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1963
Letteratura italiana Einaudi Storia d’Italia di Francesco Guicciardini

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Letteratura italiana Einaudi

Storia dItalia

di Francesco Guicciardini

Edizione di riferimento:a cura di Silvana Seidel Menchi,Einaudi, Torino 1971

Letteratura italiana Einaudi

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Libro 1 1Libro 2 124Libro 3 224Libro 4 325Libro 5 429Libro 6 518Libro 7 609Libro 8 694Libro 9 793Libro 10 906Libro 11 1022Libro 12 1120Libro 13 1233Libro 14 1315Libro 15 1417Libro 16 1522Libro 17 1621Libro 18 1730Libro 19 1834Libro 20 1928

Sommario

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LIB. 1, CAP. 1

Proposito e fine dellopera. Prosperit dItalia intorno al1490. La politica di Lorenzo de Medici ed il desiderio di pacede prncipi italiani. La confederazione de prncipi e lambi-zione de veneziani.

Io ho deliberato di scrivere le cose accadute alla me-moria nostra in Italia, dappoi che larmi de franzesi,chiamate da nostri prncipi medesimi, comincioronocon grandissimo movimento a perturbarla: materia, perla variet e grandezza loro, molto memorabile e piena diatrocissimi accidenti; avendo patito tanti anni Italia tuttequelle calamit con le quali sogliono i miseri mortali, oraper lira giusta dIddio ora dalla empiet e sceleratezzedegli altri uomini, essere vessati. Dalla cognizione dequali casi, tanto vari e tanto gravi, potr ciascuno, e pers proprio e per bene publico, prendere molti salutiferidocumenti onde per innumerabili esempli evidentemen-te apparir a quanta instabilit, n altrimenti che unomare concitato da venti, siano sottoposte le cose uma-ne; quanto siano perniciosi, quasi sempre a se stessi masempre a popoli, i consigli male misurati di coloro chedominano, quando, avendo solamente innanzi agli occhio errori vani o le cupidit presenti, non si ricordandodelle spesse variazioni della fortuna, e convertendo indetrimento altrui la potest conceduta loro per la salutecomune, si fanno, poca prudenza o per troppa ambizio-ne, autori di nuove turbazioni.

Ma le calamit dItalia (acciocch io faccia noto qualefusse allora lo stato suo, e insieme le cagioni dalle qualiebbeno lorigine tanti mali) cominciorono con tantomaggiore dispiacere e spavento negli animi degli uominiquanto le cose universali erano allora pi liete e pi feli-ci. Perch manifesto che, dappoi che lo imperio roma-no, indebolito principalmente per la mutazione degli

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antichi costumi, cominci, gi sono pi di mille anni, diquella grandezza a declinare alla quale con maravigliosavirt e fortuna era salito, non aveva giammai sentito Ita-lia tanta prosperit, n provato stato tanto desiderabilequanto era quello nel quale sicuramente si riposava lan-no della salute cristiana mille quattrocento novanta, e glianni che a quello e prima e poi furono congiunti. Per-ch, ridotta tutta in somma pace e tranquillit, coltivatanon meno ne luoghi pi montuosi e pi sterili che nellepianure e regioni sue pi fertili, n sottoposta a altro im-perio che de suoi medesimi, non solo era abbondantis-sima dabitatori, di mercatanzie e di ricchezze; ma illu-strata sommamente dalla magnificenza di molti prncipi,dallo splendore di molte nobilissime e bellissime citt,dalla sedia e maest della religione, fioriva duomini pre-stantissimi nella amministrazione delle cose publiche, edi ingegni molto nobili in tutte le dottrine e in qualun-que arte preclara e industriosa; n priva secondo luso diquella et di gloria militare e ornatissima di tante doti,meritamente appresso a tutte le nazioni nome e famachiarissima riteneva.

Nella quale felicit, acquistata con varie occasioni, laconservavano molte cagioni: ma trallaltre, di consenti-mento comune, si attribuiva laude non piccola alla indu-stria e virt di Lorenzo de Medici, cittadino tanto emi-nente sopra l grado privato nella citt di Firenze cheper consiglio suo si reggevano le cose di quella republi-ca, potente pi per lopportunit del sito, per gli ingegnidegli uomini e per la prontezza de danari, che per gran-dezza di dominio. E avendosi egli nuovamente congiun-to con parentado, e ridotto a prestare fede non medio-cre a consigli suoi Innocenzo ottavo pontefice romano,era per tutta Italia grande il suo nome, grande nelle deli-berazioni delle cose comuni lautorit. E conoscendoche alla republica fiorentina e a s proprio sarebbe mol-to pericoloso se alcuno de maggiori potentati ampliasse

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pi la sua potenza, procurava con ogni studio che le co-se dItalia in modo bilanciate si mantenessino che pi inuna che in unaltra parte non pendessino: il che, senza laconservazione della pace e senza vegghiare con sommadiligenza ogni accidente bench minimo, succedere nonpoteva. Concorreva nella medesima inclinazione dellaquiete comune Ferdinando di Aragona re di Napoli,principe certamente prudentissimo e di grandissimaestimazione; con tutto che molte volte per laddietroavesse dimostrato pensieri ambiziosi e alieni da consiglidella pace, e in questo tempo fusse molto stimolato daAlfonso duca di Calavria suo primogenito, il quale mal-volentieri tollerava che Giovan Galeazzo Sforza duca diMilano, suo genero, maggiore gi di venti anni, benchdi intelletto incapacissimo, ritenendo solamente il nomeducale fusse depresso e soffocato da Lodovico Sforzasuo zio: il quale, avendo pi di dieci anni prima, per laimprudenza e impudichi costumi della madre madonnaBona, presa la tutela di lui e con questa occasione ridot-te a poco a poco in potest propria le fortezze, le gentidarme, il tesoro e tutti i fondamenti dello stato, perse-verava nel governo; n come tutore o governatore, ma,dal titolo di duca di Milano in fuora, con tutte le dimo-strazioni e azioni da principe. E nondimeno Ferdinan-do, avendo pi innanzi agli occhi lutilit presente chelantica inclinazione o la indegnazione del figliuolo, ben-ch giusta, desiderava che Italia non si alterasse; o per-ch, avendo provato pochi anni prima, con gravissimopericolo, lodio contro a s de baroni e de popoli suoi,e sapendo laffezione che per la memoria delle cose pas-sate molti de sudditi avevano al nome della casa diFrancia, dubitasse che le discordie italiane non dessinooccasione a franzesi di assaltare il reame di Napoli; operch, per fare contrapeso alla potenza de viniziani,formidabile allora a tutta Italia, conoscesse essere neces-saria lunione sua con gli altri, e specialmente con gli sta-

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ti di Milano e di Firenze. N a Lodovico Sforza, benchdi spirito inquieto e ambizioso, poteva piacere altra deli-berazione, soprastando non manco a quegli che domina-vano a Milano che agli altri il pericolo dal senato vinizia-no, e perch gli era pi facile conservare nellatranquillit della pace che nelle molestie della guerralautorit usurpata. E se bene gli fussino sospetti semprei pensieri di Ferdinando e di Alfonso dAragona, nondi-meno, essendogli nota la disposizione di Lorenzo deMedici alla pace e insieme il timore che egli medesima-mente aveva della grandezza loro, e persuadendosi che,per la diversit degli animi e antichi odii tra Ferdinandoe i viniziani, fusse vano il temere che tra loro si facessefondata congiunzione, si riputava assai sicuro che gliAragonesi non sarebbono accompagnati da altri a tenta-re contro a lui quello che soli non erano bastanti a otte-nere.

Essendo adunque in Ferdinando, Lodovico e Loren-zo, parte per i medesimi parte per diversi rispetti, la me-desima intenzione alla pace, si continuava facilmenteuna confederazione contratta in nome di Ferdinando redi Napoli, di Giovan Galeazzo duca di Milano e dellarepublica fiorentina, per difensione de loro stati; la qua-le, cominciata molti anni innanzi e dipoi interrotta pervari accidenti, era stata nellanno mille quattrocento ot-tanta, aderendovi quasi tutti i minori potentati dItalia,rinnovata per venticinque anni: avendo per fine princi-palmente di non lasciare diventare pi potenti i vinizia-ni; i quali, maggiori senza dubbio di ciascuno de confe-derati ma molto minori di tutti insieme, procedevanocon consigli separati da consigli comuni, e aspettandodi crescere della altrui disunione e travagli, stavano at-tenti e preparati a valersi di ogni accidente che potesseaprire loro la via allo imperio di tutta Italia: al quale cheaspirassino si era in diversi tempi conosciuto molto chia-ramente; e specialmente quando, presa occasione dalla

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morte di Filippo Maria Visconte duca di Milano, tento-rono, sotto colore di difendere la libert del popolo mi-lanese, di farsi signori di quello stato; e pi frescamentequando, con guerra manifesta, di occupare il ducato diFerrara si sforzorono. Raffrenava facilmente questa con-federazione la cupidit del senato viniziano, ma noncongiugneva gi i collegati in amicizia sincera e fedele:conciossiacosach, pieni tra se medesimi di emulazionee di gelosia, non cessavano di osservare assiduamente gliandamenti luno dellaltro, sconciandosi scambievol-mente tutti i disegni per i quali a qualunque di essi ac-crescere si potesse o imperio o riputazione: il che nonrendeva manco stabile la pace, anzi destava in tutti mag-giore prontezza a procurare di spegnere sollecitamentetutte quelle faville che origine di nuovo incendio esserepotessino.

LIB. 1, CAP. 2

Morte di Lorenzo de Medici. Morte di papa innocenzoVIII ed elezione di Alessandro VI. La politica amichevole diPiero de Medici verso Ferdinando dAragona ed i primi timo-ri di Lodovico Sforza.

Tale era lo stato delle cose, tali erano i fondamentidella tranquillit dItalia, disposti e contrapesati in mo-do che non solo di alterazione presente non si temevama n si poteva facilmente congetturare da quali consi-gli o per quali casi o con quali armi savesse a muoveretanta quiete. Quando, nel mese di aprile dellanno millequattrocento novantadue, sopravenne la morte di Lo-renzo de Medici; morte acerba a lui per let, perchmor non finiti ancora quarantaquattro anni; acerba allapatria, la quale, per la riputazione e prudenza sua e per

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lo ingegno attissimo a tutte le cose onorate e eccellenti,fioriva maravigliosamente di ricchezze e di tutti queglibeni e ornamenti da quali suole essere nelle cose umanela lunga pace accompagnata. Ma e fu morte incomodis-sima al resto dItalia, cos per laltre operazioni le qualida lui, per la sicurt comune, continuamente si faceva-no, come perch era mezzo a moderare e quasi uno fre-no ne dispareri e ne sospetti i quali, per diverse cagio-ni, tra Ferdinando e Lodovico Sforza, prncipi diambizione e di potenza quasi pari, spesse volte nasceva-no.

