Stella azzurra

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Favola per bambini scritta dal maestro elementare Mario Lodi

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Il volo libero

L’esame del volo libero è sempre come una festa: i bambini che diven-tano astronauti sono seguiti sugli schermi da tutti i cittadini e anchedirettamente dalle vetrate che si affacciano sulla zona.I dieci ragazzi, nelle belle tute d’argento, erano pronti e, dopo il salu-to del capitano, ascoltarono l’ultimo consiglio della maestra:– Prima esco io e quando sarò un punto tra le stelle vi chiamerò aduno ad uno. Voi vi lancerete nel vuoto e, manovrando i pulsanti, arri-verete fino a me.U3 ascoltava attento e quando venne il suo turno si buttò, azionò irazzi e volò dolcemente verso la luce intermittente che il casco dellamaestra proiettava, come un faro.Era fantastica quella scena nera in cui le stelle fuggivano via a grap-poli dalle varie forme. U3 si mise a fianco della maestra e mentre glialtri compagni uscivano uno ad uno, lui s’incantava a guardare le stel-le che formavano, con i loro punti luminosi, strani disegni: gli sembròdi vedere orchi che fuggivano… Ad un tratto gridò:– I sette bambini delle Pleiadi!La maestra gli gridò:– Che stai dicendo! Stai allineato! Smettila di fantasticare!Lui azionò i comandi e si mise in fila.– Bene – disse la maestra – ora passiamo al secondo esercizio: il cer-chio volante intorno alla città. Io sarò in testa e voi mi seguirete.Ognuno resti in stretto contatto col compagno che ha davanti. Via! –E partì veloce.I dieci ragazzi seguirono la maestra che saliva sempre più in alto, finoltre le antenne dell’Ammiraglia. Poi da lassù cominciò la discesa dal

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l’altra parte. Il loro volo era perfetto.U3 non aveva problemi: era abile nella manovra, pronto ad allinearsi,attento a tutto. Ma quando fu sotto l’enorme pancia dell’Ammiragliae la maestra diede il comando della risalita, lo scenario delle stellecambiò e lui vide, piccola e lontana, la luce azzurra della sua stellaamata che lo attirava.E gli uscì dalle labbra una parola:– Laura!In quel momento, all’improvviso, quasi senza rendersene conto,azionò i comandi dei razzi veloci e partì in direzione della Stellaazzurra.Il cerchio dei piccoli astronauti ebbe un momento di sbandamento equando la maestra si accorse che mancava U3, diede il segnale diemergenza e chiamò le navicelle di soccorso.Dall’Ammiraglia partirono immediatamente tre navicelle a tutta velo-cità, mentre la maestra tentava di mettersi in contatto con U3 in fuga.Finalmente ci riuscì e ordinò al ragazzo di azionare i retrorazzi e ditornare in fila.– No – rispose U3.Ti smarrirai nell’universo!Non torno più! – urlò U3 puntando verso Stella azzurra.Visti inutili i tentativi di convincere il ragazzo a tornare, la maestrapassò il collegamento alle navicelle di soccorso, che spuntarono comefalchi su di lui, lo raggiunsero e lo circondarono.– Fermati!– No.– Perché fuggi?– Vado sulla Stella azzurra!– Non hai energia sufficiente!Ma U3 continuava il suo volo. Allora i tre piloti, con il raggio di estre-ma emergenza, spensero i razzi di U3, si avvicinarono con una mano-vra rapida, lo catturarono e lo presero a bordo. Al rientro fu portatonella sala dell’assistenza speciale e lì fu interrogato e visitato dall’équi-

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pe sanitaria.Nella città spaziale la salute dei cittadini era molto curata e ogni casoveniva studiato, analizzato e infine risolto.U3 non presentava anomalie fisiche: il ragazzo era robusto, agile,pronto nei riflessi.– La cosa che preoccupa – disse il dottore – è la resistenza del suo cer-vello alla programmazione cognitiva durante il sonno, che è il nostropiù geniale intervento per ridurre e annullare le residue forme imma-ginative dell’era atavica e formare l’uomo razionale e tecnologico dicui abbiamo bisogno per conquistare l’universo.U3 sentiva quello che diceva il dottore ma il suo pensiero era lonta-no, e il monitor lo rivelò.– Vedete – continuò il dottore – egli segue con l’udito le mie parolema il suo pensiero è fuori dalla realtà, in fase fantastica. È incapace diassimilare, produce pensiero divergente, crea. Questo è pericoloso eproibito.– E allora? – domandò la maestra, che per la prima volta nella sua car-riera aveva visto scapparle via un allievo.– Bisogna intensificare il flusso cognitivo, portarlo al massimo.– È già al massimo – disse la maestra – ma la forza del sogno è piùforte e lo respinge. Le onde del sogno sono continue, ampie.Abbiamo tutto registrato, possiamo vederle insieme.– Abbiamo registrato le onde ma non i sogni – disse il dottore.– È quello che stiamo studiando – disse il capitano – per scoprire lecause di questi interessi irrazionali.– Forse ce lo potrebbe dire lui – azzardò il dottore, e si rivolse alragazzo:– I tuoi sogni sono belli?U3, che era ancora immerso nel suo meraviglioso sogno, disse di sì.– C’è qualcosa che ricordi?– Tutto.– Me lo puoi dire?– Stella azzurra… – sussurrò.

