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STORIA DELL'ARMA di ARTIGLIERIA PREMESSA EVOLUZIONE DEI MEZZI di LANCIO Le origini dei mezzi di lancio risalgono agli inizi della civiltà quando fecero la comparsa alcune apparecchiature in grado di lanciare a distanza oggetti di vario genere. Esse erano basate sulla possibilità che avevano alcuni materiali di produrre energia a seguito di una torsione. Questo materiale è costituito essenzialmente da nervi e da crini di animali e, talvolta, anche da capelli di donna. Sin dal quarto secolo dopo Cristo si hanno notizie da parte di alcuni scrittori, i quali consideravano molto potenti le Legioni romane anche per l’esistenza e l’oculato uso di macchine da getto. Le macchine utilizzate nel medio evo, tra cui le catapulte e le grandi balestre, derivano da quelle romane. Erano invece di origine orientali quelle macchine che usavano la gravità. Queste macchine lanciavano di tutto: pietre, palle di ferro e di bronzo, ecc., ma l’elemento fondamentale era il fuoco. Il vero precursore delle artiglierie fu il “fuoco greco” o “ fuoco marino”, come spesso veniva chiamato. Era una miscela di zolfo e calce viva che si infiammava a contatto dell’acqua emettendo grande fumo, puzzo e molto rumore. Lo utilizzarono con notevole successo i greci contro le navi nemiche ed i musulmani contro i crociati. All’inizio, venne adoperato soltanto nelle battaglie navali lanciato con catapulte o sifoni metallici secondo il principio dei razzi. Era molto efficace perché mandava a fuoco le navi costruite essenzialmente con legno, corde e tele. All’inizio del 900 venne usato anche contro le città e successivamente fece la comparsa anche sui campi di battaglia. La composizione della miscela, con il passar del tempo, venne modificata con l’aggiunta del salnitro, e la sua efficacia aumentò considerevolmente.

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STORIA DELL'ARMA di ARTIGLIERIA

PREMESSA

EVOLUZIONE DEI MEZZI di LANCIO

Le origini dei mezzi di lancio risalgono agli inizi della civiltà quando fecero la

comparsa alcune apparecchiature in grado di lanciare a distanza oggetti di vario

genere. Esse erano basate sulla possibilità che avevano alcuni materiali di

produrre energia a seguito di una torsione. Questo materiale è costituito

essenzialmente da nervi e da crini di animali e, talvolta, anche da capelli di

donna. Sin dal quarto secolo dopo Cristo si hanno notizie da parte di alcuni

scrittori, i quali consideravano molto potenti le Legioni romane anche per

l’esistenza e l’oculato uso di macchine da getto.

Le macchine utilizzate nel medio evo, tra cui le catapulte e le grandi balestre,

derivano da quelle romane.

Erano invece di origine orientali quelle macchine che usavano la gravità.

Queste macchine lanciavano di tutto: pietre, palle di ferro e di bronzo, ecc., ma

l’elemento fondamentale era il fuoco. Il vero precursore delle artiglierie fu il “fuoco

greco” o “ fuoco marino”, come spesso veniva chiamato.

Era una miscela di zolfo e calce viva che si infiammava a contatto dell’acqua

emettendo grande fumo, puzzo e molto rumore. Lo utilizzarono con notevole

successo i greci contro le navi nemiche ed i musulmani contro i crociati.

All’inizio, venne adoperato soltanto nelle battaglie navali lanciato con catapulte o

sifoni metallici secondo il principio dei razzi. Era molto efficace perché mandava a

fuoco le navi costruite essenzialmente con legno, corde e tele.

All’inizio del 900 venne usato anche contro le città e successivamente fece la comparsa anche sui campi di battaglia. La composizione della miscela, con il

passar del tempo, venne modificata con l’aggiunta del salnitro, e la sua efficacia

aumentò considerevolmente.

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Questo mezzo bellico non può essere considerato come una vera e

propria “artiglieria”, ma sta senza dubbio a mezza strada tra un razzo ed una

b.d.f. e portò, come vedremo alla nascita sia dei razzi che delle b.d.f.

E parliamo adesso delle b.d.f., cioè delle artiglierie. Da quel fuoco di cui abbiamo

appena parlato derivò la “polvere nera”, composto di carbone, zolfo e nitrato di

potassio, la quale ebbe una grande influenza non solo in combattimento, ma in

moltissimi altri settori della vita dell’uomo.

Essa, infatti, non venne adoperata come mezzo incendiario, bensì come esplosivo

di lancio, il quale dava al lancio di oggetti un impulso mai realizzato prima con

nessun tipo di macchina costruita fino ad allora.

Non si sa chi fu il primo che usò la polvere nera come propulsore di oggetti da

lanciare. Si sa, invece, che i primi impieghi risalgono al 1300.Naturalmente per

indirizzare i gas propulsivi occorreva qualcosa che li contenesse da tre lati e li

facesse espandere in una sola direzione in modo da imprimere energia ad un

predetermino oggetto.

A tale scopo furono costruiti dei “tubi” di metallo, ferro, principalmente, che

possiamo definire b.d.f.. Le prime b.d.f. furono di piccolo calibro e, generalmente,

vennero disposte su sostegni di legno.

Da questo momento si ha una evoluzione delle b.d.f., delle cariche di lancio, degli

oggetti da lanciare, dei mezzi di trasporto, ecc., evoluzione praticamente ancora in

atto.

Nei paragrafi seguenti vengono indicati i passaggi più significativi che riguardano

le b.d.f., che da adesso possiamo tranquillamente chiamare artiglierie.

Gli elementi che hanno spinto questa evoluzione sono tantissimi. Se ne citano

alcuni: effetti da realizzare, cioè qualità e potenza del colpo singolo, gittata,

manovrabilità, mobilità, economicità, ecc,,

All’inizio le artiglierie furono di piccolo calibro, ma ben presto, per soddisfare le

esigenze relative alla conquista di città fortificate, i calibri crebbero notevolmente; si conosce una bombarda da 595, quasi 60 cm. In tal modo nacquero delle vere e

proprie categorie di artiglierie, utilizzate a seconda degli scopi da raggiungere.

Si ha una prima suddivisione delle artiglierie, mentre il ferro, per la loro

costruzione, viene sostituito con il bronzo.

Abbiamo:

- la bombarda: era di uso generale e di dimensioni diversificate, sì che si

giunse ad applicare il nome di bombarda a qualsiasi specie di b.d.f. in senso

generico, come avviene oggi con la parola artiglieria;

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- la spingarda: era usata come artiglieria da fortezza;

- la colubrina: era il cannone pesante;

- il falcone: è una versione più moderna della colubrina;

- lo smeriglio: era una b.d.f. minuta utilizzata in campagna ed in montagna;

- il cannone: erano delle b.d.f. abbastanza lunghe e tale denominazione è

rimasta fino ai giorni nostri.

Lo sviluppo dei vari tipi di artiglierie ebbe un notevole impulso tra il 1450 ed il

1550 per merito del Duca Alfonso I d’Este , Signore di Ferrara e di Modena, il

quale perfezionò l’arte di fondere i metalli e quindi le b.d.f.. La sua artiglieria

divenne celebre in tutta l’Europa. Fu il primo ad impiegare con il criterio della

massa le varie bocche da fuoco.

Naturalmente esisteva il problema del caricamento: anteriore o posteriore.

Inizialmente si ha l’avancarica, ma già nel 1300 era apparsa la retrocarica,

soprattutto per le bombarde, che vennero costruite in due pezzi di cui uno

conteneva la carica di lancio.

Comunque la retrocarica non ebbe grandi successi, soprattutto per il fatto che

non si era ancora capaci di costruire un congegno che impedisse l’uscita

posteriore dei gas. Come vedremo si deve arrivare alla metà del 1800 per risolvere

questo problema.

Altro problema: la mobilità.

Il primo impiego di artiglieria mobile fu realizzato da Bartolomeo Colleone, il quale

nel 1467, nella battaglia della Molinella contro Federico da Montefeltro, , schierò

colubrine, spingarde e bombarde montate su carrette al seguito della fanteria per

contrastare il nemico avanzante e per incalzare lo stesso nel momento della

ritirata.

Anche il Re di Francia Carlo VIII nella sua guerra in Italia (1494), seppe trarre

grandi vantaggi dall’artiglieria impiegata in campo aperto.

La prima sostanziale innovazione si ha nel 1400. Essa consistette nel dotare di

orecchioni le b.d.f..In tal modo le b.d.f. furono in cavalcate su affusti a ruote.