La morte di Lorenzo, preparandosi gi ogni d pi lecose alle future calamit, seguit, pochi mesi poi, lamorte del pontefice; la vita del quale, inutile al publicobene per altro, era almeno utile per questo, che avendodeposte presto larmi mosse infelicemente, per gli stimo-li di molti baroni del regno di Napoli, nel principio delsuo pontificato, contro a Ferdinando, e voltato poi total-mente lanimo a oziosi diletti, non aveva pi, n per sn per i suoi, pensieri accesi a cose che la felicit dItaliaturbare potessino. A Innocenzio succedette RoderigoBorgia, di patria valenziano, una delle citt regie di Spa-gna, antico cardinale, e de maggiori della corte di Ro-ma, ma assunto al pontificato per le discordie che eranotra i cardinali Ascanio Sforza e Giuliano di san Piero aVincola, ma molto pi perch, con esempio nuovo inquella et, comper palesemente, parte con danari partecon promesse degli uffici e benefici suoi, che erano am-plissimi, molti voti di cardinali: i quali, disprezzatoridellevangelico ammaestramento, non si vergognoronodi vendere la facolt di trafficare col nome della autoritceleste i sacri tesori, nella pi eccelsa parte del tempio.Indusse a contrattazione tanto abominevole molti di lo-ro il cardinale Ascanio, ma non gi pi con le persuasio-ni e co prieghi che con lo esempio; perch corrottodallappetito infinito delle ricchezze, pattu da lui per s,

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per prezzo di tanta sceleratezza, la vicecancelleria, uffi-cio principale della corte romana, chiese, castella e il pa-lagio suo di Roma, pieno di mobili di grandissima valu-ta. Ma non fugg, per ci, n poi il giudicio divino nallora linfamia e odio giusto degli uomini, ripieni perquesta elezione di spavento e di orrore, per essere statacelebrata con arti s brutte; e non meno perch la naturae le condizioni della persona eletta erano conosciute ingran parte da molti: e, tra gli altri, manifesto che il redi Napoli, bench in publico il dolore conceputo dissi-mulasse, signific alla reina sua moglie con lacrime, dal-le quali era solito astenersi eziandio nella morte de fi-gliuoli, essere creato uno pontefice che sarebbeperniciosissimo a Italia e a tutta la republica cristiana:pronostico veramente non indegno della prudenza diFerdinando. Perch in Alessandro sesto (cos volle esse-re chiamato il nuovo pontefice) fu solerzia e sagacit sin-golare, consiglio eccellente, efficacia a persuadere mara-vigliosa, e a tutte le faccende gravi sollecitudine edestrezza incredibile; ma erano queste virt avanzate digrande intervallo da vizi: costumi oscenissimi, non sin-cerit non vergogna non verit non fede non religione,avarizia insaziabile, ambizione immoderata, crudelt piche barbara e ardentissima cupidit di esaltare in qua-lunque modo i figliuoli i quali erano molti; e tra questiqualcuno, acciocch a eseguire i pravi consigli non man-cassino pravi instrumenti, non meno detestabile in partealcuna del padre.

Tanta variazione feciono per la morte di Innocenzioottavo le cose della chiesa. Ma variazione di importanzanon minore aveano fatta, per la morte di Lorenzo deMedici, le cose di Firenze; ove senza contradizione alcu-na era succeduto, nella grandezza del padre, Piero mag-giore di tre figliuoli, ancora molto giovane, ma n perlet n per laltre sue qualit atto a reggere peso s gra-ve, n capace di procedere con quella moderazione con

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la quale procedendo, e dentro e fuori, il padre, e sapen-dosi prudentemente temporeggiare tra prncipi collega-ti, aveva, vivendo, le publiche e le private condizioniamplificate, e, morendo, lasciata in ciascuno costanteopinione che per opera sua principalmente si fusse lapace dItalia conservata. Perch non prima entrato Pie-ro nella amministrazione della republica che, con consi-glio direttamente contrario a consigli paterni n comu-nicato co cittadini principali, senza i quali le cose gravideliberare non si solevano, mosso dalle persuasioni diVerginio Orsino parente suo (erano la madre e la mogliedi Piero nate della famiglia Orsina), si ristrinse talmentecon Ferdinando e con Alfonso, da quali Verginio de-pendeva, che ebbe Lodovico Sforza causa giusta di te-mere che qualunque volta gli Aragonesi volessino nuo-cergli arebbono per lautorit di Piero de Medicicongiunte seco le forze della republica fiorentina. Que-sta intelligenza, seme e origine di tutti i mali, se bene daprincipio fusse trattata e stabilita molto segretamente,cominci quasi incontinente, bench per oscure conget-ture, a essere sospetta a Lodovico, principe vigilantissi-mo e di ingegno molto acuto. Perch dovendosi, secon-do la consuetudine inveterata di tutta la cristianit,mandare imbasciadori a adorare, come vicario di Cristoin terra, e a offerire di ubbidire il nuovo pontefice, avevaLodovico Sforza, del quale fu proprio ingegnarsi di pa-rere, con invenzioni non pensate da altri, superiore diprudenza a ciascuno, consigliato che tutti gli imbascia-dori de collegati entrassino in uno d medesimo insiemein Roma, presentassinsi tutti insieme nel concistorio pu-blico innanzi al pontefice, e che uno di essi orasse in no-me comune, perch da questo, con grandissimo accre-scimento della riputazione di tutti, a tutta Italia sidimostrerebbe essere tra loro non solo benivolenza econfederazione, ma pi tosto tanta congiunzione che eparessino quasi un principe e un corpo medesimo. Ma-

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nifestarsi, non solamente col discorso delle ragioni manon meno con fresco esempio, lutilit di questo consi-glio; perch, secondo che si era creduto, il pontefice ul-timamente morto, preso argomento della disunione decollegati dallavergli con separati consigli e in tempi di-versi prestato lubbidienza, era stato pi pronto ad assal-tare il regno di Napoli. Approv facilmente Ferdinandoil parere di Lodovico; approvoronlo per lautoritdelluno e dellaltro i fiorentini, non contradicendo neconsigli publici Piero de Medici, bench privatamentegli fusse molestissimo, perch, essendo uno degli oratorieletti in nome della republica e avendo deliberato di fareillustre la sua legazione con apparato molto superbo equasi regio, si accorgeva che, entrando in Roma e pre-sentandosi al pontefice insieme con gli altri imbasciado-ri de collegati, non poteva in tanta moltitudine apparireagli occhi degli uomini lo splendore della pompa sua: laquale vanit giovenile fu confermata dagli ambiziosiconforti di Gentile vescovo aretino, uno medesimamen-te degli eletti imbasciadori; perch aspettandosi a lui,per la degnit episcopale e per la professione la qualenegli studi che si chiamano dumanit fatta avea, lorarein nome de fiorentini, si doleva incredibilmente di per-dere, per questo modo insolito e inaspettato, loccasionedi ostentare la sua eloquenza in cospetto s onorato e ssolenne. E per Piero, stimolato parte dalla leggierezzapropria parte dallambizione di altri, ma non volendoche a notizia di Lodovico Sforza pervenisse che da s sicontradicesse al consiglio proposto da lui, richiese il reche, dimostrando davere dappoi considerato che senzamolta confusione non si potrebbeno eseguire questi atticomunemente, confortasse che ciascuno, seguitando gliesempli passati, procedesse da se medesimo: nella qualedomanda il re, desideroso di compiacergli, ma non tantoche totalmente ne dispiacesse a Lodovico, gli sodisfecepi delleffetto che del modo; conciossiacosach e non

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cel che non per altra cagione si partiva da quel che pri-ma avea consentito che per linstanza fatta da Piero deMedici. Dimostr di questa subita variazione maggioremolestia Lodovico che per se stessa non meritava lim-portanza della cosa, lamentandosi gravemente che, es-sendo gi nota al pontefice e a tutta la corte di Roma laprima deliberazione e chi ne fusse stato autore, ora stu-diosamente si ritrattasse, per diminuire la sua reputazio-ne. Ma gli dispiacque molto pi che, per questo minimoe quasi non considerabile accidente, cominci a com-prendere che Piero de Medici avesse occultamente in-telligenza con Ferdinando: il che, per le cose che segui-torono, venne a luce ogni d pi chiaramente.

LIB. 1, CAP. 3

La vendita dei castelli di Franceschetto Cibo nel Lazio aVerginio Orsino. Lindignazione del pontefice e gli incitamentidi Lodovico Sforza. Questi cerca distogliere dallamicizia perFerdinando dAragona Piero de Medici. Confederazione diLodovico co veneziani e col pontefice. Suoi pensieri di mag-giormente assicurarsi con armi straniere.

Possedeva lAnguillara, Cervetri e alcunaltre piccolecastella vicine a Roma Franceschetto Cibo genovese, fi-gliuolo naturale di Innocenzio pontefice, il quale anda-to, dopo la morte del padre, sotto lombra di Piero deMedici fratello di Maddalena sua moglie, a abitare in Fi-renze, non prima arriv in quella citt che, interponen-dosene Piero, vend quelle castella per quarantamila du-cati a Verginio Orsino: cosa consultata principalmentecon Ferdinando, il quale gli prest occultamente la mag-giore parte de danari, persuadendosi che a beneficioproprio risultasse quanto pi la grandezza di Verginio,

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soldato, aderente e parente suo, intorno a Roma si di-stendesse. Perch il re, considerando la potenza depontefici essere instrumento molto opportuno a turbareil regno di Napoli, antico feudo della chiesa romana, e ilquale confina per lunghissimo spazio col dominio eccle-siastico, e ricordandosi delle controversie le quali il pa-dre e egli aveano molte volte avute con loro, e esseresempre parata la materia di nuove contenzioni, per legiurisdizioni de confini, per conto de censi, per le col-lazioni de beneficii, per il ricorso de baroni, e per mol-te altre differenze che spesso nascono tra gli stati vicinin meno spesso tra il feudatario e il signore del feudo,ebbe sempre per uno de saldi fondamenti della sicurtsua che da s dependessino o tutti o parte de baroni pipotenti del territorio romano: cosa che in questo tempopi prontamente facea, perch si credea che appresso alpontefice avesse a essere grande lautorit di LodovicoSforza, per mezzo del cardinale Ascanio suo fratello. Nlo moveva forse meno, come molti credettono, il timoreche in Alessandro non fusse ereditaria la cupidit elodio di Calisto terzo pontefice, suo zio; il quale, perdesiderio immoderato della grandezza di Pietro Borgiasuo nipote, arebbe, subito che fu morto Alfonso padredi Ferdinando, se la morte non si fusse interposta aconsigli suoi, mosse larmi per spogliarlo del regno diNapoli, ricaduto, secondo affermava, alla chiesa; non siricordando (tanto poco pu spesso negli uomini la me-moria de benefici ricevuti) che per opera di Alfonso,ne cui regni era nato e cui ministro lungo tempo era sta-to, aveva ottenuto laltre degnit ecclesiastiche e aiutonon piccolo a conseguire il pontificato. Ma certamentecosa verissima che non sempre gli uomini savi discerno-no o giudicano perfettamente: bisogna che spesso si di-mostrino segni della debolezza dello intelletto umano. Ilre, bench riputato principe di prudenza grande, nonconsider quanto meritasse di essere ripresa quella deli-

