Storia della letteratura · PDF fileFrancesco De Sanctis - Storia della letteratura italiana e...

910
Letteratura italiana Einaudi Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis

Transcript of Storia della letteratura · PDF fileFrancesco De Sanctis - Storia della letteratura italiana e...

  • Letteratura italiana Einaudi

    Storia dellaletteratura italiana

    di Francesco De Sanctis

  • Edizione di riferimento:Salani, Firenze 1965

    Letteratura italiana Einaudi

  • Letteratura italiana Einaudi

    I I Siciliani 1II I Toscani 19III La lirica di Dante 58IV La prosa 73V I misteri e le visioni 86VI Il Trecento 110VII La Commedia 150VIII Il Canzoniere 260IX Il Decamerone 285X L'ultimo trecentista 354XI "Le Stanze" 362XII Il Cinquecento 413XIII LOrlando Furioso 454XIV Machiavelli 512XV Pietro Aretino 574XVI Torquato Tasso 595XVII Marino 639XVIII La nuova scienza 680XIX La nuova letteratura 794

    Sommario

  • 1Letteratura italiana Einaudi

    II SICILIANI

    Il pi antico documento della nostra letteratura co-munemente creduto la cantilena o canzone di Ciullo (di-minutivo di Vincenzo) di Alcamo, e una canzone di Fol-cacchiero da Siena.

    Quale delle due canzoni sia anteriore, cosa pueriledisputare, essendo esse non principio, ma parte di tuttaunepoca letteraria, cominciata assai prima, e giunta alsuo splendore sotto Federico secondo da cui prese il no-me.

    Federico secondo, imperatore dAlemagna e re di Si-cilia, chiamato da Dante cherico grande, cio uomodottissimo, fu, come leggesi nel novelissimo signore, nel-la cui corte a Palermo venia la gente che avea bontade,sonatori, trovatori e belli favellatori. E perci i rimatoridi quel tempo, ancorch parecchi sieno daltra partedItalia, furono detti siciliani.Che cosa la cantilena di Ciullo?

    una tenzone, o dialogo tra Amante e Madonna,Amante che chiede, e Madonna che nega e nega, e in ul-timo concede, tema frequentissimo nelle canzoni popo-lari di tutti tempi e luoghi, e che trovo anche oggi a Fi-renze nella Canzone tra il Frustino e la Crestaia.

    Ciascuna domanda e risposta in una strofa di ottoversi, sei settenari, di cui tre sdruccioli e tre rimati, chiu-si da due endecasillabi rimati. La lingua ancor rozza eincerta nelle forme grammaticali e nelle desinenze, me-scolata di voci siciliane, napolitane provenzali, francesi,latine. Diamo ad esempio due strofe:

    AMANTE

    Molte sono le femine channo dura la testa,

  • Francesco De Sanctis - Storia della letteratura italiana

    e luomo con parabole le dimina e ammonesta: tanto intorno percacciale sinch lha in sua podesta. Femina duomo non si pu tenere. Gurdati, bella, pur di ripentere.

    MADONNA

    Che eo me ne pentesse? Davanti fossio auccisa, ca nulla buona femina per me fosse riprisa. Er sera ci passasti correnno alla distisa. Acquistiti riposo, canzoneri: le tue paraole a me non piaccion gueri.

    La canzone tirata gi tutta dun fiato, piena di natura-lezza e di brio e di movimenti drammatici, rapida, tuttacose, senza ombra di artificio e di rettorica. Ci una fi-nezza e gentilezza di concetti in forma ancor greggia,ineducata. E perci il documento pi prezioso, perchse lingegno del poeta apparisce ne concetti e ne senti-menti e nellandamento vivo e rapido del dialogo, la for-ma quasi impersonale, ritratto immediato e genuino diquel tempo.

    E studiando in quella forma, facile indurre che ceraallora gi la nuova lingua, non ancora formata e fissata,ma tale che non solo si parlava, ma si scriveva; e cerapure una scuola poetica col suo repertorio di frasi e diconcetti, e con le sue forme tecniche e metriche gi fissa-te.

    Chi sa quanto tempo si richiede perch una linguanuova acquisti una certa forma, che la renda atta ad es-sere scritta e cantata, pu farsi capace che la lingua diCiullo, ancorach in uno stato ancora di formazione, do-vea gi essere usata da parecchi secoli indietro.

    2Letteratura italiana Einaudi

  • E ci volle anche almeno un secolo, perch fosse possi-bile una scuola poetica, giunta allora allultimo gradodella sua storia, quando i concetti, i sentimenti e le for-me diventano immobili come un dizionario e sono intutti i medesimi.

    Come e quando la lingua latina sia ita in decomposi-zione, quali erano i dialetti usati dalle varie plebi, comee quando siensi formate le lingue nuove o moderne neo-latine, quando e come siesi formato il nostro volgare, sipu congetturare con pi o meno di verisimiglianza, manon si pu affermare per la insufficienza de documenti.Oltrech, non questo il luogo di esaminare e chiarirequistioni filologiche di cos alto interesse, materia nonancora esausta di sottili e appassionate discussioni. Si possono affermare alcuni fatti.

    La lingua latina fu sempre in uso presso la parte coltadella nazione, parlata e scritta da chierici, da dottori,da professori e da discepoli. Ricordano Malespini diceche Federico secondo seppe la lingua nostra latina e ilnostro volgare.

