Abbiamo iniziato a costruire la scenografia: DISEGNIAMO PALME E ALBERI DI BANANO RITAGLIAMO.
Storia Della Scenografia
-
Upload
alexandre356 -
Category
Documents
-
view
180 -
download
5
Transcript of Storia Della Scenografia
1
Storia della Scenografia
Un teatro è un luogo, spesso un edificio, il cui uso specifico è ospitare rappresentazioni teatrali di
prosa, o di altri generi di spettacolo in ogni sua forma artistica, come l'esecuzione di concerti ed
eventi musicali, allestimenti di opere liriche, letture di poesie, spettacoli di danza.
Quello dell'edificazione di un teatro è considerato uno dei maggiori esiti dell'architettura, tanto
nell'antica quanto nella moderna civiltà.
Le origini
L'inizio dell'architettura teatrale non coincise con le prime manifestazioni teatrali di cui si abbia
conoscenza. Individuando, nel rapporto tra un evento spettacolare ed il pubblico che vi assiste, la
condizione sufficiente al compimento di un evento teatrale, rientrano in questa categoria delle
manifestazioni che hanno poco a che vedere col teatro nel senso comune del termine. Si parla infatti
di parate militari, di retorica a fini propagandistici e di celebrazioni religiose.
Già alcuni testi sacri dell'antico Egitto, ad esempio quello che racconta della morte e della
risurrezione del dio Osiride, erano scritti in forma dialogica e probabilmente pensati per la
rappresentazione. Questa eventuale rappresentazione sarebbe tuttavia avvenuta nell'ambito
dell'edificio religioso, e non in un luogo progettato appositamente per la messinscena. Lo stesso si
può dire delle parate militari o dei discorsi di uomini illustri: pur essendo situazioni la cui grande
spettacolarità suscitava un entusiastico interesse nella collettività, non avevano un proprio luogo
specifico e si svolgevano negli spazi pubblici come le piazze e le vie delle città.
Prima della civiltà greca sono pochi gli edifici teatrali progettati in quanto tali: potrebbero rientrare
in questa categoria alcuni spazi dei palazzi della civiltà minoica, come il cortile delle feste del
palazzo di Festo a Creta. Si trattava di uno spiazzo circondato per tre lati da gradinate che
potevano ospitare fino a cinquecento persone venute ad assistere alle danze, alle cerimonie o alle
tauromachie che vi si svolgevano.
2
Teatro Greco
Il teatro nella Grecia antica
Caratteristiche generali
Il teatro nella Grecia antica si è trasformato da semplice spiazzo per il pubblico, a spazio delimitato
(circolare o a trapezio) con panche di legno, infine ad opera architettonica vera e propria (V secolo -
IV secolo a.C.). In un primo tempo nel teatro greco erano presenti i tre elementi basilari dello
spettacolo, a cui corrispondevano semplici e distinte strutture architettoniche: al pubblico la cavea,
agli attori il palcoscenico circolare, al coro l’orchestra.
Poi, in un secondo tempo, solo dopo l'età periclea, il teatro greco si è sviluppato in forma compiuta.
Gli elementi suoi caratteristici sono la cavea, area semicircolare a gradoni, dove prima vi erano due
scale laterali ed infine, una serie di scalinate radiali chiamate cunei.
Il palcoscenico assunse una forma rettangolare con una profondità media dai 5 ai 7 metri,
larghezza fino a 30-35 metri, chiuso da un muro verso il fondo, con porte che permettevano
l'accesso al sottopalco destinato al deposito di macchine teatrali e a spogliatoio per gli attori. Il
palco era rivolto in modo tale da avere il sorgere del sole a destra ed il tramonto a sinistra,
avendo cosi la possibilità di sfruttare la luce solare per l'illuminazione dello spettacolo, che durava
anche per l'intera giornata.
La cavea aveva solitamente forma di tronco di cono ed era ricavata dal pendio naturale delle colline
o di buche, al fine di sfruttarne la pendenza. Le gradinate per gli spettatori cingevano l'orchestra per
più di mezzo perimetro e avevano una pedata di circa 70 cm ed una alzata di circa 35 cm.
Ecco quindi le tre parti essenziali del teatro greco che rimase sempre una struttura a cielo aperto
e che si ritrovano già nei più antichi teatri:
* la cavea (koilon), a pianta di settore circolare o ellittico (spesso eccedente la metà) nella quale
erano disposte le gradinate, suddivise in settori, con i sedili di legno; in genere la cavea era
addossata ad una collina per sfruttarne il pendio naturale;
* la scena (skené), costruzione a pianta allungata, disposta perpendicolarmente all'asse della
cavea, inizialmente semplice ed in legno, era situata ad un livello più alto dell'orchestra con la quale
comunicava mediante scale; la sua funzione originaria era soltanto pratica, cioè forniva agli attori
un luogo appartato per prepararsi senza essere visti, ma ben presto ci si rese conto che offriva molte
3
possibilità se utilizzata come sfondo scenico. Divenne quindi sempre più complessa ed abbellita da
colonne, nicchie e frontoni. Dal 425 a.C. fu costruita in pietra e con maggiori ornamenti.
* l'orchestra (orkhestra), circolare, collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena, era lo
spazio centrale del teatro greco, quello riservato al coro. Al centro di essa era situato l'altare di
Dioniso (thymele).
Tra i teatri greci di cui rimangono notevoli testimonianze vi sono il teatro di Dioniso ad Atene, di
Segesta, di Siracusa, di Delfi, di Epidauro, di Taormina, di Tindari.
Ordini architettonici
Dal punto di vista dello scenografo, per potersene servire all'occorrenza, è di fondamentale
importanza conoscere gli ordini architettonici. La misura di base che serve per la costruzione delle
proporzioni dei vari canoni architettonici è il modulo, che è una misura di norma presa sul raggio
delle colonne, misurato all'imoscapo, cioè nella parte più bassa del fusto della colonna. La
dimensione delle altre parti è ricavata moltiplicando o divedendo il modulo.
Gli ordini architettonici greci possono essere considerati due: il dorico e lo jonico. Il terzo, il
corinzio, è in effetti una variazione dell'ordine jonico.
Tutti gli elementi dell'ordine hanno una precisa funzione e la decorazione non è un elemento
applicato, ma una trasfigurazione delle relative funzione.
Ordine Ionico, Dorico, Corinzio
L'ordine dorico è un assieme di elementi articolati e strutturati in forma organica, secondo un
rigore compositivo che resta esemplare. E’ diviso in tre parti: stilobate, colonna e trabeazione e la
colonna poggia direttamente sullo stilobate.
L'ordine jonico sembra abbia avuto origine nella zona anatolica della jonia, verso il VII/VI sec. a.
C., ma solo nel V secolo giunge a completa maturazione. E' un ordine che si presenta con
interpretazioni diverse, tra le quali è da ricordare quella della Jonia, che nella base della colonna si
differenzia da quella greca. Come il dorico, anche lo jonico è diviso in tre parti: stilobate, colonna
e trabeazione. Mentre la colonna dorica poggia direttamente sullo stilobate, la colonna ionica si
erge sopra una base, ma con un rapporto maggiormente slanciato. Le scanalature, non a spigolo
vivo, sono generalmente 24. L'ordine jonico valorizza la decorazione: l'echino è spesso ornato da
ovoli, anche l'abaco, più sottile che nel dorico, è decorato. Nel capitello, la caratteristica voluta
jonica presenta una veduta frontale; quando è usata angolarmente viene modificata con
l'inserimento a 45' di un altra voluta, in modo da presentare nei due prospetti sempre la visione
4
migliore. L'architrave, o epostilo, è suddiviso in tre fasce orizzontali di grandezza degradante e
sporgenti in maniera diversa; spesso la fascia superiore è decorata. Il fregio, assente negli esempi
arcaici, appare verso la fine del VI secolo (Tesaurus di Siphnos a Delfi, 525 a. C.). Il timpano
dell'ordine jonico, rispetto a quello dorico, presenta una pendenza meno accentuata.
L'ordine corinzio si differenzia dallo jonico per la maggiore altezza del capitello e per il motivo a
foglie d'acanto che lo decora; gli altri elementi sono analoghi. Sull'origine di questo capitello
Vitruvio dà credito alla leggenda che lo attribuisce allo scultore Calimmaco. Più attendibile
l'ipotesi avanzata da Rigl, che lo considera come risultato della elaborazione di diverse
ornamentazioni di origine vegetale, molto diffuse nei paesi Medio-Orientali (Egitto - Mesopotamia
ecc.). L'ordine corinzio, dopo alcuni esempi isolati del V secolo, giunge a completa maturazione nel
IV secolo, come è evidenziato dal Monumento coragico di Lisicrate, del 335 a. C.
Lo spettacolo nell’antica Grecia
La storia degli spettacoli e della letteratura drammatica in Grecia segue nelle grandi linee le vicende
della storia politica che si svolge parallelamente. Dalla protostoria all'inizio dell'età ellenistica (330
a.C.) fino a tutto il periodo romano (30 a. C. - 395 d.C.) si svolge senza soluzioni di continuità la
vita dello spettacolo dell'età classica. Nell'antichità vi era un'area linguistica greca che era priva di
unità politica ma aveva unità culturale; in questo, specie fino al IV secolo a. C, contribuirono non
poco i grandi giochi panellenici e le rappresentazioni drammatiche, manifestazioni di primaria
importanza nella vita pubblica e religiosa, fornita da tratti sostanzialmente comuni in tutto il mondo
ellenico ed ellenizzato.
a) Giochi panellenici. Giochi a carattere panellenico si svolgevano in quattro località, ad Olimpia,
a Delfi sull'Istmo e a Nemea. I giochi olimpici, collegati al culto di Zeus, Atena e Pelope, si
tenevano nel santuario di Olimpia ogni 4 anni, tra la fine di giugno e i primi di luglio; essi ebbero
inizio, secondo la tradizione, nel 776 a. C. e termine nel 385 d. C.
Le gare si svolgevano fuori dal sacro recinto, nello stadio e nell'ippodromo a est dell'altis. In
Olimpia non si svolgevano agoni musicali, ma alcune gare, come il pentatro, erano accompagnate
da flauti. Talvolta, durante l'assemblea estiva, veniva data lettura di opere in prosa (così avvenne
per le Storie di Erodoto) o venivano esposti dipinti.
b) Agoni e feste locali. Accanto agli agoni panellenici, vi era una folla di manifestazioni agonali e
feste a carattere encorico, alcune delle quali, come i giochi panatenaici e le cerimonie misteriche
5
di Eleusi, assunsero eccezionale importanza. Il passaggio graduale da queste varie cerimonie è
indicato dal processo evolutivo in cui la danza cedette, a poco a poco, la sua posizione prevalente
rispetto alla parola. Le emozioni, i pensieri, i sentimenti, cominciarono a trovare la loro via di
comunicazione. Lo sforzo spirituale si accentuò e nacque il coro come espressione di uno stato
d'animo collettivo; quel coro che, attraverso le primitive esperienze dell'antico teatro ebraico e delle
rappresentazioni dell'estremo Oriente, porterà sulle spiagge dell'ade alla nascita della tragedia intesa
come voce sacra della stirpe, in contrapposizione alle forze della natura oscuramente dominatrici.
Alle origini, le azioni mitico-drammatiche legate al culto, dovettero avere come centro ispiratore
l'immagine e le imprese di Dioniso; lentamente la forma prevalse sulla sostanza e il rituale
drammaturgico, assunta una sua definizione in senso tragico, abbandonò progressivamente
l'esclusività dionisiaca e si riferì ad una più generica mitologia, celebrando i rapporti tra uomini e
divinità, tra dei e semidei, tra mortali e immortali. Tracce dell'antica religiosità rimasero in certe
sopravvivenze oggettuali, ad esempio nella presenza della timelè o in certe definizioni rituali, quali
le caratterizzazioni dei satiri. La base ritmica era offerta dal ditirambo, ossia dal metro sul quale
venivano scandite le lodi del dio. Da questa vocazione di concretezza che non riusciva più ad
appagarsi di un misticismo puramente lirico, nacque la figura dell'ypocrites, un altro attore (in veste
di interlocutore o deuteragonista). Era così compiuto il passo definitivo verso un totale adattamento
drammatico e spettacolare.
Lo spazio scenico del Teatro Greco
A grandi linee, la codificazione rituale dovette avvenire in questi termini: il coro, o meglio i due
semicori, celebrando le lodi del dio, venivano ad agire intorno all'altare, (la timelè) in uno spazio
semicircolare che assunse il nome di orchestra (dal greco orkeomai che significa "danzare"). La
timelè conservava comunque il centro dello della rappresentazione scenica. Aumentando
progressivamente il numero dei personaggi affidati alla sua interpretazione si presenta pari passo
l'esigenza di un riparo dietro cui l'attore possa celarsi durante i cambi d'abito. Questo luogo
deputato, costituito agli inizi da un semplice siparietto, dal termine greco skené (che significa
appunto tenda) assumerà la definizione teatrale di "scena" e verrà ad assumere un ruolo
centralizzante nella rappresentazione teatrale, che successivamente verrà sopraelevata sfruttando, in
un primo tempo, un rialzo naturale del terreno, o costruendo una pedana in legno. Il rialzo della
skené e dello spazio circostante corrisponde alla esigenza di non confondere le azioni degli attori,
appunto, in quella fascia che ancor oggi si definisce col termine di proscenio. Questo assetto dello
6
spazio scenico verrà corredato dalla presenza di due corridoi laterali aperti verso l'orchestra, che
servivano per le entrate e le uscite dei semicori e che prenderanno il nome di paradoi.