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berazione, la quale, non avendo in qualunque caso altrasperanza che di leggierissima utilit, poteva partorire daaltra parte danni gravissimi. Imperocch la vendita diqueste, piccole castella incit a cose nuove gli animi dicoloro a quali o apparteneva o sarebbe stato utile atten-dere alla conservazione della concordia comune. Perchil pontefice, pretendendo che, per la alienazione fattasenza saputa sua, fussino, secondo la disposizione delleleggi, alla sedia apostolica devolute, e parendogli offesanon mediocremente lautorit pontificale, considerandooltre a questo quali fussino i fini di Ferdinando, empitutta Italia di querele contro a lui, contro a Piero deMedici e contro a Verginio; affermando che, per quantosi distendesse il potere suo, opera alcuna opportuna a ri-tenere la degnit e le ragioni di quella sedia non preter-metterebbe. Ma non manco se ne commosse LodovicoSforza, al quale erano sempre sospette lazioni di Ferdi-nando; perch, essendosi vanamente persuaso, il ponte-fice co consigli di Ascanio e suoi aversi a reggere, gli pa-reva perdita propria ci che si diminuisse dellagrandezza dAlessandro. Ma soprattutto gli accrescevala molestia il non si potere pi dubitare che gli Aragone-si e Piero de Medici, poi che in opere tali procedevanounitamente, non avessino contratta insieme strettissimacongiunzione; i disegni de quali, come pericolosi allecose sue, per interrompere, e per tirare a s tanto picon questa occasione lanimo del pontefice, lo incitquanto pi gli fu possibile alla conservazione della pro-pria degnit, ricordandogli che si proponesse innanziagli occhi non tanto quello che di presente si trattavaquanto quello che importava lessere stata, ne primi ddel suo pontificato, disprezzata cos apertamente dasuoi medesimi vassalli la maest d tanto grado. Noncredesse che la cupidit di Verginio o limportanza dellecastella, non che altra cagione avesse mosso Ferdinando,ma il volere, con ingiurie che da principio paressino pic-

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cole, tentare la sua pazienza e il suo animo: dopo le qua-li, se queste gli fussino comportate, ardirebbe di tentarealla giornata cose maggiori. Non essere lambizione suadiversa da quella degli altri re napoletani, inimici perpe-tui della chiesa romana; per ci avere moltissime voltequegli re perseguitati con larmi i pontefici, occupatopi volte Roma. Non avere questo medesimo re manda-to due volte contro a due pontefici gli eserciti, con lapersona del figliuolo, insino alle mura romane? non ave-re quasi sempre esercitato inimicizie aperte co suoi an-tecessori? Irritarlo di presente contro a lui non sololesempio degli altri re, non solo la cupidit sua naturaledel dominare, ma di pi il desiderio della vendetta per lamemoria delle offese ricevute da Calisto suo zio. Avver-tisse diligentemente a queste cose, e considerasse che,tollerando con pazienza le prime ingiurie, onorato sola-mente con cerimonie e nomi vani, sarebbe effettualmen-te dispregiato da ciascuno e darebbe animo a pi peri-colosi disegni; ma risentendosene, conserverebbeagevolmente la pristina maest e grandezza, e la vera ve-nerazione dovuta da tutto il mondo a pontefici romani.Aggiunse alle persuasioni offerte efficacissime ma piefficaci fatti, perch gli prest prontissimamente qua-rantamila ducati, e condusse seco, a spese comuni maperch stessino fermi dove paresse al pontefice, trecentouomini darme: e nondimeno, desideroso di fuggire lanecessit di entrare in nuovi travagli, confort Ferdinan-do che disponesse Verginio a mitigare con qualche one-sto modo lanimo del pontefice, accennandogli che altri-menti gravissimi scandoli da questo lieve principionascere potrebbono. Ma pi liberamente e con maggio-re efficacia ammun molte volte Piero de Medici che,considerando quanto fusse stato opportuno a conserva-re la pace dItalia che Lorenzo suo padre fusse procedu-to come uomo di mezzo e amico comune tra Ferdinan-do e lui, volesse pi tosto seguitare lesempio domestico,

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avendo massime a pigliare limitazione da persona statadi tanto valore, che, credendo a consigli nuovi, dare a al-tri cagione, anzi pi tosto necessit, di fare deliberazionile quali alla fine avessino a essere perniciose a ciascuno;e che si ricordasse quanto la lunga amicizia tra la casaSforzesca e quella de Medici avesse dato alluna e allal-tra sicurt e riputazione, e quante offese e ingiurie aves-se fatte la casa di Aragona al padre e a maggiori suoi ealla republica fiorentina, e quante volte Ferdinando, eprima Alfonso suo padre, avessino tentato di occupare,ora con armi ora con insidie, il dominio di Toscana.

Ma nocevano pi che giovavano questi conforti e am-munizioni, perch Ferdinando, stimando essergli inde-gno il cedere a Lodovico e a Ascanio, dagli stimoli dequali si persuadeva che la indegnazione del ponteficeprocedesse, e spronato da Alfonso suo figliuolo,confort secretamente Verginio che non ritardasse a ri-cevere, per virt del contratto, la possessione delle ca-stella, promettendo difenderlo da qualunque molestiagli fusse fatta; e da altra parte, governandosi con le natu-rali sue arti, proponeva col pontefice diversi modi dicomposizione, confortando nondimeno Verginio occul-tamente a non consentire se non a quegli per i quali, so-disfacendo al pontefice con qualche somma di danari,avesse a ritenersi le castella. Onde Verginio, preso ani-mo, ricus poi pi volte di quegli partiti i quali Ferdi-nando, per non irritare tanto il pontefice, faceva instan-za che egli accettasse. Nelle quali pratiche vedendosiche Piero de Medici perseverava di seguitare lautoritdel re, e essere vana ogni diligenza che per rimuovernelosi facesse, Lodovico Sforza, considerando seco medesi-mo quanto importasse che dagli inimici suoi dipendessequella citt, il temperamento della quale soleva essere ilfondamento principale della sua sicurt, e perci paren-dogli che gli soprastessino molti pericoli, deliber allasalute propria con nuovi rimedii provedere; conciossia-

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ch gli fusse notissimo il desiderio ardente che avevanogli Aragonesi che e fusse rimosso dal governo del nipo-te: il quale desiderio bench Ferdinando, pieno in tuttele azioni di incredibile simulazione e dissimulazione, sifusse sforzato di coprire, nondimeno Alfonso, uomo dinatura molto aperta, non si era mai astenuto di lamen-tarsi palesemente della oppressione del genero, dicendo,con maggiore libert che prudenza, parole ingiuriose epiene di minaccie. Sapeva oltre a questo Lodovico cheIsabella moglie di Giovan Galeazzo, giovane di virilespirito, non cessava di stimolare continuamente il padree lavolo che, se non gli moveva la infamia di tanta inde-gnit del marito e di lei, gli movesse almanco il pericolodella vita al quale erano esposti, insieme co propri fi-gliuoli. Ma quel che pi angustiava lanimo suo era ilconsiderare essere sommamente esoso il suo nome a tut-ti i popoli del ducato di Milano, s per molte insolite esa-zioni di danari che avea fatte come per la compassioneche ciascheduno aveva di Giovan Galeazzo legittimo si-gnore; e bench egli si sforzasse di fare sospetti gli Ara-gonesi di cupidit di insignorirsi di quello stato, come seessi pretendessino appartenersi a loro per lantiche ra-gioni del testamento di Filippo Maria Visconte, il qualeaveva instituito erede Alfonso padre di Ferdinando, eche per facilitare questo disegno cercassino di privare ilnipote del suo governo, nondimeno non conseguitavacon queste arti la moderazione dellodio conceputo, nche universalmente non si considerasse a quali scelera-tezze soglia condurre gli uomini la sete pestifera del do-minare. Per, poi che lungamente sebbe rivolto nellamente lo stato delle cose e i pericoli imminenti, pospostitutti gli altri pensieri, indirizz del tutto lanimo a cerca-re nuovi appoggi e congiunzioni; e a questo dimostran-dogli grande opportunit lo sdegno del pontefice controa Ferdinando e il desiderio che si credeva che avesse ilsenato viniziano che si scompigliasse quella confedera-

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zione per la quale era stata fatta molti anni opposizionea disegni suoi, propose alluno e allaltro di loro di fareinsieme, per beneficio comune, nuova confederazione.Ma nel pontefice prevaleva allo sdegno e a qualunquealtro affetto la cupidit sfrenata della esaltazione de fi-gliuoli, i quali amando ardentemente, primo di tutti ipontefici che per velare in qualche parte la infamia lorosolevano chiamargli nipoti, gli chiamava e mostrava atutto il mondo come figliuoli; n se gli presentando perancora opportunit di dare per altra via principio allointento suo, faceva instanza di ottenere per moglie diuno di loro una delle figliuole naturali di Alfonso, condote di qualche stato ricco nel regno napoletano: dallaquale speranza insino non rest escluso prest pi gliorecchi che lanimo alla confederazione proposta da Lo-dovico; e se in questo desiderio gli fusse stato corrispo-sto non si sarebbe, per avventura, la pace dItalia cospresto perturbata. Ma bench Ferdinando non ne fussealieno, nondimeno Alfonso, il quale aborriva lambizio-ne e il fasto de pontefici recus sempre di consentirvi; eperci, non dimostrando che dispiacesse loro il matri-monio ma mettendo difficolt nella qualit dello statodotale, non sodisfacevano ad Alessandro: per il che eglialterato si risolv di seguitare i consigli di Lodovico, in-citandolo la cupidit e lo sdegno e in qualche parte il ti-more; perch agli stipendi di Ferdinando era non soloVerginio Orsino, il quale, per gli eccessivi favori cheaveva da fiorentini e da lui e per il seguito della fazioneguelfa, era allora molto potente in tutto il dominio eccle-siastico, ma ancora Prospero e Fabrizio principali dellafamiglia de Colonnesi; e il cardinale di san Piero in Vin-cola, cardinale di somma estimazione, ritiratosi nellarocca dOstia, tenuta da lui come da vescovo ostiense,per sospetto che il pontefice non insidiasse alla sua vita,era di inimicissimo di Ferdinando, contro al quale avevagi concitato prima Sisto pontefice suo zio e poi Inno-

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cenzio, amicissimo diventato. Ma non fu gi pronto co-me si credeva il senato viniziano a questa confederazio-ne; perch, se bene gli fusse molto grata la disunione de-gli altri, lo ritardavano la infedelt del pontefice,sospetta gi ogni d pi a ciascuno, e la memoria delle le-ghe fatte da loro con Sisto e con Innocenzio suoi prossi-mi antecessori, perch dalluna ricevettono molestie as-sai senza comodo alcuno, e Sisto, quando pi ardeva laguerra contro al duca di Ferrara, alla quale prima gliaveva concitati, mutata sentenza, proced con larmi spi-rituali, e pigli larmi temporali insieme col resto dItaliacontro a loro. Ma superando tutte le difficolt appressoal senato, e privatamente con molti de senatori, la indu-stria e la diligenza di Lodovico, si contrasse finalmente,del mese di aprile lanno mille quattrocento novantatr,tra il pontefice, il senato veneto e Giovan Galeazzo ducadi Milano (espedivansi in nome suo tutte le deliberazio-ni di quello stato) nuova confederazione a difensionecomune e a conservazione nominatamente del governodi Lodovico; con patto che i viniziani e il duca di Milanofussino tenuti a mandare subito a Roma, per sicurt del-lo stato ecclesiastico e del pontefice, dugento uominidarme per ciascuno, e a aiutarlo con questi, e se biso-gno fusse con maggiori forze, allacquisto delle castellaoccupate da Verginio.

