocollo era il comma 2, ar-ticolo 8, Legge 166/2002, che prevedeva esattamente il contra-rio: «Per i servizi di trasporto ferroviario viaggiatori di interessenazionale (...), il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasportiprovvede, allo scopo di incentivare il superamento degli assettimonopolistici e di introdurre condizioni di concorrenzialità deiservizi stessi ad avviare procedure concorsuali per la scelta delleimprese ferroviarie per l’erogazione del servizio (...)».

Nonostante gli impegni sottoscritti dal ministro con il Proto-collo, nei soci di NTV c’era ancora qualche preoccupazioneproprio per quella norma che richiamava condizioni di concor-renzialità e procedure concorsuali. Il clima politico non era deimigliori ed il rischio di una crisi che facesse cadere un governocon ministri così disponibili, prima che l’affare fosse blindato,era troppo alto. Per il presidente della Fiat arrivare per le viebrevi al Presidente del Consiglio, dopo i probabili rapporti in-trattenuti solo qualche settimana prima per la nomina a presi-dente di FS SpA del suo ex segretario di ConfindustriaInnocenzo Cipolletta, non era certamente un problema.

Il primo ottobre del 2007, il Consiglio dei ministri approva il De-creto legge n. 159, motivato da “interventi urgenti per lo sviluppoe l’equità sociale”. Al comma 2 bis dell’articolo 9, proprio quellanorma che ancora destava qualche preoccupazione nei campionidel made in Italy, viene modificata: «All’articolo 8 della Legge 1agosto 2002, n.166, e successive modificazioni, i commi 2 e 3 sonosostituiti dai seguenti». Inutile aggiungere che nel nuovo testoscompaiono i riferimenti sia alle procedure concorsuali che allecondizioni di concorrenzialità. Il Decreto legge il 29 novembre2007 viene convertito definitivamente nella Legge n. 222.

La storia si ripete, ma i protagonisti e la loro statura cam-biano. Nel 1992 Giovanni Agnelli aveva chiamato il presidentedel Consiglio per tutelare gli interessi ed i destini della Fiat nelProgetto Alta velocità. Quindici anni dopo è possibile che il

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5. “Montenzemolo predica l’italianità e compra il TGV”, Il Giornale, 12 gen-naio 2008.

Bombassei (con Nuova Fourb) e Isabella Seragnoli (con MaIs).Nel sito, della Generali Financial Holdings non viene dettonulla, nemmeno che si tratta di una società con sede in un pa-radiso fiscale, il Lussemburgo. Quasi sicuramente la società lus-semburghese fa capo alle Assicurazioni Generali di Trieste, machi siano effettivamente i soci rimane un mistero, come miste-riosa è la ragione della sede lussemburghese per la partecipa-zione ad una società italiana. Già nel 2009, fra l’altro, a questasocietà era subentrata la “Winged Lion FCP-FIS Sub-Fund 1”.

Il socio fondatore più piccolo, Giuseppe Sciarrone, è sociounico di Reset 2000. I tre grandi campioni dell’imprenditorianazionale, forse pronti a scappare, si sono accuratamente na-scosti. Curiosa e senza alcuna spiegazione nel sito ufficiale èinfatti la segnalazione della partecipazione al 33,5% della “To-tale MDP holding”. Sembrerebbe la ragione sociale di una so-cietà, in realtà “Totale” è da intendere come somma dellepartecipazioni di “MDP holding” in NTV. Una società con que-sto preciso nome nella banca dati delle Camere di Commercioè però introvabile. Si trovano invece quattro semplici s.r.l.:MDP Holding Uno, MDP Holding Due, MDP Holding Tre,MDP Holding Quattro.

Tutte e quattro le MDP holding hanno lo stesso Consiglio diamministrazione, composto da: Luca Cordero di Montenzemolo,presidente a tempo indeterminato; Diego Della Valle, consiglierea tempo indeterminato; Gianni Punzo, consigliere a tempo in-determinato. Tutte e quattro hanno gli stessi soci con le stessequote di partecipazione: MCG holding Srl (amministratore unicoLuca Cordero di Montenzemolo), 33,3%; Fa.Del Srl (ammini-stratore unico Diego Della valle), 33,3%; Servizi ImprenditorialiSrl (amministratore unico Gianni Punzo), 33,3%.

La Uno, la Due e la Tre hanno un capitale sociale di 90.000euro, la Quattro un capitale di 12.000 euro. Le tre società dicontrollo e le quattro MDP holding controllate garantisconol’occupazione, secondo i bilanci depositati, ad un numero didipendenti che risulta pari a zero.

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industriali con la passione dell’editoria, ragione per cui non èstato mai aperto dai giornali che si sono limitati a descriverneil bel colore della carta e la raffinatezza del fiocco».6

Con il contratto di servizio in cassaforte ed i treni in arrivo,l’affare è già assicurato. Prima ancora di iniziare a fornire ilservizio e raccogliere il frutto del “pacco dono”, i prodi cava-lieri rivalutano il misero capitale investito in NTV e fanno pa-gare a peso d’oro l’ingresso di nuovi ospiti. Già nel gennaio2008, le agenzie battono la notizia dell’ingresso del gruppobancario Intesa Sanpaolo con una quota del 20%, pari ad unesborso di circa 60 milioni. Giuseppe Sciarrone andrà al 4%,Luca Cordero di Montenzemolo, Diego Della Valle, GiovanniPunzo scenderanno al 25,3% ciascuno, ma con l’investimentoiniziale super-rivalutato. Il gruppo bancario guidato da Gio-vanni Bazoli e Corrado Passera, oltre al capitale versato peracquisire il 20% del capitale della società NTV, mette pure adisposizione i soldi per acquistare i treni, 750 milioni di euro.

A giugno arrivano nuovi soci e, fra questi, con una parteci-pazione al 20%, una società controllata al 100% da SNCF, lasocietà statale francese omologa delle nostre FS. La notiziaesce sui quotidiani solo nell’ottobre del 2008 e provocherà sol-tanto qualche mal di pancia al viceministro delle Infrastrutturee Trasporti Roberto Castelli, che avanzerà la richiesta di una“commissione che ricostruisca in maniera cristallina l’iter dellavicenda”. La commissione ovviamente rimarrà solo nella fan-tasia del viceministro.

Nel 2010 i soci che compaiono sul sito ufficiale di NTVsono: «Totale MDP Holding, 33,5%; IMI Investimenti, 20,0%;SNCF/VFE-P, 20,0%; Generali Financial Holdings FCP-FIS,15%; Nuova Fourb, 5%; MaIs, 5%; Reset 2000, 1,5%».

Nella compagine, oltre a Intesa Sanpaolo (con la controllataIMI) e SNCF (con la controllata VFE-P), si aggiunge Alberto

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6. Sandra Amurri, “Arrivano i treni privati”, Il Fatto Quotidiano, 23 settembre2009.

sere i ricavi delle due aziende in competizione, Trenitalia lancianel 2010 una gara per l’acquisto di altri 50 treni superveloci chedovrebbero viaggiare a 360 chilometri l’ora. La gara sarà vintadalla multinazionale canadese Bombardier con al rimorchio laAnsaldoBreda. Contro l’aggiudicazione ricorrerà in tribunale laAlstom con il risultato di ritardare ancora l’arrivo dei nuovi treniinizialmente previsto per il 2013. I primi due o tre “Zephiro”, ilnome del nuovo treno che dovrebbe affiancare il Frecciarossa,andrà bene se arriveranno nel 2014, quando i bilanci di Trenitaliaavranno già accumulato un buco insostenibile.

C’è solo da augurare ai ministri che nel 2007 hanno confe-zionato il “pacco dono” a NTV, ed a quelli che nel 2010 hannoconsentito una spesa pubblica miliardaria per una fornitura inu-tile, di essere su quelle stesse poltrone quando il governo in ca-rica dovrà decidere, come avvenne per l’Alitalia, i destini dellanostra compagnia di bandiera delle ferrovie.