Trattandosi quindi di rendere partecipi migliaia di spettatori che dovevano, non solo vedere, ma
anche ascoltare, il problema poteva essere risolto solo con una sopraelevazione del pubblico stesso.
Da questa semplice considerazione nasce la struttura plateale ad anfiteatro chiamato oggi "teatro
greco".
Macchine teatrali del Teatro Greco
Anche se in taluni casi si fa riferimento al teologheion come ad un piano sovrastante la sckené e
destinato ad accogliere le apparizioni degli dei, dobbiamo ritenere che perlopiù era il tetto della
stessa skené ad assolvere la funzione di luogo deputato alla teofania. Non abbiano conoscenza di
quanto fosse alta la skené, ma doveva comunque superare di molto i tre metri se pensiamo che in
una scena di Euripide, un attore doveva fare un balzo dal tetto a terra, quindi per raggiungere
altezze maggiori, veniva impiegata una sorta di gru chiamata mechàne. Di questo attrezzo scenico
dovette molto servirsi Euripide se consideriamo la sua abitudine di concludere spesso i suoi lavori
con l'apparizione, appunto, del deux ex machina. A differenza del teologheion, che poteva ritenersi
nella stanza una sorta di impalcatura praticabile sovrastante la skené, il machàne permetteva
un'entrata in scena dinamica. Questa macchina prendeva anche il nome di aioréma (elevatore) o
gheraunòs (grù).
Accanto a queste macchine addette alla sopraelevazione degli attori, va ricordato inoltre un altro
meccanismo chiamato ad assolvere un diverso compito, si tratta dell' ekkiclema, sorta di
piattaforma su ruote sulla quale si collocano gli esecutori e le vittime e che veniva spinta fuori dalla
porta centrale della skené. Il diametro del semicerchio era perciò determinato dalla larghezza della
porta e poteva anche raggiungere l'ampiezza di 4 metri. Ricorderemo quindi l'anapiesma, una sorta
di botola usata per l'apparizione delle furie o di altri dei sotterranei, lo strofeion (o macchina per le
apoteosi) che, con impiego analogo a quello del teologheion, permetteva la trasfigurazione degli
eroi in divinità, il keraunoskopeion, o macchina per fulmini ed il bronteion, o macchina per il
tuono. Esistevano anche i periaktoi, scene girevoli poste lateralmente al palcoscenico, formate da
prismi triangolari. Ogni facciata aveva dipinto un particolare di scena che legava con la rimanente
decorazione. Questi prismi ruotavano su di un asse permettendo tre cambiamenti a vista.
Sappiamo anche che, a seconda del genere letterario cambiava la funzione del coro che, nei drammi,
era uno solo, mentre nella rappresentazione della commedia erano due. Nella trattatistica storico-
letteraria greca, derivante dalla speculazione aristotelica a noi giunta in tarde e scarse reliquie,
7
l'intera poesia è divisa in due grandi generi, che nella formulazione forse più attendibile, quella di
Diomede, sono così configurati:
1) genere narrativo o enunciativo (non imitativo), comprendente: epos, giambo, elegia, lirica.
2) genere drammatico o imitativo. Il genere drammatico era a sua volta suddiviso in tragedia,
commedia, dramma satiresco, mimo.
8
Teatro Romano
Caratteristiche generali
Pur mantenendo gli elementi architettonici basilari del teatro greco, nel teatro romano si
verificano delle trasformazioni sostanziali.
Il nodo della costruzione non è più la scena ma l'anfiteatro, infatti la pendenza è ottenuta mediante
la costruzione di strutture murarie multipiane e semicircolari divise in settori, che non
oltrepassano la metà della circonferenza. Con questa innovazione si cerca di creare un insieme
architettonico unitario armonizzando cavea, orchestra (il cui spazio viene ridotto nelle dimensioni)
ed edifici scenici.
Oltre al palco vi è la presenza di un retropalco, ovvero una zona che permettesse agli attori un
cambio di costumi.
Riunendo architettonicamente l'anfiteatro alla scena, si permette a quest'ultima di aumentare
notevolmente nelle dimensioni.
Nei riguardi dell'acustica sono favorevoli al pubblico le riflessioni del muro notevolmente alto
dietro la scena, la disposizione a semicerchio e la pendenza della cavea. Anche i velari (ovvero
dei grandi teloni) che vengono stesi sopra il pubblico per riparo dalla pioggia o dal sole favoriscono
una buona acustica.
Contemporaneamente si inizia a manifestare una prima gerarchia di posti, riservando i primi ai
senatori e tutti i rimanenti al resto del pubblico in ordine di importanza.
Il teatro nella Roma antica
I Romani cominciarono a costruire edifici teatrali in muratura soltanto dopo il 30 a.C.. Nel periodo
precedente i luoghi degli eventi teatrali erano costruzioni di legno provvisorie, spesso erette
all'interno del circo o di fronte ai templi di Apollo e della Magna Mater.
Il teatro romano dell'età imperiale, invece, è un edificio costruito in piano e non su un declivio
naturale come quello greco, ha inoltre una forma chiusa, il che rende possibile la copertura con un
velarium, ed è l'esempio di teatro che più si avvicina all'edificio teatrale moderno.
9
La cavea, la platea semicircolare costituita da gradinate, fronteggia il palcoscenico (pulpitum),
che per la prima volta assume una profondità cospicua, rendendo possibile l'utilizzo di un sipario e
una netta separazione dalla platea.
Vitruvio testimonia come all'inizio le scenografie del teatro romano non fossero molto elaborate, e
che gli attori, proprio come nell'antica Grecia, affidassero alla loro arte il compito dell'evocazione
dei luoghi e delle circostanze. In seguito negli anfiteatri si cominciò a costruire vere e proprie
macchine teatrali, adibite agli effetti speciali.
Elementi scenografici sempre presenti erano:
* il proscenium, la porzione di palcoscenico in legno più vicina al pubblico, raffigurante in
genere un via o una piazza, corrispondente all'attuale proscenio.
* la scenae frons, un fondale dipinto.
* i periaktoi, di derivazione greca, prismi triangolari rotabili con i lati dipinti con una scena
tragica su di un lato, comica su di un altro e satiresca sul terzo.
* l'auleum, un telo simile al nostro attuale sipario (sconosciuto ai greci) che permetteva veloci
cambi di scena o veniva calato alla fine dello spettacolo. In alcuni teatri invece di cadere dall'alto
veniva sollevato.
Gli antichi Romani utilizzano il modello del teatro greco, apportandovi alcune modifiche
essenziali. Il primo teatro ad essere costruito interamente in muratura nella città di Roma è quello di
Pompeo, del 55 a.C.. Le gradinate semicircolari della cavea poggiano ora su archi e volte in
muratura, e sono collegate alla scena con loggiati laterali. Questo permette all'edificio del teatro,
finalmente autonomo, una collocazione più flessibile e di dotarsi di una facciata esterna ornata e
monumentale. La facciata della scena viene innalzata a numerosi piani e decorata, fino a diventare
frons scenae, proscenio. L'uso della scena diventa più complesso per l'uso di macchinari teatrali.
Compare il sipario, che durante la rappresentazione si abbassa in un apposito incavo, mentre il
velario, di derivazione navale, viene utilizzato per riparare gli spettatori dal sole.
Tra i teatri romani di cui sopravvivono resti notevoli vanno ricordati quello di Pompei (di forme
ancora molto vicine a quelle greche), il teatro di Pompeo e quello di Marcello a Roma, i teatri di
Ostia, di Napoli, di Ercolano, di Pozzuoli, di Teramo, di Fiesole, di Spoleto, di Carsulae, di
Arles e di Orange in Francia, di Merida e Sagunto in Spagna, di Sabratha e Leptis Magna in
Libia, di Bosra in Siria, di Efeso e di Hierapolis in Asia Minore.
10
Le rappresentazioni dell’antica Roma
A Roma le rappresentazioni teatrali si svolgevano durante i giochi e le feste, in occasione di
cerimonie religiose, trionfi militari, funerali di personalità pubbliche. Il carattere statale e ufficiale
dell'organizzazione fece sì che i committenti delle opere teatrali fossero le autorità. Gli spettatori a
cui il teatro romano si rivolgeva era il complesso della plebe dell'Urbe. Alle rappresentazioni e ai
giochi potevano accedere tutti. La rappresentazione si svolgeva in una cornice di esibizioni varie,
dai giocolieri alle danzatrici, con cui il teatro doveva competere per vivacità e colpi di scena. A
differenza del teatro greco, la connotazione civile o rituale lascia il posto al carattere di
intrattenimento. Per il pubblico romano la partecipazione è motivata dal divertimento più che
dalla tensione religiosa o politica. Ciò nonostante, i "Ludi", periodi in cui avvenivano gli
spettacoli, erano dedicati alle principali divinità, e da esse prendevano il nome. Accanto agli eventi
teatrali convivevano le corse dei carri, i combattimenti dei gladiatori, venationes e naumachie,
celebrazioni, spettacoli di acrobazia e danze.
L'organizzazione degli spettacoli teatrali era specifico compito degli "aediles" o in qualche caso
del "praetor urbanus", i quali spesso li producevano con denaro proprio, facendone elemento di
propaganda politica. Questo condizionava i contenuti stessi delle opere, esercitando un limite alla
libera espressione degli autori, che in qualche caso incorrevano nella censura.
* i ludi Romani si celebravano in settembre, in onore di Giove Ottimo Massimo, nel Circo
Massimo; alla loro organizzazione erano preposti gli edili curuli;
* i ludi plebei, istituiti nel 220 a.C., che avevano luogo in novembre nel Circo Flaminio, pure in
onore di Giove; a partire dal 200 a.C., vi furono introdotte le rappresentazioni drammatiche,
inaugurate con lo Stichus di Plauto; alla loro organizzazione erano preposti gli edili plebei;
* i ludi Apollinares, istituiti nel 212 a.C.; si svolgevano in luglio, presso il tempio di Apollo (per
commemorarne un oracolo); alla loro organizzazione era preposto il pretore urbano;
* i ludi Megalenses, in onore della Magna Mater; istituiti nel 204 a.C. (aprile), furono arricchiti
di ludi scaenici a partire dal 194 a.C.; alla loro organizzazione erano preposti gli edili curuli;
* i ludi Florales, in onore di Flora: in essi predominavano gli spettacoli di mimi (dal 28 aprile al
3 maggio);
* i ludi Ceriales, in onore di Cerere; istituiti nel 551 a.C., si svolgevano dal 12 al 19 aprile:
organizzati dagli edili plebei, prevedano rappresentazioni teatrali per tutta la loro durata tranne che
per l'ultimo giorno, in cui si svolgevano ludi circenses o giochi di animali.
Una parte determinante sulla formazione degli spettacoli e del gusto letterario romano ebbero gli
spettacoli ellenistici e italioti (ilarotragedia, magodia, mimo, atellana, flaci) e quelli romano-
italici (flescenni, satura).
11
I generi letterari del teatro romano sono: commedia, satiresco, dramma, tragedia, togata,
tabernaria, palliata, pretesta, mimo, pantomimo, venazioni, ludi, naumachia, galleggiante,
spettacolo, pirrica.
Il carattere etrusco di molti istituti della repubblica romana arcaica (V-VI sec. a. C.) è comune
anche alle forme più antiche di spettacolo: i fescennini, scenette popolari eseguite durante le feste
del raccolto, eventi che fanno datare la stoia del teatro romano. Danze eseguite da uomini con
accompagnamento di tibiae e citharae che sono raffigurate in molte tombe etrusche come parti
degli spettacoli funebri (tombe Del Triclinium, Delle Leonesse, Dei Leopardi, Di Giustiniani, Delle
Bighe a Tarquinia). Dall'Etruria vennero anche la lotta, il pancrazio e la corsa delle bighe. Con
gli spettacoli giunsero a Roma gli attori (istriones) e con personaggi mascherati come il Phersu
(Tomba di Pulcinella) o Charun, un demone col martello (Tomba dell'Oreo e Francois a Vulci)
assunto poi a modello per il servo incaricato della rimozione dei cadaveri dall'anfiteatro.
Etrusco era anche l'uso di tribune per gli spettatori di riguardo (Tomba delle Bighe). Alle danze
etrusche, ai fescennini erano collegati i bozzetti drammaturgici che col nome di satura passarono
dalle campagne nelle città. Dagli osci della Campania che avevano assimilato la cultura greca, i
romani derivarono le fabulae atellane, Oschi ancora in età tarda, esemplati sui fliaci italioti che,
dedicati a temi mitologici e alla vita quotidiana, erano recitati su un palcoscenico di tavole poste su
pali, spesso collegate mediante scaletta con lo spazio antistante: L'orchestra di un teatro, l'arena di
un circo, un mercato o la piazza davanti a un tempio. Vi era una parete di fondo, talvolta con
finestra, colonne, porta con tettoia. Colonne laterali sostenevano un soffitto. Fu questo il nucleo
primitivo del palcoscenico romano basso, che anche in epoca tarda ebbe spesso la scaletta sulla
fronte. Le maschere provinciali dell'atellana (Pappus, Dossenus, Bucco) compaiono nel Vaso di
Leningrado, nella raffigurazione farsesca della contesa per il tripode di Deifi, in cui Erode, Apollo e
Jolao sono assimilati rispetto a Dossenus, Maccus e Bucco. Secondo Livio l'atellana veniva recitata
da liberi cittadini e non dagli attori professionisti che erano schiavi. L'inizio degli spettacoli osci,
talora recitati da attori campani, si situa intorno al 300 a. C. a Roma. In quello stesso periodo Ritone
di Siracusa crea l'ilarotragedia, imitata da Plauto nell'Amphitruo, da lui definito "tragicommedia".