Altre innovazioni si hanno sfruttando le intuizioni di Leonardo da Vinci, sono

tante, gli studi sulla traiettoria fatti da Nicolò Fontana detto Tartaglia (visse nella

prima metà del 1500) il quale pervenne alla conclusione che la traiettoria non aveva forma rettilinea, ma curva e la gittata massima si raggiungeva con un

angolo di 45°. Inoltre il Tartaglia inventò un congegno (un quadrante) per dare le

diverse inclinazioni alla b.d.f..Come si può notare si va sempre avanti e gli italiani

sono sempre all’avanguardia. Nel frattempo l’artiglieria cessava di essere un

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servizio, aleatorio, non indispensabile nella battaglia e divenne invece un

elemento indispensabile ed a volte decisivo. In tal modo venne a far parte degli

eserciti come terza forza, assieme alla fanteria ed alla cavalleria.

Altro passo in avanti fu fatto nel XV secolo con l’impiego di bombe o palle

scoppianti, incendiarie ed illuminanti.

Quelle più usate erano palle sferiche di ferro fuso. I proietti di piombo rimasero

per le armi portatili.

Tutte queste innovazioni portarono gli addetti ai lavori, agli inizi del 1600, a fare

una nuova catalogazione delle artiglierie, basata questa volta sul peso del

proietto.

Si hanno così:

- cannoni con palle da 12, 14, 25, 30, 40, 60, 100 e più libbre;

- cannoni con palle di pietra fino a 250 libbre;

- colubrine con palle da 4 fino 100 libbre;

ecc..

Il traino era animale. Per esempio, per trainare una colubrina da 60 libbre

occorrevano 20 buoi.

Da qui si capisce quanto complicato e difficile fosse il trasporto delle artiglierie in

quel tempo. Siamo nel 1600.

ALTRI PASSI IN AVANTI FURONO COMPIUTI IN QUEL TEMPO PER MERITO DI

GALILEO E DEL TORRICELLI, i quali dettero forma matematica agli studi sulla traiettoria, considerando anche la resistenza dell’aria, fino ad allora sempre

trascurata. Il Torricelli trovò anche un sistema matematico per la costruzione

grafica della traiettoria.

Man mano che gli eserciti si modernizzavano e l’industria dei metalli e delle polveri scoppianti e propulsive si sviluppava ulteriormente anche l’organizzazione

della nuova “Arma” , subì dei cambiamenti. Si separò nettamente il ruolo relativo

alla costruzione dei sistemi d’arma da quello del loro impiego.

Nacquero così in Piemonte e nel Regno delle due Sicilie , grazie anche a

personaggi di grande valore scientifico, arsenali e fabbriche per la costruzione di

cannoni, di proietti, di cariche di lancio e scoppianti, ecc..

Questo fervore costruttivo portò un notevole numero di matematici e di scienziati ad interessarsi sempre più di questo specifico settore, che in poco tempo ebbe un

grande sviluppo. Si costruivano, infatti, materiali sempre più precisi, più potenti,

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più efficaci, più manovrabili al punto che l’Artiglieria divenne elemento

indispensabile ed a volte anche decisivo nelle varie battaglie.

Ignazio Bertola “ ingegnere militare” realizzò un materiale di artiglieria da

montagna scomponibile in sei carichi da soma.

Ma il grande passo in avanti fu compiuto dal Gen, Cavalli (1808-1879), il quale

ideò, sperimentò e realizzò quattro importanti innovazioni.

La prima riguarda la retrocarica. Questo sistema non era decollato a causa della

mancanza di un otturatore che impedisse l’uscita posteriore dei gas. Il Gen.

Cavalli inventò un otturatore a cuneo ed uno ad anello metallico, che dettero

risultati positivi durante le sperimentazioni. A seguito di questi esiti positivi

nell’ottobre del 1843 Re Carlo Alberto ordinò che tale sistema venisse adottato

definitivamente. La retrocarica divenne “la soluzione” definitiva.

La seconda e la terza innovazione interessano il proietto e la rigatura della b.d.f...

Il Cavalli comprese che un oggetto oblungo incontrava meno resistenza nell’aria

di una palla più o meno sferica. Ma non poteva viaggiare senza alcun movimento

proprio in quanto, per la resistenza dell’aria, poteva, addirittura, rovesciarsi.

Comprese che doveva avere una rotazione lungo il proprio asse e ciò si poteva

ottenere solamente con una canna rigata.

Fece costruire allora una canna a retrocarica, con due righe interne

diametralmente opposte ed un proietto oblungo con due costole che, all’atto del

caricamento, si adattavano alle due rigature.

I risultati delle sperimentazioni furono esaltanti: La dispersione del tiro diminuì

sensibilmente e la gittata aumentò del 20%.

La quarta riguarda la realizzazione di un affusto leggero, ma nello stesso

tempo robusto con centro di gravità molto basso. Nacque così l’affusto mod. 1844

che un francese definì “la poesia degli affusti”.

Furono però i francesi a far entrare in servizio per primi i cannoni a retrocarica

rigati nella battaglia del 1859.

Da noi la retrocarica e la rigatura si concretizzarono nel decennio tra il 1860 ed il

1870.

I cannoni rigati a retrocarica del Cavalli ebbero il battesimo del fuoco con notevoli

risultati positivi negli assedi di Capua e di Gaeta (Nov. 1860-feb. 1861).

Altro settore evolutivo fu quello della costruzione delle b.d.f..

Si era passati dal ferro al bronzo e poi alla ghisa. Ma questi metalli non

rispondevano alle esigenze per diversi motivi. Erano costosi e di difficile

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lavorazione. L’affermazione nell’industria dell’acciaio risolse il problema. Dopo

adeguate sperimentazioni nel 1891 venne costruita la prima b.d.f. di acciaio.

Si apportarono innovazioni sostanziali anche a seguito della introduzione delle

polveri infumi, come l’accensione a percussione, l’introduzione del congegno di

punteria, la costruzione di scudi per la protezione dei serventi, mentre il Siacci

(1839-1907) non solo scoprì le leggi pratiche del tiro, ma inventò anche il tiro a

puntamento indiretto.

Anche l’affusto ebbe i suoi “curatori”. In questo settore si effettuarono, ma

purtroppo senza buoni risultati, diverse sperimentazioni per attenuare il rinculo

delle b.d.f..

Il primo tipo di artiglieria ritenuto generalmente a deformazione è un cannone

francese entrato in servizio nel 1897.

In Italia il primo progetto per l’allestimento di un esemplare di affusto a

deformazione riguardò un obice pesante campale da 149 e fu approvato nel 1903.

Il primo materiale a deformazione progettato e costruito in Italia fu il cannone da

65 per le truppe da montagna.

E così siamo alla prima guerra mondiale.

Quello che avvenne durante quella guerra sarà illustrato nell’ultima

“chiacchierata”.

Non si può procedere in questa disamina senza fare un cenno ai mezzi di

trasporto.

Con l’affermarsi della motorizzazione la mobilità del nostro Esercito cambiò radicalmente. Infatti, già nel 1916, per le operazioni che portarono alla conquista

di Gorizia, fu organizzato con ottimi risultati il primo autotrasporto di Grandi Unità. Anche la trazione meccanica delle artiglierie si impose rapidamente e

proseguì senza sosta durante e dopo la guerra. Si costruirono autocarri e trattori

per il traino delle artiglierie e per l’impiego su automezzi, artiglierie autoportanti.

Entrarono in servizio addirittura sei gruppi di artiglieria autoportata, che possiamo considerare i precursori dei moderni semoventi. Già nel 1917 ciascuna Armata disponeva di un proprio parco di trattori per il traino delle artiglierie. Fu

fatto un grande sforzo per costruire i mezzi di trazione adeguati per ogni tipo di

artiglieria in servizio, escluse naturalmente quelle costiere e da fortezza.

Si costruirono trattori con tutte e quattro le ruote non solo motrici, ma anche

sterzanti.

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Naturalmente si pose il problema del sistema di traino e, quindi, delle varianti da

apportare ai pezzi.

A tal fine si costruirono occhioni di traino, speciali carrelli elastici portanti

l’affusto, per cui il pezzo , in pratica, poggiava su quattro ruote, ecc. .

Il traino animale , con cavalli e muli, non venne abbandonato, specialmente il

secondo, molto utilizzato in montagna.

Due parole su quanto avvenne tra le due guerre e dopo la seconda guerra

mondiale.

Al termine della guerra molti materiali ormai obsoleti furono radiati dal servizio o

destinati a funzioni secondarie, mentre furono introdotti diversi pezzi di preda

bellica come il 75/13 rimasto in servizio anche durante la seconda guerra

mondiale.