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Sono esattamente le quattro MDP holding che fanno il “Totale”della partecipazione del 33,5% in NTV, ma con quote tutte di-verse: la Uno con il 18,96%, la Due con il 9,27%, la Tre con il5,21% e la Quattro con il 5,00%.

I tre grandi imprenditori sono partiti nel dicembre 2006 con il95% di una società con un capitale di 1 milione di euro. Grazieal “pacco dono” di Bianchi, Di Pietro, Bersani e di tutti i ministridel governo Prodi, la scatola vuota è stata riempita e già nel 2008il regalo ha consentito di fare affari straordinari con gli aumentie la rivalutazione del capitale investito. Nel 2010, ad ancora unanno dall’inizio della gestione del servizio, dal 95% di una scatolavuota con un capitale di 1 milione di euro scendono al 35,5%,ma in una società con un patrimonio netto di 264 milioni di euro.

Per questi campioni degli affari senza rischi, l’interesse perla gestione del servizio è pari a zero. L’affare, prima ancoradell’avvio del servizio, è già stato realizzato. Le MDP Uno,Due, Tre e Quattro sono pronte a passare di mano e fare incas-sare ai campioni del made in Italy ulteriori plusvalenze del“pacco dono” fatto loro da un governo con un presidente delConsiglio già Garante dell’Alta velocità, un ministro dello Svi-luppo economico paladino della concorrenza, un ministro deiTrasporti comunista contrario alle privatizzazioni e da un mi-nistro delle Infrastrutture alfiere della legalità.

NTV con 25 nuovi treni Agv (Automotrice à grande vitesse)della Alstom, italiani solo nel nome, “Italo”, e nella livrea, “rossoferrari”, dalla fine del 2011 inizierà ad offrire il servizio sulle di-rettrici più convenienti coprendo circa il 70 per cento delle corseofferte nel 2010 da Trenitalia; l’azienda di Stato - nello stessomomento - si presenterà con una flotta di 60 ETR 500, 29 ETR400 e 19 ETR 600 (il nuovo pendolino prodotto ed acquistatosempre dalla Alstom). Trenitalia offrirà il servizio AV con unaflotta di 108 treni per coprire tragitti di circa il 30 per cento su-periore a quello coperto da NTV con una flotta di 25 treni.

Nonostante che i numeri dicano chiaramente quali saranno icosti di gestione e manutenzione delle flotte e quali potranno es-

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LA TANGENTOPOLI DELLO STATOPOST-KEYNESIANO

Dai ladri ai mariuoli del modello Tav

È stato pubblicato nel febbraio del 1950. L’autrice era mortasette anni prima e si chiamava Simone Weil. Il titolo non potevaessere più esplicito: “Manifesto per la soppressione dei partitipolitici”.1 Uno dei maggiori intellettuali del ventesimo secolo,André Breton, così ne commentava il contenuto: «Contro l’eser-cizio della servilità e le forme aggressive a cui essa dà origine,è giunta l’ora che si contino coloro che stimano, con SimonWeil, che la soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasiallo stato puro. Inutile dire che questa soppressione (è il motivoper cui preferisco l’espressione messa al bando) non potrà, penauno snaturamento assoluto, risultare da un atto di forza: non puòche concepirsi al termine di un’impresa, abbastanza lunga, didisincanto collettivo».

Simone Weil sosteneva la tesi che i partiti sono struttural-mente ladri di verità e di giustizia. Il suo ragionamento avevatratti di nobiltà e aveva poco a che fare con le miserie della cro-naca quotidiana dei partiti di oggi. La sua riflessione era dedi-cata prevalentemente al meccanismo di oppressione spiritualee mentale che il partito esercita sull’individuo. La portava peròa trarre conclusioni che andavano ben oltre la dimensione del-l’individuo ed a proporre una visione dei beni collettivi straor-dinariamente profetica: «I partiti sono un meravigliosomeccanismo in virtù del quale, in tutta l’estensione di un Paese,non uno spirito dedica la sua attenzione allo sforzo di discer-nere, negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la verità. Ne ri-

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1. Simon Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, CastelvecchiEditore, 2008.

lo strumento, indefinito, che l’articolo 49 della Costituzionemette a disposizione dei cittadini “per concorrere con metododemocratico a determinare la politica nazionale”.

Un profeta disarmato, dal suo stesso partito, già trenta annifa aveva lucidamente descritto questo furto: «I partiti di oggisono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mi-stificata conoscenza della vita e dei problemi della società edella gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimentie passione civile, zero».

Il profeta era Enrico Berlinguer, che ci consegnò una nitidafotografia dei ladri in una celebre intervista rilasciata il 28 lu-glio 1981 ad Eugenio Scalfari. Il tema trattato in quell’intervi-sta fu archiviato come la “questione morale”. Ripescata di tantoin tanto è stata progressivamente distorta e semplicisticamenteassociata al tema della corruzione. Ma quella posta e lucida-mente decritta in quella intervista era una questione ben piùimportante: «I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue isti-tuzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali,gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli isti-tuti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandigiornali (...). Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vor-rebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte leoperazioni che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigentisono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente infunzione dell’interesse del partito o della corrente e del clancui si deve la carica.» Questa è l’occupazione che oggi pos-siamo concretamente misurare. Quella posta era più propria-mente la “questione democratica”, che il modello TAV oggi ciripropone in termini ben più gravi di quelli che potevano essereletti trenta anni fa.

Le vicende che la cronaca quotidiana oggi ci racconta, la casao la banca del politico di turno, la escort o i lavori per il boiardodi Stato, ci parla non più di ladri ma di semplici marioli che po-polano partiti di plastica intenti ad occupare strutture e societàpubbliche, lucrando favori o anche solo semplici privilegi. I par-

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sulta che – eccezione fatta per un piccolo numero di coinci-denze fortuite – vengono decise e intraprese soltanto misurecontrarie al bene pubblico, alla giustizia e alla verità. Se si af-fidasse al diavolo l’organizzazione della vita pubblica, non sa-prebbe immaginare nulla di più ingegnoso. Se la realtà è stataun po’ meno cupa, questo è accaduto perché i partiti non ave-vano ancora divorato ogni cosa. Ma è stata realmente un po’meno cupa? Non era cupa esattamente quanto il quadro qui de-lineato? La Storia non l’ha mostrato?».

Certo, i partiti non sono stati solo questo; in alcuni casi sonostati anche meccanismi straordinari di acculturazione o di li-berazione ma, sui tempi lunghi della storia, Simone Weil forseaveva ragione. Oggi comunque possiamo dirlo: i partiti sonodiventati meccanismi di occupazione delle istituzioni e dellesocietà pubbliche, nelle quali divorano risorse e beni pubblici.Sono loro i ladri di tutto, ad Alta velocità di nome e di fatto nelcaso qui descritto, perché proprio questa Grande Opera è larappresentazione più calzante dei modi e degli strumenti con iquali le oligarchie dei partiti di oggi, con le loro corti di pro-duttori postfordisti e di boiardi postkeynesiani, ci rubano tutto.

Ci hanno rubato anche la storia vera di questa costosissimainfrastruttura, seppellendo la bugia clamorosa che era alla basedella sua architettura finanziaria, insieme alle colpe di chi l’hadefinita, gestita, coperta o ignorata per molti anni. La bugiaperò si è diffusa insieme all’architettura che la occultava conla locuzione magica del project financing, diventando un mo-dello, il “modello TAV”, replicato con una progressione geo-metrica. L’eredità della bugia seppellita è nota e già pesa nellecasse pubbliche. Solo il tempo ci dirà quando le casse pubbli-che non potranno più sopportare il peso delle eredità delle mi-gliaia di bugie nascoste nei modelli replicati.