Sollevorno questi nuovi consigli non mediocrementegli animi di tutta Italia, poich il duca di Milano rimane-va separato da quella lega, la quale pi di dodici anniaveva mantenuta la sicurt comune, imperocch in essaespressamente si proibiva che alcuno de confederati fa-cesse nuova collegazione senza consentimento degli al-tri: e perci, vedendosi rotta con ineguale divisionequella unione in cui consisteva la bilancia delle cose, eripieni di sospetto e di sdegno gli animi de prncipi, chesi poteva altro che credere che in detrimento comuneavessino a nascere frutti conformi a questi semi? Per il

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duca di Calavria e Piero de Medici, giudicando esserepi sicuro alle cose loro il prevenire che lessere preve-nuti, udirono con grande inclinazione Prospero e Fabri-zio Colonna, i quali, confortati occultamente al medesi-mo dal cardinale di San Piero a Vincola, offerivano dioccupare allimproviso Roma con le genti darme dellecompagnie loro e con gli uomini della fazione ghibelli-na, in caso che gli seguitassino le forze degli Orsini e cheil duca si accostasse prima in luogo che, fra tre d poiche e fussino entrati, potesse soccorrergli. Ma Ferdi-nando, desideroso non di irritare pi, ma di mitigarelanimo del pontefice e di ricorreggere quel che insino aquel d imprudentemente si era fatto, rifiutati totalmen-te questi consigli, i quali giudicava partorirebbono nonsicurt ma travagli e pericoli molto maggiori, deliber difare ogni opera, non pi simulatamente ma con tutto ilcuore, per comporre la differenza delle castella; persua-dendosi che, levata quella cagione di tanta alterazione,avesse con piccola fatica, anzi quasi per se stessa, Italianello stato di prima a ritornarsi. Ma non sempre per il ri-muovere delle cagioni si rimuovono gli effetti i quali daquelle hanno avuto la prima origine. Perch, come spes-so accade che le deliberazioni fatte per timore paiono, achi teme, inferiori al pericolo, non si confidava Lodovi-co davere trovato rimedio bastante alla sicurt sua; madubitando, per i fini del pontefice e del senato vinizianodiversi da suoi, non potere fare lungo tempo fondamen-to nella confederazione fatta con loro, e che per ci lecose sue potessino per vari casi ridursi in molte diffi-colt, applic i pensieri suoi pi a medicare dalle radiciil primo male che innanzi agli occhi se gli presentava,che a quegli che di poi ne potessino risultare; n si ricor-dando quanto sia pernicioso lusare medicina pi poten-te che non comporti la natura della infermit e la com-plessione dello infermo, e come se lentrare in maggioripericoli fusse rimedio unico a presenti pericoli, deli-

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ber, per assicurarsi con le armi forestiere, poi che e nel-le forze proprie e nelle amicizie italiane non confidava,di tentare ogni cosa per muovere Carlo ottavo re diFrancia ad assaltare il regno di Napoli, il quale per lan-tiche ragioni degli Angioini appartenersegli pretendeva.

LIB. 1, CAP. 4

Il reame di Napoli fino a Ferdinando ed i diritti di succes-sione della casa dAngi. Ambizione di Carlo VIII sul reame esollecitazioni di Lodovico Sforza. Disposizione contrariaallimpresa de grandi del regno di Francia. Patti conclusi fraCarlo VIII e Lodovico Sforza. Considerazioni dellautore.

Il reame di Napoli, detto assurdamente nelle investi-ture e bolle della chiesa romana, della quale feudo an-tichissimo, il regno di Sicilia di qua dal Faro, fu, comeoccupato ingiustamente da Manfredi, figliuolo naturaledi Federigo secondo imperadore, conceduto in feudoinsieme con lisola della Sicilia, sotto titolo delle Due Si-cilie, luna di qua laltra di l dal Faro, insino nellannomille dugento sessantaquattro, da Urbano quarto ponte-fice romano a Carlo conte di Provenza e di Angi, fra-tello di quello Lodovico re di Francia che, chiaro per lapotenza ma pi chiaro per la santit della vita, merit diessere ascritto dopo la morte nel numero de santi. Ilquale avendo con la possanza dellarmi ottenuto effet-tualmente quello di che gli era stato conferito il titolocon lautorit della giustizia, si continu dopo la mortesua il regno di Napoli in Carlo suo figliuolo, chiamatodagli italiani, per distinguerlo dal padre, Carlo secondo;e dopo lui in Ruberto suo nipote. Ma essendo dipoi, perla morte di Ruberto senza figliuoli maschi, succedutaGiovanna figliuola di Carlo duca di Calavria, il quale

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giovane era morto innanzi al padre, cominci presto aessere dispregiata, non meno per linfamia de costumiche per la imbecillit del sesso, lautorit della nuovareina. Da che essendo nate in progresso di tempo variediscordie e guerre, non per tra altri che tra i discenden-ti medesimi di Carlo primo, nati di diversi figliuoli diCarlo secondo, Giovanna, disperando di potersi altri-menti difendere, adott per figliuolo Lodovico duca diAngi, fratello di Carlo quinto re di Francia, quello acui, per avere, con fare piccola esperienza della fortuna,ottenuto molte vittorie, dettono i franzesi il sopranomedi saggio. Il quale Lodovico, passato in Italia con poten-tissimo esercito, essendo prima stata violentementemorta Giovanna e trasferito il regno in Carlo chiamatodi Durazzo, discendente similmente di Carlo primo,mor di febbre in Puglia, quando era gi quasi in posses-sione della vittoria: in modo che agli Angioini non per-venne di questa adozione altro che la contea di Proven-za, stata posseduta continuamente da discendenti diCarlo primo. Ebbe nondimeno da questo lorigine il di-ritto, col quale poi e Lodovico dAngi figliuolo del pri-mo Lodovico e in altro tempo il nipote del medesimonome, stimolati da pontefici quando erano discordi conquegli re, assaltorono spesso, bench con poca fortuna,il regno di Napoli. Ma a Carlo di Durazzo era succedutoLadislao suo figliuolo; il quale essendo mancato, lannomille quattrocento quattordici, senza figliuoli, pervennela corona a Giovanna seconda, sua sorella, nome infelicea quel reame e non meno alluna e allaltra di loro, nondifferenti n di imprudenza n di lascivia di costumi.Perch, mettendo Giovanna il governo del regno nellemani di quelle persone nelle mani delle quali mettevaimpudicamente il corpo suo, si ridusse presto in tantedifficolt che, vessata dal terzo Lodovico con laiuto diMartino quinto pontefice, fu finalmente costretta, perultimo sussidio, a adottare per figliuolo Alfonso re di

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Aragona e di Sicilia: ma venuta non molto poi con lui incontenzione, annullata sotto titolo di ingratitudineladozione, adott per figliuolo e chiam in soccorso suoil medesimo Lodovico per la guerra del quale era statanecessitata di fare la prima adozione; e cacciato con lar-mi Alfonso di tutto il regno, lo conserv mentre vissepacificamente, e morendo senza figliuoli institu erede(come fu fama) Renato duca dAngi e conte di Proven-za, fratello di Lodovico figliuolo suo adottivo, morto peravventura lanno medesimo. Ma dispiacendo a molti debaroni del regno la successione di Renato, essendosi di-vulgato che l testamento era stato falsamente fabricatodai napoletani, fu da una parte de baroni e de popolichiamato Alfonso. Da questo ebbono origine le guerretra Alfonso e Renato, le quali molti anni afflissono s no-bile regno, fatte da loro pi con le forze del reame me-desimo che con le proprie; da questo, per le volontcontrarie, sorsono le fazioni, non ancora al d doggi altutto spente, degli aragonesi e angioini; variando ezian-dio nel corso del tempo i titoli e i colori della ragione,perch i pontefici, seguitando pi le sue cupidit o le ne-cessit de tempi che la giustizia, le investiture diversa-mente concederono. Ma essendo delle guerre tra Alfon-so e Renato rimasto vincitore Alfonso, principe dimaggiore potenza e valore, e morendo poi senza figliuo-li legittimi, non fatta memoria di Giovanni suo fratello esuccessore ne regni di Sicilia e di Aragona, lasci per te-stamento il regno di Napoli, come acquistato da s eper non appartenente alla corona di Aragona, a Ferdi-nando figliuolo suo naturale. Il quale, se bene quasi in-continente dopo la morte del padre fu assaltato, con lespalle de principali baroni del regno, da Giovanni fi-gliuolo di Renato, nondimeno con la felicit e virt suanon solamente si difese, ma afflisse in modo gli avversariche mai pi in vita di Renato, il quale sopravisse pi an-ni al figliuolo, ebbe n da contendere con gli Angioini

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n da temerne. Mor finalmente Renato, e non avendofigliuoli maschi fece erede in tutti gli stati e ragioni sueCarlo figliuolo del fratello, il quale morendo poco di poisenza figliuoli lasci per testamento la sua eredit a Lui-gi undecimo re di Francia; a cui non solo ricadde come asupremo signore il ducato di Angi, nel quale, perch membro della corona, non succedono le femmine, macon tutto che l duca dellOreno, nato di una figliuola diRenato, asserisse appartenersi a s la successione deglialtri stati, entr in possessione della Provenza; e poteva,per vigore del testamento medesimo, pretendere essergliapplicate le ragioni che gli Angioini avevano al reame diNapoli: le quali essendo, per la sua morte, continuate inCarlo ottavo suo figliuolo, incominci Ferdinando re diNapoli ad avere potentissimo avversario, e si presentgrandissima opportunit a chiunque di offenderlo desi-derava. Perch il regno di Francia era in quel tempo piflorido duomini, di gloria darme, di potenza, di ric-chezze e di autorit in tra gli altri regni, che forse dopoCarlo magno fusse mai stato; essendosi ampliato novel-lamente in ciascuna di quelle tre parti nelle quali, ap-presso agli antichi, si divideva tutta la Gallia. Concios-siach, non pi che quaranta anni innanzi a questotempo, sotto Carlo settimo, re per molte vittorie ottenu-te con gravissimi pericoli chiamato benavventurato, sifussino ridotte sotto quello imperio la Normandia e ilducato di Ghienna, provincie possedute prima dagli in-ghilesi; e negli ultimi anni di Luigi undecimo la conteadi Provenza, il ducato di Borgogna e quasi tutta la Pic-cardia; e dipoi aggiunto, per nuovo matrimonio, alla po-tenza di Carlo ottavo il ducato di Brettagna. N manca-va nellanimo di Carlo inclinazione a cercaredacquistare con larmi il regno di Napoli, come giusta-mente appartenente a s, cominciata per un certo istintoquasi naturale insino da puerizia e nutrita da conforti dialcuni che gli erano molto accetti; i quali empiendolo di

