Storia Delle Religioni a Scuola

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All’alba del nuovo millennio, voci autorevoli della politica italiana ed europea stanno individuando nel problema dell’insegnamento della religione cattolica e, contemporaneamente, del mancato insegnamento della storia delle religioni nelle scuole, uno dei punti chiave – o punti dolenti – della costruzione di una nuova identità civile. La storia delle religioni, come disciplina critica e scientifica ormai radicata nel tes- suto universitario italiano, già da tempo ha avanzato delle proposte chiare in materia, suggerendo che nel- le scuole si debba introdurre uno studio del fatto reli- gioso orientato storicamente, secondo la tradizione degli studi accademici italiani e con un respiro inter- nazionale. In relazione ai nuovi sviluppi socio-cultu- rali e politici, è necessario individuare alcune linee strategiche e operative che possano costituire una ri- sposta pronta e concreta alle richieste istituzionali e, contemporaneamente, agire in maniera significativa nel sollecitare il decisore pubblico in funzione di una radicale trasformazione dell’approccio al tema reli- gioso nel sistema scolastico 1 . 127 ALESSANDRO SAGGIORO Storia delle religioni a scuola: riflessioni e prospettive identitarie di una disciplina accademica 1 Dato il taglio particolare di questo intervento, mi limito a riman- dare alla bibliografia contenuta in M. Giorda, A. Saggioro, La mate- ria invisibile. Storia delle religioni a scuola. Una proposta, Bologna 2011.

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Un text despre problemele suscitate de predarea religiei in scoala.

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All’alba del nuovo millennio, voci autorevoli dellapolitica italiana ed europea stanno individuando nelproblema dell’insegnamento della religione cattolicae, contemporaneamente, del mancato insegnamentodella storia delle religioni nelle scuole, uno dei puntichiave – o punti dolenti – della costruzione di unanuova identità civile. La storia delle religioni, comedisciplina critica e scientifica ormai radicata nel tes-suto universitario italiano, già da tempo ha avanzatodelle proposte chiare in materia, suggerendo che nel-le scuole si debba introdurre uno studio del fatto reli-gioso orientato storicamente, secondo la tradizionedegli studi accademici italiani e con un respiro inter-nazionale. In relazione ai nuovi sviluppi socio-cultu-rali e politici, è necessario individuare alcune lineestrategiche e operative che possano costituire una ri-sposta pronta e concreta alle richieste istituzionali e,contemporaneamente, agire in maniera significativanel sollecitare il decisore pubblico in funzione di unaradicale trasformazione dell’approccio al tema reli-gioso nel sistema scolastico1.

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ALESSANDRO SAGGIORO

Storia delle religioni a scuola: riflessioni e prospettive identitarie di una disciplina accademica

1 Dato il taglio particolare di questo intervento, mi limito a riman-dare alla bibliografia contenuta in M. Giorda, A. Saggioro, La mate-ria invisibile. Storia delle religioni a scuola. Una proposta, Bologna2011.

1. Riflessioni generali fra politica e università

Se in altri ambienti culturali e intellettuali, anche ac-cademici, la questione dell’insegnamento sulle religio-ni può portare a vari interrogativi e all’apertura di in-finite vie di discussione, nel contesto della storia dellereligioni credo si possa dare quasi per scontata unaproposta univoca, che risuona fin dai tempi di Raffae-le Pettazzoni.

Partiamo dunque da un’idea con coordinate benprecise: già dall’inizio del secolo scorso, quando l’inse-gnamento religioso era in discussione, fu avanzata laproposta di insegnare la storia delle religioni a scuola,come declinazione scolastica di una disciplina accade-mica, scientifica, basata su una metodologia storico-comparativa e un campo di studio identificabile nel re-ligioso in senso lato.

Vari attori hanno avviato nel tempo percorsi di lavorodiversi per promuovere questa idea generale e trasfor-marla in azioni concrete: discussioni in convegni, orga-nizzazione di sperimentazioni, apertura di progetti di ri-cerca con respiro internazionale, pubblicazioni di variotaglio. In ogni caso, nell’ambito della storia delle religio-ni insegnata all’università, che negli ultimi tempi si èpurtroppo ridotta in maniera drastica a un gruppo assairistretto di docenti e ricercatori, possiamo certo afferma-re che non vi sia discussione sul titolo della disciplina esull’utilità di trasferirlo nell’ambito degli studi scolasticiobbedendo alla stessa titolatura. In altri ambienti, è benedirlo, la stessa definizione di “Storia delle religioni” po-ne problemi, dettati ora da approssimazione, ora da pre-giudizi, ora da incomprensioni storiche: problemi che ri-guardano la disciplina accademica e che si rispecchianonell’eventuale proposta scolastica, che dovrebbe allorachiamarsi in maniere diverse, talora equivoche, talorafantasiose, talora non corrispondenti a progettualità rea-