Teatro romano: lo spazio scenico
La tipologia degli edifici per spettacoli è particolarmente varia a Roma: teatro, anfiteatro, circo,
naumachia, odeon, stadio.
Da principio non esistevano edifici particolari per gli spettacoli, tranne il Circo Massimo realizzato
da Tarquinio Prisco nel VI secolo a. C.
12
Posti per gli spettatori non esistevano ancora: i carceres e la spina erano dati da barriere di legno
o da funi. Nel circo, oltre le gare ippiche, si davano anche i ludi romani e i ludi scenici.
Nel mondo romano il teatro raggiunse una stabilità di forme architettoniche assai tardi,
cominciando ad apparire stabilmente quale complemento degli edifici pubblici nei fori e nei centri
delle città più importanti, solo nel corso del I secolo a. C.
E' nel 75 a. C. che si costruisce il piccolo teatro in pietra di Pompei che in realtà è un odeon. A
differenza del teatro greco, quello romano, costruito in pietra, sorreggeva la sua cavea inclinata con
un poderoso e complesso sistema di costruzioni radiali ed inclinate, che formavano, con lo
sviluppo perimetrale delle loro pareti esterne, un organismo architettonico a più ordini sovrapposti,
costruendo uno spazio chiuso isolato da ogni contatto visivo con la realtà esterna, ove valessero i
soli aspetti illusionistici della finzione scenica. Con una struttura di questo genere è stato possibile
agli architetti romani disporre un complesso sistema di scale, corridoi coperti, passaggi voltati e
porte di accesso alle gradinate (vomitatoia), per organizzare meglio l'afflusso e il deflusso delle
molte migliaia di spettatori che il teatro conteneva, poiché in Grecia, a differenza che a Roma, gli
spettatori dovevano riversarsi nella orchestra e poi uscire attraverso le paradoi (passaggi tra il
pubblico e la cavea) con notevoli ingorghi di traffico. Caratteristica importante è che mentre nel
teatro greco lo spazio per gli spettatori aveva una struttura che si prolungava per alcuni metri oltre
la metà della circonferenza, nei teatri romani il posto per il pubblico non oltrepassava il
semicerchio e il circolo orchestrale veniva ridotto a mezza circonferenza. Per difendersi dal sole e
dalla pioggia, un grande telone (velarium) o una tettoia ricoprivano il complesso.
Il Teatro Marcello a Roma, in parte conservato perché incorporato nel '500 nel Palazzo Savelli
Orsini è il primo grande teatro edificato nella Roma repubblicana. Costruito fra il 23 e il 13 a. C.,
rappresenta il prototipo di questi organismi architettonici. La cavea è sostenuta da una
struttura radiale in cotto. Il paramento esterno in blocchi di pietra squadrata, presenta la
caratteristica sovrapposizione degli ordini dell'architettura romana: al piano inferiore il tuscanico
(senza base), al quale succedono lo jonico e il corinzio. Sulla struttura archivoltata, preferita dai
romani, sono applicati gli ordini architettonici con funzione di scansione ritmica delle superfici, le
quali in una successione costante e degradante della curva, moltiplicano il motivo di base e creano
un insieme di grande effetto.
Gli anfiteatri, sconosciuti nel mondo greco, sono organismi architettonici prettamente romani.
L'etimologia del termine significa “doppio teatro”; infatti la pianta ellittica e le file di sedili
sopraelevate fanno presumere che l'anfiteatro può essere considerato un edificio che deriva dalla
fusione di due teatri a scene contrapposte, con cavea continua attorno all'arena, per battaglie
navali (naumachie).
13
Uno dei più antichi teatri in muratura è quello di Pompei (80 a. C.) costruito in parte sul pendio
di un colle, alla maniera dei teatri greci. I primi edifici interamente autonomi risalgono all'età
claudia del primo secolo dell'impero. Fra questi sono da ricordare l'anfiteatro di Verona (50 d. C.)
e quello di Pola (I sec. d. C.). Nell'età flavia ne esistevano nelle diverse città dell'impero oltre
ottanta, ma il più grande di tutti fu costruito a Roma e ancora oggi si può ammirare la sua
imponente rovina.
L’Anfiteatro Flavio, o Colosseo, fu innalzato da Vespasiano verso il 75 d. C. e inaugurato da Tito
nell'80. La pianta ellittica misurava 188 metri sull'asse maggiore e 156 metri su quello minore.
L'altezza complessiva superava i 48 metri. Oltre 50.000 spettatori potevano trovare posto nella sua
cavea parzialmente occupata da un velario, sostenuto da un ingegnoso sistema di tiranti. Particolare
menzione merita il sistema distributivo, che organizza l'afflusso e il deflusso degli spettatori
attraverso molti vomitatoria, che dalla cavea portano a numerosi corridoi anulari, ricavati fra i muri
radiali che sostengono la cavea stessa.
14
Teatro Medievale
A partire dal V secolo la disapprovazione cristiana per gli spettacoli pagani (talvolta licenziosi)
produce leggi contro ogni forma di spettacolo e provoca la sistematica dismissione degli spazi
teatrali, con trasformazioni architettoniche e cambiamenti di destinazione spesso irreversibili.
Il Medioevo è dunque caratterizzato dalla mancanza di edifici teatrali appositamente costruiti,
ma non dalla cessazione di ogni attività spettacolare. Nonostante l'opposizione della Chiesa, infatti,
sopravvive la tradizione di giullari, giocolieri e menestrelli. Essi si esibiscono su un semplice
banchetto (da qui il nome saltimbanco) che trova spazio nelle taverne, nelle piazze e nelle strade
delle città. I più fortunati vengono assunti nelle corti, o permanentemente o in occasione di feste e
banchetti. Rappresentazioni profane e grottesche si svolgevano anche durante il periodo di
Carnevale.
Il giullare
Il giullare, figura emblematica del teatro medievale, è a tutti gli effetti un attore professionista,
si guadagna cioè da vivere divertendo il popolo nelle piazze od allietando i banchetti, le nozze, i
festini e le veglie. Prima che prevalesse il termine generico "Giullare" (da latino Joculator), tali
attori venivano chiamati con appellativi specifici che designavano ogni "performer" secondo i loro
campi d'azione. C'erano i saltatores (saltimbanchi), i balatrones (ballerini) i bufones (comici) e
persino i divini (gli indovini) ed ancora trampolisti, vomitatori di amene scurrilità, acrobati.
Alcuni di loro agivano sulla pubblica piazza, alcuni nelle corti dei grandi signori; cantavano ai
pellegrini le vite degli eroi e dei santi, oppure si potevano trovare nelle taverne ad incitare
l'"audience". La chiesa li condannava perché rei di possedere le capacità di trasformare il loro
corpo e la loro espressione, andando così contro natura e quindi contro la volontà di Dio creatore
(soprattutto dopo la formazione dell'associazione di giullari fatta a Parigi nel 1332 al quale presero
parte anche le giullaresse); perché girovaghi e conoscitori del mondo e per questo
ragionevolmente irridenti nei confronti delle regole monastiche. Le cose però cambiarono
quando gli spettacoli dei mimi e dei giullari vennero messi per iscritto e la Chiesa iniziò a
conservarli e contemporaneamente tramutò le feste pagane, legate ai giullari, in feste proprie
dette paraliturgiche.
15
Spettacolo sacro
Parallelamente al teatro profano, a partire dal X secolo è la Chiesa stessa a dare vita, attraverso la
spettacolarizzazione dei testi biblici, ad una nuova forma di teatro. Inizialmente si tratta solo di
un adattamento delle scritture, con l'ampliamento della parte dialogica ai fini di una breve
rappresentazione, che ha luogo davanti all'altare della chiesa. E' il caso, ad esempio, del Quem
Quaeritis, dialogo drammatizzato cantato e rappresentato da tre diaconi che fingono le tre Marie
al sepolcro e da un quarto che finge l'angelo che le accoglie, le interroga sulla loro ricerca e rivela
la resurrezione di Cristo. Questo dialogo si svolgeva dapprima presso lo spazio occidentale della
chiesa carolingia, poi presso l'altare o accanto ad un simulacro di sepolcro nella chiesa
romanica. Ulteriori ampliamenti portano alla realizzazione delle sacre rappresentazioni, i cui
episodi vengono rappresentati in diversi luoghi all'interno delle cattedrali: ogni cappella
laterale, ogni spazio tra due colonne, ogni angolo della chiesa può diventare uno dei luoghi
deputati (da cui l'espressione odierna) alla messinscena. Lo spazio scenico della rappresentazione,
in Italia, è più propriamente quello del presbiterio, usando come entrate ed uscite le porte della
recinzione frontale di essa e, specie a Firenze nelle chiese d'oltrarno, il "ponte" che sovrasta
questa recinzione, usato per apparizioni, epifanie, ascensioni o discese di personaggi sacri. Le
sacre rappresentazioni diventano sempre più vaste e sfarzose, tanto che la chiesa non riesce più
ad ospitarle. Si passa così al sagrato antistante l'edificio di culto e poi alle piazze e alle strade
della città, che dal XIV secolo vedono tutta la cittadinanza partecipare all'allestimento degli
imponenti drammi ciclici, per i quali le varie gilde cittadine costruiscono luoghi deputati sempre più
maestosi e carri allegorici.
Grandi allestimenti sono le passioni nei centri mercantili del nord Europa, ad esempio a Lucerna, a
Mons, a Valenciennes.
Le architetture reali servono da sfondo a palcoscenici caratterizzati da una successione di scene
fisse. Si recitano misteri o produzioni drammatiche di soggetto religioso.
Il pubblico assiste alla rappresentazione al di là di una robusta balaustra, in modo da garantire uno
spazio libero davanti alla scena, il campus.
Esistono anche organismi più semplici che ospitano l'azione teatrale: baracche di 7-8 metri di
altezza, divise in tre piani usati come paradiso, terra ed inferno, oppure da serie di porte
ravvicinate chiuse da tendaggi, contrassegnate da cartelli che recano l'indicazione dei vari luoghi
dell'azione ed un minimo di messinscena retrostante.
Sembra che il primo teatro stabile del Medioevo sia stato eretto a Parigi dalla Confraternita
della Passione, nella sala dell'ospedale della Trinità.
16
La lauda drammatica
La lauda drammatica, che racchiudeva in sé già tutte le caratteristiche di uno spettacolo teatrale
con attori, costumi e musiche, trae le sue origini dalla ballata profana e, come la ballata, è
composta da "stanze" per lo più affidate ad un solista o ad un gruppo da intendersi anche come
coro. Il precursore della forma dialogica che porterà alla nascita della lauda drammatica fu senza
dubbio Jacopone da Todi (1230-1306). La sua lauda più celebre fu la "Donna de paradiso" (o
"Pianto di Maria"), scritta in versi settenari e in cui, oltre alla Madonna, compaiono numerosi
personaggi come: Gesù, il popolo, il nunzio fedele (facilmente identificabile in san Giovanni
apostolo). I luoghi deputati, o case nella rappresentazione dei misteri, venivano considerati
singolarmente, anche quando erano posti l'uno accanto all'altro, più comunemente erano disposti ad
una certa distanza oppure collocati in una vasta area in ordine sparso.
A rappresentare le laude nacquero quindi le cosiddette "fraternite" (poi "confraternite")
composte spesso da chierici, ma anche da laici.
Dalle fraternite si svilupparono poi successivamente i laudesi, i battuti, i disciplinati ecc..
Dal sacro al profano
La chiesa, intesa come spazio architettonico, diventò ben presto un ambiente troppo stretto per lo
svolgimento delle rappresentazioni sacre, sia dal punto di vista volumetrico sia per quello che
riguarda la libertà espressiva.
Si iniziarono presto (cioè fin dalla fine del 1300) a costruire dei "palcoscenici" nei sagrati
all'esterno delle chiese, la cui conseguenza fu proprio la nascita di rappresentazioni teatrali con
tematiche profane (dal greco pro fanòs che significa proprio prima/fuori dal tempio).
Tutti in piazza
Nel 1264, in occasione dell'istituzione della festa del Corpus Domini, il sagrato si dimostrò
inadatto ad ospitare eventi tanto solenni e magnificenti e la rappresentazione si spostò in piazza. Qui
l'interpretazione venne affidata ad attori conosciuti per la loro bravura e non più da chierici,
inoltre le mansiones (da mansio = piccola casa) si arricchirono di botole, trabocchetti, gru e
fumo per simulare resurrezioni, cadute nell'inferno, voli di angeli ed antri infernali. Dopo il
1300, però, le confraternite avocarono a sé l'onere di organizzare gli spettacoli, coadiuvati dalle
corporazioni, che si preoccupavano della costruzione e dell'arredamento delle scene. Dopo la
17
piazza, il teatro si spostò nella città stessa attraverso le vie (soprattutto nel '600). Di queste
rappresentazioni è rimasto qualche aspetto: nella festa del carnevale ancora oggi in alcune città, dei
carri si spostano per le vie e mettono in scena uno spettacolo.