I ladri ad Alta velocità non commettono reati, non sono per-seguibili per i furti che quotidianamente ci sottraggono ingentirisorse pubbliche ma anche verità, informazione, democrazia.Ci hanno rubato anche la politica, ci hanno scippato i partiti,

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autonomo, o atipico, o interinale, o in grigio, o in nero. Un tratto fondamentale dei moderni modelli di organizzazione

dell’impresa è l’enorme distanza che si frappone fra il capitaleed il lavoro vivo nelle forme declinate durante l’era del capita-lismo regolato e condizionato dalla divisione in blocchi primadel crollo del muro di Berlino. Ma questa distanza è resa possi-bile soprattutto da un altro carattere fondamentale di questo pro-cesso di scomposizione: la “fuga dalle regole”. È la legalità,storicamente determinata da quel modello (nei contratti collettividi lavoro) e dal welfare (nelle leggi e strutture di sostegno) cheproprio quel modello consentiva ed alimentava, che viene pro-gressivamente demolita, prima con prassi atipiche, poi connuove norme che le legalizzano. È la straordinaria frantumazionedell’impresa fondata sul lavoro dipendente a tempo indetermi-nato, sul quale si fondava la raccolta di risorse certe e controlla-bili, che ha contribuito a determinare la crisi dello Stato sociale,ridimensionando le risorse garantite dal salario indiretto.

Anche nelle cosiddette politiche neoliberiste, i cambiamentisono caratterizzati dalla “fuga dalle regole” che si erano stori-camente determinate con le politiche keynesiane strettamenteconnesse con il capitalismo fordista. Pure in questo caso la le-galità, storicamente data, viene progressivamente demolita conprassi atipiche e norme che ne conseguono per la loro legaliz-zazione. Il tradizionale appalto pubblico, ad esempio, vieneprogressivamente soppiantato da altri istituti contrattuali ati-pici, quali il project-financing o il general-contractor, utilizzatie sperimentati per realizzare grandi opere, e poi replicati e dif-fusi a livello locale per la realizzazione o la gestione di opereo servizi pubblici tout court.

Alla possibilità offerta alle grandi imprese di acquisire sulmercato domestico commesse senza competizione, che aveva,con Tangentopoli, già prodotto un totale disinteresse verso l’in-novazione tecnologica e l’investimento in ricerca e sviluppo,si aggiunge lo svuotamento, la parcellizzazione, la frantuma-zione e la dispersione dei saperi. L’ormai evidente trasforma-

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titi modello TAV sono diventati strutture private, gestite da pri-vati, a tutela dell’interesso privato, popolate da occupanti ed oc-cupati disseminati nelle strutture pubbliche e parapubbliche.

La questione democratica risiede soprattutto nella catturadelle istituzioni e delle risorse pubbliche da parte di una parti-tocrazia veicolata da partiti virtuali, senza alcun vincolo nor-mativo. Anche questo era stato detto: «La loro stessa strutturaorganizzativa si è ormai conformata su questo modello, e nonsono più organizzatori del popolo, formazioni che promuovonola maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazionidi correnti, di camarille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss.La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e luoghi». Laquestione morale è la tangentopoli senza tangenti, è il furto le-galizzato dei beni pubblici, è il modello TAV.

La Tangentopoli postfordista e postkeynesiana

Alla diffusione del modello TAV non sono estranei i processidi ristrutturazione che hanno investito gli apparati produttivinell’era della cosiddetta globalizzazione. La rappresentazionepiù efficace che ne è stata fornita è la trasformazione dellastruttura “piramidale” della impresa fordista in una organizza-zione che assomiglia sempre di più ad una enorme “ragnatela”di attività e cicli di lavorazione dispersi nello spazio e legatifra di loro da una miriade di appalti e subappalti.

La grande impresa fordista, gerarchica e rigida, implosiva eradicata nel territorio, è diventata una grande impresa “vir-tuale”, piatta e flessibile, dispersa e senza radici, un’enormeragnatela composta da tante ragnatele sempre più piccole. Alvertice c’è il ragno più grande, che sceglie di volta in volta iragni ai quali appaltare lavori e servizi, i quali a loro volta sonolasciati liberi di subappaltare le stesse attività a ragni semprepiù piccoli, e così via fino al singolo artigiano, o al lavoratore

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Oggi la pratica della corruzione (non riferita allo specificoreato, ma intesa in senso lato) permea in modo più strutturalee pericoloso la pubblica amministrazione, e comunque richiedenuovi e più raffinati paradigmi di indagine e di lettura. Il reatodi corruzione, e cioè il reato che in modo prevalente ha carat-terizzato le indagini di Mani pulite, non è più quello che carat-terizza la relazione illecita fra politica e affari e, soprattutto,sono venuti meno i presupposti per la sua contestazione.

Con i cambiamenti intervenuti nel contesto produttivo e dimercato, i corruttori (il sistema delle imprese di Tangentopoli),nella nuova condizione soggettiva (l’organizzazione postfor-dista), si sono anche adattati alle nuove “regole”, di mercato econtrattuali, determinate dalle politiche di privatizzazione e/oliberalizzazione del cosiddetto Stato postkeynesiano. Gli stessitecnici hanno mutato la loro posizione di semplici intermediari,assumendo un ruolo di diretti interlocutori della “collusionetangentizia senza tangenti”.

La totale disapplicazione delle norme sulle incompatibilità eineleggibilità ha favorito e sollecitato una presenza più direttadello stesso mondo degli affari nella politica e nelle istituzioni.Non di meno, il clamoroso ed irrisolto tema del conflitto di in-teressi ai massimi vertici del governo del Paese ha favorito larimozione del tema e la diffusione di questo fenomeno anchea livello locale. Di più, grazie ad un sistema dei partiti senzaalcuna regola, il mondo delle imprese e degli intermediari hapotuto sfornare attori della politica, con imprenditori e tecniciche entrano direttamente nel sistema dei partiti e con essi in-vadono ed occupano le istituzioni.

La scomparsa dei partiti della cosiddetta “prima repubblica”(i più colpiti dalla contestazione del reato di corruzione) haspinto i tecnici, prima semplici mediatori, ad assumere un ruolodi protagonisti attivi nel rapporto col mondo delle imprese,anche per proprio conto. D’altro canto proprio questo attestanole ripetute denunce del procuratore generale della Corte deiconti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, in

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zione in scatole vuote delle grandi imprese italiane rappresentaperò anche un forte handicap per la qualificazione della strut-tura produttiva della piccola e media industria. Una grande im-presa, infatti, garantita da un mercato oligopolistico e ormaipriva di innovazione e organizzazione tecnologica, abbassainevitabilmente la qualità delle relazioni industriali e scaricasulla piccola e la media impresa una competizione tutta giocatasui fattori più poveri e di basso profilo. Non è un caso chesiamo il Paese con gli indici più alti di lavoro nero, lavoro gri-gio, lavoro precario e infortuni sul lavoro, e dove la fuga dalleregole sconfina sempre più spesso nella illegalità.

Se la fuga dalle regole e l’illegalità sono ciò che caratterizzamaggiormente i processi di ristrutturazione della “fabbrica” edello “Stato” post-moderni, anche i sistemi di corruzione nonpossono non registrare nuove forme o modelli di funziona-mento. Il sistema illegale di Tangentopoli, così, tende versouna sorta di legalizzazione. Apparentemente un paradosso, inrealtà una conseguenza del tutto logica.