    Ci erano dunque due lingue nostre nazionali, il latinoe il volgare. E che accanto al latino ci fosse il volgare,parlato nelluso comune della vita, si vede pure da con-tratti e istrumenti scritti in un latino che pare una tradu-zione dal volgare, e dove spesso accanto alla voce latinatrovi la voce in uso con un vulgo dicitur, o dicto.

    Questo volgare non era in fondo che lo stesso latino,come erasi ito trasformando nel linguaggio comune, det-to il romano rustico. Nell812 il concilio di Torsi rac-comanda ai preti di affaticarsi a dichiarare le omelie inlingua romana rustica. Questa lingua romana o ro-manza, dice Erasmo, presso gli spagnuoli, gli africani, igalli e le altre romane province era cos nota alla plebe,che gli ultimi artigiani intendevano chi la parlasse, soloche loratore si fosse accostato alla guisa del volgo. Ilvolgo dunque parlava un dialetto molto simile al roma-

    Francesco De Sanctis - Storia della letteratura italiana

    3Letteratura italiana Einaudi

  • Francesco De Sanctis - Storia della letteratura italiana

    no, e similissimo a questo dovea essere il nostro volgare,anzi quasi non altro che questo, uno nelle sue forme so-stanziali, vario ne diversi dialetti, quanto alle sue partiaccidentali, come desinenze, accenti, affissi, ecc. Ceradunque un tipo unico, presente in tutte le lingue neolati-ne, e pi prossimo, come nota Leibnizio, alla lingua ita-lica, che ad alcunaltra.

    Con lo scemare della coltura prevalsero i dialetti. Perle chiese per le scuole, negli atti pubblici era usato un la-tino barbaro, molto simile alla lingua del volgo. Nellusocomune il volgare non era parlato in nessuna parte, maera dappertutto, come il tipo unico a cui sinformavano idialetti e che li certificava di una sola famiglia.

    Questo tipo o carattere de nostri dialetti appare enella somiglianza de vocaboli e delle forme grammati-cali, e ne mezzi musicali e analitici sostituiti alla proso-dia e alle forme sintetiche della lingua latina. Il nome ge-nerico della nuova lingua, come segno di distinzione dallatino, era il volgare. Cos Malespini dicea: la nostralingua latina e il nostro volgare, cio la nuova linguaparlata in tutta Italia dal volgo ne suoi dialetti.

    Con lo svegliarsi della coltura, se parecchi dialetti ri-masero rozzi e barbari, come le genti che li parlavano,altri si pulirono con tendenza visibile a svilupparsi daglielementi locali e plebei, e prendere un colore e una fiso-nomia civile, accostandosi a quel tipo o ideale comunefra tante variazioni municipali, che non si era perdutomai, che era come criterio a distinguere fra loro i dialettipi o meno conformi a quello stampo, e che si diceva ilvolgare, cos prossimo al romano rustico.

    Proprio della coltura suscitare nuove idee e bisognimeno materiali, formare una classe di cittadini pi edu-cata e civile, metterla in comunicazione con la colturastraniera, avvicinare e accomunare le lingue, sviluppan-do in esse non quello che locale, ma quello che co-mune.

    4Letteratura italiana Einaudi

  • La coltura italiana produsse questo doppio fenome-no: la ristaurazione del latino e la formazione del volga-re. Le classi pi civili da una parte si studiarono di scri-vere in un latino meno guasto e scorretto, dallaltra, adesprimere i sentimenti pi intimi e familiari della nuovavita, lasciando alla spregiata plebe i natii dialetti, cerca-rono forme di dire pi gentili, un linguaggio comune,dove appare ancora questo o quel dialetto, ma ci si sentegi uno sforzo ad allontanarsene e prendere quegli abitie quei modi pi in uso fra la gente educata e che megliola distinguano dalla plebe.

    Questo linguaggio comune si forma pi facilmentedove sia un gran centro di coltura, che avvicini le classicolte e sia come il convegno degli uomini pi illustri.Questo fu a Palermo, nella corte di Federico secondo,dove convenivano siciliani, pugliesi, toscani, romagnoli,o per dirla col Novellino, dove la gente che avea bonta-de vena a lui da tutte le parti.

    Il dialetto siciliano era gi sopra agli altri, come con-fessa Dante. E in Sicilia troviamo appunto un volgarecantato e scritto, che non pi dialetto siciliano e non ancora lingua italiana, ma gi, malgrado gli elementilocali, un parlare comune a tutti rimatori italiani, e chetende pi e pi a scostarsi dal particolare del dialetto, edivenire il linguaggio delle persone civili.

    La Sicilia avea avuto gi due grandi epoche di coltura,laraba e la normanna. Il mondo fantastico e voluttuosoorientale vi era penetrato con gli arabi, e il mondo caval-leresco germanico vi era penetrato co normanni, cheebbero parte cos splendida nelle Crociate. Ivi pi che inaltre parti dItalia erano vive le impressioni, le rimem-branze e i sentimenti di quella grande epoca da Goffre-do a Saladino; i canti de trovatori, le novelle orientali, laTavola rotonda, un contatto immediato con popoli cosdiversi di vita e di coltura, avea colpito le immaginazionie svegliata la vita intellettuale e morale. La Sicilia diven-

    Francesco De Sanctis - Storia della letteratura italiana

    5Lettera