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pensieri vani gli proponevano questa essere occasione diavanzare la gloria de suoi predecessori, perch, acqui-stato il reame di Napoli, gli sarebbe agevole il vincere loimperio de turchi. Le quali cose, essendo gi note amolti, dettono speranza a Lodovico Sforza di potere fa-cilmente persuadergli il suo desiderio; confidandosi ol-tre a questo non poco nella introduzione che aveva nellacorte di Francia il nome sforzesco, perch ed egli sem-pre e prima Galeazzo suo fratello aveano, con molte di-mostrazioni e offici, continuata lamicizia cominciata daFrancesco Sforza loro padre: il quale, avendo, trenta an-ni innanzi, ricevuto in feudo da Luigi undecimo, lanimodel quale re aborr sempre le cose dItalia, la citt di Sa-vona e le ragioni che e pretendeva avere in Genova, do-minata gi dal suo padre, non era giammai da altra partemancato a lui ne suoi pericoli n di consiglio n di aiu-to. E nondimeno Lodovico, parendogli pericoloso les-sere solo a suscitare movimento s grande, e per trattarela cosa in Francia con maggiore credito e autorit, cerc,prima, di persuadere il medesimo al pontefice non menocon gli stimoli dellambizione che dello sdegno; dimo-strandogli che, o per favore de prncipi italiani o permezzo dellarmi loro, non poteva n di vendicarsi controa Ferdinando n di acquistare stati onorati per i figliuoliavere speranza alcuna. E avendolo trovato pronto, o percupidit di cose nuove o per ottenere dagli Aragonesi,per mezzo del timore, quei che di concedergli sponta-neamente recusavano, mandorono secretissimamente inFrancia uomini confidati a tentare lanimo del re e di co-loro che erano intimi ne consigli suoi: i quali non se nemostrando alieni, Lodovico, dirizzatosi in tutto a questodisegno, vi mand, bench spargendo nome daltre ca-gioni, scopertamente imbasciadore Carlo da Barbianoconte di Belgioioso. In quale, poi che per qualche d, econ Carlo in privata udienza e separatamente con tutti iprincipali, ebbe fatto diligenza di persuadergli, intro-

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dotto finalmente un giorno nel consiglio reale, presenteil re, dove oltre a ministri regi intervennono tutti i si-gnori e molti prelati e nobili della corte, parl, secondosi dice, in questa sentenza:

Se alcuno, per qual si voglia cagione, avesse, cristia-nissimo re, sospetta la sincerit dellanimo e della fedecon la quale Lodovico Sforza, offerendovi eziandio co-modit di danari e aiuto delle sue genti, vi conforta amuovere larmi per acquistare il reame di Napoli, rimo-ver facilmente da s questa male fondata suspicione sesi ridurr in memoria lantica divozione avuta in ognitempo da lui, da Galeazzo suo fratello e prima da Fran-cesco suo padre, a Luigi undecimo padre vostro, e poicontinuamente al vostro gloriosissimo nome; e moltopi se e considerer di questa impresa potere risultare aLodovico gravissimi danni senza speranza di alcuna uti-lit, e a voi tutto il contrario; al quale uno regno bellissi-mo della vittoria perverrebbe, con grandissima gloria eopportunit di cose maggiori, ma a lui non altro che unagiustissima vendetta contro alle insidie e ingiurie degliAragonesi: e da altra parte, se tentata non riuscisse, nonper questo diventerebbe minore la vostra grandezza. Machi non sa che Lodovico, fattosi esoso a molti e divenutoin dispregio di ciascuno, non arebbe in caso tale rimedioalcuno a suoi pericoli? E per, come pu essere sospet-to il consiglio di colui che ha, in qualunque evento, lecondizioni tanto ineguali e con tanto disavvantaggio dal-le vostre? Bench le ragioni che vi invitano a fare cosonorata espedizione sono tanto chiare e potenti per sestesse che non ammettono alcuna dubitazione, concor-rendo amplissimamente tutti i fondamenti i quali nel de-liberare limprese principalmente considerare si debbo-no: la giustizia della causa, la facilit del vincere, il fruttograndissimo della vittoria. Perch a tutto il mondo no-tissimo quanto siano efficaci sopra il reame di Napoli leragioni della casa dAngi, della quale voi siete legittimo

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erede, e quanto sia giusta la successione che questa co-rona pretende a discendenti di Carlo; il quale, primodel sangue reale di Francia, ottenne, con lautorit depontefici romani e con la virt dellarmi proprie, quelreame. Ma non gi minore la facilit a conquistarlo chela giustizia. Perch chi quello che non sappia quantosia inferiore di forze e di autorit il re di Napoli al primoe pi potente re di tutti i cristiani? quanto sia grande eterribile per tutto il mondo il nome de franzesi? e diquanto spavento siano larmi vostre a tutte le nazioni?Non assaltorono giammai il reame di Napoli i piccoliduchi dAngi che non lo riducessino in gravissimo pe-ricolo. fresca la memoria che Giovanni figliuolo di Re-nato aveva in mano la vittoria contro al presente Ferdi-nando, se non glienavesse tolta Pio pontefice, e moltopi Francesco Sforza, che si mosse, come ognuno sa, perubbidire a Luigi undecimo vostro padre. Che farannoadunque ora larmi e lautorit di tanto re, essendo mas-sime cresciute le opportunit e diminuite le difficoltche ebbono Renato e Giovanni, poi che sono uniti convoi i prncipi di quegli stati che impedirono la loro vitto-ria, e che possono con somma facilit offendere il regnodi Napoli? il papa per terra, per la vicinit dello stato ec-clesiastico; il duca di Milano, per lopportunit di Geno-va, a assaltarlo per mare. N sar in Italia chi vi si op-ponga; perch i viniziani non vorranno esporsi a spese ea pericoli, n privarsi della amicizia che lungo tempo core di Francia hanno tenuta, per conservare Ferdinandoinimicissimo del nome loro; e i fiorentini non credibileche si partino dalla divozione naturale che hanno allacasa di Francia, e se pure volessino opporsi, di che mo-mento saranno contro a tanta possanza? Quante volteha, contro alla volont di tutta Italia, passate lAlpi que-sta bellicosissima nazione, e nondimeno, con inestimabi-le gloria e felicit, riportatone tante vittorie e trionfi! Equando fu mai il reame di Francia pi felice, pi glorio-

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so, pi potente che ora? e quando mai gli fu s facilelavere pace stabile con tutti i vicini? le quali cose se perladdietro concorse fussino, sarebbe stato pronto, peravventura, il padre vostro a questa medesima espedizio-ne. N sono manco accresciute agli inimici le difficoltche a voi lopportunit, perch ancora potente in quelreame la parte angioina, sono gagliarde le dipendenze ditanti prncipi e gentiluomini scacciati iniquamente po-chissimi anni sono, e perch sono state s aspre le ingiu-rie fatte in ogni tempo da Ferdinando a baroni e a po-poli, a quegli ancora della fazione aragonese. Tanto grande la sua infedelt, tanto immoderata lavarizia, tan-to orribili e s spessi gli esempli della crudelt sua e diAlfonso suo primogenito, che notissimo che tutto il re-gno, concitato da odio incredibile contro a loro e nelquale verde la memoria della liberalit, della bont,della magnanimit, dellumanit, della giustizia de refranzesi, si lever con allegrezza smisurata alla fama del-la vostra venuta; in modo che la deliberazione sola delfare la impresa baster a farvi vittorioso. Perch come ivostri eserciti aranno passati i monti, come larmata ma-rittima sar congregata nel porto di Genova, Ferdinan-do e i figliuoli, spaventati dalla coscienza delle loro sce-leratezze, penseranno pi a fuggirsi che a difendersi.Cos con somma facilit arete recuperato al sangue vo-stro uno regno, che, se bene non da agguagliare allagrandezza di Francia, pure regno amplissimo e ricchis-simo, ma da apprezzare molto pi per il profitto e per icomodi infiniti che ne perverranno a questo reame: iquali racconterei tutti, se non fusse notorio che maggio-ri fini ha la generosit franzese, che pi degni e pi altipensieri sono quegli di s magnanimo, di s glorioso re,diritti non allo interesse proprio ma alluniversale gran-dezza di tutta la republica cristiana. E a questo che mag-giore opportunit? che pi ampia occasione? quale sitopi comodo, pi atto a fare la guerra contro agli inimici

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della nostra religione? Non pi largo, come ognuno sa,in qualche luogo, che settanta miglia il mare che tra ilregno di Napoli e la Grecia: dalla quale provincia, op-pressata e lacerata da turchi, e che non desidera altroche vedere le bandiere de cristiani, quanto facile len-trare nelle viscere di quella nazione! percuotere Costan-tinopoli, sedia e capo di quello imperio! E a chi appar-tiene pi che a voi, potentissimo re, volgere lanimo e ipensieri a questa santa impresa? per la potenza maravi-gliosa che Iddio vha data, per il cognome cristianissimoche voi avete, per lesempio de vostri gloriosi predeces-sori; i quali usciti tante volte armati di questo regno, oraper liberare la chiesa dIddio oppressa da tiranni oraper assaltare gli infedeli ora per recuperare il sepolcrosantissimo di Cristo, hanno esaltato insino al cielo il no-me e la maest de re di Francia. Con questi consigli,con queste arti, con queste azioni, con questi fini, di-vent magno e imperadore di Roma quello gloriosissimoCarlo; il cui nome come voi ottenete, cos vi si presentaloccasione dacquistare la gloria e il cognome. Ma per-ch consumo io pi tempo in queste ragioni? come senon sia pi conveniente e pi secondo lordine della na-tura il rispetto del conservare che dellacquistare! Per-ch chi non sa di quanta infamia vi sarebbe, invitandovimassime s grandi occasioni, il tollerare pi che Ferdi-nando vi occupi uno regno tale? stato posseduto percontinua successione poco manco di dugento anni da redel vostro sangue, e il quale manifesto giuridicamenteaspettarsi a voi? Chi non sa quanto appartenga alla de-gnit vostra il recuperarlo? quanto pietoso il liberarequegli popoli che adorano il glorioso nome vostro, chedi ragione sono vostri sudditi, dalla tirannide acerbissi-ma de catelani? adunque limpresa giustissima, faci-lissima, necessaria. non meno gloriosa e santa, e perse stessa e perch vi apre la strada alle imprese degne diuno cristianissimo re di Francia: alle quali non solo gli

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uomini, ma Dio quello, o magnanimo re, che tantoapertamente vi chiama, Dio quello che vi mena, con sgrandi e s manifeste occasioni, proponendovi, innanzial principiarla, somma felicit. Imperocch quale mag-giore felicit pu avere principe alcuno che le delibera-zioni dalle quali risulta la gloria e la grandezza propriasiano accompagnate da circostanze e conseguenze taliche apparisca che elle si faccino non meno per beneficioe per salute universale, e molto pi per lesaltazione ditutta la republica cristiana?