Ma con l’evolversi delle varie dottrine militari sorse la necessità di disporre di

nuovi sistemi d’arma. Così furono introdotti:

- l’obice da 75/18 mod. 35 someggiabile e trainabile. Aveva anche un secondo

affusto che ne consentiva l’ippotraino sia da parte di muli, che di cavalli;

- l’obice da 149/19, che armò le batterie di C.A. in sostituzione del 149/12,

insufficiente per gittata;

- un cannone ed un obice di grande potenza per l’Artiglieria d’Armata, cioè il

cannone da 149/40, con gittata max di 27 Km e l’obice da 210/22 con

gittata max di 16 KM. Entrambi erano trainati da un trattore pesante di

grande potenza.

Furono introdotti altri materiali tra i quali il cannone da 90/53, che combattè in

tutti i campi di battaglia durante la seconda guerra mondiale.

La grande novità, però, furono le artiglierie semoventi.

Abbiamo così il cannone da 75/34 a grande gittata. Lo stesso materiale da 75/18

armò i primi gruppi smv nel 1941 su scafo del carro M 13.

Anche con il cannone da 90/53 si costruirono smv che combatterono in Russia.

Per finire vediamo cosa abbiamo avuto in servizio dopo la seconda guerra

mondiale.

Si tratta di materiali quasi tutti di fabbricazione straniera, ad eccezione del

105/14 di cui si parlerà alla fine dell’esposizione.

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Abbiamo:

- i cannoni da 75/35, cannoni c.c., da 140/30, da 88/27 e da 155/45;

- obici da 105/14, 105/22, 155/23, 203/25;

- smv M.7, con b.d.f. da 105/22, M 44 con artiglierie da 155/23, M 55 armati

con b.d.f. da 293/25, M 109G con arma da 155/23, M36 con cannone da

90/50 , M110 con b.d.f. da 293/39 ed il smv per eccellenza dotato di un

cannone da 175/60.

Anche l’Italia fu dotata di Razzi

All’inizio abbiamo l’Honest John, sostituito dal Lance, che a sua volta ha lasciato

il posto all’MLRS attualmente in servizio.

Dell’FH 70, del smv M109 L, del lanciarazzi MLRS e del smv in via di acquisizione

PZH 2000 vi parleranno i vostri insegnanti in quanto si tratta di materiale ancora

in servizio.

Prima di concludere due parole sull’obice, tutto italiano, da 105/14.

Conclusione.

Come è avvenuto in tutti i settori della vita dell’uomo anche l’Artiglieria ha avuto,

inizialmente, uno sviluppo lento, addirittura senza particolari innovazioni per

diversi decenni, per non dire di secoli.

A partire dalla metà del 1800, però, grazie anche all’apporto di scienziati e

matematici italiani come il Cavalli ed il Siacci, ed alla scoperta di nuove leghe

metalliche, nonché all’avvento dell’elettronica si è arrivati a costruire sistemi

d’arma come quelli in servizio, potenti, precisi e mobilissimi, in grado di poter

sparare anche in movimento.

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SECONDO PERIODO

LE CARICHE di LANCIO

Abbiamo visto che il primo vero passo avanti nella produzione di polveri da sparo

fu fatto quando fu inventata la polvere nera, composto di carbone, zolfo e salnitro.

Essa, si ricorda, venne impiegata non più come mezzo incendiario, ma come

esplosivo.

Non si sa esattamente chi riuscì ad usare questo nuovo ritrovato come mezzo

propulsivo. Si sa di certo che fu impiegato sin dai primi decenni del 1300.

Ma se esistono dubbi su chi inventò questa sostanza, esistono chiari documenti

che fanno supporre che l’Italia sia stato il primo paese in cui sia avvenuta una

adeguata elaborazione fino a conseguire risultati positivi.

Nei secoli successivi continuarono le sperimentazioni e solo più tardi si arrivò a

determinare diverse gamme di esplosivi e precisamente: detonanti, deflagranti e

scoppianti.

Il primo passo lo compì il chimico e medico piemontese Ascanio Sobrero (1812 -

1888) il quale inventò un prodotto alla nitroglicerina. Esplosivo potente e molto

sensibile.

Modificando questo prodotto con cellulosa ed altre sostanze si ottenne il

fulmicotone che venne utilizzato come carica di lancio.

I risultati della sperimentazione non furono, però, positivi, anzi alcune volte

furono disastrosi a causa dell’alto potere dirompente di questo prodotto.

In sintesi anziché bruciare in un tempo lungo, si parla sempre di frazioni di

secondo, bruciava quasi istantaneamente, si che la quantità di gas prodotta nell’unità di tempo era elevata e produceva spesso la deformazione permanente

della b.d.f..

La prima polvere di questo genere, comunemente chiamata polvere infume, di

pratico impiego fu preparata nel 1884 in Francia dal Vieille che seppe

“stemperare” il fulmicotone rendendone la reazione meno veloce e quindi meno dirompente.

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Ma il passo decisivo si ebbe nel 1888 quando l’ing. Svedese Alfredo Nobel inventò

la balistite ottenuta sfruttando la solubilità del cotone collodio nella

nitroglicerina.

Questo nuovo prodotto aveva la giusta reazione quando bruciava e la produzione

dei gas nell’unità di tempo era quella giusta per lanciare un proietto da dentro

una b.d.f.. senza danneggiare quest’ultima.

Questo nuovo prodotto si diffuse rapidamente in Europa ed il motivo è ovvio in

quanto rendeva le artiglierie più potenti, dando al proietto un impulso maggiore

di quanto avvenisse in passato.

L’Italia comperò la scoperta dal Nobel l’anno dopo e costruì le fabbriche per

produrre la balistite e rendersi indipendente dagli altri Stati, in questo specifico

settore. Anzi, perfezionò la scoperta e gli studiosi andarono oltre, scoprendo la

solenite, ottenuta come la balistite, ma con una percentuale più bassa di

nitroglicerina. La solenite viene impiegata principalmente nelle armi portatili.

Queste principalmente le sostanze impiegate nelle cariche di lancio sostanze che

vengono continuamente perfezionate e studiate per averne un effetto sempre più

potente, ma anche più sicuro nella produzione, nel maneggio, nel

confezionamento, nel trasporto e nell’impiego.

Delle cariche di lancio attualmente in servizio ve ne parleranno i vostri

insegnanti.

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TERZO PERIODO

RAZZI E MISSILI

Nella terminologia comune i termini razzo e missile vengono utilizzati

indipendentemente l’uno dall’altro.

Per noi militari esiste una differenza. Il razzo usa un combustibile solido, ma,

soprattutto, non ha alcuna guida durante il volo.

Il missile, invece, utilizza anche propellenti liquidi e, soprattutto, ha una

traiettoria modificabile, in quanto è dotato di congegni capaci di variarne l’assetto

in volo.

Ci occuperemo solamente di razzi.

Il razzo è basato su una semplice legge, scoperta da Newton: ad ogni azione

corrisponde una reazione uguale e contraria.

Per dirla con parole semplici, se un oggetto dotato di propulsione propria si

colloca in un contenitore cilindrico aperto nei due lati, al momento in cui si

generano i gas, questi escono da una parte e l’oggetto dall’altra.

Naturalmente la parte in cui escono i gas e più piccola rispetto all’altra.

Questa soluzione limita al massima, anzi elimina quasi del tutto il rinculo del

sistema di lancio.

Il razzo nacque praticamente con il “fuoco greco”. La sostanza veniva inserita in

un tubo con apertura anche posteriore e quando la miscela veniva accesa produceva dei gas che uscendo dalla parte posteriore, per reazione, spingevano la

massa “offensiva”. chiamiamola così, come una palla di fuoco, dall’altra parte.

I cinesi furono maestri in questo settore e ne perfezionarono il sistema

arrivando persino a produrre diversi tipi di razzi: offensivi, illuminanti, da

segnalazione, ecc..

Le origini riguardanti l’uso di razzi in guerra risalgono ad una campagna in India nei primi anni del 1780 nella quale gli indiani impiegarono razzi di grandi

dimensioni contro gli inglesi. Gli effetti furono notevoli, specialmente quando

erano diretti contro la cavalleria.

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Naturalmente seguirono studi ed esperimenti, specialmente in Inghilterra. Un

Colonnello, il Congreve, raggiunse risultati talmente positivi da dar luogo alla

costituzione di un corpo britannico di lanciatori di razzi, il quale ebbe un ruolo

importante nella battaglia di Lipsia (ott. 1813) dove si infranse la potenza di

Napoleone.