Il sistema di Tangentopoli poggiava su due pilastri netta-mente distinti: il sistema delle imprese e il sistema dei partiti,i quali, con una transazione occulta e giustapposta ai rapportifra Stato e mercato, orientavano la gestione degli investimentiper lavori e servizi pubblici. Vi era poi un terzo soggetto, chesvolgeva il ruolo di intermediario, e cioè i cosiddetti tecnici(interni ed esterni alla pubblica amministrazione), incaricatidel controllo tecnico-amministrativo della relazione contrat-tuale che garantiva i flussi economici necessari per la coperturadelle varianti o integrazioni da loro attestate. Alcuni magistrati,non a caso, definirono quello di Tangentopoli come “sistemadella triangolazione”. I pesi ed i caratteri dei protagonisti po-tevano anche essere differenti nei diversi contesti economici eterritoriali, ma i ruoli erano comunque definiti: di indirizzo edi controllo quello dei partiti, di coordinamento e gestionequello delle imprese, di intermediazione e validazione quellodei tecnici.

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del modello TAV nella gestione della spesa pubblica. Le leggie i provvedimenti assunti su questi temi, spesso concepiti e de-finiti con l’obbiettivo di contrastare la corruzione o rendere piùefficiente la gestione della spesa pubblica, si sono invece rive-lati veicoli essenziali per garantire la costruzione di un nuovoequilibrio corruttivo fra il mondo degli affari e quello della po-litica, adattato ai cambiamenti che si sono prodotti nella fab-brica e nello Stato.

Alla separazione della responsabilità politica da quella tec-nico-amministrativa, introdotta per contrastare la corruzionedel politico attraverso la firma condizionante del tecnico, si ègiustapposta una riforma della dirigenza nella quale lo spoilsystem non comporta la rescissione del contratto di dirigentema solo il cambiamento della funzione assegnata. In questomodo i contratti di dirigente nella pubblica amministrazione sisono moltiplicati a dismisura e restano contratti a vita anchequando il governo o la giunta di turno decide con lo spoil sy-stem di non assegnare alcuna funzione.

Nelle polemiche sul lavoro nel pubblico impiego sono staticoniati diversi appellativi ad effetto. Fra questi quello di “nullafacenti”. Bene, c’è solo una fascia di lavoratori nel pubblicoimpiego per la quale l’uso di questo appellativo può avere unriscontro oggettivo, in tutti gli altri casi invece è comunque ar-bitrario. Solo nella fascia dei dirigenti pubblici è formalmenteprevista la categoria, appunto, dei “nulla facenti”. Categoriache inevitabilmente si espande, tanto più quanto più frequenteè il tournover dei governi o delle giunte, diventando un esercitodi riserva sempre più disponibile a fornire la sua servitù al mi-nistro o all’assessore di turno in cambio della funzione asse-gnata. I ruoli sono stati separati, ma la dipendenza dalla politicaè diventata vassallaggio.

Anche per le riforme che hanno investito la gestione dei servizipubblici economici (acqua, rifiuti, energia, trasporti) gli effettisono stati esattamente opposti a quelli attesi o promessi. Le fi-nalità dichiarate erano quelle di rendere più efficiente la gestione

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questi ultimi anni: i reati contro la pubblica amministrazioneaumentano, ma in questi sono sostanzialmente assenti i politiciin senso stretto, mentre ne risultano investiti quasi esclusiva-mente i cosiddetti boiardi di Stato.

Paradossalmente, il ruolo di intermediazione parassitaria èpassato nelle mani dei partiti post Tangentopoli, organizzazionivirtuali, ragnatele di vassalli del boss che si intrecciano conquelle di imprenditori postfordisti e boiardi postkeynesiani.

I tratti di illegalità che caratterizzano questo nuovo equilibriosono stati oscurati o rimossi anche grazie alla sostanziale de-penalizzazione dei due reati che erano strettamente collegati aquello della corruzione: il falso in bilancio (per gli imprendi-tori) e l’abuso di ufficio (per i politici e i tecnici). In virtù diquesto modello, però, diventa anche impossibile perseguire ilreato di corruzione, venendo a mancare il presupposto per lasua contestazione, quello della qualifica di “pubblico ufficiale”o di “incaricato di pubblico servizio”, che costituisce la pre-messa per la contestazione dei reati contro la pubblica ammi-nistrazione. Queste qualifiche scompaiono infatti o si perdononel mare magnum delle società di diritto privato e nel sistemadi istituti contrattuali con i quali si privatizzano anche le fun-zioni della committenza pubblica.

Il debito pubblico e le politiche keynesiane alla rovescia

La profonda mutazione nel rapporto fra pubblico e privato èstata favorita anche dai convulsi cambiamenti normativi cheregolano il funzionamento e i ruoli nella pubblica amministra-zione. Le norme, ad esempio, per la dirigenza e per lo spoil sy-stem nella pubblica amministrazione, quelle per le priva-tizzazioni dei servizi pubblici economici, quelle per l’affida-mento di appalti pubblici, per citare solo i casi che più diretta-mente hanno consentito o addirittura stimolato la diffusione

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Merloni ter e ancora con la quater e con altre norme di modificacontenute in decine di leggi e decreti, prima e dopo la emana-zione del Codice unico dei contratti pubblici, con il D.lgs.163/2006. I principi che erano stati posti a base della Merlonioriginaria sono stati completamente stravolti fino al punto chele norme oggi consentono di praticare l’esatto opposto di quelloche ispirò il legislatore del 1994. Da un contesto normativo nelquale l’amministrazione aggiudicatrice era di fatto vincolataall’affidamento di “contratti di appalto di sola esecuzione”,siamo passati a un sistema di norme che consentono di ricor-rere a istituti contrattuali attraverso i quali si attua una sostan-ziale esternalizzazione di tutte o di gran parte delle funzionitipiche della committenza. Istituti nei quali la privatizzazionedella progettazione, della designazione dell’impresa, della di-rezione dei lavori e, nel caso del contratto di concessione, dellagestione dell’opera non è però mai accompagnata ad alcun ri-schio di mercato in capo allo stesso soggetto privato. I poteri ele scelte si trasferiscono in capo ai privati, o nel diritto privato,ma i rischi e relativi oneri rimangono sempre e per intero incapo al soggetto pubblico.

Con le modifiche del quadro normativo, quello della “TAVSpA” dunque è diventato un “modello” imitato e replicatoanche a livello locale, con società di diritto privato, SpA o Srl,che si sono moltiplicate con una progressione impressionante;senza parlare della concorrenza sleale nei confronti degli ope-ratori economici che ancora confidano in un mercato libero ecompetitivo. Le società, promosse o controllate dalle Regionie dagli Enti locali, sfuggono all’applicazione delle norme deldiritto pubblico o producono comunque una privatizzazionedella spesa di denaro pubblico. Stiamo parlando di una mareadi attività controllate, determinate o gestite da presidenti e Con-sigli di amministrazione “nominati”, e nelle quali il ruolo e irapporti fra politici, tecnici e imprenditori si confondono, in unmagma economico tale da fare invidia a quelli dei paesi del so-cialismo reale, se ancora fossero in vita.

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attraverso processi di privatizzazione come premessa per garan-tire la competizione di mercato. Grazie al mercato, e alla liberaconcorrenza, gli effetti promessi erano ovviamente quelli di for-nire servizi migliori e con prezzi competitivi che il monopoliopubblico non poteva garantire. Le riforme per la liberalizzazionedei servizi pubblici si sono tradotte invece in un puro e sempliceprocesso di trasformazione delle aziende di diritto pubblico insocietà di diritto privato, nelle quali rimane pubblica la totaleproprietà, o comunque il controllo pubblico, ma alle quali la ge-stione dei servizi continua ad essere affidata senza alcuna gara.Ad oggi, le riforme dei servizi pubblici hanno semplicementeprodotto: privatizzazione senza liberalizzazione. Una privatiz-zazione senza privati, o comunque con una presenza pubblicanella proprietà sempre maggioritaria, alla mercé dei partiti perla lottizzazione di presidenti, Consigli di amministrazione e Col-legi sindacali, quando non si arriva a spartire anche le assunzionidi personale.