Non fu udita con allegro animo questa proposta dasignori grandi di Francia, e specialmente da coloro cheper nobilt e opinione di prudenza erano di maggioreautorit; i quali giudicavano non potere essere altro cheguerra piena di molte difficolt e pericoli, avendosi acondurre gli eserciti in paese forestiero e tanto lontanodal regno di Francia, e contro a inimici molto stimati epotenti. Perch grandissima era per tutto la fama dellaprudenza di Ferdinando, n minore quella del valore diAlfonso nella scienza militare; e si credeva che, avendoregnato Ferdinando trenta anni e spogliati e distrutti invari tempi tanti baroni, avesse accumulato molto tesoro.Consideravano il re essere poco capace a sostenere da ssolo un pondo s grave; e, nel maneggio delle guerre edegli stati, debole il consiglio e lesperienza di coloroche avevano fede appresso a lui pi per favore che perragione. Aggiugnersi la carestia di danari, de quali si sti-mava avesse a bisognarne grandissima quantit; e dover-si ridurre nella memoria ciascuno lastuzie e gli artificidegli italiani, e rendersi certo che non solo agli altri man a Lodovico Sforza, notato non che altro in Italia dipoca fede, potesse piacere che in potest di uno re diFrancia fusse il reame di Napoli. Onde e il vincere sa-rebbe difficile, e pi difficile il conservare le cose vinte.Per Luigi padre di Carlo, principe che aveva sempreseguitato pi la sostanza che lapparenza delle cose, non

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avere mai accettato le speranze propostegli dItalia, ntenuto conto delle ragioni pervenutegli del regno di Na-poli, ma sempre affermato che il mandare eserciti di lda monti non era altro che cercare di comperare mole-stie e pericoli, con infinito tesoro e sangue del reame diFrancia. Essere, volendo procedere a questa espedizio-ne, innanzi a ogni cosa necessario comporre le contro-versie co re vicini: perch con Ferdinando re di Spagnacagioni di discordie e di sospetti non mancavano; e conMassimiliano re de romani e con Filippo arciducadAustria suo figliuolo erano molte non solo emulazionima ingiurie; gli animi de quali non si potrebbono ricon-ciliare senza concedere a essi cose dannosissime alla co-rona di Francia, e non di meno si riconcilierebbono picon le dimostrazioni che con gli effetti: perch quale ac-cordo basterebbe a assicurare che, sopravenendoallesercito regio qualche difficolt in Italia, non assal-tassino il regno di Francia? n doversi sperare che inEnrico settimo re di Inghilterra non avesse forza mag-giore lodio naturale degli inghilesi contro a franzesiche la pace fatta con lui pochi mesi avanti; perch eramanifesto avervelo tirato, pi che altra causa, il non cor-rispondere gli apparati del re de romani alle promessecon le quali lavea indotto a porre il campo intorno aBologna. Queste e altre simili ragioni si allegavano dasignori grandi, parte tra loro medesimi parte col re, adissuadere la nuova guerra: tra i quali la detestava, piefficacemente che alcun altro, Iacopo Gravilla, ammira-glio di Francia, uomo al quale la fama inveterata in tuttoil regno di essere savio conservava lautorit, bench glifusse alquanto stata diminuita la grandezza. E nondime-no si porgeva in contrario con grande avidit lorecchioda Carlo: il quale, giovane danni ventidue, e per naturapoco intelligente delle azioni umane, era traportato daardente cupidit di dominare e da appetito di gloria,fondato pi tosto in leggiera volont e quasi impeto che

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in maturit di consiglio; e prestando, o per propria incli-nazione o per lesempio e ammonizioni paterne, poca fe-de a signori e a nobili del regno, poi che era uscito del-la tutela di Anna duchessa di Borbone sua sorella, nudendo pi i consigli dellammiraglio e degli altri i qualierano stati grandi in quel governo, si reggeva col pareredi alcuni uomini di piccola condizione, allevati quasitutti a servigio della persona sua; de quali quegli di pifavore veementemente ne lo confortavano, parte, comesono venali spesso i consigli de prncipi, corrotti da do-ni e da promesse fatte dallo imbasciadore di Lodovico,che non lasci indietro diligenza o arte alcuna per farsipropizii quegli che erano di momento a questa delibera-zione, parte mossi dalle speranze propostesi, chi dac-quistare stati nel regno di Napoli chi di ottenere dalpontefice degnit e entrate ecclesiastiche. Capo di tuttiquesti era Stefano di Vers, di nazione di Linguadoca, dibasso legnaggio, ma nutrito molti anni nella camera delre, e da lui fatto siniscalco di Belcari. A costui aderivaGuglielmo Brissonetto; il quale, di mercatante diventatoprima generale di Francia e poi vescovo di San Mal,non solo era preposto allamministrazione delle entrateregie, che in Francia dicono sopra le finanze, ma unitocon Stefano, e per sua opera, aveva gi grandissima in-troduzione in tutte le faccende importanti, bench digovernare cose di stato avesse piccolo intendimento.Aggiugnevansi gli stimoli di Antonello da San Severinoprincipe di Salerno, e di Bernardino della medesima fa-miglia principe di Bisignano, e di molti altri baronisbanditi del reame di Napoli; i quali, ricorsi pi anniprima in Francia, avevano continuamente incitato Carloa questa impresa, allegando la pessima disposizione, pipresto disperazione, di tutto il regno, e le dipendenze eil seguito grande che avere in quello si promettevano.Stette in questa variet di pareri sospesa molti giorni ladeliberazione, essendo non solo dubbio agli altri quello

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che savesse a determinare ma incerto e incostante lani-mo di Carlo; perch, ora stimolandolo la cupidit dellagloria e dello imperio ora raffrenandolo il timore, eratalvolta irresoluto, talvolta si volgeva al contrario diquello che pareva che prima avesse determinato. Pureultimatamente, prevalendo la sua pristina inclinazione eil fato infelicissimo dItalia a ogni contradizione, rifiutatidel tutto i consigli quieti, fu fatta, ma senza saputa di al-tri che del vescovo di San Mal e del siniscalco di Belca-ri, convenzione con lo imbasciadore di Lodovico. Dellaquale stettono pi mesi occulte le condizioni, ma lasomma fu che, passando Carlo in Italia o mandandoesercito per lacquisto di Napoli, il duca di Milano fussetenuto a dargli il passo per il suo stato, a mandare con lesue genti cinquecento uomini darme pagati, permetter-gli che a Genova armasse quanti legni volesse, e a pre-stargli, innanzi partisse di Francia, dugentomila ducati;e da altra parte il re si oblig alla difesa del ducato diMilano contro a ciascuno, con particolare menzione diconservare lautorit di Lodovico, e a tenere ferme inAsti, citt del duca di Orliens, durante la guerra, dugen-to lancie, perch fussino preste a bisogni di quello stato:e o allora o non molto dipoi, per una scritta sottoscrittadi propria mano, promesse, ottenuto che avesse il reamedi Napoli, concedere a Lodovico il principato di Taran-to.

Non certo opera perduta o senza premio il conside-rare la variet de tempi e delle cose del mondo. France-sco Sforza padre di Lodovico, principe di rara prudenzae valore, inimico degli Aragonesi per gravissime offesericevute da Alfonso padre di Ferdinando, e amico anti-co degli Angioini, nondimeno, quando Giovanni fi-gliuolo di Renato, lanno mille quattrocento cinquanta-sette, assalt il regno di Napoli, aiut con tantaprontezza Ferdinando che da lui fu principalmente rico-nosciuta la vittoria; mosso non da altro che da parergli

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troppo pericoloso al ducato suo di Milano che di unostato cos potente in Italia i franzesi tanto vicini si insi-gnorissino: la quale ragione aveva prima indotto FilippoMaria Visconte che, abbandonati gli Angioini favoritiinsino a quel d da lui, liberasse Alfonso suo inimico; ilquale, preso da genovesi in una battaglia navale pressoa Gaeta, gli era stato condotto, con tutta la nobilt deregni suoi, prigione a Milano. Da altra parte Luigi padredi Carlo, stimolato spesse volte da molti, e con non leg-giere occasioni, alle cose di Napoli, e chiamato instante-mente da genovesi al dominio della loro patria stataposseduta da Carlo suo padre, aveva sempre recusato dimescolarsi in Italia, come cosa piena di spese e difficolte allultimo perniciosa al regno di Francia. Ora, variatelopinioni degli uomini ma non gi forse variate le ragio-ni delle cose, e Lodovico chiamava i franzesi di qua damonti, non temendo da uno potentissimo re di Francia,se in mano sua fusse il regno di Napoli, di quello perico-lo che il padre suo, valorosissimo nellarmi, aveva temu-to se lavesse acquistato uno piccolo conte di Provenza;e Carlo ardeva di desiderio di fare guerre in Italia, pre-ponendo la temerit di uomini bassi e inesperti al consi-glio del padre suo, re di lunga esperienza e prudente.Certo che Lodovico fu medesimamente confortato atanta deliberazione da Ercole da Esti duca di Ferrara,suo suocero; il quale, ardendo di desiderio di recuperareil Polesine di Rovigo, paese contiguo e molto importan-te alla sicurt di Ferrara, statogli occupato da viniziani,nella guerra dieci anni innanzi avuta con loro, conoscevaessere unica via di poterlo ricuperare che Italia tutta siturbasse con grandissimi movimenti. Ma e fu creduto damolti che Ercole, bench col genero simulasse benivo-lenza grandissima, nondimeno in secreto lodiasse estre-mamente, perch, essendo in quella guerra tutto l restodItalia che aveva prese larmi per lui molto superiore aviniziani, Lodovico, il quale gi governava lo stato di

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Milano, mosso da propri interessi, costrinse gli altri afare la pace, con condizione che a viniziani rimanessequel Pulesine; e per, che Ercole, non potendo con lar-mi vendicarsi di tanta ingiuria, cercasse vendicarsi coldargli pestifero consiglio.

LIB. 1, CAP. 5

Pubbliche dichiarazioni di fiduciosa sicurezza e segretepreoccupazioni di Ferdinando dAragona. Sua azione per al-lontanare da s il pericolo e per riconciliarsi col pontefice e conLodovico Sforza. Il re di Francia compone le sue divergenzeco re di Spagna, col re de romani e con larciduca dAustria.Linvestitura di Lodovico Sforza a duca di Milano. Ambasciatadi Perone di Baccie al pontefice, al senato veneziano ed a fio-rentini. Piero de Medici di fronte alle richieste del re di Fran-cia. Comincia a vacillare la congiunzione fra il pontefice e Fer-dinando dAragona.