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listiche. Non v’è dubbio che non si ponga qui una que-stione di nome e che, anzi, questa sia da considerare co-me pretestuosa: di fronte alla realtà dei fatti, ovvero afronte della prospettiva concreta di poter introdurre nel-la scuola italiana uno studio storico delle religioni, nonavremmo, come storici delle religioni, particolari riven-dicazioni da fare, e, tuttavia, il nome sarebbe l’ultimo deiproblemi. Appare però quantomeno curioso che altriambienti culturali, al momento di interrogarsi sulla stes-sa realtà didattica cui riconoscono dignità e rilevanzaprogrammatica, tengano metodicamente nel minimoconto l’esistenza, da quasi un secolo, di una materia uni-versitaria a ciò dedicata, con coordinate didattico-scien-tifiche ormai fondate e definite. Ecco dunque fiorire pro-poste di vario genere, da “Religioni a scuola” a “Culturareligiosa”, da “Fenomenologia delle religioni” a “Reli-gioni nella storia”. Come a dire che a prescindere da unalinea comune abbastanza netta, che gli storici delle reli-gioni possono seguire per avvalorare una propria pro-posta di lavoro e trasformarla in proposta politica, sussi-ste un’incertezza diffusa, presso vari attori che sono ca-ratterizzati da una stessa idea di fondo, che riguardal’essenza stessa della materia da insegnare. Ne scaturi-sce una tensione intellettuale di scarsa o nulla capacitàproduttiva, dato che si concentra sui nomi e non sui fat-ti; e si sposta dai fatti per dedicarsi alla forma.

È dunque opportuno porre la questione da un pun-to di vista di insider alla storia delle religioni, ma guar-dando anche a un disaccordo diffuso, presente storica-mente, di cui non si può non tenere conto in sede dielaborazione di una linea comune e realizzabile.

È possibile riassumere in alcuni punti quali siano leprospettive di questa proposta che emerge ora con mag-giore forza dall’ambiente universitario. Non si può quipensare di esaurire le opzioni disponibili, ma di fattouna semplificazione è possibile in questi termini.

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a. La prima e più forte prospettiva è che l’attuale as-setto non sia modificato, almeno in un prossimo fu-turo di media durata. Nel moto perpetuo delle ri-forme scolastiche e universitarie, niente fa presagirein maniera significativa che esista, nonostante alcu-ni segnali su cui si tornerà a breve, qualche formadi volontà politica che intenda mettere mano a unaristrutturazione degli insegnamenti scolastici, chenella loro struttura portante rispecchiano l’apparatodi saperi e di modalità didattiche ormai consolidatonel secolo scorso. Le ultime legislature non si carat-terizzano se non per l’ottemperanza al principiogattopardesco, profondamente radicato nella politi-ca italiana, di cambiare tutto per non cambiare nien-te: la scuola e l’università sono appunto ciò che vie-ne profondamente cambiato e trasformato per la-sciare tutto esattamente al punto di partenza, congraduale erosione delle risorse e della forza di vo-lontà e di azione degli operatori, in primis gli inse-gnanti. In questa prospettiva politica generale, è im-probabile che si metta mano all’area dell’insegna-mento relativo alle religioni e, dunque, ci si puòaspettare che si resti piuttosto nell’attuale situazio-ne di un insegnamento unico di religione cattolica(Irc), secondo quanto definito dal Concordato del1929 e dalla sua revisione del 1984.

b. Anche se questa è la prospettiva principale, nonmancano forze di trasformazione interna all’Irc, chesi rivolgono anche a far fronte a una situazione so-ciale in vivace mutamento. A fronte di classi semprepiù miste, già a partire dalla scuola primaria, esisto-no sia tensioni generali alla trasformazione dell’in-segnamento istituzionale di religione cattolica in uninsegnamento storico-culturale o interculturale; siarisposte elaborate dagli stessi insegnanti, che intempi recenti si sono visti riconoscere lo statuto di

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docenti di ruolo a tempo indeterminato, facendovenire meno una precarietà ormai più che decenna-le. Questa trasformazione aumenta le potenzialitàdi autonomia di chi insegna, eventualmente sensibi-le a declinare il proprio insegnamento secondo con-dizioni peculiari, locali, determinate da realtà terri-toriali e contingenze di vario genere (fra cui spicca,ovviamente, la presenza di allievi immigrati o di se-conda generazione non di religione cattolica chenon si avvarranno di un insegnamento di tipo con-fessionale).

c. Questi due scenari non impediscono che si verifichiciò che in effetti sta accadendo in varie realtà locali,ovvero che si avviino sperimentazioni di vario re-spiro, realizzate da università o ex studenti univer-sitari di storia delle religioni e affini, che portino al-la realizzazione di percorsi di storia delle religioninella scuola, sia a titolo volontaristico o di integra-zione dell’attività di studio universitario tramite ti-rocinio, sia con remunerazioni di vario genere cherappresentano ancora delle eccezioni, ma già in attoin alcune realtà. La presenza di sperimentazioni dif-fuse potrà contribuire sia alla messa in crisi dell’at-tuale sistema, basato fra l’altro sull’apparente indi-sponibilità di una realtà formativa relativa ai forma-tori (motivo pretestuoso per lasciare tutto come è),sia alla costruzione di materiali, ipotesi di lavoroverificate, elaborazione di programmi.

d. Uno spazio a sé stante deve avere la proposta che hoenunziato in principio, ripresa dal volume scritto in-sieme a Mariachiara Giorda, che prevede l’inserimen-to di una materia, con aggiunta di orario o in sostitu-zione di un’altra materia, e che consista nell’introdu-zione di un insegnamento denominato Storia delle re-ligioni, rivolto alle scuole di ogni ordine e grado, conprogrammi propri e docenti specializzati e dedicati.