Una sorte non migliore è occorsa alle norme che regolano gliappalti pubblici per lavori, servizi e forniture. Sembra passatoun secolo dal dibattito che accompagnò la definizione dellaLegge quadro sui lavori pubblici, n. 109/94, cosiddetta Mer-loni, e cioè il primo e unico tentativo di farla finita con la Tan-gentopoli scoperchiata all’epoca dalle numerose indagini dellamagistratura. Quella legge fu la sintesi di un ampio confronto,di approfondite indagini, di numerose audizioni e di diverseproposte di legge di iniziativa parlamentare. Nella sua versioneoriginaria, tradusse questo lavoro in alcune condizioni essen-ziali imposte alle amministrazioni pubbliche per l’affidamentodi un appalto: la previsione urbanistica e la programmazionedell’opera; la definizione di un progetto esecutivo; l’effettivadisponibilità delle risorse necessarie per la sua realizzazione;il divieto di esternalizzare le funzioni tipiche del committente,con l’esplicita cancellazione della concessione di committenza.

L’allentamento di questi vincoli è iniziato con la Legge216/1995, la cosiddetta Merloni bis, ed è proseguito con la

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Il debito occulto e la catastrofe prossima ventura

La diffusione del cosiddetto project-financing e delle societàdi diritto privato controllate o partecipate dalle Regioni e dagliEnti locali, con le quali le politiche keynesiane capovoltestanno proliferando a livello locale, è semplicemente incredi-bile. Stiamo parlando non di qualche decina di miliardi di euro,bensì di centinaia di miliardi di debiti che si sono già accumu-lati e che emergeranno solo fra qualche anno nei bilanci cor-renti dello Stato e degli Enti locali che si sono avventurati inqueste operazioni. Diffusione di nuovi istituti contrattuali ati-pici ed esplosioni di società di diritto privato controllate diret-tamente o indirettamente dal pubblico stanno scavando unavoragine nei bilanci futuri, tutta ancora da misurare, ma chenon tarderà a produrre i suoi effetti.

Da un contesto (quello della cosiddetta “prima repubblica”)nel quale lo Stato aveva fondato Enti e Istituti pubblici controllatie regolati per legge (qualche decina) e gli Enti locali più signi-ficativi gestivano alcuni servizi pubblici con aziende di dirittopubblico (qualche centinaio) regolate per legge, siamo passatiad un contesto che, pur in assenza di dati precisi, può essere sti-mato in un migliaio di SpA o Srl controllate direttamente o in-direttamente dallo Stato, ed oltre ventimila SpA o Srl controllatedirettamente o indirettamente dalle Regioni e dagli Enti locali.Due soli esempi, uno statale ed uno locale, giusto per compren-dere la dimensione delle opportunità che queste società offronoal sistema dei partiti senza regole.

L’Ente Nazionale per le Ferrovie dello Stato, “Ente” appuntoregolato e gestito in base ad una legge dello Stato e nel rispettodelle norme sulla contabilità pubblica, viene trasformato nel1994 in società di diritto privato, FS SpA. L’Ente nel 1991 avevail controllo di due sole società, costituite grazie ad altrettanteleggi che avevano autorizzato l’Ente in tal senso: Italferr SpA eTAV SpA. Nel 2010, FS SpA è una holding che esercita il con-

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Le “TAV SpA” replicate a livello locale possono egualmentepraticare il “modello TAV” dei debiti a “babbo morto”, graziealla modifica della definizione del contratto di concessione(Merloni quater, 2002), che oggi consente - con il cosiddettoproject-financing - di sostituire il corrispettivo tipico della con-cessione, dato dal “diritto di gestire” l’opera o il servizio, conun “prezzo” totalmente garantito dal committente pubblico.

Con il modello TAV si realizza la combinazione perversa frala privatizzazione della committenza pubblica e la finzionedel finanziamento privato, con il risultato di realizzare operedi pessima qualità a costi più alti, e di propiziare la produzionedi debiti futuri. La catena perversa, l’abbiamo visto, è semprela stessa: il committente pubblico affida in “concessione” laprogettazione, costruzione e gestione dell’opera pubblica aduna società di diritto privato (SpA), ma con capitale tutto pub-blico (TAV SpA appunto, ma pure Stretto di Messina SpA oQuadrilatero SpA, per restare nell’ambito delle grandi opere).Ma è proprio a carico di questo concessionario di diritto pri-vato, il cui capitale è tutto pubblico, che rimane il rischio della“gestione” e dunque del cosiddetto project-financing (debiti ababbo morto) adottato per la realizzazione dell’opera. La SpApubblica serve solo per millantare il finanziamento privato(prestiti o prodotti finanziari garantiti dai soci pubblici dellaSpA) e per garantire al contraente generale, che è il soggettoprivato vero e proprio, il pagamento per intero e subito delcosto della progettazione e della costruzione, mentre mantieneper sé (e cioè al pubblico) il rischio della gestione (ovvero idebiti futuri).

Siamo dunque all’esatto ribaltamento delle politiche keyne-siane del secolo scorso. Col modello TAV infatti, prima si con-segnano soldi e affari alle imprese, e poi si chiede ai cittadinidi ripianare il debito: un Keynes alla rovescia, si dà ai ricchi esi fa pagare ai poveri.

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a due riunioni. I casi FS SpA ed Hera SpA sono più o meno rappresentativi

delle centinaia di aziende che fanno capo allo Stato e delle mi-gliaia che fanno capo agli Enti locali. Stiamo parlando di so-cietà che operano in un regime di diritto privato, che tendonoad essere fuori dalle regole e dal controllo della contabilità pub-blica. Di società con attività economiche controllate, determi-nate e gestite da presidenti e Consigli di amministrazionenominati dai partiti, da questi partiti, e nelle quali il ruolo e irapporti fra politici, tecnici e imprenditori si confondono e di-ventano sempre più intercambiabili e intercambiati. Di societàdove la spesa pubblica non è pilotata dalla transazione occultadella tangente, ma è diventata puramente e semplicementecarne di porco azzannata senza intermediazioni dalle oligarchiedella partitocrazia senza partiti e dalle élite del mondo degliaffari senza imprese.

Dalla seconda metà degli anni 2000 in tutte le relazioni an-nuali della Corte dei Conti ed in quelle di quasi tutte le Sezioniregionali questo fenomeno è evidenziato in modo drammatico;una per tutte, quella delle Marche del 2008: « Numerose inda-gini si sono incentrate sugli sprechi nelle società partecipate,sprechi che stanno purtroppo assumendo una dimensione di as-soluto rilievo. Una parte degli analisti ha ormai raggiunto ilconvincimento che le società partecipate rappresentino unavera e propria aggressione alla libera concorrenza dei mercati,non incrementino l’efficienza della spesa pubblica, non miglio-rino la qualità dei servizi, favoriscano il ricorso a modalitàclientelari nella gestione e nelle assunzioni del personale. (...)Gli effettivi poteri di governo dei servizi pubblici vengono ine-sorabilmente trasferiti alle società partecipate, con alterazionedella trasparenza democratica conseguente al forte rischio (se nonalla certezza) di una perdita di ruolo dell’amministrazione con-ferente nella definizione degli standard operativi e dei livelli dicosto, destinati quest’ultimi ad incrementarsi secondo dinamicheesponenziali non coerenti con le logiche del bilancio pubblico».

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trollo su 59 società, nelle quali le nomine dei presidenti, dei Con-sigli di amministrazione e Collegi sindacali sono formalmentesotto il controllo esclusivo di FS SpA: circa 350-400 nomi, ge-stiti dal presidente e dall’amministratore delegato pronti a rac-cogliere i “suggerimenti” del ministro o del sottosegretario ancheper garantire la nomina di loro stessi.