Il Congreve approfondì le proprie ricerche arrivando a costruire anche razzi che

sostanzialmente riproducevano gli stessi effetti dei proietti allora esistenti.

La stabilità lungo la traiettoria era determinata da alcune alette poste nella parte

posteriore dell’ugello , le quali (alette) imprimevano al razzo una forte rotazione

lungo il proprio asse longitudinale.

Vediamo adesso quali furono le principali armi derivate dai razzi che furono

impiegate durante la seconda guerra mondiale:

- “bazzooka”. Era un’arma c.c.;

- “katiuscia”. Lanciarazzi multiplo utilizzato dai russi, che poteva essere

montato su autocarri. Era costituito da 12 grossi razzi che potevano essere

lanciati tutti quasi contemporaneamente.

Naturalmente questo sistema d’arma e tutti gli altri similari non avevano una

grande precisione, ma sopperivano a questa deficienza con l’alto volume di fuoco

nell’unità di tempo.

Anche i tedeschi avevano un simile sistema d’arma a sei canne, montate su

affusto che consentiva il puntamento anche delle singole canne.

Vi furono altri sistemi d’arma simili a questi, come i razzi per velivoli, razzi c/a,

bombe a razzo alate , ecc., di cui non parleremo per mancanza di tempo.

Invece un cenno meritano le famose “bombe volanti” tedesche comunemente

conosciute con la sigla V/1 e V/2, dove la lettera V è l’iniziale di una parola

tedesca che vuol dire : “arma della vendetta”.

La V/1 e poi la V/2 furono l’arma più potente realizzata dai tedeschi durante la

seconda guerra mondiale.

Era un minuscolo aereo senza pilota, con propulsione a reazione, carico di

esplosivo.

Portava sulla parte anteriore una bomba da 1000Kg..La fusoliera era lunga circa 8 metri, l’apertura alare 5 e portava circa 700 litri di benzina. Doveva essere

lanciato da apposita rampa e raggiungeva la velocità di circa 600 Km all’ora.

Un’arma del genere non poteva essere molto precisa e , pertanto, veniva

impiegata contro obj vasti, come le grandi città.

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Aveva, però, degli inconvenienti . A causa della velocità abbastanza bassa e della

rotta della traiettoria quasi sempre costante, veniva spesso intercettata ed

abbattuta dai caccia o dalla c/a inglese.

A volte, addirittura, scoppiava in partenza con tutte le conseguenze che ne

derivavano sul personale addetto e sugli impianti di lancio.

Per questo le sperimentazioni con altri sistemi non si fermarono ed alla

fine nacque la V/2.

Era un vero e proprio aereo a reazione senza pilota, che porta la stessa bomba

della V/1.

Aveva la forma di un siluro lungo quasi 14 metri ed un diametro di circa quattro

metri e mezzo.

Il V/2 partiva con un forte angolo di 85° allo scopo di attraversare la parte bassa

dell’atmosfera, quella che presentava maggiore resistenza al volo, il più presto

possibile e, raggiunta la quota di circa 19.000 metri, mutava il suo assetto fino

all’inclinazione di 45° , angolo di gittata massima.Aveva una gittata massima di

circa 400 Km e la sua precisione era notevolmente superiore a quella della V/1.

Durante la sperimentazione, su cento sistemi lanciati, ben 80 raggiunsero l’area

prefissata.

Visti questi risultati nel 1943 Hitler dette la priorità assoluta ala costruzione di

quest’arma.

In meno di sei mesi ne furono lanciati più di 4000 e ben la metà sull’Inghilterra..

Più di 1200 colpirono Londra.

Come si è potuto constatare nel settore di armi a razzo i tedeschi erano

all’avanguardia durante la seconda guerra mondiale, come gli Stati Uniti lo furono nel settore atomico, e quando la guerra finì gli alleati, soprattutto russi ed

americani, fecero sforzi immensi per impossessarsi di sistemi d’arma del genere appena illustrato e per assicurarsi la collaborazione di scienziati tedeschi.

Famoso tra questi fu Von Braun, padre dei voli spaziali americani.

Per quanto riguarda il nostro Esercito, una volta entrato a far parte della NATO, venne dotato di un sistema a razzo, l’Honest John , in grado di trasportare anche

un ordigno nucleare che armò la nostra Brigata Missili.

Diventato obsoleto, agli inizi degli anni 80, venne sostituito da un sistema più

moderno, denominato Lance. Anche questo è stato radiato dal servizio e sostituito

dal sistema MLRS, attualmente in servizio.

E passiamo adesso all’ultimo argomento previsto per oggi: i mezzi tecnici.

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I MEZZI TECNICI

I mezzi tecnici dei primi tempi consistevano in attrezzature rudimentali di vario

genere per la misurazione soprattutto di distanze e, successivamente, anche di

angoli.

Il loro sviluppo si ebbe con l’introduzione del puntamento indiretto dei pezzi di

artiglieria e con la necessità di realizzare le varie reti topografiche.

L’Italia entrò nel 2° conflitto mondiale con le apparecchiature concepite e

realizzate parecchio tempo prima.

Il goniometro mod. 12, rustico, ma pratico e leggero, assieme alla cassetta dei

“mezzi metrici”, alla tavoletta di “artiglieria” ed ad alcuni telemetri di piccola base

costituivano gli strumenti principali per effettuare le operazioni a livello gruppo.

I Reparti specialisti di artiglieria avevano in dotazione anche apparati per il

rilevamento delle vampe.

Si trattava nell’insieme , a quel tempo, di strumentazione di livello elevato, ma di

impiego né semplice e né rapido.

Dopo il secondo conflitto mondiale vi fu uno sviluppo più accentuato .

Di seguito vengono indicate, nelle linee generali, le realizzazioni più significative e

riguardano: misuratori di angoli, di distanze, di elementi atmosferici strumenti

per la determinazione dei dati di tiro.

I principali strumenti che sono stati usati per la misurazione degli angoli sono i

teodoliti, i goniometri e le bussole.

Il teodolite è uno strumento molto preciso che misura angoli azimutali e zenitali.

Accoppiato ad una stadia orizzontale concorre anche alla misurazione di distanze.

Veniva usato per triangolazioni e per le poligonali e, pertanto per la realizzazioni

di reti topografiche di un certo livello e di una certa complessità.

I teodoliti più usati erano:

Wild T2.

Oltre a quanto detto in generale per i teodoliti, questo apparato consentiva anche

osservazioni astronomiche. Il peso totale era di circa 14 Kg e si componeva di tre parti : lo strumento vero e proprio, il treppiede e la custodia: Gli angoli venivano

misurati in gradi sessagesimali, primi e secondi;

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Teodolite Salmoiraghi.

Sostanzialmente uguale all’altro e veniva utilizzato per la determinazione dei

punti terminali della rete di artiglieria;

Teodolite Galileo.

Non si differenzia dagli altri due se non per il fatto che accoppiato ad una

fotocamera poteva essere usato per lavori di fotogrammetria terrestre.

Tra gli altri strumenti per la misurazione degli angoli vi sono i goniometri. Sono

meno complessi dei teodoliti e vengono usati per la preparazione topografica di

gruppo e di batteria e per la formazione del fascio parallelo.

Misurano generalmente angoli azimutali e di sito.

I più utilizzati sono stati:

Goniometro M1.

Misura gli angoli in millesimi convenzionali ed accoppiato ad una stadi di

artiglieria concorre alla misurazione di distanze fino a trecento metri;

Goniometro mod. 12.

Stesse caratteristiche del Mod. 1, ma più rustico;

Goniometro mod. B.

Veniva usato, con l’ausilio di pallone, per la misurazione del vento in quota.

Per la misurazione di distanze abbiamo: stadie, utilizzate con i goniometri, rotelle

metriche, telemetri a coincidenza e distanziometro elettronico. Quest’ultima

apparecchiatura, all’avanguardia nel momento in cui negli anni 70 entrò in

servizio, è idonea a misurare distante fino a 50 Km.

Per la misurazione degli elementi atmosferici:

sistema per il radiosondaggio THOMMEN – HASLER.