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Si potranno obiettare molte cose a questo tipo di pro-posta, a partire dalle difficoltà di aggiungere materiea una scuola già al collasso, o di richiedere risorse ag-giuntive in una situazione già di forte recessione. Tut-tavia è bene anche tenere conto del fatto che le propo-ste devono essere fatte con tutti i crismi dell’ottimali-tà e dell’aspirazione alla migliore soluzione possibile,non puntando a soluzioni intermedie o a ripieghi di-plomatici. Dunque, al fine di elaborare una conoscen-za diffusa del fatto religioso in Italia, in una realtà incui dominano in materia, al contrario, approssimazio-ni e analfabetismo, la proposta ideale consiste nelcreare uno spazio dedicato. In subordine e in via tem-poranea questo insegnamento potrebbe anche andarea collocarsi nello spazio attualmente vuoto della cosìdetta alternativa, per il semplice fatto che al momen-to, per coloro che non si avvalgono dell’insegnamen-to di religione cattolica, non è prevista alcuna attivitàformativa “sostitutiva”. La questione andrebbe lettain termini dialetticamente ma anche sostanzialmenteopposti: sul fronte della conoscenza delle religioni, lascuola può proporre l’opzione fra un insegnamentoreligioso e uno di tipo storico-scientifico, il primo im-partito dagli insegnanti di religione formatisi nelle ac-cademie pontificie, il secondo dai diplomati nei corsidi laurea magistrale in scienze storico-religiose previ-sti dall’ordinamento universitario italiano e attivatida vari atenei. Non si tratta dunque di un’alternativacontrappositiva, bensì di vie opzionali diverse (peral-tro non del tutto congruenti: su questo si tornerà abreve).

Se questo è il quadro generale, che eufemisticamen-te potremmo definire non incoraggiante, è pur veroche negli ultimi tempi alcune prospettive hanno co-minciato ad aprirsi.

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A livello di riflessione politica internazionale, adesempio, appaiono iniziative di organismi sovranazio-nali, che affrontano aspetti generali e particolari dellequestioni circa l’insegnamento relativo alle religioni. Nel2007 sono apparsi i Toledo Guiding Principles on Teachingabout Religions and Beliefs in Public Schools, elaboratidall’ODIHR (Office for Democratic Institutions and Hu-man Rights), una struttura dell’OSCE, l’organizzazioneper la cooperazione e la sicurezza in Europa. In questodocumento, che prevedeva di aprire un ampio tavolo didiscussione con insegnanti e legislatori sui temi dellepolitiche dell’educazione interculturale, e che in Italia èrimasto in larga parte ignorato, si riconosce un intentoforte di coinvolgimento delle comunità religiose nellaverifica delle modalità didattiche relative al fatto religio-so. Nel 2008 il Consiglio d’Europa ha pubblicato un librobianco sul dialogo interculturale, Living Together asEquals in Dignity, in cui il tema della dimensione religio-sa occupa uno spazio di rilievo, tanto che come stru-mento operativo correlato è stata prodotta una Racco-mandazione (Strasburgo, n. 12 del dicembre 2008) ai mi-nistri dell’educazione «Sulla dimensione delle religioni edelle convinzioni non religiose nell’educazione intercul-turale». Nel 2009 Luce Pépin ha curato, per il Networkof European Foundations, un report su Teaching aboutReligions in European School Systems, da cui manca l’Ita-lia. In questi documenti emergono in maniera chiara sial’attenzione alla distinzione fra gli insegnamenti “delle”religioni rispetto a quelli “sulle” religioni, sia la rivendi-cazione dell’importanza della conoscenza sulle religionicome fattore di convivenza, sia, infine, una sensibilitàdiffusa all’osservazione dei processi in atto anche alloscopo di dirigerli in senso contrario rispetto alle dinami-che di conflitto, pregiudizio, discriminazione. Si può di-re che questo tipo di riflessione costituisca un quadrogenerale a livello internazionale e al tempo stesso possa

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costituire uno stimolo e un confronto costante per lequestioni relative all’insegnamento delle religioni.

In Italia, la scorsa legislatura ha visto il varo di unaproposta di legge d’iniziativa del deputato GiovannaMelandri, sottoscritta dai rappresentanti delle diverseforze politiche della maggioranza e dell’opposizione. Laproposta, presentata alla Camera dei Deputati il 16 set-tembre 2010, n. 3711, era intitolata «Istituzione dell’inse-gnamento dell’“introduzione alle religioni” nella scuolasecondaria di primo grado e nella scuola secondaria su-periore». Anche se non vi è stato un seguito parlamenta-re, questa proposta di legge rappresenta un segno im-portante nell’ambito della politica contemporanea: vi ècitata l’importanza dell’analisi del fenomeno religioso, sifa riferimento alle tradizioni religiose e ai testi sacri co-me paritariamente degni di essere oggetto di insegna-mento, si concentra anche l’attenzione sulla necessitàdello studio della storia del cristianesimo. La presenta-zione del progetto fa riferimento alle nuove generazioni,che il sistema scolastico deve mettere in grado di cono-scere e rispettare le opzioni religiose, in una prospettivadi dialogo e di conoscenza multiculturale, per la preven-zione di intolleranza, fondamentalismo, xenofobia. Sia-mo, insomma, virtualmente e virtuosamente collegati al-le retoriche della politica dell’integrazione europea, conuno strumento che almeno in potenza ha rappresentatoun tentativo di smuovere qualcosa anche in Italia.