18
Teatro Rinascimentale
Caratteristiche generali
Negli anni precedenti il1500, in Italia, attori dilettanti rappresentavano commedie classiche su scene
decorate solo con una via di case con tende; verso la fine del secolo, invece, nel 1589, a Firenze,
gli spettatori assistevano affascinati a spettacoli in cui scene riccamente dipinte cambiavano in
continuazione, quasi per magia, davanti ai loro occhi ammirati. Nel 1500 piccole compagnie di
attori inglesi non professionisti presentavano, nei palazzi nobiliari o su nudi palchi nelle piazze dei
mercati, il loro repertorio di interludi, che per la maggior parte oggi presentano un interesse solo per
gli studiosi specialisti: nel 1599 la grande compagnia degli attori del Lord Chamberlain
intratteneva il pubblico del Globe Theatre con King Henry IV e Julius Caesar. Così, nel corso di
un solo secolo, il teatro passava dal mondo medioevale nel mondo moderno. Per comodità si è soliti
chiamare questo periodo Rinascimento, benché nell'usare questo termine bisogna ricordare che qui
ce ne serviamo in un'eccezione limitata e particolare. Il Rinascimento introdusse concetti
completamente nuovi, eppure gran parte di queste ricerche erano, di fatto, basate sull'esperienza
medioevale. Così come la struttura del King Lear di Shakespeare si può spiegare soltanto
riferendosi alla eredità medioevale, allo stesso modo le forme assunte dalle rappresentazioni teatrali,
nell'Italia del XVI secolo, hanno in sé molti ricordi degli spettacoli precedenti.
Per quanto riguarda il repertorio di queste rappresentazioni, soprattutto in Italia, la ricerca
avveniva nel passato e aveva come prospettiva la nascita di forme rappresentative nuove per il
futuro. Gli studiosi frugavano avidamente le biblioteche in cerca di testi dimenticati; davanti a loro
sfilavano numerosi tesori portati nelle corti italiane dai profughi di Bisanzio saccheggiata e
dall'interesse di raffinati umanisti: i resti dei teatri classici venivano esaminati con attenzione,
misurati e idealmente ricostruiti.
Prime tipologie di teatri Rinascimentali
Nel XVI secolo assistiamo al passaggio da un luogo provvisoriamente adibito a sede di spettacoli
(chiesa, piazza, giardino, cortile, sala) all'edificio teatrale stabile. Mancando ancora una sede
apposita, le rappresentazioni teatrali, di impianto classico, erano generalmente tenute all'aperto,
spesso nei cortili dei palazzi nobiliari i cui proprietari erano proprio i principali fruitori (nonché
spesso attori e sceneggiatori) di questi spettacoli. Ad esempio, a Roma, Palazzo Riario, dove gli
19
attori recitavano nello spazio della loggia colonnata che, nella cultura del circolo umanistico di
Pomponio Leto, voleva essere una rievocazione della scena classica.
La scena era dunque temporanea, adattata nel loggiato dei cortili, dove venivano usate
prevalentemente tendaggi che venivano aperti e chiusi durante le entrate e le uscite degli attori.
Dopo la riscoperta della rappresentazione prospettica nel primo decennio del Cinquecento, venne a
determinarsi una scena prospettica di città resa illusionisticamente dalla giustapposizione di piani
figurati in una prospettiva centralizzata (quinte e fondale), il cui punto di fuga era posto ad una
altezza determinata che coincideva con la visione perfetta del principe seduto al centro della sala.
Gli spettatori potevano essere disposti in due modalità: o con una gradinata di fronte al palco o
con tribune laterali per le donne e panche centrali per gli uomini con un palco sopraelevato per la
principale autorità della festa. Questa sistemazione era naturalmente provvisoria e veniva
smontata alla fine della festa, ma aveva un'importanza considerevole dal punto di vista strutturale,
in quanto, sia pure in modo effimero, determinava la disposizione teatrale di un interno.
Uno dei primi teatri interamente costruito fu fatto a Roma nel 1513 per il possesso pontificio di
Leone X, realizzato in legno, con gradinate interne laterali appoggiate alle pareti e palcoscenico
all'antica con porte coperte da tendaggi per la rappresentazione del Poenulus di Plauto. Era
realizzato sulla piazza del Campidoglio dalla fabbrica dei Sangallo e aveva decorazioni interne ed
esterne di Baldassarre Peruzzi ed altri pittori.
La definizione della prassi della scena prospettica di città trova il suo fertile terreno nell'attività
romana di Peruzzi e fiorentina di Aristotele da Sangallo. Peruzzi, fra il 1525 e il 1536, in una serie
di allestimenti per committenze papali o signorili determina una tipologia a piazza più via, in cui si
giustappongono due piani scenici, uno nel senso della larghezza, che dispone edifici costruiti in
legno praticabili dagli attori nella zona di proscenio, ed uno nel senso della lunghezza che organizza
edifici figurati sulle quinte e sul fondale. Aristotele da Sangallo realizza a Firenze, fra il 1520 e il
1540, una scena che si sviluppa nel senso della larghezza e contrappone al simbolismo romano di
quella peruzziana, un realismo fiorentino attento alla realtà urbana.
Queste esperienze vengono accolte e sintetizzate da Giorgio Vasari fra 1542 e 1565,
dall'esperienza veneziana della Talanta, per una committenza privata a quella fiorentina per la
committenza principesca di Palazzo Vecchio. La scenografia si definisce nel senso della profondità,
"una strada lunga fiancheggiata da edifici", in quello del realismo antiquario e urbanistico,
dell'illusionismo ottico-luministico, nell'inquadramento della veduta tramite un prospetto scenico.
20
Il teatro stabile degli Uffizi
A Firenze, infine, il culmine della scena manierista e già pre-barocca lo raggiunge un allievo del
Vasari, Bernardo Buontalenti che negli anni novanta progetta grandi scenografie illusionistiche per
il teatro stabile degli Uffizi. La scenografia moderna è nata: dallo sperimentalismo dei primi
decenni del secolo si giunge ad una scena di virtuosismo prospettico sul piano della profondità,
completamente inquadrata in un prospetto con funzione di cornice ed in grado di mostrare visioni
sceniche multiple ad ottica variabile, all'insegna non più della staticità, ma del dinamismo scenico.
La Loggia Cornaro
Tra le espressioni della cultura rinascimentale del teatro è la Loggia Cornaro a Padova, edificata
per volere di Alvise Cornaro ed utilizzata per rappresentazioni teatrali (vi si svolsero le prime
rappresentazioni di alcune opere del commediografo Ruzante). Realizzata probabilmente in due
tempi diversi dal 1524, era annessa all'Odeo Cornaro, che il colto mecenate aveva voluto come sede
di incontri letterari e musicali.
Il progetto è del pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto, che si ispirò ad esempi classici, in
particolare a Vitruvio. La Loggia con le sue decorazioni costituisce una novità: è il primo tentativo
di realizzare quel teatro all'antica vagheggiato da Cornaro e teorizzato poi da Palladio e Scamozzi.
Il Teatro Olimpico di Vicenza
Il primo teatro stabile coperto dell'epoca moderna è generalmente considerato il Teatro Olimpico
di Vicenza di Andrea Palladio (1508-1580), l'unico a conservare intatte le scene originali. Il
celebre architetto veneto riportò in questa sua ultima opera gli esiti dei propri lunghi studi sulla
struttura del teatro classico, basati sull'interpretazione filologica del trattato De Architectura di
Vitruvio e sull'indagine diretta dei ruderi dei teatri romani ancora visibili all'epoca, concentrandosi
in particolare nella problematica operazione di ricostruire il proscenio del teatro romano (di cui non
erano rimaste testimonianze visibili).
Ingegnosamente ricavato all'interno di una vecchia polveriera di impianto medioevale, dopo la
morte di Palladio il Teatro Olimpico fu completato nel 1585 da Vincenzo Scamozzi (1548-1616), il
quale realizzò le notevoli scene lignee a prospettiva accelerata, pensate inizialmente per un'unica
rappresentazione ma divenute fisse e giunte miracolosamente intatte ai giorni nostri. Il teatro è
tuttora utilizzato per rappresentazioni classiche e concerti. Il progetto unisce alla tradizione della
scena monumentale romana (l'inquadramento del proscenio ad arcate) l'esperienza della scena
21
prospettica di città, con un'accentuazione di piani lunghi sfuggenti a tre fuochi per tre distinte vie
inaquadrate dagli archi.
Il Teatro di Sabbioneta
Forte di questa esperienza, Vincenzo Scamozzi realizzò pochi anni dopo, tra il 1588 e il 1590, il
primo edificio teatrale dell'epoca moderna appositamente costruito per ospitare un teatro (stabile,
coperto e urbanisticamente autonomo, provvisto cioè di un suo esterno): il teatro all'italiana
commissionato dal duca Vespasiano Gonzaga per la piccola città ideale di questi, Sabbioneta in
provincia di Mantova. Ad oggi il teatro di Sabbioneta è perfettamente restaurato ed utilizzato
ancora come luogo di spettacolo, nonostante interventi di restauro novecenteschi poco rispettosi
dell'architettura originaria.
La scenografia nel Rinascimento
La scenografia fu anche una tappa obbligata per molti architetti che, dopo il sacco di Roma, non
trovando più commesse importanti per la costruzione di palazzi e dimore signorili, a causa degli
eventi bellici, ripiegarono negli apparati celebrativi che esigeva la corte spagnola, con
allestimenti di cerimonie trionfali a riconferma di una nobiltà a sovranità ormai dimezzata. Molti
pittori e architetti del tempo erano animati dal desiderio di creare cose nuove e originali, scoprivano
le meraviglie della prospettiva e si accorgevano che negli allestimenti teatrali per le feste di questa
classe di Signori, ormai ripiegata verso valori neofeudali, avevano modo di fare esperienze molto
vaste. Inoltre arrivavano a comprendere istintivamente che la rappresentazione spettacolare, il
teatro, sono fondamentalmente delle arti dinamiche, cinetiche.
Già nella seconda metà del Quattrocento si avverte la necessità di un teatro stabile o semistabile,
architettonicamente raccolto. Vi erano delle gradinate per il pubblico e un palcoscenico per
l'azione drammatica, chiuso o chiudibile da un sipario.
In questi teatri la cavea e realizzata in gradoni di legno: nello spazio piano della platea, le prime
file sono riservate ai Principi e la nobiltà, mentre dietro, in piedi, vi è la corte o il seguito dei
Principi.
La scoperta della Prospettiva
Agli inizi del XV secolo, in Italia, lo scultore ed architetto Filippo Brunelleschi, amico del
matematico Paolo Pozzo Toscanelli, aveva messo a punto l'"invenzione " della prospettiva su
basi matematiche. Con la riscoperta dei manoscritti di Vitruvio si incominciò una meditazione
sull'architettura classica, sistematizzata nella seconda metà del secolo ad opera de domenicano
22
Leon Battista Alberti, autore del De Re Aedificatoria. Fu una svolta decisiva che modificò
radicalmente la percezione dello spazio nella cultura occidentale, anche come forma simbolica oltre
che come procedimento progettuale. Tale trattato stimolò il desiderio di costruire qualcosa nello
stile della scena classica e aprì la strada ad una lunga serie di trattati dello stesso tipo che si
occupavano, oltre che di architettura, anche della costruzione teatrale, della prospettiva, dei
metodi per i cambiamenti di scena, dell'illuminazione del palco e simili in funzione delle feste di
corte e che ebbero materialmente parte importante nell'elaborazione dei nuovi stili.
Durante il rinascimento si adottò sempre più il sistema di affiancare le "case merlade" del
medioevo le une accanto alle altre, su un unico palco, e di decorarle ciascuna con una porta ed
incorniciarle ai lati da colonne decorate con nicchie e statuette, espediente dal quale traspare
l'esigenza di trattare le case come unità singole, ma come un tutto unico. Ciò rappresenta il primo
passo verso quella struttura che divenne più tardi l'arco di proscenio. Bastava ormai sostituire uno
sfondo prospetticamente dipinto al posto delle molte case per porre la nuova scena sulla strada
futura; lo sfondo prospettico che costituisce il successivo passo principale, fu certamente mostrato
agli spettatori di Ferrara, quando nel 1508 videro la rappresentazione della Cassaria dell'Ariosto.
L'artista responsabile dell'allestimento fu Pellegrino da Udine.
Una descrizione pratica di come costruire un teatro è contenuta per la prima volta, in maniera
chiara nel trattato di Sebastiano Serlio, pubblicato nel 1545, “Architettura” e comprende quattro
punti fondamentali:
• sala rettangolare con scena posta ad una estremità della sale e sedili digradanti per gli
spettatori su sostegni; tale disposizione deriva dalla cavea del teatro romano;
• divisione delle scene in scena tragica, comica e satirica, seguendo la trattazione di
Vitruvio con una sostanziale proposta di scene-tipo per più commedie;
Nella pianta della scena, il Serlio imita la piattaforma scenica romana, ma la piattaforma è
inclinata, sulla quale poi disporre prospetticamente case costruite e telone dipinto; le case più
vicine alla parete anteriore della scena presentano due lati: uno parallelo al fronte della sena e uno
obliquo verso l'interno. Gli attori non recitano nella scena, ma davanti ad essa o al massimo fanno
uso delle case più vicine per non vanificare l'illusione prospettica.