È un’apparecchiatura elettronica idonea a rilevare la posizione di una radiosonda in ascesa libera , di ricevere i radiosegnali relativi alle situazioni atmosferiche e

trasmetterli, sotto forma di impulsi elettronici, ad un impulsografo. Si compone di

numerose parti. Le più significative sono: l’antenna, il gruppo degli apparati,un

gruppo direzione, un treppiedi, due gruppi elettrogeni, una cassa di accessori,

ecc.;

anemometri per la misurazione del vento,

barometri per la misurazione della pressione barometrica,

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termometri per la misurazione della temperatura, specialmente quella delle

cariche di lancio al momento del loro impiego,

orologi per la misurazione del tempo,

psicrometri per la misurazione dell’umidità dell’aria;

palloni di vario tipo e dimensioni;

strumenti per l’elaborazione dei dati meteo al fine di determinare i dati

necessari per la compilazione del messaggio meteobalistico;

per l’acquisizione degli obiettivi:

- bussole,

- binocoli,

- goniometri,

- rilevatori di vampa,

- orologi,

- ecc.

per il tiro:

- tavoletta per il tiro mod. 68,

- cassetta per mezzi metrici,

- apparecchiature per falsi scopi diurni e notturni,

- apparati di illuminazione di vario genere, ecc.

Queste le realizzazioni più significative. Naturalmente con l’avvento

dell’elettronica e del raggio laser le cose sono molto cambiate e le apparecchiature attualmente in servizio ne sono la testimonianza. Ma di esse vi parleranno i vostri

insegnanti.

RICORDO CHE IL TUTTO VIENE FATTO CON UNO SCOPO BEN PRECISO:

PERMETTERE AL PROIETTO COMBATTENTE (noi artiglieri combattiamo

con il proietto) di RAGGIUNGERE AL MOMENTO GIUSTO, NEL PUNTO

GIUSTO, IL BERSAGLIO GIUSTO CON IL CARICAMENTO GIUSTO ( HE, a

tempo, illuminante, nebbiogeno, a caricamento speciale, ecc.).

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QUARTO PERIODO

GLI ORDINAMENTI DELL’ARTIGLIERIA NELLE VARIE EPOCHE

Dopo aver tratteggiato nelle linee essenziali, nella scorsa chiacchierata,

l’evoluzione dei mezzi di lancio, delle cariche di lancio, dei razzi e dei mezzi

tecnici, in questi due periodi saranno illustrati: nel primo, gli ordinamenti

dell’Artiglieria nelle varie epoche; nel secondo, invece, si parlerà della nostra

Patrona Santa Barbara e della Bandiera dell’Arma di Artiglieria.

Anche per questo argomento, come già fatto per quelli precedentemente illustrati,

saranno trattati i passi più significativi e più interessanti, con particolare

attenzione al periodo post bellico.

Le prime rudimentali forme organiche della nuova arma si hanno nel XIII secolo,

quando l’Artiglieria veniva considerata più un servizio, che una vera e propria

arma da combattimento.

Era usanza che i pezzi venissero prodotti da artigiani detti “maestri cannonieri”, i

quali andavano, poi, con l’arma, a mettersi a disposizione dell’uno o dell’altro

sovrano.

Nel XIV l’Artiglieria cessò di essere considerata uno strumento sussidiario, con

impiego eventuale ed entrò definitivamente a far parte degli eserciti come

indispensabile terzo elemento della battaglia assieme alla Fanteria ed alla

Cavalleria.

Naturalmente acquistò sempre più importanza e si fece sempre più numerosa,

per cui era necessaria una certa organizzazione.

Sorse così la figura del Capitano Generale, coadiuvato , per il vero e proprio

“maneggio della guerra”, da un Mastro di campo generale , da un Capitano di Cavalleria ed un Generale di artiglieria. Da quest’ultimo dipendevano tutti gli

operai ed i “gentiluomini” volontari, al cui valore era specialmente affidata la

custodia dei pezzi, i “maggiordomi”, i quali distribuivano le munizioni, i

“conestabili” o “capi mastri” preposti agli artiglieri ed ai loro aiutanti.

Gli artiglieri si dividevano in “cannonieri”, cui era affidato il maneggio dei cannoni e “bombardieri” o “artificieri” , che componevano gli artifizi da guerra e

“ministravano le artiglierie da tiro ricurvo”.

I cannonieri ed i bombardieri percepivano una paga quadrupla di quella dei

semplici soldati ed avevano un garzone al loro servizio.

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Precursore dell’organizzazione dell’Artiglieria in Italia fu il Duca di Savoia

Emanuele Filiberto, tra il 1560 ed il 1580.

Egli divise il personale in “fonditori” e “costruttore”, “bombardieri” ed “artiglieri”,

“conducenti” per il traino e “minatori” per le opere di mina.

Nel 1603 Carlo Emanuele I militarizzò l’Artiglieria, escludendo le maestranze

addette alla costruzione dal personale combattente. Questo fu certamente un bel

passo in avanti.Tale personale il 20 luglio del 1625 fu riunito in una compagnia,

assumendo in tal modo la fisionomia di una vera e propria unità dell’Esercito.

Nel 1667 Carlo Emanuele II pose l’Artiglieria tutta agli ordini di un Gran Maestro

e per la prima volta, nel 1671, stabilì una specifica uniforma.

Il 20 maggio 1696 Vittorio Amedeo II, Duca di Savoia e poi primo Re di Sardegna,

con un nuovo ordinamento, creò un battaglione di cannonieri di sei compagnie

“bombandieri”, una di “maestranze” ed una di “minatori”. Si cominciano a

intravedere gli ordinamenti moderni, con la separazione dei compiti dei vari

elementi che compongono l’Artiglieria.

Verso la metà del XVIII secolo Carlo Emanuele III, riorganizzando l’intero suo

Esercito:

- concesse la Bandiera all’Artiglieria nel 1739;

- istituì le RR Scuole di Artiglieria e fortificazione;

- creò un Reggimento di Artiglieria , era il 25 maggio del 1743, che nel 1775 si

tramutò in Corpo Reale di Artiglieria.

Nasce così il Reggimento, struttura ordinativa che sussisterà sempre, anche se

con composizioni diversi.

A quel tempo dell’Artiglieria facevano parte anche gli “ingegneri militari”

precursori dell’Arma del Genio.

La Scuola di Artiglieria fu destinata alla formazione degli Ufficiali. Fusasi nel

1821 con la preesistente Regia Militare Accademia, assunse la denominazione di

“Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio”.

Anche nel Regno delle Due Sicilie si ebbe una grande evoluzione dell’Artiglieria in

tutti i suoi settori, soprattutto per opera del principe Carlo Bilancieri, grande appassionato ed intelligente organizzatore, che ne fece una delle più moderne di

quei tempi.

Dopo una certa decadenza dovuta all’occupazione del Piemonte da parte di

Napoleone, l’Artiglieria riprese il suo cammino evolutivo, anche nel settore

dell’ordinamento, a partire dalla restaurazione che avvenne nel 1814.

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In breve tempo fu ricostituito il Corpo Reale di Artiglieria, il quale dopo pochissimi

anni, poteva disporre di : sei compagnie di artiglieria di linea, quattro compagnie

di artiglieria leggera, otto compagnie di presidio ed una compagnia di maestranze.

Evolvendo le artiglierie e le dottrine d’impiego degli eserciti, anche l’artiglieria subì

delle trasformazioni che portarono alla nasciti di numerosi reggimenti con

materiale specifico per determinati azioni sul campo di battaglia. Per cui abbiamo

i Reggimenti di Artiglieria: da campagna, a cavallo, da montagna, pesante

campale, pesante, da fortezza, c/a, ecc.

Nascono anche, poco prima della prima guerra mondiale, le bombarde ed i

bombardieri, i quali avranno un ruolo di primo piano durante tutta la guerra.

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QUINTO PERIODO

LA BANDIERA DELL’ARTIGLIERIA

La concessione ufficiale della Bandiera all’Arma di Artiglieria avvenne nel 1739.

La sua storia è abbastanza lineare ad eccezione del periodo compreso tra l’8 set.

1943 e la fine della seconda guerra mondiale, in quanto, divisa in molte parti,

venne custodita da alcuni Ufficiali, che subirono le tristi traversie della prigionia

e, quindi, dei campi di concentramento. Farò un excursus abbastanza veloce fino,

appunto all’8 set. del 43.

Dei due anni successivi , meritevoli di grandi riflessioni, illustrerò anche alcuni

particolari.

Il 20 dic. Del 1696 venne firmato l’atto di nascita dell’Artiglieria piemontese.

Infatti, il battaglione cannonieri assunse il nome di “Battaglione di Artiglieria”,

venendo a far parte integrante dell’Esercito piemontese.

Col passare del tempo la nuova Arma assumeva sempre più importanza sui

campi di battaglia,dove costantemente si distingueva per perizia ed efficacia.

Aumentò sensibilmente i suoi organici fino ad assumere la configurazione di

Reggimento nel 1739. Per tale ampliamento, per il valoroso comportamento

tenuto in tutte le guerre cui aveva partecipato e per equipararla alle altre unità

dell’Esercito, appunto, con la regolamentazione emessa il 6 aprile del 1739 dal Re

di Sardegna, all’Artiglieria furono concesse due Bandiere: una di “Battaglione” o

di ordinanza ed una di “Reggimento” o “Colonnella”, che era simile a quella dei

Reggimenti di fanteria.