Un terzo livello su cui ci si può fermare è quellodelle legislazioni regionali e comunali. In virtù dellanuova organizzazione istituzionale localizzata, ai pic-coli parlamenti regionali e ai comuni sono delegate al-cune funzioni che significativamente entrano nelle te-matiche dell’integrazione, della libertà religiosa, dellaconvivenza. Anche questo contesto, più ancora chequello delle legislazioni nazionali, può diventare fuci-na progettuale e sperimentale, per promuovere ad

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esempio profili professionali di operatori sociali o dimediatori culturali con specifico campo d’azione nelmondo della scuola, che abbiano nel curriculum unacompetenza specifica nelle materie storico-religiose.

A fronte di queste linee politiche generali, la più im-portante riforma strutturale che ha riguardato gli studistorico-religiosi è quella che ha previsto, nell’ambito del-la legge 509, l’istituzione, fra i settori scientifico discipli-nari, di uno espressamente dedicato alla Storia delle reli-gioni (M-STO/06), che ha raccolto e riunito varie deno-minazioni locali o declinazioni specialistiche (ad esempio“Religioni dei popoli primitivi” o “Religioni del mondoclassico”). Ma la novità più rilevante è rappresentata dal-l’istituzione di una classe di laurea prima specialistica epoi, nell’ordinamento 270, magistrale in Scienze delle re-ligioni. Nelle istituzioni di Corsi di laurea avanzati nel-l’ambito di questa classe di laurea, demandate alle uni-versità nella loro autonomia, si è dunque profilata la pos-sibilità di formulare percorsi formativi specifici, altamen-te specialistici, di livello superiore. Il punto debole rima-ne lo sbocco lavorativo, in assenza di un insegnamentospecifico sul fatto religioso previsto nella scuola.

Da questo punto di vista, solo di recente si è avutaun’evoluzione dell’accordo del 14 dicembre 1985 (giàmodificato il 13 giugno 1990), fra l’Autorità scolastica ela Conferenza Episcopale Italiana in tema di insegna-mento della religione cattolica. L’intesa del 28 giugno2012 ha previsto per la prima volta un cenno ai laureatinelle università statali quali potenziali insegnanti di reli-gione cattolica, ferma restando una prima formazionetriennale negli istituti ecclesiastici e l’approvazione daparte dell’autorità competente. Si presume allora che nelcurriculum degli insegnanti di religione debbano com-parire anche la Storia delle religioni così come insegnatanelle università statali e le conoscenze relative alle diver-se tradizioni religiose, seppur funzionalizzate a un inse-

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gnamento di religione cattolica, che però in questo mo-do si verrebbe trasformando nella direzione intercultu-rale auspicata dallo stesso mondo cattolico.

Su un piano che proporzionalmente appare menorilevante, ma che può avere sviluppi importanti sulpiano progettuale e operativo, si può ricordare che conl’istituzione, durante l’ultimo anno accademico, deiTFA o Tirocini Formativi Attivi, si è demandata alleuniversità la formazione dei futuri insegnanti. Anchese in questo momento non è dato sapere in che modo ein che termini queste tipologie di corsi potranno di-ventare operative, ovvero tradursi in assunzioni nellascuola, è già possibile fare sì che la Storia delle religio-ni sia introdotta fra le materie formative dei futuri in-segnanti. Seppure in un numero limitato di ore, agliallievi-docenti possono essere presentate le principaliproblematiche della didattica storico-religiosa e unarassegna dei principali temi che è possibile approfon-dire nei programmi di Storia e filosofia, di Lettere ecc.

Su questo piano ancora generale di riflessione, dob-biamo riprendere alcuni punti teorici, che si interseca-no con le tematiche politiche. Restano infatti alcuneambiguità, che è opportuno segnalare onde evitareche, dissimulandole, possano apparire invece più gra-vi ancora di quanto non siano già.

La prima riguarda il tema, ormai classico, dell’alterna-tiva. Il termine è entrato nella dialettica dell’ora di reli-gione da talmente tanto tempo che è ormai divenuto untopos il considerare l’“alternativa” quasi come un’oracurricolare, a sua volta precaria e instabile, ma ormai de-finita nominalmente proprio così, “Alternativa”. In real-tà, come si è detto sopra, ciò dipende dall’impianto iden-titario forte dell’ora di religione cristiana cattolica, chenon a caso viene definita “Ora di religione” e solo neidocumenti formali e istituzionali è indicata con l’acroni-mo Irc, “Insegnamento della religione cattolica”. Anche

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per i comprensibili motivi che si dicevano più sopra, lospazio dell’ora di “Alternativa” è stato da sempre indivi-duato come quello eventualmente deputato a un inse-gnamento di “Storia delle religioni”. Questo fatto, spie-gabilissimo sul piano pratico, sul piano teorico apre unaconflittualità potenziale fra un insegnamento di religionecattolica e uno di storia delle religioni. Gli orizzonti delledue materie, invece, è bene dirlo, sono solo in parte con-vergenti, nella misura in cui entrambi vogliono aiutare laformazione degli alunni in senso storico-culturale ancheallo scopo di ricostruire le caratteristiche e gli sviluppidell’identità cristiana, ma sono poi strutturalmente diffe-renziati: l’uno è infatti un insegnamento confessionale,concepito nell’ambito di un concordato fra Stato e Chie-sa; l’altro è un insegnamento scientifico, parte di una tra-dizione di studi di carattere accademico; l’uno è un inse-gnamento vincolato a un’appartenenza religiosa, l’altro èvincolato esclusivamente al riconoscimento del vero sto-rico; l’uno è parte integrante del discorso religioso, l’altrosi occupa dell’analisi dei discorsi religiosi e, in ultimaistanza, dell’uomo che li produce, connotandosi così piùcome disciplina antropologica e storica che non come lo-gica insider all’oggetto di studio. Non sussistono, dun-que, sia le prospettive di lettura in senso contrappositi-vo, sia l’uso ambiguo della Storia delle religioni comepotenziale alternativa-sostitutiva rispetto all’ora di reli-gione cattolica: è invece quanto è capitato, da ultimo,quando il Ministro Profumo, il 21 settembre 2012, ha di-chiarato la necessità di ristrutturare profondamente l’in-segnamento di religione cattolica, ipotizzando una staf-fetta con uno di etica o di storia delle religioni. Le pole-miche scaturite da quelle dichiarazioni, abbondantemen-te rintracciabili nel web, si sono arroccate su posizioni dibelligeranza polemica, accentuando la contrapposizionedialettica e conflittuale fra i due diversi insegnamenti,con un’approssimazione disarmante.