Per la maggior parte del XVI secolo, il tipo di scena raffigurante una piazza di città, continuò ad
evolversi e a poco a poco, ad essa, si unì un elegante arco di proscenio. Si può notare che un
disegno come quello che ci dà Joseph Furttenbach nella sua Architectura Civilis indica un'altra
23
via per cui si poteva giungere all'espediente della cornice: abbiamo quasi un quadro, ma
incorniciato ai lati e in alto da un fregio che rappresenta un tendaggio permanentemente aperto.
Procedendo in una direzione diversa, si potrebbe facilmente esser portati a vedere questi archi di
proscenio quasi come un estremo residuo della scaenae frons Romana, e tale legame evidente
diventa ancor più accentuato se paragoniamo alcuni disegni più tardi con la facciata del Teatro
Olimpico. In effetti potrebbe essere del tutto giustificato affermare che parecchie cornici di
proscenio settecentesche, costruite in profondità e tridimensionali, assomigliano alla facciata del
Teatro Olimpico, con l'entrata principale aperta su tutto il proscenio, tanto che non si può evitare di
supporre un'influenza esplicitata dal classico sul moderno.
Già nel 1531 sembra che a Ferrara ci fosse una sala o un teatro specifico per le rappresentazioni
teatrali e, nel 1585, Bernardo Buontalenti (1536-1608) cui era stato commissionato il progetto per
il Teatro degli Uffizi di Firenze, decise, invece di una scena unica fissa, di introdurre la scena
mutevole: la costruzione di lunghe e larghe botole sul palcoscenico e di numerose macchine
sceniche per effetti di apparizioni e movimento di nuvole. La richiesta di cambiamenti di scena era
soddisfatta da adattamenti dei classici periaktoi, trasformati in scatole rettangolari, mentre
sessant'anni più tardi comparvero due libri di esclusivo argomento teatrale: “Pratica di fabbricar
scene e macchine ne' teatri” (1638), di Nicola Sabbatini, e “Architectura recreationis” (1640)
di Joseph Furttenbach. L'uso di periaktoi (prismi triangolari) si protrasse per lungo tempo con
una concezione del teatro in disaccordo con quella del Serlio.
Tale uso fece nascere l'esigenza di mascherarne la parte in alto, da qui nacque l'idea di introdurre
bordi di nuvole o cieli, in coppia con il fondo prospettico posto più lontano, dipinto su due grandi
telai o fondali che si univano al centro del palcoscenico: se si ponevano dietro ad essi altri telai
simili, tirando via la poccia davanti, si effettuava l'immediato cambio di scena. Tutto avveniva sotto
gli occhi degli spettatori perché non erano ancora entrati in uso i sipari mobili.
Il teatro rinascimentale in Europa
Il Rinascimento, nell'operare il passaggio dal mondo medievale alla soglia di quello moderno, si
esplicò in modo differente nei diversi Paesi: di conseguenza è ora necessario, a differenza delle
rappresentazioni medievali, esaminare separatamente il teatro di ciascun paese.
Nei teatri d'Europa, per motivi culturali e politici l'uso dell'arco scenico e della scena dipinta viene
introdotto molto tempo dopo il loro uso in Italia: gli scambi culturali avvenivano nelle corti
principesche e nelle grandi città.
24
Il teatro rinascimentale in Inghilterra
In Inghilterra, durante la prima parte del sedicesimo secolo vi erano due attività teatrali
completamente distinte: piccoli gruppi di attori professionisti agivano sul nudo pavimento delle
sale signorili, nelle piazze dei mercati, nelle sale delle locande e, dall'altra parte, i ragazzi del
coro delle cappelle reali, gli allievi delle scuole più importanti, gli studenti delle università, giovani
dilettanti appartenenti alle innis of court (collegi degli avvocati), che si dedicavano a rappresentar
drammi davanti ad un pubblico tra i più selezionati di cui la corte era il centro.
Non abbiamo alcuna raffigurazione pittorica di questi spettacoli, ma preziosissimi registri del
Revels' office (ufficio dei divertimenti), che fanno riferimento ad houses (case) e a great cloths
(grandi teli); si parla di travi per fare l'ossatura delle case degli attori ricoperte di grossa tela per
coprire, di scene con case, città, altri congegni e nuvole.
Appare evidente che si tratta di scene, come per il teatro in Italia e in Francia; il numero di queste
case pare che oscillasse da due a sei e si può supporre che fossero disposte sulla scena al modo
francese e medievale. I drammi di John Lyly indicano che le sue scene erano costruite con un
allestimento multiplo a vista e anche Te commedy of errors di Shakespeare presuppone un
ordinamento analogo delle località, mostrate al pubblico attraverso case dipinte indicate da cartelli.
Nel registro più sopra citato si fa menzione anche di "cortine" (courteynes), ma sia che fossero
usate come sipari anteriori o come sfondi dietro gli attori è importante notare che invece di cadere,
come il primo sipario italiano, o si alzarsi, erano "tirante" (drawn) per mezzo di corde e di anelli,
usate per porre inizio e fine alle rappresentazioni.
Quando nel Cinquecento a Londra sorsero i primi teatri fuori dalla City, essi conservarono
molto dell'antica semplicità. Ricavato in origine dai circhi dell'epoca per le lotte tra orsi o tra cani
oppure dagli "inn", locande economiche di provincia, l'edificio teatrale consisteva in una semplice
costruzione in legno strutturale o in pietra, spesso circolare e dotata di un'ampia corte interna
chiusa tutt’intorno ma senza tetto. Tale corte diventò la platea del teatro, mentre i loggioni
derivano dalle balconate interne della locanda. Quando la locanda o il circo divennero teatro, poco o
nulla mutò dell'antica costruzione: le rappresentazioni si svolgevano nella corte, alla luce del sole.
L'attore elisabettiano recitava in mezzo, non davanti alla gente: infatti il palcoscenico si
"addentrava" in una platea che lo circondava da tre lati (solo la parte posteriore era riservata agli
attori, restando a ridosso dell'edificio).
The Theatre, di proprietà di James Burbage, (costruito nel 1576) fu il primo teatro pubblico con
pubblico pagante, completamente in legno. Fu solo il primo di una serie di costruzioni quali il
Curtain, il Fortune e il Globe Theatre, la cui ricostruzione in tempi moderni (è attualmente
utilizzato dalla compagnia di Shakespeare e visitabile) è l’unica testimonianza. Infatti di queste
25
costruzioni non ne rimane neanche una, ma numerose sono le testimonianze dei viaggiatori che le
descrivono; il più importante scritto che le descrive con ampie trattazioni e con schizzi è l'Ex
observationibus londinesibus Johannis De Witt.
La pianta dei teatri Elisabettiani era quadrata, circolare, ottagonale, o a forma di uovo; le pareti
laterali avevano una specie di tetto ricoperto di paglia e gallerie per posti a sedere. Per quanto
riguarda il palcoscenico, la forma più usata era quadrata, con un lato che poteva variare dai dieci
ai quindici metri e con il palcoscenico che si incuneava nella sale in modo da essere quasi
contornato dal pubblico. Come nel Medioevo infatti, il pubblico non era semplice spettatore, ma
partecipe del dramma.
Questi edifici costruiti prima in legno, poi in muratura, erano ricchi di colonne, decorazioni,
sculture, stucchi, pitture e le entrate erano situate sia sulla facciata principale che sulle pareti
laterali. Il cortile rotondo o quadrato formava la platea, circondata da loggiati (colonne posate ai
lati del palcoscenico, unite dalle travature trasversali, servivano per i cambiamenti di scena,
oggetti, attrezzeria ecc.). La parte retrostante e laterale al palcoscenico (che misurava per un lato
da dieci ai quindici metri, e posto in modo tale da essere quasi contornato dal pubblico), era
adibita in parte agli attori e all'orchestra, il rimanente a posti per il pubblico, migliori di quelli di
platea. Le file degli scanni per la nobiltà erano quelli laterali e retrostanti al palcoscenico ed erano
situati in continuità con esso e sullo stesso piano. I posti di platea -in piedi- erano riservati per il
pubblico minuto.
La scenografia era semplicissima, tutto si basava sulla recitazione e sulla mimica. Il pubblico
seguiva l'azione, e completava le scene con l'immaginazione. Quando la scenografia si fece più
importante, le scene vennero costituite da teloni, architetture e fianchi di tela armati, soffitti o arie
per i traguardi. Il sipario si chiudeva metà a sinistra e metà a destra.
I costumi erano fastosi e ricchi di stoffe pregiate e si ispiravano ai vestiti contemporanei, alla
fantasia e al costume storico. Ogni personaggio aveva nel suo costume delle caratteristiche il più
possibile affini a quelle del personaggio che doveva interpretare (ad esempio, i personaggi orientali
portavano turbanti e scimitarre; i personaggi ecclesiastici, costumi da frati e cardinali).
Teatro rinascimentale in Francia
In Francia, se si tralasciano i palchi sui cavalletti usati dagli attori girovaghi, l'attività teatrale più
interessante fu quella collegata alla grande Confrérie de la Passion, organizzazione istituita a
Parigi per le rappresentazioni dei cicli di misteri.
Nel 1402 questa compagnia ottenne un permesso speciale "di far rappresentare qualsiasi mistero
volessero", mentre nel 1548, quando ormai i misteri stavano rapidamente perdendo importanza e
26
venivano da taluni disprezzati, benché alla compagnia fosse proibito recitare "misteri sacri", ad
essa veniva data una licenza quasi esclusiva di recitare "altri misteri secolari". Avuto il permesso
di rappresentare tali drammi, la Confrérie trasformò in teatro una lunga sala rettangolare nell'Hotel
de Bourgogne; lì gli attori della Confrérie recitarono regolarmente fino al 1598 e, sebbene
dovessero abbandonare questo teatro per un breve periodo, lo ripresero nuovamente nel 1608 con
una posizione più elevata, in qualità di Comédiens du Roy. Della Comédiens du Roy sono rimaste
delle trattazioni, comprendenti disegni e schizzi datati mezzo secolo più tardi in Mémorie pour la
décoration des pièces qui se représentent par les comédiens du Roy, che descrivono allestimenti
fatti tra il 1633 e il 1678, dei quali l'artista principale è Laurent Mahelot. In questi schizzi è
rintracciabile l'influsso italiano per l'uso di tele montate su telai e per la divisione fra scena di
commedia, tragedia e di satira, trattate dal Serlio; ma alcuni allestimenti hanno ancora un impianto
medioevale per il tentativo di disporre contemporaneamente, su di un'area scenica ristretta, tante
case che rappresentavano tante diverse località, così come il dramma lo richiedeva.
I drammi secolari che formavano il repertorio della Confrérie erano per lo più ispirati ad un
sentimento romantico, così i luoghi immaginati nelle diverse scene erano molti e vari. Tali drammi
potevano essere rappresentati in tre modi: per mezzo di tendaggi, lasciando che l'immaginazione
degli spettatori creasse l'ambiente, per mezzo di scene mutevoli, per mezzo di décor simultané. Fu
quest'ultimo sistema che il Mahelot adottò. A differenza che nei teatri inglesi, dove nei drammi di
Shakespeare le scene passano dal palazzo di Leonte alle pianure e alle coste selvagge della Boemia,
il regista francese mette ogni cosa sulla scena contemporaneamente. Con tutta probabilità le
raffigurazioni di queste varie maisons o "case" erano angolate al modo del Serlio, formate da telai
di legno ricoperti di teloni dipinti, e almeno alcune erano praticabili. Vi comparivano perfino delle
stanze, come se fosse stata abbattuta una "quarta parete". Potremmo quasi dire, perciò, che
durante un lungo periodo che va dalla metà del sedicesimo secolo fino a buona parte del secolo
successivo, la Francia seguì per la scena un percorso tutto suo, in opposizione a quello del teatro
italiano.
Teatro rinascimentale in Spagna
I teatri che fiorirono in Spagna sorsero all'incirca nello stesso periodo dei teatri elisabettiani ed
ebbero una forma non dissimile. Nel 1579 fu fondato a Madrid il primo teatro spagnolo importante,
il Teatro de la Cruz. Gli attori erano soliti recitare in un corral o patio e fu proprio a questa
tipologia edilizia che guardarono quando costruirono il Patio de La Cancelleria a Granada, nel
XV secolo, che fu il luogo di parecchie rappresentazioni.
27
Se nel 1579 Madrid ha il suo Corral de la Cruz e nel 1583 il Corral del Prìncipe, Siviglia poteva
vantare non meno di sette luoghi di spettacolo, mentre diverse città in Portogallo come in Spagna,
diventavano sue rivali. Il corral può essere definito come un cortile formato dalle pareti di case
contigue, non dissimile per la forma e la grandezza dai cortili delle locande inglesi. Ad una
estremità era eretto il palcoscenico, una piattaforma simile a quella dei teatri inglesi, sebbene a
volte le tende dipinte potessero fare da sfondo agli attori. Sotto, sul terreno, erano disposte delle
panche, mentre posizioni più vantaggiose erano le finestre o i piccoli balconi (célosias o
aposèntos), che si aprivano nelle pareti delle case che delimitavano il corral. In più, una specie di
galleria a mo di palco, chiamata la cazuela, era assegnata al pubblico femminile. Spesso su tutto il
cortile erano stese delle tende che più tardi furono sostituite da soffitti fissi dipinti.