Nel 1775 la forgia di queste due Bandiere venne cambiata ( come si può notare

dalle lastrine).

Con queste bandiere l’Artiglieria partecipò a tutte le guerre e solo nel 1814, alla

restaurazione dopo la caduta di Napoleone ed a seguito del riordino dell’Esercito

sabaudo, Vittorio Emanuele I ricambiò i vari stendardi ed all’Artiglieria assegnò ancora due bandiere: una di “Reggimento” ed una di “Battaglione”, di

quest’ultima, però, non si ha alcuna traccia.

Vi furono altri cambiamenti nel 1822, a seguito del cambio di denominazione del

Reggimento in Brigata. Veniva consegnata la nuova bandiera di Brigata, mentre

quella di Rgt. veniva conservata nel Museo Nazionale di Artiglieria.

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Arrivano altri cambiamenti, di cui, però, non si hanno notizie. Si sa

solamente che nel 1842 l’Artiglieria aveva ancora due Bandiere: una di “Brigata”

ed una di “Reggimento”, quella di “Battaglione” non esisteva più. Così si arriva al

1848 quando fu introdotto il Tricolore.

Le due Bandiere al 12 aprile del 1901, quando la bandiera, per volere del Re, fu

consegnata all’Arma di Artiglieria, nelle mani dell’allora Ispettore Generale, e,

quindi, trasferita a Roma.

Da questo momento è un turbinio di passaggi: nel 1903, dopo la sostituzione del

drappo, venne affidata al 3° Rgt. di stanza a Roma, nel settembre del 1918 fu

portata in zona di guerra, al termine della quale fu consegnata ( 3 luglio 1919) al

Duca d’Aosta che il 29 giugno del ’20 la restituì al 3° Rgt., trasferendola a Roma.

Dopo un secondo cambio del drappo fu assegnata, nel mese di novembre del

1926, al 13° Rgt. A. cam., il quale, il 12 gennaio del ’36 la affidò all’8° Rgt.a. di

C.D., di stanza in Roma.

Scoppiata la seconda guerra mondiale la Bandiera dell’Arma di Artiglieria seguì le

sorti dell’8° Rgt che l’aveva in consegna, il quale operò prima sul fronte

occidentale e poi nei Balcani.

L’8 set. del 1943 il Rgt. si trovava in Grecia ed il 12, il Comandante, Col. Ornano

Enrico, per evitare che la Bandiera cadesse in mani nemiche, decise di

suddividerla in diverse parti affidandone la custodia ad alcuni Ufficiale e

precisamente: la freccia a se stesso, il drappo al Capitano Massimiliano Gragnoli,

, Aiutante Maggiore del Rgt., le decorazioni al Magg.Giuseppe Siliparandi e la

documentazione al Ten. Giorgio Cornuta.

L’asta e la fascia azzurra furono bruciate.

Da quel giorno le diverse parti della Bandiera furono al centro degli episodi che

travagliarono la vita dei rispettivi possessori, soggetti, nei vari campi di prigionia,

alle continue vessazioni del nemico.

Si può comprendere quanto difficile fosse per ciascuno superare le continue

ispezioni senza farsi scoprire.

Nel 1947 la Bandiera, come d’altra parte tutte le Bandiere d’Italia, fu cambiata

per l’avvento della Repubblica. Quella vecchia venne consegnata al Museo Storico

del Risorgimento presso l’Altare della Patria.

Si arriva così all’ultimo atto.

Il 4 novembre del 1947 in Roma, nella caserma “Luciano Manara” in una solenne

cerimonia, avvenne la consegna della Bandiera dell’Arma di Artiglieria alla Scuola

di artiglieria nelle mani del suo Comandante Colonnello Mario Brunelli. Da allora la Bandiera della nostra Arma viene custodita a Bracciano. Al suo cospetto

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generazioni di Ufficiali, Allievi Ufficiali e soldati hanno prestato giuramento di

fedeltà alla Patria.

Di seguito le decorazioni al Valor Militare di cui è insignita.

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"SANTA BARBARA "

PATRONA DEGLI ARTIGLIERI

Le polveri piriche, sin dalla loro incerta e casuale scoperta e poi durante la loro

rapida affermazione, furono sempre causa fortuita di disastri a volte anche con

notevoli perdite umane. Così come non fu esente da pericoli e da incidente

l’affermarsi nel tempo delle artiglierie.

In tutti coloro che avevano a che fare con questi materiali, specialmente nei

“Bombardieri”, si venne a determinare una sorta di timore reverenziale, se non

addirittura l’insorgere di vere e proprie paure a causa di incidente che potevano

accadere in qualsiasi momento.

Nacque così nel personale il desiderio di una protezione sovrumana ed allora si

cominciò ad invocare Santa Barbara in considerazione del suo Martirio in cui il

fuoco aveva avuto parte predominante.

Di tale culto l’accenno storico più antico che si conosca si trova in un’ordinanza

delle milizie cittadine di Firenze del 14 dic. 1529, ma certamente esso risale ad

epoca più remota.

Numerosi scrittori trattarono questo argomento a partire dal XVI secolo, dai quali

si apprende che spesso gli addetti ai lavori, prima di operare, invocavano la

protezione della Santa, facendo a volte, anche, il segno della croce, con la palla,

davanti la volata, prima di essere introdotta nella b.d.f. .

Una precisa indicazione su questo argomento, si ha in un libro di istruzioni di

artiglieria, scritto nel 1596 dal nobile vicentino Signor Giacomo Marzari, Capitano

e Maestro dei “Bombardieri” della Serenissima, nel quale si parla chiaramente del

personale, che in qualche modo ha a che fare con le artiglierie, il quale “ si mise

nella protezione e patrocinio di Santa Barbara…….”.

Anche numerosi prelati, tra cui diversi Vescovi, sin dal XIII secolo, parlano del

culto di Santa Barbara, inizialmente espletato per ricevere grazie, soprattutto da

persone affette da gravi malattie.

Sulla storia di Santa Barbara non vi sono scritti storici, ma riferimenti a credenze popolari ed a fatti storici collaterali, per cui non tutti gli studiosi sono concordi

nella collocazione temporale della Santa e nella definizione del luogo di nascita.

Su un solo argomento vi è sostanziale concordanza di vedute, sul suo martirio.

Per questo motivo la vita di Santa Barbara è circondata anche da leggenda.

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La storia o leggenda più accreditata della vita della nostra Patrona è all’incirca

quella di seguito riportata.

Barbara, dal sostantivo barbaro, nacque all’inizio del III secolo d.C. da Dioscoro,

ricco patrizio di Nicomedia in Bitinia (Asia Minore).

Era molto bella, intelligente e sensibile e sin dalla fanciullezza, aiutata in questo

dal Vescovo Origene, si convertì alla religione Cristiana abbracciandone

convintamene la fede.

Il padre voleva darla in sposa a qualche ricco giovane, e tanti aspiravano ad avere

Barbara in moglie.

Ma la ragazza non ne voleva sapere e, nonostante le minacce ed a volte anche le

percosse del padre, non recesse mai dalle sue decisioni. Ma nemmeno il padre

cambiò

idea e quando comprese che la figliuola, nonostante le persecuzioni fisiche e

psicologiche cui era stata sottoposta, perseverava nella sua fede cristiana, decise

di rinchiuderla in una torre appositamente costruita con due sole finestre. Mentre

veniva costruita questa torre il padre dovette assentarsi per qualche tempo da

Nicomedia e Barbara convinse i costruttori a fare una terza finestra.

Al ritorno, Dioscoro, chiese conto alla figlia del motivo del cambiamento del

numero delle finestre ed essa rispose che tre erano le vie per le quali la vera fede

penetra nello spirito di un buon cristiano, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Questa fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. Dioscoro denunciò la

figlia al Prefetto di Nicomedia, Marciano, il quale, avendo fallito tutti i tentativi per

convincere la ragazza a lasciare la fede cristiana ed ad aderire alle richieste del

padre, la condannò al supplizio.