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Il dottore ebbe un piccolo scatto, avrebbe voluto dire qualcosa aglialtri ma preferì continuare il colloquio con U3:– E poi?– Il mare azzurro… le foreste verdi… le margherite…– E poi?– I libri delle storie…Ora tutti erano attentissimi e concertati: come poteva questo ragazzoconoscere particolari di quel mondo abbandonato? Da dove gli eranovenute le informazioni? Poteva la memoria di un bambino conserva-re immagini e funzioni di migliaia di anni prima?Il dottore, dopo una pausa, riprese:– E poi?– Voglio giocare! – disse U3 con un bel sorriso.La maestra gli rispose:– Tu sai che questo è vietato dalla nostra legge.Ma il dottore le fece cenno di stare zitta e proseguì nella sua indagi-ne:– Oltre al gioco, desideri qualche altra cosa che qui non hai?– Sì. Coda di cavallo.I tre si guardarono in faccia come per dire: qui tutto diventa più com-plicato. La maestra si chinò su di lui e gli sussurrò:– Ma tu sai che cos’è un cavallo?– Me l’ha detto il traductor.– Il traductor? Chi è il traductor?– Quello che legge tutto: le pietre, le piante, le stelle, i libri…– Un uomo?– No. Uno strumento. È piccolo così; sta nella mia mano…– E si può sapere dov’è questo traductor?– Nella navicella superveloce, che corre quasi come il pensiero…– È matto, poverino – pensò il dottore.– Interessante – disse il capitano – e funziona?– Sì – rispose U3.Il dottore non aveva perso la speranza di capire.

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– Ma la cosa che più di tutto ti piace nei tuoi sogni, qual è?– Non è una cosa – disse lui tranquillo.– Una persona? – chiese il dottore.U3 fece cenno di sì e intanto la vedeva col pensiero mentre gli strin-geva la mano e gli diceva: “Ti aspetterò!”.– Una persona vera?– Sì.– Ha un nome?– Sì.– Ce lo vuoi dire?– No.Quel nome amato U3 lo tenne per sé, nel segreto del suo cuore.

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Il risveglio del Grande capo

Quando U3 se ne andò, il dottore, la maestra e il capitano discusseroa lungo il caso, il primo serio caso di resistenza al programma di for-mazione razionale in un bambino. Il comportamento di questo ragaz-zo avrebbe potuto influenzare gli altri ragazzi, far risorgere tendenzedivergenti, insomma mettere in difficoltà il piano di esplorazione del-l’universo che il Grande capo ibernato aveva voluto e tutti avevanoaccettato.I tre decisero di convocare il Consiglio della città spaziale in collega-mento con i Consigli di tutte le astronavi.Il Gran consiglio riconobbe che il caso era delicato e pericoloso edera dunque necessario svegliare il Grande capo dal lungo sonno persapere da lui che cosa fare.Fissato il giorno, collegate con le telereti tutte le navi spaziali,sull’Ammiraglia cominciò l’operazione del risveglio.Furono azionati i congegni di sospensione dell’ibernazione e, sotto gliocchi di tutti i cittadini del mondo, il Grande capo aprì gli occhi, sba-digliò, si mise a sedere. Il coperchio di cristallo lentamente si alzò elui scese dal letto. Si lisciò la barba, si guardò attorno, domandò:– Dove sono?Un tecnico gli mise davanti un quadrante su cui era indicata la posi-zione dell’Ammiraglia nella mappa dell’universo.– Non ci capisco niente – disse il Grande capo – che cosa sono que-sti scarabocchi di numeri?– La tecnologia ha bisogno di linguaggi essenziali – disse il tecnico.– Ed io come faccio a capire? – brontolò. Poi fece la domanda che glistava a cuore:

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– I confini dell’universo sonostati individuati?– Non ancora ma pensiamo diessere abbastanza vicini a grossenovità – disse il capitano.– E allora perché mi avete sve-gliato? – domandò.Il capitano spiegò il caso delbambino che sogna e che vuolescappare su Stella azzurra.Il Grande capo ascoltò conattenzione, si grattò la barba e siarrabbiò:– Ma che storie sono queste!Anch’io vorrei tornare sullaStella azzurra, è naturale che siacosì!

– Ma – ribatté il capitano – ilbambino sogna.