Nei servizi pubblici locali, un esempio è quello di Hera SpA,società oggi quotata in borsa. Nel 1999 l’AMIU, azienda mu-nicipalizza dell’igiene urbana di Bologna, e ACOSER, aziendaconsortile per i servizi gas e acqua di gran parte dei comunidella provincia di Bologna, si fondono dando vita a SEABOSpA. Negli anni successivi la nuova società promuove la fu-sione con società analoghe nate anch’esse da ex aziende mu-nicipalizzate nelle province limitrofe, fino alla nascita di HeraSpA. La società oggi gestisce servizi pubblici in un territorioche dieci anni prima vedeva la presenza di 8 aziende munici-palizzate o consortili che, per legge, avevano Consigli di am-ministrazione composti ciascuno da 5 persone, tutte scelte, perlegge, con procedure pubblicistiche e con voto segreto espressodai singoli consiglieri comunali su di un solo nome. Oggi HeraSpA è una holding che gestisce le nomine degli organi di 12società partecipate e di 37 società controllate. Siamo passati da8 aziende che comportavano la nomina di 40 persone con pro-cedura pubblicistica, voto segreto e gettoni definiti per legge,a ben 50 società ed alla cooptazione di 250-300 nomi senza al-cuna procedura trasparente e con laute indennità definite daglistessi Consigli di amministrazione. La società capogruppo vedeun CdA composto da 21 consiglieri, di cui 18 cosiddetti indi-pendenti, impegnati solo nella partecipazione alle riunionidell’organo. Nella relazione sulla attività della società per il2009 si dà conto dello svolgimento di dieci riunioni del CdAcon una durata media di due ore. L’indennità erogata a ciascunconsigliere, presente o non presente alle riunioni, è stata di100.000 euro: 5.000 euro all’ora per il consigliere presente atutte le riunioni, 25.000 euro all’ora per il consigliere presente

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il quaranta per cento in numero e circa l’ottanta per cento peril volume d’affari.

I giudici del Consiglio di Stato sono intervenuti diverse voltesui tentativi di elusione della norma Bersani. Nella adunanzaplenaria n.1/2008 ci consegnano questa lettura delle finalità deldivieto sancito dalla norma: «Il divieto rimarca la differenzatra concorrenza “per” il mercato e la concorrenza “nel” mercatodisvelando le sue plurime rationes essendi: tutela dell’impren-ditoria privata e della leale concorrenza, repressione della grep-pia partitica e burocratica».

Che l’obbiettivo della norma, anche nelle intenzioni del mi-nistro, fosse anche quello di ridimensionare le opportunità perla greppia è certamente credibile, ma il risultato è stato esatta-mente quello opposto. La norma, stante il fatto che nessunadelle società interessate è stata sciolta o ceduta a terzi, ha pro-dotto un aumento della spesa pubblica, in quanto chiamata agarantire i fatturati che queste società, per la verità una partepoco significativa, acquisivano nel libero mercato. Ha prodottoanche, proprio nelle poche società che esprimevano una di-screta vitalità nel mercato dei servizi, ed una relativa autonomiadal sistema della lottizzazione partitocratica, un processo diomologazione, con la riconduzione delle stesse nell’alveo dellesocietà protette, garantite e lottizzate.

Le greppie partitiche e burocratiche sono rimaste sostanzial-mente le stesse ma oggi sono alimentate da una quantità di“fieno” a dir poco tre, quattro volte maggiore. È successo in-fatti che, mentre con il comma 720 dell’unico articolo dellaLegge finanziaria per il 2007 si ammorbidiva ulteriormentel’art. 13 della Legge Bersani, al comma 725 si introduceva unanorma sui compensi per i presidenti e, per la prima volta, si ge-neralizzava la attribuzione di indennità a tutti i componenti deiconsigli di amministrazione.

Una sorte non migliore è occorsa anche al tentativo del mi-nistro Tremonti, anche lui ci ha provato con un Decreto legge,n. 78/2010, in origine ancora più draconiano: sanciva il divieto

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Secondo i dati delle Camere di Commercio, i bilanci deposi-tati nel 2008 dalle società che vedono la partecipazione dei Co-muni sono 6.134. Il numero però riguarda le società chevedono una partecipazione diretta dell’ente pubblico, non cidice quante sono le società che queste stesse controllano. Se-condo un’indagine dell’AidaPa,2 relativa ai 20 Comuni capo-luogo di regione, le società direttamente partecipate sono 282,mentre quelle direttamente e indirettamente controllate o par-tecipate sono 1103. Il numero complessivo delle società di di-ritto privato controllate o partecipate direttamente e indi-rettamente dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Co-muni è stimabile in non meno di 20.000, a garanzia delle pol-trone per ventimila presidenti, per almeno centomila consiglierie per sessantamila revisori.

A contrastare questo fenomeno ci hanno provato due ministri,gli unici che almeno hanno mostrato consapevolezza sulla de-licata situazione della finanza pubblica prodotta da queste so-cietà. Ci hanno provato, ma con i buoi già fuori dalla stalla, edi colleghi bovari che remano contro, i loro provvedimenti nonhanno prodotto alcun risultato, quando non hanno provocatoeffetti addirittura opposti a quelli auspicati.

Ci ha provato il ministro Pierluigi Bersani con l’articolo 13del decreto Legge n. 223/2006, la famosa lenzuolata sulle li-beralizzazioni. Il decreto stabiliva che tutte le società, costituiteo partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali“(...)non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggettipubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e nonpossono partecipare ad altre società ed enti”.

La immediata mobilitazione dei bovari delle ex aziende mu-nicipalizzate, sponsorizzati da una collega di governo dellostesso partito del ministro, già con la Legge di conversione, n.248/2006, ottenevano la esclusione della applicazione dellanorma “alle società operanti nei servizi pubblici locali”, circa

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2. “Pagella ai Comuni-holding”, Il Sole 24 Ore, 4 maggio 2011.

di Salvatore Ligresti, dell’ex assessore Graziano Cioni ed altriper l’affare dell’area Castello a Firenze. L’atto di accusa, passasotto silenzio. Fra i pochi commenti apparsi nella stampa na-zionale, quello di un giornalista di lungo corso ne coglie lanovità e ce ne offre una sintesi straordinariamente efficace:«Archiviata la classica “mazzetta”, italico reperto storicoarmai praticato soltanto ai bassi livelli, è adesso la “corruzioneliquida” che furoreggia nelle alte sfere. La mazzetta è riservataall’usciere o all’impiegato di concetto che fa saltare una filao mette in vista una pratica in cima alle altre. Per il resto, nonpiù volgari passaggi di banconote come quei milioni di liretteche Mario Chiesa, il nonno di tangentopoli (...). Ma appaltitruccati, incarichi, consulenze, assunzioni, nomine, carriere,favori, case, gioielli, festini, escort. L’inventiva della nuovacorruzione sembra non avere limiti quando capita che qualcheserata di sesso venga ricompensata con una poltrona ministe-riale, un seggio in parlamento o in consiglio regionale (...).Non classiche mazzette, ma un lavoro in Fondiaria Sai per ilfiglio di Cioni, un appartamento per un’amica dell’assessoree altri vari benefici, tipo quelli cui ci ha abituato lo scandalodella Protezione civile con le case, le consulenze, gli arredi ei massaggi del sottosegretario Bertolaso, fanno coniare ai pmfiorentini la tipologia della “corruzione liquida” per sostenerenell’udienza preliminare anche le accuse di concussione e tur-bativa d’asta». 3

Proprio così, il modello TAV consente alla corruzione di as-sumere la forma del contenitore della spesa pubblica che divolta in volta ospita il politico o il boiardo di turno. La corru-zione liquida però è il portato inevitabile di un’altra liquidità,quella dei partiti postmoderni.

