STORIA DELLA CRITICA D'ARTE · La loro arte si basava sulla semplificazione delle forme,...

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STORIA DELLA CRITICA D'ARTE DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO Anno Accademico 2019/2020 LA PRIMA META' DEL '900

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STORIA DELLA CRITICAD'ARTE

DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO

Anno Accademico 2019/2020

LA PRIMA META'DEL '900

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Anche all’inizio del ‘900 molti critici-letterati scrivono di arte. D’Annunzio in Italia, Apollinaire in Francia (1880-1918) primo scopritore e sostenitore del cubismo di Braque e Picasso e poi del Surrealismo.

Il poeta Max Jacob sostenne i Fauves . Il Fauvismo, al contrario degli altri movimenti espressionisti, non mostra interesse per gli aspetti politico-sociali del mondo in cui vive, ma solo all'aperto rifiuto delle forme naturali e all'uso dei colori usuali ( Matisse, Derain, Dufy…), Delaunay (orfici) e fu vicino ai futuristi. Il gruppo di artisti chiamati Fauves non fu mai un vero gruppo; non ci fu infatti mai un programma e neppure una vera comunità d'intenti. Discutevano molto di impressionismo, spesso in termini negativi ma apprezzando la novità di una luce generata dall'accostamento di colori puri. I Fauves si differenziarono dall'espressionismo tedesco per una minore angoscia esistenziale, un minore intento polemico e critico nei confronti della società e, allo stesso tempo, un maggiore interesse per il colore, usato in modo libero e in funzione anche emotiva, oltre che costruttiva, sulla scia di van Gogh e di Gauguin; non a caso essi furono i primi ad interessarsi di arte africana. La loro arte si basava sulla semplificazione delle forme, sull'abolizione della prospettiva e del chiaroscuro, sull'uso di colori vivaci e innaturali, sull'uso incisivo del colore puro, spesso spremuto direttamente dal tubetto sulla tela e una netta e marcata linea di contorno. L'importante non era più, come nell'arte accademica, il significato dell'opera, ma la forma, il colore, l'immediatezza. Partendo da suggestioni e stimoli diversi, ricercavano un nuovo modo espressivo fondato sull'autonomia del quadro: il rapporto con la realtà visibile non era più naturalistico, in quanto la natura era intesa come repertorio di segni al quale attingere per una loro libera trascrizione. La pittura dei Fauves ha partecipato alla più larga problematica dell'espressionismo europeo, influenzando principalmente l'espressionismo tedesco, che ne riprese i temi principali, ossia l'esaltazione della forza dell'arte primitiva e la libertà dell'artista da vecchie convenzioni e da formalismi obsoleti.

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Derain – Barche nel porto - 1905 Derain – Ponte Charing Cross - 1905

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Andrè DERAIN

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Henri MATISSE

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R. Dufy – Interior with Indian woman R. Dufy - Umbrellas

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La breve durata del movimento (1905-1908 circa) fu dovuta non solo alla mancanza di un programma ben preciso, ma anche all'esaltazione della "pittura pura" e del "colore esplosivo", che dovevano da soli creare la forma e divenire realtà. Paradossalmente, all'eccesso dei Fauves seguì il successo del cubismo , visto come desiderio della forma e di una organizzazione maggiore, che ponesse un freno all'assoluta libertà del colore. Il movimento fauves ebbe la propria prima collettiva grazie al Salon d'Automne di Parigi nel 1905. Il primo ad utilizzare il termine fauves, o comunque a diffonderlo e renderlo celebre, fu il critico d'arte Louis Vauxcelles, che definì la sala come una "cage aux fauves" cioè una "gabbia delle belve", per la "selvaggia" violenza espressiva del colore, steso in tonalità pure.

I Fauves furono attivi solo fino al 1907. Quell'anno la grande retrospettiva su Cézanne fu causa delle nuove direzioni prese da alcuni di loro e della formidabile crescita del cubismo, che contribuì a rompere la debole unità del movimento.

H. Matisse – Madame Matisse

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Picasso – Demoiselles d'Avignon - 1907

Maschera Fang

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Picasso – Natura morta con sedia - 1912

Braque – La mandola - 1910

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Braque – Piatto con frutta e bicchiere - 1912

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Futurismo. Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) fu soprattutto teorico dell’Avanguardia, anticipando la Critica militante, e fu curatore di mostre. Nel 1909 su Le Figaro pubblicò il Manifesto dell’Arte Futurista (ispirandosi ai filosofi Bergson e Nietzche) a cui aderirono artisti di tutta Europa.