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La seconda riguarda lo statuto stesso dell’insegnantedi religione. Individuato per motivi legati alla professio-ne di fede, oltre che alla formazione da docente, purnell’evoluzione cui sopra si faceva riferimento, il docentedi religione resta una figura ambigua nell’orizzonte sco-lastico. Ciò vale e varrà fintantoché non si saranno trova-te soluzioni definitive all’impianto stesso dell’Irc nel qua-dro dell’obiettivo pluralismo religioso della società italia-na. Su questo problema, tutto interno alla relazione fraStato italiano e confessioni religiose e di portata anchecostituzionale, si innesta però una questione di maggiorecomplessità: può o deve, l’insegnante di religione, occu-parsi anche delle “altre” religioni? Si è detto delle tensio-ni interculturali dell’ora di religione cattolica, che senzadubbio si è trasformata, almeno negli elementi statutari eistituzionali, anche in una prospettiva culturale in sensolato, quindi anche potenzialmente aperta alla compren-sione delle religioni al plurale. Ma questa didattica dellereligioni può funzionare se impartita da un punto di vi-sta di partenza che istituzionalmente deve essere religio-so? Fermo restando il dato di fatto che la buona volontànell’autoformazione degli insegnanti, la capacità di far ri-ferimento a una bibliografia scientifica internazionale or-mai largamente accessibile, e, mettiamoci anche questo,una diffusa deontologia professionale, sono bussole or-mai affermate, molto verosimilmente sufficienti a garan-tire un impianto formativo equilibrato e composto, tutta-via il problema di statuto rimane. A ciò si aggiunga chequeste qualità non sono richieste, alle domande di cono-scenza sulle religioni non previste dal programma l’inse-gnante può – ma non deve necessariamente – risponderecon una competenza che non rientra fra i suoi obblighicontrattuali. Da una parte, dunque, rimane una difficoltàdi fondo, istituzionale, programmatica; dall’altra, questedifficoltà non possono essere risolte dalla buona volontàe, diciamolo pure, dalla caratura culturale dei singoli.

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In terzo luogo segnalerei che anche lo statuto dellastoria delle religioni presenta strutturalmente delle am-biguità irrisolte, che dovrebbero essere affrontate e di-scusse, sì da valutare fino in fondo se e come questa di-sciplina possa essere oggetto di un insegnamento scola-stico. Il fatto stesso di essere stata, fin dalla fondazione,una disciplina solo accademica, occasionalmente speri-mentata nelle scuole, fa sì che la sua natura sia votata al-la ricerca, più che alla didattica. Nella discussione scien-tifica, dunque, pur valendo il principio della crescita di-sciplinare, dello sviluppo critico delle tematiche, delconfronto dialettico fra ricercatori e specialisti, non si èformato un profilo didatticamente adattabile alle scuoledi ogni ordine e grado. È il cane che si morde la coda: inassenza di una destinazione scolastica, non si è resa ne-cessaria la produzione di strumenti didattici, di pro-grammi, di linee guida. E l’assenza di necessità non s’èfatta, dunque, virtù, nel senso che, salvo rari casi speri-mentali, non si sono prodotti materiali spendibili nelmondo della scuola. Ciò pone il problema dell’autorevo-lezza della disciplina: nel momento in cui se ne prospet-ta l’insegnamento scolastico, essa dovrebbe cessare diessere mera specializzazione accademica votata alla ri-cerca e rielaborarsi in una programmazione pluriennaleadatta alle età, ai cicli scolastici ecc. Anche questo aspet-to costituisce una ambiguità di fondo, che dovrebbe es-sere affrontata sistematicamente, questa volta, sì, rispet-to agli altri due punti indicati, con una responsabilitàoperativa diretta degli storici delle religioni.

2. Problemi identitari della disciplina

Di fatto, la discussione pubblica relativa all’insegna-mento sulle religioni in Italia raramente chiama in cau-sa la Storia delle religioni, nel titolo e, tantomeno, nel-

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la sostanza. Titolo e sostanza: di fatto un insegnamen-to istituito con questo nome, nel sistema universitarioitaliano, c’è da molto tempo, ossia dal lontano 1924 eora, mutatis mutandis, nella forma di settore scientificodisciplinare di una certa ampiezza e diffusione. Neldibattito intellettuale la ricorrenza di proposte più omeno estemporanee con titolature le più diverse è unacostante che andrebbe studiata a parte, anche compa-rativamente con altre situazioni a livello internaziona-le, in cui semmai si immaginano delle alternanze frauna disciplina storico-religiosa e una filosofica (“Eti-ca”, ad esempio). Finanche nel lodevole progetto dilegge Melandri di cui sopra si parla di “Introduzionealle religioni”, individuando poi in generici laureatinelle materie umanistiche e non nei laureati specializ-zati nelle scienze storico-religiose i potenziali docentidella nuova materia.