Dietro la piattaforma c'era una zona spogliatoio, che poteva al caso essere aperta come palco
interno, mentre un piano superiore, “lo alto” del teatro, poteva essere usato per gli stessi scopi della
galleria elisabettiana, fungendo ora da bastione di una città assediata, ora da terrazza di una casa,
ora da sommità di una collina. Proprio per la somiglianza con il teatro inglese si sviluppò la
personalità di Lopez de Vega che, quasi coetaneo di Shakespeare, poté in Europa rivaleggiare
quale autore di drammi.
28
Il Teatro Barocco
Durante il Seicento ed il Settecento il teatro uscì dai Palazzi nobiliari e dalle corti e sorsero teatri
gestiti da privati, luoghi dove si poteva entrare mediante il pagamento di bollettini, questa novità
aprì la fruizione dello spettacolo ad un pubblico più vasto e spesso, come nel caso della Commedia
dell'Arte, ad un pubblico popolare.
A Venezia le famiglie Grimani e Vendramin costituirono una rete di spazi spettacolari concentrati
nell'ansa del Canal Grande che va da Piazza San Marco al Ponte di Rialto, dove si trovavano
poco distanti l'uno dall'altro il Teatro Sant'Angelo, il Teatro San Giovanni Grisostomo, il San
Samuele e il Teatro San Benedetto.
Anche altre città sia italiane che straniere furono influenzate dalla nascita di questa nuova industria,
ad esempio le Confraternite fiorentine, poi diventate nel corso del XVII secolo Accademie. Le
Accademie gestivano nuovi spazi come il Teatro della Pergola dell'Accademia degli Immobili o
il Teatro del Cocomero (oggi Teatro Niccolini) dell'Accademia degli Infuocati, o quello detto di
via dell'Acqua gestito dall'Accademia del Vangelista.
Fu precisamente il Teatro “La Pergola” di Firenze, costruito nel 1656, il primo vero teatro
barocco. Pur avendo un’apertura di palcoscenico di m. 11,60 (modesto per un'opera lirica) il suo
palcoscenico è molto vasto rispetto alla sala. Sebbene dei pilastri delimitano le parti laterali fra di
loro, è possibile piazzare i carri che permettono cambiamenti velocissimi, anche a vista.
Interessante il sottopalco munito di argani che a mezzo di un complesso rimando di corde portano
platea e palcoscenico allo stesso livello. Eliminando le sedie, si tenevano feste danzanti.
Con l'arrivo dei comici italiani anche Parigi adibì degli spazi per la nuova tipologia di spettatori,
non più cortigiani ma anche borghesi e popolari, per esempio l'Hotel de Bourgogne e quello del
Teatro della Pallacorda, anche se il vero centro delle rappresentazioni amate dal popolo
rimanevano i teatri della Foire.
Struttura dei Teatri
In questo nuovo frangente il teatro continuò a modificarsi rendendosi più complesso: le gradinate
vennero abolite, la sala prese una forma oblunga, con il pavimento a piano inclinato (platea) e
le pareti verticali sulle quali si aprivano più ordini di palchi, gli spazi di servizio aperti (per le
29
varie macchine sceniche) si moltiplicarono così come le scenografie si avvicinarono al gusto
barocco imperante, con artisti del calibro di Ferdinando Galli Bibiena, il figlio Antonio o
Giovan Battista Piranesi.
Dal proscenio, che prima si protendeva verso la sala, si giunse al proscenio normale che venne ad
unirsi alle due estremità dell'arco scenico in muratura, sviluppando una leggera curva.
La forma di pianta a ferro di cavallo della sala non subì varianti, salvo qualche caso di pianta
rettangolare. Alle pareti vi erano ordini di palchi e gallerie.
L'orchestra si posizionò prima del proscenio (golfo mistico o fossa d'orchestra), a quota più bassa
del piano palcoscenico in modo tale da non ostacolare o disturbare la visuale del pubblico.
L'età barocca fu un periodo di attiva progettazione e costruzione teatrale, con la conseguente
affermazione di un modello di base che, con piccole modifiche, venne accettato universalmente.
Si è già parlato della maggiore profondità del palcoscenico di questi teatri, ora bisogna volgersi alla
sale e al rapporto fra questa e l'area di recitazione. Esaminando la pianta e la sezione
trasversale di un tipo di teatro barocco disegnato da Andrea Pozzo nel 1695, notiamo sei quinte
laterali disposte obliquamente rispetto al fronte del palco e decrescenti, in altezza, verso il fondo,
oltre vi sono due serie di fondali con altro spazio dietro, per ulteriori effetti prospettici.
La sala però, mostra una organizzazione diversa da quella che era possibile trovare fino alla
costruzione del Teatro Farnese: al posto dei gradoni e al posto delle balconate aperte, ci sono
cinque gallerie divise in palchi da pilastri ed archi. La novità del teatro barocco sta nell'aver
frantumato tutte le gallerie in scomparti separati, per offrire agli spettatori comodità ed
intimità, divenendo, questo sistema, la norma dei teatri italiani, non solo lirici. Nei teatri come il
Ducale di Mantova, del 1706, progettato da Ferdinando da Bibbiena, il Filarmonico di Verona,
del 1729, progettato da Francesco da Bibbiena, il Falcone di Genova, i palchetti furono costruiti
in modo da sporgere leggermente secondo un ordine rigoroso per facilitare la fruibilità della scena.
Molto diffuse furono la sistemazione a ferro di cavallo come nel caso del Teatro Argentina a
Roma, 1732, La Scala di Milano e La Fenice di Venezia; o campana come nel caso del Teatro
San Carlo di Napoli. Altri architetti preferivano lavorare sulla base di una ellisse tagliata
all'estremità da un arco di proscenio, come nel caso del Teatro Regio di Torino. Il Teatro di
Imola, invece, presenta una struttura ovoidale che continua in tutta la sua lunghezza e prosegue
fin quasi dentro la scena.
Mentre in Italia le sale si disponevano in lunghezza, nel settecento in Francia erano influenzate dal
modello di forma rettangolare allungata delle Sale della pallacorda (vedi Hotel de Bourgogne, le
Théatre du Marais, del 1634, le Palais Cardinal, del 1641 e la Salle des Machines).
30
Fuori Parigi furono costruiti molti grandi teatri civici: a Lione, a Caen, a Brest, a Montpellier, a
Nancy, a Bordeaux, che erano ispirati dalla forma del teatro classico e si allontanavano quindi dal
modello barocco allontanandosi dalla sistemazione ad alveare dei palchetti di quelli italiani.
La scenografia in periodo barocco
Nel periodo barocco (XVII e XVIII secolo) le numerose edizioni librarie teatrali e gli scambi
culturali degli intellettuali, con frequenti viaggi nelle capitali europee, portano lo spettacolo
teatrale ad una forma comune in tutta Europa.
Il termine Barocco presenta altrettante difficoltà e problemi del termine Rinascimento, molto
storici sono ricorsi all'uso di epiteti qualificativi come primo barocco, medio barocco e tardo
barocco; molte controversie hanno accompagnato i tentativi di applicare in qualche modo questo
termine all'attività artistica di alcuni paesi europei, in special modo l'Inghilterra.
Poco prima del 1594, a Firenze, un appassionato gruppo di entusiasti discutevano su come potevano
essere state interpretate le tragedie greche e sul problema dell'inserimento dell'elemento musicale in
quelle rappresentazioni. Dalla discussione tra il Conte Vernio, i musicisti Giulio Caccini e Jacopo
Peri e il poeta Ottavio Rinuccini, nacque il dramma Dafne, scritto da Rinuccini e musicato dal
Peri. Fu la prima vera opera cantata.
Nel 1600 il matematico Guidobaldo pubblicò Perspectiva libri sex, di cui una sezione era dedicata
alla scenografia. Questo libro rappresentò la prima analisi delle leggi della prospettiva e spalancò
un nuovo mondo di meraviglie a coloro che erano interessati ai problemi della scena, suggerendo un
metodo scenico destinato ad avere fortuna.
La compresenza di queste due ricerche, l'una nella musica e l'altra nella prospettiva, aprì la via al
teatro barocco e ne costituì la base. L'attività teatrale nel periodo barocco si concentrò nel risolvere
tutti i problemi riguardanti rappresentazioni completamente diverse dalle commedie e tragedie di
ispirazione classica: gli intermezzi divennero sempre più l'elemento di attrazione per lo spettacolo
fino a diventare l'elemento principale o unico, con la rappresentazione di balletti o masques,
assorbiti poi dal nuovo genere agli albori e cioè l'Opera (nel 1637, a Venezia, comparve il primo
teatro d'opera con pubblico pagante).
Il periodo barocco rese l'allestimento spettacolare al centro della rappresentazione, con l'adozione di
complicate macchine sceniche che esaltavano questo aspetto. L'area scenica, che un tempo era
limitata, si estese anche in profondità, oltre che in lunghezza, per far posto agli effetti prospettici
ed alle macchine.
Gli architetti furono costretti a modificare la disposizione dei posti a sedere: in precedenza, nei
teatri di corte, una piattaforma posta al centro era stata riservata al principe o al mecenate e le
31
scene erano state progettate per dare una esatta visione prospettica solo in quel punto; ma nei teatri
con il pubblico pagante, si cominciarono a sperimentare altre pratiche. Inoltre l'importanza e la
diffusione dell'Opera portarono in primo piano i problemi dell'acustica.
Nel 1544 uno studioso francese, il Philander, pubblicò un commento all'opera di Vitruvio,
descrivendo oltre che i periaktoi anche un altro sistema chiamato scaena ductilis "...per mezzo di
pannelli tirati di lato si rivelava l'interno di quella o quell'altra scena" e Jean Dubreuil nel terzo
volume della Perspective pratique, del 1649 ne spiega il funzionamento.
(per una dimostrazione del funzionamento dei vari tipi di periaktoi collegarsi al sito
http://www1.appstate.edu/orgs/spectacle/Pages/16thscenechange.html )
Già Giovan Battista Aleotti, nel 1606, l'aveva impiegata al teatro dell'Accademia degli Intrepidi
a Ferrara, mentre nel 1640 l'artista inglese Inigo Jones la adottò nell'allestimento di un masque.
La pianta per la Salmacida Spolia porta la scritta "Pianta di una scena in cui le parti laterali della
scena cambiano completamente insieme ai fondali".
In Inghilterra, il Globe Theatre continuò ad essere regolarmente usato fino alla chiusura dei teatri
nel 1642; è lecito dire, perciò, che prima del 1642 le scenografie prospettiche di tipo italiano erano
note solo agli allestimenti di corte, o in simili rappresentazioni speciali; si trattava soprattutto di
masques, anche se negli ultimi anni alcuni drammi furono allestiti da Inigo Jones per essere
rappresentati davanti alle personalità reali. Quando si riaprirono i teatri, i gusti del nuovo pubblico,
composto ora in larga parte di cortigiani, portò all'instaurazione del teatro scenografico, in una
versione però originale, che rimase fino all'Ottocento.
Inigo Jones pone quattro serie di quinte laterali su ciascun lato del palcoscenico, ciascuna serie
consiste di quattro quinte piatte, dietro ci sono quattro fondali, ognuno dei quali diviso in due
per facilitarne lo spostamento ai lati. Per ottenere l'illusione prospettica, le quinte laterali
diminuiscono in altezza e per ciascuna c'è un bordo superiore o cielo. Fu però Giacomo Torelli
(1608-1678) ad introdurre corsie per muovere le quinte laterali, con un argano centrale posto sotto
il palcoscenico, per i cambi simultanei. Altra novità fu l'introduzione di scene di boschi nella
Venere gelosa (Venezia 1643), con l'uso di quinte forate che lasciano intravedere le quinte
successive. La maggior parte dei frontespizi scenici, disegnati nel seicento, erano semplicemente
bidimensionali e di forma rettangolare: erano piatte cornici di quadro che racchiudevano il
palcoscenico vero e proprio, mentre durante il periodo barocco, invece, tesero sempre più verso la
tridimensionalità, con decorazioni e figure in rilievo. Inoltre, benché la forma rettangolare rimanga
diffusa, una determinata variante attirava molti artisti: la costruzione o di un vero e proprio arco di
32
frontespizio, con la cornice superiore incurvato; alcuni di questi archi erano così profondi da
diventare parte di una facciata che guidava gli occhi degli spettatori verso le scene stesse.
Quando John Webb (allievo di Inigo Jones) fu incaricato di preparare bozzetti per un
"intrattenimento", The Sige of Rhodes, nella sala di Rutland House, i bozzetti mostrarono un
palcoscenico minuscolo con cornice di proscenio fissa dipinta e due serie di quinte laterali rocciose,
che rimanevano immutate durante la rappresentazione. Dietro ad esse vi era una serie di fondali
scorrevoli che venivano tirati per mostrare i mutamenti di scena, con un esplicito riferimento al
disegno prospettico italiano.
Per quanto riguarda i costumi, gli interpreti avevano un forte realismo, con truccature vistose,
parrucche di tutti i tipi e dimensioni, vestiti con ricche stoffe. Il costume storico, documentato, era
fedele all'epoca. Il costume di fantasia venne usato specialmente nelle favole, nei balletti e nei
soggetti mitologici.
33
Neoclassicismo e Romanticismo
Con il teatro Apollo e Argentina di Roma si afferma il tipo nuovo del “teatro all’italiana”, con la
pianta della sala a forma di ellisse troncata perpendicolarmente all'asse maggiore. Sulle pareti si
sviluppano numerosi ordini di palchi che le coprono dal suolo al soffitto piano, per sfruttare meglio
lo spazio ma anche come segno di differenziazione tra le classi sociali.