Il martirio di Barbara, alcuni lo collocano nella seconda metà del III secolo d.C., altri agli inizi del IV, cominciò con dure percosse, alle quali ella peraltro rimaneva

insensibile e non ne riportava alcun danno. Le furono strappate lembi di carne

mediante uncini di ferro, ma le ferite risanavano immediatamente. Furono

accostate ai suoi fianchi fiaccole accese, ed esse si spegnevano senza farle alcun

male. Costretta, per l’udibrio, a girare nuda per le strade della città, sembra che un angelo protettore le abbia coperto il corpo con un sottile velo. Alla fine il

Prefetto, esasperato, la condannò a morte mediante decapitazione. E qui avvenne

un fatto veramente terribile: il padre Dioscoro chiese ed ottenne di eseguire

personalmente la sentenza.

Barbara, quindi, morì sotto i colpi di suo padre.

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Si racconta che il padre, al termine dell’atto esecrato, mentre si allontanava dal

luogo del martirio della figlia, fu colpito da un fulmine che lo incenerì senza

lasciare alcuna traccia del suo corpo bruciato.

Da quel momento Barbara venne onorata da tutti i cristiani, che ne

riconoscevano il coraggio, la determinazione, la purezza, la fede incrollabile in

Dio.

Molte Chiese vantano reliquie di Santa Barbara, mentre altre ne portano il nome,

così come innumerevoli sono i luoghi che, per motivi vari, vennero intitolati alla

Santa. Classico il nome di Santa Barbara dato al deposito munizioni delle unità

navali.

Come si è detto all’inizio anche gli Artiglieri la venerarono al punto da elevarLa a

loro Santa protettrice.

Ma non furono solo loro a rivolgersi a Santa Barbara; lo fecero anche i marinai da

guerra, i minatori civili e militari, i Genieri ed infine i Vigili del Fuoco. Santa

Barbara vigila anche su di loro.

La vita e la bellezza di Barbara non sfuggirono nemmeno ai grandi pittori e

scultori che la ritrassero in tanti modi, tutti però esaltandone la purezza interiore

ed il coraggio nell’affrontare le torture prima e la morte dopo.

Il culto però ebbe riconoscimento ufficiale solo il 4 dic. del 1951, quando Papa Pio

XII, su proposta dell’Ordinario Militare per l’Italia, proclamò “ ufficialmente e

solennemente Santa Barbara di Nicomedia Celeste Patrona degli Artiglieri, dei

Marinai, dei Genieri e dei Vigili del Fuoco”. Questo “Patronato” è stato ed è senza

dubbio ben riposto in quanto numerosi sono i fatti gravi accaduti le cui

conseguenze, inspiegabilmente, sono state di lieve entità, soprattutto per le

persone.

Ad uno di questi fatti gravi ha assistito personalmente l’autore di questo semplice

e modesto elaborato.

Nel mese di dic. del 1961, i frequentatori del Corso Tecnico applicativo del 14°

Corso dell’Accademia Militare, specialità art. mon., svolgevano un’esercitazione a

fuoco, con un esemplare di mortaio da 120, a Monteromano. Al quarto o quinto colpo la bomba scoppiò appena fuori dalla volata, crivellando di schegge il terreno

ai lati e davanti al pezzo. Per quale circostanza non si sa, ma tutte le circa 20 persone, serventi al pezzo ed addetti al posto comando di btr. ( situato ad una ventina di metri dietro al pezzo) ne uscirono indenni ad eccezione di un

Sottotenente, che venne lievemente ferito da una scheggia ad una gamba.

Casualità? Forse. Ma tutti i presenti fummo sicuri che in qualche modo c’entrava Santa Barbara. Senza dubbio Il culto di Santa barbara è stato sempre molto

sentito fra di noi Artiglieri ed il 4 dic. di ogni anno la ricordiamo con religiosa

attenzione e ricocente devozione.

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SESTO PERIODO

IMPIEGO DELL’ARTIGLIERIA

DALLE ORIGINI FINO AGLI INIZI DEGLI ANNI 80

CENNI

Non appena la nuova arma si va affermando, sia pure lentamente, se ne prevede

un impiego nelle varie controversie armate al fine di trarne un utile vantaggio.

Sin dal XIV secolo si cominciò a portare le b.d.f. sul campo di battaglia;

inizialmente, per aprire brecce nelle varie fortificazioni di città e castelli o per

difendersi da attacchi esterni alle zone fortificate; successivamente, per operare in

campo aperto contro truppe allo scoperto.

Si hanno notizie di Baroni che usarono le bombarde per assaltare il Castello di

Cividale e di diversi Signori e Signorotti che impiegarono bombarde, spingarde,

ecc. in campo aperto.

Anche nelle controversie tra Genova e Venezia si fece ampiamente ricorso alla

nuova arma soprattutto negli assedi.

Nel 1363 i Savoia, con le bombarde, distrussero il Castello di Saluzzo

Di questi esempi ve ne sono moltissimi.

Questo tipo d’impiego è giustificato dalla pesantezza delle armi e dalla loro

scarsissima mobilità e si adatta principalmente alle guerre di posizione.

Le artiglierie intanto evolvono e si comincia a dividerle per calibro e,

conseguentemente, per impiego.

I grossi calibri, ovviamente, vengono indirizzati verso gli assedi, mentre i calibri

più piccoli, che possiamo chiamare “artiglierie delle truppe”, dotati di una certa mobilità, vengono impiegati per accompagnare o contrastare, a seconda dei casi,

l’azione della Fanteria e della Cavalleria.

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In battaglia, nell’ambito dei tre blocchi in cui le truppe venivano articolate,

avanguardia, grosso e retroguardia le artiglierie venivano così posizionate:

- nelle marce l’artiglieria leggera stava in testa ed in coda ad ogni blocco,

mentre la maggior parte dei pezzi viene dislocata al centro;

- in battaglia i tre corpi si disponevano in linea unitamente alle artiglierie

leggere. Le altre armi, invece, si posizionavano al centro rimanendo ferme

quando le truppe andavano all’attacco.

In Italia, la presenza di numerosi stati e l’affermarsi delle truppe mercenarie, che

non avevano tanta voglia di farsi uccidere, costituirono un notevole elemento

frenante all’impiego dell’artiglieria, a differenza di quanto avveniva all’estero,

dove, invece, comincia ad assumere un ruolo di primo piano.

I primi impieghi rivoluzionari si hanno nel 1400, sia per l’ingegno di alcuni

condottieri e sia, anche , per lo sviluppo che intanto ha caratterizzato quest’arma,

sviluppo soprattutto nel settore della mobilità.

Il Duca Alfonso d’Este adotta il criterio del concentramento del fuoco; criterio,

quindi, dell’impiego a massa delle artiglierie, mentre Bartolomeo Colleone fa

caricare le sue artiglierie su carri e le sposta adeguatamente sul campo di

battaglia. Nasce, in tal modo, la manovra del fuoco realizzata mediante lo

spostamento dei pezzi.

Il Duca di Ferrara, nella battaglia di Ravenna del 1512, accortosi che le artiglierie

non raggiungevano il nemico , le spostò adeguatamente e quando la Cavalleria

nemica passò al contrattacco fu in grado di colpirla con violenza.

Carlo VIII, nelle sue guerre in Italia, fa largo uso dell’artiglieria e la impiega con

concetti moderni, a massa e con grande mobilità.

La battaglia navale di Lepanto, 1571, fu vinta dai cristiani sui turchi grazie anche

all’impiego preciso ed appropriato delle artiglierie situate a bordo delle navi.

Dopo questi impieghi, che hanno risultati molto positivi, nel 1600, l’artiglieria

comincia ad uscire dalla fase, diciamo così, sperimentale ed entra definitivamente a far parte degli Eserciti di tutto il mondo ed ad assumere un

ruolo di primo piano in tutte le battaglie.

Si hanno le prime suddivisioni riguardanti l’impiego e cominciano ad affermarsi le

artiglierie campali.

L’azione delle artiglierie assume sempre più consistenza nelle varie battaglie e si comincia a ricercare un coordinamento sempre più stretto con l’operato della

Fanteria e della Cavalleria.

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Nel Regno Sardo, dove tecnicamente si compirono dei grandi passi in avanti nel

settore di questa nuova arma (siamo sempre nel 1600), vi fu anche un grande

progresso nella sua “militarizzazione”: L’Artiglieria, infatti, viene suddivisa a

seconda del calibro ed a ciascuna categoria viene affidato uno specifico compito.

Nascono, inoltre, i Reggimenti. Il 1600 fu un secolo di grande sviluppo

dell’Artiglieria in tutti i settori, ciò dovuto in gran parte anche alla costituzione di

adeguate scuole tecniche e di impiego.

Il 1700 lo possiamo dividere in due periodi.

La prima metà vede un declino dell’impiego dell’Artiglieria in quanto, a causa

degli schieramenti lineari, viene diradata perdendo in tal modo di efficacia.