Il motivo per cui i sostenitori di qualsivoglia pro-getto di insegnamento “sulle religioni” prescindanodal cercare nel sistema istituzionale vigente l’unicasponda esistente, con un titolo e uno statuto, va stu-diato tanto dall’esterno quanto dall’interno. Se si guar-da alla Storia delle religioni dal di fuori, si capisce chel’ambiguità di cui sopra non ha giovato a fare della di-sciplina un qualcosa di riconoscibile da parte di unpubblico anche colto. D’altra parte, anche da un puntodi vista accademico, i saperi sulle religioni sono diffusiin materie filosofiche, antropologiche, sociologiche enelle specializzazioni disciplinari che si occupano disingoli contesti o di problematiche di vario genere, daquelle linguistiche, a quelle letterarie, a quelle storico-artistiche e via dicendo. Anche se non esistono più,con titolarità di settore, un’antropologia delle religionio una sociologia delle religioni, è indubitabile che ne-gli studi antropologici e sociologici lo studio delle reli-gioni ha, anche nel nostro Paese, tradizioni di grande

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rilevanza ed è di fondamentale importanza che questetradizioni siano conservate e incentivate, per l’assolutanecessità di continuare, migliorare, raffinare e diffon-dere lo studio e la comprensione delle questioni del-l’identità e dell’alterità. La Storia delle religioni condi-vide con altre tradizioni di studio l’interesse per le dia-lettiche della comparazione, ma al tempo stesso nondetiene l’esclusiva su queste prospettive, con cui entraspesso in relazione o contraddizione.

D’altra parte, tutti gli studi sulle religioni, da qual-siasi punto di vista disciplinare, metodologico o setto-riale, condividono una difficoltà di fondo, che è parteintegrante della cultura italiana in senso lato: la rimo-zione dell’attenzione per il fatto religioso e la sua dele-ga irrelata ai “religiosi”. È, questa, una tara profonda,che viene da lontano, e che al tempo stesso producesia l’analfabetismo relativo alla conoscenza delle reli-gioni, sia la connotazione degli studi scientifici sullereligioni, quando ci sono, come altamente specialisticie votati ad approcci di carattere strettamente storicista.Non è infatti vero che la delega ai religiosi sia sempreproduttiva, così come non è vero che sia sempre steri-le: da una parte, non tutti i religiosi hanno un interessereale per la conoscenza della propria religione, neiconfronti della quale possono nutrire grandi sentimen-ti di adesione, ma non necessariamente una reale com-petenza; dall’altra, quando fioriscono, anche gli studimaturati in contesti religiosi possono assumere carat-tere scientifico e reale conoscenza delle fonti e dei rea-lia che costituiscono la storia delle religioni. Questa de-lega, che è spesso anche auto-attribuzione, non ha ra-gione di essere e mostra, alla distanza, anche di essereparte integrante e determinante del sistema dell’anal-fabetismo religioso, che, per carità, è anche parte di unpiù generale sistema di analfabetismo culturale di cuil’Italia ama pascersi forse in maniera più clamorosa e

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dolorosa di quanto non sia per altri Paesi, in cui le tra-dizioni culturali non siano di eguale portata, rilevan-za, e prorompente evidenza.

Ma queste riflessioni generali, sulla collocazionedella disciplina nel panorama più ampio della culturaitaliana, non possono prescindere anche da uno sguar-do dal di dentro.

Nonostante una diffusa, prolungata condivisione diintenti e di prospettive, nonostante una coincidenzaampia nello studio dei contesti culturali e religiosi, laStoria delle religioni non è riuscita a proiettarsi al-l’esterno come una disciplina uniforme e coerente. Ciòpuò essere dovuto alla varietà di approcci, alle diffe-renziazioni metodologiche, diciamo anche a dinami-che relazionali complesse: insomma, a circostanze lepiù diverse. Sicuramente la capacità critica e auto-cri-tica che connota la disciplina è un grande vantaggio afavore della scientificità, intesa come ambizione al mi-glioramento della conoscenza, della comprensione,della capacità di descrivere e inquadrare le realtà os-servate. Vista dall’esterno, tuttavia, in assenza di me-diazione e di traduzione, questa dote si trasforma in li-mite e difficoltà. Se è pur vero, poi, che l’offerta didat-tica della scuola può e deve essere critica e stimolare lacostruzione di una conoscenza non passiva, tuttavia lastruttura dello statuto disciplinare deve apparire chia-ra, soprattutto al decisore pubblico, nella prospettivadella formazione degli insegnanti, dell’elaborazione diprogrammi, della costruzione degli strumenti didatti-ci. In altre parole: se una disciplina universitaria puòpermettersi e anzi deve garantirsi tutta la versatilitàdialettica della scienza, una disciplina scolastica deveessere costruita intorno a coordinate fondamentali efondanti. Sarebbe dunque improbabile e, sostanzial-mente, dannoso: proporre, anche solo in linea teorica,insegnanti formati secondo prospettive divergenti,

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contrastanti, contrapposte; non arrivare a una defini-zione univoca di programmi di insegnamento; nonelaborare letture necessariamente semplificate e me-diate del fatto religioso, che prescindano dalla com-plessità delle dispute accademiche, badando alla con-cretezza dei documenti e alla solidità dei risultati con-divisi. La difficoltà obiettiva di una simile ambizioneidentitaria non deve essere dissimulata, ma neanchepuò essere considerata come insuperabile e per questonon affrontata: ci tornerò nel prossimo paragrafo.