Tra i più famosi esempi di teatro all'italiana figurano il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro
Regio (1740; distrutto da un incendio nel 1934) e il Carignano di Torino, il S. Carlo di Napoli, il
Carlo Felice di Genova (1828; parzialmente distrutto dai bombardamenti della seconda guerra
mondiale e riaperto nel 1991), La Fenice di Venezia (1792, bruciato nel 1836 e 1996 e inaugurato
"com'era e dov'era" nel novembre del 2004); ve ne sono numerosissimi altri esempi in tutte le città
d'Italia.
Alla fine del Settecento in Francia venne modificato lo schema italiano accorciando la sala,
cambiandone l'altimetria, con l'aggiunta di gallerie in ritiro e della copertura a volta e dando uno
sviluppo considerevole agli ambienti di rappresentanza, come vestiboli, scale, saloni, ecc. Tipico
esempio è l'Opéra di Parigi (1861), ricostruito in stile neobarocco nel 1875.
Negli ultimi anni del Settecento, in Inghilterra, in teatro si cominciarono ad elaborare scenografie e
costumi con fedele ricostruzione storica per drammi, ambientati ad esempio nell'epoca classica e ci
fu, quindi, un impulso verso il realismo storico.
Già nel 1725 Aron Hill aveva suggerito, per un dramma su Enrico V, che i costumi indossati dagli
attori fossero simili a quelli indossati realmente sotto quel re. Anche nella prefazione de “Il
Cesare” di Antonio Conti (1726), la proposta di allestimento andava in questo senso. Il passo
successivo coinvolse, oltre i costumi, anche la scena e fu definitivamente compiuto da William
Capon sul finire del secolo: nei bozzetti da lui eseguiti si nota una vera e propria ricerca storica
meticolosa sugli edifici del passato e quando doveva disegnare una scena composita di strada, gli
edifici riproducevano esattamente case elisabettiane esistenti. Lo stadio successivo fu nel 1823,
quando J.R.Planché, entusiasta amante dell'antichità, oltre che drammaturgo infaticabile, ottenne
da J.P. Kemble l'incarico di disegnare i costumi per la nuova messa in scena di King John di
Shakespeare. Con la collaborazione di numerosi studiosi e confortato da una ricerca accurata
condotta su manoscritti miniati, Planché allestì quella che senza dubbio fu la prima messa in scena
completamente "storica" del dramma di Shakespeare, perché prestò attenzione non soltanto al
costume del protagonista, ma anche a quello delle comparse meno importanti.
34
Da allora in poi , nei programmi delle riprese dei drammi shakespeariani è scritto che gli interpreti
indossano fedeli e autentici abiti dell'epoca, e nei cartelloni risultano debitamente citate le varie
autorità. Accanto all'accentuazione realistica nel porre attenzione alle scene e ai costumi, si fa strada
un'attenzione anche ai rumori e agli effetti paesaggistici.
Questi effetti realistici servirono anche per gli spettacoli fantastici, molto popolari in tutt'Europa:
dalle féeries francesi, alle extravaganzas inglesi, l'attenzione consisteva nell'applicare metodi
realistici a fantasticherie bizzarre. Si introdussero a questo scopo anche oggetti d'uso comune come
vetture, carri, lampioni stradali, animali come galline ed oche vive. Al posto di un interno reso
per mezzo di quinte "prospettiche" si preferivano interni di camere con maniglie vere e veri
soffitti poggiavano sulle pareti delle stanze. Nella maggior parte dei Paesi la passione per il reale
ed il verosimile prendeva il posto del gusto per lo spettacolo grandioso e ciò condusse ad un genere
nuovo di realismo che, non soltanto cercava di imitare il reale, ma che mirava anche a ritrarre il
sordido. Molti uomini di teatro giunsero a posizioni in cui il termine "realismo" aveva perduto
molto dei suo originale riferimento alla scena ed era invece inteso in senso ideologico.
Ciò era stato possibile solo dopo un'invenzione sostanziale: già nel Rinascimento si poneva molta
attenzione all'illuminazione, effettuata attraverso l'uso di candele, lampade e l'interposizione di
vetri variamente colorati per gli effetti spettacolari.
Le lampade erano poste sulla ribalta o a file, dietro le quinte laterali, ma la loro regolazione era
piuttosto difficoltosa. Quando giunse l'ora della scena di camera, ci si accorse che l'illuminazione
doveva poter essere regolata solo all'esterno della scena stessa.
L'innovazione più caratteristica del teatro dell'Ottocento fu l'introduzione di un nuovo sistema di
illuminazione, prodotta prima a gas, introdotta all'Opéra di Parigi nel 1822, e adottata da tutti i
teatri europei verso il 1850. Poi venne l'utilizzazione delle luci della ribalta e, nella seconda metà
del secolo, l'adozione dell'illuminazione elettrica consentì la maggior duttilità di utilizzo.
Con il rinnovarsi della tradizionale illuminotecnica, ci si accorse immediatamente
dell'inadeguatezza del precedente modo di costruire le scene (scenosintesi completamente
dipinta su quinte piatte) e si dovette, in questo campo, cominciare daccapo, con scene con un
minimo di rilievo. Un'altra conseguenza di questa innovazione fu l'introduzione del golfo mistico.
Nel 1802 Franz Ludwing Catel pubblicava uno studio intitolato Vorschlaghe zur Verbesserung
der Schauspielhauser, che offriva suggerimenti per migliorare la progettazione dei teatri
contestando il modello barocco, troppo profondo, e le quinte piatte. Sosteneva la necessità di
scene il più possibile "plastiche", in tal modo la forma ad anfiteatro tornava ad essere attuale.
Karl Friedrich Schinkel (1781-1841) sostenitore di queste tesi riuscì a far realizzare alcune sue
idee nella ricostruzione del Neues Schauspielhaus di Berlino; contrario all'illusionismo barocco (in
35
quanto neoclassicista) fece costruire la sala per il pubblico a forma di anfiteatro e abolì le quinte a
favore di un unico sfondo dipinto, distante dagli attori, in modo da non far entrare in contatto
l'elemento tridimensionale con quello bidimensionale.
L'allievo di Schinkel fu Gottfried Semper, autore di numerosi studi che erano anche in rapporto
con le idee filosofiche di Richard Wagner. Quando nel 1876 fu aperto il Festspielhaus a
Bayreuth, l'architetto Oscar Bruckwald, basandosi sulle idee del Semper, abolì la fossa
dell'orchestra e sistemò il pubblico ad anfiteatro senza suddivisioni marcate nelle varie classi
sociali, Le idee di Wagner erano finalmente attuabili, poiché necessitavano di uno strumento di
illuminazione perfettamente controllabile.
Con l'avvento dell'illuminazione a gas, in un primo tempo, ed elettrica, successivamente, estesa
oltre che al palcoscenico, anche alla sala, che fino a quel momento era stata sempre illuminata
quanto la scena, chiamando l'invenzione golfo mistico. Nacque così la vera sena a scatola ottica.
Accanto all'introduzione del cosiddetto golfo mistico si introdusse anche l'uso del sipario, che
durante tutto il periodo barocco era tenuti fisso, poiché il Torelli desiderava che i cambiamenti di
scena fossero tutti a vista, ma nell'Ottocento era abbassato alla fine degli atti o nelle scene, per
favorire una lettura dell'opera a quadri che anticipa l'idea della quarta parete.
I teatri meccanici
L'introduzione delle scene plastiche comportò una serie di problemi leganti ai cambiamenti di scena
che, con la scenosintesi barocca, erano assicurati facilmente per mezzo di quinte su corsie ed
argano centrale sotto il palco. Ciò non era possibile con la scenoplastica (a rilievo), che invece
comportava l'impiego di una grossa squadra di macchinisti che portassero via il più rapidamente
possibile i pezzi che compongono la scena per collocarne altri. Si adottò anche l'espediente di
un'azione scenica di copertura, svolta nella parte anteriore davanti ad un telone, comportando
interruzioni inopportune.
Nel 1879, in America, Stele Mackaye presentò la domanda di brevetto per un palcoscenico doppio,
che realizzò al Madison Square Theatre. Trasferì l'orchestra sopra e dietro l'arco di proscenio a
vista e costituì una piattaforma montacarichi, calando le scene tutte intere dall'alto.
Mentre, nel 1896, Karl Lautenschlager, ispirato dal teatro kabuki giapponese, costruì una
piattaforma girevole per il Teatro di Berlino: in essa, mentre gli spettatori assistevano allo
spettacolo posto sulla prima metà della piattaforma, sulla seconda metà si allestiva la scena
successiva.
Il concetto di quarta parete è inerente alla filosofia teatrale di Wagner, ma a partire dalla
seconda metà dell'Ottocento, il sipario e la cornice di proscenio erano divenuti elementi essenziali:
36
con l'introduzione dell'oscuramento della sala, il mantenimento dell'arco scenico fu
fondamentale, ma intorno al 1880, con le problematiche determinate dalle discussioni sulle
necessarie norme antincendio, che si andavano ad elaborare in quegli anni, resero obbligatorio
l'uso del sipario metallico tra palcoscenico e sala si costruì un solido muro per l'arco di
proscenio, ma le nuove norme insistevano anche sulla solidità dei teatri, avendo come
conseguenza l'uso del cemento armato, che si impose fino ai giorni nostri.
Dalla fine dell'800 in poi sorgono nuovi tipi di teatro con caratteristiche particolari. Si trovano
così:
- teatri nei quali il palcoscenico è rotante, ovvero che ruota al fine di far permettere a tutti gli
spettatori di vedere lo spettacolo da più punti di vista;
- teatri che riportano ai girovaghi del passato, attrezzandoli con carri sempre più evoluti che
hanno con sè tutto il necessario per uno spettacolo, compreso il palco (Carro di Tespi);
- teatri con più palcoscenici, che permettono di velocizzare i cambi di scena;
- teatri con poltrone rotanti.
37
Il Teatro del novecento
Caratteristiche generali
Gli architetti che nel XX Secolo progettano edifici teatrali, cercano di dare una risposta alle nuove
esigenze espresse dai professionisti che vi lavorano. Nasce la consapevolezza che il teatro non deve
essere costruito in omaggio alle richieste del pubblico, ma in funzione della sola rappresentazione.
Lo sfarzo della sala all'italiana si riduce in favore di una visione più razionale e pragmatica dello
spazio teatrale.
In molti teatri del Novecento si ha un ritorno alla struttura classica ed elisabettiana con l'abolizione
dell'arco scenico, che separa nettamente lo spazio dell'attore da quello dello spettatore. La
medesima tendenza all'unificazione si può riscontrare nel rifiuto di suddividere il pubblico in
classi sociali, come avveniva nella sala all'italiana attraverso l'uso dei palchetti e dei diversi ordini
di gallerie.
Un altro problema affrontato in questo periodo è la corrispondenza tra i generi teatrali ed il luogo
in cui essi vengono rappresentati: in una sala di prosa non c'è abbastanza spazio per mettere in
scena un melodramma, così come un dramma in prosa che si svolge in una sola stanza, può
risultare grottesco se rappresentato nell'enormità di un teatro lirico. Le crescenti possibilità della
tecnologia hanno permesso di attuare soluzioni innovative. Già nel 1907 l'architetto Max Littmann
realizza al Grossherzogliches Hoftheater di Weimar il primo proscenio variabile, grazie al quale
lo spazio della rappresentazione può essere ingrandito o rimpicciolito a seconda delle esigenze
drammaturgiche. Nel 1927 Walter Gropius elabora il progetto per il mai costruito Totaltheater,
un edificio dove sia la platea sia lo spazio scenico erano montati su piani mobili per ottenere nello
stesso edificio tre disposizioni differenti: arena, sala con arco scenico, e teatro greco. Il concetto
della variabilità della sala è stato ripreso nel 1944 allo Stadteater di Malmö, dove l'ampiezza della
sala può essere modificata con delle pareti mobili, e nel 1963 al teatro di Limoges.
La seconda metà del secolo vede la progettazione, più che di edifici prettamente teatrali, di grandi
poli culturali, dove accanto a due sale teatrali di diversa grandezza, troviamo sale
cinematografiche, musei, biblioteche, sale conferenze e ristoranti. È questo il caso dell'Opera
House di Sydney, della Casa della Cultura di Grenoble e del Barbican Arts Centre di Londra.
Stanivlaskij e la crisi del realismo
38
Più che in Francia, in Germania o in Inghilterra, nell'ultimo scorcio dell'Ottocento, il naturalismo
doveva trovare un terreno singolarmente fertile in Russia.
In questi anni la vita teatrale moscovita si incentrava nel Malij Teatr, la cui produzione però
rientrava nella più piatta routine. Accanto ad esso, tuttavia, erano attivi presso l'Istituto Filarmonico,
Vladimir Ivanovic Nemiròvic-Dancenko e la Società di Arte e Letteratura di Konstantin
Stanislavskij. Dall'incontro di queste due personalità nascerà, nel 1898 il Teatro dell'Artela cui
attività, nel giro di pochi anni avrebbe inserito Mosca tra le maggiori capitali europee dello
spettacolo. Il problema centrale per Stanislavskij, che aveva appreso da Tommaso Salvini i primi
rudimenti di regia, consisteva nella necessità di evitare che la recitazione dell'attore, sottoposta ad
un lavoro di routine, finisse col cristallizzarsi in un cliché standardizzato. A tale scopo aveva
messo a punto un sistema basato su una serie di esercizi psico-fisici mutuati dalla filosofia indiana
ed in particolare dallo zen.