Ma essendo gi incominciata, bench da principiocon autori incerti, a risonare in Italia la fama di quelloche oltre a monti si trattava, si destorono vari pensieri ediscorsi nelle menti degli uomini: perch a molti, i qualila potenza del regno di Francia, la prontezza di quellanazione a nuovi movimenti e le divisioni degli italianiconsideravano, pareva cosa di grandissimo momento;altri, per la et e per le qualit del re, e per la negligenzapropria a franzesi e per gli impedimenti che hanno legrandi imprese, giudicavano questo essere pi tosto im-peto giovenile che fondato consiglio, il quale, poi chefusse alquanto ribollito, avesse leggiermente a risolversi.N Ferdinando, contro al quale tali cose si macchinava-no, dimostrava daverne molto timore, allegando essereimpresa durissima: perch, se e pensassino assaltarloper mare, troverebbono lui proveduto darmata suffi-

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ciente a combattere con loro in alto mare, i porti benefortificati e tutti in sua potest, n essere nel regno baro-ne alcuno che gli potesse ricevere come era stato ricevu-to Giovanni dAngi dal principe di Rossano e da altrigrandi; lespedizione per terra essere incomoda, sospet-ta a molti e lontana, avendosi a passare prima per la lun-ghezza di tutta Italia, di maniera che ciascuno degli altriarebbe causa particolarmente di temerne, e forse pi ditutti Lodovico Sforza, bench, volendo dimostrare chefusse proprio di altri il pericolo comune, simulasse ilcontrario, perch, per la vicinit dello stato di Milano al-la Francia, aveva il re maggiore facolt e verisimilmentemaggiore cupidit di occuparlo. E essendogli il duca diMilano congiuntissimo di sangue, come potere almenoassicurarsi Lodovico che il re non avesse in animo libe-rarlo dalla sua oppressione? avendo massime pochi anniinnanzi affermato palesemente che non comporterebbeche Giovan Galeazzo suo cugino fusse conculcato s in-degnamente. Non avere tale condizione le cose aragone-si che la speranza della debolezza loro dovesse dare afranzesi ardire dassaltarle, essendo egli bene ordinato dimolta e fiorita gente darme, abbondante di bellicosi ca-valli, di munizioni, di artiglierie e di tutte le provisioninecessarie alla guerra, e con tanta copia di danari chesenza incomodit potrebbe quanto gli fusse necessarioaugumentarle; e oltre a molti peritissimi capitani prepo-sto al governo degli eserciti e armi sue il duca di Calavriasuo primogenito, capitano di fama grande e di virt nonminore, e esperimentato per molti anni in tutte le guerredItalia. Aggiugnersi alle forze proprie gli aiuti prontide suoi medesimi, perch non essere da dubitare glimancasse il soccorso del re di Spagna, suo cugino e fra-tello della moglie, s per il vincolo doppio del parentadocome perch gli sarebbe sospetta la vicinit de franzesialla Sicilia. Queste cose si dicevano da Ferdinando pu-blicamente, magnificando la sua potenza e estenuando

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quanto poteva le forze e lopportunit degli avversarii;ma, come era re di singolare prudenza e di esperienzagrandissima, intrinsecamente gravissimi pensieri lo tor-mentavano, avendo fissa nellanimo la memoria de tra-vagli avuti, nel principio del regno suo, da questa nazio-ne. Considerava profondamente dovere avere la guerracon inimici bellicosissimi e potentissimi, e molto supe-riori a s di cavalleria, di peditato, darmate marittime,di artiglierie, di danari e duomini ardentissimi a esporsia ogni pericolo per la gloria e grandezza del proprio re;a s, per contrario, sospetta ogni cosa, pieno il regnoquasi tutto o di odio grande contro al nome aragonese odi inclinazione non mediocre a rebelli suoi, del resto lamaggiore parte cupida per lordinario di nuovi re, e nel-la quale avesse a potere pi la fortuna che la fede, ed es-sere maggiore la riputazione che il nervo delle sue cose;non bastare i danari accumulati alle spese necessarie perla difesa, e empiendosi per la guerra ogni cosa di ribel-lione e di tumulti annichilarsi in uno momento lentrate.Avere in Italia molti inimici, niuna amicizia stabile e fi-data; perch chi non era stato offeso, in qualche tempo,o dalle armi o dalle arti sue? N di Spagna, secondolesempio del passato e le condizioni di quel regno, po-tere aspettare altri aiuti a suoi pericoli che larghissimepromesse e fama grandissima di apparati ma effetti pic-colissimi e tardissimi. Accrescevangli il timore moltepredizioni infelici alla casa sua, venutegli a notizia in di-versi tempi, parte per scritture antiche ritrovate di nuo-vo parte per parole duomini, incerti spesso del presentema che si arrogano certezza del futuro; cose nella pro-sperit credute poco, come cominciano a apparire lav-versit credute troppo. Angustiato da queste considera-zioni, e presentandosegli maggiore senza comparazionela paura che le speranze, conobbe non essere altro rime-dio a tanti pericoli che o il rimuovere, quanto pi prestosi poteva, con qualche concordia, la mente del re di

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Francia da questi pensieri o levargli parte de fondamen-ti che lo incitavano alla guerra. Perci, avendo in Fran-cia imbasciadori, mandativi per trattare lo sposalizio diCiarlotta figliuola di don Federigo suo secondo genitocol re di Scozia, il quale, per essere la fanciulla nata diuna sorella della madre di Carlo e allevata nella sua cor-te, si maneggiava da lui, dette loro sopra le cose occor-renti nuove commissioni; e vi deput, oltre a questi,Cammillo Pandone, statovi altre volte per lui: affine che,tentando privatamente i principali con premi e offertegrandi, e proponendo al re, quando altrimenti non sipotesse mitigarlo, condizione di censo e altre sommis-sioni, si sforzasse di ottenere da lui la pace. N solo in-terpose tutta la diligenza e autorit sua per comporre ladifferenza delle castella comperate da Verginio Orsino,la cui durezza si lamentava essere stata causa di tutti i di-sordini, ma ricominci col pontefice le pratiche del pa-rentado trattato prima tra loro. Ma il principale suo stu-dio e diligenza si indirizz a mitigare e ad assicurarelanimo di Lodovico Sforza, autore e motore di tutto ilmale, persuadendosi che a cos pericoloso consiglio piil timore che altra cagione lo conducesse. E per, ante-ponendo la sicurt propria allo interesse della nipote ealla salute del figliuolo nato di lei, gli offerse, per diversimezzi, di riferirsi in tutto alla sua volont, delle cose diGiovan Galeazzo e del ducato di Milano: non attenden-do al parere dAlfonso, il quale, pigliando animo dallatimidit naturale di Lodovico, n si ricordando che alledeliberazioni precipitose si conduce non meno agevol-mente il timido per la disperazione che si conduca il te-merario per la inconsiderazione, giudicava che laspreg-giarlo con spaventi e con minaccie fusse mezzoopportuno a farlo ritirare da questi nuovi consigli. Com-posesi finalmente, dopo varie difficolt, procedute pida Verginio che dal pontefice, la differenza delle castel-la; intervenendo alla composizione don Federigo, man-

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dato a questo effetto dal padre a Roma: convennono cheVerginio le ritenesse, ma pagando al pontefice tantaquantit di danari per quanti laveva prima comperateda Franceschetto Cibo. Conchiusesi insieme lo sposali-zio di madama Sances figliuola naturale di Alfonso indon Giuffr figliuolo minore del pontefice, inabili tuttadue per let alla consumazione del matrimonio: le con-dizioni furono che don Giuffr andasse fra pochi mesi astare a Napoli, ricevesse in dote il principato di Squillacicon entrata di ducati diecimila lanno, e fusse condottocon cento uomini darme agli stipendi di Ferdinando:donde si conferm lopinione, avuta da molti, che quelche aveva trattato in Francia il pontefice fusse stato trat-tato principalmente per indurre col timore gli Aragonesia queste convenzioni. Tent di pi Ferdinando di confe-derarsi con lui a difesa comune; ma interponendo ilpontefice molte difficolt, non ottenne altro che unapromessa occultissima, per breve, di aiutarlo a difendereil regno di Napoli, in caso che Ferdinando promettessea lui di fare il medesimo dello stato della Chiesa. Le qua-li cose espedite, si partirono, licenziate dal papa, del do-minio ecclesiastico le genti darme che i viniziani e il du-ca di Milano gli aveano mandate in aiuto. N cominciFerdinando con minore speranza di felice successo atrattare con Lodovico Sforza, il quale con arte grandissi-ma, ora mostrandosi malcontento della inclinazione delre di Francia alle cose dItalia come pericolosa a tutti gliitaliani, ora scusandosi per la necessit la quale, per ilfeudo di Genova e per la confederazione antica con lacasa di Francia, laveva costretto a udire le richieste fat-tegli, secondo diceva, da quel re, ora promettendo, qual-che volta a Ferdinando qualche volta separatamente alpontefice e a Piero de Medici, di affaticarsi quanto po-tesse per raffreddare lardore di Carlo, si sforzava di te-nergli addormentati in questa speranza, acciocch, in-nanzi che le cose di Francia fussino bene ordinate e

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stabilite, contro a lui qualche movimento non si facesse:e gli era creduto pi facilmente perch la deliberazionedi fare passare il re di Francia in Italia era giudicata smal sicura ancora per lui, che non pareva possibile chefinalmente non se navesse, considerato il pericolo, a ri-tirare.

Consumossi tutta la state in queste pratiche, proce-dendo Lodovico in modo che, senza dare ombra al re diFrancia, n Ferdinando n il pontefice n i fiorentinidelle sue promesse si disperavano n totalmente vi con-fidavano. Ma in questo tempo si gittavano in Franciasollecitamente i fondamenti della nuova espedizione, al-la quale, contro al consiglio di quasi tutti i signori, eraogni d maggiore lardore del re: il quale, per essere piespedito, compose le differenze che aveva con Ferdi-nando e con Isabella, re e reina di Spagna, prncipi inquello tempo molto celebrati e gloriosi per la fama dellaprudenza loro, per avere ridotti di grandissime turbo-lenze in somma tranquillit e ubbidienza i regni suoi, eper avere nuovamente, con guerra continuata dieci anni,recuperato al nome di Cristo il reame di Granata, statoposseduto da mori di Affrica poco manco di ottocentoanni; per la quale vittoria conseguirono dal pontefice,con grande applauso di tutti i cristiani, il cognome di recattolici. Fu espresso in questa capitolazione, fermatamolto solennemente e con giuramenti prestati in publi-co dalluna parte e dallaltra ne templi sacri, che Ferdi-nando e Isabella (reggevasi la Spagna in nome comune)n direttamente n indirettamente gli Aragonesi aiutas-sino, parentado nuovo con loro non contraessino, n inmodo alcuno per difesa di Napoli a Carlo si opponessi-no; le quali obligazioni egli per ottenere, cominciandodalla perdita certa per speranza di guadagno incerto, re-stitu senza alcuno pagamento Perpignano con tutta lacontea di Rossiglione, impegnata molti anni innanzi aLuigi suo padre da Giovanni re di Aragona padre di

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Ferdinando: cosa molestissima a tutto il regno di Fran-cia, perch quella contea, situata alle radici de monti Pi-renei e per, secondo lantica divisione, parte della Gal-lia, impediva agli spagnuoli lentrare in Francia daquella parte. Fece per la medesima cagione Carlo pacecon Massimiliano re de romani e con Filippo arciducadAustria suo figliuolo, i quali avevano seco gravissimecagioni, antiche e nuove, di inimicizia, cominciate per-ch Luigi suo padre, per loccasione della morte di Car-lo duca di Borgogna e conte di Fiandra e di molti altripaesi circostanti, aveva occupato il ducato di Borgogna,il contado di Artois e molte altre terre possedute da lui.Donde essendo nate gravi guerre tra Luigi e Maria fi-gliuola unica di Carlo, la quale poco dopo la morte delpadre si era maritata a Massimiliano, era ultimamente,essendo gi morta Maria e succeduto nelleredit mater-na Filippo figliuolo comune di Massimiliano e di lei, fat-tasi, pi per volont de popoli di Fiandra che di Massi-miliano, concordia tra loro; per stabilimento della qualea Carlo figliuolo di Luigi fu Margherita sorella di Filip-po sposata e, bench fusse di et minore, condotta inFrancia: dove poi che fu stata pi anni, Carlo repudiata-la, tolse per moglie Anna, alla quale, per la morte diFrancesco suo padre senza figliuoli maschi, appartenevail ducato di Brettagna; con doppia ingiuria di Massimi-liano, privato in uno tempo medesimo del matrimoniodella figliuola e del proprio, perch prima per mezzo disuoi procuratori aveva sposato Anna. E nondimeno, im-potente a sostentare da se stesso la guerra, ricominciataper cagione di questa ingiuria, n volendo i popoli diFiandra, i quali, per essere Filippo pupillo, con consiglioe autorit propria si reggevano, stare in guerra col regnodi Francia; e vedendo posate larmi contro a franzesida re di Spagna e di Inghilterra, consent alla pace: perla quale Carlo restitu a Filippo Margherita sua sorella,ritenuta insino a quel d in Francia, e insieme le terre del

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contado di Artois, riservandosi le fortezze ma con obli-gazione di restituirle alla fine di quattro anni; al qualetempo Filippo, divenuto di et maggiore, poteva valida-mente confermare laccordo fatto. Le quali terre, nellapace fatta dal re Luigi, erano state concordemente rico-nosciute come per dote di Margherita predetta.