Una seconda problematica interna è data da una co-stante ormai affermatasi per motivi contingenti nell’oriz-zonte della disciplina: l’essere, cioè, le tematiche affron-tate dagli storici delle religioni italiani soprattutto anti-chistiche. Ciò finisce per connotare la Storia delle religio-ni come una disciplina del passato, a esso legata, senzauna capacità di proiezione efficace nel presente. È banalericordare che ogni studio del passato è compiuto nelpresente e a esso è funzionale. Tuttavia non è forse suffi-ciente accontentarsi di questa funzione per immaginareuna disciplina che possa essere fruibile da un pubblicoscolastico. Il problema dell’umanesimo della contempo-raneità, o di un umanesimo che possiamo e dobbiamodefinire globale (o post-globale) in una società fluida, sipuò e si deve basare sullo studio e la comprensione delpassato, ma non può prescindere da un’attenzione co-stante al presente. La domanda di conoscenza che potràsorgere in maniera sempre più pressante nelle nostreclassi e scuole multiculturali sarà sempre più legata allecredenze attuali, agli apparati simbolici in divenire, agliusi e ai costumi, alla definizione, alla percezione e tra-smissione e alle retoriche delle tradizioni, alle intersezio-ni, ai dialoghi interculturali e ai conflitti in atto più che aun’anamnesi del passato apparentemente fine a se stes-sa, a maggior ragione se invischiata in problematiche fi-lologiche e congetturali prive di una reale prospezione

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verso la comprensione delle trasformazioni e rielabora-zioni ideologiche e religiose che discendono nel tempofino al presente e verso il futuro. Da questo punto di vi-sta non si tratta di ridefinire le aree di studio di coloroche attualmente operano in questo settore scientifico di-sciplinare e seguono un percorso di studio individualeormai consolidato in carriere affermate e definite, bensìdi agire in maniera propositiva per le generazioni a ve-nire di studiosi, indirizzando ricerche e attività di studioanche nel senso di una maggiore proiezione sull’attuali-tà, mettendo a frutto le già citate potenzialità di intera-zione critica con le discipline religionistiche antropologi-che e sociologiche che individuano nel presente il pro-prio ambito di studio e di lavoro scientifico.

3. Proposte concrete

Queste considerazioni teoriche non possono nontradursi in proposte operative. Per certo gli organismidi riferimento del settore – a partire dalla Società Ita-liana di Storia delle Religioni – potranno individuaredelle politiche condivise di più ampio respiro e agirecon funzione di coordinamento. È bene tuttavia co-minciare a delineare delle idee, che possano crescere esvilupparsi in maniera adeguata e coerente.

3.1. Politica universitariaRiflettere sulla disciplina e sul suo statuto con una forte

proiezione all’identità. Come si è detto, la discussionestoriografica in materia di Storia delle religioni è fio-rente e nasce, in sostanza, con lo stesso Pettazzoni.Non credo che sia stato mai proposto un obiettivo diconformità esteriore, appunto di costruzione dell’iden-tità disciplinare, al fine di rappresentare in manieracondivisa campi di studio, obiettivi, metodologie.

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Questa riflessione non può che scaturire dall’internodella disciplina, dagli attori attualmente in essa impe-gnati e dalle esigenze comuni, nella contingenza attua-le e in una prospettiva di medio termine.

Difendere e incrementare le posizioni acquisite (corsi dilaurea, master, dottorati). Pur in un quadro di generaleregressione e di accorpamenti, sarebbe di grande im-portanza difendere le realtà attualmente istituite. Unavia praticabile, anche se complessa, è quella della co-struzione di percorsi interateneo: dove le risorse nonfossero sufficienti a strutturare o difendere le offerteattualmente esistenti, sarebbe verosimile e realizzabilela costituzione di consorzi fra università. Si deve tene-re conto anche del fatto che rispetto alle maglie strettedei requisiti minimi fissate dall’attuale normativa perl’attivazione di corsi di laurea e dottorati, l’istituzionedi master universitari e di scuole di alta formazione sibasa invece su normative locali, e conseguentementesulla buona volontà o disposizione dei docenti, in rap-porto agli organismi dipartimentali di appartenenza.

Ideazione di progetti di ricerca nazionali di settore. L’atti-vità in campo didattico potrebbe essere incentivata an-che dalla costruzione di una rete di ricerche tematicheche prevedano espressamente azioni interateneo (PRIN,FIRB ecc.). Su questo fronte già molto è stato fatto, ma sipotrebbe anche tentare un maggiore coordinamento na-zionale, fra i rappresentanti del settore scientifico disci-plinare, così da costituire dei luoghi reali e simbolici dilavoro e riflessione sia sulle questioni identitarie e me-todologiche, sia su quelle didattiche.