Nella seconda metà, invece, l’artiglieria sale in cattedra per effetto di un impiego

più appropriato e, quindi, più efficace. Si afferma sempre più la dottrina della

mobilità e dell’impiego a massa.

Il 1800 vede la nascita delle varie specialità. Si afferma sempre più l’artiglieria a

cavallo, mobile e potente. Mentre l’introduzioni delle polveri infumi, lo sviluppo

ulteriore delle bocche da fuoco, l’invenzione dell’affusto del Cavalli , la costruzione

di b.d.f. rigate a retrocarica e l’affermarsi del proietto ogivale rendono le

gittate molto più lunghe.

Questi sistemi d’arma consentono la manovra del fuoco non più con il solo

spostamento dei pezzi, ma anche e soprattutto, con la manovra delle traiettorie.

Massa e manovra, costituiscono i cardini fondamentali dell’impiego dell’artiglieria.

La prova dell’efficacia di questi criteri d’impiego si ha nelle guerre d’indipendenza.

In ogni battaglia rifulgono azioni decisive di reparti di artiglieria, compresa quella

a cavallo, sempre pronta ad intervenire con rapidità ed efficacia nei punti critici.

Si comincia a parlare di azioni di fuoco che assumono contorni abbastanza ben

definiti con la nuova regolamentazione che vede la luce subito dopo l’unificazione

dell’Italia.

Si parla di preparazione dell’attacco, di appoggio alla fanteria, di interdizione.

Le armi sempre più moderne e l’elevazione culturale dei Quadri, dovuta al fiorire

delle varie scuole, portano allo sviluppo di una “Tattica del Fuoco”.

Essa consiste nell’insieme delle operazioni per l’esecuzione pratica del fuoco al

fine di ottenere i maggiori effetti nel più breve tempo possibile, sugli obbiettivi più

pericolosi.

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Si comincia a vedere l’azione dell’artiglieria in funzione dell’assolvimento dei

compiti affidati alla fanteria, che in ultima analisi deve sopraffare l’avversario ed

occupare gli obbiettivi prefissati.

S’impone, pertanto, una collaborazione sempre più stretta tra artiglieria e

fanteria. Nasce la prima regolamentazione in merito alla cooperazione tra

l’artiglieria e la fanteria, cooperazione che da questo momento in poi acquista

sempre più importanza.

Alla vigilia della prima guerra mondiale, anche per effetto delle varie dottrine che

si vanno affermando in merito all’impiego dei vari Eserciti, si delineano i principi

d’impiego dell’artiglieria, che vedono a monte di tutto l’impiego a massa mediante

la manovra dei mezzi e delle traiettorie.

L’artiglieria deve iniziare il combattimento con la preparazione e sostenerlo con

l’appoggio. Deve cooperare strettamente con la fanteria sbarrando la strada al

nemico, interdizione, e proteggendo le truppe in ripiegamento.

Da questi principi discendono due elementi importanti: la cooperazione e la

preparazione dell’azione che a volte viene sviluppata con ore ed ore di interventi,

soprattutto con le artiglierie pesanti anche contro le artiglierie

nemiche (controbatteria), oltre che contro la fanteria.

Nella prossima “chiacchierata” vedremo più nel particolare quello che l’artiglieria

mise in pratica nella penultima, decisiva battaglia, che fu la Battaglia del Piave,

iniziata il 15 giugno del 1918.

Tra le due guerre si affermò definitivamente la cooperazione tra le varie Armi,

mentre, per quanto riguarda l’assolvimento dei compiti affidati all’artiglieria, si

definì quanto segue:

- interventi per distruggere o neutralizzare gli obbiettivi;

- azioni di fuoco : artiglieria divisionale: di spianamento, di appoggio, di

protezione e di controbatteria urgente;

- artiglieria di C.A. : essenzialmente controbatteria e concorso alle azioni di

fuoco delle artiglierie divisionali;

- artiglieria d’A: azioni di fuoco in profondità, cioè interdizione, concorso e/o

rinforzo alle artiglierie di C.A..

Nel 1937 fu emanata una nuova istruzione “L’Artiglieria nel Combattimento”.

Era completa in quanto prevedeva l’impiego dell’artiglieria in ogni fase della

battaglia.

Queste norme sono il punto di arrivo di circa 15 anni di studi.

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Concetto fondamentale: il compito dell’artiglieria in ogni fase della battaglia è

quello di cooperare con la fanteria:

- nell’attacco, per agevolarne il movimento;

- nella difesa, per ostacolare l’avanzata nemica e per facilitare il contrattacco.

Questi compiti si esplicano essenzialmente con azioni di fuoco che sono:

- livello Reggimento: accompagnamento ed arresto;

- livello Divisione: appoggio, interdizione vicina, concorso alle a. rgt;

- Corpo d’Armata: controbatteria, interdizione vicina e concorso o

rinforzo alle a. divisionali;

- Armata: interdizione lontana e concorso o rinforzo

alle a. di C.A..

Per fare tutto questo le artiglierie vengono divise in gruppi di appoggio e gruppi

massa di manovra.

Il gruppo diventa unità d’impiego e generalmente gli viene assegnato un settore

normale ed uno eventuale.

In casi particolari, per azioni specifiche, le artiglierie possono essere decentrate.

Naturalmente vengono regolamentate anche le altre attività d’interesse

dell’artiglieria come la cooperazione, l’osservazione, la preparazione topografica,

ecc..

Con questi criteri, ulteriormente affinati nella parte organizzativa per quanto

riguarda la loro realizzazione pratica, si entrò in guerra nel 1940, durante la

quale non vi furono sostanziali cambiamenti in questo settore.

Un rapido excursus per quanto riguarda il dopo guerra.

Quello che attiene allo sviluppo dell’artiglieria l’abbiamo visto la volta scorsa. Per l’impiego furono definiti i seguenti punti cardini descritti in una circolare , che

vide la luce nel 1969, ma di cui si iniziò a parlare già sin dagli anni cinquanta:

- massa, sorpresa e sicurezza debbono ispirare ogni azione dell’artiglieria;

- la cooperazione con l’arma base deve essere stretta e costantemente

garantita;

- la manovra del fuoco deve garantire la necessaria concentrazione di potenza

nelle aree di gravitazione del fuoco.

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Per conseguire questi risultati l’artiglieria assume un’organizzazione per il

combattimento ed un’organizzazione per il fuoco ed esplica il tutto, per quanto

riguarda gli effetti da ottenere, con tiri, che possono essere di neutralizzazione, di

distruzione e di disturbo, e, per quanto riguarda lo scopo tattico da conseguire,

con azioni di fuoco di appoggio, arresto e controcarro, controbatteria,

contromortai, interdizione vicina e lontana, repressione, sbarramento.

Le parole stesse indicano il significato di ciascuna azione.

Le artiglierie vengono ripartite in aliquota decentrata a livello inferiore ed aliquota

massa di manovra, a sua volta suddivisa in raggruppamenti di artiglieria di C.A.

ed in aliquota, orientata e di manovra, a livello G.U. elementare (divisione e

Brigata).

Ad ogni aliquota o raggruppamento vengono affidati specifici compiti e sulla base

di questi si mette in atto l’intera organizzazione.

Il punto di partenza per mettere in atto l’intera organizzazione dell’artiglieria in

ogni fase della battaglia è dato dalle “Direttive per l’impiego del fuoco” espresse

dal comandante delle operazioni nel suo “Ordine di Operazione”.

Naturalmente la circolare definisce le azioni da compiere per ogni settore e

precisamente:

- organizzazione per il combattimento: ordinamento tattico,compiti, controllo

del fuoco, collegamento tattico e movimento e schieramento;

- organizzazione del fuoco: preparazione del tiro, che a sua volta comprende la

preparazione topografica, la preparazione per l’apertura del fuoco e la

preparazione balistica, l’organizzazione dell’osservazione, le informazioni, le

trasmissioni, la pianificazione del fuoco ed il concorso di fuoco,

Ci si ferma qui, il poco tempo a disposizione non consente ulteriori

approfondimenti. Si accenna solo al fatto che agli inizi degli anni 80 si cerca di

dare un nuovo assetto all’intera organizzazione dell’artiglieria per il

combattimento introducendo il concetto di “Sistema di Artiglieria” . Cioè vedere

tutte le componenti dell’artiglieria in un quadro unitario, anche per quanto

riguarda lo sviluppo operativo e tecnico.

Ma questa è dottrina attuale e ve ne parleranno i vostri insegnanti.

BRACCIANO, giugno 2007

Pres. Sez. A.N.Art.I. di BRACCIANO

Gen. Antonino MOZZICATO