Stabilissi, per esser renduta al regno di Francia la pa-ce da tutti i vicini, la deliberazione della guerra di Napo-li per lanno prossimo; e che in questo mezzo tutte leprovisioni necessarie si preparassino, sollecitate conti-nuamente da Lodovico Sforza. Il quale (come i pensieridegli uomini di grado in grado si distendono), non pen-sando pi solo a assicurarsi nel governo ma sollevato api alti pensieri, aveva nellanimo, con loccasione detravagli degli Aragonesi, trasferire in tutto in s il ducatodi Milano: e per dare qualche colore di giustizia a tantaingiustizia, e fermare con maggiori fondamenti le cosesue a tutti i casi che potessino intervenire, marit BiancaMaria sorella di Giovan Galeazzo e sua nipote a Massi-miliano, succeduto nuovamente per la morte di Federi-co suo padre nello imperio romano; promettendogli indote in certi tempi quattrocentomila ducati in pecunianumerata, e in gioie e in altri apparati ducati quaranta-mila. E da altro canto Massimiliano, seguitando in que-sto matrimonio pi i danari che il vincolo della affinit,si oblig di concedere a Lodovico, in pregiudicio diGiovan Galeazzo nuovo cognato, linvestitura del duca-to di Milano, per s, per i figliuoli e per i discendentisuoi; come se quello stato, dopo la morte di Filippo Ma-ria Visconte, fusse di legittimo duca sempre vacato: pro-mettendo di consegnargli, al tempo dellultimo paga-mento, i privilegi, spediti in forma amplissima.

I Visconti, gentiluomini di Milano, nelle parzialitsanguinosissime che ebbe Italia de ghibellini e de guel-fi, cacciati finalmente i guelfi, diventorno ( questo qua-si sempre il fine delle discordie civili), di capi di una par-

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te di Milano, padroni di tutta la citt; nella quale gran-dezza avendo continuato molti anni, cercorono, secon-do il progresso comune delle tirannidi (perch quelloche era usurpazione paresse ragione), di corroborareprima con legittimi colori e dipoi di illustrare con am-plissimi titoli la loro fortuna. Per, ottenuto dagli impe-radori, de quali Italia cominciava gi a conoscere pi ilnome che la possanza, prima il titolo di capitani poi divicari imperiali, allultimo Giovan Galeazzo, il quale,per avere ricevuto la contea di Virtus da Giovanni re diFrancia suo suocero, si chiamava il conte di Virt, otten-ne da Vincislao re de romani, per s e per la sua stirpemascolina, la degnit di duca di Milano; nella quale glisuccederono, luno dopo laltro, Giovan Maria e FilippoMaria suoi figliuoli. Ma finita la linea mascolina per lamorte di Filippo, bench egli avesse nel testamento suoinstituito erede Alfonso re dAragona e di Napoli, mos-so dallamicizia grandissima la quale, per la liberazionesua, aveva contratta seco, e molto pi perch il ducatodi Milano, difeso da principe s potente, non fusse occu-pato da viniziani, i quali gi manifestamente vaspirava-no, nondimanco Francesco Sforza, capitano in quellaet valorosissimo n minore nellarte della pace che del-la guerra, aiutato da molte occasioni che allora concor-sono, e non meno dallavere stimato pi il regnare chelosservanza della fede, occup con larmi quel ducatocome appartenente a Bianca Maria sua moglie, figliuolanaturale di Filippo; ed fama che e potette ottenernepoi, con non molta quantit di danari, linvestitura daFederigo imperatore, ma che, confidando di potere conle medesime arti conservarlo con le quali laveva guada-gnato, la dispregi. Cos senza investitura continu Ga-leazzo suo figliuolo, e continuava Giovan Galeazzo suonipote: onde Lodovico, in uno medesimo tempo scelera-to contro al nipote vivo e ingiurioso contro alla memoriadel padre e del fratello morti, affermando non essere

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stato alcuno di essi legittimo duca di Milano, se ne fececome di stato devoluto allo imperio investire da Massi-miliano, intitolandosi per questa ragione non settimoma quarto duca di Milano. Bench queste cose alla noti-zia di pochi, mentre visse il nipote, trapassorono. Solevaoltre a questo dire, seguitando lesempio di Ciro fratellominore di Artoserse re di Persia, e confermandolo conlautorit di molti giurisconsulti, che precedeva Galeaz-zo suo fratello, non per let ma per essere stato il primofigliuolo che fusse nato al padre comune poi che era di-ventato duca di Milano: la quale ragione insieme con laprima, bench taciuto lesempio di Ciro, fu espressa neprivilegi imperiali; a quali, per velare, bench con colo-re ridicolo, la cupidit di Lodovico, fu in lettere separateaggiunto non essere consuetudine del sacro imperioconcedere alcuno stato a chi lavesse prima con lauto-rit di altri tenuto, e perci essere stati da Massimilianodisprezzati i prieghi fatti da Lodovico per ottenere lin-vestitura per Giovan Galeazzo, che aveva prima dal po-polo di Milano quel ducato riconosciuto. Il parentadofatto da Lodovico accrebbe la speranza a Ferdinandoche e savesse a alienare dalla amicizia del re di Francia,giudicando che lessersi aderito e il somministrare a unoemulo, e per tante cagioni inimico, quantit cos grandedi danari, fusse per generare diffidenza tra loro, e cheLodovico, preso animo da questa nuova congiunzione,avesse pi arditamente a discostarsene: la quale speran-za Lodovico nutriva con grandissimo artificio, e nondi-meno (tanta era la sagacit e destrezza sua) sapeva inuno tempo medesimo dare parole a Ferdinando e aglialtri dItalia, e bene intrattenersi col re de romani e conquello di Francia. Sperava similmente Ferdinando che alsenato viniziano, al quale aveva mandato imbasciadori,avesse a essere molesto che in Italia, dove tenevano ilprimo luogo di potenza e di autorit, entrasse uno prin-cipe tanto maggiore di loro: n conforti e speranze da

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re di Spagna gli mancavano, i quali soccorso potente glipromettevano, in caso che con le persuasioni e con lau-torit non potessino questa impresa interrompere.

Da altra parte si sforzava il re di Francia, poich avevarimosso glimpedimenti di l da monti, rimuovere le dif-ficolt e gli ostacoli che potessino essergli fatti di qua.Per mand Perone di Baccie, uomo non imperito dellecose dItalia, dove era stato sotto Giovanni dAngi; ilquale, significata al pontefice, al senato viniziano e afiorentini, la deliberazione fatta dal re di Francia per re-cuperare il regno di Napoli, fece instanza con tutti che sicongiugnessino con lui; ma non riport altro che spe-ranze e risposte generali, perch, essendo la guerra nonprima che per lanno prossimo disegnata, ricusava cia-scuno di scoprire tanto innanzi la sua intenzione. Ri-cerc medesimamente il re gli oratori de fiorentini,mandati prima a lui, con consentimento di Ferdinando,per escusarsi della imputazione si dava loro di essere in-clinati agli Aragonesi, che gli fusse promesso passo evettovaglia nel territorio loro allesercito suo, con paga-mento conveniente, e di mandare con esso cento uominidarme, i quali diceva chiedere per segno che la republi-ca fiorentina seguitasse la sua amicizia: e bench gli fus-se dimostrato non potersi senza grave pericolo fare taledichiarazione se prima lesercito suo non era passato inItalia, e affermato che di quella citt si poteva in ogni ca-so promettere quanto conveniva alla osservanza e devo-zione che sempre alla corona di Francia portata aveva,nondimeno erano con impeto franzese stretti a promet-terlo, minacciando altrimenti di privargli del commercioche la nazione fiorentina aveva grandissimo di merca-tanzie in quel reame: i quali consigli, come poi si manife-st, nascevano da Lodovico Sforza, guida allora e indi-rizzatore di tutto quello che per loro con gli italiani sipraticava. Affaticossi Piero de Medici di persuadere aFerdinando queste dimande importare s poco alla som-

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ma della guerra, che e potrebbe giovargli pi che la re-publica e egli si conservassino in fede con Carlo, per laquale arebbono forse opportunit di essere mezzo aqualche composizione. Allegava, oltre a questo, il caricograndissimo e lodio il quale contro a s si conciterebbein Firenze se i mercatanti fiorentini fussino cacciati diFrancia; e convenire alla buona fede, fondamento prin-cipale delle confederazioni, che ciascuno de confederatitollerasse pazientemente qualche incomodit perchlaltro non incorresse in danni molto maggiori. Ma Fer-dinando, il quale considerava quanto si diminuirebbedella riputazione e sicurt sua se i fiorentini si separassi-no da lui, non accettava queste ragioni, ma si lamentgravissimamente che la costanza e la fede di Piero co-minciassino cos presto a non corrispondere a quel chedi lui savea promesso; donde Piero, determinato diconservarsi innanzi a ogni cosa lamicizia aragonese, fe-ce allungare con varie arti la risposta da franzesi instan-temente dimandata, rimettendosi in ultimo che per nuo-vi oratori si farebbe intendere lintenzione dellarepublica.

Nella fine di questanno cominci la congiunzionefatta tra il pontefice e Ferdinando a vacillare: o perch ilpontefice aspirasse, con introdurre nuove difficolt, aottenere da lui cose maggiori o perch si persuadesse dimuoverlo con questo modo a ridurre il cardinale di SanPiero a Vincola allubbidienza sua; il quale egli, offeren-do per sicurt la fede del collegio de cardinali, di Ferdi-nando e de viniziani, desiderava sommamente che an-dasse a Roma, essendogli sospetta molto la sua assenza,per la importanza della rocca dOstia (perch intorno aRoma teneva Ronciglione e Grottaferrata), per moltedependenze e autorit grande che aveva nella corte, e fi-nalmente per la natura sua desiderosa di cose nuove elanimo pertinace a correre prima ogni pericolo che al-lentare uno punto solo delle sue deliberazioni. Scusavasi

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efficacissimamente Ferdinando di non potere piegare aquesto il Vincola, insospettito tanto che qualunque si-curt gli pareva inferiore al pericolo; e si lamentava dellasua mala fortuna col pontefice, che sempre attribuisse alui quel che veramente procedeva da altri; cos averecreduto che Verginio per i conforti e co danari suoiavesse comperato le castella, e nondimeno la comperaessere stata fatta senza sua partecipazione, ma essere be-ne egli