Il sistema delle mazzette era governato da partiti solidi, neiquali i “tesorieri” controllavano il flusso delle tangenti per il

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di costituire società per i comuni con popolazione sotto i30.000 abitanti e la possibilità di detenere la partecipazione inuna sola società per i comuni fino a 50.000 abitanti. La sca-denza per ottemperare alla prescrizione era fissata al31.12.2010. Anche in questo caso, grazie alla mobilitazione delpartito di governo più vicino al ministro, la norma viene subitodepotenziata. Già con la Legge di conversione, n. 122/2010, lascadenza viene spostata al 31.12.2011 e la effettiva applica-zione viene demandata ad un decreto interministeriale per ladefinizione delle modalità attuative “nonché ulteriori ipotesidi esclusione dal relativo ambito di applicazione”. Solo qualchemese dopo, nel febbraio 2011, con la conversione in legge delDecreto “mille proroghe” la scadenza slitta di altri due anni eviene fissata al 31.12.2013, offrendo ai bovari il tempo neces-sario per intervenire con qualche altro provvedimento per can-cellare anche questa tiepida norma.

Corruzione liquida e partiti catalizzatori di illegalità

Nel febbraio 2010 i Magistrati fiorentini, nell’ordinanza dicustodia cautelare in carcere dei protagonisti del sistema dicorruzione connesso con la realizzazione delle opere per il G8,prendono a prestito la definizione che gli stessi protagonistidanno del nuovo sistema: «(..) il delitto oggi contestato e inrelazione al quale si richiede la maggiormente afflittiva tra lemisure cautelari, maturata nell’ambito di un sistema non acaso definito “gelatinoso” non dagli inquirenti ma da alcunidegli stessi protagonisti di tale inquietante vicenda di malaf-fare, che ben potrebbe essere ribattezzata “storia di ordinariacorruzione”».

La definizione ancora più calzante del nuovo sistema di cor-ruzione, viene proposta dagli stessi magistrati fiorentini nelfebbraio 2011 quando firmano la richiesta di rinvio a giudizio

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3. Alberto Statera, “Le mazzette sono fuori moda. Tra carriere, case, escort lacorruzione è liquida”, la Repubblica, 14 febbraio 2011

retorica: «O la competizione fra le due sfere – potere visibilee potere remoto – trova alla fine il suo (imprevisto) invera-mento nella pervasiva corruzione della politica, sospinta ga-gliardamente sul terreno affaristico?».5

Il modello TAV è la rappresentazione plastica della rispostaimplicita nella domanda retorica dello storico. Con questo mo-dello, le élite della politica e degli affari hanno realizzato que-sto inveramento, liquido, consentendo al potere visibile e alpotere remoto di integrare, intercambiare e confondere i ruoli,di sostituire la selezione delle strutture solide con la coopta-zione delle formazioni liquide.

Se le oligarchie “distinte” e “selezionate” della prima repub-blica, nell’era di Tangentopoli, hanno prodotto fra gli anni ‘70e ‘80 un debito pubblico arrivato al 120 per cento del PIL na-zionale, quelle “integrate” e “cooptate” della seconda, col mo-dello TAV, in poco meno di dieci anni, hanno scavato unavoragine nascosta, nei project financing e nella contabilità dellesocietà di diritto privato a capitale pubblico, ormai prossima aquella visibile nella contabilità ufficiale. Solo la diga delle bugiee del furto di verità consente di nascondere questa enormemassa liquida di debito pubblico nascosto. Una diga comunquedestinata ad essere frantumata e rasa al suolo. In queste condi-zioni, per le strutture della società invase dal potere liquido«non c’è da aspettarsi che durino a lungo. Non sopporterebberotutto quell’infiltrarsi, trasudare, gocciolare, versare: in brevetempo sono destinate a inzupparsi, ammollirsi, ammuffire e de-comporsi.». Consola, ma è una magra consolazione il dopo diquesta decomposizione: « Le autorità di oggi verranno derise odisprezzate domani, le celebrità saranno dimenticate, gli idoliche fanno tendenza saranno ricordati solo nei quiz televisivi, lenovità predilette saranno gettate nella spazzatura, le cause eternesaranno cacciate a spintoni da altre cause che si proclamerannoeterne anch’esse, i poteri indistruttibili si appanneranno e scom-

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finanziamento occulto. Non a caso, nel processo per la madredi tutte le tangenti, ad essere condannati, oltre ad alcuni segre-tari, sono stati tutti i tesorieri dei partiti dell’epoca compresoquello del neonato partito della Lega Nord.

I partiti liquidi della seconda repubblica, senza forma, senzaregole, senza tesorieri, non hanno più l’esigenza del finanzia-mento occulto, la loro massa gelatinosa si adatta e occupa tuttele pieghe dei contenitori della spesa pubblica: in prima personacol saccheggio dei bilanci dello Stato e degli Enti Locali e,sempre di più, con la maschera di soggetti privati nel cosiddettoproject financing e nelle società di diritto privato controllateda soci pubblici.

Le forme solide dei Partiti della prima repubblica si sono tra-mutate in masse fluide che si adattano ai contenitori istituzio-nali o societari della spesa pubblica: « e i “fluidi” sono chiamaticosì perché non sono in grado di mantenere a lungo una forma,e a meno di non venire versati in uno stretto contenitore conti-nuano a cambiare forma sotto l’influenza di ogni minima forza.In un ambiente fluido, non si sa se attendersi un’inondazioneo una siccità, sarebbe meglio esser pronti a entrambe le even-tualità». 4 Secondo il filosofo della “modernità liquida”, la so-cietà liquida è però prigioniera del presente, le sue élite sonosenza rotta, navigano a vista, invadono tutte le pieghe del po-tere rimanendo prigioniere della loro forma.

Uno storico dell’età antica, sulla natura del potere contem-poraneo, ci propone questa dicotomia: « L’idea che “il potere”stia, da qualche parte, remoto, invisibile, inattingibile ma in-fluentissimo, e quella opposta, secondo cui esso è, invece, in-carnato dai quotidianamente visibili e imperversanti “potenti”(che ogni giorno ci ricordano, o forse ci rinfacciano, di averlieletti) hanno, ancorché contrastanti, entrambe larga diffu-sione». La risposta dello storico è proposta con una domanda

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4. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, a cura di Benedetto Vecchi, Edi-tori Laterza, 2006 5. Luciano Canfora, La natura del potere, Editori Laterza, Bari 2009

meno garantivano la partecipazione dei cittadini alla selezionedelle oligarchie.

Quello che la Costituzione indica come lo strumento fonda-mentale per la formazione del consenso e per il concorso deicittadini al governo delle istituzioni rimane qualcosa di indefi-nito, con partiti che oggi sono tutto ed il contrario di tutto, e co-munque pseudo-organizzazioni caratterizzate da prassi che allaselezione dal basso hanno sostituito la cooptazione dall’alto.

Tutto è consentito ai mariuoli di questi partiti liquidi graziead un articolo 49 della nostra Costituzione che ha fissato unprincipio fondamentale, sul quale si dovrebbe fondare la de-mocrazia nel nostro Paese, ma che non è mai stato tradotto innorma. “I cittadini sono liberi di associarsi in partiti politici”,sancisce la nostra Carta. Come, con quali regole e con qualigaranzie di pari e trasparenti opportunità per tutti i cittadini?Non è stato mai definito, e così per i boss e sottoboss non cisono regole da rispettare né per la fondazione né per il funzio-namento delle loro camerille o federazioni di correnti.

Grazie al modello TAV i partiti, con le loro corti di mariuoli,hanno radicalmente mutato il proprio rapporto con la spesapubblica. Se prima essa era pilotata dalla transazione occultae giustapposta della tangente, oggi la spesa pubblica stessa siè trasformata tutta in “pseudo-tangente”, con la quale un cetopolitico di partiti di plastica, manager di imprese virtuali e bo-iardi dai facili costumi possono scambiarsi favori e ruoli senzainutili mazzette per partiti inesistenti.