Bergson (1848-1941) si oppone al materialismo in favore di una sorta di misticismo, separando i fatti fisici, scientifici e materiali dai fatti psichici irrazionali. Fra questi ultimi si trova anche l’intuizione che è un sentimento di empatia per la realtà e le cose che ci permette di conoscerle più profondamente che non attraverso un pensiero puramente logico, visivo o mentale. Se si guarda la realtà attraverso l’intuizione si scopre che la realtà, la vita, il tempo, la cultura, non sono mai fermi, ma sono in eterno movimento, non lineare, ma a scatti. Di qui l’elogio a Marinetti.

Da Nietzche Marinetti fa derivare la volontà di superarsi dell’uomo, dell’oltreuomo, del desiderio di staccarsi dalla materia.

Il movimento dei futuristi durò ca 30 anni fino al 1920. Oltre all’elogio del movimento, della velocità, dei mezzi meccanici che liberano l’uomo dal lavoro faticoso, Marinetti persegue il sogno di giungere alla Società estetica globale. Ossia l’arte portata e goduta in tutta la società, nell’arredamento della casa, nei luoghi di lavoro, edifici, cinema, moda, ricette di cucina (anche W. Morris in Inghilterra e la Bauhaus in Germania pensano la stessa cosa). Era urgente e necessario rompere con la vecchia arte delle Accademie e per fare questo Marinetti sfrutta tutti i mezzi di comunicazione, come giornali, cataloghi gratuiti ecc. per diffondere le sue idee in tutta Europa. Nel 1920 rompe con il PNF cui aveva aderito perché troppo immobilista e conservatore.

Nel 1914 Bruno CORRA e Emilio SETTIMELLI pubblicano “Pesi, misure e prezzi del genio artistico” dove si traccia la figura del nuovo critico – compagno di strada dell’artista che sa dare anche un valore alle sue opere.

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Severini – Ballerina - 1911 Balla – Ragazza che corre sul balcone - 1912

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Balla – Automobile in corsa Boccioni – Dinamismo di un ciclista

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Goncharova -Ciclista - 1913 Boccioni – La città che sale - 1910

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Anche Walter BENJAMIN (1892 – 1940) pensa che la diffusione dell’industrializzazione, nell’era moderna, segni un salto culturale rispetto ai vecchi modi di fare arte e auspica una diffusione dell’arte nella vita quotidiana. Pensa cioè che il bello e l’arte non debba essere privilegio di pochi ricchi e colti (idea capitalista) ma se eticamente educativa deve essere a portata anche delle masse popolari (idea comunista) Deve essere vera arte per le masse, riproducibile su larga scala e di prezzo contenuto: queste caratteristiche le ha la fotografia, l’incisione, la litografia, i giornali, il cinema. In particolare la foto e il cinema perdono l’Aura del quadro però riproducono la realtà com’è, educano e appagano chi li guarda. Da magia del quadro a rito riproducibile scriverà “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.Luciano ANCESCHI (1892-1996) Dà alle stampe la rivista di cultura ed estetica “ Il Verri” dove fanno la gavetta e scrivono i più importanti critici dal 1950 in poi, come Eco, Barilli, Sanguinetti ecc. che daranno vita al gruppo ’63, cioè la neoavanguardia italiana. Nel ’63 Anceschi pubblica “Autonomia ed eteronomia dell’arte”. Secondo il suo pensiero la realtà non è mai finita e immutabile, ma è un sistema aperto che varia secondo le circostanze della vita. Così in certi momenti l’Arte deve aderire e rispecchiare la vita, la politica e la religione e avere un contenuto concreto ( eteronomia ); in altri momenti può invece svincolarsi dal reale, diventare introspettiva e astratta (autonomia). Questi due momenti coesistono e si possono scambiare perché il sistema è aperto, fluido e spiega il continuo passaggio dal figurativo, o naturalismo o realismo, all’astrattismo o al non figurativo.