– E lasciatelo sognare. Anch’io hosognato nel mio lungo sonno:

tuffi nel mare… belledonne… ci mancherebbe

altro che non ci fossero isogni. Non è forse un sogno

anche il nostro progetto di cor-rere nell’immensità dell’universo

alla ricerca dell’inizio, per saperese siamo venuti dal nulla?– Noi abbiamo voluto razionaliz-zare tutto, al di là dei nostri vis-suti, per non distrarci dall’obiet-tivo che tu ci hai indicato…

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A queste parole il Grande capo lampeggiò negli occhi e gridò:– Anche una formula matematica procede da un vissuto. Pitagora havissuto il mondo e l’ha formalizzato. I numeri non sono caduti dalcielo nella coscienza umana!A quelle parole tutti stettero zitti e impacciati.Il Grande capo si guardò attorno e fece una smorfia:– Tutti uomini qui? Dove sono le donne?Il capitano, con un cenno della mano le indicò: erano lì, davanti a lui.Il Grande capo rise:– Non le vedo. Siete tutti uguali… Le donne una volta erano tuttecurve, qui è tutto piatto…– Da quando i bambini nascono in vitro, non c’è più bisogno di allat-tare né di innamorarsi – spiegò il capitano.– Ma siamo matti? – urlò il Grande capo e l’urlo lo sentirono per tuttol’universo. E riprese:– E questo silenzio cos’è? Io pensavo di svegliarmi al suono di unabella musica, invece guarda qui che musi di ferro!– La musica distrae, l’abbiamo abolita – si scusò il capitano.– E i colori? E l’arte? Anche questo distrae? Guardate che grigiore c’èin questa città!Il capitano disse timidamente che sì, anche i colori distraggono.– E i libri?– Quali libri? – domandò il capitano perplesso.– I libri che avevo portato con me. Avete ibernato anche quelli?Con un gesto deciso il Grande capo andò alla parete della grande salae premette un pulsante: di scatto si aprirono le pareti e apparveromigliaia di libri allineati negli scaffali. Sempre più arrabbiato disse:– Qui c’è tutta la nostra storia e tutta l’intelligenza dell’uomo. C’è lasua fantasia. E c’è anche la scienza e la tecnica, che voi preferite. C’ètutto. E voi non avete letto nulla! Credevate forse di distrarvi?– Sì – sussurrò il capitano – volevamo cominciare tutto da capo,inventare l’uomo tecnologico…– Ha fatto bene quel ragazzo a fuggire! A proposito, dov’è quel ragaz-

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zo? Gli voglio stringere la mano e dargli un bacio!U3, che era in mezzo alla folla e si divertiva a sentire parlare quell’uo-mo con la barba, fece alcuni passi avanti e si presentò. – Vieni qua, amico mio – gli disse il Grande capo – tu sei l’unica per-sona normale in questa gabbia di matti. Come ti chiami?– U3.– Che brutto nome, non ce n’era uno più bello?U3 non sapeva che dire. Lì i bambini avevano tutti nomi così.– È vero che ti piace giocare? – gli chiese.– È proibito – disse la maestra.– Giocare fa bene – disse il Grande capo – datemi una tuta che vadoa giocare anch’io fuori da questa città senza vita.Indossata la tuta, il Grande capo la fece indossare anche a U3 e glidisse dolcemente:– Andiamo fuori e corriamo un po’ nei prati del cielo.In quel momento ogni cittadino spaziale sentì sciogliersi qualcosadentro di sé. Molti fecero la stessa cosa: indossate le tute uscironosenza un programma, solo per fare tre capriole fra le stelle. E rideva-no felici, come se avessero ritrovato una cosa preziosa perduta.U3 e il Grande capo volavano nello spazio e ad un certo punto ilragazzo disse:– Ecco… là… Stella azzurra!– Noi siamo venuti di là – disse il Grande capo – perché in noi umanic’è la voglia di conoscere tutto fin da bambini. E da grandi vogliamoscoprire il mistero della vita. Ma là si stava un gran bene: quel solecaldo, quel mare, i colori, i cibi veri, le donne…– Là c’è la mia ragazza che mi aspetta – gli disse U3.Il Grande capo rimase un attimo in silenzio e poi disse:– Là non c’è più nessun umano.– Ma io l’ho vista. Mi ha dato un bacio! – ribatté U3.– Nel sogno?– Sì.– Certe volte i sogni si avverano ma non crederci troppo, ragazzo mio

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– disse il Capo.– Papà, mi accompagni su Stella azzurra? – gli chiese il ragazzo.A sentirsi chiamare papà, il Grande capo si commosse:– Io non sono il tuo papà – disse – ma va bene lo stesso, chiamamipure così.– E per Stella azzurra? – ripeté U3.– Ci penseremo! Mi piacerebbe tornare laggiù, ma se la tua ragazzanon c’è, che facciamo io e te, soli in quel mondo? – disse.– Ti dico che c’è! È bella! Ha la coda di cavallo. Mi aspetta – disse U3convinto.– Intanto rientriamo e mettiamo a posto le cose su queste città senzavita – disse il Grande capo – poi vedremo. – E gli tese la mano.