Il metodo, denominato da Stanivlaskij “perezivanie” ossia “rinvivimento” della parte, consentirà
non di interpretare semplicemente la storia di un personaggio, ma di riviverla di sera in sera con la
stessa carica psicologica. Stanivlaskij attribuisce alla scena una funzione strettamente
utilitaristica, auspica l'avvento di un tipo di scenografia plastica meglio rispondente ai suoi
principi: "datemi piuttosto una poltrona in stile, datemi una pietra su cui sedermi e sognare...questi
oggetti che noi possiamo toccare e vedere sulla scena...sono molto più necessari ed importanti, sul
palcoscenico, delle tele cariche di colore che non vediamo". Una delle innovazioni da lui introdotte
fu quella del fondale nero di velluto "per nascondere la profondità della scena e creare una nera
superficie piana, monocolore, non a tre, a due dimensioni, poiché il pavimento coperto di velluto, le
quinte e gli archi cadenti, fatti dello stesso materiale si sarebbero fusi con il fondale di velluto
nero; ed allora la profondità della scena sarebbe scomparsa" ed ancora: "immaginatevi che su
un'enorme foglio nero, quale appariva il boccascena dalla sala degli spettatori, fossero state
tracciate delle linee bianche delimitanti in prospettiva i contorni della stanza e del suo
arredamento, al di là di queste linee si sente dovunque la spaventosa, infinita profondità".
Nell'opera di Stanislavskij si ritrovano alcuni presupposti della reazione antiverista: l'interesse si
sposta dal testo poetico all'azione scenica e quindi alla persona fisica dell'attore, mentre la
scenografia assume un carattere plastico, sia pure senza rinunciare al figurativo, cosa che faranno
invece Appia e Craig con un processo di astrazione quasi assoluto.
I pionieri Appia e Craig
Nell'ambito del teatro, più che in quello della letteratura drammatica furono importanti le
innovazioni di Gordon Craig e Adolphe Appia.
39
Agli inizi del secolo gli scrittori, come Maurice Maetrlinck, cominciarono a proporre un neo-
romanticismo più moderato: la loro critica non era rivolta contro il realismo in sé, ma tentavano
di offrire la possibilità di utilizzare drammaticamente un'emotività meno grossolana.
Agli albori del Novecento la situazione dell'allestimento teatrale appare quanto mai precaria, ma
stanno maturando le premesse per uscire dall'empasse in cui si era trovato: la riforma del
melodramma operata da Wagner conferiva agli allestimenti un valore decisamente nuovo. Verso
la metà del XIX secolo, nonostante tutto Wagner continuava comunque a servirsi di scenografi che
null'altro erano che buoni artigiani, che non avevano cioè la sensibilità per intuire a quali
conseguenze l'opera del maestro portava. A parte queste considerazioni, un innegabile merito di
Wagner, assertore convinto del mitico ideale dell'opera d'arte totale (Gesamtkunstwerk) sorta
dalla fusione delle arti sorelle: musica, danza e poesia, fu l'aver individuato, anche se
limitatamente alla musica, uno dei principi fondamentali della regia moderna, vale a dire il
ritmo. La riforma wagneriana, oltre ad influenzare largamente il simbolismo francese, pose nuovi
temi operativi i quali costituirono una solida piattaforma di partenza per un artista come Adolphe
Appia, caposaldo della scenografia moderna.
Estimatore dell'opera di Ippolito Taine e di Walter Pater, nella prima giovinezza Appia era stato
stimolato dall'ascolto della Passione secondo S. Matteo di Bach ad accostarsi allo studio della
musica, che lo portò a comprendere le possibilità dell'opera Wagneriana rispetto all'allestimento
scenico.
Egli aveva sempre immaginato "che i piedi degli attori, e quindi naturalmente i loro atteggiamenti,
sarebbero stati valorizzati dalla diversità dei piani".
Da questa osservazione di carattere realistico, il più tenace oppositore del naturalismo prese spunto
per quella che sarebbe stata una delle sue prime innovazioni: l'articolazione del piano del
palcoscenico. Tale innovazione era giustificata anche dalla valorizzazione che una illuminazione
accorta ne faceva. Tra il 1891 ed il '92 si diede a disegnare scene per L'anello del nibelungo,
L'oro del Reno, Le Walchirie e, grazie alla mediazione di un amico, riuscì a sottoporre i suoi
schizzi a Cosima Wagner, vedova del musicista, la quale però ne ravvise un tradimento dell'opera
del marito. Vistosi precluso l'accesso al teatro operante, Appia definì le sue idee in sede teorica in
La mise en scéne du drame wagnérien pubblicato a Parigi nel 1895, a spese del suo autore.
Quest'opera è definita da Pandolfi come "il primo documento sicuro di un'estetica teatrale, dove
venga considerata con piena coscienza l'artisticità dello spettacolo e la sua autonomia."
Inevitabilmente Appia scrive: "Il dramma del poeta-musicista ricade inevitabilmente sul suo
autore, e costui non può sperare di raggiungere l'unità, se la parte rappresentativa, di cui dopotutto
fissa rigorosamente le proporzioni per mezzo della musica, non entra nella concezione stessa del
40
dramma". Pertanto non resta che attendere l'avvento di un poeta-musicista il quale, mediante un
sistema di scrittura simile ad uno spartito musicale, riesca a fissare in maniera inequivocabile gli
elementi necessari alla trasposizione visiva del dramma.
Come si può ben capire, le intuizioni di Appia sfiorano il concetto di regia, ne consegue che la
musica, in fin dei conti, plasma anche lo spazio scenico, reso mutevole dal sollevamento ed
abbassamento dei praticabili, oltre che dall'azione del corpo nudo dell'attore.
Un altro concetto introdotto da Appia è lo "spazio luce": lo scenografo "dipinge" con la luce,
mezzo di incomparabile importanza, sfruttata con funzione psicologica, in modo del tutto
indipendente dal tempo in cui si svolge l'azione, aprendo la strada ai valori della luce presso i
cubisti e i futuristi.
Il più grande estimatore di Appia è senz'altro Edward Gordon Craig, che al contrario di Appia
poté dedicarsi più direttamente all'attività teatrale, essendo figlio d'arte ed esercitando la professione
di attore sulla scena britannica.
Anche in Craig possiamo individuare l'essenza della sua ricerca nella rivolta contro la falsità nel
mondo realistico, sostituendolo con la forma simbolica e scacciandone tutta la trivialità, per fare
del teatro un tempio. Al particolare naturalistico Craig sostituisce masse di luce ed ombra,
invece di interni illusionistici, forme plasticamente concepite, ponendo sul palcoscenico vari
piani che permettono una più adeguata posizione degli attori. Egli combatte il realismo a teatro,
ma combatte anche la scena dipinta. Gli effetti, nel suo teatro, sono interamente creati dall'uso di
forme volumetriche elementari. In questo Graig si congiunge con Appia. La luce, per entrambi,
ha un ruolo fondamentale e non si limita ad illuminare gli attori, ma ne determina un'atmosfera.
Il rapporto ambivalente che lo lega a Irving, il più grande attore sulla scena in quel momento, di cui
Craig avvertiva la superiorità, lo convinse a lasciare la carriera di attore per intraprendere quella di
stage-director. E già due anni dopo, nell'allestimento del Dido and Aenas di Purcell (1900) si
nota un'importante innovazione tecnica: del colore, scelto con riferimenti simbolici, vengono
utilizzate poche tonalità, o addirittura una sola, come nella scena del secondo atto in cui il grigio
del fondale è ripetuto nei costumi con sfumature più o meno scure, sapientemente evidenziate da
un'accorta illuminazione che prevede l'abolizione delle luci di ribalta, rimpiazzate da riflettori
posti in sala e nella parte alta del palcoscenico, su un provvisorio ponte di luci. L'innovazione
delle luci in sala, solitamente attribuita allo scenografo americano Bel Geddes, che la impiegò nel
1925 per la Jeanne d'Arc, fu in gran parte anticipata da Gordon Craig.
Negli anni successivi, dopo clamorosi successi, Craig si dedicherà all'attività teorica approdando
alla pubblicazione di The Art of The Theatre a Londra, nel 1905.
41
Un'altra innovazione introdotta dal famoso scenografo, rispondente alla visione cinetica del teatro,
fu dettata dallo stimolo della lettura del trattato del Serlio, che illustrava un teatro dalla superficie
di scena a scacchiera, dalla quale trasse spunto per concepire il suo palcoscenico mobile,
costruito da volumi geometrici a forma di parallelepipedo, ripetuti anche nella zona della soffitta e
lambiti lateralmente da paraventi, con il compito di modificare lo spazio scenico in rapporto alla
necessità dell'azione: ogni quadrato della superficie di scena poteva così sollevarsi a piacere.
Nascono gli screens: una serie di schemi rettangolari mobili che avrebbero dovuto dar luogo ad un
numero pressoché illimitato di combinazioni.
Le avanguardie artistiche e gli sviluppi sull’edificio
teatrale
Le concezioni e le riflessioni portate da Craig e Appia interessarono le nuove leve del teatro agli
albori della prima guerra mondiale, fra le quali il giovane Norman Bel Geddes.
L'americano presentò un progetto di teatro ideato sia per scene tridimensionali che per scene
con proiezioni: in esso il pubblico e gli attori erano collocati in una grande sala rettangolare,
coperta da un'ampia volta, il palcoscenico era situato in uno degli angoli e assumeva quindi una
forma triangolare. Oltre a questo progetto Bel Geddes ne pubblicò un altro in cui gli spettatori
erano disposti in due sezioni, collocate una di fronte all'altra, fra le quali si estendeva un
palcoscenico stretto e lungo.
Nel 1927 Walter Gropius pubblicò un grande progetto per un teatro totale, in cui il pubblico
circondava una pista centrale. Nel frattempo, in mezzo a tutti questi fermenti, il teatro subì
l'influenza di vari momenti dell'avanguardia artistica, ben decisi a combattere con tutte le loro
forze il realismo.
I movimenti come il futurismo, il cubismo, il costruttivismo, il raggismo, il suprematismo
sfociarono in stimolanti discussioni ed esperimenti, con introduzione di elementi scenici e
strutture meccaniche a beneficio di una esibizione di tipo atletico. Il cubismo spingeva a dare
importanza ai piani, il futurismo italiano incoraggiava il semplice ammassamento delle forma.
In Russia invece si fece strada una tendenza opposta, che rivalutava la scena dipinta per
l'allestimento dei balletti russi, sotto la spinta di Lev Bakst, che si rifaceva al colorismo
bizantino. Oltre agli artisti russi quali la Goncarova, Larinov e Posedaiev, Djagilev furono
invitati a cimentarsi con il teatro russo artisti come Picasso, Braque, Matisse ed altri, mentre in
Inghilterra si segnalano presenze come Wilkinson, Sheringham, Rutherson e, negli Stati Uniti,
Edmond Jones, Simonson, Bel Geddes, Jo Milziner, Oenslanger.
42
Josef Svoboda, (Caslav, 10 maggio 1920 – Praga, 2001) nato in Boemia, frequentò il liceo e lavorò
come falegname. Dopo la seconda guerra mondiale cominciò a studiare scenografia al
conservatorio di Praga e architettura all'Istituto delle arti e delle industrie. I suoi primi lavori
scenografici giunsero nel 1943, per il teatro sperimentale praghese Nuovo gruppo al museo
Smetana, nello spettacolo La morte di Empedocle di Friedrich Holderlin. Nel 1946 diventò
direttore di produzione del Teatro 5 maggio di Praga, per cui nello stesso anno allestì “La sposa
venduta” di Smetana, regia di Václav Kaslík. Nel 1958, sempre a Praga, Josef Svoboda inventò
prima le tecniche della Lanterna Magika, presentata all'esposizione di Bruxelles, e dopo quelle del
Polyécran, che applicò poi in teatro. Nel 1973 fu nominato direttore artistico della Lanterna
Magika ( il teatro-laboratorio da lui fondato), fino al 1992.
Lo spettacolo Il circo incantatore fu rappresentato più di 2500 volte alla Lanterna Magika; la cui
scenografia multimediale fu inserita nella struttura Teatro Nazionale di Praga. In occasione
dell’Amleto, nel 1959, usò per primo il controluce da qui il nome proiettori Svoboda. Con l'aiuto
di Vaclav Kaslik, creó vari spettacoli d'opera. Negli anni sessanta Svoboda incontrò altri registi,
come Miroslav Machacek e Otomar Krejca, con cui lavorò a rappresentazioni in scena sia nel
Teatro Nazionale e nel teatro Za branou che in Europa, fu innovatore del teatro lirico e di prosa,
attraverso l'impiego delle tecniche più avanzate di illuminazione, giochi di luce e controluce. In
cooperazione con Evald Schorm negli anni ottanta, in scena alla Laterna magika, nacque poi una
nuova epoca di vita del teatro unico.
Josef Svoboda fu autore di oltre 700 scenografie, sia Cecoslovacche, Ceche, che estere. Con lui
hanno collaborato molti importanti registi, tra cui Armand Delcampe, John Dexter, Claus
Helmut Drese, August Everding, Götz Friedrich, Giorgio Strehler, Laurence Olivier, R. Petit,
Jean-Claude Riber.