Nel sistema degli anni Ottanta lo scambio illecito era gestitoda centri di comando occulti e comunque con pratiche “giu-stapposte” al normale funzionamento del sistema di relazionepubblico-privato. Nel sistema attuale lo scambio non è più giu-stapposto ma coincidente con la relazione economica. La“mazzetta”, definita e gestita dalla “cupola” a Milano o dal “ta-volino” in Sicilia, alimentava e garantiva il funzionamento diun sistema con un sovrapprezzo di qualche dieci per cento. Ilmodello assunto invece dalla nuove pratiche è quello che rea-

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pariranno, potenti istituzioni politiche od economiche verrannofagocitate da altre ancora più potenti o semplicemente svani-ranno, titoli azionari a prova di bomba diventeranno titoli bom-bardati, promettenti carriere di una vita si riveleranno vicoliciechi. Sembra di vivere in un universo di Escher, dove nessuno,in nessun punto, è in grado di distinguere una strada che portain cima da una china discendente».6

La corruzione liquida, non per ultimo, crea anche condizionidecisamente più favorevoli per chi con l’illegalità ha un rap-porto fondativo. In questo contesto le mafie e la borghesia ma-fiosa trovano un campo ideale di adattamento. A queste sonoofferti spazi straordinari dalla frantumazione e fuga dalle re-gole delle imprese, dalla autoreferenzialità irresponsabile delleburocrazie, dalla presenza diffusa, confusa e mascherata delceto politico nelle istituzioni e nelle SpA collegate, dalla as-senza dei partiti nella società, ma vivi, vegeti e ben radicatinella spesa pubblica e nelle SpA lottizzate.

Come si possa pensare di contrastare la corruzione o le mafiesenza che vi sia la benché minima regola che indirizzi l’azionedello strumento più importante, nella nostra Costituzione, perla formazione del consenso e per il governo delle istituzioni, èforse l’inganno più devastante che può essere perpetrato neiconfronti dei cittadini. Il partito, questi partiti oggi, in Italia, afronte di una presenza abnorme sia nelle istituzioni che nell’eco-nomia, che non trova riscontro in nessun Paese al mondo, nonhanno ancora una benché minima definizione giuridica, che sta-bilisca come si costituiscono, come vivono, come si gestiscono.

Se per le istituzioni, per gli affari, per la formazione del con-senso e per il contrasto alle mafie esiste un problema di appli-cazione efficace di regole date, o di adeguamento delle regoleal mutato contesto, per i partiti esiste invece un problema puroe semplice di definizione: che cosa sono?

Se i partiti della cosiddetta “prima repubblica” sono scom-parsi, con loro sono scomparse anche le prassi solide che lihanno storicamente caratterizzati, gli statuti e le regole che al-

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lizza le infrastrutture per il Treno ad Alta velocità con una “ta-volata” che consente di spendere cinque volte di più di quelloche si spende in Spagna o in Francia per realizzare infrastrut-ture identiche.

Se la committenza pubblica nella Tangentopoli degli anni ‘80era eterodiretta dalla scambio dietro le quinte, oggi è occupatae gestita dai nuovi protagonisti che, come nel gioco delle trecarte, la fanno semplicemente scomparire trasferendo ruoli erisorse fuori dalle regole del diritto pubblico.

Il potere liquido di questo sistema dei partiti, alleato al luogocomune secondo il quale dai partiti non si può prescindere nelledemocrazie rappresentative, ostacola anche la semplice rifles-sione sulla opportunità o meno della loro abolizione o messaal bando. Se davvero non si possono abolire, almeno si traducain norma il principio delineato nell’articolo 49 della nostra Co-stituzione. È la condizione minima anche solo per poter imma-ginare di contrastare la corruzione e la criminalità organizzata,di impedire lo spreco di beni e risorse pubbliche, di salvare ilPaese dalla catastrofe.

Senza la definizione di regole per la formazione e la gestionedei partiti, qualsiasi riforma elettorale che metta mano alle re-gole del consenso, o qualsiasi riforma della pubblica ammini-strazione che detti regole per i tecnici, i politici e i rapporti coiprivati, consegnerebbe comunque il governo dei processi aquesti partiti indefiniti, che - dentro e grazie al trionfante mo-dello TAV - sono diventati, strutturalmente, catalizzatori di il-legalità e ladri di risorse, ladri di democrazia e ladri di futuro:appunto, ladri di tutto.

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Indice dei nomi

A

Agnelli GiovanniAgnelli SusannaAmurri SandraAndreatta BeniaminoAndreotti Giulio

B

Baratta PaoloBarbera AugustoBarucci Piero Bauman ZygmuntBazoli GiovanniBerlinguer EnricoBerlinguer GiovanniBerlusconi SilvioBernini CarloBersani PierluigiBianchi AlessandroBofil Ricardo Bombassei AlbertoBorgia EugenioBresso MercedesBreton AndréBurlando Claudio

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D’Alema MassimoDe Cesaris BenedettoDelbono FlavioDella Valle DiegoDell’Olio GirolamoDe Lorenzo FrancescoDe Michelis GianniDe Rita GiuseppeDi Amato AstolfoDini LambertoDi Pietro Antonio

E

Engels FriedrichEvans-Pritchard Ambrose

F

Fanfani AmintoreFassino PieroFedigrini EnricoFiori PublioForlani ArnaldoFormica RinoFormigoni RobertoFoster Norman

G

Gardini RaulGelli Licio

185

C

Calafati AntonioCalatrava SantiagoCalvi RobertoCanfora LucianoCapasso AlfonsoCaravale GiovanniCarmignani ItaloCastelli RobertoCastellucci GiorgioCefis Eugenio Cervellati PierluigiChiamparino SergioChiesa MarioCiampi AzeglioCimoli Giancarlo Cioni GrazianoCipolletta InnocenzoCirino Pomicino PaoloCofferati SergioColombo EmilioCordero di Montenzemolo LucaCosta RaffaeleCostanzo Carmelo Cota RobertoCraxi BettinoCrisci GiorgioCuccia EnricoCusani Sergio

D

184

Mannino CalogeroMaraini EmilioMarcinkus PaulMartelli ClaudioMartini DanieleMatteoli AlteroMoretti Mauro

N

Necci Antonio LorenzoNobili Franco

P

Passera CorradoPacini Battaglia PierfrancescoPerticaroli FrancescoPetrella PinoPetrelli MarcelloPetrini PierluigiPiano RenzoPonti MarcoPortaluri SalvatorePrandini GianniPreti Luigi Prodi RomanoPunzo Giovanni

R

Renzi Matteo

187

Geremia GiuseppaGobbo FabioGoria GiovanniGrollino FiorenzoGuazzaloca Giorgio Guerci Carlo Maria

H

Haver Flavio

I

Incalza ErcoleIsozaki Arata

K

Kautsky Karl

L

Lenin Vladimir IllicLigato LudovicoLigresti SalvatoreLunardi Pietro

M

Maddaloni Mario

186

Tremonti GiulioTreu Tiziano

V

Virano MarioVisco Vincenzo

W

Weil Simone

189

Reviglio FrancoRomiti Cesare Rossi Brigante Alfonso MariaRumor Mariano

S

Saitta AntonioSantuz GiorgioSapelli Giulio Savini Nicci AntonioSbardella Vittorio Scalfari EugenioScalfaro Oscar LuigiSchettino GennaroSchimberni MarioSciarrone GiuseppeSebasti LeonelloSegni AntonioSeragnoli IsabellaSignorile ClaudioSiniscalco Domenico Spadolini GiovanniSpaventa LuigiSquillante Renato

T

Tartaglia AngeloTei GianniTesini GiancarloTradico PietroTravaglini Giovanni

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