Durante la 2^ Guerra mondiale e l’epoca nazista molti filosofi e artisti erano emigrati negli Stati Uniti, soprattutto a New York, dove portano avanti idee e nuove riflessioni sull’arte. Idee che resteranno a lungo sconosciute in Italia e in Europa dove era proibita qualsiasi contaminazione che non fosse dettata dallo Stato. Saranno conosciute solo dopo il 1950, alla fine della Guerra.Questo spiega il motivo per cui, da quell’epoca, gli USA si trovino alla guida di tutto il pensiero dell’avanguardia artistica.

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Già fin dalla fine dell’800 si nota nell’arte un percorso che si distacca dal figurativo, dal realismo, dal paesaggismo, che, diventando sempre più scarno (gli impressionisti come Renoir e Manet ecc., poi il post impressionismo di Gauguin, Matisse, Sisley ecc., e quindi il cubismo di Picasso e Braque e i futuristi di Marinetti) imbocca la strada dell’arte astratta, senza immagini, senza figure riconoscibili,per fare una riflessione sui mezzi della pittura come lo studio delle forme, dei colori, sul linguaggio dell’arte.E gli USA, in particolare, imboccano proprio questa strada.Il primo teorico, in questo senso, è Roger FRY (1866-1934) che fu anche pittore e studioso di Giotto e del Rinascimento italiano. Secondo il suo pensiero, nell’arte, la riproduzione della natura o forme realistiche, mettono lo spettatore in condizione di trarne o di darne un giudizio morale. Invece le forme pure (astratte) senza un soggetto riconoscibile, colpiscono direttamente l’emotività delle masse, dimensione delle forme, chiaroscuro, colore. Questa pittura colpisce lo spettatore. Perciò il quadro deve essere fatto di ritmo delle linee, equilibrio e si chiama formalista.

Altri autorevoli formalisti USA sono stati Clive BELL e soprattutto Alfred BARR (di New York, direttore del MOMA) che ritengono il figurativo e il naturalismo superflui per il quadro, mentre è essenziale la forma.

Meyer SHAPIRO (1904 – 1996) ritiene importante la ricerca dell’astrattismo, tuttavia non nega il naturalismo o il soggetto figurativo perché l’arte deriva da tutte le esperienze dell’artista. Ciò che conta è l’arte e non è divisibile dalla storia e dal sociale (è vicino al comunismo) Nella rivista fondata da Shapiro “Partisan Review” dove scrivono molti intellettuali europei scappati dal nazismo, scriverà anche Clement GREENBERG (1909 -1994) il più famoso critico americano.

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Egli fa una riflessione fra arte e società nell’era del capitalismo.

Secondo lui, prima dell’industrializzazione,c’era una cultura alta destinata ad un’élite ricca e colta (clero e nobiltà) ma anche ferma a vecchi schemi. Dopo l’industrializzazione prende il sopravvento la borghesia, sempre ricca ma meno colta, che rimette in moto la cultura verso ricerche nuove e nasce la cultura d’avanguardia. Tuttavia neanche l’avanguardia si farà carico dei problemi sociali veri, né si curerà molto della borghesia, perché la disprezza, e prende altre strade.

L’Arte vorrebbe rendersi autonoma sia dall’élite colta che dalla borghesia, e anche dalle masse popolari. Vuole invece riflettere su quali siano i suoi mezzi espressivi senza, per forza, essere portavoce del sociale, del politico o dello psicologico. Perciò, per essere Avanguardia Rivoluzionaria deve superarsi sempre, stupire, dissacrare,riuscire a scappare dalla trappola di chiunque la vuole omologabile, classica. (Un lavoro così nuovo scandalizza, come Picasso all’inizio del cubismo: tutti lo criticavano, ma dopo un po’ gli snob trovavano che fosse un privilegio avere proprio quel lavoro così discusso e lo compravano anche a caro prezzo, mettendolo in banca per capitalizzarlo, anche senza capirlo. Il lavoro Rivoluzionario perde così la sua carica rivoluzionaria e diventa merce di lusso per pochi ricchi, tutto il contrario di ciò che si voleva ottenere cioè cambiare la cultura.).

In pratica, anche l’Arte d’Avanguardia, come tutte le culture Alte, diventa soggetta alle leggi di mercato che banalizzano la carica di eversione e di rottura. Greenberg auspica un’arte pura, senza legami con i realismi e il figurativo (astrattismo).Di qui nasceranno l’Espressionismo astratto, il Minimal, il Concettuale analitico. Da Benjamin, che voleva l’Arte per tutti, nascerà invece la Pop Art e parte del Concettuale.