Incoraggiare una sperimentazione diffusa. Nel quadrodell’autonomia scolastica, è al momento possibile pro-porre progetti, sia candidando in prima battuta lestrutture universitarie, sia facendo riferimento ad as-sociazioni di studenti e di ex studenti, ora laureati, chepossano produrre una rete di esperienze e di lavoro

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nella scuola. Esistono varie possibilità per reperirefondi, a vari livelli: si tratta però di affiancare e seguirequesta sperimentazione in maniera costante, di verifi-care i risultati, di darne diffusione ed elaborare dei da-tabase che possano funzionare da osservatorio perma-nente. L’università può infatti proporsi come partnerufficiale a vari livelli, sia per gli enti locali che per l’as-sociazionismo o le organizzazioni non governative.

3.2. Politica didatticaElaborare strumenti e programmi sperimentali per diversi

ordini di scuole. Come si è detto nella parte teorica, unadelle difficoltà strutturali di qualsiasi progettazione inquesto campo si scontra con l’assenza di una riflessio-ne scientifica sui programmi. Che cosa insegnare, aquali fasce scolastiche, come, con quali strumenti?

Tutto questo può essere meditato e avviato attraver-so tesi di laurea, ricerche, pubblicazioni.

Strutturare la ricerca sui programmi vigenti, sui libri ditesto, sulle metodologie didattiche. Similmente, dovrebbeessere fatta oggetto di uno studio accurato l’attuale si-tuazione della trattazione del fatto religioso nei pro-grammi e negli strumenti didattici esistenti.

Collaborazione con gli insegnanti di ogni ordine e grado.Questi obiettivi possono essere avviati e realizzati an-che tramite una collaborazione strutturale con gli inse-gnanti. Le porte delle scuole sono sicuramente aperteal lavoro congiunto con le università, e moltissimi in-segnanti continuano la propria attività di studio e dilavoro scientifico. Si tratta anche di incanalare le risor-se, di verificare insieme progetti e obiettivi, di costrui-re reti di cooperazione.

3.3 Politica tout courtRelazionarsi con il potere legislativo. Come è noto, con

la chiusura della legislatura i progetti di legge decado-

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no, a meno che non vengano ripresentati da altri par-lamentari. Il lavoro avviato dal Progetto Melandri –deputato non rieletto nell’attuale legislatura – dovreb-be essere ripreso e promosso, interagendo con il deci-sore pubblico, promuovendo incontri che possano farpercepire la rilevanza di questa proposta di legge. Re-stano i dubbi sull’efficacia della politica, di cui sopra,ma in ogni caso la politica agisce anche per effetto del-la percezione di interessi reali nella società. In questol’università può giocare un ruolo di rilievo.

Relazionarsi con i decisori pubblici sia a livello europeosia a livello regionale e locale. Lo sviluppo di documentia livello sovranazionale, la presenza di fondi per l’areaculturale e sociale, oltre che scolastica, rende possibilel’apertura di un contesto operativo in questo senso. Lostesso dicasi, su base minore, e con impegno relativa-mente meno significativo, con amministratori locali.

Relazionarsi con gli ambienti ecclesiastici. Ferma re-stando la distinzione che ho illustrato più sopra, si de-ve tuttavia tenere presente il fatto che in Italia esistonodelle interazioni necessarie e opportune, su un pianoche è bene qui definire politico in senso alto, con le au-torità che sovrintendono alle questioni scolastiche daparte della Chiesa cattolica. Ciò serve non certo a otte-nere un nulla osta ecclesiastico, bensì a evitarne il sen-so tramite la via della conoscenza e della relazione. So-lo lavorando alla sostanza delle questioni ci si può pri-vare dei pregiudizi e dei malintesi, che conoscenza erelazione possono gradualmente vanificare.

4. Conclusioni

La curva della presenza della Storia delle religioniin Italia è sotto gli occhi di tutti. Maturata nell’arco dicirca venti anni per ragioni diverse, sia concorsuali che

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anagrafiche di vario genere, si percepisce in manieraesatta la tendenza negativa, lenta e inesorabile, versola scomparsa del settore scientifico disciplinare, giàaggregato, in maniera a dir poco forzata, per costituireun macrosettore concorsuale con altri settori di scarsao nulla congruenza scientifica. La struttura stessa delsistema delle abilitazioni nazionali non sembra poteressere la panacea, elargita dall’esterno, a un sistema incrisi. Si tratta dunque di rimboccarsi le maniche, colo-ro che hanno a cuore la sussistenza della disciplina, edi studiare insieme, finalmente a fondo, la relazionecon la scuola, le cui difficoltà e criticità ho cercato dienucleare in questo breve intervento. Il nodo dell’inte-ro discorso è: può la Storia delle religioni riformularsiin una prospettiva di utilità pubblica diffusa, contri-buendo alla formazione di figure professionali che ab-biano un posizionamento reale nel mercato del lavoro?O deve accontentarsi di mantenere un ruolo di studiospecialistico e accademico, riservato a una élite, la cuisorte, implicita nel voler essere un’élite, consiste nellagraduale riduzione degli organici?

Si tratta ora di cogliere le potenzialità di una con-vergenza difficile ma non impossibile. Dall’attuale cri-si strutturale delle discipline storico-religiose è possi-bile uscire e lo chiede la stessa cultura italiana, lo chie-de una società sempre più pluralizzata, che quantomai avrebbe bisogno, oggi, di criteri di conoscenza edi formazione diffusa sui temi dell’identità, dell’alteri-tà, della comparazione e dell’interazione.

ALESSANDRO SAGGIORO

Sapienza Università di Roma

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